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L’ultima dottrina filosofica di Pasolini:
la mutazione antropologica
di Enrico Petris
Indice
Introduzione
Il discorso di Pasolini
Il discorso di Cefis
Il discorso delle BR
La dimensione filosofica del discorso di Pasolini
2
pag. 3
pag. 6
pag. 11
pag. 19
pag. 22
Introduzione
Di una mutazione antropologica, in senso lato, in Italia parlano a
metà degli anni Settanta pressoché contemporaneamente tre diversi
soggetti: Pasolini, Cefis e le Brigate rosse. In un passo delle
Lettere luterane Pasolini dice che nella mutazione antropologica
“si tratta…della perdita dei valori di una intera cultura: valori che però non sono stati
sostituiti da quelli di una nuova cultura”1.
Ne parla cioè in termini non troppo dissimili da quelli in cui
Nietzsche parla della morte di dio. Se volessimo condensare, come
si fa per esempio proprio con Nietzsche2, l’opera di Pasolini in
quattro grandi dottrine, potremmo dire che esse sono la sua
religiosità naturale aconfessionale ed ateistica, l’insistenza sulla
realtà fisica del mondo intesa come linguaggio naturale3, l’utilizzo
in modalità criptate della teoria critica francofortese e la critica del
presente politico come mutazione antropologica. Essa è l’ultima,
anche in termini temporali, è la più nuova e matura, delle sue
grandi dottrine, è l’ultimo grande discorso di Pasolini.
È necessario però ricordare, oltre ai temi, anche le indicazioni di
metodo che Pasolini fornisce in apertura del famoso articolo su "Il
Mondo" dell'agosto 1975 in cui chiedeva di processare la
1
P. Pasolini, Lettere luterane, Torino 1976, pag. 90.
2
Per Nietzsche le quattro dottrine fondamentali, come è noto, sono la morte
di dio, l’oltreuomo, la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’identico.
Pasolini, I sintagmi viventi e i poeti morti, “Rinascita” 33 (1967) ora in
Empirismo eretico, Milano 1972, pp. 254-259.
3
3
Democrazia Cristiana4. Possiamo qui trovare infatti una vera e
propria indicazione metodologica di indagine storiografica. È il
‘discorso sul metodo’ questo articolo di Pasolini. Per limitarci solo
al confronto con il discorso del metodo degli albori della
modernità, quello della chiarezza e distinzione di Descartes, quello
di Pasolini mantiene la chiarezza ma afferma la necessità di
cogliere i nessi e l’intreccio. Non la distinzione e l’isolamento ma
il rapporto e le connessioni sono ciò che lo caratterizza. Pasolini
afferma che la verità del potere è nota, cioè è chiara, ma resta
opaca perché i fatti vengono presi in considerazione singolarmente
senza concatenarli.
"Del resto tale verità del potere è già nota, ma è nota come è nota la realtà del Paese: è
nota cioè attraverso una interpretazione che divide i fenomeni, e attraverso la decisione
irrevocabile, nelle coscienze di tutti, di non concatenarli."5
Anche in Che cos’è questo
dell’intellettuale come di colui
golpe?
Pasolini
parlava
“che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e
frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove
sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.”6
La verità sta nella ricerca dei nessi e non nella divisione dei
fenomeni. La dicibilità della verità è possibile solo dopo aver
intrapreso la hegeliana fatica del concetto per determinare il vero
come intero7. Da giovane, il sistematico Hegel aveva definito la
totalità come “legame del legame e del non legame”, e aveva preso
nettamente le distanze dall’intelletto illuministico che scinde e
4
Ora in Lettere luterane, cit. pp. 107-113.
ivi, pag. 108.
6
Pasolini, Scritti corsari, Milano 1975, pag. 75.
7
Fatica del concetto e vero come intero sono espressioni che Hegel usa nella
Fenomenologia dello spirito. Di analogie formali tra il testo hegeliano e il
romanzo postumo di Pasolini parla E. Capodaglio, Congetture sugli appunti
di “Petrolio”, “Strumenti Critici”, 3 (1996), pp. 331-367.
5
4
separa8. E non è forse Pasolini quello che afferma che il suo sogno
è la Semiologia generale della Realtà9? Anche l’antisistematico
Adorno della ultima fase pensava al complesso sociale in termini
di industria culturale da analizzare secondo la logica includente e
connettente della dialettica negativa10. Al culmine della sua
maturità intellettuale Pasolini ammonisce a non dividere, a
concatenare, a metter assieme, a connettere. Come avrebbe detto
Gregory Bateson, ad individuare la struttura che connette11. La
struttura che connette è una teoria sul presente storico pessimistica
quanto quella di Adorno sulla società totalmente amministrata. La
struttura che connette nell’ultimo Pasolini si chiama “mutazione
antropologica”.
La dottrina della mutazione antropologica ogni tanto compare
con delle variazioni, per esempio nella forma di “degradazione
antropologica”12, che è però il significato specifico della mutazione
antropologica, essendo essa considerata da Pasolini una forma del
male, un vero e proprio genocidio antropologico, come
nell’articolo Verso il genocidio, e quindi una vera e propria
8
La totalità come legame del legame e del non legame si trova nel
Frammento sistematico dell’idealismo tedesco del settembre del 1800,
attribuito a Hegel. La critica dell’intelletto illuministico, analitico, si trova in
molti testi hegeliani, ma soprattutto nella Fenomenologia dello spirito. Non
stupisca trovare citato Hegel in punti di alta densità teorica di Petrolio,
(Pasolini, Petrolio, Torino 1992) come per es. a pag. 410, e poi più
diffusamente durante il discorso della festa della Repubblica
dell’intellettuale F. in casa Miceli, su cui si v. le pp. 523-525.
