Magazine Arpa Campania Ambiente n. 10 del 31 maggio 2014

Se ne è discusso alla XII Conferenza del Sistema di Protezione Ambientale
Il ruolo dell'informazione nel nuovo Snpa
La comunicazione dei dati e
delle informazioni in materia
ambientale è stata uno degli argomenti portanti della Dodicesima conferenza del Sistema
nazionale di protezione dell'ambiente, che si è tenuta poche settimane fa a Roma. A discuterne,
nel corso della seconda giornata
di lavoro, sono stati, tra gli altri,
Roberto Caracciolo, dirigente
dell'Ispra, Giancarlo Marchetti,
direttore tecnico dell'Arpa Umbria, Marco Talluri, responsabile comunicazione dell'Arpa
Toscana. La titolarità dei dati
ambientali è uno dei punti della
riforma del sistema nazionale di
protezione dell'ambiente, il cui
disegno di legge è stato approvato poco più di un mese fa dalla
Camera dei deputati e ora è all'esame del Senato. Diversi
esperti hanno commentato che
la titolarità dei dati ambientali
consentirebbe alle agenzie di
mettere in campo una comunicazione più efficace sui risultati
delle proprie attività.
Mosca a pag. 7
DAL MONDO
PRIMO PIANO
PRIMO PIANO
Un nuovo modo di fare
la spesa: l’acquaponica
La giornata mondiale dell’ambiente 2014
Report Ispra sulla centrale del Garigliano
Si celebrerà il 5 giugno prossimo in più di cento paesi
Non emergono anomalie e situazioni di rilevanza radiologica
EVERY YEAR, EVERYWHERE,
EVERYONE. Ogni anno, in ogni
luogo, ognuno di noi può e deve dare il
proprio contributo per salvaguardare
il nostro amato Pianeta! Nonostante
gli allarmi che ogni giorno arrivano non è mai troppo tardi
affinché l’essere umano capisca...
Nel periodo Giugno 2013 - Gennaio
2014, in vista delle più significative
operazioni di disattivazione della centrale nucleare del Garigliano,
l’ISPRA ha effettuato una campagna
di misure radiometriche per il controllo della radioattività
ambientale nelle aree circostanti.....
Martelli a pag.2
Morlando a pag.3
Chi l’avrebbe mai detto, nel
futuro la spesa si farà sul
tetto, dove pesce e verdura
saranno sempre freschi e
pronti per essere portati nelle
nostre case e sulle nostre tavole.
Paparo a pag.5
I paesaggi di
Jordi Bellmunt
La tradizione secolare
dei guanti napoletani
Julia Kavanagh
a Napoli
NATURA & BIODIVERSITÀ
Biodiversità ed aree urbane:
un’inaspettata sintonia
C’è un mondo di vita attorno
a noi, che spesso passa inosservato. 1285 specie di piante
spontanee a Roma, 1243 a
Berlino, 86 specie di uccelli
nidificanti a Firenze…sembra di “dare i numeri”...
Buonfanti a pag.8
AMBIENTE & SALUTE
SCIENZA & TECNOLOGIA
Global warming: in
nostro soccorso c’è
il Methylocella
Clemente a pag.9
Il catalano Jordi Bellmunt è uno degli
architetti paesaggisti più noti a livello
internazionale. Nella sua Spagna,
come in altri Paesi, Bellmunt ha accumulato esperienze importanti e diverse, soprattutto nel lavoro puntuale
di interpretazione e risoluzione delle
complesse problematiche in cui le aree
urbane si trovano a confrontarsi con
l’ambiente ed il paesaggio. Fondamentale è, per Bellmunt, la funzione che il
paesaggio deve svolgere nel migliorare
l’aspetto e la vivibilità dei territori...
Palumbo a pag.11
Nella rivista di storia «La Capitanata»,
quadrimestrale edito dalla Biblioteca
Provinciale di Foggia, Rosanna Curci
ha pubblicato, nel 2005, un articolo di
grande interesse per la letteratura odeporica: Julia Kavanagh nelle Due Sicilie. La Kavanagh nacque nel 1824 in
Irlanda; suo padre, Morgan Peter Kavanagh, era un poeta e filologo....
Terzi a pag.15
Nella capitale, intorno al 1830, si
concentra tra il Ponte della Maddalena e il mare il maggior numero di
concerie; tra le tante emergevano la
Gamen, la De Rosa, quella dei fratelli
Buongiorno al Mercato, quella di Gaetano Ingegno "a San Giacomo delle
Capre sull'Arenella" ("con la vernice
di sua invenzione che non si crepola
affatto per le piegature"), di Eugenio
Salabelle a Posillipo (con la "sua notevole fabbrica, le incerate per fodera di
cappelli militari ed i cappelli impenetrabili").
De Crescenzo-Lanza a pag.14
Il decreto legge 34/2014
diventa legge
Ferrara a pag.18
La giornata mondiale dell’ambiente 2014
Si celebrerà il 5 giugno prossimo in più di 100 paesi
Giulia Martelli
Giornata Wwf della biodiversità: io tifo Amazzonia!
EVERY YEAR, EVERYWHERE, EVERYONE. Ogni
anno, in ogni luogo, ognuno di
noi può e deve dare il proprio
contributo per salvaguardare
il nostro amato Pianeta! Nonostante gli allarmi che ogni
giorno arrivano non è mai
troppo tardi affinché l’essere
umano capisca che è dai piccoli gesti quotidiani che parte
la vera “rivoluzione verde”. A
ricordarci le nostre responsabilità nei confronti dell’ambiente ci pensa, puntuale ogni
anno, la Giornata Mondiale
dell’Ambiente (WED), istituita dall'ONU per ricordare
la Conferenza di Stoccolma
sull'Ambiente Umano del
1972 nel corso della quale
prese forma il Programma
Ambiente delle Nazioni Unite
(U.N.E.P. United Nations Environment Programme). La
Giornata Mondiale dell'Ambiente, che si celebrerà in più
di 100 paesi il 5 giugno prossimo, nel corso degli anni è
cresciuta fino a diventare una
vasta piattaforma globale per
la sensibilizzazione pubblica.
A sostegno della designazione
da parte dell'ONU del 2014
come Anno Internazionale dei
piccoli Stati insulari (SIDS) in
via di sviluppo, WED que-
RIO2: DAL MONDO DEI CARTOON
UN SOS PER L’AMAZZONIA
st'anno adotterà SIDS nel
contesto più ampio del cambiamento climatico come
tema per favorire una maggiore comprensione dell'importanza dell'urgenza di
proteggere le isole dai crescenti rischi e dalle vulnerabilità derivanti soprattutto
dai cambiamenti climatici.
“Alzate la voce, non il livello
dei mari!”: questo lo slogan
della WED 2014. "Il pianeta
Terra è la nostra isola condivisa, dobbiamo unire le forze
per proteggerla” :questo, invece, l’appello del Segretario
generale dell'ONU Ban Ki moon in occasione del lancio
dell’ Anno Internazionale
delle piccole isole e degli Stati
in via di sviluppo. Anno dopo
anno, “l’obiettivo della Giornata Onu per l’ambiente è di
dare un volto umano alle questioni ambientali – ha scritto
l’ufficio Onu Italia in un co-
municato esemplare per chiarezza e sintesi – facendo sì
che le persone diventino
agenti attivi dello sviluppo
equo e sostenibile; accrescere
la consapevolezza che le comunità sono di importanza
fondamentale per il cambiamento dell’atteggiamento riguardo
le
questioni
ambientali; promuovere partnership che garantiranno a
tutte le nazioni e popolazioni
un futuro sicuro e prospero”.
La Giornata mondiale per
l’ambiente coinvolge tutte le
persone in attività come manifestazioni nelle strade, parate di biciclette, concerti
all’aria aperta, saggi e concorsi per l’ideazione di poster
nelle scuole e piantagioni di
alberi. Ognuno di noi può
dare il suo contributo, è sufficiente qualche piccola accortezza nelle piccole decisioni di
ogni giorno.
Grande successo per la
nuova avventura del pappagallino Blu, della sua compagna Jewel e dei loro tre
figlioletti che, abbandonati
gli agi della riserva naturale
di Rio (dove vivevano protetti
e coccolati perché ultimi
esemplari della loro specie) si
lanciano in una pericolosa ricerca delle loro origini nella
foresta Amazzonica tra bracconieri e predatori senza
scrupoli il cui unico interesse
è disboscare il patrimonio
naturale. Affinché la salvezza dell’ecosistema possa
essere una priorità sin da
bambini!
Sos Amazzonia:
dalla moda
i “pezzi verdi”
Anche il mondo della moda
si mobilita per l’Amazzonia.
Due marchi come Cruciani e
Braccialini hanno infatti sostenuto la campagna del
Wwf con edizioni speciali acquistabili anche on-line. Si
tratta di baccialetti e foulard
per il primo e tre diversi modelli di borse in canapa ricavata da brandine dismesse
per il secondo. Ovviamente
tutto confezionato con packaging in carta ecologica al
100%... Come essere fashion
dando una mano all’ambiente.
G.M.
Lo studio dell’Università di Milano fotografa una situazione critica
Cambiamenti climatici e ghiacciai: lenta agonia?
Paolo D’Auria
Imponenti, candidi, glaciali. L’uomo ne
ha memoria da sempre. E da sempre
mito e leggenda li avvolgono, trasformandoli – a seconda delle epoche – in
nemici temuti oppure in divinità benevole.
Sono i ghiacciai, diffusi su tutta la
Terra. L’evoluzione umana e scientifica ne ha poi, via via, mutato la percezione tanto da poter affermare che
oggi, essi, sono una vera e propria risorsa, sia biologica che turistica.
Come spesso accade negli ultimi tempi,
tuttavia, anche questi “giganti buoni”
sono minacciati dalla scelleratezza dell’uomo. Gli ultimi dati raccolti nel
nuovo catasto dei ghiacciai italiani realizzato dal gruppo di ricerca di
Claudio Smiraglia dell’Università
degli Studi di Milano in collaborazione
con l’Associazione EvK2CNR e il Comitato Glaciologico Italiano – lasciano
poco spazio a dubbi: si stanno sciogliendo.
Se è vero, infatti, che sono aumentati
di numero, la loro superficie complessiva sta gradualmente regredendo. I
ghiacciai sono, dunque, sempre più
frammentati e piccoli per colpa del
cambiamento climatico: si parla di una
riduzione del 40% in superficie nel-
l’arco di 30 anni. Attualmente quelli
italiani hanno un’estensione complessiva confrontabile a quella del Lago di
Garda (368 chilometri quadrati). La
fusione sembra ormai inarrestabile,
ma potrebbe rallentare grazie allo
strato protettivo di sassi e detriti che
si sta allungando su aree sempre più
estese dando vita ai cosiddetti “ghiacciai neri”.
Il progetto è stato avviato nel 2012 per
aggiornare i dati dei due precedenti catasti, realizzati nel 1959-1962 e nel
1981-1984. Secondo il nuovo censimento, i corpi glaciali in Italia sono 896
e per lo più di piccole dimensioni (in
media 0,4 km2), ad eccezione di tre
ghiacciai con un’area superiore ai 10
chilometri quadrati: i Forni in Lombardia, il Miage in Valle d’Aosta, e il complesso
Adamello-Mandrone,
in
Lombardia e Trentino. Quest’ultimo
(con i suoi 16,44 km2) ha strappato al
Forni il primato di ghiacciaio più vasto
d’Italia, perché si è scoperto che è formato da un corpo glaciale unico con
oltre 200 metri di spessore e non da più
blocchi, come ipotizzato finora.
“I modelli ci dicono che entro la fine del
secolo si potrebbe estinguere il 50-90%
dei ghiacciai alpini”, spiega Smiraglia.
“La fusione, però, sta innescando un
meccanismo naturale di auto-difesa:
col ritiro dei ghiacci, si sta verificando
lo sbriciolamento delle pareti rocciose
vicine, e i detriti si stanno riversando
sui ghiacciai formando delle “coperte”
di sassi sempre più estese. La loro superficie è aumentata del 20% dal 1960
ad oggi, formando uno strato che sigilla e protegge il ghiaccio sottostante.
Questo fenomeno - conclude l’esperto potrà forse regalare qualche anno di
vita in più ai nostri ghiacciai”.
Report Ispra sulla centrale del Garigliano
Non emergono anomalie e situazioni di rilevanza radiologica
Angelo Morlando
Nel periodo Giugno 2013 Gennaio 2014, in vista delle
più significative operazioni di
disattivazione della centrale
nucleare del Garigliano,
l’ISPRA ha effettuato una
campagna di misure radiometriche per il controllo della radioattività ambientale nelle
aree circostanti, allo scopo di
disporre di un “punto zero” di
riferimento e di vigilare sulle
attività di sorveglianza svolte
al riguardo dalla SO.G.I.N.
Il Report, pubblicato nell'aprile
2014, è il frutto del lavoro degli
autori L. Matteocci, R. Ocone,
(ISPRA – Servizio Controlli
Attività Nucleari) G. Torri, G.
Bidolli, G. Jia, G. Menna M.
Blasi, M. Cavaioli, A. Di Lullo,
S. Fontani, P. Leone, Sara Mariani, Luca Ciciani (ISPRA –
Servizio Misure Radiometriche) P. Bitonti, C. Salierno,
(ISPRA – Servizio Radioprotezione) G.Guerrasio, P.Mainolfi,
(ARPA Campania) P. Di
Legge, G. Evangelisti, T.Fabozzi, S. Paci, R. Sozzi (ARPA
Lazio). La centrale elettronucleare del Garigliano, sita in
Sessa Aurunca (CE) è dotata
di un reattore nucleare ad
acqua bollente General Electric del tipo BWR da 506 MWt
(150 MWe), entrò in esercizio
commerciale nel giugno 1964,
con una produzione elettrica
complessiva, fino all’arresto
definitivo, di circa 12 miliardi
di kilowattora. La centrale fu
fermata nell’agosto 1978 per
l’esecuzione di rilevanti interventi di adeguamento, che
però, a seguito di valutazioni
economiche, fu deciso di non
attuare. Con delibera CIPE del
4/3/1982 fu quindi disposta la
chiusura definitiva della centrale e furono avviate le operazioni per porre l’impianto in
una condizione di “custodia
protettiva passiva” (CPP).
