Incertezze per il riuso delle terre da scavo

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& cantieri
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Spunti di riflessione sulla normativa italiana
Incertezze per il riuso
delle terre da scavo
Fabrizio Bonomo, Luisa Casazza
Un convegno organizzato dalla Società Italiana Gallerie (SIG) al Samoter 2014 ha
evidenziato le problematiche della normativa italiana sulle terre e rocce da scavo
provenienti da opere in sotterraneo, ed in particolare di quelle trattate con agenti
condizionanti utilizzati per scavi di gallerie con TBM EPB, e il diverso approccio che
riescono ad avere altri paesi dell’UE, pur nel rispetto della stessa normativa europea
di base, per non parlare di quanto avviene nel mondo
Particolare degli impianti nell’isola di Wallasea, sul Tamigi, per il deposito di una parte delle terre da scavo provenienti dai lavori per
la nuova linea ferroviaria Crossrail, sotto Londra
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C
he il riuso delle terre da scavo in
altre opere infrastrutturali o ambientali sia ancora un problema
aperto lo si è scritto più volte su queste
pagine (vedi ad esempio Q&C dell’ottobre 2013), mostrando le difficoltà di attivazione di questo circolo virtuoso, frenato da incertezze legislative e paure sociali, nonostante la normativa europea, e
in teoria anche quella nazionale, punti proprio a evitare lo smaltimento in discarica.
Più che meritorio è quindi il convegno organizzato nel maggio scorso a Verona
dalla Società Italiana Gallerie (SIG), che
essere recuperate per successivo uso
pubblico (ad esempio la realizzazione di
altre opere pubbliche) per evitare uno
spreco importante, facendo venire meno
una risorsa economica.
Inoltre – aggiungono Fulvio Maria Soccodato, Francesca Romana Ietto e Serena
Majetta, della Direzione centrale Progettazione di Anas Spa – all’opportunità di
risparmio economico si aggiunge anche
una concreta occasione di ricerca di soluzioni sostenibili che medino tra la concezione più antica del rifiuto, inteso appunto come qualcosa di cui disfarsi, e
l’accezione più moderna di risorsa rigenerata, materiale da coinvolgere nuovamente nei processi di trasformazione del
territorio.
Complicazioni sociali e
normative
ha cercato di fare luce, con un respiro internazionale, sul tema complesso e delicato delle Terre e rocce da scavo delle
opere in sotterraneo, quelle che per forza
maggiore necessitano di additivi o materiali non naturali per il sostegno/consolidamento del fronte in avanzamento.
Sin dal titolo – “Un problema o una opportunità?” – il convegno segnala la contraddittorietà della situazione italiana riguardo alla possibilità di un riuso di queste terre, perchè si registrano modalità
di gestione e interpretazioni delle norme
molto diverse e poco coerenti tra loro,
messe in luce da diversi relatori e in particolare da una ricerca di Italferr (la società di ingegneria del gruppo Ferrovie
dello Stato Italiane) sulla situazione in Italia, in Europa e nel mondo, coordinata da
Andrea Pigorini (che è anche il nuovo Presidente SIG), e condotta da Antonello
Martino, Francesca Martelli, Sara Padulosi e Daniela Putzu.
E’ un paradosso, perchè le finalità dichiarate della normativa del nostro Paese in
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materia ambientale, rinnovata negli ultimi
anni, e prima ancora quella europea da
cui in parte deriva, puntano tutte verso il
riuso.
Lo sottolinea ad esempio Massimo Perin, Consigliere della Corte dei conti, nel
suo intervento al convegno, ribadendo
che le rocce e le terre da scavo devono
Certo è che spesso le situazioni si complicano, anche per il semplice riuso di materiali come quelli da fresatura delle pavimentazioni stradali o meglio ancora quelli
da demolizione di edifici e opere d’arte,
dai quali si possono ottenere ottimi inerti,
stabilizzati in impianto con calce o cemento, o entrambi.
