Scarica numero 8 Contromano 2014

N°8 Maggio Giugno 2014
Complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia a Roma (foto di Paola Valli)
WORKSHOP:
IL SINDACATO NELL’ITALIA CHE CAMBIA
ANNAMARIA FURLAN:
LA CONTRATTAZIONE
PER USCIRE DALLA CRISI
Cina, la marcia infinita
del Dragone rosso
GIOVANI E ANZIANI:
COLLOQUIO CON REMO BODEI
FRANCESCO GUCCINI: “VI RACCONTO LE
COSE CHE ABBIAMO PERDUTO”
Sommario
Gian Guido Folloni è un politico e giornalista italiano, già Ministro della
Repubblica per i Rapporti con il Parlamento.
E’ stato direttore del quotidiano cattolico Avvenire dal 1983 al 1990.
Successivamente ha lavorato alla Rai.
Dal 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo).
memoria, attualità, futuro
2
3 Non basta il Pil (Attilio Rimoldi)
4 Hanno scritto per noi
5 La Lettera
6 La posta del direttore
8 Una fase sociale in bilico e senza rete (Giobbe)
POLITICA
9 Le rendite elettorali non garantiscono più nessuno (Guido Bossa)
12 Il ruolo dell’Italia nell’Europa del dopo voto (Gianfranco Varvesi)
14 PA: in pensione e spazio ai giovani (Marco Iasevoli)
16 “Sindacati, l’innovazione si fa con le buone idee” (Stefano Della Casa)
ATTUALITA’ E SOCIETA’
18 Anteas, l’associazione di volontariato
promossa dalla Fnp-Cisl, si rinnova (Luigi Cherubini)
20”Curare la cura”, un progetto del
coordinamento donne Fnp Cisl (Maria Irene Trentin)
22 Storie di origami (Elettra)
24 Ripensare il sindacato (Stefano Della Casa)
23 Tornare allo Stato imprenditore (Gian Guido Folloni)
28 Portrait fotografico
30 Intervista ad Annamaria Furlan
34 Quando un giardino può curare (Cristina Petrachi)
36 Cina: la marcia infinita del Dragone rosso (Riccardo Sessa)
38 Così muta il rapporto tra le generazioni (Mimmo Sacco)
SALUTE
40 Telemedicina, anche l’Italia ci crede (Marco Pederzoli)
41 Un tagliando prima delle vacanze (Alberto Costantini)
CULTURA
42 Cosa non fare della pensione (Umberto Folena)
44 Capita che mi domandino: e Montanelli
cosa direbbe dell’Italia d’oggi? (Giorgio Torelli)
46 “Vi racconto le cose che abbiamo perduto” (Marco Pederzoli)
MAPPAMONDO
48 Quando la tv scopre gli anziani (Umberto Folena)
49 Libri e web (Marco Pederzoli)
51 Vagabolario (Dino Basili)
In copertina:
Complesso monumentale
di Santo Spirito in Sassia a Roma
(foto di Paola Valli)
Postatarget Magazine
- tariffa pagata -DCB
Centrale/PT Magazine ed/
aut.n.50/2004 - valida dal
07/04/2004
Contromano Magazine
N°8 Giugno 2014
Aut. Trib. Roma n 40 del 18/02/2013
Prezzo di copertina € 1,80
Abbonamento annuale € 9,048
Direttore responsabile:
Gian Guido Folloni
Proprietà: Federpensionati S.r.l.
sede legale:
Via Giovanni Nicotera 29
00195 Roma
Editore delegato:
Edizioni Della Casa S.r.l.
Via Emilia Ovest 1014
41123 Modena
Stampa: tipografia ARBE s.p.a
Via Emilia Ovest 1014 Modena
Redazione Coordinamento grafico:
Edizioni Della Casa
ArtWork: M. Barbieri
Postproduzione immagini:
Paolo Pignatti
Comitato di redazione:
Matteo De Gennaro
Dino Della Casa
Questo numero è stato chiuso il
15/06/2014
A norma dell’art.7 della legge
n.196/2003
il destinatario può avere accesso
ai suoi dati chiedendone la modifica
o la cancellazione oppure opporsi
al loro utilizzo scivendo a:
Federpensionati S.r.l.
sede amministrativa:
Via Castelfidardo, 47
00185 Roma
L’editore delegato è pronto a
riconoscere eventuali diritti sul
materiale fotografico di cui non è
stato possibile risalire all’autore
Nei giorni scorsi l’ISTAT ha annunciato che aggiungerà al calcolo
del PIL alcune “attività e servizi”, concordati con gli altri paesi
europei (Eurostat) che sorprenderanno molti nostri iscritti insieme a una buona fetta dei cittadini italiani. Le attività di cui
tutti i paesi inseriranno infatti una stima nei conti (e quindi nel
PIL) sono: “traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando”. Questa notizia diffusa dalla stessa
ISTAT dimostra chiaramente come il PIL sia un calcolo relativo al solo crudo dato produttivo, indifferente alle valutazioni
etiche e civili. Già nel calcolo tradizionale erano inclusi eventi
e attività che facevano del PIL un parametro non indicativo e
attendibile in maniera ottimale per una valutazione del “benessere” di una società. Robert Kennedy il 18 marzo 1968, in un discorso alla Kansas University disse: “Non possiamo misurare lo
spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi
del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le
ambulanze per sgombrare le nostre
autostrade dalle carneficine del fine
settimana… Comprende programmi
televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai
bambini. Cresce con la produzione
di napalm, missili e testate nucleari”. Dopo 42 anni la nota commissione “Stiglitz-Sen-Fitoussi”, nel suo rapporto al Governo Francese,
di cui facevano parte 22 docenti universitari e scienziati sociali
di tutto il mondo, ha ripetuto in termini più tecnici e specifici il
medesimo giudizio ed ha aggiunto che una gran parte del calcolo
del PIL è inevitabilmente impreciso, perché basato su stime oggettivamente prive di certezza. Un esempio, tra i tanti possibili, è
il calcolo della produzione attribuita al settore pubblico che non
può essere misurata con i prezzi di mercato. Tradizionalmente
la misura è basata sui “fattori” utilizzati per la produzione di tali
servizi pubblici. Gli effetti di un’erronea valutazione di questi fattori sarebbero veramente rilevanti, poiché la spesa pubblica nei
paesi OCSE supera il 40% del PIL e per i servizi alla persona il
20. Il PIL quindi non comprende tutti gli aspetti che determinano il benessere complessivo della collettività, né la sua ottimale
distribuzione tra le persone (equità) e tra le generazioni (sostenibilità). Ciò significa che il PIL serve solo a valutare, con dei
limiti innegabili, l’andamento della sola produzione bruta (tutto
compreso!) e a confrontarlo con gli altri paesi, ma non è utile a
misurare/quantificare il “benessere” di una nazione. Negli ultimi
anni, perciò, il dibattito sulla misurazione del “benessere” delle
società è emerso prepotentemente all’attenzione dell’opinione
pubblica mondiale. La crisi che stiamo attraversando ha reso
urgente lo sviluppo di nuovi parametri oltre il PIL, in grado di
guidare sia i decisori politici e sociali sia i comportamenti delle
Editoriale
imprese e delle persone. Ferma restando l’impossibilità di sostituire il PIL per la sua diffusione e comparabilità internazionale
della quantità lorda della produzione dei singoli Paesi, si rende
indispensabile integrare tale misura con indicatori di carattere
economico, ambientale, sociale e qualitativo, che rendano esaustiva la valutazione sullo stato e sul progresso reale di una società. I tentativi finora messi in campo non hanno avuto successo.
Una proposta, proveniente dal piccolo Stato del Burundi, ha raccolto un’attenzione mondiale e impegnato l’ONU a sostenerne le
ricerche. E’ il calcolo dell’indice della “felicità lorda nazionale”,
Gross National Happiness. Questo indice ha un difetto: è basato sulla metrica utilitaristica che può essere molto ingiusta nei
confronti di chi ne è sistematicamente deprivato. Ad esempio,
coloro che si trovano agli ultimi posti delle nostre società stratificate, i disoccupati e i precari che vivono in grandi incertezze,
i lavoratori sfruttati in contesti industriali, ecc.. Le valutazioni
della felicità sono, infatti, personali e soggettive e possono essere
raccolte solo con interviste e sondaggi, ma sarebbero inevitabilmente
soggette a effetti di “adattamento”.
Le persone, infatti, si adattano a circostanze anche molto sfavorevoli,
pur di sopravvivere. La capacità di
adattamento delle persone può portare a trarre conclusioni “politiche,
sociali ed economiche sbagliate”, come sostiene l’economista indiano Amartya Sen. Per queste ragioni, l’indice GNH non potrà
avere il consenso di tutta la comunità internazionale. Anche altri
indici sintetici che molti paesi, istituti, economisti, etc. hanno
elaborato o stanno analizzando, rischiano una scarsa accoglienza, perché non è possibile sintetizzare, in un unico dato statistico
quantitativo, informazioni certe sul livello e l’andamento del benessere dei cittadini di un paese.
E’ allora doveroso riprendere il discorso di R. Kennedy. “Il PIL
– disse - non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della
qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di
svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri
tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la
nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né
la nostra conoscenza, né la nostra compassione. Misura tutto,
eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.
Una soluzione per misurare “benessere” potrebbe quindi derivare dall’adozione di un certo numero di indici separati e scientificamente controllati, che si pongano al fianco del PIL su diverse
materie esplicative e indicative del “benessere” autentico.
Bisogna perciò andare oltre il PIL attraverso un ritorno all’attenzione e alla conoscenza delle comunità locali, delle loro condizioni di vita e della sostenibilità dello sviluppo, quali i Distret-
Non basta
il PIL
Robert Kennedy, che il 18 marzo 1968
tenne un celebre discorso sul PIL
ti, le Zone o i grandi Comuni. Quello di cui per ora possiamo
avvalerci nei territori è in buona parte un patrimonio statistico
di valore ma ancora da migliorare e completare, come risulta
dal Rapporto ISTAT ANCI Urbes (Benessere Equo e Sostenibile Urbano). La contrattazione territoriale, sindacale, sociale che
stiamo sviluppando può rappresentare uno stimolo al completamento di un valido sistema di rilevazione del “benessere” quale
bussola per le necessarie decisioni politiche, sociali ed economiche nell’ambito territoriale, della quale ha sicuramente bisogno
anche il sindacato.
Attilio Rimoldi
3
Hanno scritto per noi
4
Attilio Rimoldi
Segretario nazionale Fnp
Cisl, Dipartimento politiche
socio-sanitarie, famiglia,
economia sociale, fisco,
prezzi, tariffe e politiche
migratorie
Guido Bossa
Giornalista
professionista.Presidente
dell’Unione nazionale
giornalisti pensionati
Gianfranco Varvesi
Diplomatico, ha ricoperto
incarichi in Italia e
all’estero. Ha prestato
servizio nell’ufficio stampa
del Quirinale.
Marco Iasevoli
inviato del
quotidiano
L’Avvenire
Stefano Della Casa
Giornalista
Freelance e Direttore
della rivista
Jag Generation
Maria Irene Trentin
Coordinatrice
Donne della Fnp Cisl”
Cristina Petrachi
Giornalista-pubblicista.
Public Relations
Officer presso l’Istituto
Italiano per l’Asia ed il
Mediterraneo.
Riccardo Sessa
Ambasciatore, è stato
Direttore Generale per
il Mediterraneo e Medio
Oriente e ha rappresentato
l’Italia a Belgrado, Teheran,
Pechino (2006-2010) e alla
NATO a Bruxelles.
Mimmo Sacco
Giornalista RAI TV.
Condirettore de
Il Domani d’Italia,
mensile di politica
e cultura.
Marco Pederzoli
Giornalista e
collaboratore di diverse
testate. Scrive per La
Gazzetta di Modena, Il
Sole 24 ore.
Alberto Costantini
Cardiologo.Ex
medico cardiologo
della Camera dei
Deputati.
Umberto Folena
Editorialista del
quotidiano L’Avvenire.
Consulente della CEI
Giorgio Torelli
per 40 anni inviato
speciale dei più
importanti quotidiani
e settimanali italiani.
Fondatore con Indro
Montanelli de “Il
Giornale”
Dino Basili
Giornalista e scrittore,
Direttore di Rai 2 e
Capo ufficio Stampa
del Senato
Retrogrado a chi?
Gentile direttore,
il giorno dopo il voto europeo, tra i commenti
ascoltati mi ha colpito quello sprezzante con
cui Beppe Grillo, per tentare di giustificare il
fallimento del sorpasso al PD e l’arretramento in
voti e percentuale del movimento Cinque Stelle,
ha imputato ai pensionati di essere conservatori,
di non volere il rinnovamento e di non pensare
a figli e nipoti. Forse sa che dai pensionati non
sono arrivati voti alla sua lista? In ogni caso,
perché prendersela ancora una volta con chi è in
pensione e ha lavorato una vita intera?
Giuseppe Boschi
Reggio Emilia
Caro signor Boschi,
la ringrazio per la cortese lettera. La sua è la giusta reazione a un ulteriore tentativo di colpevolizzare i pensionati, spesso imputati di colpe non vere e ai quali si tenta
perfino di negare diritti legittimi e acquisiti. Quanto lei
scrive mi offre l’occasione per ritornare, nello spazio di
questa rubrica, sull’argomento del ruolo attivo, responsabile e positivo che i sempre più numerosi pensionati
svolgono nella società italiana.
Le amarezze post elettorali non possono giustificare
quanto dichiarato dal leader extra parlamentare del
movimento Cinque Stelle. Ma egli non è il solo a vedere
nei pensionati la parte dei cittadini italiani sui quali è
più facile giocare allo scarico per le difficoltà del tempo
presente. Abbiamo sentito i “soloni” dediti a toglier soldi ai cittadini per lenire il disavanzo pubblico proporre,
di volta in volta, l’eliminazione della reversibilità, della
pensione sociale o, altrimenti, l’introduzione di tetti e
mutilazioni varie a quel salario differito qual è la pensione.
Come se l’aver vissuto, lavorato e accantonato con previdenza per l’età più avanzata parte del reddito fosse
una colpa e non un merito. Come se la sudata e meritata
pensione fosse una colpa e non a tutti gli effetti un vero e
proprio ammortizzatore sociale nell’Italia in crisi.
Come se l’essere in tal modo divenuti, appunto, pen-
sionati, li rendesse retrogradi, insensibili, incapaci di
guardare al futuro. Quest’idea regressiva dell’età senile
è frutto della peggior declinazione della modernità: di
chi pensa che solo quel che viene dopo è progresso. In
altre società e in altri tempi, alla saggezza degli anziani
erano riservati valore, ruolo e meriti che quelli attuali
tendono a negare.
Andiamo al soldo: da anni il pensionato è privato della legittima rivalutazione delle spettanze e non gli sono
riconosciuti gli 80 euro di sostegno previsti dal Governo per i redditi più bassi. Si tratta di un vero e proprio
atto di spoliazione a fronte del quale, peraltro, resta alto
il suo senso di responsabilità. Con onestà si dovrebbe,
infatti, ammettere che i pensionati svolgono tante, tantissime azioni di quello che potremmo chiamare un welfare di prossimità. Un soccorso tanto silenzioso e spesso
pubblicamente misconosciuto quanto prezioso.
Nella nuova concezione di famiglia, numerosi sono i
compiti che essi svolgono, spesso sostituendosi in funzioni genitoriali. I nipoti da prendere a scuola sono solo
una delle tante attività di cui si fanno carico quando padre e madre lavorano.
Guardano avanti i pensionati. Fanno azioni di solidarietà pubblica: fanno da ausiliari per assistere all’uscita
dalle scuole, si organizzano per il trasporto gratuito di
ammalati, persone disabili, con difficoltà motorie e non
autosufficienti. Li vedi attivi, a costo zero, in manifestazioni culturali pubbliche e private.
Il privato sociale, al quale oggi lo Stato è in difficoltà a
coprire servizi che altrimenti dovrebbe rendere ai cittadini, deve molto ai pensionati. Il pensionato è un bene
comune utilizzabile a costo zero.
Il commento di Beppe Grillo potrebbe essere definito
uno strabismo, assioma senza fondamento: sono anziani, dunque retrogradi. Forse a Grillo spiace che abbiano
votato per Renzi e non per Cinque Stelle o per la Lega
di Salvini. Che abbiano scelto l’Europa e non l’antieuropeismo. Che credano nell’Euro e non abbiano le sue
nostalgie per la Lira. Ma proprio questo ne fa degli accorti e solidali cittadini partecipi dei passi che guardano al futuro. Hanno più consapevolezza dell’Europa da
costruire, anche perché hanno vissuto la stagione nativa
dei primi Trattati. In questo sono progressisti, guardano
avanti, pensano ai nipoti. E non ostanti le tante angherie, silenziosamente se ne fanno carico.
Gian Guido Folloni
la Lettera
5
la posta del Direttore
Dalla trasparenza nelle bollette
dell’energia elettrica al sondaggio
di come sarebbe il mondo senza
internet, dagli sbarchi di stranieri
in Italia all’anniversario di piazza
Tienanmen, anche per questo
numero di Contromano sono
arrivati diversi contributi da parte
dei lettori per la consueta rubrica
delle “Lettere al direttore”. A tale
scopo, si ricorda che le proprie
lettere, contenenti considerazioni
su temi politici, di attualità,
cultura, etc. possono essere inviate
o via mail all’indirizzo info@
studiodellacasa.it, specificando
nell’oggetto “Contromano lettere al
direttore”, o via fax al numero 059
8396082, o per posta ordinaria
all’indirizzo della casa editrice
di Contromano: “Edizioni Della
Casa, via Emilia Ovest 1014,
41123 Modena”. Si ricorda che,
per esigenze di archiviazione,
l’eventuale materiale inviato non
sarà restituito.
6
ENEL, bollette complesse e numero
verde impaziente
Caro direttore,
nelle bollette “maggior tutela e libero mercato” l’ENEL
S.p.A. allega fogli interminabili in riferimento all’acquisto variabile dell’energia che risultano, con spreco di
carta, poco trasparenti all’utenza inesperta delle tecniche attuali (di controllo del mercato, n.d.r.).
Detto che l’aria, l’acqua e l’energia sono indispensabili
per il vivere dell’umana gente, va da sé che questi servizi
non possono subire una continua variazione di profitto
e di rendimento azionario.
L’uso incondizionato del computer (e della comunicazione digitale) da parte di ENEL non consente alla maggior parte dell’utenza di seguire la numerazione dettata
da una voce dolce ma registrata.
Provate a chiamare il numero 800.900.800 o il numero
800.900.950. Essi non solo chiedono il numero cliente
e il codice fiscale ma, per ultimo, anche il codice POD
che è fatto di lettere e numeri non leggibili nemmeno
con la lente di ingrandimento. Allora la voce registrata
si fa viva dicendo che la procedura informativa è chiusa
perché quanto richiesto non è stato trasmesso nel tempo concesso.
Armando Benvenuto
Corigliano Calabro
In una lunga lettera che abbiamo sintetizzato, il signor
Armando pone due problemi. Il primo è la trasparenza tariffaria delle utenze. Spesso complicata, anziché
risolta dagli allegati informativi allegati alla fattura.
La trasparenza è una qualità che dovrebbe essere fiore all’occhiello delle utenze pubbliche. Lo Stato, che a
fronte della raccolta fiscale deve ai cittadini che pagano
un buon servizio, dovrebbe porsi tale obbiettivo come
un imperativo. Questi rilievi li giriamo ad ENEL che nel
suo portale più volte scrive le parole chiarezza e sempli-
cità, le qualità che il signor Armando lamenta carenti.
La seconda questione riguarda le informazioni e il colloquio digitalizzato tramite i centralini automatici dei
numeri verdi. Questo problema, va da sé, non riguarda
solo ENEL: è uno dei labirinti comunicativi nei quali
aziende private e pubbliche finiscono per intrappolare
i clienti.
Signor Armando, condivido con lei l’esigenza che a fronte del risparmio di lavoro che i centralini automatici garantiscono alle aziende, i cittadini hanno il diritto a più
pazienza e aiuto, specie quando è chiesto loro di qualificarsi con codici e numeri di non facile e immediato
reperimento.
E’ possibile vivere tre giorni senza
internet?
Egregio Direttore,
le scrivo per un recente studio che mi ha molto colpito.
E, volutamente, ho utilizzato le tradizionali “carta e penna” e la spedizione via posta, piuttosto che una e-mail
scritta al computer. L’Istituto “Ixè” ha infatti presentato
nei giorni scorsi una ricerca su cosa succederebbe agli
italiani se fossero lasciati tre giorni senza una connessione a internet. Ripeto: tre giorni, mica un mese o un
anno. Ebbene, dallo studio emerge che un italiano su tre
non avrebbe problemi di alcun tipo se internet mancasse per tre giorni; di questo gruppo fanno parte persone
di età compresa tra i 45 e i 54 anni. Circa un italiano su
quattro, invece, sentirebbe la mancanza delle e-mail; al
12,7% della popolazione mancherebbero le notizie che si
possono leggere sul web, mentre il popolare social network Facebook sarebbe rimpianto solamente dal 7,1%
degli italiani. Sotto la soglia del 5% troviamo chi rimpiangerebbe servizi utili come la possibilità di effettuare
prenotazioni online o svaghi come blog, forum, musica
e video. Gli acquisti tramite siti online, infine, manche-
rebbero solamente allo 0,2%. A questo punto, mi viene
spontaneo esternare una riflessione: se davvero fosse
utile “disintossicarci” per qualche giorno dal web? Se
realmente fosse salutare recuperare rapporti umani reali piuttosto che amicizie virtuali? Se, per utilizzare un
paragone evangelico, rendessimo davvero il sabato per
l’uomo, e non l’uomo per il sabato? Da questo punto di
vista, tra l’altro, noi anziani abbiamo un piccolo vantaggio in più: siamo vissuti anche nell’epoca pre-internet
e abbiamo potuto constatare che si viveva ugualmente.
