BALBUZIE: ASSESSMENT E TRATTAMENTO

Paoletta Florio e Simona Bernardini
BALBUZIE:
ASSESSMENT
E TRATTAMENTO
Modelli di intervento cognitivo
comportamentale in ottica ICF
INDICE
7PRESENTAZIONE (Ezio Sanavio)
9
CAPITOLO PRIMO
La balbuzie come disturbo multidimensionale
(Paoletta Florio)
47
CAPITOLO SECONDO
Balbuzie e ICF
(Paoletta Florio)
73
CAPITOLO TERZO
L’assessment della balbuzie
(Simona Bernardini)
121
CAPITOLO QUARTO
Il trattamento della balbuzie
(Simona Bernardini)
155
CAPITOLO QUINTO
Casi clinici
(Simona Bernardini)
195BIBLIOGRAFIA
Presentazione
La balbuzie è un problema molto diffuso e può compromettere in modo
assolutamente sproporzionato la vita di bambini e di adulti. A dispetto di ciò, è
argomento stranamente trascurato sia nella letteratura scientifica sia nella pratica
professionale. Una delle possibili spiegazioni fa riferimento alla natura interdisciplinare del problema balbuzie. Come si sa, l’interdisciplinarità è tra quei principi
che sono tanto condivisi e ossequiati a parole quanto ignorati nella pratica! L’interdisciplinarità è la caratteristica prima del volume di Paoletta Florio e Simona
Bernardini, una caratteristica rara che rende il libro utile e prezioso.
Le autrici giustamente affrontano la balbuzie come disturbo multidimensionale. Il volume perciò è utile a foniatri, logopedisti, neuropsichiatri infantili,
psichiatri, psicologi dell’età evolutiva e si rivolge elettivamente a psicologi clinici
e psicoterapeuti alle prese col trattamento del disturbo.
Negli ultimi quaranta anni la psicologia clinica e la psicoterapia hanno attraversato una fase di grande trasformazione, che è tuttora in corso e sta mostrando la
ricchezza dei suoi frutti anche nelle patologie della comunicazione e del linguaggio.
Sono diventati marginali o desueti concetti di gloriosa tradizione e modalità
operative largamente diffuse. Sono emersi spunti paradigmatici innovativi, che
hanno moltiplicato l’accessibilità, l’incisività e l’efficacia dei trattamenti psicologici.
Le autrici sviluppano le proprie indicazioni operative e terapeutiche nella cornice
dell’approccio cognitivo e comportamentale, là dove sono più forti l’apporto delle
prove di efficacia e lo spessore della ricerca di base.
Chi qui scrive ha iniziato la propria carriera professionale nelle équipe che
operavano nelle scuole prima della riforma sanitaria. A riguardare l’insegnamento dei grandi maestri e la dottrina delle più accreditate pubblicazioni in tema di
trattamento della balbuzie si hanno, a quaranta anni di distanza, sensazioni di
imbarazzata incredulità: come chi guardasse, in un ufficio, ciclostili e non fotocopiatrici, macchine da scrivere e non stampanti laser, sferraglianti calcolatrici
meccaniche e non computer.
7
Balbuzie: assessment e trattamento
A differenza di quanto avviene nel mondo della tecnica, non sempre al rapido
rinnovarsi delle conoscenze seguono cambiamenti operativi appropriati nel mondo
della sanità. L’auspicio è che questo volume possa contribuire al rinnovarsi delle
prassi valutative e terapeutiche nel mondo della balbuzie.
Ezio Sanavio
Professore ordinario di Psicologia clinica
Università di Padova
8
4
Il trattamento della balbuzie
Simona Bernardini
All’interno di questo capitolo verrà illustrato il contributo che l’approccio
cognitivo comportamentale ha fornito all’inquadramento, all’assessment e al
trattamento della balbuzie negli ultimi cinquant’anni. Ampio spazio sarà dedicato alla descrizione dei principali modelli terapeutici, diversificati per fasce d’età,
facendo riferimento alla loro efficacia ed efficienza di trattamento secondo l’EBM
(evidence based medicine).