All’estero il circolo virtuoso è attuato da
tempo e realizzato proprio da grandi protagonisti del settore delle costruzioni,
come ad esempio Eurovia, società del
gruppo Vinci, che ha base in Francia ed
Uno degli impianti di trattamento e il riuso degli inerti da costruzione, realizzati in Francia
dalla società Eurovia, del gruppo Vinci
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è considerato il primo gruppo mondiale
integrato di concessioni-costruzioni, con
oltre 180 mila dipendenti e un volume
d’affari di 38,6 miliardi di euro.
Questo gruppo si occupa di tutto il ciclo
di vita di una infrastruttura, cioè progettazione, costruzione e gestione, e spazia
dalle autostrade agli aeroporti, dalle ferrovie ai parcheggi e agli stadi (gestisce
metà della rete autostradale francese, oltre 4 mila chilometri, e 13 aeroporti di cui
10 in Francia e 3 in Cambogia).
Ebbene, dispone di oltre cento impianti
di trattamento delle macerie e reimpiega
il materiale nella sua attività; addirittura
le macerie le acquista, per alimentare il
proprio ciclo di produzione di materie
prime secondarie.
In Italia invece si paga per conferire le macerie nei siti autorizzati, e in generale ci
si muove in un quadro complesso, spesso
oscuro e reticente, legato alla farraginosità della normativa, o ai fenomeni di malcostume che purtroppo si verificano e innescano diffidenze e paure sociali.
Del resto, nel settore ambientale qualsiasi
informazione può essere interpretata male,
specie se riportata in modo distorto o superficiale, come avviene spesso fuori
dall’ambito degli addetti ai lavori, così che
il riuso o “riciclaggio” è visto dall’opinione
pubblica come un sistema di interramento
di rifiuti.
Quindi, da una parte c’è ignoranza sugli
aspetti specifici, dall’altra sospetto, e
dall’altra ancora reticenza, e nessuno
vuole guai (Istituzioni, organi di controllo,
committenze progettisti, imprese ecc.).
La normativa ambientale poi non aiuta; ci
sono leggi emanate in tempi diversi e in
contrasto le une con le altre, che fissano
regole differenti per uno stesso elemento.
Un esempio eclatante: l’acqua potabile
in bottiglia, che ha limiti meno stringenti
di quelli per lo scarico al suolo dell’acqua,
così che se si beve non ci sono problemi,
ma se la si vuota sul terreno si potrebbe
essere sanzionati penalmente, perchè
non rispetta i limiti dello scarico al suolo.
Quindi definire un inquinamento non è
una cosa banale, e diversi esperti del
mondo ambientalista confermano che il
tema è effettivamente spinoso, perchè
le definizioni non sempre sono precise,
e i confini fra “materiale di recupero” e
“rifiuto” sono spesso sfumati e confusi;
il rischio di equivoci, malintesi e conflitti
è dunque elevato, e questo spiega la “riservatezza” con la quale il tema viene
trattato.
Lo smarino delle opere
in sotterraneo
Il problema si complica ulteriormente per
le terre e rocce da scavo di gallerie – non
a caso il tema centrale del convegno SIG
di Verona – specie quelle con frese Tbm
di tipo Epb, che effettuano l’avanzamento
mantenendo in pressione il fronte di scavo
e sono oggi la tecnologia più avanzata
per realizzare gallerie superficiali in ter-
Testa della Tbm “Ellie”, utilizzata per lo scavo della canna est della diramazione verso
Stratford della ferrovia Crossrail di Londra
reni con granulometria fine e in contesti
ambientali complessi, come ad esempio
quelli in ambito urbano.
Il nodo critico (in termini di riuso dello smarino), è che l’avanzamento avviene con la
camera di scavo costantemente e completamente piena del materiale estratto,
“condizionato” attraverso ugelli installati
sulla testa fresante con tensioattivi,
schiume e polimeri, in funzione delle caratteristiche granulometriche dei terreni
da scavare.
Il “condizionamento” dei terreni è il punto
di forza della Tbm-Epb, perchè garantisce
una distribuzione omogenea e uniforme
di pressione di terra al fronte con cali minimi di pressione tra un avanzamento
(spinta) e quello successivo.
