chiesa dei santi stefano e niccolao

CHIESA DEI SANTI STEFANO E NICCOLAO
RESTAURO DEL MOSAICO E DEL PORTALE
15 GIUGNO 2014
QUELLI CON PESCIA NEL CUORE
CHIESA DEI SANTI STEFANO E NICCOLAO
RESTAURO DEL MOSAICO E DEL PORTALE
PESCIA
GIUGNO 2014
I restauri, promossi e finanziati dall’associazione “Quelli con Pescia nel cuore”, sono stati diretti e coordinati dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici per le province di
Firenze, Pistoia e Prato nelle persone della dott.ssa Maria Cristina Masdea e dell’arch. Sergio
Sernissi.
Direttore dei lavori:
Arch. Elisabetta Paoli
Collaboratore: Geom. Mario Mencarini
Responsabile della sicurezza:
Geom. Fabio Betti
Impalcature:
Ditta Edil 2005 - Pieve a Nievole (PT)
Ditte esecutrici dei lavori:
Ditta Samantha Gradi - Cerreto Guidi (FI)
Ditta Dante Silvestri - Pescia (PT)
Collaboratore Amministrativo:
Benedetto Bonazzi
Committenza:
Diocesi di Pescia - Parrocchia dei Santi Stefano e Niccolao
Finanziamento:
Associazione “Quelli con Pescia nel cuore”
Si ringraziano: don Valerio Mugnaini, la Banca di Pescia, le ditte Centralcarta srl di Altopascio,
Brandani Gift Group e Cecchi Ottavio di Pescia, il dott. Alessandro Rossi private banker Banca
Fideuram, la dott.ssa Rosella Canessa, il dott. Claudio Benedetti, Pietro Ghidi; le famiglie Salani e La Cava, inoltre i signori Otello Baldini, Laila Biagi, Luciano Bianchi, Paolo Bonini, Roberto Bottaini, Paolo Brunelli, Giulio Capitanini, Laura Conca, Licia Ghera, Avio Giuntoli, Paolo
Guidi, Diego Lollini, Mario Losi, Anna Maria Maraviglia, Galileo Magnani, Luca Petrini, Sergio
Pizza, Riccardo Sabbatini, Emanuele Tompetrini, Paolo Vitali e Paolo Volpi.
Correva l’anno 1994 quando, in compagnia di alcuni amici ferraioli, partecipai al restauro conservativo della parte esterna del complesso architettonico di Santo Stefano, intesa questa come
scalee, balaustra e aggetto. L’intervento, finanziato dal rione Ferraia, si protrasse di alcuni mesi,
non solo per la sua complessità, quanto perché la forza lavoro era formata esclusivamente da
volontari. Il risultato, tuttavia, fu di grande effetto e sarebbe durato a lungo.
A distanza di venti anni, troppi per fare nuovamente ricorso al gruppo di amici, il “grido
di dolore” dei pesciatini e in particolar modo di Don Valerio, è giunto alla nostra Associazione,
che si è fatta carico sia della solita pulitura esterna del complesso, sia dei gravi problemi riguardanti la facciata della chiesa. Era molto evidente, infatti, lo stato di degrado del portale in arenaria dovuto allo spesso strato di sporco atmosferico, alla presenza di tracce di vernice rossastra dalla origine sconosciuta e di molte fratture e microfratture. Ma ciò che risultava più evidente all’occhio era l’aspetto del mosaico inserito all’interno della lunetta, così ingrigito e con
molte tessere staccate ed altre in fase di distacco.
Oggi, grazie all’aiuto dei soliti amici sponsor e alla bravura dei restauratori, l’intero complesso è ritornato all’antico splendore per la soddisfazione di tutti quelli che hanno veramente
Pescia nel cuore.
Il Presidente
Lando Silvestrini
Un altro piccolo tassello della passione e dell’amore di “Quelli con Pescia nel cuore”. Ho detto
piccolo, ma non per questo insignificante. Al contrario è nei particolari che si conosce la cura e
l’attenzione per il bello. Sulla facciata della Chiesa dei Ss. Stefano e Niccolao si trova una lunetta su cui le intemperie si sono accanite nel corso dei secoli. C’è una testimonianza che assicura
che esisteva fine ‘700 - inizi ‘800 un affresco con al centro la Vergine e il bambino e ai lati i santi
Stefano e Niccolao. Cinquant’anni fa il Prof. Nino Borghesi realizzava nella lunetta un mosaico
con al centro S. Dorotea, patrona della città e ai lati i titolari della chiesa S. Stefano e S. Niccolao. Certamente il mosaico è più resistente di un affresco, ma in questi anni si era deteriorato
notevolmente. Su incarico dell’Associazione “Quelli con Pescia nel cuore” la restauratrice
pistoiese Samantha Gradi ha riportato al primigenio splendore il mosaico. Come rifinitura il
restauro della cornice in pietra serena che contorna la lunetta.
Ma non ci si è soffermati qui. Anche il portale in pietra serena della chiesa è stato ripulito e restaurato. Stranamente verniciato con pittura marrone chiaro, si vedevano ormai solo
sbavature frutto degli scrosci d’acqua. Egualmente sono stati ripuliti i 118 colonnini in marmo
bianco della balaustra.
Delle spese si è fatta carico l’Associazione “Quelli con Pescia nel cuore”, guidata dal suo
Presidente Lando Silvestrini, sempre attento al recupero di piccoli gioielli della nostra città. Sufficiente ricordare la chiesetta di Via del Giocatoio. Non potendo essere presente alla inaugurazione domenica 15 alle ore 11.30, approfitto per ringraziare di cuore quanti hanno contribuito
alla riuscita del recupero. Grazie anche all’arch. Claudia Massi che ha curato la pubblicazione, in
cui appaiono contributi della Dott. Maria Cristina Masdea della Soprintendenza e del Dott.
Fabrizio Mari.
