FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 1 Tribunale amministrativo regionale Piemonte Sez. I 12 dicembre 2013 n. 1336 Pres. Salamone Est. Fratamico C. (avv. Carena, D’Herin) Comune di Cumiana e altri (n.c.). (avv. Bolley) [1608/240] Comuni e province - Consiglieri comunali e provinciali - Consiglieri comunali - Dimissioni - Rassegnate nelle mani del Segretario comunale - Delibera consiliare di annullamento - Illegittimità. È illegittima la deliberazione con la quale il Consiglio comunale dichiara l’inefficacia delle dimissioni presentate da alcuni Consiglieri comunali direttamente nelle mani del Segretario comunale invece che ad esso Consiglio comunale, atteso che l’esigenza di assicurare che le dimissioni siano assistita da particolari cautele, anche di ordine formale, non deve travalicare il generale canone di proporzionalità. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1168 del 2013, proposto da: Roberto Costelli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mauro Carena e Hebert D’Herin, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Rosta, 13; contro Comune di Cumiana, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Bolley, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Piemonte in Torino, corso Stati Uniti, 45; nei confronti di Vittorio Grometto; per l’annullamento a) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana dell’11/9/2013 n. 42 - recante ad oggetto ″valutazione della validità/efficacia delle dimissioni dei consiglieri Roberto Costelli, Paolo Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari in funzione delle caratteristiche formali essenziali stabilite dalla legge - art. 38 del D.Lgs. n. 267/2000 e successive modifiche e revoca delibere n.ri 24-25-26 e 27 del 24 giugno 2013 in quanto prove del presupposto di preventiva efficacia e validità delle dimissioni″ - pubblicata all’Albo Pretorio del Comune per 15 giorni consecutivi dal 18/9/2013; b) di ogni altro atto alla stessa preordinato, preparatorio, propedeutico, consequenziale o comunque connesso ed in particolare, ove occorrer possa: b.1) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 18/7/2013 n. 29 - recante ad oggetto ″lettura ed apporovazione verbali sedute del 12 marzo 2013, del 22 maggio 2013, del 12 giugno 20134 e del 24 giugno 2013″ - pubblicata all’Albo Pretorio del Comune per 15 giorni consecutivi dal 5/8/2013; b.2) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 18/7/2013 n. 34 - recante ad oggetto ″surroga consigliere comunale dimissionario (sig. Luca Andreotti) e convalida del consigliere neoeletto″ - pubblicata all’Albo Pretorio del Comune per 15 giorni consecutivi dal 5/8/2013; b.3) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 25/7/2013 n. 40 - recante ad oggetto ″annullamento, in sede di autotutela, di tutte le dimissioni e le rinunce, a partire da quella originaria dei consiglieri Roberto Costelli, Paolo Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari e le successive, con la revoca delle relative delibere nn. 24, 25, 26 e 27 del 24.06.2013, con le quali i predetti dimissionari sarebbero stati surrogati″; b.4) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 10/10/2013 n. 44 - recante ad oggetto ″lettura ed approvazione verbali sedute del 15 luglio 2013, 18 luglio 2013, 24 luglio 2013, 25 luglio 2013, 10 settembre 2013 e 11 settembre 2013″. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cumiana; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO — Con ricorso notificato il 12.11.2013 il sig. Roberto Costelli ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Cumiana dell’11.09.2013 n. 42 avente ad oggetto la “valutazione della validità/efficacia delle dimissioni dei consiglieri Roberto Costelli, Paolo Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari... e revoca delibere n.ri 24, 25, 26 e 27 del 24 giugno 2013 in quanto prive del presupposto di preventiva validità delle dimissioni”, nonché ogni altro atto alla stessa preordinato, preparatorio, propedeutico, consequenziale o comunque connesso. A sostegno della sua domanda il ricorrente ha dedotto 1) violazione di legge ed eccesso di potere, violazione o falsa interpretazione dell’art. 38 comma 8 d.lgs. n. 267/2000, violazione dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza, travisamento dei fatti, irragionevolezza e contraddittorietà manifesti; 2) eccesso di potere per disparità di trattamento e contraddittorietà manifesti; 3) eccesso di potere per sviamento. Si è costituito in giudizio il Comune di Cumiana eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza del ricorso avversario. Alla camera di consiglio dell’11.12.2013 la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti di legge. Deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse. Il ricorrente, che ha presentato le sue dimissioni il 4.06.2013, ha, infatti, un interesse concreto ed attuale ad essere riconosciuto proprio da tale data dimissionario dalla carica di consigliere comunale e dunque, ormai, non più componente del Consiglio Comunale e partecipe delle decisioni di tale organo, a prescindere dalla possibilità di rassegnare nuovamente , in qualsiasi momento, le dimissioni, che decorrerebbero, però, dalla nuova presentazione. Quanto al merito del ricorso, il sig. Roberto Costelli ha contestato, in primo luogo, l’interpretazione data dal Consiglio Comunale all’art. 38, comma 8 d.lgs. n. 267/2000, per cui non potevano essere considerate ritualmente proposte le dimissioni 1) che fossero state indirizzate al Sindaco ed al Segretario Comunale, invece che al Consiglio, 2) che non risultassero presentate o personalmente o per il tramite di persona delegata con atto autenticato in data non anteriore a cinque giorni 3) che non apparissero assunte immediatamente al protocollo dell’Ente nell’ordine temporale di presentazione. Alla luce degli atti di causa, dai quali emerge la avvenuta consegna da parte del ricorrente e degli altri consiglieri Paolo Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari della dichiarazione di dimissioni direttamente nelle mani del Segretario Comunale di Cumiana dott. Giuseppe Burrello, con contestuale assunzione al protocollo in ordine di presentazione (cfr. documenti nn. 2, 3, 4, 5 e 10 del ricorrente), la suddetta censura è fondata e meritevole di accoglimento. Quanto al fatto che le dimissioni fossero rivolte non al Consiglio Comunale, come prescritto dall’art. 38 comma 8 d.lgs. n. 267/2000, occorre, infatti, sottolineare come “ la pur condivisibile esigenza di assicurare che la presentazione delle dimissioni dalla carica di consigliere comunale sia assistita da particolari cautele anche di ordine formale non debba trovare applicazioni fattuali idonee a travalicare il generale canone di proporzionalità, ovvero tali da consentire applicazioni concrete di carattere distorto o strumentale (cfr. Cons. St., Sez. VI, 19.08.2009 n. 4982 di riforma della sentenza del TAR Puglia citata dal Comune nella memoria di costituzione) Nella decisione ricordata il Consiglio di Stato, ritenendo “ necessario assicurare (al contempo) che l’applicazione pratica delle disposizioni in tema di dimissioni dalla carica di consigliere comunale (anche in relazione alle conseguenze per ciò che attiene all’eventuale FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 3 scioglimento dell’Organo elettivo) non obliteri in modo ingiustificato le prerogative di altri soggetti operanti nell’ambito dell’organizzazione dell’Ente, ovvero ne ignori in modo indebito la sfera di competenze”, osserva che “ciò comporta l’esigenza di tenere in adeguata considerazione l’inscindibile nesso funzionale che lega l’attività del segretario comunale a quella dell’Organo consiliare, individuando il primo quale soggetto istituzionalmente deputato a svolgere funzioni consultive referenti e di assistenza alle riunioni dell’Organo elettivo, curandone altresì la verbalizzazione (in tal senso: comma 4, lettera d) dell’art. 97 del T.U.E.L.).È noto al riguardo che la riforma del 2000 abbia enfatizzato il richiamato nesso funzionale, superando il previgente modello delineato dalla legge n. 142 del 1990 (in cui il ruolo del segretario era limitato alla sola verbalizzazione degli atti consiliari) ed istituendo un nuovo modello nel cui ambito il segretario si atteggia quale garante della legittimità e della correttezza dell’azione amministrativa dell’Ente locale.Nell’ambito del modello da ultimo delineato non solo appare indubitabile la conferma del ruolo istituzionale del segretario comunale inteso anche quale segretario ex lege dell’Assemblea elettiva, ma appare altresì evidente che il medesimo soggetto rivesta un innegabile ruolo di interfaccia istituzionale dell’intera attività dell’Organo, con un’ampiezza di funzioni che non appare passibile di interpretazioni restrittive. Già sotto tale aspetto, quindi, appare innegabile che la presentazione degli atti di dimissioni al segretario ex lege dell’assemblea elettiva concreti adeguatamente il requisito formale imposto dal comma 8 dell’art. 8 del T.U.E.L., il quale impone che le dimissioni debbano essere indirizzate al rispettivo consiglio. Si osserva, inoltre, che la lettura qui proposta appaia altresì la più adeguata a contemperare (secondo il richiamato canone di proporzionalità) per un verso l’esigenza a che l’espressione della volontà del consigliere dimissionario sia assistita da particolari formalità (anche al fine di garantire la genuinità dell’espressione di un atto dalle rilevanti conseguenze politiche ed istituzionali), ma per altro verso anche l’esigenza a che l’applicazione della pertinente disciplina non si presti ad utilizzazioni sterilmente formalistiche ovvero palesemente strumentali, quali quelle che potrebbero derivare da una sorta di ’monito’ politico veicolato attraverso un atto formalmente - e deliberatamente - inefficace (le dimissioni presentate in forme non rituali), ma del pari idoneo a sortire conseguenze di carattere politico e ad alterare gli equilibri istituzionali esistenti in seno all’Ente locale. Si intende, in definitiva, affermare che, nell’ambito delle interpretazioni possibili circa il pertinente quadro normativo in tema di formalità di presentazione dell’atto di dimissioni - nonché in relazione alle relative conseguenze -, l’interprete debba (in ossequio al ripetuto canone di proporzionalità, ma anche al canone di ragionevolezza e del buon andamento della cosa pubblica) privilegiare una lettura la quale, pure in un necessario quadro di garanzie, assicuri al contempo comportamenti responsabili e non vuotamente strumentali da parte dei rappresentanti degli Organi elettivi”. I medesimi principi conducono a reputare validamente presentate le dimissioni anche sotto gli ulteriori punti di vista della modalità di presentazione - che il Segretario Comunale attesta essere avvenuta direttamente a cura degli interessati nelle sue mani (cfr. doc. n. 10 del ricorrente) - e dell’assunzione al protocollo, completa di timbro indicativo del titolo, della classe, del numero, della data di presentazione dell’atto e dell’unità organizzativa responsabile (“segr.”, cioè segretario comunale) della ricezione a mani dagli stessi consiglieri dimissionari. In presenza di tali elementi, precisi ed univoci nel dimostrare una tempestiva e rituale protocollazione, i generici dubbi sollevati dal Consiglio Comunale per fondare la delibera di dichiarazione di invalidità delle dimissioni e di annullamento delle delibere di surroga dei componenti dimissionari non appaiono in grado di inficiare in alcun modo la validità delle dimissioni stesse. Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Cumiana n. 42 dell’11.09.2013 e delle ulteriori delibere impugnate, propedeutiche e consequenziali ad essa, ed assorbimento di ogni altra doglianza. Per la particolarità della controversia sussistono, in ogni caso, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, - accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati; - compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Vincenzo Salamone, Presidente Savio Picone, Primo Referendario Ofelia Fratamico, Primo Referendario, Estensore FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 5 Tribunale amministrativo regionale Piemonte Sez. I 28 dicembre 2013 n. 1377 Pres. Balucani Est. Ravasio B. (avv.Furno) Ministero interno . (Avv. Stato) [7932/374] Sicurezza pubblica - Stranieri (in particolare: extracomunitari) - Permesso di soggiorno Rinnovo - Diniego - Per mancata allegazione alla domanda del passaporto biometrico - Illegittimità - Ratio. È illegittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno a cittadino extracomunitario che assume, come unica causa giustificativa della determinazione adottata, la mancata allegazione alla domanda del passaporto biometrico, dal 2011 divenuto obbligatorio anche in Albania, paese d’origine dello straniero, atteso che quest’ultimo, all’atto di chiedere il rinnovo, aveva prodotto copia del passaporto ordinario con validità fino al 2015, la cui validità non poteva, in mancanza di prova contraria, essere venuta meno automaticamente per effetto della entrata in vigore in Albania di una legislazione che prevede il rilascio di passaporti biometrici. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1004 del 2013, proposto da: Zef Bishaj, rappresentato e difeso dall’avv. Laura Furno, con domicilio eletto presso Laura Furno in Torino, via Nino Bixio, 4; contro Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr.le Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45; Questore di Cuneo; per l’annullamento del provvedimento Cat. A12 n. 123/2013/Imm. dell’8.3.2013, notificato il 9.4.2013 e consegnato al ricorrente in data 16.7.2013, con il quale il Questore della Provincia di Cuneo ha disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata l’11.8.2012 per motivi di lavoro; nonchè per l’annullamento del provvedimento Cat. A12/2013 del 20.8.2013 notificato il 29.8.2013, con il quale la Questura di Cuneo, Dirigente dell’Ufficio Immigrazione ha comunicato il diniego dell’istanza di riesame in autotutela del succitato provvedimento Cat. A12 n. 123/2013/Imm. dell’8.3.2013 presentata in data 31.7.2013, compresa la prescrizione di lasciare l’Italia entro il termine di 15 giorni dalla notifica; nonchè degli atti tutti antecedenti, preordinati, conseguenziali e comunque connessi del relativo procedimento e per ogni ulteriore statuizione. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 la dott.ssa Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.; - Rilevato che il provvedimento impugnato, pur richiamando l’avviso ex art. 10 bis inviato al ricorrente, indica quale unica causa del diniego la mancata produzione, in allegato alla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, del passaporto in corso di validità: in particolare non sarebbe stato prodotto il passaporto biometrico che dal 2011 sarebbe divenuto obbligatorio anche in Albania, paese d’origine del ricorrente; - Considerato che all’atto di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno il Zef Bishaj ha prodotto copia di un passaporto con validità sino al 2015, e che la validità di tale passaporto – la cui autenticità non è posta in discussione - non può ritenersi, in mancanza di prova contraria, essere venuta meno automaticamente per effetto della entrata in vigore in Albania di una legislazione che prevede il rilascio di passaporti biometrici; - Ritenuto pertanto che il provvedimento impugnato si fonda su una circostanza inesistente; - Ritenuto infine che le spese del presente procedimento possono essere compensate in relazione alla natura della controversia; P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento del Questore della Provincia di Cuneo Cat. A12 n. 123/2013/Imm. dell’8.3.2013. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Lanfranco Balucani, Presidente Roberta Ravasio, Primo Referendario, Estensore Paola Malanetto, Primo Referendario FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 7 Tribunale amministrativo regionale Lombardia Milano Sez. III 3 dicembre 2013 n. 2681 Pres. Leo Est. Fornataro Consorzio P. 2 (avv. Torrani, Annoni) Autostrada P. L. s.p.a., AG sede secondaria italiana in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del R.T.I. con G.L.F. s.p.a., Impresa C.G.M. s.p.a., A. s.p.a. . (avv. Scoca, Angelini), (avv. D’Amelio, Pellegrino, Bardelli) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Dichiarazione ex art. 38, d.lg. n. 163 del 2006 - Relativamente ai soggetti cessati dalle cariche sociali - Concernendo stati, fatti e qualità riguardanti terzi rispetto al dichiarante - Può essere resa « per quanto a conoscenza » del dichiarante medesimo - Possibilità di effettuare ulteriori verifiche nei confronti dei diretti interessati - Sussistenza per la stazione appaltante. D.lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 38 [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Aggiudicazione - Provvisoria - Impugnazione - È una mera facoltà per il concorrente - Intervenuta impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria - Deve essere seguita a pena di improcedibilità dall’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Aggiudicazione provvisoria - Impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria - Delimita le censure deducibili in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva e con riferimento alla posizione del controinteressato anche il tempo di proposizione del ricorso incidentale. [3972/12] Giustizia amministrativa - Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale - Impugnazione principale - Esaurisce il novero delle questioni di legittimità proponibili avverso l’atto impugnato e la relativa sequenza procedimentale onera l’avversario a far valere, nel termine di decadenza l’interesse all’impugnativa incidentale. [3972/12] Giustizia amministrativa - Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale - Ricorso incidentale - Risente delle preclusioni che gravano sul ricorrente principale una volta che si sia avvalso della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Dichiarazione riguardante la partecipazione azionaria da parte di società fiduciarie - Autorizzate ai sensi della l. n. 1966 del 1939 - Deve essere effettuata dal concorrente aggiudicatario e a seguito di richiesta della stazione appaltante in sede di controllo dei requisiti - Ai sensi dell’art. 38 lett. d), d.lg. n. 163 del 2006 e del combinato disposto delle norme poste dall’art. 17 comma 3, l. n. 55 del 1990 e dall’art. 1 comma 1, d.P.C.M. n. 187 del 1991. L. 23 novembre 1939 n. 1966; d.,lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 38, lett. d; l. 19 marzo 1990 n. 55, art. 17 comma 3; d.P.C.M. 11 maggio 1991 n. 187, art. 1 comma 1 [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Principio di economicità - Esprime l’esigenza che la stazione appaltante definisca i criteri di aggiudicazione e il relativo peso in modo da garantire il raggiungimento delle finalità perseguite con il minore onere economico. [5536/48] Opere pubbliche (lavori pubblici) (per i contratti pubblici di forniture e di servizi) - Appalti per la realizzazione di opere pubbliche - In genere - Opere di interesse strategico - Applicabilità dei principi posti dall’art. 76 del Codice degli appalti - Fattispecie. D.lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 76 [5536/48] Opere pubbliche (lavori pubblici) (per i contratti pubblici di forniture e di servizi) - Appalti per la realizzazione di opere pubbliche - Disciplina di gara - Che non consente di apportare modifiche al progetto posto a base di gara se non in relazione alla cantierizzazione e solo per limitarne gli impatti ambientali - Esclusione della legittimità di qualunque variante incidente sulle opere da realizzare. [2340/228] Danni - Risarcimento in forma specifica - È uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito - La cui scelta spetta al creditore salva l’ipotesi di eccessiva onerosità o l’oggettiva impossibilità. [2340/168] Danni - Patrimoniali e non patrimoniali - In genere - Risarcimento - Per equivalente o in forma specifica - Si caratterizza per l’imposizione al danneggiante di una prestazione diversa in sostituzione di quella originaria. [3972/1968] Giustizia amministrativa - Obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi al giudicato amministrativo o ordinario (Giudizio di ottemperanza) - In genere - Completamento della tutela offerta dal giudizio di ottemperanza con la possibilità di esperire un’azione di condanna al rilascio del provvedimento richiesto - Ai sensi dell’art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a. - In sede di cognizione - A condizione che si tratti di attività vincolata o che, comunque, non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori da compiere ad opera dell’Amministrazione. Art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a). [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Riguardante una infrastruttura strategica - Mancata deduzione da parte del ricorrente a sostegno della richiesta di dichiarazione dell’inefficacia del contratto della sussistenza di una delle ipotesi delineate dall’art. 121 c.p.a. Comporta che l’unica tutela conseguibile sia quella risarcitoria per equivalente, nei limiti in cui sia dedotto un danno subito e provato. Art. 121 c.p.a [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Responsabilità extracontrattuale - Correlata alla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico - Ravvisabilità - In presenza di tutti gli elementi di cui all’art. 2043 c.c. - Irrilevanza dell’elemento soggettivo dell’illecito, configurando una responsabilità di natura oggettiva. Art. 2043 c.c [6328/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Responsabilità dell’Amministrazione correlata all’aggiudicazione di un appalto pubblico - È di tipo oggettivo - Secondo un principio elaborato con riguardo agli appalti comunitari ma che è da ritenersi principio generale di diritto da estendersi a tutto il campo degli appalti pubblici. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Aggiudicazione - Annullamento dell’aggiudicazione disposta in favore del primo classificato Comporta la spettanza al secondo classificato in graduatoria del bene della vita preteso. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto Riconduzione dell’illecito provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale - Onere probatorio circa l’esistenza di un pregiudizio e la sua riconducibilità eziologica all’adozione del provvedimento illegittimo, nonché la misura del danno asseritamente sofferto - Incombe sulla parte danneggiata. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Prova della responsabilità - Può fondarsi anche su presunzioni gravi, precise e concordanti - Elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più di uno. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Risarcimento del danno Criterio del 10% - Applicazione automatica - Esclusione - Costituisce solo un parametro di riferimento - Utilizzabilità come punto di partenza per l’individuazione della percentuale di utile che l’operatore economico danneggiato avrebbe verosimilmente conseguito se fosse risultato aggiudicatario e se avesse concretamente eseguito il contratto. [3972/1176] Giustizia amministrativa - Giudizio amministrativo - In genere - Giudizio risarcitorio dei danni - Che ha ad oggetto l’accertamento della pretesa al risarcimento in conseguenza di un illecito extracontrattuale e la conseguente condanna del danneggiante - Applicabilità del principio di acquisizione dei mezzi di prova formulato in relazione alle azioni esperibili nel processo civile. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Offerte - Giudizio di anomalia - Deve essere complessivo. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Offerte - Giudizio di anomalia - Giustificazioni - Rimodulazione delle voci di costo senza alcuna motivazione - Preclusione in sede di giustificazioni. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Offerte - Giudizio di anomalia - Giustificazioni - Serietà dell’offerta - Ravvisabilità anche in caso di riduzione dell’utile d’impresa - Purché non risulti del tutto azzerato - Ragioni. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno consistente nella perdita dell’utile - Ricostruito in via presuntiva, sulla base di criteri di verosimiglianza - Quantificazione ad opera del giudice verificando se l’ipotesi formulata dal ricorrente sia coerente con il contenuto dell’offerta economica - Possibilità. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno da mancata percezione dell’utile - Determinazione presuntiva del danno da mancata percezione dell’utile - Deve tener conto della sottoposizione dell’attività dell’appaltatore al rischio di impresa - Di cui l’imprenditore normalmente tiene conto in sede di quantificazione dell’offerta economica. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danni - Danno da mancato utile - Nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente - Risarcimento in misura integrale - Spettanza - Solo in caso di dimostrazione FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 9 dell’impossibilità di utilizzo delle maestranze e mezzi - Risarcimento del danno in misura inferiore - Spettanza - In caso di difetto di tale dimostrazione - In applicazione del principio di cui all’art. 1227 c.c. Art. 1227 c.c [3972/1176] Giustizia amministrativa - Giudizio amministrativo - In genere - Giudizio risarcitorio dei danni - Avanzato da concorrente in un gara d’appalto - Che contesti l’esito della gara in sede giurisdizionale - È tenuto a rispettare il canone della diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176 c.c. Art. 1176 c.c [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno da mancato utile Quantum cui riferire il valore percentuale ai fini del risarcimento del danno - Non è il prezzo a base d’asta - Ma l’importo concretamente offerto dal ricorrente - Ragioni. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno curriculare - Si concretizza nella perdita di qualificazione - Risarcibilità. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danni - Danno curriculare - È il pregiudizio conseguente al mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto. [6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danni - Danno curriculare Debenza degli interessi compensativi - Sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno per mancato conseguimento dell’utile derivante dall’esecuzione del contratto e di pregiudizio curriculare - Con riferimento al periodo decorrente dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione e sino al deposito della sentenza - Esclusione - Debenza degli interessi nella misura legale - Con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza e sino al soddisfo. La dichiarazione richiesta dall’art. 38, d.lg. n. 163 del 2006, relativamente ai soggetti cessati dalle cariche sociali, concernendo stati, fatti e qualità riguardanti terzi e non il dichiarante, non può che essere resa — ai sensi dell’art. 47, d.P.R. n. 445 del 2000 — « per quanto a conoscenza » del dichiarante medesimo, il quale non è neppure tenuto a indicare le ragioni per le quali non ha potuto produrre le dichiarazioni dei diretti interessati, fermo restando che rientra tra i poteri della stazione appaltante la possibilità di procedere, a fronte di una compiuta identificazione dei soggetti interessati, ad ulteriori verifiche nei loro confronti. Ne consegue che è del tutto ragionevole ritenere che, nei confronti dei soggetti cessati dalla carica, in quanto, in mancanza di una diversa previsione della lex specialis, tale espressa delimitazione esprime solo il riferimento al tempo sino al quale il dichiarante assume di avere conoscenza delle eventuali condanne pronunciate a carico di coloro che ricoprivano cariche sociali. L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non sia risultata vincitrice, lesione che si verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva, sicché l’impresa non aggiudicataria non ha l’onere, ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria. Nondimeno, sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente e in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, grava l’onere di impugnare, in un secondo momento, anche l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del primo ricorso. L’aggiudicazione definitiva, infatti, non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento che, anche qualora recepisca integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale. In occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte che abbia proposto ricorso contro quella provvisoria potrà inoltre dedurre anche motivi relativi agli atti già avversati, ma alla sola condizione che siffatti ulteriori motivi trovino giustificazione e fondamento in circostanze non precedentemente conosciute. L’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria delimita non solo le censure deducibili in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, ma con riferimento alla posizione del controinteressato, anche il tempo di proposizione del ricorso incidentale, nel senso che è inammissibile il ricorso incidentale proposto avverso l’aggiudicazione definitiva per dedurre censure già proponibili, sempre in via incidentale, avverso l’aggiudicazione provvisoria. Una volta che il ricorrente principale, abbia, come nella fattispecie, scelto di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, così precludendosi la formulazione, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, di ulteriori censure avverso gli atti inseritisi nel contesto procedimentale che ha portato all’aggiudicazione provvisoria gravata, risulta delimitato anche il campo e il tempo delle eccezioni e delle controdomande, volte a paralizzare l’iniziativa avversaria e proponibili dal controinteressato, atteso che l’interesse alla loro proposizione sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, come è proprio del ricorso incidentale ex art. 42 c.p.a. Pertanto, l’impugnazione principale, da un lato, esaurisce il novero delle questioni di legittimità proponibili avverso l’atto impugnato e la relativa sequenza procedimentale, dall’altro, onera l’avversario a far valere, nel termine di decadenza previsto all’ordinamento, l’interesse all’impugnativa incidentale, che non poteva sorgere anteriormente alla proposizione del ricorso principale e che ricomprende l’intero arco delle eccezioni e domande in grado di paralizzare l’iniziativa avversaria, ormai cristallizzata nel suo petitum. Il ricorso incidentale assume un contenuto complesso sì, ma innestato nella matrice comune della « difesa attiva » e siffatta « difesa attiva » non può non risentire, pena l’abuso dello strumento processuale a scapito delle controparti, delle preclusioni, che gravano sul ricorrente principale una volta che si sia avvalso della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria. Preclusioni queste che, in perfetta adesione al principio della parità delle parti nel processo, si riflettono sul novero (e sui tempi di proposizione) delle ragioni deducibili con il ricorso incidentale, l’interesse alla cui proposizione sorge allora indefettibilmente in dipendenza della notificazione del ricorso principale (che vale a cristallizzare il thema decidendum con riguardo non solo agli atti con lo stesso aggrediti ma anche agli atti successivi della procedura, nei confronti dei quali potranno essere dedotti solo vizi propri) e non può certo ritenersi posposto ad un momento successivo (quello dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva) sì che la nuova domanda concernente i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara non potrà essere bloccata da eccezioni e deduzioni, che avrebbero dovuto proporsi tempestivamente nei confronti del ricorso principale (anche a tutela dell’interesse pubblico alla certezza dell’azione amministrativa autoritativa, cui è connaturata la previsione di termini di decadenza per l’azione in giudizio e per ogni utile reazione ad essa), avendo in fin dei conti le due domande oggetti diversi. L’art. 17 comma 3, l. n. 55 del 1990 prevede due differenti situazioni: da un lato, un divieto assoluto di intestazione fiduciaria, che comporta l’immediata esclusione dalla gara, dall’altro, un mero obbligo comunicativo, susseguente all’aggiudicazione e da assolversi, pertanto, a seguito di essa e prima della stipula del contratto, pur nel rispetto del termine di legge. In altre parole, il coordinamento tra l’art. 38 lett. d), d.lg. n. 163 del 2006 e il combinato disposto delle norme poste dall’art. 17 comma 3, l. n. 55 del 1990 e dall’art. 1 comma 1, d.P.C.M. n. 187 del 1991, conduce a ritenere che la dichiarazione riguardante la partecipazione azionaria da parte di società fiduciarie, autorizzate ai sensi della l. n. 1966 del 1939, non deve essere effettuata dal concorrente in sede di presentazione dell’offerta, ma dal concorrente che abbia conseguito l’aggiudicazione e a seguito di richiesta della stazione appaltante in sede di controllo dei requisiti. Il principio di economicità non si sostanzia nella mera massimizzazione del risparmio di spesa, ma esprime l’esigenza che la stazione appaltante definisca i criteri di aggiudicazione e il relativo peso in modo da garantire il raggiungimento delle finalità perseguite con il minore onere economico, sicché proprio in sede di applicazione di tale criterio occorre tenere conto della natura e della dimensione delle opere da realizzare e della loro incidenza sulla realtà sociale ed economica dell’area di intervento. Anche in relazione alle opere di interesse strategico trovano applicazione i principi posti dall’art. 76 del Codice degli appalti, sicché quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti possono autorizzare gli offerenti a presentare varianti; le stazioni appaltanti precisano nel bando di gara se autorizzano o meno le varianti; in mancanza di indicazione, le varianti non sono autorizzate; le stazioni appaltanti che autorizzano le varianti menzionano nel capitolato d’oneri i requisiti minimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità per la loro presentazione; le stazioni appaltanti prendono in considerazione soltanto le varianti che rispondono ai requisiti minimi da esse prescritti (nel caso di specie, non era consentita la presentazione di offerte, FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 11 contenenti varianti in senso proprio, ossia che modifichino profili strutturali, qualitativi, prestazionali o funzionali dell’opera, come definiti nel progetto posto a base di gara). In presenza di una specifica disciplina di gara che non consente di apportare modifiche al progetto posto a base di gara se non in relazione alla cantierizzazione e solo per limitarne gli impatti ambientali, rimane esclusa la legittimità di qualunque variante incidente sulle opere da realizzare, sia che si tratti di una modificazione strutturale, sia che si tratti di una modificazione funzionale, qualitativa o prestazionale delle opere medesime. Anche nel processo amministrativo la nozione di risarcimento in forma specifica va individuata secondo la logica civilistica, in quanto le norme di riferimento non individuano in modo autonomo dalla disciplina civilistica la nozione dell’istituto in esame, sicché esso consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno. La reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio, ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato realizzata attraverso una prestazione diversa e succedanea rispetto a quella originariamente dovuta, sicché essa non può essere confusa né con l’azione di adempimento, diretta ad ottenere la condanna del debitore all’effettuazione della prestazione dovuta, né con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli. La forma specifica non è né una forma eccezionale, né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore salva l’ipotesi di eccessiva onerosità o l’oggettiva impossibilità. Lo strumento risarcitorio, quale mezzo di tutela praticabile in caso di lesione di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, sia esso per equivalente o in forma specifica, si caratterizza per l’imposizione al danneggiante di una prestazione diversa in sostituzione di quella originaria. Ne consegue che se l’Amministrazione era tenuta, in base ai criteri di legittimità che ne governano l’azione, al rilascio di un determinato provvedimento, l’adozione di quell’atto costituisce il contenuto primario della prestazione cui l’Amministrazione era tenuta e non assume una funzione risarcitoria. La tutela specifica realizzabile attraverso la proposizione del giudizio di ottemperanza, si completa, ai sensi dell’art. 34 comma 1, lett. c, c.p.a., con la possibilità di esperire un’azione di condanna, in sede di cognizione e non di ottemperanza, al rilascio del provvedimento richiesto, a condizione che si tratti di attività vincolata o che, comunque, non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori da compiere ad opera dell’Amministrazione, con la precisazione che l’azione deve essere esperita in modo necessariamente congiunto con quella di annullamento del diniego opposto dall’Amministrazione, ovvero contestualmente all’azione avverso il silenzio serbato illegittimamente dall’Amministrazione medesima. Siffatti rimedi, riferibili alla tutela conseguibile in generale tramite gli strumenti propri del processo amministrativo e non esclusivi del settore degli appalti, sono di più agevole applicazione per il ricorrente, rispetto ai rimedi risarcitori, giacché si tratta di istituti di applicazione oggettiva, ancorati al dato dell’illegittimità dell’azione amministrativa e della natura del potere esercitato, mentre non postulano la dimostrazione di una responsabilità dell’Amministrazione anche su base soggettiva, come è necessario per l’azione risarcitoria, che in generale e salve le precisazioni da compiere in materia di appalti di rilevanza comunitaria, postula la dimostrazione dell’illecito, in termini di dolo o colpa dell’apparato amministrativo. Inoltre, i rimedi in esame non incontrano i limiti propri del risarcimento in forma specifica che, ai sensi dell’art. 2058 comma 2, c.c., richiede una verifica in termini do onerosità, verifica esclusa, invece, per il giudizio di ottemperanza, che incontra solo il limite della sopravvenuta impossibilità. Tanto basta per evidenziare che la qualificazione della domanda volta ad ottenere l’aggiudicazione e il contratto in termini di domanda risarcitoria non è condivisibile, perché è diretta ad ottenere proprio il provvedimento cui, in ipotesi, avrebbe condotto un agire legittimo della stazione appaltante, ossia proprio la prestazione attesa dal ricorrente. Nel caso in cui l’appalto riguardi una infrastruttura strategica, la mancata deduzione da parte del ricorrente a sostegno della richiesta di dichiarazione dell’inefficacia del contratto della sussistenza di una delle ipotesi delineate dall’art. 121 c.p.a. — relativo all’inefficacia del contratto per gravi violazioni e rilevante anche in tema di infrastrutture strategiche, secondo la previsione dell’art. 125 c.p.a. — comporta che l’unica tutela conseguibile sia quella risarcitoria per equivalente, nei limiti in cui sia dedotto un danno subito e provato, con la conseguenza che va rigettata la domanda diretta ad ottenere l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto. L’accoglimento della domanda risarcitoria postula la dimostrazione degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e ss. c.c., disciplina cui, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, deve essere ricondotta la responsabilità risarcitoria delle Amministrazioni, comprese le stazioni appaltanti qualificabili come Amministrazioni aggiudicatrici ai sensi del d.lg. n. 163 del 2006, a prescindere, come nella fattispecie, dalla forma giuridica da esse rivestita. Nondimeno, trattandosi di responsabilità risarcitoria correlata alla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, occorre fare applicazione del principio che esclude la rilevanza dell’elemento soggettivo dell’illecito, configurando una responsabilità di natura oggettiva. La regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danni per illegittimità accertate in materia di appalti pubblici, per avere assunto provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi, configura una responsabilità di tipo oggettivo, sottratta ad ogni possibile esimente, poiché derivante da un principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore degli appalti pubblici. Tale regola non può essere circoscritta ai soli appalti comunitari, ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto comunitario inerente all’effettività della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno diretta rilevanza ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo che ad essi viene fatto dal nostro legislatore nel Codice degli appalti, ex art. 2, d.lg. n. 163 del 2006. Una volta caducata l’aggiudicazione in favore del primo classificato, deve essere valutata in termini di certezza la spettanza al secondo classificato in graduatoria del bene della vita preteso. La riconduzione dell’illecito provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe sulla parte danneggiata, che agisce per il risarcimento, l’onere di dimostrare, oltre all’esistenza di un pregiudizio e alla sua riconducibilità eziologica all’adozione del provvedimento illegittimo, anche la misura del danno asseritamente sofferto. Si tratta di applicare al giudizio risarcitorio, proposto davanti al giudice amministrativo mediante l’esperimento di un’azione di accertamento e di condanna, il principio generale sulla distribuzione dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa vantata. L’art. 64 comma 1 c.p.a., invero, stabilisce che spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità e riguardanti i fatti posti a fondamento di domande e di eccezioni, ma il riferimento ad « elementi di prova » non vale a rendere applicabile nel giudizio risarcitorio il principio dispositivo con metodo acquisitivo, caratteristico del processo impugnatorio, perché rispetto alla domanda risarcitoria i mezzi di prova sono nell’immediata disponibilità di colui che ha subito il danno, sicché sarebbe priva di giustificazione l’applicazione del criterio caratteristico del giudizio di annullamento. Ne consegue che il danneggiato non può limitarsi, ai fini della quantificazione del danno, ad allegare un principio di prova, ma è investito in pieno dell’onere della prova, dovendo dimostrare la consistenza del pregiudizio di cui chiede il ristoro. Seppure l’art. 2729 c.c. ammette solo presunzioni gravi, precise e concordanti, gli elementi assunti a fonte di prova della responsabilità non debbono essere necessariamente più di uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento, purché grave e preciso, dovendo il requisito della « concordanza » ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi. La rigida applicazione del criterio del 10% del valore dell’appalto conduce, almeno di regola, all’abnorme risultato per cui il risarcimento finisce per essere, per l’operatore economico danneggiato, più conveniente dell’impiego del capitale, perché gli consente di raggiungere un predeterminato risultato economico senza sopportare in concreto il rischio di impresa. Inoltre, sul piano probatorio la rigida applicazione del criterio del 10% condurrebbe ad una distorsione del sistema, tale per cui il ricorrente non avrebbe più interesse a provare in modo puntuale il danno subito, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto potrebbe FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 13 conseguire mediante la liquidazione forfettaria fondata sul parametro del 10%. Ne discende che il richiamato criterio del 10% non si presta ad una applicazione automatica, ma integra solo un parametro di riferimento, che può essere utilizzato come punto di partenza per l’individuazione, nel quadro della liquidazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., della percentuale di utile che l’operatore economico danneggiato avrebbe verosimilmente conseguito se fosse risultato aggiudicatario e se avesse concretamente eseguito il contratto. Nel giudizio risarcitorio, che ha ad oggetto, pur se proposto davanti al giudice amministrativo, l’accertamento della pretesa al risarcimento in conseguenza di un illecito extracontrattuale e la conseguente condanna del danneggiante, trova applicazione il principio di acquisizione dei mezzi di prova, formulato in relazione alle azioni esperibili nel processo civile. È pacifico che il principio relativo alla distribuzione dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti nel processo, poiché nell’ordinamento processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro. In un appalto, l’offerta, una volta presentata, non è suscettibile di modificazione — pena la violazione della par condicio tra i concorrenti — ma ciò non toglie che, siccome l’obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, allora anche il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano a favore, sia di quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme. Di conseguenza, si ritiene possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci sono state inizialmente sopravvalutate e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci. Sono coerenti con lo scopo del giudizio di anomalia e con il rispetto dei principi di parità di trattamento e di divieto di discriminazione la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni eventualmente fornite), lasciando però le voci di costo invariate; un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento in sopravvenienze di fatto o normative, che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili. Il sub procedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta in itinere, ma mira a verificare la serietà di un’offerta consapevolmente già formulata ed immutabile. Quello che non si può consentire è che, in sede di giustificazioni, vengano apoditticamente rimodulate le voci di costo senza alcuna motivazione, con un’operazione di finanza creativa, priva di pezze d’appoggio, al solo scopo di far quadrare i conti, ossia di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo. Nel contesto della valutazione di anomalia o, comunque, della congruità dell’offerta, si ritiene seria l’offerta anche laddove l’utile d’impresa si riduca, purché non risulti del tutto azzerato, ciò perché non può essere fissata a priori, ai fini del giudizio di anomalia, una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi, invece, avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale nel suo insieme. Risulta, pertanto, in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, ove si tenga conto delle ricadute positive in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum conseguibili dall’operatore economico in forza dell’aggiudicazione e dell’esecuzione del contratto. Il danno consistente nella perdita dell’utile, non direttamente provato nel suo concreto ammontare dal danneggiato, ma ricostruito in via presuntiva, sulla base di criteri di verosimiglianza, deve essere quantificato dal giudice verificando se l’ipotesi formulata dal ricorrente sia coerente con il contenuto dell’offerta economica, la quale, in ragione del suo ammontare, assurge ad indizio dell’effettiva aderenza della perdita lamentata al valore dell’utile concretamente conseguibile. Si tratta di fare applicazione delle regole sottese all’ordinario meccani- smo induttivo che fonda le presunzioni rimesse all’apprezzamento del giudice, il quale deve vagliare le allegazioni formulate dalla parte, confrontarle con i relativi fatti rilevanti in concreto e, all’esito di tale operazione, portare a conclusione il ragionamento induttivo, individuando il ragionevole ammontare dell’utile effettivamente conseguibile, e quindi il danno correlato alla sua mancata percezione. Nell’ottica di determinazione presuntiva del danno da mancata percezione dell’utile, occorre porre l’attenzione sul fatto che l’attività dell’appaltatore è sottoposta al rischio di impresa ed è normale che l’imprenditore tenga conto di tale dato in sede di quantificazione dell’offerta economica. Nondimeno, quando l’esecuzione del contratto comporta lo svolgimento di attività particolarmente complesse, come nella fattispecie, è ragionevole ritenere che le previsioni in ordine al rischio di impresa non possano essere adeguatamente dettagliate, sicché tale rischio non può essere concretamente assorbito dal valore dell’offerta economica. Tale circostanza si verifica nel caso di specie, che è connotato dall’esecuzione di opere e di servizi di progettazione, entrambi di spiccata complessità, in ragione della natura, delle dimensioni e delle difficoltà tecniche dei lavori da eseguire, nonché della loro incidenza su aree fortemente antropizzate. Il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest’ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa ragionevolmente aver riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori e servizi. Pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l’aiunde perceptum vel percipiendum. Si tratta in particolare di fare applicazione del principio emergente dall’art. 1227 c.c., in forza del quale il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, principio ripreso ed ampliato nella sua concreta portata applicativa dall’art. 30 c.p.a., ove si stabilisce che il giudice nella determinazione del risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. L’imprenditore che partecipa ad una gara d’appalto e che ne contesta l’esito in sede giurisdizionale, pretendendo di ottenere l’aggiudicazione ed avanzando anche una domanda risarcitoria, è tenuto a rispettare il canone della diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176 c.c., canone la cui osservanza si può da lui pretendere, in quanto esercente professionalmente un’attività economica. Tale diligenza professionale si traduce nel dovere di attivarsi, in attesa dell’esito del giudizio, per svolgere altre attività, utilizzando le maestranze e i mezzi predisposti per l’appalto sub iudice e, quindi, procurandosi prestazioni contrattuali ulteriori dalle quali trarre utili, così da limitare le conseguenze dannose correlate alla mancata aggiudicazione della gara contestata. Si tratta di una presunzione di comportamento diligente che può essere superata solo dall’operatore interessato, il quale è tenuto a dimostrare di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, ossia la propria struttura aziendale. Siccome il prezzo a base d’asta è oggetto di ribasso, manca qualunque correlazione tra il suo ammontare e l’utile previsto, correlazione esistente, invece, tra il valore dell’offerta economica complessivamente presentata dal danneggiato e l’utile che avrebbe verosimilmente conseguito in caso di aggiudicazione del contratto in suo favore e successiva esecuzione dell’appalto. Ne deriva che il quantum cui riferire il valore percentuale ai fini del risarcimento del danno non è il prezzo posto a base d’asta, ma l’importo concretamente offerto dal ricorrente. Il danno curriculare si concretizza nella perdita di qualificazione risarcibile e per la sua esatta delimitazione occorre muovere dalla seguente considerazione: l’interesse all’aggiudicazione di un appalto pubblico, nella vita di un operatore economico, va oltre l’esecuzione dell’opera in sé e i relativi ricavi diretti, dato che alla mancata esecuzione di un’opera pubblica, illegittimamente negata dall’Amministrazione, si ricollegano indiretti nocumenti all’immagine dell’operatore economico, al suo radicamento sul mercato, all’ampliamento della qualità industriale o commerciale dell’azienda, al suo avviamento, cui si può aggiungere la lesione al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell’indebito potenziamento dell’impresa concorrente, che opera sul medesimo ambito di mercato e che è stata dichiarata aggiudicataria della FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 15 gara. Ne consegue che l’impresa ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto può rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi come afferente anche alla qualificazione professionale, al di là dell’incremento degli eventuali specifici requisiti di qualificazione SOA e di partecipazione alle singole gare. Tale voce di danno discende dall’impossibilità di utilizzare le referenze, derivanti dall’esecuzione dell’appalto sub iudice, nell’ambito di future gare cui il danneggiato potrebbe partecipare, tanto che la giurisprudenza ha pure evidenziato che il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio. Il danno curriculare è il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale, per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto. Allora è ragionevole ritenere che tale danno si riduca al crescere del livello di qualificazione già posseduto dall’impresa, perché quanto più essa è qualificata, tanto meno la singola gara potrà accrescere la fama, il prestigio e la qualificazione di cui essa gode (situazione questa che si verifica nel caso concreto, che si riferisce ad una gara per l’aggiudicazione di un appalto di notevole complessità, avente ad oggetto lavori e servizi di progettazione, per la realizzazione di opere che, per difficoltà tecniche, estensione e costi, sono di non comune realizzazione). Sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno per mancato conseguimento dell’utile derivante dall’esecuzione del contratto e di pregiudizio curriculare, determinata ai valori attuali e con riferimento al periodo decorrente dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione e sino al deposito della sentenza non spettano gli interessi compensativi, quale criterio equitativo di liquidazione del pregiudizio subito dal creditore per il ritardo nell’utilizzazione dell’equivalente monetario, atteso che diversamente si determinerebbe un ingiusto arricchimento, facendo conseguire al ricorrente più di quanto avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto, ciò in ragione delle voci di danno di cui è stato chiesto il ristoro. Viceversa, considerato che con la liquidazione giudiziale il debito di valore si trasforma in debito di valuta, sulla somma sopra individuata devono essere corrisposti gli interessi nella misura legale, con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza e fino all’effettiva soddisfazione del credito risarcitorio. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA I) sul ricorso numero di registro generale 2775 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da Consorzio Pedelombarda 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Pier Giuseppe Torrani e Marco Annoni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano Corso Magenta n. 63; contro Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Gaetano Scoca e Fabio Giuseppe Angelini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, via del Lauro n. 7; nei confronti di Strabag AG sede secondaria italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del R.T.I. con Grandi Lavori Fincosit s.p.a., Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro s.p.a., Adanti s.p.a., ciascuna in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, tutte rappresentate e difese dagli avv.ti Piero D’Amelio, Gianluigi Pellegrino e Guido Bardelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, via Visconti di Modrone n. 12; per l’annullamento previa sospensione 1) quanto al ricorso principale depositato in data 13 ottobre 2011: - del provvedimento di aggiudicazione provvisoria adottato dalla Commissione di gara nella seduta del 28.07.2011; - del verbale della seconda seduta della Commissione di gara del 03.08.2010 nella parte in cui ha ammesso alla gara il costituendo RTI Strabag; - della nota della stazione appaltante datata 06.09.2011; - del bando di gara e del disciplinare di gara in parte qua; - di ogni atto connesso; nonché per la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno. 2) quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 29 dicembre 2011: - del provvedimento con il quale la stazione appaltante ha disposto l’aggiudicazione definitiva; - dei verbali della Commissione giudicatrice relativi alle sedute pubbliche del 1° febbraio 2011, del 2 febbraio 2011, dell’8 aprile 2011, del 28 luglio 2011; - in parte qua dei verbali relativi a tutte le sedute riservate della commissione giudicatrice; - di ogni atto connesso; nonché per la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno. 3) quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 08 febbraio 2012: - del silenzio a valere come diniego di autotutela opposto dalla stazione appaltante all’informativa ex art. 243 bis del d.l.vo 2006 n. 163; - di ogni atto connesso; nonché per la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno. II) nonché sui ricorsi incidentali presentati da Strabag AG sede secondaria italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del R.T.I. con Grandi Lavori Fincosit s.p.a., Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro s.p.a., Adanti s.p.a., ciascuna in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, tutte rappresentate e difese dagli avv.ti Piero D’Amelio, Gianluigi Pellegrino e Guido Bardelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, via Visconti di Modrone n. 12, ed in particolare: 1) ricorso incidentale depositato in data 18 novembre 2011; 2) secondo ricorso incidentale depositato in data 26 gennaio 2012; 3) ricorso per motivi aggiunti rispetto ai ricorsi incidentali depositato in data 6 febbraio 2012; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autostrada Pedemontana Lombarda S.p.A. e di Strabag Ag; Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale Strabag Ag Sede Secondaria Italiana, rappresentato e difeso dagli avv. Piero D’Amelio, Gianluigi Pellegrino, Guido Bardelli, con domicilio eletto presso Guido Bardelli in Milano, via Visconti di Modrone N. 12; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Designato relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — La ricorrente impugna, con il ricorso principale e i successivi motivi aggiunti, i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendone l’annullamento ed avanzando, altresì, domanda di condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno. Si sono costituite in giudizio la parte resistente, che ha proposto due ricorsi incidentali e successivi motivi aggiunti, nonché le parti controinteressate, che hanno eccepito l’infondatezza del ricorso avversario, chiedendone il rigetto. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 17 Con ordinanza depositata in data 17 febbraio 2012, il Tribunale ha respinto la domanda cautelare contenuta nel ricorso rilevando: a) che la maggior parte delle doglianze dedotte da parte resistente e dal controinteressato attengono a profili afferenti ad aspetti tecnici delle offerte presentate dai concorrenti che non possono essere apprezzati nella fase cautelare, in quanto richiedono adeguati approfondimenti da svolgere con l’ausilio del consulente tecnico o del verificatore; b) che l’opera di cui è causa è infrastruttura strategica di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, con conseguente prevalenza dell’interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera, ex art. 125, comma secondo, c.p.a.; c) che non sussistono sufficienti profili di fumus in relazione ai vizi di ordine formale sollevati dalle parti. Con ordinanza n. 1775/2012, depositata in data 25 giugno 2012, il Tribunale ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio, dandone incarico, con successiva ordinanza n. 2358 del 19 settembre 2012, al prof. Carmelo Majorana dell’Università degli Studi di Padova, che ha prodotto la relazione prevista, redatta all’esito di un ampio contraddittorio tra le parti. Le parti hanno depositato memorie e documenti. All’udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO — 1) Con bando di gara pubblicato sulla G.U.R.I. n. 73, del 28 giugno 2010, Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a., in quanto titolare della relativa concessione autostradale, ha indetto una gara avente ad oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori relativi alle tratte B1, B2, C e D ed opere di compensazione del collegamento autostradale Dalmine – Como – Varese – Valico del Gaggiolo ed opere ad esso connesse. Il bando di gara ha stabilito che l’aggiudicazione abbia luogo secondo il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con previsione di proposte migliorative al progetto definitivo approvato con delibera del C.I.P.E. n. 97, del 6 novembre 2009, pubblicata sulla G.U. n. 40, del 18 febbraio 2010, trattandosi di lavori integranti un’infrastruttura strategica ai sensi degli artt. 161 e seg. ti del d.l.vo 2006, n. 163. Vale sin d’ora precisare che la lettera di invito ha contemplato, con riferimento ai contenuti dell’offerta tecnica, la possibilità di presentare proposte migliorative, individuate in una tabella compresa nel capo 3, punto 3.1, della lettera di invito, prevedendo che tali proposte possano riguardare solo determinati elementi e sub elementi, tra i quali sono stati indicati alla voce 2 la “Cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati”, con articolazione in “2.1 realizzazione delle opere in sotterraneo - 2.2 esecuzione di opere in trincea - 2.3 esecuzione del ponte sul fiume Adda”. La lettera di invito ha precisato, da un lato, che le proposte migliorative devono essere avanzate “con esclusione di qualsiasi variante plano-altimetrica dei tracciati”, dall’altro, che “le proposte migliorative non possono interessare aree non comprese nel piano particellare di esproprio, né contrastare con gli strumenti di pianificazione urbanistica, territoriale e paesistica e con qualsiasi altro strumento di programmazione e pianificazione territoriale di tipo prescrittivo, né apportare modifiche a quanto disposto nella procedura di VIA o nelle prescrizioni dettate dal CIPE ...”. Inoltre, con riferimento alle modalità di illustrazione delle proposte migliorative, la lettera di invito ha richiesto - punto 3.2 lett. b) - per la parte relativa alla cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati, la presentazione di “una relazione nella quale l’offerente dovrà fornire una descrizione dettagliata – nel rispetto dei vincoli territoriali e ambientali esistenti – dei criteri e delle modalità di organizzazione e gestione dei cantieri che intende adottare, con particolare riferimento alla realizzazione delle opere in sotterraneo, all’esecuzione delle opere in trincea e all’esecuzione del ponte sul fiume Adda. Deve inoltre illustrare le misure che si intendono adottare per la mitigazione degli impatti correlati. L’Offerente deve formulare proposte migliorative che tengano conto di misure, modalità organizzative e apprestamenti di cantiere che meglio consentano la riduzione del disturbo e del disagio che può determinarsi sulle aree urbanizzate, fatta salva, in ogni caso, ogni misura prevista nel progetto definitivo approvato...”. All’esito delle operazioni di gara, l’appalto è stato aggiudicato, prima in via provvisoria, poi in via definitiva, al costituendo R.T.I. Strabag AG, collocatosi al primo posto della graduatoria, mentre il ricorrente Consorzio Pedelombarda 2 si è collocato al secondo posto. Vale precisare, in relazione ai punteggi conseguiti, che il R.T.I. Strabag ha ottenuto punti 41,040 per l’offerta tecnica e punti 38,864 per l’offerta economica, avendo indicato un ribasso percentuale del 27%, con conseguente punteggio finale di 79,904 punti, mentre il Consorzio Pedelombarda 2 ha realizzato punti 28,816 per l’offerta tecnica e punti 50 per l’offerta economica, avendo indicato un ribasso percentuale del 32%, con conseguente punteggio finale di 78,816 punti. Avverso gli atti della procedura di gara ora richiamata sono stati proposti i ricorsi, principale e incidentali, nonché i motivi aggiunti indicati in epigrafe. 2) Devono essere esaminati con precedenza i ricorsi incidentali e i motivi aggiunti sui ricorsi incidentali, presentati dalla parte controinteressata, in quanto connotati da priorità logica. 