Per sedimenti, sabbie e terreni
i valori delle misure sono riferiti a "peso secco", dopo essiccazione fino a peso costante
con residuo di umidità inferiore allo 0,1%; per matrici alimentari ed erba i valori delle
misure sono riferiti a "peso fresco". Dove è presente il solo valore della MDC (Minimum
Detectable Concentration) significa che il valore della misura è minore della stessa
MDC.
Per completezza è stato riportato anche il valore di K-40, radionuclide naturale abbondantemente presente nelle matrici
ambientali.
Dagli stessi rapporti è emerso
che le misure non hanno evidenziato la presenza di altri
radionuclidi artificiali differenti da quelli riportati.
Le misure di rateo di dose
gamma in aria hanno mostrato una variabilità fra 62
nanoSievert/h e 198 nanoSievert/h.
Dall’analisi comparativa fra i
risultati delle misure effettuate nella presente indagine
e i valori di fondo ambientale
regionale nonché i valori di riferimento a livello nazionale o
internazionale non emergono
anomalie. La variabilità dei
valori rilevati nell’indagine
rientra nell’ambito di quella,
precedentemente descritta, riscontrabile su scala regionale
nonché nazionale e non si evidenziano situazioni di rilevanza radiologica.
Tutti al mare! Record di bandiere blu italiane
Tra poco sarà tempo di vacanze
e, si sa, la maggior parte degli
Italiani sceglierà come meta il
mare. E ora come ora avrà una
vasta scelta, visto che per la
nostra penisola quest’anno è
stato battuto il record di
spiagge con mare cristallino.
Basti pensare che con nuovi
ventuno ingressi cresce a duecentosessantanove il numero
dei lidi doc e salgono a centoquaranta i relativi Comuni
(cinque in più dell'anno scorso)
che potranno fregiarsi nel 2014
della Bandiera blu, il riconoscimento internazionale della
Fondazione per l'educazione
ambientale (Fee) Italia assegnato in questi giorni nella
ventottesima cerimonia di premiazione alla presenza dei sindaci.
A presentare la candidatura
sono stati centosessantatre Co-
muni. In particolare, la Liguria
conferma il primato con venti
località premiate; mentre nella
graduatoria spicca l'Abruzzo
che scende a quota dieci , in
quanto quattro località della
riviera hanno perso il vessillo.
Medaglia d’argento per la Toscana, che si è classificata seconda con diciotto (conquista
una bandiera) che sorpassa le
Marche con diciassette, che ne
perde una. L'elenco prosegue
con l'Emilia Romagna che conquista una bandiera e sale a
nove, la Campania conferma le
sue tredici e anche la Puglia le
dieci dello scorso anno, il Veneto raggiunge sette bandiere,
salendo a quota più uno, e il
Lazio si piazza a pari merito
con più due; Sardegna e Sicilia
sono rappresentate ciascuna
da sei località. Scendendo nella
graduatoria la Calabria è pre-
sente quest'anno con quattro
bandiere, il Molise conferma le
tre, il Friuli Venezia Giulia le
proprie due e la Basilicata una.
Sul totale di centoquaranta Comuni, a fronte di dieci uscite ci
sono stati quindici i nuovi ingressi: Trebisacce (Cosenza),
Gatteo (Forlì-Cesena), Gaeta,
Latina, Santo Stefano al Mare
(Imperia), Pietra Ligure (Savona), Margherita di Savoia
(Barletta-Andria-Trani), Pozzallo (Ragusa), Marsala, Marciana
Marina
(Livorno),
Chioggia (Venezia) e quattro
località sui laghi in Trentino
Calceranica al Lago (Trento),
Caldonazzo (Trento), Pergine
Valsugana (Trento), Tenna
(Trento). Una soddisfazione
per noi e per tutto il nostro
Paese in termini di educazione
ambientale e gestione del terriA.P.
torio.
Nasce il Polo Tecnico
Professionale “Campania 3B”
Bellezza, bravura e bontà a tavola!
Fabiana Liguori
Una culla dove coltivare “talenti”, valorizzandone esclusività, competenze e senso di
appartenenza alla propria terra.
Un valido punto di partenza e di
incontro per i ragazzi appassionati di enogastronomia e arte
della cucina, da cui poter iniziare un meraviglioso percorso
formativo e professionale senza
dover “emigrare” verso nuove
opportunità.
Lo scorso 21 maggio, presso
l’Istituto “Elena di Savoia” a Napoli, è stato presentato il Polo
Tecnico Professionale “Campania 3B” promosso dall’Università della Cucina Mediterranea,
in qualità di capofila di un partenariato costituito da 49 realtà
scolastiche, imprenditoriali, associative e istituzionali. Il Polo
rappresenta una nuova realtà
strategica con la quale i fautori,
in cooperazione con le Istituzioni, promuovono l’istruzione e
la formazione nei settori dell’accoglienza e dell’ospitalità per
qualificare l’offerta turistica e
compiere un deciso passa in
avanti nella promozione dell’eccellenze territoriali. Al tavolo,
oltre al dirigente dell’Istituto,
sede della conferenza stampa,
Paola Guma, al presidente
dell’UCMed, Sergio Corbino e al
direttore del Polo, Vincenzo Califano, presente anche l’onorevole Severino Nappi, assessore
alla formazione e lavoro della
Regione Campania. Significativi
gli interventi di Filippo De Maio
e Valentina Della Corte, componenti del consiglio direttivo del
Polo e di Cecilia Coppola, presidente dell’Associazione Culturale Cypraea-Onlus.
“Le 3B: bellezza, bravura e
bontà – spiega un emozionato
Califano - rappresentano le “tre
dimensioni” sulle quali agire per
valorizzare i punti di forza del
territorio e renderli funzionali
ad un incremento della competitività delle imprese e dei territori”. Un Made in Campania,
quindi, responsabile e sostenibile, teso a incrementare l’impiego dei giovani nelle filiere
produttive di riferimento, innalzandone il livello di preparazione e stimolando il senso di
auto-imprenditorialità. Il neo
Partenariato, che interessa
tutte le province campane, è
stato costituito con l’obiettivo di
È ufficiale la nuova
zona rossa del Vesuvio
collegare aree tra loro differenti
e costruire una nuova visione di
offerta turistica, che inglobi sia
le prelibate produzioni enogastronomiche che le bellezze culturali
caratteristiche
dei
territori.
Una presentazione, quella del
Polo Professionale “Campania
in 3B”, diventata un vero e proprio evento di incontro produttivo, e soprattutto culinario,
grazie alla performance del
gusto realizzata dagli studenti
dell’Istituto “Elena di Savoia”:
un gustosissimo buffet di “accoglienza” che ha deliziato il palato di tutti i presenti. Meritati
apprezzamenti da parte anche
dell’Assessore alla Formazione,
Severino Nappi, che ha sottolineato l’originalità e la qualità
del programma promosso dall’UCMed, annunciando che “a
breve partirà la negoziazione
tra i Poli e la Regione Campania
per il finanziamento dei progetti
e l’inizio delle attività che saranno operative a partire dal
nuovo anno scolastico”.
Parola d’ordine: prevenzione. Finalmente: "È entrata in vigore ufficialmente la nuova zona rossa del Vesuvio", queste
le parole dell’assessore alla Protezione civile della Regione
Campania, Edoardo Cosenza, alla luce della pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale della Direttiva approvata dal presidente del Consiglio dei Ministri, il 14 febbraio scorso, che
stabilisce l'area da evacuare, in via cautelativa in caso di
ripresa dell'attività eruttiva, e individua i gemellaggi tra i
Comuni della zona rossa e le Regioni e le Province Autonome per l’accoglienza della popolazione evacuata. "Entro
45 giorni – ha aggiunto l’assessore - il Dipartimento Nazionale di Protezione civile, d'intesa con la Regione Campania
e sentita la Conferenza Unificata, fornirà indicazioni alle
componenti e alle strutture operative per aggiornare le pianificazioni di emergenza in caso di evacuazione della zona.
Per farlo, queste avranno quattro mesi di tempo”.
La nuova zona rossa comprende i territori di 25 comuni
della provincia di Napoli e di Salerno, ovvero 7 comuni in
più rispetto ai 18 previsti dal Piano di emergenza del 2001.
Le disposizioni entrate in vigore riguardano: l'area da sottoporre ad evacuazione cautelativa per proteggere gli abitanti dagli effetti di una possibile eruzione, soggetta ad alta
probabilità di invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1)
e di crolli delle coperture degli edifici per importanti accumuli di depositi di materiale piroclastico (zona rossa 2); l'assistenza alla popolazione dell'area vesuviana cautelativamente evacuata attraverso la stipula di gemellaggi con determinate Regioni e province autonome che garantiranno
una sana accoglienza; e infine le indicazioni per l'aggiornamento delle pianificazioni di emergenza.
Che ne sarà di Città della Scienza?
Situazione a dir poco intricata
per Città della Scienza e per le
Società Partecipate della Regione. Attualmente parte della
struttura è visitabile attraverso mostre temporanee ed
altre permanenti, ma l’incertezza del destino del Museo
traspare anche durante la visita. Lo scorso 24 aprile è stata
approvata l’intesa per la ricostruzione del Sito di Bagnoli
dopo i fatti di cronaca del 2013
che videro Città della Scienza
distrutta per un incendio. La
prima disputa in seguito all’accordo di Aprile è sorta tra la
Fondazione Idis e Campania
Innovazione: in particolare la
Idis ritiene di dover “subire” un
punto non concordato, dovendosi inaspettatamente farsi carico
economicamente
di
quarantatre dipendenti di
Campania Innovazione. La Regione Campania, dalla sua,
trova inadeguate le proteste
della Idis, affermando di aver
conferito i giusti mezzi per ri-
lanciare un’eccellenza turistica
salvaguardando i livelli occupazionali. Il problema sorge nel
momento in cui è stato previsto un Piano di riorganizzazione delle Società Partecipate:
attraverso il Piano, è stato stabilito che Campania Innovazione fosse assorbita da
Sviluppo Campania. Dei settantasette dipendenti di Campania
Innovazione,
si
prevedeva che sedici passassero direttamente a Sviluppo
Campania, diciotto fossero assorbiti da Idis. I quarantatrè rimanenti spettavano di norma a
Sviluppo Campania, il problema è che per quest’ultima
non è stato ancora approvato
alcun piano industriale.
Anche altri i punti spinosi della
questione: il 16 maggio è scaduto il rapporto di fitto di ramo
d’azienda che legava Fondazione Idis e Campania Innovazione; il rapporto è stato
prorogato al 16 giugno ed entro
quella data la stessa Idis dovrà
necessariamente presentare
un piano di riordino e di riorganizzazione. La Regione ha
stanziato un milione di euro,
cifra ad ogni modo non disponibile attualmente. Per ora la
Fondazione Idis fa sapere di
non riuscire a sostenere gli
eventuali costi aggiuntivi dei
quarantatrè dipendenti.
D.M.
Un nuovo modo di fare la spesa: l’acquaponica
Coltivare piante su vasche dove si allevano anche i pesci
Anna Paparo
Chi l’avrebbe mai detto, nel futuro la spesa si farà sul tetto,
dove pesce e verdura saranno
sempre freschi e pronti per essere portati nelle nostre case e
sulle nostre tavole. Prende
vita, così, l’acquaponica, che il
gruppo degli “Urban Farmers”
di Basilea stanno provando a
realizzare attraverso un impianto di coltivazione e allevamento, con l’ambizione di farlo
diventare un sistema diffuso
da installare in oltre 200 negozi sparsi in tutta la Svizzera.
Alla base di tutto c’è la volontà
di rendere il coltivare verdura
e l’allevare pesci un atto da
fare in contemporanea e, soprattutto, in modo sostenibile,
combinando
l’acquacoltura
all’agricoltura idroponica. In
sostanza, piante e ortaggi vengono coltivati all’interno di
particolari serre, in speciali
contenitori privi di terra, e vengono irrigati con l’acqua delle
vasche dove nuotano i pesci.
Non bisogna sottovalutare la
funzione delle piante, che assorbono le sostanze nutrienti
presenti nell’acqua e, allo
stesso tempo, la depurano in
modo naturale da quelle nocive, come ad esempio l’ammoniaca. Una volta filtrata,
l’acqua viene nuovamente immessa nelle vasche per l’acquacoltura insieme agli scarti
vegetali di cui si nutrono i
pesci, dando così vita a un circolo virtuoso ed efficiente. Sono
messe al bando poi tutte le sostanze chimiche: partendo dai
fertilizzanti fino ad arrivare ai
pesticidi. In questo modo la
protezione delle piante avviene
solo attraverso la lotta biologica, una tecnica che utilizza
batteri e insetti per combattere
le malattie. Sembra un sogno,
ma non lo è. Infatti, a Basilea
questo sistema è già realtà. A
volerlo sperimentare è stato il
trentenne Roman Gaus, che ha
sottolineato che, pur non
avendo nessuna esperienza di
agricoltura, è riuscito a siglare
un contratto con Migros, una
delle catene di distribuzione
più grandi della Svizzera, iniziando a vendere i prodotti
dell’acquaponica in un negozio
della città. La risposta dei consumatori è stata subito positiva: «Vendiamo tutto in
appena un’ora», sottolinea
Gaus. Anche perché l’offerta è
interessante e composta dalle
qualità più particolari di verdura, come il peperoncino habanero o il pomodoro ciliegino
italiano, che di solito non arrivano nei supermercati elvetici.
I pesci allevati, invece, sono i
tilapia, una varietà d’acqua
dolce che vive nei mari tropicali. Il tutto a prezzi competitivi. Insomma, una vera e
propria rivoluzione nel mondo
della spesa. Ottimo per le casalinghe, che per un po’ potranno
abbandonare l’appellativo di
“disperate” e rifornire la propria dispensa senza alcun problema o stress, senza sotto-
valutare l’aspetto del rispetto
dell’ambiente. L’acquaponica
è, appunto, un sistema sostenibile al cento per cento, che
sfrutta le risorse naturali
senza intaccare gli equilibri
naturali di flora e fauna, il
tutto su di un semplicissimo
tetto. Purtroppo i costi per diffondere questo progetto sono
molto alti. Infatti, per realizzare mille metri quadrati di
coltivazione «chiavi in mano»
sono necessari circa 1,2 milioni
di euro. Si spera, inoltre, che le
spese vengano ammortizzate e
si spera che con il software che
gli stessi Urban Farmers
hanno sviluppato – capace di
regolare tutti gli elementi legati alla coltivazione “acquaponica” – questo nuova pratica di
fare shopping possa diventare
sempre più diffusa.