+ Giovanni, vescovo
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www.quelliconpescianelcuore.it
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INDICE
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Lando Silvestrini
Presidente “Quelli con Pescia nel cuore”
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Giovanni De Vivo
Vescovo della diocesi di Pescia
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Una chiesa e la sua città: la prioria dei Santi Stefano e Niccolao
Fabrizio Mari
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Il restauro della chiesa dei Santi Stefano e Niccolao nei Ricordi 1828-1849
di Frediano Fredianelli
Claudia Massi
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Il mosaico di Nino Borghesi nella lunetta del Santo Stefano
Claudia Massi
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Il restauro del mosaico e del portale
Samantha Gradi
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Ritorni felici a Santo Stefano
Maria Cristina Masdea
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Una chiesa e la sua città:
la prioria dei Santi Stefano e Niccolao1
Fabrizio Mari
Seconda per dignità, dopo la pieve e poi cattedrale di Santa Maria, la collegiata dei Santi Stefano e Niccolao fu eretta, ad occidente del torrente Pescia, nella zona centrale della città, quella
che, successivamente, dall’epoca medioevale e poi in quelle posteriori, fino ai giorni nostri,
avrebbe costituito il cuore politico del Comune di Pescia.
Di una chiesa intitolata al protomartire Stefano si ha notizia, per la prima volta, nel 1045,
poi nel 1048, ancora nel 1068 e, così via, con sempre maggiore frequenza nei secoli successivi.
Il documento del 1068, appunto, sottolinea il fatto che la chiesa era situata nei pressi del torrente Pescia maggiore, per niente lontana da quell’ampio spazio, definito col termine ambiguo di
“mercato longo”, corrispondente all’attuale piazza Mazzini. Sulla collina adiacente alla chiesa di
Santo Stefano era pure quella dedicata a sant’Andrea, che, inglobata successivamente entro la
cerchia muraria del castello, le fonti chiamarono “di Bareglia”. È la medesima documentazione
che ci informa, seppure in maniera rapsodica, circa il nome di quest’area presa nel suo complesso: “Ferraia”. La chiesa di Santo Stefano, in sostanza, sorse entro un’area economicamente vivace e contigua pure a quell’arteria di comunicazione che metteva in collegamento il territorio
pesciatino con quello padano.
Nel settore definito dai documenti come “Ferraia” furono edificati, in modi e tempi differenti, sia il palazzo del vicario sia quello del podestà, dando così origine a quella inusuale conformazione urbanistica che avrebbe caratterizzato, come, del resto, appare evidente anche ai
giorni nostri, la città di Pescia. Sul fianco destro del torrente Pescia, dunque, venne a crearsi il
polo civico della omonima città – con al centro la chiesa di Santo Stefano –, mentre su quello
sinistro, sin dal secolo X, spostato un po’ più verso mezzogiorno, si ergeva la pieve, poi cattedrale di Santa Maria.
Una simile, strategica, ubicazione della chiesa di Santo Stefano influenzò sia le sue vicende architettoniche sia quelle più propriamente storiche, correlate con la nascita, lo sviluppo e
l’affermarsi del potere comunale pesciatino tra i secoli XI e XII. La chiesa di Santo Stefano, in
effetti, venne a trovarsi proprio a stretto contatto con la domus regia, vale a dire il cuore politicoistituzionale del territorio, di cui abbiamo notizia fin dal 1164. Sin dai suoi inizi, infatti, la medesima chiesa fu caratterizzata da questa compenetrazione col potere temporale, diventando, verso
la metà del secolo XII, un importante centro notarile cittadino, come dimostrano i numerosi
documenti, sia di natura privata sia pubblica, rogati al suo interno. Una così inusuale concentrazione di atti rogati tutti nella chiesa di Santo Stefano ha indotto recentemente Amleto Spicciani e Alessandro Merlo ad avanzare l’ipotesi, affascinante e niente affatto peregrina, che proprio
all’interno della sacrestia della detta chiesa fosse la domus curiæ, vale a dire il cuore del potere civile nel territorio pesciatino, che sappiamo attiva a partire dai primi decenni del secolo XIII. Si
spiegherebbe così anche la notevole importanza che assunse la chiesa di Santo Stefano per tutto
il periodo medioevale, svolgendosi all’interno dei medesimi locali sia le funzioni ecclesiastiche
sia quelle civili. Questa ipotesi, come dicevo, è del tutto convincente, considerandosi anche l’accrescimento del corpo della chiesa e dei suoi ambienti, come le recenti indagini architettoniche
e le analisi archeologiche hanno rilevato. A tal proposito, la presenza di murature riconducibili
al secolo XIII lasciano presupporre un quasi certo ampliamento della chiesa originaria, che
venne dunque ad assumere una importanza anche esteriore niente affatto trascurabile.
Se, dunque, la chiesa di Santo Stefano, dalle sue origini fino ai primi decenni del secolo
XIV, vide la compenetrazione, all’interno della sua sacrestia, di funzioni ecclesiastiche e civili,
con l’avvento della dominazione fiorentina (dal 1339) venne a scomparire quella promiscuità di
utilizzo che aveva caratterizzato fino ad allora in maniera così marcata il periodo immediatamente precedente. Con l’edificazione dell’attiguo palazzo del podestà (noto come il Palagio), del
1 A Roberta e Gianluca, sposi in questa storica chiesa pesciatina, con affetto.
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Chiesa collegiata dei Santi Stefano e Niccolao, cartolina postale edita nel 1900 (coll. G. Magnani)
resto, si accelerò la fine di simile eterogenea mescolanza se pur rimase in essere un corridoio
che permetteva la comunicazione tra il corpo della chiesa ed il palazzo del podestà: pertanto i
legami di ordine politico ed istituzionale non furono subito recisi.
Nonostante l’assunzione totale dei suoi compiti di natura ecclesiastica – in quanto chiesa
parrocchiale della zona economicamente e socialmente più attiva ed importante della comunità
pesciatina in epoca medioevale –, la chiesa di Santo Stefano non strappò mai del tutto i legami
con la realtà politico-istituzionale del tempo. Fu proprio al suo interno, infatti, che la comunità
locale decise di edificare un altare dedicato alla santa patrona cittadina, Dorotea, la cui festa si
celebrava proprio nel giorno di conquista della Valdinievole da parte di Firenze. Santo Stefano
divenne così la chiesa cittadina per eccellenza, una istituzione, dunque, a metà tra le funzioni
religiose e quelle politiche del Comune, un ibrido tutto medioevale, che del resto caratterizzò
altre realtà italiane non soltanto lungo tutto il periodo medioevale ma anche, in alcuni casi,
durante le epoche posteriori. I decenni successivi alla conquista fiorentina della Valdinievole ed
all’assunzione di ruoli specifici di carattere squisitamente politici, regolamentati minuziosamente dallo Statuto comunale, videro la chiesa di Santo Stefano protagonista di una lunga stagione
di interventi architettonici spesso radicali. Sul finire del secolo XIV fu aperto un portale nella
zona orientale dell’edificio, al fine di agevolare il passaggio dei fedeli entro la struttura religiosa.