9
Pasolini, I sintagmi viventi e i poeti morti, in Dialogo con Pasolini. Scritti
1957-1984, Roma 1985, pp. 122-123.
10
Th. W. Adorno, Negative Dialektik, trad. it. di C. Donolo, Dialettica
negativa, Torino 1980.2
11
G. Bateson, Mind and nature, trad. it. di G. Longo, Mente e natura,
Milano 1984, pag. 21.
12
Come nelle Lettere luterane, cit. pag. 114.
5
degradazione. In una occasione Pasolini arriva all’iperbole
parlando del “cataclisma antropologico” del consumismo13.
Indipendentemente dall’intensificazione emotiva del sintagma
usato, quella della mutazione antropologica di Pasolini non è una
tesi completamente originale, come vedremo, ma al contempo è
capace di illuminare un lato del concetto che i suoi predecessori
non avevano intravisto e che costituisce l’autentica novità
apportata da Pasolini.
Il discorso di Pasolini
Gli articoli in cui Pasolini utilizza la formula “mutazione
antropologica”, argomentandola tematicamente in modo ampio,
risalgono all’ultimo periodo della vita del poeta. Si tratta di tre
testi14 usciti sul “Corriere della sera” e sul “Mondo” tra il giugno e
il luglio del 1974. Essa viene poi ripresa nel corso del suo ultimo
anno di vita in numerosi articoli arricchendola di ulteriori
sfumature di significato, facendolo insomma diventare, da breve
formula, vero discorso. È però nei tre articoli di giugno-luglio 1974
che si trova per la prima volta quell’espressione originale di
Pasolini, usata da lui per primo e poi destinata ad un utilizzo
diffuso, anche se spesso con contorni diversi da quelli usati da
Pasolini. Quello sulla mutazione antropologica è l’ultimo grande
13
Pasolini, Scritti corsari, cit. pag. 89.
14
Sono lo Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia sul “Corriere” del
10 giugno 1974 col titolo Gli italiani non sono più quelli, Il vero fascismo e
quindi il vero antifascismo sul “Corriere” del 24 giugno 1974, con il titolo di
Il potere senza volto, e l’ Ampliamento del “bozzetto” sulla rivoluzione
antropologica in Italia su “Il mondo” del 11 luglio 1974. Rispettivamente
alle pp. 35-39, 40-44 e 49-55 degli Scritti corsari, cit.
6
discorso di Pasolini, è il discorso dell’ultimo Pasolini. Mutazione
antropologica è espressione da saggista della cultura, è propria cioè
di colui che si solleva dallo stretto orizzonte dell’attualità per
abbracciare spazi vasti della cultura mondiale al fine di
individuarne il suo senso e la sua direzione. Ce la si può aspettare
da un filosofo più che da un poeta. Ma Pasolini nella sua veste
saggistica è anche filosofo, è in grado cioè di leggere la realtà nella
sua complessità, di leggerla come semiologia generale. Se il
sintagma è pertanto originale, l’idea a cui esso rimanda non può
essere senz’altro considerata nuova. C’è un modo precedente a
quello di Pasolini, direi addirittura antico di intendere un concetto
così moderno come quello di mutazione antropologica, ed è quello
che si ritrova nei richiami di saggezza dei filosofi antichi che
hanno la loro miglior espressione nel conosci te stesso delfico e poi
socratico. La pratica della filosofia nell’antichità era caratterizzata
da un insieme di esercizi sul sé tali da permettere una autentica
trasformazione della propria natura. Una tale insistenza sul mutar
pelle era anche quella del cristianesimo e delle filosofie della
saggezza, che dagli stoici a Montaigne arriva all’oltreuomo
nietzscheano. La proposta nietzscheana del passaggio dall’ultimo
uomo all’oltreuomo era forse una visione sulla società in
trasformazione di fine ottocento. La più importante mutazione
antropologica fra i due secoli non è data tanto dalla guerra quanto
dalla società di massa. Nonostante la grande enfasi sulle
trasformazioni indotte dalla grande guerra, è forse opportuno
cercare in fenomeni di più lunga durata e più pervasivi, come la
formazione della società di massa, il vero indicatore delle
trasformazioni epocali. Non hanno mancato di ricordarcelo, tra gli
altri, soprattutto Adorno e Marcuse, forse i critici più spietati della
società di massa, o società totalmente amministrata, della tecnica e
dell’omologazione culturale. In Italia le tematiche dei
francofortesi, benché mai citate direttamente, erano pensate e
ridiscusse frequentemente da Pasolini che ne condivideva, per
esempio, l’aspetto di critica della tecnica. Rivelatrice della
inaffidabilità della tecnica è la chiusura di un importante articolo
7
dal taglio decisamente filosofico di Pasolini I sintagmi viventi e i
poeti morti dove, tra le altre cose, egli si chiede se sia possibile un
cinema di poesia lirica15, e risponde che qualora lo fosse non
sarebbe di certo per i nuovi mezzi che la tecnologia mette a
disposizione. È questa uno dei tanti esempi della affinità tra
Pasolini e la teoria critica francofortese, la cui avversione alla
tecnica è troppo nota per dover essere qui richiamata. Basti dire
che Adorno16, ma anche Horkheimer17 e Marcuse18, hanno sempre
dimostrato un forte sospetto nei confronti dello sviluppo della
tecnica, che essi consideravano tutto interno al processo di
accumulazione capitalistica. Ed è altrettanto nota la critica
continua, un vero e proprio leit motiv, che Pasolini rivolge ai nuovi
strumenti tecnologici che, se è vero che in parte migliorano la
nostra esistenza, hanno però anche il compito di trattenerci
all’interno del “penitenziario del consumismo19”.