Il polmone green che ricrea gli ecosistemi russi: tundra, steppe, foreste e paludi
L’avveniristico Parco di Zaryadye a Mosca
Domenico Matania
Beni Culturali e Patrimonio
ambientale e paesaggistico costituiscono un binomio vincente se alla loro base
risiedono idee vincenti ed una
corretta gestione. La scelta del
Governo Russo di metter su
Parco Zaryadye nell’omonima
zona di Mosca è emblematica
di come alla base di un’idea risiedano molteplici fattori immateriali che, coniugati in
qualcosa di tangibile, danno
vita a progetti che possono lasciare il segno nella storia.
Non un semplice parco, insomma, e ciò si intuisce innanzitutto dalla scelta della
zona. Da antico porto fluviale,
nel Sedicesimo secolo l'area
divenne l'insediamento di aristocratici e diplomatici. Nel
corso del Diciottesimo secolo,
la Capitale si trasferì a San
Pietroburgo e Zaryadye fu trasformata in una baraccopoli.
L’intera area fu demolita durante la ricostruzione di
Mosca ad opera di Stalin. Durante il Ventesimo Secolo
l’idea di costruire nell’area il
grattacielo più alto di Mosca
non andò a buon fine e il progetto fu convertito nella co-
struzione del più grande Albergo del mondo, – l’Hotel
Rossiya – demolito poi nel
2006. L’area fu recintata fino
al gennaio 2012 quando Vladimir Putin propose al sindaco di Mosca Sergey
Sobyanin di dar vita ad un
Parco, Zaryadye Park. Quale
zona migliore per dar vita ad
un progetto vincente! All’interno del parco saranno ripro-
dotti quattro habitat tipici del
territorio russo: tundra,
steppe, foreste e paludi distribuite su terrazze digradanti.
L’uso di serre, fontane, alberi,
energia solare e geotermica
consentiranno di ricreare per
ogni zona un microclima artificiale. Un’area bella, fertile e
ricca di storia abbandonata al
suo destino. Non solo, l’area di
Zaryadye è ubicata a un minuto a piedi dal Cremlino e da
Red Square e fa ottimamente
da trade union tra la zona business e quella turistica di
Mosca.
Per la progettazione del Parco
il Governo Russo ha indetto
un Concorso Internazionale
per sviluppare il Sito, con premesse di sicuro successo:
l’idea è quella di conferire alla
zona, alla città di Mosca e alla
Russia una nuova immagine
attraverso un progetto paragonabile a quello di Ground
Zero a New York , alla ricostruzione del Reichstag a Berlino o al concorso per un nuovo
distretto culturale di West Kowloon , Hong Kong. Ulteriore
elemento di eccezionalità è il
fatto che a Mosca non si investa nella progettazione di un
Parco di simili dimensioni
dagli anni Cinquanta del Novecento, l'ultimo è il Friendship Park sovietico, costruito
nel 1957 per il Festival della
Gioventù e degli Studenti. Un
progetto dunque quello di Zarydaye rivoluzionario per l’Architettura del Paesaggio, con
il proposito di costruire un
Museo a cielo aperto in cui ad
essere esposta in maniera permanente è la città stessa.
Raccontiamo il meteo. L’anticiclone africano resta per ora lontano dalla nostra Penisola
La prima
parte del mese
sarà
caratterizzata
da tempo
fresco e instabile
Due giugno, ancora appuntamento con la primavera
Gennaro Loffredo
Si sospetta
che la vera
estate
arriverà solo
il 21 giugno
Con il mese di giugno entra in
scena, dal punto di vista meteorologico, la stagione estiva.
Nella fase iniziale, però,
l’estate può ancora mostrare
caratteri della primavera, caratterizzata da estrema variabilità
e
dal
clima
gradevole. Anche quest’anno,
sino ai primi di giugno, continueremo a sperimentare un
tempo instabile e relativamente fresco, e già qualcuno
sospetta che per vivere la
vera estate si dovrà attendere
i tempi del calendario astronomico (21 giugno). Le analisi
di oggi in nostro possesso,
grazie alle elaborazioni dei
modelli matematici, non sono
molto confortanti circa il
ponte del 2 giugno in Italia e
mostrano un quadro meteo
piuttosto inaffidabile. Non
mancheranno delle belle
schiarite, ma complessivamente saranno le nubi a dettar legge, soprattutto nelle
zone interne e montuose;
nubi e anche precipitazioni
che avranno prevalentemente carattere di rovescio o
temporale. L’instabilità tenderà a concentrarsi al centrosud nella giornata di sabato
per poi interessare soprattutto le zone appenniniche e
le Alpi nella giornata di domenica, con frequenti sconfinamenti sulle pianure e sui
litorali delle zone tirreniche.
La festa della Repubblica
vedrà un miglioramento più
convincente sulle regioni settentrionali con un deciso
rialzo delle temperature,
mentre sul centro-sud, compresa la Campania, si rinnoveranno condizioni di tempo
instabile, soprattutto nelle
ore pomeridiane. Il quadro
termico sarà orientato alla
mitezza, o sarà addirittura
fresco, dove le piogge si faranno maggiormente sentire.
Finché l’anticiclone latita, la
nostra penisola risulterà inserita in una circolazione depressionaria che attirerà aria
fresca ed instabile dal nord
Europa. Nel corso dei prossimi giorni l’alta pressione
delle Azzorre abbraccerà
gran parte dell’Europa occidentale e settentrionale, lasciando la nostra penisola in
una sorte di palude barica o
terra di nessuno, la cui configurazione non favorirà il decollo della vera estate.
L’Italia risulterà
ancora esposta
alle correnti
fredde del Nord
L’umidità fa aumentare la percezione del caldo
Ci stiamo avvicinando a
grandi passi verso la stagione
estiva, che, dal punto di vista
meteorologico, inizia proprio
il 1 giugno. Le temperature
stanno lentamente ma inesorabilmente aumentando grazie ad una maggiore presenza
dell’anticiclone e alla radiazione solare che sta raggiungendo il picco più alto
dell’anno. Se fino ad oggi le
ondate di caldo sono state effimere e di breve durata, con
l’entrata di giugno assisteremo ai primi veri caldi di
stagione. Il caldo e l’umidità
rappresentano due parametri
fondamentali per prevedere
una possibile ondata di calore. In estate capita molto
spesso di assistere a giornate
molto calde. Alla sera, con un
po’ di curiosità e preoccupazione, si aspetta che il bollettino locale annunci il valore
massimo toccato in città. Con
un po’ di stupore scopriamo
che la temperatura massima
letta nel corso del bollettino
meteo è di gran lunga inferiore alle aspettative. Subito
storciamo il naso pensando
che si tratti di un dato errato
e che la temperatura massima vera sia stata ben al di
sopra del valore esposto. In
parte abbiamo ragione. Le
temperature riportate nei
bollettini locali sono spesso rilevate negli aeroporti, che distano
anche
diversi
chilometri dal centro cittadino. Di conseguenza la temperatura reale presente in
città sarà sicuramente superiore di qualche grado rispetto ai valori cosiddetti
”ufficiali”. C’è un altro fattore
che però maschera la sensazione di caldo percepita dal
nostro organismo: l’umidità
relativa dell’aria.
Se la temperatura registrata
nella nostra città risulta accompagnata da un alto tasso
di umidità, la sensazione di
calore che il nostro fisico avverte sarà molto più alta. Il
corpo umano, infatti, non percepisce la temperatura dell’aria, ma la combinazione tra
la temperatura e l’umidità,
ovvero il cosiddetto “indice di
calore”.
Come si calcola questo parametro? Esiste una curva,
chiamata di Scharlau o
“curva dell’afa”, che associa la
temperatura dell’aria con il
valore dell’umidità relativa
registrato in quel momento.
Ogni punto della curva rappresenta la temperatura che
il nostro corpo realmente percepisce in un determinato
momento. Per esempio, se
nella nostra città la temperatura è di 29°C, ma il tasso di
umidità è al 90%, il nostro
corpo avvertirà un indice di
calore di ben 37,1°C, con sudorazione eccessiva.
Con la stessa temperatura di
29°C, ma con un umidità ben
più bassa e pari al 20%, il nostro corpo avvertirà un indice
di calore di soli 27,5°C, con
quasi completa assenza di sudorazione. Da qui si evince
l’importanza fondamentale
che riveste il tasso di umidità
della massa d’aria che staziona sulla nostra zona.
G.L.
Il ruolo dell'informazione nel nuovo Snpa
Se ne è discusso alla XII conferenza del Sistema di protezione ambientale
Luigi Mosca
La comunicazione dei dati e delle informazioni in materia ambientale è
stata uno degli argomenti portanti
della Dodicesima conferenza del Sistema nazionale di protezione dell'ambiente, che si è tenuta poche
settimane fa a Roma.
A discuterne, nel corso della seconda
giornata di lavoro, è stato, tra gli altri,
Roberto Caracciolo, fisico napoletano
e dirigente dell'Ispra (foto). Il quale,
per così dire, ha rivendicato il ruolo
delle agenzie ambientali come fonte
ufficiale della conoscenza scientifica
di settore. Del resto la titolarità dei
dati ambientali è uno dei punti del disegno di legge sulla riforma del sistema nazionale di protezione
dell'ambiente, disegno di legge che,
come è noto, è stato approvato poco
più di un mese fa dalla Camera dei
deputati e ora è all'esame del Senato.
Il ddl prevede che la titolarità dei dati
ambientali venga espressamente assegnata al sistema delle agenzie ambientali.
Dal punto di vista delle Arpa e dell'Ispra, questo sarebbe un riconoscimento importante, perché, come
ARPA CAMPANIA AMBIENTE
del 31 maggio 2014 - Anno X, N.10
Edizione chiusa dalla redazione il 29 maggio 2014
DIRETTORE EDITORIALE
Pietro Vasaturo
DIRETTORE RESPONSABILE
Pietro Funaro
CAPOREDATTORI
Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia
Martelli
IN REDAZIONE
Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi
Mosca, Andrea Tafuro
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
Savino Cuomo
HANNO COLLABORATO
I. Buonfanti, F. Clemente, P. D’Auria, G. De Crescenzo, A. Esposito, E. Ferrara, R.Funaro, L. Iacuzio,
G. Loffredo, R. Maisto, D. Matania, B. Mercadante,
A. Morlando, A. Palumbo, A. Paparo, F. Schiattarella, M. Tafuro L. Terzi, E. Tortoriello
SEGRETARIA AMMINISTRATIVA
Carla Gavini
DIRETTORE AMMINISTRATIVO
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hanno commentato diverse personalità intervenute nel corso della conferenza, consentirebbe alle agenzie di
mettere in campo una comunicazione
più efficace sui risultati delle proprie
attività. A questo proposito Giancarlo
Marchetti, direttore tecnico dell'Arpa
Umbria, ha citato l'Istat come possibile modello: i report dell'istituto di
statistica, come sappiamo, hanno una
cadenza periodica, e consentono così a
diverse categorie di interlocutori, tra
questi i mass media, di disporre costantemente di materiale pronto per
il proprio lavoro. Infatti, come ha notato, tra gli altri, Marco Talluri, responsabile della comunicazione
dell'Arpa Toscana, altri soggetti, tra
cui le associazioni ambientaliste,
hanno una consuetudine consolidata
a comunicare efficacemente con i cit-
tadini sui temi ambientali, mentre le
agenzie ambientali non godono,
spesso, dello stesso riconoscimento sui
media e presso il pubblico più vasto.
Accade anche, come ha notato il direttore Marchetti, che le associazioni
ambientaliste facciano la sintesi dei
dati prodotti dalle agenzie ambientali,
offrendoli al pubblico dopo averli, in
qualche modo, lavorati. In questa ottica, il dott. Caracciolo si è soffermato
sull'idea di una piramide della conoscenza ambientale, la quale ha come
base i dati primari che risultano dai
controlli e dai monitoraggi svolti dalle
agenzie. Ai livelli successivi, sono situati i dati elaborati per un utilizzo
più efficace, e poi, operando ulteriori
sintesi, gli indicatori dell'ambiente e
infine gli indici sintetici. Il fisico ha
fatto notare come, procedendo verso la
vetta della piramide, si opera un lavoro di aggregazione e di sintesi che
rende le informazioni ambientali via
via più adatte per la comunicazione.
Ma, allo stesso tempo, man mano che
si procede su questo percorso, un
grado crescente di discrezionalità,
nella selezione e nella presentazione
dei dati, diventa inevitabile.
Il dott. Caracciolo ha chiarito che il
margine di discrezionalità può essere
ridotto al minimo se si usano dei criteri riconosciuti e condivisi. Gli
esperti intervenuti hanno infatti convenuto sull'idea che fornire al pubblico un ingente mole di dati può
risultare disorientante e dare luogo a
una comunicazione confusa, in base al
principio che troppa informazione
equivale a un'informazione scarsa. Il
dott. Caracciolo si trovò nel 1986 a coordinare il centro di emergenza italiano per il caso Chernobyl, e in quella
occasione fu deciso di diffondere al
pubblico una grande quantità di dati
sulle rilevazioni condotte in Italia. Il
risultato, come ha raccontato il fisico,
fu che i giornali riportavano alla rinfusa parti diverse dei lunghi rapporti,
senza che venisse fornita una sintesi
sulle informazioni più rilevanti. Cosa
che fu fatta notare agli scienziati italiani dai loro colleghi statunitensi, i
quali già all'epoca lavoravano su indicatori sintetici. Infine il dott. Caracciolo ha citato l'annuale rapporto di
Ispra sulla qualità dell'ambiente urbano, indicandolo come prodotto di sistema delle agenzie ambientali, un
modello che potrebbe valere come riferimento per altre esperienze.
