Comunicato 22 del 16/03/2015

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Femminile Maschile
La Guida
un libro, una storia
“Vedo le parole e non riesco a dirle”. A scriverlo sul
pc, grazie al metodo della scrittura facilitata, è Andrea Antonello. Il mondo parallelo in cui abita da
quando aveva 30 mesi è l’autismo. Oggi ha vent’anni e al suo fianco ha un padre tenace, resistente e
speciale, Franco. Saranno entrambi a Cuneo per
Scrittorincittà, giovedì 13 novembre alle ore 18 presso la sala Blu della Provincia.
“Vedo le parole e non riesco a dirle”.
A scriverlo sul pc, grazie al
metodo della scrittura facilitata, è Andrea Antonello. Il
mondo parallelo in cui abita da quando aveva 30 mesi
è l’autismo. Oggi ha vent’anni e al suo fianco ha un padre
tenace, resistente e speciale,
Franco.
Saranno entrambi a Cuneo
per Scrittorincittà, giovedì 13
novembre alle ore 18 presso la sala Blu della Provincia, per raccontare una storia
che non ha niente di leggero,
a parte i suoi protagonisti e il
modo in cui la stanno affrontando.
Non a caso “Sono graditi visi sorridenti “(Feltrinelli 2014) è il titolo del libro che
hanno scritto insieme. Si tratta di una delle frasi che Andrea ha digitato sul computer, attraverso la strada che
ha trovato per trasmettere
all’esterno i suoi pensieri.
Sì, perché, come scrive
Franco Antonello “a un certo
punto comincio a capire meglio cos’è l’autismo: una ricetrasmittente che riceve tutto ma trasmette solo rumore
bianco. Entra tutto: dettagli,
concetti, ogni minimo messaggio. Esce poco o niente.”
La scrittura facilitata non è
prevista dai programmi ministeriali e non tutti ci credono.
E forse non con tutti funziona. Con Andrea, sì. Anche se
all’inizio nemmeno Franco ci
credeva. Il facilitatore prende
la mano del ragazzo e la guida sulla tastiera del computer
per permettergli di rispondere alle domande che gli vengono poste, ma a poco a poco (ci vuole tempo) basterà tenergli il braccio, poi la spalla,
un semplice dito appoggiato
sulla schiena. In questo modo
Andrea è divenuto pressoché
autonomo nella digitazione.
In questo modo, seppure con
pazienza e lentezza, è diventato possibile accedere al suo
mondo e ai meravigliosi pensieri che lo attraversano.
“Crederci quando non ci
crede nessuno”: lo spirito pio-
nieristico soffia in tutta questa storia, attraverso tutte le strade battute alla ricerca di una risposta, un varco,
una speranza, ma soprattutto attraverso la disponibilità a
pensare e tentare l’impensabile: un viaggio di cinque mesi negli Stati Uniti e in America latina, in aereo, in moto e
in macchina, cambiando albergo ogni giorno, ristorante due volte al giorno, per un
totale di 40 mila chilometri
percorsi. “Ma un ragazzo autistico non è meglio che se ne
stia tranquillo, cullato dalla
ripetitività e lontano da quegli imprevisti che lo mettono in agitazione”? Andrea in
viaggio interagisce, si apre, vive… Evidentemente non tutto
è già stato detto e scritto. La
storia di quest’avventura on
the road è raccontata nel romanzo di Fulvio Ervas “Se ti
abbraccio, non avere paura “
(Marco y Marcos 2012).
Il dolore e la rabbia che scaturiscono dall’impossibilità
di rassegnarsi non sono solo
una manifestazione dell’impotenza, ma possono trasformarsi in energia utile a far
muovere le cose.
La Fondazione I bambini delle fate nasce proprio dal
desiderio di Franco Antonello
di “fare qualcosa” per i ragazzi autistici e per le loro famiglie, in modo non improvvisato e affidato alla sola carità e
beneficenza, estemporanee e
quindi lente in un mondo che
invece va veloce e dispone di
modelli organizzativi in grado
di far funzionare le iniziative.