Rassegna storica sull’apporto della CBT al trattamento della balbuzie
Nell’ambito dei disturbi della comunicazione, il trattamento della balbuzie
è stato per molti anni oggetto di confronto e discussione tra psichiatri, psicologi,
medici. Molti ricercatori e clinici erano, infatti, loro stessi persone con balbuzie e
cercarono di identificare e sintetizzare le migliori ricerche disponibili nell’ambito
della terapia della balbuzie attraverso l’utilizzo di tecniche metanalitiche e di rassegne sistematiche. A partire dal 1960, in ambito internazionale, si è assistito a un
cambio di rotta nel trattamento della balbuzie, l’assunto psicodinamico fino ad
allora predominante che la descriveva come il sintomo di una sottostante nevrosi
veniva rimpiazzato dal comportamentismo, che considerava la balbuzie un disturbo
acquisito per apprendimento secondo i principi del condizionamento classico e
mantenuto secondo i canoni del condizionamento operante. Pertanto, la riduzione
del disturbo era perseguita attraverso l’utilizzo di tecniche di modificazione del
comportamento. Per i behavioristi la balbuzie era sicuramente fonte di interesse,
in quanto permetteva, in ambito di ricerca, di applicare strumenti di assessment
standardizzati in grado di rilevare e misurare se vi fossero stati durante la terapia
dei reali cambiamenti nel soggetto e se questi fossero poi mantenuti nel tempo.
A differenza della psicoanalisi, i comportamentisti non cercavano inconsce spiegazioni sull’eziologia del disturbo, ma si proponevano di affrontare il problema
utilizzando procedure oggettive, attraverso disegni sperimentali replicabili. Inoltre,
a dare impulso alla crescente enfasi posta sulla terapia comportamentale contribuì
la scuola dell’Iowa. Nel 1927 Lee Edward Travis divenne direttore della Speech
Clinic dell’Università dell’Iowa, negli Stati Uniti, e sotto la sua supervisione in-
121
Balbuzie: assessment e trattamento
centivò le attività di ricerca sui disturbi dell’eloquio. Tra queste spiccano quelle
di Bryngelson, Johnson e Van Riper, per aver fornito una nuova visuale sulla
balbuzie e aver attuato differenti tecniche di trattamento rispetto a quelle fin ad
allora in uso. Per i terapisti dell’Iowa il paziente doveva andare a testa alta per il
mondo e parlare magari balbettando ma senza timore, senza provare imbarazzo
e contemporaneamente imparare a farlo con il minimo sforzo attuando cioè una
«balbuzie fluente». L’importante cambio di prospettiva prevedeva di non intervenire
esclusivamente sull’eliminazione della sintomatologia manifesta ma anche sulla
modificazione dei sentimenti negativi associati all’incorrere delle disfluenze che
spesso portavano il paziente a evitamenti comunicativi o a mettere in atto comportamenti secondari per non manifestare le interruzioni di eloquio. La terapia
doveva includere sia un lavoro di desensibilizzazione verso la balbuzie (ad esempio
la pratica negativa di Bryngelson) sia fornire al paziente strategie per superare la
balbuzie, come ad esempio la cancellazione, il pull-out e il preparatory set (Van
Riper), che verranno descritti più avanti all’interno di questo capitolo. Appare
evidente che la CBT (terapia cognitivo comportamentale) fosse la cornice teorica di
riferimento dalla quale mutuare strategie per modificare i comportamenti verbali
e i sentimenti negativi generati dalle distorsioni cognitive del paziente.
Passeremo adesso a illustrare come l’approccio cognitivo comportamentale
abbia fornito, nel corso degli ultimi cinquant’anni un rilevante apporto, sia sperimentale sia clinico, alla valutazione e al trattamento della balbuzie. Ne sono una
riprova tre importanti rassegne (Ingham e Andrews, 1973; Bothe et al., 2006;
Menzies et al., 2009) che illustrano il contributo dato dalla CBT alla conoscenza
scientifica e al trattamento della balbuzie. Verranno illustrate in questa sede le
recenti evidenze cliniche a favore di incorporare tecniche mutuate dalla CBT per
fronteggiare l’ansia disfunzionale, associata alle situazioni comunicative, e l’ansia
sociale, sovente in comorbidità con la balbuzie. Come afferma Rowley (2012), gli
obiettivi che questo approccio si pone con le persone che balbettano (PWS) è confutarne la convinzione fortemente radicata secondo la quale a causa della balbuzie
saranno giudicati negativamente dall’interlocutore, e aiutarli quindi a ridurre l’ansia
sociale e gli evitamenti comunicativi. Nel 1972 Ingham e Andrews pubblicarono
un’importante articolo di 36 pagine che si proponeva di rivedere l’utilizzo della
CBT nel trattamento della balbuzie con speciale attenzione alle procedure di misurazione, ai disegni sperimentali e alle tecniche utilizzate. Gli autori asserirono
che i behavioristi avevano introdotto negli ultimi tredici anni un ampio ventaglio
di strategie che includevano sia tecniche operanti, sia di condizionamento classico,
sia basate sull’apprendimento sociale, spesso usate congiuntamente all’interno del
percorso di terapia. Cercheremo adesso di dare un’idea al lettore di quali sono
state maggiormente utilizzate in quegli anni descrivendole in breve.