(foto Attilio Castellucci per Ispra)
Le aree verdi
proteggono
le specie endemiche
e ne favoriscono
sviluppo
e riproduzione
Biodiversità ed aree urbane: un’inaspettata sintonia
Ilaria Buonfanti
C’è un mondo di vita attorno a noi, che
spesso passa inosservato. 1285 specie
di piante spontanee a Roma, 1243 a
Berlino, 86 specie di uccelli nidificanti
a Firenze…sembra di “dare i numeri”,
ma invece è la realtà!
Oggi le città ospitano più del 50% della
nostra popolazione mondiale. Da un
lato le aree urbane influenzano l’ecosistema globale (es. cambiamenti climatici, inquinamento), dall’altro ospitano
sempre più forme di vita. Gran parte
di questi animali e piante sono “ospiti
graditi” e portano colore e suoni nel deserto di cemento e asfalto.
Talvolta alcune specie diventano “problematiche” (es. colombi), mentre altre
sono “aliene” perché introdotte da altri
continenti. La moltitudine di questi esseri viventi, oltre noi umani, forma la
“Biodiversità urbana”. Ma l’urbanizzazione è stata sempre associata ad una
perdita di biodiversità, come una co-
stante battaglia dove a perdere era
sempre la natura. Ma oggi, in uno scenario che sembrava unicamente drammatico, lo studio condotto dai
ricercatori del UC Santa Barbara’s National Center for Ecological Analysis
and Synthesis apre uno spiraglio di
possibilità nella gestione e interpretazione urbanistica. Da uno studio condotto su 147 diverse città risulta infatti
che, sebbene impoverita, la biodiversità urbana riflette ancora tratti nativi
e preziosi della biodiversità locale.
Lo studio riporta dati incoraggianti: le
città ospitano ancora, eccezion fatta
per le specie ubiquitarie come gli onnipresenti piccioni, centinaia di differenti specie di uccelli e migliaia di
piante. Molti di questi sono specie endemiche e riflettono l’unicità biologica
della geografia dell’area. Le città sono
responsabili di un’innegabile perdita di
biodiversità e omogenizzazione del
biota ma, se reinterpretate, possono rivelarsi improbabili ma moderni rifugi
di specie endemiche e minacciate. “È
indubbio che l’urbanizzazione porti ad
una perdita di biodiversità” commenta
Madhusudan Kattimembro del Department of Biology at California State
University “ma possiamo vedere questo scenario come un bicchiere mezzo
pieno o mezzo vuoto, le città infatti
possono giocare un ruolo fondamentale
nella conservazione e protezione di
specie animali e vegetali native”. Lo
studio prova a guardare oltre il limite
della perdita di densità di biodiversità
generata dall’espansione urbana per
valutare quanto e cosa sopravviva effettivamente in questo tipo di ambienti. Risultati sorprendenti sono
stati ottenuti nell’osservazione di aree
verdi come Central Park, piccolo fazzoletto verde, se rapportato alle dimensioni della metropoli. Qui infatti è
stato registrato un numero talmente
alto di specie da generare il così detto
“Central Park Effect” ossia l’effetto generato dalla presenza di aree urbane
verdi sulla biodiversità. I ricercatori
hanno messo insieme dati di letteratura e di recenti campagne di monitoraggio per creare uno dei più grandi
dataset relativo a due taxa di organismi presenti nelle diverse città: uccelli
e piante (spontanee). “Un prezzo per
l’urbanizzazione lo dobbiamo pagare”
dice Frank La Sorte, coautore dell’articolo. Il fatto è che a questo stadio
della nostra espansione in cui più della
metà della popolazione mondiale vive
in ambienti urbanizzati, lo studio suggerisce che forse alcuni paradigmi e
punti di vista vanno cambiati. Le aree
verdi come parchi e giardini, con la biodiversità animale e vegetale ad esse
associata, giocano un ruolo sempre
maggiore tanto per la sostenibilità ambientale delle città, quanto per la qualità della vita dei cittadini. Parchi,
giardini, viali alberati rappresentano
infatti risorse fondamentali per la qualità ambientale e la vivibilità dei contesti più antropizzati.
I nuovi parametri per misurare la biodiversità
Rosario Maisto
In merito alla convenzione
sulla diversità biologica
(CBD) delle Nazioni Unite
sono state definite una serie
di variabili sulla biodiversità
costituendo degli standard
per la raccolta e la condivisione dei dati scientifici. Questi serviranno da base
conoscitiva per poter raggiungere gli obiettivi di Aichi al
2020, formulati dopo il fallimento delle iniziative che
avrebbero dovuto portare a
mitigare la perdita di biodiversità entro il 2010. Questa
perdita è evidente in tutto il
mondo, ma serve uno standard condiviso per riuscire a
valutarla e quindi presentare
iniziative per limitare e invertire il processo in atto. Un
consorzio internazionale di
enti per lo studio e la conservazione ambientale, propone
le Variabili essenziali di bio-
diversità, di fatto è stato concordato il Piano Strategico
Biodiversità, che termina con
20 nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2020. Non esistendo un sistema di
osservazione globale e standardizzato sui cambiamenti
nella biodiversità, nell'ambito
dell'IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on
Biodiversity and Ecosystem
Services), un consorzio di 70
stati denominato Group on
Earth Observations Biodiversity Observation Network
(GEOBON) ha il compito di
raccogliere e coordinare i dati
scientifici. Il primo passo è la
definizione di variabili essenziali. Una Variabile essenziale è definita come una
misurazione richiesta per studiare, documentare e gestire
un cambiamento della biodiversità.
Poiché questa definizione si
adatta a tanti parametri, il
GEOBON ha definito altri
chiarimenti che servono per
una selezione: scalabilità,
sensibilità temporale, applicabilità e rilevanza. Ciò ha
portato ad altre sei diverse
classi di Variabili Essenziali:
composizione genetica, popolazioni delle specie, tratti
delle specie, composizione
delle comunità, struttura
dell’ecosistema e funzione
dell’ecosistema. L’identificazione delle variabili e la definizione dei protocolli di
campionamento sono effettuati coinvolgendo la comunità scientifica ed altri attori
coinvolti, ma il ruolo di guida
rimarrà all'IPBES. La biodiversità è importantissima,
aiutiamola a non sparire!
Global warming: in nostro soccorso c’è il Methylocella
Fabiana Clemente
C’era una volta un prodigioso
batterio, il cui potere era quello
di rimediare ai molteplici
danni causati dall’uomo all’ambiente – mitigando l’effetto inquinante del gas naturale.
Methylocella silvestris. Questo
è il nome del batterio metanotrofo – il cui apparato digerente
metabolizza “nutrienti” a base
di metano. Presente nel sottosuolo, è in grado di assorbire
enormi quantità di gas serra,
quali metano, metanolo, etanolo e propano. Lo studio condotto dal prof. Murrell, della
Scuola di Scienze Ambientali
dell’East Anglia di Norwich in
Inghilterra, ha misurato la capacità del microbo in questione
di crescere nutrendosi di metano e altri gas, in quanto dotato di due sistemi enzimatici.
Nello specifico, la ricerca effettuata ha evidenziato la presenza del Methylocella nella
torba, nella tundra e nei suoli
forestali dell’Europa Settentrionale. Non solo. Tracce del
microbo furono trovate anche
nel Golfo del Messico, dopo il
disastro della piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon”
– l’ennesimo scempio ambientale al quale abbiamo assistito.
Colin Murrell, tra i principali
autori del report scientifico –
ha dichiarato: “Il gas naturale
contiene metano da fonti geologiche e grandi quantità di
etano, propano e butano. Ab-
«
Il batterio presente nel sottosuolo che è in grado
di assorbire enormi quantità di gas serra, quali
metano, metanolo, etanolo e propano
biamo dimostrato che un microbo può crescere alimentadosi sia di metano che di
propano ad un tasso simile.
Questo è perché contiene due
sistemi enzimatici affascinanti
che per crescere e nutrirsi utilizzano contemporaneamente
entrambe i gas”. Gli effetti dan-
nosi del metano sul global warming sono preoccupanti. Pertanto la conclusione dei
ricercatori è quella di utilizzare
questo ceppo batterico in alcune aree maggiormente sensibili – ovvero laddove oltre al
rilascio naturale di gas incide
notevolmente anche il rilascio
»
causato dall’attività umana –
per apportare una riduzione significativa alla dispersione di
agenti inquinanti nell’atmosfera. L’azione dell’uomo imperversa in maniera incisiva
sull’ambiente – basti pensare
alle discariche dei rifiuti, alle
raffinerie, agli allevamenti, ai
trasporti, alle centrali elettriche. Una lista lunga, insomma!
Immaginare un domani, in cui
la corsa al progresso registri
una decelerazione, sarebbe un
po’ come immaginare uno scenario utopistico più che futuristico. Interessi economici e
dinamiche di potere in ballo,
che mai favoriranno uno scenario simile. Al polo opposto, gli
interventi di ambientalisti e
studi scientifici provvedono ad
arginare i disastri e cercare soluzioni.
E, letto in chiave ottimistica, il
Methylocella potrebbe essere
l’antidoto che stavamo aspettando. Un alleato prezioso per
Madre Natura. Un progetto
ambizioso quello inglese, che
mira a studiare come rimuovere biologicamente il metano
prima del suo rilascio nell’atmosfera! Una strada che merita finanziamenti importanti,
vantaggi burocratici, ma soprattutto menti preparate da
un animo green.
Tuttavia come ogni progetto
che si rispetti, ci vorrà del
tempo prima che venga realizzato. I quesiti preminenti sono
altri! Quanto tempo dovrà passare prima che altre conseguenze del cambiamento
climatico mettano ulteriormente in croce l’umanità?
Potrà davvero incidere a tal
punto da fare la differenza? Il
global warming è dunque un
processo reversibile? Ai posteri
l’ardua sentenza.
Fermenti lattici per catturare i metalli pesanti
Arriva dall’Università Autonoma di Zacatecas il nuovo metodo per decontaminare terreni e acque
Rosa Funaro
Ogni giorno televisione, radio
e giornali ci inondano di pubblicità che riguardano disinfettanti di ogni tipo per il cibo,
per il bucato, per la persona,
con l'obiettivo comune di sterminare tutti i batteri che ci
sono in circolazione. Ma questo è veramente necessario? I
batteri sono tutti così "cattivi"
da dover essere eliminati?
Non tutti, prendiamo ad
esempio quelli del latte. Già
utili all’organismo umano,
grazie ad un recente studio
potranno essere utilizzati per
decontaminare terreni e
acque da sostanze tossiche
come i metalli pesanti. La sco-
perta viene dal “Nuovo
Mondo”, dove alcuni scienziati dell'Università Autonoma di Zacatecas (Uaz –
Messico) in collaborazione con
altri del Centro di ricerca e
sviluppo di criotecnologia
degli alimenti di Buenos
Aires hanno infatti messo a
punto un nuovo metodo, basato sull'impiego di fotoni, che
consente di ottenere informazioni su come i batteri del
latte interagiscono con i vari
tipi di ioni metallici e in questo modo ottimizzare la loro
capacità di 'biobonificare', cioè
catturare gli ioni di metalli
pesanti.
Gli scienziati si sono serviti
delle colonie di Lactobacillus
bulgaricus (cioè uno dei fermenti lattici più comuni), capaci nell'organismo umano di
catturare gli altri batteri dannosi per impedirne l'attività
patogena. Una qualità che si
è voluta sfruttare anche per
la decontaminazione di suoli
e acque e che rappresenta
un'alternativa innocua, eco-
nomica e naturale per bonificare terreni nelle zone minerarie o le acque contaminate
da inquinamento di origine
industriale. “Uno dei fattori
più importanti che permette
un'ottima decontaminazione
del suolo – ha spiegato Araujo
Andrade, fisico dell'università
messicana - dipende dalla
grandezza del raggio degli
ioni contaminanti. Più è
grande e più efficiente sarà il
'sequestro' di ioni da parte dei
batteri. Si spera in questo
modo di poter recuperare
suoli e soprattutto sorgenti
idriche che in questo momento sono inutilizzabili a
causa dei livelli di inquinamento inaccettabili”.
Le nuove finestre fotovoltaiche
A breve la messa sul mercato del prototipo a costi contenuti
Un primato italiano, un’idea progettata e realizzata dai ricercatori dell’Università di Milano Bicocca. È nata
la finestra fotovoltaica, a dimostrazione del fatto che l’energia solare non
si deve raccogliere solo dal tetto.
In un contesto urbanizzato come
quello odierno, sempre di più viviamo
e lavoriamo all’interno di possenti edifici in città, spesso molto alti e con
poca superficie su cui posizionare pannelli fotovoltaici; in un momento storico dove le risorse rinnovabili non
devono rappresentare un’opzione
bensì un’occasione, l’alternativa sembra essere una: coniugare questi due
aspetti per far sì che gli edifici del futuro risultino più autosufficienti possibile dal punto di vista energetico.
Sergio Brovelli e Francesco Meinardi,
del Dipartimento di Scienze del Materiali dell’Ateneo Milanese e coordinatori del progetto hanno spiegato come
funziona questa nuova tecnologia:“Il
nostro prototipo si basa sull’idea di costruire una tipologia di finestre che
funzionino come pannelli fotovoltaici,
raccogliendo la luce del Sole e trasformandola in energia elettrica. Dal
punto di vista tecnico nel nostro studio abbiamo realizzato pannelli semitrasparenti di plexiglass, anche se è
possibile, volendo, utilizzare il vetro,
come nelle finestre tradizionali.
La novità è rappresentata da speciali
nanoparticelle, grandi circa un milionesimo di millimetro, per capirsi mille
volte più piccole di un globulo rosso,
costruite con materiali superconduttori, con cui si “arricchisce” il plexiglass. In breve, queste nanoparticelle
assorbono parte della luce solare e la
riemettono all’interno della lastra. La
luce viene quindi convogliata verso i
bordi, dove delle piccole celle fotovoltaiche, poste lungo il perimetro, la trasformano in energia elettrica”.
Non si tratta però di sostituire i pannelli solari tradizionali, il punto non è
questo; i pannelli solari vanno benissimo e continueranno a essere funzionali per esempio nel caso di abitazioni
singole, magari in campagna, dove la
superficie del tetto è sufficiente per
l’istallazione di un numero adeguato
di pannelli.
