Variazioni sul tema della prigionia: La Captive di - Post

eBook
di Cesvot
“Siamo arrivate da strade diverse”
I percorsi della partecipazione femminile
nel volontariato toscano
di Rossana Trifiletti e Stella Milani
eBook
di Cesvot
Cesvot Edizioni
eBook di Cesvot
Isbn 978-8897834-12-0
Firenze, maggio 2014
Quest’opera, consultabile gratuitamente secondo i principi Free documentation License e Creative
Commons, è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0
Internazionale. Per leggere una copia della licenza vedi: http://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/
La ricerca è stata promossa e sostenuta dal Cesvot e realizzata sotto la direzione scientifica
della prof.ssa Rossana Trifiletti dell’Università di Firenze, con il contributo di due ricercatrici
del Centro Interuniversitario di Sociologia Politica (Ciuspo): Stella Milani e Katia Cigliuti. La
redazione del rapporto di ricerca è frutto della collaborazione di Rossana Trifiletti e Stella
Milani, tuttavia la stesura dell’introduzione e del paragrafo 3.4 sono da attribuire a Rossana
Trifiletti e le restanti parti a Stella Milani.
Un particolare ringraziamento per il prezioso supporto offerto nella realizzazione dell’indagine
è rivolto al Settore Ricerca del Cesvot (dott.ssa Sandra Gallerini), alla Commissione Regionale
per le Pari Opportunità (Vicepresidente Angela Notaro), al direttore del Ciuspo, prof. Giorgio
Marsiglia, e alla segretaria amministrativa del Ciuspo, dott.ssa Nicoletta Baistrocchi.
Si ringraziano, inoltre, sentitamente le associazioni che hanno partecipato all’indagine e
in particolare le volontarie che, con generosità, ci hanno offerto i racconti delle loro storie.
“Siamo arrivate da strade diverse”
Indice
Premessa.......................................................................................... 6
Introduzione..................................................................................... 9
1.Il volontariato delle donne: un’ esplorazione delle
dinamiche di genere nei percorsi di partecipazione
1.1 Premessa................................................................................... 16
1.2 Riflessioni preliminari sulle dinamiche di genere
nel contesto del volontariato europeo....................................... 19
1.3 Sulla partecipazione femminile nel volontariato
italiano.............................................................................. 25
1.4 Oltre le statistiche: specificità delle associazioni e
dell’impegno volontario delle donne.......................................... 29
1.5 Per concludere.......................................................................... 33
2. I contesti partecipativi: l’analisi di dieci casi di studio
2.1 Premessa.................................................................................. 35
2.2 Per una ricostruzione del profilo delle organizzazioni
intervistate.................................................................................. 40
L’associazione Adatta..................................................................... 40
La cooperativa sociale Alice..................................................... 46
L’associazione Auser Toscana................................................ 52
L’associazione Avis Toscana................................................... 56
L’associazione Casa della Donna............................................ 62
L’associazione La Città delle Donne........................................ 68
L’associazione Ireos - Comunità queer autogestita................... 76
3
“Siamo arrivate da strade diverse”
L’associazione Le Mafalde.................................. ...................... 82
L’associazione Olympia de Gouges - Centro
accoglienza donne maltrattate............................ ...................... 88
Le donne del 13 febbraio - Comitato senese
del Se non ora quando?......................................... ...................... 92
3.Sulla partecipazione femminile: primi elementi di
riflessione dal confronto con i testimoni privilegiati
3.1 Donne ai vertici: una lettura degli squilibri di genere
nelle cariche dirigenziali delle organizzazioni di
volontariato................................................................ ...................... 99
3.2 Gli ostacoli specifici e i possibili percorsi per superarli .................... 106
3.3 Le peculiarità della partecipazione femminile....... .....................114
3.4. Considerazioni intermedie e nuove ipotesi di ricerca .....................122
4.Associazionismo e partecipazione: una lettura
attraverso i percorsi biografici femminili
4.1 Il campione e gli strumenti di rilevazione................ .................... 124
4.2. L’ingresso nel mondo del volontariato.................. .....................130
4.3. Volontariato, famiglia e lavoro: sulla conciliazione
possibile........................................................... .....................137
4.4. Il soffitto di cristallo del volontariato e la leadership
femminile............................................................. .................... 151
4.5. Il volontariato delle donne: le differenze di genere
percepite nei ruoli e nello stile di intervento........... .................... 167
4.6. L’ associazionismo femminile: rappresentazioni e
pratiche............................................................... .................... 176
4.7. La partecipazione nel volontariato: i significati di
un’esperienza..................................................... .................... 182
4
“Siamo arrivate da strade diverse”
Conclusioni....................................................................................... 188
Appendice. Per una riflessione sulla simbologia.......................... 193
Riferimenti bibliografici.................................................................... 199
5
“Siamo arrivate da strade diverse”
Premessa
Sandra Gallerini
responsabile Settore Ricerca Cesvot
La nostra attività di ricerca consente di far acquisire la consapevolezza
che oltre “al saper fare” è importante anche il “sapere”, al fine di cono-
scere quali sono le trasformazioni in atto del volontariato ed essere poi
in grado di ri-orientare in maniera più adeguata la propria attività, soprattutto in fase di programmazione e progettazione. A tal fine le nostre
sono ricerche-azione che vedono come protagoniste le associazioni di
volontariato e altri soggetti interessati.
Anche lo studio che andiamo a presentarvi ha visto il coinvolgimento di
circa ventuno associazioni nazionali e regionali scelte secondo alcuni
criteri attinenti alla struttura associativa (associazioni di volontariato, di
promozione sociale, cooperative sociali, movimenti), attinenti alla com-
posizione di genere (contesti esclusivamente femminili, miste, queer),
alla mission e al relativo settore di intervento, nonché alla collocazione
geografica. Considerati i tempi che ci siamo prefissati, abbiamo dovuto
fare alcune scelte circa l’ampiezza del campione associativo da esami-
nare, pur rispettando il criterio della rappresentatività, sapendo che la
ricerca avrà uno sviluppo sotto forma di Laboratorio con l’opportunità
quindi di coinvolgere un più ampio parterre di associazioni.
La nostra ricerca, avviata nel 2012 e conclusa un anno dopo, offre un’analisi qualitativa dei processi partecipativi a partire da una prospettiva
di genere attraverso un doppio livello analitico, quello collettivo ed una
dimensione individuale, con l’intento di rispondere principalmente a due
interrogativi: esistono ed eventualmente quali sono le caratteristiche di-
stintive della partecipazione femminile nelle associazioni? E quali peculiarità assume l’esperienza del volontariato nelle biografie femminili?
6
“Siamo arrivate da strade diverse”
Poiché studi su questo ambito risultano ancora poco diffusi, Cesvot ha
scelto di affrontarlo con un percorso di ricerca partendo dal presuppo-
sto che la “solidarietà organizzata” sembra costituire un ambito di analisi
privilegiato per indagare i modelli femminili di partecipazione.
Gli studi sulle migrazioni che Cesvot ha realizzato dal 2004 hanno visto
un’importante svolta interpretativa, basata su una riflessione ed analisi
critica dei “modelli della cura” elaborata dal pensiero femminista. Ma
in particolare, l’interesse ad approfondire il tema sulle peculiarità della
partecipazione femminile nel volontariato deriva dai risultati di una re-
cente indagine condotta dall’Università di Pisa, per conto di Cesvot1,
nella quale emergono - da un’intervista a circa mille associazioni toscane
- degli interessanti elementi di mutamento/evoluzione sulla “questione di
genere” nel volontariato, sia da un punto di vista quantitativo che qualitati-
vo. “Quantitativo”, perché se consideriamo i volontari non soltanto attivi in
modo continuativo, ma anche quelli discontinui ed occasionali, si nota che
a partire dalla metà degli anni 90’ le organizzazioni in cui la componente
femminile è prevalente sono in numero più consistente. Negli ultimi anni,
in concomitanza con la crisi economica, si osserva un riequilibrio nella distribuzione di genere tra i volontari toscani, molto probabilmente perché il
nuovo contesto socio-economico impone un maggior impegno femminile
nel mercato del lavoro o nella cura dei soggetti più vulnerabili e deboli. Si
osserva inoltre un mutamento “qualitativo” nelle caratteristiche associative composte prevalentemente da donne volontarie in quanto sembrano
coniugare le capacità di innovazione e di riorganizzazione dei servizi e
delle attività promosse - tipiche del dinamismo organizzativo che contraddistingue il “nuovo volontariato”-, e capacità di promuovere la creazione
di network tra associazioni del Terzo settore o con soggetti istituzionali del
territorio mediante la elaborazione di progettualità condivise.
Pur focalizzando la nostra attenzione sul contesto regionale toscano, ab-
Si veda: Il volontariato inatteso. Nuove identità nella solidarietà organizzata in Toscana, a
cura di Andrea Salvini e Luca Corchia, Cesvot, “I Quaderni”, n. 60, 2012.
1
7
“Siamo arrivate da strade diverse”
biamo ritenuto opportuno nella nostra ricerca dare alcune informazioni
sintetiche relative al panorama europeo e nazionale. Come anticipato,
l’indagine che vi proponiamo intende valorizzare le forme di partecipa-
zione femminile attraverso un doppio binario analitico, sia con riferimento
alla dimensione collettiva che a quella individuale. Abbiamo dapprima
esaminato il livello collettivo attraverso l’analisi di organizzazioni di vo-
lontariato a composizione sia mista che a prevalenza femminile, aventi
forme associative diverse, dalle associazioni di promozione sociale a
movimenti, a gruppi informali. L’obiettivo era quello di evidenziare le caratteristiche identitarie ed organizzative che le contraddistinguono, non-
ché le attività promosse, il sistema di relazioni instaurate con soggetti del
Terzo settore e/o con soggetti istituzionali, le eventuali funzioni di advocacy svolte in specifico riferimento alla questione delle pari opportunità.
Un secondo livello di analisi riguarda invece la dimensione individuale
attraverso alcune interviste biografiche a donne volontarie che ricoprono
incarichi di responsabilità all’interno di associazioni nazionali e regionali
con l’intento di individuare le modalità con cui vivono e concepiscono la
propria azione volontaria - anche in relazione alle ulteriori attività eserci-
tate nel loro agire quotidiano -, le problematiche incontrate nei loro percorsi partecipativi e quali i benefici.
La scelta di aver preso in esame organizzazioni tra loro diverse ci consente di fornire una lettura trasversale sulle diverse esperienze di partecipazione femminile, le peculiarità ma anche le criticità.
Gli esiti di tale ricerca sono risultati così interessanti che Cesvot ha scelto di approfondire alcuni elementi tematici emersi dalle interviste in un
progetto di Laboratorio che sarà inaugurato nel corso del 2014 con l’o-
biettivo di promuovere uno spazio “pubblico” di incontro e confronto tra
associazioni, e tra questi e le istituzioni, che potrà favorire momenti di
riflessione e proposte risolutive.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Introduzione
La ricerca su I percorsi della partecipazione femminile nel volontariato
toscano si inscrive nell’ambito di una sinergia tra il Centro Interuniversita-
rio di Sociologia Politica (Ciuspo) e il Centro Servizi Volontariato Toscana
(Cesvot) che, a partire dal 2005, ha consentito di promuovere una serie
di approfondimenti orientati ad indagare, in particolare, la relazione esistente tra agire volontario e pratiche di cittadinanza.
In questo senso, se l’attenzione è stata finora rivolta alla disamina del
ruolo che l’associazionismo toscano, di stranieri e per stranieri, svolge
nei processi di integrazione degli immigrati, la ricerca avviata nel maggio
del 2012, pur rimanendo nell’ambito della riflessione sociologica relativa
al tema della cittadinanza, inaugura un nuovo itinerario di studio che ha
come obiettivo quello di proporre un’analisi di genere dei processi partecipativi nel contesto del volontariato.
Del resto negli ultimi dieci anni anche la ricerca sulle migrazioni ha visto
una importante svolta interpretativa, basata proprio su una riflessione
a livello globale (Ehrenreich e Hochschild 2002; Parreñas 2001; Andall
2000; Kofman et al. 2000; Mahler e Pessar 2010) che ripercorre la analisi
critica dei modelli della cura elaborata dal pensiero femminista e propo-
ne la loro messa in visibilità nel repertorio identitario femminile. Si tratta di
un filone di studi che sollecita una concezione di cittadinanza meno gen-
der biased. Uno dei risultati di questa riflessione è proprio l’introduzione
della categoria di “cittadinanza stratificata” (Morris 2002; Sassen 2000;
Anthias 2008; Parreñas 2012; Saraceno et al. 2013) che, formulata a
partire dalla condizione delle migranti, risulta a nostro parere particolar-
mente utile per muoversi nei meandri di significato della partecipazione
9
“Siamo arrivate da strade diverse”
femminile ed, in specie, di quella attiva nell’ambito del sociale e dell’agire volontario.
Le due tematiche mostrano così molti rimandi concettuali ed anche
il concetto di cittadinanza stratificata potrà, nel nostro caso, essere
letto non solo nel senso limitante della discriminazione di genere, ma
come un insieme di capacità separate, a fondamento dell’autostima
delle donne, di cui l’azione volontaria può costituire un vasto campo di
apprendimento. In qualche modo questo approccio ritorna anche sulla
classica distinzione di Giddens fra potere strettamente gerarchico e
potere generativo (1991, 211), utile per cogliere quali generi di affer-
mazioni le donne siano poi indotte a ricercare nella esperienza organizzativa. In questa ottica si inquadra meglio anche il riferimento alle
differenze di genere in tema di etica della cura, un insieme di sensibilità
che non dovrebbero essere sempre considerate di ostacolo alla cittadinanza piena, ma un nuovo fondamento per essa (Fraser e Gordon
1994; Sevenhuijsen 1998; Knijn e Kremer 1997).
La ricerca su I percorsi della partecipazione femminile nel volontariato
toscano, avviata nell’aprile 2012, ha infatti come obiettivo quello di offrire
una disamina dei processi partecipativi mediante l’adozione di una sistematica prospettiva di genere. Questa pista di ricerca si origina dalle suggestioni offerte da una precedente indagine, sempre promossa dal Ce-
svot, in cui si identificavano alcune tendenze emergenti nelle dinamiche
di genere che contraddistinguerebbero il volontariato toscano (Salvini
2011). L’approccio adottato intende valorizzare un’analisi della parteci-
pazione femminile considerata, attraverso un doppio binario analitico,
sia con riferimento alla dimensione collettiva che a quella individuale.
In questo senso la scelta è stata quella di prendere in esame, in primo
luogo, il livello collettivo della partecipazione a partire dal confronto con
alcuni soggetti del terzo settore e della società civile toscana che, nel
ruolo di osservatori privilegiati, hanno consentito una prima esplorazione
delle dinamiche che caratterizzano la partecipazione femminile. Nell’ottica di promuovere una comparazione tra casi di studio, tali soggetti sono
10
“Siamo arrivate da strade diverse”
stati selezionati secondo un criterio di massima eterogeneità dei contesti partecipativi di riferimento, eterogeneità dunque della struttura
associativa (organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione
sociale, cooperative sociali, movimenti), della composizione di genere
(contesti esclusivamente femminili, misti, Lgbt), della mission e del relativo settore di intervento.
Un secondo livello di analisi ha riguardato invece la considerazione
dell’esperienza del volontariato nella sua caratterizzazione più perso-
nale e soggettiva. La ricerca, avvalendosi della realizzazione di interviste di carattere biografico, è stata dunque orientata ad individuare
le modalità in cui le donne vivono e concepiscono la propria azione
volontaria anche in relazione alle ulteriori attività che esse esercitano
nel loro agire quotidiano. L’indagine è stata articolata in cinque fasi di
ricerca così come previsto dal progetto iniziale.
maggio
aprile
marzo
febbraio
gennaio
dicembre
novembre
ottobre
settembre
agosto
luglio
giugno
maggio
FASE
aprile
MESI (ANNO 2012 / 2013)
Stato dell’arte
Individuazione dei casi
di studio
Campagna interviste
Analisi delle interviste
Redazione del rapporto
di ricerca
11
“Siamo arrivate da strade diverse”
La prima fase della ricerca è stata rivolta alla ricognizione bibliografica
e all’analisi critica della letteratura scientifica, sia teorica che empirica,
nonché della normativa (italiana ed europea) in tema di partecipazione
femminile con particolare riferimento al mondo del volontariato.
Nella seconda fase della ricerca è stata effettuata un’esplorazione delle
esperienze di partecipazione femminile con specifico riferimento al contesto regionale toscano. L’obiettivo è stato quello di individuare alcuni
soggetti della società civile locale (organizzazioni di volontariato, associazioni, movimenti e/o gruppi informali) che si contraddistinguono per
il dinamismo degli attori femminili. In tal senso, a partire dalla raccolta
delle informazioni reperibili attraverso i documenti istituzionali, la stampa
locale, il web e il confronto con testimoni privilegiati (referenti delle Com-
missioni per le Pari Opportunità, delegazioni provinciali Cesvot) sono
stati individuati 10 casi di studio rispetto ai quali è stato poi condotto un
approfondimento nel prosieguo dell’indagine.
La terza fase è stata dedicata alla ricerca sul campo e dunque alla rile-
vazione, mediante la realizzazione di interviste in profondità, di elementi
informativi che hanno consentito di esplorare i percorsi della partecipa-
zione femminile, sia nella loro dimensione collettiva che soggettiva. Con
riferimento al primo aspetto, le interviste, rivolte ai referenti dei 10 con-
testi partecipativi selezionati nella fase precedente, sono state orientate
ad identificare il profilo dell’associazione stessa, a ricostruirne la storia,
ad individuarne le caratteristiche identitarie e organizzative, gli ambiti di
intervento e le finalità. Particolare attenzione è stata dedicata alla variabile declinazione della funzione di advocacy eventualmente sostenuta
dalle stesse organizzazioni nel quadro della promozione delle pari opportunità, alle modalità di azione nelle quali si concretizza e alle eventuali
partnership, con altri soggetti del privato sociale e istituzionali, che si
raccolgono intorno alla questione del genere.
Un secondo piano delle rilevazioni è stato invece orientato ad appro-
fondire la variabile configurazione dell’attività del volontariato nell’ambito
delle esperienze biografiche femminili, secondo un approccio che ha
12
“Siamo arrivate da strade diverse”
inteso valorizzare il vissuto soggettivo. In tal senso sono state realizzate
20 interviste in profondità a donne attive nel contesto del volontariato
toscano per indagare, oltre alle motivazioni, alle rappresentazioni e alle
pratiche concrete dell’agire volontario, le interazioni e le reciproche con-
taminazioni tra le diverse sfere della vita quotidiana – l’organizzazione di
volontariato, il lavoro, la famiglia – e l’eventuale trasferibilità dei ‘saperi’
acquisiti in tali ambiti. Rispetto a quanto previsto dal progetto di ricerca,
considerata la rilevanza del tema riguardante la leadership femminile nel
contesto dell’associazionismo, si è scelto di approfondire tale fenomeno
prendendo in esame i percorsi biografici e partecipativi di cinque donne
presidenti di associazioni con rilevanza nazionale.
La quarta fase della ricerca è stata dedicata all’analisi in profondità
del materiale raccolto mediante le interviste. La parziale sovrapposizione delle fasi 2 e 3 ha consentito di promuovere un approccio
analitico latamente derivato dalla Grounded Theory, fondato sull’in-
terazione continua tra rilevazione e analisi dei dati via via raccolti, un
approccio che è risultato particolarmente appropriato tenuto conto
del carattere esplorativo della ricerca (Glaser e Strauss 1967; Glaser
1978; Coffey e Atkinson 1996; Tarozzi 2008).
Nella quinta fase sono state analizzate le informazioni raccolte nelle
fasi 2, 3 e 4 sulla base delle quali è stato redatto il presente rapporto
di ricerca che illustra i risultati complessivi dell’indagine.
Il contributo è suddiviso in sezioni che corrispondono all’articolazione
delle fasi di ricerca sopra menzionate. In particolare, il primo capitolo propone una esplorazione delle tendenze che caratterizzano la
partecipazione femminile nell’ambito dell’associazionismo volontario
a partire dall’analisi dei dati statistici disponibili in riferimento al contesto europeo e a quello nazionale. Sono richiamati, inoltre, alcuni
tratti qualificanti il contesto regionale toscano sulla base di un’analisi
secondaria di ricerche, sia di taglio qualitativo che quantitativo, condotte nel corso degli ultimi anni.
Nel secondo capitolo sono esplicitati i principi guida e gli obiettivi che
13
“Siamo arrivate da strade diverse”
hanno orientato la prima fase di ricerca sul campo e dunque un’analisi
che muove dal livello collettivo delle organizzazioni per esplorare e met-
tere a confronto alcune tendenze di fondo caratterizzanti la partecipazione femminile. A partire dalla considerazione dei dieci casi di studio
selezionati si propone quindi una prima tipizzazione delle associazioni di
volontariato e degli altri contesti partecipativi esaminati.
Nel terzo capitolo si offre un primo approfondimento sul tema della partecipazione femminile. In particolare, l’analisi dei contenuti emersi nel cor-
so delle interviste ai testimoni privilegiati è condotta nell’intento di individuare quelle variabili che emergono come principali discriminanti nella
declinazione dei percorsi partecipativi. Tali acquisizioni e i nodi tematici
identificati sono posti a fondamento della fase di indagine successiva
orientata a contestualizzare l’esperienza della partecipazione nell’ambito
delle biografie femminili.
Il quarto capitolo, incentrato su questo ulteriore approfondimento, si apre
con una illustrazione degli strumenti di indagine utilizzati e delle carat-
teristiche che contraddistinguono il campione selezionato. L’analisi dei
racconti delle volontarie è poi messa a fuoco nelle specificità e nelle
ricorrenze emergenti dalle diverse esperienze attraverso sei registri te-
matici: i percorsi di ingresso nel volontariato (par. 4.2), le strategie di
conciliazione della partecipazione con gli altri impegni della vita quotidiana (par. 4.3), l’accesso delle donne alle posizioni di vertice nell’associazionismo (par. 4.4), le differenze di genere percepite dalle volontarie
nei ruoli rivestiti all’interno delle organizzazioni e nelle modalità elettive
di praticare il volontariato (par. 4.5), la percezione delle associazioni a
composizione esclusivamente femminile (par. 4.6) e, infine, il bilancio
della costruzione di senso complessiva delineata intorno all’esperienza
del volontariato (par. 4.7).
In conclusione, a partire dalle risultanze complessive, si richiamano alcune principali evidenze emergenti che, tenuto conto del carattere esplorativo della ricerca, possono ritenersi quali piste di indagine meritevoli di
ulteriori approfondimenti. Tali risultanze permettono, inoltre, di identifica-
14
“Siamo arrivate da strade diverse”
re possibili azioni da attuarsi nell’ambito del volontariato nella logica di
una promozione della parità di genere.
In appendice, ad integrazione della tipologia tracciata nel capitolo 2,
una breve sezione è dedicata alla disamina della simbologia e, in par-
ticolare, dei loghi dei diversi soggetti coinvolti nella prima fase del-
la ricerca. Le immagini sono affiancate dai commenti degli intervistati
o da informazioni tratte dai siti web delle associazioni nell’intento di
esplicitarne il significato attribuito. Pur senza pretese analitiche di tipo
interpretativo, si ritiene che tali elementi possano costituire un interessante occasione per riflettere ulteriormente sull’elaborazione operata
dalle associazioni in riferimento alla comunicazione pubblica, sintetizzata nei loghi, della propria mission.
15
“Siamo arrivate da strade diverse”
1.
Il volontariato delle donne: un’ esplorazione delle
dinamiche di genere nei percorsi di partecipazione
1.1 Premessa
Nel 2010, in occasione del trentesimo anniversario della Convenzione
dell’Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, la Commissione Europea ha invitato gli Stati membri a promuovere, tra le altre, misure orientate ad incentivare la par-
tecipazione femminile a livello sociale e politico (Maggiore impegno
verso la parità tra donne e uomini. Carta per le donne – Com/2010/78).
L’equilibrio tra i generi nei ruoli decisionali e, più in generale, nei processi partecipativi è ormai riconosciuto nell’Unione Europea come un
indicatore della qualità delle nostre democrazie.
A fronte di un crescente interesse delle istituzioni governative – siano
esse di livello sovranazionale, nazionale o locale – per il tema delle
pari opportunità, l’analisi di genere dei processi partecipativi risulta
ancora poco sviluppata e gli elementi informativi disponibili rendono
difficile una riflessione sistematica sul tema.
In tal senso, il contesto della solidarietà organizzata sembra costitui-
re un ambito di analisi privilegiato per indagare i modelli femminili di
partecipazione: il dono, la reciprocità e la gratuità sono infatti tratti
identificanti del volontariato e sono, al contempo, i principi su cui si
incardina quell’etica della cura che le donne, più spesso degli uomini,
tendono ad adottare e a praticare nell’ambito dei contesti familiari.
Si tratta dunque di un ambito di indagine che, più di altri, offre l’oppor-
tunità di utilizzare una prospettiva orientata a cogliere le caratteristi-
16
“Siamo arrivate da strade diverse”
che della partecipazione femminile nelle continuità e nelle specificità
rispetto ad altre sfere dell’agire quotidiano.
Va detto, inoltre, che il volontariato è divenuto nel tempo, e in particolar
modo in Paesi come l’Italia, un ambito nevralgico della società civile.
Da un lato, infatti, le associazioni hanno acquisito progressiva centralità in sistemi locali di servizi alla persona nello specifico welfare-mix dei
paesi mediterranei (Fazzi 1998; Ascoli e Ranci 2003), dall’altro, la produzione di servizi e di attività continua a coniugarsi, seppur con gradi
variabili a seconda dei casi, con mansioni di advocacy, un aspetto
quest’ultimo ancora poco esplorato ma che mette in evidenza la «dimensione politica» dell’impegno volontario (Ascoli 2009).
Sebbene le organizzazioni di volontariato che fanno dell’attività di advocacy la loro mission esclusiva costituiscano una quota residuale
nel panorama del volontariato italiano (Convol 2011, 11), l’esperienza
concreta rivela che nella maggior parte dei casi all’erogazione di servizi si affiancano le funzioni complementari di «tutela e promozione
dei diritti» e di «innovazione e costruzione di cittadinanza e di partecipazione» (Pavolini 2009).
Il mondo del volontariato, anche se con intensità variabili in relazione
alle singole organizzazioni, costituisce dunque un bacino potenziale
di «forze di rinnovamento e di pratica effettiva della cittadinanza che
operano per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni e l’empowerment dei soggetti in difficoltà» (Moro 2009, 210).
In questa direzione, con specifico riferimento al tema della parità di
genere, è opportuno evidenziare che nell’opinione dei cittadini euro-
pei le associazioni si qualificano come quei soggetti che, in assoluto,
hanno maggiormente contribuito a promuovere i diritti delle donne
(Eurobarometro 2010, 110).
A fronte di una crescente diffusione di studi sul volontariato che,
soprattutto nel corso degli ultimi anni, hanno contribuito a mettere in
luce aspetti diversi e complementari di questo fenomeno1 , l’analisi
delle dinamiche di genere che interessano il privato sociale risulta
17
“Siamo arrivate da strade diverse”
ancora estremamente circoscritta. L’obiettivo di questa premessa è
dunque quello di tracciare alcune tendenze caratterizzanti la par-
tecipazione delle donne nel contesto della solidarietà organizzata
a partire dall’analisi secondaria delle risultanze emergenti da una
serie di ricerche con rilevanza internazionale, nazionale e locale.
In primo luogo, si introduce una riflessione sulle modalità con cui i
cittadini europei si rappresentano e praticano l’esperienza del vo-
lontariato e, tenuto conto della variabile articolazione del no profit
sector nei diversi Stati membri, si evidenziano alcune tendenze
relative alla partecipazione femminile (par. 2). Si considerano poi
le specificità del contesto italiano, focalizzando l’analisi sulle ca-
ratteristiche socio-anagrafiche della popolazione volontaria femmi-
nile e sulle differenze di genere nell’accesso alla leadership delle organizzazioni (par. 3). Nel tentativo di verificare l’ipotesi che
all’appartenenza di genere, in collegamento con le caratteristiche
note dell’etica della cura, possa associarsi una modalità distintiva
di concepire e praticare l’esperienza del volontariato, procedere-
mo poi nell’analisi secondaria di alcune ricerche di carattere qualitativo condotte nel contesto toscano (par. 4). Ciò consentirà di
esaminare più dettagliatamente le caratteristiche specifiche delle
organizzazioni di volontariato a prevalenza femminile e di riflettere sulla particolare connotazione che l’impegno volontario assume
nell’ambito dei percorsi biografici delle donne.
È da evidenziare che la maggior parte di tali contributi propone un’analisi delle evoluzioni
del volontariato in sinergia con le trasformazioni che hanno interessato le politiche sociali
(Ranci 2006), focalizzando l’attenzione sui rapporti tra le organizzazioni e le amministrazioni pubbliche (Andreani e Minà 2007) o sul coinvolgimento delle associazioni nella pianificazione sociale territoriale (ISFOL 2006). A fianco di questa macroarea tematica si registrano
tuttavia altre prospettive di analisi con studi dedicati alle capacità del volontariato di generare capitale sociale (Boccacin 2009), alle motivazioni che guidano l’impegno dei volontari
e alle modalità in cui esso si ristruttura nel corso della vita (Ranci et al. 1991; Marta e Pozzi
2007; Volterrani et al 2009), o, ancora, alle funzioni di advocacy che il volontariato stesso è
suscettibile di promuovere (Tacchi 2009).
1
18
“Siamo arrivate da strade diverse”
1.2 Riflessioni preliminari sulle
dinamiche di genere nel contesto del
volontariato europeo
Una recente indagine campionaria condotta nell’ambito delle rilevazioni
Eurobarometro (2011) ha posto in evidenza come i cittadini comunitari2
riconoscano alle associazioni di volontariato un ruolo di primo piano nel
rafforzamento della coesione sociale e dei valori fondamentali di solidarietà che contraddistinguono l’Unione europea (cfr. graf. 1).
Grafico 1.
Which of the following do you think are the two main benefits of volunteering in the EU?
It allows maintaining and reinforcing social cohesion
34%
It contributes to the self-fulfilment and to the
personal development of volunteer workers
25%
It strengthens fundamental values of solidarity
of the EU
It facilitates acquisition of knowlwdge and competencies which allow a good professional integration
It gives Europeans the opportunity to develop
their civic participation
It plays an important role in the sustainable development and in the protection of the environment
It plays an important role in the economy of the EU
25%
22%
20%
18%
12%
Other (spontaneus)
1%
None (spontaneus)
2%
Don’t know
7%
Fonte: Volontariato e solidarietà intergenerazionale, Eurobarometro speciale 75.2,
Tns Opinion & Social, ottobre 2011.
Il campione è costituito da circa 27.000 cittadini europei con età superiore ai 15 anni. Tra
questi, il 24% degli intervistati ha dichiarato di svolgere “occasionalmente o con regolarità”
un lavoro volontario. Ciò avviene in prevalenza nel contesto di associazioni sportive (24%),
associazioni culturali (20%) e associazioni caritatevoli, umanitarie o Ong (16%).
2
19
“Siamo arrivate da strade diverse”
In proposito, è interessante notare che, sebbene il contesto europeo tenda
a caratterizzarsi per una prevalenza di associazioni che operano in ambi-
to sportivo e ricreativo, al volontariato è riconosciuto un ruolo importante in
special modo nei settori della solidarietà e degli aiuti umanitari, le due aree
citate per prime nelle risposte dal 37% degli intervistati. Seguono, poi, nella
rilevanza attribuita, il settore sanitario (32%), quelli relativi alla formazione e
all’ambiente (entrambi al 22%), e l’area di intervento relativa all’inclusione
sociale dei cittadini svantaggiati (21%). Al fianco dei benefici identificati in
relazione al tessuto sociale nel suo complesso, si rilevano inoltre implicazio-
ni positive del lavoro volontario per ciò che concerne lo sviluppo personale
dei volontari stessi e in riferimento all’acquisizione di competenze che favorirebbero altresì i processi di integrazione lavorativa. Ne deriva dunque una
caratterizzazione del volontariato come soggetto nevralgico della società civile europea e, insieme, esperienza biografica dalle molteplici implicazioni.
Un’analisi comparativa del volontariato per come questo si caratterizza
nel contesto europeo presenta numerose complessità derivanti, in parti-
colare, dai limiti che riguardano l’incompletezza dei dati sulle associazioni
resi disponibili da alcune rilevazioni nazionali – tra questi, come si vedrà in
seguito, anche quelli riferibili al contesto italiano –, dall’eterogeneità delle
normative nazionali che regolamentano e definiscono le organizzazioni di
volontariato, oltre che dalla variabilità dei criteri adottati per censire i volontari3. Ad esempio, tassi più bassi di partecipazione, più che testimoniare
una diversa propensione degli individui ad associarsi, sono spesso un
riflesso dei differenti quadri istituzionali4. In tal senso, i Paesi del gruppo
Per un approfondimento relativo alla diversa caratterizzazione del volontariato nei Paesi
europei si rinvia ai risultati della ricerca Il volontariato in Europa – Organizzazioni, promozione, partecipazione, coordinata da Spes – Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio,
consultabili al link http://www.volontariato.lazio.it/europa/volontariatoeuropa.asp. Per ciò
che concerne l’inquadramento normativo e, dunque, la variabile definizione del volontariato negli Stati membri cfr. anche Commissione Europea (2011, 51-54).
4
Come è stato evidenziato, la solidarietà organizzata europea si articola in cinque principali varianti che si differenziano per contesto sociale, istituzionale e, segnatamente, per
modelli di welfare; tali aspetti mostrano infatti influenze variabili sulle dimensioni, la struttura
e le risorse, sia umane che finanziarie, del no profit sector (Archambault 2008).
3
20
“Siamo arrivate da strade diverse”
scandinavo, dove le percentuali di membership sono molto elevate, si distinguono per il significativo sostegno fornito alle associazioni dallo Stato; in questi Paesi, inoltre, sono più diffuse organizzazioni che si fondano
sul sistema delle donazioni e che, quindi, rendono residuale la partecipazione attiva dei membri (Dekker e Van den Broek 1998).
Tenuto conto di questi aspetti e, dunque, della necessaria cautela nell’in-
terpretazione delle statistiche comparate, si ritiene comunque utile tracciare alcune tendenze di fondo che contraddistinguono il panorama del
volontariato europeo e, nello specifico, le dinamiche di genere che lo ca-
ratterizzano. Nel corso del 2011, dichiarato dalle istituzioni comunitarie
come l’anno europeo del volontariato, la Commissione Europea ha infatti
promosso un’indagine comparativa sulle caratteristiche dell’associazio-
nismo volontario negli Stati membri integrando le risultanze dei report nazionali con una serie di rilevazioni ad hoc (Commissione Europea 2011).
Tabella 2.
Trends in the gender balance of volunteers in European countries
TREND
COUNTRIES
Greater number of female volunteers
Bulgaria, Czech Republic, Malta, Slovakia, United Kingdom
Greater number of male volunteers
Austria, Belgium, Denmark, France,
Germany, Hungary, Italy, Luxembourg,
Portugal, Slovenia, Sweeden
Equal participation between men and
women
Cyprus, Estonia, Finland, Ireland, Lithuania, Netherlands, Poland, Romania
No or contradictory information
Greece, Latvia, Spain
Fonte: Commissione Europea (2011, 69).
21
“Siamo arrivate da strade diverse”
Come evidenzia la tabella 2, nella maggior parte dei Paesi comunitari
si denota una prevalenza della partecipazione maschile o un sostanziale bilanciamento tra i generi. Il volontariato ‘al femminile’ caratterizza, invece, oltre al Regno Unito, i Paesi di recente ingresso nell’Unione
europea. Questi ultimi rientrano in quella che è stata definita come la
variante ‘orientale’ del volontariato europeo e che si contraddistingue per
un associazionismo relativamente ‘giovane’, sviluppatosi essenzialmente a partire dalla caduta dei regimi comunisti, che si trova ad operare
in contesti dove la spesa pubblica per i sistemi di protezione sociale è,
sia in termini relativi che assoluti, la più bassa d’Europa (Archambault
2008). Al contrario, il Regno Unito si inscrive, invece, in un modello di
solidarietà organizzata, definibile come modello ‘anglosassone’ o ‘liberale’, che, in continuità con la tradizione puritana, si basa su una cultura
associativa fortemente radicata che continua ad essere alimentata e tra-
smessa attraverso i processi di socializzazione primaria che si concretizzano, ad esempio, nei contesti scolastici. Le organizzazioni sono ben più
strutturate e professionalizzate e, contrariamente a quanto avviene nella
variante ‘orientale’, possono fare affidamento sui cospicui finanziamenti
provenienti dalle istituzioni pubbliche.
Si tratta quindi di due spaccati profondamente diversi del volontariato
europeo che, sebbene rivelino una comune rilevanza della partecipa-
zione femminile, è ragionevole supporre che comportino anche modalità
significativamente divergenti di concepire e praticare l’esperienza della
partecipazione con importanti conseguenze sulla selezione di genere.
Va detto, inoltre, che i Paesi sopra citati, sebbene caratterizzati da mer-
cati del lavoro profondamente dissimili – si pensi, in tal senso, agli elevati tassi di disoccupazione degli Stati di recente ingresso nell’Unione e
alla ridotta incidenza del fenomeno nel Regno Unito –, mostrano tassi di
attività simili e tra i più significativi d’Europa per ciò che concerne l’oc-
cupazione femminile. Questo aspetto sembra accreditare l’ipotesi di una
correlazione positiva tra occupazione e propensione all’impegno volontario delle donne che risulta controintuitiva rispetto a quanto ci si potreb-
22
“Siamo arrivate da strade diverse”
be attendere tenuto conto delle ben note complessità di conciliazione
dei tempi di vita e dei tempi di lavoro che contraddistinguono i vissuti
femminili. Al contrario – il tema, per quanto ancora poco esplorato, è
di notevole attualità se si considera la crisi economica odierna – si può
presumere che la presenza di un impiego rappresenti quella base di si-
curezza materiale (e di abitudine ad uscire dal privato) che consente di
maturare, e mettere in pratica, gli orientamenti postmaterialisti che sono
alla base dell’agire volontario.
Al di là della popolazione volontaria nel suo complesso, le differenze di
genere appaiono più marcate se si considerano i settori di intervento delle
organizzazioni e i ruoli che uomini e donne rivestono nell’ambito delle organizzazioni stesse.
Relativamente al primo aspetto si nota, ad esempio, che, in maniera tra-
sversale rispetto alle realtà nazionali, la partecipazione femminile risulta
maggioritaria nel settore socio-sanitario (con l’eccezione dell’emergenza
sanitaria) mentre, al contrario, le associazioni di carattere sportivo tendono
ad essere costituite in prevalenza da volontari di sesso maschile (Commissione Europea 2011, 9).
Vi è inoltre uno squilibrio tra i generi per quanto riguarda la leadership:
in particolare, la caratterizzazione maschile della leadership interessa
non soltanto quei Paesi in cui la popolazione volontaria nel suo complesso mostra una prevalenza di uomini (tra questi: Belgio, Francia,
Germania e Ungheria) ma anche alcuni contesti in cui si riscontra un
sostanziale bilanciamento tra i generi. È il caso, ad esempio, dei Paesi
Bassi dove, nell’ambito delle associazioni, le donne tendono ad essere
più presenti nei ruoli operativi e gli uomini a rivestire, invece, posizioni
manageriali (ivi, 90).
Va detto, tuttavia, che la composizione di genere dei vertici delle
organizzazioni varia sensibilmente in relazione ai settori di interven-
to: si registra, infatti, una cospicua presenza di dirigenti donna nei
settori della cura e degli aiuti umanitari (47%) e un ruolo residuale
della leadership femminile in settori del volontariato a forte presenza
23
“Siamo arrivate da strade diverse”
maschile come, ad esempio, quello dello sport (17%) (ivi, 70)5.
I dati presentati, pur se frammentari e poco sistematici, offrono alcune interessanti suggestioni per l’elaborazione di interrogativi di ricerca
che potrebbero guidare lo studio della partecipazione femminile nell’am-
bito della solidarietà organizzata. In tal senso, risulta evidente come
un’analisi del contesto sia indispensabile per riflettere sui fattori strutturali che condizionano i percorsi partecipativi delle donne.
Al contempo, il ruolo di primo piano che le volontarie assumono in settori
fortemente correlati con gli interventi legati alla cura sollecita la necessità
di approfondimenti mirati ad indagare le eventuali differenze di genere
esistenti nelle motivazioni su cui si basa l’agire volontario6 e, più estesa-
mente, una disamina delle possibili articolazioni tra l’etica della cura che si
pratica nell’ambito familiare e quella che, invece, si concretizza nello spazio pubblico per il tramite dell’associazionismo. Si avrà modo di tornare su
questi aspetti dopo aver esaminato le specificità del contesto italiano.
Questa stessa tendenza è rilevata da Flahault e Guardiola (2009) nell’indagine comparativa sul volontariato spagnolo, francese e britannico.
6
Su questo aspetto, la ricerca condotta da Yeung (2004) mostra come i fattori che motivano l’impegno nel volontariato differiscano sensibilmente in relazione al genere; più pesso
le donne si dedicherebbero alle attività di volontariato per il desiderio di aiutare gli altri, di
apprendere nuove competenze e di incontrare nuove persone. Gli uomini sarebbero, invece, più motivati dall’influenza di amici e conoscenti, dal desiderio di utilizzare il loro tempo
libero in modo produttivo e da un senso di responsabilità civica.
5
24
“Siamo arrivate da strade diverse”
1.3. Sulla partecipazione femminile
nel volontariato italiano
Come già accennato, i dati statistici disponibili sul volontariato italiano sono prevalentemente raccolti sulla base di indagini campionarie il
che impone una doverosa cautela nella loro interpretazione7; tuttavia,
a partire dalla considerazione congiunta di una serie di fonti8 è possibi-
le evidenziare alcune tendenze relative alle dinamiche di genere. Uno
sguardo d’insieme mostra come, in virtù del lento e graduale processo
di femminilizzazione della partecipazione volontaria realizzatosi a partire dalla metà degli anni Novanta, la popolazione dei volontari italiani si
caratterizzi oggi per un sostanziale equilibrio tra i generi. Tuttavia, se si
considera il ruolo dei volontari in seno alle organizzazioni e, in particolar
modo, la distribuzione di genere delle cariche apicali, si riscontra che,
come in altri ambiti della vita economica, sociale e professionale, anche
nel volontariato è presente un «soffitto di cristallo», una barriera invisibile
ma resistente che determina l’esigua presenza femminile nei posti deci-
sionali e di potere (Fornengo e Guadagnini, 1999). Infatti, nonostante
Relativamente ai dati resi disponibili dalle indagini Multiscopo condotte dall’Istat, ad esempio, è opportuno precisare che l’adozione di un criterio definitorio fin troppo inclusivo per
ciò che riguarda la partecipazione ad associazioni di volontariato – si richiede infatti agli
intervistati se hanno svolto attività di questo tipo almeno una volta nel corso dell’ultimo anno
– tendono a sovradimensionare il fenomeno nel suo complesso. Al contempo, si tratta di
dati che ai fini del presente contributo mostrano una loro utilità poiché, rendendo possibile
la distinzione per genere e classe di età, consentono di cogliere alcune caratteristiche di
fondo della partecipazione femminile.
8
Le considerazioni che seguono sono effettuate sulla base delle risultanze emergenti dal IV
Rapporto biennale sul volontariato (Convol 2011), realizzato dalla Conferenza permanente delle Associazioni, Fondazioni e reti di Volontariato, dall’indagine Multiscopo condotta
dall’Istat (2011) sugli Aspetti della vita quotidiana e dalle ultime indagini condotte dalla
Fondazione Europa Occupazione e Volontariato. Impresa e Solidarietà (Frisanco 2006; Fivol 2010). In proposito sembra opportuno segnalare che nel corso del 2013 si renderanno
disponibili dati maggiormente esaustivi mediante il Censimento Istat per gli enti non profit.
7
25
“Siamo arrivate da strade diverse”
il numero di donne presidenti sia relativamente cresciuto nel tempo (dal
29, 5% nel 2001 si è passati al 33,6% nel 2006), esso si attesta ancora
su valori largamente inferiori a quelli che dovrebbero corrispondere alla
composizione di genere del volontariato in Italia. Più spesso le donne che
rivestono ruoli dirigenziali nelle organizzazioni di volontariato appartengono alla classe di età più matura; la loro presenza è inoltre maggiore di
quella maschile soltanto nelle associazioni a netta prevalenza femminile,
di piccole dimensioni e operative nei comparti del welfare (Fivol 2010,
36). Ancora, in proposito, è opportuno evidenziare che la segregazione
verticale sopra citata interessa in particolar modo le organizzazioni composte in maggioranza da volontari giovani (di età compresa tra 14 e 29
anni) mentre tende ad attenuarsi nel contesto delle associazioni in cui i
giovani sono assenti (cfr. tab. 3).
Tabella 2.
Presidenti di genere maschile nelle organizzazioni di volontariato (%)
Odv
a prevalenza
giovanile
Odv
a presenza
giovanile
Odv
senza presenza
giovanile
Totale
73,7
71,3
62,1
66,4
Fonte: IV rilevazione Feo-Fivol (Frisanco 2009, 13)
Il dato appare ancor più significativo se si considera che sono proprio
le organizzazioni composte prevalentemente da giovani a registrare sul
complesso dei volontari una maggiore diffusione della partecipazione
femminile rispetto a quella maschile. In questo senso è ragionevole ipotizzare che l’incremento della leadership femminile nel contesto del volontariato non sia tanto da correlare con un mutamento generazionale
ma sia, piuttosto, conseguenza, da un lato, della militanza in seno alle
associazioni miste che conduce le donne più mature al raggiungimento
26
“Siamo arrivate da strade diverse”
dei ruoli apicali, dall’altro, della crescente diffusione di associazioni di
sole donne in cui i vertici sono, spesso per disposizioni dello statuto,
declinati al femminile.
Se si prende in considerazione la variabile dell’età, si nota che i percor-
si femminili dell’agire volontario si diversificano sensibilmente da quelli
maschili. La partecipazione delle donne, decisamente più consistente di
quella maschile nelle fasce di età più giovani (14-24 anni), tende a riequi-
librarsi su valori sostanzialmente affini nella fascia di età compresa tra i
25 e i 34 anni, per poi registrare nelle classi di età più adulte (35 anni ed
oltre) valori mediamente inferiori alla partecipazione maschile (graf. 4).
Grafico 4.