122
Il trattamento della balbuzie
Tecniche comportamentali
Dal momento che i paradigmi del condizionamento classico (o pavloviano) e
del condizionamento operante (o skinneriano) sono alla base di molte delle strategie
di intervento utilizzate nel trattamento della balbuzie, per chiarezza espositiva si
è deciso di elencare le differenti tecniche dividendole in base al substrato teorico
che ognuna porta con sé.
Tecniche comportamentali basate sul condizionamento classico
Desensibilizzazione sistematica (DS): questa procedura fu creata da Wolpe
(1958) per estinguere le risposte d’ansia. Nel 1963 lo stesso Wolpe la applicò per
primo al trattamento della balbuzie. Alcuni anni più tardi (1967) Brutten e Shoemaker la utilizzarono in modo specifico per ridurre l’ansia associata al disturbo.
Secondo gli autori le caratteristiche principali della balbuzie sono rappresentate
dalle interruzioni di eloquio che, attraverso reazioni neurovegetative (paura,
ansia), vengono apprese secondo condizionamento classico per associazione con
situazioni stimolo neutre, come la pronuncia di determinate parole, la presenza di
ascoltatori, ecc. (citato da Bloodstein e Ratner, 2008, p. 354). In un normofluente
lo stress può generare reazioni emotive automatiche in grado di interrompere la
fluenza dell’eloquio. Se il bambino ripetutamente prova distress in determinate
situazioni, l’eccitazione emotiva negativa può diventare una risposta condizionata
agli stimoli neutri presenti nel contesto comunicativo. Così con regolarità tutte
le volte che si trova in presenza di quelle situazioni o di quegli stimoli il CWS
prova ansia e paura prevedendo di balbettare. Poiché ripetutamente il bambino è
corretto o rimproverato quando balbetta l’atto in sé di parlare (di fronte a determinate persone, utilizzando determinati suoni) elicita la risposta condizionata di
ansia. Gli autori inoltre considerano le caratteristiche secondarie della balbuzie
meccanismi di evitamento/fuga messi in atto per ridurre la risposta d’ansia (citato
da Bloodstein e Ratner, 2008, pp. 65, 66). Attraverso l’uso del controcondizionamento (che crea una reazione antagonista a quella indesiderata) Brutten e Shoemaker cercarono di ridurre il manifestarsi della balbuzie. Il paziente era invitato
a immaginare situazioni comunicative ansiogene (stimoli aversivi) e a ordinarle
gerarchicamente secondo una scala SUD. Successivamente gli autori utilizzarono
l’esposizione graduale agli stimoli che elicitavano in lui risposte d’ansia che erano
estinte attraverso il rilassamento muscolare (stimolo neutralizzante). Per eliminare
le interruzioni di eloquio si avvalsero dell’inibizione reattiva attraverso la pratica
massiva delle disfluenze. Tuttavia, l’evidenza di ottenere un reale miglioramento
del disturbo utilizzando esclusivamente la DS risultò minima: studi condotti da
Wolpe (1961), Lazarus (1963), Webster (1970) (per citarne solo alcuni) confermano
123
Balbuzie: assessment e trattamento
lo scarso beneficio dell’utilizzo della DS nella riduzione della balbuzie. Attualmente,
pertanto, questa tecnica è utilizzata all’interno di quelle terapie definite ibride e
integrate (si fornirà più avanti una descrizione di queste tecniche). All’interno dei
differenti programmi terapeutici le tecniche comportamentali sono state talvolta
utilizzate congiuntamente a condizioni e ausili che facilitavano la fluenza verbale
(fluency enhancing conditions) quali DAF, mascheramento, shadowing, eloquio
ritmico (esposti nel capitolo 1). A titolo esemplificativo riportiamo un programma
di riqualificazione dell’eloquio condotto da Brady (1971) che prevedeva una modificazione delle fluenza attraverso l’uso del metronomo e una riduzione dell’ansia
attraverso la DS. Inizialmente il paziente era invitato a leggere un brano in modo
esageratamente lento e morbido scandendo a ogni battito del metronomo da tavolo
una sillaba, successivamente i battiti al minuto aumentavano e parallelamente anche
la velocità di realizzazione verbale. Nella fase successiva il paziente utilizzava un
metronomo miniaturizzato (simile a una protesi acustica endo) e costruiva la scala
SUD (unità di disagio soggettivo) che gli permetteva di applicare la DS in vivo.