A essere maggiormente interessati da
questo progetto dovrebbero essere invece gli edifici del centro urbano, che
si sviluppano maggiormente in altezza, oppure le aziende, i grandi stabilimenti che vogliono rendersi
autonomi energeticamente. E in questo caso l’unica alternativa possibile è
appunto utilizzare le facciate.Prendiamo per esempio un grattacielo
come quelli che si vedono a Milano.
Coprendolo interamente di finestre fotovoltaiche si otterrebbero, in una situazione di piena illuminazione
solare, centinaia di kW, l’equivalente
grosso modo del fabbisogno energetico
di un’ottantina di appartamenti.
I.B.
Nasce SPRING: il cluster dalla chimica verde per rilanciare il settore
ITALIA PAESE LEADER DELLA BIOCHIMICA
Torna in auge in Italia la chimica
verde, ovvero la produzione di materiali come bioplastiche, fatte non più
sfruttando combustibili fossili ma biomasse. La scorsa settimana è nata infatti SPRING (Sustainable Processes
and Resources for Innovation and National Growth), uno degli otto Cluster
Tecnologici promossi dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Programma
Quadro per la Ricerca Europea Horizon 2020. Obiettivo di SPRING è promuovere
la
Bioeconomia
con
riferimento alla Chimica da biomasse,
stimolando la collaborazione tra imprese ed enti di ricerca e sensibilizzando le Istituzioni, affinchè sia
inserita in adeguate politiche di sostegno. Il Cluster si impegna a promuovere azioni di ricerca, di trasferimento
tecnologico, di divulgazione e di formazione, che diano impulso alla Bioeconomia e alla trasformazione dei processi
e dei prodotti industriali convenzionali
in prodotti e processi efficienti nell’uso
delle risorse e dell’energia. La chimica
da biomasse, basata su materie prime
rinnovabili di origine biologica, è un
settore italiano di eccellenza, con una
leadership a livello mondiale conseguita grazie ai forti investimenti in ricerca e sviluppo. Un’attività che
consente, tra l’altro, il recupero di aree
industriali preesistenti, in una prospettiva di sostenibilità. Costituito come
Associazione senza scopo di lucro, fondato da Biochemtex, Novamont, Versalis – imprese chimiche italiane
leader nello sviluppo di tecnologie e
prodotti da fonti rinnovabili – e da Federchimica, SPRING oggi raccoglie
oltre cento entità che hanno espresso il
loro interesse per operare con il Cluster
lungo tutta la filiera italiana della chimica “verde”: dall’agricoltura alla ricerca a favore della chimica da fonti
rinnovabili e biotecnologie industriali,
alla realizzazione di materiali e bioprodotti, all’industria di trasformazione e
infine alla fase di smaltimento. Un’operazione nel pieno rispetto dell’ambiente, garantiscono gli ideatori: niente
impatti sulla filiera alimentare. Si impiegheranno sopratutto piante e erbe
locali, scarti di produzione o colture dedicate, sorte su terreni marginali o contaminati, senza che impattino le
produzioni di alimenti di nessun tipo.
«La chimica da biomasse, nota anche
come chimica verde è un bell’esempio
per far capire a tutti che il settore offre
soluzioni possibili per una sostenibilità
che tenga conto, oltre che degli aspetti
ambientali, anche delle implicazioni
economiche e sociali», spiega a La
Stampa Cesare Puccioni, Presidente di
Federchimica, che poi conclude: «Ci
aspettiamo che le Istituzioni ne comprendano pienamente il ruolo e vorranno adottare politiche di sostegno
adeguate per un settore in cui l’Italia è
all’avanguardia, che apre vasti orizzonti sul fronte tecnologico e di sviluppo industriale».
I PAESAGGI DI JORDI BELLMUNT
Quello che conta è trasformare senza stravolgere, lavorando per il bene della società
Antonio Palumbo
Il catalano Jordi Bellmunt è
uno degli architetti paesaggisti
più noti a livello internazionale. Nella sua Spagna, come
in altri Paesi, Bellmunt ha accumulato esperienze importanti e diverse, soprattutto nel
lavoro puntuale di interpretazione e risoluzione delle complesse problematiche in cui le
aree urbane si trovano a confrontarsi con l’ambiente ed il
paesaggio.
Fondamentale è, per Bellmunt, la funzione che il paesaggio deve svolgere nel
migliorare l’aspetto e la vivibilità dei territori, nel creare relazioni sociali tra gli abitanti,
spesso di nazionalità differenti, nel ‘fare sistema’ tra le
numerose componenti che caratterizzano il contesto di intervento.
La definizione di paesaggio che
Bellmunt dà è complessa e,
nella moderna società postindustriale, essa non afferisce
tanto al tema della “tutela”
quanto più a quello della “valorizzazione”. In tal senso, egli
afferma: «La parola paesaggio
assume significati diversi. Ci
sono magnifici paesaggi naturali, come le catene montuose,
e altri altrettanto belli ma assolutamente artificiali, come,
ad esempio, la Camargue: questi sono paesaggi lavorati
giorno dopo giorno con un mix
di ingegneria, architettura,
ecologia, produzione e il risultato sembra naturale ma, in
realtà, è progettato. Questa è
la lente che usa il progettista
paesaggista quando cerca la
via per migliorare il territorio:
quello che conta è trasformare
senza stravolgere, lavorando
per il bene della società. Il paesaggio è un elemento vivo che
contiene gli uomini. Il suolo,
una foresta, una pineta sono
unità biologiche, il paesaggio è
l’insieme degli elementi naturali, del nostro movimento,
della percezione e delle opportunità di migliorare l’intorno: è
come una somma di strati di
conoscenza che consentono
l’evoluzione».
In relazione al rapporto tra il
progetto di paesaggio e la risoluzione delle complesse problematiche relative alle aree
urbane, ci sembra altresì interessante evidenziare quanto
afferma Bellmunt di seguito:
«Un buon paesaggio, anche ur-
bano, migliora la vita anche da
un punto di vista emotivo, non
soltanto perché migliora lo scenario, ma soprattutto perché
crea occasioni di lavoro. C’è un
progetto, ormai noto, a Copenhagen curato dallo studio Topotek per un quartiere molto
complicato, dove convivono
una ventina di etnie con molti
conflitti e scarsa vivibilità.
L’idea è stata quella di stimolare ogni gruppo a contribuire
alla nuova sistemazione, portando fisicamente qualcosa che
appartenesse alla propria storia e cultura: in questo enorme
spazio della città è arrivata,
così, la terra di Palestina, un
donut americano, una fontana
marocchina, ecc. In questo
modo ognuno ha potuto, almeno parzialmente, riconoscersi
in
quel
luogo,
migliorando il suo rapporto con
lo spazio pubblico e anche con
gli altri abitanti. Questo è uno
dei filoni del nuovo paesaggismo, che tiene conto degli elementi
sociali,
ecologici,
naturali, senza formalismi o rigidità. Non possiamo permetterci di sbagliarci su questo
piano: nel progetto del paesaggio il punto di partenza è capire se quanto stiamo
prevedendo non rappresenti
un’aggressione al territorio.
(…) l’esperto deve ascoltare
cosa pensano i cittadini, i
quali, però, devono sforzarsi a
loro volta di capire il senso e la
natura delle proposte di cambiamento. Bandire opinioni
preconcette, aprirsi all’ascolto
e cercare di contribuire a far
cambiare opinione, ma anche a
cambiarla, questo è l’atteggiamento giusto. In Italia tale fenomeno è piuttosto evidente.
Parlando di spazio pubblico
spesso non si ha la sensazione
di una condivisione del paesaggio, è come se non fosse di nessuno: ma quando poi si
prospetta la possibilità di un
intervento di trasformazione
allora diventa un paesaggio di
tutti, dove ognuno deve dire la
sua. »
Tra i progetti più importanti di
Bellmunt segnaliamo soltanto:
il Parco di Alamillo, realizzato
a Siviglia in collaborazione con
lo Studio PROAP; il Parque de
Agua ed il Parco Botanico a
Salou, Terragona (Spagna); il
Parco della Preistoria a Casablanca (Marocco).
UE: via le date di scadenza degli alimenti
Richiamare l’attenzione sul problema degli sprechi alimentari e così ridurli
Brunella Mercadante
L’Unione Europea si appresta
a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti
alimentari, per eliminare le
scritte “da consumarsi preferibilmente entro” dalle confezioni
di prodotti come pasta, riso,
thé, caffè e formaggi duri, con
l’estensione dell’allegato X del
Regolamento UE 1169/2011.
La proposta, avanzata da
Olanda e Svezia e sostenuta da
Austria, Germania, Danimarca
e Lussemburgo, ha come obiettivo per questi Paesi di richiamare l’attenzione sul problema
degli sprechi alimentari e così
ridurli. La proposta, invero, ha
suscitato reazioni diverse. Da
una parte è condivisa da associazioni ambientaliste, come
Greenpeace, che da anni chiedono che la lista dei prodotti
per i quali è obbligatoria la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” venga ampliata
ad altri prodotti, e non sia più
obbligatoria così come è già per
prodotti come zucchero, aceto e
sale. Altre parti invece, come la
Coldiretti, ritengono che con
l’eliminazione della data di scadenza l’Unione Europea taglierebbe di fatto la qualità del cibo
in vendita in Europa. Si tratte-
rebbe del solito tentativo dei
Paesi del Nord Europa di livellare il cibo sulle tavole europee
ad uno standard inferiore a
quello italiano con la scusa di
tagliare gli sprechi alimentari.
In effetti, è innegabile che per i
cibi col passare del tempo si
vengono a perdere non solo le
caratteristiche nutrizionali proprie in termini di contenuto in
vitamine, antiossidanti e polifenoli, che fanno bene alla salute,
ma anche quelle proprietà organolettiche di fragranza e sapore da cui deriva poi il piacere
della tavola.
Il termine minimo di conservazione -TMC- ha invero il suo significato ed è stato introdotto a
garanzia dei consumatori
anche se si differisce dalla data
di scadenza vera e propria. Il
termine minimo di conservazione -TMC- riportato con la
dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” indica la data
fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate
condizioni di conservazione. Indica cioè soltanto la finestra
temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o
nutrizionali, di un alimento,
senza per questo comportare ri-
schi per la salute in caso di superamento seppur limitato
della stessa; tanto più però’ ci si
allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di
qualità del prodotto, quale sapore, odore, fragranza ecc.
La data di scadenza vera e propria è, invece, la data entro cui
il prodotto deve essere consumato ed è anche il termine oltre
il quale un alimento non può
più essere posto in commercio.
Tale data non deve essere superata altrimenti possono esserci
rischi importanti per la salute.
Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili
da un punto di vista microbiologico ed è indicata col termine
“da consumarsi entro” seguito
dal giorno, il mese ed eventualmente l’anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con
una durabilità non superiore a
trenta giorni. Attualmente solo
pochi alimenti hanno una scadenza prestabilita dalla legge
come il latte fresco (7 giorni) e
le uova (28 giorni), per tutti gli
altri prodotti la durata viene
stabilita dai produttori autonomamente, in base ad una serie
di fattori come il trattamento
tecnologico, la qualità delle materie prime, il tipo di lavorazione, di conservazione od
anche l’imballaggio.
Sulle tavole degli italiani troppi prodotti provenienti dall’estero, meno controllati e poco sicuri
Convention della Coldiretti a Napoli: difendiamo il Made in Italy
Lo scorso 28 maggio si è svolta
a Napoli la Convention della
Coldiretti, per sostenere la qualità alimentare Made in Italy
dal campo alla tavola e per presentare il dossier 2014 sulla
“Crisi nel piatto degli italiani”.
Dai dati presentati emergono
non poche preoccupazioni: sulle
tavole degli italiani, infatti, arrivano sempre più prodotti stranieri meno controllati e sicuri
dei nostri, complici la crisi e i
bassi prezzi.
Il dossier, infatti, mette in discussione alcuni capisaldi della
gastronomia italiana come la
pizza. Due su tre sono fatte con
ingredienti provenienti dall’estero o il pane che sempre più
spesso preparato con impasti
semicotti o surgelati con una
durata di 24 mesi provenienti
dall’est europeo o ancora i sughi
che di pomodoro italiano hanno
ben poco. Il presidente della
Coldiretti nazionale, Roberto
Moncalvo, ha cosi commentato
quanto evinto dal documento:
“L’Italia ha il primato nell’agroalimentare nell’ambito di
sicurezza alimentare,oltre il
99,8% dei campioni risulta regolare rispetto ai residui chimici questo è un primato che
dobbiamo difendere contro le
importazioni di prodotti a basso
costo e ad alto rischio. Abbiamo
fatto un’analisi dei prodotti più
a rischio: andiamo dal peperoncino, ai fichi, alle arance, tutti
elementi che sono punti focali
della grande qualità della nostra produzione.
Dobbiamo tutelarli agendo
sulla trasparenza degli ingredienti e sulla loro origine”. In
una location d’eccezione, quale
il teatro Palapartenope, gremito
di circa 10.000 persone, provenienti da ogni parte d’Italia
(agricoltori, distributori, esperti
ed appassionati del settore),
sono stati tanti gli interventi e
le discussioni di notevole contenuto: oltre al Presidente Moncalvo, presenti sul palco il
presidente di Federconsumatori, Rosario Trefiletti, l’imprenditore Guido Barilla e il
direttore generale di IPER, Stefano Albertazzi. A sostegno dell’iniziativa e dei buoni propositi
degli addetti ai lavori, ha aderito anche il Ministro delle Politiche agricole alimentari e
forestali, Maurizio Martina, che
ha ribadito il massimo impegno
da parte del suo Dicastero: “noi
non abbassiamo la guardia in
particolare per tutte le attività
di controllo e verifica della qualità dei prodotti che circolano in
questo Paese, noi sappiamo che
in particolare dall’estero arrivano diversi tentativi anche di
camuffare, utilizzare malamente,
brand italiani per
aprirsi spazi nei mercati, questa è una strategia che vogliamo contrastare e il primo ed
efficace modo per farlo è quello
di valorizzare il vero Made in
Italy e su questo, stiamo già lavorando, la stessa applicazione
della PAC a tutela di alcuni settori va proprio in questa direzione”. Non sono mancati
all’appuntamento anche i governatori di Campania e Puglia, rispettivamente Stefano
Caldoro e Nichi Vendola, che
hanno assicurato totale dedizione e sostegno alla causa.