15
Un cinema di poesia lirica potrebbe forse oggi essere considerato quello di
Silvio Soldini o di Aki Kaurismäki.
16
La critica alla società tecnologica in Adorno mi pare frutto del suo
antiobiettivismo husserliano latente. Il testo più celebre è senz’altro il
capitolo su L’industria culturale, contenuto nella Dialektik der Aufklärung.
Philosophische Fragmente, Amsterdam 1947, trad. it. di L. Vinci, Dialettica
dell’illuminismo, Torino 19762, opera scritta con Horkheimer. Di diverso
parere sul rapporto Pasolini-Adorno è A. Brossat, De l’inconvénient d’être
prophète dans un monde cynique et désenchanté, “Lignes” 18 (2005), pag.
62.
In Max Horkheimer la critica è più sfumata ma si può trovare in Eclipse
of Reason, New York 1947, trad. it. di E. Vaccari Spagnol, Eclisse della
ragione, Torino 19696.
18
Per Marcuse si v. per es. Alcune implicazioni sociali della moderna
tecnologia, in A.R.L Gurland, O. Kirchheimer, H. Marcuse, F. Pollock,
Tecnologia e potere nelle società post-liberali, Napoli 1981.
17
19
Pasolini, Lettere luterane, cit. pag. 96.
8
Una ulteriore prova della vicinanza teorica di Pasolini alle
tematiche francofortesi può essere trovata nell’Appunto 84 di
Petrolio, intitolato Il gioco, dove vi è un chiaro esempio dell’uso
della dialettica negativa:
“Chi irride una parte del mondo sociale, mettiamo la borghesia conformista che senza
capir nulla passa da una fase all'altra, dalla pace alla guerra, dal benessere alla strage,
dalle abitudini all'annientamento totale, non può non irridere insieme chi fa questo.
L'irrisione non può che riguardare tutta l'intera realtà e infatti è tutta la intera realtà che dal momento che è irrisa- è riaccettata. La realtà non si divide, da una parte, nella società
conformista, che segue l'evolversi del capitalismo, e nell'altra parte, in coloro che si
oppongono a questo attraverso la lotta di classe: la realtà comprende e integra tutte due
queste parti, perché la realtà, lei, non è manichea, non conosce soluzione di continuità. Lo
sguardo irridente ad essa, riesce a conciliare l'integrazione inevitabile al suo ordine e,
insieme, la critica più radicale e rivoluzionaria ad esso. In fondo assomiglia al gesto
meccanico di un operaio: che è insieme un gesto della produzione a cui egli collabora
come un ordinato ingranaggio, e un gesto carico di minaccia rivoluzionaria: questa
ambivalenza del suo gesto comprende quindi l'intera realtà. Mai un borghese potrà
compiere un simile gesto. Ma il borghese può pervenire all'accezione della realtà sociale
come un 'nulla', e all'identificazione del vivere con l'irridere tale realtà. Questa irrisione è
l'equivalente del gesto meccanico dell'operaio: contiene l'integrazione, ma la svaluta di
ogni senso20”
Non deve sembrare fuori luogo questa lunga citazione dal romanzo
postumo di Pasolini. Che ci fosse infatti una stretta relazione tra la
sua scrittura saggistica e quella letteraria è lui stesso a
confermarcelo in un articolo del settembre 1974 su “Rinascita”
intitolato Verso il genocidio. Qui Pasolini facendo riferimento a
Petrolio dice che in quel lavoro sta allestendo una galleria
allegorica di esistenze pervertite dalla mutazione antropologica che
genera edonismo interclassista, falsa tolleranza e perdita di
capacità linguistica. È la descrizione dei modi della mutazione
antropologica come si svilupperanno poi nel romanzo nella famosa
visione del Merda.
20
Pasolini, Petrolio, cit. pag. 396.
9
Le analogie con la filosofia contemporanea potrebbero continuare
cercando nelle teorie del Foucault biopolitico21 o
nell’antropotecnica di Sloterdijk22. Non sembra un caso né che il
filosofo francese abbia scandagliato uno degli ambiti che più
interessavano Pasolini, quello del corpo, né che il filosofo tedesco
consideri Pasolini uno dei pochi kinici del presente nel suo volume
sulla ragion cinica.
Se le suggestioni provenienti dalla filosofia europea
d’avanguardia, il marxismo francofortese o il poststrutturalismo
parigino, sono sufficientemente documentate, si tratterà di capire
se anche in Italia c’era qualcuno che anticipava Pasolini su questi
temi. Io credo che alcuni temi prima di Pasolini ed in un ambiente
sociale e culturale diverso li avesse già sperimentati con la vita
agra dell’integrazione Luciano Bianciardi. Lo dico condensando i
due titoli più famosi della sua produzione e senza la pretesa di
illustrare più analiticamaente la questione in questa occasione.