Incidenza della partecipazione nell’ambito di organizzazioni di volontariato per genere e classi di età
Maschi
Femmine
16
14
12
10
8
6
4
2
0
14-17
18-19
20-24
25-34
35-44
45-54
55-59
60-64
65-74
75 e più
Indagine Multiscopo Aspetti della vita quotidiana - Istat 2011
Tale andamento sembrerebbe testimoniare una propensione di genere
all’impegno volontario che, con il passaggio all’età adulta si scontra con
le ormai ben note complessità di conciliazione delle ulteriori attività che
le donne sono chiamate a svolgere nel contesto della loro esistenza quo-
27
“Siamo arrivate da strade diverse”
tidiana. Se il decremento della partecipazione femminile sia da imputare
a fattori di carattere strutturale che rendono complessa o impraticabile
l’attività svolta nell’ambito delle organizzazioni o, viceversa, quello stesso
spirito di gratuità e di dono che fonda l’agire del volontario, estrinsecan-
dosi in attività informali e più difficilmente ‘censibili’, tenda gradualmente
ad esaurirsi nel corso delle esperienze biografiche femminili, resta un
interrogativo di ricerca ancora aperto.
L’analisi secondaria di alcune ricerche di rilevanza locale, condotte es-
senzialmente nel territorio toscano, sembra offrire alcuni ulteriori elementi di riflessione sia in riferimento alla caratterizzazione del volontariato
a prevalenza femminile, sia in merito all’esperienza dell’agire volontario
per come questo si realizza nei percorsi biografici delle donne.
28
“Siamo arrivate da strade diverse”
1.4. Oltre le statistiche: specificità
delle associazioni e dell’impegno
volontario delle donne
La partecipazione femminile, pur registrando le criticità sopra menzio-
nate, si manifesta nel contesto del volontariato secondo modalità che,
come evidenzia il caso toscano (Salvini 2011), sono suscettibili di costi-
tuire un modello di solidarietà organizzata ricco di proficue implicazioni.
Le organizzazioni di volontariato composte in prevalenza da donne sem-
brano infatti coniugare le capacità di innovazione e di riorganizzazione
dei servizi e delle attività promosse, tipiche del dinamismo organizzativo
che contraddistingue il “nuovo volontariato”, con una forte connotazione etica del proprio operato, più caratteristica invece del “volontariato classico” degli anni ’80 (ivi, 18). Ancora, in una logica prevalente di
autoreferenzialità delle azioni promosse dalle singole organizzazioni, è
soprattutto il volontariato femminile a promuovere la creazione di network
tra associazioni del Terzo settore o con soggetti istituzionali del territorio mediante la strutturazione di logiche progettuali condivise. Nel complesso, l’associazionismo femminile sembrerebbe dunque associare il
recupero selettivo di elementi che hanno contraddistinto il volontariato
alle sue origini con i caratteri di innovazione e di strutturazione di reti che
costituiscono le più fertili evoluzioni del volontariato contemporaneo.
Se, da un lato, si possono evidenziare alcune peculiarità dell’associazio-
nismo a prevalenza femminile, dall’altro, sembra opportuno chiedersi se
esistano delle specificità per ciò che concerne le modalità in cui le donne
vivono ed interpretano il loro impegno volontario. Studi del genere risultano ad oggi ancora poco diffusi ma rappresentano indubbiamente un
terreno d’indagine fertile per comprendere quelle dinamiche che, come
si è visto, emergono dall’analisi dei dati statistici. Sempre in riferimento
29
“Siamo arrivate da strade diverse”
al contesto toscano, la ricerca di carattere qualitativo condotta da Caselli
(2008) offre una serie di elementi di riflessione in tal senso, a partire da
interviste e focus group realizzati con le volontarie toscane.
Il mondo del volontariato femminile si rivela come un universo composto
da molteplici, diverse e talvolta contrapposte identità di donne: «molte
provengono dai gruppi di femministe, altre hanno scelto di fare politica
nella società civile e nel volontariato, piuttosto che nei partiti, altre vivono
il volontariato come necessità e scelta legata ai propri problemi familiari,
altre ancora come un tempo libero tutto per sé, per sperimentarsi nel
nuovo e sconosciuto, per la qualità della vita, altre ancora per fare un
volontariato che nulla ha di diverso rispetto a quello maschile» (ivi, 104).
Nella pluralità identitaria e di percorsi che hanno condotto all’impegno
volontario si nota, tuttavia, che le motivazioni che guidano la partecipa-
zione femminile – e che, secondo i 3/4 delle donne intervistate differenzierebbero il volontariato delle donne da quello maschile – si collegano
in prevalenza all’etica della cura.
Grafico 5.
Le motivazioni dell’impegno volontario tra le donne toscane
1.
La cura di se stesse, delle altre/degli altri, della comunità in cui si vive
2.
“Il fare”, il fare nel “piccolo” e con gesti e attività del quotidiano, il fare ciò
che serve
3.
L’impegno sociale, che spesso costituisce anche un legame forte tra la vita
privata e quella pubblica
4.
La curiosità e la voglia di sperimentarsi nelle diversità, in situazioni difficili,
per conoscere ed apprendere
Fonte: Caselli R. (a cura di), Le donne del volontariato toscano, Centro Nazionale
per il Volontariato, Lucca, 2008, p. 37.
30
“Siamo arrivate da strade diverse”
La centralità dei valori e dei lavori di cura nei vissuti di molte volontarie
deve essere letta anche in relazione alla consapevolezza del rischio di
alimentare una sorta di ‘trappola’, di rafforzare un ruolo e una responsabilità essenzialmente femminili nei processi di care.
Infatti, «questa “volontaria-che cura” […] offrirebbe un “ritratto” di donna
che fa pensare ad un forte legame col passato, con quella tradizione che
lega la donna ai ruoli familiari di cure di figlia, di moglie e di madre: ruoli
che restituiscono alle donne un’identità femminile che se, da una parte,
può talora facilitare anche nei confronti di sé una maggiore accettazione,
se non addirittura talora una maggiore inclusione sociale, dall’altra parte,
perpetuerebbe anche un ruolo subalterno di donna che si riprodurrebbe
anche attraverso il volontariato femminile» (ivi, 88).
In contrapposizione con lo stereotipo della care-giver come ‘angelo
del focolare’, le volontarie sono in prevalenza donne con un livello di
studi superiore alla media, che hanno investito fortemente nella propria
realizzazione personale e che, non di rado, hanno anche compiuto un
percorso di vita politica in altri contesti sociali. Si tratta di donne che si
impegnano nel rispondere ai bisogni sentendo su di sé la responsabilità della cura e, al contempo, facendo del prendersi cura una ragione
di giustizia e di dialogo sociale, reclamando attraverso la loro partecipazione al volontariato uno spazio sociale in cui ricercare nuove condivisioni di quella responsabilità.
È il caso, ad esempio, delle madri di giovani con disabilità fisiche o psichiche, per le quali la situazione di emarginazione e di esclusione del
figlio è stata la motivazione che ha promosso la creazione di associazioni
in difesa dei diritti, nell’obiettivo di diffondere una cultura della diversità
che non fosse discriminante e di creare soluzioni innovative ed originali
in tale direzione. Ancora, è il caso dell’associazionismo impegnato nella
lotta contro la violenza di genere, un associazionismo di ‘donne per le
donne’ che offre un chiaro esempio di come il volontariato possa costi-
tuire un importante ambito di auto-determinazione delle donne stesse,
un luogo dove queste da ‘vittime’, subalterne rispetto al potere maschile,
31
“Siamo arrivate da strade diverse”
divengono protagoniste in processi di auto-aiuto, rendendosi attive socialmente e politicamente nella rivendicazione dei diritti di tutte le donne.
Si tratta soltanto di alcuni esempi che mostrano come il volontariato fem-
minile, in questi come in altri ambiti, parta dalla cura nel privato – nella
fattispecie dalla cura degli affetti più prossimi o dalla cura di sé – per farsi
promotore di una ‘cultura delle cure’ nell’ambito dello spazio pubblico e
ritagliandosi spesso un ruolo di ‘apri-pista’ rispetto ad iniziative ed interventi in grado di agevolare nuove forme di socializzazione alle diversità.
Nel complesso, pur nella varietà dei percorsi che guidano l’impegno vo-
lontario, le modalità in cui le donne interpretano e vivono l’esperienza del
volontariato denota un agire orientato alla pratica, al fare nel quotidiano,
al fare quello che è avvertito come necessario anche a partire dal vissuto
di care-giver sperimentato nel contesto privato; un impegno che si con-
traddistingue per la forte connotazione etico-valoriale e che al contem-
po, proprio per questo suo orientamento pratico, tende a rifuggire dal
protagonismo e dai ruoli dirigenziali in seno alle organizzazioni stesse.
La partecipazione sociale nel contesto del volontariato sembra assume-
re quindi per le donne una duplice significativa valenza: si tratta, infatti,
di un’esperienza personale che permette lo sviluppo di una cittadinanza
attiva e partecipe e che, al contempo, consente di portare nello spa-
zio pubblico esperienze, pratiche, saperi e rivendicazioni di diritti che, a
loro volta, promuovono nuove forme di inclusione, sviluppano processi di
partecipazione e tessono reti di solidarietà.
32
“Siamo arrivate da strade diverse”
1.5 Per concludere
Per quanto l’adozione di un approccio di genere nello studio dei processi
partecipativi risulti ancora poco praticata nel panorama della letteratura
sociologica nazionale, le più recenti indagini sul volontariato sembrano
confermare la validità euristica di un tale orientamento analitico.
Al fianco delle dinamiche di crescente differenziazione interna che han-
no interessato il volontariato italiano nel corso dell’ultimo quindicennio,
rendendolo un universo composito e marcatamente eterogeneo, si possono, infatti, intravedere alcune graduali ma progressive trasformazioni
per ciò che concerne la composizione di genere. In particolar modo, il
contesto nazionale mostra un incremento della partecipazione femminile
che, tuttavia, sembra concretizzarsi in fasi della vita e secondo modalità
significativamente divergenti rispetto a quella maschile.
Tenuto conto della singolare configurazione assunta dall’agire volonta-
rio “moderno”, dove i principi di gratuità, di reciprocità e di cura dell’altro si coniugano con esigenze crescenti di professionalizzazione nella
predisposizione delle attività e dei servizi promossi, l’analisi dei percorsi femminili di partecipazione può consentire di riflettere, secondo una
prospettiva ancora poco esplorata, sulle forme variabili di equilibrio tra
‘tempi di vita’ e ‘tempi di lavoro’. In tale direzione, si rende possibile una
valutazione dell’agire volontario delle donne con attenzione sia ai fattori
di svantaggio, e dunque agli ostacoli specifici che gli attori femminili incontrano nei loro percorsi partecipativi, sia alle risorse peculiari che, pro-
prio in virtù di una crescente sovrapposizione tra le diverse sfere dell’a-
gire quotidiano in cui le donne giocano un ruolo di primo piano, possono
connotare il volontariato femminile.
33
“Siamo arrivate da strade diverse”
Si denota, dunque, la necessità di promuovere approfondimenti empirici
che siano in grado di inscrivere i percorsi di partecipazione nel quadro
delle esperienze biografiche femminili.
Tale approccio, ponendosi in continuità con una riflessione sociologica che miri al superamento della dicotomia sfera pubblica/sfera privata,
sembra infatti delineare l’itinerario di ricerca più adeguato per valutare la
variabile articolazione di queste pratiche di cittadinanza attiva, spesso
poco visibili, nel contesto dell’intersezione tra sfere dell’agire sociale.
34
“Siamo arrivate da strade diverse”
2.
I contesti partecipativi: l’analisi di dieci
casi di studio
2.1 Premessa
Nella presente sezione saranno illustrate le principali risultanze emer-
genti dalla prima fase di ricerca sul campo e, in particolare, dall’approfondimento qualitativo di alcuni casi di studio ritenuti esemplari rispetto
al protagonismo partecipativo delle donne.
La selezione dei casi di studio è stata effettuata a partire dalla raccolta
delle informazioni reperibili attraverso i documenti istituzionali, la stampa locale e il web, oltre che sulla base del confronto con i presidenti
e/o segretari delle delegazioni provinciali del Cesvot. Nell’intento di valorizzare una lettura del fenomeno nella sua eterogeneità e di promuo-
vere quindi un confronto tra diverse declinazioni della partecipazione
femminile, si è avuto cura di includere tra i casi presi in esame: orga-
nizzazioni di volontariato che registrano una prevalenza di volontarie
donne, organizzazioni di volontariato con una composizione di genere
mista e altri gruppi gender oriented che sono costituiti sulla base di
forme associative di varia natura (associazioni di promozione sociale,
cooperative sociali, movimenti).
35
“Siamo arrivate da strade diverse”
Tipologia
associativa
Principali
ambiti tematici
e/o settori di
intervento
Sede
territoriale
Composizione
Adatta
Associazione
di promozione
sociale
Disagio
lavorativo
Firenze
Mista, Gender
sensitive
Alice
Cooperativa
sociale
Socioassistenziale e
sanitario
Prato
Mista, a netta
prevalenza
femminile
Auser
Toscana
Organizzazione
di volontariato
Anziani
(generalista)
Firenze - Sesto
Fiorentino
Mista (con norme
gender sensitive
da statuto)
Avis
Toscana
Organizzazione
di volontariato
Donazione
Firenze
Mista
Casa della
donna
Associazione
di promozione
sociale
Socio-culturale
e violenza di
genere
Pisa
Femminile
Città delle
Donne
Organizzazione
di volontariato
Socio-culturale
Lucca
Femminile
Ireos
Organizzazione
di volontariato
Sanitario e
socio-culturale
Firenze
Mista, Gender
sensitive
Le Mafalde
Organizzazione
di volontariato
Intercultura
Prato
Femminile
Olympia de
Gouges
Organizzazione
di volontariato
Violenza di
genere
Grosseto
Femminile
Movimento
Partecipazione
politica e
promozione
pari opportunità
Siena
Femminile
Se non ora
quando?
La tabella sopra riportata sintetizza alcune delle principali caratteristiche
dei dieci casi considerati. Come si può notare, gli interlocutori di questa
prima fase esplorativa dell’indagine provengono in prevalenza da orga-
nizzazioni del volontariato toscano che hanno rilevanza sia regionale,
come nel caso di Auser e Avis, sia locale (Città delle donne, Ireos, Le
Mafalde, Olympia de Gouges). Nella logica di eterogeneità sopra richia-
mata, sono state inoltre incluse due associazioni di promozione sociale,
36
“Siamo arrivate da strade diverse”
l’Associazione Casa della Donna di Pisa e l’Associazione Adatta di Firen-
ze, una cooperativa sociale, la cooperativa Alice di Prato, e il comitato
del Se non ora quando? di Siena.
Una tale selezione è stata nondimeno orientata dalla scelta di valorizzare
il criterio della diversificazione anche in riferimento ai contesti territoriali
e ai diversi settori di intervento in cui le varie realtà operano, ritenendo
che ciò consentisse di far emergere, mediante una comparazione nella
diversità, le eventuali specificità derivanti dalla collocazione in diverse
aree socio-culturali e politiche della Toscana e/o dalla peculiarità delle
azioni e delle iniziative promosse dai soggetti.
La rilevazione è stata condotta mediante la realizzazione di interviste in
profondità rivolte, in prevalenza, a referenti dei diversi gruppi che rive-
stono o hanno rivestito in passato un ruolo di vertice nell’ambito dell’organizzazione. Unicamente nel caso del Se non ora quando? di Siena,
tenuto conto dell’assenza di una struttura verticistica interna e in accordo
con la richiesta effettuata dal comitato stesso, l’intervista è stata realizzata contemporaneamente con due delle donne appartenenti al gruppo.
La traccia dell’intervista è stata strutturata in quattro principali aree tema-
tiche. Un prima area era dedicata alla ricostruzione della storia dell’organizzazione a partire dal momento fondativo e dalle motivazioni che
ne hanno sollecitato la creazione, avendo cura di rilevare l’eventuale
presenza di figure di riferimento che hanno segnato la storia del gruppo e di tracciare le principali evoluzioni nel tempo in termini di struttura
interna, obiettivi, azioni promosse, rapporto con il territorio, strutturazio-
ne e trasformazioni dell’immagine pubblica dell’organizzazione stessa.
Un secondo nucleo tematico era orientato a definire il profilo identitario
dell’organizzazione e, dunque, la mission, la composizione della base
associativa sia in termini di genere che, più in generale, in relazione alle
caratteristiche socio-anagrafiche di soci e volontari, all’eventuale qualificazione delle risorse umane e alla loro caratterizzazione in termini di ca-
pitale sociale e culturale. Particolare attenzione è stata dedicata inoltre
all’identificazione dei canali di reclutamento utilizzati dall’organizzazione
37
“Siamo arrivate da strade diverse”
nelle strategie di ampliamento della base associativa. Il terzo ambito tematico era dedicato alla definizione del profilo organizzativo, quindi all’identificazione della struttura organizzativa interna, alle procedure che
presiedono la definizione dei ruoli determinandone la variabile stabilità
nel tempo, ai metodi attivati per la comunicazione interna e la condivisione delle scelte. Sono state inoltre censite le principali attività promosse
dall’organizzazione dedicando particolare attenzione alle eventuali azio-
ni di sensibilizzazione e/o di rivendicazione sul tema delle pari opportunità, oltre che alla presenza di partnership con altri soggetti del terzo set-
tore o con soggetti istituzionali e alla declinazione che queste assumono.
L’ultimo ambito tematico è stato esplicitamente orientato a promuovere
una riflessione dei soggetti intervistati sul tema della partecipazione fem-
minile in riferimento alle questioni della conciliazione dei tempi, al posto
del volontariato nel corso di vita femminile, al ‘soffitto di cristallo’ che,
come già evidenziato (par. 1.3) contraddistingue anche il mondo del volontariato. Particolare attenzione è stata dedicata alla rilevazione delle
caratteristiche peculiari che, secondo gli intervistati, qualificherebbero la
partecipazione femminile, avendo modo di sollecitare anche una rifles-
sione sulle eventuali affinità rilevabili tra l’etica della cura che si concretizza nell’ambito privato e, segnatamente, familiare, e quella che invece
contraddistingue la partecipazione delle donne nel contesto del volontariato. A partire dalla considerazione dei soggetti intervistati quali testimoni privilegiati del panorama associativo regionale, si è ritenuto inoltre
opportuno sollecitare una riflessione sulle possibili azioni e misure che
potrebbero essere realizzate per agevolare e valorizzare una piena e più
diffusa partecipazione delle donne alla vita associativa.
Tenuto conto della varietà dei casi di studio presi in esame, in talune cir-
costanze si è reso necessario un adattamento della traccia in relazione
alle caratteristiche dei soggetti intervistati, ciò non ha tuttavia inficiato la
persistenza di un nucleo uniformemente stabile di questioni sulla base
della quale si rende possibile una comparazione tra le diverse realtà.
Nelle pagine che seguono le risultanze emergenti dall’indagine condotta
38
“Siamo arrivate da strade diverse”
saranno analizzate proponendo dapprima una disamina delle caratteristiche peculiari delle organizzazioni che sono state coinvolte. Al tema
della partecipazione femminile sarà riservata, invece, una sezione specifica nell’ambito della quale, tenuto conto delle specificità delle diverse
organizzazioni messe precedentemente in luce, saranno evidenziate le
principali questioni emergenti identificando, al contempo, ambiti tematici
di indagine che saranno ulteriormente approfonditi nella fase successiva
di indagine e, contestualmente, nell’ambito delle interviste rivolte a donne impegnate nel volontariato.
39
“Siamo arrivate da strade diverse”
2.2. Per una ricostruzione del profilo
delle organizzazioni intervistate
Una presentazione della storia, delle caratteristiche identitarie e orga-
nizzative dei contesti partecipativi esaminati risulta indispensabile per
mettere a fuoco le peculiarità di ciascun caso e poter successivamente
contestualizzare le riflessioni che i diversi soggetti hanno effettuato in
relazione al tema centrale della ricerca. Di seguito si propongono quindi
alcune schede sintetiche elaborate sulla base delle informazioni reperite
sui siti web delle organizzazioni ed integrate con quanto emerso dal racconto degli intervistati stessi.
L’associazione Adatta
Adatta è un’associazione di promozione sociale con sede a Firenze
che nasce nel 2000 dall’esperienza di un corso di formazione, “Donne
e Empowerment”, realizzato nell’ambito del programma europeo Now
(New Oppoutunities for Women). L’associazione ha come finalità quelle
di promuovere la presenza femminile nelle imprese e negli enti pubblici,
contrastare le discriminazioni di genere e favorire lo sviluppo di migliori
condizioni di vita e di lavoro.
Il nome stesso dell’associazione sintetizza alcuni principi fondamentali
della mission coniugando, come spiega la presidente, una riflessione
sull’adeguatezza delle competenze femminili, in particolar modo per ciò
che concerne l’ambito lavorativo, con un approccio che intende sollecitare il protagonismo delle donne.
40
“Siamo arrivate da strade diverse”
Adatta è Ad-atta. È muoversi ed essere adatte. Allora abbiamo
fatto un lavoro sulle competenze femminili, essere adatte a svolgere un lavoro piuttosto che un altro, quindi il problema di come
ci poniamo noi: se siamo noi dipendenti e ci candidiamo per
trovare un lavoro dobbiamo capire se siamo noi adatte per quel
posto, per quel lavoro; se siamo noi dall’altra parte, se siamo
imprenditrici e selezioniamo delle persone, siamo brave innanzitutto a svolgere il nostro lavoro come selezionatrici per trovare
le persone? O comunque a trovare la persona giusta al posto
giusto per la nostra azienda o per la nostra struttura? […] Poi,
“ad” è muoversi, andare verso, atta sono le azioni, quindi la motivazione di fondo è quella di muoversi essere attive, proattive,
propositive e svolgere azioni. Quindi è un movimento per fare
azioni. [Presidente dell’associazione Adatta]
Si tratta, dunque, di un’associazione con un esplicito orientamento di
genere che, al contempo, si contraddistingue fin dalle sue origini per
la scelta di promuovere una composizione eterogenea nell’ambito della
propria base associativa.
Io subito in quel corso, “Donne e Empowerment” da cui è nata
l’associazione, ho coinvolto un docente uomo per fare tutta una
serie di discorsi sulla leadership, sull’integrazione e sulla complementarietà quindi valorizzare le differenze, tenendo conto di
tutte le differenze, confrontarsi e poi trovare, chiamiamole sinergie – termine usato e abusato – ma è quello, è la complementarietà è come si lavora bene insieme, perché poi nelle aziende si
lavora insieme donne e uomini e bisogna assolutamente capire
l’altro punto di vista per poter dialogare e trovare un punto di incontro, se si vuole crescere e andare avanti. [Presidente dell’associazione Adatta]
I primi anni di vita dell’associazione coincidono con un periodo in cui
si registra un progressivo incremento del mobbing tanto che le attività
poste in essere da Adatta tendono a concentrarsi prevalentemente su
41
“Siamo arrivate da strade diverse”
questo ambito di intervento. Si evidenzia, tuttavia, da subito la necessità
di promuovere un approccio che, data anche la complessità del feno-
meno in oggetto, sia in grado di far dialogare diverse professionalità, di
creare quindi un approccio integrato tra servizi e interventi di diversa
natura. Nel 2005 viene dunque a istituirsi una partnership strutturata tra
l’associazione Adatta e Medicina Democratica1, altro soggetto del terzo
settore da tempo attivo nell’ambito degli interventi sul mobbing e, più
in generale, in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Dalla sinergia
tra le due associazioni nasce il Centro di Assistenza e Intervento per il
Benessere Lavorativo (CAIBeL), un progetto di carattere innovativo che,
strutturato sulla base di una rete di professionisti con competenze diversificate e complementari (psicologi del lavoro, psicoterapeuti, medici del
lavoro, sociologi e consulenti di organizzazione, formatori) promuove un
approccio interdisciplinare orientato ad offrire assistenza alle persone in
situazioni di stress occupazionale e consulenza alle aziende per migliorare il clima organizzativo. L’esperienza del CAIBeL e la collaborazione
con Medicina Democratica si concludono nel 2007 ma costituiscono,
al contempo, il tramite e il punto di partenza di una nuova partnership
che l’associazione Adatta struttura con l’associazione Gli amici di Daniele
onlus, anch’essa attiva nell’ambito degli interventi di contrasto al disagio
lavorativo2. Questa collaborazione tra le due realtà associative dà avvio ad
un nuovo progetto, quello degli sportelli Lavoro Sereno, punti di ascolto3
Medicina Democratica nasce come movimento di lotta per la salute per iniziativa di
medici, ricercatori, operatori della prevenzione e diversi consigli di fabbrica. Attualmente Medicina Democratica è composta da una cooperativa, costituita nel 1978, e
da una associazione onlus, fondata invece nel 2003. Per maggiori informazioni cfr.
http://www.medicinademocratica.org/wp/.
2
L’associazione Gli Amici di Daniele Onlus, nasce a Firenze nel gennaio 2007 per volontà della Presidente, Alba Giovannetti, in memoria del figlio Daniele Da Col, vice ispettore
della Polizia Municipale di Firenze. Scopo dell’ associazione è attivare la solidarietà verso
le persone che vivono situazioni di disagio nel proprio ambiente di lavoro promuovendo
e salvaguardando il benessere psicologico, individuale e di collettività, attraverso attività
di ricerca, informazione, formazione, assistenza e orientamento a servizi specializzati. Cfr.
http://www.gliamicididaniele.it.
3
In particolare, gli sportelli sono attualmente attivi in quattro quartieri del Comune di Firenze ed è prevista una prossima apertura nel Quartiere 4.
1
42
“Siamo arrivate da strade diverse”
che offrono supporto e assistenza a coloro che vivono situazioni di disagio lavorativo.
Le attività poste in essere dall’associazione e che hanno una connotazio-
ne gender oriented sembrano trovare nel tempo un maggiore sviluppo
nell’ambito di percorsi di carattere formativo ai quali fanno seguito eventi
di carattere pubblico volti a diffondere gli esiti di tali percorsi e a promuovere una riflessione temi trattati coinvolgendo i soggetti del territorio.
In questo senso si può ricordare il progetto “Sebben che siamo donne”,
realizzato in collaborazione con la Provincia di Firenze e con la Società
italiana delle storiche e rivolto ad operatrici di Enti e Aziende interessa-
te a sviluppare competenze sui temi dell’occupazione, della leadership
femminile e della conciliazione vita-lavoro4.
Più recentemente, è stato realizzato il progetto “Sostegno nel tempo alla
maternità e al lavoro” nell’ambito dei finanziamenti stanziati dalla Legge
regionale n. 16/2009 (Cittadinanza di genere)5.
Va detto che i progetti sopra citati evidenziano un sostanziale protagoni-
smo della presidente dell’associazione e sembrano mettere in luce una
crescente personalizzazione delle attività promosse da Adatta. Questa
dinamica deve essere letta anche alla luce delle sostanziali trasformazioni intercorse nel tempo per ciò che concerne la base associativa. Se,
come si è detto, Adatta si contraddistingue fin da subito per la scelta di
costituirsi come associazione mista per ciò che concerne la composizione di genere, al contempo, il nucleo fondatore denota una prevalenza
di volontarie donne. Si tratta di un gruppo che, come racconta la stessa
presidente, è andato sfaldandosi poco dopo la fondazione dell’associa-
zione per ragioni che sono da ricondurre essenzialmente all’evoluzione
dei percorsi di vita delle donne coinvolte.
Per un sintetico approfondimento dei temi trattati, cfr.
http://associazioneadatta.files.wordpress.com/2011/06/lab-2-conciliazione-vita-lavoro.pdf.
5
I risultati del progetto sono raccolti nella pubblicazione “Mamme al lavoro. Nuovi equilibri per mamme acrobate e aziende innovative”, consultabile online alla pagina web
http://associazioneadatta.files.wordpress.com/2011/06/mamme-pubblicazione.pdf.
4
43
“Siamo arrivate da strade diverse”
Era un bel gruppo, 17 donne di provenienza molto diversa, ma
anche proprio come livello culturale. Quindi un gruppo composito ma anche molto interessante. […] Ci incrociamo per altre
ragioni però quel gruppo così com’era non c’è più. E quando
è successo? Un po’ alla volta? No, subito dopo. Quasi subito
dopo perché c’è chi, per esempio, ha scelto di prendere delle
strade diverse, per esempio di andare via da Firenze, proprio
delle scelte di vita abbastanza consistenti, importanti. E quindi
il gruppo si è sfaldato. Io non ho fatto più alcuna azione specifica per tenerle legate perché capivo benissimo che sono scelte
così importanti. Non puoi tenere legate delle persone che hanno...è il movimento, è Adatta, è andare verso, è essere aperte a
nuove strade. [Presidente dell’associazione Adatta]
Attualmente la base associativa si è molto ridotta e tra il nucleo dei soggetti attivi, oltre alla presidente, si ritrovano soprattutto giovani laureati
della Facoltà di Psicologia che hanno svolto o stanno svolgendo pres-
so Adatta un tirocinio formativo post-laurea. Il coinvolgimento di questi
giovani, come emerge dal racconto della presidente, avviene talvolta a
titolo gratuito, talvolta mediante la strutturazione di collaborazioni.
Questo è proprio un tirocinio semestrale, con la Facoltà di Psicologia; ne devono essere fatti due: uno in area clinica e uno in
area sociale e organizzativa. Quindi noi siamo in quest’area e,
o al primo semestre o al secondo semestre, prendiamo questi
ragazzi e tutti quelli che abbiamo avuto finora collaborano con
noi dal 2009, quindi sono passati più di tre anni ormai, tutti collaborano con noi. Li ho coinvolti in attività, quello che potevo, in
progetti di formazione in cui ho pensato che loro potessero darmi una mano. Quindi rimangono in pianta stabile a lavorare con
noi allo sportello Lavoro Sereno come volontari e, quando è possibile, come collaboratori. [Presidente dell’associazione Adatta]
I mutamenti che hanno interessato Adatta hanno sollevato numerosi interrogativi anche per ciò che concerne la natura stessa dell’associazio-
44
“Siamo arrivate da strade diverse”
ne che sembra, ad oggi, essere più affine ad un’impresa formativa.
La trasformazione è stata poi che, vabbè io ho continuato a fare
la mia attività di consulenza e formazione, qui significava di trovare degli sponsor, trovare delle risorse. Io non ho mai insistito
per raccogliere le tessere, per fare il tesseramento, per fare l’attività di servizio come Adatta perché capisco bene, essendo io
consulente di imprese, che questa avrebbe dovuto funzionare
come impresa. Avremo dovuto fare un impresa e mi sono trovata diverse volte a chiedermi: “Deve trasformarsi in un’azienda”,
un’azienda di servizi certamente ma “È un’impresa o è un’associazione?” Essendo rimasti associazione io, ve lo dico nel mio
cuore, di fatto è una scatola vuota. Non ha più quella natura, di
fatto è un’associazione professionale che comprende le persone che nel corso di questi anni lavorano con me. [Presidente
dell’associazione Adatta]
Nel complesso l’esperienza di Adatta mostra una sua decisa peculiarità
che è ravvisabile nella caratterizzazione gender oriented della mission e,
al contempo, nel fatto che si inscrive in un ambito di intervento, principalmente quello del disagio lavorativo, dove un approccio di genere risulta
ad oggi decisamente poco praticato nel contesto dell’associazionismo.
Come si avrà modo di evidenziare in seguito, nonostante la natura associativa sia ritenuta poco appropriata alla caratterizzazione assunta nel
corso del tempo, un tale contesto sembra offrire elementi di sicuro interesse per riflettere sulle specificità dell’agire femminile in un contesto a
composizione mista che, in linea con i principi ispiratori, continua a mantenere un’attenzione specifica verso le dinamiche di genere.
45
“Siamo arrivate da strade diverse”
La cooperativa sociale Alice
Alice è una cooperativa sociale di tipo A che opera nel campo della
progettazione, della gestione e della valutazione di servizi sociali, so-
cio educativi, assistenziali, di promozione del benessere comunitario e
di empowerment delle persone esposte a rischio di esclusione sociale. La cooperativa, costituita a Prato nel 1979, ha risentito, nel suo mo-
mento fondativo, del forte fermento culturale e politico che interessava
il territorio in quegli anni.
Erano anni anche tremendi perché c’erano gli attentati terroristici, crisi economica, disoccupazione, eccetera però erano anche gli anni delle conquiste: […] c’è stata l’apertura dei
manicomi con la legge Basaglia e poi le conquiste dei diritti
civili, l’aborto, il divorzio, l’obiezione di coscienza, tante cose
che sono state riconosciute in quegli anni. E c’erano tanti movimenti anche qui a Prato, infatti la cooperativa è nata nell’ambito di un gruppo di amici che cercavano di mettere in pratica
quelli che poi erano i loro ideali in una forma di aggregazione
che fosse anche lavorativa che, appunto, permettesse di mettere in pratica tutti i principi anche di democrazia che sono
previsti anche dall’organizzazione cooperativa. E cercavano
un lavoro di tipo diverso che permettesse di lavorare nel sociale anche se allora non è che ci fossero né leggi specifiche
né preparazioni specifiche, per cui queste persone provenivano da più ambiti e si sono messe insieme con questo sogno
di lavorare insieme e mettere su una cooperativa. [Presidente
della cooperativa sociale Alice]
Ad oggi Alice si caratterizza come impresa a netta prevalenza
femminile infatti le donne hanno un’incidenza del 90% circa sul
totale degli occupati.
Questa composizione di genere non deriva tanto da una scelta inten-
zionale della cooperativa stessa quanto, come evidenzia la presiden-
46
“Siamo arrivate da strade diverse”
te, dalla persistenza di stereotipi di genere6 radicati nell’immaginario
collettivo e che continuerebbero a replicare una rappresentazione ‘al
femminile’ di certe figure professionali.
Ci sono stereotipi forti, per esempio, mi viene in mente sul servizio domiciliare. […] Qualcuno ci dice “voi fate la discriminazione al contrario perché assumete solo donne”. In realtà c’è
ancora lo stereotipo presso gli anziani che le donne…cioè se
c’è bisogno di un’assistenza domiciliare non ce lo mandi un
uomo, non ce lo mandi perché non lo vogliono. Poi magari è
anche una persona bravissima, motivata, preparata, però purtroppo non c’è…quindi anche su questo si cerca di lavorare
però…qualcuno ora c’è di uomo sui domiciliari però non tutti
l’accettano volentieri. Quindi non è una cosa che noi vogliamo
mantenere il 90% di donne, anche se ci fa piacere dare lavoro
alle donne perché soprattutto in questi ultimi anni tante sono
state assunte provenienti da altri settori. [Presidente della cooperativa sociale Alice]
In continuità con la caratterizzazione prevalentemente femminile del
corpo sociale, nel corso degli anni i ruoli dirigenziali e di coordinamento
in seno alla cooperativa sono stati ricoperti soprattutto da donne7.
In particolare, è da notare che, dal momento della fondazione ad oggi,
Da notare che, spesso, ai suddetti stereotipi di genere tendono ad assommarsi i pregiudizi
derivanti dalla provenienza nazionale degli operatori. Come evidenzia la presidente della cooperativa, “Ci sono delle diffidenze, come ho detto all’inizio, in particolare ora mi viene in mente
una storia di una ragazza albanese […] c’era stato un utente “ma proprio albanese, perché
a me?”, è un’operatrice preparata come le altre, eccetera, però, ecco, “se mi ruba in casa, io
devo stare tranquillo”, “ma che ti ruba? non viene mica per rubare?”.
7
Si tratta di un aspetto che viene sottolineato anche nella sezione “Chi siamo” del sito
web della cooperativa: “Alice oltre a promuovere l’occupazione femminile, continua ad
impegnarsi a favorire la crescita professionale delle donne in conformità con la maggioranza delle stesse nel corpo sociale. A conferma di questo si sottolinea come da
sempre il presidente della cooperativa sia donna, siano donne la stragrande maggioranza dei coordinatori dei servizi, e la composizione del consiglio di amministrazione,
l’organo decisionale delle cooperativa, sia stata sempre prevalentemente femminile”.
Cfr. http://www.alicecoop.it/index.php/cooperativa/p/11/27/.
6
47
“Siamo arrivate da strade diverse”
le presidenti di Alice sono sempre state donne. Nel quadro di una
composizione di genere mista a netta predominanza della componente femminile si riscontra, inoltre, un orientamento gender sensitive de-
cisamente marcato. Questa connotazione, in parte derivante anche
dalla presenza nel gruppo fondativo di esponenti dei collettivi femmi-
nisti del territorio pratese, determina una peculiare attenzione verso le
questioni riguardanti l’inserimento lavorativo delle donne e, in special
modo, la tematica della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
Qui ci sono sempre stati collettivi femministi molto forti e alcune di queste sono state anche socie fondatrici della cooperativa…per cui questa componente un po’ femminista, ma io
non la chiamerei neanche più femminista, la chiamerei attenta
alle esigenze delle donne, c’è rimasta. E questo fa parte anche dell’organizzazione del lavoro, della concezione dei part
time, di cercare di venire incontro, per quello che è possibile
dalle convenzioni, anche alle esigenze delle mamme che si
diceva prima, di cambiare, di spostare un po’ l’ottica cioè non
lavoro e basta o lavoro prima di tutto oppure “scelgo: o lavoro
o allevo i bambini”. No, se si può entrare tutti in un’ottica diversa si può fare una cosa e un’altra e chiaramente questo è
un obiettivo a cui la cooperativa ha sempre tenuto, è sempre
andata incontro. Abbiamo partecipato diverse volte ai bandi
sulla legge 538 quindi, appunto, della conciliazione dei tempi
di lavoro e si sono messe in pratica diverse azioni di sostegno,
come per esempio per il rientro delle madri dalla maternità
soprattutto perché rispetto a prima anche la composizione del
corpo sociale ci sono sempre più donne sole alcune sole per
separazioni, ragazze madri, eccetera, altre sole magari con il
compagno o con il marito ma senza riferimenti parentali per-
Il riferimento è alla Legge n. 53/2000, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.
8
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“Siamo arrivate da strade diverse”
ché magari uno ha cambiato città, perché ci si sposta molto di
più […]. Si, però poi si rimane senza quella rete e quindi avere
anche un tempo del lavoro compatibile, come dicevo prima,
con le esigenze della famiglia, soprattutto quando i bambini
sono piccoli, è importante perché questo ti permette di non
dover scegliere ma di poter dire “bene, posso fare l’uno e l’altro”. [Presidente della cooperativa sociale Alice]
La cooperativa Alice gestisce numerosi servizi di carattere socio-as-
sistenziale, educativo e culturale nella provincia di Prato e in alcu-
ni comuni limitrofi, collaborando con gli enti pubblici e con soggetti
dell’associazionismo locale. Senza entrare nel dettaglio delle moltepli-
ci attività realizzate9, sembra tuttavia opportuno evidenziare come, nel
corso della sua lunga storia, la cooperativa sia riuscita a promuovere
numerosi interventi di carattere innovativo. Tra questi si può ricordare,
con riferimento all’ambito educativo, il servizio di accompagnamento
individuale svolto con i minori che hanno usufruito dei centri diurni.
Siamo andati sempre crescendo con i servizi perché comunque noi si è sempre cercato […] di dare servizi di qualità cerando di migliorarsi e quindi di innovarsi anche e di far nascere
anche servizi nuovi che venivano fuori dall’esperienza nostra.
Per esempio, un servizio che è nato diversi anni fa che si chiama Servizio Educativo Individuale (SEI), è nato appunto da una
constatazione che dai centri minori - noi abbiamo due centri per
bambini, uno dai 6 agli 11 e uno dagli 11 ai 14-15 - una volta
fatto questo percorso, questi bambini, a rischio sociale più che
altro, inviati dai servizi sociali perché le famiglie non erano in
grado di seguirli fino in fondo, il servizio si interrompeva bruscamente, invece noi si è pensato […] con questo servizio educativo individuale di dare un educatore a domicilio, poche ore la
9
Per maggiori approfondimenti cfr. http://www.alicecoop.it/index.php/cooperativa/p/10/13/.
49
“Siamo arrivate da strade diverse”
settimana, in modo da fare uno sganciamento abbastanza calibrato, non di colpo, ma comunque anche in base alle esigenze
del ragazzo, di sostegno, ad esempio, all’ingresso nelle scuole superiori, lavorando anche con la scuola oppure di indirizzo
anche al lavoro, nell’aiuto alla ricerca di un lavoro o comunque
nella professionalizzazione di questi ragazzi che si sarebbero
trovati di colpo dall’avere tutti i pomeriggi impegnati a non avere
più niente. Questo anche cercando di coinvolgere le famiglie e
tutta la rete sociale intorno ai ragazzi. E queste sperimentazioni
poi sono diventati servizi veri e propri. [Presidente della cooperativa sociale Alice]
Questa stessa capacità progettuale e di sperimentazione è testimoniata
anche dalle iniziative avviate nel campo della salute mentale. Nell’obiettivo di predisporre un percorso di intervento graduato in relazione alle
esigenze della persona e orientato a promuovere il massimo grado di
autonomia ottenibile, sono stati predisposti dei Gruppi appartamento,
servizi che prevedono la coresidenza di giovani con problematiche di
disagio psichico rispetto ai quali è prevista un’attività assistenziale di
bassa soglia, orientata, in particolar modo, ad agevolare i percorsi di
inserimento sociale e lavorativo..
I gruppi appartamento sono gruppi autonomi; anche questi sono
servizi sperimentali che poi alla fine sono diventati servizi stabili.
I gruppi appartamento sono servizi dove due o tre ragazzi con
problemi di salute mentale che non sono rientrati presso la famiglia o che comunque non ce l’hanno, rientrano, noi li seguiamo
nelle incombenze quotidiane con poche ore sia di educatori,
sia di Os e loro vanno a domicilio per vedere se va tutto bene
o se c’è da fare un colloquio di lavoro loro li accompagnano,
c’è da sbrigare delle pratiche per l’assicurazione vanno insieme eccetera. Oppure ci occupiamo anche della rete che ci può
stare intorno al tempo libero quindi siamo molto collegati con le
associazioni del territorio che fanno sport. [Presidente della cooperativa sociale Alice]
50
“Siamo arrivate da strade diverse”
Ancora, in riferimento ad attività di carattere innovativo è da citare l’esperienza della residenza comunitaria per anziani autosufficienti. Anche
questo servizio, così come quello appena menzionato, si caratterizza per
la predisposizione di attività assistenziali minime e, al contempo, per la
volontà di preservare il massimo grado di autonomia dei soggetti inseriti
nella struttura, limitando al contempo l’accesso alle residenze sanitarie
assistite (RSA).
Si chiama residenza comunitaria per anziani autosufficienti, praticamente […] noi abbiamo preso in affitto una casa e ci vivono
insieme 8 utenti anziani e hanno, durante il giorno, degli interventi, molto piccoli, di personale che li aiuta nello svolgimento
delle faccende domestiche. Ognuno ha la sua camera, queste
persone vanno là rifanno le camere, loro scelgono cosa fare
da mangiare, fanno la spesa, cucinano tutti insieme, hanno i
turni per sparecchiare, fare le lavatrici. […] È un servizio molto
innovativo per gli anziani perché ovviamente limita l’accesso in
RSA anche degli anziani autosufficienti perché poi l’RSA funziona purtroppo, ha un’organizzazione non voglio dire ‘a caserma’
ma insomma…perché sennò non ce la fai a gestire e a organizzare il tutto, quindi a una cert’ora tutti devono mangiare, a una
cert’ora tutti in bagno, a una cert’ora tutti a letto. In realtà lì fanno
un po’ come gli pare come se fossero ancora a casa propria, in
più hanno la compagnia degli altri, chiaramente la compagnia
vuol dire discorrere, chiacchierare, vedere la televisione insieme, farsi compagnia eccetera, vuol dire anche sopportare, vuol
dire aspettare un attimo per andare in bagno quindi c’è il pro
e c’è il contro ma per ora sembra che prevalgano i pro quindi
questi anziani sono molto contenti. [Presidente della cooperativa sociale Alice]
La cooperativa Alice gestisce inoltre il Centro antiviolenza La Nara, inse-
rito nella rete nazionale dei centri antiviolenza. Come evidenzia la presidente, si tratta di una peculiarità della cooperativa poiché, nella maggior
parte dei casi, i centri antiviolenza sono gestiti da associazioni piuttosto
51
“Siamo arrivate da strade diverse”
che da cooperative. In questo senso, è interessante notare come il nome
del centro ricordi una delle figure di riferimento del collettivo femminista
pratese, testimoniando, così come già richiamato sopra, un nesso storico della cooperativa sociale con tale esperienza.
La nostra cooperativa nasce nell’ambito anche dell’esperienza
femminista a Prato infatti il nostro centro antiviolenza si chiama
La Nara e questa Nara Marconi […] non è stata nel gruppo dei
fondatori della cooperativa ma del collettivo femminista di Prato
quindi nel momento che si è creato questo centro che lei avrebbe voluto tanti anni prima ma i tempi non erano maturi, gli si è
voluto dare questo nome proprio a tributo e riconoscimento del
lavoro che lei aveva fatto a Prato per le donne. [Presidente della
cooperativa sociale Alice]
Nel complesso, la cooperativa sociale Alice mostra uno spaccato del
Terzo Settore a netta prevalenza femminile e gender sensitive che, nella
sua peculiarità – derivante peraltro dal fatto che, tra i dieci casi di studio
considerati, costituisce l’unica esperienza di partecipazione delle donne
nel quadro di attività retribuite – consente di riflettere sulle specificità
della partecipazione femminile sia in termini di conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro, sia in riferimento agli stereotipi di genere che, come si
avrà modo di approfondire in seguito, continuano a replicare una fem-
minilizzazione di certe figure professionali sulla base di presunte ‘doti
naturali’ delle donne.
L’associazione Auser Toscana
L’associazione per la promozione e lo sviluppo dell’AUtogestione dei
SERvizi (Auser) nasce in Italia nel 1989 su intuizione di Bruno Trentin,
allora segretario della Cgil, con l’obiettivo specifico di “dare risposte au-
tonome ai bisogni materiali e immateriali e migliorare la qualità della vita
degli anziani e di tutti i cittadini, per contrastare ogni forma di esclusione
52
“Siamo arrivate da strade diverse”
sociale, diffondere la pratica e la cultura della solidarietà”10. Va detto
che, anche se l’associazione non ha una mission di tipo gender oriented,
nel contesto dello statuto associativo si riscontrano norme che denotano
un’attenzione verso le questioni di genere, in particolar modo per ciò che
riguarda la composizione degli organismi dirigenziali. Infatti, nello statuto
dell’Auser, così come approvato dall’Assemblea nazionale del giugno
2009, con l’articolo n. 40 si istituisce una norma antidiscriminatoria che
prevede una soglia minima del 40% nella rappresentanza di ciascun genere nell’ambito degli organismi dirigenziali11.
Tenuto conto delle peculiarità della mission, l’associazione risulta costituita in prevalenza da soci e volontari di età avanzata. La composizione
di genere è di tipo misto; tuttavia come rivela il presidente se tra i soci
la componente femminile risulta maggioritaria, nell’ambito dei volontari
si denota un’inversione di questa tendenza tranne nel caso di alcune
associazioni territoriali.