F.L.
RAPPORTO SENTIERI 2014
L'ultimo studio sulla connessione tra siti inquinati e rischio oncologico
Alessia Esposito
In dieci anni i tumori nelle aree più inquinate di Italia sono aumentati del
90%. Il dato emerge dal Rapporto Sentieri 2014, il terzo stilato dagli epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità
sugli effetti sulla salute delle popolazioni esposte ai cosiddetti Sin (Siti di
interesse Nazionale per le bonifiche).
Lo studio ha l'obiettivo di analizzare lo
stato di salute dei 5 milioni di italiani
che vivono vicino ai camini delle zone
industriali, alle discariche tossiche e ad
acque e terre contaminate da sversamenti illeciti. Loredana Musmeci ,direttrice del Dipartimento Ambiente
Prevenzione dell'Iss, dichiara che i Sin
studiati ''sono stati 18 sul totale di 44,
poiché si sono potuti prendere in considerazione solo i siti per
i quali sono disponibili
i Registri tumori, ad
oggi ancora non uniformemente presenti
su tutto il territorio
nazionale''. Rispetto a
quello dei precedenti
anni il Rapporto Sentieri ha tenuto conto di
nuovi parametri come
le schede di dimissioni
ospedaliere e l'incidenza generale dei
casi di tumore. La
Musmeci sottolinea
che emerge ''un eccesso di morti, ricoveri
e tumori in tutti i 18 Sin considerati,
con un aumento dei tumori da amianto''. Quindi sottolinea che è necessario
''procedere quanto prima alle bonifiche
ambientali in tutti i siti, anche se va
precisato che l'eccesso nei casi di tumori può essere dovuto a più fattori e
non solo a quello dell'inquinamento
ambientale''.
Tra coloro che sono a rischio di malattie
oncologiche ci sono ovviamente i bambini ancora più esposti in quanto dotati
di un metabolismo più veloce.
Essi rappresentano un quinto, quindi
circa milione, di quei 5 milioni di italiani che vivono accanto ai Sin.
Il settimo capitolo del Rapporto Sentieri è dedicato proprio a loro: lo scandalo a questo proposito è che lo studio
sull'esposizione dei minori al pericolo
è in cantiere da un
anno, ma non parte
per
assenza
di
350mila euro di fondi,
niente rispetto ai 250
milioni di euro che nel
bilancio del Ministero
della sanità sono destinati alla “tutela
della salute pubblica”.
Ma giò un anno fa il
Dipartimento
ambiente e prevenzione
primaria avvertiva
che su un periodo di
10 anni (1996-2005),
in questi siti contaminati, sono stati regi-
strati circa 700 casi di tumori maligni
tra i ragazzi di età compresa tra 0 e 19
anni. E nelle aree più esposte all'inquinamento il rischio sale notevolmente.
Il dato non riguarda solo la tristemente famosa Terra dei Fuochi.
A Massa Carrara l'eccesso di mortalità
nei bambini al di sotto di un anno è del
25% e del 48% in quelli da 0 a 14 anni.
A Taranto rispettivamente gli stessi
valori registrano un +21% e un +24%,
a Mantova l'eccesso è del 64 e 23%.
L'ISS prevede ora un monitoraggio sistematico della salute infantile da effettuare insieme all’Associazione
italiana dei registri tumori, quella
degli Ematologi e oncologi pediatri e le
istituzioni regionali.
“Fare prevenzione per bambini – ricordano i ricercatori - significa farla
anche per gli adulti. E con pochi soldi
avremmo avuto a disposizione una
messe di dati importantissimi”.
Dalla Gran Bretagna un nuovo tipo di fitness
GREEN GYM: PRENDERSI CURA
DI SÉ E DELL’AMBIENTE
Fabio Schiattarella
Nasce e si diffonde dalla Gran
Bretagna in tutta Europa il
nuovo modo per prendersi cura
di corpo e ambiente. Parliamo
della “green gym” un tipo di attività fisica che vede la sua
chiave di volta nell’ interazione
tra uomo, terra ed attrezzi
agricoli. Zappare, rastrellare,
seminare, potare alberi e
creare recinzioni diventano
così le nuove parole d'ordine
per tenersi in forma all'aria
aperta. La ginnastica verde ha
origine in Gran Bretagna una
quindicina di anni fa per volontà del medico William Bird,
membro
dell'associazione
BCTV. La finalità è quella di
unire all'attività fisica un
nuovo tipo di volontariato di
tipo ecologico, all'insegna della
salute e del rispetto dell'ambiente. Secondo gli esperti i benefici sono molteplici e
derivano innanzitutto dall'allenamento praticato all'aria
aperta. Uno studio dell'Oxford
BrookesUniversity sostiene infatti che l'esercizio fisico all'aria aperta fa bene alla
respirazione, al sistema cardiocircolatorio e muscolare,
oltre che all'umore, in quanto
lo stretto contatto con il verde
ha un effetto calmante e antidepressivo. La green gym, inoltre, è una ginnastica sana che,
ricalcando i gesti dei contadini,
permette di allenare tutte le
fasce muscolari come la
schiena, le gambe e le braccia.
In tal modo si bruciano moltissime calorie, si perde peso e ci
si tonifica. È sufficiente coltivare un piccolo orto sul ter-
razzo di casa e per ottenere risultati visivi basta allenarsi
una volta alla settimana. Negli
ultimi anni in Gran Bretagna
la green gym è diventata, oltre
che una disciplina sportiva conosciuta a livello nazionale,
anche un piccolo fenomeno di
costume. Non è però soltanto
la ginnastica in un ambiente
bucolico a far bene all'ambiente e al fisico. In una piccola
palestra di Portland, in Oregon, alcuni attrezzi sono stu-
diati per immagazzinare
l’energia prodotta da chi vi
suda sopra. L'energia prodotta
dallo sforzo umano riesce ad
attivare alcuni degli attrezzi
energivori presenti nella palestra, dalle luci ai monitor tv.
Il restante fabbisogno energetico della struttura è soddisfatto dai pannelli fotovoltaici.
Il risultato? Un fitness completamente ecosostenibile. La
“palestra verde” arriva anche
in Italia. In Toscana infatti, a
Firenze, sono stati organizzati
dei corsi all’interno di giardini
e orti, dove giardinieri e laureati in scienze motorie tengono le lezioni di Green Gym.
E alcune associazioni come
WWF, programmano gite o
giornate per ripulire boschi e
spiagge e allo stesso tempo,
per mantenersi in forma.
La tradizione secolare dei guanti napoletani
Napoli capitale europea della lavorazione
Gennaro De Crescenzo
Salvatore Lanza
Nella capitale, intorno al 1830, si concentra tra il Ponte
della Maddalena e il mare il maggior numero di concerie;
tra le tante emergevano la Gamen, la De Rosa, quella dei
fratelli Buongiorno al Mercato, quella di Gaetano Ingegno
"a San Giacomo delle Capre sull'Arenella" ("con la vernice
di sua invenzione che non si crepola affatto per le piegature"), di Eugenio Salabelle a Posillipo (con la "sua notevole fabbrica, le incerate per fodera di cappelli militari ed
i cappelli impenetrabili"). Si segnalavano anche le
produzioni
di
Grassi a Solofra
(zona che successivamente diventerà
un vero e proprio
polo conciario) e di
altre fabbriche del
salernitano.
Ma
oltre alla produzione di suole, tomaie e scarpe in
genere, era rilevante la produzione
di guanti. Anche in questo caso si trattava di una tradizione antica legata alla corporazione che aveva sede nella
capitale nel quartiere San Giuseppe ai cosiddetti Guantai
Vecchi e presso i Guantai Nuovi, dove si trovavano ancora
numerose botteghe di piccoli imprenditori. La lavorazione
si svolgeva quasi esclusivamente a domicilio attraverso
una foltissima manodopera femminile residente nei quartieri più popolari e popolosi della città. Il lavoro era estremamente frazionato: dopo la concia, le pelli di agnello o
di capretto, provenienti quasi tutte dalle Puglie o dagli
Abruzzi, passavano alle tintorie e alle sei fasi successive
della manifatturazione che prevedeva la raffinazione
(omogeneizzazione dello spessore), il primo taglio (suddivisione in grosso), secondo taglio (rifilatura secondo la
forma della mano), cucitura (a mano o a macchina, spesso
"subappaltata" a ragazze più giovani, quasi sempre a domicilio), rifinitura (con ricami, occhielli, bottoni o contrafforti immessi dalle "finimentiste"), apparecchio finale
(in fabbrica). Il numero degli addetti era enorme, la qualità gareggiava con quella dei guanti francesi e furono conquistati i mercati degli altri Stati italiani, della Germania,
dell'Inghilterra e dell'America; non erano infrequenti i casi
di guanti acquistati in Inghilterra e di lì esportati con il
marchio “made in England”. In tutto il Regno si producevano fino a 700.000 dozzine di paia di guanti annualmente
(100.000 le dozzine prodotte da tutti gli altri Stati italiani).
Lavori e profumi nella Valle dell’Irno
Di grandi dimensioni anche
il cotonificio di Vonwiller a
Salerno che divenne soggetto di numerose operazioni finanziarie rilevando
diverse aziende in difficoltà
nella zona di Pellezzano.
Anche dal punto di vista
paesaggistico, del resto, l’intera valle dell’Irno si caratterizzava
in
maniera
particolare, come ci riferiscono le cronache del tempo:
“poderi ben coltivati, nitide
casine di villici, gioconde
facce di ben vestiti operai,
fabbri ed artefici belgi e svizzeri, un odor di timo e di
mirto, un garrir d’uccelli dolcissimo, un sussurrar di zeffiri soave, un’armonia di
uomini e di cose mirabile ed
incantevole […]; continuo e
perenne è il traffico della
gente che intende al commercio ed alle industrie […];
oltre 600 fra giovani, uomini
e donzelle sono impiegati al
lavoro. E qui è evidente la
prova di quanto le industrie
migliorino la salute e la morale degli uomini. Oziosi,
macilenti, cattivi erano per
lo innanzi molti abitanti per
quella quasi deserta contrada: il lavoro, la bontà dei
cibi, la scambievole emulazione, allontanando i bisogni
ed i suoi tristi effetti, li ha
resi, operosi, quindi agiati, e
perciò sani e morali… Noi
abbiamo fondata speranza,
se pur non ci inganna il soverchio amore che portiamo
alle cose patrie, che in breve
non avremo più mestieri de’
simili tessuti stranieri”.
Circa 50.000, complessivamente, gli addetti alla tessi-
tura del cotone nella sola
Campania. Dai documenti
dell’epoca emerge ancora un
dato interessante sotto il
profilo sociale oltre che economico: la presenza di molti
istituti religiosi per orfani,
poveri, detenuti o altre categorie che necessitavano di
assistenza sociale e che,
anche se con un indubbio
tornaconto relativo all'abbassamento dei costi di produzione, erano avviate,
seguendo una terminologia
moderna, verso il reinserimento sociale e la formazione professionale.
Emergevano in Campania
per le produzioni tessili il
Real Albergo dei Poveri, la
scuola di Santa Maria Regina del Paradiso a Napoli,
il Real Morotrofio e l'Ospizio di Sant'Agostino ad
Aversa.
G.DC. e S.L.
Il castello di Ceppaloni
Nel 1437 ospitò fra le sue mura Alfonso d’Aragona
Linda Iacuzio
gioino-aragonese; nel 1437 ospitò fra
le sue mura Alfonso d’Aragona. Passata, nel corso del tempo, prima alla
famiglia d’Avalos, poi al casato della
Leonessa, ai primi del Novecento la
fortezza fu venduta dalla baronessa
Maria Argentina Pignatelli della Leonessa a vari privati.
Oggi essa appartiene al patrimonio
del Comune di Ceppaloni. Quanto
all’aspetto architettonico, Alfredo
Rossi attesta che il castello è inquadrabile nella tipologia degli analoghi
edifici normanni costruiti fra l’XI e il
XII secolo. La sua pianta ricorda un
triangolo dai vertici arrotondati; al perimetro esterno corrisponde una corte
interna della medesima forma. Tra i
due perimetri, scrive ancora Rossi, “è
posto il corpo dell’edificio, che si sviluppa in due livelli.
Le tracce di interventi successivi soprattutto sulle strutture basamentali
sono abbastanza evidenti”. Le modifiche più consistenti rispetto all’impianto
normanno
riguardano
senz’altro le torri; ne resta soltanto
una, posta al vertice di nord-ovest,
alla cui base si apriva l’antico ingresso
del castello, posizionato rasente lo
strapiombo per evitare lo sfondamento della porta tramite l’ariete. Venute meno le esigenze difensive, la
porta fu murata e il nuovo ingresso
venne aperto a sud-ovest, verso l’abitato.
Nel 2011 la Pro Loco di Ceppaloni
diede alle stampe un libro di Alfredo
Rossi, Ceppaloni. Storia e società di
un paese del Regno di Napoli, basato
su accurate ricerche documentarie.
Nel volume viene ampiamente descritto il castello di questo suggestivo
e antico centro del Beneventano.
Il maniero, scrive il Rossi, sorge “su di
uno sperone roccioso che domina la
sottostante valle del fiume Sabato”.
Le prime notizie certe sulla sua esistenza risalgono all’epoca normanna
(XII secolo). La sua posizione aveva
un rilievo geopolitico particolare, essendo la fortezza compresa nel territorio del Regno di Napoli, ma
vicinissima al confine con le terre di
Benevento che dal 1077 al 1860 appartennero allo Stato della Chiesa.