Infine, per favorire la generalizzazione di quanto appreso, continuava ad affrontare
le situazioni temute senza l’utilizzo del metronomo. Nell’ultima fase l’attenzione
era rivolta alla prevenzione delle ricadute. Nella letteratura sono presenti altri studi
che riportano l’utilizzo di questo metodo (Andrews e Harris, 1964; Wohl, 1970)
ma nonostante i risultati positivi ottenuti, la scarsa affidabilità delle misurazioni
utilizzate rende impossibile definirlo un valido aiuto per la riduzione della balbuzie.
Tecniche comportamentali basate sul condizionamento operante
Verranno citate alcune delle principali tecniche utilizzate per ridurre la
probabilità di emissione del comportamento indesiderato (balbuzie). Per quanto
vi siano state ricerche che abbiano dimostrato la riduzione temporanea della balbuzie tramite somministrazione di alcuni stimoli incondizionati (come correzioni
verbali, emissioni di forti rumori, punizioni con erogazione di una stimolazione
aversiva) contingenti la produzione balbettata, solo il time-out è stato ripetutamente
utilizzato nella terapia per la balbuzie (Haroldson, Martin e Starr, 1968; Martin
e Haroldson, 1969; Egolf, Shames e Seltzer, 1971; Martin, Kuhl e Haroldson,
1972; Costello, 1975). Nello specifico al paziente veniva richiesto di interrompere la produzione verbale balbettata, restare in silenzio per diversi secondi, e poi
ripetere la parola balbettata.
Rinforzo della fluenza verbale. In questo caso gli episodi di balbuzie venivano
ignorati, le frasi prodotte in modo fluente invece erano rinforzate con apprezzamenti verbali (esempi di rinforzatori verbali «parole molto lisce», «ha parlato bene»)
(Leach, 1967; Shaw e Shrum, 1972; Manning, Trutna e Shaw, 1976).
124
Il trattamento della balbuzie
Lodi e punizioni. Come vedremo più avanti nel corso di questo capitolo, il
Lidcombe Program è un programma di trattamento per i CWS «misto» che si
basa sul condizionamento operante e utilizza sia rinforzi positivi-lodi (quando il
bambino parla fluentemente) sia «punizioni» costituite da richieste di correzioni
e autocorrezioni della parola balbettata (in misura inferiore ai primi).
Pratica negativa. Dunlap (1932) è stato il primo a testare l’uso della pratica
negativa nella balbuzie, l’esposizione dettagliata riguardo ai risultati ottenuti con
tale metodo si deve a Fishman (1937). Nel complesso la riduzione della frequenza
degli episodi di balbuzie non sembra essere significativa utilizzando questo metodo.
Token economy. Nell’ambito del trattamento della balbuzie fu utilizzata prevalentemente, a fini sperimentali, da Ingham e Andrews (1972; 1973) con AWS
che si sottoponevano a un trattamento di gruppo della durata di tre settimane.
Periodicamente, durante la giornata il terapista effettuava un conteggio delle sillabe balbettate (% SS) di ogni partecipante in una situazione comunicativa scelta
casualmente. Se la percentuale diminuiva, rispetto al conteggio precedente, il
soggetto riceveva un «gettone» unico mezzo attraverso il quale poteva comprarsi
cibo, giornali, sigarette. Gli autori abbinarono alla token economy tecniche finalizzate a rendere l’eloquio più fluente («prolonged speech patterns»). I risultati delle
ricerche dimostrano una significativa diminuzione della severità della balbuzie
alla fine del programma per tutti i partecipanti e un buon mantenimento della
stessa al follow-up dopo 18 mesi dalla fine della terapia.