Talvolta anche bene. Certo, la tecnologia è importante e
guai se il progresso si arrestasse. Ma qualche volta, per
tutti, sarebbe forse opportuno ritagliarci qualche ora
senza il turbinio della rete.
Guido Rubbiani
Calcinato (BS)
Emergenza sbarchi, è ora di farsi
sentire in Europa
Egregio direttore,
Le scrivo per mettere in luce un’emergenza della quale non si parla mai abbastanza: gli sbarchi di stranieri
in Italia. Da siciliano, conosco bene la situazione. Sebbene non risieda nei luoghi più soggetti agli sbarchi, la
situazione mi preoccupa comunque molto e, anche per
il 2014, prevedo un’estate molto calda da questo punto di vista. Ci sono appena state le elezioni europee. Mi
auguro che l’Europa, ora, assuma realmente tra le sue
priorità il problema dell’immigrazione. Mentre ancora
non si è fatto nulla e mentre da anni i centri di prima
accoglienza sono al collasso, spuntano nuove emergenze. Una delle ultime in ordine cronologico è la ripresa in
grande stile degli scontri all’interno dell’Iraq. Intanto,
qui in Sicilia, si cerca di fare come si può. Si aspettano
risposte concrete dall’Europa che ancora non sono arrivate. Fatichiamo a comprendere, da siciliani, che davvero l’Europa consideri la questione dell’immigrazione
un problema europeo. Altrimenti, perché questi silenzi?
Perché i mancati interventi? Mi auguro che il problema,
anche e soprattutto grazie alla politica internazionale
dell’Italia, si riesca ad arginare al più presto. Al momento, tuttavia, rimango molto pessimista.
Calogero Fumanò, Palermo
Per non dimenticare
piazza Tienanmen
Gentile direttore
ho sempre creduto, come amava ripetere il regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, che ciò che non siamo in
grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo. Ebbene, nel mio piccolo posso fare ben poco, ma con la presente vorrei almeno ricordare brevemente il massacro
di piazza Tienanmen, nel 25° anniversario dell’evento.
Lo ricordo come se fosse ieri. Era la primavera inoltrata del 1989, un anno senz’altro non banale nella storia
dell’ultimo secolo. Fu una rivoluzione che, a differenza
di tante altre, non riuscì. O, almeno, non riuscì pienamente, nei modi e nei tempi che avrebbero voluto coloro
che erano scesi in piazza. Quella rivoluzione si concluse con un grande massacro, ancora ignoto nei numeri
e nella portata. Oggi, quest’argomento, nella Cina neo
super potenza economica è ancora tabù. Come se non
fosse mai esistito. In Europa se ne parla poco. L’Italia
si è allineata. Ma credo sia giusto, in questo caso, continuare a non dimenticare.
Roberto Cristaldi, Bologna
7
Una fase
sociale
in bilico e
senza rete
La recente vicenda elettorale europea ha fatto riemergere quella problematica relazionale che si riassume
nell’esperienza della “capacità di parlare al popolo”.
Rimane del resto la sensazione di aver assistito ad
una campagna elettorale feroce, ricolma di epiteti,
sgradevole nei giudizi, di infimo livello e, del resto,
sostanzialmente priva di proposte, del tutto assenti
sul vero tema della posta in gioco: il futuro dell’Europa.
Nel confronto italiano gli esiti del voto (oltre il 40%
rappresentano un “partito - nazione”) evidenziano
che prevale chi dimostra la capacità di parlare al
popolo, sulla base di un discorso che Mauro Magatti
giudica di ispirazione “ neo-popolarista”, in grado di
battere le pulsioni populistiche sprigionate dalla crisi
economica e sociale.
Nella circostanza il “neo-popolarismo”, che richiama
l’esperienza di La Pira, di Dossetti, di Don Milani,
rappresenta la ricerca di una posizione di equilibrio
tra iniziativa personale e responsabilità sociale, tra
compiti della politica e dello Stato e la valorizzazione delle forze intermedie diffuse nella società,
tra l’obiettivo dell’integrazione sociale e la garanzia
dell’efficienza sistemica.
Parlare al popolo significa impegnarsi a ricostruire
la deriva della frammentazione sociale, che tende a
disgregare le istituzioni e l’economia, e a recuperare,
attraverso il sostegno di prossimità, l’appartenenza
alla propria comunità in sintonia con le esigenze concrete della popolazione, superando il vuoto marginale
8
espresso dalla solitudine individuale.
In questo contesto, mentre il Premier si accinge a gestire il dividendo derivante dal successo elettorale, il
sindacato, ormai deprivato della dimensione concertativa (almeno a livello centrale), dovrà attrezzarsi,
nel necessario rinnovamento, a unificare e a modernizzare un’idea di futuro e a generare una tendenza
integrativa della rappresentanza, lavorando sulle
tutele ma ampliando la capacità di percepire i nuovi
bisogni e l’attenzione al sommerso e alla marginalità.
La valenza dell’indirizzo e della prospettiva di medio
e lungo termine che il sindacato saprà esprimere
rafforzerà la capacità di mediazione e il legame con il
territorio, dando un rinnovato vigore al sistema delle
relazioni sociali che resta alla base del meccanismo
della riproduzione sociale e del più produttivo rapporto generazionale.
Il modello di società neo-popolarista rappresenta
una concezione politica né statalista, né liberista, né
collettivista, né individualista, in grado però di porsi
in sintonia con le esigenze concrete delle popolazioni,
delle persone, delle aggregazioni naturali, mantenendo una spirale comunicativa coerente con le proposte
e le aspettative rapportate all’attuale condizione di
fragilità diffusa sia in campo economico, sia sociale e
generazionale.
Il rapporto diretto con il popolo conserva sempre un
punto di tangenza con la possibile deriva populista,
con le più varie forme di narcisismo quali espressione
della ricerca del potere, declinando la democrazia
verso la fragilità, l’arretratezza, la disuguaglianza.
Con estremo realismo il sindacato potrà impegnarsi
a rafforzare la società e la democrazia, vigilando sui
rapporti sociali ed elaborando prospettive e indirizzi capaci di trasformare il risentimento diffuso in
spinta per una nuova giustizia sociale, combinando le
esigenze della crescita dell’economia con lo sviluppo
della comunità e delle persone.
Una nuova fase sociale dovrà soprattutto esprimere la
capacità di avviare una vera stagione di innovazione
economica, sociale e istituzionale.
Giobbe
LA VITTORIA DEL PARTITO
DEMOCRATICO DI RENZI IN UN QUADRO
POLITICO NON ANCORA STABILE.
LE RENDITE ELETTORALI
NON GARANTISCONO PIU’
NESSUNO
di Guido Bossa
Se è vero che le elezioni
europee del 2014 hanno
indicato nettamente
un vincitore - il Partito
Democratico di Matteo Renzi
– non è altrettanto vero che
abbiano fatto definitivamente
chiarezza sul
quadro politico italiano.
Se è vero che le elezioni europee del 2014 hanno
indicato nettamente un vincitore – il Partito Democratico di Matteo Renzi – non è altrettanto
vero che abbiano fatto definitivamente chiarezza
sul quadro politico italiano. Anzi, ora che il polverone elettorale si è dissolto, è possibile, a mente
fredda, rilevare che alcuni degli interrogativi che
rendevano confuso il quadro d’insieme restano
irrisolti e pesano sul futuro delle forze politicoparlamentari.
Il sistema si è dislocato su tre poli: un forte partito di centrosinistra non più ideologico, premiato dal voto oltre ogni previsione e speranza, che
deve ora, con un’azione di governo coraggiosa e
decisa, trasformare il successo in un consolidato
insediamento sociale; due minoranze che restano
forti nonostante siano incerte sulla strategia da
seguire (i Cinque Stelle) e sulla guida cui affidarsi
(Forza Italia). A destra non si è completato, anzi
per il momento è fallito, il progetto di costruzione
di un partito conservatore di tipo europeo, liberato una volta per tutte da tentazioni bonapartiste e
plebiscitarie e dai conflitti d’interesse del suo leader. Prima Pierferdinando Casini, poi Gianfranco Fini, infine Mario Monti, pur così diversi l’uno
dall’altro, ci hanno provato senza successo. Angelino Alfano ha avuto finora una sorte migliore, ma
è riuscito a superare la soglia di sopravvivenza del
quorum solo per un soffio, e rischia, la prossima
volta, di fare la fine di Scelta Civica. Il travaso di
voti nella destra verso il Pd (che ha prosciugato il
partito montiano) e verso l’astensione, è un sintomo dell’insicurezza di un elettorato che non ha
ancora trovato una sponda salda a cui ancorarsi.
La stessa Forza Italia, che pure resta egemone in
un’area moderata quantitativamente ridotta, non
ha una strategia vincente. Un’eventuale alleanza
con la Lega, che potrebbe anche compromettere i
rapporti col Ppe, vedrebbe il partito berlusconiano
9
a rimorchio di Salvini su temi qualificanti, e non
più in grado di proporre lo schema che si è rivelato vincente per quasi due decenni, perché gli consentiva, grazie alla forza dei numeri e allo stesso
prestigio del Cavaliere, di rappresentare indiscutibilmente l’intera coalizione. Più a destra, poi, si
fa sentire l’attrazione di Fratelli d’Italia di Giorgia
Meloni, che tallona il Nuovo Centro Destra e insidia i consensi di tutti.
Questo settore, che fino ad un anno fa rappresentava la metà dell’elettorato ed ora, diviso com’è,
non raggiunge il 30%, è quello che più risente
dell’incertezza e dell’assenza di una guida sicura.
Fra un anno si torna a votare in diverse regioni,
fra le quali il Veneto, dove il Pd ha avuto un successo lusinghiero che tenterà di consolidare attuando una politica di attenzione verso le esigenze
della piccola e media industria, finora soffocata
dalle tasse e da una burocrazia inefficiente, delusa
dal leghismo e alla ricerca di una rappresentanza
moderna ed “europea”. Il sistema elettorale delle
regionali, a turno unico, impone le alleanze fra
partiti omogenei. Chi sarà il candidato presidente
della destra? L’uscente Zaia o un berlusconiano?
E nelle altre regioni (Liguria, Campania, Puglia,
Calabria…) riusciranno a mettersi d’accordo Fi e
Ncd, o piuttosto esploderanno altre contraddizioni
fra due partiti schierati su fronti opposti a Roma?
E lo stesso Partito Democratico, avvantaggiato il
25 maggio scorso per essere riuscito a portare al
voto la gran maggioranza dei suoi elettori a fronte
di un astensionismo che ha penalizzato la destra,
riuscirà a confermare il suo 41% con un’affluenza
elettorale che sarà certamente maggiore?
Quanto al Movimento 5 Stelle, il voto europeo non
ha messo in discussione la leadership, che rimane saldamente nelle mani della coppia Grillo-Casaleggio, ma ha aperto non poche contraddizioni.
Alle sceneggiate dei deputati grillini il Parlamento
europeo offrirà una cassa di risonanza molto più
10
attenuata di quella italiana, mentre l’insofferenza
per le manovre spregiudicate messe in atto a Bruxelles rischia di creare forti grattacapi a Roma. Oltre tutto, in Europa il Movimento 5 Stelle sarà a
rimorchio di altri, esattamente come la Lega. Meglio non farlo sapere qui da noi. Insomma, per il
Movimento 5 Stelle (non ancora partito) si pone
anche un problema di indirizzo politico, che Grillo
tenta ora di esorcizzare esaltando il successo al secondo turno delle amministrative di Livorno, dove
però va registrato più il fallimento della sinistra
(giunta all’appuntamento elettorale divisa e vittima delle sue certezze ideologiche) che il successo
della proposta pentastellata.
Ciò detto, le carte migliori restano nelle mani del
presidente del Consiglio e segretario del Pd, cui gli
elettori italiani hanno affidato un credito notevole
ma non illimitato, e soggetto a verifica costante.
Matteo Renzi ha trovato consensi in settori di opinione pubblica che non avevano mai votato a sinistra e che sono stati sedotti da una linea pragmatica, non ideologica, che ha infranto diversi tabù.
Gli insuccessi amministrativi di Padova, Livorno
e Perugia (ed altri qua e là), pur in un quadro in
cui il Pd espande al massimo la sua presa (oggi governa nel 70% dei comuni oltre i 15000 abitanti in
cui si è votato) non incrinano la soddisfazione, ma
piuttosto confermano che in un quadro tripolare
come quello oggi esistente, nulla si può dare per
scontato. Il movimentismo finora ha pagato, ma
il governo e il partito che ne è l’asse portante sono
attesi alla prova delle riforme.
Risultati votazioni in Europa
PPE 29,43%
Risultati votazioni in Italia
Democratici Cristiani
S&D 25,43%
Socialisti Democratici
ECR 9,05
Conservatori Riformisti
ADLE 8,92
PD 40,8%
GUE/NGL 6,92
MS 21,2%
Sinistra Unitaria
17 seggi
Verdi 6,66
FORZA ITALIA 16,8
Democratici Liberali
Verdi Alleanza Europea
EFD 6,39
Gruppo Europa Libertà e Democrazia
NI 5,73
Non appartenenti a gruppi politici
Altri 1,46
Neoeletti senza appartenenza ad un gruppo politico
31 seggi
13 srggi
LEGA NORD 6,2
5 seggi
NCD UDC 4,4
3 seggi
LISTA TSIPRAS 4,0
3 seggi
PPE 221 seggi
S&D 191 seggi
ECR 68 seggi
ADLE 67 seggi
GUE/NGL 52 seggi
Verdi 50 seggi
EFD 48 seggi
NI 43 seggi
Altri 11 seggi
Composizione del parlamento europeo
11
Il ruolo dell’Italia
nell’Europa del
dopo voto
di Gianfranco Varvesi
I risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo hanno cambiato la geografia politica dell’Unione. Quasi tutti i partiti al potere sono stati penalizzati, i francesi e gli
inglesi in modo particolare. L’avanzata delle forze politiche che contestano l’euro avrà ripercussioni nei singoli
Paesi, ma meno sui lavori del Parlamento Europeo, essendo molte di loro fortemente nazionalistiche e quindi
poco disposte a collaborare fra loro. Concorderanno sul
“no a tutto”, ma difficilmente riusciranno ad individuare
linee convergenti costruttive.
Per quanto concerne la nostra presidenza, va ricordato che, quando capita di doverla esercitare nel secondo
semestre dell’anno, si usufruisce di tempi operativi più
ristretti, perché limati dalle vacanze estive. Nel nostro
caso, ancora maggiori sono gli ostacoli, dovendosi, all’inizio del nostro mandato, nominare una nuova Commissione, e formare i gruppi e i comitati del Parlamento
neo eletto.
In Europa, però, si è formato un nuovo equilibrio politico. I governi di Parigi e Londra sono notevolmente
indeboliti per la sconfitta dei partiti al potere: quello
del Presidente Hollande si è piazzato al terzo posto con
un modesto 14%, i conservatori inglesi hanno subìto
una forte sconfitta. In Germania il partito della signora
Merkel ha avuto la maggioranza, ma ha perso consensi
rispetto alle elezioni precedenti. Il governo di Berlino è
ora costretto ad ammorbidire le sue posizioni sull’austerità per evitare che la crisi economica si propaghi in
Germania ed è incoraggiato a cambiare rotta anche dalle
pressioni americane.
La vittoria di Renzi conferisce quindi all’Italia alcuni
strumenti in più per affrontare il semestre di presidenza. Nelle elezioni del 25 maggio solo l’elettorato italiano
ha rafforzato il partito al governo. I partiti euroscettici
non hanno avuto grande successo, essendo uno intorno
12
al 20%, l’altro poco sopra il 6%; i rimanenti non hanno
superato la fatidica soglia del 4%. Questo quadro di politica interna italiana si proietta sul piano comunitario,
poiché il PD fornisce al gruppo del Parlamento Europeo
del Partito Socialista la più forte delegazione.
In sostanza, gli ostacoli alla presidenza sono divenuti
opportunità da utilizzare. L’Italia, infatti, potrebbe trarre vantaggio dalla situazione che si è venuta a creare,
tessendo una rete di rapporti preferenziali, in primo
luogo con la Germania. L’asse Berlino – Parigi, perno
del sistema comunitario, si è seriamente incrinato. Sarà
certo interesse di queste due capitali salvare le apparenze e mantenere relazioni amichevoli, ma la realtà della
politica spingerà la Cancelliera tedesca verso Roma. Gli
Stati Uniti guardano con grande fiducia alle posizioni
italiane contro l’austerità, perché vedono indebolirsi il
mercato europeo come sbocco della loro produzione.
I Paesi del sud dell’Europa, che hanno dovuto pagare
un prezzo altissimo in termini sociali, con drammatiche
percentuali di disoccupazione, considerano l’Italia portavoce delle loro esigenze.
In conclusione, l’Italia del dopo-elezioni si presenta
sulla scena europea più stabile e più coesa; potrà così
avvalersi della presidenza per influire sulle politiche cui
dovrà ispirarsi la nuova Commissione Europea. Inoltre,
potrà impostare alcune riforme che gli equilibri comunitari esigono, quali la revisione del Trattato di Lisbona
e dei vincoli di Maastricht, per favorire il superamento
della crisi e la lotta alla disoccupazione (quella giovanile
in particolare). Vi è poi il problema dell’immigrazione,
che deve diventare questione comunitaria. Giocando su
più scacchiere, modulando opportunamente le linee di
azione e le priorità, Roma può conquistare un ruolo di
grande rilievo in politica estera e recuperare posizioni
dopo i tanti sacrifici sopportati in questi anni.
2° FESTIVAL DELLE
GENERAZIONI
NE` VECCHI NE` GIOVANI: CITTADINI
Firenze, 2-4 ottobre 2014
www.festivaldellegenerazioni.it
13
La Pubblica amministrazione apre il fronte delle riforme sul lavoro
PA: in pensione e spazio ai giovani
di Marco Iasevoli
Ruolo unico per la dirigenza,
mobilità entro cinquanta
chilometri, riduzione della spesa.
Verso quindici mila assunzioni
nei prossimi anni. Anche part
time per favorire nuovi ingressi.
Permessi sindacali ridotti e nessun
cenno sui rinnovi contrattuali. Ma
una parte dei provvedimenti sarà
affidato a una legge delega. Prima
dell’estate anche interventi sulla
giustizia civile. Ancora silenzio sul
rilancio dell’occupazione.
14
Il vero risvolto occupazionale nella riforma della
Pubblica amministrazione (della quale si conoscono i contenuti, ma non ancora i testi legislativi) è
la fine del trattenimento in servizio, che dovrebbe
portare ad un ingresso di circa 15mila giovani nella
PA nei prossimi anni. Dunque chi deve andare in
pensione ci andrà, senza restare al proprio posto
per un periodo aggiuntivo.
L’altro sbocco lavorativo che si apre è l’allentamento del turn over nelle assunzioni da parte degli
enti locali. Potrebbe avere un effetto di “apertura”
ai giovani anche la possibilità di scegliere il parttime 5 anni prima della pensione, perdendoci in
retribuzione ma non dal punto di vista dei contributi previdenziali. Per il resto, quanto contenuto
nel decreto e nella legge-delega ha soprattutto una
funzione di razionalizzazione e riduzione dei costi.
Dal dimezzamento dei permessi sindacali alla mobilità obbligatoria entro i 50 chilometri – le due
misure più simboliche – sino all’obbligo di ridurre
i costi dell’1 per cento annuo. Nessun accenno al
rinnovo dei contratti o allo sblocco dello stop agli
aumenti deciso nelle ultime leggi di stabilità.
Dal punto di vista della valenza politica, c’è la scelta dell’esecutivo di passare al ruolo unico della
dirigenza (oggi ci sono due fasce), e soprattutto
di rendere il top management della pubblica amministrazione “licenziabile” e pagato in base ai risultati e alla crescita complessiva del Paese. Una
riforma che dovrebbe smobilizzare gli imbuti di
potere che si creano negli enti locali e nei dicasteri, aprire un mercato più “smart” e dinamico della
dirigenza pubblica.
In attesa di capire cosa finirà in un decreto subito
operativo, e cosa in un ddl-delega che avrà il suo
lungo iter in Parlamento, si comprende bene che
la riforma della PA è da considerare come l’infrastruttura per il rilancio del Paese, insieme agli
annunciati interventi sulla giustizia civile che dovrebbero vedere la luce a fine giugno. Mentre gli
interventi più direttamente finalizzati a rilanciare
l’occupazione nel breve periodo ancora non vedono la luce. Si attende ancora il sì definitivo del
Parlamento alla legge-delega sul mercato del lavoro, che dovrebbe condurre all’introduzione del
contratto unico d’inserimento a tutele crescenti
e alla rivisitazione completa degli ammortizzatori sociali all’insegna dell’universalità. Il ministro
Poletti ha promesso che, dal momento del sì delle
Aule, è pronto a varare i decreti attuativi entro la
fine del 2014.