Nella nostra associazione, in Toscana, più del 60% dei soci sono
donne e 38-40% sono uomini. La stragrande maggioranza dei volontari sono uomini ma ci sono associazioni dove sono quasi esclusivamente donne nelle volontarie. [Presidente dell’Auser Toscana]
Nel contesto toscano, l’associazione è presente in oltre 160 comuni ed
ha circa 7.500 volontari attivi il che denota una presenza radicata e strutturata sul territorio. Tra le principali trasformazioni intervenute nell’asso-
ciazione si nota quella di un progressivo ampliamento dei settori di in-
Cfr. Perché è nata l’Auser, di Giovanni Forconi,
www.auser.toscana.it/Portals/0/Docs/Perchè%20è%20nata%20l’auser.doc
11
Tale norma recita: “al fine di rendere concreta l’affermazione di una associazione di donne
e di uomini, nella formazione degli organismi dirigenti, nelle sostituzioni che negli stessi si
rendano necessarie, nella distribuzione degli incarichi, nella rappresentanza esterna, nazionale ed internazionale, nessuno dei generi può essere rappresentato al di sotto del 40%. A
tal fine verranno definite con apposite disposizioni esecutive interne le relative regole applicative” (Nuovo statuto della “Associazione per l’AUtogestione del SERvizi e la solidarieta’ –
AUSER - onlus”, approvato dall’Assemblea nazionale, Roma, 25-26 giugno 2009).
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“Siamo arrivate da strade diverse”
tervento. In particolare, al momento della fondazione l’attività prevalente
era quella realizzata attraverso i contatti telefonici con le persone anziane
del territorio nella logica di contrastare i processi di isolamento sociale e
le dinamiche che da essi potevano originarsi.
Siamo nati con il telefono, non a caso si chiama Filo d’argento la
nostra massima espressione. Siamo nati per fare, quando ancora i Comuni potevano dare gli elenchi, non c’era la privacy, per
fare gli auguri alle persone anziane, per avere contatti, parlare
con le persone sole, andandoci anche di persona. Insomma era
un modo per fare pensare alle persone anziane che non erano
dimenticate, quindi lo scopo era quello di dire “è vero che tra chi
tutela le persone anziane c’è anche il sindacato dei pensionati
però poi nel momento civile non c’è nessuno che magari li aiuta
in altri modi”. [Presidente dell’Auser Toscana]
Nel tempo gli ambiti di attività si sono ampliati e l’associazione, oltre ad
essere un luogo di socializzazione di persone di età avanzata, promuove
numerose iniziative tanto che il presidente stesso ne riconosce il carattere generalista. Tra le diverse iniziative promosse c’è quella del premio
Filo d’argento, realizzato in collaborazione con il Comune di Firenze, con
lo scopo simbolico di valorizzare, attraverso la premiazione di personaggi noti, una rappresentazione attiva e vitale della terza età nel contesto
della nostra società.
Noi questo premio lo facciamo con il Comune di Firenze, ormai
è già da 16 anni, e in questo noi premiamo personaggi di cultura, di sport, di cinema, cantanti, anche cattolici, giocatori della
Fiorentina. […] Lo scopo di questo premio è di dare un messaggio alle persone anziane, noi questo premio si dà a persone
ancora visibili nei media e così via, per mostrare alla persona
anziana che nonostante la terza età si può continuare a dare un
contributo alla società senza entrare nella rassegnazione, nella
depressione, questo è lo scopo di questo premio. Son figure
simboliche. [Presidente dell’Auser Toscana]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Oltre alla realizzazione di servizi di trasporto sociale e di assistenza l’associazione promuove numerosi interventi di carattere civico che vanno
dalla conduzione degli Scuolabus, all’attività di pre-accoglienza realizzate in alcune scuole del territorio o ad attività di carattere più contestuale che i volontari dell’Auser svolgono anche in una logica di integrazione
e sostegno ai servizi realizzati dagli enti locali del territorio12. Emerge, in
tal senso, una forte sinergia delle associazioni locali con i Comuni.
È opportuno evidenziare che la presenza di volontarie donne tende a
concentrarsi prevalentemente in alcune attività. Fra queste Le sartorie
della solidarietà, laboratori di sartoria dislocati nel territorio e la cui produzione viene utilizzata per sostenere alcune Organizzazioni non governative (Ong) nei loro progetti di cooperazione internazionale.
Dentro le nostre associazioni abbiamo anche le Sartorie della
solidarietà. Queste sono quelle che fanno politica internazionale cioè, insieme alle Ong, con tutto quello che, stoffe e cose
ci vengono regalate dalle aziende o dai negozi che disfanno i
magazzini, le nostre donne riescono a fare vestiti, a fare tante
cose […]. Abbiamo rapporti con varie associazioni non governative che hanno nel mondo i loro referenti per aiutare…e viene fuori che tu aiuti gli altri aiutando anche te stesso perché è
gratificante. Il nostro scopo con le Sartorie è quello di rimettere
insieme persone sole, donne sole che rinascano alla vita, nella
compagnia, nell’aggregazione. E fai solidarietà agli altri oltretutto. Quindi su questo noi ci siamo giocati molto infatti sono 51
[sartorie] il che significa un migliaio di persone che rientrano
nell’associazione ma che poi lavorano a casa perché gli interessa ce ne sono altrettante. E recuperi anche delle memorie. […]
Quasi tutto il vestiario [che producono le sartorie] è da bambini
perché le nostre si considerano le nonne dei bambini del mondo. [Presidente dell’Auser Toscana]
In proposito è interessante ricordare anche l’iniziativa realizzata nel Comune di Sesto
Fiorentino e denominata Piedibus, un servizio innovativo che, senza avvalersi dell’uso di
mezzi di trasporto, prevede l’accompagnamento dei bambini che devono andare a scuola
da parte del personale volontario dell’Auser.
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55
“Siamo arrivate da strade diverse”
Ancora, le volontarie donne si ritrovano nell’ambito delle iniziative di ca-
rattere culturale come Il laboratorio teatrale di Lastra a Signa dove la
composizione prevalentemente femminile ha dato luogo alla realizzazione di spettacoli che, nella maggior parte dei casi, mostrano un orientamento gender sensitive.
Nel laboratorio di Lastra a Signa tutti gli anni mettono in piedi
uno spettacolo cioè un argomento, quasi sempre sulle donne [ride] ovviamente. […] Quest’anno hanno fatto uno spettacolo intitolato “Donne indomite”, sono partite da Lisistrata di
Aristofane facendo tutti i passaggi fino al Risorgimento, cioè
arrivando fino a Margherita Hack, a Nilde Iotti, a Tina Anselmi,
per arrivare da ultimo anche alle tre Nobel, quelle tre signore
africane. […] E questa è già la quinta cosa che hanno messo
in piedi, fatte veramente bene, perché senti che ci credono.
[Presidente dell’Auser Toscana]
Il quadro tracciato suggerisce alcuni elementi di riflessione sulla partecipazione delle donne nell’ambito di un contesto associativo strutturato,
le cui attività, di cui si è dato soltanto un accenno, sono molteplici e
con ricadute in vari settori di intervento. Al contempo l’associazione Au-
ser Toscana, essendo un’associazione mista con una caratterizzazione
marcata derivante dall’età media della propria base associativa, offre
interessanti suggestioni in riferimento alla diversa declinazione della par-
tecipazione tenuto conto delle variabili del genere e, comparativamente
con le altre realtà considerate, dell’età.
L’associazione Avis Toscana
L’associazione volontari italiani sangue (Avis) nasce nel 1927 a Milano
per iniziativa di Vittorio Formentano che, a partire dalle esigenze trasfu-
sionali sperimentate in prima persona nell’ambito della sua professio-
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“Siamo arrivate da strade diverse”
ne di medico, avviò, dapprima mediante un annuncio sul Corriere della
sera, il progetto di costituire un nucleo di donatori di sangue che si ren-
dessero disponibili in caso di necessità. Nel 1946 l’Avis si costituisce
formalmente come associazione e nel tempo tende a radicarsi nel territorio, inizialmente con associazioni di carattere locale e, in seguito, con
la regionalizzazione della sanità, con associazioni di rilevanza regionale.
Si tratta, dunque, nel panorama dei casi di studio considerati, di un’associazione che mostra una sua decisa specificità derivante dal fatto che
si costituisce essenzialmente in relazione al sistema della donazione e
che, in tal senso, offre uno spaccato relativo ad una tipologia peculiare
di agire volontario. Come evidenzia il presidente di Avis Toscana, in una
prima fase storica, la pratica della donazione del sangue coinvolge in
maniera preponderante gli operai delle fabbriche il che determina una
caratterizzazione essenzialmente maschile della popolazione dei donatori. In questo senso, sebbene l’Avis sia un’associazione a composizione
mista, si registra un lento e graduale riequilibrio tra i generi che è avvenuto prevalentemente in anni recenti.
L’associazione da quel primo nucleo milanese diciamo poi si
è radicata sul territorio e si è allargata soprattutto all’inizio nelle fabbriche e questo ha determinato un connotato prevalentemente maschile dell’associazione perché i luoghi della solidarietà degli anni 20-30 erano soprattutto le fabbriche e il lavoro
era una prerogativa soprattutto maschile. Poi con il cambiare
della società è cambiata anche l’Avis per cui la presenza femminile nell’associazione è molto cambiata […] fino ad arrivare alla
situazione attuale dove, negli ultimi anni c’è stato un grosso recupero di presenza femminile e oggi, non siamo ancora al 50%
di presenza femminile tra i donatori ma iniziamo ad avvicinarci e
tra i nuovi iscritti degli ultimi anni siamo già al 50% quindi il trend
è un trend di perfetta parità. Dove c’è del lavoro ancora da fare è
nei quadri dirigenti cioè questo adeguamento, questa presenza
femminile si è verificata prima nelle file dei donatori e piano piano si sta traducendo infatti nei quadri dirigenti, come è naturale,
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“Siamo arrivate da strade diverse”
prima uno accede nelle fila dell’associazione e poi ne diventa
anche dirigente.[ Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Come emerge nel brano sopra citato, la presenza femminile risulta an-
cora circoscritta per ciò che concerne le cariche dirigenziali; un fenomeno che è interpretato dal presidente in relazione all’ingresso più tardivo
delle donne nelle fila dell’associazione e, dunque, come effetto di una
cultura della donazione che ha interessato per una lunga fase storica
in prevalenza uomini, conseguenza di una congiuntura che è destinata
a modificarsi nel tempo in affinità con i cambiamenti intervenuti a livello
sociale e, in particolare, nella popolazione dei donatori. Al contempo, le
trasformazioni che nel tempo hanno interessato la dimensione organizzativa di Avis Toscana, e che denotano il passaggio da una struttura verticistica ben definita ad una struttura di tipo reticolare, sembrano accom-
pagnarsi ad una nuova opportunità di partecipazione dei soggetti che,
come le donne, fino ad oggi hanno trovato una minore rappresentanza
nell’ambito dei ruoli di vertice.
Sta cambiando il quadro dell’associazione che da associazione verticistica sta diventando un’associazione sempre più a rete e, come
succede nelle reti, è cosa emetti che ti rende importante all’interno
della rete né qual è il tuo genere, né dove sei[…]. Quindi questi sono
i veri cambiamenti dell’associazione, la minore importanza del luogo
e l’importanza soprattutto di quello che proponi, di quanto riesci ad
essere leader. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Il sistema della donazione su cui si incardina l’attività di Avis Toscana e,
in generale, la mission che la anima, determinano anche una decisa tipicità delle azioni poste in essere nella logica di promuovere una forma di
solidarietà che, come spiega il presidente, in quanto volontaria, anonima
e gratuita, sia motivata dall’idea di bene comune in una formulazione che
ricorda molto l’originaria impostazione di Titmuss (1970).
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Noi dobbiamo riuscire a parlare a dei sani, a delle persone
che non hanno bisogno del sistema sanitario, convincere queste persone a rendersi disponibili, a andare in ospedale a regalare mezz’ora del proprio tempo per una donazione a favore
del genere umano, cioè delle persone che non hanno bisogno
del sistema, non hanno nulla da avere in cambio, quindi non è
un’associazione di utenti, nulla hanno da avere, sono persone
che donano non sanno a chi, perché questa è una caratteristica
della nostra associazione di promuovere la donazione volontaria, anonima, gratuita, periodica e consapevole di sangue e plasma. Donazione volontaria, anonima e gratuita il che vuol dire
che alle persone viene proposta la donazione nei confronti del
genere umano, non sapendo a chi va. Questa è la nostra specificità, quello che ci caratterizza. Questo è il nostro obiettivo da
sempre. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Si tratta di una mission che, nel corso degli anni, anche alla luce delle
crescenti necessità del sistema trasfusionale stesso, è stata perseguita
attraverso lo sviluppo di una fitta rete con altri soggetti del territorio, sia
istituzionali che del Terzo Settore, in modo tale da poter ampliare la portata delle attività di contatto e di reperimento di nuovi donatori
Noi dobbiamo cercare sinergie le più ampie possibili per parlare
al pubblico dei sani. Abbiamo capito l’importanza di attività da
svolgere fuori dalla sede ospedaliera, del complesso ospedaliero, e allora da qui è chiaro che si sono sviluppate tutta una serie di
collaborazioni con i comuni, con le provincie, con le associazioni
dello sport, con le associazioni del tempo libero, con il mondo in
genere del terzo settore. Quindi questa è una tendenza che negli
ultimi anni si è molto rafforzata. La nostra associazione ha capito
che per dare risposte al sistema sanitario, che richiede sempre
più sangue e plasma, non ci potevamo più limitare solo alla sollecitazione dei parenti dei malati o all’attività nella struttura ospedaliera. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Nel complesso, la popolazione dei donatori risulta costituita in prevalenza
da soggetti nella fascia di età attiva. Uno sguardo al panorama regionale
mostra come in alcune realtà del territorio il sistema della donazione riesca
ancora ad avvalersi dei meccanismi di prossimità, nello specifico del passa-
parola, nelle pratiche di reclutamento di nuovi donatori. Al contrario, le zone
metropolitane risentono dell’assenza di tali meccanismi tanto da far emerge-
re la necessità di predisporre nuovi canali di comunicazione verso l’esterno
e, in generale, nuove modalità di azione, da parte dell’associazione.
In Italia ai lavoratori dipendenti è assicurato un giorno di riposo dopo
la donazione; questo è chiaro che porta una maggior presenza della
fascia attiva della popolazione, di una certa fascia di età: la fascia di
età che è ancora interessata dal lavoro a tempo indeterminato. Le cose
cambiano e cambiano con la società intorno a noi, quindi la composizione è diversa a seconda delle diverse aree della Toscana, perché è
diversa la situazione nell’area metropolitana nei dintorni di Firenze dove
scontiamo maggiori difficoltà nella promozione essendo venuti meno
il passaparola o il colloquio personale che invece è ancora uno strumento forte nelle zone più agricole. Quindi si stanno notando tutta una
serie di cambiamenti che stiamo cercando di approfondire e di conoscere meglio per cambiare le modalità nostre operative. Veniamo da
una storia che aveva bisogno di un rapporto di prossimità, dobbiamo
imparare a utilizzare strumenti e dobbiamo cambiare in modo tale da
essere efficaci anche nelle aree metropolitane dove ormai diventano
più importanti i social network che i rapporti interpersonali diretti. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Sebbene Avis Toscana, come si è detto, si caratterizzi come associazione
mista che per lunghi periodi ha registrato una netta prevalenza maschile, è
da evidenziare che, a partire dal 2006, l’associazione stessa si è fatta promotrice dell’iniziativa denominata Il Forum delle donne che è orientata a promuovere, in occasione della Giornata internazionale della donna, dei percorsi di
riflessione sulla partecipazione femminile nel contesto del volontariato. Tale
manifestazione si configura come uno dei principali eventi e uno dei princi-
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“Siamo arrivate da strade diverse”
pali momenti di riflessione tra soggetti dell’associazionismo toscano, della
società civile e delle istituzioni13 sulle questioni riguardanti la parità di genere.
Il forum delle donne ha una storia particolare perché ci è sembrato utile nel giorno della festa delle donne creare un momento
di riflessione concreto, non un momento di festa ma un momento di riflessione sulle tematiche al femminile. […] Ci serviva di
creare un momento simbolico di visibilità e di rendere evidente
un lavoro che 365 giorni all’anno l’associazione cerca di fare
su questi temi. E abbiamo cercato di esaminare e di studiare i
cambiamenti della società, come potevamo rendere più efficace la partecipazione, la comunicazione, come si diceva prima,
abbattere le difficoltà dei giovani, delle donne, di tutti i componenti, perché poi alla fine è stato un forum donne ma è stata la
scusa per riflettere sulla società a 360 gradi, è stata la scusa
per parlare della partecipazione femminile, di come è cambiato
il mondo del lavoro ed è stata un’esperienza veramente interessante. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Va evidenziato che, così come emerge dall’intervista al presidente di Avis
Toscana, il Forum delle donne è divenuto un’occasione per riflettere sulle
tematiche di genere ma con un’attenzione specifica e un’apertura che non
è soltanto gender oriented che sembra richiamare un’attenzione generale
alle differenze come nell’impianto caratteristico dell’approccio di genere.
Se è vero, come si dice, che le differenze sono un valore, ed è
vero, vuol dire permettere a tutti di dare un proprio contributo,
a tutte le fasce di età, a tutti i generi, alle diverse esperienze
lavorative, a chi fa lavori più o meno intellettuali. Credo che il
tema debba essere quello della valorizzazione delle differenze
e di permettere a tutti di dare un proprio contributo dalla propria
parte. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Nell’ambito dell’evento realizzato nel 2012 è da evidenziare che il convegno ha previsto
il coinvolgimento, tra gli altri, di una delle esponenti del comitato promotore del Se non ora
quando?.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
In vista dell’approfondimento che si avrà modo di presentare nelle pagine che seguono relativamente al tema della partecipazione femminile,
sembra opportuno evidenziare che l’Avis Toscana, in virtù delle specificità derivanti dalla composizione di genere e, congiuntamente, dal siste-
ma di donazione che la contraddistingue, si configura come un contesto
associativo nel quale emergono alcune peculiarità dell’agire volontario
femminile. Si tratta, inoltre, di un contesto associativo che per lungo tem-
po si è caratterizzato per una prevalenza maschile e che, tuttavia, nel
corso degli ultimi anni si è fatto promotore di una iniziativa gender sensi-
tive in grado di sottoporre all’attenzione dell’associazionismo locale e della società toscana nel suo complesso le tematiche inerenti la condizione
femminile. Questi fattori, come vedremo, sembrano concorrere a determinare una lettura peculiare delle dinamiche della partecipazione femminile.
L’associazione Casa della Donna
La Casa della donna è un’associazione di promozione sociale costituitasi a
Pisa nel gennaio del 1996. Si tratta di un’associazione femminile che nasce
dall’esperienza partecipativa dei collettivi femministi pisani e, in particola-
re, dall’impegno e dalla volontà di alcuni gruppi di donne che, in continuità
con altre esperienze analoghe che nel periodo interessavano il contesto
italiano, avviano nel 1980 una serie di occupazioni dell’edificio di via Galli
Tassi con lo specifico intento di creare uno spazio all’interno del quale
promuovere attività culturali e politiche. La direzione della trasformazione
del movimento è la stessa che interessa il resto del paese con una tenden-
za dei gruppi a modificarsi direttamente o ad essere maggiormente vicini
alle associazioni di volontariato, di intervento o culturali impegnate sui temi
classici del movimento (Calabrò e Grasso 2004; Della Porta 2001).
In tutta Italia, da quello che era stato il femminismo degli anni
’70, insomma, che non era sparito ma aveva mutato modo, […]
erano nati negli anni ’80 tantissimi luoghi di riflessione sulla
scrittura femminile, pratica della scrittura femminile, sono nate
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“Siamo arrivate da strade diverse”
le grandi società, la società delle storiche, quindi c’è stato un
impulso, si sono moltiplicati appunto questi luoghi, veri e propri
spazi all’interno dei quali ci si riuniva, si discuteva, si parlava.
E in questo contesto nasce la parola d’ordine: “una casa per le
donne in ogni città”. […] E parte contemporaneamente a Roma,
Venezia, Torino, questa campagna che poi porta effettivamente
a realizzare delle case delle donne, cioè case con dei luoghi
aperti a tutte le donne […] delle donne e per le donne. E quindi
questo è stato fatto anche a Pisa, cioè quello che c’era ancora, e
non era poco, dei collettivi femministi che erano stati portati qui
negli anni ’70, individua in questo luogo un possibile luogo per
la Casa della donna e comincia a fare una serie di occupazioni
simboliche che si sono ripetute per tutti gli anni ’80. [Presidente
dell’associazione Casa della Donna]
L’edificio di via Galli Tassi, dapprima sede del distretto militare e, dunque, di proprietà della Provincia, fu ristrutturato nei primi anni Novanta
e concesso gratuitamente all’associazione con convenzione triennale.
Come racconta la presidente dell’associazione, questa concessione fu
fortemente voluta dall’allora assessora alla cultura e alle pari opportunità, Patrizia Dini, e il passaggio istituzionale che rese possibile questa
opportunità fu la concomitante disposizione che l’edificio ospitasse, al
contempo, la Commissione provinciale per le pari opportunità. L’allora
immagine pubblica dei gruppi che animavano la Casa della Donna ap-
pare controversa e contestata, in particolar modo per la presenza nel
nucleo fondativo di un gruppo lesbico, tanto che nella stampa locale
vengono formulate illazioni su ciò che accade all’interno dell’edificio. Ciò
contribuisce a determinare la scelta della Cpo di riunirsi nelle sedi della
Provincia così che l’edificio di via Galli Tassi resta, dai primi anni Novanta, di pertinenza esclusiva dei gruppi che nel 1996 costituiranno poi
formalmente l’associazione.
La Cpo ci si riunisce qualche volta ma poi preferisce la sede istituzionale della Provincia, con episodi anche divertenti perché
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“Siamo arrivate da strade diverse”
c’erano le democristiane, c’erano tutte le varie realtà nella
CPO […]. E allora, naturalmente c’era e c’è sempre stato
un gruppo lesbico, questa casa è articolata in gruppi, però
la questione era: “Che cosa succede di notte in via Galli
Tassi?”, titolo sul giornale no? [Presidente dell’associazione
Casa della Donna]
Nonostante il rapporto con le istituzioni locali, ed in particolare con la
Provincia, abbia determinato alcune agevolazioni per la vita dell’as-
sociazione, è da notare che il rapporto dialettico con le stesse isti-
tuzioni ha continuato a contraddistinguere l’operato della Casa della
Donna senza andare ad inficiarne l’autonomia di soggetto della società civile gender oriented che conserva un marcato orientamento
rivendicativo.
Posso dire proprio con sincerità assoluta che noi non abbiamo mai fatto o preso una posizione perché ci conveniva
rispetto alle istituzioni, cioè questa forse è la nostra forza no?
Perché abbiamo avuto molto dalle istituzioni perché poter
essere stati qui per 23 anni […] è stata una grande felicità. Questo però non ha mai significato che sulle cose che a
noi stavano a cuore prendessimo una posizione di comodo
rispetto alle istituzioni, anzi, sono sicuramente molto più frequenti le critiche o le prese di distanza. [Presidente dell’associazione Casa della Donna]
In affinità con la logica che caratterizzava i collettivi femministi degli
anni ’70, l’associazione si struttura ancora oggi in diversi gruppi di
attività, impegnati in iniziative di varia natura e che trovano rappre-
sentanza nel Consiglio, composto da dieci donne elette ogni due anni
dall’assemblea delle socie. Tra i vari gruppi tematici che animano e
hanno animato la Casa della Donna si possono ricordare il gruppo di
scrittura Carta Bianca, i gruppi di lettura La Luna e La Luna Nuova,
il gruppo Imparare l’italiano impegnato in attività di alfabetizzazione
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“Siamo arrivate da strade diverse”
delle donne migranti, il gruppo Sessismo dei linguaggi14 e il gruppo
Biblioteca che gestisce e coordina le attività della biblioteca disloca-
ta presso la sede dell’associazione15.
Presso la Casa della Donna è presente, inoltre, un centro antiviolenza
che è gestito anche in collaborazione con i soggetti del territorio. Come
nota la presidente, in questo ambito di intervento, risulta indispensabile
la predisposizione di percorsi formativi e di costante aggiornamento delle operatrici. In tal senso, si tratta dell’attività che, tra quelle promosse
dall’associazione, risulta più difficilmente conciliabile con l’impegno puramente volontario delle operatrici stesse.
Lavorare sulla violenza è difficilissimo, te la trovi dentro, te la trovi che ti si appiccica, per questo sono fondamentali i corsi. Noi
non accettiamo nessuna volontaria del Telefono neanche come
spettatrice se non ha fatto il corso per operatrici volontarie che
facciamo tutti gli anni e che è un corso che dura 3-4 mesi. E che
poi chiaramente è una formazione che va continuata perché è
un lavoro difficile. […] Ci vuole personale che sia retribuito perché è un lavoro pesante, sono tante ore che non puoi giostrare
un po’ come lavoro volontario, ci devi essere e basta e, per le
persone che hanno un’età per cui non hanno ancora un lavoro
retribuito, per ora siamo andate avanti così. Fino ad ora è stato
sostenuto dal progetto “Diventare cittadine” che era il progetto
della Sds per cui c’era un contributo per pagare le operatrici
che mandano avanti il Telefono, mentre l’affitto della casa rifugio che ogni tanto viene cambiata, viene pagato dal Comune di
Pisa. [Presidente dell’associazione Casa della Donna]
Una delle peculiarità della Casa della Donna sembra ravvisabile nel fatto
che la composizione del tessuto associativo, seppur uniforme dal punto
Il lavori promossi dal gruppo Sessismo dei linguaggi sono consultabili nell’omonimo blog.
Cfr. http://ilsessismoneilinguaggi.blogspot.it/.
15
Per maggiori approfondimenti riguardo alle attività realizzate dai gruppi
http://www.casadelladonnapisa.it/
14
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“Siamo arrivate da strade diverse”
di vista del genere, mostra una marcata eterogeneità in termini di età.
Va detto che le socie più giovani tendono a concentrarsi in particolari
gruppi di lavoro, in particolare nei gruppi Imparare l’italiano e in quello
del centro antiviolenza, mentre i gruppi di lettura e di scrittura sono prevalentemente composti da donne over 50. L’apertura intergenerazionale
dell’associazione è nondimeno promossa mediante la strutturazione di
una rete solida con le altre associazioni femminili del territorio.
Da noi donne giovani ci sono sempre state e ora direi che è un
momento in cui ci sono ancora di più anche perché la nostra
linea fondamentale è quella di fare rete con le associazioni di
donne. Per cui, ad esempio, c’è un gruppo, noi ospitiamo Arci
lesbica qui come sede legale e poi c’è un gruppo di donne molto, molto giovani che si chiama il collettivo Le Griffe. Loro prima
avevano proprio la sede qui, poi dopo, come succede, madri
e figlie hanno sentito il bisogno di riunirsi autonomamente però
ogni volta che devono fare cose, dal fare cartelloni a riunirsi per
discutere un’iniziativa più ampia sono qui. [Presidente dell’associazione Casa della Donna]
Anche i corsi di formazione che sono realizzati dalla stessa associazione in vista dell’inserimento delle operatrici nelle attività del centro antiviolenza si configurano come un’occasione per entrare in contatto con donne più giovani.
Ogni anno facciamo questo corso per operatrici volontarie alla
fine del quale chi frequenta sono persone molto giovani […] oppure qualcuno che si riqualifica per un lavoro che sta già facendo. Qualche volta sono venute assistenti sociali però diciamo che
l’età media è bassa e qualcuna alla fine rimane di fatto a lavorare.
[Presidente dell’associazione Casa della Donna]
Alla logica intergenerazionale si coniuga, inoltre, un’apertura in chiave interculturale tanto che la Casa della Donna ospita presso la sua sede associazioni di donne straniere, oltre che gruppi informali costituiti dalle stesse.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Per esempio vengono donne straniere che fanno il gruppo Imparare l’italiano…ah, l’altra associazione che ha sede legale qui
è l’Admi - Amiche dal mondo insieme che sono donne straniere
che oramai da 10 anni hanno costituito questa associazione. […]
Ora è arrivato un gruppo di donne arabe che, per esempio, viene
perché è una casa delle donne questa, sennò i mariti non ce le
mandano. Si è riunito tutto l’anno scorso […] e fanno di tutto, fanno ginnastica per il pavimento pelvico, fanno…come si tingono
i capelli e poi parlano tantissimo della loro sessualità. Cioè te le
vedi entrare tutte belle velate poi in quattro e quattr’otto in tuta.
[…] Lo spazio l’hanno trovato qui perché qui non si paga niente,
capisci, se devi tirar fuori qualcosa, anche poco, che poi poco
non è perché, intendiamoci bene, la politica degli spazi a Pisa ha
fissato un regolamento comunale che gli spazi possono essere
affittati per il 50% almeno del valore di mercato che significa, cari
come sono gli affitti a Pisa perché c’è un mercato drogato dagli
studenti, delle cifre che un’associazione non si può permettere
perché dovrebbe lavorare per produrre reddito e pagare l’affitto.
[Presidente dell’associazione Casa della Donna]
Si denota dunque una pratica consolidata di condivisione degli spazi che,
in linea con i principi che hanno ispirato la costituzione della Casa della
Donna, continua a configurare la sede di via Galli Tassi come uno spazio sociale quotidianamente animato dalla presenza di donne di età, pro-
venienze ed interessi molteplici. Infatti, come nota la presidente, “il po-
meriggio è sempre un pullulare di ‘formichine’ che fanno questo, quello,
quell’altro, che lavorano. Anche perché è uno spazio sociale aperto a tutti,
gratuito che in tempi di crisi è l’ossigeno”. Questa solidarietà di genere
che valica i confini delle appartenenze costituisce, inoltre, il principio ispi-
ratore di nuovi progetti e nuove iniziative che la Casa vorrebbe realizzare
nell’immediato futuro. Tra questi, ad esempio, quello di lavorare nella dire-
zione di offrire un luogo di incontro alle assistenti familiari straniere che, in
virtù delle peculiari condizioni di vita e di lavoro, si trovano spesso a vivere
una deprivazione degli spazi personali.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Uno dei miei desideri è di riuscire a realizzare, naturalmente con
altre forze anche, una casa delle badanti che poi chiameremo
con un altro nome…perché tutte queste donne che vedi la domenica pomeriggio nelle panchine del Corso Italia, a parlar tra
loro da una panchina all’altra, sono lì perché non hanno un posto in cui poter stare. Per cui credo sia importante poterlo fare.
[Presidente dell’associazione Casa della Donna]
Nel complesso l’associazione Casa della Donna si configura come un
contesto associativo femminile, gender oriented che, sia nella sua struttura organizzativa che nei principi che animano la sua mission, mostra
ancora oggi il forte nesso con l’esperienza dei collettivi femministi da cui
si origina. Al contempo, le aperture in chiave intergenerazionale e interculturale contribuiscono a determinare una marcata eterogeneità del tes-
suto associativo che, seppur nella diversificazione delle attività svolte dai
diversi gruppi di donne, trova momenti di incontro e di confronto, oltre che
formalmente nell’organismo direttivo, nella pratica quotidiana di condivi-
sione degli spazi. Ancora, è da evidenziare che la promozione costante
di una logica di rete16, tanto con soggetti della società civile quanto con
soggetti istituzionali, costituisce il tramite di un’azione volontaria che con-
tinua a contraddistinguersi per il suo connotato rivendicativo in termini di
pari opportunità tra uomini e donne.
L’associazione La Città delle Donne
L’associazione La Città delle Donne è un’organizzazione di volontariato
In proposito, sembra opportuno ricordare che l’associazione Casa della Donna è socia
fondatrice della Rete di Donne in Toscana, aderisce alla Rete regionale e nazionale dei Centri antiviolenza e alla Rete Informativa Lilith. Fa parte, inoltre, del Comitato cittadino per le pari
opportunità, del Coordinamento delle associazioni di donne della Provincia di Pisa e della
Rete delle Biblioteche della Provincia di Pisa.
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che si costituisce a Lucca nel 2007. L’origini dell’associazione sono da
rintracciare nell’esperienza di un gruppo di donne che, come la presidente
stessa, hanno fatto parte della Commissione provinciale per le pari oppor-
tunità di Lucca e che, una volta terminato il proprio mandato nella CPO,
hanno dato avvio ad un nuovo percorso di partecipazione delle donne. In
una fase iniziale, tale percorso è stato declinato nella veste di un movimento orientato a promuovere un nuovo protagonismo delle donne nel territorio.
La nostra esperienza nasce come movimento quindi in maniera
spontanea e da un gruppo di donne prevalentemente che avevano fatto parte di una Commissione pari opportunità provinciale. Finita quell’esperienza iniziano a dire “Non perdiamoci di
vista e proviamo a rincontrarci”. […] Quindi iniziano a incontrarsi
nell’estate del 2006 e poi inizia questo tam tam che chiamò un
po’ a raccolta donne impegnate politicamente, donne che non
ne vogliono sapere assolutamente di impegnarsi politicamente,
donne che sono impegnate già in altre organizzazioni, in altre
associazioni, con l’idea di incontrarsi e costruire un movimento
di donne che vuole promuovere un nuovo protagonismo delle
donne su questo territorio, considerando che questo è un territorio fortemente misogino, c’è un sola donna sindaca su 35
sindaci, nella storia se ne ricorda un’altra ma circa 20 anni fa
cioè non ha mai visto donne assurgere così a ruoli istituzionali.
[Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Come si evince dal brano dell’intervista sopra riportato, il movimento na-
sce con uno specifico orientamento gender sensitive in un’area territoriale,
socio-culturale e politica della Toscana che rivela un sostanziale ritardo
rispetto ad altre realtà del territorio regionale per ciò che concerne la predisposizione di politiche di genere17.
Si noti, in proposito e ad integrazione di quanto riferito dalla presidente nell’intervista, che
l’istituzione di un assessorato con deleghe alle pari opportunità nella Provincia di Lucca è
avvenuta soltanto nel 2001.
17
69
“Siamo arrivate da strade diverse”
Il movimento si pone, dunque, come principali finalità quella di promuovere
una nuova attenzione alla dimensione di genere nell’ambito dell’agenda
politica e, al contempo, di agevolare una più diffusa partecipazione delle
donne tanto nel contesto istituzionale e politico che, più in generale, in
quello della società locale.
Quindi si crea questo grosso movimento […] che diventa un
po’ immediatamente un catalizzatore, non tanto in termini politici
quanto con due obiettivi: l’idea che si potessero promuovere anche in tutta la classe politica e istituzionale delle politiche di cui le
donne sentivano il bisogno e che non vedevano mai nell’agenda
politica complessiva e di promuovere un maggior protagonismo
delle donne su questo territorio, fuori dal contesto strettamente
partitico, in maniera trasversale ai contesti partitici, per svolgere
una funzione altra. […] Diventa uno spazio veramente di partecipazione attiva delle donne e nasce come un movimento, quindi
con la mailing list, totalmente aperto ma anche totalmente fragile
perché poi per fare le iniziative dovevamo farci fare le richieste
formali da altre associazioni, insomma c’era un po’ un problema
di continuità. [Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Già nei primi periodi il movimento, sebbene consenta di facilitare una serie
di pratiche di partecipazione che, come si avrà modo di evidenziare, con-
fluiscono poi nell’esperienza dell’associazione, rivela le fragilità derivanti
dall’assenza di una struttura formalizzata. La formalizzazione avviene nel
2007 con la costituzione dell’associazione di volontariato18 che, tuttavia,
Come evidenzia la presidente, la scelta della tipologia associativa deriva in particolar
modo dalla volontà di esplicitare con chiarezza che la partecipazione nell’ambito dell’organizzazione è effettuata a titolo completamente gratuito: “Abbiamo scelto il volontariato era
perché ci sembrava più radicale su questa dimensione per cui si veniva e si dava del tempo e non si poteva essere retribuiti per il tempo che si dà perché fa parte in qualche modo
dell’associazione…una scelta di campo che evitasse anche delle ambiguità perché poi in un
tempo in cui tutti hanno bisogno di guadagnare due soldi il rischio è sempre di fare le cose
più per il ritorno che viene alle persone che lo fanno che non per i destinatari veri” [Presidente dell’associazione La Città delle Donne].
18
70
“Siamo arrivate da strade diverse”
come rivela la presidente, continua a rappresentare la ‘spina dorsale’ di un
movimento più ampio che volutamente non interessa soltanto le socie.
Abbiamo discusso che tipo di forma darci. Alcune non erano
favorevoli alla formalizzazione perché preferivano il movimento. Alla fine noi abbiamo fatto una scelta un po’ particolare nel
senso che abbiamo scelto l’associazione di volontariato perché
era quella che ci sembrava più rispondente ai nostri obiettivi di impegno. Quindi un gruppo di donne che si incontra, ha un suo spazio,
una sua dimensione di partecipazione ma lo fa con l’obiettivo anche
di coinvolgere altri, con una cosa rivolta anche al cambiamento del
contesto. E però l’abbiamo fatto con una scelta, è una cosa che ribadiamo in tutte le nostre assemblee e in tutte le nostre riunioni, per
noi l’associazione di volontariato è un po’ la spina dorsale intorno
a cui continua a girare un movimento di libera partecipazione che
non richiede la partecipazione formale e l’adesione all’associazione.
[Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Questa tipologia organizzativa che affianca ad un nucleo operativo di so-
cie la partecipazione delle donne che continuano a comporre il movimento
consente di promuovere modalità di partecipazione flessibili in relazione
alle esigenze di ciascuna donna. Si avrà modo di tornare su questo aspet-
to nell’ambito della riflessione specificamente dedicata ai percorsi della
partecipazione femminile, tuttavia, sembra opportuno evidenziare che la
mailing list attivata in occasione dell’attività partecipativa che ha precedu-
to la costituzione dell’associazione risulta ancora oggi uno strumento che
consente di agevolare forme di partecipazione più soft e di mantenere un
collegamento costante tra le socie e il movimento.
Nel tempo, in affinità con le modalità di azione che si sono già rilevate in
riferimento all’esperienza dell’associazione Casa della Donna di Pisa, si
nota che la realizzazione delle attività passa essenzialmente attraverso la
prassi del lavoro in gruppi, una prassi che risulta più facilmente conciliabile
con una disponibilità di partecipazione delle donne che si organizza intorno a progetti di medio termine.
71
“Siamo arrivate da strade diverse”
Noi ci diamo delle cose su cui lavorare anche sulla base della
disponibilità delle persone cioè, potremmo fare diecimila cose
importanti e interessanti, c’è un gruppo di persone che dice
“Noi saremmo disponibili in questo momento a lavorare su questa cosa” e allora quello diventa un gruppo di lavoro che lavora
su quella cosa, quindi ci si organizza in gruppi di lavoro sulla
base della disponibilità temporanea per mesi, per sei mesi delle
persone. Perché forse è più rispondente all’organizzazione delle
persone. [Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Nel corso degli anni l’associazione La Città delle Donne ha realizzato nu-
merose iniziative che, in linea con i principi ispiratori, hanno promosso un
coinvolgimento del tessuto sociale locale. In particolar modo si evidenzia-
no una serie di attività di sensibilizzazione e di ascolto delle esigenze dei
cittadini che hanno trovato concreta attuazione in spazi urbani quali i mercati e le piazze della città.
Anche l’ultima volta abbiamo fatto una cosa che si sviluppava
dentro la città, consegnando volantini per fare una cosa che attirasse un po’ l’attenzione e incuriosisse un po’ le persone perché
sennò altrimenti restano temi per addetti ai lavori. Ecco lo scopo
della nostra associazione e quello di fare proprio da diffusore
e di coinvolgere un po’ di più. [Presidente dell’associazione La
Città delle Donne]
L’obiettivo di favorire un più ampio coinvolgimento dei soggetti del territorio
è nondimeno promosso attraverso la strutturazione di reti con altre associazioni nella logica di integrare le attività e le diverse competenze, valorizzando al contempo una sinergia con le realtà già attive a livello locale.
Una delle priorità nostre era promuovere una dimensione di rete
con altre associazioni […] perché la nostra idea era creiamo
una cosa, perché è una cosa che non c’è, perché ci sembra
che manchi però, al tempo stesso, cercare di fare sinergia il più
72
“Siamo arrivate da strade diverse”
possibile con quello che c’è. [Presidente dell’associazione La
Città delle Donne]
La Città delle Donne vanta, in tal senso, numerose collaborazioni con sog-
getti dell’associazionismo, con il sindacato e fa parte, inoltre, della Consulta
del volontariato istituita presso la Asl di Lucca. Se, come già accennato, l’as-
sociazione affonda le sue radici nell’esperienza della Cpo della Provincia di
Lucca, nella fase attuale, e in particolar modo dopo l’ultimo rinnovo dell’am-
ministrazione si registra un allentamento dei rapporti con la Provincia anche
in conseguenza delle scelte politiche effettuate dall’attuale amministrazione
che hanno portato alla chiusura del Centro provinciale per le pari opportunità.
Noi abbiamo avuto fino all’ultimo rinnovo dell’amministrazione,
nel Centro pari opportunità provinciale, nell’azione della Provincia, un luogo un po’ di interazione e di condivisione di una serie di cose tra cui protocolli sulla violenza, progetti in rete con
altre associazioni.[…] Questa cosa qui ora, con l’ultimo rinnovo
dell’amministrazione, è un po’ venuta meno perché nel ricambio
è arrivata un’assessora giovane che forse crede meno in queste
cose. Con il problema delle spese economiche il Centro è stato
chiuso ed è tornato ad essere un ufficio che fa un lavoro di segreteria. [Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Al contempo, va detto che l’associazione ha sviluppato rapporti di collaborazione strutturati con le Cpo presenti nei Comuni del territorio ed è at-
tualmente impegnata nella promozione della Cpo nel Comune di Lucca. La
logica di rete che La Città delle Donne sostiene attivamente tra i soggetti
gender oriented del territorio ne ha determinato un ruolo di primo piano in
occasione della mobilitazione avvenuta nel contesto della manifestazione
del 13 febbraio 2011.
In quel momento lì, rendendoci conto che questo era un clima che comunque percepivamo molto forte, abbiamo messo
insieme, a partire dalla Città delle Donne che era promotrice,
73
“Siamo arrivate da strade diverse”
poi abbiamo coinvolto altre associazioni e organizzazioni e poi
lanciato l’appello pubblico per far partire la piazza del Se non ora
quando? Abbiamo fatto un po’ da infrastruttura che ha attivato il
processo. […] Con il Se non ora quando? abbiamo riempito una
piazza che neanche i sindacati riempivano in questa città per cui
abbiamo avuto i complimenti da tutti. […] E fu una cosa impressionante per tutti però quella cosa lì io mi rendo conto che è stata una
cosa non più ripetibile, nel senso che gli altri incontri che abbiamo
promosso successivamente erano comunque numeri più ridotti di
persone. [Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Il confronto con l’esperienza del Se non ora quando? diviene anche l’occa-
sione per riconfermare l’efficacia della scelta effettuata al momento della
costituzione dell’associazione, dunque, della volontà di darsi una struttura
organizzativa formale seppur flessibile.
Una delle difficoltà che riscontriamo è questa che quando un
movimento è movimento poi alla fine non si capisce chi lo rappresenta per cui c’è questa cosa che chi si incontra stasera decide una cosa e poi gli altri gruppi che non ci potevano essere
stasera su quella cosa non sono d’accordo e allora dicono “mah
rivediamola”. Insomma ci sono un po’ di difficoltà e quindi sta
nascendo l’esigenza di dire “troviamo chi rappresenta questo
movimento più stabilmente questo movimento” però i numeri di
cui parliamo, da una mobilitazione che ha coinvolto migliaia di
persone, stiamo parlando di un gruppo ristretto che sta in una
stanza come questa quindi 40-50 persone, è tutto un altro tipo di
dimensione. [Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Al contempo, dalla sinergia con il comitato lucchese del Se non ora quando? sono nate nuove iniziative che hanno dato luogo ad attività realizzate
congiuntamente nell’ambito della sensibilizzazione sul tema della violenza e sul tema della democrazia paritaria.
Tra le iniziative più recenti poste in essere dall’associazione è da ricor-
dare il progetto Cesvot “Consapevoli e attive”, un percorso formativo
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“Siamo arrivate da strade diverse”
rivolto a donne che ha riconfermato la necessità di lavorare ancora alla
strutturazione di una rete tra soggetti gender sensitive che sia articolata
in modo tale da poter efficacemente veicolare le informazioni sulle politiche di genere attive nel territorio.
Con il Cesvot abbiamo fatto un progetto che è stato molto impegnativo per noi, “Consapevoli e attive”, che aveva l’obiettivo di
offrire un’opportunità di formazione a donne impiegate in varie
organizzazioni o che hanno voglia di impegnarsi. […] Una delle
cose che emergeva, e di cui si lamentavano le donne che partecipavano, è che c’è poca informazione, circolazione di informazione, cioè a volte c’è veramente un procedere a compartimenti
stagni e…il bisogno di fare rete, cioè molto donne che hanno
partecipato a questo corso, di diverse associazioni, o donne
che si volevano impegnare, la cosa che chiedevano prevalentemente era che, per poter incidere, poter fare attività, una delle
cose che si rendevano conto, tra le cose che avevano imparato
in questo corso, è che c’erano già tantissime iniziative su questo territorio e che loro non le conoscevano, pur essendo impegnate, chi a livello istituzionale, chi a livello di organizzazioni.
Ognuno conosceva o il suo segmento territoriale, o il suo settore
di associazione e gli mancava un po’ una visione trasversale.
[Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Riepilogando, l’associazione Città delle Donne rappresenta un’esperienza dell’associazionismo femminile che mostra alcune peculiarità derivanti dalle sue origini come movimento. Ciò corrisponde sul piano organizzativo alla predisposizione di meccanismi flessibili di partecipazione e si
accompagna ad una logica di promozione e di strutturazione di rapporti
reticolari con altre realtà del territorio, sia del Terzo Settore che istituzionali.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
L’associazione Ireos – Comunità queer autogestita
Ireos è un’associazione di volontariato di e per gay, lesbiche, bisessuali,
transgender, intersessuali che nasce nel 1996 a Firenze su iniziativa di un
gruppo di persone che avevano già partecipato attivamente nel contesto
dell’Arcigay Arcilesbica.
Ireos, quando è nata nel 1996, è nata per portare avanti un’esperienza associativa che esisteva già a Firenze che era quella
dell’Arcigay Arcilesbica che nel ’96 ha avuto una consacrazione
sia esterna perché […] c’è stata la divisione di Arci gay da Arci
lesbica che in passato erano un circolo unico e Firenze era un
circolo misto quindi era difficile con il coltello dividere a metà
queste due anime. E poi c’è stata la deflagrazione interna, diciamo, dove un gruppo più politico, più legato alle attività ricreative, si è diviso da un gruppo che invece seguiva più l’attività del
consultorio. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
In un primo momento l’obiettivo specifico dell’associazione è quello di
dare seguito all’esperienza del consultorio della salute, avviata nell’ambito
dell’Arcigay Arcilesbica nei primi anni Novanta. Da deriva la prima definizione di Ireos come Centro servizi autogestiti comunità queer.