Tecniche cognitivo comportamentali
Potremmo quindi brevemente riassumere che la letteratura degli anni
Settanta evidenziava la necessità di lavorare sulle componenti emotive del soggetto e in particolar modo sull’estinzione dell’ansia che la persona che balbetta
sperimenta e di rinforzare l’emissione di comportamenti fluenti (estinguendo
quelli balbettati). Qualche anno più tardi Ingham (1984) annovera tra le tecniche elettive di trattamento la ristrutturazione cognitiva (al fine di modificare
le distorsioni cognitive e ridurre la malattitudine del paziente verso la propria
verbalità) e gli esperimenti comportamentali, per far fronte alla paura di balbettare e di incorrere in valutazioni negative da parte dell’interlocutore. Questi
esperimenti includono situazioni sociali in cui il paziente è invitato ad attuare
una balbuzie volontaria al fine di desensibilizzarsi verso la situazione temuta.
Il PWS prima di affrontare la situazione registra in un’apposita scheda le previsioni sui possibili risultati e poi ne trascrive le osservazioni effettuate durante
l’esperimento. Il divario che generalmente emerge tra previsioni negative ed
esito della prova permette di individuare le distorsioni degli schemi cognitivi.
125
Balbuzie: assessment e trattamento
Maxwell (1982) incluse nel trattamento tecniche quali l’individuazione di pensieri
intrusivi negativi, lo stop del pensiero e le osservazioni vicarie per incrementare
le attitudini ottimistiche del soggetto.
Blood (1995) mise a punto un programma «ibrido» in quanto univa il biofeedback (per ridurre la balbuzie) a un programma di prevenzione delle ricadute
basato sul modello dell’autoefficacia di Bandura (Cameron e Meichenbaum, 1980;
Donovan e Marlatt, 1980) alla terapia cognitivo comportamentale. Si avvaleva
inoltre di strategie di problem-solving, ristrutturazione cognitiva e counseling
non direttivo. I partecipanti, 4 AWS, ottennero una considerevole riduzione della
balbuzie e il mantenimento fu confermato dal follow-up eseguito dopo un anno.
Recentemente, a partire dagli anni Novanta, la CBT è stata utilizzata, prevalentemente con gli adulti e gli adolescenti, con la finalità di ridurne sia l’ansia associata
alla performance verbale sia gli evitamenti sociali. Seguendo questo approccio il
terapeuta individua insieme al paziente i pattern dei pensieri disfunzionali e lo aiuta
a mettere in discussione la loro veridicità. Il paziente è incoraggiato ad affrontare
(anziché evitare) le situazioni comunicative in differenti contesti sociali (parlare
con i familiari, con gli amici, con persone ritenute autorevoli, come ad esempio i
professori o il datore di lavoro) e a riesaminare l’appropriatezza dei pensieri automatici disfunzionali insorti prima dell’interazione comunicativa.
Perché utilizzare la CBT nel trattamento dei PWS?