In realtà, la strada per invertire davvero in pochi
mesi i drammatici dati Istat sulla disoccupazione
passa per l’Europa. La partita delle nomine ai vertici delle istituzioni comunitarie è legata a stretto
filo ad un nuovo programma di politica economica
dell’Unione su due assi: flessibilità sul deficit per
i Paesi che stanno davvero facendo le riforme e
grossi piani europei di investimenti pubblici, ad
esempio su energia e reti digitali. Solo una sostanziosa politica di investimenti su scala continentale può rilanciare l’occupazione a stretto giro, ed è
questa la priorità del semestre guidato dalla Presidenza del Consiglio italiana.
15
“Sindacati, l’innovazione
si fa con le buone idee”
di Stefano Della Casa
L’attuale situazione politica
italiana impone una profonda
riflessione sul tema della
concertazione Governo – Sindacati
e sul futuro stesso dell’istituzione
– sindacato. La Fnp Cisl ne
parla con il prof. Aldo Carera,
professore ordinario di Storia
economica presso la Facoltà
Economia dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano.
Si è concluso, da poco, il Congresso della CGIL,
con lo scontro fra Camusso e Landini. Ritiene che
sia un problema a livello personale o riguarda
l’assetto del sindacato?
È vero, il problema si pone: le grandi aggregazioni
collettive sono per loro natura terra di confronto di personalità protese verso il rafforzamento
della propria leadership. Ne abbiamo conferma
dal mondo della politica, sempre più influenzato
dai protagonismi. Meglio per il sindacato tenersi
fuori da simili entusiasmi. Oggi le confederazioni
maggiori sono come grandi navi, costruzioni complesse, diversificate. Serve un bravo comandante
e serve un equipaggio coeso, convinto che la rotta
è stata tracciata in piena autonomia, che chi tiene
la barra meriti fiducia. Al congresso della Cgil, più
Aldo Carera, professore ordinario di storia ecomica
all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
che le torsioni della democrazia denunciate da Camusso, erano in gioco le torsioni della sinistra dalla sconfitta elettorale di Bersani in poi. Questioni
di autonomia, dunque, da risolvere prima ancora
di tracciare la rotta.
Della Casa: La rielezione della Camusso ha
risolto il problema? O la CGIL rischia una
scissione interna?
Carera: Le scissioni sensate e durature sono
quelle che si fondano su differenze culturali e su
spinte veramente innovative. Landini è un bravo
tattico con grande presenza scenica. Al momento
non sembra indicare strade alternative a meno che
decida di forzare ulteriormente il mutamento geSusanna Camusso, segretaria generale della CGIL
16
netico della Fiom portandola del tutto fuori dagli
schemi della rappresentanza sindacale per navigare verso improbabili terre incognite. Più che la
scissione, il pericolo per la Cgil (come per tutto il
sindacato) è navigare a vista, senza la forza necessaria per contrastare le correnti della crisi.
Il grande consenso di Renzi alle urne ha
rafforzato l’idea che sia finita l’epoca della
concertazione. Governo e Sindacati si avviano ad una nuova era di dialogo, dove
le decisioni in materia di lavoro e welfare
spettano solo al Governo?
La concertazione non è finita perché Renzi ha vinto le elezioni o per l’atteggiamento dei governi, da
Monti in poi. Era già finita da tempo, nonostante il tentativo di rammendo del governo Prodi nel
2007. La sua stagione era segnata dalla progressiva perdita della forza contrattuale scontata dalla
capacità di tutela dei lavoratori e delle classi popolari, a partire dalla difesa dei salari reali in ragione
degli scostamenti della produttività.
Prima di mettere a punto nuove modalità di relazioni triangolari occorre che imprese, sindacati e
governo definiscano, innanzitutto al proprio interno, strategie di medio-lungo periodo. Cosa che al
momento sembra difficile per tutti e tre. Preso atto
che l’età delle co-decisioni è finita, non mancano
strumenti per sviluppare un atteggiamento collaborativo da parte del sindacato a partire dagli ambiti propri (e in quando tale autonomi) dell’azione
sindacale. A partire, soprattutto, dalla contrattazione e dalla rete di relazioni economiche e sociali
sul territorio cui si accede tramite l’espansione di
quel patrimonio inesausto che è insito nella cultura contrattuale.
Se la concertazione è tramontata, le organizzazioni sindacali in Italia sono pronte
ad affrontare questo nuovo corso?
Pronte o no che siano, la crisi sta segnando profonde discontinuità cui nessuno si può sottrarre.
Men che meno il sindacato, i cui terminali nella
vita reale sono il vero parametro di valutazione
di quel che fanno. Territori e imprese, imprese e
territori pongono domande quotidiane. Quello
che interessa studenti, lavoratori, pensionati. Le
nostre famiglie, insomma. Meglio mettersi in apnea per un breve momento, poi ossigenarsi senza
perdere tempo respirando l’aria buona che viene
dalla base e filtrarla con quella tensione all’innovazione che, se pensiamo alla Cisl, è ancora inscritta
nel suo patrimonio genetico. Buone idee, nuove
proposte e coraggio di portarle avanti. Gli altri ti
seguiranno.
Il Premier Renzi ha accusato i sindacati di
immobilismo durante la fase acuta della
crisi economica; è stato realmente così? E
se sì, quale ruolo dovrebbero avere in questa fase?
Renzi è certamente abile nel mettersi in sintonia
con il sentire comune, in buona parte avverso al
sindacato, e utilizzarne strumentalmente le difficoltà. Ma il presidente del consiglio, passati i primi cento giorni, affrontati a twitter battente, dovrà
mettere in fila azioni in grado di durare nel tempo
fosse pure per garantire la durata del governo, cui
non può bastare un abile populismo per reggere le
responsabilità operative di cui si deve far carico.
Alle accelerazioni renziane il sindacato non può rispondere rispolverando antiche liturgie, ostentando rituali polverosi. Ma neppure fermandosi alla
superficie delle questioni. Cosa che sanno bene
i tanti bravi sindacalisti che non si perdono nei
giochi del potere e della politica e sanno reggere
impegni di media e lunga portata. Basta aiutarli a
fare ancora meglio quel che già sanno fare.
17
Anteas, l’Associazione di
volontariato promossa dalla
Fnp-cisl si rinnova
Il 21 e 22 maggio 2014 a Riccione, all’Hotel Mediterraneo, si è tenuta l’Assemblea Nazionale che ha votato i
bilanci, le modifiche allo statuto e il rinnovo delle cariche sociali dell’Anteas Nazionale, l’Associazione di
volontariato promossa dalla Fnp Cisl. Anteas, presente
nelle organizzazioni di volontariato a tutti i livelli, eletta
tra l’altro nel Coordinamento nazionale del Forum del
III Settore, è diventata una realtà importante del volontariato italiano.
E’ composta da circa 650 associazioni di volontariato e
di promozione sociale con oltre 100.000 associati, quasi
20.000 volontari e moltissimi destinatari che usufruiscono dei servizi Anteas soprattutto nell’ambito socioassistenziale e sanitario.
Il volume delle attività svolte è importante: i volontari delle Anteas fanno il trasporto sociale con oltre 300
automezzi (molti dei quali attrezzati per i disabili), gestiscono 35 ambulatori (l’ultimo in ordine di tempo, realizzato a Roma, a Centocelle) nei quali vengono erogate
18
gratuitamente prestazioni infermieristiche e medicazioni di primo soccorso.
Ma le attività di volontariato effettuate spaziano in altri settori: dalla vigilanza presso le scuole e nei parchi
cittadini, ai centri di ascolto, al “banco alimentare” (raccolta e distribuzione di derrate alimentari per famiglie
disagiate) alla formazione di giovani esclusi da scuola
e lavoro, dalle attività artistiche e culturali, ai laboratori artigiani per prendersi una pausa da Tv, computer e
telefonino e sviluppare la creatività, fino al ballo e alle
gite fuoriporta. Per avere un’idea di tutte queste attività basterebbe consultare Panoramanteas, la newsletter
mensile visibile sul sito dell’Associazione (www.anteasnazionale.it).
Tra le ultime iniziative intraprese con successo come
consuntivo di questi quattro anni, c’è “Anteas in piazza”, che vuole far conoscere l’associazione alla gente,
visto che è presente in tutte le province d’Italia, portando avanti tanti progetti e l’iniziativa contro la violenza
di genere, per arginare il triste fenomeno del femminicidio. Tutti questi progetti riconducono all’impegno
principale di Anteas, riaffermato con forza da Arnaldo
Chianese nella sua relazione, la lotta all’emarginazione
e alla solitudine dell’anziano e in generale di tutti i soggetti deboli, il valore del dono e della gratuità. Gli stessi
valori espressi da monsignor Giovanni Nervo fondatore
della Caritas e da Enzo Bianchi, priore della Comunità
di Bose. Il presidente uscente, ha poi rivolto un caloroso
ringraziamento a tutti i volontari dell’Anteas, che sono
poi coloro che portano avanti concretamente l’Associazione, in silenzio e con grande coraggio.
Anteas, associazione di tutte le età attive per la solidarietà, vuole valorizzare anche i giovani, far scoprire
loro il valore del volontariato. Un’associazione in salute,
come confermano i numeri, che esce rafforzata e unita
da Riccione.
Ha portato un saluto il portavoce del Forum del III Set-
tore Barbieri, era presente tutta la Segreteria della Federazione Nazionale Pensionati guidata da Gigi Bonfanti
ed inoltre Pietro Cerrito della segreteria confederale
Cisl. In particolare Cerrito ha affermato la necessità di
trovare un nuovo modello di sindacato, la Cisl deve proiettarsi all’ esterno. In quest’ambito Anteas rappresenta
il futuro, in modo da captare e interpretare la parte più
profonda dei bisogni della gente.
Il Segretario generale della Fnp Cisl Ermenegildo Bonfanti ha invitato a fare un bilancio certificato e consolidato, quale metodo valido per tutta la Cisl.
Inoltre ha sottolineato in particolare una gestione mirata del 5 x mille e ha invitato a dare concreta applicazione
al protocollo d’intesa Fnp-Cisl-Anteas sottoscritto nel
2010.
L’Assemblea ha quindi proceduto alla votazione per il
rinnovo della Presidenza, del Direttivo, del Collegio dei
Sindaci e dei Probiviri. Alla guida di Anteas ci sarà per
la prima volta una donna, Sofia Rosso, proveniente dalla Fnp della Lombardia, da sempre impegnata nel sociale e nel volontariato. Come vicepresidenti sono stati
scelti Amerigo Lissandron del Veneto, già presidente di
Anteas Padova e Raffaele Caprio, presidente di Anteas
Puglia.
Nel suo intervento Sofia Rosso ha sostenuto che sarà la
presidente di tutti e, tra le altre cose, ha richiamato l’importanza dell’Expo (che si svolgerà a Milano nel 2015) in
cui il volontariato e in particolare l’Anteas ha l’opportunità di giocare un ruolo importante.
Luigi Cherubini
VIENI,
GIOCA
E
VINCI
Gioca con Creditis e il Festival delle Generazionii
In e
per i pesclusiva
ns
FNP CISionati
L
Dal 3 Giugno fino al 4 Ottobre con Dammi il 5 potrai vincere ogni giorno
fantastici premi e partecipare all’estrazione di 4 superpremi
mi finali!
COME SI GIOCA
Partecipare è semplicissimo! Basta solo:
La cessione del quinto della
pensione di nuova generazione.
Dedicata a tutti i pensionati
INPS e INPDAP iscritti al
sindacato
1 REGISTRARSI sul sito www.vienigiocaevinci.it, inserendo i propri dati
anagrafici nel form di registrazione.
2 GIOCARE, scegliendo 3 carte tra quelle proposte nella pagina di gioco.
3 VINCERE: chi trova la carta vincente tra una delle tre scelte, vince subito uno
degli utili e preziosi premi in palio nel corso della settimana. In più, tutti i
partecipanti, prendono parte all’estrazione finale dei fantastici superpremi.
Richiedi subito un preventivo
gratuito al tuo consulente.
Chiama il numero verde o vai sul sito
www.dammil5.com
In col
collaborazione con:
Il prestito personale intelligente.
E ogni problema va in pensione
Concorso a premi riservato ai pensionati iscritti alla FNP CISL, valido dal 3 giugno 2014 al 4 ottobre 2014. Montepremi pari a € 22.862,20 inclusa IVA. È possibile giocare solo una volta nell’arco delle 18 settimane di durata del concorso. Il regolamento dell’iniziativa è
disponibile sul sito www.vienigiocaevinci.it. Per info: numero verde 800 01 09 09.
19 in
Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni economiche e le principali clausole contrattuali il documento “informazioni europee di base sul credito ai consumatori” è ottenibile presso le filiali delle Banche del Gruppo Carige e presso gli Agenti
attività finanziaria iscritti al relativo Albo tenuto dall'OAM e alla sezione E del RUI, mandatari di Creditis Servizi Finanziari S.p.A. Le Banche del Gruppo Carige, iscritte all’Albo delle Banche, promuovono e collocano il prodotto in forza di convenzione con Creditis Servizi
Finanziari S.p.A, società appartenente al medesimo Gruppo. Salvo approvazione di Creditis Servizi Finanziari S.p.A.
“CURARE LA CURA”, UN PROGETTO DEL
COORDINAMENTO DONNE FNP CISL
Mariase
Irene
2.438.000 individui (+4,3%), dianche
in Trentin
alcune
regioni come Liguria, Molise, Basilicata e Calabria
si registra nello stesso periodo una flessione della
popolazione (rispettivamente -0,1%; -2,2%; -3,3%
e -2,6%). Per quanto riguarda la classe d’età degli
“over 65” si assiste in tutte le regioni ad un significativo incremento (media Italia +16,3%) con punte
sopra il 20% per Lombardia, Trentino Alto Adige,
Veneto, Lazio, Puglia e Sardegna.
Un ulteriore dato che rifletto il processo di invecchiamento della popolazione si ricava considerando l’incidenza degli ultra 65enni sul totale della popolazione residente: si passa dal 18,7% del 2001 al 20,8% del
2011 (nel 1971 era pari all’11,3%). L’aumento è stato
significativo anche per le età più avanzate: l’incidenza della popolazione di 75 anni e più è passata, infatti, dall’8,4% del 2001 (4.762.414 persone) al 10,4%
del 2011 (6.152.411 persone)
Persone con 65 anni e più.
Censimenti dal 1971 al 2011
Incidenza % sul totale della
popolazione residente
Indicatori strutturali della popolazione residente.
Censimenti dal 1971 al 2011
Il progetto “Curare la cura” promosso dal Coordinamento Donne del FNP Cisl nazionale si caratterizza
per un metodo di indagine fortemente collegato all’azione e alla presenza sul territorio. L’idea è quella di
vedere la connessione tra il cambiamento demografico e il mutamento della domanda di salute, con specifico riguardo alla diffusione di patologie croniche,
collegate ad eventi invalidanti generatori di non autosufficienza.
Incrociando le istituzioni con il ruolo della famiglia,
il mercato del lavoro e il mutualismo privato-sociale
si vede chiaramente che nella risposta alla domanda
di salute l’elemento di genere è uno snodo strategico:
per il fatto che la donna vive più a lungo, più a lun-
20
go in salute, più spesso si fa carico di famigliari non
autosufficienti e con più frequenza è impegnata nei
lavori di cura, sia in famiglia, sia come collaboratrice
famigliare, o badante, sia come lavoratrice di cura a
livello ospedaliero o residenziale.
L’8 aprile scorso è stato presentato il quadro conoscitivo del progetto, curato da Local Area network, di
cui di seguito pubblichiamo un estratto dei passaggi
più significativi.
L’evoluzione demografica in Italia
Rispetto al 14° Censimento, quando la popolazione residente censita in Italia era pari a 56.995.744,
si rileva nel 2011 un incremento complessivo di
Anziani per bambino
Evoluzione della
popolazione residente
Incremento demografico nei comuni
Var. % 2001 / 2011
Il progressivo invecchiamento che caratterizza la popolazione italiana risulta ancora più evidente attraverso l’analisi di alcuni indicatori demografici. Dal
1971 al 2011 il numero di anziani (pop. 65 anni e più)
rispetto ai bambini (meno di 6 anni) passa dall’ 1,14
a 3,75. L’indice di vecchiaia, invece, che mette in relazione la popolazione con 65 anni e più con quella
che ha meno di 15 anni è notevolmente aumentato
negli ultimi 40 anni passando dal 46,1% del 1971 al
148,7% del 2011.
Indicatori strutturali della popolazione residente.
Censimenti dal 1971 al 2011
Indice vecchiaia
Le condizioni di salute
Le ultime dinamiche demografiche evidenziano un
allungamento dell’aspettativa di vita, ma come si
evolve lo stato di salute delle persone? È questo l’interrogativo a cui si è cercato di rispondere nella seconda parte dello studio.
In base alle variabili utilizzate si rileva un progressivo incremento degli anziani trattati in ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) con una percentuale sulla
popolazione “over 65” che è raddoppiata negli ultimi
dieci anni ed una tendenza al rialzo anche per le persone affette da almeno una malattia cronica.
A livello territoriale si evidenziano per alcune regioni significative differenziazioni rispetto al trend
generale. Tale difformità si riscontra considerando
anche il numero di beneficiari di pensioni o assegni
di accompagnamento. I differenti criteri di valutazione che vengono utilizzati non consentono di operare
un’analisi omogenea sul territorio nazionale: da una
parte si registra una leggera contrazione per le pensioni di invalidità tra il 2008 e il 2011 con tendenze
in rialzo però in Lazio e Sicilia, mentre considerando
le indennità di accompagnamento si rileva tra il 2005
ed il 2010 un incremento medio del +1,7% con aumenti superiori alla media soprattutto nelle regioni
del Sud.
Var.% <0%
0%< Var.%Media Italia (69,2%)
Var.%>Media Italia (69,2%)
Var.% <0%
0%< Var.%<5%
0%< Var.%<10%
Var. %>10%
Evoluzione della
popolazione residente
Decremento demografico nei comuni
Var. % 2001 / 2011
< 2,50
2,50 - 4,99
5,00 - 7,49
7,50 - 9,99
>= 10,00
< 2,50
2,50 - 4,99
5,00 - 7,49
7,50 - 9,99
>= 10,00
21
ANTEAS e la tecnologia sostenibile
Per rappresentare degnamente una parte tanto viva del
Paese, bisogna conoscere i problemi di cui ci si occupa,
bisogna saperli interpretare e confrontare con le risorse
esistenti, per sollecitarne l’aumento o il miglioramento
qualitativo. I volontari dell’Anteas hanno saputo tradurre le conoscenze dei bisogni e l’analisi delle risorse in progetti organici in grado di soddisfare i bisogni
emergenti. Per fare questo, il volontariato è chiamato
ad attrezzarsi culturalmente. L’analisi dei bisogni e l’individuazione delle risorse richiedono una capacità di
leggere il territorio e la realtà che ci circonda, nella consapevolezza che in ogni luogo gli stessi bisogni si presentano in modo diverso.
Anziani e tecnologia, un incontro
possibile
L’uso degli strumenti tecnologici disorienta le persone
anziane. Gli ultra 65enni continuano a preferire la tv, da
cui attingono la maggior parte delle informazioni, usano
poco bancomat e carte di credito. Qualche dato: l’Istat
rivela che le famiglie con almeno un minorenne sono più
“tecnologiche”, mentre tra quelle composte da soli over
65 è poco diffuso il computer (13,9%) e solo l’11,8% può
navigare in internet. Il cellulare è il mezzo tecnologico
più diffuso tra gli anziani, anche se in misura molto inferiore alla media nazionale. Ma le barriere dell’analfabetismo digitale non significano che gli anziani non siano
capaci di imparare a utilizzare le nuove tecnologie. Dai
territori arrivano esempi virtuosi, che forniscono segnali confortanti sulla propensione degli anziani all’utilizzo
delle nuove tecnologie, mettendo in discussione uno dei
22
pregiudizi più consolidati che dipinge l’Italia come un
Paese arretrato ed impermeabile alla diffusione delle
moderne tecnologie.
Anteas Avezzano:
gli “Anziani Digitali”
Il progetto “Anziani Digitali” è nato nel 2012 da un’idea
del Presidente dell’ANTEAS Avezzano Marsica, Mario
Gatti. L’idea era quella di proporre dei corsi gratuiti di
Informatica di base per favorire l’alfabetizzazione informatica nel territorio, curando allo stesso tempo l’aspetto relazionale per offrire ai partecipanti piacevoli momenti di socializzazione.