Ad oggi non ci sono alternative all’uso di
additivi per le Tbm-Epb, ma questo complica il riuso dello smarino, anche se le
case produttrici li dichiarano biodegradabili, non classificabili come rifiuti tossici o
pericolosi.
Lo dimostra la ricerca di Italferr presentata al convegno di Verona, dalla quale
emerge che, nonostante siano noti da
tempo i prodotti utilizzati per il condizionamento del terreno, non esistono approcci codificati che delineino chiaramente
ed univocamente quali siano i limiti di concentrazione delle sostanze presenti negli additivi a cui riferirsi, e quali siano i test
da effettuare per la relativa verifica.
Si tratta di aspetti fondamentali – sottolineano gli autori della ricerca – necessari
affinché le diverse Committenze possano
allinearsi nelle modalità di gestione delle
terre e rocce da scavo.
Il problema si ripropone poi anche per lo
scavo in tradizionale delle gallerie, come
dimostra la recente cronaca giudiziaria
sul versante toscano dell’Alta velocità
Bologna-Firenze, a causa dei materiali utilizzati per i consolidamenti del fronte, cioè
elementi strutturali in vetroresina (vtr),
pvc e spritz-beton, che a volte sono interpretati come materiali inquinanti, anche se presenti con percentuali minime,
non più del 2 per cento.
Il risultato è che in caso le Autorità preposte adottino una interpretazione conservativa delle norme, si arrivi a iter di approvazione particolarmente complessi,
articolati e dilazionati nel tempo.
Campionamento sul fronte di scavo del
Passante ferroviario di Genova, effettuato
su richiesta della Regione Liguria
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Le linee d’indirizzo della
normativa europea
Ultimi sviluppi della
normativa italiana
La normativa italiana in materia di rifiuti
fa riferimento in origine alle linee di indirizzo della Direttiva europea sul trattamento dei rifiuti, la 2008/98/CE del 19
novembre 2008 e alle successive Linee
guida di interpretazione emanate dalla
Commissione UE nel giugno 2012.
La Direttiva, recepita due anni dopo dall’Italia (Dlgs 205/2010), definisce e codifica alcuni concetti basilari come le nozioni di rifiuto, recupero e smaltimento,
e stabilisce le misure per proteggere
l’ambiente e la salute dell’uomo, quali la
riduzione dell’uso delle risorse e il relativo riutilizzo, introducendo inoltre il concetto di sottoprodotto.
Di fatto definisce e valorizza anche il riciclaggio, che aveva cominciato a trovare spazio in altre norme ambientali,
come il Decreto 203/2003 dell’8 maggio 2003, con il quale si indicava, per gli
acquisti della Pubblica Amministrazione,
l’obbligo di una quota minima del 30 per
cento di prodotti ottenuti da materiale
riciclato, in generale.
Le Linee guida entrano poi nello specifico, qualificando come sottoprodotto,
e non rifiuto, quel residuo di produzione
(“una sostanza non deliberatamente prodotta in un processo di produzione”)
che soddisfi quattro condizioni: certezza
dell’utilizzo; utilizzo diretto senza un ulteriore trattamento diverso dalla normale
pratica industriale; sostanza prodotta
come parte integrante di un processo
produttivo; assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente e sulla salute.
Le Commissione UE precisa inoltre che
“la decisione per la quale una particolare sostanza od oggetto sia un sottoprodotto deve essere presa prima di
tutto dal produttore di quella sostanza
insieme alle Autorità nazionali competenti, sulla base della normativa vigente”.
E’ evidente – segnalano i relatori di Italferr – che, per la normativa UE, le terre
e rocce da scavo possano e anzi debbano essere considerate un sottoprodotto e non un rifiuto.
La risposta italiana alle indicazioni comunitarie è un succedersi di norme e leggi,
finalizzate a regolamentare, chiarire e semplificare il riuso dei materiali e la gestione
delle terre e rocce da scavo.