Il castello di Ceppaloni venne dunque
a trovarsi al centro dei conflitti fra i
Normanni prima, e gli Svevi poi, con
il Papato. Distrutto dai beneventani
nel 1138, venne nuovamente abbattuto nel 1229 a opera dell’esercito
pontificio e dei guelfi beneventani che
lo incendiarono, approfittando della
momentanea assenza di Federico II di
Svevia. L’imperatore - dopo aver rioccupato con la forza Ceppaloni e le
altre terre invase - ordinò il restauro
del forte. Il castello svolse un ruolo
importante anche nel conflitto an-
La scrittrice irlandese autrice di un originale diario di viaggio
JULIA KAVANAGH A NAPOLI
Lorenzo Terzi
Nella rivista di storia «La Capitanata», quadrimestrale edito dalla
Biblioteca Provinciale di Foggia,
Rosanna Curci ha pubblicato, nel
2005, un articolo di grande interesse per la letteratura odeporica:
Julia Kavanagh nelle Due Sicilie.
La Kavanagh nacque nel 1824 in
Irlanda; suo padre, Morgan Peter
Kavanagh, era un poeta e filologo,
autore di alcune curiose opere sull’origine e la scienza del linguaggio.
Dopo aver abitato a Londra e poi,
per ben venti anni, in Francia,
Julia Kavanagh si stabilì nuovamente nella capitale del Regno britannico, dedicandosi alla professione di scrittrice. Nel 1852 intraprese un lungo viaggio sul Continente, di cui diede conto nel diario
A Summer and Winter in the two
Sicilies, stampato nel 1858.
Secondo la Curci, l’autrice irlandese
si trovò di fronte a due difficoltà nel
raccontare del suo soggiorno europeo: innanzitutto, il disagio “dovuto
alla mancanza di personaggi immaginari attraverso i quali filtrare la
propria esperienza”; in secondo
luogo, l’abbondanza di scritti già
esistenti sull’Italia, che sembrava
rendere superfluo l’ennesimo resoconto. Il diario della Kavanagh, invece, riesce a essere originale, “non
solo per quanto dice delle bellezze
paesaggistiche dell’Italia meridionale, ma soprattutto per le riflessioni di carattere sociale e politico”,
in particolare quelle riguardanti la
condizione della donna.
Le donne napoletane appaiono alla
viaggiatrice “grosse, rozze, pesanti,
prive di grazia o dolcezza”, a causa
dei lavori pesanti che si accollano e
che impediscono loro di mostrare la
delicatezza caratteristica del sesso
femminile; né le aristocratiche, a
suo dire, sarebbero state più attra-
enti, tanto da spingerla ad affermare: “Le principesse napoletane,
sebbene vestite secondo l’ultima
moda francese, sono tanto brutte
quanto le ragazze a capo scoperto
che gironzolano qui la sera”.
Anzi, “la grazia spontanea e genuina che si trova, seppur raramente, tra le contadine, rende il
loro portamento invidiabile anche
per una duchessa inglese”. Più penetranti sono le pagine in cui la Kavanagh parla della vita quotidiana
a Napoli e nel Mezzogiorno. La
scrittrice rimane colpita non solo
dalle feste religiose con grande presenza di popolo - comuni alla Capitale delle Due Sicilie come alle
piccole città delle province - ma
anche dai “piaceri di ogni tipo” che
ai napoletani vengono facili, “a giudicare dalla quantità di economici
teatri e spettacoli pubblici nelle
parti popolari della città” e dalle variopinte botteghe del lotto.
Tanti detersivi: ma sono tutti necessari?
PER LA PULIZIA DOMESTICA POTREBBERO BASTARE IL BICARBONATO, IL PERCARBONATO E LA SODA
Un detersivo per ogni uso, uno
per ogni superficie, uno per
ogni tipo di sporco, solidi, liquidi, in polvere, in pastiglie,
tavolette o spray, normali, concentrati o diluibili.
Le nostre case traboccano di
detersivi di ogni tipo e forma,
ma servono davvero tutti? Secondo le pubblicità sembra impossibile fare a meno di tanti
prodotti, addirittura si paventano inesistenti pericoli o si fa
leva su paure, come quella per
i batteri che si propagano o i
cattivi odori che ammorbano
l’aria ed ecco quindi il detersivo
specifico che garantisce la protezione totale delle propagazioni microbiche o il prodotto
che assicura l’aria perfettamente purificata. Si tratta per
lo più di prodotti inutili visto
che, ad esempio, il nostro corpo
è già in grado di difendersi dai
microrganismi normalmente
presenti nell’ambiente, anzi
possono determinare una minore resistenza ai batteri.
Tant’è vero che l’eccesso di chimica nelle nostre case ha causato la diffusione di dermatiti
da contatto ed irritazioni. Illusorio anche che si possa trat-
tare di prodotti naturali, ecologici e sostenibili: nessun detersivo è veramente innocuo per
l’ambiente. In effetti per la pulizia domestica potrebbero bastare tre polveri bianche, tre
sali: il bicarbonato, il percarbonato e la soda (-carbonato di
sodio- da non confondere con la
corrosiva soda caustica- idrossido di sodio-), sgrassanti ed
igienizzanti, sono in grado di
sostituire la maggior parte dei
detersivi tradizionali, efficaci
tanto quanto molti prodotti
specifici, ma molto più economici salutari ed ecologici. Si degradano facilmente, hanno un
impatto ambientale ridotto, il
Il mosaico della Terra
fatto di piccoli selfie
Una curiosa iniziativa promossa
dalla Nasa (Ente Nazionale
Americano per le attività Spaziali e Aeronautiche): oltre trentamila autoscatti per la giornata
mondiale della terra. Il globo
terrestre come un grande mosaico di selfie postati sui social
network Twitter, Facebook, Instagram e Google, di volti diversi, di stati d’animo diversi, di
popoli diversi, di civiltà diverse,
di latitudini diverse, di tramonti
diversi, di diverse religioni, per
celebrare in modo originale la
giornata del nostro pianeta.
Hanno risposto alla singolare
iniziativa migliaia di persone da
oltre cento paesi diversi, dal
Polo Sud alla Polinesia, dai
paesi Scandinavi al Brasile.
Dopo una selezione accurata di
circa cinquantamila immagini
l'Agenzia Spaziale Americana
le ha assemblate in un'unica immagine zoomabile di 3.2 gigapixel
(sarebbe
veramente
complicato capire di quanti zeri
parliamo rispetto ai tradizionali
pixel dei nostri comuni computer). Come spiega Elisabetta In-
tini su Focus: “Le immagini di
entrambe le metà del globo
usate come base sono state scattate dal satellite Suomi National Polar-orbiting Partnership,
un satellite meteorologico gestito dalla NASA e dalla NOAA,
dotato di strumenti per immagini nella lunghezza d'onda dell'infrarosso (qui la foto
originale). Usando queste foto
come riferimento, gli autori del
"mosaico" hanno ricreato le sfumature di nuvole, mari e aree
verdi basandosi sul colore delle
foto postate”. Un pensiero finale: ma adesso per ricordarci di
immortalare la nostra Terra con
tutti gli annessi e i connessi dobbiamo aspettare un anno? Direi
di no, ricordiamocelo tutti i
giorni di fotografare nostra
“madre”, le foto si sa, fanno bene
all’anima.
bicarbonato è addirittura innocuo, (tra i tre è l’unico anche
commestibile). Essendo polveri,
non hanno bisogno di conservanti e, se sono puri, non
hanno aggiunte di profumi,
conservanti ed altri allergeni
che sono dannosi per l’ambiente e possono provocare reazioni indesiderate.
Il bicarbonato di sodio diluito in
acqua è un detergente multiuso
semplice e pratico da usare, con
un leggero potere disinfettante,
sgrassa le superfici e assorbe
gli odori neutralizzandoli senza
coprirli, come la maggior parte
dei deodoranti in commercio,
inoltre , poiché alcalino, crea
un ambiente sfavorevole ai batteri, che amano vivere in ambienti acidi o neutri, per questo
è anche igienizzante e antimuffa. Il percarbonato di sodio
sbianca, toglie le macchie, ravviva i tessuti e igienizza; va
però maneggiato con cautela, è
consigliabile infatti l’uso di
guanti, inoltre può essere nocivo a contatto con gli occhi o se
viene inalato.
La soda- carbonato di sodio- è
una polvere bianca con gli
stessi usi del bicarbonato, ma
più alcalina e per questo più efficace contro l’unto e lo sporco,
va usata però con maggiore accortezza perché più aggressiva,
è infatti irritante per gli occhi e
per le vie respiratorie, va maneggiata con cautela, sempre
con i guanti e non lasciata alla
portata dei bambini.
B.M.
BED AND BREAKFAST BAUHAUS
Elvira Tortoriello
Il Bauhaus, fondato nel 1919 grazie all’azione
concreta di Walter Gropius e dei suoi numerosi
collaboratori , nacque con lo scopo di abolire in
maniera chiara e definitiva la classica contrapposizione tra artisti ed artigiani, dando il giusto risalto alla creatività del progettista e
valorizzando la tecnologia e le macchine. È proprio nell’ambito del Bauhaus che nasce il design industriale e del prodotto , gli studenti
usciti da lì erano in grado di progettare “dal
cucchiaio alla città”, volendo indicare in sintesi
la complessità degli studi e delle materie insegnate attraverso un lavoro di sinergia tra teoria e pratica all’interno dei laboratori.
Il Bauhaus all'inizio venne largamente sovvenzionato dalla Repubblica di Weimar, dove inizialmente si trovava,in seguito ad un cambio
nel governo, nel 1925, la scuola si spostò a Dessau, dove venne costruita l'Università Bauhaus. La scuola venne chiusa per ordine del
regime nazista nel 1933. I nazisti si erano opposti al Bauhaus per tutti gli anni '20 perché
era considerato una copertura per i comunisti,
soprattutto perché vi lavoravano molti artisti
russi. Comunque il Bauhaus ebbe un grosso
impatto sulle tendenze dell'arte e dell'architettura nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti
nei decenni successivi in quanto molti artisti
che vi furono coinvolti emigrarono portando
con loro l’esperienza del Bauhaus. L’edificio di
Dessau realizzato nel 1926 su progetto di Gropius rappresentava il “manifesto costruito”
della scuola. La struttura è stata ricostruita
solo dopo la caduta del muro di Berlino, e
aperta al pubblico. Negli ultimi mesi l’edificio
è stato adibito a bed and breakfast, offrendo
così la possibilità di soggiornare nelle stanze,
dove vivevano gli studenti quasi un secolo fa,
con bagni, servizi e ristorante comuni. Il restauro è stato effettuato in maniera fedele, grazie al ricorso ad immagini fotografiche
dell’epoca e a ricostruzioni storiche. L’alloggio
è nella Prellerhaus, dove si possono vivere gli
stessi spazi percorsi da Albers, Gropius, Kandinsky, Meyer o Breuer. Le stanze sono semplici e relativamente scarne, ma piene di luce
naturale grazie alle ampie vetrate. Le camere
ristrutturate hanno le sedie di Marcel Breuer
e le scrivanie in acciaio piegato, e sono dotate
di balconi aggettanti. Per tutti gli architetti e
gli artisti appas- sionati, si tratta di un sogno
che si avvera: ritornare indietro nel tempo rivivendo gli ambienti dove l’architettura moderna e il design hanno mosso i primi passi.
In albergo in due…con uno sconosciuto!
Easynest: la nuova frontiera del viaggiare sostenibile
Cristina Abbrunzo
C’è chi esprime delle riserve a
riguardo e chi, invece, lo fa
senza problemi, per scelta o per
necessità. Sono i viaggiatori solitari, quelli che non temono di
avventurarsi alla scoperta del
mondo senza un compagno di
viaggio. Dagli Stati Uniti arriva
l’idea per permettere anche a
loro di godere di una stanza
d’hotel, magari a 5 stelle, senza
spendere un patrimonio.
La nuova frontiera del risparmio in viaggio è la divisione di
una stanza – e del conto dell’albergo – con… uno sconosciuto.
Prendere una doppia invece che
una singola è una soluzione d’alloggio sicuramente più economica, ma come si fa quando non
si ha una persona con cui partire e dividere le spese? Secondo
i fondatori di Easynest, con sede
a San Francisco, basta cercare
qualcuno che sia nelle stesse
condizioni. Il concetto di base è
lo stesso di qualsiasi community
on line: ci si iscrive al sito e si
crea un proprio profilo con foto e
descrizione. Il passo successivo
è pubblicare il proprio annuncio,
con la città e l’albergo dove si
vorrebbe andare e quando. A
quel punto si aggiunge il prezzo
totale della stanza che si desidera prenotare, e il gioco è fatto.
Non resta che attendere che
qualche altro membro della
community risponda.
Se si è più indecisi, invece, si
può cercare tra gli annunci già
pubblicati e controllare se c’è
qualche offerta che risponda alle
proprie esigenze.
Come avviene il pagamento?
Una volta che entrambe le parti
accettano di condividere la
stanza, la persona che ha fatto
la prima offerta verrà pagato direttamente dall’altro viaggiatore al momento del loro
incontro. Uno dei due, insomma,
si fa carico della spesa totale e
sarà solo in un secondo momento rimborsato della parte
del ( e dal) compagno. Accade
spesso che, una volta scelti i ri-
spettivi compagni di avventura,
gli utenti cerchino di conoscersi
e di farsi un’idea l’uno dell’altro:
il sito è dotato di una chat all’interno della quale potersi scambiare messaggi e farsi un’idea
della persona con cui si dividerà
la stanza. Il sito ha bisogno di
alcuni miglioramenti per
quanto riguarda la privacy e la
sicurezza degli utenti, in quanto
sembra non avere alcuna responsabilità circa la buona riu-
scita dell’esperienza. Aspetto
non trascurabile, in quanto i rischi che si corrono adottando un
simile sistema sono evidenti: si
potrebbe scoprire che il compagno scelto che in chat sembrava
tanto affabile e carino, in realtà
è una persona che non ci farà
dormire tranquilli; oppure i
soldi investiti nella prenotazione potrebbero non tornare
mai indietro. Insomma, la prudenza non è mai troppa.
Superati questi scogli, però,
quella proposta da Easynest potrebbe rivelarsi la soluzione vincente per i viaggiatori indipendenti e solitari; non è detto
che debbano necessariamente
verificarsi degli inconvenienti.
Può darsi che la persona con cui
si dividerà la stanza sia perfetta, e magari l’anno successivo
si sceglierà di rinunciare alle vacanze in solitudine… per farle
con lui!
Pianta una tenda nel mio giardino
Nasce la community per un campeggio alternativo e low cost
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio
cambiamento, nonché ad una
sorta di evoluzione nella modalità di effettuare un viaggio
meno costoso e più green.