Il progetto è partito nel 2013 e, già dopo pochi giorni
dalla pubblicizzazione, più di 70 anziani desideravano
partecipare al corso. L’elevato numero di richieste degli anziani del territorio, unito all’entusiasmo mostrato
da coloro che hanno partecipato alla prima edizione,
ha spinto a lavorare per organizzare una nuova edizione nel 2014. Per rendere il servizio costante nel tempo
e per permettere anche ad altri volontari di partecipare attivamente, è stata attrezzata un’aula nella sede
dell’ANTEAS di Avezzano. Ovviamente, trovare i fondi
per comprare computer e videoproiettore non è stato
semplice, ma un’importante multinazionale, data la natura solidaristica e sociale dell’iniziativa, ha ceduto 20
notebook ad un prezzo simbolico. All’inizio del 2014, in
collaborazione con la Fnp Cisl territoriale di Avezzano,
è stato inaugurato il “Centro di alfabetizzazione informatica ANZIANI DIGITALI”, costituito da un’aula con
12 postazioni, 20 notebook, un proiettore e una lavagna
multimediale. L’obiettivo è quello di trasformare l’aula in un Internet Point a disposizione degli anziani che,
per situazioni socio-economiche sfavorevoli, non hanno
possibilità di avere a casa strumenti informatici e una
connessione ad Internet.
I corsi sono stati dei veri e propri momenti di incontro tra generazioni. Infatti, accanto ai partecipanti,
tutti ultra-sessantacinquenni, hanno lavorato i giovani
dell’ANTEAS Avezzano Marsica. La docenza è stata affidata a Laura Gatti (31 anni), docente di Informatica di
base e di Comunicazione, mentre Maria Laura Ricci (24
anni), Manuela Giannantoni (24 anni) e Miriana Cipol-
lone (22 anni) hanno svolto il ruolo di tutor aiutando,
durante le lezioni, chi ne aveva bisogno. Il corso, proponendosi come una vera e propria alfabetizzazione informatica, è stato incentrato sulle funzioni e le nozioni base
del computer, in modo da permettere agli anziani di iniziare ad utilizzare lo strumento in autonomia. Sono stati
approfonditi i programmi più importanti come Word
e Internet, che possono risultare particolarmente utili
nell’utilizzo quotidiano del computer sia per hobby sia
per l’organizzazione familiare. Le lezioni, teoriche e pratiche, sono state arricchite da giochi didattici di socializzazione e lavori di gruppo, che hanno permesso agli
anziani di condividere pensieri e perplessità e di sentirsi
compresi nella loro difficoltà di approccio agli strumenti
informatici. Oltre al mero apprendimento dei concetti
e all’acquisizione delle competenze informatiche, quindi, in entrambe le edizioni il valore aggiunto è stata
l’amicizia che si è creata tra le volontarie e gli anziani.
Un’amicizia nata grazie al clima di serenità e di condivisione instaurato durante le lezioni, che ha permesso di
costruire legami tra i partecipanti attraverso la cooperazione e l’aiuto reciproco e che è stato di grande utilità
nell’apprendimento. “Con molti di loro questa amicizia
ancora oggi va avanti e ci rende davvero orgogliosi del
nostro lavoro”, afferma Laura Gatti, docente dei corsi e
volontaria Anteas.
“Universal Design”, concetto cardine a livello europeo
per l’accessibilità, e “Life” come stile di vita.
Tra i tre progetti finalisti, “U-Life” è stato ritenuto il
più meritevole per aver saputo rispondere in maniera
innovativa e concreta a una delle sfide chiave del futuro:
vivere meglio e più a lungo, proponendo idee e soluzioni
sostenibili per trasformare il cambiamento in opportunità.
“Attualmente solo l’11% viaggia - spiega Anna Riva, responsabile del progetto - soprattutto per problemi di
salute o esigenze speciali che rendono impossibile una
vacanza ordinaria”. “U-Life” vuole dare un contributo
al turismo italiano ampliando i servizi offerti in termini
di accessibilità - aggiunge - con l’obiettivo di offrire alla
terza età nuove modalità di viaggio, superando offerte di
turismo di sollievo e sociali”.
Il gruppo di lavoro di U-Life è formato da Anna Riva
(project manager), Federico Magnone (It engeneer),
Luigi Bandera (sales manager) e Gabriele Favagrossa
(accessibility advisor).
Elettra
Turismo accessibile: premiata la
start-up di Anteas Lombardia
U-Life è una piattaforma on line e su canali tradizionali
per la vendita di pacchetti ed itinerari turistici ad anziani e persone con esigenze speciali. Per questo progetto,
Anteas Lombardia ha vinto il “Fellowship for Longer
Lives”, programma internazionale rivolto ad iniziative
imprenditoriali sui temi della longevità, istituito da Axa
in Italia e Swiss Re Foundation, insieme a Impact Hub
Milano (primo centro in Italia dedicato all’innovazione
e all’imprenditoria sociale, nonché alle persone che la
promuovono).
“U-Life”, realizzato in collaborazione con Ledha (Lega
per i diritti delle persone con disabilità) e Cts (Centro
Turistico Studentesco), nasce dalla volontà di coniugare
23
Workshop della FNP per politiche e ruoli post crisi
Ripensare il sindacato
di Stefano Della Casa
I lavori aperti dal Segretario
Generale Ermenegildo Bonfanti.
Le relazioni di Sapelli, Bartolini,
Pandolfo. Gli obiettivi:crescita,
equità e riproduzione sociale.
Le esperienze di organizzazioni
estere.
L’attuale situazione socio-economica in Italia, la crisi
dei sistemi capitalistici ed il fallimento del welfare come
lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, ha indotto la FNP
CISL a promuovere due giornate di workshop a Roma
il 19 e 20 maggio scorsi. I lavori, riservati ai dirigenti
della Federazione, si sono svolti nello storico complesso dell’Ospedale di Borgo Santo Spirito e hanno avuto
come finalità l’ascolto di voci diverse, sia di organizzazioni sindacali di altre nazioni sia di autorevoli persone
che operano al di fuori delle organizzazioni sindacali. Il
fine: dare vita ad un momento di riflessione dal quale far
nascere nuove idee e proposte.
I lavori sono stati aperti dal Segretario Generale Ermenegildo Bonfanti la cui relazione ha avviato un vivace
dibattito che ha avuto come protagonisti personaggi di
spicco del panorama universitario, giornalistico ed economico, guidati dal giornalista Andrea Pancani.
I temi dei due giorni di convegno, crescita, equità e riproduzione sociale sono stati presentati dal Prof. Giulio
Sapelli, Professore Ordinario di Storie Economica ed
Economia Politica dell’Università di Milano ed editorialista del Messaggero.
sabile ritenere possibile il mantenimento di un welfare
come quello che conosciamo e il disgregamento di quei
valori di relazioni personali, sia nel pubblico che nel
privato, che ha causato il crollo del fenomeno della Riproduzione Sociale. Insieme al Prof. Stefano Bartolini,
dell’Università di Siena e al Prof. Angelo Pandolfo della
Sapienza di Roma, Sapelli ha ripercorso la storia politica ed economica in Italia dal dopoguerra, dimostrando
come i modelli ai quali ci siamo ispirati, primo fra tutti
quello americano, non solo si sono dimostrati fallimentari, ma sono stati la causa principale della stagnazione
economica nella quale versiamo, creando una situazione sociale di individualismo e solitudine, con la grande
perdita di valori come il mutualismo e le relazioni sociali che sono state sostituiti da una corsa al consumismo
ed una conseguente necessità di maggiori risorse economiche e, quindi, maggiore richiesta di lavoro.
Quello che ieri era un lusso oggi è diventata una necessità e lo Stato, se non ha la capacità di riaffidarsi alla
mutualità sociale, è destinato ad andare verso quel fallimento che i modelli economici basati esclusivamente
sul capitale hanno già prodotto nei paesi d’origine.
Alla radice della stagnazione
I valori perduti
Quale ruolo per il Sindacato
Sapelli ha esposto la situazione attuale confrontandola
con il passato, ponendo l’accento su come sia impenErmenegildo Bonfanti, segretario generale della Fnp Cisl
24
L’analisi è proseguita valutando il ruolo che deve avere
il Sindacato in questa fase, dove le imprese dovranno
uscire dal sistema capitalistico con i minori danni pos-
sibili e l’organizzazione sindacale dovrà tornare ad un
ruolo di aggregatore fra mutualità e cooperazione, concentrando i propri sforzi a riallacciare quello strappo
generazionale che si è creato oggi fra giovani ed anziani.
Il secondo giorno di workshop ha visto, fra gli altri, l’intervento del Prof. Peter Sheldon, dell’Università di Management and Economy of New South Walles e Grace
Grace, direttrice della Queensland Nurses’ Union, entrambi di Sydney, che hanno portato l’esperienza dei
sindacati anglosassoni e delle loro battaglie per migliorare la condizione sociale delle fasce più povere di lavoratori, in maniera principale quella degli immigrati,
una situazione che anche l’Italia si trova ad affrontare a
causa dei flussi migratori in costante aumento.
Dal Welfare di Stato
a quello sociale
A colloquio con Giulio Sapelli
Tornare allo Stato
imprenditore
Serve più spesa pubblica. Se il privato non investe creiamo aziende statali. Le scelte
di interesse nazionale passano sopra le resistenze locali. Sindacato: meno leggi e
più contrattazione. Partiti veri, non virtuali. Politica: è la crisi degli apostoli. Senza
la famiglia saremmo già morti. Strasburgo dopo Renzi. Troppo allargamento ci ha
fatto male. Alla Russia dovevamo stringere la mano, non litigarci le terre di mezzo.
L’Europa va dall’Atlantico agli Urali.
di Gian Guido Folloni
I lavori sono proseguiti con gli interventi di Cesare Pacioni, in rappresentanza delle Banche Popolari e Cooperative e del Prof. Salvatore Natoli, Professore dell’Università Bicocca di Milano, che hanno sviluppato il
tema del welfare sociale e della necessità di una radicale
modifica di distribuzione delle ricchezze, con la Società e non più lo Stato che deve farsi carico del Welfare.
Quest’ultimo deve trasformarsi in un Welfare solidale
nel quale devono essere premiati i meriti e devono essere incentivate le capacità dell’individuo, sempre sotto
l’attenta vigilanza del sindacato che ha lo scopo di continuare a difendere e tutelare il lavoratore il quale, e questa è la grande sfida dei prossimi anni, non potrà essere
protetto indiscriminatamente ma aiutato nella propria
valorizzazione e nello sviluppo delle sue capacità.
I due giorni di workshop sono stati chiusi dall’intervento del Segretario CISL, Raffaele Bonanni che, dopo aver
elogiato i temi e le discussioni presentate ha ribadito la
necessità di attivare il confronto fra organizzazioni sindacali, istituzioni e soggetti terzi per riavviare il processo di crescita sociale nel nostro Paese.
Giulio Sapelli, ordinario
di storia economica
all’Università degli studi
di Milano
Giulio Sapelli: un curriculum accademico
sterminato, che copre tutti i continenti. E’
certamente uno che definiresti fuori dal coro.
Certo non in sintonia con la retorica della crisi
oggi imperante. A 67 anni trotta da una vita
tra università (ordinario di Storia economica
a Milano) e consigli di amministrazione di
aziende pubbliche e private. Ora i consigli li ha
abbandonati. Nei suoi giudizi, come nei libri della
sua vastissima bibliografia, non usa parafrasi e
va diritto al cuore del problema. Mastica numeri,
ma non disdegna l’etica. Parliamo con lui di
crisi, di lavoro, di partiti e sindacati, d’Europa
e di Cina, di famiglia, di giovani, di pensioni, di
investimenti, senza alcun tabù.
Folloni: Partiamo dal voto europeo. La Merkel
e Renzi: sparito Hollande, l’asse si sposta verso
Roma?
Sapelli: Non darei per finito Hollande: la Francia è
un fiume carsico. Del resto, a ben guardare, nel voto di
maggio c’è da registrare l’impetuosa avanzata della Le
Pen, ma i gollisti tengono. Anche sull’indebolimento
dell’asse franco tedesco andrei cauto. Francesi e tedeschi ne stanno costruendo uno in Africa, dove i primi
mantengono una visione che potremmo anche chiamare imperialista e i tedeschi forniscono le armi impiegate
25
nelle aree turbolente. Come in Mali. E’ un’azione che
mira a contenere l’avanzata della Cina. La vera novità
sta nel fatto che la vittoria di Renzi ha portato i cattolici
nel PSE. Le tradizioni del riformismo cattolico e di quello socialista cominciano a fondersi. Prendiamo i 150 miliardi di euro d’investimenti pubblici proposti dal boy
scout. Segmenti di PPE e PSE cominceranno a parlarne.
Il vero problema è cosa farà il PSE.
Che cosa cambia? L’Euro avrà mai un potere
politico alle spalle?
Si avanza piano piano. Sempre che si smetta di pensare
all’Europa federale. L’Europa può essere confederale. O
sarà un’alleanza di Stati o non sarà.
In cinque anni di crisi quasi 100 mila aziende
hanno chiuso i battenti. Oggi, ogni ora ne chiudono altre due. Nel frattempo, la Cina ha scalato tutte le classifiche e quest’anno supererà
gli USA come PIL. Come si recupera il lavoro
perduto?
Ma la Cina sale in vetta grazie al lavoro forzato a basso
costo. Questa è la sua forza. Poi il PIL non è tutto. Se
guardiamo al prodotto pro capite l’immagine è diversa.
E se si svegliano gli operai cinesi che oggi lavorano come
schiavi…In ogni caso il recupero passa attraverso una
nuova ondata d’investimenti. Se non lo fanno i privati,
dovrà farlo lo Stato. Bisogna abbassare i tassi. Non male
l’idea del ministro francese Arnaud Montebourg di portare sul mercato le terre rare a basso costo.
Può essere un’idea giusta quella di tornare allo
Stato imprenditore?
Sì. Ma non come l’IRI che faceva l’infermiere. Piuttosto
come l’ENI. Senza cda lottizzati politicamente. Un solo
amministratore. E poi decidiamoci a fare questa benedetta banda larga. Senza di essa non si può nemmeno
parlare di politica industriale.
26
Meno di un mese fa è comparsa la notizia che
la Cina sta studiando una ferrovia superveloce
che colleghi Pechino a New York. Noi siamo fermi alla Valle di Susa. E’ finito il nostro spazio di
crescita?
La Cina ha una politica economica espansiva e aggressiva. In ogni caso non paragoniamo il miliardo e mezzo
di cinesi con i 60 milioni d’italiani. Però è vero: nelle
decisioni siamo lenti e la lentezza è la crisi della democrazia. Ci sono decisioni che vanno sottratte al principio
di maggioranza. I valsusini? Hanno una tradizione combattiva. Nella guerra tra la Francia e la dinastia sabauda
tagliavano a fette i soldati d’Oltralpe. Convincere i sindaci con promesse di soldi è solo perdere tempo. Se il
Parlamento prende una decisione d’interesse nazionale,
poi i cittadini non devono più dire nulla.
Facciamo un passo indietro. Qual è la natura
della crisi? E’ solo economia mal governata o
ha radici culturali?
Certo che ha radici culturali: quelle tipiche dell’economia capitalista. Si è formata un’intera classe dirigente
completamente separata da ogni idea morale. Al contra-
rio, l’economia è una scienza morale. La ricchezza deve
essere in funzione del lavoro, non della voracità degli
stakeholder.
Se la radice è culturale, la battaglia per vincerla e superarla è culturale. Cosa che i sindacati non hanno ancora
capito. C’è una loro responsabilità. L’uscita dalla crisi?
L’economia va governata. Come? In ordine: cultura, politica e poi economia.
Spending review, sobrietà; meno welfare,
meno benessere? E’ questo che dobbiamo imparare? Ne siamo capaci?
Sono tutte stupidaggini che mi ricordano la storiella
dell’asino di Buridano. Certo, abbiamo bisogno di meno
sprechi. Ma soprattutto abbiamo bisogno di più spesa
pubblica. Se la Regione Lombardia ha 270 dipendenti e
la regione Sicilia ne ha 9000 è evidente che ci sono sprechi che vanno corretti. E questo è anche un problema
del sindacato. Quando hanno fatto tutte quelle assunzioni, mica ha protestato.
Che cos’è il benessere?
E’ affrontare l’allungamento della vita umana senza la
sofferenza che oggi comporta. Si vive più a lungo, ma
spesso a prezzo di grande sofferenza. Ora, fare questo
costa tanto. Allora: più beni pubblici e meno beni privati. E più giovani che possano condividere. Che sappiano vivere insieme a questa società fatta di molti anziani. Questa storia del conflitto tra anziani e giovani?
La borghesia non smette mai di raspare in casa altrui. Il
passaggio al sistema contributivo è stato un errore. Con
esso si è persa per strada la battaglia per la solidarietà
sociale e per quella intergenerazionale. I miei contributi
versati da giovane studente lavoratore hanno finanziato
la cassa integrazione. Oggi vogliono mettere le mani sulle pensioni. Ma hanno già usato i miei contributi versati
tanti anni fa.
La crisi ha messo alle corde la rappresentanza.
I politici, in primis, ma anche tutte le organizzazioni di massa. Il consenso è divenuto volatile. Il voto fluttua, l’astensione cresce. Come
rinasce la politica e da dove riparte?
In primo luogo cominciamo a rafforzare quello che c’è.
I sindacati hanno resistito e vanno rafforzati. Quando i
sindacalisti vanno in pensione non devono passare alla
politica. Secondo me è un errore. Restino, gratis, a fare
il sindacato. La crisi dei partiti è la crisi degli apostoli.
Gesù, ma anche Budda, avevano i loro discepoli. Li hanno radunati e formati, anche trattandoli con maniere
forti. Basta leggere il Vangelo. I partiti, o sono questo o
non sono niente.
Oggi va di moda il partito leggero, virtuale, addirittura quello 2.0…
Stupidaggini. Obama ha unito la rete con i valori. Mentre qui si farnetica, là stanno ricostruendo un partito di
militanti. Il modello apostolico, appunto.
La concertazione è morta. Anche la rappresentanza sindacale ha bisogno di una rotta nuova.
Qual è la rotta? Una rappresentanza legata alla contrattazione. Io sono per la “delegificazione” delle leggi sul
lavoro. Meno leggi significa più spazio alla contrattazione, sia aziendale sia territoriale, ovviamente. Un grande
ruolo devono pretenderlo anche i pensionati. Vengono
da tutte le categorie: non sono una federazione ma una
grande forza confederale.
Parliamo di Europa. Gli USA ci pungolano verso politiche meno rigoriste. Ma stanno lavorando a chiudere lo spazio di espansione verso est del nostro continente. L’asse si sposta
dall’Atlantico al Pacifico. Non rischiamo di diventare la debole frontiera di una nuova guerra fredda?
L’Europa fa fatica perché ha allargato troppo. Non
condivido l’entusiasmo di Prodi. Alla caduta del Muro
di Berlino non è seguita, come avrebbe dovuto, una
nuova Yalta. Bisognava incontrare Gorbaciov, stringergli la mano e dichiarare che nessuno dei paesi che
si rendevano indipendenti dalla Russia sarebbe entrato
nell’UE. Non più con la Russia e non con noi. Invece…
La conseguenza? Abbiamo accettato di mettere i missili
in Polonia. Un pessimo segnale mandato a Mosca. Come
avrebbero dovuto prenderlo? Lo stesso vale per l’Ucraina e la Crimea. In Crimea la Russia ha la base navale di
Sebastopoli.
Forse questo è l’interesse americano…
Non è certo interesse europeo, ma nemmeno americano. L’Ucraina non deve essere di Putin, ma nemmeno
dell’Europa. Anzi di Europa si parli solo se va dall’Atlantico agli Urali, da Lisbona a Vladivostok.
Nei suoi scritti economici lei fa spesso riferimento alla famiglia, un nucleo relazionale
sempre più evanescente. Basta vedere le icone
dello star system e il messaggio dell’intrattenimento mediatico. Ma lei ne parla come di una
risorsa. Perché?
Lo star system è fatto di gente effimera e bacata. Per fortuna la gente normale non è così, il popolo è sano. Nella
stragrande maggioranza la famiglia ha sfatato tutte le
“profezie” dei sociologi. E questo perché la famiglia è
una società naturale. E’ una “società” che promana dalla
stessa natura umana, e in primo luogo dai rapporti parentali, di sangue. Famiglia uguale cattolica? Prendiamo
l’ebraismo. E’ fondato sulla famiglia. La vicenda attuale
dimostra che la famiglia c’è e ha tenuto. Senza i nonni
saremmo tutti morti. La famiglia, quella di Levi Strauss,
in carne e ossa, non quella dei codici. Senza questa famiglia saremmo lupi contro lupi. Agli economisti servirebbe una formazione teologica. Dovrebbero leggere di
più Ratzinger.
27
28
Era qui il convegno
19/20 Maggio 2014
Santo Spirito in Sassia, Roma
29
“Solo la contrattazione farà uscire
l’Italia dalla crisi economica e sociale”
Annamaria Furlan, neo Segretario generale aggiunto della Cisl, detta l’“agenda” del sindacato per i prossimi mesi
Annamaria Furlan, neo segretario generale aggiunto della CISL
30
Il Consiglio generale della Cisl ha eletto
nei giorni scorsi Annamaria Furlan
nuovo Segretario generale aggiunto
della Cisl. Genovese di origine, 56
anni, la Furlan è impegnata nella Cisl
dal 1980, quale delegata dell’allora
Federazione dei lavoratori postali, il
Silulap (oggi SLP) di cui ha percorso
tutto il tragitto dirigenziale fino a
diventarne Segretaria regionale.
Successivamente è stata ai vertici della
Cisl di Genova e della Liguria. Da
dodici anni è Segretario confederale
della Cisl dove si occupa del settore
terziario e servizi. E’ la prima donna
ad assumere l’incarico di “Aggiunto”.