2.1) Con il primo motivo del ricorso incidentale, depositato in data 18.11.2011, il R.T.I. Strabag AG (d’ora in poi anche Strabag) lamenta la violazione della lex specialis di gara e dell’art. 38 del codice degli appalti, in quanto la Cooperativa Muratori e Cementisti (CMC) – compresa nel consorzio ricorrente ha dichiarato, a mezzo del suo legale rappresentante, che nei confronti del direttore tecnico, Francesco Giuffrida, cessato dalla carica il 04.01.2008, non sussistono decisioni penali ostative ex art. 38 cod. appalti “sino alla data di cessazione della carica”, mentre la corretta applicazione della norma e della lex specialis richiede che la dichiarazione sia resa “sino ad oggi”, ossia sino al momento di presentazione della dichiarazione medesima. In identica violazione sarebbe incorsa Coopsette – consorziata del ricorrente – con riferimento ai procuratori speciali Caggiati Dino e Bolondi Paolo. Inoltre, per la mandante Pizzarotti – sempre compresa nel consorzio ricorrente – la dichiarazione di cui si tratta sarebbe stata resa, rispetto alla posizione dell’ing. Pellinghelli – cessato dalla carica – non dal legale rappresentante, ma dal procuratore speciale ing. Carlo Salomoni. La censura è infondata. L’art. 38 del d.l.vo 2006 n. 163 dispone, per la parte che interessa, l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi, dei soggetti nei cui confronti è stata pronunciata “sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; l’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio”. La norma precisa che “in ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l’esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”. Il comma 2 dell’art. 38 aggiunge che “il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 19 dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione...” Vale precisare che tanto il bando di gara, sez. III punto 2.1, quanto il disciplinare di gara, capo 2.1 e la lettera di invito, capo 2.2, richiamano la dichiarazione prevista dall’art. 38, senza introdurre criteri più rigorosi in ordine al tempo fino al quale essa deve essere resa, salvo il riferimento, per i cessati dalla carica, al triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara. Quanto alla posizione dei soggetti cessati dalla carica, menzionati nell’art. 38, la giurisprudenza, cui aderisce il Tribunale, ha precisato che la dichiarazione è validamente resa anche se rilasciata dal rappresentante “per quanto di propria conoscenza”. In particolare, l’art. 38 richiama espressamente l’art. 47, comma 2 del d.p.r. 2000 n. 445, sicché la dichiarazione richiesta dall’art. 38, relativamente ai soggetti cessati dalle cariche sociali, concernendo stati, fatti e qualità riguardanti terzi e non il dichiarante, non può che essere resa - ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445 – “per quanto a conoscenza” del dichiarante medesimo, “il quale non è neppure tenuto a indicare le ragioni per le quali non ha potuto produrre le dichiarazioni dei diretti interessati” (Consiglio di Stato, sez. V, 20 giugno 2011, n. 3686; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646; Consiglio di Stato, sez. IV, 27 giugno 2011, n. 3862; T.A.R. Genova Liguria, sez. II, 21 febbraio 2013, n. 351), fermo restando che rientra tra i poteri della stazione appaltante la possibilità di procedere, a fronte di una compiuta identificazione dei soggetti interessati, ad ulteriori verifiche nei loro confronti. Ne consegue che è del tutto ragionevole ritenere che, nei confronti dei soggetti cessati dalla carica, la dichiarazione possa validamente essere resa con riferimento al tempo di cessazione dalla carica, in quanto, in mancanza di una diversa previsione della lex specialis, tale espressa delimitazione esprime solo il riferimento al tempo sino al quale il dichiarante assume di avere conoscenza delle eventuali condanne pronunciate a carico di coloro che ricoprivano cariche sociali. In via di ulteriore precisazione va, comunque, osservato che la ricorrente ha prodotto i certificati generali del casellario giudiziale, relativi ai soggetti cui si riferiscono le dichiarazioni contestate e da tali certificati non emerge l’esistenza di alcuna condanna a loro carico sino a data successiva al tempo di presentazione della domanda. Ne deriva che, nel caso di specie, le dichiarazioni previste dall’art. 38 del d.l.vo 2006 n. 163 – rilasciate con riferimento sia alla posizione del direttore tecnico della Cooperativa Muratori e Cementisti, Francesco Giuffrida, sia alla posizione dei procuratori speciali Caggiati Dino e Bolondi Paolo di Coopsette - sono state validamente rese, contrariamente a quanto sostenuto dalla controinteressata. Né merita condivisione la censura articolata con riferimento alla posizione della mandante Pizzarotti, compresa nel consorzio ricorrente. In tal caso, si lamenta che, rispetto alla posizione dell’ing. Pellinghelli - cessato dalla carica - la dichiarazione ex art. 38 è stata resa non dal legale rappresentante, ma dal procuratore speciale, ing. Carlo Salomoni. Nondimeno, come condivisibilmente eccepito dalla ricorrente e dalla stazione appaltante, il disciplinare di gara prevedeva, al capo I, la possibilità che le dichiarazioni previste dalla lex specialis fossero rilasciate, oltre che dal legale rappresentante, anche da “altro soggetto dotato del potere di impegnare contrattualmente il candidato stesso”. Nel caso di specie, la procura speciale rilasciata all’ing. Carlo Salomoni prevede espressamente l’attribuzione del potere di effettuare tutto quanto necessario per la presentazione e sottoscrizione della domanda di partecipazione e richiesta di invito rispetto alla gara di cui si tratta, sicché proprio l’ampiezza dei poteri conferiti impone di comprendere in essi il rilascio delle dichiarazioni rilevanti ai sensi dell’art. 38 del d.l.vo 2006, n. 163. Va, pertanto, ribadita l’infondatezza delle censure in esame 2.2) Con il secondo motivo del ricorso incidentale, depositato in data 18.11.2011, la controinteressata lamenta la violazione del disciplinare di gara nella parte in cui prevede che anche i consorzi – come il ricorrente – devono indicare le parti di lavoro da affidare a ciascun operatore economico consorziato, sancendo l’esclusione in caso di mancata dichiarazione in tal senso. In particolare, tale lacuna emergerebbe rispetto alle opere facoltativamente subappaltabili. Si evidenzia che gli operatori appartenenti al consorzio ricorrente hanno assunto l’impegno ad eseguire direttamente i lavori solo nella categorie OG3, OG1, OG4, OG6, OG11 e OS21, mentre per tre categorie, quali OS11, OS13 e OS18, hanno assunto l’obbligo di subappaltarli per l’intero importo; viceversa, rispetto ai lavori delle categorie OS01, OS10, OS12, OS24 e OS34 le imprese consorziate, da un lato, non hanno assunto l’obbligo di eseguirli direttamente, neppure in parte, dall’altro, hanno manifestato l’intenzione di subappaltarli “sino al 100%”. Quest’ultima indicazione non sarebbe sufficiente, perché non consentirebbe di determinare in modo puntuale la percentuale di lavori concretamente subappaltata o eseguita direttamente. La doglianza è infondata. Il disciplinare di gara – capo 2.3 lett. b – prevede, con riferimento ai consorzi ordinari, che ogni operatore deve essere in possesso del requisito di qualificazione in proporzione alla quota di partecipazione, costituita dalla parte di lavori, ovvero dalle categorie di lavori per le quali si qualifica e che intende assumere nell’ambito del raggruppamento. Con riferimento al possesso dell’attestazione SOA, il disciplinare di gara prevede che essa deve essere posseduta nella categoria prevalente OG3, in classifica VIII, con obbligo di dichiarare il subappalto delle categorie scorporabili OG1, OG4, OG6, OG11, OS11, OS13, OS18, OS21, qualora per tali categorie non sia posseduta la relativa qualificazione. Proprio con riferimento al subappalto, il capo 2 lett. e) del disciplinare precisa che, al di là delle categorie di lavori suindicate, per i quali il concorrente privo della relativa qualificazione deve obbligatoriamente ricorrere al subappalto, ciascun operatore economico che intende utilizzare il subappalto deve rendere una dichiarazione con la quale indicare “quali ulteriori lavori intende subappaltare e, se del caso, in quale quota”. Ecco, allora, che per le categorie di lavori scorporabili OS01, OS10, OS12, OS24 e OS34, non comprese tra quelle a subappalto obbligatorio, il disciplinare ha imposto solo di dichiarare al momento di presentazione dell’offerta l’intenzione di ricorrere al subappalto, al fine di conservare la possibilità di farne concreto utilizzo in sede esecutiva, mentre non vi è alcun obbligo di puntuale indicazione della quota di tali lavori da subappaltare. In tal senso depone la formula utilizzata, “se del caso”, la quale non comporta la precisa indicazione del quantum di opere da subappaltare, ma rimette a ciascun concorrente la scelta tra l’indicazione immediata e l’indicazione successiva della percentuale di opere da subappaltare. La tesi di Strabag AG non è condivisibile neppure nella parte in cui richiama l’art. b5 del Capo V del disciplinare di gara, ove si prevede l’esclusione dei candidati che, costituiti o da costituirsi in forma di r.t.i. o di consorzio ordinario, “non hanno dichiarato i lavori o le parti di lavoro da eseguirsi da parte di ciascun operatore economico raggruppato o consorziato”. Invero, la disposizione ora citata deve essere letta in modo coordinato con le già richiamate norme del disciplinare relative al subappalto, sicché, con riferimento alle categorie di opere a subappalto non obbligatorio, il dovere di dichiarazione è soddisfatto anche attraverso la mera indicazione di volere ricorrere al subappalto, senza indicare in modo puntuale la relativa percentuale. In definitiva, la dichiarazione di utilizzare il subappalto “sino al 100%”, per le categorie di lavori diverse da quelle a subappalto obbligatorio, dichiarazione resa dagli operatori componenti il consorzio ricorrente, è coerente con il disciplinare di gara, con conseguente infondatezza della censura in esame. 2.3) Il terzo motivo di ricorso incidentale è diretto a contestare l’inammissibilità dell’offerta presentata da Consorzio Pedelombarda 2, in quanto recante un termine di esecuzione dei lavori che non rispetta i tempi non comprimibili di risoluzione delle interferenze. In particolare, Strabag AG sostiene che ciascun operatore avrebbe dovuto formulare l’offerta in ordine ai tempi di esecuzione dei lavori rispettando quelli stabiliti dal cronoprogramma approvato dal C.I.P.E. per la risoluzione delle interferenze. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 21 La censura non merita condivisione. Il punto VI. 3) lett. B) n. 7 del bando di gara prevede espressamente l’attribuzione fino a 10 punti per l’offerta relativa al “tempo di esecuzione dei lavori rispetto a quello posto a base di gara”, precisando, alla successiva lettera t), che il termine complessivo di durata dell’appalto, indicato in 2180 giorni dal punto II.3) del bando, è da intendersi comprensivo di: 1) sviluppo progettazione esecutiva: 180 giorni; 2) assistenza tecnica in sede di verifica progetto esecutivo da parte della Stazione appaltante: 30 giorni; 3) assistenza tecnica in sede di approvazione del progetto esecutivo da parte del Concedente: 30 giorni; 4) esecuzione dei lavori: 1140 giorni (oggetto di ribasso); 5) collaudo e pre-esercizio dell’infrastruttura e degli impianti: 80 giorni; 6) monitoraggio post operam: 720 giorni. In relazione all’esistenza di un termine minimo di esecuzione dei lavori non suscettibile di ribasso, la stazione appaltante, in coerenza con la lex specialis appena richiamata, ha precisato (cfr. doc. 60 di parte ricorrente) che “il progetto definitivo posto a base di gara non prevede un termine minimo per l’esecuzione dei lavori rispetto al termine massimo di 1140 giorni”. Le norme appena richiamate rendono evidente che, in base al bando di gara, solo il termine di esecuzione dei lavori era oggetto di offerta al ribasso e per tale offerta non era previsto alcun limite minimo da rispettare; in particolare, non costituiva un limite al ribasso il rispetto del termine per la risoluzione delle interferenze, trattandosi di un’attività distinta da quella cui si riferisce il termine di esecuzione dei lavori. Ne consegue che è destituita di fondamento la tesi secondo la quale l’offerta al ribasso sul termine di esecuzione dei lavori doveva, comunque, rispettare i termini previsti per la risoluzione delle interferenze, da intendere come limiti temporali minimi intangibili, perché si tratta di termini diversi, riguardanti differenti attività, da tenere distinte in sede di offerta sul tempo di esecuzione dei lavori. Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame. 3) Con il secondo ricorso incidentale, depositato in data 26 gennaio 2012, integrato da successivi motivi aggiunti, Strabag AG, da un lato, ha esteso all’aggiudicazione definitiva i tre motivi di impugnazione sviluppati con il primo ricorso incidentale, dall’altro, ha articolato altri cinque nuovi motivi di gravame e, infine, ha proposto motivi aggiunti sempre in relazione all’aggiudicazione definitiva. Con riferimento ai primi tre motivi del secondo ricorso incidentale è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte al punto 2 della motivazione, ribadendo l’infondatezza di tali censure. Quanto, invece, ai cinque nuovi motivi prospettati con il secondo ricorso incidentale e ai successivi motivi aggiunti merita condivisione l’eccezione di inammissibilità sollevata da Consorzio Pedelombarda 2 (cfr. in particolare memoria depositata in data 13.02.2012). Il problema deve essere affrontato tenendo presenti tre profili: in primo luogo, le censure sviluppate con i cinque nuovi motivi articolati con il secondo ricorso incidentale e con i successivi motivi aggiunti sono dirette a contestare l’ammissione alla gara del Consorzio Pedelombarda 2; inoltre, il ricorso principale, cui ha fatto seguito la proposizione del primo ricorso incidentale, ha ad oggetto l’aggiudicazione provvisoria e non l’aggiudicazione definitiva. Infine, solo a seguito del ricorso per motivi aggiunti presentato da Consorzio Pedelombarda 2 per contestare l’aggiudicazione definitiva, Strabag AG ha proposto un nuovo ricorso incidentale – poi integrato da motivi aggiunti - parimenti diretto contro l’aggiudicazione definitiva, contestando, come già evidenziato, l’ammissione alla gara del ricorrente principale. Tanto premesso, va osservato che la tesi dominante a livello giurisprudenziale, cui aderisce il Tribunale, considera che l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non sia risultata vincitrice, lesione, che si verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva, sicché l’impresa non aggiudicataria ha non l’onere, ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria. Nondimeno, sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, grava l’onere di impugnare, in un secondo momento, anche l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del primo ricorso: l’aggiudicazione definitiva, infatti, non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento, che, anche qualora recepisca integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale (in termini si veda, tra i molti precedenti, Consiglio di Stato, sez. V, 23 novembre 2010, n. 8153; Consiglio di Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539). Va, inoltre, osservato che se la parte sceglie di contestare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria, allora è comunque tenuta a rispettare il termine perentorio di impugnazione, pertanto ha l’onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della proposizione del ricorso diretto contro l’aggiudicazione stessa, tutti i motivi di doglianza. Insomma, in occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte ricorrente non può dedurre contro gli atti di indizione o di espletamento della gara ulteriori motivi, che avrebbe potuto proporre in precedenza, essendo suo onere, una volta che abbia operato la scelta di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, dedurre subito tutti i vizi, di cui sia già a conoscenza, che a suo avviso inficiano il procedimento di gara. Il perimetro delle censure indirizzabili contro l’aggiudicazione definitiva - quando, si ribadisce, sia stata già impugnata quella provvisoria - si riduce, pertanto, agli eventuali vizi propri di tale ultimo atto o, al più, ai vizi di nuovi atti del procedimento, sopravvenuti all’aggiudicazione provvisoria. In occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte che abbia già proposto ricorso contro quella provvisoria potrà inoltre dedurre anche motivi relativi agli atti già avversati, ma alla sola condizione che siffatti ulteriori motivi trovino giustificazione e fondamento in circostanze non precedentemente conosciute ( C.G.A.R.S., 28 luglio 2011, n. 519 ). L’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria delimita non solo le censure deducibili in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, ma, con riferimento alla posizione del controinteressato, anche il tempo di proposizione del ricorso incidentale, nel senso che è inammissibile il ricorso incidentale proposto avverso l’aggiudicazione definitiva per dedurre censure già proponibili, sempre in via incidentale, avverso l’aggiudicazione provvisoria. E’ noto che il ricorso incidentale escludente - come nel caso di specie - è lo strumento processuale attraverso il quale il controinteressato tende a paralizzare l’azione principale, impugnando lo stesso provvedimento avverso il quale tale azione è diretta, ovvero un altro atto non oggetto di censure, ma connesso al primo, facendo valere vizi diversi da quelli dedotti dal ricorrente, che, ove considerati fondati, condurrebbero all’annullamento dell’atto in favore del ricorrente incidentale ed alla sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente principale in ordine alla originaria impugnazione, da cui quest’ultimo non trarrebbe alcuna utilità proprio per effetto dell’accoglimento dell’impugnazione incidentale. Nondimeno, una volta che il ricorrente principale abbia, come nel caso di specie, scelto di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, così precludendosi la formulazione, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, di ulteriori censure avverso gli atti inseritisi nel contesto procedimentale che ha portato all’aggiudicazione provvisoria gravata, risulta delimitato anche il campo ed il tempo delle eccezioni e delle contro domande, volte a paralizzare l’iniziativa avversaria e proponibili dal controinteressato, atteso che l’interesse alla loro proposizione sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, come è proprio del ricorso incidentale ex art. 42 c.p.a.. Insomma, l’impugnazione principale, da un lato, esaurisce il novero delle questioni di legittimità proponibili avverso l’atto impugnato e la relativa sequenza procedimentale, dall’altro, onera l’avversario a far valere, nel términe di decadenza previsto dall’ordinamento, l’interesse all’impugnativa incidentale, che non poteva sorgere anteriormente alla proposizione del ricorso principale e che ricomprende l’intero arco delle eccezioni e domande in grado di paralizzare l’iniziativa avversaria, ormai cristallizzata nel suo petitum. Ciò deriva, oltre che dalla correlazione tra l’attualità dell’interesse all’impugnazione incidentale e la proposizione dell’impugnazione principale, anche dal principio dell’effettività della tutela e del rispetto del canone della ragionevole durata del giudizio, nonché dai FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 23 principi di correttezza e buona fede oggettiva, la cui rilevanza in ambito processuale è da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza. “Nella misura in cui, dunque, il titolo di legittimazione all’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria deriva al ricorrente principale dalla sua ammissione alla gara sfociata in quell’aggiudicazione, l’interesse del controinteressato a reagire con ricorso incidentale a detta impugnazione per negare la sussistenza di quel titolo nasce, per effetto della scelta difensiva operata dal ricorrente principale di impugnare appunto l’aggiudicazione provvisoria, con la notifica del ricorso principale, che vale a fissare ineluttabilmente il momento delle scelte, utili alla tutela della sua situazione giuridica, anche per il controinteressato. Ne deriva che quello stesso interesse del controinteressato medesimo non potrà, al momento della successiva proposizione da parte del ricorrente principale dei motivi aggiunti diretti contro l’aggiudicazione definitiva, che intendersi limitato al “campo” di difesa (e di reazione) alle nuove censure in quella sede proposte per lamentare i vizi propri degli atti della serie procedimentale successiva alla aggiudicazione provvisoria. Si chiarisce in questo modo, insomma, che il ricorso incidentale assume un contenuto complesso sì, ma innestato nella matrice comune della “difesa attiva” ( Consiglio di Stato, A.P., 7 aprile 2011, n. 4 ) e siffatta “difesa attiva” non può non risentire, pena l’abuso dello strumento processuale a scapito delle controparti, delle preclusioni, che gravano sul ricorrente principale una volta che si sia avvalso della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria. Preclusioni, queste, che, in perfetta adesione al principio della parità delle parti nel processo, si riflettono sul novero ( e sui tempi di proposizione ) delle ragioni deducibili col ricorso incidentale, l’interesse alla cui proposizione sorge allora indefettibilmente in dipendenza della notificazione del ricorso principale ( che vale a cristallizzare il thema decidendum con riguardo non solo agli atti con lo stesso aggrediti ma anche agli atti successivi della procedura, nei confronti dei quali potranno essere dedotti soltanto vizi propri) e non può certo ritenersi posposto ad un momento successivo (quello dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva), sì che la “nuova domanda concernente i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara” ( art. 120, comma 7, c.p.a. ) non potrà essere “bloccata” da eccezioni e deduzioni, che avrebbero dovuto proporsi tempestivamente nei confronti del ricorso principale (anche a tutela dell’interesse pubblico alla certezza dell’azione amministrativa autoritativa, cui è connaturata la previsione di termini di decadenza per l’azione in giudizio e per ogni utile “reazione” ad essa), avendo in fin dei conti le due domande oggetti diversi” (cfr. così espressamente Consiglio di Stato, sez. III, 7 maggio 2012, n. 2613). L’applicazione di tali principi al caso di specie evidenzia l’inammissibilità del secondo ricorso incidentale e dei successivi motivi aggiunti, nella parte in cui non si limitano a riproporre le censure già introdotte con il primo ricorso incidentale, ma introducono, avverso l’aggiudicazione definitiva, delle doglianze tese a contestare l’inammissibilità dell’offerta del Consorzio Pedelombarda 2. L’interesse a sollevare tali contestazioni, mediante ricorso incidentale, si è cristallizzato in capo a Strabag AG con l’impugnazione in via principale dell’aggiudicazione provvisoria, che, siccome asseritamente fondata su un’illegittima ammissione alla gara della ricorrente principale, ha assunto immediata attitudine lesiva per la parte controinteressata. In definitiva, le censure di cui si tratta sono inammissibili, perché avendo portata escludente rispetto alla posizione del ricorrente principale, dovevano essere tempestivamente proposte avverso l’aggiudicazione provvisoria, mediante il primo ricorso incidentale. Va, pertanto, ribadita la parziale inammissibilità del secondo ricorso incidentale e dei successivi motivi aggiunti. 4) Con il ricorso principale, il Consorzio Pedelombarda 2 sviluppa tre motivi di impugnazione da esaminare separatamente. 4.1) Con il primo motivo si contesta il possesso della cifra d’affari richiesta dal disciplinare di gara da parte della società Grandi Lavori Fincosit s.p.a. (GLS), partecipante come mandante all’Ati Strabag. In particolare, secondo la ricorrente, siccome Grandi Lavori Fincosit partecipa al raggruppamento Strabag in misura pari al 26%, allora doveva possedere una cifra d’affari pari a 1.763.298.065,88 euro, che però non sarebbe stata raggiunta, perché la società avrebbe compreso in essa oltre 34 milioni di euro provenienti da “altri ricavi e proventi”, senza limitarsi a valorizzare “l’attività diretta e indiretta”. Ne deriverebbe la violazione del bando e del disciplinare di gara, che richiedono il possesso di “una cifra d’affari ottenuta per lavori svolti mediante attività diretta e indiretta”, senza consentire la valorizzazione degli importi provenienti da “altri ricavi e proventi”. La censura è inammissibile, perché non supportata da un concreto interesse, atteso che non tiene conto del reale ammontare della cifra d’affari che GLS doveva possedere in base alla lex specialis della gara. Il paragrafo III.2.3) del bando di gara richiede - alle lettere a bis) e b) – il possesso di una capacità tecnica espressa con la realizzazione di una cifra d’affari, “ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta”, nei cinque anni antecedenti la data di pubblicazione del bando di gara e in conformità al disciplinare di gara, non inferiore a 6.781.915.638,78 euro, precisando che per i consorzi ordinari e per i raggruppamenti temporanei restano fermi i limiti minimi di possesso del requisito pari, nei raggruppamenti orizzontali, al 40% per la mandataria e al 10% per ciascuna mandante. Sempre con riferimento al possesso dei requisiti di capacità tecnica, il Capo 2.2 del disciplinare di gara richiede l’avere realizzato una cifra d’affari ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara non inferiore a 6.781.915.638,78 euro. Anche la norma del disciplinare specifica che in caso di raggruppamento temporaneo di concorrenti di tipo orizzontale, come nel caso di specie, o di consorzio ordinario orizzontale tale requisito deve essere posseduto dalla mandataria o capogruppo nella misura minima del 40%, mentre la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dalle mandanti, ciascuna nella misura minima del 10%. Ecco, allora, che GLS – appartenente ad un raggruppamento di tipo orizzontale doveva possedere una cifra d’affari pari al solo 10% dell’importo complessivo pari a 6.781.915.638,78 euro e tale cifra, come già rilevato con l’ordinanza cautelare, risulta effettivamente posseduta dalla società appena indicata, anche se dalla cifra d’affari dichiarata si sottraggono gli importi contestati dal Consorzio ricorrente. Insomma, la coerente applicazione della disciplina di gara evidenzia che GLS possiede il requisito di capacità considerato, perché può esserle richiesto solo il possesso del 10% dell’importo complessivo pari a 6.781.915.638,78 euro e tale importo è raggiunto anche se non si considera la voce “altri ricavi e proventi”, sicché la questione posta dal ricorrente in ordine alla computabilità di tale voce è del tutto irrilevante ai fini della determinazione del possesso da parte di GLS del requisito di capacità contestato. Ne consegue che la censura in esame non è supportata da un concreto interesse e quindi risulta inammissibile, poiché la sua eventuale fondatezza non inciderebbe sulla posizione di GLS. 4.2) Con il secondo motivo del ricorso principale, si lamenta che GLS avrebbe violato la disciplina in materia di intestazioni fiduciarie, nonché l’art. 38 del codice degli appalti e il par. III.2.1 del bando, perché, pur avendo dichiarato di essere partecipata al 99% da Itaholding s.r.l., ha omesso di dichiarare sia che quest’ultima società è controllata da due società fiduciarie, sia l’identità dei fiducianti. La censura non merita condivisione. L’art. 38 lett. d) del codice degli appalti stabilisce che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto all’articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55; l’esclusione ha durata di un anno decorrente dall’accertamento definitivo della violazione e va comunque disposta se la violazione non è stata rimossa” Come è noto, l’art. 17, comma 3, della L. n. 55 del 1990, recante disposizioni in materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, ha vietato la partecipazione alle gare concernenti “opere pubbliche” in caso di intestazione fiduciaria. E’ palese la finalità della norma, che tende a prevenire l’accesso al remunerativo meccanismo di aggiudicazioni pubbliche da parte di soggetti FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 25 criminali, mascherati dietro un mandatario (sul punto Tribunale ordinario di Milano, sentenza 13 febbraio 2008). Sulla base dell’art. 17, comma 3, è stato poi emanato il d.p.c.m. 11 maggio 1997, n. 187, il cui art. 1, comma 1, ha posto un obbligo informativo a carico delle società aggiudicatarie di opere pubbliche, ivi comprese le concessionarie e le subappaltatrici, da assolvere prima della stipulazione del contratto, concernente le intestazioni fiduciarie, collegato all’onere stabilito dal successivo art. 4, comma 1, di far cessare entro 90 giorni l’intestazione fiduciaria, al fine di poter legalmente contrarre con la pubblica amministrazione. In seguito, l’art. 9, comma 63, della legge n. 415 del 1998 ha articolato diversamente il divieto originario, rendendo autonoma la posizione delle fiduciarie autorizzate ai sensi della legge n. 1966 del 1939, atteso che, in tale caso, permane il solo obbligo di comunicare l’identità del socio fiduciario entro 30 giorni dalla richiesta a tal fine formulata dall’amministrazione. In giurisprudenza si è perciò già rilevato che, allo stato, l’art. 17, comma 3, prevede due differenti situazioni: da un lato, un divieto assoluto di intestazione fiduciaria, che comporta l’immediata esclusione dalla gara, dall’altro, un mero obbligo comunicativo, susseguente all’aggiudicazione e da assolversi, pertanto, a seguito di essa e prima della stipula del contratto, pur nel rispetto del termine di legge (così già espressamente TAR Lombardia Milano, sez. I, 18 novembre 2011, n. 2797, che richiama Consiglio di Stato, sez. V, n. 4010 del 2002). In altre parole, il coordinamento tra l’art. 38, lett. d), del d.l.vo n. 163 del 2006 e il combinato disposto delle norme poste dall’art. 17, comma 3, della legge n. 55/90 e dall’art. 1, comma primo, del d.p.c.m. n. 187/91, conduce a ritenere che la dichiarazione riguardante la partecipazione azionaria da parte di società fiduciarie, autorizzate ai sensi della legge n. 1966/39, non deve essere effettuata dal concorrente in sede di presentazione dell’offerta, ma dal concorrente che abbia conseguito l’aggiudicazione e a seguito di richiesta della stazione appaltante in sede di controllo dei requisiti. Emerge così l’infondatezza della censura in esame, in quanto la circostanza che GLS in sede di presentazione dell’offerta abbia omesso la dichiarazione relativa all’intestazione fiduciaria è coerente con il quadro normativo di riferimento, poiché tale dichiarazione deve essere rilasciata, come già evidenziato, solo dopo l’aggiudicazione e a seguito di specifica richiesta della stazione appaltante. 4.3) Con il terzo motivo del ricorso principale, il Consorzio Pedelombarda 2 contesta il bando, il disciplinare di gara e la lettera di invito nella parte in cui prevedono l’attribuzione fino ad un massimo di 11 punti per il criterio relativo a “cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati”, compreso tra gli elementi da apprezzare per l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In particolare, si evidenzia che l’attribuzione fino a 11 punti per l’elemento indicato che in concreto è risultato decisivo per l’aggiudicazione in favore dell’Ati Strabag - contrasta con il canone di ragionevolezza e con i principi di economicità e di tempestività, in quanto il punteggio attribuito all’elemento qualitativo in esame è di per sé superiore al punteggio massimo attribuibile per la riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori. Inoltre, considerato che un solo punto percentuale di ribasso dell’offerta economica consente un risparmio di spesa di circa 23 milioni di euro, è irragionevole attribuire fino a 11 punti per tale elemento valutativo, in rapporto al punteggio massimo, pari a 40 punti, attribuibile per il prezzo offerto, perché ciò comporta una maggiore considerazione per i miglioramenti relativi alla cantierizzazione e alla mitigazione degli impatti correlati rispetto ad un risparmio di spesa di svariati milioni di euro. La censura è infondata. Non è contestato dalle parti che la stazione appaltante disponga di ampi poteri discrezionali nella scelta del criterio di aggiudicazione, compresa la possibilità di determinare, in caso di applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il peso da attribuire all’elemento prezzo e quello da assegnare al profilo tecnico qualitativo dell’offerta. Del resto, discende dall’art. 2 del codice degli appalti e dai presupposti precetti comunitari che la stazione appaltante, in sede di determinazione dei punteggi da attribuire all’elemento prezzo e agli elementi qualitativi, deve rispettare anche i principi di economicità, di efficacia, di tempestività e di correttezza, fermo restando, ai sensi del secondo comma dell’art. 2, che “il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”. In ogni caso, l’applicazione di siffatti principi deve essere rapportata all’oggetto dell’appalto ed, in particolare, alla complessità delle opere da eseguire e alla loro concreta incidenza, in termini qualitativi e quantitativi, sull’assetto territoriale, economico e sociale dell’area interessata dall’intervento. Inoltre, va precisato che il principio di economicità non si sostanzia nella mera massimizzazione del risparmio di spesa, ma esprime l’esigenza che la stazione appaltante definisca i criteri di aggiudicazione e il relativo peso in modo da garantire il raggiungimento delle finalità perseguite con il minore onere economico, sicché proprio in sede di applicazione di tale criterio occorre tenere conto della natura e della dimensione delle opere da realizzare e della loro incidenza sulla realtà sociale ed economica dell’area di intervento. Nel caso di specie, la circostanza che la stazione appaltante abbia attribuito un peso rilevante, anche in rapporto a quello assegnato all’offerta economica, alla voce relativa a cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati risulta coerente con il principio di economicità e di proporzionalità dell’azione amministrativa. Difatti, non è in contestazione il fatto che l’opera di cui si tratta sia caratterizzata da dimensioni non comuni, richiedendo anche escavazioni di notevoli dimensioni e presenti un impatto rilevante sul territorio, sulla popolazione e sulle attività produttive localizzate nell’area interessata dall’intervento, che, pacificamente, si connota per un’elevata antropizzazione. Nell’esecuzione di simili opere, il profilo relativo alla cantierizzazione assume così primaria importanza, perché proprio l’allestimento del cantiere e il suo funzionamento, con i connessi movimenti di materiali e di residui delle opere di scavo, incide in modo rilevante sul territorio e sulle attività umane che ivi si svolgono. Ecco, allora, che proprio in ragione della dimensione dell’opera e della sua notevole incidenza sull’area interessata e sulle attività umane in essa insediate, risulta del tutto ragionevole l’attribuzione di un punteggio rilevante per l’aspetto relativo alla mitigazione degli impatti della cantierizzazione. Né rileva, in senso contrario, il minor peso assegnato al fattore tempo, il quale, seppure importante nel quadro del principio di economicità, non può essere disgiunto dalla necessità di arrecare il minor pregiudizio possibile al territorio e alle attività umane, sicché è del tutto coerente che la stazione appaltante abbia valorizzato la mitigazione degli impatti in modo maggiore rispetto alla riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori. Allo stesso modo, la corretta ricostruzione del principio di economicità evidenzia la proporzionalità del punteggio massimo attribuibile all’elemento in esame, anche se rapportato al punteggio conseguibile per l’offerta economica, perché non si tratta di minimizzare i costi in valore assoluto, ma di far si che le risorse disponibili siano impiegate in modo efficiente, minimizzando le spese nel rispetto dell’obbiettivo da realizzare, che, nel caso di specie, non è solo la costruzione dell’opera, ma la sua esecuzione mediante il minor impatto possibile sulla popolazione, sul territorio e sulle attività produttive. Ne consegue che il punteggio astrattamente attribuibile per la voce di offerta in contestazione è del tutto ragionevole e coerente con i principi di economicità e di proporzionalità, sicché la censura in esame è destituita di ogni fondamento. 5) Con il quarto motivo di impugnazione, proposto mediante il primo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 29.12.2011, il Consorzio Pedelombarda 2 ha dedotto, anche in termini di violazione del bando e del disciplinare di gara, l’inammissibilità dell’offerta presentata dall’Ati Strabag, in quanto recante delle varianti sostanziali al progetto posto a base di gara. In particolare, si lamenta che, mentre la lettera di invito ammetteva solo proposte migliorative inerenti, tra l’altro, alla cantierizzazione e alla mitigazione degli impatti correlati, al contrario, il progetto presentato dall’Ati Strabag ha introdotto delle non consentite FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 27 varianti strutturali con riferimento alle opere previste dal progetto posto a base di gara, quali: le gallerie, i viadotti e i ponti. Più in dettaglio, il Consorzio ricorrente sostiene che Strabag abbia introdotto quattro varianti strutturali al progetto posto a base di gara, relativamente alla struttura delle gallerie, del ponte sul fiume Adda, nonché delle opere in trincea e consistenti in: a) sostituzione dei diaframmi laterali continui previsti dal progetto posto a base di gara con un sistema alternativo di contenimento laterale del terreno mediante pali ad elica; b) eliminazione nelle gallerie artificiali delle solette di fondo in cemento armato e conseguente modificazione radicale della statica dei manufatti con la previsione di fondazioni soggette a cedimenti differenziali in quanto impostate su appoggi isolati ed indipendenti anziché continui; c) realizzazione - nelle gallerie artificiali – di un solettone di copertura alleggerito in cemento armato precompresso; d) riduzione del 18% del peso del ponte sul fiume Adda. 5.1) Il carattere tecnico delle questioni di fatto sottese al motivo di impugnazione in esame ha reso necessario l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, affidata al prof. Carmelo Majorana dell’Università degli Studi di Padova, che ha prodotto una dettagliata relazione, redatta all’esito di un ampio contraddittorio tra le parti. Per completezza vale ricordare che il Tribunale ha delimitato l’ambito di indagine del consulente tecnico, sottoponendogli specifici quesiti con riferimento ai temi di indagine introdotti con il ricorso principale, fermo restando che gli ulteriori profili di indagine, parimenti sottoposti al c.t.u., ma correlati alle censure introdotte con il secondo ricorso incidentale e i successivi motivi aggiunti, risultano superati in ragione della già rilevata inammissibilità di queste ultime impugnazioni. In particolare, al c.t.u. sono stati sottoposti i seguenti quesiti: “1. Illustri il Consulente in che cosa consistono le seguenti soluzioni progettuali proposte dall’ATI Sarbag: a) sostituzione dei diaframmi laterali continui previsti dal progetto definitivo a base di gara (d’ora innanzi anche “PBG”) con un sistema alternativo di contenimento laterale del terreno mediante pali ad elica; b) eliminazione nella gallerie artificiali del solettone di fondo in cemento armato previsto dal PBG con fondazioni soggette a cedimenti differenziali; c) realizzazione nelle gallerie artificiali di un solettone in cemento di copertura alleggerito in cemento armato. Effettui quindi il consulente un confronto fra le suddette soluzioni e quelle previste nel PBG; 2. Illustri il Consulente in quale modo è stata ottenuta una riduzione del peso del ponte sul fiume Adda pari al 18% rispetto al peso che avrebbe avuto in base alla soluzione progettuale di cui al PBG. Effettui quindi il consulente un confronto fra le suddette soluzioni e quelle previste nel PBG. Confronti infine il Consulente la soluzione progettuale proposta dall’ATI Strabag (sempre relativa al suddetto ponte) con quella proposta dal ricorrente, illustrandone affinità e differenze; 3. Dica il Consulente se le suindicate soluzioni, ai fini della dimostrazione della loro fattibilità, necessitassero di studi e verifiche particolari; 4. Illustri il Consulente quale sia il rapporto fra le suindicate soluzioni progettuali e quelle previste nel PBG. 5. Confronti il consulente le soluzioni adottate dall’ATI Strabag in ordine alla cantierizzazione delle opere (riduzione a 6 cantieri rispetto ai 24 previsti nel PBG e previsione di due impianti di produzione di conglomerati bituminosi non contemplati nel PBG) con le soluzioni proposte in sede di valutazione di impatto ambientale, ed esprima il suo giudizio in merito all’impatto delle prime sull’ambiente”. 5.2) L’analisi della censura in esame presuppone la determinazione dei limiti entro i quali la lex specialis di gara, complessivamente intesa, consentiva ai concorrenti di presentare progetti difformi da quello posto a base di gara; in particolare, si tratta di stabilire se la disciplina di gara consentiva o meno varianti strutturali, incidenti sulla qualità dell’opera, ossia sulla sua essenza strutturale e prestazionale. Solo all’esito di tale indagine si potrà verificare se, sulla base delle risultanze istruttorie ed in particolare della consulenza tecnica disposta, i profili progettuali introdotti dall’Ati Strabag e contestati dal ricorrente sono coerenti con la disciplina di gara. Si badi, il problema non è strettamente normativo, ma richiede che si indaghino i contenuti del bando, del disciplinare e della lettera di invito, in quanto l’art. 169 del codice degli appalti, applicabile nel caso in esame trattandosi di lavori relativi ad infrastrutture strategiche, non stabilisce quali varianti siano generalmente ammesse, ma si limita a prevedere le modalità di approvazione delle varianti medesime in base al loro contenuto, stabilendo che: a) il soggetto aggiudicatore verifica che nello sviluppo del progetto esecutivo sia assicurato il rispetto delle prescrizioni impartite dal CIPE in sede di approvazione del progetto definitivo e preliminare; b) il soggetto aggiudicatore è tenuto ad apportare le modifiche e integrazioni occorrenti, nello sviluppo del progetto esecutivo, in conseguenza della verifica appena richiamata; c) “le varianti da apportare al progetto definitivo approvato dal CIPE, sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase di realizzazione delle opere, sono approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore ove non assumano rilievo sotto l’aspetto localizzativo, né comportino altre sostanziali modificazioni rispetto al progetto approvato e non richiedano la attribuzione di nuovi finanziamenti a carico dei fondi ovvero l’utilizzo di una quota superiore al cinquanta per cento dei ribassi d’asta conseguiti; in caso contrario sono approvate dal CIPE. Le varianti rilevanti sotto l’aspetto localizzativo sono approvate con il consenso dei presidenti delle regioni e province autonome interessate, espresso con la procedura di cui al comma 5 dell’articolo 165. ... Non assumono rilievo localizzativo le varianti di tracciato delle opere lineari contenute nell’ambito del corridoio individuato in sede di approvazione del progetto ai fini urbanistici”. Ne consegue che anche in relazione alle opere di interesse strategico trovano applicazione i principi posti dall’art. 76 del codice degli appalti, sicché: 1) quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti possono autorizzare gli offerenti a presentare varianti; 2) le stazioni appaltanti precisano nel bando di gara se autorizzano o meno le varianti; in mancanza di indicazione, le varianti non sono autorizzate; 3) le stazioni appaltanti che autorizzano le varianti menzionano nel capitolato d’oneri i requisiti minimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità per la loro presentazione; 4) le stazioni appaltanti prendono in considerazione soltanto le varianti che rispondono ai requisiti minimi da esse prescritti. Proprio il dato normativo appena ricordato impone di portare l’attenzione sulla lex specialis della gara. Il paragrafo II.1.9 del bando di gara esclude espressamente l’ammissibilità di varianti, mentre il disciplinare non se ne occupa, limitandosi a prevedere, tra i criteri qualitativi da porre a base della valutazione, quello della “cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati”, per il quale si consente l’attribuzione al massimo di 11 punti, articolati in 4 punti per il sub elemento “realizzazione delle opere in sotterraneo”, 3 punti per il sub elemento “esecuzione delle opere in trincea” e 4 punti per il sub elemento “esecuzione del ponte sul fiume Adda”. Sempre con riferimento ai contenuti dell’offerta tecnica, il capo III della lettera di invito, disciplina, al punto 3.1 lett. a), la possibilità di presentare proposte migliorative, individuate in un’apposita tabella, prevedendo che tali proposte possono riguardare solo determinati elementi e sub elementi, tra i quali vengono indicati, alla voce 2, la “cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati”, con articolazione di tale voce in “2.1 realizzazione delle opere in sotterraneo - 2.2 esecuzione di opere in trincea - 2.3 esecuzione del ponte sul fiume Adda”; per le singole voci vengono ribaditi i punteggi massimi già stabiliti dal bando. La norma in esame precisa, da un lato, che le proposte migliorative devono essere avanzate “con esclusione di qualsiasi variante plano-altimetrica dei tracciati”, dall’altro, che “le proposte migliorative non possono interessare aree non comprese nel piano particellare di esproprio, né contrastare con gli strumenti di pianificazione urbanistica, territoriale e paesistica e con qualsiasi altro strumento di programmazione e pianificazione territoriale di tipo prescrittivo, né apportare modifiche a quanto disposto nella procedura di VIA o nelle prescrizioni dettate dal CIPE ...”. Inoltre, con riferimento alle modalità di illustrazione delle proposte migliorative, la lettera di invito richiede - punto 3.2 lett. b) - per la parte relativa alla cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati, la presentazione di “una relazione nella quale l’offerente dovrà fornire una descrizione dettagliata – nel rispetto dei vincoli territoriali e ambientali esistenti – dei criteri e delle modalità di organizzazione e gestione dei cantieri che intende adottare, con particolare riferimento alla realizzazione delle opere in sotterraneo, all’esecuzione delle opere in trincea e all’esecuzione del ponte sul fiume Adda. Deve inoltre illustrare le misure che si intendono adottare per la mitigazione degli impatti correlati. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 29 L’Offerente deve formulare proposte migliorative che tengano conto di misure, modalità organizzative e apprestamenti di cantiere che meglio consentano la riduzione del disturbo e del disagio che può determinarsi sulle aree urbanizzate, fatta salva, in ogni caso, ogni misura prevista nel progetto definitivo approvato...”. Dal complesso della disciplina ora richiamata emerge che la lex specialis di gara non consente la proposizione di varianti, ammettendo solo proposte migliorative limitate ai profili espressamente predefiniti dalla stazione appaltante. Ne consegue, in primo luogo, che nella procedura di cui si tratta non è consentita la presentazione di offerte che contengano varianti in senso proprio, ossia che modifichino profili strutturali, qualitativi, prestazionali o funzionali dell’opera, come definiti nel progetto posto a base di gara (cfr. in relazione al tema della consistenza delle varianti, quando ammesse, si considerino Consiglio di Stato, sez. IV, 23 gennaio 2012, n. 285; Consiglio di Stato sez. V, 17 settembre 2012, n. 4916). La lettera di invito consente, per contro, la presentazione di proposte migliorative solo con riferimento al profilo della cantierizzazione e solo in funzione della mitigazione degli impatti ad essa correlati. Ciò emerge in modo palese dal contenuto del richiamato paragrafo 3.2 lett. b) della lettera di invito, ove, rispetto ai profili appena considerati, si specifica che il concorrente che intenda avanzare proposte migliorative deve presentare una relazione contenente, da un lato, la descrizione dettagliata “dei criteri e delle modalità di organizzazione e gestione dei cantieri che intende adottare”, con particolare riferimento alla realizzazione delle opere in sotterraneo, all’esecuzione delle opere in trincea e all’esecuzione del ponte sul fiume Adda, dall’altro, l’illustrazione delle misure che si prevede di adottare per la mitigazione degli impatti correlati alla cantierizzazione. Ne discende che la lex specialis di gara non consente la presentazione di offerte che modifichino il progetto posto a base di gara (d’ora in poi anche p.b.g.) in ordine a profili strutturali o qualitativi delle opere da realizzare, perché le modificazioni consentite attengono solo alla cantierizzazione, ossia all’organizzazione e alla gestione dei cantieri, nonché all’attenuazione degli impatti che esse comportano rispetto alle opere da realizzare in sotterraneo (ad es. le gallerie), in trincea e rispetto alla costruzione del ponte sull’Adda. 5.3) Una volta delimitato l’ambito delle modificazioni consentite dalla legge di gara, occorre portare l’attenzione sulla tesi del ricorrente, il quale sostiene che il R.T.I. aggiudicatario abbia apportato varianti sostanziali al progetto posto a base di gara, anziché limitarsi ad introdurre proposte migliorative in relazione agli aspetti della cantierizzazione appena ricordati. Si tratta di profili di natura strettamente tecnico-ingegneristica, perché attengono alle modalità costruttive e alle caratteristiche strutturali delle opere da realizzare emergenti dall’offerta dell’aggiudicataria, sicché proprio in relazione ad esse il Tribunale ha disposto una consulenza tecnica, di cui ora devono essere esaminate le conclusioni. Con riferimento al primo dei quesiti sottopostigli, il C.T.U., dopo avere esaminato le deduzioni delle parti, ha evidenziato che rispetto alla gallerie da realizzare con “metodo Milano”, il progetto a base di gara prevedeva la realizzazione delle due pareti laterali mediante diaframmi in cemento armato, “mentre la ditta Strabag ha proposto di realizzare tali pareti mediante pali ad elica”, sicché “diversa è la tecnologia con la quale vengono realizzate le due pareti laterali: mediante diaframmi laterali continui secondo il p.b.g.; mediante pali ad elica secondo il progetto di Strabag”. Sempre in relazione al primo quesito, il C.T.U. ha esaminato la soluzione progettuale proposta da Strabag e consistente nella “eliminazione nelle gallerie artificiali del solettone di fondo in cemento armato previsto dal p.b.g. con fondazioni soggette a cedimenti differenziali”, precisando che si tratta di una soluzione adottata tanto per le gallerie artificiali tipo “Milano”, quanto per quelle tipo “scatolare” con scavi non sostenuti. Anche in tale caso il consulente ha messo in luce le difformità dal progetto posto a base di gara, precisando che nella gallerie di tipo “scatolare” Strabag ha proposto non l’integrale eliminazione del solettone, ma “una riduzione dello stesso”, mentre nelle gallerie tipo “Milano” la soluzione tecnica di Strabag prevede l’eliminazione radicale del solettone. Quanto alle conseguenze della soluzione proposta da Strabag in relazione al profilo progettuale in esame, il consulente ha precisato, anche a fronte delle deduzioni articolate dai consulenti di parte rispetto al tema dei possibili cedimenti correlati all’eliminazione del solettone, che la soluzione progettuale deve essere accompagnata “da un adeguato calcolo che tenga conto altresì delle caratteristiche del terreno e che conseguentemente permetta di dimensionare adeguatamente la fondazione”. Nondimeno, il C.T.U. ha osservato che “ nel caso di specie, Strabag propone una modifica progettuale senza accompagnarla da un calcolo, che evidentemente si propone di redigere prima della esecuzione delle opere .... Lo scrivente non può che ritenere che a condizione di un calcolo adeguato e in assenza di eventi eccezionali ed imprevedibili (quali ad es. la imprevedibile modifica della falda), cedimenti fondazionali non possono verificarsi o quantomeno non possono essere significativi”. Al di là degli aspetti ora visti, inerenti al rischio di cedimenti fondazionali e correlati alla mancanza di un calcolo puntuale sotteso alla modifica progettuale predisposta da Strabag e verosimilmente rinviato al momento dell’esecuzione delle opere, l’organo tecnico ha esaminato le conseguenze intrinseche alla tecnica costruttiva utilizzata, precisando che “cedimenti differenziali, in virtù della tecnica costruttiva utilizzata (che prevede la non esecuzione di un adeguato solettone) possono interessare la carreggiata, in ragione della diversa natura del materiale sottostante”. Insomma, la modifica al progetto proposta da Strabag può non determinare cedimenti fondazionali, a condizione che sia supportata da un calcolo adeguato in sede di realizzazione (calcolo non predisposto in sede di progettazione), mentre evidenzia, in virtù della tecnica utilizzata, il rischio di cedimenti differenziali della carreggiata, in dipendenza della diversa natura del materiale adc essa sottostante (in particolare pagg. 46 e 47 della relazione redatta dal C.T.U.). Il terzo profilo tecnico sottoposto al C.T.U. con il primo quesito investe la realizzazione “nelle gallerie artificiali di un solettone in cemento di copertura”. In particolare, il progetto posto a base di gara prevede per le gallerie scatolari la realizzazione di un solettone di copertura che, per alcune gallerie viene eseguito in getto pieno e, per altre, è costituito da un manufatto prefabbricato con sovrastante getto di completamento. Sul punto, “Strabag propone per alcune gallerie di tipo scatolare un solettone di copertura a getto pieno, mentre per altre gallerie tipo scatolare e per tutte le gallerie tipo Milano Strabag ha optato per la realizzazione di un solettone di copertura alleggerito e precompresso, con geometrie diverse” dal solettone previsto dal p.b.g.. Il consulente considera che “la diversità tra il solettone di copertura previsto dal p.b.g. e quello previsto da Strabag sta nel fatto che il primo è gettato in opera, con armatura ordinaria, mentre il secondo è gettato in opera, ma con armatura precompressa a cavi post-tesi .... più precisamente il solettone di copertura verrebbe precompresso mediante la tecnica della post-tensione con un numero variabile tra i 19 e 24 cavi”. Rispetto alle criticità sollevate dai consulenti tecnici della parte ricorrente, in ordine alla soluzione tecnica predisposta da Strabag rispetto al solettone di copertura, il consulente d’ufficio considera che si tratta di rilievi critici derivanti dal “fatto che allo stato attuale (trattandosi di una proposta di progetto esecutivo) manca un effettivo calcolo e progettazione dei singoli elementi della struttura”; insomma, si tratta di contestazioni che “a seguito di un adeguato calcolo, potranno trovare soluzione dal punto di vista ingegneristico ed esecutivo nella successiva fase di progettazione esecutiva”. Nel rispondere al secondo e al terzo dei quesiti, relativo alle soluzioni progettuali adottate sia da Strabag, sia dal Consorzio ricorrente, in ordine alle modalità di realizzazione del ponte sull’Adda, il consulente tecnico evidenzia, da un lato, che le soluzioni proposte introducono “sostanziali modifiche” rispetto alla metodologia di montaggio della struttura, dall’altro, che entrambe le soluzioni riducono l’invasione delle zone golenali ed eliminano l’interferenza con l’alveo. Il quarto quesito ha richiesto al consulente di illustrare quale rapporto intercorre tra le soluzioni progettuali sinora considerate e quelle previste nel p.b.g.. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 31 Con riferimento alle modalità di realizzazione del ponte, il consulente ribadisce che tanto la soluzione di Strabag, quanto quella proposta dalla parte ricorrente, sono migliorative, perché riducono “sensibilmente l’invasione delle zone golenali” ed eliminano “completamente l’interferenza con l’alveo”, fermo restando che entrambe le soluzioni implicano l’effettuazione di calcoli e delle verifiche conseguenti in fase di redazione del progetto esecutivo. Rispetto alle soluzioni alternative proposte da “Strabag in ordine alle gallerie (ci si riferisce alla sostituzione dei diaframmi con i pali ad elica, alla eliminazione del solettone di fondo e alla sostituzione del solettone di copertura con un solettone alleggerito e precompresso)”, il consulente evidenzia che: 1) la sostituzione dei diaframmi con i pali ad elica può inquadrarsi nell’ambito dei miglioramenti del p.b.g. in relazione alla cantierizzazione e agli impatti correlati, in dipendenza del “non utilizzo di fanghi bentonitici; alla limitata azione di disturbo al terreno circostante; alla mancata interruzione delle eventuali falde sospese; alla esecuzione più rapida”; 2) anche la soluzione progettuale consistente nella eliminazione del solettone di fondo può inquadrarsi nell’ambito dei miglioramenti del p.b.g. in relazione agli aspetti della cantierizzazione e degli impatti correlati; “tale soluzione tuttavia si espone alla critica dfi non offrire adeguate e sufficienti garanzie a fronte del rischio di cedimenti della soletta costituente la carreggiata che verrebbe a poggiare su un terreno eterogeneo; 3) allo stesso modo, la soluzione progettuale consistente nell’utilizzo di un solettone di copertura precompresso può inquadrarsi nell’ambito dei miglioramenti al p.b.g. in relazione all’aspetto della cantierizzazione e degli impatti correlati, “tale soluzione, tuttavia, si presenta carente dal punto di vista della sua effettiva eseguibilità, allorquando si tratta di eseguire tale solettone sopra le due carreggiate in tempi diversi per garantire la permanenza della viabilità”; 4) “le soluzioni progettuali sopra descritte hanno comportato una modifica dello schema statico della struttura (ci si riferisce sempre alle gallerie), che prevede la realizzazione di un vincolo rigido tra il solettone della copertura delle gallerie e le teste dei paramenti verticali, in luogo degli irrigidimenti (ci si riferisce al solettone di fondo) previsti alla base delle gallerie secondo il p.b.g.. Trattasi, comunque, di modifiche che si presentano come consequenziali, cioè derivanti dalle scelte progettuali sopra descritte e che si presentano migliorative rispetto alla soluzione del p.b.g. in relazione alle tempistiche di esecuzione”. Il quinto quesito ha imposto al consulente di confrontare le soluzioni adottate da Strabag in ordine alla cantierizzazione delle opere rispetto alle soluzioni proposte in sede di valutazione di impatto ambientale. Sul punto il C.T.U. considera che il progetto predisposto da “Strabag concentra i cantieri in alcuni punti, ove anche il p.b.g. prevedeva l’esistenza del cantiere; le aree previste dal p.b.g. che non vengono più utilizzate per l’installazione dei cantieri vengono comunque utilizzate dall’Ati Strabag come aree di stoccaggio degli inerti, l’Ati Strabag prevede, inoltre, due cantieri ove contempla l’installazione di due impianti per la produzione di conglomerati bituminosi che non sono previsti nel p.b.g.. E’ evidente che modificando il numero dei cantieri, l’Ati Strabag viene a modificare la struttura dei cantieri, accorpando in alcuni più funzioni e arrivando ad avere campi base/operativi semplici, base/operativi con impianti di betonaggio, base/operativi con betonaggio e impianto per conglomerati bituminosi”. Rispetto agli impianti per la produzione di conglomerati bituminosi, il consulente evidenzia che “il p.b.g. non prevedeva tali impianti e quindi anche il provvedimento ministeriale autorizzativo ai fini ambientali non ne ha tenuto conto”, con la precisazione che “tutti gli impianti di cantiere dovranno essere soggetti ad adeguato dimensionamento in fase di progettazione esecutiva e assoggettati alla procedura autorizzatoria ordinaria”, fermo restando “che nello studio di impatto ambientale non erano previsti gli impianti di bitumazione”, sicché “non avendo il s.i.a. contemplato gli impianti di bitumazione, anche la v.i.a. non ha avuto ad oggetto tale aspetto”. 5.4) Una volta richiamato il contenuto della relazione del consulente tecnico d’ufficio, va ora precisato che essa si distingue per l’evidente rigore tecnico, la coerenza metodologica, la puntuale aderenza all’oggetto dell’istruttoria, la completezza e la profondità di indagine, sicché, da un lato, integra un rilevante supporto istruttorio, con riferimento ai profili tecnici delle censure dedotte dal Consorzio ricorrente, dall’altro, merita piena condivisione in ordine alle conclusioni tecniche raggiunte. Proprio le risultanze della consulenza sinora evidenziate consentono di trattare il motivo di impugnazione in esame, teso ad evidenziare l’inammissibilità dell’offerta presentata dall’Ati Strabag, in quanto recante delle varianti sostanziali al progetto posto a base di gara, in violazione della lex specialis. Il motivo è fondato. Si è già evidenziato (retro punto 5.2 della motivazione) che la lex specialis della gara esclude la presentazione di varianti in senso tecnico, consentendo solo proposte migliorative con riferimento al profilo della cantierizzazione, ossia dell’organizzazione e della gestione dei cantieri, in funzione della mitigazione degli impatti correlati alla cantierizzazione predisposta per le opere da realizzare in sotterraneo, in trincea e rispetto alla costruzione del ponte sull’Adda. La circostanza che le modificazioni consentite attengano solo alla cantierizzazione, esclude la possibilità di presentare offerte che modifichino profili strutturali, prestazionali o funzionali delle opere, come definiti nel progetto posto a base di gara, che, pertanto, non può essere alterato in relazione agli aspetti appena indicati. Nondimeno, dalla relazione del consulente tecnico emerge con evidenza che l’offerta dell’aggiudicataria introduce delle modificazioni al progetto posto a base di gara non afferenti alla mera cantierizzazione, ma incidenti sulle caratteristiche strutturali e qualitative delle opere da realizzare e, pertanto, eccedenti i limiti di intervento consentiti dal bando, dal disciplinare e dalla lettera di invito, come condivisibilmente censurato con il motivo di cui si tratta. Vale ribadire che la specifica disciplina di gara non consente di apportare modifiche al progetto posto a base di gara se non in relazione alla cantierizzazione e solo per limitarne gli impatti ambientali, sicché rimane esclusa la legittimità di qualunque variante incidente sulle opere da realizzare, sia che si tratti di una modificazione strutturale, sia che si tratti di una modificazione funzionale, qualitativa o prestazionale delle opere medesime. L’offerta predisposta da Strabag modifica il progetto posto a base di gara, tanto rispetto alle modalità di realizzazione delle opere, quanto rispetto alle loro caratteristiche qualitative o prestazionali. Invero, dalla relazione emerge, senza alcuna contestazione sul dato oggettivo, che rispetto alla gallerie da realizzare con “metodo Milano”, il p.b.g. prevede la esecuzione di pareti laterali mediante diaframmi in cemento armato, mentre Strabag ne propone la realizzazione mediante pali ad elica, utilizzando così una tecnologia diversa da quella prevista dal p.b.g.. Sempre in relazione alle gallerie, il C.T.U. evidenzia che il p.b.g. ne prevede la costruzione mediante la realizzazione di un solettone di fondo in cemento armato, mentre Strabag propone, tanto per le gallerie artificiali tipo “Milano”, quanto per quelle tipo “scatolare” con scavi non sostenuti, la sostituzione del solettone di fondo con fondazioni soggette a cedimenti differenziali, precisando che nella gallerie di tipo “scatolare” Strabag propone non l’integrale eliminazione del solettone, ma “una riduzione dello stesso”, mentre nelle gallerie tipo “Milano” prevede la radicale eliminazione del solettone. A tale cambiamento strutturale, correlato all’adozione di tecniche costruttive diverse da quelle previste dal p.b.g., si accompagna una modificazione delle caratteristiche prestazionali delle opere. Invero, al di là del problema relativo al pericolo di cedimenti fondazionali, allo stato non agevolmente risolvibile, perché dipendente dalla corretta effettuazione di calcoli ingegneristici non contenuti nell’offerta Strabag, ma rinviati alla fase di esecuzione dell’opera, il Consulente ha nitidamente messo in luce che la modificazione progettuale in esame determina, in virtù della tecnica utilizzata, il rischio di cedimenti differenziali della carreggiata a causa della diversa natura del materiale ad essa sottostante. Anche rispetto alle modalità di realizzazione della copertura delle gallerie artificiali, il Consulente d’ufficio evidenzia che l’offerta di Strabag modifica il p.b.g, atteso che quest’ultimo prevede la realizzazione di un solettone, da eseguire in taluni casi in getto pieno e in altri utilizzando un manufatto prefabbricato con sovrastante getto di completamento, FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 33 mentre Strabag propone solo per alcune gallerie di tipo scatolare un solettone di copertura a getto pieno, mentre per altre gallerie di tipo scatolare, nonché per tutte le gallerie tipo Milano, Strabag prevede la realizzazione di un solettone di copertura alleggerito e precompresso, con geometrie diverse dal solettone di cui al p.b.g.. Pure in tale caso il C.T.U. evidenzia che sul piano funzionale la tecnica utilizzata può presentare criticità superabili mediante l’effettuazione, in sede esecutiva, di un adeguato calcolo ingegneristico, comunque non allegato all’offerta di Strabag. Si badi, la consulenza tecnica d’ufficio sottolinea che le modifiche progettuali sinora esaminate possono incidere positivamente sulla cantierizzazione e sugli impatti correlati, perché la sostituzione dei diaframmi con i pali ad elica determina il non utilizzo di fanghi bentonitici, una limitata azione di disturbo al terreno circostante, la non interruzione di eventuali falde sospese e una più rapida esecuzione; nondimeno, si tratta di modificazioni che incidono sullo “schema statico” delle gallerie. Sul punto, non merita condivisione la tesi espressa dalla stazione appaltante (in particolare nella memoria depositata il 10 maggio 2013), secondo la quale la modifica dello schema statico non integrerebbe una variante strutturale, perché sarebbe meramente conseguente all’adozione di modifiche migliorative della cantierizzazione e degli impatti correlati. Si tratta di una impostazione che, se seguita, condurrebbe a ritenere legittima qualunque modificazione che presenti un beneficio in termini di minore impatto della cantierizzazione, ma non è questa la logica che, come già evidenziato, sottende la lex specialis in tema di proposte migliorative. La lex specialis esclude a chiare lettere l’ammissibilità di varianti (cfr. punto II.1.9 del bando) e consente solo proposte migliorative in ordine alla cantierizzazione funzionale alla realizzazione delle gallerie e all’esecuzione delle opere in trincea e del ponte sul fiume Adda. Ciò significa che l’offerta deve recare proposte migliorative in tema di “gestione e organizzazione dei cantieri” (capo 3.2 lett. b della lettera di invito) strumentali alla realizzazione delle opere suindicate e non che l’obiettivo della riduzione dell’impatto ambientale dei cantieri può giustificare varianti di tipo strutturale. Diversamente opinando si finisce col rovesciare radicalmente l’impostazione della disciplina di gara, ammettendo modificazioni strutturali e prestazionali delle opere previste dal p.b.g., in palese violazione del divieto di varianti posto dal bando di gara e del preciso ambito che la lettera di invito ritaglia alle proposte migliorative. Insomma, le innovazioni introdotte da Strabag riguardano aspetti diversi dalla mera cantierizzazione e, pur potendo presentare risvolti positivi quanto all’incidenza ambientale della cantierizzazione, si traducono in modificazioni delle modalità di realizzazione delle opere tali da riflettersi sulle caratteristiche qualitative e prestazionali delle opere medesime. Basti pensare al fatto che la tecnica di realizzazione delle gallerie incide sulle schema statico delle medesime e determina, in ragione della radicale eliminazione o della riduzione del solettone di fondo in cemento armato, l’emersione del rischio di cedimenti differenziali della carreggiata. Tanto basta per evidenziare che le modificazioni al p.b.g. predisposte da Strabag eccedono i limiti consentiti dalla legge di gara, perché, pur presentando risvolti migliorativi sul piano ambientale, integrano delle modificazioni strutturali delle opere, ed in particolare delle gallerie, tali da alterarne le caratteristiche qualitative e prestazionali, perché ne modificano lo schema statico, determinando l’emersione di un rischio di cedimenti della carreggiata. Ne consegue che l’offerta presentata dall’aggiudicataria non è coerente con il p.b.g., perché introduce delle modificazioni eccedenti l’ambito consentito dalla lex specialis, come condivisibilmente lamentato dal Consorzio ricorrente. Va, pertanto, ribadita la fondatezza della censura in esame. Il carattere sostanziale della doglianza esaminata, tale da incidere in modo radicale sulla valutazione che l’amministrazione ha fatto dell’offerta di Strabag e quindi sul provvedimento di aggiudicazione, consente di prescindere dall’esame delle ulteriori censure proposte dalla ricorrente. 6) Il Consorzio ricorrente chiede di potere conseguire l’aggiudicazione e la conseguente stipulazione del contratto, previa dichiarazione di inefficacia del contratto medesimo, qualificando la pretesa come risarcimento in forma specifica, mentre in via subordinata chiede la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno per equivalente. La domanda risarcitoria per equivalente, presentata con il ricorso principale e ribadita nei successivi ricorsi per motivi aggiunti, è stata precisata, in relazione al quantum, con memoria depositata in data 04 maggio 2013. La ricorrente sostiene che lo svolgimento della specifica procedura di gara evidenzia la spettanza del bene della vita in suo favore in termini di certezza, attesa la sua posizione di seconda classificata all’esito delle valutazioni compiute dalla stazione appaltante. Quanto alle voci di danno, il Consorzio Pedelombarda 2 le articola nel mancato conseguimento dell’utile ,che avrebbe percepito in caso di aggiudicazione, quantificandolo nella misura del 10% del valore dell’appalto, ossia in 230.000.000,00 di Euro, nonché nel danno curriculare, quantificato nella misura del 3% del valore dell’appalto, ossia in 69.000.000,00 di Euro. 6.1) La domanda rivolta ad ottenere l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto, qualificata in termini di pretesa al risarcimento in forma specifica, non merita accoglimento. Per chiarezza espositiva e sistematica, il Tribunale evidenzia che la pretesa all’aggiudicazione e alla stipulazione del contratto, previa dichiarazione di inefficacia del contratto già stipulato con l’aggiudicataria, non integra una domanda di risarcimento in forma specifica, perché si tratta di una pretesa priva di portata risarcitoria in senso stretto. Sul punto, merita condivisione e va ribadito l’orientamento giurisprudenziale a mente del quale anche nel processo amministrativo la nozione di risarcimento in forma specifica va individuata secondo la logica civilistica, in quanto le norme di riferimento (prima l’art. 35, comma 1, del d.l.vo n. 80/98, poi l’art. 7, comma 3, della legge n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 35, comma 4, del d.l.vo 31 marzo 1998, n. 80, alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 7 della legge n. 205/2000 ed ora gli artt. 30, comma 2, e 34, comma 1 lett. c, c.p.a., che richiamano espressamente l’art. 2058 c.c.) non individuano in modo autonomo dalla disciplina civilistica la nozione dell’istituto in esame, sicché esso consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno. La reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio, ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato realizzata attraverso una prestazione diversa e succedanea rispetto a quella originariamente dovuta, sicché essa non può essere confusa né con l’azione di adempimento, diretta ad ottenere la condanna del debitore all’effettuazione della prestazione dovuta, né con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli. La forma specifica non è né una forma eccezionale, né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore salva l’ipotesi di eccessiva onerosità o l’oggettiva impossibilità. Insomma, lo strumento risarcitorio, quale mezzo di tutela praticabile in caso di lesione di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, sia esso per equivalente, o in forma specifica, si caratterizza per l’imposizione al danneggiante di una “prestazione” diversa in sostituzione di quella originaria. Ne consegue che se l’amministrazione era tenuta, in base ai criteri di legittimità che ne governano l’azione, al rilascio di un determinato provvedimento, l’adozione di quell’atto costituisce il contenuto primario della “prestazione” cui l’amministrazione era tenuta e non assume una funzione risarcitoria (cfr. in argomento Consiglio di Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338; Consiglio di Stato, sez VI, 3 aprile 2003, n. 1716; Consiglio di Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2449; Consiglio di Stato, sez. VI, 31 maggio 2008, n. 2622). Si badi ciò non comporta un vuoto di tutela, perché l’ordinamento predispone strumenti processuali che consentono di conseguire la prestazione ab origine dovuta in caso di accertata illegittimità dell’azione amministrativa, in primo luogo attraverso l’attivazione, dopo una decisione favorevole all’interessato, del giudizio di ottemperanza. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 35 La tutela specifica realizzabile attraverso la proposizione del giudizio di ottemperanza, si completa, ai sensi dell’art. 34, comma 1 lett. c, c.p.a., con la possibilità di esperire un’azione di condanna – in sede di cognizione e non di ottemperanza – al rilascio del provvedimento richiesto, a condizione che si tratti di attività vincolata o che, comunque, non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori da compiere ad opera dell’amministrazione, con la precisazione che l’azione deve essere deve essere esperita in modo necessariamente congiunto con quella di annullamento del diniego opposto dall’amministrazione, ovvero contestualmente all’azione avverso il silenzio serbato illegittimamente dall’amministrazione medesima. A ben vedere siffatti rimedi, riferibili alla tutela conseguibile in generale tramite gli strumenti propri del processo amministrativo e non esclusivi del settore degli appalti, sono di più agevole applicazione per il ricorrente, rispetto ai rimedi risarcitori, giacché si tratta di istituti di applicazione oggettiva, ancorati al dato dell’illegittimità dell’azione amministrativa e della natura del potere esercitato, mentre non postulano la dimostrazione di una responsabilità dell’amministrazione anche su base soggettiva, come è necessario per l’azione risarcitoria, che, in generale e salve le precisazione da compiere in materia di appalti di rilevanza comunitaria, postula la dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito, in termini di dolo o colpa dell’apparato amministrativo. Inoltre, i rimedi in esame non incontrano i limiti propri del risarcimento in forma specifica, che, ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c., richiede una verifica in termini di onerosità, verifica esclusa, invece, per il giudizio di ottemperanza, che incontra solo il limite della sopravvenuta impossibilità. Tanto basta per evidenziare che la qualificazione della domanda volta ad ottenere l’aggiudicazione e il contratto in termini di domanda risarcitoria non è condivisibile, perché è diretta ad ottenere proprio il provvedimento cui, in ipotesi, avrebbe condotto un agire legittimo della stazione appaltante, ossia proprio la “prestazione” attesa dal ricorrente. L’azione esperita deve, quindi, essere qualificata come domanda diretta ad ottenere, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, la dichiarazione di inefficacia del contratto al fine di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, ai sensi degli artt. 121 e 124 c.p.a.. Anche così riqualificata la domanda non può essere accolta. Si è già evidenziato che l’appalto in esame concerne un’infrastruttura strategica, ma il ricorrente non ha dedotto, a sostegno della richiesta di dichiarazione dell’inefficacia del contratto, la sussistenza di una delle ipotesi delineate dall’art. 121 c.p.a., relativo all’inefficacia del contratto per gravi violazioni e rilevante anche in tema di infrastrutture strategiche, secondo la previsione dell’art. 125 c.p.a., sicché, proprio ai sensi della norma appena richiamata, l’annullamento dell’aggiudicazione non incide sull’efficacia del contratto già stipulato e la tutela conseguibile dal ricorrente è quella risarcitoria per equivalente, nei limiti in cui sia dedotto un danno subito e provato. Ne consegue il rigetto della domanda diretta ad ottenere l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto. 6.2) A questo punto, deve essere esaminata la domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento, per equivalente pecuniario, del danno asseritamente subito in conseguenza dell’illegittima aggiudicazione dell’appalto al raggruppamento Strabag AG e individuato nella perdita dell’utile che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto, quantificato nel 10% del valore dell’appalto, ossia in 230.000.000,00 di Euro, nonché nel danno curriculare, quantificato nella misura del 3% del valore dell’appalto, ossia in 69.000.000,00 di Euro. La domanda è parzialmente fondata. In via generale, l’accoglimento della domanda risarcitoria postula la dimostrazione degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e seg.ti del codice civile, disciplina cui, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, deve essere ricondotta la responsabilità risarcitoria delle amministrazioni, comprese le stazioni appaltanti qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici ai sensi del d.l.vo 2006 n. 163, a prescindere, come nel caso di specie, dalla forma giuridica da esse rivestita. Nondimeno, trattandosi di responsabilità risarcitoria correlata alla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, occorre fare applicazione del principio comunitario che esclude la rilevanza, in simili casi, dell’elemento soggettivo dell’illecito, configurando una responsabilità di natura oggettiva. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. C.G.U.E, sez. III, 30 settembre 2010, C314/09, che ribadisce principi già affermati da C.G.U.E 14 ottobre 2004, C275/03) afferma che la vigente normativa europea, che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici dì lavori, di forniture e di servizi, non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da un’amministrazione pubblica, che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti, sia subordinato al carattere colpevole di tale violazione. Secondo la Corte, il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 2, n. 1 lett. c), dell’originaria direttiva 89/665/CEE può costituire una forma di tutela in materia di appalti pubblici compatibile con il principio di effettività delle garanzie giurisdizionali solo a condizione che il risarcimento non sia subordinato, così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1, alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice. Né rileva, in senso contrario, la circostanza che un ordinamento nazionale non faccia gravare sul ricorrente l’onere della prova dell’esistenza della colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, ma la presuma a carico della stessa; infatti, dal momento in cui si consente a quest’ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, si genera ugualmente il rischio che il ricorrente venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui la stazione appaltante riesca a vincere siffatta presunzione di colpevolezza. Ne consegue che la regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danno per illegittimità accertate in materia di appalti pubblici, per avere assunto provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi, configura una responsabilità di tipo oggettivo, sottratta ad ogni possibile esimente, poiché derivante da un principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore degli appalti pubblici. Vale evidenziare che sul punto la giurisprudenza ha precisato che, intesa in questo senso, tale regola non può essere circoscritta ai soli appalti comunitari, ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto comunitario inerente all’effettività della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno diretta rilevanza ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo che ad essi viene fatto dal nostro legislatore nel Codice appalti, ex art 2 del d.l.vo n. 163/06 (cfr., tra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482; Consiglio di Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 966; Consiglio di Stato, sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Consiglio di Stato, sez. IV, 04 settembre 2013, n. 4439). L’applicazione di tali principi al caso in esame rende irrilevante l’analisi dell’esistenza di colpa o dolo in capo alla stazione appaltante. Né vi sono dubbi in ordine alla derivazione causale della lesione lamentata dall’illegittima aggiudicazione compiuta dalla stazione appaltante, atteso che il Consorzio ricorrente all’esito delle valutazioni compiute dalla commissione giudicatrice e dalla stazione appaltante si è collocato al secondo posto della graduatoria, immediatamente dopo il raggruppamento aggiudicatario. Piuttosto, Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a. dubita della possibilità di ritenere che il bene della vita, rappresentato dall’aggiudicazione dell’appalto e dalla conseguente stipulazione del contratto, sarebbe spettato al Consorzio ricorrente in termini di certezza, qualora la stazione appaltante non fosse incorsa nelle illegittimità che hanno condotto all’annullamento dell’aggiudicazione in favore di Strabag. In particolare, si sostiene che l’offerta presentata dalla ricorrente presenta profili di inammissibilità analoghi a quelli denunciati rispetto all’offerta di Strabag, sicché anche nei suoi confronti sarebbe stata preclusa l’aggiudicazione. Le contestazioni si appuntano sulle modalità di esecuzione del ponte sul fiume Adda previste nell’offerta presentata dal Consorzio Pedelombarda 2, che secondo la stazione appaltante (cfr. in particolare memoria depositata in data 10 maggio 2013) comporterebbero l’introduzione di varianti non ammesse, sicché il Consorzio non poteva risultare aggiudica- FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 37 tario dell’appalto e, quindi, non sussisterebbe alcuna certezza in ordine alla spettanza dell’aggiudicazione e del contratto. L’eccezione non può essere condivisa. La deduzione coinvolge aspetti prettamente tecnici, prima che giuridici, rispetto ai quali sono stati sottoposti specifici quesiti al C.T.U., tanto in relazione alle modalità di esecuzione del ponte previste da Strabag, quanto rispetto a quelle proposte dal Consorzio ricorrente, secondo quanto già evidenziato. Il Consulente ha posto in luce che le soluzioni proposte in tema di esecuzione del ponte da Strabag e dal Consorzio Pedelombarda 2 si diversificano, sia tra loro, sia rispetto al p.b.g., per le modalità di montaggio della struttura. In particolare il p.b.g. prevede l’esecuzione mediante la predisposizione di opere provvisorie costituite da: 1) un ponte provvisorio sul fiume Adda; 2) cinque pile provvisorie da posizionare in alveo al corso d’acqua per il sollevamento dell’arco; 3) la creazione di accessi alle aree golenali ed all’alveo, indispensabili per fare arrivare gli elementi dell’arco fin sotto le strutture provvisorie indispensabili al montaggio. La relazione tecnica evidenzia che, a fronte di tale schema operativo, Strabag “introduce sostanziali modifiche alla fase 2, riducendo sensibilmente l’invasione delle zone golenali ed eliminando completamente l’interferenza con l’alveo”; parimenti, la soluzione proposta dal ricorrente “porta sostanziali modifiche alla fase 2 del p.b.g. riducendo l’invasione delle zone golenali ed eliminando l’occupazione dell’alveo”, fermo restando che le modalità che consentono di raggiungere tale risultato sono “profondamente diverse da quelle proposte dall’Ati Strabag” (cfr. relazione tecnica pag. 60 e seg.ti). Dopo avere descritto le diverse modalità di assemblaggio previste dai due concorrenti, il C.T.U. precisa (pag. 73 della relazione) che “effettivamente entrambe presentano il pregio di ridurre l’interferenza dell’alveo del fiume; quanto al c.d. “concept strutturale”, se con esso si intende la struttura finita, è evidente che essa è uguale in tutte e tre le proposte, ciò che varia sono le modalità costruttive che sono molto diverse le une dalle altre...”. Proprio in relazione alla soluzione di montaggio del ponte prospettata dal Consorzio ricorrente, il C.T.U. precisa che essa presenta “delle fasi critiche, che non escludono comunque la loro realizzabilità ...”; inoltre, nell’esaminare i riflessi delle modalità di montaggio del ponte previste dai due concorrenti, il consulente evidenzia che entrambe sono migliorative con riferimento alla cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati, perché le modalità di montaggio dell’arco sono tali da ridurre sensibilmente l’invasione delle zone golenali ed eliminano completamente l’interferenza con l’alveo. Del resto, il C.T.U. rileva che le critiche sollevate dalle parti in ordine alla fattibilità dell’intervento, come proposto dall’una e dall’altra parte, “sono in buona sostanza legate al fatto che le proposte non coincidono con progetti esecutivi che implicano la redazione di un calcolo e delle verifiche conseguenti; sicché dette critiche riguardano aspetti che devono e possono trovare risoluzione nella successiva fase di redazione del progetto esecutivo” (cfr. pagg. 91 e 92 della relazione). A questo punto, alla luce del dato tecnico appena richiamato, occorre verificare se le modificazioni previste dal Consorzio Pedelombarda 2, quanto alle modalità di esecuzione del ponte, integrino delle inammissibili varianti, oppure si collochino tra le proposte migliorative della cantierizzazione, in quanto dirette a limitarne gli impatti rispetto all’esecuzione del ponte sull’Adda. Il Tribunale ritiene che quest’ultima sia l’opzione che si attaglia alla fattispecie in esame. Si è già chiarito che la disciplina di gara non consente la presentazione di offerte che contengano varianti, ossia che modifichino profili strutturali, qualitativi, prestazionali o funzionali delle opere, come definiti nel progetto posto a base di gara, ammettendo solo proposte migliorative limitate al profilo della cantierizzazione e solo in funzione della mitigazione degli impatti ad essa correlati. Rispetto alla proposta avanzata dal Consorzio Pedelombarda 2 in ordine alla realizzazione del ponte – così come, del resto, rispetto alla proposta avanzata da Strabag per la medesima opera – il consulente tecnico ha chiaramente evidenziato che l’innovazione rispetto al p.b.g. attiene alle modalità di montaggio della struttura, precisando che nessuna modificazione attiene alla struttura finita dell’opera, atteso che essa, ossia il c.d. “concept strutturale” è “uguale in tutte e tre le proposte”, perché ciò che varia sono solo le modalità costruttive. Certo, il consulente ha evidenziato che la soluzione proposta dal ricorrente presenta “delle fasi critiche”, precisando però che esse non ne escludono comunque la realizzabilità, atteso che si tratta di criticità dipendenti dal fatto che le proposte avanzate “non coincidono con progetti esecutivi che implicano la redazione di un calcolo e delle verifiche conseguenti”, sicché dette criticità “riguardano aspetti che devono e possono trovare risoluzione nella successiva fase di redazione del progetto esecutivo”. Per completezza vale evidenziare che analoghe valutazioni tecniche sono state formulate rispetto alle modalità di esecuzione del ponte proposte da Strabag. Inoltre, dalla consulenza emerge che le modalità di montaggio del ponte previste dal Consorzio Pedelombarda 2, così come, del resto, quelle previste dall’Ati Strabag, sono migliorative degli impatti della cantierizzazione perché riducono sensibilmente l’invasione delle zone golenali ed eliminano l’interferenza con l’alveo. Tanto basta per evidenziare che l’innovazione proposta dal ricorrente in ordine alle modalità di realizzazione del ponte sull’Adda non attengono alla struttura dell’opera, né alle sue caratteristiche qualitative, funzionali o prestazionali, perché si tratta di modifiche incidenti sulle modalità di montaggio del ponte, ossia su aspetti meramente operativi, tali da rientrare nella nozione di cantierizzazione, in coerenza con il limite che la lex specialis pone alla possibilità di presentare proposte migliorative. Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione in esame. Del resto, nel corso della procedura la stazione appaltante non ha evidenziato altri profili, come ad esempio il superamento della soglia di anomalia, tali da incidere sulla valutazione di spettanza del bene della vita, valutazione da compiere ai fini risarcitori, sicché appare decisiva la circostanza che il Consorzio ricorrente si sia definitivamente collocato in seconda posizione nella graduatoria finale, di modo che, una volta caducata l’aggiudicazione in favore del primo classificato, deve essere valutata in termini di certezza la spettanza al Consorzio medesimo del bene della vita preteso (cfr. in argomento T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 05 marzo 2013, n. 2358). 6.3) Si tratta allora di definire le voci di danno rilevanti nel caso di specie, nei limiti della domanda avanzata dal ricorrente, nonché di determinarne l’ammontare. 6.3.1) Il Consorzio ricorrente deduce due voci di danno, quali la mancata percezione dell’utile e il pregiudizio curricolare, entrambi astrattamente coerenti con la lesione lamentata, ma che devono essere supportati sul piano probatorio. Vale osservare, in linea con il dominante orientamento giurisprudenziale, che la riconduzione dell’illecito provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe sulla parte danneggiata, che agisce per il risarcimento, l’onere di dimostrare, oltre all’esistenza di un pregiudizio e alla sua riconducibilità eziologica all’adozione del provvedimento illegittimo, anche la misura del danno asseritamente sofferto (cfr. già Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2002, n. 416). Si tratta di applicare al giudizio risarcitorio, proposto davanti al giudice amministrativo mediante l’esperimento di un’azione di accertamento e di condanna, il principio generale sulla distribuzione dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa vantata. Certo, l’art. 64, comma 1, c.p.a., stabilisce che spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità e riguardanti i fatti posti a fondamento di domande e di eccezioni, ma il riferimento ad “elementi di prova” non vale a rendere applicabile nel giudizio risarcitorio il principio dispositivo con metodo acquisitivo, caratteristico del processo impugnatorio, perché rispetto alla domanda risarcitoria i mezzi di prova sono nell’immediata disponibilità di colui che ha subito il danno, sicché sarebbe priva di giustificazione l’applicazione del criterio caratteristico del giudizio di annullamento. Ne consegue che il danneggiato non può limitarsi, ai fini della quantificazione del danno, ad allegare un principio di prova, ma è investito in pieno dell’onere della prova, dovendo dimostrare la consistenza del pregiudizio di cui chiede il ristoro. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 39 Resta fermo che, anche ai fini della determinazione del quantum da risarcire, il danneggiato può avvalersi di strumenti indiretti di prova ed, in particolare, di criteri presuntivi, allegando elementi di fatto, ossia indizi idonei a porsi come base per la determinazione in via induttiva del danno. La disciplina di riferimento è quella in tema di prova raggiunta attraverso presunzioni, le quali, ai sensi dell’art. 2727 c.c., sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato. Vale precisare che, nella materia de qua, non operano presunzioni legali, capaci cioè di dispensare da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite, ai sensi dell’art. 2728 c.c., ma solo presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2729 c.c., che, come tali, sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti (cfr. in linea con i principi ora enucleati si esprime Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3405). In tema di struttura della prova per presunzioni semplici, vale evidenziare, in coerenza con il dominante orientamento giurisprudenziale, che tale mezzo di prova si articola in un ragionamento inferenziale, con la precisazione che i criteri logici, sui quali esso si basa, sono costituiti dalle massime di esperienza. Tale ragionamento è di tipo deduttivo, se le massime di esperienza sono leggi scientifiche o naturali, mentre è di tipo induttivo, se le massime di esperienza esprimono soltanto una connessione probabile o verosimile fra le categorie di fatti, come nel caso di specie. Inoltre, tra il fatto noto e quello ignoto non deve esistere un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come ragionevole conseguenza, secondo un criterio di probabilità, ossia con riferimento ad una connessione verosimile di accadimenti. In altri termini, la relazione inferenziale tra il fatto noto e quello ignoto non deve porsi con carattere di necessità, ma di consequenzialità ragionevole e verosimile, secondo un criterio di normalità causale. Sotto altro profilo, è pacifico che, seppure l’art. 2729 c.c. ammette solo presunzioni gravi, precise e concordanti, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più di uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (per tali considerazioni si vedano, tra le più recenti, Cassazione civile, sez. II, 10 aprile 2013, n. 8781; Cassazione civile, sez. trib.,15 febbraio 2013, n. 3777). A questo punto, occorre portare l’attenzione sull’ampiezza delle valutazioni che sono rimesse al giudice in sede di apprezzamento degli indizi dedotti dalla parte danneggiata. In particolare, trattandosi di stabilire, mediante un giudizio ipotetico, se ed in che misura si sarebbe incrementata la sfera giuridica del ricorrente in caso di legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante e, quindi, di aggiudicazione in suo favore del contratto, ne consegue che il giudice deve esaminare il contenuto complessivo dell’offerta del ricorrente, così da stabilire, in base alla sua concreta consistenza, quale pregiudizio egli abbia verosimilmente sofferto. Il Consorzio Pedelombarda 2 deduce, come prima voce di danno, la mancata percezione dell’utile che avrebbe conseguito mediante l’esecuzione del contratto; il ricorrente si limita ad indicare nella percentuale del 10% del valore dell’appalto, ossia in 230.000.000,00 di Euro, il danno da mancata percezione dell’utile. Tale prospettazione non può essere condivisa. In primo luogo, va evidenziato che dalla documentazione prodotta e dal contenuto dell’offerta presentata dal Consorzio Pedelombarda 2 non emerge una quantificazione dell’utile nella misura appena indicata, che non è supportata da specifiche risultanze documentali. Ne consegue che il riferimento al parametro del 10% esprime la richiesta di applicazione di un criterio equitativo, ma su tale richiesta di applicazione automatica non è possibile convenire. Come è noto, il criterio equitativo del 10% è desunto in via analogica dall’art. 345 della legge n. 2248/1865, all. F, che, però, riguarda un’ipotesi del tutto diversa da quella in esame, perché attiene al caso del recesso “ad nutum” della stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto. Già questo profilo consente di evidenziare che il criterio forfettario ed automatico di liquidazione del danno, previsto da una norma speciale con riferimento ad un caso particolare, non è suscettibile di essere automaticamente applicato a fattispecie diverse da quella per la quale è espressamente contemplato. Inoltre, questo modo di procedere comporterebbe l’introduzione di una forma di indennizzo predeterminato, in contrasto con i principi in materia di prova del danno effettivamente subito (cfr. al riguardo Consiglio di Stato, sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317). Sul punto, merita condivisione la tesi giurisprudenziale secondo la quale la rigida applicazione del criterio del 10% conduce, almeno di regola, all’abnorme risultato per cui il risarcimento finisce per essere, per l’operatore economico danneggiato, più conveniente dell’impiego del capitale, perché gli consente di raggiungere un predeterminato risultato economico, senza sopportare in concreto il rischio di impresa. Inoltre, sul piano probatorio la rigida applicazione del criterio del 10% condurrebbe ad una distorsione del sistema, tale per cui il ricorrente non avrebbe più interesse a provare in modo puntuale il danno subito, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto potrebbe conseguire mediante la liquidazione forfettaria fondata sul parametro del 10% (sul punto, T.A.R. Roma Lazio, sez. III, 05 marzo 2013, n. 2358; Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144). Ne discende che il richiamato criterio del 10% non si presta ad un’applicazione automatica, ma integra solo un parametro di riferimento, che può essere utilizzato come punto di partenza per l’individuazione, nel quadro della liquidazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., della percentuale di utile che l’operatore economico danneggiato avrebbe verosimilmente conseguito se fosse risultato aggiudicatario e se avesse concretamente eseguito il contratto. Ciò trova conferma testuale nell’art. 124 c.p.a., ove si prevede che, in assenza di dichiarazione di inefficacia del contratto, spetta il risarcimento per equivalente del danno subito, a condizione, tuttavia, che lo stesso sia anche “provato”, fermo restando quanto già evidenziato in ordine alla rilevanza del meccanismo induttivo fondato su presunzioni semplici. Si badi, le considerazioni sinora svolte non conducono a respingere la domanda risarcitoria in esame in ragione del mancato assolvimento dell’onere della prova, in quanto il Consorzio ricorrente ha, comunque, dedotto una specifica voce di danno ed ha indicato un parametro, ritenuto di comune esperienza, tale da condurre alla quantificazione del particolare pregiudizio. Il problema è che il criterio indicato non si presta ad un applicazione automatica, sicché occorre verificare se, in base alla documentazione acquisita al giudizio, sia possibile una quantificazione del danno da mancato conseguimento dell’utile aderente alla fattispecie concreta. Sul punto va rammentato che nel giudizio risarcitorio, che ha ad oggetto, pur se proposto davanti al giudice amministrativo, l’accertamento della pretesa al risarcimento in conseguenza di un illecito extracontrattuale e la conseguente condanna del danneggiante, trova applicazione il principio di acquisizione dei mezzi di prova, formulato in relazione alle azioni esperibili nel processo civile. E’ pacifico che il principio relativo alla distribuzione dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nell’ordinamento processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro (cfr. Cassazione civile, sez. III, 30 gennaio 2012, n. 1303; Cassazione civile, sez. III, 26 febbraio 2013, n. 4806; Cassazione civile, sez. III, 19 gennaio 2010, n. 739). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 41 6.3.2) Si tratta ora di verificare quali siano, nel caso di specie, gli elementi indiziari idonei a consentire una determinazione dell’utile prossima, secondo criteri di verosimiglianza, a quello che il ricorrente avrebbe conseguito in caso di aggiudicazione in suo favore, pur muovendo dal criterio del 10%, da utilizzare come parametro generale di riferimento. L’operare del meccanismo presuntivo comporta che spetti al giudice verificare, sulla base di tutti i dati acquisiti, se l’ipotesi risarcitoria addotta dal ricorrente trovi riscontro nelle risultanze fattuali, ossia negli indizi rilevanti ai fini della determinazione del danno; ciò perché la prova presuntiva – presumptio hominis e non iuris - consiste nella conseguenza che il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato, tanto che l’art. 2729 c.c. rimette espressamente le presunzioni semplici “alla prudenza del giudice”, precisando che non qualunque fatto dotato di forza indiziaria si presta a supportare la prova indiretta, poiché possono assumere rilevanza solo indizi che, univocamente e concordemente, conducono ad un preciso risultato probatorio, posto che le presunzioni ammissibili sono solo quelle gravi, precise e concordanti. Il risultato probatorio cui tende il ricorrente è la dimostrazione di un particolare valore economico, ossia l’utile atteso dall’esecuzione del contratto, che integra una voce di lucro cessante e che dipende da una pluralità di fattori, connessi al concreto contenuto dell’offerta presentata. Esiste, però, un dato economico che esprime con immediatezza il tipo di strategia imprenditoriale approntata dal concorrente per conseguire l’aggiudicazione e che si lega in modo diretto all’utile atteso. Il riferimento va all’ammontare dell’offerta economica, in quanto risponde a criteri di ragionevolezza e al parametro dell’id quod plerumque accidit la circostanza che, a fronte di un’offerta economica, che, pur senza superare la soglia di anomalia, si presenti come fortemente competitiva, l’utile concretamente atteso si riduce e ciò è espressione di una precisa scelta imprenditoriale, diretta a limitare il profitto, attraverso un’offerta economica bassa, pur di conseguire l’appalto e di eseguirlo. Scelta del tutto coerente con criteri di corretta gestione aziendale, perché i vantaggi derivanti dall’esecuzione di un contratto assegnato dall’amministrazione sono molteplici e riferibili non solo all’utile sperato, ma anche al consolidamento della presenza dell’impresa in un determinato mercato, alla possibilità di accedere a nuovi settori di attività, magari di rilevanza internazionale, all’incremento della qualificazione, al miglioramento del proprio avviamento, nonché alla possibilità di accrescere la propria immagine di operatore capace di eseguire opere e servizi di particolare complessità, qualitativa e quantitativa. Seppure la perdita di questi vantaggi – salvo quanto si dirà in seguito sulla domanda di danno curriculare – abbia comportato un pregiudizio economico, questo non è risarcibile in mancanza di specifica pretesa. Su tali voci non vi è stata domanda risarcitoria, né viene proposta una quantificazione del danno patrimoniale in ipotesi subito. Sotto altro profilo, va precisato che concentrare l’attenzione sul concreto ammontare dell’offerta economica non comporta una lesione dell’autonomia delle scelte imprenditoriali, espressive della libertà negoziale dell’operatore economico danneggiato, perché non si traduce in un’alterazione dell’offerta presentata, ma nella sua analisi concreta, in sede di esame della domanda risarcitoria, con lo scopo di accertare la consistenza della voce di danno costituita dall’utile atteso. In proposito, assume rilevanza la consolidata giurisprudenza in tema di valutazione di anomalia dell’offerta. La dominante interpretazione giurisprudenziale riconosce che, in sede di apprezzamento dell’offerta anomala, così come in sede di giudizio di congruità dell’offerta non eccedente la soglia di anomalia, il concorrente sottoposto a valutazione non può fornire giustificazioni tali da integrare un’operazione di “finanza creativa”, modificando, in aumento o in diminuzione, le voci di costo e mantenendo fermo l’importo finale; nondimeno, ciò non esclude che l’offerta possa essere modificata in taluni suoi elementi, compresi, in particolare, quelli relativi all’utile atteso, che può essere ridotto. Resta fermo il principio per cui in un appalto l’offerta, una volta presentata, non è suscettibile di modificazione - pena la violazione della par condicio tra i concorrenti – ma ciò non toglie che, siccome l’obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, allora anche il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano a favore, sia di quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme. Di conseguenza, si ritiene possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci sono state inizialmente sopravvalutate e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci (cfr. al riguardo: Consiglio di Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146). In particolare, la giurisprudenza ritiene coerenti con lo scopo del giudizio di anomalia e con il rispetto dei principi di parità di trattamento e divieto di discriminazione: a) una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni eventualmente già fornite), lasciando però le voci di costo invariate; b) un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento in sopravvenienze di fatto o normative, che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili. Il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta “in itinere”, ma mira a verificare la serietà di un’offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (in tal senso: Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo 2009, n. 1451). Quello che non si può consentire è che in sede di giustificazioni vengano apoditticamente rimodulate le voci di costo senza alcuna motivazione, con un’operazione di “finanza creativa”, priva di pezze d’appoggio, al solo scopo di “far quadrare i conti”, ossia di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo (così espressamente, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636). Ecco allora che, nei limiti della ragionevolezza, emergente da dati variabili, tra i quali vanno annoverati anche quelli rappresentati dalla complessità dell’appalto, dal valore del medesimo, dal numero delle voci oggetto di rilievo e giustificazioni, non vi sono limitazioni prefissate al potere di verifica della stazione appaltante, né è escluso che si possa procedere in sede di verifica di anomalia ad un limitato rimaneggiamento degli elementi dell’offerta, purché la proposta contrattuale non venga modificata o alterata ( cfr. tra le altre Consiglio Stato, sez. VI, 7 marzo 2008, n. 1007). Nel contesto di tale operazione si ammette pacificamente che l’impresa possa intervenire riducendo l’utile esposto, a condizione che tale voce non risulti del tutto azzerata, perché ciò che importa è che l’offerta rimanga nel complesso seria (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206; Consiglio di Stato, sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676). Insomma, nel contesto della valutazione dell’anomalia o, comunque, della congruità dell’offerta, la giurisprudenza consolidata ritiene che essa sia seria anche laddove l’utile d’impresa si riduca, purché non risulti del tutto azzerato, ciò perché non può essere fissata a priori, ai fini del giudizio di anomalia, una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi, invece, avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale nel suo insieme. Risulta, pertanto, in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, ove si tenga conto, come già evidenziato, delle ricadute positive in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum conseguibili dall’operatore economico in forza dell’aggiudicazione e dell’esecuzione del contratto (cfr. T.A.R. Napoli Campania, sez. I, 10 settembre 2013, n. 4212; T.A.R. Firenze Toscana, sez. I, 09 maggio 2013, n. 742; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206; Consiglio Stato, sez. VI, 16 gennaio 2009, n. 215). E’ pacifico che simili interventi sull’offerta non intaccano in modo lesivo le scelte gestionali del concorrente, perché si lascia ferma l’offerta complessiva, ma, al fine di consentirne la permanenza in gara, si ammette che una voce di costo possa essere recuperata attraverso la riduzione dell’utile, purché lo si mantenga su una percentuale sufficientemente remunerativa. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 43 Insomma, l’utile previsto si rivela una voce elastica dell’offerta, nei limiti della ragionevolezza, perché si presta ad adattamenti funzionali all’equilibrio dell’offerta complessiva, di modo che una voce sbilanciata può essere recuperata incidendo sull’utile, senza alterare la serietà dell’offerta complessiva. Esigenze di coerenza e di razionalità conducono a ritenere che la relazione tra l’utile e le altre voci dell’offerta non possa essere configurata in modo univoco, ossia solo al fine di mantenere in equilibrio l’offerta in sede di giudizio di anomalia, ma debba essere valutata anche al fine di stabilire, in sede di valutazione della domanda risarcitoria, la verosimile percentuale di utile conseguibile dal concorrente. Così come una voce di costo anormalmente bassa, o comunque incongrua, può essere recuperata attraverso la riduzione dell’utile, perché è verosimile che l’impresa accetti una contrazione dell’utile pur di coprire un costo esposto in modo eccessivamente basso, così da rimanere in gara, allo stesso modo è verosimile che un’offerta economica particolarmente bassa, tale da far conseguire al concorrente un punteggio elevato e da collocarlo ai vertici della graduatoria, sia ragionevolmente sostenibile dall’offerente solo attraverso l’accettazione di una riduzione dell’utile effettivamente atteso, a prescindere dall’utile eventualmente esposto nell’offerta. Si tratta di passare, ai soli fini della decisione sulla domanda risarcitoria, dall’analisi astratta dell’offerta, all’esame concreto delle voci che la compongono, posto che il risarcimento deve ristorare tutto il danno effettivamente subito, ma non può eccederlo, perché non può tradursi in uno strumento di arricchimento. Ne discende che il danno consistente nella perdita dell’utile, non direttamente provato nel suo concreto ammontare dal danneggiato, ma ricostruito in via presuntiva, sulla base di criteri di verosimiglianza, deve essere quantificato dal giudice verificando se l’ipotesi formulata dal ricorrente sia coerente con il contenuto dell’offerta economica, la quale, in ragione del suo ammontare, assurge ad indizio dell’effettiva aderenza della perdita lamentata al valore dell’utile concretamente conseguibile. A ben vedere, si tratta di fare applicazione delle regole sottese all’ordinario meccanismo induttivo che fonda le presunzioni rimesse all’apprezzamento del giudice, il quale deve vagliare le allegazioni formulate dalla parte, confrontarle con i fatti rilevanti in concreto e, all’esito di tale operazione, portare a conclusione il ragionamento induttivo, individuando il ragionevole ammontare dell’utile effettivamente conseguibile e, quindi, il danno correlato alla sua mancata percezione. Nella fattispecie in esame, il riferimento al contenuto dell’offerta economica del ricorrente conduce, in coerenza con i criteri sinora esaminati, ad escludere che l’utile concretamente atteso sia pari al 10% del valore dell’offerta. Invero, per l’esecuzione dei lavori, il Consorzio ricorrente ha offerto un prezzo pari a 1.437.094.804,14 euro, corrispondente ad un ribasso del 32% sull’importo a base d’asta fissato in 2.132.188.136,70 euro, mentre per i servizi di progettazione ha offerto il prezzo di 26.529.619,82 euro rispetto all’importo a base d’asta di 39.361.453,74 euro. Si tratta di ribassi particolarmente marcati, tanto che il Consorzio ricorrente ha ottenuto il massimo punteggio previsto dal bando per l’offerta economica, pari a 50 punti, mentre l’Ati aggiudicataria ha ottenuto, in ragione del più elevato ammontare della propria offerta economica, solo 38,864 punti. Insomma, tra l’offerta economica del primo e del secondo classificato vi è un divario di circa 12 punti e complessivamente l’offerta aggiudicataria comporta una maggiore spesa per la stazione appaltante di circa 120 milioni di euro. Si tratta di un dato dal quale non si può prescindere nel valutare la verosimiglianza della quantificazione del danno da mancata percezione dell’utile effettuata dal Consorzio Pedelombarda 2. La presentazione di un’offerta connotata da un ribasso così marcato, non solo in valore percentuale, ma anche in valore assoluto – determinando un minor costo complessivo di circa 120.000.000,00 di euro – sottende una scelta imprenditoriale tesa a far prevalere l’obiettivo del conseguimento dell’aggiudicazione su quello della massimizzazione dell’utile. Il dato economico appena evidenziato conduce, secondo i criteri di verosimiglianza di cui si è già trattato in ordine alla correlazione logica e fattuale tra l’entità dell’offerta economica e l’utile atteso, a ritenere non ragionevole il risultato cui giunge il ricorrente in sede di quantificazione del danno da mancata percezione dell’utile. In particolare, corrisponde all’id quod plerumque accidit la circostanza che un’offerta economica connotata da un ribasso così elevato, come quello esposto dal ricorrente, sia sostenibile, nell’ottica della serietà dell’offerta – qui apprezzata solo ai fini della decisione della domanda risarcitoria, ossia in funzione dell’accertamento della pretesa vantata, da compiere sulla base di una piena cognizione dei fatti sui quali essa si fonda – solo attraverso una riduzione dell’utile concretamente atteso. In astratto è ipotizzabile che sulla consistenza dell’offerta economica abbiano inciso anche altri fattori, come una diminuzione dei costi relativi alla realizzazione dell’opera, nondimeno tale dato non vale ad inficiare il ragionamento presuntivo suindicato, perché risponde a normalità che un ribasso particolarmente significativo sottenda un’erosione dell’utile, fermo restando che nessuna spiegazione è stata fornita sul punto dal ricorrente, che si è limitato a sottolineare la spiccata onerosità che l’offerta aggiudicataria presenta per la stazione appaltante. Al contrario, proprio l’ordinaria applicazione della regola della distribuzione dell’onere della prova fa si che incomba sul danneggiato la dimostrazione, precisa e puntuale, di fatti idonei a superare lo schema presuntivo delineato; nondimeno, le deduzioni del ricorrente nulla evidenziano sul punto. Ecco, allora, che, in considerazione dell’entità del ribasso offerto, l’utile ragionevolmente conseguibile dalla seconda classificata non può eccedere la soglia equitativa del 5% del valore dell’offerta. Sempre in un’ottica di determinazione presuntiva del danno da mancata percezione dell’utile, occorre portare l’attenzione su un ulteriore dato di comune esperienza. L’attività dell’appaltatore è evidentemente sottoposta al rischio di impresa ed è normale che l’imprenditore tenga conto di tale dato in sede di quantificazione dell’offerta economica. Nondimeno, quando l’esecuzione del contratto comporta lo svolgimento di attività particolarmente complesse, come nel caso di specie, è ragionevole ritenere che le previsioni in ordine al rischio di impresa non possano essere adeguatamente dettagliate, sicché tale rischio non può essere concretamente assorbito dal valore dell’offerta economica. Tale circostanza si verifica nel caso in esame, che è connotato dall’esecuzione di opere e di servizi di progettazione, entrambi di spiccata complessità, in ragione della natura, delle dimensioni e delle difficoltà tecniche dei lavori da eseguire, nonché della loro incidenza su aree fortemente antropizzate. Ciò nonostante, il ricorrente ha presentato un’offerta economica significativamente ribassata e particolarmente vantaggiosa per la stazione appaltante, tanto da meritare il massimo dei punti conseguibili; offerta che, pertanto, non risulta tale da realizzare un’adeguata copertura del rischio di impresa verosimilmente sopportato dall’appaltatore. Tale dato conduce ad evidenziare, secondo criteri di verosimiglianza e di normale relazione causale tra accadimenti, che il rischio di impresa finisce col gravare sull’utile atteso, nel senso che, pur di presentare un’offerta economica “aggressiva”, il Consorzio Pedelombarda 2 ha limitato l’assorbimento in essa del rischio di impresa prevedibile, il quale finisce col trasferirsi, dal punto di vista economico, sull’utile concretamente ritraibile dall’esecuzione del contratto. Esigenze di coerenza e di simmetria impongono di valorizzare tale trasferimento del rischio anche in sede di quantificazione del danno da mancata percezione dell’utile, perché quest’ultimo deve essere determinato, seppure in via presuntiva, mediante criteri aderenti alla realtà fattuale, che nel caso di specie esprime la tendenziale ricaduta del rischio di impresa sull’utile effettivamente conseguibile. Del resto, il ricorrente non ha fornito elementi che permettano di superare le considerazioni appena svolte. Sulla base di tali circostanze, il Tribunale ritiene che la percentuale di utile individuata nel 5% del valore dell’offerta debba essere, in sede di quantificazione equitativa del danno, ridotta di 1 punto percentuale, in ragione dell’elevato rischio di impresa concretamente sussistente nella fattispecie in esame, sicché il parametro di riferimento diventa del 4%. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 45 La determinazione equitativa del quantum risarcibile a titolo di mancata percezione dell’utile richiede un ulteriore passaggio. La giurisprudenza consolidata e meritevole di condivisione rileva che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest’ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori e servizi; pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l’“aliunde perceptum vel percipiendum”. Si tratta, in particolare, di fare applicazione del principio emergente dall’art. 1227 c.c., in forza del quale il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, principio ripreso ed ampliato nella sua concreta portata applicativa dall’art. 30 c.p.a., ove si stabilisce che il giudice nella determinazione del risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. Con riferimento alle gare di appalto l’operatore economico non aggiudicatario, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittorioso, non può mai nutrire la matematica certezza che gli verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative, compresa la possibilità per la stazione appaltante di decidere di non aggiudicare il contratto, ai sensi e nei limiti dell’art. 81 del d.l.vo 2006 n. 163, o di intervenire in autotutela sull’aggiudicazione già adottata. Ne consegue che non costituisce una condotta normalmente diligente quella consistente nella immobilizzazione di tutti i mezzi d’impresa nelle more del giudizio e in attesa dell’eventuale aggiudicazione in proprio favore, essendo, invece, ragionevole e coerente con criteri di corretta gestione aziendale che l’impresa si attivi per svolgere, nelle more, altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili (cfr. tra le più recenti si consideri Consiglio di Stato, sez. V, 03 settembre 2013, n. 4376). Insomma, l’imprenditore che partecipa ad una gara d’appalto e che ne contesta l’esito in sede giurisdizionale, pretendendo di ottenere l’aggiudicazione ed avanzando anche una domanda risarcitoria, è tenuto a rispettare il canone della diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176 c.c., canone la cui osservanza si può da lui pretendere, in quanto esercente professionalmente un’attività economica. E tale diligenza professionale si traduce nel dovere di attivarsi, in attesa dell’esito del giudizio, per svolgere altre attività, utilizzando le maestranze e i mezzi predisposti per l’appalto sub iudice e, quindi, procurandosi prestazioni contrattuali ulteriori dalle quali trarre utili, così da limitare le conseguenza dannose correlate alla mancata aggiudicazione della gara contestata. Si tratta di una presunzione di comportamento diligente che può essere superata solo dall’operatore interessato, il quale è tenuto a dimostrare di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, ossia la propria struttura aziendale. Nel caso di specie il danneggiato non ha dimostrato l’impossibilità di utilizzare diversamente gli strumenti d’impresa, sicché, in applicazione della presunzione appena indicata, si deve ritenere che egli abbia potuto utilizzare altrimenti il proprio complesso aziendale e ciò conduce, in sede di valutazione equitativa ad effettuare un’ulteriore decurtazione di 2 punti sulla percentuale del 4% come prima determinata. Ma ciò non basta, perché il caso in esame presenta peculiarità che inducono a decurtare ulteriormente la somma spettante a titolo di risarcimento per mancata percezione dell’utile sperato. Si è già evidenziato – e lo stesso ricorrente lo riconosce nella memoria depositata in data 4 maggio 2013 – che la gara in esame riguarda l’aggiudicazione di opere di rilevanza strategica, rispetto alle quali l’art. 124 c.p.a. esclude espressamente la possibilità per il giudice amministrativo, salve le ipotesi previste dall’art. 121 c.p.a., non dedotte e, comunque, non sussistenti nel caso di specie, di intervenire sull’efficacia del contratto, tanto che resta spazio solo per il ristoro mediante equivalente monetario. A fronte di tale situazione, non è ragionevole ritenere che il ricorrente, dopo che la stazione appaltante ha stipulato il contratto con la controinteressata, potesse riporre affidamento sulla possibilità di conseguire l’aggiudicazione e di eseguire il contratto, sicché è del tutto inverosimile che abbia paralizzato il complesso aziendale di cui dispone in attesa dell’esito del giudizio. Tale valutazione è rafforzata dalla considerazione dell’oggettiva complessità dell’appalto, che comprende lavori e servizi di particolare difficoltà, sia per le soluzioni tecniche richieste, sia per l’entità delle opere da realizzare. Ecco, allora, che risponde ad equità operare un’ulteriore decurtazione sulla percentuale prima indicata, riducendola di 1 ulteriore punto percentuale. Ne consegue che il valore percentuale da applicare per la determinazione del danno è pari all’ 1%. Quanto poi alla determinazione del valore cui applicare l’indicata percentuale non è condivisibile la tesi della ricorrente che pretende di riferirsi al prezzo posto a base di gara. Difatti, siccome il prezzo a base di gara è oggetto di ribasso, manca qualunque correlazione tra il suo ammontare e l’utile previsto, correlazione esistente, invece, tra il valore dell’offerta economica complessiva presentata dal danneggiato e l’utile che avrebbe verosimilmente conseguito in caso di aggiudicazione del contratto in suo favore e successiva esecuzione dell’appalto. Ne deriva che il quantum cui riferire il valore percentuale dell’ 1% non è il prezzo posto a base di gara, pari a circa 2.300.000.000,00 euro, ma l’importo concretamente offerto dal ricorrente, che nel caso di specie risulta pari alla somma tra 1.437.094.804,14 euro (offerta economica per i lavori) e 26.529.619,82 euro (offerta economica per i servizi), corrispondente a complessivi 1.463.624.423,96. 6.3.3) La parte ricorrente lamenta un’ulteriore voce di danno, individuandola nel pregiudizio curricolare, consistente nell’impossibilità di fare valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore del contratto non eseguito e il requisito di capacità tecnica relativo alla tipologia di lavori oggetto dell’appalto in esame. Tale danno viene quantificato nel 3% del valore dell’appalto, ossia in complessivi 69.000.000,00 di euro. In proposito, il Tribunale osserva che se è condivisibile la prospettazione dell’esistenza di un danno curriculare, al contrario non lo è la quantificazione cui perviene la parte ricorrente. Il c.d. danno curricolare si concretizza nella “perdita di qualificazione” risarcibile e per la sua esatta delimitazione occorre muovere da un considerazione già esposta: l’interesse all’aggiudicazione di un appalto pubblico, nella vita di un operatore economico, va oltre l’esecuzione dell’opera in sé e i relativi ricavi diretti, dato che alla mancata esecuzione di un’opera pubblica, illegittimamente negata dall’amministrazione, si ricollegano indiretti nocumenti all’immagine dell’operatore economico, al suo radicamento nel mercato, all’ampliamento della qualità industriale o commerciale dell’azienda, al suo avviamento, cui si può aggiungere la lesione al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell’indebito potenziamento dell’impresa concorrente, che opera sul medesimo ambito di mercato e che è stata dichiarata aggiudicataria della gara. Ne consegue che l’impresa ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto può rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al “curriculum professionale”, da intendersi come afferente anche alla qualificazione professionale, al di là dell’incremento degli eventuali specifici requisiti di qualificazione SOA e di partecipazione alle singole gare (in argomento si considerino, tra le altre: T.A.R. Roma Lazio, sez. III, 05 marzo 2013, n. 2358; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681). Tale voce di danno discende dall’impossibilità di utilizzare le referenze, derivanti dall’esecuzione dell’appalto sub iudice, nell’ambito di future gare cui il danneggiato potrebbe partecipare, tanto che la giurisprudenza ha pure evidenziato che il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 19 novembre 2012, n. 5846, che riflette un orientamento consolidato). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 47 Anche per la quantificazione di questa particolare voce di danno occorre tenere conto delle peculiarità del caso concreto, atteso che la determinazione in via equitativa del danno deve comunque tendere ad un risultato aderente alla specificità del singolo caso. E’ evidente che il danno curriculare, come sopra definito, varia da un operatore economico all’altro ed è, inoltre, correlato alle peculiarità della singola gara, nel senso che in presenza di una gara, che richieda ai partecipanti altissimi livelli di qualificazione, il danno curriculare si riduce necessariamente, perché l’eventuale aggiudicazione potrebbe aggiungere molto poco o addirittura nulla alla qualificazione già posseduta; viceversa, una gara che non richiede elevati profili di qualificazione si presta ad arricchire la sfera giuridica dell’aggiudicatario e, quindi, ad incrementare in concreto la sua capacità di partecipare ad altre procedure. In altre parole, se il danno curriculare è il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale, per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto, allora è ragionevole ritenere che tale danno si riduca al crescere del livello di qualificazione già posseduto dall’impresa, perché quanto più essa è qualificata, tanto meno la singola gara potrà accrescere la fama, il prestigio e la qualificazione di cui essa già gode (in argomento Consiglio di Stato, sez. III, 07 marzo 2013, n. 1381). Quest’ultima situazione si verifica nel caso concreto, che si riferisce ad una gara per l’aggiudicazione di un appalto di notevole complessità, avente ad oggetto lavori e servizi di progettazione, per la realizzazione di opere che, per difficoltà tecnica, estensione e costi, sono di non comune realizzazione. Tant’è vero che il bando di gara, al paragrafo III.2.3, richiede ai concorrenti il possesso di una cifra d’affari non inferiore a 6.781.915.638,78 di euro, pari a triplo dell’importo posto a base di gara. E’ evidente che la qualificazione per partecipare ad una simile gara può essere posseduta solo da operatori, singoli o associati, che già si collocano al vertice della qualificazione nel particolare settore di attività, sicché l’aggiudicazione dell’appalto in esame non presenta una particolare capacità di arricchirne il curriculum. Insomma, è del tutto ragionevole e coerente con l’oggetto del contratto da aggiudicare, ritenere che la mancata aggiudicazione abbia inciso in modo estremamente limitato sulla qualificazione della ricorrente, sicché il pregiudizio curricolare sfuma e il Tribunale ritiene coerente con criteri equitativi di quantificazione determinarlo nella percentuale dello 0,5% dell’offerta presentata dal ricorrente. Del resto, né le deduzioni sviluppate da Consorzio Pedelombarda 2, né gli elementi addotti a supporto della domanda risarcitoria valgono a superare le considerazioni appena svolte. 6.3.3) In definitiva, il danno subito dalla ricorrente, a titolo di mancato conseguimento dell’utile derivante dall’esecuzione del contratto e di pregiudizio curriculare, deve essere quantificato applicando la percentuale complessiva dell’1,5% all’importo offerto dal ricorrente e pari a complessivi euro 1.463.624.423,96. Ne consegue che la stazione appaltante deve essere condannata a risarcire al ricorrente la somma di euro 21.954.366,35, da intendersi come calcolata con riferimento ai valori attuali, ossia tenendo conto della svalutazione intervenuta nel periodo di riferimento. Sulla somma così determinata ai valori attuali e con riferimento al periodo decorrente dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione e sino al deposito della presenta sentenza non spettano gli interessi compensativi, quale criterio equitativo di liquidazione del pregiudizio subito dal creditore per il ritardo nell’utilizzazione dell’equivalente monetario, atteso che diversamente si determinerebbe un ingiusto arricchimento, facendo conseguire al ricorrente più di quanto avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto, ciò in ragione delle voci di danno di cui è stato chiesto il ristoro (cfr. in argomento T.A.R. Napoli Campania, sez. VIII, 19 dicembre 2012, n. 5254). Viceversa, considerato che con la liquidazione giudiziale il debito di valore si trasforma in debito di valuta, sulla somma sopra individuata devono essere corrisposti gli interessi nella misura legale, con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettiva soddisfazione del credito risarcitorio. 6.4) In definitiva, il primo ricorso incidentale deve essere respinto, mentre il secondo ricorso incidentale deve essere dichiarato in parte infondato e in parte inammissibile; inammissibilità che caratterizza anche i motivi aggiunti proposti rispetto al secondo ricorso incidentale. Viceversa, il ricorso principale deve essere respinto, mentre deve essere accolto il primo ricorso per motivi aggiunti presentato dal ricorrente e nei limiti di quanto esposto in motivazione. Deve essere dichiarata inammissibile la domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del contratto, mentre la domanda risarcitoria deve essere parzialmente accolta, nei limiti del ristoro per equivalente pecuniario, secondo quanto indicato in motivazione. 7) Dall’esame dei ricorsi proposti è emerso che la stazione appaltante ha aggiudicato l’appalto in esame, relativo a lavori e servizi per un importo particolarmente ingente, atteso che il prezzo complessivo posto a base di gara ammonta a circa 2.300.000.000,00 di euro, ad un concorrente la cui offerta, secondo quanto emerge dall’analisi compiuta dal CTU, reca modificazioni sostanziali al progetto posto a base di gara, in palese violazione della lex specialis, che non consente l’introduzione di varianti in senso proprio. Inoltre, l’offerta risultata illegittimamente aggiudicataria si caratterizza per un’evidente maggiore onerosità per la stazione appaltante, rispetto a quella presentata dalla seconda classificata, perché eccede quest’ultima di circa 120.000.000,00 di euro. Tali profili, correlati poi all’accertata responsabilità risarcitoria della stazione appaltante nei confronti del Consorzio ricorrente, secondo classificato, rendono doveroso disporre la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano, per quanto di eventuale competenza. Le medesime ragioni inducono a disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, per quanto di eventuale competenza. 8) Ai sensi degli artt. 66, comma 4 e 67, comma 5, c.p.a. deve essere liquidato il compenso al Consulente tecnico d’ufficio, prof. Carmelo Majorana dell’Università degli Studi di Padova, il quale ha presentato una dettagliata nota di liquidazione di 41.904,00 euro per onorari e 2.293,00 euro per spese oltre IVA e Cassa. Il Tribunale reputa congruo l’importo richiesto, in considerazione dell’impegno profuso dal consulente tecnico, della complessità dell’oggetto della consulenza, nonché dell’ampiezza ed esaustività della relazione prodotta, in cui si dà anche ampio riscontro del contraddittorio svolto con i consulenti tecnici di parte, le cui prospettazioni sono state diffusamente illustrate nella relazione conclusiva. Il compenso del Consulente tecnico deve essere posto a carico sia della stazione appaltante, sia dell’Ati controinteressata, in solido tra loro e in parti uguali. In relazione alle spese, il Tribunale ritiene che, salvo quanto appena indicato in ordine al compenso spettante al consulente tecnico, la spiccata complessità fattuale e giuridica della controversia conduca a compensare tra le parti le spese della lite.. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando: 1) respinge il ricorso incidentale, depositato in data 18 novembre 2011; 2) dichiara inammissibile il ricorso incidentale depositato in data 26 gennaio 2012, nonché il successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 6 febbraio 2012; 3) respinge il ricorso principale, depositato in data 13 ottobre 2011; 4) accoglie in parte i ricorsi per motivi aggiunti, depositati dal ricorrente principale in data 29 dicembre 2011 e in data 08 febbraio 2012, secondo quanto esposto in motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento di aggiudicazione definitiva adottato in favore della parte controinteressata; 5) respinge la domanda diretta alla dichiarazione di inefficacia del contratto; 6) accoglie la domanda risarcitoria, per equivalente pecuniario, proposta dal ricorrente principale e per l’effetto condanna la stazione appaltante al pagamento della somma di euro 21.954.366,35 sulla quale dovranno essere corrisposti gli interessi al saggio legale, con FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 49 decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettiva soddisfazione del credito risarcitorio. 7) condanna la stazione appaltante e la parte controinteressata, in solido tra loro e in parti uguali, al pagamento del compenso spettante al C.T.U., prof. Carmelo Majorana dell’Università degli Studi di Padova, liquidato in complessivi euro 44.197,00 oltre IVA e Cassa pari alla somma tra i valori di 41.904,00 euro per onorari e di 2.293,00 euro per spese; 8) compensa, per il resto, le spese della lite; 9) dispone la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, per quanto di eventuale competenza. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati: Adriano Leo, Presidente Silvana Bini, Consigliere Fabrizio Fornataro, Primo Referendario, Estensore Tribunale amministrativo regionale Lombardia Brescia Sez. I *9 dicembre 2013 n. 1102 Pres. Mosconi Est. Gambato Spisani F. Srl (avv. Luppi) Comune di Sirmione . (avv. Bertuzzi, Sina, Cominassi) [6972/12] Pubblica amministrazione (P.A.) - In genere - Principio di proporzionalità - Origine Ordinamento europeo - Contenuto - È quello di realizzare lo scopo prefissato senza eccedere nei mezzi necessari per raggiungerlo. [6972/12] Pubblica amministrazione (P.A.) - In genere - Principio di proporzionalità - Diritto degli esercizi di somministrazione di vendere i loro prodotti per asporto - È costituzionalmente garantito - Limitazioni - Sono possibili ai sensi dell’art. 41 della Costituzione. Art. 41 Cost [6972/12] Pubblica amministrazione (P.A.) - In genere - Divieto di consumare alimenti in centro storico - Inadeguatezza della misura - Interessi in conflitto - Valore afferente all’esercizio dell’impresa raffrontato al generico decoro urbano - Prevalenza del primo. Il principio di proporzionalità e adeguatezza del potere amministrativo discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza Corte UE 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite, che l’intervento pubblico debba essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo. Ai sensi dell’art. 9 comma 14, l. rg. Lombardia n. 30 del 2003 per tempo vigente (ora riprodotto dall’art. 69 comma 14, l. rg. n. 6 del 2010) gli esercizi di somministrazione hanno un diritto, non subordinato dalla norma a limiti o prescrizioni, di vendere, se credano, per asporto i loro prodotti, diritto che pertanto potrà limitarsi, se del caso, in base a norme generali, in sé non escluse dall’art. 41 Cost. La norma del regolamento di polizia urbana che, nel centro storico, vieta la consumazione di alimenti, cibi precotti o pasti preparati e frutta, eccetto gelati e granite, si concreta in una misura inadeguata: a fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza della propria impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed europea, è posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro urbano, ed è oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati, tenuto conto che tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da quello volto ad evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali. Brescia 1102 Omissis 1. Il ricorso principale è fondato e va accolto, nei termini di che appresso. 2. Di tale ricorso, è infondato il primo motivo. L’atto generale infatti, per ragioni logiche prima che giuridiche non perde il suo carattere, per cui esso si rivolge a destinatari non determinati e non determinabili a priori, per il fatto che alcuni di essi, o anche tutti costoro, siano in concreto individuabili; esso infatti non per questo cessa di applicarsi comunque a tutti i soggetti che si trovino in una data situazione: il principio è stato affermato anche ai massimi livelli da Tribunale UE 10 aprile 2008 T-233/04 Commissione c. Regno di Olanda. 3. Nel caso concreto, era ed è sicuramente possibile individuare, in un centro urbano di modeste dimensioni come Sirmione, tutti i rivenditori in concreto toccati dall’atto impugnato; ciò non toglie però che esso sia atto generale, perché formulato in modo da disciplinare tutti coloro i quali in quella zona intendessero vendere alimenti per asporto; l’atto in questione quindi per essere validamente emanato non necessitava del preavviso di cui all’art. 7 l. 241/1990, come sancisce l’art. 13 comma 1 della stessa legge. 4. Parimenti infondato il secondo motivo, che muove da un presupposto errato: l’ordinanza impugnata, a prescindere dai suoi possibili effetti concreti, non è atto che incide sul regime della licenza di cui è titolare il ricorrente, ma solo sulle condizioni igieniche richieste per esercitare la relativa attività; non necessita dunque delle relative formalità procedimentali. 5. E’invece fondato il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza nell’esercizio del potere amministrativo. Come è noto, tale FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 51 principio discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza Corte UE 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite, che l’intervento pubblico debba essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo. Con formulazioni sostanzialmente identiche, la giurisprudenza nazionale, per tutte C.d.S. sez. V 14 aprile 2006 n°2087, ma conforme, ad esempio, è anche TAR Lazio Roma 12 luglio 2006 n°10485, afferma poi che il principio di proporzionalità e adeguatezza “obbliga la pubblica amministrazione ad adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti. 6. Tale principio è stato applicato in particolare a fattispecie analoghe a quella per cui è causa, relativi a misure limitative in senso ampio, come le restrizioni al traffico automobilistico, che C.d.S. sez. V 11 dicembre 2007 n°6383 considera legittime solo ove non eccessivamente gravose, e i vincoli per servitù militari, che TAR Puglia Lecce 6 luglio 2006 n°3841 ammette solo ove si dimostri la necessità nell’interesse della difesa nazionale della specifica limitazione adottata. 7. Applicando tali principi al caso di specie, si deve allora partire da un duplice dato normativo. In primo luogo, vi è la norma di legge ricordata dalla ricorrente, ovvero l’art. 9 comma 14 della l.r. Lombardia 30/2003, vigente all’epoca dei fatti ed ora riprodotto dall’art. 69 comma 14 della l.r. Lombardia 6/ 2010 n°6, per cui gli esercizi di somministrazione hanno un diritto, non subordinato dalla norma a limiti o prescrizioni, di vendere, se credano, per asporto i loro prodotti, diritto che pertanto potrà limitarsi, se del caso, in base a norme generali, in sé non escluse dall’art. 41 Cost. 8. Nel Comune di Sirmione, è vigente il già ricordato art. 19 del regolamento di polizia urbana, che come si è visto consente di dettare prescrizioni per le modalità di confezionamento per la vendita degli alimenti suddetti e per il loro consumo in area pubblica. Si tratta di norma non di per sé contraria a legge, anche tenuto conto del sopravvenuto art. 1 del d.l. 1/2012. Nessuno dubita infatti della compatibilità con la legge, e con le fonti di rango superiore, ovvero con la Costituzione e con il Trattato UE, di misure in concreto adeguate. Si fa il classico esempio dell’ordinanza regolarmente riadottata ad ogni stagione estiva, che impone ai cocomerai di adottare le misure necessarie perché il loro prodotto non sia contaminato dalle mosche, a protezione della salute dei consumatori. 