21
M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France
(1978-1979), trad. it. di M. Bertani e V. Zini, Milano 2005, è un corso
tenuto alla prestigiosa scuola francese di pochi anni successivo. Su Foucault
in rapporto a Pasolini si v. M. Nicoli, L’innocenza del potere. Una
riflessione su “Petrolio”, in “aut aut” 345 (2010), pp. 99-115. Nello stesso
fascicolo della rivista è contenuta la recensione del 1978 di Foucault ai
Discorsi d’amore (1963) di Pasolini.
22
Il filosofo tedesco ha concentrato la sua attenzione negli ultimi anni
sull’antropo-tecnica, di lui si v. in particolare Du muβt dein Leben ändern.
Über Anthropotechnik, 2009, trad. it. di S. Franchini, Devi cambiare la tua
vita. Sull’antropotecnica, Milano 2010. Ma già nella Kritik der zynischen
Vernunft, Berlin 1983, trad. it. parziale di A. Ermano, Critica della ragion
cinica, Milano 20132, dopo aver sottolineato la pepatezza del Pasolini
corsaro, lo aveva accomunato ad Adorno mettendolo nel novero degli
sconfitti, cfr. ivi, pp. 8-9. Di un Pasolini in salsa piccante, Parma 2010, parla
anche M. Belpoliti.
10
Comunque sia, all’interno del pensiero filosofico, in tutte le
declinazioni che abbiamo preso in considerazione, la mutazione
dell’uomo è vista come una prospettiva di liberazione da
raggiungere e come una meta di perfezione. La mutazione
antropologica, intravista da Bianciardi e teorizzata da Pasolini,
descrive invece un processo non di avanzamento virtuoso ma di
degradazione umana. Mentre il mutar natura nell’antichità e
nell’intero corso del pensiero filosofico veniva visto in termini
positivi, la mutazione antropologica, “il passaggio dall’era della
pietà a quella dell’edoné”23, determina un vero e proprio genocidio
culturale, che è la formula più incisiva usata da Pasolini quando
riflette intorno alla tematica della mutazione.
Entrando maggiormente nel dettaglio dell’analisi dei tre articoli,
è facile osservare che il punto di partenza e il presupposto del
ragionamento di Pasolini sono due eventi, l’uno per tanti versi,
drammatico, l’altro tragico avvenuti di recente. Il referendum sul
divorzio di metà maggio e la strage di Brescia. Questi paiono
essere le vicende da cui muove l’idea della mutazione
antropologica. Il primo, il referendum sul divorzio, viene letto da
Pasolini come il segno dell’avvenuto distacco tra le masse popolari
e contadine e la cultura cattolica, il secondo come il colpo di coda
del vecchio fascismo. Il referendum ha lasciato sorpresi sia la DC
sia il partito comunista, ed è soprattutto l’interpretazione di
Pasolini di quest’ultimo che genera meraviglia. Il PCI infatti aveva
sostenuto e vinto il referendum, ma Pasolini lo ritiene comunque
una sconfitta per il partito di Berlinguer perché, secondo lui, i
comunisti erano incerti sull’esito e questo significava non aver
interpretato correttamente il cambiamento radicale avvenuto nella
cultura italiana. Il PCI cioè non aveva compreso la mutazione
antropologica. Con tale espressione, possiamo finalmente tentarne
una definizione, Pasolini intende sostanzialmente il fenomeno della
omologazione culturale dettato dal nuovo potere dell’immagine,
della televisione e della pubblicità, interpretati come potenti
23
Lettere luterane, cit. pag. 170.
11
veicolatori del nuovo edonismo consumistico. La grande e nuova
trasformazione è voluta da un potere che è esso stesso nuovo. È sul
concetto di nuovo potere, il potere senza volto, che Pasolini si
sofferma senza peraltro darne una compiuta delineazione, ma
rimandando ad un testo significativo per la sua esposizione in
termini compiuti.
Il discorso di Cefis
Si tratta di un testo due volte citato nello stesso articolo di
Pasolini24, un discorso tenuto agli allievi dell'Accademia militare
di Modena da Eugenio Cefis il 23 febbraio del 1972. Eugenio Cefis
era friulano come Pasolini, la vita di questi due uomini si intreccia
più volte e secondo molteplici e misteriose relazioni, peraltro
sempre indirette perché probabilmente non si sono mai incontrati.
Pasolini, Il genocidio in Scritti corsari, cit. pag. 188: “I nuovi valori
vengono sostituiti a quelli antichi di soppiatto, forse non occorre nemmeno
dichiararlo dato che i grandi discorsi ideologici sono pressoché sconosciuti
24
alle masse (la televisione…non ha certo diffuso il discorso di Cefis agli
allievi dell’Accademia di Modena); e pag. 189: “Qual è invece lo sviluppo
che questo potere vuole? Se volete capirlo meglio, leggete il discorso di
Cefis agli allievi di Modena…”. Il discorso venne pubblicato per la prima
volta sul numero 6 del giugno-luglio1972 della rivista “L’Erba Voglio” di
Elvio Facchinelli, il quale inviò copia della rivista e del noto libro di Giorgio
Steimetz su Cefis a Pasolini nel settembre 1974. Non risulta essere stato
ripubblicato in seguito se non sul web al seguente url: http://mvlmonteverdelegge.blogspot.it/2013/12/pasolini-e-il-discorso-di-cefis-storia.html .Tutte le
citazioni sono tratte da quel link che riproduce fotostaticamente il testo
apparso su rivista.