In prima battuta la Fnp - Cisl
esprime la propria soddisfazione per
la reintroduzione della figura del
“Segretario generale aggiunto” e per il
fatto che la scelta abbia premiato una
donna, sia per l’excursus sindacale,
sia come simbolo di un rinnovamento
che dovrà continuare in futuro.
“Contromano” ha intervistato il neo
Segretario aggiunto a pochi giorni
dalla sua elezione.
La scelta fatta dal Consiglio Generale impegna il Segretario Generale Aggiunto
ad incidere sulle modalità di dialogo della Cisl, a rafforzare le presenze di genere
nella dirigenza e nella militanza, a concorrere ad elaborare proposte innovative
per innovare il processo decisionale. Crede che si potranno allargare le basi della
rappresentanza e del pluralismo?
Non solo credo, ma ritengo indispensabile che
la Cisl si debba impegnare con sempre maggiore
energia per comprendere meglio e interpretare
le nuove complessità che si stanno rapidamente
affermando, sia nello scenario interno al sindacato, sia nell’evoluzione della società italiana. Oggi
il movimento sindacale è in una fase che vorrei
definire epocale. Tutte le certezze e gli ambiti in
cui ha operato dal secolo scorso sono ora messe in
discussione dai cambiamenti culturali, economici,
tecnologici che stanno caratterizzando questo primo ventennio del 2000. Certamente la crisi ha posto nuove sfide e ha messo la politica, l’economia e
i soggetti intermedi di fronte a nuove responsabilità. Anche per questo dobbiamo avere la capacità
di proseguire con decisione il percorso di cambiamento organizzativo e politico che la nostra organizzazione con coraggio ha intrapreso. Dobbiamo
sfidare i nostri detrattori sul piano delle proposte
e della capacità di innovarci e trovare nuove forme di rappresentanza, dove devono trovare ancor
più diritto di cittadinanza i giovani, le donne, gli
anziani. Una cosa però è certa: dove esiste il lavoro, dove esistono i bisogni della persona, dove c’è
società sempre ci sarà necessità di tutele e di difesa dei diritti, soprattutto dei più deboli. Qualsiasi
forma assumerà la produzione, qualsiasi modello
economico adotteremo, i corpi intermedi saranno
il collante in grado di garantire, come è stato finora, la coesione e la pace sociale. La forma più
civile che la storia dell’uomo ha espresso è quella
della rappresentanza democratica degli interessi e
dei diritti. Nessun vento nuovo può o potrà negare
questo, senza negare i principi cardine della democrazia.
Ormai si parla di esigenza di un sindacato
nuovo. Cosa si intende con questa formula
e come si potrà lavorare per ampliare la
rappresentanza verso i non protetti, i precari, i marginali?
Penso che si stia affermando una sorta di ambiguità quando si parla di nuovo e di cambiamento. Traghettare una società verso il futuro non significa rinnegare quanto di buono è stato fatto o,
peggio, confondere la giusta richiesta da parte dei
cittadini e dei lavoratori e delle lavoratrici, come
dei pensionati e delle pensionate, di fare pulizia
contro la corruzione, la cattiva politica e la cattiva
finanza, con soluzioni che fanno di tutt’erba un fascio. Mi spiego meglio: l’approccio al cambiamento non sempre richiede l’accetta, magari usata con
più facilità sui più deboli. È sicuramente più difficoltoso e impegnativo, ma la cosa migliore è usare
il bisturi per conservare quanto di buono è stato
fatto. Noi stiamo cambiando i nostri assetti organizzativi per rendere più efficace la nostra azione
e la nostra presenza, soprattutto nei territori e nei
posti di lavoro, per affermare una nuova dimensione della rappresentanza che si estenda ai tanti
aspetti esistenziali della persona. Sul fronte dei
non protetti, dei precari, di chi è marginale siamo
impegnati in una forte campagna di denuncia intitolata, appunto, “Basta Omertà sui Veri Precari”.
La Cisl vuole sollevare il velo d’indifferenza verso le forme di lavoro in cui si annida la precarietà, facendo finalmente luce su chi oggi non trova
adeguate tutele. Basti pensare alle cosiddette false
partite Iva, o ai collaboratori a progetto.
Un altro tema su cui dobbiamo sviluppare la nostra azione con più determinazione è quello dei
giovani. Aumenta sempre più il numero di sfidu31
ciati che non studiano e non cercano neanche il
lavoro. Se non scongiuriamo in fretta derive come
questa attraverso, secondo noi, l’unica strada percorribile che è quella del confronto e della contrattazione a tutti i livelli, con Governo, enti locali,
parti datoriali, in un sforzo comune e complessivo,
l’Italia non ce la farà ad uscire dalla crisi, non solo
dal punto di vista economico, ma anche sociale.
Crede che oltre a svolgere nel mondo del
lavoro le funzioni di indirizzo e di tutela,
la Cisl dovrà anche acquisire nel tempo la
percezione sociale verso i nuovi bisogni
che emergono dai contraccolpi della crisi
politica, economica e sociale che continua
a mordere lavoratori, pensionati e famiglie?
È chiaro che la società non è più quella di 60 anni
fa, quando è nata la Cisl. La nostra mission non
32
può rimanere relegata solo nei tradizionali confini del “posto di lavoro”. Gli effetti dei nuovi modi
di produrre e lavorare, la globalizzazione, i flussi
migratori, la velocità delle comunicazioni, le innovazioni tecnologiche, stanno disegnando nuovi
scenari che investono, in tutte le sue dimensioni,
la persona e i suoi bisogni. Tutto ciò impone al sindacato non solo di acquisire una generica sensibilità verso i nuovi bisogni, ma di uscire concretamente dai luoghi classici del lavoro, intercettando
e rappresentando le nuove esigenze anche laddove
si stanno affermando.
L’area degli anziani e dei pensionati si
estende per ragioni demografiche e sociali. Come potrà integrarsi il crescente sviluppo di questa dimensione sociale con il
ruolo e le prospettive future del sindacato
confederale?
Non vi è dubbio che gli anziani e i pensionati rappresentino, non solo numericamente, una realtà
di fondamentale importanza per la Cisl e per il
sindacato Confederale in generale, una realtà che
va tutelata e presidiata mettendo ancora di più in
primo piano nell’agenda della Cisl temi quali il
potere di acquisto delle pensioni o della non autosufficienza. Ma l’elemento su cui occorre puntare
è una forte integrazione tra generazioni. Mettere
insieme giovani e anziani, lavoratrici e pensionate,
confrontarne i bisogni, le esperienze, le aspettative
sono, per noi, elementi fondamentali per traghettare i nostri valori anche nel sindacato del futuro.
Il patrimonio di conoscenza ed esperienza di cui
sono portatori gli anziani e i pensionati va messo
a disposizione delle nuove generazioni, integrandolo con le loro specificità in un quadro di sinergia
solidale che favorisca i processi di inclusione.
33
Quando un giardino può curare
Prosegue l’inchiesta sulle aree verdi
destinate alla terza età.
Dagli USA arrivano gli
“healing gardens”, i giardini che curano.
Intervista all’Arch. Monica Botta, tra i primi ad
aver introdotto in Italia i “giardini terapeutici”.
di Cristina Petrachi
I giardini possono curare. La natura può guarire. Il verde aiuta l’uomo a vivere meglio. Quante volte abbiamo
sentito o abbiamo detto frasi di questo tipo? Probabilmente innumerevoli. Ebbene, è ormai conclamato che
in realtà esse non sono solo frutto dell’immaginazione,
dell’istinto o della saggezza tradizionale. Numerosi studi
hanno dimostrato la stretta interrelazione tra la natura,
il benessere psico-fisico, finanche la cura e la guarigione
medica.
Per questo anche in Italia, con circa vent’anni di ritardo rispetto ad altre aree quali il Nord Europa o gli Stati
Uniti, si sta recentemente affermando una nuova sensibilità nella organizzazione e progettazione di spazi verdi
posti sia all’interno di strutture socio-sanitarie (quali
ospedali o case di cura) sia in parchi e giardini pubblici.
Monica Botta, architetto, editor e blogger, è stata una
delle prime in Italia ad occuparsi degli “healing gardens”, i giardini terapeutici, luoghi “in cui è dominante la presenza di piante, fiori, acqua e di diversi aspetti
della natura”. Posti generalmente in ambienti sanitari,
un giardino terapeutico è un luogo “accessibile a tutti”,
spiega, “progettato per avere effetti benefici sulla maggior parte degli utenti che lo fruiscono: può essere anche
rifugio e luogo di sosta per i parenti, i visitatori, il personale medico-sanitario delle strutture di cura”.
Con progetti curati sia per il pubblico che per il privato, Botta ha contribuito al diffondersi di questa nuova
(almeno per l’Italia) tipologia di architettura del verde.
34
Basandosi sulle ventennali esperienze estere, uno dei
principali obiettivi presi in considerazione nel progettare un giardino terapeutico è quello, dice, di “creare
sinergie tra diverse utenze”. “Stimolare cioè – prosegue Botta - una fruizione allargata: anziano - bambino,
adulto - disabile, bambino - disabile”. Un approccio che
“permette l’ampliamento dei ritorni in termini di beneficio. Realizzare spazi in cui stimolare la socializzazione,
dare distrazioni positive, divertire, far rilassare e creare
benessere sono gli obiettivi generali di tutti i giardini
terapeutici”. Ed infatti un giardino può avere una doppia fruizione: attiva e/o passiva. “Attiva, vuol dire fare
attività come la fisioterapia, il gardening, l’orticoltura
o l’ortoterapia. Passiva, nel senso che un giardino, per
le sue componenti specifiche (vegetazione, stimoli, etc.)
può dare del benessere anche solo godendolo attraverso
una passeggiata, una sosta”.
Come sottolineato dallo stesso architetto, emerge forte il richiamo alla teoria di Roger Ulrich, professore di
architettura presso il Centro per la ricerca sull’edilizia
sanitaria della Chalmers University of Technology in
Svezia e consulente del servizio sanitario inglese. Per Ulrich, infatti, la natura contribuisce a mitigare lo stress,
favorendo la guarigione e riducendo i costi economici
del servizio sanitario in termini sia di minor consumo di
farmaci, sia di riduzione del tempo della degenza. Botta spiega che, secondo il professore svedese, i giardini
aiutano il paziente/fruitore nella misura in cui “creano
opportunità per il movimento e l’esercizio fisico; offrono la possibilità di fare delle scelte, cercare la privacy e
sperimentare un senso di controllo; forniscono le situazioni che incoraggiano la gente a riunirsi e l’esperienza
sociale di sostegno; forniscono l’accesso alla natura e ad
altre distrazioni positive”.
Molteplici obiettivi che si realizzano mediante attività
e strumenti diversi ma complementari l’uno all’altro.
Sensazioni tattili, olfattive, visive, uditive e del gusto
(profumi, colori, suoni, tessiture, frutti dell’orto e delle
piante) contribuiscono tutte a portare sollievo e distrazione nella persona. Premesso che ciascun giardino terapeutico è appositamente progettato per una categoria
specifica di fruitori, infatti, i principali benefici per gli
anziani sono, tra gli altri, una maggiore autonomia così
come il ritrovamento di uno spazio di privacy. La riduzione dello stress, un miglioramento psico-fisico e quindi un incremento della qualità della vita.
Obiettivi e risultati che dovrebbero essere presi seriamente in considerazione da parte delle amministrazioni
sanitarie. Ambienti interni ed esterni non solo confortevoli ma anche caratterizzati dal verde e della presenza
della natura, infatti, possono “contribuire in maniera
significativa alla qualità della vita, alla terapia, alle dinamiche sociali tra personale – pazienti - parenti, migliorando la qualità di gestione della struttura sanitaria,
riducendo i costi di ospedalizzazione e facendo sentire
l’individuo al centro della cura”. Linee di indirizzo che
progressivamente si stanno affermando anche in Italia,
a giudicare dai numerosi progetti realizzati dalla sola
Botta. Tra questi c’è l’healing garden nella RSA (residenza sanitaria assistita) della Casa di Riposo di Bellinzago Novarese (realizzato nel 2008-2011) e quello in
fase di realizzazione in provincia di Cremona presso la
Fondazione Elisabetta Germani Onlus.
Ma se i “giardini terapeutici” nascono originariamente nell’ambito di strutture socio-sanitarie, essi stanno
progressivamente comparendo anche all’interno di aree
verdi pubbliche (parchi o giardini urbani). Tra i progetti
più interessanti figura il “Giardino Sensoriale al Parco
delle Rupicole” a Roma, attrezzato con una serie di spazi
destinati a fare attività di diverso tipo, aree con stimoli sensoriali e ausili per le persone non vedenti. È stato
realizzato dall’Orto Botanico (Dipartimento di Biologia
dell’Università di Roma “Tor Vergata”) in collaborazione con lo studio di architettura MTstudio e prevede
“l’integrazione di aspetti ludico-ricreativi con attività di
formazione e riabilitazione per persone con disabilità
motoria, sensoriale, psichica e cognitiva”. Altro esempio
di parco pubblico strutturato secondo le logiche sopra
esposte è quello relativo al Parco del Monte Subasio in
Umbria e firmato dall’arch. Monica Botta. Si tratta di un
progetto pilota che mira a mettere a sistema le pregevoli
caratteristiche già presenti all’interno del parco (quali
luoghi di culto patrimonio UNESCO e bellezze naturali) con servizi innovativi indirizzati ad utenze fragili
ma non solo. Per far ciò, la Regione Umbria metterà a
disposizione immobili destinati ad ospitare un Centro
diurno leggero, una Fattoria terapeutica ed un Centro
Polifunzionale. Le strutture saranno realizzate in collaborazione con le ASL locali e permetteranno lo svolgimento di diverse attività sia terapeutiche che ludiche.
Come illustrato nel numero precedente di “Contromano”, ad oggi manca ancora una mappatura delle aree
verdi destinate ad utenze specifiche, e questo accade in
realtà in tutta Europa. Il progressivo invecchiamento
della popolazione, però, impone che le amministrazioni
pubbliche implementino sempre più servizi a sostegno
di questa fascia d’età, in modo da garantire un invecchiamento attivo delle persone. “Qualificare il verde
dandogli una connotazione terapeutica – conclude
l’arch. Botta - può essere un reale ausilio alle persone
fragili verso le quali dovrebbe esserci una doverosa attenzione. Realizzare giardini terapeutici vuol dire dare
supporto all’ambito sociale, sanitario, e non solo al verde”, contribuendo ad una società più equa e che miri a
diventare, nei limiti del possibile, una comunità.
35
CINA
La marcia
infinita
del Dragone
rosso
di Riccardo Sessa
E’ la prima
economia
mondiale.
Controlla 1152
miliardi del
debito USA.
Il PIL rimane
sopra il 7%.
Ma restano
ampie zone di
povertà.
36
Sulla Cina è stato scritto e si scrive tutto e il contrario di
tutto, ed è stato detto e viene detto tutto e di più. Non
esiste un altro Paese al mondo che susciti da alcuni anni
la stessa attenzione, curiosità ed interesse, non disgiunte, peraltro, da una certa diffidenza, da sentimenti di inquietudine e di minaccia, se non di vera e propria paura. Come conseguenza inevitabile di questa complessa
sensazione, che è poi un misto di stereotipi, di banalità
e di pregiudizi frutto in buona parte di una non corretta conoscenza della Cina, c’è stata una proliferazione di
esperti, o pseudo-tali, di una realtà che in tanti credono
di aver capito e, soprattutto, di aver trovato le chiavi per
entrarvi, mentre rimane circondata da una lunghissima
Grande Muraglia di mille misteri tuttora impenetrabili
per gli occidentali, che ad essa si avvicinano con fretta
e superficialità. E, aggiungo, i cinesi in tutti questi anni
hanno fatto poco per far conoscere il loro paese, anche
perchè ciò alla fine è in contrasto con la loro cultura,
fondata su un’estrema riservatezza, e di fatto solo in vista dei Giochi Olimpici del 2008 e dell’Esposizione Universale di Shanghai del 2010 hanno cominciato – direi
che sono stati costretti - ad aprirsi e a comunicare, con
tutto ciò che una simile scelta ha inevitabilmente comportato.
Dal 1967, dopo il noto film di Marco Bellocchio (“La
Cina è vicina”, n.d.r.), per anni si è detto che la Cina era
vicina, mentre in realtà era lontanissima, quasi isolata,
rinchiusa in se stessa e praticamente sconosciuta in Occidente. Poi è arrivato nel 1972 “Chung Kuo (Cina)”, lo
straordinario documentario di Michelangelo Antonioni
realizzato su invito del governo cinese, subito boicottato
e ritirato per propaganda anti-cinese, proiettato per la
prima volta in Cina solo nel 2002 e di nuovo nel 2010 –
segno dei cambiamenti in corso - che mostra il paese in
tutte le sue disparità e difficoltà. Vederlo 40 anni dopo
è quasi uno choc, mostrando una realtà che non esiste
più. Oggi la Cina, che ormai è più che “vicina”, talmente
è presente e attiva praticamente dovunque ed in tutti
i campi, è in realtà lontana, anzi, sempre più lontana
perchè le parti ora si sono rovesciate, e la forchetta con
il mondo occidentale sembra destinata ad aumentare,
invece che ridursi. E la spiegazione di questo fenomeno,
pur con tutte le domande che sorgono spontanee sulla
solidità del modello cinese di sviluppo politico, economico e sociale, la troviamo nella constatazione che se
oggi guardiamo alla Cina dal nostro osservatorio da
questa parte del mondo, essa ci appare lontana decenni
da un’Europa esausta, sfinita, priva di una progettualità
e di una visione di lungo periodo, che arranca in piena
crisi di identità, oltre che economica, sociale, culturale e
di modelli di riferimento.
Basta che un europeo trascorra qualche settimana in
Cina per provare abbastanza rapidamente questa impressione, ed il passo successivo è rendersi conto che,
mentre quasi ovunque regnano la recessione e una crisi
pesante, prima di tutto di identità, la Lunga Marcia del
Dragone Rosso – che comunque non fu mai una passeggiata - prosegue ancora. Se poi si vive qualche anno
nell’Impero di Mezzo, nel ritornare nella vecchia Europa
– detentrice di modelli di vita che tutti vogliono imitare,
e che purtroppo noi invece non siamo capaci di ammodernare - si ha pienamente la sensazione di arrivare da
un altro pianeta lontano anni luce, da un febbrile laboratorio permanente dove tutto muta rapidamente, dove
tutto e tutti corrono ad una velocità impressionante con
un disegno di lungo termine e ad ampio respiro e con un
obiettivo da perseguire con entusiasmo e con uno sforzo
comune.
Per capire questa immagine e queste differenze è chiaro
che occorre visitare la Cina, sia a fini turistici (la Cina
- al secondo posto, dopo l’Italia, per siti UNESCO patrimonio dell’Umanità - conosce in questi ultimi anni un
incremento notevole del turismo occidentale), sia per
interessi economici e commerciali. E allora, sbarcandovi e pensando istintivamente di essere arrivati nel paese
del Futuro, ci vuole poco a realizzare che la Cina da anni
è già il Presente, mentre noi occidentali, e noi europei in
particolare, purtroppo siamo il Passato.
Intendiamoci: non è tutto oro quello che luccica, e
obiettivamente non potrebbe essere diversamente in
un continente (chiamare la Cina “Paese” è francamente riduttivo) poco più piccolo dell’Europa, circa 32 volte
più grande dell’Italia, pieno di differenze e di contraddizioni, con un miliardo e 400 milioni di abitanti (quasi
un quinto dell’umanità), tra i quali c’è la più numerosa
concentrazione al mondo di ricchezza e di benessere individuali e, al tempo stesso, strati importanti che invece
ancora vivono in condizioni economiche modeste ed alcuni addirittura anche sotto la soglia della povertà. Non
mancano i “gufi” che, ingigantendo queste disparità e le
difficoltà economiche e sociali, si chiedono se la Cina,
superato il periodo d’oro tra la fine del secolo scorso ed
primi dieci anni di questo, non sia divenuto oggi un colosso dai piedi di argilla avendo subito negli ultimissimi
anni un rallentamento della crescita economica, fenomeni di proteste sociali, aumento del costo della vita,
crescita dell’inquinamento, terrorismo interno, proteste, rivendicazioni. Gli analisti stranieri sono in realtà
concordi nel valutare che il paese ha le potenzialità per
mantenere quest’anno una crescita annua del PIL non
inferiore al 7,5%, (cifra più o meno registrata nel primo
trimestre dell’anno), con un rallentamento, rispetto a
dati precedenti, dovuto ad una congiuntura economica
mondiale non certo favorevole e ad una crisi che non
poteva non colpire anche la Cina e che si è tradotta, tra
l’altro, in una diminuzione nei paesi americani ed europei della domanda di prodotti cinesi. L’agenzia Moody’s,
comunque, sostiene che fino al 2017 la Cina registrerà
una crescita economica annua stabile pari al 7 - 8%. Risultati positivi, se li compariamo a quelli europei, ma
meno per la Cina, dove fino a quattro - cinque anni fa
solo una crescita annua del PIL a due cifre veniva accettata e ritenuta positiva!