Sempre nel torno di quegli anni fu modificato l’aspetto sia esterno sia interno della chiesa, con
l’aggiunta del coro, delle due navate laterali e degli altari. Specie quest’ultimo aspetto rappresentò un segno inequivocabile di una maggiore rilevanza nel contesto cittadino, essendo gli altari di
giuspatronato delle più importanti famiglie locali, che li dotavano di soldi ma soprattutto di
terre, dalle quali chi gestiva l’altare traeva cospicue rendite annuali.
Una volta terminato l’interno della chiesa, si decise poi di intervenire sulla struttura del
campanile, assai probabilmente in precedenza una torre di vedetta, essendo la chiesa l’avamposto più a settentrione delle mura cittadine, avanzate verso l’ampia terra che immetteva nella zona
montana a settentrione del centro urbano pesciatino, come dicevo all’inizio. Fu nel corso della
seconda metà del secolo XVI che, sull’area prospiciente l’entrata a mezzogiorno della chiesa, si
realizzò la pavimentazione in laterizio, ad opera di maestranze per lo più provenienti dal territorio lucchese. Fu ampliata anche la sacrestia, con la creazione, tra il 1573 ed il 1576, di un’ala,
mentre furono attuati numerosi lavori di restauro all’interno della chiesa stessa.
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La scalea della chiesa prima dell’intervento del 1802 in una stampa di Pierre Mortier datata 1704 (particolare)
Ancora nei secoli XVI e XVII la chiesa di Santo Stefano non smise di occupare un ruolo
importante all’interno della vita civile locale. Era proprio nei locali della chiesa che venivano
accolti i futuri vicari della città, inviati, ogni sei mesi da Firenze, ed era ancora in questa chiesa
che si conservavano le borse degli uffici comunali contenenti le polizze per il sorteggio delle
cariche istituzionali. Un altro importante e delicato compito, svolto da due operai della chiesa,
cioè da coloro che si occupavano della gestione e manutenzione dell’edificio ecclesiastico, era la
redazione dell’inventario dei beni della sacrestia, che accoglieva arredi ed oggetti religiosi di pregio. Nel corso dei decenni furono numerosi i lavori di restauro all’edificio e risulta interessante
annotare come ad una prima ondata di maestranze lucchesi se ne sostituisse una di seconda provenienza fiorentina e pistoiese.
Lo straripamento, nel 1685, del rio Santo Stefano, il cui corso passava a fianco della chiesa, provocò non pochi problemi al sagrato ed alla scalinata d’accesso, compromettendone la stabilità. Fu questa l’occasione per rivedere globalmente l’intero progetto che portò alla realizzazione della celebre scalinata di accesso alla chiesa, a doppia rampa ricurva, su disegno dell’architetto pesciatino Agostino Cornacchini, ma realizzata quasi interamente sotto la direzione del
concittadino Innocenzo Ansaldi nel 1802. Alcuni decenni più tardi, la stessa chiesa fu interessata da una serie di sostanziali rimaneggiamenti che videro l’ingrandimento del presbiterio e la
riduzione degli archi delle navate.
Oggi la chiesa collegiata dei Santi Stefano e Niccolao, una tra le più belle della città, accoglie al suo interno non pochi capolavori di devozione e d’arte: primo tra tutti il gruppo ligneo
formato dall’Angelo annunciante e dalla Vergine annunciata, entrambe del tardo periodo trecentesco. Dei primi anni del secolo XVII è invece la pregevole Liberazione di san Pietro dal carcere, di
Alessandro Tiarini. Presso la parete sinistra del coro si trova una tempera su tavola a fondo oro,
della seconda metà del secolo XV, raffigurante la Madonna col Bambino e angeli, mentre su quella
destra, attribuibile al secolo XVI, campeggia una Madonna con il Bambino, con san Giovanni Battista
e sant’Agostino.
Una chiesa, dunque, quella dei Santi Stefano e Niccolao, ricchissima di storia e di pregevoli
manufatti artistici, che la inseriscono a pieno titolo tra le più belle della città. La sua celeberrima scalinata e la posizione scenografica proprio nel cuore antico di Pescia sono infatti il vanto dei suoi parrocchiani, che vedono nella loro chiesa un motivo in più per amare la città di Pescia.
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Il restauro della chiesa dei Santi Stefano e Niccolao
nei Ricordi 1828-1849 di Frediano Fredianelli
Claudia Massi
Come è documentato nei suoi Ricordi, Frediano Fredianelli ebbe nei confronti della propria parrocchia, quella di Santo Stefano e Niccolao, una sicura affezione, dovuta anche all’aver abitato
per tutta la vita in Ruga degli Orlandi. Non stupisce quindi che egli dedichi una cronaca attenta e dettagliata in occasione del restauro della chiesa, dell’apertura dell’adiacente oratorio, sede
della Misericordia, e dell’investitura del priore, quel Pietro Forti che sarebbe poi diventato
vescovo di Pescia.
Analogamente al padre Vincenzio (1764-1824), che aveva redatto il Giornale o siano memorie descritte nel giorno in cui avvennero i fatti accennati in dette memorie dal 1796 al 1823, Frediano (18021859) si era applicato alla scrittura dei suoi ricordi sulla vita di Pescia. Quella del memorialista
fu una dote sottolineata, in occasione della sua scomparsa, da Leopoldo Galeotti, in una lettera
datata 20 febbraio 1859 e indirizzata allo zio Marcellino, sposato con la sorella di Frediano,
Anna Tecla:
«Caro Marcellino, Le scrivo pochi versi per condolermi con Lei sinceramente per la
perdita del povero Fredianelli. Sono persuaso che deve essere stato per Lei una
forte afflizione. È una perdita per il paese perché era un vero galantuomo. Bisognerebbe guardare che non andassero perdute certe memorie che Egli aveva raccolto
su Pescia, giacché erasi il solo che si occupasse di queste cose, occupazione rara ai
nostri giorni».