Oggi le norme di riferimento sono il decreto 161 del 10 agosto 2012 del Ministero dell’Ambiente (“Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle
terre e rocce da scavo”), in vigore dal 6
ottobre 2012, integrato poi, dopo le prime
verifiche applicative, dalla legge 71 del 24
giugno 2013 e, soprattutto dalla legge 98
del 9 agosto 2013.
Il Decreto 161/2012 ha lo scopo dichiarato di migliorare l’uso delle risorse naturali e prevenire la produzione di rifiuti,
stabilendo i criteri qualitativi e quantitativi da soddisfare affinché i materiali di
scavo siano classificabili come sottoprodotti, quindi reimpiegabili in nuove opere,
e non “rifiuti”, assoggettati a una disciplina speciale (ex parte IV del Dlgs
152/2006) e destinati a impianti di recupero o smaltimento. In particolare il concetto di “opere” viene ampliato a quelle
infrastrutturali e di scavo, e si ammette
che lo smarino può contenere materiali
estranei come cls, bentonite, pvc, vetroresina, miscele cementizie e additivi vari.
Fulcro dell’intero provvedimento è rappresentato dal Piano di utilizzo (PdU) delle
terre e rocce da scavo, un documento da
presentare all’Autorità competente, che
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può approvarlo, rifiutarlo o chiedere integrazioni.
La legge 98/2013 introduce ulteriori disposizioni, precisando gli ambiti di applicazione delle diverse casistiche e chiedendo un’autocertificazione sul rispetto
di alcune condizioni: destinazione certa
all’utilizzo presso uno o più siti o cicli produttivi determinati; valori di contaminazione non superiori a quanto previsto dalla
normativa ambientale (colonne A e B, tab.
1, all. 5, parte IV del Dlgs 152/2006) nel
caso siano destinati a recuperi, ripristini,
rimodellamenti, riempimenti ambientali;
nessun rischio per la salute in caso di destinazione a successivi cicli di produzione.
Per rispettare queste due ultime indicazioni non è necessario sottoporre i materiali di scavo ad alcun trattamento preventivo, fatto salvo le normali pratiche industriali e di cantiere.
In altre parole, il nuovo quadro normativo
propone tre alternative nella gestione dei
materiali da scavo: riutilizzo, se il materiale è suolo non contaminato; utilizzo
come sottoprodotto in un sito diverso da
quello di produzione (applicando il regolamento del Decreto 161/2012 se si tratta
di materiali da opere sottoposte al VIA
e/o AIA o con volumi superiori a 6 mila
metri cubi, mentre se non rientrano in questa casistica è sufficiente un’autocertificazione sul rispetto delle condizioni previste dall’art. 41 bis della Legge 98/2013);
recupero del materiale in regime di “rifiuto” quando non ha i requisiti dei due
casi precedenti.
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Contrasti interpretativi e
difficoltà burocratiche
Fin qui le norme, ma il passaggio dalla
teoria alla pratica mostra che la gestione
delle terre e rocce da scavo costituisce
ancora un problema di tipo giuridico, amministrativo e burocratico.
Infatti – puntualizzano diversi relatori al
convegno SIG – nonostante il decreto
161/2012 stabilisca con chiarezza i criteri
e i requisiti per poter considerare i materiali come sottoprodotti, la sua applicazione varia da progetto a progetto, da Regione a Regione, con interpretazioni differenti e non concordi da parte delle diverse Autorità competenti.
Anche se per lo smarino delle frese TbmEpb la tendenza generale è di esclusione
dal regime dei rifiuti, questa mancanza di
unicità interpretativa e i problemi burocratici portano a un effetto paradossale – segnalato da Francesca Baiocco del gruppo
Salini-Impregilo – cioè che il conferimento
in discarica, come rifiuto, possa affermarsi
come la soluzione, apparentemente più
complessa ma certamente più garantista.
I processi di gestione delle terre e rocce
da scavo nei cantieri di nuove infrastrutture sono realmente molto complessi –
ammettono i relatori della Direzione Progettazione di Anas Spa – risultando tra
loro spesso molto differenti e con caratteristiche e peculiarità specifiche legate
alle singole opere o ai siti ove ne è prevista la realizzazione.