Centro servizi perché c’era proprio l’idea di dare continuità
a quei servizi del consultorio della salute, un consultorio che
esiste a Firenze da più di 20 anni, che è nato sull’emergenza
dell’hiv dei primi anni ’90 con rapporti anche molto stretti con
gli operatori sociosanitari. […] Quindi, in un momento di divisione, di strategie generali anche per politiche più ampie, c’è
stato un piccolo gruppo che comunque ha voluto dare continuità a quel tipo di esperienza. Ha scelto di costituire una realtà
di volontariato […] e ha scelto poi, fin dall’inizio, di cercare
un’affiliazione con un’altra rete di volontariato che è l’Anpas,
l’associazione nazionale delle pubbliche assistenze. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
76
“Siamo arrivate da strade diverse”
Una delle peculiarità di Ireos è quella di costituirsi, già a partire dal momento fondativo, come associazione queer di volontariato affiliata ad una
rete, quella dell’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (Anpas),
nell’ambito della quale si costituisce quale unico soggetto gender oriented
e gender sensitive19.
Negli anni immediatamente successivi la costituzione dell’associazione
le attività tendono prevalentemente a concentrarsi sui servizi realizzati
nell’ambito del consultorio della salute. Al contempo tali servizi, in particolar modo la possibilità offerta agli utenti di accedere gratuitamente al
test per l’HIV, consentono di intercettare eventuali disagi e di orientare gli
utenti stessi verso altri servizi del consultorio.
Il test era l’occasione per entrare a contatto con una situazione
di disagio che comunque era più ampia per cui si resero conto che le perone omosessuali avevano bisogno di una sorta di
mediazione sociale rispetto agli ambiti nei quali vivevano una
forte conflittualità che poteva essere quello lavorativo piuttosto
che quello familiare. […] Per cui al test è associata una piccola
consulenza che fanno dei volontari formati e che serve anche
per capire se c’è un disagio più ampio ed eventualmente per
indirizzare su quelle che sono le altre attività e gli altri servizi del
consultorio della salute. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
Nel tempo la portata delle attività poste in essere da Ireos tende ad am-
pliarsi con una progressiva integrazione degli ambiti di intervento e un’apertura delle iniziative promosse alla cittadinanza nel suo complesso20.
Come nota l’ex presidente: “l’Anpas è un po’ la casa madre a cui noi aderiamo e in cui
siamo un po’ la mosca bianca che viene portata anche come esempio positivo”. In questo
senso è da notare che la sinergia tra Ireos ed Anpas non ha agevolato una più ampia diffusione dell’esperienza del consultorio della salute che resta, ad oggi, una peculiarità del
contesto fiorentino.
20
Ciò corrisponde anche ad una revisione del nome e del logo dell’associazione che da
Centro servizi autogestito comunità queer diviene Comunità queer autogestita. Per maggiori
informazioni sul logo e sul nome dell’associazione Cfr. in Appendice.
19
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“Siamo arrivate da strade diverse”
L’impressione è che, io l’ho visto da testimone un po’ più lontano
prima e da vicino successivamente, che il focus dell’associazione
inizialmente erano le persone omosessuali, lesbiche e trans e le
loro famiglie in parte. Progressivamente abbiamo iniziato a rivolgerci a tutta la cittadinanza. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
Alle attività del consultorio sono dunque affiancate attività di carattere culturale; tra queste il Florence Queer Festival, una rassegna di cinema, arte,
teatro e letteratura a tematica Lgbt che l’associazione Ireos organizza annualmente nel contesto della Cinquanta giorni di Cinema internazionale a
Firenze. Oltre ad essere un’occasione di visibilità, di sensibilizzazione e di
promozione della cultura queer nell’ambito del tessuto sociale locale, tale
evento si configura nondimeno come un momento simbolico che, come
riferisce l’ex presidente, agisce da collante rispetto al tessuto associativo
e alla comunità queer.
Ancora, a partire dal 2005, Ireos è impegnata nella realizzazione di per-
corsi formativi nell’ambito delle scuole secondarie di I grado del territorio,
in particolare attraverso il progetto “Da Giove e Giunone a Barbie e Ken”,
finanziato dal Comune di Firenze nell’ambito del programma “Le chiavi
della città”. Tale progetto ha come principale obiettivo quello di intervenire sui bullismi e le discriminazioni connessi agli stereotipi di genere21.
Un progetto analogo ma che ha invece avuto una veste più sperimentale,
andando a coinvolgere le scuole dell’infanzia, è stato realizzato nel 2011;
un’esperienza che, come nota l’ex presidente di Ireos, ha messo in luce la
necessità di promuovere una riflessione sugli stereotipi di genere fin dalla
più tenera età.
Le attività di Ireos sono affiancate da una costante attenzione alla forma-
zione dei volontari, attività di cui si riconosce il valore anche in relazione
Per maggiori approfondimenti sulla metodologia di intervento e i risultati conseguiti, cfr.
http://www.chiavidellacitta.it/blog/da-giove-a-giunone-a-barbie-e-ken-un-intervento-suibullismi-e-le-discriminazioni-legati-agli-stereotipi-e-ruoli-di-genere/.
21
78
“Siamo arrivate da strade diverse”
alla possibilità di ritorno riflessivo sulle modalità operative adottate dall’associazione stessa.
Devo dire la formazione per noi è importante. Io ora sono volontario da 11 anni ma sento ancora l’esigenza di farla. è anche
l’occasione per incontrare nuovi volontari ma anche per mettere
in discussione delle modalità, delle prassi che si sono…che poi
comunque nei gruppi associativi tendono a irrigidirsi. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
Sia in virtù di una storia associativa consolidata che come conseguenza
di un’apertura verso la strutturazione di rapporti di rete con gli altri sog-
getti del territorio, Ireos ha avuto modo di sviluppare numerose sinergie
con altri soggetti dell’associazionismo locale. In questo senso, la ricorren-
te partecipazione ai progetti promossi nell’ambito dei bandi Cesvot hanno
rappresentato un’ulteriore occasione per conoscere altre realtà associative. L’associazione, oltre ad aderire al coordinamento regionale dei gruppi
di auto e mutuo aiuto, fa parte della Consulta, recentemente istituita dal
Comune di Firenze, contro l’omofobia e per i diritti delle persone LGBT.
In proposito è interessante notare come l’esperienza della Consulta si con-
figuri come una nuova occasione per riflettere sulle dinamiche che presiedono la diversa categorizzazione dei generi nell’ambito di un confronto tra
associazioni gender oriented.
Ora il Comune di Firenze ha attivato una Consulta rispetto alla
violenza di genere e ci siamo anche noi insieme a associazioni
più di donne. Per cui è importante che il nostro contributo, anche in situazioni politiche di questo tipo, sia un contributo che
ha alla base un pensiero legato alla nostra storia, legato, ad
esempio, all’idea del queer che è qualcosa che destruttura…È
una decostruzione del genere che va fino alla radice. Esatto, e
che non sempre l’espressione delle associazioni femminili hanno recepito o comunque condividono. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Nella sua caratterizzazione identitaria, Ireos, si configura fin da subito
come un’associazione queer; in particolare, quella molteplicità soggettiva e di percorsi che l’esperienza del consultorio della salute aveva
messo in luce contribuisce a valorizzare la scelta di proporre un riferimento identitario ampio.
Questa scelta della comunità queer è una scelta in qualche
modo di non identificare un nucleo identitario preciso come all’epoca stava succedendo all’interno delle associazioni nazionali,
Arcigay Arcilesbica, dove comunque c’era una traccia identitaria che poi molto spesso non riguardava neanche la questione
dell’orientamento sessuale ma riguardava anche il modo con
cui questo era agito. […] Mentre, l’esperienza del consultorio
della salute è un’esperienza di contatto della popolazione e ti
rendi conto di come esistono veramente percorsi molto diversi
e come non tutte le soluzioni possono essere adatte a tutte e a
tutti. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
Ad un profilo identitario declinato sulla base di una logica inclusiva si associa una tendenza a privilegiare un senso di appartenenza soft in grado
di conciliarsi con appartenenze altre e con diverse forme e tipologie di
partecipazione al contesto associativo.
La parola appartenenza è una parola importante per Ireos perché
Ireos ha sempre privilegiato un senso di appartenenza debole
per cui è sempre stata una realtà che, da un lato, ha sempre favorito la nascita di altri gruppi, di altre associazioni, di movimenti,
anche di gruppi informali, quindi io penso non soltanto ad Arci Lesbica Firenze che poi è stata ricostituita in parte anche da donne
di Ireos nel 2005 […], ma penso anche ad associazioni più informali per cui, appunto, […] c’è un gruppo giovane adesso che si
ritrova qui e anche ad Azione Gay e Lesbica che è un gruppo che
è autonomo rispetto all’associazione ma che in qualche modo trova uno spazio che è stato per noi un luogo per fare insieme delle
iniziative e in cui abbiamo trovato anche delle nuove persone che
80
“Siamo arrivate da strade diverse”
si sono impegnate nei progetti come volontari. […] Secondo me
funziona molto questo essere e proporre un’appartenenza leggera, proporre questo scegliere di fare rete con più soggetti, questo
non voler essere l’interlocutore unico ma essere uno degli interlocutori, aver lottato perché a Firenze ci fosse una pluralità di voci.
[Ex Presidente dell’associazione Ireos]
In questo senso, come nota l’ex presidente, circoscrivere la base associativa di volontari che costituiscono Ireos risulta un’operazione complessa poiché si tratta di un panorama estremamente variegato di per-
sone che si differenziano sia in riferimento alle attività svolte, sia per ciò
che concerne le modalità stesse con cui tali attività sono realizzate.
I volontari sono circa, anche lì è complessa la cosa…perché
per me il volontario di Ireos è anche chi organizza le feste e
magari non viene mai a volantinare per l’iniziativa che facciamo nella discoteca, il volontario di Ireos è chi qui non è mai
venuto ma fa il lavoro di traduzione dei film per il Florence Festival, […] poi ci sono i volontari che vedi che vengono qui il
pomeriggio e […] che organizzano le iniziative. Io una volta
li contai ed ero arrivato sulle 40 persone, secondo me siamo
sulla cinquantina adesso, attive e attivabili, persone attive e attivabili che se so che se devo fare un intervento in una scuola
e ho bisogno di avere un gruppetto di ragazzi giovani che ci
vanno posso contare su queste persone che vanno lì per conto
dell’associazione. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
Nella storia dell’associazione le figure di vertice, così come le figure simboliche di riferimento, confermano lo spirito queer dell’associazione. Attualmente il ruolo del presidente è rivestito da una donna. Come eviden-
zia l’ex presidente la volontà di dotarsi, in linea con la caratterizzazione
dell’associazione, di un organismo esecutivo che sia in grado di dare
rappresentanza alle diverse soggettività di Ireos resta una priorità.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Il fatto che ci siano associazioni che si vogliono autorappresentare per me è un valore importante. Io non la rappresento una
persona transessuale, cioè, mi sono trovato a volte a farlo […]
in un contesto bello però secondo me le persone è giusto che
si rappresentino. Ora non abbiamo, ad esempio, una persona
trans nel nostro consiglio esecutivo, nel nostro organismo politico e questa è una mancanza che noi sentiamo tantissimo che
poi…siamo meno queer. [Ex Presidente dell’associazione Ireos]
In sintesi, Ireos offre uno sguardo sulle dinamiche della partecipazione
femminile di un soggetto associativo gender oriented che, nel proporsi
come comunità queer, promuove attivamente una decostruzione degli
stereotipi di genere. Al contempo, come si avrà modo di evidenziare nelle pagine che seguono, l’esperienza dell’ex presidente, sia nell’ambito
di Ireos che, più recentemente, nel contesto del Cesvot, ne determina
un ruolo di testimone privilegiato per una lettura dellle dinamiche relative
alla rappresentanza e alla partecipazione femminile che caratterizzano il
mondo del volontariato.
L’associazione Le Mafalde
L’associazione Le Mafalde nasce nel 2009 su iniziativa di un gruppo di
donne italiane che, dopo aver frequentato un master presso l’Università
di Firenze su “Genere e pluralismo culturale”, decidono di avviare un’esperienza di partecipazione nel contesto del volontariato. In particolare,
il gruppo, costituito in prevalenza da giovani donne che già lavorava-
no in ambiti che avevano attinenza con la tematica dell’immigrazione,
intravede nell’associazionismo volontario l’opportunità di promuovere in
maniera autonoma una serie di attività e iniziative che fossero in grado di
rispondere ai bisogni che l’esperienza lavorativa a contatto con i migranti
aveva fatto emergere.
82
“Siamo arrivate da strade diverse”
Volevamo fare qualche cosa, l’idea era di lavorare nell’ambito
dell’immigrazione ma come volevamo noi. Conoscendo le criticità che avevamo nel nostro mondo lavorativo, vedevamo che
c’erano delle cose che potevano essere fatte per le persone
migranti. [Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
Emerge da subito la volontà di dare una connotazione interculturale
all’associazione e, in tal senso, il gruppo delle promotrici si rivolge a
donne migranti che avevano appena concluso un corso di mediazione
culturale per avviare insieme l’esperienza dell’associazione e, con essa,
la prima attività realizzata dall’associazione stessa, vale a dire lo Sportel-
lo Donne per l’Intercultura.
Eravamo d’accordo sull’idea e sul fatto che se parliamo di immigrazione all’interno [dell’associazione] ci devono essere le stesse donne immigrate. Quindi all’inizio abbiamo proposto questa
cosa a delle donne che comunque avevano finito di fare un bel
corso per mediatrici culturali e che non stavano facendo niente,
come succede spesso. Loro comunque avevano voglia di mettere in pratica quello che avevano imparato e quindi abbiamo
aperto uno sportello, il Punto donne per l’intercultura, dove loro
potessero mettere in pratica le loro conoscenze. [Ex Presidente
dell’associazione Le Mafalde]
Nella fase di avvio dell’esperienza associativa la scelta di dare una carat-
terizzazione femminile all’associazione risulta dibattuta. Come racconta
l’ex presidente, sono in particolare le donne immigrate a sollevare degli
interrogativi in merito.
Io e altre donne avevamo chiaro che volevamo farla al femminile, molte altre donne, soprattutto donne immigrate, non erano
molto convinte perché dicevano: “Si, vabbè, ma perché dobbiamo escluderli?” […]. Sostenevamo quell’importanza di crearci
uno spazio nostro al femminile […] uno spazio dove noi donne
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“Siamo arrivate da strade diverse”
potessimo interagire su cose che riguardano sia donne che uomini però lavorare molto su di noi, su cosa manca alle donne,
su cosa potremmo fare con un’attenzione comunque al genere,
con un’ottica di genere e questo abbiamo fatto in tutti questi
anni. [Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
A distanza di quattro anni dalla costituzione dell’associazione, la scelta
di istituire un’organizzazione di volontariato femminile è riconfermata dalle donne che compongono Le Mafalde e, anche coloro che non erano
propriamente convinte in una fase iniziale hanno riconosciuto le opportu-
nità derivanti dall’avere uno spazio di azione e di condivisione declinato
esclusivamente al femminile.
Va detto che, nonostante la giovane età dell’associazione, nel corso degli
anni si sono verificati dei mutamenti nella composizione della base as-
sociativa. In particolar modo, alcune delle componenti, prevalentemente
immigrate, hanno messo in discussione la natura stessa dell’associazione in quanto organizzazione di volontariato spinte dalla volontà e dalla
speranza di poter agevolare, attraverso altre forme associative, delle attività che consentissero un ritorno in termini di inserimento lavorativo.
Negli anni ci sono state varie spaccature, perché all’inizio ci sono
state molte donne che si sono avvicinate a noi, che sono state con
noi. Poi ci sono state varie spaccature, molte donne che avevano
formato il gruppo se ne sono andate perché non combaciavano
più alcuni interessi e quindi, soprattutto ultimamente, siamo molte
meno rispetto all’inizio. Molte donne immigrate speravano anche
in un lavoro, cioè, sì il volontariato ma anche un lavoro. E quindi
vedendo che comunque non stava succedendo questo…eppure
noi siamo state sempre molto chiare su questo, che eravamo volontariato però magari un gruppo di noi vorrebbe che [l’associazione] si trasformasse in un’associazione di promozione sociale
per fare qualcosa di più in ambito lavorativo. Per questo molte
se ne sono andate, soprattutto donne immigrate. [Ex Presidente
dell’associazione Le Mafalde]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Le suddette trasformazioni hanno portato ad un sostanziale ridimensiona-
mento della base associativa che attualmente e costituita da una decina di
donne. Al contempo il nucleo di persone che continua ad animare Le Mafal-
de ha deciso di avviare un percorso di riflessione interno orientato non soltanto a recuperare una rappresentazione condivisa per ciò che concerne l’o-
rientamento identitario e la mission dell’associazione ma anche a riscoprire
l’associazione stessa come ambito di socialità e di condivisione personale.
Ora come ore non siamo tantissime ed è per questo che ci siamo date questo anno, quasi, di riflessione per incontrarci, fare
sempre delle cose, però capire bene quello che vogliamo. […]
Recuperare una cosa che mancava per [il fatto di] rincorrere
sempre progetti e attività, lo stare assieme e chiacchierare di
noi, come siamo, come non siamo, iniziare a trattare alcuni temi
tipo: cosa pensiamo del femminismo, cosa pensiamo del sessismo, cosa pensiamo dell’omofobia cioè iniziare a discutere su
dei temi che ci possono unire, ci possono non unire però conoscerci meglio. Perché noi all’inizio abbiamo fatto tantissime attività, ma tante, tante, tanti progetti però poi era quasi una corsa
a fare, fare, fare […] e secondo me molte donne se avessero
avuto un rapporto di relazione umana più forte con noi non se
ne sarebbero andate come invece è successo. [Ex Presidente
dell’associazione Le Mafalde]
Nonostante la sua breve storia, l’associazione interculturale Le Mafalde
ha infatti promosso numerose attività. Tra queste il Punto donne per l’In-
tercultura, uno spazio gestito dalle donne dell’associazione e orientato
a fornire servizi di informazione, orientamento e aiuto nella compilazione delle pratiche che si rivolge alla popolazione migrante presente sul
territorio. Come si legge nel sito web dell’associazione “con l’apertura
di questo spazio non si vuole creare un ennesimo sportello immigrazione ma si vuole realizzare un luogo dove delle donne possano lavorare
assieme per fornire delle risposte non solo in tema di immigrazione ma
85
“Siamo arrivate da strade diverse”
riguardo a problematiche che coinvolgono in prima persona le donne
immigrate. Uno degli obiettivi di questo progetto è sviluppare, sia nelle
donne native che in quelle immigrate, una maggiore autodeterminazione
femminile e una maggiore valorizzazione di sé”. Si tratta, dunque, di un
servizio rivolto a tutta la popolazione migrante ma che conserva, in linea
con la mission e le caratteristiche identitarie dell’associazione, un orientamento gender sensitive.
Altre attività sono state realizzate nell’ambito della formazione sulla me-
diazione linguistico-culturale, in particolare, attraverso i progetti Women
for immigrants 1 e Women for immigrants 2 finanziati dalla Regione To-
scana (Assessorato alle Pari Opportunità) nell’ambito della Legge regionale 16/2009 (Cittadinanza di genere).
Sempre nell’ambito delle attività formative è da ricordare il progetto Gener-Azioni contro il razzismo e il sessismo, finanziato dal Cesvot e patro-
cinato dal Comune e dalla Provincia di Prato, che ha previsto la realizza-
zione di un corso e di laboratori di arte e intercultura in cui le partecipanti
hanno realizzato dei materiali contro le discriminazioni.
L’associazione è inserita in vari network composti da associazioni e da
soggetti istituzionali, tuttavia, come nota l’ex presidente, la strutturazione
di reti solide orientate da una logica di progettualità concreta e che siano
in grado di coinvolgere tanto le donne italiane che immigrate resta ancora un obiettivo da realizzare.
A Prato qualche anno fa era molto forte questa voglia di stare
insieme, eravamo insieme alla rete del Comitato 1° marzo, abbiamo aiutato a organizzarlo, l’abbiamo fondato, per tanto tempo l’abbiamo seguito. Come quando c’è stata la rete antirazzista
a Firenze, ugualmente, abbiamo aderito, partecipato, eccetera.
Diciamo quando ci sono queste reti varie ci chiamano, partecipiamo però spesso sono cose che un po’ passano […] anche
se non sono occasionali poi alla fin fine, guarda, io credo molto
nella concretezza e quindi se uno sta lì e sta a chiacchierare
sulle solite cose, sta sempre soprattutto tra italiani, il problema
86
“Siamo arrivate da strade diverse”
è fare una rete di immigrati e poi alla fine sono tutti italiani. [Ex
Presidente dell’associazione Le Mafalde]
Come già accennato l’associazione ha recentemente avviato una fase
che di riflessione che è orientata a recuperare innanzitutto l’esperien-
za associativa come esperienza di condivisione, come creazione di
uno spazio di incontro e di socializzazione nell’obiettivo di creare, anche in vista delle esigenze avvertite dalle donne immigrate, un luogo
avvertito come proprio.
Non è che bisogna fare, fare, fare ma cerchiamo di stare anche
dentro cioè, sono le chiacchierate tra di noi, la voglia di stare tra
di noi e quello è fondamentale perché le donne immigrate questo
vogliono anche. (A) Quelle che sono rimaste gli fa piacere stare
assieme semplicemente per non stare sole a casa ed è importantissimo. Noi abbiamo creato una rete, una seconda famiglia,
delle amiche, una famiglia e questo qua è molto bello; questa è
una grande vittoria al di là dei progetti vinti, al di là delle cose. E
su questo qua credo che noi ora dobbiamo molto lavorare con
le persone che arrivano: creare casa, creare famiglia e farle star
bene e poi offrire servizi per fare star bene anche altre persone.
[Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
Nel complesso Le Mafalde rappresenta un’esperienza associativa femminile che si contraddistingue per la sua caratterizzazione interculturale
oltre che per una base associativa che, seppur contenuta, è caratteriz-
zata dalla giovane età delle socie-volontarie. Come si avrà modo di evidenziare in riferimento al tema della partecipazione femminile, l’associa-
zione offre un punto di vista privilegiato per riflettere sull’agire volontario
delle donne con particolare attenzione alla dimensione generazionale e
all’appartenenza etnica delle volontarie.
87
“Siamo arrivate da strade diverse”
L’associazione Olympia de Gouges - Centro accoglienza
donne maltrattate
L’associazione Olympia de Gouges si costituisce nel 1999 come associazione femminile che ha come specifico obiettivo quello di promuovere
interventi di assistenza nell’ambito della violenza di genere. Si tratta di
un’associazione femminile di volontariato che, come racconta la presi-
dente, è frutto di una precedente esperienza associativa sempre declinata al femminile.
Attraverso un convegno che fu fatto dalla Provincia, sollecitato
dal Centro donna e dalle donne delle istituzioni, venne fuori la
necessità di costituire un’associazione che avesse come interesse esclusivo quello di contrastare la violenza. In un primo
momento ci ritrovammo a costituire un’associazione, un piccolo
gruppo di donne e la chiamammo “Nora casa di donna”, poi
cominciammo a lavorarci sopra, cercando di estendere ad altre donne questa nostra iniziativa eccetera, poi venne fuori che
la Regione avrebbe dato dei soldi a fondo perduto perché nascessero nuovi centri antiviolenza o per appoggiare quelli che
già c’erano. Allora, le istituzioni grossetane, Provincia, Comune
e Asl, decisero di prendere l’iniziativa e di essere loro stessi a
creare un centro antiviolenza da dare in gestione ad una associazione di donne che si occupava esclusivamente di violenza e
che fosse stata disposta ad un’accurata preparazione. Noi aderimmo subito e intanto quest’associazione era cresciuta quindi
era un’associazione che dopo aver fatto due anni e mezzo di
preparazione attraverso Artemisia eccetera, essendosi allargata decidemmo di cambiare nome perché tutti si dovevano riconoscere in questa associazione. [Presidente dell’associazione
Olympia de Gouges]
Dopo il percorso costitutivo l’associazione avvia una serie di attività di
sensibilizzazione che, avvalendosi anche del tramite di alcuni media
88
“Siamo arrivate da strade diverse”
locali, coinvolgono l’intero territorio. Tramite queste attività la violenza
di genere, dapprima sommersa, emerge con più evidenza anche nel
territorio del grossetano.
Quando abbiamo cominciato a lavorare si è scoperchiata la pentola, il vaso di Pandora, perché Grosseto che sembra tanto tranquilla
si è rivelata una città, un luogo dove la violenza c’è e ce n’è tanta
ed è soprattutto sommersa. Quindi abbiamo cercato di studiare dei
modi per far emergere il problema. [Presidente dell’associazione
Olympia de Gouges]
Nel corso di alcuni anni, anche grazie alla partecipazione a progetti finanziati dalla Provincia, l’associazione istituisce una serie di punti di ascolto
dislocati sul territorio provinciale destinati ad intercettare e ad assistere le
donne maltrattate. Presso i propri sportelli l’Olympia de Gouges mette a disposizione consulenze psicologiche e legali gratuite; dispone, inoltre, della
possibilità di fruire di Centri di Accoglienza nei casi in cui si rileva un’urgenza dell’allontanamento dell’utente dal maltrattante.
Nel tempo le attività promosse dall’associazione hanno trovato una progres-
siva sinergia con i soggetti del territorio. In particolare, nel 2010, con l’avvio del progetto Codice rosa promosso dall’Azienda Usl 9 di Grosseto, si
inaugura una task force attiva nell’ambito della violenza sulle donne22 e che
prevede la presenza presso il pronto soccorso ospedaliero di un’équipe
sanitaria adeguatamente formata.
E questo è stato secondo me veramente un grosso balzo in avanti,
poi questo codice rosa è stato molto apprezzato, […] dalla Regione Toscana la quale ha detto che doveva essere una prassi da
La task force è riunisce un gruppo di lavoro operativo, che, con la propria specifica
attività, fa parte del sistema istituzionale provinciale antiviolenza e che vede la collaborazione di Prefettura e Questura, Procura della Repubblica, Provincia, Comando
provinciale dei Carabinieri, Ufficio scolastico provinciale (Centro servizi amministrativi di Grosseto), Comuni e Società della salute, Associazioni di volontariato, Asl 9. cfr.
http://www.usl9.grosseto.it/default.asp?idlingua=1&idContenuto=2989.
22
89
“Siamo arrivate da strade diverse”
diffondere. Poi ci sono stati pareri contrastanti ma per quello che riguarda Grosseto io posso dire che per noi è stato un arricchimento.
Altri centri antiviolenza pensano che invece sono stati scavalcati,
questo dipende da…noi ne abbiamo vissuta la nascita e abbiamo
sempre fatto tutto insieme e non c’è stata una prevaricazione. […]
Il percorso viene fatto dal centro antiviolenza che viene avvantaggiato dalla fiducia che la donna incontra trovando personale preparato perché non si sente rifiutata ma per la prima volta si sente
creduta [Presidente dell’associazione Olympia de Gouges]
L’associazione è inserita nella Rete nazionale dei centri antiviolenza e fa
parte della Rete di coordinamento dei centri antiviolenza toscani (Tosca).
In oltre un decennio di vita dell’associazione sono intervenute varie modi-
ficazioni nel contesto della base associativa. Allo stato attuale, a fronte di
un centinaio circa di socie, le attività di sportello realizzate presso la sede
grossetana dell’associazione possono fare affidamento su una decina di
volontarie attive. Si tratta di un gruppo che è prevalentemente costituito
da donne pensionate e questo è avvertito come un limite di non poco
conto per ciò che concerne la vitalità del contesto associativo stesso.
Le ragazze giovani, e noi ne abbiamo avute un gruppo molto in
gamba, vengono in attesa di trovare un altro lavoro perché non
sono pagate per niente, un gettone, non c’è niente. E quindi la
maggior parte di noi è pensionata e questa, francamente, non è
una bella cosa perché, voglio dire, il volontariato dovrebbe raggruppare sia persone diversamente giovani [ride] che persone
giovani, sarebbe una linfa vitale, però fino a che è volontariato
puro questo è impossibile farlo perché la gente deve mangiare. […] Diventa un lusso, ecco io vorrei che fosse sottolineata
questa parte qui che il volontariato delle persone giovani è un
lusso e ci sono tanti che avrebbero voglia di farlo perché c’è un
interesse sempre maggiore sul sociale perché ci si rende conto
che se non c’è una spinta dal basso. […] Sarebbe importante
nel volontariato, anche in questo tipo di volontariato, che ci fosse la possibilità di avere delle persone giovani, con delle lauree
90
“Siamo arrivate da strade diverse”
appropriate. […] Così come stanno le cose questo è un lusso
e le persone pur volendolo fare non se lo possono permettere.
[Presidente dell’associazione Olympia de Gouges]
Come evidenzia la presidente e come già osservato in riferimento all’esperienza del centro antiviolenza della Casa della Donna di Pisa, si tratta di un
ambito di intervento che sia per le esigenze di professionalizzazione delle
operatrici che per la tipologia del lavoro svolto risulta difficilmente conciliabile
con un impegno di risorse umane provenienti esclusivamente dal volontario.
Le peculiarità del settore di intervento ha implicazioni anche per ciò che
concerne il rapporto tra operatrici volontarie e utenti. Emerge la necessi-
tà di promuovere una solidarietà di genere che sia in grado, tuttavia, di
mantenere il distacco indispensabile alla definizione dei ruoli e, di conseguenza, alla creazione di una relazione di aiuto.
Se io sono una donna maltrattata e per riscattare il mio passato voglio fare il volontariato non sono in una fase empatica nel
rapporto con l’altra donna ma sono estremamente coinvolta perché abbiamo un nemico in comune, allora non c’è quel giusto
distacco che ci vuole nel colloquio con la donna. […] Io devo
avere un atteggiamento empatico ma io sono io, non sono la sua
amica, non sono quella che gli piangi sulla spalla […]. Ci deve
essere questo distacco perché lei deve sentire che si può fidare. [Presidente dell’associazione Olympia de Gouges]
L’Olympia de Gouges mostra le specificità di un’associazione femminile di volontariato che si costituisce essenzialmente in relazione ad interventi e iniziati-
ve che riguardano la violenza di genere, quindi con una mission di tipo gender
oriented. Al contempo si configura come un contesto partecipativo caratterizzato, seppur in maniera inintenzionale, da una base volontaria costituita in pre-
valenza da donne di età avanzata e, in questo senso, consente di articolare,
comparativamente con gli altri casi, alcune riflessioni per ciò che concerne la
caratterizzazione della partecipazione femminile nelle diverse fasi di età.
91
“Siamo arrivate da strade diverse”
Le donne del 13 febbraio - Comitato senese
del Se non ora quando?
L’esperienza del comitato senese del Se non ora quando? (Snoq) prende
avvio, così come è avvenuto per la maggior parte dei comitati dislocati sul
territorio nazionale, in occasione della mobilitazione del 13 febbraio 2011. La
data resta un momento simbolico di riferimento per il gruppo di Siena – che
si autodefinisce, appunto, Le donne del 13 febbraio – poiché la manifesta-
zione è riuscita a dare avvio ad una partecipazione attiva di donne e, come
spiega una delle referenti, a inaugurare un nuovo spazio “di voce collettiva”.
Il 13 febbraio, come a livello nazionale si sa è successo, è stato in
grado di attrarre in un momento storico particolare, il berlusconismo eccetera, eccetera, anche donne come per esempio me […]
che pur essendo sensibili, avendo voglia, facevano fatica, come
dire, a uscire dal proprio privato […] e di trovare un contesto da
condividere insieme alle altre donne. Questo in tutte le piazze di
Italia il 13 febbraio, moltissime…perché poi siamo riuscite ad uscire un po’ dalla propria quotidianità e trovare questo spazio di forza
collettiva, di voce collettiva. [Intervista 1 - Comitato Snoq Siena]
Da subito, il gruppo si contraddistingue per una composizione estrema-
mente eterogenea in termini di percorsi, esperienze di partecipazione,
background culturale e sociale. In sintesi, si possono tuttavia rintracciare
due principali componenti del comitato nel momento della sua istituzione: una costituita da donne che avevano già avuto esperienze di parte-
cipazione nel contesto dell’associazionismo femminile e dei movimenti
femministi senesi, l’altra, invece, formata da donne che intraprendevano
per la prima volta un percorso di partecipazione politica attiva.
Possiamo, semplificando molto, dire che c’è stato uno zoccolo
importantissimo in questa formazione che sono donne da anni
attive in vari ambiti del femminismo, dei movimenti di genere nel
92
“Siamo arrivate da strade diverse”
senese. […] Quindi un po’ queste due componenti: chi già da
anni militava, ha avuto grandi esperienze importanti nella storia
di Siena e chi invece, un pochino, per lo meno sul piano dell’azione politica vera, […] nella pratica politica si affacciava in quel
momento. [Intervista 1 - Comitato Snoq Siena]
L’esperienza de Le donne del 13 febbraio è diventata dunque anche
un’occasione di confronto tra queste due ‘anime’ del movimento, alimentando un dialogo che, come racconta una delle referenti, ha riguardato
tematiche inerenti le modalità di autodefinizione – in particolar modo ri-
spetto al qualificarsi come femministe o meno. In taluni casi, invece, sulla
base di questa diversa provenienza si sono verificati veri e propri dissidi
che hanno determinato l’uscita di alcune donne dal gruppo.
Sul confrontarsi tra donne che hanno vissuto, hanno un background femminista più consolidato e quindi delle ideologie, delle convinzioni più strutturate, abbiamo avuto i nostri problemi.
Nel senso che ci sono stati anche un po’ talvolta degli scontri,
che vanno benissimo, e anche dei dissidi che sono andati anche un po’ al di là degli scontri da un certo punto di vista. Di
fatto alcune donne sono uscite dal gruppo a un certo punto.
Questi scontri sono stati interpretati in modo diverso, c’è chi sostiene che fossero proprio nel merito cioè, ti faccio un esempio
banale, nel definirsi o meno femministe cioè alcune di noi fanno
un po’ di fatica ad accettare l’etichetta femminista proprio perché […] forse lo vedono un po’ come un mettere dentro una
categoria che ha un peso del passato importante con il quale
loro non sono così a loro agio. […] Queste fatiche, diciamo, in
parte, secondo alcune sono dovute alle differenze di posizione
nel merito, secondo altre più anche a dinamiche di ruoli di forza
nel gruppo. Chiaramente chi ha un background forte, relazioni
che provengono da anni di militanza, relazioni anche nel mondo
politico, dell’associazionismo, cioè, sa…e chi invece viene dal
supermercato, l’ufficio, no? E, non so come dirti, chi si affaccia
un po’ per la prima volta è più debole, ti ripeto, sia da un punto
93
“Siamo arrivate da strade diverse”
di vista di conoscenze, sia di convinzioni che di relazioni. Quindi questo ha provocato un po’ di fatica effettivamente che io mi
auguro che riusciremo a superare per mettere a frutto invece
questa molteplicità. [Intervista 1 - Comitato Snoq Siena]
La volontà di coniugare le diverse soggettività che costituiscono il comitato con un’azione politica condivisa porta in primo piano, ancora oggi,
l’esigenza di promuovere dei percorsi collettivi di elaborazione che vadano nella direzione di un’autodeterminazione più chiara e consapevole
da parte di tutto il gruppo23.
Siamo arrivate a questo gruppo da strade diverse e abbiamo
più chiaro quello che ci interessa ottenere, anche le modalità
con cui lo vogliamo ottenere e invece è diverso per ognuna il
perché lo vogliamo ottenere secondo me. Nel senso che, questo dipende un po’ dal percorso che abbiamo fatto. […] Quello
che mi piacerebbe comunque fare in questo gruppo è proprio
anche un’elaborazione in questi termini, […], per cercare di far
vedere, non far capire, alle mie compagne che, non è che io
sono la femminista con la scopa, la strega con la scopa, perché
secondo me per certi versi alcune volte c’è questa immagine
che è un’immagine che la cultura patriarcale ha fatto di tutto per
trasmettere quindi è ovvio che chi non ha avuto un percorso di
studi oppure un percorso di militanza o una vicinanza a certe
questioni ha preso su di sé quello che la cultura, che è appunto
una cultura basata sul modello unico maschile, gli ha trasmesso. [Intervista 2 – Comitato Snoq Siena]
Il comitato si contraddistingue per una modalità di organizzazione non
gerarchica che è basata sulla rotazione dei ruoli e sulla particolare at-
In questa direzione si veda anche la carta di intenti elaborata da Le donne del 13
febbraio, consultabile alla pagina web.
https://docs.google.com/document/d/1Cp3TFq_6zUUptXWhJBiWZ3WewGE2uypbADl0wOjdmp8/edit?pli=1.
23
94
“Siamo arrivate da strade diverse”
tenzione dedicata alla condivisione delle iniziative, delle decisioni e delle
prese di posizione del gruppo rispetto a determinati eventi. In una fase
iniziale, e per circa un anno, Le donne del 13 febbraio si sono riunite
con cadenza settimanale nell’ambito di assemblee plenarie. Questa mo-
dalità di organizzazione è stata tuttavia rivista e, negli ultimi periodi, il
comitato ha inaugurato una nuova prassi organizzativa basata sul lavoro
in piccoli gruppi, diradando gli appuntamenti dell’assemblea plenaria.
Questa modalità sembrerebbe risultare infatti più ‘fisiologica’ rispetto ai
tempi della partecipazione femminile oltre che più appropriata per portare avanti iniziative che consentono di tener vivo l’interesse e la gratificazione provenienti dalla partecipazione.
Come già anticipato, il Comitato riserva particolare attenzione alla con-
divisione delle informazioni e, in tal senso, si avvale di mailing list e di un
blog costantemente aggiornato24. Come riferiscono le referenti intervi-
state, la comunicazione interna al gruppo è assicurata dall’utilizzo di due
mailing list; una prima, condivisa dal nucleo delle donne che partecipano più assiduamente, la seconda aperta, invece, a tutte le donne che si
sono dimostrate interessate all’esperienza del Le donne del 13 febbraio.
Abbiamo due mailing list, una più ristretta che è di quelle che
partecipano eccetera e ci si scrive in continuo, cioè, c’è un dibattito […], è come un chiacchierare via mail che tutte più o
meno riusciamo a farlo dentro alle nostre quotidianità. Dopodiché c’è un gruppo molto più vasto. [Intervista 1 - Comitato Snoq
Siena]
Il primo gruppo, più ristretto, saremmo circa una venticinquina,
una trentina, invece il gruppo, l’indirizzario diciamo più grande
delle donne del 13 che sono tutte quelle donne che in qualche modo si sono dimostrate interessate, sono circa, penso,165
quindi è molto grande. Però appunto questo indirizzario viene
24
Cfr. http://ledonnedel13siena.blogspot.it/.
95
“Siamo arrivate da strade diverse”
utilizzato solo quando facciamo delle iniziative pubbliche o piuttosto quando ci sono delle cose importanti che ci arrivano da
Roma, oppure quando ci sono delle decisioni anche interne al
nostro gruppo che però abbiamo bisogno di condividere con
tutte. [Samantha Tufariello – Comitato Snoq Siena]
Si tratta dunque di una distinzione che deriva da esigenze di tipo logisti-
co e che si accompagna comunque alla possibilità per le donne interessate di essere inserite su richiesta nella mailing list più ristretta e in ogni
caso di poter seguire le attività svolte dai gruppi attraverso il blog.
Allo stato attuale l’età media delle donne che compongono il comitato è
approssimativamente intorno ai 45 anni. Resta tuttavia la volontà di aprire tale contesto partecipativo alle donne più giovani che, in alcune inizia-
tive sono già state coinvolte ma, come racconta una delle referenti, più
sulla base di contatti personali che di canali appositamente predisposti.
Ce lo siamo dette che ci piacerebbe coinvolgere ragazze più
giovani però ancora non siamo riuscite ad avere un investimento di tempo, di energia e di fantasia. Una cosa che abbiamo
fatto una volta, in esplicita collaborazione con delle studentesse di liceo, è stata, mi sembra l’anno scorso, quando abbiamo
fatto quel flash mob sulla violenza…per sensibilizzare proprio
sul corso a Siena, con una modalità molto teatrale che è stato
anche molto carino, e allora abbiamo contattato ma attraverso i
nostri contatti personali, cioè la figlia, le amiche, eccetera eccetera, abbiamo collaborato. Sono venute, hanno risposto, c’erano
in diverse. [Intervista 1 - Comitato Snoq Siena]
Nonostante questa apertura ai diversi gruppi di età, le donne del comitato dichiarano di percepire una diversità rispetto alle giovani donne, in
particolare rispetto alle studentesse che animano la città universitaria di
Siena; la sensazione è infatti quella che la consapevolezza degli squilibri di genere e l’esigenza di rivendicazione di una condizione di parità
rispetto agli uomini tendano a concretizzarsi in prevalenza in quella fase
96
“Siamo arrivate da strade diverse”
della vita in cui il progetto di una famiglia inizia a concretizzarsi nell’im-
maginario di una donna. Senza addentrarsi ulteriormente nel tema che
sarà comunque ripreso nelle pagine che seguono, può essere opportuno richiamare alcune delle attività svolte dal comitato in questi anni.
In linea con gli obiettivi che animano Le donne del 13 febbraio e che possono essere sintetizzati nell’idea di una piena cittadinanza delle donne,
il comitato ha svolto fin dai momenti immediatamente successivi la sua
costituzione, iniziative di confronto e di sensibilizzazione sui temi della
democrazia paritaria. In particolar modo ciò è avvenuto nell’ambito della
campagna elettorale per le elezioni amministrative del Comune di Siena.
[La nostra mission] aveva a che fare con la piena cittadinanza
delle donne quindi la partecipazione politica, la questione della
rappresentanza. Di lì a poco, siccome c’erano le elezioni amministrative a Siena, abbiamo avviato un percorso, per esempio,
con tutti i candidati a sindaco e a sindaca, perché c’era anche
una donna. E abbiamo buttato giù, questo però anche insieme
ad altre associazioni del territorio tra cui l’archivio dell’Udi, quali
erano le priorità per noi e quindi, per esempio, un’attenzione al
linguaggio istituzionale declinato anche al femminile, piuttosto
che una serie di iniziative o comunque di attenzioni alle questioni di genere. [Intervista 2 – Comitato Snoq Siena]
Si tratta di un’iniziativa che mostra la logica di network promossa dal
comitato rispetto alle associazioni gender oriented già presenti sul territorio, una logica che viene attuata nondimeno rispetto a soggetti non
specificamente caratterizzati in termini di genere come, ad esempio, il
sindacato. Al contempo, va evidenziato che l’iniziativa suddetta ha age-
volato l’istituzione del Tavolo di genere presso il Comune di Siena che è
stato inaugurato proprio dopo il rinnovo dell’amministrazione e che con-
tinua ad essere attivo nonostante il Comune stia attraversando una fase
di commissariamento.
97
“Siamo arrivate da strade diverse”
Si è avviato questo percorso che continua tuttora nonostante il
tavolo non sia più istituzionale perché il Comune è commissariato e quindi il tavolo non è più istituzionale però, siccome è stato
riconosciuto, ne è stata riconosciuta l’importanza e soprattutto la
volontà politica per quanto riguarda…appunto la politica ma anche da parte di tutte le associazioni, appunto, di voler continuare. […] anche fuori dall’istituzionalità si è coltivato quel percorso
che avevamo cominciato a fare e continua perché appunto, ora
il prossimo incontro sarà il 5 di novembre. [Intervista 2 – Comitato Snoq Siena]
In sintesi, il comitato senese del Se non ora quando? rappresenta
un’esperienza di partecipazione femminile che pur connotandosi politicamente, elemento che contraddistingue Snoq e lo diversifica rispetto agli altri contesti esaminati, offre l’opportunità di riflettere sulle
continuità e le divergenze esistenti rispetto alla lettura delle dinamiche che caratterizzano la partecipazione delle donne che provengono, invece, dai soggetti del Terzo Settore.
98
“Siamo arrivate da strade diverse”
3.
Sulla partecipazione femminile: primi elementi di
riflessione dal confronto con i testimoni privilegiati
3.1 Donne ai vertici: una lettura degli squilibri
di genere nelle cariche dirigenziali delle
organizzazioni di volontariato
Uno dei temi che sono stati sottoposti all’attenzione dei testimoni privilegiati era quello degli squilibri di genere caratterizzanti la composizio-
ne dei vertici del volontariato, sia nel contesto nazionale italiano che in
quello regionale toscano. Si tratta di un fenomeno rispetto al quale gli
intervistati mostrano una diffusa consapevolezza e che, trasversalmente rispetto alle diverse esperienze partecipative considerate, viene per-
cepito come problematico e frequentemente correlato con le dinamiche
che interessano non soltanto il mondo del volontariato ma il tessuto so-
ciale nella sua complessità. Le letture offerte tendono, tuttavia, a porre
l’accento su diversi fattori che concorrerebbero a determinare una minore presenza delle donne nei ruoli dirigenziali dell’associazionismo.
In questo senso, secondo una delle referenti del comitato Snoq di Sie-
na, il fenomeno può essere interpretato come conseguenza di un por-
tato culturale che, continuando a lavorare sull’immaginario collettivo,
tenderebbe ad accreditare una maggiore autorevolezza alle figure ma-
schili. Emerge, al contempo, l’idea di un potere che contraddistingue le
cariche dirigenziali del volontariato che richiede tempo e strategie per
essere conseguito; le donne, in proposito, oltre a disporre di una minore
dotazione di tempo per dedicarsi alla loro ‘carriera’ nell’ambito delle or-
99
“Siamo arrivate da strade diverse”
ganizzazioni, tenderebbero a differenziarsi dagli uomini per una diversa
attitudine nei confronti del potere.
Che le donne arrivano poco ai vertici è ovunque, anche nella
scuola, un esempio straripetuto ma lampante, il 99% delle figure
che lavorano nella scuola sono femminili, dai bidelli agli insegnanti, no? Eppure se facciamo una statistica su quanti sono i
dirigenti scolastici uomini e quante sono le donne sicuramente
sono più gli uomini. Che ai vertici passino gli uomini…passino
perché siamo abituati culturalmente a riconoscergli più autorevolezza comunemente. Il Chirurgo ti sembra più capace della
chirurga, voglio dire, o comunque se te lo immagini te lo immagini uomo e questo, appunto, fa parte di un portato enorme di
linguaggio, immaginazione, eccetera. Poi, perché hanno molto
più tempo da dedicare ai giochi di potere, alla politica, a esserci dove bisogna esserci, ad andare quando bisogna andarci
mentre le donne fanno volontariato e poi tornano a casa a fare
il loro di volontariato a casa, quindi hanno meno…anche meno,
di solito, attitudine, non so come dire, a combattere per il potere perché poi anche il potere nel volontariato è un potere, non
scherziamo! [Intervista 1 - Comitato Snoq Siena]
Sempre in questa direzione, la presidente dell’associazione Città delle
Donne, osserva come le organizzazioni di volontariato a composizione mi-
sta tendano a caratterizzarsi per una sostanziale divisione di genere dei
ruoli, svolgendo le donne mansioni di carattere operativo a fronte di una
rappresentanza sostanzialmente maschile. Si evidenzia, al contempo, una
resistenza delle volontarie donne rispetto all’assunzione di ruoli che, come
quelli dirigenziali, comportano una certa visibilità pubblica.