Sono parole che attestano la passione che il Fredianelli aveva avuto verso la propria città,
dimostrata proprio attraverso la raccolta di Ricordi della città di Pescia da lui scritti dal 1828 al 1849,
ancora inediti ma consultabili presso la biblioteca comunale. In un ventennio di cronache è possibile rintracciare ciò che maggiormente interessa al Fredianelli, il quale si sofferma soprattutto
a descrivere gli aspetti socio-economico e politici della città, approfondisce le notizie riguardanti i monumenti o lo stato della viabilità, senza tralasciare osservazioni sull’ambiente, soprattutto sotto il profilo climatologico. Talvolta il memorialista riferisce sulle visite di personaggi prestigiosi o esprime giudizi sulle famiglie più o meno abbienti della città. La scrittura dei Ricordi
ha termine nel 1849, nel momento in cui il cronista ritiene ormai vanificate le sue speranze di
libertà e di indipendenza a seguito della Restaurazione del governo granducale e dell’intervento austriaco.
Frediano, come il padre aveva studiato all’Ateneo pisano, conseguendo nel 1825 la laurea in Diritto Canonico e Civile. L’ambiente universitario contribuì alla sua formazione politica, la quale si basò soprattutto su una posizione di solida difesa del principio di nazionalità e
sovranità popolare. A livello locale caldeggiò, insieme a Giuseppe Giusti, l’apertura della Cassa
di Risparmio di Pescia che avvenne il 3 gennaio 1841. In quell’anno il Fredianelli divenne azionista ed ebbe l’incarico in quella banca come cassiere. Con il Giusti condivise la passione per la
poesia e per la letteratura in generale. Ciò è possibile riscontrarlo anche attraverso l’epistolario
intercorso tra i due, dal quale si ha notizia che il poeta faceva leggere molte delle proprie composizioni all’amico, fidandosi del suo giudizio e dei suoi consigli.
Quanto alle vicende della chiesa dei Santi Stefano e Niccolao, nei Ricordi si trova prima
di tutto la notizia della nomina a priore di Pietro Forti, avvenuta il 15 maggio del 1836. Figlio
di Anton Cosimo e Sara Sismondi, il Forti era molto stimato dal Fredianelli come si evince nella
pagina a lui dedicata in quella circostanza, dove l’autore si sofferma anche a descrivere l’avversione che alcuni pesciatini ebbero verso la figura di Carlo Sismondi:
«Alle ore 5 pomeridiane, il canonico arciprete signor don Pietro del nobile signor
Anton Cosimo Forti di Pescia, terminate le sacre funzioni, prese solennemente il
possesso di Santo Stefano, come nuovo Priore di quella chiesa collegiata. Fra i
parenti e gli amici, che assistevano, invitati, a questa cerimonia, vi si contava da me
oltre il rammentato celebre signor Carlo Sismondi, zio materno di detto nuovo
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La chiesa dei Santi Stefano e Niccolao in una cartolina postale edita nel 1923 (coll. G. Magnani)
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La chiesa dei Santi Stefano e Niccolao in una cartolina postale edita nel 1912 (coll. G. Magnani)
Priore, (quel) lo che ai bigotti e agli ipocriti diè molto nell’occhio, perché come
notai, il signor Sismondi è ginevrino calvinista. Terminata la cerimonia con tutte le
formalità che l’accompagnano fu lauto rinfresco in Prioria, durante il quale la nostra
banda civica eseguì varie sinfonie; dopo la banda furono fatte varie altre serenate da
altri suonatori del paese (…). In questo giorno e precisamente nell’ora che si prendeva dal detto signor Forti il possesso occorreva un eclissi di sole oscurissima. Chi
fosse vago di presagi, pregusta erede non troppa fortuna al nuovo Priore nel corso
di sua carica, ma queste son fole e Iddio tenga sempre lontano da Lui ogni disgusto e disavventura per le sue amabili e rare qualità, e bontà schietta e sincera, merita di andar sempre di bene in meglio e di menare una vita lunghissima e felice».
Un augurio che venne poi a concretizzarsi il 29 aprile del 1847 quando Pietro Forti fu
ordinato vescovo di Pescia, un evento a cui Fredianelli dedica una pagina di cronaca. Il memorialista, l’anno dopo, per la precisione il 7 maggio, dà notizia del nuovo priore nominato nella
chiesa dei Santi Stefano e Niccolao: il canonico Giorgio figlio di Giovanni Magnani.
Proseguendo cronologicamente con i Ricordi, Frediano Fredianelli descrive l’apertura
dell’oratorio della Misericordia, contiguo alla chiesa, avvenuta il 14 luglio 1844.
«Ha fatto molto comodo la nuova apertura di questo Oratorio, specie in questo
momento, atteso il grandioso riattamento stabilito farsi alla Chiesa Prioria di Santo
Stefano, perché detto Oratorio fa adesso da Chiesa Parrocchiale e si uffizia dal
Capitolo di Santo Stefano in quello».
Proprio in quel giorno infatti venne chiusa la chiesa per restauri. L’oratorio a Pescia fu
eretto nel 1506 e soppresso nel 1784 e - secondo quello che scrive Fredianelli - ormai divenuto
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La chiesa dei Santi Stefano e Niccolao in una cartolina postale edita nel 1932 (coll. G. Magnani)
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La chiesa dei Santi Stefano e Niccolao in una cartolina postale edita nel 1925 (coll. G. Magnani)
«stanza mortuaria della Cura di Santo Stefano» negli ultimi anni rimase in uno stato di completo abbandono. Attraverso l’impegno dei devoti insieme ai sacerdoti del capitolo che avevano
dato l’incarico al capomastro Giovanni Tredici di Pescia, l’oratorio fu rintonacato, disposte
nuove finestre e restaurati la soffitta, gli stucchi e gli altari. Sull’altare maggiore inoltre fu ricollocato il quadro della Deposizione della Croce del Passignano che fino a quel momento si trovava
sopra l’arcata maggiore della cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale.