12
Sono state illustrate più volte25 soprattutto in relazione alla fine
tragica di Pasolini. Meno si è invece prestato attenzione a quel
discorso che Pasolini richiama più volte come quello che meglio
esemplifica lo stato presente del mondo e del suo nuovo potere.
Che cosa dice Cefis in quel discorso ricco di dati? Contrariamente
a come è stato finora interpretato e cioè come una sorta di elogio
del capitalismo multinazionale con venature massoniche e
golpistiche, il discorso di Cefis è innanzitutto quello di un grande
manager di una delle più importanti aziende di stato, con una vasta
esperienza e conoscenza dei rapporti economici internazionali.
Parla di fronte agli allievi di una accademia militare che lui vede
come protagonisti del futuro economico della nazione. È il
discorso di un uomo al vertice del potere economico e
probabilmente anche politico dell'Italia di allora, che nel cruciale
1972, getta uno sguardo sul futuro delle società occidentali il cui
destino dipende in larga parte dalle multinazionali. Nel tentativo
quindi di disegnare uno scenario non solo possibile ma altamente
probabile dell'immediato futuro, Cefis inizia tracciando un quadro
storico dello sviluppo delle multinazionali individuandolo nella
costituzione delle compagnie per il commercio orientale sorte in
Europa nel XVII secolo.
“La tendenza delle imprese a guardare al di là dei confini nazionali è assai remota e può
essere fatta risalire alle compagnie commerciali del ‘600, come la famosa Compagnia
delle Indie, che pur facendo capo ad un paese europeo possedevano e sfruttavano
concessioni negli altri continenti con bandiera propria ed anche con facoltà di disporre di
proprie forze armate”
È dall'Inghilterra e dalle Province Unite che vengono quindi le
prime società economiche multinazionali. Esse si sono evolute nel
corso dei secoli successivi in modo lineare almeno fino allo
sviluppo dell'industria petrolifera, la quale ha impresso una
torsione significativa alla storia dello sviluppo delle multinazionali.
25
Per esempio da Gianni D’Elia, Il Petrolio delle stragi, Milano 2006.
13
“Successivamente, nei primi anni di questo secolo, con l’avvento del motore a scoppio,
presero a svilupparsi sempre più le società petrolifere, principalmente di origine
Americana, che avevano il problema di aumentare costantemente le proprie fonti di
approvvigionamento. La filosofia delle società petrolifere portava direttamente alla
multinazionalità”
Sono industrie del petrolio le più importanti multinazionali del
Novecento, e dopo la seconda guerra mondiale hanno saputo far
fronte con nuove strategie alla perdita dei domini coloniali. Dal
Congo all'Algeria, dall'Indonesia al Honduras, ogni volta che un
regime sorretto dalle grandi compagnie è caduto o ha
nazionalizzato beni economici cruciali, le multinazionali hanno
rivisto le loro strategie e hanno saputo riposizionarsi con profitto
su quegli stessi paesi magari in settori diversi e più avanzati, dove
la loro tecnologia era appetita dai nuovi regimi nazionalisti.
È a questo punto che si apre il problema più inquietante nel
discorso di Cefis, ovvero quello delle relazioni fra multinazionali
dell’economia e potere politico. Se le multinazionali hanno avuto
ed hanno tanto potere, quali sono le relazioni ipotizzabili con il
potere politico? L'idea di Cefis è quella di una crisi dello stato
nazionale. I vecchi stati nazionali non ce la fanno in termini
numerici a reggere il confronto con le grandi multinazionali.
Pertanto il loro destino è segnato a meno che non decidano di
associarsi, di fare massa critica. L'Europa sarebbe il più grande
mercato del mondo.
È pertanto il discorso di un europeista quello di Cefis e per niente
con tentazioni golpiste perché parla a dei militari. Sia in apertura
sia in chiusura mette in rilievo l'importanza della fedeltà alla
costituzione repubblicana, lui che quella repubblica aveva
contribuito a fondarla.
“E’ più che mai importante il senso del dovere; ma intendo quel senso del dovere che può
nascere soltanto in un Paese libero, con quella libertà che in Italia è garantita dalla
Costituzione repubblicana che Voi siete impegnati a difendere”
Vede inoltre il ruolo dei militari non tanto come difensori di un
ordine costituito, magari neppure tanto democraticamente, ma
14
come dei futuri tecnici e consulenti di settori avanzati
dell'industria, della ricerca e della comunicazione.
“Da un lato, Egli (il militare) deve essere cittadino del mondo, perché ha un compito di
dimensione mondiale per la difesa della pace; dall’altro deve comprendere sempre meglio
i meccanismi politici e soprattutto economici che più della potenza militare influenzano il
nostro futuro”
Insomma una visione moderna ed anticipatrice degli sviluppi
successivi della storia ed inoltre neanche completamente tenera nei
confronti dell'operato storico delle multinazionali, i cui eccessi
antidemocratci vengono condannati.
“Può accadere talvolta che qualche governo proceda alla nazionalizzazione di singole
unità produttive appartenenti alle multinazionali. Ma è difficile che un tale governo riesca
a reggere alla pressione politica che le multinazionali possono esercitare”
Il venir meno dello stato non sarà infatti sostituito completamente e
perfino assorbito dalle multinazionali, esse infatti dovranno
contrattare le loro esigenze anche con il mondo del lavoro
rappresentato dai sindacati. Due sono pertanto i soggetti sulla
scena del dominio nel futuro prossimo, le multinazionali e i
sindacati. Cefis non pensa quindi ad una sostituzione del potere
politico degli stati nazionali con quello economico delle
multinazionali, ma ad una collaborazione fra produttori e
rappresentanti dei lavoratori, fra multinazionali e sindacato. In
fondo si tratta della tematica liberale dello stato minimo.