Ma la nuova rivoluzionaria
idea del viaggiare low cost arriva da Londra e si chiama
“Camp in my garden”: pianta
una tenda nel mio giardino!
Si tratta ancora di un portale
Internet
(campinmygarden.com) che stavolta però
gestisce un network di piccoli
giardini di proprietari privati
dove si può dormire in tenda a
prezzi più che abbordabili: circa
15 sterline per notte a persona.
Il rating dei giardini e il conseguente costo possono variare in
funzione della presenza o meno
di una serie di facilities, quali
la fornitura di tende per il cam-
ping, la presenza della rete wifi, l'accettazione di animali e il
barbecue per la griglia. Si va,
dunque, dal giardino di fascia
bamping ("basic camping") a
quello di fascia glamping ("glamorous camping").
Molti degli ospiti arrivano già
con la loro attrezzatura da
campeggio, altri la trovano sul
posto. Sul sito è possibile verificare dove si trovi il giardino e
di quali servizi disponga: dall'acqua calda alle docce, dall’uso
cucina alla connessione web.
Ancora una volta la parola d’ordine è condivisione! Il portale è
già ben avviato. Ormai si conta
su una rete di 500 giardini in
tutto il mondo, da Tonga all'Indonesia, dalla Nuova Zelanda
all’Italia. In ogni momento dell'anno è possibile ridurre l'impatto economico delle nostre
vacanze evitando i grandi hotel
e scegliendo questa innovativa
formula campeggio.
Viaggiare per lavoro, viaggiare
per diletto, viaggiare per relax
o viaggiare per conoscere e scoprire. Insomma, qualunque sia
la motivazione che spinge qualcuno a partire, perché non cercare la soluzione che permetta
a tutti di trarre il maggior beneficio in termini di costi e be-
nessere?
L’ideatrice di questa originale
alternativa di soggiorno è una
giovane imprenditrice londinese, Victoria Webbon, una sognatrice fortemente convinta
che la vita va vissuta a pieno, a
prescindere dalle circostanze.
Ed è proprio questa filosofia ad
averla ispirata a creare una comunità che ci incoraggi a fare
di più nella vita, condividendo
i nostri giardini uno con l'altro.
Come a lei stessa piace affermare "Spero che un giorno ci
saranno migliaia di giardini
privati che offrano campeggio
temporaneo in tutto il mondo.
Dove ognuno sarà il benvenuto
e verrà accolto con le braccia e
i cuori aperti, condividendo la
passione per quell'avventura
universale che è la vita".
C.A.
L AVORO E PREVIDENZA
Il decreto legge 34/2014 diventa legge
Eleonora Ferrara
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 114
del 19 maggio 2014, è stata
pubblicata la Legge n. 78/2014
di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge n.
34/2014, entrata in vigore il 20
maggio 2014.
Mediante la conversione in
legge, quindi, sono entrate in
vigore le modifiche introdotte
dal Decreto Lavoro, concernenti
le disposizioni in materia di
contratto di lavoro a termine e
di apprendistato, le misure in
materia di verifica di regolarità
contributiva (DURC), nonché
contratti di solidarietà.
In tal modo viene rilanciata
l’occupazione unitamente all’esemplificazione degli adempimenti burocratici a carico delle
imprese.
Sicuramente, sarà opportuna
una breve disamina del provvedimento.
La durata del primo rapporto di
lavoro a tempo determinato,
per il quale non è richiesto il requisito della causalità, passa
da dodici a trentasei mesi, con
possibilità di proroga fino a cinque volte, entro il limite dei
tre anni.
Inoltre, per il contratto di apprendistato è previsto il ricorso
alla forma scritta unicamente
per il contratto e patto di
prova, non, invece, del piano
formativo individuale, con l’eliminazione della necessaria conferma in servizio di precedenti
apprendisti, al completamento
del percorso formativo.
Viene fissato al 35 per cento
della retribuzione del livello
contrattuale di inquadramento,
il compenso spettante.
Al contempo, il datore di lavoro
non ha più l’obbligo di integrare
la formazione di tipo professionalizzante. Relativamente alla
semplificazione in materia di
DURC, viene disposto che la verifica della regolarità contributiva nei confronti dell’INPS,
dell’INAIL e delle Casse edili,
avvenga in maniera telematica,
mediante un’unica interrogazione nei rispettivi archivi.
L’esito dell’interrogazione avrà
validità di centoventi giorni,
dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il
DURC ovunque previsto. Il Decreto, infine, potrà essere aggiornato in seguito a nuove
modifiche normative oppure, in
seguito all’evoluzione dei sistemi telematici di verifica
della regolarità contributiva,
non più, quindi, con scadenza
annuale come previsto dal D.L.
34/2014.
La normativa, infine, modificata dal suddetto provvedimento, è la seguente:
Decreto Legislativo n. 368/2001
sui rapporti a tempo determinato
Decreto Legislativo n. 167/2011
sul contratto di apprendistato
Decreto Legislativo n. 276/2003
in materia di somministrazione.
Con la conversione in legge del
decreto-legge n. 34, che inserisce numerose modifiche, entra
in vigore, definitivamente, la
semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di
lavoro a termine, di contratto di
apprendistato, di contratti di
solidarietà ed in materia di documento unico di regolarità
contributiva.
Viaggio nelle leggi ambientali
EFFETTO SERRA
L’eliminazione completa del
cloro dalla composizione dei
refrigeranti ha portato alla
nascita degli idrofluorocarburi (HFC), refrigeranti che
hanno effetto nullo per
quanto riguarda il buco dell'ozono. Tuttavia anche tali
fluidi non sono perfettamente
eco-compatibili, in quanto la
loro liberazione in atmosfera
contribuisce ad aumentare
l’effetto di surriscaldamento
della Terra (effetto serra). Per
tale ragione si prospetta una
graduale loro eliminazione,
soprattutto in quegli impianti
dove possono essere sostituiti
da altre tipologie di refrigeranti meno inquinanti.
A tal proposito entra in vigore il 9 giugno 2014 il nuovo regolamento Ue sui
gas fluorurati ad effetto serra (HFC,
PFC e SF6) che, tra le numerose novità,
istituisce un mercato delle quote per
l'immissione in commercio degli idrofluorocarburi. In base a quanto stabilito
dal nuovo regolamento 517/2014/Ue,
pubblicato sulla GUUE del 20 maggio
2014, a decorrere dal 1° gennaio 2017 le
apparecchiature di refrigerazione e condizionamento e le pompe di calore caricate con Hfc potranno essere immesse in
commercio solo se gli Hfc caricati nelle
stesse sono considerati all'interno del sistema di quote (trasferibili) istituito dal
nuovo regolamento. Il “mercato” delle
quote degli Hfc è però solo una delle
tante novità previste dal provvedimento,
che
sostituisce
il
regolamento
842/2006/Ce a partire dal 1° gennaio
2015, e riguardano trasversalmente le disposizioni per il
contenimento, l'uso, il recupero e la distruzione dei gas,
le condizioni per l'immissione
in commercio dei prodotti e
delle apparecchiature che li
contengono nonché quelle per
gli usi particolari.
Gli Stati membri hanno
tempo fino al 1° gennaio 2017
per fornire il provvedimento
di un adeguato sistema sanzionatorio.
Documenti di riferimento
- Dlgs 5 marzo 2013, n. 26.
Sanzioni per la violazione
delle disposizioni di cui al regolamento (Ce) n. 842/2006 su
taluni gas fluorurati ad effetto serra.
- Dpr 27 gennaio 2012, n. 43. Gas fluorurati a effetto serra. Attuazione regolamento Ce 842/2006.
- Regolamento Parlamento europeo
842/2006/Ce. Regolamento su taluni gas
fluorurati ad effetto serra.
- Regolamento Parlamento europeo e
Consiglio Ue 517/2014/Ue. Gas fluorati.
Abrogazione regolamento 842/2006
A.T.
Gesto eversivo,
che nasce
dalla libertà
e accende
una relazione
non generata
dall'utilitarismo
Enzo Bianchi
IL VERO DONO VIVE NELLA RECIPROCITÀ
A Nola da un po’ di tempo, davanti ai
supermercati, ci si imbatte quotidianamente in ragazzi che chiedono l’elemosina. Con uno di loro ero entrato in
legame più stretto, dopo un po’ di
tempo che non lo incontravo più, me lo
ritrovo al semaforo di Poggioreale che
vende fazzolettini di carta. Nei primi
giorni continuavo a dargli qualche monetina ogni mattina, ma non volevo i
fazzoletti, finché una bella mattina lui
mi fa: ”Se non vuoi i miei fazzoletti, io
non voglio i tuoi soldi”. Per carità! Non
mi sono risentito affatto, al contrario
il mio fumante cervello ha iniziato a
macinare pensieri su un tema oramai
in disuso nella nostra società turbocapitalista: il dono. C’è spazio per la categoria del dono come gratuità nella
nostra vita quotidiana?
Quante volte subiamo l’umiliazione
nell’essere considerati oggetti delle attenzioni altrui…penso ai matrimoni e
alle Prime Comunioni di cui Maggio è
pieno. Invece, voglio scrivere del dono
non inteso come regalo, ma come riconoscimento dell'altro in una relazione
di reciprocità e di ricerca della felicità.
Il concetto a cui faccio riferimento è
quello che ha origine dalla parola latina munus, cioè un dono che obbliga
a uno scambio. L’aggettivo derivato è
communis e sta ad indicare chi ha in
comune dei munia, cioè dei doni da
scambiarsi. Communis significa
quindi: essere legati insieme, collegati
dall’avere comuni doveri, dal condividere comuni sorti, dall'essersi scam-
biati un dono. Il continuo scambiarsi
crea un sistema di compensazione, che
quando gioca all’interno di uno stesso
ambiente determina una comunità,
cioè un insieme di uomini uniti da
questo legame di reciprocità. Quindi la
categoria fondativa del circuito del
dono non è la gratuità, ma la reciprocità. Negli scambi regolati dalla reciprocità, sono gli individui e le relazioni
ad assurgere ad un posto centrale. Nel
nostro agire quotidiano l’ambiente è
un’entità viva che elargisce doni, pretendendo che ci si assuma verso di lei
certe responsabilità. In questa concezione è fondamentale che il mondo sia
per noi una rete infinita di relazioni,
che si estendono, penetrano nell’intera
condizione sociale dell’individuo e si
applicano a tutti e a tutto, incluso la
terra. Le persone sono collegate al loro
ambiente fisico e naturale attraverso
le esperienze vissute. L'individualismo
esasperato e la difficoltà di relazione
ripropone il dilemma: battersi o venire
a patti? Qui entra in gioco la redistribuzione. Nella relazione di reciprocità
c'è l'accettazione del rischio, che si può
dare e non ricevere quando si chiede.
Ma è un rischio che si può annullare
solo con la fiducia nell'altro.
Comprendendo, sul serio, i bisogni dell'altro, possiamo superare le limitazioni dello scambio ed inaugurare un
mondo che ridistribuisce futuro, nella
misura in cui i nostri doni riescono a
dare sostanza alla speranza.
A.T.
RUTH: LA RIVOLUZIONE DELLA GRATUITÀ
Martina Tafuro
Nell’ immaginario comune
risulta impensabile, sin dai
tempi in cui è venuta alla
luce la comunità come puro
dominio del più forte, uscire
dal cono d’ombra dell’autoreferenzialità e lottare a denti
stretti per cercare di realizzare gli ideali di giustizia e
pace, strumenti per costruire
un futuro migliore nelle cui
braccia poter abbandonare le
generazioni che verranno.
Ipotizzate che nel 2014, anno
che potremo indicare come il
capolinea di un lungo processo sociale ed economico
fondato sul consumismo
anti-ecosostenibile, viva il
più attivo difensore della foresta amazzonica e costui sia
una donna. Immaginate, ora,
di poter identificare la comunità, come dominio di chi difende il bene di tutti, con un
nome: Ruth Buendìa, un’ indigena di etnia Ashàninka,
che dovette abbandonare a
12 anni compiuti la sua
terra, Cutivireni, e rifugiarsi
nella città di Lima, dopo aver
assistito all’ assassinio di suo
padre e al sequestro di sua
sorella maggiore per mano di
Sendero Luminoso, formazione guerrigliera che ai
tempi
della
cosiddetta
“Guerra Sporca” (1970-2000)
aveva privato gli Ashàninka
della libertà. Ed ecco la bel-
lezza di questo mondo! Questa donna coraggiosa, lo
scorso 29 Aprile, ha vinto il
25esimo “Goldman Environmental Prize”, il Premio
Nobel per l’ Ambiente, per
aver salvaguardato migliaia
di nativi e l’ambiente, contrastando la costruzione di
due centrali idroelettriche
nell’ Amazzonia peruviana.
È riuscita grazie alla sua
grande forza d’ animo e
quella del suo popolo, si
tratta della tribù più folta
del Perù, a fermare la costruzione del progetto idroelettrico Paquitzpango, una
delle cinque mega dighe programmate dall’ accordo tra
Brasile e Perù e destinato a
fornire una potenza di produzione elettrica di 7,2 gw.
Alla premiazione Ruth, rin-
graziando ha detto: “È stata
una dura lotta per convincere
anche i miei fratelli Ashàninkas, ma le donne mi hanno
appoggiato più in fretta”. È
bello pensare che i guardiani
della Madre Terra, che sono
riusciti a tenersi lontani dal
denaro, dal lusso e perchè no
anche dalla povertà, facendo
coincidere i propri bisogni
con il vivere sentendosi parte
di un equilibrio perfetto,
siano riusciti a ribellarsi e
uscire dalla posizione di vittime che due grandi potenze
obbligavano loro ad avere.
Ancor più bello è pensare che
esistano donne come Ruth
Buendìa, che non hanno
smarrito il loro istinto materno e con la loro capacità
d’amare lottano per il bene
comune e per i diritti umani.
Foto di Fabiana Liguori
Napoli, 28 maggio 2014 – Convention Coldiretti, per sostenere la qualità alimentare Made in Italy dal campo alla tavola
e presentazione del dossier 2014 sulla “Crisi nel piatto degli italiani”