9. Nel caso concreto, peraltro, l’adeguatezza della misura non sussiste, in primo luogo a livello di interessi coinvolti. A fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza della propria impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed europea, è posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro urbano, ed è oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati. Si noti poi che tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da quello volto ad evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali. 10. In termini di decoro urbano, allora, la semplice vista di persone le quali consumino in luogo pubblico alimenti -oltretutto, nella prospettazione del Comune intimato, solo se diversi da gelati e granite- può ben essere intesa, secondo un giudizio in sé del tutto rispettabile, come turbativa del gusto estetico, anche dato per scontato che non si traduca in abbandono dei rifiuti relativi, ma non pare che tale giudizio sia universalmente condiviso, in modo da giustificare un intervento radicalmente proibitivo, rivolto sia ai consumatori, col divieto di consumo, sia ai legittimi rivenditori con l’imposizione di modalità speciali di vendita non richieste dall’igiene. 11. In particolare sull’ultimo punto, l’ordinanza impone ai rivenditori un onere sicuramente non lieve, costituito dal confezionamento particolare –con scritta multilingue di divieto- e dalla sigillatura, tale all’evidenza da scoraggiare in modo significativo l’acquisto del prodotto. E’evidente infatti che il consumatore, il quale si veda in fatto proibire di gustare la specialità preferita come fragrante e appena preparata, si orienterà ad acquistare altrove, con pregiudizio del giro di affari di un rivenditore che la stessa amministrazione ha in precedenza autorizzato. L’ordinanza va pertanto annullata. 12. Le considerazioni appena svolte portano invece a respingere il ricorso per motivi aggiunti, dato che, come si è visto, il potere di disciplina di cui all’art. 19 del Regolamento non integra una previsione di per sé illegittima. 13. La parziale soccombenza è giusto motivo per compensare le spese. Omissis FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 53 Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 4 dicembre 2013 n. 1467 Pres. Pupilella Est. Ponte C.P. e altro (avv. Pellerano, Quaglia) Comune di Bordighera . (avv. Piciocchi) [3972/12] Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere e resistere — edilizia - Diniego di sanatoria Estinzione - Ordine demolitorio - Permane. [2964/12] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali: sanzione amministrativa - Ordinanza demolitoria - Istanza di sanatoria - Successiva - Rideterminazione - Necessità - Individuazione. [2964/60] Edilizia e urbanistica - Concessione edilizia e licenza di abitabilità (ora permesso di costruire) - Sanatoria - Ulteriori lavori - Ammissibilità - Esclusione. [2964/12] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali: sanzione amministrativa - Ordinanza demolitoria - Istanza di sanatoria - Rigetto - Conseguenze Garanzie partecipative ulteriori - Esclusione. [2964/1392] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali Diffida a demolire - Inottemperanza - Conseguenze - Acquisizione gratuita - Natura dichiarativa. Pur in caso di estinzione del giudizio di impugnazione del diniego di sanatoria, l’ordine sanzionatorio edilizio del medesimo intervento abusivo è autonomamente lesivo e conseguentemente autonomamente impugnabile dal soggetto passivo per vizi autonomi e propri. La precedente ordinanza sanzionatoria edilizia recante ingiunzione a demolire è superata dall’iter di sanatoria successivamente avviato dal soggetto passivo all’esito del quale infatti (in linea generale) fa sempre comunque capo all’amministrazione comunale la rideterminazione quantomeno circa la decorrenza dell’elemento essenziale del termine entro il quale eseguire. La sanabilità degli abusi edilizi è ammessa soltanto entro i limiti delineati dal legislatore, in termini di accertamento di conformità, senza alcuna estensione discrezionale da parte della P.A., per cui sarebbe illegittimo un provvedimento di sanatoria che, al fine di rendere l’esistente conforme alle prescrizioni urbanistiche vigenti, preveda l’esecuzione di ulteriori lavori. L’ingiunzione di demolizione, emessa successivamente all’adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente consequenziale, nell’ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario. L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo, del sedime e della relativa area di pertinenza costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza alla ordinanza di ingiunzione della demolizione, ha natura meramente dichiarativa e non implica scelte di tipo discrezionale, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, una volta avveratisi i suddetti presupposti, non incombe alla P.A. un peculiare obbligo di motivazione in ordine alla misura della acquisizione. Ciò appare pienamente compatibile con gli obblighi esplicativi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 31 del testo unico edilizia in ordine al contenuto dell’ordinanza demolitoria. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 938 del 2005, proposto da: Putrino Caterina e Lai Luigi, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Alberto Quaglia, Rosa Pellerano, con domicilio eletto presso Mario Alberto Quaglia in Genova, via Roma 3/9; contro Comune di Bordighera, rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Piciocchi, con domicilio eletto presso Pietro Piciocchi in Genova, corso Torino, 30/18; per l’annullamento del provvvedimento del Comune di Bordighera prot. n. 9509 del 29.06.2005, avente ad oggetto ordinanza di demolizione opere edilizie abusive art. 31 del D.P.R. 380/2001, nonchè contro ogni altro atto presupposto, antecedente, conseguente o comunque connesso, ivi espressamente comprendendo il provvedimento prot. n. 8492 del 15.02.2005 contenente diniego di permesso di costruire in sanatoria Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bordighera; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO — Con il gravame introduttivo del giudizio l’odierna parte ricorrente, quali proprietari dell’immobile interessato e titolari dell’attività agricola ivi operante, impugnavano il provvedimento di cui in epigrafe, avente ad oggetto ordine di demolizione di opere abusive asseritamente realizzate in ampliamento di magazzino agricolo, successivo a precedente ordine seguito da istanza di sanatoria (la cui impugnativa, già proposta, è poi risultata perenta). Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, avverso l’atto impugnato parte ricorrente muoveva le seguenti censure: - illegittimità derivata dai vizi concernenti il diniego di sanatoria; - illegittimità propria per: violazione degli artt. 10 ss tu edilizia, 14 nta prg vigente e 19 reg edil, 9 l. 122\89, eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria, in quanto nel caso de quo si tratterebbe di parcheggio pertinenziale; violazione degli artt. 3 ss. l. 241\1990 per mancata comunicazione avvio procedimento; violazione degli artt. 31 ss tu cit., diversi profili di eccesso di potere, in ordine all’individuazione dell’area da acquisire in caso di inottemperanza. L’amministrazione intimata si costituiva in giudizio e, replicando punto per punto, chiedeva la declaratoria di inammissibilità e\o improcedibilità ed il rigetto del gravame. Con ordinanza n. 448\2005 veniva accolta la domanda di misura cautelare e quindi sospesa l’esecuzione del provvedimento. Alla pubblica udienza del 21\11\2013 la causa passava in decisione. Preliminarmente, appare prima facie destituita di fondamento l’eccezione di improcedibilità e\o inammissibilità dedotta dalla difesa comunale in ordine ad un presunto difetto di interesse a fronte della perenzione del giudizio proposto avverso il diniego di sanatoria. Infatti, tale esito comporta la mera improcedibilità, invero riconosciuta dalla stessa parte ricorrente, dei vizi di illegittimità derivata; diversamente, è principio noto e consolidato quello per cui l’ordine sanzionatorio edilizio è autonomamente lesivo e conseguentemente autonomamente impugnabile dal soggetto passivo per vizi autonomi e propri. Né alcun rilievo può assurgere la pregressa ingiunzione, superata dall’iter di sanatoria, all’esito del quale infatti (in linea generale) fa sempre comunque capo all’amministrazione comunale la rideterminazione quantomeno circa la decorrenza dell’elemento essenziale del termine entro il quale eseguire. Peraltro, nel caso de quo assume rilievo dirimente la circostanza, quale che sia la qualificazione degli effetti della perenzione del giudizio avverso l’esito della sanatoria, che l’amministrazione si è comunque rideterminata con l’adozione di un nuovo atto sanzionatorio, rispetto al quale si concentra il presente giudizio e la controversia fra le parti, oltreché l’interesse alla decisione. Nel merito, rispetto ai residui vizi propri, il ricorso appare prima facie destituito di fondamento sotto tutti e tre gli ordini di vizi dedotti. In primo luogo, relativamente alla presunta pertinenzialità e conseguente applicazione del regime di d.i.a., nel caso di specie risulta del tutto carente il presupposto dell’essere, il manufatto parcheggio, realizzato al di sotto del piano di campagna; né al riguardo può assumere rilievo il progredire della futura attività costruttiva di riempimento, trattandosi allo stato e pacificamente di attività abusiva. Nella prima direzione, costituisce presupposto pacifico del regime semplificato invocato il carattere interrato del parcheggio, assente nel FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 55 caso de quo, al pari dell’alternativo presupposto del trovarsi al piano terreno del fabbricato; infatti nella specie il manufatto in questione risulta magazzino esterno al fabbricato abitativo cui sarebbe da ricollegare l’invocata pertinenzialità. Nella seconda direzione, va ribadito il principio a mente del quale la sanabilità è ammessa soltanto entro i limiti delineati dal legislatore, senza alcuna estensione discrezionale da parte della p.a., per cui sarebbe illegittimo un provvedimento di sanatoria che, al fine di rendere l’esistente conforme alle prescrizioni urbanistiche vigenti, preveda l’esecuzione di ulteriori lavori (cfr. ad es. Tar Liguria n. 1377\2013); nella specie, se per un verso la non sanabilità non è più in discussione, a maggior ragione ulteriori opere future non sono invocabili in sede sanzionatoria. In secondo luogo, relativamente alla lesione delle garanzie partecipative, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della sezione – da cui per evidenti ragioni di certezza non vi sono ragioni per discostarsi – quello in base al quale l’ingiunzione di demolizione, emessa successivamente all’adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente consequenziale, nell’ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario (cfr. ad es. Ta r Liguria n. 150\2011). Infine, relativamente all’indicazione dell’area da acquisire, il provvedimento impugnato risulta conforme ai parametri normativi, sia in relazione alla specifica indicazione dell’area imposta dalla stessa norma di cui all’art. 31 t.u. edilizia, sia in ordine alla espressa motivazione ivi contenuta in merito al rispetto dei limiti di estensione della stessa. La norma in questione, come noto, prevede: “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3. 3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.” Il provvedimento impugnato contiene sia l’indicazione dettagliata dell’area sia l’esplicazione dei motivi confortanti circa il rispetto dei limiti di cui al comma 3. Ciò trova conforto nel principio conseguente per cui l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo, del sedime e della relativa area di pertinenza costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza alla ordinanza di ingiunzione della demolizione, ha natura meramente dichiarativa e non implica scelte di tipo discrezionale, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, una volta avveratisi i suddetti presupposti, non incombe alla P.A. un peculiare obbligo di motivazione in ordine alla misura della acquisizione. Ciò appare pienamente compatibile con i predetti obblighi esplicativi di cui ai commi 2 e 3, circa il contenuto dell’ordinanza demolitoria, pienamente rispettati nel caso de quo. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte improcedibile e nella restante parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Roberto Pupilella, Presidente Paolo Peruggia, Consigliere Davide Ponte, Consigliere, Estensore Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 11 dicembre 2013 n. 1489 Pres. Balba Est. Pupilella T.J. (avv. Denicolò, Spagnolo) Ministero dell’economia e delle finanze ed altro . (Avv. Stato) [3996/180] Guardia di finanza - Indennità - Trasferimento - Spettanza - Soppressione ufficio - Fattispecie. [3996/180] Guardia di finanza - Indennità - Trasferimento - Spettanza - Soppressione ufficio - Limiti Nuova disciplina. In relazione a trasferimenti anteriori all’entrata in vigore dell’art. 1 comma 163, l. n. 228 del 2012, nel caso di trasferimento a seguito della soppressione dell’ufficio presso il quale i finanzieri svolgevano il proprio servizio comporta la spettanza per i militari dell’indennità di trasferimento prevista dalla l. n. 86 del 2011; in proposito, la richiesta, proveniente dall’amministrazione, di avanzare apposita istanza, da parte del militare, per indicare una sede di suo gradimento, non può eliminare la natura di trasferimento d’autorità insita nel provvedimento posto che, origine del movimento, non è l’iniziativa dei ricorrenti dovuta a ragioni personali, ma il trasferimento è determinato dal preminente interesse pubblico conseguente alla riorganizzazione di reparti da parte del Comando generale. La disciplina di cui all’art. 1 comma 163, l. 24 dicembre 2012 n. 228, in tema di soppressione della sede di servizio presso cui prestavano servizio i militari, ha carattere innovativo e quindi non applicabile retroattivamente ai trasferimenti effettuati prima della entrata in vigore della predetta innovazione normativa. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4 del 2012, proposto da: Joannes Timurian, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Denicolo’, Clementina Spagnolo, con domicilio eletto presso Clementina Spagnolo in Genova, c/o Segreteria T.A.R. Liguria; contro Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale Guardia di Finanza, Comando Provinciale Guardia di Finanza di Savona, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane N. 2; per l’annullamento provvedimento reiezione istanza tesa ad ottenere trattamenti economici Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Comando Generale Guardia di Finanza e di Comando Provinciale Guardia di Finanza di Savona; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2013 il dott. Roberto Pupilella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Con ricorso regolarmente notificato e depositato il ricorrente, militare della Guardia di Finanza chiede l’accertamento del diritto alla corresponsione dell’indennità di trasferimento ex lege 86/2001 e la conseguente condanna dell’amministrazione intimata al pagamento di quanto dovuto a tale titolo. La scaturigine del ricorso trova fondamento nella riorganizzazione di molti reparti territoriali del corpo della guardia di Finanza (docc. 2 e3 ric) che hanno portato, tra l’altro, alla soppressione del reparto presso il quale prestava servizio il ricorrente (3° squadra operativa stanziale della compagnia di Domodossola). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 57 A seguito della prevista soppressione dell’ufficio di appartenenza veniva chiesto ai militari di avanzare istanza di trasferimento con l’indicazione di eventuali incompatibilità e destinazioni di gradimento degli attuali ricorrenti. In data 31 luglio 2011 il militare veniva trasferito nella sede di destinazione indicata. Il ricorso è affidato ad un’articolata censura, così rubricata: -Violazione di legge per falsa applicazione delle norme in materia di trasferimento (art. 1 L. 29\3\2001 n.86). Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato per l’amministrazione resistente che chiedeva il rigetto del ricorso. All’udienza di merito, fissata per il 14\11\2013 la causa passava in decisione. DIRITTO — Il ricorso è fondato. Questo Tribunale (Tar Liguria II n. 798\2011; I sez. nn. 806 e 807\2013) si è già pronunciato in termini in una controversia di identico tenore volta al conseguimento da parte dei militari dell’indennità di trasferimento prevista dalla l.n.86\2001, nel caso di trasferimento a seguito della soppressione dell’ufficio presso il quale svolgevano il proprio servizio. In queste ipotesi, la richiesta, proveniente dall’amministrazione, di avanzare apposita istanza, da parte del militare, per indicare una sede di suo gradimento, non può eliminare la natura di trasferimento d’autorità insita nel provvedimento posto che, origine del movimento, non è l’iniziativa dei ricorrenti dovuta a ragioni personali, ma il trasferimento è determinato dal preminente interesse pubblico conseguente alla riorganizzazione di reparti da parte del Comando generale, che, nello specifico, hanno portato alla soppressione dell’ufficio presso il quale i militari prestavano servizio. L’assunto del Tribunale ha trovato conferma in altre pronunce ( da ultimo CdS IV 7\6\2012 n.3383; CdS IV 6\8\2013 n.4119; Tar Calabria Cz n.884\2012; CGA reg. Sicilia n.777 del 18\9\2012), che hanno sottolineato, nel caso di soppressione dell’ufficio de quo, la prevalenza delle esigenze dell’amministrazione rispetto all’eventuale interpello dei militari coinvolti circa la loro futura destinazione. Inoltre l’interpello richiesto ai militari aveva anche la precipua funzione di conoscere eventuali cause d’incompatibilità allo svolgimento del servizio presso alcune strutture o sedi, interesse ancora una volta di preminente carattere pubblico vista la delicata funzione svolta dai militari della Guardia di Finanza. Va infine ricordato che il legislatore, con norma innovativa e quindi non applicabile retroattivamente (cfr. CdS IV n.4159\2013) ha modificato la normativa in essere a far tempo dall’entrata in vigore della finanziaria 2013 (art. 1 comma 163, L n24\12\2012 n.228) normando le ipotesi di soppressione della sede di servizio presso cui prestavano servizio i militari. Trattandosi, nel caso di specie di un trasferimento effettuato prima della entrata in vigore della predetta innovazione normativa, la norma applicabile è quella che questo tribunale, in sintonia con la giurisprudenza più recente del CdS ha già riconosciuto meritevole della tutela richiesta, riconoscendo in queste ipotesi il diritto alle indennità stabilite dall’art. 1 della l.n.86\2001). In conclusione il ricorso va accolto risultando fondati i profili di censura posti a fondamento del motivo d’impugnativa, riconoscendo dovuta nei limiti di legge, l’indennità di trasferimento ex l.n.86\2001. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto accerta il diritto del ricorrente a percepire l’indennità di trasferimento ex l.n.86\2001 e condanna l’Amministrazione resistente a provvedere al pagamento della predetta indennità. Condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite, che si liquidano nella misura complessiva di E.3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Santo Balba, Presidente Roberto Pupilella, Consigliere, Estensore Angelo Vitali, Consigliere FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 59 Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 11 dicembre 2013 n. 1490 Pres. Balba Est. Ponte Soc.S. (avv. Saguato) Regione Liguria . (avv. Regione) [2964/804] Edilizia e urbanistica - Piani regolatori generali - Disciplina - Principi - Fattispecie Modifiche d’ufficio - Sub procedimento. [2964/804] Edilizia e urbanistica - Piani regolatori generali - Disciplina - Vincolo alberghiero - Limiti Motivazione - Necessità - Individuazione. In via generale, la legge urbanistica fondamentale, pur non assumendo la qualificazione di legge quadro in senso proprio, contiene prescrizioni cui si deve riconoscere il carattere di principi fondamentali (in tema di governo del territorio) nei limiti dei quali il legislatore regionale si può muovere; in dettaglio, tale legge di principio, peraltro ripresa anche dalla legislazione regionale, configura una inegualità della complessità del procedimento di formazione degli atti pianificatori nel senso della preminenza della posizione dell’organo approvante rispetto a quella del comune. In tale contesto assume connotati di principio, anche al fine di dare ragionevolezza al sistema di atto complesso seppur ineguale, l’obbligo, in caso di modifiche di ufficio, di prevedere una sub fase procedimentale di pubblicazione, acquisizione di osservazioni e controdeduzioni, specie laddove la modifica d’ufficio porti al totale ribaltamento della previsione contestata. In tema di destinazione urbanistiche ricettiva, oggetto di vincolo « alberghiero » possono essere solo le strutture per le quali alla data di entrata in vigore della legge esisteva una classificazione in corso di validità, in quanto per le altre occorre una espressa e specifica motivazione anche in ordine alla relativa scelta urbanistica. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 219 del 2013, proposto da: Società Lido Srl, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Saguato, con domicilio eletto presso Luca Saguato in Genova, via Roma 11/1; contro Regione Liguria, rappresentato e difeso dall’avv. Marina Crovetto, con domicilio eletto presso Marina Crovetto in Genova, via Fieschi, 15; Comune di Diano Marina; per l’annullamento provvedimento avente ad oggetto approvazione variante al piano urbanistico comunale ai sensi della l.r. 07/02/2008 n. 1 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Liguria; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2013 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; - rilevato che la presente controversia ha ad oggetto la vexata quaestio concernente la disciplina urbanistica degli alberghi, con particolare riferimento al vincolo di destinazione alberghiera ed alla possibilità di ottenerne il superamento da parte del privato interessato; - che i caratteri della presente fattispecie riprendono in toto quanto posto a fondamento di alcuni recenti precedenti resi da questa sezione (cfr. ad es. sentenze 726 e 1385\2013), cosicchè sussistono i presupposti, già paventati in sede cautelare, per la definizione ai sensi dell’art. 74 cod proc amm; - che nel caso de quo come emerge dall’analisi degli atti, la proposta adottata dal comune risulta, sul punto specifico del vincolo sull’immobile in questione (per quanto di interesse nel caso de quo) completamente ribaltata dalla Regione, sulla scorta di una valutazione autonoma, priva di riscontro rispetto alle ragioni comunali; - che inoltre l’attività ricettiva risulta chiusa dal 2001; - che, sulla scorta dell’inquadramento svolto nei precedenti richiamati anche il presente ricorso appare fondato sotto due distinti profili; - che, in primo luogo, assume rilievo il versante più strettamente procedimentale, in considerazione della peculiarità del caso de quo laddove l’adozione comunale (dovendo qualificarsi in tali termini la modifica di piano adottata, non a caso, dall’organo consiliare) risulta del tutto ribaltata dall’approvazione (approvata peraltro dal diverso organo Giunta, in assenza di puntuali indicazioni normative sulla competenza), risultano fondati i vizi dedotti con il quinto ordine di rilievi; - che, a fronte della riscontrata carenza della disciplina specifica della fase di approvazione, occorre far riferimento ai principi fondamentali di cui alla legge statale ed alla normativa generale e di dettaglio di cui alla legislazione urbanistica regionale; - che nella prima direzione è noto come, qualora la Regione ritenga che una qualche modifica di qualsivoglia portata si renda all’uopo necessaria, la stessa dovrà attivarsi necessariamente ed esclusivamente, in forza dell’inequivoca volontà espressa dal legislatore statale nonché regionale, il procedimento di controdeduzioni previsto dal comma 4 dell’art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cfr. ad es. Tar Liguria 10393\2010, 985\2002 e CdS 7782\2003); - che nella seconda direzione, dai medesimi precedenti si ricava come anche la legislazione regionale urbanistica preveda in ogni caso la predetta fase procedimentale in caso di modifiche in sede di approvazione (cfr. ad es. artt. 40, 44 e 82 l.r. 36 cit.); - che, se in relazione al chiaro dettato legislativo (statale e regionale), come correttamente ricostruito dai precedenti richiamati, si ricavano elementi sufficienti per imporre in termini di principio la fase omessa nella specie, la rilevanza della questione (che tanto ha impegnato gli uffici regionali, i quali invero si sono trovati ad affrontare una non facile opzione esegetica e applicativa, con difficoltà di cui va dato espressamente atto) impone di svolgere alcune ulteriori considerazioni generali a fini di inquadramento della complessa disciplina urbanistica; - che in proposito, sono noti e consolidati i seguenti due postulati: in via generale, la legge urbanistica fondamentale, pur non assumendo la qualificazione di legge quadro in senso proprio, contiene prescrizioni cui si deve riconoscere il carattere di principi fondamentali (in tema di governo del territorio) nei limiti dei quali il legislatore regionale si può muovere; in dettaglio, tale legge di principio, peraltro ripresa anche dalla legislazione regionale, configura una inegualità della complessità del procedimento di formazione degli atti pianificatori nel senso della preminenza della posizione dell’organo approvante rispetto a quella del comune; - che in tale contesto assume connotati di principio, anche al fine di dare ragionevolezza al sistema di atto complesso seppur ineguale, l’obbligo, in caso di modifiche di ufficio, di prevedere una sub fase procedimentale di pubblicazione, acquisizione di osservazioni e controdeduzioni, specie laddove (come nel caso de quo) la modifica d’ufficio porti al totale ribaltamento della previsione contestata; - che l’interpretazione posta a fondamento della censura accolta è d’altronde l’unica che si ponga in piena compatibilità con l’ulteriore principio fondante la natura di atto complesso ed ineguale: quello per cui il provvedimento finale di approvazione di uno strumento urbanistico costituisce un atto complesso alla cui formazione concorrono sia la volontà comunale che quella regionale e la partecipazione al procedimento della Regione è giustificata dalla necessità di tutelare gli interessi pubblici affidati dall’ordinamento alla Regione stessa e, in particolare, il paesaggio ed i complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici, come recita l’art. 10 comma 2, lett. c), l. 17 agosto 1942 n. 1150, norma che individua gli interessi che possono legittimamente giustificare prescrizioni regionali integrative dei piani urbanistici comunali, e ciò senza alcuna necessità della preesistenza di vincoli specifici (cfr. ad es. CdS n. 1004\2010); - che anche nel caso in cui si ritenesse di aderire ad una tesi meno estesa circa la valenza della legge statale, come detto la stessa legislazione regionale ragionevolmente impone passaggi procedimentali e motivazionali tali da garantire l’effettività della natura di atto complesso delle delibere e delle scelte di valenza urbanistica; FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 61 - che nella specie, alla modifica di ufficio non ha fatto seguito alcuna fase di pubblicazione e controdeduzione; - che in secondo luogo, sotto il versante sostanziale, appare fondato il dedotto difetto di motivazione in ordine agli elementi posti a base dell’istanza di svincolo, fatti propri dal consiglio comunale con le originarie delibere, tra cui l’inadeguatezza attuale e l’inoperatività della struttura alberghiera sin dal 2001; - che la fondatezza emerge prima facie sulla scorta dell’orientamento più volte reiterato da questa sezione (che parrebbe in parte ripreso dal nuovo testo dell’art. 2, così come recentemente modificato), a mente del quale oggetto di vincolo sono solo le strutture per le quali alla data di entrata in vigore della legge esisteva una classificazione in corso di validità: in proposito, si è ritenuto che tali immobili siano definitivamente usciti dal circuito alberghiero e ricondurceli a forza significa non già vincolare la prosecuzione di un’attività ma bensì imporre l’avvio di una nuova attività ovvero il mantenimento a destinazione improduttiva di un cespite idoneo a produrre reddito ove utilizzato diversamente (cfr. ad es. sentenze 1150\2011 e 77\2013); - che peraltro, nel caso di specie la censura appare fondata anche laddove si ritenga di dare preminenza alla diversa conclusione (motivazionale, non di esito) che emerge da alcune specifiche statuizioni del Giudice di appello (cfr. ex multis sent. 418\2013); - che al riguardo, riprendendo altresì quanto sopra evidenziato circa gli obblighi motivazionali facenti capo alle amministrazioni coinvolte dall’atto complesso di valenza urbanistica, in specie laddove come nel caso de quo si incida su posizioni individuate ed aspettative create anche ex lege (cfr. art. 2 comma 4 l.r. 1 cit.), assumono preminente rilievo nel caso di specie gli specifici elementi prodotti in sede di originaria istanza del privato e la laconicità della motivazione della diversa scelta regionale, fondata sulla mera collocazione del bene e sulla potenzialità ricettiva e priva di qualsiasi valutazione di tutti gli ulteriori rilevanti elementi della fattispecie, secondo quanto imposto dalla stessa legislazione regionale; - che a quest’ultimo proposito, è noto che il vincolo in questione può essere rimosso attraverso appunto la variante, nei modi e alle condizioni indicate nel comma 4 dell’art. 2 già citati più volte, ossia su richiesta dei proprietari e per le strutture per le quali non sia più esercitabile l’attività alberghiera, in relazione “...alla sopravvenuta inadeguatezza a mantenere la presenza sul mercato dell’offerta ricettiva e alla non sostenibilità economica della stessa, motivate da almeno una delle seguenti cause: a) oggettiva impossibilità dell’immobile ad adeguare le sue caratteristiche distributive, funzionali e dimensionali al livello degli standard qualitativi del settore alberghiero, a causa dell’esistenza di vincoli paesaggistici, monumentali od urbanistico-edilizi non superabili; b) collocazione della struttura in un contesto le cui caratteristiche urbanistiche o territoriali determinino l’incompatibilità o l’insostenibilità della funzione alberghiera”. - che nel caso di specie, la ricorrente aveva presentato istanza con cui chiedeva che fosse disposto il non assoggettamento al vincolo di destinazione alberghiera perché la struttura, inoperante da diversi anni, era inadeguata sotto il profilo dimensionale, distributivo, pertinenziale, producendo complessa e dettagliata relazione tecnica sul punto; - che a fronte della condivisione comunale di tali elementi, oltre che della specificità degli stessi, è evidente che la deliberazione regionale avrebbe dovuto darsi carico di un esame esaustivo dei profili segnalati, e quindi considerare partitamente sia l’aspetto dimensionale e distributivo, che quello concernente la dotazione urbanistica, anche in rapporto all’offerta turistico-ricettiva assicurata da una struttura pacificamente non più operativa da anni; - che all’opposto, non può essere sufficiente la considerazione della mera collocazione dell’immobile e delle potenzialità, anche in considerazione della illogica valutazione regionale circa l’esigenza di riqualificare l’immobile; - che, oltre alla genericità intrinseca della motivazione appena richiamata nonché all’illogicità della predetta esigenza indicata, nessuna valutazione risulta quindi essere stata svolta circa i numerosi elementi specifici indicati nella relazione e nell’istanza originaria, condivisa in sede di adozione della variante comunale; - che alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso appare fondato nei termini indicati; per l’effetto va disposto l’annullamento della delibera di Giunta regionale 818\2012 in parte qua, cioè nella parte in cui involge il bene immobile di parte ricorrente; - che sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, anche alla luce della peculiarità della fattispecie e della laconicità della disciplina legislativa in materia, oggetto di modifica in epoca successiva ai fatti di causa. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato in parte qua, nei limiti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Santo Balba, Presidente Davide Ponte, Consigliere, Estensore Luca Morbelli, Consigliere FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 63 Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 23 dicembre 2013 n. 1584 Pres. Balba Est. Vitali Soc.M. ed altri (avv. Sommovigo) Regione Liguria, Provincia di La Spezia, Comune di Brugnato, Soc.S. ed altri (n.c.). (avv. Regione), (avv. Provincia), (avv. Gerbi, Leoni), (avv. Cocchi) [3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Titoli edilizi - Presupposto - Titoli commerciali - Presupposto - Individuazione - Distinzione. [3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Titoli edilizi - Titoli commerciali - Concorrenza - Distinzione - Criteri. [3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Titoli edilizi - Operatore commerciale - Limiti - Individuazione. [8790/12] Unione europea - Circolazione delle persone - Diritto di stabilimento dei lavoratori autonomi (libertà di -) - Esercizi commerciali - Legittimazione a contestare - Concorrenza - Insufficienza. In tema di interesse e legittimazione all’impugnativa di titoli edilizi presupposto fondamentale è la vicinitas che presuppone in estrema sintesi un nesso tra l’intervento edilizio o urbanistico e la sfera giuridica del soggetto che tale iniziativa censura in via giurisdizionale di talché l’intervento sia in grado di incidere in maniera oggettivamente apprezzabile sulla sfera del ricorrente. Analogo concetto è stato utilizzato per circoscrivere la legittimazione all’impugnazione dei titoli che abilitano all’esercizio del commercio, anche se in questo caso il riferimento è all’interesse commerciale cioè all’idoneità che il titolo ha di influire sulle posizioni di mercato del contro interessato. Si tratta all’evidenza di concetti diversi, facendo il primo riferimento all’interesse edilizio urbanistico e alla posizione di un quisque de populo, il secondo all’interesse commerciale al regolare svolgimento della concorrenza e alla posizione di un operatore del settore potenzialmente in grado di subire un influsso negativo sulla propria posizione di mercato. Poiché il legittimo esercizio di un’attività commerciale è subordinato, sia in sede di rilascio del titolo che durante lo svolgimento dell’attività, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistica ed edilizia dei locali è possibile ammettere che un operatore economico impugni un titolo edilizio avendo come sua esclusiva finalità quella di perseguire un interesse commerciale, essendo l’iniziativa strumentale (attraverso la rimozione del titolo edilizio) alla caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce presupposto. In questo caso, pur se nessun interesse edilizio è fatto valere dall’operatore commerciale, la legittimazione dovrebbe essere verificata avendo come riferimento l’interesse commerciale del ricorrente. Tale ordine di idee, tuttavia, può essere ammesso quando contestualmente al titolo edilizio è impugnato un titolo commerciale sia in quanto i titoli, seppur formalmente distinti siano coevi, sia in quanto gli stessi siano formalmente contenuti nello stesso documento, quale esito, ad esempio, di una conferenza di servizi. Qualora invece i procedimenti rimangano distinti sia giuridicamente che cronologicamente, l’impugnativa di un titolo edilizio, sia pure finalizzato all’assentimento di un’immobile a destinazione commerciale, che non sia, tuttavia, accompagnato dal rilascio del titolo commerciale, deve sottostare agli usuali criteri di determinazione della vicinitas espressi dalla giurisprudenza relativamente ai titoli edilizi. Può ammettersi che il titolo edilizio sia impugnato con la legittimazione allargata riconosciuta all’operatore commerciale concorrente solo nella ricorrenza delle seguenti ipotesi: a) presenza di un titolo commerciale; b) assenza di un titolo commerciale quando per la particolare conformazione dell’intervento ovvero per la particolare qualificazione del soggetto attuatore dello stesso è concretamente ipotizzabile una lesione dell’interesse commerciale del ricorrente. In difetto la legittimazione dovrà essere verificata secondo il tradizionale indirizzo della vicinitas usualmente impiegato per verificare l’interesse all’impugnativa dei titoli edilizi. A seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva del parlamento europeo e del consiglio relativa ai servizi nel mercato interno 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE e dell’entrata in vigore dell’art. 31 comma 2, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1 comma 1, l. 22 dicembre 2011 n. 214), costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali; ciò comporta che, in difetto di una legittimazione e di un interesse al ricorso scaturenti da esigenze di tutela dell’ordinato assetto del territorio (le quali scontano però il necessario presupposto della vicinitas in termini territoriali), l’interesse ad impedire l’esercizio dell’attività commerciale di operatori concorrenti non è meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, posto che la concorrenza, di per sé, non è fattore legittimante quando è invocata al fine di inibire l’esercizio della medesima attività ad altri operatori del settore. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 638 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 1) Società Melley Bozzani Calzature di Guido Melley & C. s.a.s., 2) Società S.V. s.r.l. unipersonale, 3) Società Astrale s.a.s. di Vespa Paola & C., 4) Società Arlecchino di Frigi Massimo & C. s.a.s., 5) Società Altamoda Bellotti di Bellotti Marinella & C. s.n.c., 6) Impresa Individuale Graziano Battistini 1963 di Battistini Diego, 7) Impresa Individuale Bertellotti Edoardo, 8) Società Casabella di Monteverde Gabriele s.a.s., 9) Società Eleganza Infantile s.r.l., 10) Società Greco s.r.l., 11) Impresa Individuale La Primula di Logli Massimiliano, 12) Impresa Individuale Le Rose di Cassinelli Elena, 13) Societa’ Lettieri s.r.l. con unico socio, 14) Societa’ L. Vezzoni & C. s.r.l., 15) Societa’ Molinari s.r.l., 16) Societa’ M.M.I.E. s.r.l., 17) Societa’ Mazzilli Group s.r.l., 18) Societa’ Oleggini La Spezia s.r.l., 19) Impresa Individuale Pandora’s box di Vincentelli Cristina, 20) Societa’ Pandora’s box di Vincentelli Cristina e Petricciani Claudia s.n.c., 21) Societa’ Pellegri s.a.s. di Pellegri Elvio, 22) Impresa Individuale Vagaggini Paola, 23) Societa’ il Bazaar s.r.l., 24) Societa’ Populuxe s.r.l., 25) Impresa Individuale Store di Gianfranchi Graziana, 26) Societa’ Stefania Ricci s.r.l., 27) Impresa Individuale Sloop di Bruno Giovanni, 28) Societa’ The New Trend s.r.l., 29) Societa’ Tuttomoda di Bonini Claudio e Bordigoni Francesca s.n.c., 30) Societa’ il Principe s.r.l., 31) Societa’ Kau Kau Corer di Grassi Maurizio & C. s.n.c., 32) Societa’ A.M.R. Torre s.n.c. di Girotti e C., 33) Societa’ S.lle Torre s.r.l., 34) Societa’ Sorelle Torre s.n.c. di Torre Alessandra & C., 35) Società Botto Elvio e Stefano Intermediari di Assicurazioni s.a.s., 36) Societa’ Delucchi Giovanni Marcello & C. s.n.c., 37) Societa’ Portobello s.c.r.l., 38) Consorzio Portofranco, 39) Pelletteria Diana dei Fratelli Podesta’ di Podesta’ Guendalina & C. s.a.s., 40) Societa’ Fashion s.a.s. di Queirolo S. e C., 41) Societa’ Villa Marena s.r.l., 42) Societa’ Giangreco s.a.s. di Giangreco Gaetano & C., 43) Societa’ Boutique Zia Luisa s.a.s. di Solari Emma & C., 44) Federazione provinciale di categoria degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.) e 45) Associazione Legambiente – Onlus, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Piera Sommovigo, con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Genova, via Malta 4/14; contro - Regione Liguria, rappresentata e difesa dagli avv.ti Michela Sommariva e Gigliola Benghi, con domicilio eletto presso l’Avvocatura regionale in Genova, via Fieschi 15; Provincia di La Spezia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Veronica Allegri e Roberto Benvenuto, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. Liguria;- Comune di Brugnato, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Gerbi e Piergiorgio Leoni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Genova, via Roma 11/1; - Ministero per i beni e le attivita’ culturali, non costituito in giudizio; nei confronti di - Società San Mauro s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Cocchi, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Macaggi 21/5 - 8; - Società Salt s.p.a., Enel s.p.a., Enel Distribuzione s.p.a., Telecom s.p.a., Terna s.p.a., Anas s.p.a, non costituite in giudizio; e con l’intervento di ad opponendum: Onlus Associazione Verdi Ambiente e Societa’ V.A.S. e Ass. Difesa Orientamento Consumatori A.D.O.C. Sez. La Spezia, rappresentate e difese dall’avv. Daniele Granara, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Bartolomeo Bosco 31/4; FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 65 per l’annullamento di tutti gli atti di approvazione del Progetto Urbanistico Operativo per la realizzazione di un insediamento commerciale nel Comune di Brugnato, nonché dei conseguenti permessi di costruire. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Liguria, della Provincia di La Spezia, del Comune di Brugnato e della Società San Mauro s.r.l.; Visto l’atto di intervento ad opponendum della Onlus Associazione Verdi Ambiente e Societa’ V.A.S. e dell’Associazione Difesa Orientamento Consumatori A.D.O.C. Sez. La Spezia; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2013 il dott. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Con uno smisurato ricorso di 91 pagine notificato in data 20.5.2011, quarantatre imprese di vendita al dettaglio specializzate nel settore merceologico dell’abbigliamento, delle calzature e degli accessori di moda con sede nei comuni di La Spezia, Massa, Sarzana, Chiavari, Tribogna e Sestri Levante, la Federazione provinciale di categoria degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti di La Spezia (F.I.S.M.O.) e l’associazione Legambiente Onlus, in persona del Presidente regionale di Legambiente Liguria Onlus, hanno impugnato gli atti del procedimento ex art. 59 della legge regionale urbanistica 4.9.1997, n. 36, volto all’approvazione di un P.U.O. (progetto urbanistico operativo) per la realizzazione, nel territorio del comune di Brugnato, di un insediamento commerciale, denominato “Shopland – Brugnato 5 terre”, in variante al P.U.C., e, segnatamente: la deliberazione C.C. di Brugnato 3.7.2010, n. 27, di preventivo assenso all’indizione di conferenza di servizi; il verbale della conferenza di servizi in sede referente tenutasi in data 26.8.2010; la deliberazione C.C. di Brugnato 24.1.2011, n. 4, di preventivo assenso all’indizione di conferenza di servizi; il verbale della conferenza di servizi in sede referente tenutasi in data 27.1.2011; il decreto del dirigente del Dipartimento ambiente, Settore valutazione impatto ambientale della Regione Liguria 27.2.2011, n. 356; la deliberazione della giunta regionale della Liguria 4.3.2011, n. 223, nonché l’allegato voto del Comitato tecnico regionale del 24.2.2011 e del 2.3.2011; il voto 31.3.2011, n. 369 del Comitato tecnico urbanistico della Provincia della Spezia; il verbale della conferenza di servizi in sede deliberante tenutasi in data 11.5.2011. A sostegno del gravame hanno dedotto una lunga serie di motivi di ricorso - non numerati progressivamente - variamente articolati con riferimento a ciascuno dei provvedimenti oggetto di impugnazione, rubricati come segue. A. In via preliminare. I) Con riferimento alla legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti. II) Con riferimento all’associazione di categoria. III) Con riferimento alla legittimazione dell’associazione Legambiente Onlus. B. Nel merito. C. Con riferimento al verbale della conferenza di servizi in sede referente del 26/8/2010. I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 ter della legge 7/8/1990 n. 241 e s.m.i.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del D.Lgs 18/8/2000, n. 267. D. Con riferimento alle deliberazioni del Consiglio Comunale n. 27 del 3/7/2010 e n. 4 del 24 gennaio 2011. l) Violazione e falsa applicazione dell’art. 78 del D.Lgs. n. 267/2000. II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 2 della L.R. n. 36/1997. E. Con riferimento alla deliberazione della Giunta Regionale n. 223 del 4/3/2011. I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 della L.R. n. 36/1997. Incompetenza. F. Con riferimento al decreto dirigenziale n. 356 del 17/2/2011 ed all’allegata relazione istruttoria n. 452 del 17/2/2011. I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 4 lett. a) e b) e 5, comma 1 lett. a) e b) del D.Lgs n. 152/2006. Con particolare riferimento alla fase di verifica di assoggettabilità di cui all’art. 12 del d.lgs n. 152/2006. II) Violazione e falsa applicazione delle linee guida della UE. Difetto dei presupposti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 46 della L.R. n. 10/2008, siccome sostituito dall’art. 1 della L.R. n. 10/2011. Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Travisamento di fatti decisivi. Illogicità. Contraddittorietà. Sviamento. Con particolare riferimento alla fase di verifica-screening di cui all’art. 10 della L.R. n. 38/1998. III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, lett. c) del d.lgs n. 152/2006. Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà. Illogicità. Sviamento. G. Con riferimento alla deliberazione n. 4 del 24/1/2011, nonché al verbale della conferenza di servizi in sede referente del 27/1/2011. I) Illegittimità in via derivata dalla deliberazione del Consiglio comunale n. 27 del 3/7/2010, nonché dal verbale della conferenza di servizi del 26/8/2010. II) Illegittimità in via propria. Difetto assoluto di motivazione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7/8/1990 n. 241 e s.m. III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14-ter della legge 7/8/1990 n. 241 e s.m., nonché dell’art. 59, comma 5 della L.R. n. 36/1997. Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.lgs 18/8/2000, n. 267. H) Con riferimento a tutti gli atti impugnati e in epigrafe indicati. I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 50 della L.R. n. 36/1997. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 51 e 59 della L.R. n. 36/1997, nonché di cui agli artt. 40 e 44 della L.R. n. 36/1997. Eccesso di potere per travisamento di fatti decisivi. Contraddittorietà, illogicità e sviamento. II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 53 della L.R. n. 36/1997. Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della L.R. 2/1/2007, n. 1 (testo unico in materia di commercio). Violazione e falsa applicazione dell’art. 122 della L.R. 2/1/2007 n. 1 (testo unico in materia di commercio). Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Travisamento dei fatti. Contraddittorietà ed illogicità manifeste. IV) Difetto assoluto di istruttoria. Eccesso di potere per difetto di presupposti. Manifesta contraddittorietà. Illogicità. V) Difetto assoluto di motivazione. Travisamento dei fatti. Manifesta Illogicità. Contraddittorietà. VI) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 1 lett. d) della L.R. n. 1/2007. Violazione e falsa applicazione degli indirizzi e criteri di programmazione commerciale ed urbanistica del commercio al dettaglio in sede fissa, in attuazione del T.U. in materia di commercio di cui alla deliberazione del Consiglio regionale - Assemblea Legislativa della Liguria 8/5/2007 n. 18. Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 637 del 14/6/2007. Travisamento di fatti decisivi. Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà. Illogicità e sviamento. VII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lettera b) e n) della L.R. n. 1/2007. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 67 Violazione e/o mancata applicazione della L.R. 24/3/1999 n. 9. Violazione del giusto procedimento amministrativo. I. Con riferimento al verbale della conferenza di servizi in sede deliberante svoltasi in data 11/5/2011. I) Illegittimità propria e derivata dall’illegittimità dei provvedimenti precedenternente impugnati ed in epigrafe indicati. Con un primo atto di motivi aggiunti notificato in data 8.7.2011 e depositato in data 21.7.2011 i ricorrenti hanno esteso l’impugnazione al verbale della conferenza di servizi in sede deliberante volta all’approvazione del P.U.O. tenutasi in data 11/5/2011, nonché alla nota del Comune di Brugnato 27/4/2011, di convocazione di tale conferenza. A sostegno dell’impugnazione aggiuntiva hanno dedotto ulteriori motivi di censura, rubricati come segue. A) Illegittimità in via derivata. I) Illegittimità in via derivata in considerazione di tutte le censure dedotte con il ricorso introduttivo al gravame. B) Illegittimità in via propria. I) Eccesso di potere per difetto di presupposti e di motivazione. Contraddittorietà. II) Eccesso di potere per difetto di presupposto sotto un ulteriore profilo. III) Eccesso di potere per difetto di presupposti. Sviamento. Incompetenza. IV) Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Illogicità manifesta. V) Violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e seguenti della legge n. 241/1990, come richiamati dall’art. 59, comma 5, della L.R. n. 36/1997. Violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. VI) Difetto di presupposto. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Difetto di istruttoria e di motivazione. VII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 2, lett. g) della L.R. n. 36/1997. Difetto di presupposto. VIII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14-ter, comma 6-bis della L. n. 241/1990, come richiamato dall’art. 59, comma 5, della L.R. n. 36/1997. Con un secondo atto di motivi aggiunti notificato in data 31.1.2012 e depositato in data 16.2.2012 i ricorrenti hanno esteso l’impugnazione al permesso di costruire 28.11.2011, n. 22, rilasciato alla società San Mauro ed avente ad oggetto la realizzazione di insediamento commerciale in attuazione del P.U.O. distretto B3/AP settore 1. A sostegno dell’impugnazione aggiuntiva hanno dedotto ulteriori motivi di censura, rubricati come segue. I) In via principale. 1) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di “idrologia idraulica” di cui alla relazione istruttoria allegata al decreto dirigenziale n. 356/2011 anche in relazione a quanto disposto dagli artt. 18, 23 e 24 delle norme di attuazione del PAI. Difetto di istruttoria e motivazione. Illogicità. Contraddittorietà. Travisamento di fati decisivi. Sviamento. II) In via derivata. Infine, con un terzo ed ultimo atto di motivi aggiunti notificato in data 12.4.2013 e depositato in data 18.4.2013 i ricorrenti hanno esteso l’impugnazione al permesso di costruire 21.5.2012, n. 2/2012, rilasciato alla società San Mauro ed avente ad oggetto variante al permesso di costruire n. 2272011. A sostegno dell’impugnazione aggiuntiva hanno dedotto ulteriori motivi di censura, rubricati come segue. I) In via principale. 1) Violazione e falsa applicazione delle prescrizioni di cui al parere del Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino del fiume Magra del 27.1.2012. Travisamento. Illogicità. Contraddittorietà. Sviamento. II) Con specifico riferimento alla nota a firma del sindaco del comune di Brugnato prot. n. 6336 del 15.10.2012. Incompetenza. Illogicità. Travisamento. Contraddittorietà. Sviamento. III) In via derivata. Si sono costituiti in giudizio il comune di Brugnato, la Regione Liguria, la Provincia della Spezia e la società controinteressata San Mauro s.r.l., preliminarmente eccependo sotto molteplici profili l’inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti ed instando, nel merito, per il suo rigetto. Con atto notificato in data 30.12.2011 sono intervenute in giudizio - ad opponendum – la Onlus Associazione verdi ambiente e società V.A.S., nonché l’Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori A.D.O.C. sezione della Spezia. Con atti ritualmente notificati i ricorrenti società Il Bazaar s.r.l., l’impresa individuale Store di Gianfranchi Graziana e la Federazione Provinciale di categoria degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.) hanno rinunciato al ricorso. Con ordinanza 2.5.2013, n. 741 la Sezione ha rigettato la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati accedente al terzo atto di motivi aggiunti. Previo scambio delle memorie conclusionali e di replica, alla pubblica udienza del 5 dicembre 2013 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione. DIRITTO — Deve innanzitutto darsi atto – ex art. 84 comma 3 c.p.a. - dell’estinzione del processo nei confronti della società Il Bazaar s.r.l., dell’impresa individuale Store di Gianfranchi Graziana e della Federazione Provinciale di categoria degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.), che hanno ritualmente rinunciato al ricorso. Sempre in via preliminare, occorre darsi carico delle eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalle difese degli enti resistenti e della società controinteressata sotto molteplici profili, distinti rispetto a ciascuna delle tre posizioni legittimanti azionate dai ricorrenti (1: quarantatre imprese commerciali; 2: associazione di categoria; 3: associazione di protezione ambientale riconosciuta ex artt. 13 e 18 della legge 8.7.1986, n. 349). Quanto alla associazione di categoria F.I.S.M.O., avendo questa – come detto rinunciato al ricorso, non vi è luogo a provvedere sulla relativa eccezione. Per quanto riguarda il grosso dei ricorrenti, cioè le quarantatre imprese commerciali situate “a poche decine di chilometri dall’area in cui dovrebbe sorgere l’insediamento commerciale Shopland – Brugnato 5 terre” (così il ricorso, p. 25), esse affermano la propria legittimazione ed interesse al ricorso sulla base della circostanza che l’insediamento commerciale in progetto prevede la realizzazione di esercizi commerciali coinvolti nel settore della moda e delle calzature, con immediate ricadute sugli interessi concorrenziali e di mercato degli esponenti. Orbene, proprio con riferimento alla materia della legittimazione ad impugnare titoli edilizi da parte di chi si affermi titolare di un interesse commerciale, la Sezione ha recentemente fatto il punto della situazione, affermando una serie di principi che il collegio condivide a da cui non vede motivo di discostarsi neppure nella presente vicenda (T.A.R. Liguria, I, 26.11.2012, n. 1507). In particolare, la Sezione - vale la pena di riportare un ampio stralcio della pronuncia in questione - ha affermato che “in tema di interesse e legittimazione all’impugnativa di titoli edilizi la giurisprudenza si è da tempo attestata sul concetto di vicinitas idonea a circoscrivere la generalizzata legittimazione prevista dalla legge. Tale vicinitas presuppone in estrema sintesi un nesso tra l’intervento edilizio o urbanistico e la sfera giuridica del soggetto che tale iniziativa censura in via giurisdizionale, di talchè l’intervento sia in grado di incidere in maniera oggettivamente apprezzabile sulla sfera del ricorrente. Analogo concetto è stato utilizzato per circoscrivere la legittimazione all’impugnazione dei titoli che abilitano all’esercizio del commercio. Ovviamente in questo caso il riferimento è all’interesse commerciale cioè all’idoneità che il titolo ha di influire sulle posizioni di mercato del controinteressato. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 69 Si tratta, tuttavia, all’evidenza di concetti diversi, facendo il primo riferimento all’interesse edilizio urbanistico e alla posizione di un quisque de populo, il secondo all’interesse commerciale al regolare svolgimento della concorrenza e alla posizione di un operatore del settore potenzialmente in grado di subire un influsso negativo sulla propria posizione di mercato. Peraltro, poiché il legittimo esercizio di un’attività commerciale è subordinato, sia in sede di rilascio del titolo che durante lo svolgimento dell’attività, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistica ed edilizia dei locali (sul punto cfr. Tar Napoli, III, n. 1923/2010; Cons. St., V, n. 3262/2009; Tar Genova, II, n. 543/2008), è possibile ammettere che un operatore economico impugni un titolo edilizio avendo come sua esclusiva finalità quella di perseguire un interesse commerciale, essendo l’iniziativa strumentale (attraverso la rimozione del titolo edilizio) alla caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce presupposto (TAR Lazio, Roma, II 6 dicembre 2011 n. 9600). In questo caso, pur se nessun interesse edilizio è fatto valere dall’operatore commerciale, la legittimazione dovrebbe essere verificata avendo come riferimento l’interesse commerciale del ricorrente. Si opererebbe in tal modo un allargamento del concetto di vicinitas, posto che ad esempio è stata riconosciuta la vicinitas “commerciale” tra grandi strutture di vendita poste a molti chilometri di distanza (C.S., V, 20 febbraio 2009, n. 1032). Per il tramite dell’allargamento del concetto di vicinitas si opererebbe anche un allargamento dell’interesse e della legittimazione ad impugnare i titoli edilizi, riconoscendola anche ad operatori economici, per interessi esclusivamente commerciali e posti ben oltre il concetto di vicinitas proprio delle tradizionali impugnative edilizie. Tale ordine di idee, tuttavia, può essere ammesso quando contestualmente al titolo edilizio è impugnato un titolo commerciale sia in quanto i titoli, seppur formalmente distinti siano coevi, sia in quanto gli stessi siano formalmente contenuti nello stesso documento, quale esito, ad esempio, di una conferenza di servizi. Qualora invece, come, nel caso di specie, i procedimenti rimangano distinti sia giuridicamente che cronologicamente, l’impugnativa di un titolo edilizio, sia pure finalizzato all’assentimento di un immobile a destinazione commerciale, che non sia, tuttavia, accompagnato dal rilascio del titolo commerciale, deve sottostare agli usuali criteri di determinazione della vicinitas espressi dalla giurisprudenza relativamente ai titoli edilizi. Tale conclusione si appalesa necessitata applicando alla fattispecie piani principi in materia di interesse al ricorso e legittimazione allo stesso. Una prima considerazione che si impone è che un operatore commerciale non ha, di norma, alcun interesse a censurare un titolo edilizio rilasciato a terzi per ragioni strettamente edilizie o urbanistiche. Salvo casi eccezionali e privi di rilevanza statistica (si pensi al caso di un intervento che peggiori notevolmente la viabilità di accesso ad un esercizio commerciale e simili), l’operatore commerciale è del tutto indifferente all’esercizio dell’attività edilizia. Il suo interesse invece nasce e si radica su un piano squisitamente e strettamente commerciale, inteso come settore merceologico e dimensionamento di eventuali esercizi concorrenti. L’operatore commerciale ha interesse a censurare l’intervento edilizio solo per ragioni commerciali. La sua iniziativa cioè mira non già alla tutela di un interesse urbanistico edilizio, al quale è indifferente, ma alla tutela delle proprie potenzialità di guadagno per il tramite dell’inibizione di intereventi edilizi che, potendo ospitare operatori concorrenti, su tale capacità di guadagno possono influire. La censura del titolo edilizio quindi è strumentale ad impedire l’insediamento di attività commerciali potenzialmente concorrenti. Ammettere la legittimazione o l’interesse dell’operatore commerciale ad impugnare un titolo edilizio costituisce un‘ipotesi allargata ed eccezionale di legittimazione, che supera i tradizionali confini della vicinitas per ampliarla a tutela dell’interesse commerciale. Tale ampliamento della legittimazione non può, tuttavia, prescindere dal rispetto degli altri principi in tema di interesse. In altre parole l’interesse che sorregge l’impugnativa deve essere personale, diretto e attuale. L’attualità dell’interesse può ritenersi sussistente solo nel caso in cui l’impugnativa del titolo edilizio è susseguente o coeva all’impugnazione del titolo commerciale. Qualora, invece, sia stato rilasciato un titolo edilizio, ma lo stesso non sia accompagnato da un titolo commerciale, l’impugnativa, fondata esclusivamente su un interesse commer- ciale non declinabile in termini di vicinitas in senso tradizionale, deve ritenersi priva di interesse attuale e come tale inammissibile. E’ evidente, infatti, che fino a che il titolo commerciale non sia stato rilasciato la lesione della sfera giuridica dell’operatore non può dirsi sussistente. Inoltre, poiché l’interesse commerciale è tutelato in relazione alle dimensioni e al settore merceologico, è evidente che la mera presenza di un titolo edilizio non vale a attribuire all’interesse il connotato dell’attualità. Infatti, non è possibile prevedere che tipo di attività commerciale verrà insediata, né le dimensioni della stessa, onde l’interesse rimane evanescente fino al rilascio del titolo commerciale. Tale conclusione ovviamente non vale nel caso in cui, per la stessa tipologia dell’intervento edilizio, ovvero per la qualità del soggetto che la pone in essere, può fondatamente ritenersi l’insediamento di una struttura commerciale idonea a porsi in concorrenza con quella del ricorrente. Tali casi ricorrono allorchè la struttura edilizia presenza una spiccata individualità (ad esempio cinema, distributore di carburanti) idonea a qualificarne con un certo grado di attendibilità una specifica vocazione commerciale. Analoga situazione si verifica quando l’intervento edilizio è posto in essere da una soggetto che ha una particolare attività e vocazione commerciale tale da fare ritenere unitamente alla tipologia edilizia posta in essere il futuro insediamento di una specifica attività commerciale. Ma, in difetto di tali ultime ipotesi, ammettere l’attualità dell’interesse significherebbe ammettere un’impugnativa non sorretta da reale interesse edilizio o urbanistico, che poi verrebbe eventualmente dichiarata improcedibile ove fosse rilasciato un titolo commerciale inidoneo a pregiudicare la posizione del ricorrente. Si tratta all’evidenza di conseguenze inaccettabili. La condanna in futuro non è ammessa che nei casi previsti dalla legge (art. 657, comma 1 c.p.c.). Prevederla per via intepretativa non appare operazione condivisibile. In conclusione, può ammettersi che il titolo edilizio sia impugnato con la legittimazione allargata riconosciuta all’operatore commerciale concorrente solo nella ricorrenza delle seguenti ipotesi: a) presenza di un titolo commerciale; b) assenza di un titolo commerciale quando per la particolare conformazione dell’intervento ovvero per la particolare qualificazione del soggetto attuatore dello stesso è concretamente ipotizzabile una lesione dell’interesse commerciale del ricorrente. In difetto la legittimazione dovrà essere verificata secondo il tradizionale indirizzo della vicinitas usualmente impiegato per verificare l’interesse all’impugnativa dei titoli edilizi”. Orbene, nel caso di specie allo stato non sono stati rilasciati titoli commerciali, né, per la stessa tipologia dell’intervento edilizio (che non individua in alcun modo l’attività merceologica degli operatori insediabili) o per la qualità del soggetto che l’ha posto in essere (impresa di costruzioni), può – allo stato - fondatamente ritenersi l’insediamento di una specifica struttura commerciale idonea a porsi in diretta concorrenza con quelle dei ricorrenti. Né rileva che il provvedimento espresso di autorizzazione commerciale sia sostituito – ex art. 19 comma 1 L. n. 241/1990 - dalla presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.), trattandosi comunque di un titolo giuridico, nei confronti del quale gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, agire giudizialmente (art. 19 comma 6-ter L. n. 241/1990). Donde il difetto di legittimazione delle quarantatre imprese commerciali ricorrenti, che non hanno dedotto né dimostrato una situazione di stabile collegamento territoriale (vicinitas) con la zona interessata dall’attività edilizia assentita, nei termini ritenuti - da giurisprudenza costante - necessari e sufficienti per legittimare i terzi all’impugnazione degli strumenti urbanistici attuativi e dei titoli edilizi. Peraltro, come bene illustrato dalle difese del comune di Brugnato e della società controinteressata, l’inammissibilità del ricorso si coglie anche sotto un ulteriore profilo, attinente al difetto di un interesse giuridico meritevole di tutela secondo l’ordinamento. Difatti, a seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva del parlamento europeo e del consiglio relativa ai servizi nel mercato interno 12.12.2006, n. 2006/123/CE e dell’entrata in vigore dell’art. 31, comma 2, del D.L. 6.12.2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22.12.2011, n. 214), costitu- FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 71 isce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Ciò comporta che, in difetto di una legittimazione e di un interesse al ricorso scaturenti da esigenze di tutela dell’ordinato assetto del territorio (le quali – come visto sopra, scontano però il necessario presupposto della vicinitas in termini territoriali, nel caso di specie palesemente insussistente), l’interesse ad impedire l’esercizio dell’attività commerciale di operatori concorrenti non è meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, posto che la concorrenza, di per sé, non è fattore legittimante quando - come nella specie - è invocata al fine di inibire l’esercizio della medesima attività ad altri operatori del settore (cfr., in tal senso, Cons. di St., V, 15.2.2013, n. 940; T.A.R. Sicilia-catania, II, 28.6.2013, n. 1887). Donde, anche sotto tale concorrente profilo, l’inammissibilità del ricorso delle quarantatre imprese di vendita al dettaglio. Resta da valutare l’ammissibilità del ricorso dell’associazione nazionale Legambiente Onlus. In proposito, le parti resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto proposto da un soggetto – il Presidente regionale dell’associazione Legambiente Liguria – diverso dal presidente nazionale e, dunque, non legittimato a stare in giudizio per l’associazione ricorrente. Al riguardo, la difesa dell’associazione ricorrente ha depositato in giudizio copia dello statuto nazionale di Legambiente Onlus approvato al IX congresso nazionale di Bari del 2, 3 e 4 dicembre 2011 (doc. 20 delle produzioni 29.4.2013), il quale, all’art. 24, stabilisce che “il Presidente nazionale ha la rappresentanza legale dell’associazione nazionale sia in giudizio che nei confronti di terzi. La rappresentanza in giudizio dell’associazione nazionale è altresì attribuita ai Presidenti regionali”. Nel corso della discussione all’udienza pubblica, tuttavia, la difesa della società controinteressata ha eccepito che l’attribuzione della rappresentanza in giudizio anche ai presidenti regionali sarebbe frutto di una modifica statutaria apportata al IX congresso nazionale di Bari nel dicembre del 2011, e dunque dopo il rilascio della procura e l’introduzione del giudizio, che data 19-20 maggio 2011, insistendo sull’eccezione di inammissibilità del ricorso. Posto che, in effetti, la copia dello statuto versata in atti dall’associazione ricorrente rimonta ad una versione approvata successivamente all’introduzione del giudizio, ai fini della valutazione sull’ammissibilità del ricorso e del suo scrutinio nel merito (con specifico riguardo ai motivi di interesse ambientale e tra questi, in primis, alle contestazioni sulla mancanza della valutazione ambientale strategica e della valutazione di impatto ambientale), il collegio reputa necessario acquisire copia dello statuto dell’associazione Legambiente nazionale, nella versione in vigore alla data di notificazione del ricorso. La statuizione sulle spese di giudizio è rinviata alla sentenza definitiva. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, Dichiara l’estinzione del processo nei confronti della società Il Bazaar s.r.l., dell’impresa individuale Store di Gianfranchi Graziana e della Federazione Provinciale di categoria degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.); Dichiara inammissibile il ricorso delle altre quarantuno imprese commerciali ricorrenti; Ordina a Legambiente Onlus di depositare presso la Segreteria del T.A.R., entro il 31.1.2014, copia dello statuto dell’associazione nazionale, nella versione in vigore alla data di notificazione del ricorso introduttivo. Fissa l’udienza pubblica del 13 marzo 2014 per l’ulteriore trattazione del merito del ricorso. Spese al definitivo. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Santo Balba, Presidente Roberto Pupilella, Consigliere Angelo Vitali, Consigliere, Estensore FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 73 Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. II 10 dicembre 2013 n. 1481 Pres. Caruso Est. Caputo D.F. (avv. Bergamaschi) Comune di Cengio ed altri (n.c.). [3000/12] Elezioni - Impugnazioni e ricorsi — procedimento avanti al giudice amministrativo - Motivi aggiunti - Ammissibilità - Limiti - Vizi inediti - Esclusione. [3000/12] Elezioni - Impugnazioni e ricorsi — procedimento avanti al giudice amministrativo - Motivi aggiunti - Ammissibilità - Limiti - Individuazione. [3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Volontà espressa - Prevalenza. [3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Prevalenza - Fattispecie - Voto assistito - Verbalizzazione. [3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Fattispecie - Schede bianche e nulle - Verbalizzazione. [3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Applicazione - Fattispecie - Doppia preferenza - Equivocità. [3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Non riconoscibilità - Principi - Applicazione Fattispecie - Segni e nomi di fantasia - Rilevanza. Nel procedimento giurisdizionale elettorale, con i motivi aggiunti non possono dedursi, in base alle risultanze della verificazione disposta dal Collegio, vizi inediti che non trovano sufficiente e adeguato riscontro in quelli dedotti col ricorso introduttivo. Nel giudizio elettorale sono ammissibili i motivi aggiunti che costituiscono svolgimento delle censure tempestivamente proposte. Viceversa, al fine d’assicurare speditezza e celerità che conformano il rito elettorale, non sono ammessi nuovi motivi derivanti da ulteriori vizi emersi a seguito delle verifiche istruttorie disposte dal giudice in relazione alle originarie censure. Le inesattezze della procedura inerenti alla disciplina normativa che disciplina le elezioni comunali sono recessive rispetto all’esigenza di preservare la volontà espressa dal corpo elettorale, sì da essere ascrivibili a mere irregolarità che non inficiano la validità delle operazioni elettorali . In applicazione del principio della strumentalità delle forme e della prevalenza della volontà espressa dal corpo elettorale sulla forma sono irrilevanti le denunciate violazioni dell’art. 41, t.u. n. 570 del 1960 sollevate sul rilievo che in alcuni seggi i verbali non specificano la ragione in virtù della quale alcuni elettori sono stati assistiti all’atto di esprimere il voto; al riguardo, la eventuale incompleta verbalizzazione è comunque supplita, ai sensi dell’art. 1 comma 2, l. 5 febbraio 2003 n. 17, dall’annotazione del diritto al voto assistito reso (graficamente) palese nelle tessera elettorale personale dell’assistito dall’apposizione del corrispondente codice o simbolo. In applicazione del principio di strumentalità delle forme in materia elettorale, la non corrispondenza numerica delle schede nulle e bianche fra quanto indicato nel verbale delle operazioni elettorali e il riepilogo delle operazioni dell’ufficio elettorale della sezione non integra ex se vizio di legittimità della procedura, non risultando alterato il numero complessivo fra schede autenticate, utilizzate e votate. In sede di elezioni comunali, sono nulle le schede di voto che esprimono una doppia preferenza sia all’una che all’altra lista in competizione; difetta, nei casi in esame, il presupposto intrinseco di validità del voto riassumibile nella (oggettiva) univocità della manifestazione di volontà del singolo elettore come palesata nella scheda elettorale. In sede di elezioni comunali, sono nulle le schede di voto in cui risultino contenuti segni e nomi di fantasia affatto estranei alle esigenze di voto e che non trovano ragionevole spiegazione nelle modalità d’espressione del voto; in questi casi il principio del favor voti — quale portato dell’esigenza di conservare e valorizzare la volontà espressa dall’elettore cui obbedisce lo scrutinio dei voti — cede il passo alla norma (combinato disposto artt. 64 e 69, t.u. n. 570 del 1960) che prescrive la « non riconoscibilità » del voto, comminandone, in caso contrario, la nullità. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 724 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Francesco Dotta, rappresentato e difeso dall’avv. Mariateresa Bergamaschi, con domicilio eletto presso Mariateresa Bergamaschi in Genova, c/o Segreteria Tar Liguria; contro Comune di Cengio, non costituito; nei confronti di Piero Basilio Marenco, Boris Arturi, Renzo Faccio, Massimo Marazzo, Daniela Olivieri, Mauro Roveta, non costituiti; per l’annullamento dei verbali delle operazioni elettorali e degli atti conseguenti relativi all’elezione del Sindaco del Comune di Cengio del 26/27 maggio 2013 e per la correzione dei risultati elettorali. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il dott. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Il ricorrente, candidato sindaco nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Cengio nella lista n. 1 “Un futuro per Cengio- Lista civica Dotta sindaco”, in competizione con la lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” risultata vincitrice per tre voti, ha impugnato i verbali delle operazioni elettorali tenutesi il 26-27 maggio 2013 chiedendo, oltre l’annullamento, il riconteggio dei voti validamente espressi dagli elettori aventi diritto nelle quattro sezioni elettorali e la correzione dei risultati mediante l’assegnazione in favore della propria lista dei voti erroneamente non attribuitigli. A fondamento del gravame ha analiticamente denunciato le irregolarità formali e sostanziali nelle quali sarebbero incorsi gli scrutatori ed i presidenti dei seggi elettorali. Segnatamente: la compilazione dei verbali del conteggio delle schede bianche e nulle sarebbe incompleta e presenterebbe cancellature postume; alcune schede nulle sarebbero state invece conteggiate come espressive di altrettanti voti in favore della lista avversa; alcuni elettori avrebbero votato con l’assistenza di accompagnatore senza che sia stata specificamente indicata nel relativo verbale la ragione che aveva reso necessaria l’assistenza; alcuni voti validi non sarebbero stati assegnati alla propria lista. In aggiunta, nell’atto introduttivo lamenta la superficialità e la trascuratezza che affetterebbero la gestione complessiva delle operazioni elettorali come manifestate dall’ incompleta verbalizzazione e dall’assenza di un sereno e proficuo scrutinio collegiale nell’assegnazione dei voti controversi nei singoli seggi, sì da inficiare ab imis l’esito della competizione elettorale. Conseguenti le censure, compendiabili nella plurima violazione degli artt. 41, 57, 64 e 69 t.u. 16 maggio 1960 n. 570 , dell’art. 71, comma 5, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e nella falsa applicazione dei principi che governano la materia elettorale. Il Comune di Cengio, il sindaco ed i componenti alla sua lista, risultata vincitrice, benché ritualmente evocati, non si sono costituiti in giudizio. Con ordinanza collegiale adottata sulla scorta delle richiamate situazioni di fatto (specificamente denunciate nell’atto introduttivo) in grado di alterare l’esito della competizione elettorale, il TAR ha incaricato il Prefetto di Savona, o un suo delegato, di procedere al ri-conteggio di tutte le schede dei voti validi come espressi nei quattro seggi e di quelle nulle e bianche. All’esito, il ricorrente ha proposto motivi aggiunti denunciando altre irregolarità oltre quelle già indicate nel ricorso per fondare i motivi d’impugnazione. Alla pubblica udienza del 29.11.2013 la causa, su richiesta del ricorrente, è stata trattenuta in decisione. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 75 DIRITTO — Sono impugnati i verbali delle operazioni elettorali tenutesi il 26-27 maggio 2013 per le elezioni relative al rinnovo del Consiglio comunale di Cengio. Il ricorrente, candidato sindaco nella lista n. 1 “Un futuro per Cengio- Lista civica Dotta sindaco”, in competizione con la lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” risultata vincitrice per tre voti, oltre l’annullamento dei verbali, ha chiesto il riconteggio complessivo dei voti validamente espressi dagli elettori aventi diritto nelle quattro sezioni elettorali e la conseguente correzione dei risultati con l’assegnazione in favore della propria lista dei voti erroneamente non attribuiti. All’esito della verificazione, disposta con ordinanza collegiale, dei voti validamente espressi, delle schede bianche e nulle, il ricorrente con motivi aggiunti, oltre ad implementare gli argomenti a sostegno di quelli già dedotto nell’atto introduttivo, ha denunciando ulteriori vizi. A questo proposito, in limine, va richiamato l’indirizzo giurisprudenziale, cui va data continuità non sussistendo ragioni sopravvenute per qui discostarsi, che nel procedimento giurisdizionale, con i motivi aggiunti, non possono dedursi, in base alle risultanze della verificazione disposta dal Collegio, vizi inediti che non trovano sufficiente e adeguato riscontro in quelli dedotti col ricorso introduttivo. Sicché nel giudizio elettorale sono ammissibili i motivi aggiunti che costituiscono svolgimento delle censure tempestivamente proposte. Viceversa, al fine d’assicurare speditezza e celerità che conformano il rito elettorale, non sono ammessi nuovi motivi derivanti da ulteriori vizi emersi a seguito delle verifiche istruttorie disposte dal giudice in relazione alle originarie censure (cfr., fra le tante, da ultimo, Cons. St., sez. V, 22 settembre 2011 n. 5354). A tale stregua esulano dal thema decidendi le (nuove) censure che il ricorrente ha dedotto con i motivi aggiunti. Rilevano invece gli argomenti in fatto, ad esse sottese, che innervano i motivi d’impugnazione già dedotti con il ricorso principale. Il ricorso è fondato. Prima di esaminare l’esito della verificazione, per economicità di decisione, va definita, in simmetria alle censure dedotte, la cornice dei principi e delle norme che governano le operazioni elettorali e lo scrutinio dei voti nelle elezioni relative agli enti locali. Le numerose irregolarità denunciate dal ricorrente, relative al comportamento dei presidenti e degli scrutatori delle sezioni elettorali e quelle d’ordine formale, inerenti alla parziale verbalizzazione delle operazioni, vanno considerate irrilevanti in forza del principio di strumentalità delle forme dal momento che non si sono tradotte in specifici vizi incidenti sulla libera e sincera espressione del voto. È’ principio indiscusso, qui condiviso, che le inesattezze della procedura inerenti alla disciplina normativa che disciplina le elezioni comunali sono recessive rispetto all’esigenza di preservare la volontà espressa dal corpo elettorale, sì da essere ascrivibili a mere irregolarità che non inficiano la validità delle operazioni elettorali (cfr., ex multis, CGA, 7 settembre 2012 n. 733; Tar Veneto, sez. III, 4 ottobre 2012 n. 1225). Alla medesima conclusione deve giungersi per quanto riguarda la denunciata violazione dell’art. 41 t.u. 570/1960 sollevata sul rilievo che nei seggi nn. 3 e 4 i verbali non specificano la ragione in virtù della quale tre elettori (uno nel seggio n. 3; due nel seggio n. 4) sono stati assistiti all’atto di esprimere il voto. La censura si risolve infatti al più in un vizio formale: nell’incompleta verbalizzazione sulle reali condizioni d’impossibilità ad esprimere personalmente il voto, senza che sia stata messa in discussione l’effettiva sussistenza della causa che ha reso necessaria l’assistenza né la volontà, come espressa, dall’elettore assistito. Senza passare sotto silenzio che la denunciata incompleta verbalizzazione è comunque supplita, ai sensi dell’art. 1, comma 2, l. 5 febbraio 2003 n. 17, dall’annotazione del diritto al voto assistito reso (graficamente) palese nelle tessera elettorale personale dell’assistito dall’apposizione del corrispondente codice o simbolo. In applicazione del medesimo principio di strumentalità delle forme, anche la non corrispondenza numerica delle schede nulle e bianche fra quanto indicato nel verbale delle operazioni elettorali e il riepilogo delle operazioni dell’ufficio elettorale della sezione (n. 2) non integra ex se vizio di legittimità della procedura, non risultando alterato il numero complessivo fra schede autenticate, utilizzate e votate (cfr., in termini, Cons. St., sez. V, 5 maggio 2008 n. 1977; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 28 novembre 2012 n. 1163). In esito a quanto emerso dalla verificazione, sono invece fondati i motivi d’impugnazione che denunciano la violazione degli artt. 64 e 69 t.u. 16 maggio 1960 n. 570 con riguardo alle seguenti schede, raggruppate in ragione dei vizi omogenei che le inficiano. In primo luogo, sono nulle le schede di voto, attribuite alla lista elettorale n. 2 “Cengio c’è”, (sub allegati nn. 1 e 5 e 13 della verificazione rispettivamente espressive di voto nelle sezioni nn. 1, 2 e 4) laddove esprimono una doppia preferenza sia all’una che all’altra lista in competizione. Difetta, nei casi in esame, il presupposto intrinseco di validità del voto riassumibile nella (oggettiva) univocità della manifestazione di volontà del singolo elettore come palesata nella scheda elettorale (cfr., CGA, 7 settembre 2012 n. 733; CGA., 19 giugno 2010 n. 783). Sono altresì nulle le schede di voto, attribuite alla lista elettorale n. 2 “Cengio c’è”, (sub allegati n. 2, 4 e 10 nelle sezioni elettorali rispettivamente n.1, 2 e 3) poiché in esse sono contenuti segni (n. 4) e nomi di fantasia (nn. 2 e 10) affatto estranei alle esigenze di voto e che non trovano ragionevole spiegazione nelle modalità d’espressione del voto. In questi casi il principio del favor voti – quale portato dell’esigenza di conservare e valorizzare la volontà espressa dall’elettore cui obbedisce lo scrutinio dei voti – cede il passo alla norma (combinato disposto artt. 64 e 69 t.u. cit.) che prescrive la “non riconoscibilità” del voto, comminandone, in caso contrario, la nullità (cfr., Cons. St., sez. V, 18 novembre 2011 n. 6070; Tar Puglia, Lecce, sez. I, 25 novembre 2011 n. 2049). Principio, quello del favor voti, che, viceversa, trova puntuale applicazione con riferimento alle schede di voto sub nn. 15 e 16 dal momento che la croce apposta sulle due schede – seppure in un caso debordi dallo spazio che graficamente contraddistingue il simbolo della lista e, nell’altro, sia posto al fianco della lista – individua, in entrambi i casi, in modo oggettivo ed univoco la volontà dell’elettore. Dette schede di voto, ritenute nulle in sede di scrutinio, devono invece essere considerate come espressive di voto valido in favore della lista n. 1 “Un futuro per Cengio”. Sicché, complessivamente considerate, sono nulle sei schede di voto attribuite alla lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” risultata vincitrice per tre voti. Sono invece valide due schede di voto – ritenute nulle in sede di scrutinio – in favore della lista n. 1 “Un futuro per CengioLista civica Dotta sindaco”. Pertanto, in esito al conteggio giudiziale delle schede dei voti validamente espressi, risulta vincitrice la lista del ricorrente n. 1 “Un futuro per Cengio-Lista civica Dotta sindaco” per cinque voti. Consegue, sul piano processuale, ai sensi dell’art. 130, comma 9, c.p.a. che attribuisce in materia al giudice amministrativo la giurisdizione di merito, ed in conformità al principio d’effettività della tutela, oltre la correzione del risultato delle elezioni tenutesi il 26-27 maggio 2013 per il rinnovo del Consiglio comunale di Cengio, la sostituzione dei candidati della lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” illegittimamente proclamati con quelli della lista del ricorrente n. 1 “Un futuro per Cengio-Lista civica Dotta sindaco”. Sicchè deve essere proclamato sindaco del comune di Cengio Francesco Dotta. Spese di lite irripetibili, escluse quelle relative alla verificazione che, quantificate in 500,00 euro, vanno addebitate al Comune resistente P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, integrato da motivi aggiunti, lo accoglie ai sensi e per gli effetti della motivazione. Spese irripetibili, fatte salve quelle di verificazione, addebitate – nella misura di euro 500,00 – al Comune di Cengio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Giuseppe Caruso, Presidente Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore Richard Goso, Consigliere FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 77 Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. II 11 dicembre 2013 n. 1510 Pres. Caruso Est. Caputo Soc.A. (avv. Iaria, Marrone) A. e Soc.R. . (avv. Cocchi, Taccogna), (avv. Sommazzi, Recla, Bazzani) [3972/12] Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere e a resistere - Aste e appalti - Finalità - Nuova gara - Prova di resistenza - Necessità - Esclusione. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Gara - Criteri di aggiudicazione Valutazione offerte - Scelta - Discrezionalità - Parametri - Fattispecie. Sussiste l’interesse al ricorso da parte dell’impresa esclusa dalla gara a prescindere dal superamento della prova di resistenza laddove l’interesse fatto valere in giudizio dalla ricorrente sia l’annullamento della gara al fine d’indire una nuova procedura concorrenziale con la previsione — questa volta — di criteri qualitativi coerenti con l’oggetto del contratto, sì da (aspirare concretamente a) divenirne aggiudicataria. Costituisce principio indefettibile dell’evidenza pubblica che la scelta dei criteri d’aggiudicazione e di valutazione delle offerte devono essere adeguati alle caratteristiche dell’oggetto del contratto (artt. 42 comma 3, e 81 codice dei contratti pubblici), e che i principi di parità di trattamento e libera concorrenza circoscrivano la discrezionalità della stazione appaltante nella scelta di essi: criteri che, in aggiunta, devono obbedire ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità. Nella cornice definita dai principi appena richiamati, è affatto illegittimo che nella gara per l’acquisto di dispositivi per uso ospedaliero vengano assegnati 30 punti tecnici su 60 sulla base di requisiti riguardanti una norma ISO relativa a dispositivi per autodiagnosi. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1012 del 2013, proposto da: A.Menarini Diagnostics Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Ivan Marrone, Domenico Iaria, con domicilio eletto presso Alessandro Ghibellini in Genova, via R. Ceccardi 1/15; contro Agenzia Regionale Sanitaria Ars Liguria, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Luigi Cocchi, Gerolamo Taccogna, con domicilio eletto presso Luigi Cocchi in Genova, via Macaggi 21/5 - 8; nei confronti di Roche Diagnostics Spa, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Silvia Sommazzi, Jacopo Recla, Maria Alessandra Bazzani, con domicilio eletto presso Maria Silvia Sommazzi in Genova, via XII Ottobre, 10/12; per l’annullamento del provvedimento d’esclusione (d.15 luglio 2013) dalla procedura, indetta dall’Azienda regionale sanitaria – centrale regionale di acquisto, per l’aggiudicazione del contratto di fornitura avente ad oggetto “sistemi diagnostici rapidi della glicemia e dispositivi correlati in ambito ospedaliero”, nonché gli atti delle procedura compresi il bando di gara e l’aggiudicazione in favore della controinteressata Roche Diagnostics Spa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia Regionale Sanitaria Ars Liguria e di Roche Diagnostics Spa; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il dott. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — La società ricorrente ha impugnato il provvedimento d’esclusione dalla procedura aperta, indetta dall’Azienda regionale sanitaria – centrale regionale di acquisto, per l’aggiudicazione del contratto di fornitura (lotti 1 e 2) avente ad oggetto “sistemi diagnostici rapidi della glicemia e dispositivi correlati in ambito ospedaliero”. Gravame esteso al bando di gara e all’aggiudicazione in favore della controinteressata Roche Diagnostics Spa. A fondamento dell’impugnazione ha dedotto: violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs 12 aprile 2006 n. 163 e, in particolare, violazione dei principi di libera concorrenza e parità di trattamento; eccesso di potere sotto vari profili. L’esclusione impugnata, conseguente al mancato superamento della soglia di sbarramento di 36/60 prevista dal disciplinare per il merito tecnico-qualitativo dell’offerta, sarebbe dovuta, secondo le censure, all’irragionevole ed irrazionale previsione contenuta nella lex specialis dei criteri di valutazione che, alterando la par condicio, favorirebbe i dispositivi medici per l’autodiagnosi rispetto ai dispositivi per il settore ospedaliero costituenti l’oggetto specifico del contratto posto in gara. Da cui una serie di situazioni di fatto denunciate dalla ricorrente come palese conseguenza dell’irragionevole impostazione della procedura di gara. La stazione appaltante e la società aggiudicataria controinteressata si sono costituti in giudizio instando per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. Disposta, ai sensi dell’art. 55 , comma 10, c.p.a., nella fase di cognizione della domanda incidentale di tutela cautelare, la sollecita trattazione nel merito, alla pubblica udienza del 28.11.2013 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. DIRITTO — Sono impugnati dalla società ricorrente, oltre il provvedimento d’esclusione, il bando di gara e l’aggiudicazione in favore della controinteressata Roche Diagnostics Spa del contratto di fornitura (lotti 1 e 2) avente ad oggetto “sistemi diagnostici rapidi della glicemia e dispositivi correlati in ambito ospedaliero”. Procedura di gara indetta dall’Azienda regionale sanitaria – centrale regionale di acquisto. I motivi di censura ruotano attorno ad un unico asse argomentativo: i criteri di valutazione dell’offerte tecnica, come previsti nella lex specialis, favorirebbero, ingiustificatamente, i dispositivi medici per l’autodiagnosi rispetto ai dispositivi per il settore ospedaliero, nonostante che questi ultimi fossero l’oggetto specifico del contratto di fornitura. Sicché, lamenta la ricorrente, il mancato superamento della soglia di sbarramento di 36/60 prevista dal disciplinare per il merito tecnico-qualitativo dell’offerta, sarebbe dovuta all’irragionevole ed irrazionale previsione contenuta nella lex specialis. Irrazionalità testimoniata dal fatto che tutte le offerte, ad eccezione di quella presentata dalla controinteressata, unica rimasta in gara, avendo conseguito punteggi inferiori a detta soglia, sono state escluse. In limine sulle eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla stazione appaltante e dalla società controinteressata sul rilievo che, per un verso, difetterebbe l’interesse al gravame non avendo la ricorrente assolto al superamento della c.d. prova di resistenza; e che, per l’altro, l’impugnazione del bando, e con esso dei criteri d’aggiudicazione relativi alle offerte tecniche, avrebbe dovuto essere immediatamente proposta prima dell’esperimento della procedura di gara. Entrambe le eccezioni sono infondate. Nell’ordine. Il gravame muove dalla radicale illegittimità dei criteri di attribuzione del punteggio per l’offerta tecnica, denunciandone le aporie applicative: la ricorrente e tutte le altre imprese offerenti, salvo la controinteressata, non hanno superato la soglia di sbarramento; la stessa ricorrente, nella precedente procedura, avente medesimo oggetto ed annullata in sede giurisdizionale perché inficiata da vizi di forma (omessa verbalizzazione in ordine alla conservazione dei plichi contenenti le offerte e violazione del principio di continuità delle operazioni di gara), era risultata aggiudicataria. Sicché l’interesse fatto valere in giudizio dalla ricorrente è l’annullamento della gara al fine d’indire una nuova procedura concorrenziale con la previsione – questa volta – di criteri FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 79 qualitativi coerenti con l’oggetto del contratto, sì da (aspirare concretamente a) divenirne aggiudicataria. In altri termini non è affatto censurata la valutazione dell’offerta, e con essa il punteggio conseguito; né la ricorrente mira alla riedizione del giudizi reso della Commissione d’esame, per i quali è in astratto ipotizzabile, al fine dello scrutinio sulla consistenza dell’interesse al gravame, il superamento della prova di resistenza. Ad analoga conclusione deve giungersi per l’altra eccezione d’inammissibilità o irricevibilità del ricorso. I criteri di valutazione denunciati come illegittimi non sono affatto escludenti: solo dalla concreta applicazione, con assegnazione dei punteggi parametrati non a valori assoluti ma alla migliore offerta presentata, è scaturito il punteggio inferiore alla soglia di sbarramento. La Commissione esaminatrice ha infatti valutato l’offerta tecnica della ricorrente sulla scorta della norma ISO n. 15197 – riferentesi ai dispositivi per autodiagnosi, non a quelli ad uso ospedaliero che secondo la ricorrente sarebbero stati pertinenti – attribuendo i punteggi via via decrescenti sulla scorta di quello conseguito dalla migliore offerta in gara. È, inoltre, inammissibile l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dalla società controinteressata sul rilievo che la ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa per non aver assolto all’onere, previsto a pena d’esclusione, di produzione del fascicolo tecnico. L’eccezione individua una specifica causa d’esclusione della ricorrente, non contestata dalla stazione appaltante, tale da integrare un autonomo vizio della procedura di gara che avrebbe dovuto essere introdotta nel giudizio con ricorso incidentale. Nel merito il ricorso è fondato. Costituisce principio indefettibile dell’evidenza pubblica che la scelta dei criteri d’aggiudicazione e di valutazione delle offerte devono essere adeguati alle caratteristiche dell’oggetto del contratto (artt. 42, comma 3, e 81 cod. contr. pubbl.). E che i principi di parità di trattamento e libera concorrenza circoscrivano la discrezionalità della stazione appaltante nella scelta di essi. Criteri che, in aggiunta, devono obbedire ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità (cfr., fra le tante, Cons. St., sez.V, 5 ottobre 2005 n. 5318; Tar Campania, Napoli, sez. I, 11 agosto 2005 n. 10716). Nella cornice definita dai principi appena richiamati, è affatto illegittimo che nella gara per l’acquisto di dispositivi per uso ospedaliero vengano assegnati 30 punti tecnici su 60 sulla base di requisiti riguardanti una norma ISO relativa a dispositivi per autodiagnosi. Irrazionalità palesata dal fatto che la ricorrente quanto ai valori “precisione ed accuratezza dell’offerta tecnica” ha conseguito punteggi anormalmente bassi (rispettivamente, per il lotto n. 1, 2,823 su punti max 10 e 0 su punti max 20). Nonostante che nella pregressa procedura, avente medesimo oggetto, avesse conseguito il miglior punteggio tecnico tanto da divenirne aggiudicataria proprio sulla scorta della qualità tecnica dell’offerta, testata dalla Commissione esaminatrice con le prove effettuate in laboratorio. Il fatto che la sola controinteressata sia rimasta in gara avvalora, sul piano empirico, la censura in esame. Di fatto il bando ha operato un’indebita commistione fra sistemi per la misurazione della glicemia in autodiagnosi e sistemi specifici per il settore ospedaliero che, in relazione al diverso uso, presentano secondo la letteratura scientifica caratteristiche tecniche non sovrapponibili. Non è revocabile in dubbio che i criteri di valutazione dei valori tecnici devono essere aderenti a ciascun sistema: ossia, è affatto irragionevole valutare i requisiti di accuratezza e precisione del sistema ospedaliero richiamando (punto 7 disciplinare, allegato F4 ) – come avvenuto nel caso in esame – la normativa ISO 15197 riguardante (l’altro sistema e cioè) l’ autodiagnosi. Per comprovare la rispondenza dei prodotti offerti ai parametri della Norma ISO, il disciplinare fa riferimento alla dichiarazione dell’Organismo autorizzato, contenente gli esiti dei controlli di qualità e delle prove di performance analitiche previste dalla norma ISO 15197. Che hanno ad oggetto – giova ribadire – i sistemi di autodiagnosi. Viceversa, per i sistemi ospedalieri è previsto che il certificato di conformità è rilasciato dal fabbricante senza l’intervento di Organismo notificato. Con la conseguenza che la ricorrente, offrendo in simmetria all’oggetto del contratto un dispositivo per sistemi ospedalieri, non è stata messa in grado di presentare la documentazione in base alla quale la Commissione ha valutato le offerte tecniche, sì da conseguire un punteggio insufficiente a superare la soglia di sbarramento Conclusivamente il ricorso deve essere accolto. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite individuabili nella controvertibilità tecnica delle questioni dedotte in causa. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Giuseppe Caruso, Presidente Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore Richard Goso, Consigliere FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 81 Tribunale amministrativo regionale Umbria Sez. I 20 dicembre 2013 n. 568 Pres. Lamberti Est. Lamberti S.W. s.c. (avv. Anelli) A.P.S.P. . (avv. Calzoni) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Preannuncio di ricorso da parte di impresa partecipante - Vincolo per la stessa - Esclusione Ratio. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Partecipanti - Requisiti di ammissione - Ingiustificatamente escludenti - Illegittimità. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Partecipanti - Requisiti di ammissione - Fatturato aziendale - Importo minimo immotivato Illegittimità. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara - Offerta - Valutazione mediante l’attribuzione di soli punteggi - Illegittimità - Motivazione specifica Necessità. Ai sensi dell’art. 243 bis, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, l’informativa sull’intento dell’impresa partecipante a gara pubblica a proporre ricorso non determina per essa alcun obbligo ad avvalersene perché meramente sollecitatoria dell’autotutela della stazione appaltante. A fronte dell’espressa previsione dell’art. 42 comma 1 lett. a), d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 sulla possibilità per i partecipanti a gara pubblica di fornire dimostrazione delle capacità tecniche mediante l’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni, con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi o forniture, la limitazione del fatturato specifico utilizzabile soltanto a quello maturato per servizi socio sanitari svolti per conto di soggetti pubblici è illegittimo perché sicuramente esclude la partecipazione degli operatori del settore che abbiano svolto in tutto o in parti analoghi servizi in favore di soggetti privati. L’art. 41 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, nella parte in cui dichiara illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale, manifesta l’intenzione del legislatore di porre termine alle ingiustificate limitazioni quantitative apposte alla partecipazione alle gare sotto l’aspetto della capacità economica e finanziaria. Nelle gare pubbliche, in sede di valutazione delle offerte, l’assegnazione di punteggi fra un minimo e un massimo predeterminato deve essere giustificata dalla Commissione con un esaustivo giudizio circa la ragioni concrete dei punti attribuiti, non essendo sufficiente il solo giudizio finale (di eccellente, buono, sufficiente, insufficiente) a rendere trasparente e conoscibile dai partecipanti alla gara la valutazione dei sub elementi dell’offerta. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 400 del 2013, proposto da: Welfare Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pr o tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lorenzo Anelli, con domicilio eletto presso l’avv. Daniele Spinelli in Perugia, piazza Biordo Michelotti,1; contro Azienda Pubblica di servizi alla Persona Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lietta Calzoni, con domicilio eletto presso la medesima in Perugia, via Bonazzi, n. 9; per l’annullamento - del bando di concorso pubblicato sulla G.U.R.I. in data 29 luglio 2013 e di tutti gli ulteriori documenti di gara (Disciplinare, Schema di contratto e relativi allegati A,B,C, e D), aventi per oggetto l’affidamento in appalto dei servizi socio sanitari della Residenza Protetta ″Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi″; - della nota prot. n. 1876 del 23 settembre 2013, con cui l’Azienda Pubblica resistente ha negato l’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela dei sopra menzionati atti, invocato con apposito preavviso di ricorso ex art. 243-bis D.Lgs 163/2006; - di ogni altro atto presupposto, coordinato, conseguente o comunque connesso; - nonché per la condanna dell’Azienda Pubblica resistente al risarcimento dei danni arrecati alla Welfare Società Cooperativa Sociale per l’eventuale perdita di chance dovuta agli atti impugnati. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Pubblica di Servizi alla Persona Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2013 il dott. Cesare Lamberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — 1. L’Azienda Pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi, con sede in Todi, ha indetto una procedura aperta per l’affidamento dei servizi sociosanitari della Residenza Protetta, aventi ad oggetto la gestione di 64 unità non autosufficienti e la gestione in avviamento di un modulo di 11 posti destinati a residenza per anziani non autosufficienti, per un importo base d’asta di E 7.000.000,00 e la durata di cinque anni, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. 1.1. Ai fini dell’ammissione alla procedura di gara, il bando prescrive, tra l’altro, il possesso dei seguenti requisiti speciali “dichiarazione di aver maturato un fatturato specifico relativo a servizi socio sanitari svolti per conto di enti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001/istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o aziende pubbliche di servizi alla persona a favore di persone non autosufficienti conseguito nell’ultimo triennio (2010, 2011, 2012) pari o superiori ad E 5.000.000,00, Iva esclusa”. 2. La ricorrente, Welfare società cooperativa sociale, lamenta che il bando preclude la possibilità di dimostrare l’esistenza del requisito avvalendosi del fatturato relativo ai medesimi servizi sociosanitari svolti per conto di istituzioni private anche convenzionate con soggetti pubblici. 2.1. Sempre ai fini dell’ammissione, il bando dispone che i concorrenti debbano dichiarare “di aver altresì preso conoscenza di tutte le circostanze generali e particolari che possano influire sull’esecuzione del servizio e sulla determinazione dell’offerta e di giudicare i prezzi offerti remunerativi”. 2.2. Dalla documentazione di gara, tuttavia, non si evincono numerosi dati particolarmente incidenti sull’esecuzione del servizio. 2.3. Relativamente all’offerta progettuale (max 70/100 punti), vengono individuati, in particolare, i seguenti sub elementi: b1) programma di formazione e aggiornamento professionale del coordinatore e degli operatori addetti ai servizi (max punti 5/70); b2) progetto di gestione(max punti 45/70); b3) migliorie e innovazione (max punti 10/70); b4) sistema per il controllo e miglioramento continuo della qualità (max punti 5/70); b5) sinergie da realizzare mediante documentati accordi in collaborazione con il tessuto sociale ispirate alla collaborazione dell’integrazione e alla messa in rete delle diverse risorse dei soggetti presenti sul territorio(max punti 5/70). 2.4. A fronte della suddetta elencazione e fissazione di sub punteggi, il bando dispone che relativamente a ognuno di essi (con esclusione dell’elemento b3) verrà motivatamente attribuito da ciascun componente la commissione un coefficiente variabile da 0 a 1: il prodotto della media dei coefficienti attribuiti da tutti i commissari moltiplicato per il punteggio massimo assegnabile determinerà il punteggio conseguito dai singoli concorrenti per i suddetti sotto elementi di valutazione. 2.5. Circa le modalità di attribuzione del coefficiente variabile da 0 a 1, il disciplinare contempla una mera schematizzazione dei possibili giudizi: eccellente da 0,76 a 1,00; buono da 0,51 a 0,75; sufficiente da 0,26a 0,50; insufficiente da 0,00 a 0,25. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 83 2.6. In nessuna parte del bando è dato rinvenire la linea valutativa che condurrà la commissione a definire eccellente, buono, sufficiente, insufficiente l’offerta progettuale presentata dalle concorrenti. 3. Assumendo l’oggettiva impossibilità di partecipare alla gara, la società Welfare cooperativa sociale propone i seguenti motivi di censura: I - violazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e proporzionalità di cui all’art. 2, co.1 D.Lgs. 163/2006 nonché degli artt. 41 e 42 D.Lgs. n. 163/2006: è arbitrario limitare il fatturato specifico utilizzabile dai concorrenti per la dimostrazione del requisito economico finanziario a quello maturato per servizi sociosanitari svolti per conto dei soli soggetti pubblici; II - violazione dell’art. 41, co. 2, ultimo periodo, D.Lgs. n. 163/2006: il bando limita l’accesso alla gara fissando una soglia minima di fatturato aziendale conseguito nell’ultimo triennio pari o superiore ad E 5.000.000,00 Iva esclusa senza fornire alcuna motivazione a sostegno di tale scelta.; III – violazione dell’art. 83, D.Lgs. n. 163/2006 e genericità dei criteri: sono del tutto indeterminate le linee valutative da seguire per l’attribuzione dei punteggi nell’offerta tecnica ed è così precluso ai concorrenti di formulare un’offerta progettuale massimizzata ad ottenere il miglior punteggio possibile; IV - equivocità delle previsioni negoziali: dall’esame della documentazione di gara non è dato comprendere l’esatta determinazione degli oneri di cui l’aggiudicatario deve farsi carico. 3.1. La ricorrente ha poi formulato domanda di risarcimento del danno per equivalente subito dalla perdita di chances per conseguire tempestivamente l’appalto e per la perdita della possibilità di fruire delle chances di conseguire un fatturato sui servizi utile ad accrescere e/o confermare i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche. 3.2. Si è costituita in giudizio l’Azienda Pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perché proposto individualmente dalla società Welfare cooperativa sociale e non quale mandatario o mandante di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con la cooperativa sociale ACTL. L’Azienda intimata ha poi richiesto il rigetto del ricorso. 3.3. In data 15 novembre 2013 la ricorrente, Welfare cooperativa sociale, ha depositato memoria e in data 18 novembre e 23 novembre 2013 l’intimata Azienda Pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi ha depositato memoria e memoria di replica. 4. La causa viene in decisione alla pubblica udienza del 4 dicembre 2013. DIRITTO — 1. È impugnato il bando di gara per l’affidamento dei servizi relativi alla residenza protetta “Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi per n. 64 anziani non autosufficienti e per l’avviamento e la gestione di un modulo di 11 posti destinati a residenza per anziani non autosufficienti, della durata di cinque anni da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. 1.1. Per i servizi inerenti alla RP/Residenza sita in Todi, il bando prevede la corresponsione di un corrispettivo annuale di E 1.400.000,00 soggetto solo ribasso, oltre annuali E 22.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti al ribasso d’asta, oltre Iva come per legge, riferito al nucleo avviato di n. 64 posti per soggetti non autosufficienti: il suddetto compenso nel quinquennio di riferimento risulta pari a netti E 7.000.000,00 soggetto solo ribasso oltre complessivi E 110.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti al ribasso d’asta, oltre Iva come per legge. 2. Precede la disamina del merito, l’eccezione d’inammissibilità per carenza d’interesse e/o per omessa notifica alla controinteressata coop. ACTL, formulata dall’Azienda Pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi nella memoria costitutiva 21 ottobre 2013: la ricorrente, Coop. Welfare, avrebbe proposto autonomo ricorso in proprio senza esservi legittimata, data la sua posizione di mandataria o mandante del costituendo raggruppamento con la cooperativa ACTL. 2.1. Il preavviso in data 04/09/2013, nel quale si manifestava l’intento di proporre ricorso avverso il bando, era stato sottoscritto congiuntamente dalla ricorrente Coop. Welfare e dalla coop. ACTL che avevano dichiarato espressamente l’interesse a partecipare alla gara in costituendo RTI: con successiva nota 19/09/2013, inviata per conoscenza anche alla ricorrente, la coop. ACTL ha comunicato alla stazione appaltante la decisione di non dare seguito all’impugnazione e ha regolarmente presentato l’offerta entro il termine di ricezione del 26 settembre 2013. 2.2. Con richiamo alla funzione deflattiva del contenzioso propria del preavviso di ricorso, l’Azienda Pubblica intimata sostiene la sopravvenuta carenza di interesse in capo alla Welfare coop. Sociale, ad agire in giudizio per annullare la procedura che, invece, l’altro componente del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese aveva interesse a conservare. 2.3. Sempre secondo l’intimata, la Coop. ACTL rivestirebbe, nel presente giudizio la qualifica di controinteressato in senso sostanziale perché titolare dell’opposto - e configgente - interesse a conservare la gara e pertanto la condizione di destinatario della notificazione del presente ricorso, da dichiarare inammissibile in difetto della relativa formalità. 2.4. Ad avviso del Collegio, dalla sottoscrizione del preavviso di ricorso da parte di due partecipanti ad una gara che abbiano manifestato la sola volontà di costituirsi in raggruppamento temporaneo, trae origine una situazione di mero fatto, insuscettibile di produrre conseguenze giuridicamente rilevanti e non già la contrapposizione di interessi giuridicamente rilevante che da luogo alla posizione di (e al correlativo onere di notificazione al) controinteressato. 2.5. Data la sua estraneità al procedimento di gara (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 2 marzo 2011, n. 372), l’esigenza di ridurre l’area delle controversie giudiziali con la risoluzione anticipata della lite cui adempie, ai sensi dell’art. 243 bis, D.Lgs. 163/2006, l’informativa sull’intento di proporre ricorso non determina alcun vincolo nei confronti delle imprese che intendano avvalersene perché meramente sollecitatoria dell’autotutela della stazione appaltante. 2.6. D’altra parte, è costante la giurisprudenza secondo cui ciascuna impresa, prima dell’associazione temporanea, è legittimata a proporre ricorso contro le determinazioni asseritamente lesive dei propri interessi: essendo riferita alla situazione soggettiva fatta valere nella qualità di operatore del settore o di presentatore dell’offerta, la legittimazione ad agire rappresenta un titolo specifico e differenziato, indipendente dai possibili successivi eventi riguardanti la mancata costituzione del raggruppamento (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 2 novembre 2009, n. 646; Cons. St., sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3652). 2.7. Dalla sottoscrizione congiunta dell’informativa ex art. 243-bis, D.Lgs. 163/2006 da parte della cooperativa ricorrente e di ACTL e dalla successiva reciproca divergenza circa la partecipazione alla gara da parte di quest’ultima non è possibile individuare alcuna situazione di controinteresse in grado di configurare in capo ad ACTL la qualifica di contraddittore in senso sostanziale. 2.8. L’eccezione dell’azienda pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi va conclusivamente respinta con richiamo alla costante giurisprudenza secondo cui nel ricorso avverso il bando di gara, che per sua natura non ha destinatari determinati, non sono identificabili soggetti controinteressati (ex plurimis, T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 11 luglio 2008, n. 1367). 3. Precede la trattazione dei primi due motivi di merito, appuntati nei confronti del bando, laddove subordina l’ammissione alla gara alla “dichiarazione di aver maturato un fatturato specifico relativo a servizi socio sanitari svolti per conto di enti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001/Istituzioni Pubbliche di Assistenza e beneficenza o Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona a favore di persone non autosufficienti, conseguito nell’ultimo triennio (2010, 2011, 2012) pari o superiore a E 5.000.000,00 Iva esclusa”. 3.1. Della clausola si afferma la contrarietà al principio di massima partecipazione alle gare e al divieto di prescrizioni restrittive della concorrenza, nella parte in cui esclude dalla partecipazione gli operatori che abbiano maturato lo specifico fatturato richiesto nello svolgimento di attività socio sanitarie per conto di enti e società private e l’inosservanza del criterio di proporzionalità laddove stabilisce la soglia minima di E 5.000.000,00 conseguito nell’ultimo triennio nello svolgimento di servizi analoghi. 3.2. La censura è fondata sotto entrambi i profili dedotti. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 85 3.3. A fronte dell’espressa previsione dell’art. 42, co. 1, lett. a) D.Lgs. n. 163/2006 sulla possibilità dei concorrenti di fornire dimostrazione delle capacità tecniche tramite la “presentazione dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi o forniture”, la limitazione del fatturato specifico utilizzabile a quello maturato per servizi socio sanitari svolti per conto dei soli soggetti pubblici è sicuramente escludente la partecipazione degli operatori del settore che abbiano svolto in tutto o in parti analoghi servizi in favore di soggetti privati. 3.4. Avere il legislatore condizionato le possibili modalità di dimostrazione della capacità tecnica e professionale “... a seconda della natura, della quantità o dell’importanza e dell’uso delle forniture o dei servizi”, non implica che il carattere del servizio sia di per sé sufficiente a offrire contezza della scelta per l’una o l’altra modalità, come si sostiene nella memoria di costituzione, ma onera la stazione appaltante a giustificarne motivatamente la ragione. 3.5. La libera concorrenza e la parità di trattamento nelle gare comunitarie escludono che all’amministrazione sia data la facoltà di restringere la partecipazione con criteri limitativi della capacità tecnica: l’aggettivazione “pubblici o privati”, contenuta nell’art. 42 del Codice a proposito degli enti presso i quali il fatturato è stato conseguito, deve essere interpretata cumulativamente e non disgiuntamente, salve restando le particolari ragioni che possano giustificare la discriminazione in favore dell’una o dell’altra tipologia di ente, di cui offrire però ampia contezza in sede di motivazione. 3.6. Che nel bando sia stato riportato il solo fatturato specifico relativo a servizi socio sanitari svolti per conto di enti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001/Istituzioni Pubbliche di Assistenza e beneficenza o Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona a favore di persone non autosufficienti è immotivatamente restrittivo ed è stato correttamente censurato dalla ricorrente sotto l’aspetto della contrarietà con la massima partecipazione alle gare. 4. Analoghe considerazioni sorreggono il fondamento della censura d’irrazionalità della soglia minima di fatturato aziendale pari o superiore ad E 5.000.000,00 nell’ultimo triennio senza alcun sostegno motivazionale. 4.1. Con l’aggiunta (ad opera dall’art. 1, c. 2-bis, lett. b), D.L. n. 95/2012) dell’ultimo periodo all’art. 41, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui “sono illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale” il legislatore ha inteso porre termine alle ingiustificate limitazioni quantitative apposte alla partecipazione alle gare sotto l’aspetto della capacità economica e finanziaria. 4.2. Tale deve considerarsi senz’altro il fatturato conseguito nell’ultimo triennio, richiesto dalla resistente Azienda Pubblica, di servizi pari o superiore a cinque milioni di euro, pari cioè a circa i 2/3 dell’importo totale della gara, pari a sette milioni di euro. 4.3. In mancanza di idonea motivazione che giustifichi una così elevata capacità economica, il Collegio ritiene la clausola ingiustificatamente restrittiva e limitativa, come tale, della più ampia partecipazione alle gare propria di quello comunitario, cui deve conformarsi l’ordinamento interno. 4.4. Non può essere considerata idonea giustificazione quanto riportato nella memoria di costituzione dell’Azienda Pubblica sulla particolarità del servizio costituito dai servizi socio sanitari, assistenziali e animativi - ricreativi e di interazione con il territorio, comprensivi dei servizi di ristorazione e lavanderia da espletare ventiquattro ore al giorno e per tutto l’anno presso la Residenza protetta Varalli-Cortesi a favore di settantacinque soggetti anziani non autosufficienti. 4.5. A tutto volere ammettere circa la loro idoneità a costituire corretto supporto motivazionale, siffatte giustificazioni sono state fornite in sede di difesa giudiziale (cfr. in part. pagg. 10 e 11 della memoria 21 ottobre 2013) e non dalla Stazione appaltante nella lex specialis della gara come necessario per la loro giuridica rilevanza. 4.6. Resta così assorbito il quarto motivo di equivocità delle previsioni negoziali per indeterminatezza nella documentazione di gara degli oneri di cui l’aggiudicatario deve farsi carico. 5. Va invece respinta l’altra censura di inosservanza della motivazione, in capo alla Commissione di gara, per l’attribuzione dei coefficienti numerici ai sub elementi di cui si compone la griglia di giudizio delle offerte progettuali dalle concorrenti. 5.1. Al proposito, il bando dispone che relativamente a ognuno di essi (con esclusione dell’elemento b3) verrà “motivatamente attribuito” da ciascun componente la commissione un coefficiente variabile da 0 a 1. 5.2. Consegue che la distribuzione dei punteggi fra un minimo e un massimo predeterminato: da 0,76 a 1,00 per eccellente; da 0,51 a 0,75 per buono; da 0,26 a 0,50 per sufficiente; da 0,00 a 0,25 insufficiente debba essere giustificata dalla Commissione con un esaustivo giudizio circa la ragioni concrete dei punti attribuiti, non essendo sufficiente il solo giudizio finale (di eccellente, buono, sufficiente, insufficiente) a rendere trasparente e conoscibile dai partecipanti alla gara la valutazione dei sub elementi. 6. Delle censure prospettate nel ricorso devono essere conclusivamente accolte la prima e la seconda mentre va respinta la terza e va assorbita la quarta. 6.1. Non essendo stata ancora perfezionata la procedura di gara non c’è luogo a determinazione del danno risarcibile. 6.2. Le spese del presente giudizio possono essere compensate per la fattualità delle questioni trattate. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni e nei limiti sopra specificati. Annulla per l’effetto l’impugnato bando di gara. Compensa le spese, competenze ed onorari del presente giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Cesare Lamberti, Presidente, Estensore Stefano Fantini, Consigliere Paolo Amovilli, Primo Referendario FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 87 Tribunale amministrativo regionale Lazio Roma Sez. III bis 16 dicembre 2013 n. 10863 Pres. Calveri Est. Pisano Soc. S. (avv. Napoli, Zoppolato) IPZ e Soc. S. . (Avv. Stato), (avv. Galli, Gentile) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Contratti - Atto di ammissione alla gara - Distinta e autonoma impugnativa dei partecipanti - Esame del ricorso principale e di quello incidentale - Priorità - Irrilevanza - Esame di entrambi i ricorsi - Necessità. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Affitto d’azienda o ramo d’azienda sottoposta a procedura fallimentare - Dichiarazione ex art. 38, da parte di amministratori o direttori tecnici operanti nell’ultimo anno - Obbligo - Insussistenza. D.lg. 12 aprile n. 163, art. 38 [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Termine di dieci giorni ex art. 48 comma 1, d.lg. n. 163 del 1996 - Perentorietà - Solo ove riferito a verifica a campione in corso di gara e non ad aggiudicatario provvisorio. D.lg. 12 aprile n. 163, art. 48 comma 1 Ove due imprese partecipanti alla gara abbiano impugnato l’atto di ammissione dell’altra, il giudice, qualunque sia il ricorso che esamini per primo e che ritenga fondato, deve esaminare anche l’altro ricorso, dando rilievo all’interesse strumentale di ciascuna impresa, sia essa ricorrente principale o incidentale, alla ripetizione della gara. L’applicazione dei principi affermati dalle Adunanze plenarie dl Consiglio di Stato A.P. con decisioni 10/2012 e 21/2012, circa l’obbligo di dichiarazione di cui all’art. 38, d.lg. n. 163 del 2006 in caso di cessione o di fusione di azienda, ha portato a ritenere in via analogica che detto obbligo si applichi anche all’ipotesi di affitto di azienda, ma non può spingersi fino a estendere l’obbligo all’ipotesi dell’affitto d’azienda o del ramo d’azienda sottoposta a procedura fallimentare con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che avevano operato presso l’affittuaria nell’ultimo anno, ovvero, specificatamente, nei confronti del liquidatore della società e del curatore fallimentare. Mentre il termine di dieci giorni previsto dall’art. 48 comma 1, d.lg. n. 163 del 2006 è perentorio ove riferito al caso di verifica a campione in corso di gara sulla sussistenza dei requisiti dichiarati, nel caso in cui l’amministrazione proceda a verifica ex post nei confronti dell’aggiudicatario provvisorio e nel concorrente che segue in graduatoria il predetto termine, salva diversa determinazione della stazione appaltante contenuta nel bando, non soltanto è da considerato ordinatorio ma in caso di violazione implica non necessariamente l’esclusione, bensì l’eventuale possibilità dell’applicazione delle sanzioni ivi descritte avendo il legislatore inteso lasciare alla discrezionalità dell’Amministrazione la valutazione delle conseguenze della mancata osservanza del termine, in relazione anche alla concreta entità del ritardo e alla misura della sua incidenza sull’andamento della selezione. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4006 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da Soc Sicuritalia Spa, in persona del suo legale rappresentante, Dott. Lorenzo Minato, rappresentata e difesa nel presente giudizio dagli Avv.ti Marco Napoli [email protected] e Maurizio Zoppolato (PEC [email protected]; telefax: 06-68134445), ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via del Mascherino 72; e sul ricorso incidentale proposto da: Securpol Group s.r.1., in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del RTI con Securitas Metronotte S.r.l., in persona del legale rappresentante Sig. Roberto Paraseandolo, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Domenico Gentile PEC (PEC [email protected], fax 06.32651711) e Domenico Galli, (PEC [email protected]) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Virginio Orsini, n. 19; contro Ipzs - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ope legis in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti di Soc Securpol Group Srl, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del RTI con Securitas Metronotte S.r.l., Soc Securitas Metronotte Srl; in persona del legale rappresentante Sig.Roberto Paraseandolo rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Galli e Domenico Gentile, con domicilio eletto presso Domenico Galli in Roma, via Virginio Orsini N. 19; per l’annullamento con il ricorso principale e con i motivi aggiunti: del provvedimento adottato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in data 22 marzo 2013 con il quale — avuto riguardo al lotto 1 (sedi IPZS di Roma) - è stata definitivamente aggiudicata al RTI capeggiato da SECURPOL GROUP Srl, la procedura aperta ai sensi del D.Lgs, n. 163/2006 finalizzata alla definizione di un accordo quadro con un unico operatore per ciascun lotto per l’affidamento del servizio di vigilanza presso le sedi IPZS; e con il ricorso incidentale proposto da Securpol: di tutti gli atti di gara impugnati in via principale dal ricorrente ed in particolare: i. del provvedimento adottato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in data 22 marzo 2013 con il quale — limitatamente al lotto n. 1 — è stato definitivamente aggiudicato al RTI Securpol Group srl l’affidamento di un ″accordo quadro con un unico operatore del servizio di vigilanza da prestarsi presso le sedi IPZS di Roma e sono stati approvati gli atti della procedura, nella parte in cui non è stata disposta l’esclusione della società Sicuritalia (all. sub doc. 1 fascicolo del ricorrente principale); ii. dei verbali di gara, nella parte in cui la commissione non ha disposto l’esclusione di Sicuritalia; della nota del 12 febbraio 2013 con cui l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha concesso a Sicuritalia ulteriore termine per presentare documenti a comprova dei requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alla gara; iv. di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ipzs - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e di Soc Securpol Group Srl; Visto il ricorso incidentale; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2013 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Con ricorso notificato in data 24 aprile 2013 la Sicuritalia s.r.l., in persona del L.R. p.t., ha proposto ricorso chiedendo l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento adottato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in data 22 marzo 2013 con il quale - avuto riguardo al lotto 1 (sedi IPZS di Roma) - è stata definitivamente aggiudicata al R.T.I. capeggiato da Securpol Group srl, la “procedura aperta ai sensi del D.lgs. n.163/2006 finalizzata alla definizione di un accordo quadro con un unico operatore per ciascun lotto per l’affidamento del servizio di vigilanza presso le sedi IPZS” e, in via subordinata, la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno in forma specifica o, in subordine, per equivalente economico. Ha esposto la ricorrente che: - con bando di gara spedito pubblicato in GUCE il 2 agosto 2012, con il numero di riferimento 152 - 254520 - IT e sulla GURI – V Serie Speciale – n. 152 del 9 agosto 2012, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha indetto una procedura aperta ai sensi del D.lgs. n.163/2006 per l’affidamento del servizio di vigilanza da prestarsi, per la durata di due anni FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 89 (suscettibili di essere aumentati di altri dodici mesi), presso le sedi IPZS di Roma (lotto 1) e di Foggia (lotto 2). - La procedura veniva articolata in due lotti distinti: Lotto 1 per il servizio di vigilanza presso le sedi IPZS di Roma; Lotto 2 per il servizio di vigilanza presso la sede IPZS di Foggia, per un valore a base d’asta, per il lotto 1 che qui rileva, di Euro 14.306.295,00, con la previsione di impiegare il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso ai sensi dell’articolo 82,comma 2, lett. a), del D.lgs. 163/2006. - Con particolare riferimento al personale da adibire ai servizi di vigilanza e pattugliamento (costituenti la parte preponderante dell’appalto con un valore di Euro 13.941.963,00 sul totale della base d’asta), IPZS, nel rispondere alle richieste di chiarimenti di alcuni concorrenti, da un lato, ha sottolineato che la lex specialis non prevedeva ″alcun obbligo di assunzione del personale dell’Impresa uscente″; ma, dall’altro lato, ha fatto ″comunque salvi gli eventuali obblighi in tal senso previsti dai CCNL di riferimento e/o da accordi regionali, territoriali, etc. applicati dall’Impresa Aggiudicataria″. - Alla procedura prendeva parte, oltre ad altri 9 offerenti, anche SICURITALIA SpA –ovvero, l’attuale gestore del servizio di vigilanza presso le sedi aziendali di IPZS- e il rti capeggiato da SECURPOL GROUP, odierno controinteressato. - Quest’ultima società - nel dichiarare (come mandataria) il possesso del requisito di capacità tecnica del servizio cd. ″di punta″ (ossia quello di aver ″espletato a regola d’arte nel triennio precedente la data di pubblicazione del bando presso una realtà pubblica o privata un servizio analogo unitario per un importo complessivo non inferiore ad 6 6.000.000,00″) – produceva alla stazione appaltante un’attestazione di servizio rilasciata dalla Base Srl. - Detto attestato precisava che le prestazioni relative al fatturato ivi riportato (Euro 7.318.069,45 tra il l° gennaio 2009 ed il 31 dicembre 2012), pur discendendo da un solo contratto -un accordo quadro per l’erogazione di servizi a Monte Paschi di Siena-erano state separatamente svolte (e fatturate) da sei differenti imprese: Securpol Vigilantes Srl, Securpol Mat Vigilantes Srl, Mat Security SpA, Sicurpol Srl, Securpol Val Cecina Srl, Securpol Srl. Tutte poi ″confluite″ — attraverso più contratti di affitto e di cessione di ramo d’azienda stipulati tra il marzo del 2010 e l’ottobre del 2011 — in SECURPOL GROUP Srl. - In data 5 ottobre 2012, come previsto dalla lex specialis di gara, la Commissione di gara dava avvio, in seduta pubblica, alle relative operazioni procedendo alla rubricazione della documentazione amministrativa pervenuta; verificata in seduta riservata - in data 24 ottobre 2012 - la regolarità della documentazione presentata, con riferimento al Lotto 1 venivano ammesse alle successive fasi le seguenti 6 concorrenti: 1) Security Service Srl; 2) Axitea Spa; 3) Costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl; 4) Costituendo RTI Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma Soc.Coop/Città di Roma Metronotte Srl; 5) Sicuritalia Spa; 6) Istituto di Vigilanza dell’Urbe Spa. - In data 12 dicembre 2012, la Commissione procedeva in seduta pubblica all’apertura delle buste “B” contenenti le offerte economiche,dando lettura delle tariffe proposte da ciascun concorrente; in seduta riservata,procedeva alla verifica della regolarità delle offerte medesime e, in conformità a quanto espressamente previsto al Titolo II punto 4 del disciplinare di gara, all’applicazione della formula matematica per l’individuazione dell’importo complessivo del servizio, all’esito del quale gli importi complessivi venivano così determinati: Security Service Srl E 8.400.842,40; Axitea Spa E 7.794.179,60; Costituendo RTI SecurpolGroupSrl/Securitas Metronotte Srl E 7.292.608,96; Costituendo RTI istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma Soc.Coop/Città di Roma MetronotteSrl E 8.225.199,96; Sicuritalia Spa E 7.656.893,46; Istituto di Vigilanza dell’Urbe Spa E 8.912.566,64. In particolare, ad avviso della ricorrente, l’offerta della prima graduata SECURPOL appariva da subito caratterizzata da un ribasso particolarmente significativo sulla tariffa oraria del servizio di vigilanza (E 16,84/h contro una base d’asta di euro 22.00), mentre l’offerta della seconda classificata SICURITALIA SpA ammontava, per il medesimo servizio, ad E 17,67/h. - La Commissione di gara, ai sensi dell’art.86, comma 1 del D.lgs. 163/06 procedeva in relazione alle singole tariffe (tariffa servizi di vigilanza, tariffa operatori logistici, tariffa di pattugliamento) all’individuazione delle soglie di anomalia e trasmetteva gli atti al Respon- sabile del Procedimento per i successivi adempimenti di competenza anche con riguardo alla verifica dei calcoli matematici. - Precisamente, con nota prot. n. 60412 del 14 dicembre 2012, il Responsabile del Procedimento chiedeva al Costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl di fornire le giustificazioni di cui all’art. 86 e all’art. 87 con particolare riferimento a ciascuna delle sopra indicate tariffe. - La SECURPOL, con atto del 2 gennaio 2013, forniva le proprie giustificazioni, argomentando, in virtù di una rielaborazione, ″calibrata″ sulla propria realtà aziendale, delle tabelle ministeriali approvate con DM 8 luglio 2009: - a) di aver fondato la propria offerta sulla convinzione di non dover dare applicazione all’istituto del cambio appalto, avendo espressamente previsto - per fruire di agevolazioni contributive che abbatterebbero il suo costo del lavoro - di procedere per il 40% delle gpg occorrenti (più di un centinaio) ad assumere personale o dalla liste di mobilità ovvero attraverso l’impiego ″massivo″ di contratti di apprendistato; - b) di aver ridotto il numero delle ore non lavorate indicate dalla tabella ministeriale, sostenendo che il tasso di assenteismo per malattie ed infortuni della sua struttura aziendale sarebbe di gran lunga inferiore (meno della metà: 61 giorni all’anno contro 130) rispetto a quello rilevato dal Ministero; - c) di aver azzerato il valore riportato nelle tabelle (per Euro 5.138,29) dei cd. ″costi derivanti da altre disposizioni di legge″, da un lato, sostenendo che i suoi costi di gestione della centrale operativa sarebbero già stati ammortizzati su altre commesse; e, dall’altro lato, sottacendo che gli oneri in questione - siccome commisurati ai costo del personale presente presso la centrale operativa possono essere (non già eliminati in toto, ma solo) ridotti perché suddivisi in ragione del numero sia degli addetti in concreto alla centrale operativa, sia delle gpg ″servite″ dalla centrale; - Dall’esame della documentazione giustificativa presentata, il Responsabile del Procedimento con nota prot. n. 2536 dell’11 gennaio 2013 chiedeva al concorrente di fornire le precisazioni di cui all’art.88 del citato decreto con riferimento alla riduzione del tasso INAIL e dell’aliquota INPS. A fronte dei chiarimenti forniti con l’ulteriore documentazione, l’IPZS riteneva congrua l’offerta della SECURPOL, e con nota del 22 marzo 2013 l’Istituto, ai sensi dell’art.79 comma 5 lett. a) provvedeva a dare a tutti i concorrenti comunicazione di aggiudicazione definitiva nei confronti del costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl. Avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara del 22 marzo 2013 nonché di tutti i verbali della gara stessa la Sicuritalia s.r.l. proponeva l’odierno ricorso. Nel merito, a fondamento del proprio ricorso, Sicuritalia deduceva: 1) violazione degli articoli 42 e 51 del D.lgs.163/06; 2) violazione dell’art. 38, comma 1, lett.c) del D.lgs. n. 163/2006; 3) violazione degli articoli 86 e 87 del D.lgs. n. 163/2006 e degli articoli 25,26,27,85,86 e 89 del CCNL del settore vigilanza; 4) violazione degli articoli 86 e 87, del D.lgs. n. 163/2006 sotto altro e diverso profilo. Con articolata memoria si costituiva l’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, che deduceva la manifesta infondatezza del ricorso. Nella camera di consiglio del 23 maggio 2013, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, si costituiva in giudizio Securpol Group s.r.1., in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del RTI con Securitas Metronotte S.r.l. , che controdeduceva puntualmente sulle censure dedotte. Con atto del 28 maggio 2013, la SECURPOL proponeva ricorso incidentale, chiedendo l’annullamento dei verbali di gara, nella parte in cui la commissione non ha disposto l’esclusione di Sicuritalia e della nota del 12 febbraio 2013 con cui l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha concesso a Sicuritalia ulteriore termine per presentare documenti a comprova dei requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alla gara. In particolare, evidenziava che solo a seguito dell’accesso agli atti del procedimento, concesso alla controinteressata in data 2 maggio 2013, sarebbero emerse gravi irregolarità nella condotta del ricorrente principale non rilevate dalla stazione appaltante, alle quali avrebbe dovuto conseguire l’esclusione di Sicuritalia dalla gara in quanto questa: FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 91 - avrebbe omesso di fornire alla stazione appaltante alcuni elementi indispensabili perché la stessa potesse valutarne l’effettiva idoneità, sotto il profilo del possesso dei requisiti di ordine generale, non dando conto della inesistenza di sentenze penali di condanna nei riguardi dei soggetti che avevano assolto a compiti di gestione nell’anno antecedente la pubblicazione del bando, in una società confluita in Sicuritalia anteriormente alla partecipazione alla gara; - avrebbe omesso di comunicare alcune operazioni di trasformazione e riorganizzazione societaria - attuate mediante affitti ed acquisti di rami di azienda — poste in essere nelle more della procedura di gara; il tutto in violazione anche dell’art. 51 del d.lgs. n. 163/06 che obbliga il candidato, i concorrenti o l’aggiudicatario ad informare la stazione appaltante delle trasformazioni medio tempore intervenute affinché la stessa possa, tra l’altro, verificare la inesistenza di cause ostative alla partecipazione alla gara; - avrebbe omesso di dimostrare, in qualità di seconda classificata, ai sensi dell’art. 48 del Codice dei Contratti, la effettiva titolarità dei requisiti di ordine tecnico-organizzativo ed economico-finanziario, necessari per poter prendere parte alla procedura di affidamento, entro il primo termine di dieci giorni dalla richiesta, qualificato come perentorio dalla stazione appaltante. La ricorrente incidentale argomenta in proposito che la giurisprudenza è costante nel riconoscere che, ove sia la stazione appaltante a qualificare come perentorio il termine attribuito ai concorrenti, per fornire la dimostrazione dei requisiti dichiarati all’atto della partecipazione alla gara, l’esclusione costituisce conseguenza obbligata della mancata ottemperanza alla richiesta entro il termine prefissato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 marzo 2012 n. 1321; TAR Puglia Bari, Sez. I, 14 agosto 2008 n. 1971). E, poiché, nel caso di specie, la committente era stata assolutamente esplicita nell’indicare l’esclusione dalla gara (nonché la segnalazione del fatto all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici e la escussione della cauzione) quale sanzione della mancata dimostrazione dell’effettivo possesso dei requisiti entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, sulla base delle regole procedurali alle quali si era autovincolata, avrebbe dovuto disporre l’esclusione di Sicuritalia dalla procedura in questione. Con articolata ordinanza cautelare del 6 giugno 2013, n.2274, il Collegio, ritenuto che il ricorso fosse privo di sufficienti profili di fondatezza, respingeva l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato. Con ordinanza cautelare n 2679 del 12 luglio 2013 il Consiglio di Stato, sez.VI, riformava la gravata decisione, sospendendo in via cautelare gli atti impugnati. Con atto del 2 agosto 2013 la ricorrente proponeva ulteriori motivi aggiunti avverso i medesimi atti impugnati con il ricorso principale, riproponendo nella sostanza le medesime censure proposte con il ricorso principale circa la violazione degli artt.86 e 87 Dlgs.163/06, con rifermento alla disciplina delle norme del cd.”Cambio appalto” nel settore della vigilanza privata ed alla congruità dell’offerta presentata dal costituendo RTI Securpol Group srl/Securitas Metronotte. In particolare, la ricorrente rilevava l’inattendibilità delle le giustificazioni ex adverso rese, in quanto: a) fondate sul presupposto che l’aggiudicataria non sia tenuta ad assumere il personale del gestore uscente; b) Securpol avrebbe completamente obliterato di considerare i conseguenti maggiori costi, connessi all’assunzione del personale di Sicuritalia; c) l’aggiudicataria ha invocato asserite agevolazioni connesse all’assunzione di personale di cui, in nessun caso, potrebbe godere. Pertanto, deduceva: II. violazione della lex specialis di gara - violazione degli artt. 86 e 87 d.lgs. 163/2006 — violazione dell’articolo 36 della legge 300/1970 - violazione degli articoli 25, 26, 27, 85, 86 e 89 del CCNL del settore vigilanza - violazione del C.C. integrativo regionale di lavoro difetto di istruttoria in merito all’incidenza del cambio appalto. La ricorrente ha pertanto concluso per l’accoglimento dei motivi aggiunti. Nella udienza pubblica del 2 novembre 2013, viste le memorie conclusive depositate dalle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO — A)In via preliminare, per quanto attiene all’ordine logico di trattazione delle domande, va evidenziato quanto segue. Come è noto, secondo il principio affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 7 aprile 2011, n. 4, il ricorso incidentale, diretto a contestare l’ammissione alla gara del ricorrente principale, andrebbe sempre esaminato con priorità, a prescindere dal numero dei partecipanti e dai requisiti (siano essi soggettivi o oggettivi) di partecipazione alla gara che si assumono violati, giacché con detto ricorso il controinteressato pone una questione pregiudiziale di rito, che, se fondata, si riflette nella preclusione all’esame del ricorso principale per difetto di legittimazione ad agire (in questo senso la giurisprudenza dominante, ex multis Consiglio di Stato sez III 11 febbraio 2013, n.768; id. sez. VI 18 gennaio 2012, n. 178; id. sez. V 10 novembre 2011, n. 593; T.A.R. Friuli Venezia Giulia 10 maggio 2012, n. 165; T.A.R. Veneto sez. III 12 giugno 2012, n. 1280; T.A.R. Basilicata 11 giugno 2012, n. 269). Tale orientamento, ultimamente rimeditato anche da due diverse Sezioni del Consiglio di Stato (ordinanze sez. V 15 aprile 2013, n. 2059 e sez. VI 17 maggio 2013, n. 2681), è stato più di recente oggetto di esame dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E. (sez. X, 4 luglio 2013 causa C 100/12), che ha ritenuto la decisione n.4/11 dell’A.P. non conforme con il principio, codificato dall’art. 1 della direttiva 89/665, di efficacia della tutela giurisdizionale contro le decisioni delle autorità aggiudicatrici in materia di appalti contrarie al diritto dell’Unione non discriminazione e tutela della concorrenza nei pubblici appalti di cui alla direttiva n. 1989/665/CEE, come modificata con la direttiva 2007/66/CE. Secondo la C.G.U.E., in particolare, l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale. Ne consegue che, allo stato attuale, per la nota efficacia ultra partes delle sentenze (ex art. 267 Trattato U.E.) della Corte di Giustizia interpretative del diritto comunitario (Cassazione civile sez. trib.,11 dicembre 2012, n. 22577; id. sez. lav., 30 agosto 2004, n. 17350) il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria non può comportare di norma il rigetto del ricorso di un offerente nell’ipotesi in cui la legittimità dell’offerta di entrambi gli operatori venga contestata nell’ambito della medesima gara, essendo ciascun concorrente, in definitiva, portatore di analogo e speculare interesse legittimo all’esclusione dell’offerta dell’altro. Tale statuizione interpretativa, come detto vincolante per gli Stati membri e per questo giudice ed applicabile anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza (C.G.U.E. 27 marzo 1980 causa C 61/79) comporta, di fatto, il ritorno al precedente e superato orientamento invalso presso l’Adunanza Plenaria (11 novembre 2008 n.11) secondo il quale ove due imprese partecipanti alla gara abbiano impugnato l’atto di ammissione dell’altra, il giudice, qualunque sia il ricorso che esamini per primo e ritenga fondato, deve esaminare anche l’altro, dando rilievo all’interesse strumentale di ciascuna impresa, sia essa ricorrente principale o incidentale, alla ripetizione della gara. Nel caso in esame, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’approfondimento della questione circa l’applicazione del principio al caso in esame - in cui le imprese partecipanti alla gara erano nove, ma solo due hanno proposto ricorso giurisdizionale – in quanto, in ogni caso, verranno esaminati nel merito tanto il ricorso principale che quello incidentale. B) Il Collegio ritiene comunque, per motivi di ordine logico, di esaminare prioritariamente il ricorso incidentale proposto da Securpol. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 93 I. Con la prima censura, la ricorrente incidentale deduce violazione dell’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/06, argomentando che tale obbligo derivasse dal bando di gara, pubblicato in data 2 agosto 2012, nonché dal disciplinare di gara (art. 2.1., lett. a), il quale prevedeva l’obbligo per i concorrenti di dichiarare l’assenza, nei confronti dell’impresa, delle cause di esclusione dalla partecipazione alle gare di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), c), e m) del d. lgs. n. 163/06. Esso stabiliva, inoltre, che: i) nel caso di società per azioni, l’insussistenza delle summenzionate cause di esclusione dovesse essere verificata nei confronti dei componenti il Consiglio di amministrazione muniti di poteri di rappresentanza nonché nei confronti del direttore tecnico ove presente (lett. b); e che ii) l’insussistenza delle situazioni contemplate dall’art. 38, comma 1, lett. c) del d. lgs. n. 163/06 dovesse essere verificata anche nei confronti dei soggetti cessati da tale carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando (ovvero, sino a tutto il 30 luglio 2011). Nello specifico, Securpol evidenziava che la ricorrente, nell’anno precedente alla pubblicazione del bando, aveva posto in essere una serie di operazioni di riorganizzazione societaria comprendenti, tra l’altro, l’affitto dell’azienda dalla società Vigili dell’Ordine s.c.r.l.., dichiarata fallita in data 22/30 dicembre 2011 (v. atto di affitto, a firma del notaio Regni Marco, n. rep. 213365, sottoscritto dal curatore fallimentare in data 1 agosto 2012, ovvero il giorno prima della pubblicazione del bando di gara). In ragione di ciò, secondo quanto stabilito dall’art. 38 del d.lgs. n.163/06 e dalla lex specialis, ai fini della partecipazione alla gara, Sicuritalia avrebbe dovuto rendere la dichiarazione attestante l’inesistenza della causa di esclusione non soltanto nei confronti di coloro che avevano ricoperto un ruolo di vertice (direttore tecnico o amministratore con poteri di rappresentanza), ma anche con riguardo a tutti i soggetti che, nel corso dell’anno antecedente alla data di pubblicazione del bando, avevano ricoperto incarichi di gestione presso la società affittata e, specificatamente, sia con riguardo al curatore fallimentare dott.F.Federighi, sia con riguardo al precedente amministratore, ovvero il liquidatore fallimentare dott.V.Baronti (in capo al quale, effettivamente, dagli accertamenti svolti da IPZS risultava un decreto penale di condanna del 29/12/ 2008 per reato commesso nel 2006, connesso al mancato pagamento delle ritenute previdenziali e assistenziali dei dipendenti ex art.2, comma 1 bis, DL 463/83). La censura non è condivisibile. Sotto il profilo della necessità che anche l’affittuario sia soggetto agli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 38 del d.lgs. n.163/06, il Collegio condivide l’assunto della ricorrente incidentale secondo cui con l’affitto di azienda “si realizza, in sostanza, una situazione assolutamente analoga a quella della cessione di azienda, salvo per il fatto ché, nel primo caso, gli effetti del contratto hanno natura transitoria e vi è un obbligo di restituzione del complesso aziendale mentre nel secondo, invece, gli effetti hanno natura permanente”. Ed infatti, “anche nel contratto di affitto di azienda non soltanto l’affittuario è in condizione di utilizzare mezzi d’opera e personale facenti capo all’azienda affittata ma, soprattutto, si mette in condizione di avvantaggiarsi anche dei requisiti di ordine tecnico organizzativo ed economico finanziario facenti capo a tale azienda, per quanto ciò avvenga per un periodo di tempo determinato e malgrado la ″reversibilità″ degli effetti una volta giunto a scadenza il contratto di affitto d’azienda, con l’obbligo di restituzione del complesso aziendale”. Anche tale fattispecie, quindi, ad avviso del Collegio rientra per “analogia” tra quelle che, per giurisprudenza oramai pacifica del Consiglio di Stato, soggiacciono all’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. c) del Codice, riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta un’operazione di cessione d’azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2012 n. 10). In tal senso, si sono del resto di recente espressi anche il T.A.R. Venezia (sez. I, n.1090 dell’11 settembre 2013) e il Tar Campania, Napoli (sez. I, 3 giugno 2013 n. 2868), ai sensi del quale “l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti (cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sezione III, 18 luglio 2011, n. 4354; C.G.A., 5 gennaio 2011, n.8 e 26 ottobre 2010, n. 1314; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 16 marzo 2011, n. 488). Ciò che rileva, infatti, non è la natura reale o personale del diritto attribuito alla concorrente sull’azienda di un altro soggetto, ma la circostanza obiettiva che questa intende utilizzare, ai fini della partecipazione alla gara”. Dove, tuttavia, il Collegio non concorda con la ricorrente incidentale - oltre che con le ulteriori conclusioni del Tar Napoli n.2868/13- è che i principi affermati dall’A.P. con decisioni 10/12 e 21/12 debbano applicarsi anche all’ipotesi dell’affitto d’azienda o del ramo d’azienda sottoposta a procedura fallimentare -situazione che caratterizza la vicenda in esame- con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che avevano operato presso l’affittuaria nell’ultimo anno, ovvero, specificatamente, nei confronti del liquidatore della società e del curatore fallimentare. Tale interpretazione, ad avviso della ricorrente incidentale, deriverebbe dall’analisi dei poteri loro concessi, del tutto equivalenti a quelli degli amministratori nella fase in cui la società sia in regime di piena operatività, con particolare riguardo alla possibilità di cessione dell’azienda sociale, di rami di essa ovvero di singoli beni o diritti o blocchi di essi, alla possibilità di compiere tutti gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso l’esercizio provvisorio anche di singoli rami in funzione del maggiore realizzo. Si ravviserebbe, quindi, la stessa ratio delle fattispecie affrontate e risolte con i principi di diritto affermati da parte dell’Adunanza Plenaria (dec. n. 10/12 e 21/12 cit.) “al fine di evitare possibili elusioni della disciplina vigente, si che la cessione o l’affitto d’azienda possano costituire l’ escamotage per consentire la partecipazione alla gara di operatori che non sarebbero in condizione di partecipare uti singuli, in quanto privi dei necessari requisiti morali”. Le argomentazioni della ricorrente incidentale, sul punto, non possono essere condivise. Ed invero, per rispetto del principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, non può prescindersi dalla sollecitazione, ricordata dall’A.P. 21/12, che i principi di diritto espressi dalla plenaria n. 10/2012, siano “correttamente applicati”, esaminando ciascuna situazione “caso per caso”. La vicenda in esame, in cui l’affitto dell’azienda veniva disposto dal curatore della società, si inserisce infatti tra quelle disciplinate dall’art.104-bis L.F., intitolata, appunto, “ Affitto dell’azienda o di rami dell’azienda”. Ai sensi di tale disposizione, introdotta dall’art. 91 del D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nell’ambito della procedura fallimentare viene assegnata un’importanza fondamentale all’affitto dell’azienda ai fini della conservazione in funzionamento dell’apparato economicoproduttivo, con l’avviamento, e del mantenimento dei livelli occupazionali, funzionali all’ottenimento di un maggior realizzo in sede di liquidazione e, quindi, di un miglior soddisfacimento dei creditori (vd. anche art. 105 L.F.). Il procedimento in questione si caratterizza in quanto l’affitto dell’azienda deve essere autorizzato dal Giudice Delegato- il quale, peraltro, ai sensi dell’art.16 L.F. nomina lo stesso curatore- su proposta di questi e previo parere favorevole, vincolante, del Comitato di creditori, anche prima della presentazione del programma di liquidazione. La stessa scelta dell’affittuario peraltro, ai sensi del successivo art. 107, non solo è affidata a procedure competitive, ma è sottoposta ad un complesso iter (proposta del curatore, parere del Comitato dei creditori, autorizzazione del G.D.; bando di vendita; vaglio delle offerte; in caso di aziende socialmente rilevanti, informativa alle organizzazioni sindacali, consultazione ed eventuale accordo sindacale sul mantenimento anche parziale della forza lavoro; informativa al G.D. e al Comitato dei creditori, con deposito in cancelleria della documentazione, stipula del contratto, effettivo subentro nella gestione dell’affittuario) e al rispetto di particolari criteri (venendo ex lege data prevalenza non all’entità del canone, bensì alle garanzie circa la prosecuzione dell’attività e alla conservazione dei livelli occupazionali, nonché all’eventuale proposta, irrevocabile e garantita, da FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 95 parte dell’affittuario di acquisto del complesso aziendale a condizioni predeterminate, come verificatosi nel caso in esame). Tale complesso meccanismo, ad avviso del Collegio, rende già di per sé evidente come lo strumento descritto mal si adatti ad essere utilizzato in una fattispecie elusiva, posta in essere al solo fine di consentire alla società posta in liquidazione o fallita di partecipare ad una gara alla quale la stessa non potrebbe comunque partecipare. Ciò non perché il curatore – che, lo si ricorda, viene nominato dal Giudice Delegato e, come disposto dall’art. 31 comma 1 della legge fallimentare (legge n. 267/1942 e successive modificazioni), è colui che “ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite”– o il liquidatore risultino, per ipotesi, privi dei requisiti morali di cui all’art.38, ma proprio in virtù della preclusione direttamente derivante dall’art.38, comma 1, lettera a), secondo cui – a prescindere dal possesso dei requisiti morali- sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “ che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”. Poiché, in tali ipotesi, quindi, sarebbe del tutto irrilevante anche l’eventuale dichiarazione circa il possesso dei requisiti morali richiesti dalla disposizione, altrettanto irrilevante, ad avviso del Collegio, appare la mancata dichiarazione di cui all’art.38, comma 1,lett.c). Del resto, la gestione posta in essere dal liquidatore o dal curatore durante la procedura fallimentare è dichiaratamente rivolta all’ottenimento di un maggior realizzo in sede di liquidazione e, quindi, un miglior soddisfacimento dei creditori. Per quanto, in particolare, riguarda invece la fase della liquidazione, essa consiste in quel complesso di operazioni dirette a disinvestire le attività, estinguere le passività, acquisire il residuo patrimoniale da liquidare e ripartire tra i soci. In altre parole durante la fase della liquidazione l’azienda non è più configurabile come un complesso organizzato di beni funzionanti, bensì un insieme di beni da cedere anche in blocco, atteso che durante la fase finale della vita di un’impresa lo scopo di produrre profitto è sostituito con il fine della divisione del patrimonio sociale fra i soci. In entrambi i casi, ad avviso del Collegio, si ravvisa comunque quella “completa cesura” tra la vecchia e la nuova gestione “tale da escludere la rilevanza della condotta dei precedenti amministratori e direttori tecnici operanti nell’ultimo triennio e, ora, nell’ultimo anno, presso il complesso aziendale ceduto”, al fine dell’applicazione dei principi di cui all’A.P. n.10/12. Correttamente, pertanto, nel caso in esame la stazione appaltante non ha disposto l’estromissione della ricorrente principale Sicuritalia dalla gara, analogamente a quanto avvenuto- come meglio si vedrà appresso- nei confronti della stessa ricorrente incidentale Securpol, risultata aggiudicataria, nei confronti della quale l’IPZS ha ritenuto legittimamente di esercitare il cd. potere di soccorso, tenuto conto della non univocità delle norme circa l’onere del cessionario e del fatto che il bando non conteneva al riguardo una espressa comminatoria di esclusione (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 giugno 2012, n. 21) valutando il precedente penale riportato dal cessionario in concreto non incidente sui requisiti di moralità professionale richiesti dall’art.38 Codice Appalti. In ogni caso, la stazione appaltante ha evidenziato- come meglio si vedrà appresso- di avere proceduto ad attivare il cd.”dovere di soccorso” anche con riferimento tanto alla posizione del liquidatore che del curatore della Sicuritalia. Ed invero, con la seconda censura la ricorrente incidentale lamenta che Sicuritalia avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura, in ragione della violazione delle disposizioni, oltre che dell’art.38, anche dell’art. 51 del d.lgs. n. 163/06. Sebbene, infatti, l’art. 51 del Codice dei contratti non imponga l’obbligo dell’immediata produzione documentale e/o della comunicazione delle intervenute modifiche soggettive dell’impresa, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che la ratio del sistema configuri l’obbligo per la stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti, ai fini della corretta ammissione e aggiudicazione, avendo riguardo al momento in cui si è effettivamente verificata la modificazione soggettiva e applicando le norme relative alla qualificazione del concorrente e, come è noto, la mancata dichiarazione relativa all’assenza di requisiti di cui all’art. 38 del Codice, relativamente agli organi di vertice della società. oggetto di acquisizione, deve comportare l’automatica esclusione dalla gara (Cons. Stato, Sez. III, 5 aprile 2013, n. 1894). Orbene, poiché anche nelle more dello svolgimento delle operazioni di gara, Sicuritalia veniva interessata da una serie di vicende di riorganizzazione societaria (avendo proceduto: a) all’acquisizione in affitto dell’azienda Europol s.r.l. (in data 24 ottobre 2012); b) all’acquisto della società Vigili dell’Ordine Città di Pistoia s.c.r.l. , di cui aveva già affittato il ramo di azienda in data 31 ottobre 2012); (c) all’acquisto dell’azienda Sicuritalia Siatel — Impianti tecnologici di sicurezza s.r.l. in data 17 dicembre 2012), Sicuritalia avrebbe dovuto produrre la dichiarazione circa l’inesistenza delle situazioni ostative di cui all’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/06 con riferimento all’amministratore unico dell’impresa Europol s.r.l. (Sig. Giovannelli Giovanni Battista); al liquidatore dell’impresa Vigili dell’Ordine s.c.r.l. sig. Valerio Baronti; nonché al Presidente con poteri di gestione dell’impresa Sicuritalia Siatel — Impianti tecnologici di sicurezza s.r.l. Sig. Caimi Silvano. Mancando tali dichiarazioni, l’amministrazione avrebbe dovuto disporre l’esclusione di Sicuritalia. Interpretando diversamente, si consentirebbe infatti all’impresa che abbia acquisito un’azienda, nelle more della procedura di gara, di sottrarsi all’onere di presentare la dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. c) del Codice relativamente agli amministratori dell’azienda acquisita. Inoltre, la ricorrente incidentale evidenzia che le suddette operazioni di acquisizione non sono state comunicate neppure in sede di verifiche in ordine all’effettivo possesso dei requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alle gara, ai sensi dell’art. 48, comma 2, del Codice, con conseguente necessità di imporre l’esclusione dalla gara della stessa anche sotto tale profilo. In proposito, l’amministrazione resistente ha evidenziato che – posto che la clausola del bando non menzionava l’onere di rendere la dichiarazione con riguardo agli amministratori delle società partecipanti a procedimenti di cessione- comunque, nel caso de quo, la Stazione Appaltante non poteva rilevare la presunta causa di esclusione afferente all’impresa Sicuritalia, seconda in graduatoria, in quanto la verifica del possesso dei prescritti requisiti di cui all’art. 38 è prevista solo in capo all’aggiudicatario ai fini della stipula del contratto. In ogni caso, in ottemperanza ai principi espressi dalla Adunanza Plenaria n. 21/2012, IPZS riteneva di esercitare il potere di soccorso istruttorio, avviando e concludendo le verifiche di cui all’art. 38 comma 1 lett. c) nei confronti dei soggetti di seguito elencati: Giovanelli Giovanni Battista amministratore unico e socio della Europol Srl; Campeglia Antonio socio della medesima società, con riferimento all’acquisizione in affitto del ramo di azienda da parte della Sicuritalia; Baronti Valerio, liquidatore della società Vigili dell’Ordine Città di Pistoia; Federighi Francesco curatore fallimentare della medesima società, con riferimento all’acquisto dell’intera azienda da parte della Sicuritalia; Aufiero Mauro presidente C.d.A della Euro S.A.I. con riferimento alla fusione per incorporazione da parte di Sicuritalia, tutti risultati tutti incensurati con eccezione, come già rappresentato, del sig. Baronti Valerio, nei cui confronti risultava emesso un decreto penale del 29/12/ 2008 per reati commessi nell’anno 2006/2007 per violazione dell’art. 2 comma 1 bis del D.L. n.463/83. Anche in tale caso IPZS – analogamente, come si vedrà appresso, a quanto ritenuto con riguardo all’amministratore della cessionaria di Securpol Sezione sicurezza Omar Menghini – atteso che per costante giurisprudenza la valutazione della gravità per reati che incidano sulla moralità professionale vada effettuata non in astratto, con riguardo al mero titolo del reato, ma tenendo conto della peculiarità del caso concreto, riteneva irragionevole considerato l’epoca ed il tempo trascorso dalla condanna nonché l’assenza di recidive esprimere un giudizio di “gravità” tale da comportare l’esclusione dalla procedura di gara della Sicuritalia. Pertanto, tanto la prima che la seconda censura del ricorso incidentale devono essere respinte perchè infondate. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 97 Con la terza censura, Securpol evidenzia che Securitalia avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara anche per violazione dell’art. 48, comma 2, del Codice, che impone, tanto al primo quanto al secondo graduato, la dimostrazione dei requisiti stabiliti nella lex specialis ai fini della partecipazione alla gara. Infatti, benché la lex specialis non prevedesse alcun termine, gran parte della giurisprudenza ha ritenuto che tale disposizione comunque, a carico dell’aggiudicatario e del concorrente un obbligo di adempimento identico a quello imposto ai sorteggiati, per contenuto e termine, nonché di medesima natura perentoria (Consiglio di Stato, sez. VI, 8 marzo 2012, n. 1321, C.G.A., sez. giurisdizionale, 15 aprile 2009 n. 233; TAR Sicilia, Sez. III, 6 ottobre 2009, n. 1608), essendo tale natura insita nella automaticità della comminatoria prevista per la sua inosservanza. In ogni caso, nella stessa richiesta dell’amministrazione del 24 gennaio 2013, veniva stabilito che alla tardiva o mancata comprova di quanto richiesto entro i successivi 10 giorni avrebbe fatto automaticamente seguito l’esclusione dalla gara. Ciò posto, la stazione appaltante Sicuritalia con nota del 24 gennaio 2013, veniva chiamata, in qualità di seconda graduata, a fornire la documentazione a comprova dei requisiti di capacità economico finanziaria e tecnico organizzativa da tale norma richiesti, entro e non oltre il 4 febbraio 2013, con l’ulteriore precisazione che ″nel caso in cui la documentazione richiesta non sia fornita nel termine sopra indicato ovvero delta documentazione non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione, si procederà all’esclusione dalla procedura di gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria ed alla segnalazione del fatto all’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, servizi e forniture″. In esito a tale richiesta, Sicuritalia inviava, entro il termine previsto, una serie di documenti, ad avviso della ricorrente incidentale “evidentemente ritenuti non esaustivi”, se con nota del 12 febbraio 2013, la stazione appaltante — non rispettando l’autovincolo che essa stessa si era posta - riteneva di dover richiedere al concorrente alcune integrazioni (nello specifico, relativamente alla verifica del numero medio dei dipendenti) da rendersi entro il 15 febbraio 2013. In data 14 febbraio 2013, la ricorrente inviava l’integrazione richiesta e in data 25 febbraio 2013 trasmetteva ulteriore documentazione. Pertanto, la stazione appaltante avrebbe dovuto disporne l’esclusione, entro la prima data del 4 febbraio 2013, secondo il principio che la stessa è obbligata ad uniformarsi alle regole che essa stessa si è data- in particolare, con riferimento alla perentorietà del termineviceversa ponendo in essere una condotta lesiva della par candido tra i concorrenti e delle esigenze di interesse generale legate ad una tempestiva conclusione della procedura (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 8 marzo 2012, n. 1321, che conferma TAR Puglia, Bari, sez. I, 14 agosto 2008, n. 1971). Anche tale censura non può essere condivisa. Difatti – preso atto delle repliche fornite, in punto di fatto, nella memoria difensiva di Sicuritalia volta a dimostrare, comunque, che i documenti depositati potevano dimostrarsi completi già “ab origine”- in punto di diritto deve ritenersi che mentre il termine di dieci giorni previsto dall’art. 48, comma 1, del D. Lgs.163/2006 è perentorio ove riferito al caso di verifica a campione in corso di gara sulla sussistenza dei requisiti dichiarati (ex multis: Cons. Stato Sez. VI, 28-09-2012, n. 5138; T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 05-02-2013, n. 44), al contrario - nel diverso caso in cui l’Amministrazione proceda a verifica ex post nei confronti dell’aggiudicatario provvisorio e nel concorrente che segue in graduatoria - il predetto termine, salva diversa determinazione della stazione appaltante contenuta nel bando, non soltanto è da considerato ordinatorio (in tal senso: T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 23-06-2011, n. 1134; T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 21-04-2011, n. 422), ma in caso di violazione implica non necessariamente l’esclusione, bensì l’eventuale possibilità dell’applicazione delle sanzioni ivi descritte (Cons. Stato Sez. VI, 16-07-2012, n. 4160), avendo il Legislatore inteso lasciare alla discrezionalità dell’Amministrazione la valutazione delle conseguenze della mancata osservanza del termine, in relazione anche alla concreta entità del ritardo e alla misura della sua incidenza sull’andamento della selezione. Nel caso in esame, peraltro, risulta che IPZS ha comunque informato la propria condotta al rispetto del principio di par condicio concedendo ad entrambi i concorrenti la possibilità di integrare la documentazione per la comprova dei requisiti ex art. 48 del citato decreto (v.note prot. nn. 9950 e 9954 inviate in data 12 febbraio 2013 sia al RTI Securpol Group/Securitas Metronotte che a Sicuritalia S.p.A.). In conclusione, il ricorso incidentale deve essere respinto. C) Venendo al merito del ricorso e dei motivi aggiunti, anch’essi devono essere respinti perché infondati. Si ritiene di dover esaminare, prioritariamente, il II motivo del ricorso principale, perché specificatamente oggetto dell’ordinanza cautelare della IV sezione del Consiglio di Stato, n.2679, di riforma dell’ordinanza cautelare n.2274/13 di questa Sezione. Nella pronunzia cautelare, si afferma infatti che “l’ordinanza, fermo restando il necessario approfondimento di tutti i motivi del ricorso principale, merita riforma nella parte concernente l’obbligo dell’offerente di rendere dichiarazione in ordine ai requisiti morali anche dell’amministratore del cedente, essendo stata, la questione, oggetto di pronunciamento dell’Adunanza Plenaria n. 10/2012 (quanto all’estensione in via esegetica dell’obbligo nei confronti del cedente dell’azienda o del ramo d’azienda) e n. 21/2012 (nei confronti delle società fuse o incorporate) che hanno fatto salvo il potere di soccorso dell’amministrazione solo ove l’omessa dichiarazione non valga a celare eventuali pregiudizi penali dell’amministratore della cedente. Considerato che, nel caso di specie, l’amministratore della società Sicurpol Sezione Sicurezza, ceduta alla Securpol Group (poi risultata aggiudicataria), ha pregiudizi penali (decreto penale per reati commessi nel 2005 aventi ad oggetto violazione al TULPS 773/1931 ed al RDL 1952/1935). Che le difese della Securpol Group e dell’amministrazione, tendenti a rimarcare la non gravità dell’unico precedente penale, sebbene meritevoli di approfondimento in quanto interessanti un punto non espressamente esaminato dalla Plenaria, non sono tuttavia sufficienti ad eliminare il fumus della censura (la Plenaria 10/2012 sembra, infatti, aver implicitamente ritenuto che la sola presenza di un pregiudizio penale, qualunque sia la sua gravità, in uno con l’omessa dichiarazione, integri fattispecie di per sé non meritevole sul piano dell’affidamento e conseguentemente non rilevante sul versante del potere di soccorso)”. Ciò premesso, pur ritenendo doveroso approfondire gli spunti di cui alla richiamata decisione della IV sezione del C.d.S, il Collegio ritiene di aderire ad una differente interpretazione dei principi espressi nelle richiamate decisioni dell’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.10/12 e n.21/2012. Tale differente interpretazione non riguarda - evidentemente- l’incontrastata estensione in via esegetica dell’obbligo nei confronti del cedente dell’azienda o del ramo d’azienda e nei confronti delle società fuse o incorporate, quanto ulteriori aspetti affrontati incidentalmente dall’Adunanza Plenaria, che tuttavia rivestono un ruolo decisivo nel caso in esame. Si evidenzia, infatti, in primo luogo, che -come già ribadito- anche secondo l’A.P. i principi da essa espressi devono comunque “essere affrontati caso per caso”. Nel caso in esame, ad avviso del Collegio, non può non darsi rilievo alla particolarità che il bando sia stato pubblicato dall’IPZS in data 2 agosto 2012, ovvero solo dopo un mese e mezzo circa dal deposito della decisione dell’A.P. n.21/12. Orbene, è evidente, per il Collegio, quanto precisato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 7 giugno 2012 n. 21) circa la necessità che l’onere per l’amministrazione di prevedere nel Bando, a pena di esclusione, l’obbligo di rendere la dichiarazione con riferimento alla società ceduta o oggetto di affitto operi solo per le procedure antecedenti alla data del 7 giugno 2012 (data in cui la stessa Adunanza Plenaria n. 21/12 ha chiarito i profili ″intertemporali″ in questione) mentre, per i casi verificatisi in precedenza, “In una situazione siffatta, di oscillazione della giurisprudenza e di clausola del bando che non prevede espressamente l’onere di rendere la dichiarazione relativamente agli amministratori delle società partecipanti alla fusione o incorporate, le stazioni appaltanti sono tenute ad esercitare un potere di soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a fornire la FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 99 dichiarazione mancante, sicché i concorrenti potranno essere esclusi solo se difetti il requisito sostanziale (nel senso che vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali), ovvero se essi non rendano, nel termine indicato dalla stazione appaltante, la dichiarazione mancante”. Quindi, è ben chiaro che per l’A.P., a decorrere dalla data indicata deve escludersi un “dovere di soccorso da parte dell’amministrazione. Ciò tuttavia non significa, ad avviso del Collegio, che con tale decisione l’A.P. abbia invece escluso in radice non il dovere, ma comunque la “possibilità” per l’amministrazione, di attivare il soccorso in casi - come quello in esame- ciò assuma connotati particolari, ovvero quando sia richiesto dal rispetto, da parte dell’amministrazione, dei principi di correttezza, buona amministrazione e tutela dell’affidamento dei concorrenti e, naturalmente, ciò non pregiudichi la par condicio dei concorrenti. Nel caso specifico, premesso che si tratta di un bando pubblicato in data molto ravvicinata alla pubblicazione della decisione n.21/12 (che ha posto fine ad un acceso dibattito giurisprudenziale sulla necessità, o meno, che gli amministratori delle imprese cedute possano considerarsi alla stessa stregua di un soggetto cessato dalla carica), il RTI ricorrente si è attenuto, nel rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38 del digs. 12 aprile 2006,n. 163, alle indicazioni contenute nel modulo predisposto dalla stazione appaltante (che, secondo quanto previsto dall’art. 2.1. del disciplinare, doveva essere obbligatoriamente utilizzato dai concorrenti), che non conteneva alcun riferimento alla necessità di rendere le dichiarazioni anche con riferimento agli amministratori e direttori tecnici delle imprese ″cedenti″. Ad avviso del Collegio, appare preferibile una diversa interpretazione dei principi affermati dell’A.P. n.21/12. Ed invero, ragionando in senso in senso sostanzialistico, ove l’amministrazione legittimamente attivi il dovere/potere di soccorso di fatto “rimettendo in termini” l’imprenditore ai fini della presentazione della dichiarazione, non c’è ragione per diversificare tale situazione da quella in cui la dichiarazione medesima sia stata presentata ab origine. Anche in tali casi, pertanto, a fronte delle dichiarazioni acquisite, il Collegio ritiene che la stessa A.P. non sia giunta ad escludere in radice, anche dopo il 7 giugno 2012, il potere della stazione appaltante di valutare l’incidenza in concreto dei precedenti penali eventualmente riscontrati, ovvero se essi possano assurgere al livello di “circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale”, tali da determinare l’esclusione dalla gara (in tal senso: Cons. Stato Sez. V, 21-10-2013, n. 5122; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 14-06-2013, n. 1561). E’ vero, infatti, che - per costante giurisprudenza - nelle procedure di evidenza pubblica, qualora l’obbligo di presentare la dichiarazione di cui all’art.38 sia evidente in base alla legge, alla lex specialis o all’orientamento giurisprudenziale radicato e consolidato, la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire in conformità al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità e, pertanto, una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) deve considerarsi di per sé stessa lesiva degli interessi tutelati dalla norma determinando l’esclusione del concorrente che non abbia presentato tale dichiarazione persino nei casi in cui l’impresa meriti ″sostanzialmente″ di partecipare alla gara (cfr. Cons. Stato Sez. III, 02-07-2013, n. 3550; T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, 18-07-2013, n. 7303). Tuttavia, ad avviso del Collegio, alle medesime considerazioni non può giungersi nei casi – presi in esame dalla stessa A.P.- in cui, a fronte della incertezza giurisprudenziale circa l’obbligo di presentare la dichiarazione e dell’assenza di una previsione ad hoc nella lex specialis, l’amministrazione abbia comunque ritenuto di attivare il dovere/potere di soccorso. Ed invero, la stessa A.P. n.21/12, nel richiamare i principi espressi dall’adunanza n. 10/2012, espressamente ricorda che la ratio della causa di esclusione dell’assenza del requisito di moralità di cui all’art.38 Codice Appalti è quella di ostacolare l’elusione della norma, in relazione a vicende in atto o prevedibili, in cui sussista anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale “con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale”. Nel caso in esame - in cui l’amministratore della società Sicurpol Sezione Sicurezza, ceduta alla Securpol Group (poi risultata aggiudicataria), risultava aver riportato un decreto penale per reati commessi nel 2005 aventi ad oggetto violazione al TULPS 773/1931 ed al RDL 1952/1935- tale incidenza veniva esclusa dall’IPZS in relazione alla natura del reato, alla risalenza del fatto, all’assenza di recidiva e all’applicazione delle attenuanti generiche. Del resto, il rispetto della par condicio, nel caso in esame, risulta dimostrato dalla mancata esclusione della stessa ricorrente principale, incorsa nel medesimo errore –almeno, secondo l’orientamento giurisprudenziale del Tar Napoli, non condiviso dal Collegio- per non aver prestato analoga dichiarazione nei confronti della affittuaria fallita, successivamente ceduta, Vigili dell’Ordine s.c.r.l, senza che ciò ne abbia determinato l’esclusione dalla gara. In conclusione, la censura deve essere respinta. Quanto ai motivi I, III e IV del ricorso principale, se ne ribadisce l’infondatezza, come già ritenuto dal Collegio con ordinanza cautelare n.2274/2013. In ogni caso, aderendo alle indicazioni rese nella richiamata ordinanza n.2679/13 della IV sezione del Consiglio di Stato, si procede ad approfondire le argomentazioni ivi sinteticamente esposte. Con il primo motivo del ricorso principale, Securitalia sostiene che il costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl non avrebbe comprovato il possesso del requisito di capacità tecnica richiesto dalla lex specialis di gara - ovvero di avere espletato a regola d’arte, presso una realtà pubblica o privata, un servizio analogo unitario per un importo complessivo non inferiore a E 6.000.000,00- essendosi avvalso di sei distinti contratti (in tal modo facendo venir meno il concetto di unitarietà del servizio). Infatti, il bando di gara prevedeva che ai fini della partecipazione alla gara il possesso tra gli altri, di un’adeguata capacità tecnica, da dimostrare attraverso l’espletamento, a regola d’arte, nel triennio antecedente la pubblicazione del bando di gara, presso una realtà pubblica o privata, di ″un servizio analogo unitario per un importo complessivo non inferiore a euro 6.000.000 (seimilioni / 00) IVA esclusa, per la partecipazione al lotto n. 1″ . Nel caso di partecipazione alla gara di raggruppamenti temporanei d’imprese, il disciplinare ha specificato che tale requisito sarebbe dovuto essere dimostrato da parte dell’impresa mandataria. Ai fini della comprova, in sede di verifica ex art. 48, comma 2 del d.lgs 12 aprile 2006, n. 163, Securpol ha dichiarato di essere in possesso del requisito, producendo la certificazione rilasciata dalla società di intermediazione BASE S.r.l. attestante che ″SECURPOL GROUP S.r.l.. già Securpol Vigilantes S.r.l, Securpol Mat Vigilantes S.r.l., Mat SecuriDI S p. a. Sicurpol S.r.l. Securpol Val di Cecina S.r.l., Securpol S.r.l. in qualità di mero esecutore di servizi, sulla base di un accordo quadro che prevede l’espletamento di servizi a favore dell’Istituto Bancario Monte dei Paschi di Siena (...) ha effettuato regolarmente servizi di vigilanza fissa e ispettiva″ per un importo pari, nel triennio di riferimento ad Euro 7.089.919,99. Ad avviso della ricorrente, la certificazione rilasciata dalla BASE S.r.l. non sarebbe idonea a comprovare il possesso del requisito autodichiarato dall’impresa mandataria ″in quanto le prestazioni da cui è scaturito il fatturato, pur discendendo da un solo accordo quadro, sono state a affidate a sei differenti imprese, che le hanno separatamente svolte e separatamente fatturate″. Tale schema operativo sarebbe pertanto ″incompatibile″ con la stessa nozione di ″servizio unitario″ e ciò in quanto ″i servizi resi sono diversi, perché diversi sono i contratti che li assegnano e diversi sono i loro esecutori″. Nella richiamata ordinanza n.2274/13, con riferimento a tale censura, il Collegio ha già osservato che: “con riferimento alla censura di cui al punto 1) e alla asserita carenza del prescritto requisito tecnico/economico richiesto dalla lex specialis, appare ininfluente che le prestazioni da cui è scaturito il fatturato complessivo dichiarato dall’aggiudicataria (nella specie, E 7.318.069,45 tra il 1° gennaio 2009 ed il 31 dicembre 2012), siano state eseguite da differenti FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 101 imprese, tutte facenti capo alla Securpol (Securpol Vigilantes Srl, Securpol Mat Vigilantes Srl, Mat Security SpA, Sicurpol Srl, Securpol Val Cecina, in quanto esse appaiono riferibili al medesimo soggetto (facente capo alla società Menghini and Sons. S.r.l.), per effetto di vicende societarie cristallizzatesi in data ben anteriore al bando di cui trattasi; invero, mentre il requisito di capacità economica deve essere posseduto dalle mandanti (in misura non inferiore al 20% ciascuna) e dalla mandataria (in misura non inferiore al 60%), il requisito di capacità tecnica è riconducibile unitariamente alla mandataria Securpol, trattandosi di prestazioni afferenti a un medesimo accordo quadro per l’erogazione di servizi di vigilanza al Monte Paschi di Siena ed essendo state dettagliatamente esposte le motivazioni di carattere “storico” che avevano condotto gli operatori economici operanti nel settore della vigilanza, fino al pieno recepimento della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 13 dicembre 2007, a costituire singole società operanti in ambito provinciale, con legali rappresentanti in possesso del relativo titolo abilitativo; che, peraltro, deve ritenersi consentito all’impresa che abbia acquisito un ramo d’azienda di avvalersi, ai fini della qualificazione ad una gara di appalto, dei requisiti posseduti dall’impresa cedente, atteso che l’istituto dell’avvalimento ha portata generale e l’art. 51 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti), nel disciplinare le vicende soggettive del candidato, consente espressamente il subentro dei soggetti risultanti da operazioni di cessione, affitto di azienda, ovvero da trasformazione, fusione e scissione di società durante la gara, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale (Cons. Stato Sez. V, 17-11-2012, n. 5803; Cons. Giust. Amm. Sic., 26-03-2012, n. 322”) Al riguardo, occorre precisare che nel caso di specie la dedotta impossibilità di frazionamento in relazione alla prevista partecipazione di imprese in RTI è da riferirsi al fatto che il requisito di capacità tecnica, in quanto servizio di punta, deve essere riconducibile esclusivamente in capo alla mandataria (a differenza di quanto invece previsto in relazione al requisito di capacità economica che, in caso di RTI costituendo, deve essere posseduto cumulativamente dalle mandataria e dalla/e mandanti fino alla copertura totale del requisito, in misura non inferiore al 60% dall’impresa futura mandataria e non inferiore al 20% da ciascuna delle future mandanti), in quanto altrimenti “verrebbe meno proprio la stessa causa giustificatrice della richiesta di un contratto di punta, inteso come esperienza di particolare pregnanza in servizio analogo, e verrebbe altresì a concretizzarsi una disparità di trattamento tra imprese individuali, cui viene addossato l’onere di avere svolto tali servizi, e gli RTI che invece potrebbero ripartire tale onere tra i vari partecipanti”. Secificatamente, nel caso in esame, il possesso del requisito di capacità tecnica è riconducibile in capo alla mandataria Securpol Group, per effetto della già descritta acquisizione di rami d’azienda, e del conseguente passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia (Consiglio Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550). In particolare, come evidenziato nella memoria della controinteressata, Securpol Group S.r.l. è un operatore economico iscrizione nel registro delle imprese soltanto dal 5 marzo 2009. Nell’anno 2010 l’impresa stipulava con le società Securpol Vigilantes S.r.1, Securpol Val di Cecina, Securpol Mat Vigilantes, Sicurpol S.r.l., Mat Vigilantes, Mat Security S.p.a., Securpol S.r.l. contratti di affitto/cessione di azienda acquisendo, attraverso tale operazione societaria, la capacità tecnica maturata dalle predette imprese nel settore della vigilanza (cfr. ex plurimis, oltre alla giurisprudenza citata nella memoria di parte, TAR Lazio, sez. I, 10 marzo 2011, n. 2187; T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 23-09-2009, n. 4722; T.A.R. Sicilia Catania Sez. IV Sent., 12-07-2008, n. 1404). Sulla base del citato accordo - quadro stipulato tra la suddetta società e la BA.SE. S.r.l., veniva affidato a Securpol il servizio costituito dall’esercizio di servizi di vigilanza per le diverse sedi del Monte dei Paschi di Siena. Per l’esercizio di tale servizio, la BASE S.r.l. riteneva evidentemente di appoggiarsi alle società indicate, non già in quanto soggetti esecutori diversi, ma in quanto componenti di un medesimo gruppo economico. Circa il carattere “unitario” di tale servizio, benché svolto sulla base di separati contratti, SECURPOL ha evidenziato come ciò fosse richiesto, all’epoca, dall’art. 252 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (c.d. regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) – mutato solo mutato per effetto della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 13 dicembre 2007 (in causa C- 465/05), la quale ha abolito il ″limite provinciale″ quale caratteristica indefettibile della licenza prefettizia, ritenendola incompatibile con il principio del libero mercato vigente tra i paesi dell’Unione europea recepita, sul piano nazionale, con il d.P.R. 4 agosto 2008, n. 153 - il quale prescriveva il possesso di un ″decreto di approvazione del Prefetto per ogni Provincia in cui l’attività di vigilanza doveva essere svolta″, e quindi, in sostanza, che gli istituti di vigilanza operanti in province diverse dovevano essere titolari di singole licenze per ogni provincia in cui fossero chiamati ad operare. Ciò spiega la ragione per la quale, anche nel caso di specie, un operatore economico sostanzialmente unitario che faceva capo alla società Menghini and Sons- abbia operato sul territorio nazionale sulla base’ di società locali, con legali rappresentanti titolari di licenze prefettizie per le province di riferimento (come dimostrato dal fatto che tutti gli operatori economici indicati nella certificazione rilasciata dalla BA.SE S.r.l. rientrano nel bilancio consolidato della predetta società, in quanto, come emerge dalla nota integrativa al bilancio erano alla stessa legate da rapporti di controllo e/o collegamento. S.r.l. nonchè dalla attestazione di esecuzione servizi rilasciata dal Monte dei Paschi di Siena doc.n.10 allegato memoria Securpol). Come evidenziato dalla controinteressata, tra l’altro, “l’esistenza, tra imprese concorrenti ad una medesima gara d’appalto, di rapporti di controllo e/o di collegamento ex art. 2359 cod. civ. (o anche solo di collegamento sostanziale), integra una causa potenzialmente ostativa rispetto alla concomitante partecipazione alla gara delle società interessate. E ciò proprio in ragione del fatto che l’esistenza di tali rapporti costituisce indice dell’assenza di una reale alterità soggettiva, tale da poter comportare un’alterazione del principio di libera concorrenza a causa della possibile provenienza delle offerte da un unico centro decisionale (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, sentenza 28 gennaio 2011, n. 673”. Non si ravvisa, dunque, alcuna violazione della lex specialis di gara con riferimento a quanto previsto al Titolo III punto 2.1 del disciplinare di gara. Con il terzo motivo di ricorso principale e con le argomentazioni dedotte con i motivi aggiunti, parte ricorrente lamenta che la stazione appaltante avrebbe errato nel considerare congrua l’offerta economica del RTI aggiudicatario, in quanto la commissione non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che l’impresa sarebbe stata obbligata ad applicare l’istituto del c.d. cambio appalto, ossia ad assumere ″con passaggio diretto ed immediato il personale impiegato dal precedente appaltatore (ossia la stessa Sicuritalia) per il servizio oggetto di affidamento″. Tale circostanza renderebbe non congrua la proposta economica del RTI Securpol Group, in quanto non sarebbero stati considerati ″i maggiori costi derivanti dalla necessità di retribuire n. 8 guardie particolari giurate, inquadrate al IV livello super″ né quelli derivanti dalla necessità di ″tenere conto degli scatti di anzianità già maturati da 53 guardie particolari giurate″, tutte impiegate dalla stessa ricorrente per l’esecuzione del contratto di appalto ″cessato″. Con i motivi aggiunti, in particolare, la ricorrente ha specificato, quanto alla violazione dell’obbligo concernente il cd, cambio-appalto: che l’aggiudicataria si è resa disponibile ad assumere soltanto 43 dipendenti di Sicuritalia (e solo a titolo conciliativo 55 unità) attualmente impiegati nel servizio, rispetto alle 91 unità rilevate dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Roma e comunque rispetto alle 73 gpg da impiegare sulla commessa; laddove, in corretta applicazione delle disposizioni del CCNL di riferimento e della lex specialis, Securpol avrebbe invece dovuto, prima di qualsivoglia nuova assunzione, garantire la conservazione del posto di lavoro al personale del gestore uscente. Ciò dimostrerebbe che l’aggiudicazione è illegittima, perché disposta in favore di un soggetto che ha dichiarato di violare le condizioni economiche del CCNL del settore (cfr. nota in data 3 luglio 2013 e verbale dell’incontro del 5 luglio 2013 tenutosi avanti la Direzione Territoriale del lavoro di Roma in relazione al cd. cambio appalto relativo alla commessa in oggetto). Quanto alla mancata giustificazione (e verifica) dei maggiori costi del personale di Sicuritalia: FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 103 - che né Securpol, in sede di giustificazioni, né la Stazione appaltante,in sede di verifica di anomalia, hanno considerato i maggiori costi che l’aggiudicataria dovrà sostenere per effetto dell’assunzione delle unità di Sicuritalia. I giustificativi di Securpol muovono, infatti, dal presupposto secondo cui l’aggiudicataria sarebbe libera di procedere a nuove assunzioni anziché assorbire il personale del gestore uscente. In particolare, l’offerta della SECURPOL non considererebbe i maggiori costi del lavoro di 8 gpg inquadrate al IV° livello super, così come non tiene mai conto degli scatti di anzianità (e conseguenti maggiori oneri economici) già maturati dalle già presenti sull’appalto alle dipendenze di Sicuritalia. Ad avviso della ricorrente, stando alla stessa ricostruzione dei costi dell’odierna controinteressata, gli extra-costi - connessi all’impiego del personale già alle dipendenze di Sicuritalia e non considerati in sede di giudizio di congruità comprometterebbero la remuneratività della commessa, dato che, da un lato, il costo medio annuo di ognuna delle 8 gpg al IV° livello super è pari ad E 27.990,73; e, dall’altro lato, che l’incidenza netta dei soli scatti di anzianità già maturati dalla gpg di SICURITALIA sulla loro paga base tabellare conglobata supera, sull’intera durata della commessa, il valore complessivo di E 100.000,00. Quanto all’ assenza dei benefici fiscali dichiarati da Securpol: - che, atteso l’obbligo di Securpol di asumere il personale del gestore uscente, la pretesa di beneficiare di agevolazioni contributive risulterebbe di per sé radicalmente infondata, in quanto l’istituto del cd. cambio appalto impone il mantenimento, in favore del personale assunto, degli stessi livelli contributivi già garantiti dal gestore uscente. Securpol, quindi, non potrebbe assumere il personale di Sicuritalia con contratti diversi (ovvero, contratti di apprendistato) da quelli già in vigore tra le parti. In ogni caso, anche laddove Securpol, anziché assumere il personale di Sicuritalia, attingesse dalle liste di mobilità, come dichiarato nei propri giustificativi, e reimpiegasse il proprio personale licenziato, Securpol non potrebbe comunque godere di alcun beneficio. In tema di agevolazioni connesse all’assunzione di personale in mobilità, la Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 13 luglio 2006 ha infatti chiarito che ″sono esclusi dalla provvidenza i datori di lavoro che, durante il periodo in cui vige tale diritto (6 mesi dal licenziamento) procedano alla riassunzione del medesimo dipendente a suo tempo licenziato per riduzione di personale″ . Dunque, l’azienda che ha avviato la procedura di mobilità nei confronti dei propri dipendenti perde il diritto alle agevolazioni qualora proceda alla riassunzione del medesimo personale entro il termine di sei mesi; soltanto dopo che sia trascorso tale termine ″l’azienda che ha posto in mobilità i lavoratori può riassumerli usufruendo di benefici contributivi ed economici″. Nella specie, Securpol ha dichiarato di aver avviato la procedura di mobilità lo scorso 6 marzo 2013: sicché, assumendo — a distanza di appena 3 mesi dal licenziamento - i lavoratori da essa stessa messi in mobilità, Securpol perde il diritto alle agevolazioni, senza le quali il rapporto costo/ricavi dell’avversaria offerta diverrebbe ″fallimentare″: gli extra costi non computati abbatterebbero del tutto gli utili dichiarati e la commessa sarebbe gestita in perdita. Poiché tali considerazioni non sono state approfondite dalla Stazione appaltante, in sede di verifica di anomalia dell’avversaria offerta, il giudizio finale di asserita congruità risulterebbe inficiato da una assoluta carenza di istruttoria ed un evidente travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, tali da rendere illegittima l’aggiudicazione finale a Securpol. La ricostruzione della ricorrente muove, quindi, dall’assunto che il RTI controinteressato sarebbe stato obbligato ad applicare la disciplina del cambio appalto. E ciò sia in ragione di previsioni contenute nella disciplina di gara, sia in quanto tale obbligo sarebbe stato espressamente previsto dagli strumenti di contrattazione collettiva, sia nazionale che territoriale. Sul punto, approfondendo quanto già sinteticamente evidenziato nell’ordinanza cautelare n.2274/13 di questa Sezione (ovvero che la censura appare manifestamente infondata sia con riferimento alle prescrizioni relative all’offerta tecnica formulate nella lex specialis, sia tenuto conto che il CCNL per i dipendenti degli Istituti di vigilanza privata non prevede un applicazione sic et simpliciter del c.d.“cambio appalto”, dovendo l’impresa soccombente attivare un tavolo di confronto con le parti interessate, qualora sussistano i presupposti di cui all’art.26 CCNL), si evidenzia che: - quanto al profilo relativo alla violazione della disciplina di gara, non appare rinvenire nessuna disposizione in tale senso nel bando, nel disciplinare o nel capitolato: anzi, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, a fronte di una specifica richiesta di chiarimenti inoltrata da un concorrente, la stazione appaltante ha precisato testualmente che la lex specialis non prevedeva ″alcun obbligo di assunzione del personale dell’impresa uscente″ (per quanto, dalla documentazione agli atti, risulta che l’aggiudicataria abbia comunque autonomamente assunto taluni obblighi in tal senso). Né può aderirsi alla interpretazione secondo cui l’obbligo di assunzione del personale di cui trattasi deriverebbe in ragione dell’operatività dell’istituto del cd. ″cambio appalto″, per effetto di disposizioni contenute: a) nel CCNL vigente alla data di presentazione dell’offerta; b) in due contratti collettivi integrativi territoriali di Roma e Provincia, sottoscritti, tra il Ministero del Lavoro, la Prefettura e l’ente Bilaterale ″EBITEN″, rispettivamente, il 16 luglio 2004 e il 20 luglio 2009; c) nel CCNL attualmente vigente, rinnovato lo scorso 1 febbraio 2013. Ed invero, ad avviso del Collegio, ai fini dell’infondatezza della censura, assume rilievo dirimente la circostanza che il CCNL –ivi compreso quello in materia di vigilanza privatanon ha carattere normativo, bensì contrattuale, ed è pertanto inidoneo a vincolare soggetti terzi (cfr.Cons. Stato Sez. III, 29-11-2011, n. 6301; e, proprio con riferimento alla natura del CCNL dei dipendenti degli istituti di vigilanza, Cons. Stato Sez. VI Sent., 23-05-2008, n. 2493). Tanto precisato, è pacifico che Securpol Group non aderisce ad alcuna delle organizzazione sindacali datoriali che hanno sottoscritto i CCNL richiamati e, pertanto, su di esso non gravava alcun onere di applicazione delle previsioni, diverse da quelle economiche, contenute nei predetti contratti (cfr. Cass. Civ. Sez. Unite, 13 ottobre 2009, n. 21711). In secondo luogo, come rilevato anche dall’amministrazione resistente, mentre gli strumenti di contrattazione collettiva vigenti al momento dell’offerta economica non appaiono stabilire una disciplina cogente in ordine all’applicazione del c.d. cambio appalto. Il CCNL in vigore alla data dell’offerta (il cui termine era fissato alla data del 4 ottobre 2012) è, infatti, quello siglato in data 2 maggio 2006, applicabile, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, sino alla data del 1 febbraio 2013 (data di entrata in vigore del ″nuovo″ CCNL, stipulato in data 8 aprile 2013 con efficacia, appunto, dal mese di febbraio). Il CCNL del 2006 disciplina infatti il ″cambio appalto″ (anche denominato ″clausola sociale″) all’art. 26. Dopo aver premesso che ″il cambio appalto e/o affidamento del servizio″ possono determinare esuberi occupazionali, la norma prevede testualmente che ″le parti convengono di proporre l’inserimento nei bandi di gara, a partire dagli Appalti pubblici, di clausole che prevedano il cambio appalto (..)″. La disposizione, quindi, contrariamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non prevede di per sé un obbligo di applicazione, da parte dei datori di lavoro, della clausola sociale, ma si limita ad auspicare che le parti si attivino presso le stazioni appaltanti per ottenere l’introduzione nella disciplina di gara di una previsione in materia di cambio appalto: disposizione che, nel caso in esame, non risulta inserita,senza che il bando sia stato impugnato in parte qua, come del resto non risulta impugnata la richiamata nota di chiarimento dell’amministrazione. Tale interpretazione, peraltro - come sottolineato nelle memorie della resistente- trova conferma nelle previsioni in materia di cambio appalto contenute nel CCNL vigente a partire dal 1 febbraio 2013 che, all’art. 23, ha introdotto una disciplina contrattuale cogente in materia di cambio di appalto, dettando, ″all’uopo termini e modalità di una specifica procedura in materia″. Per analoghi motivi, tale obbligo non può neppure desumersi dall’applicazione alla presente fattispecie delle previsioni contenute in due contratti collettivi integrativi territoriali stipulati tra il Ministero del Lavoro, la Prefettura e l’Ente Bilaterale Territoriale di Vigilanza Privata della Regione Lazio″ rispettivamente in data 16 luglio 2004 e 20 luglio FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 105 2009. Infatti, anche a prescindere dalla mancata adesione di Securpol ad alcuna delle associazioni sindacali firmatarie: a) quanto al contratto sottoscritto in data 16 luglio 2004, il cambio appalto è disciplinato nell’art. 4.5 – che si limita a prevedere l’istituzione di una commissione per i cambi appalto e a disciplinarne, sotto il profilo procedurale, l’attività- da cui non è possibile dedurre, anche indirettamente, che il contratto territoriale integrativo abbia voluto stabilire l’obbligatorietà dell’assunzione diretta del personale in essere in capo all’impresa uscente. b) quanto al ″contratto integrativo territoriale″ richiamato da parte ricorrente, sottoscritto in data 20 luglio 2009 si tratta in realtà di un mero ″Vademecum operativo″, del quale va addirittura esclusa la natura negoziale, il quale nel richiamare la disciplina della proceduta di cambio appalto/affidamento nei servizi di vigilanza, fa testuale riferimento all’’art. 26 del CCNL e all’art. 4.5 del contratto provinciale, che come già detto non prevedono alcun obbligo di assunzione diretta, bensì all’obbligatorietà di una procedura conciliativa, diretta a verificare le condizioni per l’assunzione, meramente eventuale, da parte dell’impresa subentrante, del personale utilizzato dall’impresa uscente, che può concludersi anche con un ″mancato accordo″ al quale consegue la trasmissione della copia del documento finale alle Autorità preposte alla vigilanza del settore ″al fine di consentire il proseguimento presso la DPL della procedura di ricollocazione del personale in esubero″. Quanto, pertanto, all’incidenza dei presunti maggiori costi del “cambio appalto” sull’offerta, la Securpol non era quindi tenuta a tenerli in considerazione, specie in ragione della nota di chiarimento dell’amministrazione- che, lo si ricorda, non è stata impugnata – atteso che, come già chiarito, da un lato il bando di gara non lo prevedeva, dall’altro l’impresa non aderisce ad alcuna delle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il CCNL e, in ogni caso, il CCNL vigente al momento della presentazione dell’offerta non prevedeva siffatto obbligo di assunzione del personale dipendente dall’impresa uscente. Anche tale motivo, pertanto, deve essere respinto. Con il quarto motivo del ricorso principale, infine, Securitalia argomenta che l’offerta del RTI Securpol avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura in ragione della presunta ″inattendibilità″ delle giustificazioni rese dalla controinteressata in ordine al costo del lavoro. In particolare, la ricorrente eccepisce la presunta incongruità dell’offerta in quanto sarebbe apodittica e generica l’affermazione contenuta nei giustificativi, di ricorso, da parte del RTI, ad agevolazioni contributive. In ogni caso, il ricorso a tali agevolazioni dovrebbe intendersi riferito all’utilizzo di contratti di ″apprendistato″, dall’applicazione dei quali deriverebbero costi ulteriori non presi in considerazione da Securpol. Le giustificazioni sarebbero errate anche nella parte relativa all’abbattimento del tasso di assenteismo e ai costi ″derivanti da altre disposizioni di legge″. Sul punto,si è già espressa la richiamata ordinanza cautelare n.2274/13, ne senso che: “nelle gare pubbliche per l’affidamento di un appalto di servizi, un’offerta non può ritenersi senz’altro anomala, e comportare l’automatica esclusione dalla gara, per il solo fatto che il costo del lavoro è stato calcolato secondo valori inferiori a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali o dai contratti collettivi occorrendo, perché possa dubitarsi della sua congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata rispetto all’offerta da valutarsi nel suo complesso (T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 24-05-2012, n. 596; T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 27-09-2012, n. 1222; Cons. Stato Sez. IV, 23-07-2012, n. 4206); - Che, in ogni caso, l’apprezzamento svolto in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta è di natura tecnico discrezionale, sindacabile per manifesta illogicità, errore di fatto e insufficiente motivazione, non risultando consentito al Giudice Amministrativo di sovrapporre la sua idea tecnica al giudizio non erroneo né illogico formulato dall’organo amministrativo e che l’esito della gara può essere travolto dalla pronuncia del Giudice Amministrativo solo quando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguarda voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economica non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità, a garantire l’efficace perseguimento dell’interesse pubblico (Cons. Stato Sez. V, 12-11-2012, n. 5703, conferma della sentenza del T.a.r. Puglia - Lecce, sez. III, n. 321/2011 e Cons. Stato Sez. V, 06-07-2012, n. 3959)”. In aggiunta, evidenzia il Collegio che tale giudizio deve essere condotto mediante una valutazione ″globale e sintetica sulla serietà dell’offerta″, nel suo insieme, senza assestarsi su valutazioni ″isolate″ di singole voci (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2013, n. 1815), come invece si pretende da parte della ricorrente che, peraltro, nulla argomenta con riferimento all’utile d’impresa, indicato dall’aggiudicataria in E 391.445,06 per il biennio di durata naturale del contratto, incrementabile di ulteriori E 195.700,00 per il caso di esercizio dell’opzione di proroga da parte dell’amministrazione,senza considerare; senza considerare che - sotto l’aspetto procedurale – la stazione appaltante ha ritenuto sufficienti i secondi chiarimenti scritti di cui all’art. 88, comma 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, potendo altrimenti l’impresa comunque beneficiare dell’ulteriore fase dei terzi giustificativi e, poi, del c.d. ″contraddittorio orale″ (ex art. 88, comma 4 del D.Igs. n. 163/2006 cit.) per rendere eventuali, ulteriori delucidazioni e documenti. Tali considerazioni rendono consentono al Collegio di ritenere superfluo soffermarsi, nel dettaglio, ad esaminare le esaustive argomentazioni rese da Securpol volte a comprovare, nel merito, la congruità dell’offerta presentata: -con riferimento alla eccezione circa la presunta genericità del riferimento, contenuto nei giustificativi, al ricorso, da parte di Securpol, alla “fruizione di significative agevolazioni contributive″ (atteso che nelle giustificazioni del 2/1/2013 Securpol ha evidenziato che il 40% delle ore di prestazione del personale di IV livello ed 1/3 delle ore di prestazione del personale di III livello sarebbero state effettuate da personale assunto usufruendo di agevolazioni contributive -apprendistato o liste di mobilità-sicchè in concreto il costo del lavoro è stato calcolato dall’aggiudicataria, per la parte in discorso (40% del personale) con riferimento alle agevolazioni ed ai conseguenti minori costi del personale proveniente dalle liste di mobilità; sia con riferimento alle ulteriori affermazioni relative alla mancata considerazione di extra costi derivanti dall’applicazione della normativa in materia di contratti di apprendistato (posto che Securpol non ha inteso avvalersi di tale istituto bensì delle liste di mobilità). - con riferimento alla eccezione circa la presunta incongruenza della durata delle agevolazioni contributive di cui all’art. 25 comma 9 della Legge 223/1991 (18 mesi) con la durata dell’appalto (24 mesi) (atteso che il 40% delle ore di prestazione lavorativa effettuato dal personale assunto con le agevolazioni previste dalla normativa in materia di accesso alle liste di mobilità ben potrebbe essere, come argomentato, effettuato nei primi 18 mesi di durata dell’appalto, ricomprendendo le ore di prestazione effettuate nei sei mesi successivi nel restante 60% di ore, effettuate dal personale assunto senza alcuna agevolazione). -con riferimento alla eccezione circa la circostanza che Securpol non avrebbe potuto eliminare integralmente il valore riportato nelle tabelle ministeriali alla voce ″costi derivanti da altre disposizioni di legge″ atteso che, a parte i profili di genericità della censura, Securpol nelle proprie giustificazioni del 2/1/2013, aveva già affermato che “tali costi sono stati già ammortizzati a prescindere dall’appalto in questione, e che ogni eventuale e minima incidenza aggiuntiva è comunque assorbita dalle spese generali”. - con riferimento al rilievo che Securpol avrebbe immotivatamente ridotto il tasso di assenteismo per infortuni e malattie rispetto a quello riportato dalle tabelle ministeriali. Anche la censura in esame è inammissibile, prima ancora che infondata, poiché controparte non allega nessun calcolo per dimostrare che un più elevato tasso di assenteismo avrebbe compromesso la serietà dell’offerta complessivamente considerata, a fronte di un utile dichiarato di ben 391.445,00 euro. Per tutti questi motivi, anche il ricorso principale ed i motivi aggiunti, in conclusione, devono essere respinti. La legittimità dell’operato dell’Istituto esclude, pertanto, anche la fondatezza della domanda risarcitoria. In considerazione dei criteri di cui all’art.26 c.p.a., le spese del ricorso principale e dei motivi aggiunti nonché del ricorso incidentale – tenuto conto delle questioni sottese che involgono decisioni giurisprudenziali innovative- possono essere integralmente compensati tra le parti. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 107 definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sui motivi aggiunti nonché sul ricorso incidentale, come in epigrafe proposti: respinge il ricorso incidentale; respinge il ricorso principale e i motivi aggiunti; Compensa integralmente tra le parti spese, diritti ed onorari. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Massimo Luciano Calveri, Presidente Pierina Biancofiore, Consigliere Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore Tribunale amministrativo regionale Lazio Roma Sez. III bis 26 dicembre 2013 n. 11078 Pres. Calveri Est. Chinè A.F. e altri (avv. Sagnibene) MIUR . (Avv. Stato) [1680/12] Concorsi a pubblici impieghi - Concorsi per insegnanti - Cattedra indetti con d.m. n. 82 del 2012 - Partecipazione ai possessori del solo di diploma di laurea purché conseguito entro l’anno accademico 2002/2003 - Illegittimità - Ragioni. D.m. 24 settembre 2012 n. 82 La disposizione contenuta nell’art. 2, d.d.g. n. 82 adottato dal MIUR in data 24 settembre 2012 (« Indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole d’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado »), impedendo la partecipazione al concorso ai titolari di diploma di laurea conseguito dopo l’anno accademico 2002/2003, ha omesso di attualizzare e aggiornare al 2012 la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 2 comma 2, d.m. n. 460 del 1998 ed ha creato una irragionevole disparità di trattamento tra candidati laureatisi sino al 2003 (periodo in cui erano attive le procedure di abilitazione SSIS) e nell’arco temporale 2008-2011 (periodo in cui le procedure SSIS sono state, per volontà legislativa, sospese). REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) ha pronunciato la presente SENTENZA Sul ricorso numero di registro generale 9860 del 2012, proposto da: Anna Fusco, Chiara Mattei, Manuela Gaeta, Giuseppina Granato, Annarita Sorriento, Vincenzo Del Prete, Giuseppe Del Prete, Assunta Romano, Marianna Colangelo, Fabio Nardaggio, Giacomo Parisi, Nunzia Renza, Cinzia Coppola, Delia Errera, Anna Maria Gargiulo, Maria Stefania Di Fiore, Sara Tornatore, Patrizia Viglietti, Olimpia Tortora, Valentina Castiello, Ilaria De Gaetano, Silvio Ragucci, Maria Emilia Nardo, Giuliana Guariglia, Giorgio Reale, Chiara Galante, Antonella Quaglia, Emanuela Fulchini, Antonietta Limatola, Ornella De Marco, Giovanna Di Donna, Paolo Staiano, Loredana Migale, Maria Cristina Testa, Rossella Di Fuorti, Giuseppe Bonifacio, Sonia Cotena, Anna Iorio, Valeria Caiazzo, Francesca Cirillo, Ivonne Lopez, Pia Romano, Fabiana Dumont, Rosamaria Virelli, Rossana Pepe, Daniela Cioffi, Immacolata Giugliano, Liberata Palumbo, Claudia Matrone, Elena Tubelli, Maddalena Sartore, Pasquale Danilo Mascia, Antonietta Milone, Mariarosaria Manfredonia, Pasquale De Lucia, Carmela Ammendola, Maria Borriello, Valeria Russo, Luisa Izzo, Francesco Alfieri, Maria Alfieri, Carmine Russo, Alessandra Tosa, Maria Antonietta Avino, Angela Sorrentino, Mariapaola Esposito, Francesca Dell’Isola, Rosa Amoretti, Matteo Delle Donne, Giovanna Laurenza, Rosalba D’Auria, Rosaria Marilia Russo, Vincenzo Caccavale, Giuseppe Mascolo, Mario Isernia, Pietro Paolo Isernia, Danilo Achille Boiano, Antonino Esposito, Domenico Mascia, Giovanna Maffettone, Giuseppe Falco, Giuseppina Casalino, Cinzia Vinti, Arturo Gallo, Pasquale Termolini, Filomena Nisi, Francesco Del Sorbo, Giuseppina Piglia, Mauro Di Micco, Lorenzina Razzano, Daria Menale, Palma Romano, Lina Castaldo, Rosa Angelino, Luisa Puca, Marianna Caiazza, Vincenzo Ferraro, Raffaele Margiotta, Giuseppina Perillo, Maria Sicignano, Rosa De Martino, Nicoletta Pianese, Assunta Raiola e Mariangela Castiglione, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Leonardo Sagnibene, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Soprano, sito in Roma, via degli Avignonesi, n. 5; contro Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Usr - Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Sardegna, Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Toscana, Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Calabria, Usr Ufficio Scolastico Regionale della Campania, Usr - Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna e Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 109 nei confronti di Mafalda Acunzo, n.c.g.; per l’annullamento: - del D.D.G. n. 82 adottato in data 24 settembre 2012 dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione – Direzione Generale per il personale della scuola, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Concorsi – IV Serie Speciale n. 75 del 25 settembre 2012, recante “Indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole d’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado”, nella parte in cui, all’articolo 2, comma 3, prevede che “Sono inoltre ammessi a partecipare, per i posti di scuola secondaria di I e II grado, ai sensi dell’articolo 2 del decreto interministeriale 24 novembre 1998 n. 460, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 1999: a) i candidati che alla data del 22 giugno 1999 (data di entrata in vigore del citato decreto interministeriale) erano già in possesso di un titolo di laurea ovvero di un titolo di diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati, gli ISEF, che alla stessa data consentivano l’ammissione ai concorsi per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente; b) i candidati che abbiano conseguito i titoli di cui alla precedente lettera a) entro l’anno accademico 2001-2002, se si tratta di corso di studi quadriennale o inferiore; entro l’anno accademico 2002-2003, se si tratta di corso di studi quinquennale, nonché i candidati che abbiano conseguito i diplomi di cui alla lettera a) entro l’anno in cui si sia concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998-1999”; - del medesimo decreto laddove all’articolo 2 non consente la partecipazione anche ai candidati che, dopo l’anno accademico 2002-2003 ed entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso, abbiano acquisito un titolo di laurea valido per l’accesso all’insegnamento nelle classi di concorso della scuola dell’Infanzia, Primaria, Secondaria di I e II grado; - di ogni ulteriore atto, anche endoprocedimentale, presupposto, preparatorio, connesso, conseguente e/o consequenziale, comunque lesivo degli interessi dei ricorrenti; e per la declaratoria del diritto dei ricorrenti ad essere ammessi alle prove preselettive per la partecipazione al concorso per il reclutamento di personale docente nelle scuole dell’Infanzia, Primaria, Secondaria di I e II grado. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e degli Uffici Scolastici Regionali resistenti; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Giuseppe Chiné e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — 1. Con l’odierno gravame, i ricorrenti hanno dedotto: a) di essere tutti in possesso di una laurea magistrale o di una laurea prevista dal previgente ordinamento e di avere conseguito il relativo titolo in un periodo successivo rispetto a quello indicato nel bando impugnato; b) con il Decreto n. 82 adottato in data 24 settembre 2012 dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione – Direzione Generale per il personale della scuola, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Concorsi – IV Serie Speciale n. 75 del 25 settembre 2012, il Ministero resistente ha indetto i “concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole d’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado”; c) il predetto Decreto, all’articolo 2, avente ad oggetto “Requisiti di ammissione”, specifica che possono partecipare al concorso: coloro che, alla data del 7 novembre 2012, sono in possesso di abilitazione all’insegnamento per la scuola dell’infanzia o primaria o secondaria di I e/o II grado. Sono ammesse anche le abilitazioni conseguite all’estero, purché riconosciute con apposito decreto del Ministero; per la scuola primaria, coloro che sono in possesso del titolo di studio conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, ovvero coloro che hanno terminato i corsi quadriennali e quinquennali sperimentali degli istituti magistrali iniziati entro l’anno scolastico 1997/1998; per la scuola dell’infanzia, coloro che sono in possesso del titolo di studio conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali della scuola magistrale, oppure dei corsi quadriennale o quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale, iniziati entro l’anno scolastico 1997/1998; per la scuola secondaria di I e II grado, coloro che alla data del 22 giugno 1999 erano già in possesso di un titolo di laurea ovvero di diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati, gli ISEF, che alla stessa data consentivano l’ammissione ai concorsi per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente. Sono ammessi anche coloro che hanno conseguito questi titoli entro l’anno 2001/2002 (solo in merito al corso di studi quadriennali o inferiore), oppure entro l’anno 2002/2003 (solo in merito al corso di studi quinquennale) nonché coloro che abbiano conseguito detti diplomi entro l’anno in cui si sia concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998/1999; per i posti di insegnante tecnico-pratico, coloro che sono in possesso del titolo di studio di cui al decreto ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998; sono validi anche i titoli di studio conseguiti all’estero, purché conseguiti nei medesimi termini e dichiarati equivalenti a quelli italiani attraverso un apposito decreto di equipollenza; i candidati che possiedono i requisiti generali di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni richiesti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 9 maggio 1994; i candidati che sono stati ammessi con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione dichiarati nella domanda, adempimento quest’ultimo espletato dagli Uffici Scolastici Regionali solo dopo lo svolgimento e l’eventuale superamento della prova preselettiva; d) pertanto il bando di concorso non consente la partecipazione al concorso ai candidati in possesso di una più recente laurea, soltanto perché conseguita in data posteriore rispetto alle date arbitrariamente stabilite dal bando stesso. A sostegno dell’odierno gravame hanno pertanto denunciato, in un’unica complessa doglianza, i vizi di: violazione e mancata applicazione degli artt. 400 e 402 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione”; violazione dell’art. 2, comma 2, del decreto interministeriale 24.11.1998, n. 460; violazione dei principi generali in materia di pubblici concorsi; eccesso di potere per falsità dei presupposti; violazione del giusto procedimento di legge; difetto assoluto di istruttoria; arbitrarietà; violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. 2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e gli Uffici Scolastici Regionali intimati, instando per la reiezione del gravame. 3. Con decreto n. 4260 del 27 novembre 2012, il Presidente della Sezione ha accolto la proposta domanda cautelare monocratica, ammettendo con riserva i ricorrenti a partecipare alle prove preselettive del concorso il cui bando è oggetto di gravame, fissando per la trattazione collegiale del ricorso la camera di consiglio del 10 gennaio 2013. 4. Con ordinanza n. 132 dell’11 gennaio 2013, resa alla camera di consiglio del 10 gennaio 2013, la Sezione ha confermato la misura cautelare già concessa con decreto monocratico. 5. Con ordinanza n. 6867 del 10 luglio 2013, la Sezione ha disposto incombenti istruttori al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ordinando l’acquisizione di una relazione recante l’indicazione analitica, per ciascuno dei ricorrenti, della eventuale partecipazione alle prove preselettive del concorso e, in caso di partecipazione, dell’esito di tale prove, entro il termine di 45 (quarantacinque) giorni dalla notifica ovvero dalla comunicazione in via amministrativa della predetta ordinanza. Con la medesima ordinanza ha altresì fissato l’udienza pubblica di discussione del gravame del 21 novembre 2013. 6. Con distinte relazioni, gli Uffici Scolastici Regionali di Lazio, Campania, Umbria e Sardegna hanno fatto pervenire gli elementi richiesti con l’ordinanza istruttoria n. 6867 del 2013. 7. Con memoria depositata in data 7 ottobre 2013, in vista dell’udienza pubblica del 21 novembre 2013, il difensore dei ricorrenti ha comunicato che l’interesse alla decisione permane soltanto per sedici ricorrenti, analiticamente individuati, i quali – ammessi con FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 111 riserva alle prove concorsuali - risultano collocati utilmente nella graduatoria finale di merito. 7. All’udienza pubblica del 21 novembre 2013, sentiti i difensori delle parti come da relativo verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO — 1. Rileva preliminarmente il Collegio che il difensore dei ricorrenti ha documentato in giudizio la permanenza dell’interesse a coltivare l’odierno ricorso solo in capo a Avino Maria Antonietta, Caiazzo Valeria, Delle Donne Matteo, Di Fiore Maria Stefania, Fulchini Emanuela, Gallo Arturo, Granato Giuseppina, Guariglia Giuliana, Lopez Ivonne, Mascia Domenico, Matrone Claudia, Quaglia Antonella, Reale Giorgio, Sicignano Maria, Termolini Pasquale e Tubelli Elena, tutti risultati idonei alle prove preselettive ed i cui nominativi risultano utilmente collocati nelle graduatorie finali di merito del concorso. Ne discende che per i ricorrenti diversi dai predetti, i quali – pur essendo stati ammessi con riserva alle prove concorsuali – non hanno partecipato o comunque superato le prove preselettive, non residua alcun interesse alla decisione del proposto gravame. Pertanto, con riferimento a questi ultimi ricorrenti, il ricorso si palesa improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. 2.1 Deve invece essere esaminato nel merito, in quanto procedibile, il ricorso proposto dai sedici ricorrenti utilmente collocatisi nelle graduatorie finali del concorso. Con esso è stata impugnata la clausola del bando scolpita nell’art. 2 che impedisce la partecipazione alla procedura selettiva ai possessori di laurea magistrale o di laurea prevista dal previgente ordinamento che abbiano conseguito il relativo titolo dopo l’anno accademico 2002/2003 e che non siano muniti di abilitazione. Ad avviso dei ricorrenti, tale discrimine temporale si palesa arbitrario nonché lesivo delle norme e principi contenuti negli artt. 400 e 402 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Testo unico in materia di istruzione), 1 e 2 del decreto interministeriale 24 novembre 1998, n. 460 (Norme transitorie per il passaggio al sistema universitario di abilitazione all’insegnamento nelle scuole e istituti di istruzione secondaria ed artistica), in quanto l’Amministrazione, omettendo di introdurre una clausola di salvaguardia per ammettere al concorso tutti coloro che avessero ottenuto una laurea valida per il conseguimento dell’abilitazione anche dopo il 2002, ma prima della data di scadenza prevista dal bando, avrebbe mancato di attualizzare la disciplina transitoria già dettata per il primo concorso a cattedra successivo all’entrata in vigore del sistema universitario di abilitazione all’insegnamento, concorso la cui indizione avrebbe dovuto essere compiuta nel 2002 (alla scadenza dei tre anni dall’ultimo bandito con D.M. 1° aprile 1999), ma che è nella realtà avvenuta dieci anni dopo con il bando oggetto dell’odierno gravame. 2.2 Lo scrutinio della complessa doglianza impone una ricognizione del panorama normativo in cui si iscrive la controversia. 2.3 La disciplina di rango legislativo concernente le procedure selettive in esame si rinviene nel d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297, il cui art. 400, comma 1, stabilisce che: “I concorsi per titoli ed esami sono indetti su base regionale con frequenza triennale, con possibilità del loro svolgimento in più sedi decentrate in relazione al numero dei concorrenti. L’indizione dei concorsi è subordinata alla previsione del verificarsi nell’ambito della regione, nel triennio di riferimento, di un’effettiva disponibilità di cattedre o di posti di insegnamento, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 442 per le nuove nomine e dalle disposizioni in materia di mobilità professionale del personale docente recate dagli specifici contratti collettivi decentrati nazionali, nonché del numero dei passaggi di cattedra o di ruolo attuati a seguito dei corsi di riconversione professionale”. Il successivo art. 402, relativamente ai requisiti generali di ammissione ai concorsi, aggiunge: “Fino al termine dell’ultimo anno dei corsi di studi universitari per il rilascio dei titoli previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1990, n. 341, ai fini dell’ammissione ai concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, è richiesto il possesso dei seguenti titoli di studio: a) diploma conseguito presso le scuole magistrali o presso gli istituti magistrali, od abilitazione valida, per i concorsi a posti di docente di scuola materna; b) diploma conseguito presso gli istituti magistrali per i concorsi a posti di docente elementare; c) laurea confor- memente a quanto stabilito con decreto del Ministro della pubblica istruzione, ed abilitazione valida per l’insegnamento della disciplina o gruppo di discipline cui il concorso si riferisce, per i concorsi a cattedre e a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, tranne che per gli insegnamenti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione secondaria superiore”. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 460 del 24 novembre 1998, recante “Norme transitorie per il passaggio al sistema universitario di abilitazione all’insegnamento nelle scuole e istituti di istruzione secondaria ed artistica” si è stabilito che: “A partire dal primo concorso a cattedre, per titoli ed esami, nella scuola secondaria bandito successivamente al 1 maggio 2002, e fatto salvo quanto disposto in via transitoria dagli articoli 2 e 4, il possesso della corrispondente abilitazione costituisce titolo di ammissione al concorso stesso e cessa la possibilità di conseguire l’abilitazione all’insegnamento nei modi previsti dall’art. 400, comma 12, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297” (art. 1). La richiamata disciplina transitoria è contenuta nel successivo art. 2 del D.M., secondo cui: “Possono partecipare ai concorsi a cattedre di cui all’articolo 1, anche in mancanza di abilitazione, coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto siano già in possesso di un titolo di laurea, ovvero di un titolo di diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati, gli ISEF, che alla data stessa consentano l’ammissione al concorso. Possono altresì partecipare ai concorsi di cui all’articolo 1 coloro che conseguano la laurea entro gli anni accademici 2001-2002, 2002-2003 e 2003-2004 se si tratta di corso di studi di durata rispettivamente quadriennale, quinquennale ed esaennale e coloro che conseguano i diplomi indicati nel comma 1 entro l’anno in cui si conclude il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998 – 1999”. 2.4 Dalle disposizioni suesposte si desume che: a) i concorsi per titoli ed esami per l’accesso a posti e cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado sono indetti con cadenza triennale, sulla base del fabbisogno determinato su base regionale; b) la disciplina di rango legislativo per l’ammissione ai concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole secondarie impone il possesso del diploma di laurea e dell’abilitazione valida per l’insegnamento della disciplina o del gruppo di discipline cui il concorso si riferisce, tranne che per gli insegnamenti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione secondaria superiore; c) tenuto conto della disposizione legislativa sulla frequenza triennale e dell’avvenuta indizione dell’ultimo concorso con D.M. 1° aprile 1999, con il D.M. n. 460 del 1998 si è introdotta una disciplina transitoria applicabile al primo concorso a cattedre successivo al 1° maggio 2002 (recte: il primo dopo il triennio decorrente dall’ultimo concorso), stabilendo che possono essere ammessi a detto concorso i candidati privi di abilitazione, purché: i) già in possesso, alla data di entrata in vigore del medesimo D.M., del titolo di laurea o del diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati e gli ISEF, che alla citata data permettono l’ammissione al concorso; ii) ovvero conseguano il titolo di laurea entro gli anni accademici 2001-2002, 2002-2003 e 2003-2004 se si tratta di corso di studi di durata rispettivamente quadriennale, quinquennale ed esaennale o conseguano i menzionati diplomi entro l’anno in cui si conclude il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998 - 1999. 2.5 La disciplina transitoria introdotta con il D.M. n. 460 del 1998, e riferita al primo concorso a posti e cattedre successivo al 1° maggio 2002, si correla direttamente al passaggio al sistema di formazione universitaria dei docenti della scuola secondaria di cui all’art. 4 della legge 19 novembre 1990, n. 241. Tale sistema, il cui fulcro è costituito dalle Scuole di specializzazione per l’insegnamento nella scuola secondaria (SSIS), avrebbe dovuto garantire, a partire dall’anno accademico 1999/2000, un’attività di formazione dei docenti finalizzata al conseguimento del titolo di abilitazione, costituente titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle scuole secondarie (art. 4, comma 2, l. n. 341 del 1990). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 113 In questa ottica si giustifica la previsione contenuta nell’art. 1 del D.M. n. 460 del 1998, secondo cui a partire dal primo concorso a cattedre, per titoli ed esami, nella scuola secondaria bandito dopo il 1° maggio 2002, “il possesso della corrispondente abilitazione costituisce titolo di ammissione al concorso stesso e cessa la possibilità di conseguire l’abilitazione all’insegnamento nei modi previsti dall’art. 400, comma 12, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297”, ovvero mediante il superamento delle prove del concorso a cattedre. Nel momento in cui si segnava il passaggio dal vecchio al nuovo sistema universitario di abilitazione e si imponeva la regola di ammissione ai concorsi a cattedra fondata sul necessario possesso dell’abilitazione, si è ovviamente tenuto conto di coloro che: a) alla data di entrata in vigore del D.M. n. 460 del 1998 avevano già ottenuto il diploma di laurea; b) alla medesima data erano già iscritti ad un corso di laurea ed avrebbero pertanto conseguito il relativo diploma negli anni accademici 2001-2002, 2002-2003 e 2003-2004, se si tratta di corso di studi di durata rispettivamente quadriennale, quinquennale ed esaennale. Per i candidati di cui alle precedenti lett. a) e b) si è stabilita la duplice regola che possono essere ammessi al primo concorso a cattedre successivo al 1° maggio 2002 anche in assenza di abilitazione (art. 2 D.M. n. 460 del 1998) e che la vincita del concorso e la conseguente nomina a tempo indeterminato conferiscono anche il titolo di abilitazione all’insegnamento (art. 4 D.M. n. 460 del 1998). 2.6 Il suesposto quadro normativo deve essere completato con le previsioni innovative contenute nell’art. 64, comma 4-ter, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha sospeso le procedure per l’accesso alle Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario effettivamente attivate presso le università a partire dall’anno accademico 1999-2000, ponendo pertanto fine ai percorsi per l’abilitazione disciplinati dal D.M. n. 460 del 1998. In conseguenza di tale intervento legislativo, coloro che hanno conseguito la laurea a partire dall’anno 2008 non hanno più avuto la possibilità di iscriversi alle predette Scuole di specializzazione per conseguire l’abilitazione propedeutica alla ammissione ai concorsi a cattedre. A ciò, per completezza, deve essere aggiunto che a partire dall’anno accademico 2011-2012, ed in ossequio alla previsioni del D.M. 10 settembre 2010, le citate Scuole di specializzazione (SISS) sono state sostituite dai diversi percorsi formativi abilitanti costituiti dai Tirocini Formativi Attivi (TFA), aventi durata annuale e propedeutici all’acquisizione dell’abilitazione previo esame presso università ed istituti parificati. I predetti tirocini sono divenuti operativi a partire dall’anno accademico 2011-2012 in quanto le prove di accesso ai TFA sono state disciplinate soltanto con il successivo D.M. 11 novembre 2011. 2.7 Alla luce del quadro normativo così delineato può essere compiutamente scrutinata la doglianza dei ricorrenti, secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 2 del bando, impedendo la partecipazione al concorso ai titolari di diploma di laurea conseguito dopo l’anno accademico 2002/2003, ha omesso di attualizzare e aggiornare al 2012 la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 2, comma 2, del D.M. n. 460 del 1998 ed ha creato una irragionevole disparità di trattamento tra candidati laureatisi sino al 2003 (periodo in cui erano attive le procedure di abilitazione SSIS) e nell’arco temporale 2008-2011 (periodo in cui le procedure SSIS sono state, per volontà legislativa, sospese). 2.8 La doglianza si appalesa fondata, nei termini appresso precisati. La disposizione della lex specialis oggetto di gravame, recante fissazione dei requisiti di ammissione al concorso, per quanto quivi rileva si limita a riprodurre alla lettera l’art. 2 del D.M. n. 460 del 1998 (pubblicato in G.U. 7 giugno 1999, n. 131 ed entrato in vigore il 22 giugno 1999), stabilendo che: a) possono partecipare al concorso i candidati in possesso di titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda; b) possono altresì partecipare, anche se non abilitati, i candidati che, alla data del 22 giugno 1999 (entrata in vigore del D.M. n. 460 del 1998) erano già in possesso del diploma di laurea; c) ovvero che abbiano conseguito la laurea entro gli anni accademici 2001-2002 o 2002-2003, se trattasi rispettivamente di corso di laurea quadriennale o quinquennale, o comunque entro l’anno in cui si sia concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998-1999. Tale riproduzione letterale, avvenuta a fronte di un bando di concorso pubblicato dopo circa un decennio dalla data fissata dal D.M. n. 460 del 1998 (1° maggio 2002), e pertanto in spregio alla regola della ordinaria frequenza triennale scolpita nell’art. 400, comma 1 del d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297, finisce con l’eludere la ratio giustificatrice originaria delle disposizioni transitorie e cagiona una irragionevole disparità di trattamento tra i diversi candidati alla procedura selettiva. Appare invero evidente che la clausola di salvaguardia prevista nel D.M. n. 460 del 1998 (art. 2, comma 2) era tarata sul primo concorso a cattedre da indire con cadenza triennale, non certo su quello che sarebbe stato effettivamente bandito dopo circa un decennio. Ne consegue che l’Amministrazione, all’atto di recepirne il contenuto nel bando pubblicato nel 2012, avrebbe dovuto attualizzarlo, così da lasciarne intatta la ratio giustificatrice, ovvero permettere la partecipazione al concorso quanto meno a coloro che avessero conseguito un diploma di laurea idoneo entro la data fissata per la presentazione delle domande di partecipare alla procedura selettiva. Diversamente opinando, anche in virtù di ciò che verrà di seguito evidenziato in ordine ai percorsi abilitanti attivati nel periodo di riferimento, si è determinata una ingiustificata disparità di trattamento tra candidati che hanno conseguito la laurea entro l’anno accademico 2002-2003, ammessi al concorso a cattedre, e candidati, come gli odierni ricorrenti, che hanno conseguito identica laurea negli anni accademici immediatamente successivi, ma entro la scadenza del termine per la presentazione della domande. La già segnalata disparità di trattamento scaturisce anche dalle vicende, già sopra sinteticamente passate in rassegna, occorse ai percorsi abilitanti nel periodo successivo al 2003. Si è già avuto modo di evidenziare che le Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario (SISS), pur concretamente attivate a partire dall’anno accademico 1999-2000, sono state sospese in virtù di espressa previsione legislativa a partire dall’anno accademico 2008-2009, per essere sostituite, soltanto a decorrere dall’anno accademico 2011-2012, dai Tirocini Formativi Attivi (TFA). Pertanto, in assenza di una clausola di salvaguardia attualizzata, come quella già prevista dall’art. 2 del D.M. n. 460 del 1998, il bando oggetto di gravame ha di fatto impedito la partecipazione al concorso a tutti i candidati, segnatamente i più giovani di età, in possesso di diploma di laurea acquisito a decorrere dall’anno accademico 2008-2009, per i quali è rimasto interdetto qualsiasi percorso abilitante. Ed invero, a causa della sospensione legislativa delle SISS ed in attesa dell’attivazione dei nuovi TFA, detti candidati non hanno avuto possibilità alcuna di acquisire l’abilitazione necessaria per la partecipazione al concorso a cattedre. Per le ragioni che precedono la diposizione impugnata si palesa illegittima, in quanto affetta, oltre che da violazione di legge relativamente alla disciplina di rango primario e secondario suesposta, da irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. 2.9 L’accertata fondatezza del proposto gravame, nei termini sopra esposti, impone l’annullamento della disposizione impugnata relativamente la posizione dei ricorrenti e il conseguente scioglimento positivo della riserva posta all’atto della loro ammissione alla procedura selettiva. 3. In forza della novità delle questioni scrutinate sussistono comunque giusti motivi per compensare integralmente spese, diritti ed onorari di giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in parte lo accoglie, nei termini e limiti meglio precisati in motivazione. Compensa spese, diritti ed onorari di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE Massimo Luciano Calveri, Presidente Paolo Restaino, Consigliere Giuseppe Chine’, Consigliere, Estensore © GIUFFRÈ EDITORE 115 Tribunale amministrativo regionale Lazio Latina Sez. I 23 dicembre 2013 n. 1048 Pres. Corsaro Est. Marra Z. e altro (avv. Abbate) Comune di Priverno, L. e altro . (avv. Mignano), (avv. Grasso) [2964/1380] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali Condono edilizio - Nel caso di violazione di diritti di terzi al rispetto delle distanze legali Esclusione - Ragioni. Non sono condonabili le opere abusive eseguite in violazione di diritti di terzi e, nella specie, delle distanze legali; invero, in un sistema di responsabilità civile che ha ormai riconosciuto la possibilità di convenire in giudizio l’amministrazione finanche per i danni cagionati dall’omessa vigilanza, la condotta del comune che abbia consapevolmente agevolato la lesione del diritto di proprietà di un terzo, sanando l’edificazione del manufatto, è suscettibile di essere considerata fonte di danno in quanto concausa dell’illecito civile; la tesi opposta condurrebbe infatti al paradosso che l’amministrazione, da un lato, sarebbe obbligata dalla norma attributiva del potere al rilascio del titolo abilitativo e, dall’altro, rischierebbe di dover rispondere di tale comportamento a titolo di responsabilità civile. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 207 del 2009, proposto da: Massimo Zampetta e Vincenzo Zampetta, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Abbate, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandro Maria Scavolini in Latina, via Botticelli n.12; contro Comune di Priverno, in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall’avv. Giacomo Mignano, con domicilio eletto in Latina, via G.B. Vico, 45; nei confronti di Mario Lauri, Lorenzo Lauri e Ines Canori, rappresentati e difesi dall’avv. Antonio Grasso, con il quale domiciliano, ex lege, presso la Segreteria di questa Sezione in Latina, via A. Doria, 4; per l’annullamento, previa sospensiva, del permesso in sanatoria n. 90 del 13 gennaio 2009, ex L. 28.2.1985 n. 47 e art. 39 L. 23.12.1994 n. 724 per la “modifica/ampliamento abitazione al Piano Secondo di fabbricato di maggior consistenza”, opere site in via Salvo D’Acquisto n. 71 – Mappale n. 626/sub 4 del foglio 31, conosciuto il 10.2.2009 in seguito ad accesso agli atti ex L. 241/90; e di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale al provvedimento impugnato; nonché, per la condanna al risarcimento dei danni subiti e subendi dai ricorrenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Priverno e dei signori Mario Lauri,Lorenzo Lauri e Ines Canori; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Roberto Maria Bucchi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO — 1) Con ricorso notificato a mezzo servizio postale il 17-18 marzo 2009 e depositato il giorno 18, i signori Zampetta Massimo e Zampetta Vincenzo – proprietari dell’area distinta in Catasto al foglio 31 part. 920 e dell’immobile allo stato grezzo totalmente interrato insistente sulla suddetta area, confinante con il fabbricato di proprietà dei signori Lauri Lorenzo, Lauri Mario e Canori Ines distinto in Catasto al foglio n. 31 part. 626 – hanno impugnato il provvedimento descritto in epigrafe, col quale il Comune di FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 117 Priverno ha accolto la domanda di condono presentata in data 28.2.1995 dal sig. Mario Lauri per le opere consistenti nella “modifica/ampliamento dell’abitazione al piano secondo del fabbricato di maggior consistenza” succitato. 2) A sostegno del gravame, i ricorrenti deducono le seguenti censure: I) Nullità del permesso in sanatoria n. 90/09. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 comma 15 della L. 47/85. Il provvedimento impugnato è nullo siccome non emesso dal Sindaco come prescritto dall’art. 35 comma 15 della L. 47/85. II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 10 della L. 241/90. Illegittimamente il Comune di Priverno non ha comunicato ai ricorrenti l’avvio del procedimento relativo alla domanda di condono in argomento. III) Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10 bis nonché degli artt. 5,6 e 22 della L. 241/90. Il provvedimento è stato adottato senza tenere conto della istanza di intervento e di accesso agli atti presentata dai ricorrenti in data 12.1.2009. IV) Eccesso di potere. Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444/1968 sulle distanze tra fabbricati, degli strumenti urbanistici locali. Il permesso in sanatoria n. 90/09 è stato rilasciato dall’Amministrazione Comunale in palese violazione delle norme di cui al D.M. n. 1444/68 sulle distanze legali tra fabbricati, come accertato dalla stessa Polizia Municipale del Comune di Priverno in data 20.2.1995, e dallo stesso Comune nell’ordinanza di sospensione lavori n. 91 del 25.2.1995 e nell’ingiunzione di demolizione n. 102 del 15.3.1995. V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 3, L. n. 47/85 e del DPR 380/01. Omessa motivazione in ordine all’ingiunzione di demolizione n. 102 del 15.3.1995. L’Amministrazione comunale ha del tutto omesso di richiamare nel permesso in sanatoria oggetto della presente impugnazione l’ingiunzione n. 102 del 15.3.1995 di demolizione dello stesso fabbricato di proprietà dei Lauri. VI) Eccesso di potere. Assenza e contraddittorietà della motivazione (art. 3 L. 241/90). Contraddittorietà dell’azione amministrativa. Il provvedimento impugnato è altresì illegittimo per violazione dell’obbligo di motivazione. VII) Mancato adeguamento dei titoli edilizi per la concessione di un permesso in sanatoria. L’Amministrazione comunale, nel concedere il permesso in sanatoria, ha omesso di considerare che l’immobile di controparte ha, di fatto, una ubicazione del tutto difforme rispetto al suo posizionamento catastale. 3) Con atti depositati in data 9 aprile 2009 e 20 settembre 2012 si sono costituiti in giudizio, rispettivamente, il Comune di Priverno e i signori Canori Ines, Lauri Mario e Lauri Lorenzo. 4) Alla pubblica udienza del 21 novembre 2013, la causa è stata riservata per la decisione. 5) Il ricorso è fondato. 6) Osserva il Collegio che nel verbale di contravvenzione elevato a carico del sig. Lauri Ferdinando in data 20.2.1995 i Vigili Urbani del Comune di Priverno hanno rilevato – tra le varie difformità riscontrate nel fabbricato oggetto di causa – l’inosservanza delle della distanza tra il manufatto rispetto al lotto di proprietà degli Zampetta. Successivamente, con atto di citazione (R.G. 8047/07), notificato il 15.11.2007, la sig.ra Ines Canori ha convocato dinanzi al Tribunale Civile di Latina i sigg.ri Zampetta Vincenzo e Zampetta Massimo per ivi sentire accertare la violazione delle norme sulle distanze legali da parte degli stessi. Da ultimo, i ricorrenti hanno depositato atto di intervento nel procedimento relativo alla concessione edilizia in sanatoria dell’immobile dei controinteressati contestando la violazione delle distanze legali. 7) E’ di tutta evidenza, quindi, che sussiste un contenzioso in ordine alla distanza legale tra l’immobile oggetto del provvedimento di condono impugnato con l’odierno ricorso e la proprietà dei ricorrenti e che di tale contenzioso il Comune era a conoscenza sin dalla data del sopralluogo a cura dei Vigili Urbani. 8) Ciò premesso, il Collegio ritiene di condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo cui gli abusi in materia di distanze non sono condonabili. Secondo questa tesi, l’Amministrazione, nel concedere il titolo abilitativo in sanatoria, può e deve considerare i limiti (per così dire, interni) rivenienti dall’esistenza di diritti soggettivi dei terzi alla distanza legale. Per sostenere che, all’esito di siffatta verifica, l’Amministrazione Comunale debba negare il condono richiestole, occorre inferire che la norma attributiva di potere di sanatoria, lungi dall’essere indifferente ai diritti dei terzi, vieti di rilasciare un titolo edilizio in contrasto con questi ultimi. La tesi opposta — che predica l’estraneità dei diritti dei terzi alla norma attributiva del potere di sanatoria — vincolerebbe il Comune al rilascio del titolo edilizio pur nella consapevolezza che la realizzazione del manufatto legittimato integra un illecito civile (per violazione delle distanze); ma, in un sistema di responsabilità civile che ha ormai riconosciuto la possibilità di convenire in giudizio l’Amministrazione finanche per i danni cagionati dall’omessa vigilanza, la condotta del Comune che abbia consapevolmente agevolato la lesione del diritto di proprietà di un terzo, sanando l’edificazione del manufatto, è suscettibile di essere considerata fonte di danno in quanto concausa dell’illecito civile. Cosicché l’Amministrazione, da un lato, sarebbe obbligata dalla norma attributiva del potere al rilascio del titolo abilitativo e, dall’altro, rischierebbe di dover rispondere di tale comportamento a titolo di responsabilità civile (cfr. T.A.R. Napoli (Campania) sez. VIII 17 gennaio 2013 n. 369). Da tale ragionamento deriva la ritenuta esclusione della condonabilità di opere abusive eseguite in violazione delle distanze legali, trattandosi di ipotesi esulante dalla norma attributiva del potere di sanatoria. 9) In conclusione, quindi, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione, anche all’esito del giudizio civile sopra richiamato. 10) Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso R.G. 207/2009 lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Francesco Corsaro, Presidente Davide Soricelli, Consigliere Roberto Maria Bucchi, Consigliere, Estensore FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 119 Tribunale amministrativo regionale Molise Sez. I 6 dicembre 2013 n. 739 Pres. Ciliberti Est. Monteferrante I.N.M.N. s.r.l. (avv. Di Pardo) Regione Molise e altri e altri (n.c.). (Avv. Stato) [3936/240] Giurisdizione civile - Giurisdizione ordinaria e amministrativa - In genere - Sanità pubblica - Piano di rientro Governo-Regione - Controversia - Giurisdizione amministrativa esclusiva. [7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Servizio sanitario regionale - Affidamento alla legge statale o regionale materie generalmente affidate al governo della P.A. - Legittimità Tutela del cittadino - È affidata al giudice delle leggi. [7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Tetti di spesa - Programmazione sanitaria Competenza regionale - Limiti alla spesa sanitaria - Mediante determinazioni di carattere autoritativo e vincolante - Legittimità. [7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Tetti di spesa - Programmazione sanitaria In coerenza con il contenimento della spesa pubblica - Legittimità. [7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Tetti di spesa - Determinazione - Previo avviso inizio procedimento - Obbligo - Esclusione. [7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Prestazioni erogabili - Limite - Imposizione - Non solo per le strutture private accreditate, ma anche per gli ospedali. Soggiace alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto il piano Governo-Regione di rientro nel settore sanitario, appartenendo esso al genus degli accordi di collaborazione tra Amministrazioni (nella specie Governo centrale e Regione Molise) per lo svolgimento di attività di interesse comune, rappresentato, dalla definizione e, successivamente, dall’attuazione degli obiettivi e delle misure necessarie al perseguimento dell’equilibrio economico della Regione Molise; trova quindi applicazione l’art. 15, l. 7 agosto 1990 n. 241 e, con esso, la previsione che devolve le controversie in materia di accordi collaborazione alla cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. Non può ritenersi preclusa alla legge ordinaria, né a quella di fonte regionale, la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina materie afferenti alla sanità pubblica e normalmente affidati alla autorità amministrativa, né ciò determina un vulnus al diritto di difesa del cittadino riguardo agli effetti provvedimentali dell’atto normativo, posto che la posizione soggettiva di questo troverà la sua adeguata tutela, ovviamente non sul piano della giurisdizione amministrativa ma, tramite questa, su quello, proprio della tipologia dell’atto in ipotesi lesivo, della giurisdizione costituzionale. Nell’esercizio della funzione programmatoria, le Regioni hanno un ampio potere discrezionale nello stabilire come le risorse disponibili per il sistema sanitario debbano essere utilizzate ed esercitano tale potere tenendo conto di molteplici esigenze quali il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l’efficienza delle strutture pubbliche, le legittime aspettative degli operatori privati che operano secondo logiche imprenditoriale, l’interesse pubblico al contenimento della spesa. Nel settore della sanità pubblica il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private deve conciliarsi con il principio di programmazione, che persegue lo scopo di razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse al contenimento della spesa pubblica. Il provvedimento che stabilisce i tetti di spesa e il riparto del fondo sanitario è qualificabile come atto di programmazione della spesa sanitaria e, pertanto, non è soggetto a comunicazione di avvio del procedimento. A decorrere dal 2009, e a seguito dell’entrata in vigore del d. l. 25 giugno 2008 n. 112, tutti gli operatori sanitari, comprese le aziende ospedaliere pubbliche, sono sottoposti ai tetti di spesa e la remunerazione delle prestazioni extra-tetto non è dovuta neanche alle aziende ospedaliere, se non quando e nella misura in cui (con applicazione di tagli e regressione tariffaria) lo prevedano i criteri stabiliti dalla Regione, a titolo legale ed al di fuori degli accordi contrattuali. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 219 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto dall’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed I.R.C.C.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Di Pardo, presso il cui studio in Campobasso, via Berlinguer, n. 1, elegge domicilio; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124; A.S.Re.M. in persona del legale rappresentante p. t., non costituita in giudizio; nei confronti di Casa di Cura Villa Maria, in persona del legale rappresentante p. t., controinteressata, non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 92 del 2008, proposto dall’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed I.R.C.C.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Di Pardo, presso il cui studio in Campobasso, via Berlinguer, n. 1, elegge domicilio; contro Regione Molise, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero della Salute, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124; nei confronti di Casa di Cura ″Villa Maria″, in persona del legale rappresentante p. t., controinteressata, non costituita in giudizio; per l’annullamento quanto al ricorso n. 219 del 2007: - della deliberazione di G.R. n. 362/07 avente ad oggetto “Accordo tra il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Presidente della Regione Molise per l’approvazione del Piano di rientro di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2005 n. 311. Approvazione” e dei relativi allegati; - delle deliberazioni della G.R., richiamate nella D.G.R. 362/07, nn. 1606/05, 737/06, 919/06, 2061/06, con le quali si è provveduto a proporre e integrare il c.d. piano di rientro; - delle deliberazioni di G.R. adottate nella seduta del 9 febbraio 2007 (richiamate nella D.G.R. 362/07) nn. 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111 e 112; - delle deliberazioni di G. R. adottate nella seduta del 27 febbraio 2007 (richiamate nella DGR 362/07) nn. 163, 164, 165, 166, 167, 168, 169; - delle deliberazioni di G.R. adottate nella seduta del 6 marzo 2007 (richiamate nella DGR 362/07) 181, 182, 183 e 184; - delle deliberazioni di G.R. adottate nella seduta del 13 marzo 2007 (richiamate nella D.G.R. 362/07) nn. 243, 244, 245; - della deliberazione di G.R. 357/07, avente ad oggetto ″Accordo tra il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Molise sottoscritto in data 27.03.07 P.O., di rientro 2007/2008/2009 12.3 e 18.1. Piano delle prestazioni di specialistica ambulatoriale”; - delle deliberazioni di G.R. 394/07 avente ad oggetto ″Programma Operativo di rientro - Accordo tra Regione Molise - M.E.F. e Ministero della Salute del 27.3.07 - Obiettivo specifico n. 12 e n. 18 - Obiettivo operativo n. 12.3 e 18.1. - Istituzione del Nucleo di Controllo Regionale per l’attività privata - Fissazione budget di spesa per erogare - IRCCS Neuromed di Pozzilli” e dei relativi allegati; - della deliberazione di G.R. 433/07, avente ad oggetto ″Programma Operativo Accordo tra Regione Molise - M.E.F. e Ministero della Salute del 27.3.07 - Obiettivo specifico n. 12 - Obiettivo operativo n. 12.1. - Fissazione tasso di ospedalizzazione - Triennio 2007- 2008 - 2009 Provvedimenti″ e dei relativi allegati; FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 121 nonché per l’annullamento chiesto con i motivi aggiunti notificati il 14.11.07: - della deliberazione di Giunta regionale n. 972/2007, nella parte in cui propone illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente; - della deliberazione di Giunta regionale n. 1170/2007, nella parte in cui propone illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente; nonché per l’annullamento, chiesto con i motivi aggiunti notificati il 14.12.07: - della deliberazione di Giunta regionale n. 1054/2007 nella parte in cui propone illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente; nonché per l’annullamento chiesto con i motivi aggiunti notificati il 10.3.08: - delle determine del direttore generale della direzione generale V della Regione Molise nn. 91/07, 93/07, 97/07, 98/07, 5/08 e della DGR n. 1537/07 nella parte in cui propongono illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente, in particolare per ciò che attiene alla determinazione degli impugnati tetti di spesa; nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 19.2.2008: - della nota della Regione Molise direzione generale V, prot. 19113 del 21.12.2007 con cui si afferma erroneamente che i posti letto complessivamente accreditati per l’IRCCS Neuromed sono pari a 160; nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 14.5.2008: - della deliberazione di Giunta regionale n. 169/2008, recante la determinazione dei tetti di spesa provvisori per il 2008 e la conferma dei tetti di spesa per il 2007; nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 14.11.2008: - della delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del piano sanitario regionale, nella parte in cui indica erroneamente che i posti accreditati per l’IRCSS Neuromed sono 160, nonché nella parte in cui disciplina contraddittoriamente il piano regionale sangue e plasma; nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 30.1.2009: - del Piano Sanitario regionale - Triennio 2008-2010 adottato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 190 del 9.07.08 ed approvato con legge regionale del 26.11.08, n. 34, nella parte in cui indica erroneamente che i posti accreditati per l’IRCSS Neuromed sono 160, nonché nella parte in cui disciplina contraddittoriamente il piano regionale sangue e plasma; nonché per l’annullamento chiesto con i motivi aggiunti notificati il 6.5.09: - della delibera di G.R. n. 154 del 23.2.09, comunicata al ricorrente il 02.03.09 riguardante il Programma operativo di rientro 2007 - 2009 e ulteriori provvedimenti di contenimento della spesa sanitaria; nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o comunque connessi. quanto al ricorso n. 92 del 2008 notificato in data 19.2.2008, per l’annullamento: - della nota della Regione Molise, Assessorato alla Sanità, Direzione Generale V, Politiche per la tutela della Salute e Assistenza Socio-Sanitaria, a firma del Direttore Generale Avv. R. Fagnano, n. prot. 19113 del 21.12.07, con cui si afferma, erroneamente, che i posti letto complessivi, accreditati, autorizzati, contrattualizzati, per l’IRCCS Neuromed, sono pari a 160; nonché per l’annullamento, chiesto con motivi aggiunti notificati il 14.11.2008: - della delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del piano sanitario regionale, nella parte in cui indica erroneamente che i posti accreditati per l’IRCSS Neuromed sono 160, nonché nella parte in cui disciplina contraddittoriamente il piano regionale sangue e plasma; Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Molise, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il dott. Luca Monteferrante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO — Con ricorso notificato in data 15 giugno 2007 e rubricato sub RG 219 del 2007, successivamente integrato con sette ricorsi per motivi aggiunti, l’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed I.R.C.S.S. s.r.l. ha impugnato una serie di delibere della Giunta Regionale della Regione Molise con le quali, in attuazione dell’art. 1, comma 174, della legge n. 311/2004, dell’intesa Stato - Regioni del 23.3.2005 e, successivamente, del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, siglato il 27.3.2007 ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2005, n. 311, anch’esso fatto oggetto di impugnativa, sono stati applicati tetti di spesa nonché riduzione del budget stanziato per le prestazioni sanitarie erogate dall’esponente ed è stata decisa la riduzione dei posti letto a 155 unità, unitamente alla riduzione del tasso di ospedalizzazione regionale, sul presupposto – contestato dalla esponente - che la struttura sia autorizzata ed accreditata per n. 160 posti letto anziché 308. Con distinto ricorso notificato in data 19.2.2008 e rubricato sub RG 92 del 2008, successivamente integrato con motivi aggiunti notificati in data 14.11.2008, ha nuovamente impugnato in via autonoma la nota della Regione Molise, Assessorato alla Sanità, Direzione Generale V, Politiche per la tutela della Salute e Assistenza Socio-Sanitaria, in cui si afferma che i posti letto complessivi, accreditati, autorizzati, contrattualizzati, per l’IRCCS Neuromed, sarebbero pari a 160, anziché a 308, nonché la delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del piano sanitario regionale, nella parte in cui indica che i posti accreditati per l’IRCSS Neuromed sarebbero pari a 160, ma anche nella parte in cui l’atto disciplina contraddittoriamente il piano regionale sangue e plasma, escludendo illegittimamente l’IRCCS ricorrente dalla rete di assistenza regionale, atti, entrambi, già impugnati nell’ambito del ricorso RG 219/2007. Con i predetti ricorsi e con i motivi aggiunti notificati, l’Istituto ricorrente lamenta che l’approvazione del piano di rientro e l’adozione delle successive delibere attuative non sarebbero state precedute da una ricognizione delle cause del disavanzo e della cattiva gestione della sanità regionale, imposta, invece, dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2005, n. 311; sarebbe mancata la preventiva approvazione del piano sanitario regionale, che rappresenta lo strumento programmatorio principale per assicurare una gestione efficiente della sanità regionale, ai sensi dell’art. 55 della legge n. 833/1978, dell’art. 1, comma 13, del d. lgs. n. 502/1992 e dell’art. 2 della legge della Regione Molise n. 9/2005, alla cui formazione, peraltro, la ricorrente avrebbe dovuto partecipare, quale polo di eccellenza e punto di riferimento insostituibile per la sanità regionale. Ha, altresì, dedotto l’incompetenza della Giunta regionale a provvedere, per essere competente il Consiglio regionale che, nella specie, avrebbe omesso di adottare atti di indirizzo. L’istruttoria prodromica alla sottoscrizione del piano di rientro non avrebbe potuto essere affidata alla locale A.S.Re.M., in quanto principale responsabile della situazione di disavanzo, nonché competitor delle strutture private convenzionate, quindi operante in palese conflitto di interessi. Il piano di rientro e i successivi provvedimenti attuativi si porrebbero in contrasto anche con il quadro strategico nazionale 2007-2013, finanziato dai fondi europei, che mira invece a premiare le strutture sanitarie di eccellenza e a valenza interregionale, quale è l’Istituto Neuromed; inoltre, sarebbero affetti da illogicità, in quanto recanti l’effetto di limitare la mobilità attiva, generata dalle strutture virtuose come Neuromed, che assicura ricavi e non spese per il Servizio sanitario regionale, limitandosi quest’ultimo ad anticipare in favore di dette strutture gli oneri economici relativi alle prestazioni rese in favore dei pazienti extraregionali, successivamente rimborsati dalle Regioni di appartenenza. L’Istituto ricorrente ha anche impugnato la proposta di accordo contrattuale per lo svolgimento delle prestazioni sanitarie predisposta dalla Regione Molise con DGR 394/2007 per l’anno 2007, in quanto ritenuta lesiva dei propri interessi, per averne disconosciuto la natura di centro di eccellenza, imposto l’espressa accettazione di delibere regionali reputate pregiudizievoli, stimato erroneamente il piano delle prestazioni erogabili, ridotto immotivatamente le prestazioni erogabili agli utenti extraregionali, in contrasto con la propria natura di struttura a vocazione ultraregionale, introdotto degli incongrui obblighi di informazione in favore della A.S.Re.M., previsto una disciplina contraddittoria della rimborsa- FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 123 bilità delle prestazioni extra budget, disciplinato in modo illegittimo i criteri di ripartizione della spesa preventivata (con vincolo di non superare i limiti di spesa mensile), disciplinato i tempi di pagamento e di finanziamento della ricerca in modo contraddittorio rispetto all’intesa stipulata tra Neuromed, la Regione Molise e l’Università “La Sapienza” di Roma, disciplinato in modo illegittimo il collegio arbitrale cui devolvere le eventuali controversie. Lamenta, infine, la contraddittorietà dell’agire regionale nella misura in cui, a fronte di una grave e risalente situazione debitoria, ha ritenuto di penalizzare le strutture virtuose, quale quella della esponente, in violazione peraltro degli impegni reciprocamente assunti mediante stipula, nell’ottobre 2004, di un’intesa – e di altre precedenti e successive - con la quale Neuromed si impegnava a sviluppare l’attività di ricerca e di formazione di interesse per il servizio sanitario regionale, anche al fine di innalzare la qualità dell’assistenza sanitaria regionale; il dedotto vizio di eccesso di potere sarebbe confermato dalla circostanza per cui la Regione, nel mentre riduceva i finanziamenti in favore delle strutture private di eccellenza, avrebbe investito importanti risorse finanziarie per potenziare strutture pubbliche, quali l’ospedale Veneziale di Isernia, incrementando al contempo il numero di posti di un nosocomio pubblico. Rileva che i provvedimenti impugnati limiterebbero anche la libertà di scelta degli utenti, penalizzando le strutture private virtuose. Si duole, infine, della mancata partecipazione al procedimento di adozione degli atti impugnati nonostante la posizione qualificata e differenziata, in ragione del protocollo di intesa sottoscritto con la Regione Molise e con l’Università “La Sapienza” di Roma. In entrambi i ricorsi si sono costituiti in giudizio la Regione Molise, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze per resistere alle censure articolate, contestandone la fondatezza nel merito e, in ultimo, l’improcedibilità, stante la sopravvenuta reiterata adozione di nuovi provvedimenti di contenuto tale da privare la ricorrente di ogni interesse alla decisione di merito. Gli enti intimati hanno anche eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a sindacare il piano di rientro, stante la sua natura pattizia e non provvedimentale, l’incompetenza territoriale del TAR Molise, stante l’idoneità del piano di rientro a produrre effetti non limitati ai confini territoriali della Regione Molise, la tardività dell’impugnazione stante l’adozione, risalente nel tempo, di atti istruttori prodromici alla sottoscrizione del piano di rientro. Con ordinanza n. 247/07, è stata accolta la domanda cautelare, al fine di riesaminare i provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo (piano di rientro, piano delle prestazioni sanitarie erogate dalla strutture private convenzionate e bozza di accordo per la contrattualizzazione delle prestazioni sanitarie erogabili dall’Istituto Neuromed nel 2007), tenendo conto dell’effettivo utilizzo dei posti letto e “delle peculiarità della struttura ricorrente con riguardo ai servizi sanitari offerti ai cittadini (d’eccellenza e/o assicurati in forma esclusiva nell’ambito regionale) e correlativamente all’utenza dei servizi stessi (regionale ed extraregionale) nonché alle attività di ricerca scientifica e di formazione universitaria”. Con sette ricorsi per motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato i successivi provvedimenti adottati dalla Giunta regionale in attuazione del piano di rientro, indicati in epigrafe, ivi compreso il piano sanitario regionale, successivamente approvato con delibera del Consiglio Regoinale n. 190/2008 e le ulteriori misure di contenimento della spesa deliberate con DGR n. 154/2009, reiterando i motivi di censura articolati con il ricorso introduttivo e lamentando altresì il mancato riesame, in ottemperanza dell’ordinanza cautelare n. 247/07, delle delibere adottate dalla Giunta regionale e, conseguentemente, il vizio di illegittimità derivata, da cui risulterebbero affette quelle successive di attuazione. Alla pubblica udienza del 28.11.2013, tutti i ricorsi sono stati trattenuti in decisione, previo deposito di memorie difensive, con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive. Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, stante la loro connessione soggettiva, trattandosi di ricorsi aventi tutti per oggetto atti contestati dall’Istituto Neuromed e adottati dalla Regione Molise, nonché dai Ministeri della Salute e dell’Economia e delle Finanze, in attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario sottoscritto in data 27.3.2007, in applicazione dell’art. 1, comma 180 della legge n. 311/2005 e, prim’ancora, in attuazione dell’art. 