Dall'enfasi con cui vi fa solo cenno Pasolini, perché non sembra
che sia tornato più diffusamente negli scritti successivi, a meno di
non voler trovare qualche suggestione di esso in Petrolio26, non
26
C’è un punto nel discorso di Cefis in cui egli per stigmatizzare l’assurdità
della guerra adopera una metafora cosmonautica: “In un’epoca in cui si pensa
che la terra sia una nave spaziale che fa parte di un convoglio assieme agli
altri pianeti e che in un futuro non tanto lontano, per rifornirsi di materie
prime ci si potrà rivolgere alle altre navi di questo convoglio, cioè gli altri
15
sembra che lo abbia interpretato nei termini appena esposti. È per
la palese e continua diffidenza nei confronti dell'uomo Cefis che
Pasolini non riesce ad apprezzare lo sforzo intellettuale del
cividalese. Ma allora come può averlo interpretato Pasolini quel
discorso a cui rinvia più volte e sul quale non ha tempo di tornare
in futuro più ampiamente? Non è difficile da indicare nel discorso
di Cefis quello che per Pasolini era il nuovo potere, quell’intreccio
di edonismo, consumo, industria culturale e falsa tolleranza che è il
fulcro del potere delle multinazionali. Pasolini non si fida di Cefis,
ma sa che quello che lui ha descritto nel discorso di Modena è lo
scenario del futuro27. E questo futuro è il peggiore possibile per il
poeta. Se ancora fino agli anni Cinquanta egli aveva sperato negli
umili ignoranti e negli accattoni come esempio morale di
rigenerazione, ora non è più possibile alcuna speranza di riscossa.
Lo strapotere delle multinazionali era stato in grado di produrre
una mutazione antropologica attraverso l'uso perverso della
tecnologia e della cultura. Niente meglio del seguente passo,
esemplifica ciò che pensa Pasolini:
pianeti, il pensare a una guerra per sottrarre risorse ad un’altra nazione è
tanto assurdo quanto criminale”. Questo passo ha forti analogie con quello
dell’astronave delle spie Klaus Patera e Misha Pila nell’Appunto 102a
intitolato L’Epoché. Storia di un volo cosmico in Petrolio.
27
Una testimonianza indiretta di quanto Pasolini abbia appreso dalla lettura
del discorso di Cefis si trova ne Il processo delle Lettere luterane. Qui in un
passo Pasolini scrive: “Ora la chiesa altro non è che una potenza finanziaria:
e quindi una potenza straniera” (pag. 122); che ricorda molto da vicino la
descrizione che Cefis fa della chiesa cattolica come prima multinazionale:
“la posizione delle imprese (multinazionali) è sotto certi aspetti analoga a
quella della Chiesa cattolica in passato. Spesso re e imperatori temevano che
la loro posizione di potere fosse indebolita dalla organizzazione
internazionale della chiesa, dalla sua influenza sulle politiche nazionali e
dalle sue immense ricchezze…”
16
“…la televisione, e forse ancora peggio la scuola dell’obbligo, hanno degradato tutti i
giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie…” 28
Se una sola volta29 Pasolini allarga lo sguardo fuori dall’Italia per
dire che nei paesi a più alto tasso di sviluppo, e in particolare in
Francia, la mutazione antropologica è già un fatto avvenuto,
riconosciuto e accettato dagli intellettuali di destra e di sinistra; è
all’Italia che rimandano tutti gli altri esempi. Ed in Italia sarebbe
stato il miracolo economico a determinare la mutazione
antropologica e cioè il passaggio repentino, avvenuto infatti in
circa un decennio, e largamente inavvertito dal mondo contadino,
che aveva caratterizzato l’Italia liberale e fascista, a quello
industriale dell’Italia repubblicana a partire dai tardi anni
Cinquanta. L’omologazione culturale, che tra le altre cose, si
specifica per la impossibilità di distinguere destra e sinistra, ovvero
l’innesto di sane dosi di pragmatismo americano, avrebbe prodotto
la mutazione antropologica nel suo duplice aspetto di
trasformazione ideologica e di vero e proprio cambiamento
somatico, di trasformazione dei corpi degli italiani. Si trattava
allora, secondo il poeta, di assumere un punto di vista
propriamente semiologico, ma che sconfina quasi nel
28
Lettere luterane, cit. pag. 74.
29
ivi, pp. 75-76: “Fuori dall’Italia, nei paesi «sviluppati» - specialmente in
Francia – ormai i giochi sono fatti da un pezzo. E’ un pezzo che il popolo
antropologicamente non esiste più. Per i borghesi francesi, il popolo è
costituito dai marocchini o dai greci, dai portoghesi o dai tunisini. I quali,
poveretti, non hanno altro da fare che assumere al più presto il
comportamento dei borghesi francesi. E questo lo pensano sia gli intellettuali
di destra che gli intellettuali di sinistra, allo stesso identico modo”.