Franco Antonello è un imprenditore veneto di successo, uno che il lavoro lo sa organizzare. “Far bene le cose buone”: da qui l’idea della
Fondazione, che utilizza l’abilità, l’energia, le competenze,
la rete di relazioni di Franco
per dare continuità nel tempo
a progetti che così evitano di
fermarsi perché il volontario
di turno è malato o perché
sono finiti i fondi disponibili.
“Non è possibile che dove di lavora per il lucro tutto
è perfetto e invece dove si la-
venerdì
7 novembre 2014
“Vedo le parole ma non riesco a dirle”
Con la scrittura facilitata Andrea, autistico,
ha trovato una via per comunicare
vora per la vita tutto è lasciato
al caso. Non possono esistere due mondi così”, si ribella
Franco a un certo punto.
Cosa fa dunque la Fondazione I bambini delle fate?
Chiede alle aziende di sposare un progetto in modo continuativo, piccole cifre mensili
costanti, dando un riscontro
preciso su cosa si sta facendo
con quei soldi. Franco cerca
progetti per disabili seri e affidabili che le aziende possano sponsorizzare. E una volta al mese su Il Sole 24 Ore e
Il Corriere della Sera si pubblica una pagina informativa
per ogni progetto attivo e sotto i marchi delle aziende che
vi hanno contribuito. Vincono
tutti: i progetti sociali e i loro destinatari, le aziende che
scaricano i soldi come investimento pubblicitario e hanno inoltre un ritorno d’immagine.
E’ semplice e proprio per
questo funziona. E sta incominciando piano piano anche qui da noi, a Cuneo grazie alla Cooperativa MOMO
e all’Associazione Fiori sulla
Luna. Un nuovo modo di lavorare per il sociale. Un nuo-
vo mondo possibile per entrare in contatto col mondo parallelo, difficile e misterioso
dell’autismo , della disabilità
e dei bambini che lo abitano.
Donatella Signetti
Nella fotografia a sinistra Andrea e Franco Antonella.
Sopra la copertina del volume che racconta la loro storia.
Il libro sarà presentato giovedì 13 novembre a Cuneo dalgi autori
Gli adolescenti e la dipendenza da internet
Ma tutti siamo diventati più compulsivi
Il 15% degli adolescenti dopo un anno rischia di sviluppare una dipendenza da internet,
con stato depressivo e consumo
di nicotina e alcool. È quanto
emerso da un’indagine dell’università di Taipei su un campione di 2.315 studenti, riportata nella ricerca sull’Internetpatia a cura dell’Aiart durante un
convegno sulla dipendenza dal
web. In Italia l’esperienza più
significativa nel campo è quella dell’Ambulatorio dipendenza
da internet del Policlinico Gemelli: in 5 anni ha preso in carico oltre 700 pazienti, di cui
l’80% dagli 11 ai 24 anni, maschi, fruitori di chat, social network e giochi di ruolo. Alcuni
sono connessi a internet anche
18 ore al giorno. “La dipendenza nasce dal fatto che sul web
non c’è il rispecchiamento emotivo, non ci si guarda negli occhi per riconoscersi, mentre i
bambini hanno bisogno di essere visti e considerati”, ha spiegato lo psichiatra Federico Tonioni, responsabile dell’ambulatorio: “L’impossibilità di vivere le emozioni causa il ritiro sociale, l’aggressività naturale si trasforma in rabbia e nasce
il cyberbullismo”. I presupposti della dipendenza da internet
“si radicano nella mancanza di
continuità nel vissuto affettivo
che lega ogni bambino all’ambiente in cui è chiamato cresce-
re”. Ma tutti noi “siamo diventati più compulsivi”.