Sul piano interno la Cina, malgrado progressi realizzati
da una dirigenza che ha saputo gradualmente aprirsi e
coniugare l’esigenza della stabilità interna con un forte
programma di crescita e di sviluppo, continua ad essere
un paese dalle tantissime e profonde contraddizioni, dai
grandi contrasti, dalle altrettante disparità ed anche dai
tanti misteri. Una concentrazione di patrimoni finanziari importanti in circa cento milioni di persone, una
classe media in crescita di oltre 400 milioni di persone,
ed ancora fasce elevate di popolazione nelle aree rurali
con redditi bassi. Da un lato, c’e un paese ancora in via
di sviluppo, povero. Dall’altro, c’è un paese – che ha il
compito di fare da locomotiva - all’avanguardia nello
sviluppo e nella crescita economica, scientifica e tecnologica (è diventata la prima economia mondiale e, insieme all’India, sforna ogni anno il numero più elevato
di laureati in informatica), industriale (da cinque anni è
il primo mercato al mondo dell’automobile), finanziaria
(le sue banche sono ormai tra le prime al mondo, detiene buona parte del debito pubblico americano, ha investito ed investe in tutto il mondo), ma anche nei modelli
urbanistici (chi ha visto i profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi sei-sette anni nelle maggiori città cinesi
trova New York vecchia dal punto di vista architettonico
e delle scelte urbanistiche!). Eh già, Pechino detiene una
quota pari a 1.152 miliardi di dollari del debito pubblico di Washington (ai quali si aggiungono 112 miliardi
in mano a Hong Kong e una piccola quota a Macao) e
possiede anche, rispetto ad altri paesi, in primis Stati
Uniti e Regno Unito, il maggior numero di titoli di stato
giapponesi. Ma non è tutto. Giusto per aggiungere un
ulteriore piccolo esempio, su un’agenzia italiana molto
ben fatta, “Visto dalla Cina” (servizi-italiani.net), ho letto che il quotidiano di Pechino in inglese “China Daily”
ha scritto recentemente che il 18% degli acquirenti di
un immobile negli Stati Uniti sono cinesi, ed il 70% di
questi acquisti – a dimostrazione che tutto il mondo è
paese - avviene in contanti.
Non è un segreto che le autorità finanziarie statunitensi
sono da anni in costante contatto con quelle cinesi e che
il Segretario al Tesoro USA in persona compie frequenti
viaggi in Cina. Tutto questo dimostra quanto sia vera
quella nota storia secondo la quale se uno ha un’esposizione con la propria banca di 200/300 mila euro è
un suo problema, ma se l’esposizione è di un milione
di euro o più, allora è un problema della banca! E gli
americani, anche questo non è un segreto, stanno già
vivendo da alcuni anni con sentimenti diversi, in realtà con una certa angoscia, il loro rapporto con la Cina.
C’è chi si è rassegnato al “sorpasso” e c’è chi invece non
l’accetta e vive male il continuo confronto e l’inarrestabile avanzare del Dragone. All’inizio del 2010 un mio
collaboratore mi portò dagli Stati Uniti un libro appena
uscito di due economisti dell’Università di California,
Stephen S. Cohen e J. Bradford DeLong, dall’eloquente titolo: “The end of influence – What happens when
other countries have the money”. La crisi - culturale e
psicologica innanzitutto - degli Stati Uniti, ma anche più
in generale dell’Occidente e dell’Europa, nei confronti
della Cina e di alcuni grandi paesi emergenti, sta tutta
in quella pesante domanda che sorge spontanea quando
finisce un periodo di influenza e si modificano gli equilibri che avevano retto il mondo: cosa succede quando
i soldi sono nelle mani di altri paesi? Bella domanda!
Per rispondere occorrerà guardare più in profondità
cosa si muove nel “Celeste impero”.
37
“Così muta il rapporto
tra le generazioni”
Intervista al professore e filosofo Remo Bodei
Sacco: Professore, noi tutti sappiamo, per esperienza e constatazione, che il rapporto tra generazioni è dialettico e spesso conflittuale. Ma
la crisi economica non ha esasperato le distanze tra anziani e giovani o, se vuole, tra genitori
e figli?
Bodei: Il rapporto tra le generazioni muta nel tempo e,
quindi, è più o meno conflittuale. Ci sono periodi teatro di scontri ed altri in cui c’è spirito di collaborazione.
Nella fase economica attuale abbiamo prodotto effetti
diversi: intanto si è prodotta una guerra ideologica tra
giovani e vecchi, una polemica a base di rottamazioni e
di accuse alle generazioni più anziane di rubare il lavoro ai giovani. Dall’altro però la famiglia è diventata un
rifugio accogliente per giovani che non trovano lavoro.
Al tempo stesso, si ha la sensazione che la differenza generazionale porti quasi a vivere in
mondi chiusi. In che modo ci si può adoperare
per incrinare o abbattere, se è possibile, queste
barriere?
Le nostre società si evolvono rapidamente, generando
esperienze di diversa velocità tra appartenenti a generazioni abituate appunto a ritmi diversi. I giovani che non
hanno un futuro programmabile e condividono pertanto
tra loro esperienze estranee alle generazioni mature o
anziane. Per incrinare queste barriere (direi infatti che
non potranno mai essere abbattute e che in una certa
misura sono fisiologiche), bisognerebbe coinvolgere
tutti in progetti comuni, costruire una speranza di cambiamento in meglio, rendere la società più giusta. Soprattutto, se possibile, produrre un travaso di ricchezza
e di opportunità dalle persone più anziane a quelle più
giovani, diffondendo un sentimento di generosità sociale e non familiare.
Ritengo sia giusto chiedere agli adulti di sforzarsi di comprendere la realtà giovanile (molto
spesso di non facile lettura). Ma anche ai giova38
Il professore e filosofo
Remo Bodei
di Mimmo Sacco
ni, provvisti di freschezza e di elasticità mentale, non andrebbe chiesto di venire incontro alle
esigenze del complesso mondo degli anziani,
provando a valorizzare appunto le loro esperienze?
Certamente i giovani che hanno una capacità di capire
meglio dovrebbero fare questo sforzo. Soltanto che in
loro è venuto meno, ma non si sa di chi sia la colpa, il
senso della storia, il senso della continuità tra le generazioni e sono soprattutto bloccati nel loro slancio verso il
futuro, per cui tendono a vivere in un presente tale che
ogni occasione che si presenta va colta. Sostanzialmente
dovrebbero fare, diciamo, un passo indietro, ma vedo
che non possono nemmeno fare un passo avanti. Dalla
parte delle generazioni più anziane bisognerebbe riannodare questi rapporti che sono diventati laschi perché
anche c’è un tentativo, in una società come la nostra, di
far vivere ciascuno sulla base di interessi immediati. Un
allargamento dell’orizzonte sarebbe necessario.
La tendenza al giovanilismo da parte di molti
adulti, il voler essere considerati padri-fratelli
o padri-amici per avvicinarsi alle nuove generazioni non rischia di confondere i ruoli?
Certo, il problema è che in effetti la figura paterna è declinata nel momento in cui ha perso autorità e questa
autorità gli derivava dall’essere l’unico sostegno economico della famiglia, e soprattutto l’unico mediatore tra
Chi è Remo Bodei
Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938) è un
filosofo italiano. Attualmente lavora sulla storia e
sulle teorie della memoria. I suoi libri sono stati
tradotti in diverse lingue. Nel 1992 ha vinto il
Premio Nazionale Letterario Pisa per la sezione
“Saggistica”.
il mondo domestico e quello esterno, ossia il mondo della politica, della cultura. Da quando le madri lavorano,
e da quando la scuola, e direi più recentemente i mezzi
di comunicazione di massa, i social network, Facebook,
Twitter, hanno sostituito le principali fonti di socializzazione, i giovani hanno sostituito l’autorità verticale
paterna con l’autorità orizzontale dei coetanei. Quindi le
conseguenze principali mi pare che siano quelle per cui
i modelli di comportamento non portano più l’impronta
determinata della figura paterna; e per questo probabilmente anche la psicoanalisi freudiana basata sul conflitto di Edipo dovrebbe essere oggi rivista.
La famiglia – come Lei dice nel suo saggio – ed
è vero, è ormai diventata più porosa e permeabile ai mutamenti. Il termine stesso di famiglia
tende a non avere più un senso univoco: quali le
conseguenze per la nostra società?
Il problema è che di famiglie ormai ce ne sono molte.
C’è la famiglia tradizionale, basata sul matrimonio, sul
rapporto tra genitori e figli, che sostituisce questa famiglia nucleare, come viene chiamata, la famiglia allargata
in cui convivevano più generazioni: si stava con i nonni,
con i padri e con i nipoti. Oggi ci sono le famiglie di fatto,
ci sono famiglie omosessuali, e quindi nuovi fenomeni
vanno studiati con molta attenzione.
In quest’ottica credo sia opportuno spendere
ancora (Lei lo ha già accennato) una parola
sul “declino della figura paterna”? (Ne parlano molti sociologi, filosofi e psicologi). Quali le
conseguenze per l’istituto familiare?
Le conseguenze sono che la comunicazione tra generazioni diventa più difficile e, soprattutto, c’è da constatare che si verifica con molta frequenza i giovani guardino
fuori della famiglia per avere dei modelli. Mi limito, per
essere estremamente concisi, a far notare che, per esempio, negli anni Trenta, e cioè fra le due Guerre, il virus
del totalitarismo, ed esplicitamente un Hitler e uno Stalin (che fra l’altro veniva chiamato “il piccolo padre”),
è dipeso proprio dal fatto che si cercano autorità al di
fuori.
Soffermandoci ancora sui giovani, il ruolo di
supplenza economico-finanziaria, in famiglia,
da parte di nonni e genitori verso i figli, che
conseguenze può avere nel loro processo di maturazione e di autonomia?
Dipende. Può avere un valore negativo nel senso che li
deresponsabilizza e quindi li induce a vivere sostanzialmente senza una propria attività lavorativa, a godere di
frutti del lavoro altrui. Dall’altro può generare l’orgoglio, invece, di creare una nuova forma di attività e di
tendere all’autonomia.
Come suona amara, oggi, l’affermazione del
grande filosofo tedesco George Hans Gadamer
“I giovani sono la speranza del domani”?
Si tratta di un’affermazione che oggi ha il sapore di ironia tragica. A restare sul piano filosofico, prima di Gadamer, già Aristotele sosteneva (più di 1300 anni fa) che
i giovani sono caratterizzati dalla speranza ed è stato
vero quasi fino ad oggi. Ma attualmente, perlomeno in
questa parte di mondo, sono caratterizzati da sentimenti negativi quali la disperazione, la rassegnazione e l’indifferenza. Ma fortunatamente non è dappertutto così
nel nostro pianeta: nelle nazioni emergenti, penso tra
l’altro all’India, alla Cina e non solo, la speranza di una
vita migliore è ancora presente e attiva nelle nuove generazioni.
Avviandoci alla conclusione diamo un attimo
uno sguardo d’insieme: Lei lo ha già accennato parlando dei grandi Paesi Emergenti. Si ha
l’impressione che la nostra società occidentale,
così come è strutturata – mancanza di solidarietà ed egoismo individualista (mi riferisco
anche all’America che lei conosce molto bene)
– renda difficile riannodare i fili di un rapporto
tra anziani e giovani. Condivide questa osservazione ?
Senz’altro, anche perché noi non dobbiamo guardare
alla famiglia isolatamente. Dobbiamo guardare alla famiglia all’interno del nostro tipo di società in cui lo sviluppo dell’economia di mercato e la natura di una crisi
in cui ci troviamo (quella finanziaria che risale al 2008)
spinge ciascuno a cercare di salvarsi isolatamente ed
erode i vincoli di solidarietà. Quello che sta prevalendo
è una logica di mercato del do ut des, che si attenua generalmente solo all’interno di certe famiglie, a chi sembra valere sempre meno all’esterno, cioè sul piano sociale, specie a causa del declino del Welfare State. Cioè
prima, negli anni Venti, diciamo così, al sostentamento
dell’individuo e della famiglia, provvedeva lo Stato: dalle assicurazioni di malattia, alle pensioni di vecchiaia,
insomma si diceva che lo Stato accompagna il singolo, in
certi Paesi, dalla culla alla bara (usando un’espressione
inglese). Oggi queste prestazioni si stanno erodendo e
questo porta una maggiore elemento di crisi all’interno
anche delle famiglie.
Professore, nel concludere questa nostra conversazione credo opportuno ritornare esplicitamente al suo saggio Generazioni: Lei suggerisce chiaramente l’opportunità, o meglio
ancora, il bisogno di un patto intergenerazionale, ma su quali basi può essere possibile una
ritrovata fiducia, direi una sperabile ritrovata
fiducia ?
L’esigenza di una patto generazionale è sentita perché è
ineludibile. Non si può andare avanti così con il sacrificio di intere generazioni e la desertificazione del futuro.
Tuttavia quali mezzi si debbano cercare non è ancora
chiaro. Certo, si può fare appello alla generosità dei più
anziani che hanno ricevuto dalla storia maggior sicurezza con il posto fisso o pensioni relativamente più cospicue di quelle che toccheranno ai giovani di oggi. Ma
questo invito morale non basta. Sarebbe necessario un
piano politico di investimenti, di spostamenti di risorse che stabilisca forme di equità. Il problema che è alla
base di tutto è la giustizia sociale, il fatto che si hanno
iniquità non soltanto tra quelli che posseggono di più e
quelli che posseggono di meno, ma anche degli squilibri
tra generazioni che vanno in certo modo aggiustati.
39
Telemedicina, anche l’Italia ci crede
di Marco Pederzoli
Mentre la tecnologia delle telecomunicazioni si migliora sempre di più, la Conferenza Stato – Regioni pensa
alla possibilità di offrire visite mediche a distanza per alcune patologie.
Nell’epoca delle applicazioni e dei telefonini sempre
connessi a internet, sarà possibile anche usufruire di visite mediche a distanza, magari direttamente dalla propria poltrona di casa? La risposta è sì, almeno per alcune
patologie. E a dirlo non sono soltanto esperti di telecomunicazioni o “malati” di tecnologia, ma si tratta già di
promesse scritte nero su bianco all’interno delle linee
d’indirizzo nazionali approvate dalla Conferenza Stato-
40
Regioni. In un recente servizio a riguardo pubblicato
sul Corriere della Sera, si legge: “Il documento affronta
tutti gli aspetti della telemedicina: dall’organizzazione
del servizio alla sua integrazione nel Servizio sanitario
nazionale, fino agli aspetti etici e regolatori, inclusa la
privacy. L’intesa definisce i criteri di autorizzazione e
accreditamento da parte delle strutture sanitarie per l’erogazione di prestazioni in telemedicina. Prevede l’istituzione di una commissione tecnica formata da sei componenti, di cui tre designati dal Ministero della Salute e
tre dalle Regioni, con il compito di monitorare eventuali
criticità. L’operazione dovrebbe avvenire a costo zero.
«All’attivazione delle presenti linee guida - recita l’articolo 4 - si provvederà nei limiti delle risorse umane,
strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica»”.
In ogni caso, per chi non volesse in ogni caso e per qualsiasi patologia rinunciare al contatto fisico e diretto col
proprio medico curante, è subito da precisare che non
cambierà nulla. Quello della medicina, nelle intenzioni
della Conferenza Stato – Regioni, intende infatti porsi
sostanzialmente come un plus di servizio, per aiutare
in prospettiva chi ha difficoltà a muoversi dalla propria
abitazione e, al contempo, necessita di un contatto frequente con il proprio medico o con uno specialista. “La
telemedicina – recitano infatti le linee d’indirizzo nazionali della Conferenza Stato Regioni - non sostituisce la
prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-paziente, ma la integra per migliorare efficacia, efficienza e appropriatezza”.
In ogni caso, è sempre bene tenere in considerazione
che la medicina sottintende sempre anche un rapporto diretto medico – paziente, nel senso di una comunicazione diretta, facilitata dalle attuali tecnologie (ad
esempio, una comunicazione al computer o al telefonino via Skype, solo per fare qualche esempio). Totalmen-
te esclusi, sono i portali di informazioni sanitarie, per
quanto attendibili possano essere, i gruppi di discussione sui social network e altre simili iniziative. “Non
rientrano nella telemedicina – spiegano ancora le linee
d’indirizzo - portali di informazioni sanitarie, social network, newsgroup, posta elettronica o altro”. Ecco quindi
che la “telemedicina”, in termini pratici, potrà diventare
una “televisita”, oppure un “teleconsulto”, sempre naturalmente per le patologie che possono essere seguite in
questo modo. A beneficiare dell’assistenza di nuova generazione saranno insomma e soprattutto i malati cronici, come diabetici o cardiopatici che, pur conducendo
una vita normale, devono sottoporsi a un costante monitoraggio di alcuni parametri vitali, come il tasso di glicemia per il paziente con diabete. Scrive ancora il Corriere: “Per far funzionare il servizio sono indispensabili
strumenti come apparati biomedicali, sistemi hardware
e software, dispositivi mobili (smartphone, tablet), applicazioni web. Le informazioni sanitarie trasmesse possono essere di vario tipo: video (endoscopia, ecografia),
audio (suoni stetoscopio), cartaceo (storia clinica del
paziente, dati anagrafici)”.
Ultimo ma non per importanza, nelle linee guida della
Conferenza Stato Regioni inerenti la telemedicina, un
capitolo è riservato anche alla formazione dei pazienti,
i quali dovranno non soltanto essere “alfabetizzati” dal
punto di vista tecnologico (cioè dovranno sapere utilizzare alcune funzioni fondamentali di un computer o
di un telefonino), ma anche essere formati sugli aspetti sociali che la medicina comporta. In altri termini, il
paziente dovrà essere cosciente che, pure a distanza, gli
saranno comunque garantite un’assistenza e una cura
adeguate.
Il movimento è salutare per tutti, specie per gli obesi,
i cardiopatici e gli ipertesi, ma lo è ancor di più per i
diabetici, i quali sanno bene che gli zuccheri del sangue
vengono “bruciati” per il 70% da muscoli in movimento.
A chi va in montagna oltre i 1.000 metri è consigliabile iniziare l’attività fisica molto gradualmente affinché
l’organismo si possa adattare all’altitudine. Questo soprattutto vale per chi soffre di bronchite cronica ed enfisema polmonare. Se infatti è vero che con l’altitudine
aumenta la concentrazione di ossigeno, è anche vero che
la pressione atmosferica diminuisce e quindi l’apparato
respiratorio ha bisogno di tempo per adattarsi (e non
sempre ci riesce).
Un’altra bella opportunità che l’estate spesso ci regala
è quella di fare nuove conoscenze e nuove amicizie e, a
volte, addirittura incontrare vecchi compagni di lavoro.
Così si ripristinano i contatti di un tempo, sorgono nuovi progetti e nuove iniziative (non c’è cosa più bella per
chi ha un’età matura).
Purtroppo, però, c’è anche chi in estate rimane solo, ed
è proprio questo il momento in cui la mancanza di affetti si fa sentire più acuta. Sarebbe auspicabile che le
varie associazioni e categorie di lavoratori prendessero a
cuore questo problema e cercassero di integrare queste
persone in un tessuto sociale che le possa coinvolgere in
attività adatte al loro carattere e alle loro esigenze.
Infine, ricordiamoci che le vacanze non ci dispensano
dal seguire le normali regole di precauzione e di cura riguardanti la nostra salute, quindi rispettiamo scrupolosamente le prescrizioni e la terapia che il nostro medico
ci ha consigliato tutto l’anno e prima della villeggiatura.
Un tagliando
prima delle
vacanze
di Alberto Costantini
Sta per iniziare gradualmente l’esodo dalle città verso
le zone di villeggiatura: mare, collina, montagna. Dopo
mesi di freddo, pioggia, cielo grigio, finalmente sole, libertà, aria ossigenata, lontani dallo smog e dall’inquinamento. Ora armiamoci di buona volontà: tutte le mattine facciamo una lunga passeggiata, camminando per
almeno un’ora, un’ora e mezza in modo continuativo,
oppure facciamo una lunga pedalata in bicicletta. In alternativa, se siamo al mare, una bella nuotata (ricordiamoci sempre di farlo con gradualità e tenendo conto del
nostro allenamento e delle nostre condizioni di salute).
41
Cosa non fare
della pensione
di Umberto Folena
La fortuna. Che, come tutti dovrebbero sapere, premia
sempre e comunque il banco. Puoi fare un colpo fortunato, provando un brivido di piacere, sentendo l’adrenalina scorrere nelle vene. Ma alla fine perderai. Altrimenti il gioco d’azzardo non sarebbe quell’immenso
affare che è. Non per i giocatori, ma per chi lo organizza.
E sono in gran parte anziani. Donne. Casalinghe. Si divorano la pensione, misera, sperando nel colpo di fortuna. Maria Grazia Guida, vicesindaco di Milano, presentando il 14 gennaio 2013 il “Manifesto dei sindaci contro
il gioco d’azzardo”, avvertiva: «Nei bar di periferia, le
giocatrici più accanite sono ormai le anziane, anche
straniere, che cercano di “recuperare” qualche risorsa
affidandosi alla fortuna. Loro, le donne, sentono la crisi
in maniera più drammatica, perché sono loro a dover far
quadrare i conti in famiglia».