17
fisiognomico30, per decrittare tale mutazione. Essa sarebbe stata
infatti più visibile nei gesti, negli atteggiamenti, nelle posture del
corpo, piuttosto che nelle idee, nella psicologia e nel linguaggio di
un’epoca che è tra l’altro caratterizzata proprio da una estrema
povertà linguistica. È sull’impossibilità di trovare un nuovo volto
per Accattone, perché anche le facce degli italiani erano cambiate,
che Pasolini rintraccia le prove della mutazione antropologica. È
questa la vera novità di Pasolini, l’idea cioè che il passaggio
epocale che sta descrivendo è più visibile nei corpi che nelle
ideologie.
“Non c’è più dunque differenza apprezzabile…tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e
un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e,
quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili”31
Se la mutazione antropologica infatti consistesse solo nella
manipolazione ideologica o psicologica, non si capirebbe perché
considerare quella di Pasolini una proposta sostanzialmente diversa
da quella francofortese, cioè della critica del conformismo e della
mercificazione feticista prodotta dalla società di massa. Pasolini va
oltre i marxisti dialettici di Francoforte proprio quando denuncia la
trasformazione dei corpi. Ad una cosa del genere a Francoforte non
ci aveva ancora pensato nessuno tranne forse Walter Benjamin.
Quali siano i tratti fisici rivelatori della mutazione somatica
Pasolini lo dice in I giovani infelici:
30
Un esempio di analisi fisiognomica in Pasolini si può trovare nell’articolo
Soggetto per un film su una guardia di PS, del 7 agosto 1975 su “Il Mondo”,
ora in Lettere luterane, pp. 101-102: “Nel viso di Marra…si possono
leggere…quel vago livore e quell’ostilità che deformano fatalmente i
lineamenti di chi si considera difensore dell’ordine…egli mi si rivela
attraverso un linguaggio somatico, un linguaggio della presenza fisica, un
linguaggio dei connotati””.
31
Lettere luterane, cit. pag. 87, corsivi miei.
18
Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti”32
Pasolini dice quella che oggi appare una realtà evidente. La spirale
nevrotica del capitalismo ha introdotto il virus consumista fin
dentro il nostro corpo imponendo la modellazione della nostra
carne attraverso la chirurgia cosiddetta estetica. I corpi degli
abitanti del pianeta subiscono sempre maggiori sollecitazioni al
cambiamento tanto da introdurre al loro interno sostanze
solidificanti. È come se non ci bastasse la bocca per divorare le
merci ma nel nostro corpo dovessero essere continuamente
introdotte nuove sostanze attraverso orifizi chirurgici.
Ma poiché Pasolini non è riuscito a vedere gli effetti mostruosi
della chiroestetica di massa, che cosa vedeva nella sua epoca?
Vedeva ciò che gli altri non vedevano e cioè il fenomeno della
mercificazione del corpo avvenuta col divorzio e con l’aborto. Il
divorzio rende scambiabile il corpo oltre il legame durevole del
matrimonio, il quale nelle società tradizionali aveva il vantaggio di
essere solo valore d’uso e non di scambio. L’aborto rende invece
più facile il coito33 come vuole il nuovo potere dei consumi, cioè il
nuovo fascismo. L’aborto, come il divorzio, diventa valore di
scambio, incitazione all’intensificazione del consumo sessuale.
Nell’ultimo passo citato sono soprattutto gli occhi spenti il segno
della perdita della felicità dei giovani. I giovani sono infelici
perché destinati, come nel teatro greco, a pagare le colpe dei padri.
Le colpe dei padri ricadono sui figli anche per demerito di questi
ultimi, i quali non sarebbero stati in grado di opporsi al fascismo
ereditato dai padri ed inoltre si sono fatti omologare dalla comune
paura della povertà. È questa la vera fonte nascosta della
mutazione antropologica, è la paura della povertà. E così si capisce
meglio il legame di Pasolini con il cristianesimo. Esso passa
attraverso il francescanesimo. Solo Francesco infatti si dimostra
32
33
Lettere luterane, cit. pag. 8.
Scritti corsari, cit. pag. 83.
19
coraggioso di fronte alla povertà, solo chi è stato ricco e sceglie di
diventare povero non ha paura della povertà.
Il discorso delle BR
Sia nel discorso di Pasolini sia in quello di Cefis ci viene
presentata in termini negativi per l’uno, inevitabili per l’altro, la
dimensione del capitalismo multinazionale impegnato nell'opera
della mutazione antropologica. In quegli anni in Italia si faceva
strada a suon di P38 e mitragliette una ideologia operaista
anticapitalista e rivoluzionaria che aveva nelle Brigate rosse il
maggior punto di elaborazione teorica e di attività politica in una
escalation che le porterà a sfidare il cuore dello stato. Sarebbe
facile testimoniare non solo la consonanza di vedute sul sistema
capitalistico, ma perfino alcune espressioni linguistiche
straordinariamente consonanti fra i teorici brigatisti e Pasolini. Per
esempio, nel comunicato di rivendicazione delle BR, datato 18
giugno 1974, dell’incursione alla sede del MSI di Padova, dove
furono uccise due persone, che si ritiene essere stata compiuta in
risposta alla strage di Brescia, ad un certo punto si legge:
“Questa strage è stata voluta dalla Democrazia cristiana e da Taviani per tentare di
ricomporre le laceranti contraddizioni aperte al suo interno dalla secca sconfitta del
referendum”
che ha più di una semplice assonanza con quanto scriverà Pasolini
nel novembre di quell’anno nel famoso articolo del “Corriere” sul
golpe:
“Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della CIA (e in second'ordine dei
colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una
crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per
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ispirazione della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il
disastro del referendum”34.