Un primo aspetto critico sono i vincoli cui
sono sottoposti i Piani di utilizzo, che devono avere un livello di precisione elevato
sin dalle prime fasi di progettazione, anche quando la conoscenza delle opere e
del territorio non consente ancora un dettaglio effettivo, ad esempio nei progetti di
infrastrutture strategiche, per i quali il Piano
è richiesto già a livello di Preliminare.
Problemi ci sono anche rispetto alla certezza dell’utilizzo, perchè i tempi lunghi
che spesso intercorrono tra la progettazione e la cantierizzazione – dell’ordine di
diversi anni a volte necessari per l’iter autorizzativo e di appalto, o di reperimento
dei finanziamenti – aprono al rischio che
il sito di destinazione previsto possa non
essere più disponibile.
Un altro aspetto critico – continuano i relatori Anas – è la caratterizzazione preventiva, certamente positiva per evitare
la movimentazione incontrollata di terreno
contaminato e ottenere una maggiore conoscenza del territorio sin dalle prime fasi
progettuali, ma può essere troppo anticipata rispetto allo sviluppo progettuale e
come tale, oltre ad essere onerosa, rischia di essere prematura, tanto da dovere essere ripetuta e/o integrata nelle
fasi progettuali successive.
A questo si aggiunge il rischio puramente
burocratico della perdita di qualifica di sottoprodotto, e quindi il passaggio automatico alla gestione come rifiuto, ad esempio per semplici inadempimenti della
norma, come la mancata compilazione del
documento di trasporto, o lo scadere dei
termini temporali del Piano di utilizzo, o
dei termini di comunicazione delle varianti.
In altre parole, le semplificazioni introdotte
per agevolare e incentivare il recupero dei
materiali e ridurre il ricorso a cave per l’approvvigionamento (e a discariche per lo
smaltimento), rischiano di vanificarsi a
causa di una tempistica e un appesantimento documentale che, mancando di
flessibilità, comporta una notevole dilazione dei tempi e un aumento dei costi,
tanto da scoraggiare una gestione più ambientalmente sostenibile dei cantieri.
Esempi in Italia
Indipendentemente dalla normativa di riferimento vigente però, quanto emerge
dai diversi progetti in Italia analizzati dalla
ricerca Italferr o presentati al convegno,
risulta che a volte le Committenze e le
Autorità competenti si orientano verso
l’esclusione del materiale scavato dal regime dei rifiuti e il suo riuso come inerte
per riempimenti, rinterri, rilevati ecc.
In altri casi, come per i progetti in area romana (metropolitane B1 e C), è invece
prevista l’inclusione nel regime dei rifiuti,
applicando però un codice CER (Codice
Europeo Rifiuto) diverso: 01-05-99 in un
caso, 17-05-04 nell’altro.
Fra gli esempi di riuso si segnala la linea
M4 della metropolitana di Milano – presentato da Enrico Campa e Cesare Umiliaco di Astaldi Spa – lunga circa 15 chilometri, tutta in galleria, scavata in parte
con Tbm-Epb, che sulla base degli esiti di
caratterizzazione prevede due tipi di riutilizzo dello smarino, in conformità con il
Decreto 161/2012, privilegiando il sito
stesso dell’opera per riempimenti e/o rinterri degli scavi, come da prescrizione
Cipe.
Lo stesso vale per numerosi interventi
presentati da Anas, come l’ammodernamento della tratta Palermo-Lercara della
Statale 121 Palermo-Agrigento, dove i
Quadro dei materiali di scavo prodotti per il Passante ferroviario di Genova e oggetto del
relativo Piano di utilizzo
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materiali da scavo delle lunghe gallerie
sono riutilizzati in altri tratti della stessa
opera per migliorarne l’inserimento paesaggistico-ambientale o come schermatura acustica.