Slot machine, dunque. Ma anche i gratta e vinci. L’apparenza inoffensiva non deve ingannare. Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’And
(Associazione azzardo e nuove dipendenze), spiega che
il gratta e vinci fa presa sugli umani utilizzando un meccanismo ben noto agli sperimentatori, per condizionare
il comportamento dei topolini cavia. Se il topino, schiacciando una levetta con la zampina, ottiene un premio
42
sempre o mai, non ripetono il gesto. Ma se ottengono
il premio ogni tanto, imprevedibilmente, allora il gioco
della coazione a ripetere è fatto. Il gratta e vinci, spiega
Capitanucci, all’apparenza è innocuo. Eppure ci sono
persone che si sono rovinate, a dimostrazione che si
tratta di azzardo. «Comprano pacchi da cento, a volte
anche più biglietti per volta. C’è chi giunge a spendere 20 o 30 mila euro in un’ora soltanto di grattate, se
si comprano i biglietti più costosi, quelli che offrono i
premi più allettanti. D’altronde il metodo del grattare
è immediato e divertente. Non richiede alcuna abilità
né conoscenza, quindi è alla portata assolutamente di
tutti. Non a caso le vittime delle lotterie istantanee sono
soprattutto anziani, adolescenti e persone semplici, con
un livello culturale basso».
Anche se quella sulle cifre è una vera e propria battaglia, in Italia i giocatori patologici, o comunque fortemente problematici, sono 800 mila, di cui appena poche
migliaia in cura presso i centri specializzati. Una cifra
ragionevole, purtroppo. Negli Usa i ricercatori hanno
stabilito che gli affetti da Gap (gioco d’azzardo patologico) sono tra il 2 e il 5% del totale. In Italia i giocatori
– saltuari, tranquilli e “sociali”, accaniti, problematici
e patologici – sono 35 milioni, quindi quegli 800 mila
ammalati sono una cifra ragionevole. Ma abbastanza
per affermare che si tratta di una vera e propria epidemia, che ha già rovinato moltissime famiglie. L’affetto
da Gap, come un tossicomane o un alcolista, dal mattino
alla sera ha un solo pensiero in testa: giocare. Tutto il
resto, famiglia lavoro amici…, passa in secondo piano. E
attenzione: gli anziani, in genere con reddito basso che
si giocano l’intera pensione, sono tanti.
Lo Stato fa pochissimo, perché l’azzardo è una fonte facile di guadagno e la forma più agevole di riciclare denaro sporco per le mafie, che sanno come blandire chi
conta nelle istituzioni. I mass media ne parlano poco e
malvolentieri perché le società di scommesse e di gioco
on line acquistano tanta pubblicità. E allora? Allora si
salvi chi può. O meglio difendiamoci tutti, alleandoci tra
di noi. Gli anziani affetti da Gap, ad esempio, hanno i
loro migliori salvatori negli amici e parenti anziani.
Che fare? Intanto parlarne, togliere questa epidemia
mortifera dall’ombra, organizzare incontri, sensibilizzare baristi e tabaccai. Da un anno in Italia si organizzano gli slot mob, raduni presso i bar che rinunciano
alle macchinette e introducono calciobalilla, biliardi e
altri giochi sociali. Un barista che toglie una macchinetta perde anche 500 euro al mese, quindi va premiato
frequentando il suo bar. E poi occorre trovare il modo
per avvicinare gli anziani e le anziane sole che passano
la giornata a farsi mangiare i soldi dalle macchinette;
fare amicizia; sottrarli al vizio proponendo alternative
che diano almeno altrettanto piacere. Spesso basta un
amico. Capace di parlare, ma prima di tutto di ascoltare.
I giocatori per i quali l’azzardo è ormai una
vera malattia sono sempre di più. A cadere
nella dipendenza sono spesso i poveri, le
donne, gli anziani. Chi è in cura presso i Sert,
i gruppi di mutuo aiuto e le comunità di recupero, è appena la punta dell’iceberg. Eppure
gli inviti a giocare d’azzardo sono sempre più
pressanti, nuove sale aprono ogni giorno, la
pubblicità incalza promettendo facili vincite e
una vita felice. Lo Stato non reagisce, anche
se i costi sociali superano di gran lunga gli
incassi per l’erario. Sul ricco bottino allungano le mani le mafie. È un’emergenza sociale
senza soluzione? No. C’è un’Italia che reagisce. È l’Italia dei volontari, dei medici coraggiosi, degli esercenti di bar e tabaccherie, di
sindaci e Regioni che non chiudono gli occhi
e resistono all’aggressione dell’azzardo. Non
vanno lasciati soli. Occorre sostenerli. Il primo
passo è conoscere il fenomeno: il Gap, gioco
d’azzardo patologico. E Azzardopoli, il sistema di connivenze e furbizie che lo alimenta.
Umberto Folena
“L’illusione di vincere.
Il gioco d’azzardo emergenza sociale”
2014, Àncora editrice, collana Focus.
43
Capita che mi domandino:
e Montanelli cosa direbbe
dell’Italia d’oggi?
Ne cercherebbe
gli antidoti
- provo a dire io come sempre gli
accadde.
E qui viene
raccontato.
Indro Montanelli
44
di Giorgio Torelli
Succede quasi d’abitudine che qualcuno, stralunato
dal sormontarsi delle cronache italiane del peggio a
puntate, mi domandi quasi provocatoriamente: “Tu
che hai lavorato con Montanelli, cosa pensi che direbbe – l’Indro tanto rimpianto - di quest’Italia arrembata dai saccheggiatori, spinta a fondo da chi ha recitato
le litanie del bene comune e dello spirito di servizio
per poi arraffare ‘pro domo sua’ e garantirsi case, carrozze e cavalli?”.
Come inviato e columnist del Giornale, ho vissuto
con Montanelli quattordici anni. E il suo permanere a
laico bagnomaria nel pessimismo congenito, ma anche nutrito senza mai tregua dai sintomi esclamativi
della decadenza civile, l’ho riscontrato ogni mattina
di persona. Lo salutavo alla voce, mentre - al Giornale- s’infervorava a due dita sui tasti della Lettera 22
per esercitare il mandato morale dello scudisciatore a
man salva e del suscitatore di coscienze assopite. Era
bellissimo osservarlo dal vero. Batteva a raffica una
proposizione che aveva in mente. Poi, allentava qualche attimo la tempesta sonora sui tasti, per parlare
con se stesso a voce appena percepibile e porre Indro
al cospetto di Indro. Se intanto, per urgente comunicazione di servizio, entrava qualcuno nella stanza
dove stava indossando non i galloni di direttore, ma
lo spazio riservato al suo quotidiano sperimentarsi
nelle filippiche e mai nelle omelie, forniva la risposta
al quesito. Ma seguitava a muovere le labbra e a rincorrere il filo di quanto si proponeva di aggiungere
alle frasi già precisate. Al massimo, sempre col foglio
inastato nel carrello, poteva dar fiamma a una siga-
retta svizzera di marca quasi estinta, praticamente
uno zampironcino di paglia bionda. Dunque, tornando alla domanda di giro: “Cosa direbbe Indro dell’oggi
come oggi?”. Il responso lo garantisco io, che ho servito nel suo reggimento di giornalisti a cavallo. Continuerebbe a marchiare a fuoco quel che mai smise di
accorarlo: il tradimento dei tanti dottor Dulcamara,
sospinti dalla malignità del Caso fin dentro le centrali
dei bottoni e subito candidati ad arruolarsi nel tornaconto. A sdegnare il prosciugato Montanelli era la
diserzione costante di chi avrebbe dovuto stremarsi di
vita politica, vivere con poco, morire povero e spendere i giorni nel rammendo degli sbreghi inferti al peplo
dell’Italia turrita (proprio la bella Signora delle immagini da cartoline tricolori). Non se ne dava pace.
E a provocarlo era l’ignavia dei reggitori che, avendo
indossato il compito del fare, poi scantonavano. Ogni
tradimento al dovere di servire la comunità lo feriva
intimamente. Capitava allora che, alla tavola di una
irrinunciabile trattoria toscana, il disincanto gli venisse lenito da due dita di Chianti, da un piatto di fagioli all’uccelletto, da un cantuccio di pane contadino
che esigeva quasi raffermo, ma anche da qualche apporto di buona notizia. Sedevo spesso alla sua tavola
serale. Gli piaceva ascoltare da me, ritenendomi specialista in buona fede dell’argomento, ogni racconto
di quell’Italia riservata che frequentavo non solo per
mandato di cronista, ma per affinità e circostanze.
Voglio dire che Indro si mostrava avido di storie insospettate, quelle della gente senza diritto di cronaca,
risoluta nel rafforzare i fondamenti della famiglia e
magistrale nella coerenza del lavoro ben fatto e ben
pensato. Lo seduceva ogni evidenza dell’Italia estraniata dai titoli dei giornali e sempre intenta a tirare
il carretto delle incombenze: crescere figli e nipoti,
dando esempio di costanza nel tessere fraternità con
i soccombenti; e offrire amicizia a chi mai avrebbe
potuto contare su alleanze di spicco o fruire di favori
accordati. Insomma, accadeva che Indro esigesse, da
me e dal mio personale giornalismo di fatti e di opinioni, ripetute salve di controbatteria. Sul Giornale di
allora, avevo in dote una rubrica tre volte a settimana - un appezzamento tutto mio, lo chiamavo - con
foto segnaletica quasi a dire: costui, dai baffi emiliani,
ha una personale visione del mondo. Ma bisognava
vedere quanto Indro si ristorasse - almeno qualche
attimo - nel sentire chi davvero avevo incontrato o
stanato dal riserbo di una vita esemplare e dedicata
al prossimo, mentre ogni giorno il fatalismo ispirava il coro dei tanti e dei troppi, recidivi nel ripetere:
“Tutto è mondezza. Il nichilismo è moneta corrente.
Ci perderemo. Nessuno potrà salvarci”. L’ascolto di
un’Italia niente affatto minore, ma tutt’affatto diversa
dallo specchio deforme delle cronache, lo appassionava come una favola vera. Forse, contribuiva a lenirgli
il magone cronico. E per questo m’incalzava, perché i
suoi e nostri lettori venissero a conoscenza che, oltre
il disastrato ménage del malfatto, del mal condotto,
del mal pensato e del mal gestito, c’era infinitamente
dell’altro. L’opportunità morale prescriveva in assoluto che quest’altra Italia venisse notificata a mezzo
stampa. E che s’imponesse il risalto di quanti - cittadini concreti - stessero bonificando con l’impegno
civile le paludi della rassegnazione agli andazzi.
Mi chiamava Giorgino. Chiamava tutti a modo suo,
rimpicciolendo affettuosamente i nomi di battesimo.
“Giorgino”, diceva, dopo aver sentito e poi letto i miei
racconti sulla brava gente al lavoro, simbolicamente
ed evangelicamente dedita all’aratro, senza mai voltarsi a fissare le macerie e le corruzioni del paesaggio
umano. “Giorgino, tu ci porti sempre buone notizie”.
Dico la verità. Non è che io dovessi impiegare la lente
d’ingrandimento per incontrare e mettere in parola
Italiani di gran lena, cittadini di intraprese fraterne,
personaggi con l’ansia e la determinazione di far bene
il bene. Bastava davvero guardarsi intorno, invece che
becerare in redazione. E scoprire di fatto che l’Italia
era ancora abitata da protagonisti del risanare, da tenaci costruttori di futuro e da samaritani intenti al recupero degli afflitti, sovrastati e presi a gabbo più dalle istituzioni che dal destino. e voglio affermare che
il Giorgino di oggi, coerente con il Giorgino di allora,
rimane convinto che - mancando comunque a noi tutti le requisitorie di riprovazione, ma anche di invito al
cimento firmate Montanelli – l’Italia resta pur sempre
ad alti contenuti. C’è l’Italia che onora la condizione
umana anche e, al contempo, persiste l’Italia deteriore, quella che umilia e calpesta i doveri del vivere. E’
l’eterno discorso del grano e della zizzania, destinati
a convivere fino alle trombe del Giudizio. Ma il grano
buono e i seminatori, pur sempre nell’ombra, esistono e lavorano, anche se così raramente messi in bellavista sulle gazzette e i telegiornali. E’ dunque compito
di ognuno - per rinnovarsi e darsi animo - scovarli e
farne oggetto di narrazione di bocca in bocca. Si deve
sapere che chi milita nei ranghi, niente affatto sparuti, della scelta di spendersi perché il futuro non nasca
già sfregiato, è più che mai Italia d’oggi. Il vederlo e
il risaperlo stemperava in Montanelli lo scetticismo
di cui si riteneva obbligato alfiere. Era consolante vedere quanto le storie inedite della brava gente confortassero, almeno per qualche momento, l’amarezza
civile che gl’imponeva di denunciare, svergognare,
staffilare, insolentire e mettere alla gogna i reprobi,
vivendo in accensione fin dal primo mattino un nuovo
giorno da Indro.
45
Francesco Guccini svela a “Contromano” il suo secondo Dizionario
“Vi racconto le cose
che abbiamo perduto”
(foto esclusive di Paolo Pignatti)
di Marco Pederzoli
46
La cerbottana, il “prete” per
scaldare il letto, il chioccaballe
di sambuco e tante altre parole.
E poi: l’osteria di una volta, la
severità dei padri, la cultura del
rispetto. “Però tanto abbiamo
anche guadagnato: il computer mi
ha costretto ad essere ordinato”.
Ci sono letture che, nell’atto stesso di decifrare i caratteri scritti sulla pagina, diventano esperienza di vita.
Ricordi. Sensazioni. Immagini. Emozioni. Tutto questo
e molto altro ancora è il “Nuovo dizionario delle cose
perdute”, l’ultima fatica letteraria in ordine cronologico
(anche se un’altra è in procinto di pubblicazione) uscita dalla genialità del cantautore e scrittore Francesco
Guccini per i tipi di Mondadori. Questo libro, che segue
di due anni il “Dizionario delle cose perdute”, edito nel
2012, è un viaggio nel passato recente della società italiana, quella del secondo dopoguerra. Nel volume, dominano le cose e le situazioni. Quelle cose e situazioni
che oggi, per diversi motivi, ma soprattutto per il progresso, per il “nuovo che avanza”, sono andate perdute. Eppure, per chi ha qualche capello bianco in testa,
la memoria di quelle cose e quelle situazioni è ancora
ben viva e presente. Chi non ricorda ad esempio il “flit”
contro le mosche e le zanzare? O la “banana” che si soleva ricavare nei capelli dei bambini? O ancora il prete
per scaldare il letto nelle gelide notte invernali? Ebbene,
sia il Dizionario, sia il Nuovo dizionario delle cose perdute, raccontano di questi oggetti di un passato recente
eppure irrecuperabile, quasi sospeso in una dimensione
che oggi, nell’epoca di internet e delle playstation, si fatica persino ad immaginare. “Contromano” è andato a
incontrare l’autore proprio a Pavana (PT), nell’appennino tosco-emiliano, dove Guccini vive ormai stabilmente
dal 2001, per parlare del libro e del rapporto tra questo
grande cantautore, le cose di oggi e le cose di ieri.
Maestro, innanzitutto da cosa è scaturita l’idea di raccogliere in un “dizionario” le “cose perdute”?
L’idea di fondo non è stata mia, ma di un editor della Mondadori. Il progetto, tuttavia, mi ha affascinato
fin da subito. Si trattava di andare a cercare cose di un
passato che sembrano appartenere a un tempo remotissimo, invece sono di cinquant’anni fa o anche meno,
ma oggi sono scomparse dall’uso quotidiano, portate via
dall’innovazione e dal progresso.
Nelle sue canzoni e nei suoi libri, lei ha dimostrato di
essere tra l’altro anche un grande paroliere. Sulla base
della sua esperienza, cosa ne pensa quindi di come è
cambiato negli ultimi anni il vocabolario dell’italiano?
Il “dizionario” oggi si è arricchito e impoverito allo stesso tempo. Da un lato le scuole sono più leggere e non si
invogliano più i giovani alla lettura come a un tempo.
Dall’altro, il vocabolario si è arricchito di molte parole straniere. E ciò produce quindi fattori sia positivi sia
negativi.
Di cosa si racconta nel Nuovo Dizionario delle cose
perdute?
Compaiono soprattutto oggetti, assieme ad alcune situazioni.
Può citare qualche esempio di cose che ci siamo lasciati
alle spalle nel recente passato?
Le osterie. Oggi ci sono ugualmente, ma sono cambiate molto rispetto a un tempo. Così come è cambiata la
tipologia di gente che le frequenta. I vecchi osti sono
in pensione oppure morti, i giovani hanno bisogno di
innovare. E assieme alle osterie sono cambiati naturalmente anche i vini, che una volta al loro interno erano
solo di due tipi: bianco o rosso.
La modernità nel suo libro viene percepita come un elemento negativo?
Tutt’altro. Certe cose sono state senz’altro guadagnate.
Il miracolo che non era da tutti, ad esempio, era avere
due rubinetti in casa, di cui uno per l’acqua calda. Solitamente, si andava a prendere l’acqua alla fontana. In
casa non c’era il riscaldamento, le stanze erano gelide e
l’acqua contenuta nelle brocche a volte gelava. D’inverno, sotto al letto si metteva il prete, che in certe regioni
veniva chiamato suora.
Poi, ovviamente, i ragazzi erano abituati a fare giochi
diversi rispetto a quelli di oggi...
Ci divertivamo ad esempio con il “chioccaballe”, uno
strumento che sparava proiettili di stoppa. Si ricavava
da un legno di sambuco, piuttosto tenero e lavorabile,
che veniva svuotato del midollo. Con una bacchetta si
inserivano quindi due proiettili di stoppa alle due estremità e, per effetto dell’aria compressa all’interno del
legno di sambuco, uno dei due proiettili partiva producendo anche il rumore di un piccolo scoppio. Poi c’era
la cerbottana. Si facevano battaglie tra bande di amici.
C’era chi l’aveva più perfezionata chi meno. D’estate, inoltre, giocavamo anche con i tappini delle bibite
dell’aranciata.
Il suo “dizionario” è stato scritto velocemente?
In effetti è stato un libro scritto abbastanza di getto. Nel
giro di un anno ho raccolto tutti gli oggetti di cui parlare. L’80 – 90% li ho richiamati personalmente alla memoria, poi sono arrivati anche suggerimenti da parte di
amici che avevano letto il primo Dizionario.
Oggi come comunica Francesco Guccini?
Non ho il cellulare. Utilizzo ancora con un telefono fisso.
Non ho una casella e-mail ma scrivo con il computer.
Che benedico, da un certo punto di vista. Mi ha infatti
costretto a tenere in ordine le cose. L’ho utilizzato anche nel 1989, per scrivere il mio primo romanzo. Sono
stato uno dei primi in Italia ad acquistare il pc, già alla
metà degli Anni Ottanta. Tuttavia, le canzoni le ho scritte sempre a mano.
Lei dal 2001 vive stabilmente a Pàvana, in questo piccolo paese dell’appennino tosco emiliano. Per lei Pàvana cosa rappresenta?
E’ un luogo dell’anima. Sono nato a Modena, però per
ragioni belliche mi sono trasferito presto a Pàvana, il
paese di cui mio padre era originario. I primi 4 anni li
ho passati qui, poi ci ho trascorso tutte le estati. Ho evitato così le colonie che andavano di moda a quel tempo.
Io stavo meglio a Pavana, dai miei nonni. Nel 1998 ho
scritto anche il vocabolario del dialetto di Pavana, che è
molto particolare. Si discosta dal toscano e ha un accento emiliano. Ma ormai non lo parla più nessuno.
La sua attività di scrittore continuerà anche dopo questo Dizionario?
Certo. Del resto, da bambino volevo fare lo scrittore. Ho
scritto assieme a Loriano Macchiavelli gialli a quattro
mani, i primi 5 con il maresciallo Santovito e 2 con un
ispettore della forestale, di cui il primo si intitola Malastagione e l’altro, con titolo ancora da definire, uscirà a
dicembre 2014.
Una curiosità: qual è un elemento che è molto cambiato
nella società rispetto a qualche decina di anni fa?
Senza dubbio il rapporto tra genitori e figli. C’era più
severità. I genitori non erano biondi subito; io stesso ho
preso diverse sculacciate. In alcune situazioni i bambini
non potevano parlare. C’era insomma più cultura del rispetto. Una volta in casa di un collega di mio padre sentii odore di brodo e dissi che c’erano i tortellini. L’amico
di mio padre mi rispose che non erano tortellini, ma era
solo una minestra in brodo. Mio padre allora mi sgridò
severamente perché con la mia esternazione avevo messo in imbarazzo il suo amico. E poi, quando andavi male
a scuola, a casa poi prendevi il resto.
C’è qualche artista che oggi sente abbastanza spesso?
Con Ligabue e Zucchero sono molto in contatto; a volte
vengono a trovarmi qui per prendere il fresco.
Cosa ama leggere Francesco Guccini?
Sono abbastanza onnivoro. Leggo di tutto, dai classici
ai moderni.
47
Quando
la tv
scopre
gli
anziani
di Umberto Folena
Due mesi fa abbiamo fondato i Gac, i gruppi di ascolto
critico per non cadere nelle trappole della televisione
furbastra e scarsa e premiare invece la televisione che
stuzzica l’intelligenza e fa divertire senza essere volgare
o banale. Bene, i Gac – direbbero quelli della tv – sono
formati da vecchietti terribili (Vt), e pazienza se magari
proprio stravecchi non sono, ma pensionati in perfetta
forma. E la tv è piena di Vt, segno che i Vt piacciono e
fanno audience, ossia alti ascolti, altrimenti sparirebbero, perché nessuno li lascerebbe dentro il video solo per
cortesia.