In relazione a quanto riportato nel capitolo 1, attualmente la balbuzie viene
considerata come un disordine dell’eloquio con un’elevata componente ereditaria,
e non è ritenuto un disordine mentale di per sé. Diversamente da quanto asserito
all’inizio del Ventesimo secolo, non è causata da stress, da traumi e dal nervosismo
o da comportamenti genitoriali inappropriati (Johnson, 1930) né rappresenta il
sintomo di un conflitto inconscio di origine nevrotica (Sheehan, 1953) (per approfondimenti si vedano Bloodstein e Ratner, 2008). Una domanda ricorrente alla
quale i clinici hanno cercato di dare risposta è se le persone balbettano perché sono
ansiose o se la balbuzie porta i PWS a esperire una maggiore ansia nelle situazioni
sociali e comunicative. Per effettuare un trattamento mirato alla persona che
balbetta risulta importante capire se i PWS manifestano balbuzie come sintomo
secondario di un disturbo di personalità e/o d’ansia o se invece questi si presentano
in comorbidità con la balbuzie. La letteratura dimostra che il disturbo da ansia
sociale (Social Anxiety Disorder) è un problema secondario alla balbuzie che può
essere presente nel 40% delle persone che balbettano e principalmente negli AWS
(Stein, Baird e Walker, 1996). Ad avvalorare questa tesi una ricerca condotta da
126
Il trattamento della balbuzie
Menzies e colleghi (2008) che rilevò come il 60% dei 30 pazienti adulti coinvolti
nel trattamento poteva rientrare nei criteri di disordine da ansia sociale secondo
il DSM-IV (APA, 2000). Anche quando la comorbidità con il disturbo da ansia
sociale è subclinica (non vengono confermati cioè i criteri diagnostici minimi
per poter fare diagnosi) appare evidente che molti PWS esperiscono nelle loro
esperienze di vita un elevato livello di ansia sociale che risulta tuttavia variabile
a seconda dell’individuo. Quest’ansia sociale che porta il paziente ad attuare evitamenti di situazioni sociali (legati alla comunicazione) genera nel paziente un
significativo incremento del distress con un impatto negativo nella qualità della
vita. L’elevata percentuale di co-presenza di ansia sociale risulta molto rilevante
alla luce del fatto che la balbuzie tende ad aumentare significativamente quando
il soggetto esperisce o anticipa ansia disfunzionale che genera un aumento dell’arousal. La balbuzie sembra infatti variare a seconda delle situazioni comunicative
a elevato impatto emotivo nel soggetto come ad esempio il numero delle persone
presenti in un gruppo, la rilevanza assunta dall’interlocutore, la lettura ad alta
voce, le conversazioni telefoniche, ecc. (Silverman, 1992; Gray e Karmen, 1967;
Porter, 1939; Siegel e Haugen, 1964). Le difficoltà a mantenere nel lungo termine la fluenza acquisita in terapia sembrano essere in parte dovute a un marcato
livello di ansia sociale che i PWS presentano (Kraaimaat, Vanryckeghem e Van
Dam-Baggen, 2002; Menzies et al., 2008; Messenger et al., 2004; Schneier,
Wexler e Liebowitz, 1997; Stein, Baird e Walker, 1996). Negli AWS la presenza
di pattern ansiogeni elevati è infatti predittivo degli esiti poco soddisfacenti con
il solo trattamento basato sulla ristrutturazione della fluenza (ad esempio si veda
Kraaimaat, Janssen e Brutten, 1988; Ingham, 1984). Inoltre, come evidenziato
da Guitar e Bass (1978) i pazienti che non beneficiavano durante il trattamento
di programmi atti a modificare la fluenza verbale e parallelamente a ridurre la
malattitudine comunicativa, ottenevano risultati scadenti e non duraturi nel
tempo. La balbuzie impatta negativamente sulla qualità della vita in modo particolare nel funzionamento sociale e nella salute mentale (Craig et al., 2009). Da
quanto finora riportato appare evidente la necessità di adottare, nel trattamento,
procedure atte a ridurre e gestire l’ansia sociale che si presenta in comorbidità
con la balbuzie. E proprio qui che l’utilizzo dell’approccio cognitivo comportamentale entra in gioco presupponendo l’esistenza di un circuito retroattivo tra
cognizione/pensieri e comportamento nel quale i processi cognitivi influenzano
il comportamento, e il cambiamento comportamentale a sua volta influenza le
cognizioni. Nel trattamento dei disturbi d’ansia l’obiettivo diviene pertanto quello
di modificare questo circuito attraverso l’utilizzo di tecniche quali l’esposizione
graduale agli stimoli fobici e la ristrutturazione cognitiva. L’assunto infatti è che
attraverso l’esposizione allo stimolo temuto il paziente avvertirà in breve tempo
127
Balbuzie: assessment e trattamento
una riduzione significativa del livello di ansia e potrà confutare l’irrazionalità dei
pensieri disfunzionali legati alla situazione temuta.
Quali evidenze esistono circa l’efficacia dell’utilizzo della CBT con i pazienti
balbuzienti?
Di seguito verranno esposte alcune ricerche, condotte con AWS, che confermano il buon esito di quei trattamenti che utilizzano programmi e strategie
mutuate dalla CBT. Successivamente, sempre all’interno di questo capitolo, si farà
riferimento alla terapia cognitivo comportamentale nel trattamento dei bambini.