Nell’ammodernamento del tratto AttiliaFalerna della Salerno-Reggio Calabria, il
materiale da scavo è invece utilizzato per
rinaturalizzare i versanti dei tratti da dismettere, anche ricomponendone la morfologia originaria.
Analogamente, nel progetto della nuova
Statale 125 Orientale Sarda, nel tratto
Terra-Mala-Capo Boi (circa 100 mila metri cubi di smarino), è utilizzato per stabilizzare il piede di un versante in frana,
riqualificandolo anche dal punto di vista
ambientale.
Valenza ambientale e, contemporaneamente, elemento di ottimizzazione della
gestione materie è invece l’intervento di
riqualificazione della Cava Agrippina, le-
Particolare di una delle
soluzioni di riuso delle terre di
scavo previste nel progetto di
ammodernamento del tratto
Palermo-Lercara della Statale
121 Palermo-Agrigento
Progetto di riambientalizzazione dell’ex cava Cutizza con l’utilizzo del materiale di scavo
derivante dai lavori di riassetto del nodo ferroviario di Bari
gato al progetto di ammodernamento
della Statale 117 Centrale Sicula.
Da segnalare anche il caso di scavo con
avanzamento in tradizionale presentato
da Italferr, cioè l’attraversamento in sotterraneo del nodo ferroviario di Genova,
dove l’opportunità di assoggettare la gestione dei materiali di scavo al Decreto
161/2012, le modalità di elaborazione
del Piano di utilizzo nonchè il suo processo di approvazione sono state costantemente condivise con gli Enti coinvolti.
I siti di destinazione finale previsti sono
le parti d’opera interne al cantiere (formazione di opere in terra), la Cava Gneo
(utilizzo in processi produttivi), e le cave
Cascina Viscarda e Cascina Girasolina
(riqualifica ambientale).
Non mancano però le difficoltà, nonostante la rispondenza della documentazione ai criteri del Decreto 161/2012 e
il proficuo confronto e la condivisione con
gli Enti territoriali coinvolti (Regione e Arpal) sugli aspetti tecnici e procedurali: a
più di un anno dall’avvio della procedura,
l’efficacia del PdU è ancora condizionata
all’ottemperanza delle prescrizioni regionali del Dgr 224/2014.
Un esempio è la richiesta di fornire elementi tecnici sulla gestione dei materiali
di scavo – sia in esclusione dal regime
dei rifiuti che come rifiuto – e la realizzazione di caratterizzazioni preliminari all’avvio delle attività di scavo per la definizione
del chimismo delle rocce, peraltro da eseguirsi secondo modalità di campionamento e metodiche analitiche non ben disciplinate dal Decreto 161/2012 nel caso
di materiali litoidi.
Esperienze estere
Un quadro variegato emerge anche da
una serie di progetti in Europa e nel
mondo.
Ad esempio, gli scavi di gallerie con TbmEpb a Copenaghen, Karlsruhe e Vancouver sono orientati al riutilizzo tal quale del
materiale scavato, previa verifica ambientale; di fatto la gestione si fonda sul principio della Valutazione del rischio ambientale (Environmental Risk Assessment), e
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Diagramma di flusso del piano di Gestione del materiale di risulta da scavo della linea 5
della metropolitana di Bucarest
quando il materiale rispetta i limiti ambientali può essere riutilizzato senza essere
sottoposto al regime dei rifiuti.
Viceversa, i progetti per la nuova ferrovia Crossrail sotto Londra e per la seconda linea della metropolitana di Varsavia, prevedono il riutilizzo delle terre e
rocce da scavo come forma di recupero
di rifiuto, attribuendo un codice Cer 1705-04; per il progetto Crossrail la gestione in regime di rifiuto è stata dovuta
alla non certezza sul quantitativo da poter riutilizzare
nel sito individuato (vedi appresso).
Soluzioni simili sono adottate per lo smarino della linea 5 della metropolitana di
Bucarest, reimpiegato nella
composizione di calcestruzzi o per bonifiche ambientali.