Io vedo che nelle altre organizzazioni, in quelle miste, si continua
a riprodurre un po’ di schemi per cui le donne fanno il lavoro, garantiscono tutta una serie di cose e gli uomini fanno più la rappresentanza. C’è sempre un po’ questa divisione della gestione.
Mentre questa cosa qui alla fine non ha molta ragione di essere
100
“Siamo arrivate da strade diverse”
però dipende anche un po’ da un ritardo delle organizzazioni nel mettere in discussione questo ruolo di rappresentanza
e anche di gestione del potere perché poi c’è anche questo
dentro le organizzazioni. Un po’ però sono anche le donne ad
essere sempre un po’ spaventate di essere in prima fila, quindi in alcuni casi tendono a dire “Dò una mano”. [Presidente
dell’associazione La Città delle Donne]
Questo atteggiamento e, quindi, una sorta di ritrosia delle volontarie rispet-
to all’accettazione di ruoli di vertice, sembra interessare tanto i contesti
associativi a composizione mista, come nel caso dell’Auser Toscana, che
quelli femminili, così come evidenzia la presidente della Casa della Donna.
Indubbiamente c’è una discriminazione in atto sempre che non
facilita. […] Però è anche vero che, altrettanto forte a livello culturale, c’è da parte femminile una certa ritrosia nel farsi avanti che è
magari anche “Io dò l’aiuto che posso però non voglio responsabilità” e poi “se un domani non posso garantire”, questo sempre
stare con un piede dentro e un piede fuori che è frequente. Questo lo vediamo anche qui dove non c’è conflitto di genere. […] Si,
il bisogno di non essere quella che si prende la responsabilità e
che quindi fa dei passi anche che possono essere discussi. Cioè
sicuramente se te fai e hai delle responsabilità non starà mai bene
a tutti quello che fai, ecco, quindi è anche uno scansare la conflittualità. Ma poi lo vedi in politica, guarda, quante donne ci sono
che magari vengono elette in Parlamento dopo potrebbero fare
un ottimo lavoro ma dopo la prima legislatura dicono “no, no, no
mai più”. Per parlare anche di chi…perché sono poi mondi dove è
molto difficile vivere, no? avere sempre a che fare con azioni dove
perdi un po’…la volontaria vuole fare la volontaria e vuole vedere il risultato di quello che fa, è anche gratificata da questo. Naturalmente siccome anche nel volontariato ci vuole una struttura
organizzativa, ci vuole anche chi sia un referente, ci deve essere.
[Presidente dell’associazione Casa della Donna]
101
“Siamo arrivate da strade diverse”
Molto spesso c’è questa condizione per cui [le donne] ti dicono “ti
do tutto quello che vuoi come attività ma non mi dare la responsabilità perché non ci sto”. […] Hanno nella vita familiare più problemi degli uomini perché devono accudire la famiglia quindi questo
è un limite quando gli chiedi di dirigere un’associazione o di avere
degli incarichi dirigenziali veri insomma. […] C’è anche un buon
retaggio culturale in cui c’è […] questa paura di mancare o di fallire rispetto all’uomo. Questa roba dell’uomo c’è ancora non è che
è passata del tutto, soprattutto nelle persone più anziane lo senti
che hanno questa voglia, battibeccano però poi quando gli dici
“Allora visto che le idee ce l’hai, visto che sei disponibile, fai, dirigi”
“No, ma sai”, accampano mille problemi, il più vero è quello familiare ma c’è anche quello che dicevo prima di aver paura di sbagliare, di assumersi la responsabilità diretta magari negli incontri
ufficiali con gli enti pubblici. Ma anche quello di dover relazionare
al proprio corpo sociale, c’è anche questo, non tutti sanno come
poter parlare agli altri, fare è un conto perché sei operativa, dover
parlare agli altri poi c’è la paura che se uno ti contesta…“Oddio ho
sbagliato”. [Presidente dell’associazione Auser Toscana]
Come si evince dai brani sopra citati la minore disponibilità delle donne ri-
spetto all’assunzione di ruoli dirigenziali sembrerebbe derivare in parte da
una volontà di predisporre delle modalità di impegno più facilmente conci-
liabili con le altre attività della vita quotidiana, in particolar modo con i carichi
della cura familiare. Allo stesso tempo si evidenzia come le responsabilità di
rappresentanza e, dunque, l’esposizione pubblica che la contraddistingue,
siano associate, soprattutto dalle donne, ai timori di una possibile contesta-
zione del proprio operato. Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto, come
nota la presidente della Città delle Donne, le associazioni femminili possono
costituire un’esperienza di partecipazione che, sebbene avvenga nell’ambito
di “un percorso blindato”, offre un’opportunità di socializzazione delle donne
ai ruoli di leadership. Si tratta di un’esperienza che può essere, nondimeno,
da impulso per un più diffuso accesso delle donne alle cariche dirigenziali
nel contesto dell’associazionismo a composizione mista.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Alla fine, per noi il problema non si pone perché siamo solo donne,
però il rischio è che tendenzialmente l’attitudine alla rappresentanza, alla dimensione di vertice di un’organizzazione e quindi,
in qualche maniera, anche di comando e di gestione, resti ancora molto culturalmente legata al profilo maschile perché insomma
sennò non si spiegherebbe. E quindi in un’associazione di tutte
donne cambia il modello della leadership? Secondo me cambia
perché aiuta a stare in una dimensione di leadership e responsabilità, in altre organizzazioni avrebbero meno problemi perché possono dire “Questa cosa la facevo di là perché non la posso fare di
qua?”. Crea, se vogliamo, un percorso più blindato ma in cui uno
si sperimenta nei diversi ruoli quindi, alla fine, crea la possibilità
per cui queste cose si fanno, sono normali e possono diventare
normali anche nelle organizzazioni miste. [Presidente dell’associazione La Città delle Donne]
Tornando, invece, sulla questione femminile della conciliazione tra volon-
tariato e carichi di cura, l’ex presidente dell’associazione Ireos richiama
la necessità di ripensare i tempi e le modalità di lavoro per consentire
un più diffuso accesso delle donne agli organismi di rappresentanza.
Allo stesso tempo, evidenzia l’esigenza di predisporre azioni che vadano nella direzione di sollecitare una rappresentanza paritaria tra donne
e uomini – una sorta di introduzione delle ‘quote rosa’ negli organismi
dirigenziali delle organizzazioni di volontariato – in quei contesti in cui
ciò non avvenga su base spontanea.
Se te guardi quelli che sono gli organismi di potere all’interno del
Cesvot sono organismi di potere esclusivamente maschili. Perché? Perché indubbiamente il modo in cui viene organizzato anche il lavoro stesso è una cosa che trova soltanto maschi. Anche
il fatto di avere delle riunioni in cui si parla, si parla tanto e non si
sa mai farle finire. Una donna che ha dei carichi di lavoro anche
familiari è difficile che si spenda in contesti di questo tipo. […] Non
viene messa in discussione la modalità con cui si fa rappresentanza, partecipazione, democrazia, […] ti rendi conto che purtroppo
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“Siamo arrivate da strade diverse”
ci sono certe modalità che rimangono e che non sono fruibili per
le donne, non sono fruibili per uomini che lavorano. […] Secondo
me molti, come il Cesvot, dovrebbero imporre che nella rappresentanza ci sia una parità per genere. O ci arrivi in modo spontaneo, in certi momenti c’era più uomini che donne poi alla fine le
donne ci sono state e una sorta di parità è arrivata naturale e non
c’è bisogno neanche di imporla perché ci sono forti relazioni tra le
donne e gli uomini dell’associazione, di confronto, di ascolto però
ci sono mondi in cui secondo me la devi imporre. [Ex Presidente
dell’associazione Ireos]
Si avrà modo di tornare a riflettere sul tema dei tempi e delle modalità di
lavoro che i diversi interlocutori ritengono più appropriati per agevolare un
più diffuso coinvolgimento delle donne nel contesto del volontariato.
Per il momento è opportuno evidenziare le specificità, nel panorama dei
casi di studio considerati e con specifico riferimento alle associazioni a
composizione mista non gender oriented, dell’Avis Toscana. Si tratta, infatti, di uno spaccato del volontariato che, anche per le peculiarità derivan-
ti dal sistema di donazione su cui si incardina, rappresenta un soggetto
storicamente connotato da una più diffusa partecipazione maschile e che
quindi si configura come un osservatorio privilegiato per riflettere sulle tra-
sformazioni relative alle dinamiche di genere. In questo senso, secondo il
presidente, sarebbero riscontrabili i segnali di un lento e graduale riequilibrio per ciò che concerne la composizione di genere che, in maniera spon-
tanea, avrebbe interessato dapprima le fila dei donatori e che si starebbe
traducendo in un progressivo incremento della partecipazione femminile
nell’ambito degli organismi dirigenziali.
È solo un fatto quantitativo, un retaggio storico, quindi si viene
da una presenza numericamente inferiore. […] Questa presenza
femminile si è verificata prima nelle fila dei donatori e piano piano
si sta traducendo infatti nei quadri dirigenti, come è naturale, prima uno accede nelle fila dell’associazione e poi ne diventa anche
dirigente. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
L’Auser Toscana, anch’essa associazione di rilevanza regionale a composizione mista non gender oriented, offre un’interessante opportunità di
comparazione tra le modalità in cui donne e uomini declinano il loro im-
pegno nell’ambito di ruoli apicali. Il presidente dell’Auser Toscana rileva,
infatti, alcune peculiarità delle leadership femminili che si caratterizzerebbero per una maggiore propensione al lavoro di gruppo, oltre che per una
dedizione talvolta più marcata di quella riscontrata fra gli uomini.
Sulle donne francamente noi vorremmo che ce ne fossero di più
perché personalmente sto constatando che le migliori associazioni a guida delle donne superano quelle degli uomini perché
ci mettono più impegno cioè la considerano veramente una cosa
importante. L’uomo la considera, si una cosa importante – se uno
è presidente! – però è più tendente a lasciar perdere o a essere
troppo autoritario, quindi “Dopo di me il diluvio!”, invece la donna
cerca di mettersi intorno più persone sapendo le sue difficoltà che
c’ha anche problemi di famiglia e quindi si mette più persone vicine a lei a dirigere. [Presidente dell’Auser Toscana]
In proposito, sembra interessante richiamare anche le considerazioni della
presidente di Adatta che nota come, in alcuni casi, si assista alla replica-
zione di modelli maschili di partecipazione e di leadership da parte delle
stesse dirigenti donne.
Nel corso avevamo due dirigenti […] con un approccio che noi
abbiamo trovato, diciamo, molto strano. Due mamme, donne che
hanno quell’approccio alla maternità, alla conciliazione vita/lavoro
da dirigenti maschi. Io sono rimasta veramente sconvolta, a tutti
hanno fatto veramente un’impressione incredibile. Diventate dirigenti perché di nuovo si è riperpetuato lo stesso meccanismo.
Cioè questo mi ha veramente lasciato male. [Presidente dell’associazione Adatta]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
3.2. Gli ostacoli specifici e i possibili
percorsi per superarli
Le difficoltà che le donne incontrano nella conciliazione degli impegni
derivanti dai molteplici ruoli che rivestono nell’ambito dei nostri contesti
sociali risultano nevralgiche nel quadro delle riflessioni che tutti gli inter-
vistati hanno offerto rispetto al tema della partecipazione femminile. La
persistenza di squilibri di genere radicati nell’immaginario collettivo e
testimoniati dalle statistiche relative all’accesso delle donne nel mondo
del lavoro, della politica, così come in quello del volontariato, come nota
una delle referenti dello Snoq di Siena, diviene più evidente nel momento
in cui si concretizza il progetto di costruzione di una famiglia propria e, in
particolare, il progetto di una maternità.
Molte studentesse, soprattutto studentesse universitarie che è
un target che qui trovi essendo una città universitaria, si sentono
molto alla pari con i loro colleghi maschi, con i loro compagni,
amici, fidanzati eccetera. Tutto sommato le problematiche dominanti della loro vita sono quelle della fatica di andare avanti
all’università, di trovare lavoro, di prospettive che sono piuttosto
condivise in quella fase della vita. Forse, quando tu cominci ad
avere famiglia ti scontri con un’organizzazione della vita sociale
e con un portato culturale molto più sottile di quanto si pensi,
cioè molto più presente anche in chi è, se vuoi, cosciente di
tutta una serie di cose. […] Quando tu cominci a desiderare un
figlio e quindi ad avere meno disponibilità da mettere sul piano
della competitività, del tempo dato assolutamente…per esempio, anche all’università, no? Devi essere sempre disponibile,
piuttosto che sul lavoro, cominci a non poter tornare a casa e a
fare gli straordinari e quindi a non esserci quando le cose ti cir-
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“Siamo arrivate da strade diverse”
colano intorno, […], cominci a toccare molto più con mano che
ancora veramente c’è tanto, tanto lavoro da fare, a mio parere
anche proprio a livello di una cultura diffusa che smantelli un po’
delle identità, anche nostre per prime, di genere. [Intervista 1 Comitato Snoq Siena]
Ne consegue una diversa percezione degli squilibri di genere che contraddistingue i gruppi di età, così che una più diffusa consapevolezza ri-
spetto agli stessi e, quindi, un approccio più orientato alla rivendicazione
della parità fra donne e uomini sembra concretizzarsi in prevalenza tra
le giovani madri. Sono infatti queste ultime, così come testimoniano vari
interlocutori dell’associazionismo, ad incontrare maggiori difficoltà nelle
dinamiche di partecipazione. Per riprendere le parole degli intervistati,
quando riescono a partecipare queste donne si trovano nella condizione
di “lasciare i figli a destra e a manca” o di portarli con sé, con le com-
plicazioni derivanti dal fatto di conciliare la presenza dei bambini con il
clima organizzativo delle riunioni.
Le giovani madri sono quasi tutte impossibilitate. Chi ha i bambini piccoli commenta a distanza, partecipa a qualche evento ma
ci dicono tutte che non riescono proprio fisicamente né mentalmente a trovare lo spazio per sé anche se tutte ci dicono che
ne sentirebbero poi il bisogno però, siccome sono tutte giovani
donne, lavoratrici, tutte con lavori precari o comunque, di solito,
senza orari. […] Quella generazione lì fa molta difficoltà, è quella
che proprio lo manifesta esplicitamente […]. Alcune ce la fanno però, insomma, lo dicono che hanno dovuto lasciare i figli a
destra e a manca. Stiamo un po’ cercando di tenerle dentro. Il
rischio è che poi, soprattutto nell’attività più strutturata, poi alla
fine quelle che si impegnano sono quelle che hanno fatto già
una scelta più di campo, di impegnarsi in ambito civile, diciamo così. Quindi sono quelle che sono già coinvolte. [Presidente
dell’associazione La Città delle Donne]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
C’è la difficoltà oggettiva. Oppure vedi i bambini piccoli alle
riunioni, pianti, cose, cioè queste mamme che vengono con i
bambini alle riunioni. Nelle nostre manifestazioni, nei nostri convegni, nelle nostre attività le donne che vengono sono sempre
con i bambini appresso, tanto che noi ogni volta che facevamo
progetti c’era sempre il servizio di baby sitting fisso perché comunque è una realtà che c’è e, si, rende le cose molto più complicate. [Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
Come suggerisce l’esperienza de Le Mafalde, diventa utile, in questo sen-
so, la predisposizione di servizi di baby sitting. Si tratta di una delle possibili misure che consentono di agevolare una partecipazione delle donne
senza richiedere una scissione tra i ruoli, quello di madre e quello di donna
che partecipa attivamente, ma che, al contrario, si pongono in linea con
l’idea di una forma di impegno pubblico delle donne in cui le diverse sfere dell’agire sociale si ricompongono e si contaminano reciprocamente,
un’idea che, come vedremo, rappresenta un tratto caratterizzante della
partecipazione sociale delle donne.
Sempre nell’ottica delle possibili azioni da intraprendere per agevolare un
maggiore coinvolgimento delle donne nell’ambito del volontariato, emer-
ge, come anticipato, la necessità di predisporre meccanismi di partecipazione che siano in grado di garantire una flessibilità rispetto ai tempi.
Noi abbiamo scelto proprio come profilo che l’idea è che non si
può - sennò si ragiona in termini maschili - non si può parlare
di un’appartenenza che chiede assiduità e continuità e abbiamo ragionato con formule diverse. C’è stato un periodo, che poi
era legato anche ad una mia maggiore disponibilità di tempo,
in cui addirittura facevo delle riunioni nella pausa pranzo con
alcune donne giovani che lavoravano comunque in zona e che
nella pausa pranzo erano disponibili, mentre avevano difficoltà
a tornare nel tardo pomeriggio fermarsi, o la sera dopocena tantomeno, perché con figli piccoli o perché era l’unico momento in
cui stavano con il compagno o il marito eccetera. Quindi ci ren-
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“Siamo arrivate da strade diverse”
diamo conto che il problema tempo…e spesso è una cosa che
porta le donne a non prendersi impegni. “Siccome tanto poi so
che non ce la faccio, siccome poi so che ho altre cose”… Allora
una cosa che noi abbiamo sempre puntato a dire è che quando vediamo entrare dalla porta, facciamo spesso qui le riunioni,
un’amica che magari è sei mesi, un anno che non la vediamo,
è un momento di festa. Attraverso la mailing list le persone vengono comunque tenute aggiornate sulle cose che decidiamo, le
cose che facciamo. Alcune scrivono anche un consiglio, un’opinione attraverso questo. Dobbiamo trovare un modello di partecipazione un po’ più soft perché altrimenti le donne rischiano
di essere tagliate fuori da una partecipazione che chiede una
continuità di impegno e orari rigidi di riunione che prevedono
appunto la compatibilità con tutti gli altri impegni. [Presidente
dell’associazione La Città delle Donne]
L’utilizzo dei nuovi media è una pratica diffusa nella maggior parte dei
contesti partecipativi esaminati; oltre a promuovere una migliore comuni-
cazione interna e una più ampia condivisione delle scelte, esso sembra
ridimensionare, come osserva il presidente dell’Avis, i fattori di svantaggio derivanti da una minore disponibilità di tempo.
Nei momenti della vita ci sono l’ingresso nel mondo del lavoro e, per le donne, la nascita dei figli che possono portare a
una maggiore indisponibilità temporanea. Cambiano le forme
di partecipazione ma oggi che con le nuove tecnologie c’è tutta una serie di meccanismi e il dialogo è anche facilitato, non
c’è differenza nella presenza maschile o femminile.[…] Stanno
cambiando anche molto le cose, con le nuove tecnologie c’è la
possibilità di partecipare anche dei piccoli centri o delle piccole
realtà delocalizzate sul territorio mentre prima la partecipazione
era un requisito soprattutto delle aree centrali dei capoluoghi
oggi si vede un protagonismo della signora presidente di Sticciano Scalo in provincia di Grosseto alla pari della persona che
è dirigente a Firenze o a Sesto fiorentino. E allora oramai, come
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“Siamo arrivate da strade diverse”
dire, è più sulle capacità che si gioca, i fatti logistici, il dove sei
è sempre meno importante mentre diventa determinante quello
che conti e cosa riesci a rappresentare e la qualità delle proposte. […] Come succede nelle reti, è cosa emetti che ti rende
importante all’interno della rete né qual è il tuo genere, né dove
sei. [Presidente dell’associazione Avis Toscana]
Sembra opportuno evidenziare che l’analisi dei dieci casi di studio rivela una crescente diffusione della prassi di lavoro in piccoli gruppi, una
modalità praticata in particolar modo nei contesti associativi composti
esclusivamente da donne – come le associazioni Casa della donna e Cit-
tà delle Donne –, oltre che nell’ambito del comitato Snoq. Questa prassi
mostra delle forti analogie con quella che contraddistingueva i collettivi
femministi degli anni Settanta, basata anch’essa su piccoli gruppi tema-
tici di lavoro. Nei contesti partecipativi presi in esame si nota, tuttavia, un
ripensamento di quell’esperienza in relazione alle esigenze e ai mezzi
che sono tipici della partecipazione contemporanea. In particolare, se la
modalità di lavoro per piccoli gruppi mostra un’adattabilità pratica rispetto alle possibilità attuali di partecipazione delle donne, allo stesso tempo,
avvalendosi del ricorso diffuso alle nuove tecnologie (mailing list, blog,
social network) si inserisce nel contesto di azioni di più vasta portata che
sono condivise dal complesso della base associativa, o del comitato
come nel caso di Snoq, e che mantengono una costante apertura verso
l’esterno. Ancora, come osserva una de Le donne del 13 febbraio, si
tratta di una modalità di lavoro che presenta il vantaggio di “organizzarsi
sulla base di compiti più specifici […] capaci di tenere vivi l’interesse e
la gratificazione” che accompagnano i processi partecipativi.
Per rimanere sui fattori che ostacolano la partecipazione, ricorrono più
volte nel discorso degli interlocutori intervistati le riflessioni sulle correlazioni negative esistenti tra impegno femminile e precariato. Si tratta di
un aspetto che, come nota la presidente dell’Olympia de Gouges, con-
tribuisce a determinare un minore coinvolgimento delle giovani donne e
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“Siamo arrivate da strade diverse”
a dare un connotato generazionale alla popolazione volontaria nel suo
complesso, con implicazioni anche per ciò che concerne la vitalità stessa delle associazioni.
Le ragazze giovani, e noi ne abbiamo avute un gruppo molto in
gamba, vengono in attesa di trovare un altro lavoro perché non
sono pagate per niente, un gettone, non c’è niente. E quindi la
maggior parte di noi è pensionata e questa, francamente, non è
una bella cosa perché, voglio dire, il volontariato dovrebbe raggruppare sia persone diversamente giovani [ride] che persone
giovani, sarebbe una linfa vitale, però fino a che è volontariato
puro questo è impossibile farlo perché la gente deve mangiare. […] Diventa un lusso, ecco io vorrei che fosse sottolineata
questa parte qui che il volontariato delle persone giovani è un
lusso e ci sono tanti che avrebbero voglia di farlo perché c’è un
interesse sempre maggiore sul sociale perché ci si rende conto
che se non c’è una spinta dal basso. […] Sarebbe importante
nel volontariato, anche in questo tipo di volontariato, che ci fosse la possibilità di avere delle persone giovani, con delle lauree
appropriate. […] Così come stanno le cose questo è un lusso
e le persone pur volendolo fare non se lo possono permettere.
[Presidente dell’associazione Olympia de Gouges]
L’attività di volontariato, in affinità con l’impegno più propriamente
politico, sembra, dunque, configurarsi come un ‘lusso’ che molte
donne vorrebbero permettersi ma che, concretamente, trova spazio soltanto laddove sia dato quel set di garanzie materiali derivanti
dall’avere un lavoro stabile.
Personalmente trovo che il volontariato se lo può permettere chi
ha già un lavoro suo, retribuito, in cui c’è tutta quella sfera di riconoscimento che passa attraverso un’etichetta, “faccio questa
cosa attraverso uno stipendio, una busta paga”, al di là del fattore materiale di avercela è proprio un fattore di riconoscimento
sociale oggi molto potente. Per cui spesso fare il volontariato
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“Siamo arrivate da strade diverse”
come soluzione al non avere un lavoro è qualcosa di molto rischioso. Non perché uno non voglia ma è una di quelle cose
che ti puoi permettere così come fare politica, quando hai un
lavoro, dei tuoi orari, quasi riesci di più a organizzarti. [Intervista
1 - Comitato Snoq Siena]
Si tratta di un aspetto che acquisisce particolare significatività nel qua-
dro dell’attuale crisi del mercato del lavoro nell’ambito della quale, come
nota l’ex presidente dell’associazione Le Mafalde, si nota ancora una
volta un’acquisizione di responsabilità rispetto ai bisogni familiari che
vede protagoniste, loro malgrado, le donne.
La partecipazione c’è una volta che comunque c’è un’entrata
finanziaria da qualche parte, o che sia il marito o che sia la persona stessa, […] si fa se c’è, questo secondo me è imprescindibile e da là si parte. Ci sono tante donne che sono disposte,
vorrebbero fare volontariato ma adesso, ad esempio, ce n’è una
che va nel Mugello e sta tutta la settimana fissa là per fare lavoro di cura fisso ed è una delle più preparate della nostra associazione, quella che da anni è l’osso duro della…e quindi noi
l’abbiamo persa per fare tante attività, per fare lo sportello. E ce
ne sono tantissime, è uguale. L’altra cinese se ne va di nuovo a
lavorare dallo zio in fabbrica, mi capisci? Se non c’è quello, se
non c’è un’entrata economica…e poi le donne ce l’hanno forte
questa responsabilità perché spesso il denaro è gestito da loro,
spesso il mangiare lo vanno a comprare loro e questo senso di
responsabilità è fortissimo. Lei (si riferisce alla volontaria che
è andata a fare l’assistente familiare) è andata…cioè un uomo
l’avrebbe fatto di lasciare la casa, lasciare tutte le comodità per
andare a vivere a casa di un’altra persona anziana per portare
a casa i soldi? Non lo so se l’avrebbe fatto. La donna lo fa. Una
donna laureata, formata eccetera. Quindi è il grado di responsabilità delle donne all’interno della famiglia che è di un certo tipo
rispetto agli uomini e questo crea una differenza nel fare o non
fare volontariato. [Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
Ed è proprio nel contesto della crisi che si rivela una più marcata capacità delle donne di reinventarsi in ruoli e mansioni finora mai svolti1.
Io l’ho visto in questi 2-3 anni, negli ultimi soprattutto, ai corsi di
formazione sono venute tante donne che hanno perso il lavoro,
magari lavoravano insieme al marito, il marito non l’ha ritrovato
il lavoro e le donne invece, anche chi aveva fatto tutt’altro per
tutta la vita, si è messa a sedere e ha detto “vabbè, ora da qui
devo ricominciare, sono senza lavoro, l’assistenza agli anziani non l’ho mai fatta, vediamo un po’ se è il mio”. Poi non tutte
arrivano in fondo, magari qualcuna inizia il corso poi dice “no,
assolutamente non ce la fo, non mi piace”, però devo dire che le
donne rispetto agli uomini hanno più flessibilità anche nel reinventarsi in ruoli e mansioni che mai avrebbero pensato di dover
fare. [Presidente della cooperativa sociale Alice]
Quanto detto, seppur in riferimento all’ambito più propriamente lavorativo, introduce un altro ordine di riflessioni relative alle caratteristiche che
gli interlocutori hanno identificato come tratti qualificanti la partecipazione delle donne.
In proposito, sembra opportuno richiamare gli effetti che la crisi produce in termini di
estensione della violenza di genere. Come nota infatti la presidente dell’associazione Olympia de Gouges: “la crisi determina su due campi un peggioramento della vita di coppia: sul
fatto che la donna non lavora più e quindi che dipende esclusivamente dall’uomo, quindi,
se l’uomo continua a lavorare sa di avere un potere sulla donna […]. L’uomo inconsciamente sa di avere più potere e quindi nei momenti di frizione viene fuori questo discorso.
In altri casi l’uomo non lavora e sviluppa un’aggressività perché magari molti credono di
poter risolvere la situazione andando a giocare. Guarda, quella delle macchinette è diventata una piaga, noi si vedono qui donne disperate che hanno lo sfratto perché i mariti si
giocano tutto quel tanto o quel poco che si riescono a guadagnare”. Anche in questo caso,
così come anticipato, sembra confermarsi una responsabilizzazione rispetto all’economia
familiare che interessa soprattutto le donne.
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“Siamo arrivate da strade diverse”
3.3. Le peculiarità della
partecipazione femminile
Prima di analizzare quanto emerso in riferimento alle caratteristiche peculiari della partecipazione femminile è opportuno premettere che spes-
so, nell’ambito delle interviste, gli interlocutori hanno offerto delle riflessioni
che tendevano a ricomprendere e a collegare la partecipazione nell’ambito
del volontariato con la partecipazione più connotata politicamente. Questo
aspetto sembra accreditare l’idea di alcuni tratti qualificanti non soltanto
l’agire volontario femminile ma, in senso lato, l’agire pubblico delle donne.
Nel quadro di una riflessione sulla partecipazione politica, le referenti del
comitato Snoq di Siena hanno posto in evidenza come l’esperienza delle
donne tenda a caratterizzarsi per un coinvolgimento totale che determina,
nondimeno, una contaminazione della sfera politica con elementi che ne
risultano spesso estromessi come l’affettività, l’emotività, la passione.
È una partecipazione che mette in gioco, per me, nel bene e nel
male, molto di più l’interezza della persona, quindi tutta la sua sfera personale, emotiva e di storia. Una disponibilità a mettersi in
gioco e il desiderio di trovare anche un’alleanza, una complicità
personali, comunque, di portare nell’azione politica o comunque
nelle iniziative tutta te stessa, il che significa che ogni tanto ci porti
fisicamente anche tua figlia e la metti a giocare lì perché non sai
dove lasciarla, per dire. Piuttosto che chiedere “ragazze venite
qua perché stasera io non so come…”, no? Questo non è un limite
quasi mai per gli uomini, perché di fatto è così, però diventa forse
anche un limite nella misura in cui tengono anche più separate le
sfere. E una ricaduta di questo per me è una grande affettività. Il
che non vuol dire che siamo tutte amiche, che ci stiamo tutte sim-
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“Siamo arrivate da strade diverse”
patiche però vuol dire […] un investimento di passione, emotivo
che quando vedi una convention di un partito non vedi. [Intervista
1 - Comitato Snoq Siena]
Una modalità diversa di attenzione anche alle altre, ai tempi, ai desideri. Non è che uno si pone un obiettivo e va avanti come un carrarmato per la sua strada. È una partecipazione, mi viene da dire,
molto condivisa su tanti piani. […] Probabilmente gli uomini sono
più in grado di separare le due sfere invece noi donne secondo
me…ma anche perché non lo vogliamo fare, oltre che non lo possiamo fare rispetto magari a delle problematiche logistiche o che,
che sono date, ma proprio perché è la nostra modalità. È proprio
questo che ci caratterizza come donne, cioè il fatto comunque di
portare tutto dentro, nel bene e nel male, nel senso che ovviamente questo magari rallenta l’attività più pratica, nel senso che magari ci mettiamo di più ad arrivare all’obiettivo perché ci scontriamo,
perché vogliamo includere il più possibile le sensibilità, i desideri,
le volontà, anche le problematicità delle donne con cui veniamo a
contatto. [Intervista 2 – Comitato Snoq Siena]
La partecipazione diviene, al contempo, un’esperienza di condivisione e
di scambio che chiama in causa gli elementi più personali delle diverse
biografie femminili.
Si tratta di un aspetto che torna anche nel contesto del volontariato dove,
come racconta l’ex presidente dell’associazione Le Mafalde, anche i corsi
formativi diventano, oltre che un’opportunità per acquisire nuove compe-
tenze, l’occasione di incontrarsi e di condividere le esperienze personali
andando a cementare una solidarietà interculturale veicolata dalla comune
appartenenza di genere.
Non era solo la formazione ma era quella cosa bella che si creava,
l’intimità che poi alla fine, è questa la cosa bella, che sono corsi
che si finisce sempre a parlare di sé, […] momenti in cui la formazione diventa parlare di sé. E questo le donne lo fanno sempre,
in qualunque situazione anche più formale tendono a condividere
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“Siamo arrivate da strade diverse”
il loro stare e quindi lo vedi che alla fine sono dei percorsi molto
simili a quelli di altre donne immigrate. [Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
Partecipazione totale, coinvolgimento personale e affettività sono qualità
riscontrate anche nel contesto di quelle associazioni che offrono servizi di
consulenza e di aiuto alle donne maltrattate, come nel caso dell’Olympia
de Gouges, o alle persone in situazioni di disagio lavorativo, come Adatta.
Alla luce della specificità degli ambiti di intervento, tali caratteristiche ri-
schiano tuttavia di rappresentare un limite nella relazione di aiuto che viene
ad instaurarsi con l’utenza.
La condivisione derivante dall’appartenenza di genere può costituire, in
questo senso, un potenziale solo se adeguatamente accompagnata da
una capacità di mantenere il rispetto dei ruoli.
Il fatto di essere donne aiuta molto perché intanto abbiamo la sensibilità di cogliere un percorso millenario che ci ha appartenuto e
che ci stiamo scrollando di dosso più con la ragione che con la
pancia. […] Perché d’altra parte per duemila anni, volendo farci
uno sconto di quattromila sopra, c’è stata un’organizzazione patriarcale. Non è che ci si scrolla dalle spalle con un decennio di
rivendicazioni, assolutamente, perché è nel dna, difficile da estrapolare completamente, passerà del tempo ancora. Ecco, in questo senso qui, siamo donne, come tali ci hanno cresciuto in una
determinata maniera, allora capisco quello che ti sta succedendo
ma io sono qui, ti do la mia comprensione, non metto in dubbio
quello che dici ma io sono l’operatrice e tu sei la donna maltrattata.
Non mischiamo questi due punti perché altrimenti la donna perde
assolutamente la fiducia, cioè “che aiuto mi può dare questa?”
[Presidente dell’associazione Olympia de Gouges]
Diciamo che la tecnica degli uomini traspare, perché sono più metodici, proprio sulla tecnica psicologica. Mentre la sensibilità, la vicinanza, che forse è un approccio meno tecnico, di attenzione alla
persona…rimane più femminile? Si, si. I ragazzi mantengono più il
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distacco? Si, mantengono il distacco e usano gli elementi acquisiti
con la formazione tecnica in psicologia proprio come…riescono a
dare dei risultati proprio perché riescono a dominare le situazioni.
Mentre noi donne ci facciamo sempre, tuttora, coinvolgere, siamo
sempre coinvolte emotivamente. […] Ho la sensazione che questo sforzo di utilizzare gli strumenti per elaborare un distacco stia
andando in una direzione che in realtà poi ci fa dimenticare l’altra
parte cioè quella dell’empatia…Magari è vincente… è vincente
dal punto di vista della crescita delle strutture. […] È difficile mantenere il giusto equilibrio fra le due perché sono entrambe necessarie. [Presidente dell’associazione Adatta]
L’associazione Adatta, essendo a composizione mista, offre l’opportunità
di confrontare le diversità di genere nella declinazione degli interventi, evi-
denziando una maggiore capacità di distacco della componente maschile.
Come sottolinea la presidente, anche nell’ambito di servizi come quelli posti
in essere dall’associazione, un eccessivo investimento su questo approc-
cio rischia, tuttavia, di lasciare poco spazio ad un atteggiamento empatico.
Un altro ordine di considerazioni emergenti sembrano indicare una mag-
giore propensione delle donne ad un agire pratico, orientato alla concretezza delle azioni poste in essere.
Quando dici l’associazionismo al femminile o incarichi di responsabilità al femminile a cosa porterebbero? Secondo me
porterebbero comunque più spesso a una concretezza, a fare
delle attività più pratiche e concrete che a fare cose più astratte
o per farsi vedere o per ideologie, una concretezza maggiore.
Le donne sono più concrete in questo. [Ex Presidente dell’associazione Le Mafalde]
Sempre in questa direzione, anche nel contesto della cooperativa sociale
Alice, le donne si contraddistinguono per uno spirito pratico che è correlato
con la capacità di trasformarsi e di trasformare in chiave innovativa i servizi
e gli interventi posti in essere.
117
“Siamo arrivate da strade diverse”
Penso che [le differenze di genere] siano più relative all’organizzazione e alla praticità che noi abbiamo e che io riconosco in più alle
donne. […] I maschi ne fanno una alla volta, noi siamo abituate
purtroppo per imprinting fin dalla nascita, perché è questo che ci
viene chiesto sempre, di farne più di una alla volta. Sicché la praticità che hanno le donne anche a livello organizzativo secondo me,
si questo si. E anche la capacità di…noi si è fatto più di una volta
in cooperativa, la capacità di trasformarsi cioè di cercare ambiti
nuovi, di dire “vabbè fino a ora ho fatto così, d’ora in poi è meglio
che faccia…” cioè di trovare altre strade, questo si. Però verso
l’utenza diciamo di no perché secondo me è l’ora di finirla di dire
“ma voi siete donne e siete più portate”. Non è vero per niente! Noi
siamo donne e si fa servizi di qualità non perché siamo portate,
si fa servizi di qualità perché siamo preparate. [Presidente della
cooperativa sociale Alice]
Si tratta di qualità che, come nota la presidente di Alice, maturano nell’ambito dei percorsi di vita delle donne che, chiamate a coniugare ruoli e im-
pegni molteplici, tenderebbero a sviluppare maggiori capacità pratiche e
organizzative2. Allo stesso tempo, si evidenzia la necessità di scardinare
gli stereotipi di genere che attribuiscono alle donne delle doti ‘naturali’ nella
cura e nei servizi che hanno attinenza con tale ambito; al contrario, come
sottolinea la presidente, le competenze maturate, tanto nei percorsi di vita
che in quelli formativi, necessitano di un riconoscimento in quanto tali.
Sempre in questa direzione, una delle referenti del comitato Snoq di Siena
In linea con queste riflessioni, il presidente di Avis Toscana, evidenzia la maggiore capacità delle donne, acquisita nell’ambito delle proprie esperienze personali di madri, nella
trasmissione dei valori su cui si incardina lo spirito della donazione: “venendo le donne da
una forte esperienza di formazione dei figli, dimostrano una maggiore capacità nell’individuare meccanismi e percorsi per convincere le persone su dei valori. Noi non abbiamo da
vendere un prodotto, abbiamo da comunicare stili di vita, da cercare di modificare stili di
vita e indurre atteggiamenti attivi e positivi. […] Noi lavoriamo per creare una cultura della
solidarietà, lavoriamo sugli stili di vita per creare una cultura della solidarietà: questo assomiglia molto al percorso educativo dei figli, dei nipoti e quant’altro. Allora su molte cose
c’è una presenza che è molto importante di ragazze, donne, dirigenti donne di questa
associazione”.
2
118
“Siamo arrivate da strade diverse”
osserva la necessità di promuovere una decostruzione degli stereotipi di
genere radicati nell’immaginario collettivo anche attraverso l’attivazione di
processi di riflessività critica da parte delle donne stesse.
Siamo cresciute, lo dobbiamo ammettere, attraverso una cultura
patriarcale e stereotipi che ci hanno detto che per noi era naturale
spaccarci in quattromila, che, anzi, se volevamo magari anche
fare carriera ci dovevamo spaccare in ottomila perché comunque
dovevamo fare anche le cose a casa, perché comunque è il nostro
destino naturale. Perché il marito non sa stirare la camicia come
la stiri tu…cioè è un lavoro che dobbiamo fare anche noi [donne]
nel nostro piccolo perché, voglio dire, personalmente, faccio un
esempio stupido, anch’io quando mio marito pulisce la casa dico
“cavolo vorrei ripassare dove è passato lui” però mi impongo di
non farlo [ride]. Ma io lo riconosco perché è una cosa che mi hanno trasmesso culturalmente, io lo riconosco proprio e dico “cos’è
che mi scatta quando lui pulisce? Perché non lo fa come lo farei
io? Cos’è che mi scatta?” [Intervista 2 – Comitato Snoq Siena]
Appare chiaro, al contempo, che soprattutto dalla generazione delle giovani donne questa necessità di intervenire sul portato di una cultura3 che
ostacola le pari opportunità di genere si accompagna anche alla volontà di
non rinunciare all’etica e alle pratiche della cura ma, al contrario, di ricomprenderle nel contesto di una scelta consapevole invece che imposta.
A questo proposito sono varie le considerazioni, offerte sia dalle intervistate più giovani
che da quelle più mature, rispetto all’azione svolta dai movimenti femministi degli anni
Settanta e ai limiti di un’azione politica che ha sottovalutato alcuni ambiti dell’immaginario
collettivo in cui gli stereotipi di genere hanno continuato a riprodursi per continuare oggi a
condizionare la vita delle giovani donne. Così, come nota una delle referenti del comitato
Snoq di Siena: “abbiamo sottovalutato tutto un campo, diciamo, dell’immaginario, del simbolico, della televisione un po’ più spazzatura, pensando “noi vabbè questa non la guardiamo neanche”, lasciandolo lavorare invece sul profondo. [Intervista 1 - Comitato Snoq
Siena]. O, ancora, come nota la presidente dell’Olympia de Gouges, “sono stata femminista e sono femminista, ho pensato di fare la rivoluzione e poi per esempio la mia figliola ha
voluto il matrimonio classico in chiesa con il vestito bianco (ride). Non è che abbiamo avuto
un grande seguito, cioè si è sbagliato la libertà di poter andare in vacanza con il fidanzato,
che a noi non c’era concessa, come il massimo, come l’aver raggiunto il traguardo massimo” [Presidente dell’associazione Olympia de Gouges]
3
119
“Siamo arrivate da strade diverse”
Del modello dell’angelo del focolare non ce ne siamo liberate ma
per niente! E vorrei dire una cosa in più, manco me ne voglio liberare del tutto! Cioè a me piacerebbe poterne salvare un aspetto
perché il lavoro di cura è una certa voglia e un desiderio di nutrire
in senso ampio anche con una torta fatta un pomeriggio che significa saper dare amore che è una cosa di cui noi siamo capaci.
[Intervista 1 - Comitato Snoq Siena]
In riferimento ad un diverso posizionamento delle donne rispetto all’etica
della cura, sembra interessante richiamare la prospettiva offerta dalla presidente dell’Olympia de Gouges, associazione femminile composta in pre-
valenza da donne mature, che nota come per queste ultime la partecipa-
zione nel contesto di un’associazione di volontariato tenda a caratterizzarsi
come una riappropriazione di uno spazio personale che, comunque, porta
con sé una valenza di agire sociale eticamente connotato. Dopo una fase
di vita dedicata alla cura della famiglia e segnata da scelte lavorative che
hanno inevitabilmente risentito della necessità di coniugare i ruoli di madre
e lavoratrice, emerge la volontà di dedicarsi al volontariato anche nella
consapevolezza del conflitto che viene a generarsi con una mentalità che
le vorrebbe ancora impegnate nei contesti familiari come nonne.
Ragioniamo in questo senso: abbiamo avuto una famiglia, abbiamo avuto i figli, la cura per i figli è ovvio, però poi “diventate
grandi, lasciateci!”. Apriamo queste parentesi in cui sono rimasta per trent’anni o per vent’anni e poi fatemi fare qualcosa che io
ritengo giusto fare e che è al di fuori della famiglia. Tutte noi siamo state donne che hanno lavorato, però in un contesto familiare
sia monogenitoriale, sia con padre e madre presenti, è sempre
stato il lavoro della donna considerato secondario ecco. Quindi
si, una lavorava, ma non è che poteva prendere il lavoro impegnativo che la portasse fuori perché questo andava a scontrarsi
con le necessità quotidiane. […] Ci sentiamo libere finalmente
di poter fare delle cose che non sono le cose canoniche anche
se poi rientrano nella cura però è un discorso che noi abbiamo
120
“Siamo arrivate da strade diverse”
scelto di fare proprio perché si sente il bisogno di incidere […].
C’è questa visione di una, non so se chiamarla terza età o seconda e mezzo [ride], che dice “Va bene ora voglio fare qualcosa
d’altro”. Ecco questo ci accomuna con grande rabbia dei nostri figlioli che ci vorrebbero nonne in tutti i momenti. [Presidente
dell’associazione Olympia de Gouges]
Seppur nel contesto di una casistica contenuta si possono rintracciare al-
cuni segnali che suggeriscono di indagare ulteriormente in merito all’esistenza di una differenziazione in chiave generazionale della connotazione
assunta dalla partecipazione femminile. Da un lato, le donne più giovani
rivendicano modalità di partecipazione che siano in grado di coniugare e
far dialogare le diverse sfere dell’agire quotidiano e identificano proprio in
questa possibile sintesi il ruolo ‘sovversivo’ che la partecipazione femminile
può rappresentare rispetto a contesti partecipativi come quello del volonta-
riato. Dall’altro, tra le generazioni di donne più adulte sembra di poter iden-
tificare una polarizzazione tra associazioni femminili e associazioni miste.
Se nelle prime la partecipazione è intesa come l’opportunità di prendere
le distanze dagli impegni di cura per rivendicare, anche in conflitto con le
attese dei familiari, la volontà di impegnarsi in una forma di agire pubbli-
co socialmente rilevante, nelle seconde si evidenzierebbe una tendenza,
invece, a strutturare la pratica della partecipazione in relazione agli oneri
della cura e ai tempi che questi continuano a richiedere.
121
“Siamo arrivate da strade diverse”
3.4. Considerazioni intermedie
e nuove ipotesi di ricerca
I nostri specifici case studies di organizzazioni esemplificative della presenza femminile nel terzo settore e nella società civile mostrano alcune
caratteristiche trasversali che ricorrono, pur se in forme di volta in volta
più o meno esplicite. Sembra, infatti, che in molte organizzazioni il percorso di crescita nel tempo sia strutturalmente connesso con un duplice
“andare oltre” degli obiettivi, nel doppio movimento verso una precisazione maggiormente consapevole della mission nel senso di un attivismo
‘alto’ ed eticamente qualificato, da un lato, e verso una diversificazione e
complessificazione dei compiti assunti, dall’altro, attirando nella propria
orbita altri soggetti e allargando le maglie della rete. Per le organizzazioni femminili che si strutturano in continuità, più o meno esplicita, con
il pensiero della differenza di derivazione femminista questo si traduce
spesso in una più marcata apertura del contesto associativo ad ‘altre
differenze’, siano esse relative alla provenienza nazionale, all’apparte-
nenza generazionale o all’interesse verso specifiche tematiche e istanze
che non sono necessariamente condivise dall’intero tessuto associativo
ma che trovano accoglienza e riconoscimento.
Sembra tuttavia di potere intravedere nella trama di queste trasformazioni dei fili robusti di ordito che raccontano mutamenti di natura e direzione
diverse nel tempo che non sempre coincidono. C’è, ad esempio, una
opposizione visibile tra associazioni che collegano la propria mission ad
una etica della cura e del dono fortemente basata su specificità di gene-
re con significative ricadute sul ruolo tradizionale, quasi biologico, delle
donne che richiamano. A questo polo della formulazione del discorso
sembrano opporsi abbastanza chiaramente le organizzazioni - caratte-
122
“Siamo arrivate da strade diverse”
rizzate da un tessuto associativo a prevalenza femminile o esclusiva-
mente femminile o, ancora, da una mission gender sensitive - che hanno superato o stanno superando questo impianto. Muovendosi verso
un’idea della cura come compito societario di grande rilevanza e che
ha ben più diritto al riconoscimento sociale, al di là della soddisfazione
personale, vengono a configurare un right to care (or not to care) (Kni-
jn e Kremer 1977; Tronto 2006) che lascia indubbiamente più spazio
alle differenze fra motivazioni soggettive, ma supera l’idea di un oblativo rispondere ai bisogni. Si introduce così anche la problematica di
quale sia la risposta congrua a questi, con una ricaduta sul “discorso
pubblico sui bisogni” (Fraser 1989) che li ripoliticizza sottolineando la
competenza dei portatori.