Un'altra somiglianza, non così esplicita anche dal punto di vista
lessicale, ma di certo da quello dei contenuti, si trova nella prima
risoluzione strategica elaborata dalle Brigate Rosse datata aprile
1975, dove viene teorizzato il famoso SIM, lo stato imperialista
delle multinazionali. Proprio nella presentazione del concetto di
SIM, il documento fa un esempio esplicito di azienda
multinazionale italiana indicando la Montedison che, non è banale
sottolinearlo, era in quell'anno e per i due successivi sotto la
presidenza di Eugenio Cefis.
"...in Italia in quest'ultimo decennio (1966-1974) questa caduta tendenziale ha subito un
notevole processo di accelerazione dovuto soprattutto al sorgere prepotente dell’industria
chimica, come industria imperialista multinazionale (Montedison) ... È chiaro che il
processo qui esemplificato per il settore chimico, vale per ogni altro settore in cui domina
la struttura capitalistica multinazionale (cioè vale per la Montedison, come per la FIAT,
come per la Pirelli) e vale per ogni funzione dello Stato (economica, politica, militare).
Lo Stato diventa espressione diretta dei grandi gruppi imperialistici multinazionali, con
polo nazionale. Lo Stato diventa cioè funzione specifica dello sviluppo capitalistico nella
fase dell’imperialismo delle multinazionali; diventa: Stato Imperialista delle
Multinazionali35".
Come ha rilevato qualche storico36, già nelle Tesi sulla crisi del 1
febbraio 1974 di Antonio Negri veniva usata una espressione
simile:
“…Nel regime delle imprese multinazionali il politico, come sfera indipendente di
determinazione del consenso, come sfera di mediazione fra forze sociali e politiche
conflittuali, ha ben pochi spazi di permanenza…Il governo diviene una funzione
subordinata rispetto al sistema di commando internazionale”.
34
Scritti corsari, cit. pag. 74.
35
36
Cfr. A. Ventura, Per una storia del terrorismo, Roma 2010, pag. 52. Per
Negri si v. Partito operaio contro il lavoro, in AA. VV., Crisi e organizzazione operaia, Milano 1976, pag. 175.
21
Ma non è di questo che si tratta qui. Non è la vicinanza teorica
dell’analisi sul presente del nuovo potere tra Pasolini e la sinistra
estremista radicale italiana che ci permette di entrare nell’ineffabile
della mutazione antropologica italiana. Anche la sinistra radicale
aveva una sua teoria sulla ‘mutazione antropologica’, che essa
traduceva dalla critica marcusiana all’integrazione dei partiti
operai e dei sindacati in occidente. È la vicinanza teorica con Cefis
che importa rilevare. Anche Cefis vede la mutazione:
“Quando gli storici futuri esamineranno l’arco di questi venticinque anni (1945-1970), è
probabile che tra le caratteristiche principali di questo periodo, che ha trasformato così
radicalmente l’economia ed anche il volto politico del nostro pianeta, essi citeranno al
primo posto il gigantesco incremento del volume del commercio mondiale”
Anche Cefis la vede, ma per lui è una trasformazione economica e
non antropologica, e pertanto è drammatica ma non tragica.
La dimensione filosofica del discorso di Pasolini
La dottrina o il discorso sulla mutazione antropologica di
Pasolini è una teoria, una interpretazione che, per l’acume critico e
la perseveranza e coerenza tipiche del poeta, deve essere
considerata nella sua portata filosofica. Come si è visto essa ha
nobili progenitori ma anche un risvolto di originalità. Quel risvolto
inserisce Pasolini fra i più avvertiti intellettuali europei del secolo
scorso, all’altezza dei massimi pensatori come Foucault e Adorno.
Non lo si dice mai, quando si parla di Pasolini, che fu un filosofo.
Chi altri mai è colui che
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“ cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di
immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace”? 37
Si preferisce definirlo poeta, scrittore, regista, mai filosofo. Eppure
benché non abbia mai scritto un’opera esplicitamente dedicata alla
filosofia, l’ascia affilata della sua ragione38 è quella della filosofia.
Quanti letterati-filosofi, quanti scrittori-filosofi ci sono nella
tradizione culturale italiana? Petrarca, Dante, Machiavelli,
Leopardi, Pasolini. E quanti filosofi puri? Vico? Gentile? Non c’è
paragone. La tradizione migliore della filosofia italiana è bene
cercarla fuori dall’accademia.
Se le prove fornite attraverso i testi depongono a favore della
ricerca di un un senso unitario nei tre discorsi considerati, quello di
Pasolini, quello di Cefis e quello delle BR, allora esso è da
rintracciare nel legame tra capitalismo multinazionale e mutazione
antropologica che esso produce, e che viene magistralmente
definito da Pasolini come il
“nuovo modo di produzione che non è solo produzione di merce, ma di umanità”39.
Il punto di distinzione dei tre discorsi sta invece nella parzialità
dell’ottica capitalistico-multinazionale di Cefis o classistarivoluzionaria delle BR, e nel tentativo invece di giungere ad una
visione organica e non divisiva, non manichea come “non
manichea è la realtà”, cioè in breve dialettica, filosofica, di
Pasolini.
37
38
Scritti corsari, cit. pag. 75.
L’immagine dell’ascia affilata della ragione è in W. Beniamin, I
“Passages” di Parigi, Torino 2000, pag. 510.
39
Lettere luterane, cit. pag. 133. Corsivi originali.
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