Veduta dell’area naturalistica umida di Wallasea
Logistica delle terre da scavo della linea ferroviaria Crossrail, sotto Londra
Per il progetto londinese – presentato da
John Davis e Lorna Russell, di Crossrail
– che interessa una nuova linea lunga 100
chilometri, con 42 chilometri di gallerie –
è da sottolineare che lo smarino prodotto
negli scavi con fresa Tbm-Epb, circa 3 milioni di tonnellate, metà del volume complessivo previsto, viene recuperato senza
ulteriori trattamenti, se non lo stoccaggio/asciugatura, attraverso il deposito
nell’isola di Wallasea, in Essex. Si tratta
di una riserva naturale a circa 60 chilometri da Londra, che oggi si estende su
115 ettari e rappresenta la zona umida
più grande del Regno Unito, ma con il
riuso dello smarino aumenterà le sue dimensioni fino a diventare la maggiore
d’Europa, necessaria per attirare uccelli
e altra fauna acquatica ai fini tra l’altro
della ripopolazione degli uccelli minacciati
di estinzione. E’ evidente come questo
processo virtuoso di riutilizzo avvenuto
nel pieno rispetto della normativa europea, si sia potuto mettere in pratica grazie anche all’approccio pragmatico britannico che ha permesso l’attribuzione del
corretto significato alla parola “waste”
(in italiano letteralmente “scarto”), che
in Italia invece viene tradotto “rifiuto” con
tutte le conseguenti paure che questo
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Uno dei nastri inclinati per il trasporto in superficie delle terre da scavo della linea 5 della
metropolitana di Bucarest
termine ingenera nei non addetti ai lavori. Ne consegue un’amara constatazione: quando mai in Italia si sarebbe potuto realizzare un’isola faunistica con del
“rifiuto”?
Quanto al volume di smarino della linea
2 di Varsavia (circa 1.500 metri cubi al
giorno per due Tbm), Enrico Campa e
Cesare Umiliaco di Astaldi Spa segnalano che, già classificato come rifiuto,
viene trasportato su gomma al luogo di
stoccaggio finale, distante circa 35 chilometri, e interamente recuperato come
riempimento di una futura area di lottizzazione residenziale.
Per le gallerie della linea 5 del metrò di
Bucarest, scavate con due Tbm contemporaneamente (una produzione massima
giornaliera di 1.400 metri cubi) lo smarino costituito dalle sabbie, per un totale
di 20 mila metri cubi, viene riutilizzato
nella composizione di calcestruzzi, mentre per il resto sono argille con cui per
ora si stanno colmando delle aree nella
periferia di Bucarest.
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terials Management Plan (Emmp) che il
contraente è tenuto a presentare prima
dell’inizio di qualsiasi operazione di movimentazione del materiale e sistemazione
finale.
Quello che spicca è la tempistica e la semplificazione burocratica.
Ad esempio, per il progetto sono stati presentati due piani di gestione, perché relativi a due diverse fasi di scavo, ma entrambi sono stati approvati in meno di un
mese dalla presentazione.
In California, una volta che l’opera è approvata, in pochi giorni si ottengono le autorizzazioni al piano di gestione.
Poi, l’autorizzazione alla gestione viene rilasciata dalla stessa Autorità che ha commissionato l’opera, con il controllo e sup-
Schema della linea Crossrail di Londra con lo stato di avanzamento al giugno 2014 delle
diverse Tbm impiegate
Gli Usa e l’esperienza del
metrò di San Francisco
Di tutt’altro significato è l’estensione della
Central Subway di San Francisco, che
prevede l’estensione in sotterraneo
dell’attuale linea “T” della metropolitana
in superficie che attraverserà il centro
della città.
Il caso – presentato al convegno SIG da
Francesca Baiocco del gruppo Salini-Impregilo – dimostra che le procedure adottate in California sono comunque complesse, stringenti e severe, ma garantiscono però una gestione certa e univoca
in tutto il territorio, dove il controllo sull’applicazione e rispetto delle norme è delegato da ciascun ente al Committente
dell’opera che approva il piano di gestione
e discarica del materiale, l’Excavated Ma-
porto di un dipartimento interno al Municipio dei lavori pubblici.