McColl, Onslow, Packman e Menzies (2001) si avvalsero nel trattamento di
11 AWS che riferivano problemi di ansia associati alla balbuzie, di un programma
di impostazione cognitivo comportamentale (Mattick, Peters e Clarke, 1989) che
prevedeva l’utilizzo della ristrutturazione cognitiva per fronteggiare gli aspetti
emotivi legati alla fobia sociale. Tutti questi pazienti riuscirono ad attuare strategie
di ristrutturazione della fluenza in terapia ma non furono in grado di generalizzare e trasferire quanto appreso in nessun contesto naturale (fuori dal set clinico).
Con l’espressione «ristrutturazione della fluenza» ci si riferisce all’acquisizione di
un eloquio potenzialmente privo di balbuzie e che risulti naturale all’ascoltatore
(Onslow e Menzies, 2010). La reattività emotiva risultò clinicamente ridotta al
termine delle 12 sedute di CBT settimanali. Utilizzando lo stesso protocollo di
Mattick e colleghi (1989), St. Clare e colleghi (2009) riportarono miglioramenti (sul
versante cognitivo) ottenuti con 26 AWS dopo 5 giorni di trattamento cognitivo
comportamentale intensivo. Questi cambiamenti furono rilevati confrontando i
punteggi ottenuti dai pazienti alla UTBAS prima e dopo il trattamento. La UTBAS
è una checklist di 66 item che identifica i pensieri intrusivi negativi sperimentati
frequentemente dal soggetto balbuziente (St. Clare et al., 2009). Ognuno dei 26
partecipanti dimostrava al retest post trattamento una diminuzione significativa
del punteggio ottenuto: la riduzione era intorno al 40% con un effect size molto
ampio (2,5) che suggerisce una significatività clinica del risultato. Si tratta di esiti
confermativi di uno studio preliminare di Ezrati-Vinacour e colleghi (2007). Ermes,
Marcom e Hermesh (2008) esaminarono l’efficacia di un gruppo di trattamento
CBT con 13 AWS che soffrivano di balbuzie e di ansia sociale (in comorbidità).
In questo studio era previsto un gruppo di controllo di pazienti affetti da ansia
sociale ma non da balbuzie. I risultati riportano un miglioramento, successivo a 18
sedute settimanali di psicoterapia di gruppo (ognuna giornaliera e di una durata
di circa 90 minuti). Il programma di trattamento includeva: psico-educazione
sull’ansia sociale, ristrutturazione cognitiva, esperimenti comportamentali, e il
128
Il trattamento della balbuzie
tentativo di eliminare i comportamenti secondari e gli evitamenti comunicativi.
Inoltre gli AWS eseguivano una misurazione del livello di gravità della balbuzie
(pre e post trattamento), del livello di ansia, di depressione e della reattività emotiva
alla balbuzie. In entrambi i gruppi si ottenne una significativa diminuzione del
livello di ansia sociale (effect size = 1,10), ma nessuna riduzione della severità della
balbuzie. Menzies e colleghi (2008) condussero un trial clinico sperimentale con
un programma CBT, 32 AWS furono casualmente assegnati a due gruppi: uno
di ristrutturazione della fluenza (gruppo di controllo), l’altro di ristrutturazione
della fluenza e CBT. In questo secondo gruppo (sperimentale) i pazienti seguirono
10 settimane di psicoterapia cognitivo comportamentale (una seduta di un’ora a
settimana) e successivamente 14 ore di ristrutturazione della fluenza. La scelta di
utilizzare la CBT prima delle strategie di modificazione della fluenza era dettata
dalla necessità di poterne valutare l’efficacia nel ridurre l’ansia sociale e, congiuntamente, il livello di severità della balbuzie. Il gruppo di controllo non ricevette nessun
trattamento per 10 settimane e successivamente ricevette lo stesso trattamento del
gruppo sperimentale, 14 ore di un programma di ristrutturazione della fluenza. I
risultati, ottenuti dal follow-up dopo 12 mesi dalla fine del trattamento, misero in
luce come la sola ristrutturazione della fluenza non modificava l’ansia sociale anche
se migliorava la fluenza verbale dei partecipanti. Anche i partecipanti assegnati al
gruppo sperimentale manifestavano una sostanziale diminuzione dell’ansia sociale
e degli evitamenti comunicativi con una riduzione degli episodi di balbuzie solo
dopo aver seguito anche il programma di ristrutturazione della fluenza. Craig,
Feyer e Andrews (1987), in una rassegna circa l’esito del trattamento con 191 AWS
(tecniche di riduzione della balbuzie abbinate alla ristrutturazione cognitiva), conclusero asserendo che tutte le componenti del programma avevano contribuito a
un buon successo terapeutico e nessuna sembrava aver influito maggiormente delle
altre. Nielson (1999) descrisse gli esiti positivi raggiunti con un trattamento che
si avvaleva sia di procedure CBT sia di tecniche di ristrutturazione della fluenza.