Ma il Fredianelli è critico nei confronti del restauro della chiesa dei Santi Stefano e Niccolao che venne riaperta, dopo un anno di chiusura, il 25 maggio del 1845 in occasione della
festa del Corpus Domini:
«il lavoro in generale è poco piaciuto e difatti, sebbene sia stata spesa una enorme
somma e per la massima parte, anzi poco meno che per la totalità, dal detto meritatissimo signor Priore Forti, pur nonostante è forza confessare che poteva farsi
assai meglio (…). Meglio era di certo se questa Chiesa antichissima si fosse ritornata alla sua primitiva semplicità, che era ben facile e senza dubbio di minor spesa».
L’idea di restauro inteso come ‘ritorno alle origini’, soprattutto al mondo medioevale,
era un concetto affermatosi in Francia nella prima metà dell’Ottocento e diffusosi immediatamente in tutta Europa. Il discorso del Fredianelli, i cui rapporti con la cultura internazionale
appaiono quindi chiari, si inserisce in questa teoria del restauro. Restaurare, secondo questo concetto, diventa una ‘purificazione linguistica’ che non tiene conto delle diverse stratificazioni storiche di un monumento, stratificazioni da documentare ed eliminare, attenendosi alle indicazioni operative di Eugène Emmanuel Viollet le Duc (1814-1879), il padre della pratica restaurativa
ottocentesca, le cui idee furono ampliamente sviluppate nel suo Dictionnaire raisonnè d’architecture
del 1858. A parere dell’architetto francese si doveva far riferimento al cosiddetto ‘restauro stilistico’, in cui si invitava il restauratore a penetrare nella mentalità del costruttore medioevale e
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Una veduta di Pescia con il campanile di Santo Stefano, cartolina postale edita nel 1931 (coll. G. Magnani)
intervenire sul manufatto architettonico secondo un ipotetico ‘progetto’ originario, forse neanche concepito: «restaurare un edificio non è affatto mantenerlo, ripararlo o rifarlo, è il ristabilirlo in uno stato completo che può non essere mai esistito in nessun momento».
Il giudizio del Fredianelli sul restauro appena condotto è sorprendentemente articolato,
orientato quasi, oltre che all’idea del restauro stilistico, a un concetto strettamente conservativo,
affermatosi nella cultura italiana nella seconda metà dell’Ottocento con Camillo Boito (18361914), la cui teoria avrebbe aperto alla prassi restaurativa degli interventi più moderni. Il Fredianelli infatti lamenta, nei confronti del restauro appena eseguito, la distruzione del primitivo pavimento per sostituirlo con uno nuovo a scapito delle antiche pietre e dei marmi sepolcrali. Inoltre, il memorialista sostiene che invece di incassare le belle colonne «sarebbe stato meglio scuoprirle». E riflette:
«Io ricordo che durante il lungo lavoro di questo riattamento ebbi luogo d’osservare alcune delle colonne delle navate, a cui tolto il vecchio incasso per rifarvelo
nuovo, le quali erano tonde e nella maggior parte a grosse pietre disco, una sovrapposta all’altra e con bei capitelli, parimente di pietra, svariati e bizzarri, secondo il
costume d’ornato e d’architettura de’ bassi tempi».
Rammenta, infine, che sull’altare maggiore, a sinistra entrando in chiesa, era dipinta la
figura di un santo ad altezza naturale, con un «Lucco scarlatto» e un cappuccio rosso vivace,
nella cui mano conservava un libro, quasi a evocare Dante, sebbene la fisionomia del volto non
rimandasse a quella del «grande poeta». Oltre alla rimozione degli antichi affreschi, il cronista
lamenta l’eliminazione di un’arcata della navata praticata per ampliare il presbiterio. Da cinque
le arcate furono ridotte a quattro; così presso l’altare maggiore, dove prima esistevano due grandiosi archi, adesso ci sono soltanto «due piccoli usci», riproposti anche in fondo alla chiesa. Alla
luce degli interventi fatti a quell’epoca al Santo Stefano, il Fredianelli scrive alcune sue considerazioni sullo stato primitivo del tempio:
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La chiesa dei Santi Stefano e Niccolao in una cartolina postale edita nel 1952 (coll. G. Magnani)
«Ricordo ugualmente come alla sua origine questa Chiesa aveva il suo principale
ingresso ove esiste il coro presso il campanile, a contatto del Rio detto di Santo Stefano e l’altare maggiore esisteva ove ora è l’ingresso principale, cioè in fondo alla
Chiesa attuale, di ciò si è avuto prove non dubbie. Di tal cosa io peraltro non avevo
mai dubitato, perché essendo questa una Chiesa antichissima, mentre si trovava già
esistente nell’XI secolo (vedi Archivio di Lucca filza 13, pag. 100) era naturale che
dovesse essere costruita secondo l’uso di quei tempi remoti, essendo stile che la
Chiesa avesse un solo altare, stando al quale il sacerdote consacrante avesse la faccia voltata a oriente. Forse presso il così detto Palagio, una volta Palazzo di Giustizia; dalla parte di questa Chiesa vi sarà stata una piazzetta e coperto il Rio, questa
piazzetta avrà messo all’ingresso della Chiesa predetta».
Il Fredianelli termina le sue annotazioni, accennando che egli stesso ha fatto mettere
una nuova panca di abete in chiesa, secondo il modello voluto dal priore Forti, in virtù del diritto antico che beneficia la sua famiglia nella parrocchia.
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Il mosaico di Nino Borghesi
nella lunetta del Santo Stefano
Claudia Massi
Domenica 13 settembre 1964 venne inaugurato il mosaico raffigurante, fra i Santi titolari Stefano e Niccolao, la patrona di Pescia Santa Dorotea, opera dell’artista Nino Borghesi. Il mosaico,
di dimensioni 1,80 x 2,50 metri, fu collocato nella lunetta del portale di accesso alla chiesa. A
quest’opera il pittore aveva dedicato due anni di lavoro, componendo migliaia di tessere colorate. Alla cerimonia, insieme al priore della parrocchia, don Guido Verreschi, erano presenti il sindaco di Pescia Umberto Incerpi, il segretario capo del comune Battaglini, il pretore Mannini, il
vice pretore Rossi, il commissario di polizia Brigiano, il maresciallo Troiano, il brigadiere Molendi, il presidente dei laureati cattolici Bertellotti e altri ancora. Al sindaco l’onore dello scoprimento dell’opera. Dopo la funzione religiosa, nella sala delle adunanze fu consegnato a Nino
Borghesi il titolo di cavaliere di San Silvestro, a lui attribuito da papa Paolo VI per meriti religiosi e artistici («La Nazione», 15 settembre 1964).