È inoltre possibile intravedere un qualche rapporto fra questi due oppo-
sti poli ideali ed un rapporto diretto o ‘a distanza’ con le esperienze del
movimento femminista degli anni ’70 ma in questo caso le appartenenze
generazionali che potrebbero spiegare le differenze non sempre sono
un fattore di ordinamento. Come minimo le generazioni coinvolte sono
tre: le anziane che non lo hanno vissuto, le adulte che mantengono un
legame forte con le sue parole-chiave e le giovani che il legame e l’interesse lo hanno perso, dandone per scontati i raggiungimenti. Certo è
anche che associazioni che riescono a realizzare buone compresenze di
donne appartenenti a generazioni diverse sembrano andare più a fondo
nel dibattito e nell’analisi sulle differenze e le diseguaglianze di genere
di quelle che tendono ad essere egemonizzate da donne della stessa
generazione o di generazioni contigue.
Per poter meglio indagare se queste siano effettivamente caratteristiche
da collegarsi alla partecipazione – esclusiva- o prevalente delle donne
in un trend di femminilizzazione del volontariato, ci sembra che solo l’ap-
profondimento qualitativo che arrivi fino alla ricostruzione esperienziale
dei percorsi biografici di partecipazione a livello di base e nei vertici
possa tentare di cogliere altri nessi.
123
“Siamo arrivate da strade diverse”
4.
Associazionismo e partecipazione: una lettura
attraverso i percorsi biografici femminili
4.1 Il campione e gli strumenti di rilevazione
Alla luce delle suggestioni emerse dal confronto con i testimoni pri-
vilegiati e dall’analisi dei dieci casi di studio presi in esame, così
come previsto dal progetto di ricerca, è stata predisposta una se-
conda fase di rilevazione orientata ad analizzare il fenomeno della
partecipazione attraverso il prisma dell’esperienza, per lo più prolungata di un gruppo di volontarie.
Nell’ottica di valorizzare una lettura dei percorsi partecipativi femminili
che consentisse di studiare l’impegno nel volontariato nell’intersezione
con altre sfere di azione della vita quotidiana, oltre che in una prospetti-
va diacronica, sono state condotte delle interviste in profondità di taglio
biografico, tali da agevolare la narrazione delle intervistate. Complessivamente sono state realizzate 25 interviste della durata media di un’ora;
20 sono state rivolte a volontarie che operano nell’ambito dell’associazionismo toscano e 5 a donne che hanno, o hanno avuto in passato, un
ruolo di dirigenza in associazioni con rilevanza nazionale.
La traccia di intervista è stata articolata in quattro principali sezioni tematiche. La prima è stata dedicata alla ricostruzione storica del percorso
partecipativo; in tal senso le intervistate sono state sollecitate a ripercor-
rere la storia del loro impegno nel contesto dell’associazionismo volontario. Una particolare attenzione è stata rivolta alla collocazione di tali
esperienze nel contesto dei vissuti biografici riguardanti l’ambito familiare, quello lavorativo e quello relativo ad altre eventuali forme di parteci-
124
“Siamo arrivate da strade diverse”
pazione (ad es. politica, di quartiere, sindacale, ecc.) andando in questo
senso a identificare le strategie di conciliazione attuate.
Una seconda sezione è stata riservata all’esplorazione delle motivazioni
che hanno condotto le intervistate alla scelta del contesto associativo
dove svolgono attualmente il loro lavoro volontario. Sono state richieste
inoltre alcune informazioni sull’associazione di appartenenza che hanno
permesso un inquadramento della stessa (mission, settore di intervento,
attività) e una definizione più accurata del ruolo e delle mansioni svolte
dalle volontarie.
La terza sezione ha sollecitato le intervistate a riflettere sull’organizzazio-
ne che contraddistingue l’associazione di appartenenza e, in particolar
modo, sull’eventuale esistenza di differenze di genere per ciò che concerne la suddivisione dei ruoli e delle mansioni o, ancora, per quanto
riguarda le modalità in cui si esplica l’impegno volontario.
Un’ultima sezione è stata dedicata a rilevare le opinioni delle intervistate
su alcuni nodi tematici già affrontati nel confronto con i testimoni privilegiati e, dunque: le specificità e gli ostacoli della partecipazione femminile, il rapporto tra etica della cura e impegno pubblico, l’accesso alla
leadership e la sua gestione da parte delle donne, la percezione dell’as-
sociazionismo femminile e dei movimenti rivendicativi contemporanei.
È stato infine richiesto alle volontarie di sintetizzare, anche alla luce di
quanto emerso nel corso dell’intervista, il significato che esse attribuiscono al volontariato, il contributo che ritengono di aver dato con il pro-
prio impegno e gli aspetti più importanti che hanno potuto ricavare da
questa esperienza.
La traccia delle interviste che è stata sottoposta alle volontarie con ruoli
di dirigenza nell’ambito di associazioni con rilevanza nazionale è stata
integrata con una serie di domande che avevano l’obiettivo di focalizza-
re maggiormente l’esperienza della leadership femminile. In tal senso è
stato ricostruito il percorso che ha portato alla nomina, gli interventi e le
eventuali innovazioni introdotte dopo l’insediamento e, più in generale,
la modalità di gestione del ruolo, il modo in cui è vissuto e praticato, così
125
“Siamo arrivate da strade diverse”
come le doti e le competenze che le intervistate ritengono qualificare la
leadership nel contesto dell’associazionismo.
Dato il carattere esplorativo dell’indagine, si è ritenuto opportuno selezionare il gruppo delle volontarie intervistate sulla base di un campiona-
mento non probabilistico di tipo ragionato e, dunque, orientato principal-
mente a calibrare la presenza nel campione di diverse variabili tenendo
sotto controllo la varianza dell’età, della fase di vita e della composizione
di genere dell’ambito associativo di appartenenza (mista/femminile) che,
in continuità con quanto emerso dal confronto con i testimoni privilegiati, sono risultate essere le principali discriminanti nella declinazione dei
percorsi partecipativi femminili. Ad integrazione delle suddette variabili
si è avuto cura di tenere in considerazione, per quanto possibile vista la
limitatezza del campione, la provenienza nazionale delle intervistate e la
condizione socioprofessionale.
Complessivamente le interviste hanno coinvolto donne di età compresa
tra i 23 e gli 81 anni sebbene la fascia di età più rappresentata, circa
la metà del campione, sia quella compresa tra i 35 e i 50 anni (cfr. ta-
bella 4.1). La maggior parte delle volontarie svolge attività nell’ambito
dell’associazionismo locale da più di 10 anni, circa i 2/3 di queste in
associazioni miste, le restanti invece in associazioni esclusivamente
femminili. Ad esclusione delle presidenti di associazioni con rilevanza
nazionale, meno della metà delle intervistate (7 su 20) ha avuto o ha
attualmente un ruolo direttivo.
126
“Siamo arrivate da strade diverse”
Tabella 4.1.
Composizione del campione per associazione di appartenenza, ruolo, anni di attività nel
volontariato, età e titolo di studio
VOLONTARIE DELL’ASSOCIAZIONISMO TOSCANO
Associazione attuale
N.
Intervista Composizione
di genere
1
mista
2
mista
3
mista
4
mista
5
mista
6
mista
7
mista
8
mista
9
mista
10
Settore
intervento
Sociosanitario
Ruolo
Anni nel
Fascia di
volontariato
età
Livello di
istruzione
direttivo
10≤ ≥20
<35
laurea
Emergenze
direttivo
10≤ ≥20
<35
Sociale/
Intercultura
secondaria
superiore
base
10≤ ≥20
>50
secondaria
superiore
base
10≤ ≥20
35≤ ≥50
laurea
base
10≤ ≥20
>50
secondaria
superiore
base
<10
<35
laurea
direttivo
>20
>50
laurea
base
<10
<35
Socioassistenziale
secondaria
superiore
direttivo
<10
35≤ ≥50
secondaria
superiore
mista
Sociale
base
10≤ ≥20
<35
laurea
11
femminile
Sociale
base
10≤ ≥20
>50
licenza
media
12
femminile
Sociale
base
<10
>50
laurea
13
mista
Socioassistenziale
direttivo
>20
35≤ ≥50
secondaria
superiore
14
femminile
Sociale
base
<10
35≤ ≥50
secondaria
superiore
15
femminile
Sociale
base
>20
35≤ ≥50
laurea
16
mista
Socioassistenziale
direttivo
>20
35≤ ≥50
secondaria
superiore
17
femminile
base
10≤ ≥20
35≤ ≥50
secondaria
superiore
18
femminile
base
10≤ ≥20
>50
laurea
19
femminile
Sociale/
intercultura
base
<10
35≤ ≥50
laurea
20
mista
Sociale
direttivo
10≤ ≥20
35≤ ≥50
laurea
Sociale/
Intercultura
Sociale/
Intercultura
Socioassistenziale
Sociosanitario
Socioassistenziale
Socioassistenziale
Sociale/
intercultura
127
“Siamo arrivate da strade diverse”
VOLONTARIE CON RUOLO DIRETTIVO IN ASSOCIAZIONI NAZIONALI
Associazione attuale
N.
Intervista Composizione
di genere
Settore intervento
Anni nel
volontariato
Fascia di
età
Livello di
istruzione
21
mista
Coordinamento odv
>20
35≤ ≥50
laurea
22
femminile
Partecipazione politica
e sociale
>20
>50
laurea
23
mista
Socio-assistenziale
e sanitario
<10
>50
secondaria
superiore
24
mista
Socio-assistenziale
>20
>50
secondaria
superiore
25
mista
Cooperazione internazionale
10≤ ≥20
<35
post-laurea
Il gruppo è caratterizzato in maniera piuttosto omogenea da un grado di
istruzione medio-alto4 mentre per ciò che concerne l’inserimento lavorati-
vo si nota una pluralità di condizioni (inoccupate, occupate, pensionate)
con una lieve prevalenza delle occupate part time. Poco più della metà
delle intervistate è inoltre madre di uno o più figli.
Nel complesso l’eterogeneità del gruppo considerato sembra dunque
ben rispondere all’obiettivo di indagine, vale a dire all’esigenza di analizzare la diversa articolazione dei percorsi di partecipazione femminile e
la diversa tematizzazione di un tale fenomeno, tenuto conto della varietà
delle esperienze biografiche oltre che partecipative. Per quanto riguarda
il piccolo sottocampione delle dirigenti di rilevanza nazionale, il ridotto
numero di interviste e la inevitabile selezione nel senso di capitali culturali elevati non permetteva alcun “governo” delle variabili di titolo di stu-
dio e di età, né degli anni di presenza nel volontariato: ci si è limitati ad
Il dato è in linea con le tendenze caratterizzanti la popolazione attiva nell’ambito di organizzazioni di volontariato. Come si rileva infatti dall’ultima indagine campionaria realizzata
dall’Istat (Indagine multiscopo – Aspetti della vita quotidiana, 2011), la maggior parte delle
donne che dichiarano di aver svolto attività gratuite per associazioni di volontariato possiede una laurea o un diploma superiore (rispettivamente nel 17,6% e nel 12,1% dei casi)
mentre, per contro, l’incidenza dei titoli di studio medio-bassi risulta decisamente più contenuta (9,1% licenza media, 4,1% licenza elementare).
4
128
“Siamo arrivate da strade diverse”
una scelta di contesti associativi ed organizzativi il più diversificati pos-
sibile per massimizzare, secondo il classico suggerimento di Becker,
la possibilità di includere casi devianti (Becker 1998).
Considerato che l’approccio biografico delle interviste ha frequente-
mente sollecitato narrazioni costellate di dati personali sensibili, si è
ritenuto opportuno trattare il materiale raccolto in modo tale da garan-
tire l’anonimato delle volontarie. I brani delle interviste sono dunque
identificati mediante un riferimento al ruolo ricoperto nelle organizza-
zioni (volontaria ruolo direttivo per coloro che hanno o hanno avuto fun-
zioni di dirigenza e rappresentanza o, viceversa, volontaria di base),
alla composizione di genere del contesto associativo di appartenenza
(femminile o misto) e alla fascia di età.
129
“Siamo arrivate da strade diverse”
4.2. L’ingresso nel mondo
del volontariato
Nell’intento di tracciare i percorsi di partecipazione delle volontarie, un primo aspetto che è stato affrontato attraverso le interviste
ha riguardato il momento di avvio dell’impegno volontario e le di-
namiche di avvicinamento al mondo dell’associazionismo. Tenuto
conto che la maggior parte dei casi presi in esame si contraddi-
stingue per esperienze partecipative di lungo periodo, non stupisce la tendenza diffusa a riconoscere nel volontariato una pratica
che ha fatto parte ‘da sempre’ della vita delle intervistate. Si tratta
di un impegno che talvolta nasce in maniera informale soprattutto
quando è praticato in continuità con la confessione religiosa di appartenenza.
Io, in realtà, volontariato lo faccio da quando avevo quattordici anni. Non c’è stato un momento di inizio, semplicemente io sono cresciuta in parrocchia e quindi avendo
fatto tutto lì sono rimasta lì all’interno facendo attività con
i bambini, quindi centri estivi, come volontariato sempre.
[…] L’ho sempre fatto ed è sempre stata una cosa molto
naturale. [volontaria ruolo direttivo n.1, associazione mista,
<35 anni]
In altri casi si registra una socializzazione alla pratica del volontariato
che nasce nell’ambito familiare in continuità con l’esperienza partecipativa dei genitori.
È un po’ difficile da spiegare perché io ci sono nata diciamo
nell’associazione, perché praticamente mio padre è stato il
fondatore della sezione del paese di dove sono io. [volontaria
ruolo direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
130
“Siamo arrivate da strade diverse”
In generale, le reti relazionali, sia familiari che amicali, svolgono un
ruolo di primo piano nelle dinamiche che determinano l’ingresso nel
mondo del volontariato; questo sembra valere soprattutto nella fase
di avvio dell’esperienza mentre, come notano alcune delle intervistate, con il passare del tempo viene a determinarsi una maggiore
personalizzazione del proprio impegno attraverso scelte più consa-
pevoli delle associazioni e delle istanze al servizio delle quali mettere il proprio operato. Se quindi nel varcare la soglia dell’associazionismo volontario risulta prioritaria una spinta a ‘fare per gli altri’ che
è declinata in maniera più sommaria e che trova realizzazione nei
contesti associativi resi più accessibili dall’esistenza di legami relazionali preesistenti, l’essere dentro questo mondo, e probabilmente
il fatto stesso di conoscerne in maniera più diretta l’eterogeneità,
produce – nel tempo - un mutamento di prospettiva con la volontà
via via più consapevole di operare per una mission specifica.
Prima era un volontariato un po’ più, come si può dire, se si
può dire, generico nel senso cioè che era volontariato per
fare volontariato, ora faccio volontariato perché mi interessa
davvero essere parte di questa associazione. […] Il volontariato lo facevo insieme anche a persone che conoscevo
già, amici, così erano loro forse che mi hanno anche presentato quel tipo di volontariato e che mi ci hanno anche portato, invece in questo qui non c’è nessuna mia amica. […]
Quindi è una cosa che ho scelto di fare io da sola. Mi piace
operare per la sensibilizzazione della cittadinanza su alcune
tematiche che sono quelle che mi interessano. [volontaria di
base n.10, associazione mista, <35 anni]
Non c’era così tanta consapevolezza, c’era più un’urgenza sentita, come dire, […] era un po’ un buttarsi, con tutto
il bello di questa cosa perché poi uno si butta nelle cose.
Adesso è un po’ più, passa più proprio da un impegno civile, da un credere che le cose si cambiano se ci si impe-
131
“Siamo arrivate da strade diverse”
gna. [volontaria ruolo direttivo n.20, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Questa evoluzione verso una caratterizzazione più lucida della scelta di
impegnarsi in determinate attività di volontariato appare ancor più evidente nel percorso di una delle presidenti intervistate che nel raccontare
la sua esperienza contrappone alla fase di partecipazione giovanile, più
spontanea e meno riflessiva, quella successivamente sperimentata in
qualità di fondatrice di una Odv, dove l’acquisizione di responsabilità
personali e le rinunce correlate concorrono a determinare una nuova
coscienza del proprio agire.
Per me la parola volontariato è sempre stata un po’ fin da quando ero piccoletta cioè una cosa che ho sempre avuto la fortuna
di poter fare però un conto è essere un po’ trascinati quindi anche nell’età dell’adolescenza sai che c’è un gruppo attivo che
si occupa di alcune cose e quindi è una cosa che ti è sempre
interessata, è entrata dentro di te, però non era poi una cosa di
consapevolezza. La consapevolezza la prendi quando poi dopo
in prima persona decidi di fare tu e di fare anche delle rinunce.
[volontaria ruolo direttivo n.16, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Nel gruppo considerato risultano più rare le esperienze di coloro che
hanno svolto fin dall’inizio attività nell’ambito di associazioni più riven-
dicative. La caratterizzazione politica dell’impegno volontario risulta in
questi casi preminente e si associa ad una difficoltà a tematizzare la
propria esperienza partecipativa come volontariato poiché, come riferi-
sce una delle intervistate, una tale etichetta sembra delimitare in maniera
restrittiva la ricchezza di un’esperienza che ha molteplici implicazioni
personali, sociali e politiche.
Ho iniziato a fare attività politica a quattordici anni quindi al liceo per capirsi e da lì è stato come dire un qualcosa che non
132
“Siamo arrivate da strade diverse”
si è mai interrotto, chiaramente si è modificato nel tempo. […]
Ecco, non so sinceramente quali di queste attività siano quelle
che si possono facilmente definire di volontariato […] cioè io
faccio fatica ma veramente fatica a definirmi, boh, volontaria.
[…] Facevo politica allora in un certo ambito, in un certo modo,
la faccio adesso qui dentro, quindi insomma io ho un po’ di difficoltà sempre quando l’etichetta vuol contenere qualcosa che
secondo me riduce, riduce in termini proprio peggiorativi il tipo
di esperienza che si fa nelle associazioni perché è proprio riduttivo del, come dire, dell’impatto sulle vite, delle motivazioni che
ti spingono a farlo, sembra quasi voler delimitare ma in questo
caso secondo me veramente in senso peggiorativo. [volontaria
ruolo direttivo n.13, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Non di rado la spinta che porta ad avvicinarsi al mondo dell’associazionismo viene identificata nei termini di un’esigenza personale di conoscenza, di socialità che nasce dai vissuti biografici personali, un ‘fare
per sé’ che, almeno in un primo momento, risulta prioritario o comunque
difficilmente scindibile dal ‘fare per gli altri’.
[Questa esperienza] è nata più che come un volontariato verso
gli altri per un bisogno mio perché insomma tutto il volontariato
credo che sia spinto sempre da esigenze personali prima di
tutto, poi insomma che si faccia bene anche agli altri è secondario, è sempre per un bisogno personale, che poi può essere
un bisogno di conoscenza, di confronti, di sentirsi parte di, di
voler eccedere, un ego che vuole essere sollecitato, non lo so,
comunque però prima insomma penso sempre sia un bisogno
proprio che si unisce poi al far bene agli altri. […] Questa è stata
penso la spinta. […] Da lì, dal frequentare l’associazione per un
bisogno più personale, quindi una cosa più mirata ad un benessere proprio, a una fame, a una sete di conoscenza umana, a
poi affezionarmi allo spazio, a volergli bene, ad affezionarmi alle
persone, a voler bene a chi ci lavorava. [volontaria ruolo direttivo
n.9, associazione mista, 35≤≥50 anni]
133
“Siamo arrivate da strade diverse”
Penso che la maggioranza di chi fa volontariato entra inizialmente per un’esigenza personale che può essere di varia natura, poi
però ti rendi conto che la tua esperienza può servire a qualcun
altro e quindi poi è tutto un crescendo anche di chiamiamole
competenze, istruzione, formazione che è sempre finalizzato a
dare qualcosa agli altri. Penso che inizialmente parti per una
spinta tua e quindi anche per avere delle risposte tu, poi una
volta che tu hai ricevuto le risposte allora ti puoi dedicare agli
altri, questo secondo me è il meccanismo che scatta. [volontaria
di base n. 14, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Va detto che soltanto nel caso delle donne di origine straniera si rilevano
situazioni in cui il primo contatto con il volontariato è avvenuto in veste di
utenti. Così come racconta una delle intervistate, questo incontro, seppur dettato da esigenze personali, diviene l’occasione di vedere riconosciute e valorizzate le competenze possedute, andando ad agevolare
una transizione da utente a volontaria che dà sostanza a pratiche di cittadinanza attiva nel contesto della società locale.
Per caso mi sono rivolta allo sportello dell’associazione per chiedere delle informazioni per la documentazione per la carta di
soggiorno. Cosa è successo? Mi sono trovata, per caso posso
dire anche lì, la presidente dell’associazione che era lì allo sportello e che ha fatto questo colloquio con me. E mi ha detto: “Ma
come hai queste capacità, hai queste cose, perché non vieni a
darci una mano? Te sai varie lingue, eccetera, se ce la fai quindi
vieni”. Da quel giorno sono stata affiancata dalle operatici dello
sportello. […] È uscito fuori che ero più che utile per le donne.
[volontaria di base n.19, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Tra i diversi percorsi di partecipazione presi in esame spicca per
la sua peculiarità l’esperienza di coloro che si sono avvicinate al
mondo dell’associazionismo soltanto dopo il pensionamento o negli
anni immediatamente precedenti. Frequentemente, infatti, si tratta
134
“Siamo arrivate da strade diverse”
di donne che entrano a far parte di un’associazione con l’obiettivo
di trovare un impegno che, una volta interrotto quello lavorativo,
permette di continuare ad essere ancora attive, di dare quindi un
proprio contributo, preservando inoltre una dimensione di socialità
che, come si vedrà in seguito, acquista una particolare centralità
in questi casi.
Ho cominciato quattro o cinque anni prima di andare in pensione perché pensavo al futuro. Sono sempre stata a lavorare
con tante persone e quindi non volevo rinchiudermi in casa a
fare la casalinga, quindi ho cominciato a pensare al volontariato perché credo che il volontariato debba essere fai quello
ti piace, quello che non hai potuto fare per tutta la vita almeno nel mio caso. [volontaria ruolo direttivo n.11, associazione
femminile, >50 anni]
Io sono venuta qui subito dopo essere andata in pensione, mi
portò un’amica. […] Prima con la scuola, la famiglia, venivo assorbita. Come volontariato ho fatto soltanto questo e mi ha riportato nell’ambito dell’insegnamento, mi fa risentire giovane.
[volontaria di base n.3, associazione mista, >50 anni]
In maniera analoga, sono le intervistate più giovani, studentesse o che
lavorano part time, ad identificare nel volontariato un’attività che è stata
avviata per riuscire ad impegnare utilmente il proprio tempo libero.
Lavoravo part-time, quindi avevo tanto tempo libero, questa è la motivazione del perché ho iniziato a fare volontariato
perché avevo secondo me troppo tempo libero e volevo fare
qualcosa […],volevo fare qualcosa perché non mi sentivo impegnata al cento per cento. [volontaria di base n.6, associazione mista, <35 anni]
La collocazione dell’impegno volontario prevalentemente in una fase del
corso di vita sembra costituire, come si avrà modo di evidenziare in se-
135
“Siamo arrivate da strade diverse”
guito, un elemento caratterizzante sia le mansioni e le pratiche realizzate
nel contesto delle associazioni che i significati attribuiti dalle intervistate
alla propria esperienza partecipativa.
Sullo sfondo delle considerazioni effettuate emerge, inoltre, una
delle tematiche nodali che ha implicazioni rilevanti sulla declina-
zione dei percorsi partecipativi femminili, vale a dire la questione
relativa alle pratiche di conciliazione del volontariato con gli impegni familiari e lavorativi.
136
“Siamo arrivate da strade diverse”
4.3. Volontariato, famiglia e lavoro:
sulla conciliazione possibile
Dal racconto che le intervistate hanno offerto delle loro esperienze
di partecipazione emerge in maniera chiara come uno degli ostacoli che contraddistinguono il volontariato femminile così come, più in
generale, l’agire pubblico delle donne sia da ricercare nella comples-
sa articolazione di responsabilità derivanti dalla pluralità di ruoli che
queste rivestono nell’ambito delle nostre società locali. Nel quadro di
un riconoscimento diffuso delle difficoltà specifiche che intervengono
ad ostacolare i processi partecipativi femminili e, dunque, di una con-
sapevolezza rispetto alle problematiche di conciliazione vissute dalle
donne che sembra ormai entrata a far parte dell’immaginario collettivo,
le pratiche attuate dalle volontarie intervistate per far fronte a queste
criticità nonché la lettura che queste ci hanno offerto di tali dinamiche,
risultano nondimeno diversificate.
Una prima discriminante è indubbiamente ravvisabile nella diversa gravosità degli impegni di cura ai quali le volontarie sono chiamate nell’am-
bito dei contesti familiari. Ritorna, come già emerso dalle interviste con i
testimoni privilegiati, una evidente difficoltà delle donne che hanno figli
piccoli o in età in cui l’accudimento risulta particolarmente impegnativo.
In questo senso, come notano alcune intervistate, appare chiaro che le
prassi ormai consolidate che contraddistinguono l’agenda delle associa-
zioni, e in particolar modo l’articolazione dei tempi, risultano difficilmente
conciliabili con i tempi di vita di queste donne.
Il problema è questo: gli orari, al solito gli orari delle riunioni…
se tu mi metti…cioè, mettiamoci un pochino d’accordo perché
non mi puoi mettere sempre le riunioni alle nove di sera. Cioè,
una mamma con bambini piccoli non ti ci viene. [volontaria ruolo
direttivo n.7, associazione mista, >50 anni]
137
“Siamo arrivate da strade diverse”
Fermo restando il fatto che mi porto dietro le figlie, ecco magari
[bisognerebbe] avvicinarsi di più a chi non è in pensione, per
intenderci, come orari quindi a chi ha un tempo un po’ più ristretto ed è più legato a orari che magari non sono quelli appunto
di chi ha già superato una certa età. [volontaria di base n. 14,
associazione femminile, 35≤≥50 anni]
[Si concilia] male perché devi sempre comunque avere gli appoggi di chi ti tiene il figlio o non avere impegni lavorativi […].
Riusciamo a ritrovarci e a conciliare le esigenze di fare un’azione di questo tipo solo con un discorso di orari, per cui ci si vede,
come ti dicevo, nella pausa pranzo, le riunioni serali o alle sei,
le sette, sono totalmente bandite perché è impensabile per noi.
Quindi, il lavoro sugli orari già favorisce molto, diciamo, anche
quel poco che uno può fare che però è sempre meglio che nulla.
[volontaria di base n. 15, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Se il ripensamento delle modalità e dei tempi della partecipazione tarda a
concretizzarsi in azioni tangibili, con rare eccezioni laddove la composizione del contesto associativo di riferimento risulta esclusivamente femmi-
nile, nel frattempo la risoluzione delle problematiche suddette risulta anco-
ra ampiamente demandata al multitasking femminile e alla possibilità, non
sempre disponibile, di delegare ad altri i propri impegni di cura.
C’è un orario di lavoro che è imprescindibile, la famiglia, io prima
ho avuto un bambino poi adolescente poi giovane, poi però mia
madre che è invecchiata. Bisognava cercare, ecco il multitasking
delle donne, in questo sono stata…Le varie cose, la giornata ha
24 ore, spesso non bastano però ci si fanno rientrare tutte. Quindi, cosa significa questo? Significa anche qualche volta delegare.
[volontaria ruolo direttivo n.7, associazione mista, >50 anni]
La partecipazione diviene quindi possibile, così come testimonia il raccon-
to di una delle volontarie intervistate, madre di due figlie piccole, grazie ad
una organizzazione capillare dei tempi.
138
“Siamo arrivate da strade diverse”
Lavoro part-time quindi diciamo attività lavorativa che mi occupa la mattina quando le mie figlie sono a scuola, poi l’attività diciamo politica-associativa personale la concentro fino alle 16,30
del pomeriggio quando loro escono dopodiché è chiaro che è
destinato a loro. Normalmente però nelle attività diciamo di riunione, assembleari o attività come possono essere le iniziative
pubbliche chiaramente mi avvalgo del sostegno o di mio marito
o dei familiari. […] Certo è che l’impegno è difficile però la capacità organizzativa delle donne è straordinaria [ride] e quindi
si riesce a incastrare come un puzzle le varie cose. Chiaramente
nei momenti in cui la vita familiare necessita di maggiore attenzione allora per un po’ passa in secondo piano il resto. [volontaria di base n.14, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Nella prospettiva di queste donne la conciliazione tra partecipazione e
impegni familiari è ritenuta possibile per quanto difficoltosa. Come nota
una delle presidenti intervistate, soprattutto quando si hanno ruoli di responsabilità all’interno di un’associazione, è necessario che la scelta del
proprio impegno sia condivisa e sostenuta a livello familiare in modo tale
che i familiari stessi, e in particolare il partner, siano predisposti a rivedere le loro aspettative rispetto al ruolo che la donna riveste nell’ambito
domestico e a riconoscere il valore del suo impegno pubblico.
C’è da dire che credo che questa cosa si debba fare a livello
familiare. Prima si deve fare un training familiare perché sennò
non si può arrivare alla sera con il marito che ti dice: “Non è
pronto, non mi va bene”. Queste cose qui durano tre mesi perché poi, si è vero magari una sera non c’è la pasta poi la volta
dopo manca un’altra cosa quindi il ruolo della donna in questo
senso è pesante perché devi avere dall’altra parte un minimo
di attenzione, di stima, una stima di fondo che si fa perché ci si
crede, perché prima di tutto i tuoi figli hanno questo messaggio,
dopodiché anche altri ti seguono e quindi ci deve essere una
serenità perché se poi la sera bisogna discutere su quello che
non è stato fatto, “dove sei andata? Ma a che ora torni?”. No,
139
“Siamo arrivate da strade diverse”
perde proprio tutto come se non avesse proprio un senso. Quindi è una scelta familiare prima di tutto il volontariato, questo si.
A prescindere poi se uno è d’accordo o non è d’accordo però
in quel momento lì bisogna parlare con il proprio partner, con
un compagno se c’è un compagno, […] bisogna spiegare che
ci si crede in questa cosa […]. Questo implica però un’apertura
mentale con la mia famiglia molto grossa che non è banale, non
è banale assolutamente. [volontaria ruolo direttivo n.16, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Un più diffuso scetticismo nei riguardi della possibile conciliazione tra
vita familiare e impegno pubblico si riscontra in particolare nelle prospettive di due intervistate che si sono trovate a scegliere tra le opportunità
di una carriera - una nel settore lavorativo, l’altra nell’ambito dell’asso-
ciazionismo - e quelle di realizzare una propria famiglia. Si tratta di due
esperienze di segno opposto infatti nel primo caso la scelta è quella di
limitare il proprio impegno lavorativo per poter vivere appieno la maternità mentre nel secondo è proprio a quest’ultima che si rinuncia.
Può essere che le donne dicono “vabbè non mi interessa la carriera preferisco stare nei miei limiti perché ho una vita privata,
ho la mia famiglia, mi piace stare con la famiglia” […]. La realtà
è questa cioè per lo meno sulla mia pelle l’ho provato, cioè io arrivavo a casa che non avevo una vita sociale perché gli amici li
perdi, perché la mattina parti presto arrivi la sera tardi, il sabato
e la domenica c’è da pulire comunque quello ti rimane nonostante mio marito mi abbia sempre aiutato ma quello ti rimane,
sei stanca, ti rimane cosa? Mezza giornata per stare con tua
figlia e tuo marito. Io sono arrivata a un certo punto che ho detto
“per me non ne vale la pena” e mi sono licenziata e ho cercato
un posto dove stavo a casa con mia figlia. Me la coccolo, me
la sono spupazzata dai quattro anni in su perché io non le ho
mai fatto il bagnetto cioè non so se mi spiego, cioè ci sono delle cose…io non l’ho mai portata in bicicletta, io non l’ho mai, ci
sono delle cose che…io mi sono persa, mi sono persa un pezzo
140
“Siamo arrivate da strade diverse”
di vita di mia figlia che non le posso raccontare, io non c’ho mai
giocato quando era piccola, io non c’ho mai fatto niente perché
quando arrivi a casa alle otto e mezza che devi cenare e questa
alle nove si addormenta insomma ripeto per quanto mi riguarda
io ho scelto di non fare la carriera, per me non ne valeva la pena
di perdere questo. […] O decidi di fare la carriera e poi dopo fai
la famiglia allora forse si. [volontaria di base n.17, associazione
mista, 35≤≥50 anni]
Ora a quarantasei anni si fanno pure un po’ i conti, no? Ho sempre saputo per la vita che facevo che un figlio non l’avrei mai
potuto avere. E, sai, detto oggi a orologio biologico scaduto, no?
Però non c’è amarezza in questo. Ti dico con grande serenità
che l’aspetto legato al bisogno di maternità, sono piena…cioè
io…quando si sposa un dipendente o quando nasce un bambino o quando qui fra le operatrici, fra…per noi e come se si allarga la famiglia, come averci un compito in più. […] E non sono
ipocrita perché tutte quelle che ti dicono che si può coniugare
tutto, si si coniuga tutto ma si coniuga tutto se c’hai i soldi, se ti
puoi permettere la babysitter, se ti puoi permettere di spostarti
in un certo modo. Quando si fanno vite come la mia coniugare
tutto si fa, si fa, ma si fa con gran più fatica per cui le mei ore di
volontariato, il mio prestare attenzione, il mio…pesa, pesa tantissimo, in termini anche di neuroni che si spengono. [volontaria
ruolo direttivo nazionale n.21, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Le due esperienze sopra richiamate evidenziano una prospettiva decisa-
mente più critica in merito al tema della conciliazione: coordinare un investimento importante nel pubblico con un altrettanto rilevante impegno
nel privato risulta pressoché impossibile. Si impongono dunque delle
scelte che, per quanto condotte con consapevolezza e senza rimpianti,
segnano inevitabilmente i vissuti biografici femminili.
La rinuncia alla maternità intesa come procreazione biologica torna ancora nell’esperienza di un’altra delle volontarie presidenti.
141
“Siamo arrivate da strade diverse”
Io non sono sposata, sto da sola e quindi, come dire, ho fatto
anche delle scelte che mi hanno portato in questa posizione
però è anche più facile sicuramente di una persona che ha figli.
Ad esempio, la persona con cui misi su l’associazione ha due
figli e si è trovata che era impossibile conciliare tutto, quindi si
fanno anche delle scelte diverse. [volontaria ruolo direttivo n.20,
associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Nel riflettere sulle caratteristiche del volontariato femminile si avrà modo
di evidenziare, così come accennato sopra, come l’idea della maternità
trovi comunque una declinazione del tutto peculiare in queste donne.
Se, come si è visto, le esperienze in cui la conciliazione è percepita
e vissuta come più complessa riguardano le donne che hanno ruoli di
rappresentanza e coloro che hanno figli in tenera età, questo aspetto
tende a sfumarsi quando i figli sono più grandi. Come racconta una delle
intervistate, in questo caso i figli stessi divengono partecipi, anche se
indirettamente, dell’impegno pubblico della madre.
Per la famiglia sono una persona posso dire speciale ma tutte le
mamme fanno così. Io ho dato più di quindici anni alla famiglia
a stare proprio vicino a loro. Non era facile uscire all’improvviso
e lasciarli tutto il giorno. Sto dietro con il telefono, quando arrivo
la sera “come è andata?”, devo verificare tutto. […] Loro a volte
dicono “mamma ma è troppo quello che stai facendo”, perché
ascoltare le donne, le difficoltà, i problemi, tutto, qualcosina lo
prendo a casa mia con me [sorride] […]. All’inizio era difficile,
era difficile. […] Sono riuscita, per fortuna, a saper mettere
questo distacco, come si dice, per lavorare tutto il giorno qua
e vedere e cercare sempre, cercare in qualche modo la soluzione per la donna ma non entrare nei suoi panni perché così
non faccio niente per la donna, non l’aiuto. Quindi, tornando
a casa mia, quando arrivo a risolvere un problema mi vedono
felice, “ecco mamma ha risolto qualcosa, è soddisfatta oggi
del lavoro che ha fatto” [sorride] e così via […]. Loro vedono
che amo quello che sto facendo e nello stesso tempo non è
142
“Siamo arrivate da strade diverse”
che ho lasciato, non ho abbandonato la famiglia quindi loro in
qualche modo sono contenti. [volontaria di base n.19, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Un’altra intervistata sottolinea invece come il suo impegno volontario,
motivato da esperienze personali e da un percorso biografico specifico, trovi riconoscimento e condivisione nel figlio che talvolta interviene
informalmente a sostegno delle attività dell’associazione. Come precisa,
tuttavia, la scelta del tutto personale di impegnarsi in una mission non
può essere ‘ereditata’ dal figlio ma deve trovare fondamento in un’elaborazione individuale.
Quando io ho bisogno lui c’è ma lui in realtà fa il volontario in ambulanza. Ma è giusto che sia così, cioè, l’associazione è una cosa
mia non è una cosa sua. Lui mi aiuta quando io ho bisogno, viene
mi fa i banchetti, fa le lettere, cioè cose di manodopera, diciamo
così, ma lui si è scelto un suo, un suo modo. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.24, associazione mista, >50 anni]
Una prospettiva del tutto peculiare si ritrova invece nelle volontarie che
hanno iniziato a dedicarsi alle attività di volontariato dopo il pensiona-
mento. In questi casi il coinvolgimento della famiglia e del partner nelle
attività svolte in ambito associativo risultano più marginali mentre si ri-
scontra una tendenza a sottolineare che il proprio impegno nel volontariato non determina alcuna mancanza rispetto a quelli che sono sentiti
come i propri doveri domestici.
Io non gli faccio mancare nulla di miei doveri in casa […]. Abbiamo parlato spesso, mi diceva “lascia stare, ti stanchi”. Questo
invece è una salute per me, questo non è una stanchezza anzi la
stanchezza è stare a casa, dice “si fa una passeggiata”, quello
non è lo stesso. È vedere le persone tutti i giorni, è sentire “devo
prepararmi, devo vestirmi, uscire di casa”, è un sentimento diverso. [volontaria di base n.5, associazione mista, >50 anni]
143
“Siamo arrivate da strade diverse”
Oggi per esempio mi sono dovuta portare i nipoti dietro. I lunedì
io lo voglio in tutti i modi, il lunedì per poter stare con le donne,
quelli [i familiari] si arrangiano, trovano un modo. Si deve trovare
un modo perché ci sono anch’io, esisto anch’io, non voglio proprio chiudermi in casa ecco e quindi essere sempre a disposizione. Lo sono per tutti i giorni della settimana e poi siccome so
che il pomeriggio devo andare a prendere i bambini gli impegni
me li prendo via via. [volontaria ruolo direttivo n.11, associazione femminile, >50 anni]
In queste volontarie si evidenzia dunque una partecipazione all’associazionismo che è subordinata, seppur con gradi variabili a seconda delle
diverse esperienze, alle richieste di cura che provengono dall’ambito
familiare. Questo emerge in maniera emblematica nel racconto di una
delle intervistate che riferisce la vicenda di una collega attiva nell’ambito
della stessa associazione per cui l’impegno con il nipote determina una
impossibilità a continuare la propria attività di volontariato.
Ora c’è una delle nostre colleghe che è diventata nonna e già ci
ha avvertito, i figli lavorano naturalmente, la nuora lavora eccetera, e ha detto: “io vi lascerò”, capito? […] Viene arginata questa
spinta a partecipare. Dispiace, perché quello è uno spazio di
libertà praticamente il volontariato, è importante. [volontaria di
base n.3, associazione mista, >50 anni]
Nel complesso appare evidente come gli ostacoli della partecipazione
femminile risultino intimamente collegati con la difficile conciliazione tra
il ruolo di madre e quello di volontaria. Su questo aspetto si riscontra una
diffusa consapevolezza e, tuttavia, sembra opportuno sottolineare come
il discorso delle intervistate tenda ad assumere una diversa coloritura per
ciò che concerne le rivendicazioni delle pari opportunità di partecipazione. In particolare, nella tematizzazione offerta dalle volontarie più giovani
o da quelle più adulte che non hanno vissuto direttamente l’esperienza di
144
“Siamo arrivate da strade diverse”
carichi di cura derivanti dalla condizione familiare si può notare come la
riflessione sulle diseguaglianze di genere nei processi partecipativi non
sia associata ad una contestazione di questo ordine di cose.
Nei tempi di vita eh beh naturalmente, diciamo che in genere
le donne sono più occupate in una parte della loro vita e quindi
hanno meno tempo a disposizione per fare volontariato, diciamo
in famiglia il volontariato lo fanno tutte perché chi è che non ha
da occuparsi di un figlio, di genitori, la casa insomma, oltre del
lavoro, quindi mi sembrano molto impegnate, l’uomo può sempre dedicarsi, diciamo che invece di avere una passione, un
hobby, può fare sempre alla settimana una giornata di volontariato. Forse le donne ci arrivano dopo, quando i figli sono grandi,
i mariti sono tranquilli, possono avere come desiderio di fare
qualcos’altro, o anche come idea di non sentirsi inutili e quindi
così, come percorsi è chiaro una donna ci arriva o tardi o presto
prima di metter su famiglia, non lo so immagino eh. [volontaria
di base n.4, associazione mista, 35≤≥50 anni]
È ovvio quando siamo giovani si partecipa di più, poi dopo c’è
secondo me una pausa che uno fa la famiglia e quando ha figli
non partecipa, poi dopo quando i figli sono cresciuti partecipa
di nuovo. […] Non solo nel volontariato ma in tutte le cose è così
perché se hai famiglia c’è un po’ più impegni e non ce l’hai tanto
tempo. [volontaria di base n.6, associazione mista, <35 anni]
Le donne quando diventano madri magari lasciano le attività
di volontariato per poi riprenderle diciamo in età più avanzata
quando comunque non si lavora più oppure non so. Per gli
uomini non credo [ride] perché comunque sia loro sono più
avvantaggiati perché sì devono crescere i bambini insieme
alle loro mogli però diciamo che il maschio è sempre un pochino distaccato quindi diciamo ha più libertà, ha più tempo
per dedicare anche alle attività di volontariato, magari ne dedica di più sempre in età avanzata. [volontaria di base n.8,
associazione mista, <35 anni]
145
“Siamo arrivate da strade diverse”
Tra le giovani più attive e che hanno già ruoli di dirigenza si intravede un
atteggiamento più rivendicativo e dunque una volontà di non rinunciare
al proprio impegno nell’associazionismo nel caso di una futura maternità.
Tuttavia, come evidenzia il brano che segue, questo orientamento non
sembra strutturarsi sulla base di una reale consapevolezza delle problematiche di conciliazione.
È difficile riuscire a conciliare cose un pochino più importanti, io
ti dico che ora inizio a sentire un po’ l’esigenza di essere madre,
più o meno è 11 anni che sto con il mio fidanzato, è due anni che
convivo quindi comunque ora la sento l’esigenza, sono stata la
prima io a dire ai miei che se un giorno avrò un bambino io sarò
la prima mamma probabilmente che porta il figlio sull’emergenza anche mentre lo allatta [ride]. [volontaria ruolo direttivo n.2,
associazione mista, <35 anni]
La rivendicazione delle pari opportunità di partecipazione tende quindi
a sfumarsi soprattutto nelle prospettive delle giovani volontarie. Questa
peculiarità delle giovani è evidenziata anche da alcune intervistate che si
trovano invece a vivere in prima persona le problematiche derivanti dalla
complessa conciliazione tra maternità e partecipazione.
Io con altre mamme abbiamo l’esigenza magari più di organizzazione dei tempi della vita […] magari ci preoccupiamo perché
diciamo l’uomo deve condividere l’attività con la donna, deve
condividere anche la maternità, la paternità, a partire dalle cose
più banali ma anche sulla gestione anche a riprendere i figli a
scuola e la giovane ti dice “eh ma il mio ragazzo mi lava i piatti”.
Ok però è un po’ diverso cioè non avendo ancora avuto penso
l’esperienza, quell’esperienza, non si percepisce fino in fondo
tra virgolette la profondità per non dire la pesantezza dell’esperienza stessa e si considera l’altra parte del cielo come aperta
fintanto che quando poi non arriva un figlio e quell’apertura si
146
“Siamo arrivate da strade diverse”
chiude drasticamente. [volontaria di base n. 14, associazione
femminile, 35≤≥50 anni]
Le giovani donne più giovani di me hanno una quasi totale assenza di percezione, tutti altri interessi, è molto difficile che siano coinvolte […], per la mia esperienza in particolare, in questa
fase storica la loro partecipazione è rivolta su altre cose, cioè
non è una partecipazione né politica, né sociale, né imprenditoriale, né niente […]. La mentalità delle ventenni è quella delle
nostre nonne degli anni Cinquanta…purtroppo…cioè, nel senso
di crearsi un microcosmo tutto loro di sicurezze che poi non ci
sono e questa cosa poi fa sì che le loro vite siano anche rese più
complicate e difficili perché si basano tutte su canoni e standard
che non esistono più. [volontaria di base n. 15, associazione
femminile, 35≤≥50 anni]
Guarda le giovani, io dico sempre, sono nate libere. Hanno
esperienza della libertà femminile, non solo dell’emancipazione.
Solo che mentre l’emancipazione ha voluto dire un percorso collettivo, cioè unirsi con le altre per chiedere delle cose, quindi il
nemico era l’altro e quindi era chiaro, la libertà, in qualche modo
tu sei libera perché vieni cresciuta in un certo modo e pensi che
la libertà non richieda un coordinamento con le tue coetanee,
cioè pensi che te la puoi gestire da sola, al massimo coinvolgendo tua madre. Tipo: faccio un figlio e mia madre…io ho visto
donne della mia generazione liberissime con i propri figli quando li hanno cresciuti, come l’ho cresciuto io, vai qua, vai là, stai
su, stai giù, come nonne sono state non solo penalizzate ma
proprio punite dalle proprie figlie che invece di cercare un rapporto con le proprie coetanee…per dire: la scuola non funziona?