L’Aiart compie 60 anni a novembre, ha ricordato il presidente Luca Borgomeo: “Abbiamo il dovere di occuparci di
questi temi. Non abbiamo nessun atteggiamento ostile. Non
demonizziamo il web, che è un
formidabile strumento di sviluppo e mezzo di straordinaria
importanza. Ma va giudicato
l’uso che se ne fa. Obiettivo del
nostro rapporto è far crescere
la consapevolezza che l’uso distorto o l’abuso dei mezzi può
far nascere gravi danni”. LAiart
chiede di far entrare nei programmi scolastici “in modo più
incisivo” la “media education“
z Armonizzare in noi le polarità femminile e maschile
EDUCARSI ALLA RELAZIONE
Ogni uomo possiede, così come
ogni donna, una componente femminile e una componente maschile.La
componente femminile è quella che
“riceve”, accoglie, accudisce e quella maschile agisce, porta all’esterno,
manifesta, rende concreta l’intenzione.
Tutto semplice e lineare, ma solo
in apparenza perché le due polarità
(maschile e femminile) sono determinate in gran parte dalla cultura, dalle
credenze del collettivo e da quelle individuali, quindi da ciò che si ritiene
“debba essere” femminile e maschile.
Quando la società vive un periodo
di stabilità, fa esperienza della ripetizione: in un modo si comporta una
generazione e con le stesse modalità
si comporta la generazione succes-
siva (le “trasgressioni” sono riconosciute e severamente punite con l’esclusione, l’emarginazione dalla comunità).
Le crisi (come quella odierna) danno invece uno scossone a questo impianto. Per qualcuno questa situazione è fortemente destabilizzante perché vengono a mancare i punti di riferimento, crollano le certezze, altri
vivono questo periodo come opportunità per rimettere in discussione,
rivedere ciò che è connotato culturalmente e non ha più senso che permanga.
Quando tutto sembra crollare, non
ci sono molte possibilità di scelta.
“Dormire” non si può e per trovare
un nuovo equilibrio, è importante tenere desta la ricerca .
Se il maschile e il femminile “fuori” sembrano allontanarsi (separazioni, scelta di non sposarsi..), una possibilità è quella di guardare che cosa
è in conflitto “dentro”.
Se è vero che la realtà esterna è lo
specchio di ciò che accade all’interno
dell’essere umano, lo sguardo va riportato al punto di partenza, al “femminile” e al “maschile” separati dentro di noi.
Alcune generazioni fa era più facile (apparentemente) tenere insieme
gli opposti perché sostanzialmente
non si incontravano (le guerre, con
gli uomini al fronte, l’emigrazione…)
e perché gli ambiti e i compiti erano
ben definiti.
Tutto si muoveva su binari stabiliti
e poco discutibili.
Poiché oggi i ruoli non sono più
fissi e immutabili, anche le risonanze interiori cambiano. Il diverso valore attribuito alla donna la legittima a sentirsi “presente”, a desiderare di esserlo.
Ogni passaggio, ogni spostamento, crea però un iniziale disequilibrio. Le cose non sono più al loro
posto, dove erano prima.
Ogni movimento esterno prevede
un cambiamento, un adeguamento
interiore.
Per capire la vera essenza di ciò
che sta accadendo, è necessario
che lo sguardo dall’esterno, da ciò
che in apparenza sta fuori, si sposti
dentro.
Riportare lo sguardo dentro di noi
quando tutto sembra accadere fuori,
non è sempre facile perché non siamo abituati.
Riportare il conflitto dentro di noi,
accoglierlo come occasione che ha
qualcosa da mostrarci è il primo passo per evitare che irrompa all’esterno con modalità che perpetuano l’incomprensione. In queste occasioni
possiamo prima far dialogare le due
polarità insite in noi.
La componente femminile accoglie
e quella maschile esamina, pondera .
Insieme, le due componenti possono chiarire il conflitto, creando una
condizione in cui ci sia un’ armonia
interiore, in modo da poter incontrare su un piano di confronto e non di
scontro, il maschile e il femminile
fuori.
Gabriella Daniele