Il giorno dell’inaugurazione del mosaico nella lunetta, 1964 (coll. P. Guidi)
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La scoprimento dell’opera da parte del sindaco di Pescia, Umberto Incerpi (coll. P. Guidi)
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Nino Borghesi nato a Roma nel 1892 muore a Pescia il 13 aprile del 1982, città alla quale abitò
durante la sua lunga vita. Dopo aver frequentato il Regio istituto di belle arti di Lucca - presieduto dal pittore Alceste Campriani che divenne successivamente un suo caro amico - conseguì
l’abilitazione all’insegnamento nel 1913. In qualità di ufficiale partecipò alla guerra 1915-18,
ottenendo anche una medaglia di bronzo al valor militare.
Dopo aver insegnato per circa quarant’anni la disciplina del disegno in varie scuole
pesciatine, negli ultimi anni della sua carriera divenne preside nella scuola di avviamento al lavoro. Fu tra i fondatori del Circolo filatelico cittadino assumendone la presidenza. Per tutta la vita
continuò a dipingere paesaggi toscani, ritratti e nature morte («La Nazione», 25 aprile 1982).
Nino Borghesi che ha ricevuto il titolo di cavaliere di San Silvestro da don Guido Verreschi (coll. P. Guidi)
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Il restauro del mosaico e del portale
Samantha Gradi
È stato effettuato un intervento di restauro di tipo conservativo della lunetta a mosaico raffigurante santa Dorotea fra i santi Stefano e Niccolao e degli elementi architettonici in pietra serena dove la stessa è inserita.
Osservazioni preliminari
• La superficie dell’insieme architettonico in pietra serena (costruito da paraste, capitelli,
architrave e cornice modanata a ovuli) si presentava ricoperta da una pellicola di sporco di aspetto nerastro e polverulento di deposizione atmosferica, che raggiungeva uno spessore consistente nei sottosquadri del modellato.
• Erano presenti tracce molto evidenti di una vernice rossastra.
• In alcune zone, la pietra era molto degradata e soggetta al tipico fenomeno di sfaldamento ed esfoliazione della superficie.
• Si evidenziavano inoltre molte fratture e microfratture più o meno profonde e parti del
modellato risultavano mancanti.
• Il mosaico, raffigurante Santa Dorotea fra i Santi Stefano e Niccolao, inserito all’interno della lunetta, si presentava ingrigito a causa di uno sporco di deposizione atmosferica.
• Alcune tessere risultavano mancanti e altre erano in fase di distacco.
Intervento di restauro degli elementi architettonici in pietra serena
• Lo scopo dell’intervento di restauro, di tipo conservativo, era quello di fermare le situazioni di degrado sia strutturale che materico, e di integrare le mancanze di modellato più deturpanti per restituire la corretta continuità nella lettura dei volumi.
• Per quanto riguardava la lunetta mosaicata, doveva essere effettuato un preconsolidamento seguito da una pulitura ed infine dalla sostituzione delle tessere mancanti.
Fasi operative per il restauro degli elementi in pietra serena
Pulitura
• Spolveratura generale dei depositi di polvere con pennelli in setola morbida.
• Rimozione dello sporco mediante l’utilizzo di piccole spazzole e acqua demineralizzata.
• Dove lo sporco risultava più tenace, sono stati effettuati impacchi con ammonio carbonato disciolto in acqua demineralizzata, addizionato con polpa di carta Arbocel.
• Le tracce di vernice color rossastro sono state trattate con impacchi con polpa di carta
e diluenti di vario tipo (diluente alla nitro, white spirit o acetone) per ammorbidirle, così da
poterne effettuare meglio l’asportazione mediante l’uso di piccole spazzole e, dove necessario,
con bisturi.
Consolidamento
• Consolidamento della pietra con silicato di etile mediante applicazione a pennello.
• Iniezioni di resina epossidica ad alta fluidità dove erano presenti fratture profonde, sigillate temporaneamente con membrana di lattice di gomma facilmente rimovibile.
• Nelle fratture più profonde e per l’incollaggio di parti distaccate o in fase di caduta, la
resina è stata addensata con della silice micronizzata.
Stuccature
• Le stuccature e le microstuccature sono state eseguite con legante elastomerico fluorudato, addizionato con polvere di pietra e terre naturali.
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Iniezioni di resina epossidica
Imperniature con barre in vetroresina
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• Le integrazioni volumetriche sono state eseguite invece con malta a base di calce, pigmenti minerali e in aggiunta dell’acqua d’impasto del legante acrilico al 5%.
Ritocchi pittorici
• Le stuccature già intonate alla pietra sono state velate da ultimo con terre naturali
disciolte in acetone addizionato con resina fluorurata al 3%.
Protettivo finale
• Sull’intera superficie è stato steso a pennello un prodotto idrorepellente sempre a base
di fluoruri.
Restauro della lunetta a mosaico raffigurante santa Dorotea
fra i santi Stefano e Niccolao
Pulitura
• Spolveratura generale dei depositi di polvere con pennelli in setola morbida.
• Preconsolidamento delle tessere in fase di distacco mediante iniezioni di resina acrilica.
• Pulitura con spazzole e tamponcini di cotone con l’utilizzo di acqua demineralizzata.
• Dove lo sporco risultava più tenace, è stata effettuata una pulitura mediante la stesura
di veline imbevute a pennello di una soluzione di ammonio carbonato disciolto in acqua in percentuale variabile.
Stuccature
• Dove necessario sono state ristuccate e riposizionate le tessere mediante impasto a base
di calce idraulica, sabbia finissima e legante acrilico.
Integrazione
• Dove opportuno, sono state integrate le tessere mancanti.