L’asilo non funziona? Allora io faccio una battaglia politica. No,
io chiedo a te e tu mi fai il servizio sociale, con la tua pensione
fai quello…Questo ha prodotto una generazione di donne libere
ma che con la loro libertà pesano su altre donne che possono
essere anche le immigrate, le badanti, anche per noi vale questo
discorso, per noi di una certa età. Io invece penso che anche
147
“Siamo arrivate da strade diverse”
la libertà ha bisogno di organizzarsi e di fare sponda rispetto al
maschile. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.22, associazione femminile, >50 anni]
Emerge dunque una differenza generazionale di rilievo: le giovani,
figlie della libertà (Beck 2000) così come i loro coetanei, si contraddi-
stinguono per una riflessività più individualista. Questo atteggiamento
non lascia molto spazio a forme di solidarietà femminile declinate in
chiave intergenerazionale che, consentendo una maggiore consape-
volezza rispetto alle diseguaglianze di genere, potrebbero costituire
la base per azioni collettive di rivendicazione delle pari opportunità.
In linea con queste considerazioni è la riflessione di una delle intervi-
state più adulte che osserva come la limitatezza delle prospettive di
affermazione che le nostre società offrono alle giovani donne sia un
fattore che incide profondamente sulla declinazione delle loro aspettative, andando a determinare un ritorno a ruoli tradizionali di genere
che si ritenevano superati.
Forse perché il mondo gli viene chiuso, dato che le opportunità
sono poche e la concorrenza è tantissima e queste stanno a
guardare che i maschi vanno avanti e le donne no e forse poverette è la società che stiamo consegnando loro è una società
fatta di nuovo com’era negli anni ’50 il marito lavora e la donna
sta a casa capito. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.23, associazione mista, >50 anni]
È opportuno notare come il tema della conciliazione sia affrontato preva-
lentemente nel quadro di riflessioni che pongono al centro la dimensione
della famiglia. Al contrario, più raramente si identificano ostacoli derivanti
dagli impegni lavorativi e ciò avviene soprattutto quando nelle esperien-
ze delle intervistate questi ultimi tendono a sommarsi ai carichi di cura
familiari. Da sottolineare, tuttavia, come evidenzia una delle volontarie, le
implicazioni che derivano dalla condizione di precarietà lavorativa.
148
“Siamo arrivate da strade diverse”
Ora, invece, è il mio unico reddito è part time e per quanto sia
così, anche positivo […] è molto difficile riuscire a conciliare.
Cioè, quello che toglie la precarietà è il fatto di spendersi in altro
che non sia la ricerca del lavoro. [volontaria ruolo direttivo n.20,
associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Lo stato di incertezza che si associa al precariato può determinare, infatti, una minore propensione a investire in attività che non siano direttamente correlate con la ricerca di un lavoro, andando così ad inibire i
processi partecipativi.
Al contrario, le intervistate che tendono a ridimensionare l’idea che esi-
stano ostacoli concreti nei percorsi di partecipazione delle donne sono
coloro che attribuiscono un primato alla dimensione relazionale del volontariato, ad un agire volontario che è ‘esserci per l’altro’ e che, in tal
senso, si ritiene possa esplicarsi anche in forme coniugabili con una
quotidianità densa di complessità.
Non c’è categoria secondo me, non c’è nemmeno fasce lavorative né fasce culturali e anche di titoli di studio. Ci credo profondamente in questa cosa perché vedo persone che hanno
grossi problemi economici, grossi problemi di tempo, lavori anche molto umili e che però riescono sempre a trovare un pizzico di attenzione per questa associazione. Penso che sia una
spinta interiore nel valorizzarsi, penso che la valorizzazione nel
profondo di sé venga esplicata in quella mezz’ora, dieci minuti,
quella telefonata. Perché io lo dico sempre, il volontariato non è
quantizzato, cioè, parliamoci chiaro, io posso dedicarci tre ore,
te un’ora ma poi ci sono anche cose che non hanno orario. Fare
una torta non ha un orario, fare una telefonata a quella persona
che è in difficoltà non ha un orario. [volontaria ruolo direttivo
n.16, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Secondo me si può fare tutto se si vuole, se si vuole si può fare
perché le persone che tu segui sono innanzitutto esseri umani.
Gli esseri umani tra sé costruiscono delle relazioni, le relazioni
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“Siamo arrivate da strade diverse”
sono dei legami, si può rimaner legati anche con una telefonata
per sentire semplicemente come stai, non è necessario assiduamente stare lì e assistere. Ecco, tutto ciò che non mi è mai
passato per la mente è il concetto, l’idea di assistenza, mai. A
volte quando si parla di volontariato si fa l’associazione assistenza, si assiste, si assiste quindi si vede l’altro di fronte come
uno che ha bisogno invece non è così, per me almeno, io parlo
naturalmente per la mia esperienza. Quindi anche una telefonata è legame, vedersi la mattina per prendere un caffè trovarsi in
centro è legame, è volontariato perché te lo sai che hai queste
persone, non fanno parte della tua famiglia, però sono persone
alle quali ormai ti senti veramente legata a doppio filo e quindi è
difficile anche per me definire la parola volontariato. Comunque
si era facile conciliare e lo trovo tutt’ora abbastanza facile, ci
vuole l’impegno ma se si vuole ripeto si può fare. [volontaria di
base n.4, associazione mista, 35≤≥50 anni]
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“Siamo arrivate da strade diverse”
4.4. Il soffitto di cristallo del volontariato
e la leadership femminile
Le interviste rivolte alla volontarie sono state l’occasione per tornare a
riflettere sul tema della leadership femminile nel contesto dell’associazionismo volontario. A questo proposito può essere opportuno considerare
dapprima i fattori che, secondo la prospettiva delle intervistate, determinerebbero un limitato accesso delle donne ai ruoli di vertice.
In continuità con quanto emerso dal confronto con i testimoni privilegiati, alcune intervistate notano che l’immaginario collettivo continua a popolarsi di rappresentazioni che associano la rappresentanza al genere
maschile; a ciò si sommerebbe inoltre una divisione dei ruoli di genere
nell’ambito della sfera privata che consentirebbe agli uomini una maggiore dotazione di tempo da investire nei percorsi di carriera.
Questo contiene una visione della donna in un certo modo, siamo molto legati ancora all’uomo più libero che scala i vertici,
forse anche in un’associazione di volontariato si tende a dare un
incarico magari di maggior responsabilità che richiede magari
più tempo, più dedizione a un uomo perché forse ha più tempo, è meno legato ad una visione della famiglia credo, oppure
proprio è una società maschilista e allora proprio siamo rovinati
se è così…un po’ è così, un po’ è così. [volontaria di base n.4,
associazione mista, 35≤≥50 anni]
Le differenze di genere nell’articolazione dei tempi di vita tenderebbero
invece a sfumarsi dopo l’età del pensionamento e ciò spiegherebbe,
come nota una delle volontarie, la maggiore presenza di donne più adulte nei ruoli di rappresentanza.
151
“Siamo arrivate da strade diverse”
Perché magari sono in pensione, non hanno un lavoro e la donna ce l’ha di occuparsi di qualcosa di volontariato, l’idea di occuparsi magari di qualcun altro e allora ci arrivano al vertice, si
propongono. Chiaramente se hai altri impegni non puoi, è questione sempre di priorità diciamo. [volontaria ruolo direttivo n.1,
associazione mista, <35 anni]
Al contrario, come osserva una delle intervistate, la scarsa presenza di
giovani donne nei vertici dell’associazionismo sembrerebbe associarsi
alla tendenza ad attribuire a queste dei ruoli di vertice laddove il tema di
interesse viene ritenuto più affine con le qualità attribuite alle donne, con
una replicazione della divisione tradizionale dei ruoli direttivi nel pubblico.
Una volta mi ricordo nelle prime giunte degli anni Cinquanta, se
lei trovava una donna in una giunta comunale, sia del paesino
sia della grande città, ma di che si occupava? Degli asili nido
e della beneficenza. Ecco, ora si occupano dei giovani, bella
cosa, fanno cose molto belline però forse sarebbe bene che
le ragazze facessero anche altro. [volontaria ruolo direttivo n.7,
associazione mista, >50 anni]
Un altro ordine di considerazioni riguarda gli ostacoli derivanti dalla di-
versa qualificazione della leadership di cui le donne possono farsi pro-
motrici. Come nota una giovane intervistata, la dimensione dell’emotività,
spesso attribuita all’agire femminile, sarebbe ritenuta incompatibile con
una visione più tradizionale della rappresentanza che si struttura invece
sull’associazione concettuale tra autorevolezza e razionalità.
Non ti saprei nemmeno descrivere la motivazione per cui non
vedano una donna al vertice, forse probabilmente perché pensano che l’emotività superi l’essere razionale e avere un ruolo
importante, secondo me ci vogliono tutte e due. [volontaria ruolo
direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
152
“Siamo arrivate da strade diverse”
I fattori sopra richiamati trovano una sintesi nelle osservazioni offerte da
una volontaria attiva nell’ambito di un’associazione femminile che nota
come gli ostacoli di carattere culturale e strutturale e, segnatamente, le
difficoltà di partecipazione ad un volontariato ancora fortemente struttu-
rato in relazione ai tempi e agli stili di vita maschili, siano da rimuovere
preservando le specificità dell’agire femminile.
Soffitto di cristallo si chiama e vale in tutte le situazioni, in tutti i
contesti, in tutti i mondi e purtroppo quella limitazione è dovuta
al fatto che come ho già detto prima il mondo del lavoro è un
mondo che, assimiliamolo anche a questo al mondo dell’associazionismo, è legato a abitudini maschili quindi è chiaro che
più si va in alto più gli impegni aumentano e tutto è organizzato
in funzione di un mondo maschile quindi libero da condizionamenti familiari […]. È compito della società e della politica
messe insieme far sì che questo soffitto di cristallo venga rotto,
io dico che va rotto a colpi di tacco dodici [ride] perché non
bisogna mai diventare uomini, perché è questa la differenza:
mantenere la femminilità. [volontaria di base n. 14, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
In questa direzione, come nota un’altra delle intervistate, la complessità
consiste proprio nell’affermare una modalità femminile di gestione del
potere che sia in grado di coniugare l’esperienza soggettiva con il ruolo
pubblico di rappresentanza e, dunque, di superare una visione prettamente maschile in cui al ruolo di dirigenza si associa spesso un’estraneazione rispetto a quello che è il vissuto biografico.
Il rimandare, il riuscire per quello che sono gli uomini a una teorizzazione, a una esternazione dal soggetto, dal personale, se
da una parte lo vedo come un qualcosa che non è quello che
ci vuole in un momento come quello in cui siamo adesso però
dall’altra parte può anche essere che facilita maggiormente il
fatto di confrontarsi con la realtà. […] Forse anche una facilità a
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“Siamo arrivate da strade diverse”
misurarcisi con questa realtà proprio perché non partono da un
proprio personale no? E quindi penso che poi la grossa difficoltà
delle donne di stare all’interno di dimensioni di potere cercando
di portare un proprio modo di stare in questa dimensione qui sia
un dato di fatto insomma. [volontaria ruolo direttivo n.20, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Si tratta, in altri termini, di preservare l’intelligenza emotiva come dote
che qualifica la leadership femminile.
Mi rendo conto che però abbiamo dei vincoli incredibili per cui se
arrivi a certe situazioni, o devi essere come un uomo e quindi assumere caratteristiche maschili il più possibile quindi non ti è concessa l’emozione, io invece credo molto nell’intelligenza emotiva
delle donne. Quando io ce l’ho fatta, per esempio in questo caso
a non far licenziare i dipendenti o quando ce l’ho fatta a fare…mi
sono anche concessa lo slancio, l’entusiasmo, la generosità e…E
sono sempre stata amica delle donne. [volontaria ruolo direttivo
nazionale n.21, associazione mista, 35≤≥50 anni]
L’affermazione della leadership femminile può determinare quindi un mutamento nel contesto del volontariato e delle società locali poiché diviene
l’occasione per un superamento dell’associazione semantica tra i binomi
concettuali ragione/passione, pubblico/privato, maschile/femminile.
Le differenze di genere nell’accesso alla leadership sono talvolta interpretate in relazione al diverso investimento che uomini e donne consa-
crerebbero al raggiungimento dei ruoli di potere. Nel caso delle donne
la leadership andrebbe a configurarsi come conseguenza quasi inten-
zionale di un agire che non mira al suo ottenimento e ciò avrebbe con-
seguenze anche sulla declinazione del ruolo direttivo, vissuto in maniera
meno verticistica e più condivisa.
Forse l’uomo la concepisce [la leadership] come un avanzamento naturale sia del lavoro sia dei ruoli all’interno di un gruppo, la
154
“Siamo arrivate da strade diverse”
donna forse la conquista con un buon lavoro, un buon operato
suo malgrado. Ecco, magari non ci pensa neanche, arriva una
promozione, un incarico, una gratificazione alla quale non pensa, per l’uomo è connaturata credo la scalata, salire le scale.
[volontaria di base n.4, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Magari la donna non si vede proprio come leader da sola magari diciamo si mette al pari delle altre persone siano uomini che
donne, forse l’uomo diciamo è un pochino più distante rispetto agli
altri livelli non lo so secondo me questo, poi magari ci sono anche
uomini che sono più aperti quindi si mettono proprio allo stesso
livello, però secondo me la donna ha proprio questa sensibilità in
più. [volontaria di base n.8, associazione mista, 35≤≥50 anni]
L’esperienza delle volontarie che hanno avuto un ruolo direttivo nell’ambito delle associazioni rivela che frequentemente sono le donne stesse ad
immaginarsi meno in queste funzioni. Le reazioni personali alla proposta
di rivestire un ruolo di presidenza mostrano infatti una iniziale difficoltà a
riconoscersi le capacità che sono ritenute fondamentali per svolgere un
tale compito di rappresentanza nel migliore dei modi.
Ci sono degli aspetti della vita sociale in cui la partecipazione
femminile è molto forte di più rispetto a quella maschile […]. Forse ci si immagina anche meno, nemmeno io mi ero mai immaginata come possibile presidente. Quando me l’hanno proposto
ho pensato fosse un suicidio, non tanto per il ruolo di donna
quanto per una preoccupazione mia sul dovere, il dover essere,
il dover essere adeguatamente preparata. [volontaria ruolo direttivo n.9, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Rispecchia non solo il volontariato ma magari questa tendenza
delle donne di voler svolgere un compito al massimo, con le
migliori competenze da mettere in campo e a volte di rinunciare perché si pensa di non riuscire a farlo al meglio, di non
riuscire a conciliare i vari…quindi si autoescludono. […] Alla
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“Siamo arrivate da strade diverse”
fine anch’io quando mi…quando hanno pensato a me per la
carica di presidente quello che mi è venuto in mente sono le
difficoltà perché pensavo di non poterlo fare al meglio. […]
Alla fine forse non bisogna pensarci troppo perché le donne
hanno anche mille risorse quindi, si, ci autoescludiamo, ci sottovalutiamo facilmente, questo per un fatto culturale, tendiamo
a sottovalutarci facilmente. [volontaria ruolo direttivo nazionale
n.25, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Ritorna, in particolare, una difficoltà che è ritenuta tipicamente femminile
nel riconoscere le abilità possedute; un atteggiamento che rischia dunque di alimentare delle dinamiche di autoesclusione. Ciò avviene, come
sottolinea una delle presidenti, nel confronto con un modello immaginario di leadership che trova ancora scarsa attuazione nella realtà sociale
e che non trae autorità dal ruolo quanto dalle competenze.
Quello che vedo è che c’è una grande difficoltà di riconoscimento della donna, prima di tutto di quella che è la propria capacità. […] C’è autolimitazione e quindi è una delle prime cose,
una difficoltà a riconoscersi la capacità di. Anche perché poi se
una si dovesse specchiare nella realtà quello che è il modello
che vorrebbe attuare forse non lo ritrova, cioè non ci sono tante
[…] dimensioni di azione in cui le donne hanno potere e portano
un nuovo modo di fare, di gestire questo potere quindi non in
modo così verticistico, così fatto di ruoli, dove il ruolo ti fa essere
quella che sei e non la competenza. [volontaria ruolo direttivo
n.20, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Il racconto di un’altra presidente, nel mettere sempre in luce l’iniziale
difficoltà a riconoscersi nel ruolo, consente di identificare la successiva
maturazione di questa prospettiva resa possibile da un percorso personale ma anche dal sostegno degli altri membri dell’associazione.
L’anno scorso non mi sarei mai immaginata di fare la presidente
perché quando me lo chiesero dissi: “no ma voi siete impazziti”
156
“Siamo arrivate da strade diverse”
[ride] altro che psicoterapia […]. Non lo so, ho sempre avuto il
senso del dovere, ho sempre pensato che il fare il presidente dovesse richiedere di essere, non so, la migliore in tutto, la migliore,
e quindi l’ho sempre immaginato un ruolo in generale in cui bisogna essere eccellenti in tutto, cosa che io non sono anzi penso
all’interno dell’associazione di essere probabilmente quella più…
la più schiappa [ride] perché ho un percorso molto più breve rispetto a chi l’ha fondata, a chi la frequenta da molto anni, a chi ha
fatto un percorso su di sé di costruzione della propria identità attraverso libri, film e quindi sono anni, anni, anni che partecipa alla
vita quotidiana dell’associazione. Io all’inizio mi sono sempre sentita, ecco, diciamo un po’ rispetto a queste persone che identifico
come storiche mi sono sempre un po’ diciamo confrontata con un
certo scarto nel senso che comunque insomma c’è un qualcosa
che loro hanno fatto e che io non ho fatto, però io ho fatto e quindi
ho imparato anche a dirmi questo, nel senso “hai fatto altro e se
ci sei e se in qualche modo te ne rendono merito probabilmente
è perché va bene e va bene così”. […] è molto gratificante, cioè
è gratificante il ruolo perché comunque te lo chiedono di farlo, è
gratificante che te lo riconoscano, è gratificante leggere l’entusiasmo. Bisogna stare attenti a non pensare di essere sempre responsabili di tutto perché se no poi…è bello godersi l’entusiasmo
però poi bisogna anche godere dell’assenza dell’entusiasmo o di
qualcosa che non funziona cioè non pensare di essere solo, che
non sia solo responsabilità mia. […] Insomma, ecco, poi non è un
ruolo in cui sei abbandonata, nel senso cioè io non è che io sono
in cima alla tavola e gli altri sotto di me, non c’è un contesto di
questo tipo anzi molto umilmente c’è sempre un confronto e considerandomi anche con un’esperienza molto minore rispetto agli
altri, rispetto a una parte di loro, cioè mi fa molto più piacere se
le indicazioni su come fare le cose poi alla fine vengono da suggerimenti del gruppo [volontaria ruolo direttivo n.9, associazione
mista, 35≤≥50 anni]
Il brano dell’intervista sopra riportato consente di mettere in luce un altro atteggiamento che ricorre nel discorso delle volontarie che rivestono
157
“Siamo arrivate da strade diverse”
ruoli di vertice, vale a dire l’autoironia con cui spesso queste donne par-
lano del proprio modo di vivere e praticare l’esperienza della leadership.
Anche in questo orientamento sembra di poter cogliere una tendenza a
decostruire una rappresentazione verticistica del ruolo, talvolta ridimensionandone anche la rilevanza in favore di una valorizzazione dell’operato più concreto che contraddistingue invece il volontariato di base.
Come dico sempre io “il presidente è sorridente ma non fa niente” [ride], nel senso che non hai una responsabilità precisa di
essere in ufficio dalle otto di mattina alle otto di sera, no? In
questi casi qua io rappresento molto per cui devi rappresentare sempre col sorriso sulle labbra, devi smettere vergognarti,
andare a cercare i soldi a destra e a manca [ride]. […] Quello
che fanno [gli altri volontari] lo devo fare anch’io, devo essere
disposta a farlo anch’io. Se non esiste non si crea quello spirito
di corpo che è giusto che ci sia. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.23, associazione mista, >50 anni]
Come si è avuto modo di notare in maniera emblematica trattando il tema
della conciliazione, quando il presidente di un’associazione è donna, le
implicazioni personali correlate con l’assunzione del ruolo risultano mol-
teplici. Spesso il fatto di ricoprire una carica di vertice è vissuto come un
allontanamento dalla dimensione più operativa della mission.
A me manca la parte pratica, andare proprio sul campo […].
Quella parte lì, quella parte umana un po’ manca quando vai
a gestire si, quindi magari [mi piacerebbe] ritornare a fare
più la volontaria che a dover gestire. [volontaria ruolo direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
A volte il ruolo della presidente mi sembra un po’ strano,
non capisco se dovrei essere più operativa o meno, mi
sembra di aver capito che devo esserlo meno [ride], però
certe cose bisogna anche concedersele più operative perché poi magari sono quelle che ti piacciono anche di più,
158
“Siamo arrivate da strade diverse”
ti diverti un po’ di più. [volontaria ruolo direttivo n.9, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Si tratta di un disagio che è avvertito ancora di più quando l’incarico è a
livello nazionale e la gravosità degli impegni rischia di produrre un distacco da quel tessuto sociale e associativo dove ha preso forma il proprio
impegno e che, come sottolinea una delle presidenti, permette di avere
una visione più concreta e meno ideologizzata delle problematiche reali.
Spesso le donne che arrivano ad avere un ruolo nazionale di visibilità eccetera, eccetera, soffrono perché contrariamente al
maschile fra virgolette, sono capaci di essere multitasking quindi
continuare a frequentare l’associazione o le associazioni di cui si
è stati promotrici anche presidenti, anche si è avuto incarichi…
ma anche volontari semplici eh, perché in tutto quello che ti ho
raccontato in alcune associazioni ero volontaria, non è che sto
in tutti i direttivi di quello che ti ho raccontato. E quando si ha un
incarico di questo tipo se non stai attenta e non riesci a trovare il
tempo anche per svolgere o per tornare a immergerti nel territorio…eh…poi alla fine corri il rischio di diventare come certa politica, no? [volontaria ruolo direttivo nazionale n.21, associazione
mista, 35≤≥50 anni]
Se, come accennato, la leadership femminile sembra caratterizzarsi per
una centralità delle competenze e un concomitante ridimensionamento
della connotazione verticistica, il percorso che porta le donne a riconoscersi nel ruolo è spesso contrassegnato dall’investimento nella formazione, nell’attento approfondimento delle tematiche di interesse dell’as-
sociazione. Se l’essere dirigente è dunque un’esperienza che mette alla
prova, le presidente donne affrontano questa esperienza investendo nella
preparazione e nello studio.
Parlare in pubblico è un qualcosa che mi ha sempre messo molto in ansia che effettivamente fare il presidente m’ha obbligato a
159
“Siamo arrivate da strade diverse”
fare in certi momenti e sempre per il senso del dovere per cui io
devo fare le cose e le devo fare sempre bene o comunque devo
cercar di farle sempre bene, non posso arrivare a un’iniziativa
o essere invitata a fare qualcosa e non essermi preparata, non
esiste [ride], perché reputo di non saper inventare o comunque
improvvisare e quindi ad esempio l’idea di parlare al festival o
di fare l’apertura o di parlare davanti a una classe, cioè nel senso sempre con la dovuta preparazione però è stato ed è anche
molto gratificante perché poi quando ti sei preparata le cose
vengono bene cioè ti dici “beh insomma dai [ride] non sono proprio male come pensavo di essere”. [volontaria ruolo direttivo
n.9, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Noi, contrariamente agli uomini, anche quando ci occupiamo di,
soprattutto quando siamo anche volontarie, siamo quelle che
studiano di più. Cioè, noi assistiamo a volte anche ad alcuni leader di questo ambiente che vanno e c’hanno il ragionamento
già…diciamo che c’è questo aspetto dello studio sul quale almeno gran parte delle donne che io incontro, conosco, si legge
tanto, si studia…forse perché si ha questa, è atavica come tutto
il resto, questa responsabilità nell’attenzione delle cose di cui
uno si occupa e preoccupa. […] Non puoi pretendere di preoccuparti e occuparti di alcune cose se poi non le corredi con uno
studio continuo. [volontaria ruolo direttivo nazionale, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Come rivela una delle volontarie più giovani che ha comunque un ruolo di
dirigenza nell’ambito dell’associazione di appartenenza, indubbiamente
l’esperienza di rappresentanza costituisce un’opportunità per sperimen-
tarsi in un incarico che si associa ad una visibilità pubblica ed è proprio
per questo che consente di maturare nuove competenze relazionali.
l volontariato mi ha cambiato cioè soprattutto la responsabilità
che ho avuto mi ha cambiato tanto, ha cambiato proprio il mio
modo di essere e di rapportarmi con le persone quello si, e sinceramente negli ultimi tre anni io sto vedendo proprio il cambia-
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“Siamo arrivate da strade diverse”
mento. […] Dover rapportarsi con province, quindi responsabili
di province, responsabili di altre associazioni che magari hanno,
che magari sono molto più grandi te, hanno molta più esperienza di te, ti devi rapportare in un certo modo […]. Quindi mi ha
cambiato, mi ha rafforzato tanto il carattere e mi ha cambiato un
po’ nel modo di pormi con le persone. [volontaria ruolo direttivo
n.2, associazione mista, <35 anni]
In linea con tali considerazioni, una delle intervistate più adulte nota come
il lavoro di presidente richieda preparazione ed esperienza per acquisire
la necessaria saggezza nella gestione delle relazioni interne ed esterne
all’associazione.
Io ho imparato a fare il presidente in corso d’opera […]. Ogni
tanto mi hanno sgridato, mi dicevano: “Devi fare il presidente!”
Mo’ che lo faccio ogni tanto mi dicono “Ah però” [ride]. […]
è un lavoro che si impara e si acquisisce quella saggezza di
cui parlavo prima che ti permette di capire un po’ di più, di
conciliare un po’ di più oppure di pretendere, di essere giusti
sostanzialmente. Non è un lavoro facile è un lavoro da saggi.
[…] Fare il presidente di un’associazione è un mestiere perché
ha, come dire, delle strategie di svolgimento, delle furbate che
devi imparare […]. È un lavoro che ha delle caratteristiche,
non è che si inventa! Non è che perché uno entra nel volontariato improvvisamente è capace di fare il presidente perché
purtroppo non è così! [volontaria ruolo direttivo nazionale n.24,
associazione mista, >50 anni]
Da evidenziare la peculiarità dei percorsi di due donne che, attualmente
presidenti di Odv, sono state le fondatrici delle associazioni dove tutt’ora
operano. In entrambi i casi le motivazioni che hanno portato alla scelta
di fondare l’associazione sono da rintracciare nel vissuto familiare delle
intervistate ma, oltre a questo, ciò che sembra accomunare le due espe-
rienze è la capacità di mettere insieme e dar voce ad un bisogno sociale
161
“Siamo arrivate da strade diverse”
preesistente attraverso un protagonismo che, soprattutto nelle prime fasi
di vita dell’associazione, risulta particolarmente marcato.
Da me è partita ma non è stato nemmeno difficile perché è come
se tutti aspettassero che ci fosse una persona che li facesse
conoscere insomma. E quindi poi alla fine è stato così, è andata
così…Ci vuole il trascinare, ci vuole il crederci fin dall’inizio, non
avere titubanze, questo è stato un po’ duro all’inizio perché io
sono stata anche molto sola, le idee che avevo erano un po’…
mi davano anche della matta, per intenderci, perché avevo in
mente delle cose per me bellissime che però per molti, insomma, poteva essere un pochino complicato realizzare, invece poi
è stato semplice. [volontaria ruolo direttivo n.16, associazione
mista, 35≤≥50 anni]
Quando mi sono ritrovata con mia madre ammalata e mi sono
chiesta come fanno gli altri […] mi sono resa conto che gli altri
non facevano però erano tanti, allora ho detto “mettiamoci insieme” perché era, come dire, era una logica conseguenza di
come ero fatta io. […] Inizialmente io non avevo risposte quindi era una raccolta di disgrazie, una raccolta di problemi, una
raccolta di questioni. È stato nel tempo, ci siamo resi conto che
dovevamo trovare la nostra via per cominciare a costruire delle
risposte. Questo è stato il lavoro più difficile. [volontaria ruolo
direttivo nazionale n.24, associazione mista, >50 anni]
Quest’ultima citazione sottolinea anche un altro tratto che sembra ricor-
rente nella leadership e nella capacità progettuale delle volontarie in
posizioni apicali, quella di agire da moltiplicatore del valore di risorse
minute, legate alla quotidianità, “il dotare di senso nuove risorse già di-
sponibili e l’attivazione di nuove risorse […] e innovazioni nella società
civile” (Turnaturi 1991, p.86).
Va detto che, nel tematizzare il limitato accesso delle donne ai ruoli di
vertice del volontariato, le intervistate notano come una variabile di rilievo
sia quella relativa alla caratterizzazione del contesto associativo in que-
162
“Siamo arrivate da strade diverse”
stione. In particolare, come osserva una delle dirigenti, nelle associazioni
di dimensioni più contenute la pratica delle candidature continuerebbe a
contraddistinguersi sulla base della disponibilità dei volontari, presumibil-
mente di quelli più attivi, e non sarebbe dunque paragonabile ai percor-
si di carriera nel volontariato riscontrabili nelle organizzazioni più grandi
dove invece le diseguaglianze di genere risulterebbero più marcate.
Sai è molto informale la cosa […], non è che è un’associazione
di dimensioni tali per cui ci siano, non lo so, candidature contrapposte e allora ci arrivi con un percorso che nel momento
dell’elezione, assemblea dei soci e quindi elezione del direttivo,
cioè uno lo sa già voglio dire chi è disponibile, chi non è, è più
facile ci possa essere qualcuno che dà una disponibilità a far
parte del direttivo. […] Tanto più l’associazione è strutturata in
modo simile a una società, società nel senso legale del termine,
tanto più vuol dire che è più grande, che ha più potere quindi
probabilmente quel posto al vertice lo occuperà un uomo questo perché? […] Tanto più le associazioni sono importanti, nel
senso di grandezza di struttura dico, tanto più devi farci una
carriera dentro e di nuovo la differenza è quella che si diceva
prima proprio dei tempi, dei ritmi di vita diversi tra uomini e donne, è più facile infatti che le cariche di vertice, chiamiamole così,
siano occupate da donne nelle associazioni più piccole dove
proprio date le dimensioni difficilmente c’è bisogno di fare un
percorso tra virgolette di carriera ma si basa su altro. […] Credo che faccia la differenza tra organizzazioni grandi e piccole,
diciamo così, se c’è battaglia o sono donne molto motivate o
sennò è difficile che facciano battaglia, magari occupano come
dire quella posizione subito sotto che talvolta è più importante
ma non ha la visibilità all’esterno comunque la rappresentanza
ce l’ha qualcun altro ecco. [volontaria ruolo direttivo n.13, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Il contesto associativo e, in particolare, le dinamiche relazionali che lo
contraddistinguono risultano inoltre di fondamentale importanza nel su-
163
“Siamo arrivate da strade diverse”
peramento delle eventuali riserve iniziali rispetto all’assunzione di un
ruolo di dirigenza. Spesso è infatti anche grazie alla stima e al supporto di persone che hanno già avuto esperienza in questi ruoli che le
volontarie accettano di intraprendere questa esperienza.
Era un anno che ero nell’associazione, conoscevo anche
poco la struttura, quindi dicevo “Ci sono stata due-tre volte
ma non è che… dici “ma io come fò, non so niente” però
mi hanno tranquillizzato, “ti si aiuta, ci organizziamo”. Poi
“no, non ti preoccupare ti aiutiamo”. […] “Dai non ti preoccupare che poi sei brava, in gamba, ti si aiuta”, “Vabbè,
ci proviamo, vediamo un po’ ”. Ti senti anche magari importante per l’associazione. [volontaria ruolo direttivo n.1,
associazione mista, <35 anni]
Ricordo una presidente che all’inizio mi sembrava un po’
come, parliamo di vent’anni fa, era un po’ come mi sta descrivendo lei, “Ah ma io non son capace” “Ah ma io, ma scherzi?
Ma no, ma non posso”. Ho fatto un lavoro di martellamento
[ride]. è una persona in età perché ha tutt’oggi quindici anni
più di me, una persona grande con esperienze lavorative di
un certo tipo che poi si è dedicata a questa cosa […] e adesso cammina con le sue gambe. Cioè, ci deve essere anche
qualcuno che ti aiuta perché magari io perché più giovane ho
fatto da sola questo percorso, facendomi coraggio anche se
mi tremavano le vene nei polsi in certe situazioni, no? E poi
ho imparato. Cioè, ci vuole qualcuno che insegni. [volontaria
ruolo direttivo nazionale n.24, associazione mista, >50 anni]
Le considerazioni di alcune intervistate appartenenti ad associazioni
femminili mettono in evidenza un diverso modo di vivere il ruolo di
vertice. In questi casi, infatti, la preoccupazione di rispondere a delle
aspettative di ruolo sembra ridimensionarsi e, al contempo, la leadership stessa tende ad attenuarsi verso modalità più partecipate.
164
“Siamo arrivate da strade diverse”
Come ha reagito quando le è stato proposto di fare la presidentessa? Beh bene tranquillamente, tranquillamente perché la
nostra presidentessa si era ammalata e quindi qualcuno che la
seguiva ero di già e quindi è stato un cambio di nome diciamo
così, ma non è che mi sento presidentessa. [volontaria ruolo direttivo n.11, associazione femminile, >50 anni]
[Un ruolo direttivo] non credo sia tanto nel mio interesse. […]
Non mi sono posta il problema però se mi capitasse può darsi,
si certamente si sono disposta non ho problemi. [volontaria di
base n.18, associazione femminile, >50 anni]
Se quindi il contesto associativo sembra avere implicazioni di rilievo per
ciò che concerne una selezione di genere dei vertici, è interessante notare come la scelta stessa di attribuire la presidenza ad una donna possa
comportare conseguenze per l’associazione in virtù della diversa modalità in cui è vissuta e praticata la rappresentanza. I due brani riportati di
seguito e tratti dalle interviste a due volontarie con ruoli direttivi pongono
in evidenza come la leadership femminile proprio quando è ottenuta attraverso un percorso denso di ostacoli e di sacrifici personali tenda ad
assumere una caratterizzazione più rivendicativa nel contesto dell’operato svolto per l’associazione.
Sono due facce della medaglia, secondo me chiaramente. Allora da una parte, alla fine di tutta questa storia, la donna deve
essere in grado di dire: “Si, questa cosa la voglio fare fino in
fondo sacrificando anche la famiglia, sacrificando anche in parte alcune parti lavorative”. Mentre un uomo che fa il presidente
di un’associazione alla fine lo fa, si dedicandoci tanto tempo,
facendolo bene, ma il sacrificio forte non credo che ci sia, che
sia una percentuale ma non mai come se lo facesse una donna. Di questo ne sono sicura. Fa bene il lavoro sicuramente ma
i sacrifici che poi va a fare veramente non sono gli stessi se è
presidente una donna perché comunque, culturalmente, il presidente maschio torna a casa e la cena la trova, torna a casa
165
“Siamo arrivate da strade diverse”
e non so se i compiti li deve controllare ai figli fino a che punto
[…]. Mentre l’essere sempre pronti perché qui si tratta di partire
quando devi partire e metti in sacrificio la tua famiglia, anche
alcune amicizie […]. E l’altra parte è ancora: una donna presidente riesce a dire la verità in quel momento, mettendo anche
a tappeto e mettendo in discussione alcune persone che hai
davanti, nei modi e nei tempi, ma arriva all’obiettivo forte. A volte
va bene perché l’hai detto, a volte no. L’uomo non la fa questa
cosa qui sempre, la fa in un altro modo. Quindi la scelta di avere
una donna è una scelta forte sia per i componenti perché credono in te anche perché sanno che in quel momento arrivi a dire
o a fare, addirittura a sacrificare delle cose per l’associazione,
quindi a quel punto dopo ti stanno tutti dietro e c’è un gruppo
che lotta per te e non ti lascia o comunque ti lascia perché non
ce la fa ma mai per il pensiero. [volontaria ruolo direttivo n.16,
associazione mista, 35≤≥50 anni]
Poi dipende anche dalle storie, dalle…però ti parlo anche in maniera più grossolana, a spanne, no? Però più coraggiose, più coraggiose, più…Anche quando si tratta di…di…quando riescono
a essere leader tra l’altro, anche quando si tratta di andare a discutere con i vari assessori regionali o con…non lo so, sono più
coraggiose e più…eticamente corrette, come potrei dire. Forse
perché poi quando arrivano a certi livelli, a certe…hanno pagato dei prezzi, dei prezzi in termini biografici, quindi personali,
quindi relazionali perché a volte scegliere poi di appartenere al
mondo e non a un piccolo pezzo di mondo comporta poi una
serie di conseguenze. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.21,
associazione mista, 35≤≥50 anni]
In questi casi, le motivazioni di fondo dell’agire volontario, quelle motivazioni che hanno determinato scelte e rinunce nello svolgimento dei propri
percorsi biografici, diventano il fondamento primario di un atteggiamento
meno incline alle pratiche diplomatiche e più audacemente al servizio
della mission richiamando alcuni tratti caratteristici del modello idealtipico definito come leadership trasformazionale (Bass e Avolio 1996).
166
“Siamo arrivate da strade diverse”
4.5. Il volontariato delle donne:
le differenze di genere percepite nei ruoli
e nello stile di intervento
In linea con uno dei principali obiettivi conoscitivi della ricerca, le intervi-
ste biografiche hanno consentito di indagare le differenze di genere per-
cepite dalle volontarie per ciò che concerne la divisione dei ruoli all’interno delle associazioni e le modalità con cui uomini e donne declinano
il loro impegno volontario.
In primo luogo, va detto che, in continuità con una persistente caratterizzazione di genere dell’associazionismo volontario attivo in determinati
settori di intervento, sono in prevalenza le volontarie che fanno parte
di associazioni miste dedite ad attività di tipo socioassistenziale e so-
ciosanitario a percepire una partecipazione delle donne al volontariato
che risulterebbe superiore a quella maschile. Una rappresentazione del
mondo dell’associazionismo che si può considerare in parte come ge-
neralizzazione della propria esperienza nel contesto associativo di riferimento ma anche in relazione al fatto che il contatto con altre associazioni
attive nel medesimo settore di intervento, anch’esse a forte presenza
femminile, contribuisce ad alimentare una tale visione.
Io ti posso dire questo: per le esperienze mie personali […]
ho visto più donne che uomini, molte più donne, il gruppo
che tiene è quello femminile. [volontaria di base n.3, associazione mista, >50 anni]
Vedo più donne, questo si. Vedo più donne, in assoluto, in tante
associazioni che ormai ne conosco tante, conosco tante persone anche amiche ormai. Sono più donne, indubbiamente. [volontaria ruolo direttivo n.16, associazione mista, 35≤≥50 anni]
167
“Siamo arrivate da strade diverse”
Nel contesto delle associazioni miste raramente le intervistate rilevano
una distinzione di genere nei ruoli e nelle attività svolte dai volontari.
La differenza invece diviene più visibile in specifici settori di intervento
come, ad esempio, in quello delle emergenze in cui le diverse abilità
fisiche associate ai due sessi costituiscono un fattore di rilievo nella distribuzione dei compiti e delle attività.
Proprio a livello fisico la donna e l’uomo son diversi, io se dovessi andare che ne so a spostare in termini pratici proprio un’idrovora, che è quella per levare l’acqua, la mia forza è totalmente
diversa da quella di un uomo, quindi puoi andare a supporto in
una squadra, due donne di solito in una squadra non ci sono,
una squadra è sempre fatta o da un uomo e un uomo, o da una
donna e un uomo, due donne gli puoi far fare altri tipi di servizi,
quindi magari in Emilia Romagna c’era la parte della ludoteca
per i bambini quindi quello senza nessun problema, anzi forse
molto meglio le donne, le ragazze giovani a fare questa cosa
qui che gli uomini, tutta la parte che a volte quando fai cene
eccetera, tutta la parte di organizzazione, cucina la fanno tutta
le donne. A livello pratico su un’emergenza la manualità è molto
più forte un uomo e quindi c’è sempre bisogno della parte maschile indubbiamente. [volontaria ruolo direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
Nel brano dell’intervista sopra riportato emerge tuttavia un ulteriore aspet-
to più propriamente associabile ad una visione tradizionale dei ruoli di
genere: come nota l’intervistata, le donne tenderebbero infatti a ricoprire
‘meglio’ quelle mansioni – l’accudimento dei bambini, la preparazione
delle cene sociali - che hanno una forte attinenza con le pratiche di cura
svolte nei contesti domestici. Questa distinzione ritorna spesso nell’esperienza di coloro che sono, o sono state, attive nell’ambito di organizzazioni che si occupano di minori e che identificano un diverso approccio di genere negli stili di volontariato.
168
“Siamo arrivate da strade diverse”
Il senso del dono, il senso dell’accudimento credo che questo sia più femminile. Per un uomo forse è più il senso della
protezione, partendo appunto da un aspetto forte occuparsi
di una cosa più debole, di un aspetto più debole, non so
quanto sia dono e accudimento questo è femminile tranne
rari casi, ci sono eh ma rari proprio. [volontaria di base n.4,
associazione mista, 35≤≥50 anni]
C’erano uomini anche e come figura è importante per i bambini,
la figura maschile è molto importante però il modo di trattare i
bambini è diverso. Loro contano sul gioco, sulla…sulla forza.
La donna no, li tiene, le parole dolci, i canti. L’uomo ha un ruolo
diverso è più padre o zio ma la donna è mamma o nonna. [volontaria di base n.5, associazione mista, >50 anni]
È interessante notare come tenda più volte a ritornare l’attributo della forza fisica come tratto qualificante il maschile contrapposto alla sensibilità
ritenuta invece tipica dell’agire femminile nel quadro, dunque, di un orientamento che tende a replicare stereotipi di genere e che sembra accomunare volontarie giovani e più adulte attive nell’ambito di associazioni
miste. Diametralmente opposte rispetto a queste prospettive sono le considerazioni di una volontaria, anch’essa attiva in un’associazione di tipo
sociosanitario, che riconosce come, nella sua esperienza, la capacità di
accudimento degli uomini possa essere equiparata a quella delle donne.
Ho visto uomini così dolci, così dolci con i bambini da volerli
come mamme, come ho visto donne molto istaminiche e l’inverso dico, diciamo che rispecchia un po’ la società umana
in genere. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.23, associazione mista, >50 anni]
In quest’ultimo caso sembra opportuno mettere in risalto la peculiarità
del contesto associativo e della mission che lo ispira. Le attività realiz-
zate dall’associazione sono infatti contraddistinte da un approccio de-
169
“Siamo arrivate da strade diverse”
cisamente innovativo per ciò che concerne le modalità di intervento
e, in questo senso, andando a decostruire un approccio tradizionale
della cura che si realizza per il tramite del volontariato, è verosimile che
contribuiscano ad incentivare una corrispondente decostruzione degli
stereotipi di genere per ciò che concerne le modalità di accudimento.
In affinità con quanto rilevato in relazione alla distinzione dei ruoli, le volontarie attive nell’ambito di associazioni miste più raramente individuano nel genere una discriminante rispetto a quelle che sono le modalità
di vivere e praticare l’impegno nel volontariato. Si tratta di dimensioni
che, al contrario, sono ritenute maggiormente correlate con le esperienze di vita, la personalità, oltre che con la vision e la mission al servizio delle quali si opera.
Dipende dalle persone, da come sono, non è tanto uomo/donna,
tanto è l’esperienza di prima, l’esperienza professionale, come
uno si approccia al volontariato. [volontaria ruolo direttivo n.1,
associazione mista, <35 anni]
Dipende comunque da come una persona è fatta, dal suo
carattere credo. […] Secondo me è tutto basato su come
una persona vive quella partecipazione non credo che sia
basato sulla differenza di genere. [volontaria di base n.8,
associazione mista, <35 anni]
Non penso che un uomo che fa lo stesso tipo di volontariato
mio dia un significato diverso a queste cose, ci saranno delle
eccezioni ma penso che siano uguali. [volontaria di base n.10,
associazione mista, <35 anni]
Non lo so, credo non sia una questione di genere ma che dipenda da una visione del mondo. [volontaria di base n.4, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Credo che tutto dipende dal nostro intelletto e da quello che è
successo nella vita, donne che hanno sofferto di più sicuramen-
170
“Siamo arrivate da strade diverse”
te sono più disposte a aiutare gli altri, donne che hanno vissuto
in maniera più egoista la loro vita non sono disposte punto e
basta però credo sia così anche così con gli uomini. volontaria
ruolo direttivo nazionale n.23, associazione mista, >50 anni]
In coloro che invece rilevano delle differenze di genere torna con frequenza una tematizzazione dell’agire volontario femminile incardinata
sul concetto di maternità, intesa non tanto nei termini di esperienza agita
quanto come potenzialità delle donne che si associa ad un diverso modo
di approcciarsi agli altri e quindi anche di praticare il proprio impegno
nel mondo del volontariato. Va detto che, nel quadro di questo comu-
ne riferimento, le intervistate offrono delle interpretazioni che tendono a
dare una diversa visione dell’identità femminile.
In alcuni casi l’istinto materno – si noti, in tal senso, come ricorre nel discorso delle intervistate il riferimento ad ‘un qualcosa che è nel Dna’ - è
ritenuto il fondamento di un agire che è contraddistinto dall’oblatività e
che quindi si traduce in una maggiore propensione a donarsi, oltre che
in una più marcata sensibilità.
Tanto la donna ha sempre questo spirito un po’ materno anche a livello di parità di età c’è sempre una maggiore dolcezza, è connaturato con la donna. [volontaria di base n.3,
associazione mista, >50 anni]
Io penso che le donne sono molto più coinvolte nel volontariato
cioè che gli venga forse più naturale non lo so, ora io non conosco molte realtà di volontariato,[…] però penso venga più naturale non lo so ce l’abbiamo nel Dna [ride]. Alla donna gli viene
essendo mamma, essendo chioccia, […] ecco secondo me le
donne sono molto più portate. [volontaria di base n.17, associazione mista, 35≤≥50 anni]
La donna che dà la vita, la donna che rimane incinta e dà la vita
ai figli è una donna che è disposta a dare la generosità. Una
171
“Siamo arrivate da strade diverse”
donna che è generosa senza contare e questo è il volontariato
[…]. Non so per l’uomo in questa società soprattutto ultimamente, non so se l’uomo può avere questa pazienza di dare senza
aspettare. Non posso dire che l’uomo non fa il volontariato però
io la vedo che la donna può dare di più di quello che dà l’uomo
però non sottovaluto neanche il contributo dell’uomo. [volontaria
di base n.19, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Nella riflessione offerta da un’altra volontaria si riscontra invece una sfu-
matura interpretativa parzialmente dissimile; la procreazione, intesa come
potenzialità biologica, determinerebbe una diversa e maggiore apertura
delle donne all’altro da sé. Ne deriva che la pratica del volontariato fem-
minile diviene più spesso un’esperienza caratterizzata dal coinvolgimento
personale e affettivo.
Si che la vedo la differenza, i volontari normalmente mettono a disposizione la loro professionalità, i volontari uomini. Le volontarie
donne mettono a disposizione la propria vita, la propria esperienza perché c’è un approccio diverso ai problemi della persona.