Quanto alla documentazione da presentare in Italia, il Decreto 161/2012 comporta l’obbligo di una serie (numerosa) di
allegati tecnici, cartografici, ambientali e
geologici che seppur presenti nel progetto
approvato vanno comunque presentati di
nuovo affaticando e complicando un processo che dovrebbe essere semplice; viceversa, in California è sufficiente far riferimento alla documentazione progettuale
già approvata e in possesso dell’amministrazione (che come già detto è l’unica
Autorità Competente).
Ancora, riguardo alla comunicazione preventiva, l’allegato 6 del Decreto prevede
che siano comunicati all’Autorità competente una serie di dati prima del trasporto,
mentre in California è sufficiente quanto
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dichiarato e allegato al Piano di gestione,
trasmesso senza ulteriori invii.
Il Documento di trasporto poi, che per il
161/2012 è complesso e articolato, in
California è sufficiente che ogni trasportatore dichiari e porti con se le generalità
del progetto per cui fa il trasporto, la tipologia di materiale che trasporta, generalità della società di trasporto, generalità
sito di destino del materiale, stima del numero di viaggi (quest’ultimo dato peraltro
su richiesta del Committente e non dalla
normative).
Infine, negli Usa non sono previste le molteplici eccezioni del Decreto 161/2012,
che fanno decadere la qualifica di sottoprodotto anche dopo una gestione conforme a un piano, una per tutte la mancata presentazione del Documento di avvenuto utilizzo.
Conclusioni
A distanza di anni e di numerose leggi
che avrebbero dovuto chiarire e semplificare l’argomento, la gestione delle terre
e rocce da scavo costituisce ancora un
problema di tipo giuridico, amministrativo
e burocratico.
L’attuale normativa, ancora complessa e
macchinosa, non è riuscita a ridurre la
produzione di rifiuti con conseguente
smaltimento in discarica e soprattutto a
dare univocità nella gestione tra le varie
regioni italiane, divario che continua ad
esserci a distanza di 20 anni (1995 ap-
Foto zenitale del sito di deposito per i rifiuti e gli altri materiali di scavo della metropolitana di San Francisco
provazione in Conferenza di servizi del
progetto per la costruzione della linea
ferroviaria della Bologna - Firenze).
L’attuale Decreto ministeriale 161/2012,
nonostante sia chiaro nella definizione di
cosa sia un sottoprodotto risultante dagli scavi in galleria, non è riuscito nell’intento perché si riscontrano diverse applicazioni.
Permangono pertanto le difficoltà da parte
delle società operanti nel settore delle
grandi opere nella gestione univoca del
materiale prodotto dagli scavi che porterebbe ad un epilogo che vede come
unica soluzione il conferimento dei rifiuti
in discarica, apparentemente più complessa ma certamente più garantista.
Dal convegno SIG è quindi emerso che,
a fronte delle complessità progettuali ed
autorizzative, è necessario che in corso
Veduta aerea naturalistica dell’isola di Wallasea
Testa fresante della Tbm “Jessica”, utilizzata per lo scavo della canna ovest della
diramazione verso Stratford di Crossrail
d’opera gli Enti preposti al controllo attuino quanto previsto nei Piani di utilizzo approvati in quanto eventuali modifiche all’interpretazione originaria potrebbero non
garantire la realizzabilità delle opere infrastrutturali nel rispetto dei tempi e dei
costi valutati.
Sarebbe perciò necessario addivenire ad
un quadro normativo nazionale chiaro ed
univocamente interpretabile tale che,
nell’ambito delle opere infrastrutturali realmente sostenibili, il riutilizzo dei materiali di scavo rappresenti un’opportunità
e non un limite alla realizzazione delle
stesse.
La SIG si è posta l’obiettivo di intercettare questo bisogno di chiarezza e per
questo ha proposto la creazione di un
gruppo di lavoro a cui i tecnici interessati
a fornire il proprio contributo, sono invitati ad aderire. n
Settembre 2014
quarry & construction
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