Alcune fasi del restauro del mosaico
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Ritorni felici a Santo Stefano
Maria Cristina Masdea
Il 29 settembre 2012 fu presentato a Pescia il restauro di alcuni dipinti della chiesa dei Ss. Stefano e Niccolao, senza che quasi nessuno in città si accorgesse dell’evento e si rendesse conto
della sua importanza. Era la conclusione di una prima fase di lavori volta alla valorizzazione del
patrimonio artistico di uno degli edifici sacri più importanti della città, la chiesa della comunità
civile dove si celebrava e tutt’oggi si celebra la festa della santa patrona della città, Dorotea.
Tre dei quattro dipinti presentati nel 2012 mancavano da oltre 20 anni dalla chiesa, forse
ormai perduti nella memoria dei più, mentre il quarto, sebbene sempre presente, risultava per
così dire invisibile per le pessime condizioni conservative (1).
Tre delle quattro opere inoltre, dopo attente riflessioni, sono state ricollocate nei loro altari originari andando a ricomporre un’unità spezzatasi nel corso di antiche e recenti trasformazioni.
Cercheremo di dare sinteticamente conto di ciascuna di esse, precisando che furono tutte
realizzate in un periodo abbastanza ristretto, tra la fine del ‘500 e i primi decenni del ‘600, da
artisti che in quegli anni godevano di notevole fama - alcuni attivi per la stessa corte granducale - a documentare una committenza locale attenta ed aggiornata. I restauri inoltre hanno svelato firme, sigle e date, fornendo in alcuni casi conferme ed in altri nuove informazioni rispetto a quanto già noto.
La prima opera tornata sul suo altare, da dove mancava dal 1954 (2), è la Visitazione di
Agostino Ciampelli. Il dipinto, commissionato dalla famiglia Sandri, è firmato e datato 1594 (3).
L’artista ambienta la scena in una strada cittadina di fronte alla casa di Elisabetta che dalla soglia
accoglie la cugina appena giunta. Le due donne sono in procinto di abbracciarsi e, mentre si
scambiano parole di saluto, si guardano intensamente negli occhi. Alle spalle di Elisabetta sta
Zaccaria elegantemente vestito, mentre accompagna la Vergine S. Giuseppe che reca un fagotto sotto il braccio. Dietro si intravedono le due Marie, Cleofa e Salomè, una delle quali reca sulla
testa un grande cesto. La sacralità dell’evento è sottolineata dalla presenza nel cielo di angiolini
che spargono fiori, ma intorno la vita cittadina prosegue tranquilla, come sottolineano due figure femminili affacciate ad un balcone sullo sfondo e un bambino in primo piano che gioca con
un piccolo cane attirandolo con un pezzo di pane. Si tratta di un dipinto giovanile di Agostino
Ciampelli (Firenze 1565 – Roma 1630), artista che svolse gran parte della sua attività a Roma.
Nell’opera realizzata nello stesso anno della partenza definitiva da Firenze, in sintonia con quanto appreso nella bottega del maestro Santi di Tito, utilizza un tono domestico e accattivante, in
cui prevale l’accentuazione sentimentale e la chiarezza comunicativa.
Il secondo dipinto tornato nella chiesa dopo oltre venti anni è l’Annunciazione di Giovanni Battista Paggi, opera firmata e datata 1616 che, almeno per il momento, non è stata ricollocata sull’altare della famiglia Gerini dove si trovava, ma nella parete di controfacciata sopra il
fonte battesimale (4). La Vergine seduta solleva una mano in direzione dell’angelo mentre con
l’indice dell’altra mano tiene il segno alla pagina del libro la cui lettura è stata interrotta dall’improvvisa apparizione. Accanto a lei sta il cestino da lavoro con un bianco telo di seta, mentre su
una mensola alle sue spalle sono collocati alcuni libri. L’angelo sontuosamente vestito ha un
piede a terra e l’altro ancora in volo e, reggendo con una mano il giglio, indica con l’altra verso
l’alto dove in una gloria di angeli appare Dio Padre benedicente con la colomba dello Spirito
Santo. La data resa leggibile in occasione del restauro colloca l’opera nella piena maturità di Giovanni Battista Paggi (Genova 1554 - 1627) che, esiliato dalla città natale per un fatto di sangue,
trascorse una parte importante della sua attività in Toscana, prima a Pisa poi a Firenze, risentendo l’influsso dell’ambiente pittorico fiorentino. Il Paggi trattò numerose volte il tema dell’Annunciazione (una versione datata 1597 si trova anche nella cattedrale di Lucca), adottando soluzioni simili ma mai identiche. La tarda versione di Pescia, realizzata quando l’artista era ormai
rientrato a Genova, si caratterizza per la serena pacatezza delle potenti figure e per i dettagli
naturalistici di intensa verità, come la seggiolina col cestino da lavoro e il bellissimo brano dei
due libri posti di scorcio.
Il terzo dipinto rientrato dopo una lunga assenza è Tobiolo che ridona la vista al padre di Alessandro Bardelli, opera siglata e datata (5), che è stata ricollocata nella cappella del SS.Sacramen27
Agostino Ciampelli, Visitazione, 1594
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Agostino Ciampelli, Visitazione, 1594, particolari
to a sinistra dell’altare maggiore. Il dipinto descrive il ritorno a casa di Tobiolo dove restituisce
la vista al padre con il fiele del pesce catturato su indicazione dall’arcangelo Raffaele. Al centro
della scena sta il vecchio Tobi seduto, mentre Tobiolo spalma sui suoi occhi malati l’unguento
estratto da un prezioso vasetto che stringe in una mano. Due donne osservano attente la scena
e sulla destra campeggia la bella figura di Raffaele. Ai suoi piedi, sotto un piccolo tavolo rotondo su cui è posato un vaso di fiori, sta il cane che ha accompagnato Tobiolo lungo tutto il viaggio. In alto volteggiano tre angioletti. Il dipinto è opera della maturità di Alessandro Bardelli
(Uzzano ? - post 1640), l’artista locale più interessante dei primi decenni del Seicento che ha
lasciato in territorio pesciatino numerose testimonianze della sua arte. Immatricolato all’Accademia del Disegno di Firenze, mostra l’influenza di Francesco Curradi ed in particolare del
Cigoli, del quale fu abile copista (6). L’opera rivela un artista maturo in grado di raccontare l’episodio sacro con grazia ed eleganza, utilizzando un tono pacato in cui i gesti lenti e posati dei
personaggi sono accompagnati da una attenta descrizione dei dettagli.