Eppure è proprio di cortesia che vorremmo parlarvi.
Perché, al contrario di quanto spesso (e non sempre a
torto) si sente dire, che «non c’è più rispetto verso gli
anziani» e frasi simili, la cortesia è ancora assai diffusa,
e soprattutto tra i giovani, come presto dimostreremo.
Intanto sgombriamo il terreno dagli equivoci. Dei vecchietti quasi tutti finti, mediocri attori improvvisati, di
“Uomini e donne” di Maria De Filippi preferiamo tacere.
Patetici. Messi lì apposta per far ridere il pubblico con i
loro comportamenti goffi e ridicoli. Ma oggi, pur di stare
in tv, farsi vedere e poterne parlare con amici e parenti,
alcuni italiani sono disposti a tutto, pure a ricoprirsi di
48
ridicolo.
Vorremmo invece cominciare dalle fulminee candid
camera di “Vecchietti bastardi” (pomeriggio di Italia
1), in gran parte girate negli Usa, e in buona parte pure
a Roma. “Bastardi” in senso affettuoso, ovviamente.
Vecchietti che organizzano scherzi grotteschi ai danni
dei giovani, ripresi da una telecamera nascosta. Alcuni esempi. Una signora al volante chiede a un giovane:
«Ha visto mio marito? Ha una camicia rossa». Il marito è aggrappato al tetto dell’auto e fa cenno al ragazzo
di tacere. E lui tace, stupefatto. Un vecchietto mette in
mano a un ragazzo la dentiera dicendogli: devo fotografarla per il dottore. E il giovanotto, sbigottito, non protesta, limitandosi a proteggere le dita con un fazzoletto
di carta. Una vecchina si avvicina a due ragazze su una
panchina: «Fa caldo, vero?», le spruzza con l’acqua e
se ne va. A Roma, un vecchietto acciaccato e con il bastone da non vedente chiede aiuto nei pressi di Castel
Sant’Angelo. Domanda a due ragazzi di essere indirizzato verso il Palazzaccio. Fatti due passi, con il bastone
trova una carrozzella a motore: «Finalmente!» esclama,
getta il bastone e parte a razzo.
Scherzi del tutto innocui. Ai quali però i giovani non
reagiscono mai male, ma mostrano sempre comprensione. Ora, pensate se in un negozio d’abbigliamento
entrasse un signore di 40 anni, domandasse dove sono
i camerini, e ne uscisse in costume da bagno chiedendo
dove sia la piscina, o almeno il bagno turco… Il commesso chiamerebbe la guardia, o forse un infermiere. Ma se
il signore di anni ne ha 70, beh, non succede niente. Si
sorride.
La consuetudine è questa. I vecchietti in tv, salvo eccezioni, o fanno ridere con i loro comportamenti anacronistici, o si rivelano abili investigatori evergreen. È il caso
dei “Delitti del BarLume”, i due film per la tv tratti dai
romanzi di Marco Malvaldi e andati in onda l’anno scorso su Sky, in attesa di approdare su La7. Il protagonista
è un barista laureato in matematica, divorziato e scombinato, Massimo; ma i comprimari che spesso gli rubano la scena sono quattro vecchietti frequentatori del suo
bar, Aldo, Gino, Pilade e Ampelio, con il pallino della
briscola e degli intrighi gialli. Ficcanaso non altrettanto
provvisti di fiuto, i quattro. Ma capaci di smuovere le
acque e contribuire a far galleggiare, alla fine, la verità,
che non è mai “bella”.
Investigatori ben più dotati e stagionati sono i vecchietti
della serie ormai decennale della Bbc, “New Tricks”. Le
due parole richiamano la frase: «You can’t teach an old
dog new tricks”, ossia “non puoi insegnare a un vecchio
cane nuovi trucchi”. Dopo Fox Crime e La7, la serie inglese va in onda sul canale digitale terrestre Giallo. Gli
ex detective in pensione vengono chiamati a risolvere
i casi irrisolvibili, perché soltanto i “vecchi cani” come
loro conoscono tutti, ma proprio tutti i trucchi del mestiere.
E poi? Scovateli voi, gli altri vecchietti scherzosi o indagatori, capaci di farsi rispettare anche quando provocano, facendosi birichini peggio d’un bambino, ma facendo comunque sempre un’ottima figura, non comprimari
ma protagonisti, in grado di risollevare l’autostima degli
anziani telespettatori che malauguratamente l’avessero
smarrita. Giocano, alla “piccola peste” o al “detective”,
forse perché soltanto quando non vien loro chiesto di
essere responsabili, responsabilissimi e seri, serissimi
possono spalancare la porta al bambino che durante l’età adulta era stato costretto a dormire.
Prosegue anche in questo numero l’ormai consueta rubrica “Liberi e web”, in cui
si segnalano alcune novità provenienti sia dall’editoria tradizionale, sia dalla rete.
Hillary Rodham Clinton
“Scelte difficili”
2014, Sperling & Kupfer editore.
È stata alla Casa Bianca come First Lady, a fianco del
marito Bill. Ci tornerà come primo presidente donna
degli Stati Uniti? L’opinione pubblica scommette che
sarà così, soprattutto dopo averla vista all’opera come
ministro degli Esteri al dipartimento di Stato durante il
primo mandato del presidente Obama. In questo libro
ripercorre gli episodi più drammatici degli ultimi anni,
le decisioni chiave che si è trovata a prendere e le sue
idee per affrontare le nuove sfide globali di domani. In
un mondo che cambia rapidamente, in cui l’America e
l’Occidente stanno perdendo il loro ruolo centrale, Hillary Rodham Clinton offre un racconto sul passato e disegna gli scenari del futuro, arricchendo la narrazione
con ricordi personali, aneddoti e rivelazioni inedite.
Joël Dicker
“La verità sul caso
Harry Quebert”
2014, Bompiani editore.
Marcus Goldman ha conosciuto la gloria letteraria, ma
da qualche tempo è in piena crisi di ispirazione; per
questo si rivolge a Harry Quebert, il suo anziano professore di letteratura che già anni prima l’aveva salvato da
un percorso pericoloso, per chiedergli aiuto. Harry gli
offre subito uno spunto narrativo: gli racconta infatti di
una ragazza, Nola, con cui oltre trent’anni prima ebbe
una storia tormentata (segnata dalla grande differenza
d’età), che a un certo punto - era il 1975 - sparì all’improvviso. Pochi giorni dopo essere rientrato a New York,
Marcus viene però a sapere che il cadavere della ragazzina è stato ritrovato proprio nel giardino di Harry e che
quest’ultimo, accusato dell’omicidio, rischia ora la pena
di morte. Ma Marcus non può credere a questa ipotesi
e decide di indagare per scoprire la verità e scagionare
il suo amico.
Sergio Romano
“Il declino dell’impero
americano”
2014, Longanesi editore
Nel 2003, con “Il rischio americano”, Sergio Romano
affermava, nella nuova fase politica internazionale iniziata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, che gli
Stati Uniti, unica superpotenza mondiale, avevano agito
con arroganza anche perché l’Europa era stata assente o
insignificante. Poco più di dieci anni dopo, in un contesto di continua fibrillazione acuita dalla perdurante crisi
economica apertasi nel 2007/2008, la domanda di fondo è sempre la stessa: cosa vuol fare l’Europa da grande? Se il declino degli Stati Uniti come impero mondiale
sembra evidente, non altrettanto chiaro è il modo in
cui gli americani sapranno attraversare questa fase della loro storia. La condizione imperiale è una droga da
cui non è facile disintossicarsi. La parabola del declino
americano sarà tanto meno rischiosa quanto più sarà
accompagnata dalle scelte ragionevoli di Cina, Russia,
Brasile, Iran e di altri paesi. Ma la responsabilità maggiore è dell’Unione Europea, che non può assecondare
l’America in ciò che rimane della sua politica imperiale,
e le sarà tanto più utile quanto più diverrà, in una realtà
multipolare, una sorta di Svizzera continentale. Per gli
americani che ancora credono nella vocazione imperiale
del loro Paese, un’Europa divisa è il migliore degli alleati possibili. E l’unità europea si farà soltanto a dispetto
dell’America: per garantire un ruolo all’Europa in un
mondo in cui lo spazio creato dal declino americano
verrebbe riempito da potenze extraeuropee.
Cass R. Sunstein
“Semplice.
L’arte del governo
nel terzo millennio”
2014, Feltrinelli editore.
Le regole non sono sempre un intralcio. Possono aiutarci a risparmiare soldi nella gestione della cosa pubblica. A migliorare la qualità del cibo nelle mense in cui
mangiano i nostri figli. A rendere più sicure le fabbriche
e gli uffici in cui lavoriamo. Regole nuove, più duttili,
più intelligenti, possono mettere d’accordo potenzialità
individuali e collettive. Possono consentirci di agire in
maniera più libera, efficace, creativa. Possono aiutare a
49
vivere meglio. Cass R. Sunstein non è solo il maggior teorico di questo nuovo modello di governance. È “lo zar
della regolazione”, com’è stato ribattezzato. È l’uomo
che Obama ha voluto a capo di uno dei dipartimenti più
influenti della Casa Bianca, l’Office of Information and
Regulatory Affairs (Oira), per ripensare radicalmente il modello di governance su cui si reggono gli Stati
Uniti d’America. L’idea di partenza di Sunstein è semplice: dalla qualità dell’aria, agli standard di efficienza
delle automobili, ai tempi di attesa agli sportelli degli
uffici pubblici, tutto può essere misurato, monitorato,
ottimizzato. Lo scopo di Sunstein è altrettanto semplice: che la società americana diventi più armonica, più
efficiente, più sostenibile. E il metodo di Sunstein è uno
solo: una regolamentazione intelligente che renda la
vita della società, dei cittadini, delle imprese, sempre
più semplice.
José E. Pacheco
“Il vento distante”
2014, Sur editore.
Quattordici racconti sempre agitati dal vento. È una
brezza marina che rinfresca la notte, un soffio che accarezza le fronde in un bosco o le spighe di un campo di
grano, disperde pezzi di banconote stracciate per disperazione, reca gocce di pioggia sul tavolino di un bar, è
carico di pugnali durante una battaglia. Nostalgia e ironia sono le chiavi di lettura di queste storie, che hanno
per protagonisti adolescenti timidi e innamorati, grasse
ragazze solitarie, rivoluzionari perseguitati dall’orrore
del sangue, abili truffatori seriali, un padre e una figlia
che attraversano un parco, un uomo e una donna che
non s’incontreranno mai.
50
Davide Schiffer
“Il crepuscolo degli idoli”
2014, Golem editore.
“Siamo tutti in attesa, per qualcuno presumibilmente
più lunga, per altri più breve... ma non voglio viverla
come un periodo della mia vita diverso da come è stata
finora, anche se il mio ruolo è scaduto o è diverso da
prima. Penso anche di essere fortunato in confronto a
chi trascorre l’attesa in condizioni psichiche o fisiche
menomate. In fondo, vivo l’esperienza della vecchiaia
con consapevolezza e con gli strumenti per analizzarla. Il tornaconto sta nel poterlo fare e non nella gioia
che dà. Chi dice che la vecchiaia è bella? Non lo è. Lo
può essere solo nella misura in cui uno invecchia mantenendo caratteristiche del non-vecchio. Quindi la nonvecchiaia è bella”. I viaggi in treno di Davide Schiffer
diventano pretesto e momento di riflessione profonda,
di analisi introspettiva, di aggiornamento scientifico e
di immersione nei ricordi di una vita votata alla conoscenza dell’uomo in tutti i suoi aspetti. Neuroscienze e
idealismo tedesco, memoria collettiva e ricordi personali, tutto raccontato con delicatezza sapiente.
cambiamenti, ma sa fare tesoro dei valori acquisiti; alla
donna che, sempre più attenta ai temi della salute e del
benessere, ha bisogno di soluzioni veloci e di informazioni pratiche, ma di alto contenuto scientifico. Tante
rubriche, la consulenza di medici ed esperti per articoli
e approfondimenti, aggiornamenti quotidiani e tante
news, infografiche, un ricco glossario e anche una televisione tematica: tutto questo per venire incontro alle
esigenze di tutte – ma proprio tutte – le donne.
www.comefare.it
Guide e tutorial su come fare quasi tutto. Una raccolta
diversificata di guide e consigli per tutti i gusti riguardanti più o meno la casa, la persona e le cose di tutti i
giorni. Oltre ad offrire guide gratuite, il servizio si rivolge anche agli autori e a tutti coloro che sono interessati
a fornire materiale. Tutti gli utenti iscritti a ComeFare.it
possono scrivere e pubblicare articoli su un argomento
di loro scelta. Registrazione gratui
http://blog.mostralfonso.com
www.esseredonnaonline.it
L’appuntamento con l’informazione in tema di salute
e benessere è su EssereDonnaonline: un viaggio attraverso l’universo femminile (e non solo) in tutta la sua
complessità. Esseredonnaonline non è solo un magazine. E’ un luogo virtuale dedicato alla donna che guarda
“avanti” ed è al passo con i tempi, che non ha paura dei
Dalla penna di Romano Garofalo nasce Italian Comics,
Quotidiano Multimediale Interattivo di approfondimento, in chiave umoristico-satirica, delle notizie di cronaca
politica e di costume. Un progetto editoriale ideato per
raccontare e commentare la politica italiana, gli avvenimenti di politica e costume nazionali ed internazionali
e le abitudini degli italiani attraverso la formula della
satira e della riflessione.
contropelo alle parole di “moda”
di Dino Basili
.
o asciutto
in
un discors
re
a
p
lasciava
p
a
,
vino che re il lemdunque
l
il
A
.
le
a
ta
im
pera
. Era
Lacr
omparso
ante recu
cabolo sc ’ di deposito. Eleg sorprese finali.
e pogo
rr
V
o
.
cc
o
o
s
n
o
o
voli
n po
ma n
Matr
re
ottiglia u
in antepri ux nei film western.
on sgrade
un-due-t
ascoltarli
ndo alla b ntare situazioni c
io
er
fo
S
P
i
e
i.
c
m
Altro che mbettano
n
co
u
,
”.
o
!
e
c
ie
h
c
g
ta
in
u
Ann
ra
ro
A
m
r
.
e
o
e
a
ll
lle n
, sg
ma p
hio su
-annunci
valzer de
; in pista
giare l’orecc ato da petulanti pre
inviato il , rock durissimo
e antintt
“R
lc
le
.
o
so
e
b
è
m
in
o
re
alco
sta b
L’ete
Nom
ne
scomode.
lta…sul p
ortata di te
ll’accezio
Tenere a p de improvvise quanto
on giravo abile.
c
.
lo
e
p
igliori ne miche inia
m
c
ll
n
a
i
a
b
,
m
Bru
ti
o
im
ca
d
l’
e
ra
le
ttim
po
epe”
pure
spegner
che gli o
isti nelle
ire sale e p
cendio per
no a diven 0, “bisogna avere
n quadra adrone dei pessim
a
o
ci
N
in
.
m
o
co
im
squ
Ott
uando
del ’90
un
doguidino lo
Capelli. “Q ciano Folgore, poeta arte”. Dai, appena
cerca d’in
classica, i rari ottimisti.
p
u
a
L
d
a
d
e
n
stro eroe ni ultravea
ep
o
p
o
n
c
il
com
Il
te
i.
re
u
ia
te
g
q
ce
gag
ecisio
da met
e che nas
ta delle d
tanto sale
r Bloch,
o. Termin oli, punti di cadu ra)
u
g
h
lo
rt
A
io
a
c
.
zi
s
o
u
c
nten
sta
soffi
Pre
rem
iale
iettorie, o
n idiota” se
tanto, umo
ia, forte p
el proverb
vinare tra no volgare press
“Mai con u hy (bestseller, mica be notare
.
e
r
te
u
infilato n
c
ti
rp
o
eb
la
u
Dis
rl
l
tr
e
M
o
a
v
i
p
a
d
(d
n
i
i
i
loc
ad
Legg
te no
lti.
etto prim
ei piani a
autore delle é il divieto? “La gen
a
Se vien d no. Soprattutto n
ch
.
er
o
P
r
).
siero sull
tt
o
a
ic
rist
Qu
n cicali
retta
le di pen ncor più
u
o
u
ea
a
c
n
”.
s
n
li
o
za
u
a
le
en
s
n
a, a
do,
a u
sacco,
la differ
vrastato d
grossomo ’essere curatissim ole un finato. Poco
no due,
v
u
o
Il punto so come segno di affet
e
v
S
d
.
,
,
.
e
o
c
a
v
o
ce
e
z
ti
is
m
v
a
n
n
ri
’500
nda, in
Roma
Esclam
er la p
tti lo defi
a. La seco
vedersi nel
clusiva. P
ri. Ugo Oje
frase con , magari pedagogic morente.
comincia a n odiato dagli scritto na pulce”.
u
o
it
te
bizze e
dall’incip cchi, naturalmen
amato, se n mocle sospesa sopra
rovocano
ri
p
a
ll
te
a
su
z
z
a
o
to
o
a sb
rriva
le senza fi
“spada di D
inize appen
bozze.
o “ismo” a
aghe boz o per fare buone
o penultim egno di qualsivoglia
V
o
.
a
al
im
u
lt
g
U
n
.
n
lla coda,
Scioglili ersi di buzzo buo
Faccismo : dire e ridire, a sost
rmarsi su chio.
e
ff
tt
o
ca
s
e
ti
li
a
M
o
z
c
n
ccia”.
bozzi.
balta p
santo. Se
sia spaura
malare:
etterci la fa
rli è sacro olo: bubù. Ovvero
, fanno am rovora
so
e
ziativa di “m
es
p
u
sp
Al conS
i,
.
d
st
p
Tabù
oppian
fortevoli.
no ingiu
re volte
d
n
lt
so
d
o
A
c
o
ra
.
d
ti
te
n
ri
a
a
n
e
a
u
e
zz
g
m
“bù”, ma
Giudizi. Q nziosamente somati ragli. Sono giudizi ch
sono rara
le
i
d’aspetto
le
a
s
e
ano
L
vengono si i inconsulte, orrend
.
indossav
on
Varianti on del sospetto.
’America dere e glod
cano reazi .
i
lo
è
a
n
:
s
ti
ia
i
n
d
,
a
o
gl’in
crocc
no
pren
trari
somarizza
ianca che
nza da ri
te, dorate e
ellate e un carciofo”. L’ignorava
Cintura b i intertribali. Usa
.
st
a
m
p
u
im
p
e
li
m
adel
Fog
ord
Wa
di
degli acc
Historia. greto della “politica o sabaudo Carlo Em
presenza
garanzia
el
se
n
n
a
il
ra
i,
v
to
n
so
it
o
fr
si
il
fastidiosa
,
es
el
n
n
re
la
n
to
?
a
a
en
re
ic
le
v
a
d
z
co
in
z
pic
suo
co in
bali
perfino il on la strategia delle del regno.
refisso gre
i
C
rso. Il p
n
o
I.
fi
c
n
II
is
co
e
ieno d’ai
el
-d
o
u
o
n
Xil
gnosi.
o sacco p
anti al
o al Ticin
u
v
le
n
s
a
fi
ti
d
l
ò
a
a
”
rt
ffl
t.
o
ie
a
p
z
et
,
“sp
gra
1748
parole e
umento,
misfatti.
abbreviare
i malpengreste str ntalizzare fatti e
nsigliato
po di crisi,
’a
co
L
m
S
ro
.
te
a
i.
te
z
In
n
in
.
iz
g
e
ci
o
, uffi
Indir
ere per
strum
Zamp
ende, ditte
uale”. Scriv
abile per
nome di azi bero leggere “spettr , accenni di bile, cad
, è impag
a
ri
ità
eb
santi potr senza pretese di abil
“spettabile” ri.
la
te spettaco
51
è la soluzione!
La cessione del quinto della
pensione di nuova generazione.
Semplice.
.
Responsabile
Dedicata a tutti i pensionati
INPS e INPDAP iscritti al
sindacato
Richiedi subito un preventivo
gratuito al tuo consulente.
Chiama il numero verde o vai sul sito
www.dammil5.com
Facile.
Sereno.
Comodo.
ARREDO
ARRRE
R DO
DO
CASA
CAASA
SA
vacanze
vaaccaan
nzze
estive
essti
tive
tive
ve
NUOVA
NUOOVVA
NU
NUOV
AUTO
AUUTO
Il prestito personale intelligente.
Inquadra il QR
code e portaci sul
tuo smartphone!
Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni economiche e le principali clausole contrattuali il documento “informazioni europee di base sul credito ai consumatori” è ottenibile presso le filiali delle Banche del Gruppo Carige e presso gli Agenti in
attività finanziaria iscritti al relativo Albo tenuto dall'OAM e alla sezione E del RUI, mandatari di Creditis Servizi Finanziari S.p.A. Le Banche del Gruppo Carige, iscritte all’Albo delle Banche, promuovono e collocano il prodotto in forza di convenzione con Creditis Servizi
Finanziari S.p.A, società appartenente al medesimo Gruppo. Salvo approvazione di Creditis Servizi Finanziari S.p.A.