Questi dati evidenziano ancora una volta l’importanza di lavorare, nel trattamento
della balbuzie, contemporaneamente sia sulle caratteristiche manifeste del disordine
sia sugli aspetti emotivi/cognitivi al fine di ottenere un buon esito clinico. Sembrerebbe inoltre necessario individuare un programma multidimensionale, diretto
a quei pazienti affetti sia da balbuzie sia da ansia sociale, che potesse combinare
l’utilizzo di tecniche di ristrutturazione della fluenza a tecniche di modificazione
cognitiva. Per concludere questa rassegna di studi sull’utilizzo della CBT si riporta
quanto affermato da un AWS alla conclusione del trattamento in uno studio di
Plexico e colleghi: «il passaggio da una vita dominata dal tema della balbuzie a una
nella quale la balbuzie viene gestita con successo richiede cambiamenti cognitivi e
comportamentali» (Plexico et al., 2005, p. 14).
129
Balbuzie: assessment e trattamento
Il trattamento diversificato per fasce di età
L’approccio cognitivo comportamentale si pone come obiettivo l’aiutare il
paziente a ristabilire i processi psico-cognitivi e modificare i comportamenti disfunzionali e disadattivi alla base della psicopatologia. Il tutto senza trascurare la parte
emotiva dell’individuo attraverso il riconoscimento, la rimodulazione e il controllo
delle proprie emozioni, divenute eccessivamente intense e/o durature (Galeazzi e
Meazzini, 2004). Facendo riferimento a quanto appena asserito, la terapia cognitivocomportamentale applicata ai soggetti balbuzienti, prende in considerazione l’alterazione della fluenza dell’espressione verbale e la vasta gamma di elementi accessori che
accompagnano il disturbo (tecniche di modificazione del comportamento verbale
e di soppressone dei comportamenti secondari), ma soprattutto la modificazione
della malattitudine comunicativa e dei pensieri disfunzionali. Le strategie utilizzate
per raggiungere questi obiettivi cambiano a seconda del modello di trattamento e
ovviamente dall’età del paziente. Esistono numerosi approcci in riferimento alla
balbuzie ma i trattamenti evidence based risultano in questo campo estremamente
limitati e generalmente riguardano le procedure comportamentali e gli approcci
di costruzione della fluenza (fluency shaping) (Boberg e Kully, 1994; Craig et al.,
1996; Ingham et al., 2001; Onslow et. al., 1996). Andremo adesso a esaminare le
tre componenti primarie della balbuzie e in che modo, indipendentemente dall’età
del paziente, sia possibile lavorare nel percorso terapeutico su ognuna di esse al fine
di ottenere una riduzione del livello di severità del disturbo e dei comportamenti
secondari e congiuntamente un miglioramento delle componenti emotive (Curlee,
1993; Langevin e Kully, 2003; Smith e Kelly, 1997; Yaruss, 2001).
1. Nucleo della balbuzie (frequenza della balbuzie, durata degli episodi di balbuzie).
2.Comportamenti secondari (evitamento e fuga).
3.Aspetti emotivi della balbuzie (sentimenti, attitudini, percezione di sé).
Successivamente verranno illustrati alcuni dei principali modelli di trattamento di stampo cognitivo comportamentale che sono stati più spesso utilizzati
in ambito clinico. Infine, ampio spazio verrà dedicato alla descrizione e alla
messa in evidenza di punti di forza e fragilità di tre programmi utilizzati con i
CWS prescolari (Lidcombe Program), scolari (PCI Program) e con gli adulti che
balbettano (Comprehensive Stuttering Program).
Nucleo della balbuzie
Storicamente la dicotomia nel trattare gli aspetti manifesti della balbuzie si
è sempre giocata tra due approcci: il Fluency Shaping (costruzione della fluenza)
e lo Stuttering Modification (modificazione della balbuzie).
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