Non so spiegarlo bene però è così. Cioè, una donna si mette in
gioco personalmente, con la propria carica affettiva, con la propria vita. È un approccio diverso proprio perché una donna anche se non lo è fisicamente ma è madre e ha, come dire, una
disponibilità all’altro che gli è data da questa roba che è nel Dna
credo. Un uomo mette a disposizione la sua competenza il suo
saper fare, non mette a disposizione il suo cuore. [volontaria ruolo
direttivo nazionale n.24, associazione mista, >50 anni]
In questa direzione le considerazioni di un’altra intervistata che nota come
il volontariato delle donne sia caratterizzato da un maggiore investimento
nella dimensione relazionale.
La donna riesce meglio degli uomini in certe cose […]. Ci interessa molto più la relazione che non il contesto pratico. [volontaria di
base n.18, associazione femminile, >50 anni]
172
“Siamo arrivate da strade diverse”
Ancora diversa la contestualizzazione che il rapporto tra maternità e pra-
tiche del volontario femminile trova nel discorso di una volontaria attiva
nell’ambito di un’associazione femminile. In questo caso la potenzialità
biologica della procreazione è associata ad una forma di agire che si
contraddistingue oltre che, come precedentemente rilevato, per un investimento sugli aspetti relazionali, per una maggiore vocazione etica
delle donne nei confronti del proprio impegno e del proprio operato. Si
nota, tuttavia, che l’intervistata non manca di sottolineare come, proprio
perché trovano origine nel quadro di una differenza biologica tra i sessi,
tali disposizioni e le doti che ne conseguono rischiano di continuare a
non trovare un adeguato riconoscimento sociale.
Penso che le donne siano capaci di fare tutto, non è che ci sia
un compito specifico in cui siamo migliori di un uomo. Secondo
me siamo proprio brave a far tutto e però sicuramente quello che
è la capacità di ascolto, di rilevare i problemi, di organizzare le
cose piccole […] sicuramente siamo molto capaci su questo si.
[…] Non sono madre però, non lo so, pensando a questo atto, a
questa cosa della maternità che poi ce l’abbiamo tutte come potenzialità, fatti o non fatti i figli, […] secondo me è una cosa che,
come dire, ci dà una sfumatura nelle cose che facciamo che ci
porta a impegnarci di più, ecco. Poi io ho anche tanti dubbi su
questa cosa perché mi piacerebbe che non si fermasse soltanto a un ambito di volontariato ma non perché ci deve essere un
riconoscimento di profitto, assolutamente no, però ecco […] che
ci fosse anche un riconoscimento maggiore. [volontaria ruolo
direttivo n.20, associazione femminile, 35≤≥50anni]
È sempre una delle volontarie attive nell’ambito di un’associazione fem-
minile, la cui esperienza partecipativa è contrassegnata dalle problematiche di conciliazione che interessano le donne con figli piccoli, a notare
come l’etica della cura che si attua nel privato sia associabile all’agire
volontario e, dunque, al prendersi cura nel contesto pubblico per l’istinto
che muove entrambe. In sintonia con l’orientamento rivendicativo sopra
173
“Siamo arrivate da strade diverse”
richiamato, pone tuttavia in evidenza come nel primo caso si tratti di
oneri contraddistinti da un carattere di obbligatorietà così che la partecipazione sociale, proprio perché strutturata in relazione a questi, deve
trovare fondamento in una spinta etica che sia tale da motivare i sacrifici
in termini di vissuto personale.
La cura è una cosa che te fai per istinto e per obbligo invece la
partecipazione la fai per istinto o per piacere ma non di sicuro
la devi fare per obbligo […] anche perché per fare questo devi
togliere tempo al resto per cui lo devi fare veramente con un
obiettivo più alto o non lo fai. [volontaria di base n. 15, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
La caratterizzazione della partecipazione femminile come partecipazione totale che coinvolge quindi su un piano più personale le volontarie
donne non è univocamente interpretata dalle intervistate nei termini di
una qualità positiva. In particolare, come nota una volontaria, nei contesti
associativi femminili questo orientamento può determinare un bisogno
espressivo che rischia di ostacolare un agire più razionale e finalizzato
allo svolgimento delle attività promosse dall’associazione; quando questa dinamica si verifica nell’ambito di contesti partecipativi misti può inoltre contribuire ad alimentare processi di stigmatizzazione e stereotipizzazione dell’agire pubblico femminile.
La prima cosa che succede con le donne, alla prima partecipazione o comunque a ciascuna partecipazione a queste iniziative
si apre un fiume, ossia, la donna è portata a raccontare tutta se
stessa e a voler giustamente esprimere quello che magari non
può esprimere in altri contesti, tutto e sempre, in maniera anche
molto ripetitiva e spesse volte, mi è capitato, anche del tutto
fuori luogo. Per cui c’è questa cosa della specie di ‘valvola di
sfogo’ della partecipazione che vista in contesti solo femminili
noi la possiamo anche capire ma quando la partecipazione è
politica o a livello di organizzazioni sindacali o di associazioni
174
“Siamo arrivate da strade diverse”
di categoria per le imprese, la donna che ha questo fiume di se
stessa che vuole riversare sugli altri spesso dagli uomini non è
compresa, è mal percepita e quindi viene sminuito il suo valore.
Quindi bisognerebbe magari avere maggior partecipazione a
minor dosi [...]. Per cui secondo me bisognerebbe da questo
punto di vista educare alla partecipazione [...] anche perché
questo parlare, questo partecipare, deve avere, a mio modo
di vedere, dei risvolti pratici operativi, deve servire a qualcosa,
deve essere funzionale a un obiettivo altrimenti è tutta aria fritta
e quindi le associazioni sono perdite di tempo o qualsiasi forma
aggregativa è una perdita di tempo. [volontaria di base n. 15,
associazione femminile, 35≤≥50 anni]
In altre prospettive è proprio il coinvolgimento personale totale che con-
traddistingue l’agire volontario delle donne ad essere riconosciuto come
il motore di iniziative in grado di trainare ed incentivare la partecipazione
di altri soggetti.
La caratteristica che noto è…non è tanto che uno è più bravo
o meno bravo ma il come, come ci si pone nelle cose. A volte
non mi piace nemmeno quello delle donne, eh. Perché alle volte
possono essere anche un pochino troppo…però poi alla fine i
risultati li ottengono loro perché…già dal momento che propongono una cosa all’interno di un’associazione e la propongono
in quel modo sono già trascinanti le cose che dicono e come le
dicono e come si muovono. [volontaria ruolo direttivo n.16, associazione mista, 35≤≥50 anni]
175
“Siamo arrivate da strade diverse”
4.6. L’ associazionismo femminile:
rappresentazioni e pratiche
L’analisi delle prospettive offerte dalle intervistate in merito alle dinamiche di genere che caratterizzerebbero il volontariato può esse-
re utilmente integrata con le considerazioni relative a quella parte
dell’associazionismo che, da statuto, si struttura proprio in relazione
alla dimensione del genere. In particolare, risulta interessante indagare le rappresentazioni che le donne attive nell’ambito di organizza-
zioni a composizione mista hanno di questo tipo di associazioni, una
percezione che si struttura dunque dall’esterno.
È necessario premettere che le riflessioni di queste intervistate sull’asso-
ciazionismo femminile sono spesso precedute e accompagnate da considerazioni che qualificano le relazioni tra donne come ricorrentemente
contraddistinte dalla competizione.
Io con i maschi ho un modo di approcciarmi abbastanza diverso, mi diverto mentre invece con le donne, specialmente quando sei giovane, subentrano spesso le gelosie, c’è questo e c’è
quello e c’è tutto un parlare più da donna. Quindi io ho sempre
avuto…poi tra le donne ci sono nel gruppo quelle che sono un
po’ noiosette, è vero che nel volontariato non dovrebbe esistere però secondo me la malizia un po’ c’è sempre “quella
lì come si è vestita” “quella lì come parla in pubblico, parlo
meglio io”, idea mia eh…però insomma mi son sempre trovata
bene a stare in ambienti misti sinceramente perché in tutte le
donne secondo me subentrano questi meccanismi di competizione, poi possono subentrare anche tra maschi e femmine,
però tra donne lo vedo un po’ più. [volontaria ruolo direttivo
n.1, associazione mista, <35 anni]
176
“Siamo arrivate da strade diverse”
Tra donna e donna c’è tanta competizione, quasi forse più che tra gli
uomini. [volontaria ruolo direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
La competizione tra donne quando sorge è terribile. Ma è così
eh! Cioè, io ho sempre lavorato bene sia con gli uomini che con
le donne in base alla competenza, in base alla voglia di fare, in
base all’impegno, punto. Maschio o femmina è indifferente, no?
Ma quando ho avuto rogne le ho sempre avute dalle donne. È
sempre stato così. […] Ed è per me incomprensibile, probabilmente sono vigliacca, non lo so, io davanti all’antagonismo, alla
competizione fuggo, sono impossibilitata a reagire, per carattere, per modalità, non riesco. [volontaria ruolo direttivo nazionale
n.24, associazione mista, >50 anni]
Le donne sono cattive te l’ho già detto, sono più maligne,
sono più, io mi trovo d’accordo, si va beh a parte alcune
donne, però vado molto d’accordo con gli uomini sono meno
cattivi, sono meno pettegoli. [volontaria di base n.17, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Questo aspetto ricorre anche nella prospettiva di una volontaria attiva nell’ambito di un’associazione femminile la cui caratterizzazione
di genere non deriva, tuttavia, dallo statuto ma è piuttosto il portato
della composizione demografica e dello specifico settore di intervento dell’organizzazione.
Ci sono anche fra gli uomini ma alcune cose sono tipicamente femminili, è logico…qualche piccola gelosia, piccole scaramucce ci
sono. [volontaria di base n.12, associazione femminile, >50 anni]
È interessante mettere a confronto queste prospettive con le riflessioni
di una volontaria appartenente ad un’associazione esclusivamente femminile. In questo caso la relazionalità tra donne è associata non tanto
ad un’inclinazione competitiva quasi naturale, così come avviene nelle
tematizzazioni sopra richiamate, quanto ad una conflittualità fin troppo
177
“Siamo arrivate da strade diverse”
accentuata, effetto indesiderato della volontà di promuovere una comu-
nicazione libera in un contesto in cui il coinvolgimento personale diviene
un tratto qualificante della partecipazione.
Il confronto è fondamentale però ci deve essere uno spazio reciproco, e quindi un dialogo, ovviamente, ma anche uno spazio
reciproco. Anche l’uso dei forum, se tu leggi i forum, le mail che
vengono mandate a gruppi di discussione eccetera, ti rendi conto spesso anche dei toni con cui una si risponde con l’altra e secondo me questa è una cosa che si dovrebbe tra donne evitare
completamente però spesso non ci si fa. […] Visto che abbiamo
geneticamente determinate caratteristiche e anche il nostro di comunicare, di pensare è in un certo modo, dovremmo cercare di
traslarlo il più possibile quindi anche la comunicazione, ok libera,
forum, gruppi, eccetera però secondo me se ci sono degli obiettivi da raggiungere così libera, mi dispiace dirlo, non può essere.
Se poi si fa tanto per, pour parler è un altro discorso però se ci
sono degli obiettivi organizzativi, in qualsiasi tipo diciamo di contesto, ci vuole poi un coordinamento di un certo tipo, un indirizzo
quantomeno. Anche perché ne va della credibilità poi, se uno
legge da esterno certe cose dice: “ma queste sono pazze”, poi
noi dentro sappiamo, cioè uno che è dentro può capire, bisogna
cercare ecco di tenere il giusto tono. [volontaria di base n. 15,
associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Il discorso di una volontaria attiva in un’associazione mista ma che ha
avuto esperienze di partecipazione in associazioni femminili, tende a
mettere in evidenza non tanto la dimensione della relazionalità interna
tra donne quanto le peculiarità dell’atteggiamento verso l’esterno che, a
parere dell’intervistata, tenderebbe a contraddistinguersi per una modalità di azione talvolta più aggressiva in virtù delle specifiche difficoltà di
affermazione sperimentate dalle associazioni femminili.
Quelle che sono solo femminili, non lo so, non avevano un sostegno abbastanza diciamo…devono essere molto aggres-
178
“Siamo arrivate da strade diverse”
sive per avere i loro diritti, devono essere sopracapaci per
avere qualcosa per l’associazione invece quando ci sono uomini è più facile, hai più conoscenze. [volontaria di base n.5,
associazione mista, >50 anni]
Nel complesso, le volontarie attive nell’ambito di associazioni miste ritengono che il fatto di prevedere una selezione di genere del tessuto asso-
ciativo sia interpretabile nei termini di una chiusura. Come nota un’inter-
vistata, ciò che conta è invece la condivisione di una mission comune a
prescindere dall’appartenenza di genere.
Non ho mai partecipato e non voglio partecipare [ad associazioni esclusivamente femminili] perché sarebbe un incasellarmi in
una scatola di genere. No, non mi interessa io vedo le persone
non il genere anche se riconosco il trattamento diverso. […] Io
voglio stare tra persone, poi se ci sono 10 uomini in gamba e
2 donne in gamba va bene, se ci sono 8 donne in gamba e 2
uomini in gamba va bene, l’importante è condividere appunto
lo scopo, gli obiettivi e anche i mezzi. [volontaria di base n.4,
associazione mista, 35≤≥50 anni]
In linea con tali considerazioni è l’idea ricorrente che si possa produr-
re un mutamento culturale soprattutto attraverso un confronto tra generi
che può concretizzarsi già nel microcosmo delle associazioni.
Non credo di voler partecipare perché alla fine insomma non ci
si può chiudere all’interno di un gruppo femminile oppure maschile, secondo me bisogna diciamo venirsi incontro, capirsi a
vicenda perché sennò la società come fa ad andare avanti ci
sarà sempre questa differenza secondo me, questa differenza
di genere […]. Secondo me ci vuole apertura sia da parte di noi
donne che da parte degli uomini, forse diciamo noi riusciamo ad
aprirci in maniera più facile, siamo già più aperte, più disponibili
di capire insomma entrare in contatto con gli altri con gli uomini.
[volontaria di base n.8, associazione mista, <35 anni]
179
“Siamo arrivate da strade diverse”
Così mi sembra troppo esclusivo […]. Sono favorevole a
meno che però non siano così radicali da escludere qualsiasi
presenza anche maschile perché insomma l’accoglienza mi
sembra la cosa più importante. [volontaria di base n.10, associazione mista, <35 anni]
Io non ho mai pensato che fossero solo le donne a portare avanti anche un cambiamento culturale, se non si porta avanti insieme agli uomini non c’è futuro lo stesso. [volontaria di base n.12,
associazione femminile, >50 anni]
Noi siamo donne si però magari se si accompagna anche l’uomo
nella direzione in cui si va noi forse anche l’uomo qualcosina fa.
[…]. Ogni tanto confrontarsi con la parte maschile fa anche bene.
[volontaria ruolo direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
Coloro che hanno avuto modo di partecipare ad associazioni femminili
notano, tuttavia, che si tratta di un ambito privilegiato per riflettere sul
tema della leadership femminile. Come osserva una volontaria, alcuni
principi di fondo, in parte mutuati dall’esperienza femminista, che con-
traddistinguono le associazioni di donne concorrerebbero a determinare
una sorta di dissimulazione della leadership sebbene, in concreto, l’autorità non risulti equamente distribuita.
Su certi temi sei costretta a farci i conti per esempio sulla leadership […]. Partecipazione non verticista, orizzontale, cavolate
diciamo perché poi comunque un ruolo di leader qualcuno ce
l’ha è inevitabile magari non voluto ma riconosciuto comunque
quindi in qualche modo per capacità personali per esempio o
per doti oratorie, faccio per dirne una, per non timidezza. [volontaria ruolo direttivo n.13, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Si tratta di una prospettiva condivisa anche da un’intervistata che ha
avuto ruoli di responsabilità nell’ambito di associazioni femminili con ri-
180
“Siamo arrivate da strade diverse”
levanza nazionale che, nel criticare l’idea di assemblearismo di eredità
femminista, pone in evidenza come risulti prioritaria un’evoluzione che
vada nella direzione di un riconoscimento della inevitabile diseguaglianza nella distribuzione del potere nella relazione politica anche tra donne.
Questo spostamento, cioè di dare una delega e quindi poi di
presentarsi in assemblea e di dire “ho fatto questo, ho sbagliato? Mi votate, cioè mi giudicate”, cioè obbligare le donne a un
giudizio è un passaggio difficilissimo perché le donne tendono a non farlo mai, gli viene il mal di pancia, fanno finta poi ti
pugnalano alle spalle, ti pugnalano davanti, però…obbligarle a
un giudizio politico, obbligarci perché poi parlo anche… è una
cosa difficilissima. […] Io credo che la politica delle donne deve
fari i conti con questi due elementi: la possibilità di mettere le
altre nelle condizioni, appunto, di votarti, di giudicarti ma anche
di non…di non sminuire e di non cancellare la relazione e quindi
la disparità. Tenere insieme questi due elementi fortissimi, che
sono del pensiero della differenza, con la democrazia è stata la
mia scommessa che ho vinto, nel senso che le cose mi hanno
dimostrato che avevo ragione. […] Nella politica delle donne si
confonde l’amicizia con un progetto politico. Non c’entra niente,
la relazione politica non è amicizia. La relazione politica è un’altra cosa, sta dentro il discorso della disparità…quindi c’è un momento in cui se io ti dico questa cosa è così, è così. Dopodiché
va male? Mi giudichi e io mi assumo le mie responsabilità. Non
è che ogni volta noi possiamo pensare che tutto lo discuti, non è
possibile! [volontaria ruolo direttivo nazionale n.22, associazione femminile, >50 anni]
181
“Siamo arrivate da strade diverse”
4.7. La partecipazione nel volontariato:
i significati di un’ esperienza
In conclusione, può essere opportuno riflettere sulla diversa connotazio-
ne e quindi sul diverso significato che le intervistate attribuiscono alla loro
esperienza nel volontariato. Emerge in primo luogo una caratterizzazione
del mondo del volontariato come luogo in cui poter sperimentare un’appartenenza collettiva per il tramite dell’associazione di cui si è parte.
Secondo me è difficile parlare di volontariato e dire vado a fare volontariato, sono nel volontariato. Vado a fare volontariato vuol dire
che vai a fare il tuo turno che ne so dalle 8 alle 20, fai il tuo turno
e vai a casa come vado a lavorare, e invece voglio essere nell’associazione, sono nell’associazione, sono parte dell’associazione.
[volontaria ruolo direttivo n.2, associazione mista, <35 anni]
È un’accezione che sfuma l’idea di volontariato come ‘essere al ser-
vizio’ e ne valorizza invece la dimensione di ‘essere parte’ in un movimento che accentua le dinamiche di identificazione derivanti da una
tale esperienza. In questo senso, assumono centralità gli aspetti di
condivisione e di solidarietà non solo nei termini di un agire rivolto all’altro quanto di un ‘bisogno di comunità’ delle stesse volontarie che trova
risposta nell’associazionismo.
Il sentirsi tutti sulla stessa barca e remare tutti insieme diretti verso
qualcosa, verso un territorio da scoprire, da costruire. [volontaria di
base n.4, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Ti rendi conto che spesso non si è soli, questo per me è la cosa principale. [volontaria di base n. 14, associazione femminile, 42 anni]
182
“Siamo arrivate da strade diverse”
Nel caso delle associazioni femminili si tratta di un’esperienza che con-
tribuisce a cementare una solidarietà declinata in base al genere che è
anche occasione di riconoscimento reciproco.
Il riconoscimento, il riconoscersi con altre donne, […] il confrontarmi, il confronto con altre donne per provare a fare delle cose
insieme che poi servano ad altre donne, anche se sono solo dieci
e non sono centinaia, però questa è una grande forza. [volontaria
ruolo direttivo n.20, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
Alla caratterizzazione del volontariato come esperienza che dà sostanza all’idea di collettività si associa una tendenza a riconoscere
nelle relazioni, nelle amicizie e negli incontri che si sono strutturati
nell’ambito dell’associazionismo, gli aspetti più importanti del proprio
percorso partecipativo.
L’aspetto umano, le persone, indipendentemente dai progetti più o
meno portati avanti sono le persone, le persone incontrate, le persone
conosciute, quelle che conosci ancora, quelle che avrai la possibilità di
conoscere ancora insomma, l’aspetto umano sicuramente. [volontaria
ruolo direttivo n.9, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Nelle prospettive delle volontarie più giovani il volontariato si configura
più frequentemente come un contesto privilegiato di crescita personale
che consente anche di maturare nuove competenze.
È un’esperienza in più che sicuramente mi aiuterà come persona e mi aiuterà comunque a capire cosa vorrò fare in futuro
[…].Quindi non so mi aiuta a conoscermi, ma anche a entrare
in contatto con gli altri e aiutarli. [volontaria di base n.8, associazione mista, <35 anni]
Secondo me facendo volontariato ti cambia un po’ il modo di
approcciarti alle cose perché […] adesso, sapendo un po’ più
come funzionano tutte le strutture, uno riesce a darsi un’orga-
183
“Siamo arrivate da strade diverse”
nizzazione un po’ più…anche mentale, cioè, riesce a organizzarsi meglio e quindi riesce anche a trasmettere questa organizzazione, non è più il caos…alcune situazioni sono banali
ma magari te la fai perché sono 4 anni che ci stai dietro e hai
acquisito delle competenze che magari prima non avevi ma le
hai acquisite nel tempo e non ti rendi nemmeno conto di averle
acquisite però ti rimangono. [volontaria ruolo direttivo n.1, associazione mista, <35 anni]
Sono, invece, soprattutto le donne più adulte e che hanno fatto ingresso
nel volontariato dopo il pensionamento a porre in evidenza gli aspetti più
espressivi legati ad una tale esperienza. In questa direzione, tendono a
sottolineare come l’essere attive nell’ambito delle rispettive associazioni
consenta di dare un diverso significato all’esistenza anche attraverso il
riconoscimento della propria utilità.
Ho trovato il mio equilibrio, ho trovato la strada che tu puoi
dare ma allo stesso tempo ti senti di avere. […] Sono proprio
contenta e soddisfatta di quello che sto facendo e prima di tutto si sente un ambiente ‘pulito’, non ci sono interessi. È molto
sereno e poi ti danno la sensazione che loro hanno bisogno di
te. […] (Fare volontariato) vuol dire trovare se stessi, trovare
le proprie capacità di dare, di uscire dalla routine quotidiana
che è molto, molto pericolosa per la donna e finché si sente
capace di dare non si deve fermare. [volontaria di base n.5,
associazione mista, >50 anni]
Vuol dire stare con la gente, vuol dire rendersi utile, vuol dire fare
solidarietà, vuol dire incontrare nuove amicizie, nuove esperienze,
vuol dire conoscere cose che non conoscevo ancora. [volontaria
ruolo direttivo n.11, associazione femminile, >50 anni]
È una gratificazione la richiesta del nostro intervento. […] Per noi
che abbiamo una certa età è così, io ce n’ho ottanta, ottantuno, e
naturalmente qui mi sento viva. Quando arrivo non ce la fo a salire le scale, quando esco cammino. […] Quando io ritorno a casa
184
“Siamo arrivate da strade diverse”
è come se avessi fatto un giro del mondo e mi racchiudessi in
un buco ristretto. È questo che mi spinge, capito? La vita. […] Ti
rendi conto che non hai mai finito di imparare perché ogni giorno
è un giorno nuovo, è una rinascita continua, è un rinnovamento continuo perché cambiano le persone, cambiano le situazioni.
[volontaria di base n.3, associazione mista, >50 anni]
Per le volontarie pensionate il volontariato si configura dunque come
uno spazio privilegiato per coltivare la socialità e per promuovere
prassi di invecchiamento attivo che consentano di mettere a disposizione le esperienze e le competenze ottenendo un riconoscimento
sociale che, specialmente in questa fase del corso di vita, rischia di
essere carente.
Ricorre invece tra le intervistate con ruoli direttivi una caratterizzazio-
ne dell’impegno volontario più direttamente connessa a motivazioni
etiche vissute come un’urgenza di intervenire in prima persona nelle
dinamiche di mutamento sociale e culturale.
E ti assicuro che come me ci sono moltissime donne che in
prima persona…è questa spinta ideale che è più forte, non so
se è spinta…non so cos’è, io sono dipendente dal mio volontariato…dal mio modo di sentire la vita, sono dipendente. È
una forma di dipendenza. [volontaria ruolo direttivo nazionale
n.21, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Indubbiamente c’è un impulso etico, un impulso etico per cui tu
dici, come dicevano i giovani americani alla fine degli anni ’60,
“I care”, cioè mi sta a cuore, mi preme, vivo in questo mondo,
non sono sola, non sono un’isola sperduta in mezzo al mare
perciò devo fare in modo che per tutti ci sia uno spazio perché
se c’è spazio per tutti ci saranno meno guerre, meno lotte. [volontaria ruolo direttivo n.7, associazione mista, >50 anni]
Assume quindi un primato la dimensione politica dell’impegno volontario nella convinzione che, attraverso le attività realizzate nell’ambito
185
“Siamo arrivate da strade diverse”
delle associazioni, è possibile promuovere un cambiamento sociale
che parte dal quotidiano e dalla propria realtà locale.
Si sono rafforzate non lo so la volontà di voler far bene, di pensare di poter cambiare insomma le cose, di, di poter cambiare
un po’ l’opinione delle persone anche nel proprio piccolo. […]
Qualcosa penso di poter fare e quindi non vedermi impegnata in
questo senso è un qualcosa che mi suona strano quindi è questo che mi fa continuare. […] Partecipare, rendermi partecipe
insomma, far parte di una collettività, di un gruppo [volontaria
ruolo direttivo n.9, associazione mista, 35≤≥50 anni]
Sicuramente vuol dire occuparsi di un tempo e di problematiche
che sfuggono un po’ ad altri ambiti. […] Non dimentichiamoci che
e vediamo di non far dimenticare neanche agli altri che. Quindi si
questa cosa qui è fondamentale per me per ora. [volontaria ruolo
direttivo n.20, associazione femminile, 35≤≥50 anni]
In questo senso, una delle presidenti intervistate, nota come sia difficile
scindere il proprio impegno dall’attivismo politico che si realizza per il
tramite del volontariato.
Allora io ti dico questo cosa vuol dire fare attivismo non se sia
volontariato, vuol dire molto semplicemente pensare che si può
incidere nel mondo credo che sia solo questo, magari è molto
come dire idealista, magari è molto illusorio, però non vedo un
altro modo di partecipare per me. [volontaria ruolo direttivo n.13,
associazione mista, 50 anni]
Sembra opportuno sottolineare che solo una delle intervistate che attribui-
scono un tale significato al volontariato ha avuto esperienze di partecipazione politica in senso stretto, un’esperienza tra l’altro che si interrompe
per investire il proprio impegno nella pratica dell’associazionismo. In una
connotazione che ne valorizza l’attributo politico, nel senso più ampio di
‘cura della polis’ e quindi cura della comunità, il volontariato diventa così
186
“Siamo arrivate da strade diverse”
ambito di esercizio di un attivismo democratico orientato all’agire pratico
e che, in tal senso, può contribuire a determinare positive evoluzioni per
le nostre società locali.
Vuol dire resistere, vuol dire resistere ed esistere, tutt’e due.
Vuol dire…vuol dire mantenere le piazze aperte, aperte di pensiero. Vuol dire avere dei luoghi di democrazia vera, dei presidi di democrazia e quindi significa che i pensieri si coniugano
alle azioni ma dentro piazze di democrazia vera che non sono i
supermercati. [volontaria ruolo direttivo nazionale n.21, associazione mista, 35≤≥50 anni]
187
“Siamo arrivate da strade diverse”
Conclusioni
Il percorso di ricerca sulla partecipazione femminile nel mondo dell’associazionismo volontario prende forma, come accennato introduttiva-
mente, nel quadro di un evidente vuoto conoscitivo che contraddistin-
gue la produzione scientifica sul tema ed, in particolare, nel contesto di
una sostanziale carenza di studi che adottano una prospettiva di genere
nella disamina di tali dinamiche. Questa proposta è dunque una prima
esplorazione che assume quale principio orientativo quello dell’eterogeneità degli interlocutori, valorizzata tanto nella selezione dei testimoni
privilegiati che delle volontarie, in linea con la volontà di ricomporre una
prospettiva multifocale sul tema di indagine. Ciò ha determinato l’inevitabile adozione di una metodologia qualitativa capace di individuare alcune tendenze di fondo che, sebbene difficilmente generalizzabili a questo
stadio, data l’ampiezza del campione, si caratterizzano come piste di
ricerca indubbiamente meritevoli di ulteriori approfondimenti.
Uno dei dati che emerge con più chiarezza concerne il tema della leadership femminile nel contesto del volontariato. A questo proposito,
torna con frequenza nelle testimoniane degli intervistati la percezione
di una tendenza prettamente femminile a non riconoscersi quelle doti e
quelle abilità che si ritengono necessarie per ricoprire i ruoli di vertice
nelle organizzazioni. Al contempo, i racconti biografici delle volontarie
svelano che questo atteggiamento, spesso correlato con resistenze ini-
ziali nell’accettazione di cariche di rappresentanza, tende a modificarsi
attraverso un percorso personale che beneficia del sostegno relazionale
e pratico del tessuto associativo. Si tratta di un’esperienza che sembra
contraddistinguere soprattutto le associazioni di piccole dimensioni dove
188
“Siamo arrivate da strade diverse”
la selezione del presidente è definita secondo prassi più informali e
condivise al contrario delle organizzazioni di dimensioni più grandi
in cui la competizione per l’attribuzione delle cariche risulterebbe
invece più marcata.
Al di là delle barriere, visibili e invisibili, che limitano l’accesso delle volontarie ai ruoli di vertice, il materiale raccolto nel corso dell’indagine offre
numerosi elementi per riflettere sulla qualificazione della leadership fem-
minile nel contesto dell’associazionismo. Le donne che hanno incarichi
di rappresentanza nell’ambito delle organizzazioni sono quelle che più
frequentemente declinano il proprio impegno volontario nell’accezione
di un agire eticamente fondato che valorizza la dimensione politica del
volontariato intesa, in senso lato, come ‘cura della polis’. Questa attribu-
zione di senso si coniuga con una rivendicazione delle pari opportunità
di genere nella partecipazione che spesso risulta più marcata rispetto a
quanto rilevato nelle prospettive delle volontarie di base. Sono le donne
in posizioni direttive, infatti, quelle che più frequentemente sperimentano
le difficoltà di conciliazione, compiendo anche scelte di vita che comportano sacrifici personali che accompagnano l’investimento importante nel
proprio impegno volontario.
Ancora, si nota che la leadership femminile viene a contraddistinguersi
per una rivalutazione di elementi, come l’emotività, la passione e, in generale, il coinvolgimento personale che spesso risultano estromessi dal
discorso pubblico che dà per scontata l’opposizione necessaria fra sfera
pubblica e sfera privata, associandola in modo omologo alla opposizione fra ragione e passione.
In un mix di elementi che derivano dai percorsi biografici e dal modo
di vivere e praticare il proprio impegno nel volontariato, le donne presi-
denti tendono a scardinare una visione tradizionale del ruolo di vertice.
Sembra di poter riconoscere nella loro interpretazione del ruolo una caratterizzazione che richiama la forma della leadership trasformazionale,
un modello di leadership che, incardinandosi sulla valorizzazione della
dimensione relazionale e, in generale, sull’attenzione agli aspetti emotivi,
189
“Siamo arrivate da strade diverse”
risulta più chiaramente tesa ad avere un ruolo importante nei processi
di mutamento culturale (Bass e Avolio 1996). Si tratta di un aspetto che
indubbiamente meriterebbe di essere verificato nel quadro di una più sistematica comparazione tra generi e nello studio della leadership anche
attraverso la prospettiva dei followers, in questo caso dei volontari, che
danno sostanza e significato alla figura del leader.
Un secondo ambito di riflessione riguarda gli ostacoli della partecipazio-
ne e dunque le problematiche di conciliazione dell’impegno volontario
che hanno specifiche ricadute sull’universo femminile del volontariato.
Si nota in questo senso come le barriere di accesso sperimentate dalle
donne, in special modo dalle madri con figli in tenera età, mettano al
contempo in luce abilità e orientamenti valoriali di cui queste volontarie
sono portatrici. La capacità di multitasking e la rivendicazione della cura
come diritto che vuole essere esplicato tanto nel pubblico che nel privato
unite alla forte spinta motivazionale che caratterizza l’impegno volontario
di queste donne sembrano rappresentare un insieme di risorse pratiche
e simboliche di cui le associazioni potrebbero indubbiamente beneficiare. È attraverso l’opportunità di partecipazione di queste categorie che
sembra infatti giocarsi quel processo lento e graduale di ricomposizione
di una sfera sociale frammentata in cui impegno pubblico e impegno pri-
vato trovano una modalità di coniugarsi e di contaminarsi reciprocamen-
te con implicazioni trasformative di rilievo. Sono esempio emblematico di
un tale movimento le associazioni nate su una single issue problematica
composte o stimolate da familiari (Turnaturi 1991) poiché spesso l’uso
della propria vicenda personale, compresi i suoi aspetti emotivi per poter
agire sui problemi, rivela una capacità femminile di trasferire problemati-
che dal registro privato a quello pubblico, di costituire una palestra per la
messa in visibilità ed il rafforzamento di diritti, per la definizione di nuovi
beni pubblici (Donolo 2005).
Certo è che i risultati della ricerca pongono all’attenzione la necessità di
introdurre dei correttivi nelle prassi che regolano abitualmente la vita delle associazioni e che rappresentano delle barriere di accesso alla parte-
190
“Siamo arrivate da strade diverse”
cipazione femminile. Nell’ottica di una promozione delle pari opportunità
sarebbero dunque auspicabili iniziative orientate a stimolare processi di
riflessività trasversali interni al mondo del volontariato che consentano di
mettere in luce quelle consuetudini ormai sedimentate nell’agenda delle
associazioni che, seppur non intenzionalmente, determinano disuguaglianze di genere nella partecipazione e nell’accesso alle posizioni di
vertice. È infatti soltanto in un quadro di pari opportunità che la scelta
personale di declinare il proprio impegno secondo modelli più tradizio-
nali e contraddistinti dall’oblatività o, viceversa, mediante un approccio
che intende rivendicare un riconoscimento politico della cura come diritto può essere considerata in quanto tale e non come replicazione di una
distinzione stereotipata dei ruoli differenziati in relazione al genere che
certamente è ancora ben sedimentata nel senso comune.
Risultano nondimeno auspicabili percorsi di riflessione sulle disugua-
glianze di genere che siano in grado di avviare un dialogo intergenerazionale tenuto conto dell’orientamento che, sulla base delle risultanze
dell’indagine, contraddistingue le giovani donne. Si è parlato in propo-
sito di figlie della libertà facendo riferimento alla scarsa consapevolezza che, secondo il parere delle donne più adulte, le giovani dimostrano
rispetto alle diseguaglianze di genere, ritenendo spesso come dato e
ormai concluso il processo storico-sociale di emancipazione femminile.
Per queste ultime la presa di coscienza delle disuguaglianze avverrebbe
più frequentemente sulla base dell’esperienza personale e in maniera
repentina nel momento in cui prende forma il progetto di una famiglia
propria e di una maternità. Nel quadro di orientamenti valoriali più indi-
vidualistici che caratterizzano queste giovani così come i loro coetanei
maschi, le strategie attuate per far fronte agli ostacoli emergenti si concretizzerebbero prevalentemente sul piano personale e privato senza
dar luogo quindi a quella solidarietà di genere che risulterebbe invece
fondamentale per promuovere una rivendicazione delle pari opportunità.
Un ultimo elemento di riflessione è offerto dalla netta polarizzazione ri-
scontrabile tra le prospettive delle associazioni nella caratterizzazione
191
“Siamo arrivate da strade diverse”
dell’agire volontario femminile e nella diversa attenzione che è mantenuta rispetto al tema delle pari opportunità. Certamente la creazione di
spazi di incontro e confronto tra associazioni femminili e associazioni
miste potrebbe dar luogo ad un percorso in grado di agevolare l’ela-
borazione di una riflessività più condivisa su questi temi nel volontariato. Iniziative di questo genere potrebbero dare, al contempo, una
maggiore efficacia alle azioni volte a promuovere le pari opportunità
che continuano a rappresentare il cardine delle attività realizzate dalle
associazioni femminili ma che, nel quadro della diffusa percezione di
chiusura di queste organizzazioni da parte dell’esterno, rischiano di
essere depotenziate nelle loro ricadute.
192
“Siamo arrivate da strade diverse”
Appendice
Per una riflessione sulla simbologia*
Cooperativa sociale Alice
(Prato)
Il logo è venuto dopo, diciamo che all’inizio c’era un logo, me lo ricordo
ancora, io sono entrata nel ’92 e quindi la cooperativa aveva già un po’ di
storia e c’era un altro logo che era fatto tipo un puzzle, rappresentava un
insieme di servizi, un insieme di persone che insieme interagendo forma-
vano un insieme unico. È stata scelta poi questa e c’è il logo con questa
donnina perché dà l’idea dell’accoglienza, della protezione, di quello che
voleva essere la cooperativa, voleva essere un punto forte e di eccellenza,
di qualità su servizi di assistenza o di cura, insomma. Tra l’altro anche qui ci
sono stereotipi forti, per esempio mi viene in mente sul servizio domiciliare;
perché la difficoltà…qualcuno ci dice “voi fate la discriminazione all’incontrario perché assumete solo donne”. In realtà c’è ancora lo stereotipo pres-
so gli anziani che le donne, cioè se c’è bisogno di un’assistenza domiciliare
non ce lo mandi un uomo, non ce lo mandi perché non lo vogliono. Poi magari è anche una persona bravissima, motivata, preparata, però purtroppo
non c’è…quindi anche su questo si cerca di lavorare però…qualcuno ora
c’è di uomo sui domiciliari però non tutti l’accettano volentieri. Quindi non è
* Nella sezione sono raccolti i loghi delle organizzazioni che sono state intervistate, seguiti da
una spiegazione della relativa simbologia tratta in alcuni casi dalle interviste, in altri dai riferimenti reperibili sul sito web dell’organizzazione stessa. I loghi di Adatta, Auser Toscana, Avis
Toscana non sono stati inclusi poiché costituiti dal solo nome delle associazioni.
193
“Siamo arrivate da strade diverse”
una cosa che noi vogliamo mantenere il 90% di donne, anche se ci fa
piacere dare lavoro alle donne perché soprattutto in questi ultimi anni
tante sono state assunte provenienti da altri settori. [Presidente della
cooperativa sociale Alice]
Associazione Casa della
Donna (Pisa)
È un labirinto e il simbolo femminista che forma un cerchio…quindi sulle
molte strade possibili. [Presidente dell’associazione Casa della Donna]
Associazione Città
delle Donne (Lucca)
Il logo è una donna che ha l’idea di unire la dimensione delle radici
quindi del forte radicamento territoriale e i rami come varietà, diciamo,
come apertura un po’ all’alto, al futuro e quindi è una dimensione di un
corpo di una donna che esprime una grande vitalità e però appunto
radicamento sulla provenienza e visione anche rispetto al futuro…E
allora in che senso c’era discussione? No è che per alcuni c’era il pro-
blema se utilizzare appunto questo corpo stilizzato della donna o, inve-
ce, se avere un logo più neutro. L’utilizzo del rosa oppure no, perché
poi c’era anche questa idea del rischio di ghettizzazione di una cosa
delle donne perché il rosa rischia poi di diventare un po’ un elemento
un po’ semplificatorio anche perché la nostra idea è sempre stata fin
dall’inizio che fosse un luogo di incontro, di confronto e di elaborazione delle donne ma rivolto all’intera società poi alla fine, non soltanto
194
“Siamo arrivate da strade diverse”
alle donne, con questo obiettivo di promuovere anche una maggiore
partecipazione delle donne perché noi abbiamo anche nelle cose che
leggevamo, che leggiamo in qualche maniera tutt’oggi, è che alla fine
questa scarsa presenza delle donne è, perché in questo territorio forse
più che altrove, le donne fanno un po’ fatica a mettersi in gioco, soprattutto ad esporsi in una dimensione pubblica di impegno. [Presidente
dell’associazione La Città delle Donne]
Associazione
Ireos – Comunità queer
autogestita (Firenze)
Il nome che l’associazione si è data, IREOS, è sinonimo sia di Iride, con
riferimento esplicito alla bandiera dell’arcobaleno che è anche simbolo
dell’orgoglio lesbico, gay, bisex, trans (LGBT) che di giaggiolo, il giglio
di Firenze. La scelta di questo nome vuole porre l’accento, allo stesso
tempo, sia sul valore della “differenza” sia sulla peculiarità fiorentina di
quest’esperienza. […] Il termine Autogestito è in relazione al fatto che
la maggioranza dei volontari e delle volontarie fanno riferimento ad una
delle categorie elettive. Tutte le persone che vi operano sono persone
favorevolmente orientate verso le diverse identità sessuali. Il concetto cui
ci si riferisce con Comunità Queer, è quello di una comunità elettiva cui si
sceglie liberamente di appartenere, andando oltre le identità sessuali, e
riconoscendo che la propria identità sessuale è frutto della combinazione
di: sesso biologico, genere, orientamento e comportamento sessuale.
La teoria queer, teoria critica sul sesso e sul genere emersa all’inizio
degli anni 90, nasce in seno agli studi gay e lesbici, agli studi di genere
e alla teoria femminista, molto diffusi nelle università angloamericane,
e usati prevalentemente in campo umanistico, letterario e filosofico. Il
termine Queer è qui utilizzato come contenitore per indicare le identità
195
“Siamo arrivate da strade diverse”
sessuali “altre” dall’eterosessualità, rovesciando il significato di un termine
gergale anglosassone dispregiativo. [Identità e valori dell’associazione,
http://www.ireos.org/img/pdf/CurriculumIreos.pdf ]
Associazione Le Mafalde
(Prato)
Il logo l’ha fatto una nostra amica artista pittrice di Teheran, iraniana,
quindi l’intercultura viene fuori anche da là. Lei aveva fatto qualcosa
di più elaborato ma noi volevamo qualcosa di più semplice quindi è
venuto fuori questo loghettino di queste donne che comunque dal-
la M si stringono la mano, queste figure femminili. [Ex Presidente
dell’associazione Le Mafalde]
Associazione Olympia de
Gouges (Grosseto)
Perché Olympia de Gouges? Olympia de Gouges è stata una delle
voci più coraggiose della Rivoluzione Francese, perché è riuscita ad
opporsi alle convinzioni ed agli archetipi di un’epoca in cui i diritti delle
donne apparivano non solo baluardi lontani ma, addirittura, sfumature
quasi invisibili. “La vera disgrazia- scrive Voltaire- non è tanto l’ineguaglianza, quanto il suo inevitabile frutto, la dipendenza”. * * * Il suo vero
nome era Maria Gouges. Nacque nel 1748 a Montauban, nella regione
occitanica della Francia, da una famiglia modesta: il padre, Pierre Gouges, era macellaio e la madre, Anne Olympia Mouisset, domestica. A
sedici anni Maria sposò Luois Yves Aubrey, un uomo molto più anziano
di lei, che morì subito dopo la nascita del figlio. Questa tragedia incise
196
“Siamo arrivate da strade diverse”
profondamente sulla sua vita e sulla sua formazione: rifiutò fin da subito
di essere definita la “vedova Aubrey”, decidendo pertanto di darsi un
nuovo nome. E’ così che nasce l’appellativo con il quale la conosciamo
oggi: Olympia, come la madre, a cui aggiunse un “de” e Gouges, nato
dalla modifica del suo cognome Gouges. Olympia de Gouges giurò,
quindi, di non sposarsi mai più. A rendere ancora più interessante la
sua figura è stato il velo di incertezza relativa alla sua paternità: Olym-
pia iniziò, infatti, a diffondere la voce di non essere figlia del macellaio
Pierre Gouges ma di essere il frutto di una relazione della madre con
il marchese Franc de Pompignon. Negli anni 1791-1792 Olympia ed
un ristretto cenacolo di donne proseguirono la loro battaglia in materia
di uguaglianza. E’ infatti di questo periodo la “Dichiarazione dei diritti
della Donna e della Cittadina”, il cui punto di partenza è il principio in
virtù del quale “la donna nasce libera e resta uguale all’uomo nei suoi
diritti”. Tuttavia, nel 1793 ci fu l’arresto, il processo e, inevitabilmente, la
ghigliottina, anche per aver difeso Luigi XIV e attaccato il governo. * * *
Come già rilevato, Olympia è stata una figura di spicco dell’epoca in cui
ha vissuto. Per molti è stato il personaggio che rappresenta al meglio
i principi e lo spirito egualitario della rivoluzione Francese, risultando
tra le prime donne ad aver parlato a difesa dei diritti dei più deboli. In
ogni caso, non ha solo rivendicato i diritti delle donne (ed in particolare
il diritto all’istruzione e ad un salario uguale a quello degli uomini) ma
si è posta anche a difesa e a favore della libertà degli schiavi e delle
schiave, di strade pulite e trafficate, di ospedali per la maternità, del
divorzio, dei diritti degli orfani, delle orfane e delle madri nubili. “Olympia de Gouges, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il
suo delirio per un ispirazione della natura: ha voluto essere Uomo di
stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato
le virtù che convengono al suo sesso” Rapporto sulla morte di Olympia
(14 Brumaio, anno II della Repubblica) Così fu interpretata all’epoca la
sua opera: fu ritenuta affetta da “paranoia da idee riformatrici o isteria
rivoluzionaria”. Voleva riformare il mondo e questa era evidente follia.
197
“Siamo arrivate da strade diverse”
[Chi era Olympia de Gouges?, Associazione Olympia de Gouges, cfr.
http://www.olympiadegouges.org/chi-siamo/chi-era-olympia-de-gouges]
Se non ora quando? Le
donne del 13 febbraio
(Siena)
Ci riconoscete? Siamo le pecore del ghetto,
Tosate per mille anni, rassegnate all’offesa.
Siamo i sarti, i copisti ed i cantori
Appassiti nell’ombra della croce.
Ora abbiamo imparato i sentieri della foresta,
Abbiamo imparato a sparare, e colpiamo dritto.
Se non sono io per me, chi sarà per me?
Se non così, come? E se non ora, quando?
Questa è la prima strofa della canzone dei “gedalisti” inventata da Primo Levi e riportata nel suo romanzo del 1982 dal titolo “Se non ora
quando”, le avventure drammatiche di partigiani ebrei polacchi e russi
che decisero di restituire colpo su colpo a chi tentò di sterminarli. Ci
piace ricordarlo nelle pagine del nostro blog perché, pur lontane da
quel tempo e dalla drammaticità di quegli eventi, vogliamo raccogliere
e rilanciare la forza profonda di quel grido. [Chi siamo? Le donne del
13 febbraio, http://ledonnedel13siena.blogspot.it/p/chi-siamo.html
198
“Siamo arrivate da strade diverse”
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