Il quarto dipinto il cui restauro è stato presentato nel 2012 è la Conversione di S.Paolo di
Aurelio Lomi, che è stato ricollocato nel secondo altare di sinistra della famiglia Buonvicini (7).
Il dipinto raffigura il momento in cui S.Paolo sulla via per Damasco resta folgorato dalla luce
divina. Al centro e in primo piano è il santo gettato a terra dal cavallo e privo di vista che viene
sostenuto alle spalle da un soldato. S.Paolo è raffigurato come un giovane dalla riccia capigliatura castana che indossa un’elegante armatura, mentre l’elmo e la spada giacciono ai suoi piedi.
Sulla sinistra un soldato alza lo scudo per ripararsi dalla luce abbagliante proveniente dal cielo,
mentre dal lato opposto un altro di spalle trattiene per le redini il cavallo imbizzarrito. Altri
armigeri intorno mostrano nelle pose agitate lo stupore e sgomento per l’evento miracoloso,
mentre in alto tra angiolini festosi irrompe la figura del Cristo avvolto in un ampio manto.
Il dipinto è opera di Aurelio Lomi (Pisa 1556 -1622), artista eclettico che utilizza formule
e tipologie attinte dai grandi modelli, in particolare della pittura fiorentina e romana del Cinquecento, ricomponendoli con linguaggio personale. L’opera di Pescia, firmata ma non datata (8),
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Giovanni Battista Paggi, Annunciazione, 1616
viene riferita all’ultimo decennio del Cinquecento per affinità con alcune grandi tele da lui realizzate per il Duomo di Pisa (9), con le quali condivide il dinamismo della scena, la presenza di
molti personaggi, nonché la descrizione puntigliosa dei dettagli come la ricca armatura del Santo.
Il restauro ha permesso di recuperare la straordinaria tavolozza del dipinto dove colori come l’azzurro e il rosa vengono esaltati dalla luce che accende l’intera scena.
Le quattro tele restaurate sono solo una piccola parte del ricco patrimonio artistico ancora conservato nella chiesa di S. Stefano e l’augurio è quello di poter continuare nel progetto di
recupero avviato negli ultimi anni, rendendo nuovamente fruibili opere bisognose di intervento nonché i locali della bella sagrestia.
La chiesa dei Ss. Stefano e Niccolao merita infatti la massima cura per il ruolo di primo
piano che le compete e che le ha consentito di dotarsi nelle varie epoche di un patrimonio artistico di tutto rilievo. Questa necessità è stata ben compresa dall’associazione “Quelli con Pescia
nel cuore” che, con la sensibilità che ormai ben conosciamo, hanno mostrano ancora una volta
la loro vigile presenza e la loro attenzione al decoro della città intervenendo sulla lunetta della
facciata della chiesa.
Note
(1) Le opere sono la Visitazione di Agostino Ciampelli, l’Annunciazione di Giovanni Battista Paggi e il
Tobiolo che ridona la vista al padre di Alessandro Bardelli, che nel 1989 furono portate all’Istituto per l’arte
e il restauro di Palazzo Spinelli di Firenze per essere restaurate. Dopo le prime operazioni di carattere
conservativo, a causa delle grandi dimensioni, rimasero in deposito molti anni in attesa di essere completate. Il restauro della Visitazione si concluse nel 2003, mentre le altre due opere sono state completate con finanziamento statale nel 2007 dalle restauratrici Paola Mariotti e Natalia Materassi. La quarta tela
rimasta sempre in chiesa è la Conversione di S.Paolo di Aurelio Lomi, il cui restauro è stato realizzato con
finanziamento statale dell’anno 2010 da Antonio Casciani.
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Aurelio Lomi (1556 - 1622), Conversione di San Paolo, particolare
(2) Il dipinto fu tolto dal secondo altare della navata destra nel 1954 per mettere al suo posto una statua
di S.Lucia venuta da Ortisei. In quell’occasione fu spostato sopra la porta della navata sinistra.
(3) Sullo scalino in basso compare la scritta “AUGUSTINUS CIAMPELLIUS/FLORI
FACIEBAT/A.D. MDLXXXXIIII”.
(4) L’opera è firmata e datata sullo sgabello “IO. BAPTISTA PAGGIUS. F. MDCXVI”. L’altare dei
Gerini è il terzo della navata sinistra ed ospita attualmente il Crocifisso ligneo detto “delle saette”.
(5) Sul bordo del tavolino sulla sinistra è la sigla AL con una piccola b sopra la L, seguita da IHS e dalla
data 163(.). L’ultima cifra non è ben leggibile.
(6) Sono riferite al Bardelli due copie della Pietà del Cigoli, una conservata nel Museo Civico di Prato
(1626), l’altra nella chiesa di S.Francesco di Pescia. Realizzò inoltre una copia del S.Francesco che riceve le
stimmate per la chiesa dei Ss. Jacopo e Martino di Uzzano ed è riferita a lui o al suo ambito la copia dei
Ss. Luigi ed Elisabetta in adorazione del dipinto con S.Francesco che riceve le stimmate della chiesa di S.Francesco
di Pescia.
(7) La grande tela ha subito nel tempo vari spostamenti. Nel 1880 fu trasferita nel primo altare entrando della navata sinistra. Lì nel 1914 risultava celata per trequarti da una tela che faceva da sfondo ad una
edicola con la statua dell’Immacolata. In seguito fu spostata nella parete di controfacciata entrando sulla
destra e poi a sinistra, dove si trovava prima dell’attuale restauro.
(8) La firma dell’artista è visibile in basso a sinistra nella zona d’ombra “AURELs. LOMIUS PINXIT”.
(9) Si tratta dell’Adorazione dei pastori e dell’Adorazione dei Magi per il braccio settentrionale del transetto
del Duomo. Alcune figure, come l’armigero visto di spalle, si trovano identiche a Pescia e nell’Adorazione dei Magi.
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Finito di stampare
dalla Tipolito Vannini
Borgo a Buggiano
Giugno 2014