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell’intesa Stato – Regioni del 23 marzo 2005. V’è, inoltre, continenza di cause, atteso che i provvedimenti impugnati con il ricorso RG 92/2008 sono stati impugnati anche con il RG 219/2007. Quanto alle eccezioni preliminari sollevate dalle Amministrazioni intimate, occorre, in ordine, disattendere quella relativa al difetto di giurisdizione in quanto il piano di rientro rientra nel genus degli accordi di collaborazione tra Amministrazioni (nella specie Governo centrale e Regione Molise) per lo svolgimento di attività di interesse comune, rappresentato, nel caso di specie, dalla definizione e, successivamente, dalla attuazione degli obiettivi e delle misure necessarie al perseguimento dell’equilibrio economico della Regione Molise; trova, dunque, applicazione l’art. 15 della legge n. 241 del 1990 e, con esso, la previsione che devolve le controversie in materia di accordi collaborazione alla cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (art. 15, comma 2, che, nella versione all’epoca vigente, rinviava all’art. 11, comma 5 della legge n. 241 del 1990). L’eccezione di incompetenza territoriale è, invece, inammissibile non essendo stata veicolata attraverso lo strumento necessario del regolamento di competenza. Le ulteriori eccezioni di tardività delle impugnazioni possono, viceversa, essere assorbite, tenuto conto che la maggior parte delle censure articolate sono improcedibili o inammissibili e, per la parte residua, comunque infondate nel merito. Nel merito, i ricorsi in esame vanno dichiarati improcedibili, con riguardo alla doglianza relativa alla riduzione dei posti letto. A tal riguardo, in sede di discussione pubblica, il Collegio ha rilevato, quanto ai posti letto, che la delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del piano sanitario regionale per il triennio 2008-2010, ha confermato che la dotazione dei posti letto autorizzata in favore dell’Istituto Neuromed sarebbe pari a 160 unità anziché 308, operando un’ulteriore riduzione a 155 e che, essendo stata tale delibera successivamente approvata con legge regionale n. 34 del 26.11.2008, ai sensi dell’art. 6 dello Statuto regionale, potrebbe sussistere un profilo di improcedibilità di tale capo della domanda, essendo evidente che i vizi di legittimità articolati dalla ricorrente, in relazione agli atti della sequenza procedimentale, non possono trovare accoglimento, una volta che il piano sanitario regionale abbia assunto la veste formale di legge regionale. La difesa della ricorrente, in sede di discussione in udienza pubblica, con riferimento alla sopravvenuta legificazione del piano sanitario regionale - che ha cristallizzato la riduzione dei posti letto contestata e disciplinato il piano del sangue e del plasma, escludendo la ricorrente dalla rete di assistenza - ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge regionale n. 34 del 2008, in quanto legge provvedimento, adottata proprio al fine di limitare la tutela giurisdizionale, con conseguente lesione degli artt. 3, 24, 113, 111 e 97 Cost.. Le deduzioni difensive di parte ricorrente non sono, tuttavia, idonee a superare il profilo di improcedibilità rilevato dal Collegio. Si è già detto che tale riduzione, dapprima disposta e confermata con le DGR variamente impugnate, è stata recepita nel piano sanitario regionale di cui alla delibera del Consiglio regionale n. 190/2008, successivamente approvata con l’art. 11 della legge regionale n. 34 del 2008. Ne discende che la sopravvenuta legificazione delle previsioni ritenute lesive degli interessi della ricorrente non consente l’esame dei motivi di doglianza indirizzati avverso le delibere di Giunta, successivamente confluite nel piano sanitario regionale. La ricorrente ha eccepito, da ultimo, l’illegittimità costituzionale del predetto articolo 11, sul presupposto che, trattandosi di una legge - provvedimento, vi sarebbe una lesione del diritto di difesa, indicando come parametri di legittimità gli artt. 3, 97, 24, 111 e 113 della Costituzione. Il Collegio reputa la questione inammissibile e, comunque, manifestamente infondata. Inammissibile, poiché in sede di impugnazione della delibera del Consiglio regionale n. 190/2008, recante l’adozione del piano sanitario regionale, come successivamente approvata con l’art. 11 della legge regionale n. 34 del 2008, la ricorrente non ha articolato alcuna tempestiva censura in ordine alla natura di legge - provvedimento, con possibili riflessi pregiudizievoli sulla tutela giurisdizionale delle proprie ragioni. Ha, al contrario, richiamato FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 125 l’iter di approvazione del piano sanitario regionale, rammentando espressamente e adesivamente che la competenza legislativa del Consiglio trova esplicito fondamento nell’art. 6 dello Statuto regionale, come peraltro già precisato da questo TAR con sentenza n. 12/2009 (con la quale è stata annullata la delibera di Consiglio regionale n. 117/2007 di approvazione del piano sangue e plasma per il triennio 2007/2010, in quanto non approvata con legge regionale, come prescritto dall’art. 6 dello Statuto regionale). Ma la questione è anche manifestamente infondata, in quanto lo strumento della legge - provvedimento non è precluso in via assoluta, essendo invece soggetto a uno stringente controllo di costituzionalità sotto il profilo della ragionevolezza e della non manifesta arbitrarietà, in relazione al pericolo di ingiustificate disparità di trattamento, che è insito nella adozione di disposizioni legislative di tipo particolare; tale scrutinio deve essere tanto più stringente quanto più marcati sono i profili provvedimentali caratteristici della legge soggetta al controllo (così, ex plurimis, cfr. Corte Cost. n. 241 del 2008 e n. 267 del 2007). Con specifico riferimento al profilo della possibile limitazione della tutela giurisdizionale, la Corte Costituzionale ha ripetutamente disatteso le censure di violazione degli articoli 24 e 113 Cost. precisando “che non è preclusa alla legge ordinaria, né a quella di fonte regionale, la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati alla autorità amministrativa (cfr. Corte Cost. n. 267 del 2007); né ciò determina un vulnus al diritto di difesa del cittadino riguardo agli effetti provvedimentali dell’atto normativo, posto che la posizione soggettiva di questo troverà la sua adeguata tutela, ovviamente non sul piano della giurisdizione amministrativa ma, tramite questa, su quello, proprio della tipologia dell’atto in ipotesi lesivo, della giurisdizione costituzionale” (così Corte Cost. n. 289/2010 ma si veda anche Corte Cost. 94/2009). Sulla problematica si è, peraltro, già specificamente pronunciata la Corte Costituzionale, con sentenza n. 289/2010, con la quale è stata dichiarata l’infondatezza di identica questione sollevata dal TAR Abruzzo, in relazione all’art. 1, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 5 aprile 2007, n. 6 che, nell’ambito delle misure di razionalizzazione e di contenimento della spesa sanitaria, conteneva puntuali previsioni di riduzione dei posti letto a carico delle strutture private convenzionate. Non v’è stato, inoltre, abuso o sviamento della funzione legislativa allo scopo specifico di limitare la tutela giurisdizionale, in quanto l’approvazione con legge del piano sanitario regionale è prevista dall’art. 6, comma 2, lett. b) dello Statuto della Regione Molise, che rimette alla competenza legislativa del Consiglio l’approvazione della “organizzazione dei servizi pubblici di interesse della Regione” tra i quali dev’essere certamente annoverato il servizio sanitario regionale, come già chiarito da questo TAR con sentenza n. 12/2009 e rammentato proprio dalla ricorrente richiamando nei suoi atti difensivi tale specifico precedente (cfr., in particolare, p. 15 ss dei motivi aggiunti notificati in data 30.4.2009). Deve, conseguentemente, concludersi nel senso che le doglianze avverso la disposta riduzione dei posti letto e la disciplina del piano sangue e plasma che esclude la ricorrente dalla rete di assistenza, articolate con il ricorso introduttivo, i motivi aggiunti notificati il 14.11.2008 e quelli notificati il 30.1.2009 (con i quali è stata impugnata la delibera di adozione e, successivamente, di approvazione del piano sanitario regionale da parte del Consiglio Regionale) sono improcedibili. Sono, invece, inammissibili i motivi aggiunti notificati in data 19.2.2008, con i quali è stata impugnata la nota dell’Assessorato alla Sanità, direzione generale V della Regione Molise prot. 19113 del 21.12.2007, in cui si afferma che i posti letto complessivi accreditati, autorizzati e contrattualizzati per l’IRCCS Neuromed sono pari a 160 (anziché 308), in quanto si tratta di atto privo di valenza provvedimentale - peraltro indirizzato a un Consigliere regionale e non alla struttura ricorrente - e comunque avente natura meramente interlocutoria, come confermato dalla circostanza che nella medesima nota si specifica che “i dati numerici sopra citati, sebbene contenuti nel P.O. di rientro e nell’emanando PSR, non hanno comunque ancora valore di certificazione definitiva, pertanto ci si riserva di integrare la presente all’esito del procedimento per la riconferma degli accreditamenti provvisori di cui in premessa”. In ogni caso, le censure relative alla riduzione dei posti letto risultano infondate anche nel merito e ciò per ragioni estensibili alla doglianza relativa alla fissazione del tasso di ospedalizzazione operato con DGR 433/2007, impugnata con il ricorso introduttivo, tenuto conto che dalle verifiche istruttorie richiamate nel piano di rientro, l’offerta ospedaliera molisana si attestava al 31.12.2006 in 1883 posti letto, pari al tasso 5,85 per mille abitanti, laddove in sede di Intesa Stato – Regioni siglata il 23.3.2005, all’art. 4, comma 1, è previsto entro il 2007 uno standarddi posti letto ospedalieri accreditati effettivamente a carico del servizio sanitario regionale non superiore a 4,5 posti letto per mille abitanti, con una variazione comunque non superiore al 5 per cento, tenuto conto di particolari situazioni regionali, ciò in linea con le previsioni contenute nel piano sanitario nazionale, miranti al potenziamento della assistenza territoriale, dovendo l’assistenza ospedaliera orientarsi alla intensità di cura medio - alta. Analogamente, anche il tasso di ospedalizzazione registrato nella Regione Molise, pari al 250,41 per mille abitanti, rilevato nel 2005, si attesta ben oltre i limiti indicati nella richiamata Intesa Stato – Regioni che prevedeva il raggiungimento di un tasso di ospedalizzazione per ricoveri ordinari e in regime diurno, entro il 180 per mille abitanti residenti. A tal proposito, risulta irrilevante la censura con la quale la ricorrente ha contestato l’inapplicabilità della riduzione del tasso di ospedalizzazione alla propria struttura, dove le degenze sono a elevata complessità, tenuto conto che la programmazione regionale deve necessariamente tener conto dei dati aggregati relativi alla cifra complessiva dei ricoveri su scala regionale e raccordarli a quelle che sono le indicazioni contenute nel piano sanitario nazionale, essendo peraltro obbligata a dare attuazione all’art. 4 dell’Intesa Stato – Regioni 23 marzo 2005. La problematica sconta indubbiamente la difficoltà oggettiva connessa alla presenza di una struttura ospedaliera di rilievo nazionale in una Regione con una modesta popolazione sicché i dati previsionali rilevanti per la stima del fabbisogno delle prestazioni da erogare, in applicazione dei parametri indicati nel piano sanitario nazionale e nelle Intese siglate in sede di Conferenza Stato – Regioni (con particolare riferimento alla stima dei posti letto e al tasso di ospedalizzazione per le prestazioni a intensità medio-alta), dovendo necessariamente essere calibrati sulle caratteristiche del territorio e della popolazione residente, risultano potenzialmente sottostimati rispetto alla rilevanza e alla capacità produttiva dell’IRCCS ricorrente. Cionondimeno, la Regione Molise, soprattutto nell’attuale grave situazione di disavanzo, è tenuta a dare rigorosa e puntuale applicazione ai suddetti parametri che comportano una inevitabile riduzione della capacità produttiva dell’Istituto ricorrente, anche se compensata attraverso una ponderata disciplina della mobilità attiva. Quanto poi alla presunta erronea indicazione nel piano di rientro e, successivamente, nel piano sanitario regionale, del numero di posti letto autorizzati, accreditati e contrattualizzati, la documentazione versata in atti dalla ricorrente risulta tutt’altro che convincente. In nessuno dei documenti esibiti è possibile, infatti, leggere che l’Istituto ricorrente possa disporre di 308 posti letto in regime di accreditamento, quindi con oneri a carico del servizio sanitario regionale. La sentenza del TAR del Lazio n. 6142/2006 si limita a rilevare che, nell’ambito del procedimento di riconoscimento del carattere scientifico di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), il Ministero non ha “alcun potere di definizione del numero dei posti di accreditamento” e conseguentemente ha annullato il decreto ministeriale di conferma del riconoscimento del carattere scientifico dell’Istituto ricorrente nella parte in cui aveva, in modo ultroneo, limitato a 160 posti letto, per la disciplina “neuroscenze”, il riconoscimento del carattere scientifico. Ciò sull’evidente presupposto - debitamente evidenziato in motivazione - che tale profilo è di stretta competenza regionale. La ricorrente, tuttavia, invece di depositare provvedimenti inequivoci relativi all’accreditamento, richiama atti del Comune di Pozzilli, decreti del Ministero della Salute, la relazione di una Commissione parlamentare, una nota della A.S.L. “Pentria” di Isernia, delibere di Giunta regionale di autorizzazione al trasferimento dell’attività sanitaria, altre delibere di Giunta di autorizzazione ad attivare un servizio ai malati di Alzheimer in numero massimo di 20 assistiti in regime residenziale che però devono ritenersi “ricompresi nei posti FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 127 letto già autorizzati presso l’IRCCS Neuromed” (DGR 600/2006 e 123/2007), ma non delibere di Giunta regionale, né altri atti di assenso, né convenzioni che affermino in modo inequivoco che l’accreditamento è stato riconosciuto per 308 posti. Solo nella DGR 1376 /2003, si dice incidentalmente (senza fare riferimento ad atti presupposti) che Neuromed “è in possesso di accreditamento per attività sanitaria per complessivi 308 posti letto”, salvo precisare subito dopo che “attualmente eroga prestazioni in regime di SSN per un totale di 160 posti letto”, sicché deve desumersi che il numero dei posti letto che la Regione Molise si è impegnata a remunerare è pari a 160 e non a 308. In ogni caso, le risultanze istruttorie e le puntuali contestazioni mosse dalla difesa regionale inducono a ritenere che non si sia trattato di un mero errore nel riportare il numero di 160 nel testo del piano di rientro e, successivamente, nel documento contenente il piano sanitario regionale, sicché, in questa sede, deve ritenersi inammissibile il tentativo della ricorrente di introdurre in modo surrettizio una domanda di accertamento, non contemplata tra le forme di azione esperibili innanzi al giudice amministrativo. Poiché, infatti, non si tratta di un mero travisamento di un presupposto di fatto incontestato, ma dell’accertamento di una circostanza controversa tra le parti, la ricorrente avrebbe dovuto tempestivamente impugnare i provvedimenti regionali adottati nell’ambito del procedimento di accreditamento laddove ritenuti lesivi dei propri interessi in ordine alla corretta indicazione della dotazione dei posti letto ammessi in convenzione; ove non si accedesse a tale prospettazione, il ricorso improprio all’azione di accertamento incidentale implicherebbe l’aggiramento del termine decadenziale del provvedimento amministrativo, rappresentato, nella specie, dalla concessione e/o conferma dell’accreditamento provvisorio. Con i restanti motivi di censura - che investono sia la problematica dei posti letto che quella della introduzione dei tetti di spesa - l’Istituto Neuromed ha contestato, in sintesi, quanto segue: l’illegittima assenza del piano sanitario regionale; l’incompetenza della Giunta regionale; la violazione dell’art. 1, comma 180 della legge n. 311/2004 e dell’Intesa Stato Regioni del 23.3.2005, per omessa valutazione analitica delle cause strutturali del disavanzo; la contraddittorietà dell’azione amministrativa posta in essere dalle Amministrazioni intimate in contrasto con la volontà del legislatore nazionale e comunitario di incentivare le strutture sanitarie di eccellenza e a valenza interregionale; l’illogicità della scelte compiute con riferimento al regime della mobilità e la contraddittorietà rispetto agli impegni pattizi, precedentemente assunti con l’istituto ricorrente, tutti orientati al potenziamento della struttura, ciò anche con riferimento alla concomitante decisione di potenziare i posti letto in altra struttura pubblica e di destinare importanti risorse finanziarie per ristrutturare altro ospedale pubblico; la violazione della libertà di scelta degli utenti tra strutture pubbliche e strutture private; l’omessa partecipazione al procedimento; l’incompatibilità della A.S.Re.M. a svolgere l’istruttoria propedeutica alla predisposizione del piano di rientro, in quanto competitor delle strutture private convenzionate, la mancata esecuzione dell’ordinanza cautelare di questo TAR n. 247/2007, che avrebbe inficiato per illegittimità derivata tutte le delibere di Giunta assunte in attuazione dei presupposti atti sospesi dal TAR. Tutti i motivi sono infondati. Quanto all’impugnazione, nei limiti delle previsioni allegatamente pregiudizievoli, del piano di rientro sottoscritto in data 27.3.2007 e recepito con DGR n. 362 del 30.3.2007, la struttura ricorrente non ha interesse al suo annullamento: con specifico riferimento alle previsioni relative alla riduzione dei posti letto, si è già evidenziato che le stesse sono state legificate con l’approvazione del piano sanitario regionale avvenuta con l’art. 11 della legge n. 34 del 2008, sicché le doglianze che fanno leva sul potere di annullamento del giudice amministrativo non possono trovare ingresso in questa sede; quanto invece alla tematica dei tetti di spesa, come meglio si dirà nel prosieguo, il piano di rientro non contiene previsioni immediatamente lesive per la ricorrente, bensì riporta i dati aggregati relativi al monte complessivo delle spese per prestazioni erogabili (riportato nel modello CE programmatico 2007-2009 che stima i costi, al netto dei risparmi conseguenti alla implementazione delle azioni positive programmate), da ripartire con i successivi provvedimenti attuativi tra tutti gli operatori privati convenzionati. La sua impugnazione deve, pertanto, ritenersi in parte improcedibile, in relazione ai posti letto, e in parte inammissibile, per difetto del requisito dell’immediata lesività, con riferimento alla disciplina dei tetti di spesa. Le censure direttamente appuntate avverso siffatto accordo sono, comunque, infondate. Quanto alla mancanza del piano sanitario regionale, deve rilevarsi che nessuna norma di legge impone che il piano di rientro debba essere preceduto dall’approvazione del piano sanitario regionale. Nella specie, una tale conclusione sarebbe, per di più, improponibile tenuto conto che uno degli obiettivi del piano di rientro è rappresentato proprio dall’adozione del piano sanitario regionale, la cui ultima versione è stata approvata con delibera del Consiglio regionale n. 505 del 30.12.1996, per il triennio 1997-1999: è, dunque, manifestamente contraddittorio pretendere di far discendere un vizio dalla pretesa mancanza di un atto presupposto (il piano sanitario regionale) che è conseguenza dell’inadempimento cui si intende porre rimedio con l’atto in contestazione (il piano di rientro). In ogni caso, il piano sanitario regionale è stato successivamente adottato con delibera di Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008 e, in tal modo, si è provveduto a coordinare gli obiettivi del piano di rientro con lo strumento principale della programmazione sanitaria in ambito regionale. Quanto alla dedotta incompetenza della Giunta regionale ad adottare gli atti impugnati, è sufficiente osservare che la competenza dell’organo in questione è stata ribadita, con riferimento a tutti gli interventi di attuazione del programma operativo di rientro, dall’art. 11, comma 4, della legge regionale n. 34 del 2008 e, per quanto concerne la competenza ad approvare il piano di rientro, dall’art. 1, comma 2, del decreto legge 20 marzo 2007, n. 23 convertito con modificazioni dalla legge 17 maggio 2007, n. 64. Quanto alla mancata ricognizione delle cause del disavanzo, in pretesa violazione dell’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, la doglianza è irrilevante ai fini di causa, tenuto conto che l’intervento in materia di razionalizzazione della rete ospedaliera discende dagli obblighi imposti dal piano sanitario nazionale e dall’art. 4 dell’Intesa Stato – Regioni del 23 marzo 2005; in ogni caso, le ragioni del mancato allineamento della offerta ospedaliera regionale agli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale risultano puntualmente descritte a p. 34 e ss. del programma operativo allegato al piano di rientro, che comprovano un ricorso improprio alle prestazioni ospedaliere, sia per numero dei posti letto che per tasso di ospedalizzazione, con conseguente ingente dispendio di risorse finanziarie. La previsione, invece, dei tetti di spesa si giustifica ex se, a causa della situazione di gravissimo disavanzo in cui versa la Regione Molise. In ogni caso, più in generale da un lettura complessiva del piano operativo, emerge una puntuale ricognizione delle azioni necessarie per razionalizzare la spesa sanitaria e, soprattutto, la ricognizione delle criticità presenti nel sistema sanitario regionale - come tali causa di un utilizzo improprio di risorse - che, una volta censite, sono state tradotte in 18 obiettivi specifici da perseguire nell’attuazione del piano di rientro (cfr. p. 60 del piano di rientro). Il piano, dunque, ben evidenzia le cause del disavanzo, declinandole in termini di obiettivi programmatici, verso cui orientare le misure di risanamento e di razionalizzazione della spesa sanitaria. Quanto alla presunta contraddittorietà delle misure adottate rispetto all’indirizzo del legislatore nazionale e comunitario di incentivare le strutture sanitarie di eccellenza, è evidente che tali obiettivi devono coordinarsi con il sistema della programmazione sanitaria regionale, atteso che spetta, comunque, alla Regione di stabilire in che misura la valorizzazione delle strutture sanitarie di eccellenza possa essere garantita senza pregiudicare i concorrenti obiettivi della programmazione regionale, tra i quali, nell’attuale momento storico, spicca con assoluta priorità quello di assicurare l’equilibrio economico del bilancio regionale. La riduzione della capacità di erogare servizi sanitari della struttura ricorrente appare, dunque, coerente con le priorità di risanamento del bilancio regionale, imposte peraltro dalla sovraordinata normativa nazionale e comunitaria. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 129 Del pari infondata è la censura con la quale il ricorrente contesta la supposta contraddittorietà della scelta di imporre tetti di spesa, riducendo al contempo i posti letto, presso la propria struttura, di riconosciuta eccellenza, rispetto a quella concomitante con cui si stabilisce di attribuire posti letto aggiuntivi in altra e diversa struttura ospedaliera, come pure di investire cospicue risorse finanziarie per opere di adeguamento di altro ospedale pubblico (il “Veneziale” di Isernia); è sufficiente, al riguardo, richiamare il consolidato principio per cui, nell’esercizio della funzione programmatoria, le Regioni hanno un ampio potere discrezionale nello stabilire come le risorse disponibili per il sistema sanitario debbano essere utilizzate, ed esercitano tale potere tenendo conto di molteplici esigenze quali il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l’efficienza delle strutture pubbliche, le legittime aspettative degli operatori privati che operano secondo logiche imprenditoriale, l’interesse pubblico al contenimento della spesa (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 gennaio 2013 n. 134 e 9 aprile 2013, n. 1917). Ulteriore profilo di contraddittorietà è rinvenuto dalla esponente nella applicazione di misure penalizzanti a una struttura che genera una rilevantissima mobilità attiva, che rappresenterebbe una risorsa finanziaria e non un costo per la sanità regionale. La censura non merita di essere condivisa, in quanto il flusso di mobilità genera certamente ricavi per la struttura ricorrente - che matura il diritto a vedersi compensare direttamente dalla Regione Molise le prestazioni erogate in favore dei pazienti extraregionali - ma per la Regione Molise rappresenta, dal punto di vista contabile, una spesa, in quanto si vede costretta ad anticipare alla struttura convenzionata il costo delle prestazioni rese in favore di pazienti extraregionali, salvo poi attendere di poter conseguire il rimborso nella sede istituzionale in cui si operano le compensazioni tra flussi generati dalla mobilità attiva e passiva: i tempi per ottenere i rimborsi non sono, tuttavia, brevi e le voci di spesa sono soggette anche a possibili contestazioni sicché, a fronte di un esborso certo e immediato in favore della struttura ricorrente, la Regione Molise risulta titolare di un credito incerto e futuro e si vede, pertanto, esposta al rischio di non poter recuperare integralmente quanto anticipato. Ne discende che la limitazione della capacità operativa dell’Istituto ricorrente, in conseguenza dei tetti di spesa e della riduzione dei posti letto applicati, non è sintomatico di alcun profilo di contraddittorietà, in quanto la mobilità attiva apporta risorse all’Istituto ricorrente, ma non necessariamente alla Regione Molise. La questione risulta, comunque, superata dall’assetto regolamentare fissato con le DGR impugnate, essendo stata esclusa dalla inderogabilità dei tetti di spesa la rimborsabilità delle prestazioni rese in favore di pazienti extraregionali, secondo il meccanismo disciplinato, da ultimo, con la DGR 169/2009, che condiziona il pagamento in favore della ricorrente alla effettiva percezione dei rimborsi da parte della Regione Molise in sede di riparto del saldo della mobilità extraregionale con approvazione dei relativi valori nella sede istituzionale della Conferenza Stato – Regioni. Nessuna contraddittorietà può, infine, essere rinvenuta nelle decisioni assunte e qui contestate rispetto alle scelte formalizzate in sede di Intesa sottoscritta nell’ottobre 2004 tra la ricorrente, la Regione Molise e l’Università “La Sapienza” di Roma, finalizzate al potenziamento della attività di ricerca, insegnamento ed assistenza, poiché i provvedimenti impugnati, lungi dal manifestare un profilo di eccesso di potere, rappresentano la doverosa applicazione di sopravvenute norme di legge statali e di norme pattizie, concordate in sede di Conferenza Stato – Regioni, che rendono la loro adozione doverosa nell’an e, per certi aspetti, (numero posti letto per abitanti e tasso di ospedalizzazione) vincolata nel quomodo. Altra e distinta problematica concerne la possibilità che la Regione Molise, con la adozione dei provvedimenti impugnati, possa avere disatteso obblighi contrattuali, integrando una fattispecie di inadempimento, ma la doglianza, a ben vedere, non mira a contestare un inadempimento contrattuale bensì a evidenziare un esercizio contraddittorio del potere di programmazione del servizio sanitario regionale che, per le ragioni esposte, deve tuttavia ritenersi insussistente. L’Istituto ricorrente lamenta, ancora, che l’adozione delle misure contestate, penalizzando le strutture private virtuose, comporterebbe un’indebita limitazione della libertà di scelta dell’utenza tra strutture pubbliche e strutture private. La doglianza è infondata. Come è stato chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 200 del 26 maggio 2005), anche nel regime dell’accreditamento (introdotto dall’art. 8, comma 5 del D.Lgs. n. 502 del 1992), improntato alla logica della parificazione e della concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e caratterizzato dalla facoltà di libera scelta della struttura privata, a condizione che questa risulti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e accetti il sistema della remunerazione a prestazione, sussiste il limite della fissazione del tetto massimo di spesa sostenibile, regolato nel suo esercizio dall’art. 32 della L. n. 449 del 1997. Il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private deve, infatti, conciliarsi con il principio di programmazione, che persegue lo scopo di razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse al contenimento della spesa pubblica (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3374 del 6 giugno 2011; Sez. V, n. 1252 del 28 febbraio 2011). Deve essere respinto anche il motivo con il quale l’Istituto ricorrente ha lamentato la violazione delle norme sul procedimento dettate dall’art. 7 della L. n. 241 del 1990. Per giurisprudenza pacifica, infatti, il provvedimento che stabilisce i tetti di spesa e il riparto del fondo sanitario è qualificabile come atto di programmazione della spesa sanitaria e, pertanto, non è soggetto a comunicazione di avvio del procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III n. 6454 del 7 dicembre 2011; n. 1917 del 9 aprile 2013; Sez. V n. 8839 del 12 maggio 2009). In ogni caso, proprio per la particolare natura giuridica dell’Istituto ricorrente, tenuto conto delle peculiari problematiche che comporta sul regime del convenzionamento la presenza di un IRCCS di rilevanza nazionale, in una Regione con un modesto bacino di utenza, la Regione Molise già con DGR 998/2006 aveva istituito un tavolo tecnico in composizione paritetica, composto da rappresentanti della Regione e dell’Istituto Neuromed, proprio per concordare le decisioni in relazione alle molteplici problematiche insorte. Ne discende che, nel caso di specie, la partecipazione al procedimento è stata garantita in misura massima, proprio attraverso l’istituzione di un tavolo permanente di confronto e discussione. La ricorrente contesta anche che la A.S.Re.M., in quanto competitor della strutture private convenzionate, non avrebbe potuto svolgere l’istruttoria propedeutica alla sottoscrizione del piano di rientro e che tali risultanze sarebbero state acriticamente recepite dalla Giunta Regionale. La doglianza è infondata in quanto la A.S.Re.M. ha svolto le verifiche e fornito i dati istruttori necessari alla Giunta nel rispetto delle competenze affidategli dall’art. 3 della legge regionale n. 9 del 1 aprile 2005, che ne disciplina le attribuzioni. Del tutto indimostrata è poi l’affermazione secondo cui la Giunta le avrebbe recepite senza sottoporle ad alcun vaglio critico; al contrario, è dimostrato che, nella fase di attuazione, ogni decisione della Giunta è stata attentamente vagliata dal tavolo tecnico ministeriale, che ne ha sistematicamente verificato la coerenza rispetto agli obiettivi del piano di rientro. Sotto diversa angolazione, viene contestata la mancata esecuzione dell’ordinanza cautelare di questo TAR n. 247 del 2007; sennonché, per acclarare l’infondatezza della censura è sufficiente rilevare che il Collegio si era limitato a disporre un riesame degli atti impugnati con il ricorso introduttivo, alla luce della peculiare natura e della tipologia di prestazioni erogate dalla ricorrente. La Regione, in dichiarata esecuzione della predetta ordinanza, ha adottato la DGR 1054/2007, sollecitando una disamina congiunta delle varie problematiche in campo. Ed è proprio in forza del predetto riesame che è pervenuta alla conclusione, tra l’altro, con le DGR 972/2007 e 1170/2007, di autorizzare l’Istituto ricorrente a vedersi remunerare le prestazioni sanitarie a favore di utenti non molisani anche oltre i tetti di spesa massima fissati in precedenza, come espressamente evidenziato con DGR 169/2008. Né, del resto, il Collegio ha fornito indicazioni prescrittive cogenti della cui violazione, in sede di riesame, la ricorrente abbia potuto dolersi. Completato l’esame delle doglianze specificamente relative alla riduzione dei posti letto e di quelle comuni alla contestata introduzione dei tetti di spesa, deve ora procedersi FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 131 all’esame delle specifiche contestazioni indirizzate avverso la introduzione di tetti di spesa e la riduzione del budget contrattualizzato. Osserva, a tal riguardo, il Collegio che la DGR n. 169 del 2008, impugnata con i motivi aggiunti notificati il 14 maggio 2008, ha ulteriormente modificato il tetto di spesa per l’annualità 2007 introducendo, seppur in via provvisoria, il nuovo tetto di spesa per il 2008. Tale provvedimento, in quanto innovativo della disciplina giuridica dei tetti di spesa per gli anni 2007 (riduce ulteriormente il tetto di spesa per l’assistenza specialistica e per quella riabilitativa, oltre a modificare il regime di rimborsabilità della mobilità attiva) e 2008 contestati dalla ricorrente con il ricorso RG 219/2007 - reca la disciplina, a regime, dei tetti di spesa ammissibili, sicché ogni doglianza indirizzata avverso gli atti della sequenza procedimentale a monte va dichiarata improcedibile, in quanto inidonea ad arrecare alcuna utilità giuridica alla ricorrente. In senso contrario, non può opporsi che avendo la ricorrente impugnato anche il piano di rientro sottoscritto il 27.3.2007 - in attuazione del quale sono stati adottati tutti i provvedimenti impugnati - persisterebbe l’interesse alla decisione della sua impugnazione che, in caso di accoglimento, travolgerebbe - con effetto automaticamente caducante - tutti gli atti a valle, ivi compresa la DGR 169/2008. A tal proposito, deve rilevarsi che gli obiettivi di risanamento finanziario sono anteriori alla approvazione del piano di rientro (avvenuta con delibera di Giunta Regionale n. 362 del 30 marzo 2007) e risalgono, quanto meno, all’art. 1, comma 174, della legge n. 311/2004 ed agli artt. 4 e 6 dell’intesa Stato - Regioni del 23.3.2005: in attuazione di tali previsioni, la Giunta aveva già adottato le delibere n. 181 del 6 marzo 2007 e n. 243 del 19 marzo 2007, recanti l’introduzione dei tetti di spesa per il triennio 2007-2009 sicché il venire meno del piano di rientro, successivamente sottoscritto, non può determinare alcun effetto automaticamente caducante sulla DGR n. 169 del 2008, i cui presupposti giustificativi di razionalizzazione e contenimento della spesa sanitaria sono anteriori alla predetta stipula e rinvengono, quali primi atti attuativi, dalle DGR 181 del 6 marzo 2007 e n. 243 del 19 marzo 2007. In ogni caso, il piano di rientro, se, da un lato, contiene prescrizioni immediatamente lesive con riferimento alla dotazione di posti letto (di cui si prevede la riduzione a 155), diversamente, per i tetti di spesa, si limita a elencare una serie di obiettivi specifici, tra cui le misure di riduzione strutturale del disavanzo, con indicazione di valori aggregati (cfr. modelli CE programmatico 2007-2009 per acquisti di servizi a p. 219), senza tuttavia introdurre limitazioni con specifico riferimento alle strutture private convenzionante, sicché sotto tale angolatura l’impugnazione avverso il piano di rientro è anche inammissibile per carenza di immediata lesività dell’accordo, ferma, in ogni caso, l’infondatezza nel merito delle censure articolate sul punto, testé passate in rassegna. Deve, dunque, essere scrutinata la legittimità della DGR 169/2008, in quanto recante la disciplina, a regime, dei tetti di spesa per le annualità 2007 e 2008, in applicazione di uno degli obiettivi posti con il piano di rientro. Il Collegio, anche a tal riguardo, deve rilevare la sostanziale improcedibilità dell’impugnazione di tutte le DGR – e da ultimo della 169/2008 - con le quali sono stati mossi rilievi alla fissazione di tetti di spesa e, conseguentemente, limitazioni al budget contrattualizzato per gli anni 2007 e 2008, tenuto conto che, con la memoria depositata il 7 gennaio 2009, le Amministrazioni intimate hanno eccepito, allegando tabulati informatici non contestati dalla ricorrente, che, in realtà, il volume di prestazioni sanitarie erogate da Neuromed ai pazienti molisani negli anni 2007 e 2008 risulta di valore inferiore rispetto ai tetti massimi di spesa fissati dalla Regione con i provvedimenti impugnati, per l’assistenza ospedaliera, la specialistica ambulatoriale e per le prestazioni riabilitative. L’unico dato che evidenzia un superamento del tetto massimo di spesa è rappresentato dal volume di prestazioni rese in favore dei pazienti extra-regionali, ma con riferimento a tale aspetto è pacifico che le delibere di Giunta impugnate non rechino pregiudizio alla ricorrente, atteso che la Regione Molise con le DGR 972/07 e 1170/07 ha riconosciuto la possibilità di erogare prestazioni in favore degli utenti extraregionali oltre i tetti massimi di spesa, seppur prescrivendo il differimento del loro pagamento e precisando, con la successiva DGR 169/2008, che tale facoltà deve ritenersi ammessa, a condizione che le prestazioni sanitarie in parola “siano riconosciute alla Regione Molise in sede di assegnazione del saldo di mobilità con approvazione dei relativi valori nella sede istituzionale della Conferenza Stato – Regioni e che l’ente sino a quella data non sosterrà alcun costo per tali prestazioni”. Ne discende che i tetti di spesa fissati nei provvedimenti di Giunta impugnati non ledono in alcun modo l’interesse di Neuromed a erogare prestazioni ospedaliere, di specialistica ambulatoriale e riabilitative, in quanto sufficientemente capienti rispetto alla capacità produttiva della struttura, tant’è che l’Istituto Neuromed ha anche provveduto a sottoscrivere l’accordo di budget per l’annualità 2008, senza riserva di azioni legali o contestazioni di sorta. Poiché, tuttavia, i provvedimenti impositivi dei tetti di spesa, in attuazione del piano di rientro, hanno cadenza periodica, residua un interesse della ricorrente a vedere accertare, quanto meno, se, in relazione alla propria natura di IRCCS, siffatte limitazioni possono ritenersi legittime. L’istituto ricorrente ha, infatti, reiteratamente eccepito l’inopponibilità dei tetti di spesa alle luce della propria natura di IRCSS, da ritenersi equiparata alle strutture ospedaliere pubbliche per le quali, notoriamente, non valgono i tetti di spesa. Sul punto il Consiglio di Stato, III, con sentenza n. 697 del 6 febbraio 2013 ha precisato che fino al decreto legge n. 112/2008, i tetti di spesa non vincolavano rigidamente la remunerazione delle prestazioni esuberanti; quindi, l’equiparazione, sotto il profilo della remunerazione delle prestazioni, degli ospedali ecclesiastici classificati e degli altri enti equiparati alle aziende ospedaliere pubbliche, tra cui gli IRCCS, comportava che le prestazioni erogateextra-tetto dovessero essere comunque remunerate; con l’ulteriore conseguenza che le previsioni sui tetti di prestazioni e di spesa non potessero essere considerate lesive (costituendo solo un’assegnazione preventiva, suscettibile di essere integrata a fine anno, qualora le attività complessivamente svolte risultassero di valore economicamente superiore), e perciò non sussistesse al riguardo un onere di impugnazione del provvedimento con cui detti limiti di remunerazione erano stati stabiliti. Per il periodo anteriore il 2009 si è, infatti, consolidato l’orientamento secondo il quale «ai fini dell’operatività del meccanismo dei cd. tetti di spesa, da un lato stanno le strutture pubbliche e quelle ad esse equiparate (Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.), dall’altro quelle private accreditate. Solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili; mentre per le strutture che risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale (Ospedali pubblici, Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.) non è neppure teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato»; infatti, la struttura ospedaliera «non può sottrarsi al dovere, non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti», dovendo, dunque, ricondursi il tetto delle prestazioni erogabili al limite strutturale dell’ospedale (cfr. Cons. Stato,V, 22 aprile 2008, n. 1858; 28 maggio 2009, n. 3263; 16 marzo 2010, n. 1514). Con l’applicazione, a decorrere dal 2009, del decreto legge 112/2008 (novellazione degli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies, del d.lgs. 502/1992), tutti gli operatori sanitari, comprese le aziende ospedaliere pubbliche, sono sottoposti ai tetti di spesa, e la remunerazione delle prestazioni extra-tetto non è dovuta neanche alle aziende ospedaliere, se non quando e nella misura in cui (con applicazione di tagli e regressione tariffaria) lo prevedano i criteri stabiliti dalla Regione, a titolo legale ed al di fuori degli accordi contrattuali. Nel caso di specie, poiché vengono in rilievo delibere di Giunta regionale che hanno fissato tetti di spesa per gli anni 2007 e 2008, determinando gli importi massimi erogabili all’Istituto ricorrente per le prestazioni ospedaliere, di specialistica ambulatoriale e riabilitative, non rilevano le modifiche apportate dal decreto-legge n. 112/2008 bensì il regime giuridico anteriore, come da ultimo modificato dal d. lgs. n. 229/1999. A tal proposito, la richiamata sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato ha precisato che: «uno dei cardini sui quali ruota la riforma introdotta dal d.lgs. 229/1999 é costituito dagli “accordi contrattuali”, che tutte le strutture sanitarie di cui le Regioni si avvalgono, ai sensi dell’articolo 8-bis, per assicurare i livelli essenziali e uniformi di assistenza prefissati (vale a dire: i presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché gli altri soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8-quater) devono FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 133 stipulare, ai sensi dell’articolo 8-quinquies, per poter erogare prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale.L’articolo 8-quinquies, nel testo originario, stabiliva (comma 2) che detti “accordi contrattuali” indicassero (oltre ad obiettivi, programmi di integrazione e requisiti dei servizi da rendere), il volume massimo delle prestazioni che le strutture si impegnavano ad assicurare, distinto per tipologia e modalità di assistenza (lettera b) ed il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo, da verificare comunque ″a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1 lett. d)» (lettera d). Il precedente comma 1, stabiliva, infatti, che le regioni dovessero definire lo specifico ambito di applicazione degli accordi contrattuali, individuando i soggetti interessati e disciplinando alcuni aspetti specifici: tra questi (lettera d) i «criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura». «In sintesi, può ritenersi che, secondo la disciplina risultante dalla novella del d.lgs. n. 229/1999, gli accordi contrattuali dovessero individuare dei limiti di operatività delle strutture (un determinato volume per ogni tipologia di prestazioni, e il relativo budget); ma che, tuttavia, detto limite non fosse invalicabile, posto che il corrispettivo indicato negli accordi contrattuali costituiva una sorta di “preventivo”, soggetto a verifica concreta in sede di consuntivo, in base ai risultati raggiunti e alla attività effettivamente svolta (che poteva risultare superiore a quella massima individuata dagli accordi). La relativa “elasticità” del corrispettivo preventivato negli accordi contrattuali a fronte delle attività concordate non determina, tuttavia, l’automatico diritto delle strutture a essere remunerate, sempre e incondizionatamente, per le prestazioni erogate oltre il volume massimo concordato; la remunerabilità di tali prestazioni, infatti, è legata ai criteri che la legislazione regionale avrebbe individuato, e quindi dipende da un presupposto frutto di una scelta legislativa, vale a dire da un titolo (legale) diverso dall’accordo contrattuale». «Vi era dunque, prima del decreto legge 112/2008, la possibilità che le prestazioni rese oltre i volumi predeterminati in sede di programmazione nazionale e regionale, nonché negli accordi contrattuali potessero essere, in qualche misura, remunerate; anche se, sotto tale profilo, la posizione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati non risultava formalmente privilegiata, rispetto a quella degli altri enti erogatori privati». Dall’ampia ricostruzione sistematica offerta dalla menzionata sentenza (confermata da successive pronunce cfr. Cons. Stato, III, n. 735/2013 e n. 2529/2013) emerge che i tetti di spesa sino al 2008 erano ammissibili ma le prestazioni extra-budget rese dagli enti privati equiparati alle strutture ospedaliere pubbliche, tra i quali gli IRCSS di diritto privato, erano remunerabili secondo le condizioni fissate dal legislatore regionale, in forza cioè di un titolo legale e non contrattuale. Siffatta affermazione di principio, che nella sua assolutezza dovrebbe condurre a ritenere in astratto fondato il ricorso, in parte qua limitatamente alle annualità 2007 e 2008, deve tuttavia essere misurata con la particolare condizione giuridica in cui versa la Regione Molise, per avere sottoscritto il 27.3.2007 il piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario. Reputa il Collegio, infatti, che l’art. 8-quinquies, comma 1, (lettera d), nel testo originario, prevedendo che le Regioni provvedono a stabilire i «criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura», legittimi, nelle ipotesi in cui si tratti di Regioni sottoposte a piano di rientro, l’adozione di misure che escludono la possibilità di remunerare prestazioni extra-budget, come accaduto nel caso di specie con la DGR 1170 del 2007 (che peraltro fa salva la disciplina specifica prevista per la mobilità extraregionale che rappresenta circa l’80% del budget assegnato all’Istituto Neuromed). Con la sottoscrizione del piano di rientro, la Regione Molise ha, infatti, consumato la propria discrezionalità con riferimento alla disciplina della remunerabilità delle prestazioni sanitarie eccedenti il volume complessivo stimato con DGR n. 357 del 30.3.2007, recante il piano delle prestazioni ospedaliere relativo alle strutture private (allegato B), quello delle prestazioni di specialistica ambulatoriale (allegato C), nonché quello delle prestazioni relativo alle strutture ospedaliere pubbliche (allegato A). E infatti, nel perseguimento degli obiettivi di risanamento di cui ai punti 12.3 3 18.1 del piano di rientro e secondo le previsioni programmatiche fissate nel modello CE 2007-2009 (cfr. p. 201 e 219 del programma operativo relativo al triennio 2007-2009 allegato al piano di rientro), la Regione Molise ha ritenuto di introdurre tetti di spesa anche per le strutture private a diretta gestione regionale e cioè per l’Università Cattolica del Sacro Cuore e per l’IRCCS Neuromed, nonostante queste ultime abbiano natura equiparata (la prima in quanto ospedale classificato e la seconda in quanto IRCCS) alle strutture ospedaliere pubbliche, secondo quanto chiarito dalla richiamata sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato e già anticipato da questo Tribunale a partire dall’ordinanza cautelare n. 231 del 2010. Le previsioni di spesa, inizialmente rappresentate come voci aggregate nel modello CE programmatico 2007-2009, sono state successivamente specificate negli importi – riferiti alle diverse tipologie di enti privati accreditati – e nel regime giuridico, con gli atti esecutivi e, in particolare, con la DGR 357/2007, recante il piano delle prestazioni ospedaliere e delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, con la DGR 394/2007 relativa alla fissazione del budgetdi spesa prodromica alla negoziazione con l’IRCCS Neuromed dell’accordo contrattuale per l’anno 2007; tali delibere sono state successivamente modificate, in vari aspetti relativi al regime giuridico, con DGR nn. 972/2007, 1170/2007, e, da ultimo, con la DGR n.169/2008, fermo restando che, al fine di perseguire gli obiettivi di risanamento finanziario, è stata esclusa la possibilità di remunerare prestazioni sanitarie eccedenti i tetti di spesa fissati con DGR 972/2007, come espressamente ribadito con DGR 1170/2007, salva la disciplina speciale approvata per la mobilità extra-regionale. Tra le varie opzioni possibili la Regione Molise, con la sottoscrizione del piano di rientro ha, dunque, deciso di non remunerare le prestazioni eccedenti i tetti di spesa imposti anche alle strutture private equiparate a quelle pubbliche, al dichiarato e precipuo scopo di perseguire l’obiettivo di attuare misure di riequilibrio della gestione corrente necessarie all’azzeramento del disavanzo. Il Collegio, fermo il rilevato profilo di improcedibilità, reputa che tale impostazione che anticipa quanto successivamente introdotto a regime dal decreto-legge n. 112/2008 in ordine al principio di inderogabilità dei tetti di spesa per tutte le strutture pubbliche e private convenzionate - sia immune da censure, in quanto imposta dalla normativa speciale varata per fronteggiare la situazione di squilibrio finanziario in cui versano le Regioni sottoposte a piano di rientro e successivamente commissariate, come la Regione Molise. E ciò, quanto meno, con riferimento all’IRCCS Neuromed essendo la posizione dell’Università Cattolica diversa venendo in tal caso in rilievo la garanzia costituzionale dell’autonomia universitaria ex art. 33 Cost., presidiata dalla strumento dell’intesa (cfr. TAR Molise 984/2011) non derogabile dai poteri commissariali straordinari pena l’illegittimità costituzionale delle norme di conferimento dei poteri di intervento sostitutivo (su cui di recente cfr. ordinanza TAR Molise n. 727 del 5 dicembre 2013 con la quale analoga questione è stata rimessa alla Corte Costituzionale venendo in rilievo la possibile lesione dell’autonomia legislativa regionale). Occorre premettere che, nel vigente quadro normativo, spetta alle Regioni provvedere con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e di distribuire le risorse disponibili per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché di provvedere alla determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l’equilibrio complessivo del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario (fra le più recenti: Consiglio di Stato Sez. III, 30 gennaio 2013, n. 598). Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata ad affrontare la questione della legittimità degli atti di programmazione delle risorse, con la fissazione dei tetti di spesa, intervenuti in corso d’anno, ha affermato che «alle Regioni è ... affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in tema di limiti alla spesa sanitaria, in coerenza con l’esigenza che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 135 nell’ambito di una pianificazione finanziaria» (decisioni n. 3 e n. 4 del 12 aprile 2012), aggiungendo che tale attività di pianificazione delle risorse, in quanto necessaria, può essere esercitata anche nel corso dell’anno di riferimento. E’ stato poi precisato che l’osservanza del tetto di spesa rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e può quindi permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6432). Anche la Corte Costituzionale, nel sottolineare l’importanza del collegamento tra responsabilità e spesa, ha evidenziato che l’autonomia dei vari soggetti ed organi che operano nel settore, deve essere necessariamente correlata alle disponibilità finanziarie e non può prescindere dalla limitatezza delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale (Corte Costituzionale 28 luglio 1995, n. 416). Con riferimento specifico al tema della remunerazione delle prestazioni extra-budget il Consiglio di Stato (Cons. Stato, III, 9 aprile 2013, n. 1917), anche con specifico riferimento agli IRCCS di diritto privato e alla loro peculiare natura giuridica, ha ritenuto legittimi i meccanismi di regressione tariffaria in quanto espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo pubblicistico della spesa sanitaria, giustificandoli sia con la considerazione che, ove venisse consentito lo sforamento dei tetti complessivi di spesa fissati, il potere di programmazione regionale ne risulterebbe vanificato, sia con l’ulteriore considerazione che i soggetti erogatori delle prestazioni possono effettuare le opportune programmazioni della rispettiva attività sulla base delle risorse loro assegnate (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013 n. 679). Infine, con riferimento alla mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni sanitarie rese in eccedenza rispetto al budget assegnato, in violazione di quanto disposto dall’art. 8- quinquies, lett. d), del d.lgs. n. 502 del 1992, testé richiamato, il Consiglio di Stato, con specifico riferimento alle Regioni sottoposte a piano di rientro e successivamente commissariate, ha ritenuto che “le deliberazioni con le quali vengono fissati i tetti di spesa per le prestazioni dei soggetti accreditati con il servizio sanitario nazionale sono assunte in attuazione di precisi vincoli che discendono dalla necessità di rispettare la disciplina speciale sul rientro dai disavanzi delle regioni” (fra le tante: Consiglio di Stato, Sez. III n. 924 e n. 935 del 21 febbraio 2012). L’osservanza del tetto di spesa rappresenta pertanto un vincolo ineludibile, che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e può quindi permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato. 7.2.- In tale prospettiva, la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget può ritenersi giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa (e quindi il vincolo delle risorse disponibili). Vincolo particolarmente rigoroso per le regioni che si trovano, in materia sanitaria, in stato di dissesto e sono state sottoposte a piani di rientro e, come poi è avvenuto per la Regione Calabria, al commissariamento. 7.3.- Né è possibile giungere a diversa conclusione facendo riferimento a quanto disposto dall’art. 8 - quinquies, lett. d), del d.lgs. n. 502 del 1992, che prevede la definizione di criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato. Infatti la citata disposizione deve essere interpretata in modo coerente con le successive e sempre più rigorose disposizioni emanate per il contenimento dei costi del settore sanitario e per il conseguente doveroso rispetto delle quantità di prestazioni concordate con gli operatori e dei connessi tetti di spesa che, si ripete, hanno il fine di evitare che le strutture sanitarie interessate possano erogare prestazioni maggiori di quelle che l’amministrazione pubblica può pagare. Ben può quindi escludersi la possibile remunerazione di prestazioni extrabudget che potrebbero vanificare gli obiettivi di controllo della spesa attuati (anche) attraverso la fissazione dei tetti di spesa. Mentre non può ammettersi che i singoli operatori decidano autonomamente quali e quante prestazioni (anche extrabudget) debbano essere erogate (e quindi remunerate), fatte salve le prestazioni indifferibili (come quelle di pronto soccorso). 7.4.- Nella fattispecie, in particolare, considerato che, come si è già prima ricordato (al punto 4.5) la Regione Calabria, in materia sanitaria, era in stato di grave squilibrio economico già nel 2008, risulta quindi ampiamente giustificata la previsione, contenuta nella deliberazione della G.R. n. 541 del 4 agosto 2008 (e nelle successive determinazioni della ASP di Crotone), di non remunerare le (non autorizzate) prestazioni extrabudget di assistenza specialistica ambulatoriale, residenziale e semiresidenziale” (così, Cons. Stato, III, 29 novembre 2012, n. 6091, confermata da Cons. Stato, 9 aprile 2013, n. 1917). Alla luce della normativa richiamata e dell’interpretazione evolutiva della giurisprudenza formatasi in materia di regime giuridico delle strutture private equiparate a quelle pubbliche, di tetti di spesa, di prestazioni extra-budget, con particolare riferimento alle Regioni sottoposte a piano di rientro, emerge, pertanto, anche l’infondatezza nel merito della censura relativa alla supposta non applicabilità dei tetti di spesa alle prestazioni sanitarie erogate dagli IRCCS operanti in Regioni sottoposte a piano di rientro e ciò anche con riferimento ad annualità anteriori all’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal d.l. 112/2008, fermo restando che per le annualità successive al 2008 opererà il nuovo regime che ha generalizzato il carattere vincolante dei tetti di spesa per tutti gli erogatori privati e pubblici. Osserva ancora il Collegio, con riferimento ai motivi aggiunti notificati in data 10 marzo 2008 aventi per oggetto l’impugnazione delle determinazioni direttoriali n. 91/2007, 93/2007, 97/2007, 98/2007 e 5/2008 - con le quali è stato disposto il pagamento di prestazioni sanitarie rese dalla ricorrente con riferimento alle annualità 2006, 2007 e 2008 -, che il gravame è inammissibile in quanto la ricorrente non ha interesse ad impugnare determine di pagamento che le arrecano un evidente vantaggio patrimoniale, tant’è che l’Istituto Neuromed precisa che, in realtà, la loro impugnazione si giustifica per essere le stesse attuative delle delibere di Giunta con le quali sono stati determinati i tetti di spesa e, conseguentemente, il budget contrattualizzato (DGR 362/07, 394/07, 972/07, 1170/07, 1054/07). Deve invece essere dichiarata improcedibile l’impugnazione avverso la DGR 394/07, gravata con il ricorso introduttivo, in quanto le contestazioni mosse avverso il contenuto disciplinare dell’allegato schema di accordo dibudget per il 2007 devono ritenersi superate alla luce di quanto previsto dalla successiva DGR 1054/2007, che ha disposto la riapertura di un tavolo tecnico di confronto in composizione paritetica, secondo quanto già previsto con DGR 998/06, anche per discutere delle modifiche da apportare allo schema di accordo contrattuale di cui alla DGR 394/07 secondo quanto sollecitato dalla ricorrente. Infine, con atto di motivi aggiunti notificati il 6 maggio 2009, l’Istituto ricorrente ha impugnato la delibera di G.R. n. 154 del 23.2.09 recante provvedimenti integrativi al Programma operativo di rientro 2007 – 2009 con i quali sono state deliberate ulteriori riduzioni per posti letto e budget alle strutture private. Anche in questo caso, la ricorrente muove dal presupposto della non applicabilità agli IRCCS di siffatte riduzioni in quanto strutture equiparate a quelle pubbliche. E’ dunque sufficiente richiamare quanto sopra esposto in materia di generalizzazione dei tetti di spesa anche alle strutture pubbliche, a partire dal 2009, per concludere nel senso della infondatezza della contestazione. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi in epigrafe e tutti i motivi aggiunti devono essere dichiarati improcedibili per quanto concerne la disciplina dei posti letto, del piano sangue e plasma e dei tetti di spesa relativi alle annualità 2007 e 2008; infondati con riferimento alla fissazione del tasso di ospedalizzazione avvenuta con DGR 433/2007 e alle ulteriori riduzioni previste con la DGR 154/2009; inammissibili per quanto concerne l’impugnazione del piano di rientro di cui alla DGR 362/2007, delle determine direttoriali di pagamento nn. 91/2007, 93/2007, 97/2007, 98/2007 e 5/2008, della nota regionale prot. 19113 del 2.12.2007 e dei restanti provvedimenti variamente richiamati negli atti di ricorso in quanto non attinti da specifici motivi di censura. La complessità della materia del contendere induce il Collegio a ritenere sussistenti giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, nonché sui FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 137 connessi motivi aggiunti, li dichiara, in parte, improcedibili, in parte, inammissibili, in parte infondati, ai sensi di cui in motivazione. Compensa le spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Orazio Ciliberti, Presidente Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore Antonio Andolfi, Primo Referendario Tribunale amministrativo regionale Basilicata Sez. I 23 dicembre 2013 n. 810 Pres. Perrelli Est. Mastrantuono T. s.pa. (avv. Hernandez, Buscicchio) Provincia di Potenza e altro (n.c.). (avv. Luglio) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Offerte - Elementi essenziali - Costi per la sicurezza del lavoro - Omissione - Esclusione - Condizione. Il provvedimento di esclusione dalla gara pubblica per mancata indicazione da parte degli offerenti dei costi relativi alla sicurezza può essere adottato soltanto se la lex specialis di gara prevede l’obbligo, a pena di esclusione, di indicare in sede di offerta i suddetti costi. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 650 del 2013, proposto dalla Tempor S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Federico Hernandez, Francesco Hernandez e Giuseppe Buscicchio, come da mandato a margine del ricorso, con domicilio eletto in Potenza Corso Garibaldi n. 32 presso lo studio dell’Avv. Gerardo Pedota; contro Provincia di Potenza, in persona del Presidente della Giunta Provinciale p.t. e del Dirigente dell’Ufficio Contenzioso, rappresentata e difesa dall’Avv. Emanuela Luglio, come da mandato in calce al controricorso di costituzione, con domicilio eletto in Potenza Piazza delle Regioni presso l’Ufficio Legale dell’Ente; nei confronti di GI GROUP S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; per l’annullamento: -della Determinazione n. 2450 del 26.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 41647 del 27.11.2013), con la quale il Dirigente dell’Ufficio Contratti della Provincia di Potenza ha emanato il provvedimento di esclusione della Tempor S.p.A. dalla procedura aperta, indetta con bando pubblicato il 19.9.2013, per l’affidamento dell’appalto del servizio di “somministrazione di lavoro a tempo determinato e pieno per la realizzazione del progetto Vie Blu-Stralcio 2013”, provvedendo contestualmente ad annullare l’atto di aggiudicazione provvisoria in favore della stessa Tempor S.p.A.; -della Determinazione n. 2472 del 28.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 42027 del 27.11.2013), con la quale il medesimo Dirigente dell’Ufficio Contratti ha emanato il provvedimento di aggiudicazione definitiva del predetto appalto in favore della seconda classificata GI GROUP S.p.A.; -dei presupposti pareri del Responsabile Unico del Procedimento e dell’Avvocatura provinciale; del bando e del disciplinare di gara, approvati con Determinazione n. 1767 del 19.9.2013; nonché per la declaratoria dell’inefficacia del contratto d’appalto e l’aggiudicazione della gara e la conseguente stipula del contratto in favore della Tempor S.p.A. e/o del diritto a subentrare nel contratto, “dichiarandosi la Tempor disponibile fin d’ora al subentro”; e per la condanna della Provincia di Potenza al risarcimento del danno subito, oltre che in forma specifica, anche per equivalente per il periodo intercorso tra la stipula dell’appalto stipulato con la GI GROUP S.p.A. e l’effettivo subentro della Tempor S.p.A., cioè per la parte di contratto già eseguita; Visti il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Potenza; FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 139 Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 il dott. Pasquale Mastrantuono e uditi gli Avv.ti Giuseppe Buscicchio e Emanuela Luglio; Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.; Con Determinazione n. 1668 del 9.9.2013 il Dirigente dell’Ufficio Protezione Civile della Provincia di Potenza approvava il progetto “Vie Blu-Stralcio 2013”, consistente nella prestazione del servizio di somministrazione alla Provincia di 71 lavoratori a tempo determinato e pieno (di cui: 6 aventi il VI livello funzionale del vigente CCNL degli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale-agraria, 31 con V livello del predetto CCNL e 34 con il IV livello di tale CCNL), per l’importo complessivo di 1.204.604,01 E, di cui 1.170.809,90 E a base di gara, comprensive dell’aggio dovuto all’agenzia interinale pari a 134.019,60 E (oltre IVA nella misura del 21% pari a 28.144,12 E), e 5.650,00 E per somme a disposizione, disponendo l’indizione di una procedura aperta con il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, che veniva effettivamente indetta dal Dirigente dell’Ufficio Contratti con Determinazione n. 1767 del 19.9.2013, di approvazione del bando e disciplinare di gara e del Capitolato Speciale. Il Bando (pubblicato il 19.9.2013) prevedeva che: 1) il costo dei 71 lavoratori, pari a 1.036.790,30 E, non era soggetto a ribasso, per cui la gara sarebbe stata aggiudicata al concorrente, che aveva offerto il miglior ribasso sull’aggio di agenzia, pari a 134.019,60 E, che praticamente consisteva nel ricarico di 2,20 E al costo orario dei 71 lavoratori, determinato in base al vigente CCNL degli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale-agraria; 2) le offerte dovevano essere presentate entro il termine perentorio delle ore 12,00 del 29.10.2013. Il disciplinare di gara prevedeva che l’offerta doveva essere formulata con l’indicazione della “percentuale di ribasso rispetto all’aggio orario di 2,20 E”, specificando che: a) il ricarico di agenzia, soggetto a ribasso, comprendeva “tutto quanto eventualmente non compreso nelle valutazioni di cui alla presente gara, tutti i costi di agenzia ivi compreso l’utile di impresa”; b) “l’offerta economica, comprensiva del costo orario più ricarico di agenzia”, doveva “comprendere tutti i seguenti elementi: 1) ricerca, selezione e formazione del personale; 2) retribuzione, ivi compreso il trattamento accessorio, tredicesima e quattordicesima; 3) oneri contributivi assistenziali e previdenziali, compreso accantonamento TFR ed eventuali contributi ad enti bilaterali costituiti a norma di CCNL; 4) premio assicurativo INAIL; 5) sostituzione del personale; 6) oneri per la sicurezza del lavoro; 7) Oneri di cui ai fondi per la formazione; 8) assicurazione di responsabilità civile per danni causati a terzi e all’ente in cui prestano servizio; 9) assenze legittime; 10) visite mediche ed accertamenti preliminari all’assunzione; 11) costi amministrativi generali e specifici del personale; 12) utile di impresa; 13) addizionale ASPI (cfr. pure art. 5 del Capitolato Speciale). Entro il predetto termine perentorio delle ore 12,00 del 29.10.2013 presentavano l’offerta 4 concorrenti. Nella seduta pubblica del 30.10.2013 la Commissione giudicatrice emanava l’atto di aggiudicazione provvisoria in favore della Tempor S.p.A., in quanto aveva offerto il maggior ribasso del 97,370% sull’aggio orario di 2,20 E, posto a base di gara. Con nota del 5.11.2013 la seconda classificata GI GROUP S.p.A., che aveva offerto il ribasso del 97,043%, chiedeva l’esclusione dalla gara della Tempor S.p.A., poiché quest’ultima non aveva indicato nell’offerta economica i costi della sicurezza aziendale, cioè un adempimento previsto dalla legge come obbligatorio. Con note del 7 e 14 novembre 2013 la Tempor S.p.A. contestava l’assunto della GI GROUP S.p.A.. Con Determinazione n. 2450 del 26.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 41647 del 27.11.2013) il Dirigente dell’Ufficio Contratti della Provincia di Potenza emanava il provvedimento di esclusione della Tempor S.p.A. dalla procedura aperta, provvedendo contestualmente ad annullare l’atto di aggiudicazione provvisoria, “in quanto il combinato disposto di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 impone ai concorrenti di segnalare l’incidenza dei costi aziendali di sicurezza già in sede di offerta e tali norme hanno carattere etero integrativo del bando di gara”. Con Determinazione n. 2472 del 28.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 42027 del 27.11.2013) il medesimo Dirigente dell’Ufficio Contratti emanava il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell’appalto in esame in favore della seconda classificata GI GROUP S.p.A.. Con istanza ex art. 243 bis D.Lg.vo n. 163/2006 del 28.11.2013 la Tempor S.p.A. ha chiesto l’annullamento dei due predetti provvedimenti. Le Determinazioni n. 2450 del 26.11.2013 e n. 2472 del 28.11.2013 sono state impugnate con il presente ricorso (notificato 6.12.2013), deducendo le seguenti censure: 1) poiché l’appalto in commento si riferiva ad un servizio, elencato nell’Allegato II B al Codice degli Appalti (cfr. punto 22 di tale Allegato), risulta disciplinato esclusivamente dagli artt. 65, 68 e 225 D.Lg.vo n. 163/2006 e perciò non anche dagli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, dello stesso D.Lg.vo (sul punto viene citata la Sentenza TAR Piemonte Sez. I n. 1376 del 21.12.2012); 2) con riferimento al costo della sicurezza dei 71 lavoratori somministrati, la mancata indicazione del costo della sicurezza risultava irrilevante, in quanto tali lavoratori venivano assunti e pagati, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. i), D.Lg.vo n. 276/2003, dalla stazione appaltante e perciò i relativi oneri di sicurezza dovevano essere individuati e quantificati dalla Provincia, per cui non potevano essere addossati ai concorrenti, in quanto il datore di lavoro sostanziale era la Provincia, mentre l’appaltatore-somministratore si limitava a fornire i lavoratori; 3) nel caso in cui le clausole del disciplinare e del Capitolato Speciale, che, nell’indicare i vari elementi che dovevano essere presi in considerazione per la formulazione dell’offerta, richiamava anche “oneri per la sicurezza del lavoro”, dovessero essere interpretate nel senso della loro quantificazione, a pena di esclusione, in sede di offerta, la ricorrente ha chiesto l’annullamento di tali disposizioni della lex specialis, “per la violazione della normativa in materia di somministrazione e del D.Lg.vo n. 81/2008”; 4) per quanto riguarda il costo della sicurezza del personale cd. fisso del concorrentesomministratore, è stato rilevato: a) in via principale, che non incidono in alcun modo sull’appalto in commento, in quanto i relativi oneri “esistono a prescindere dal singolo appalto e vengono ordinariamente sostenuti come costi generali” dalla ricorrente, e ciò indipendentemente dal grado di rischiosità dell’attività lavorativa che dovranno eseguire lavoratori somministrati, poiché i dipendenti cd. fissi della ricorrente non devono essere somministrati al soggetto utilizzatore; b) in via subordinata, che, poiché la lex specialis di gara non prevedeva con i riferimenti ai dipendenti cd. fissi dei concorrenti un costo di sicurezza, non soggetto a ribasso, e/o l’obbligo (anche non a pena di esclusione) di indicare in sede di offerta i costi di sicurezza aziendali, il provvedimento di esclusione avrebbe dovuto essere emanato soltanto dopo l’attivazione del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta oppure, ai sensi dell’art. 46, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, avrebbe dovuto essere consentito alla ricorrente di provare il rispetto della normativa in materia di sicurezza ed a tali fini la ricorrente ha precisato che i costo della sicurezza dei propri dipendenti cd. fissi era “pari a 0,0048 E per ogni ora lavorata e retribuita” ai 71 lavoratori somministrati; 5) infine, l’impugnato provvedimento di esclusione era contraddittorio, perché ammetteva che sull’interpretazione del combinato disposto di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 vi era un contrasto giurisprudenziale, ma poi recepiva acriticamente l’orientamento negativo. Si è costituita in giudizio la Provincia di Potenza, che ha sostenuto l’infondatezza del ricorso, evidenziando anche che con successiva Determinazione n. 2557 del 2.12.2013 il Dirigente dell’Ufficio Protezione Civile aveva disposto l’esecuzione in via d’urgenza dell’appalto in esame, “determinato, oltre che dall’esigenza di concludere tute le attività previste dal progetto entro i termini stabiliti dalla Regione Basilicata, anche dalle avverse condizioni atmosferiche che stanno interessando con notevole intensità il territorio provinciale”, per cui “eventuali ritardi nella chiusura delle attività potrebbero determinare la perdita dei finanziamenti destinati alla realizzazione del progetto”. Il ricorso è fondato. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 141 L’impugnato provvedimento di esclusione della ricorrente dalla suindicata procedura aperta, relativo all’appalto del servizio di reperimento di 71 lavoratori, che la Provincia di Potenza doveva utilizzare per l’espletamento di attività lavorativa disciplinata dal CCNL degli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale-agraria, è stato motivato con il richiamo al combinato disposto di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006. Il primo periodo della prima delle due norme appena citate prevede che: “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. Il secondo periodo della seconda norma statuisce che: “nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”. In realtà, l’art. 86, comma 3 bis, D.Lg.vo n. 163/2006 prescrive anche l’obbligo delle stazioni appaltanti di indicare nella lex specialis il costo relativo alla sicurezza, che ai sensi del successivo comma 3 ter “non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta”. Ed infatti solitamente il bando di gara, nella parte relativa all’indicazione dell’importo a base di gara, specifica anche il predetto costo di sicurezza, non soggetti a ribasso, cioè si tratta degli oneri di sicurezza finalizzati all’eliminazione dei cd. rischi da interferenze, che devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenze. Mentre l’art. 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 prevede solo l’obbligo dell’indicazione in sede di offerta dei costi relativi alla sicurezza, cioè dei costi, connessi al rispetto della normativa in materia di sicurezza, che dovrà sostenere l’appaltatore in quello specifico appalto pubblico, la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica (cd. rischio specifico o aziendale) e la cui congruità deve essere valutata dalla stazione appaltante in relazione all’entità ed alle caratteristiche del relativo appalto di lavori, servizi o fornitura. Con riferimento ai predetti artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 sussistono diversi orientamenti giurisprudenziali. Secondo un orientamento (cfr. per es. C.d.S. Sez. III n. 4622 del 28.8.2012) la mancata indicazione da parte degli offerenti dei costi relativi alla sicurezza determina l’automatica esclusione dalla gara, anche se il predetto obbligo non viene specificato dalla lex specialis di gara, poiché in tal caso il bando risulta eterointegrato dal citato art. 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006. Secondo un altro orientamento (cfr. per es. C.d.S. Sez. III n. 3706 del 10.7.2013; C.d.S. Sez. VI n. 4999 del 20.9.2012) il provvedimento di esclusione dalla gara può essere adottato soltanto se la lex specialis di gara prevede l’obbligo, a pena di esclusione, di indicare in sede di offerta i costi relativi alla sicurezza. Per completezza, va segnalato pure un orientamento intermedio (cfr. C.d.S. Sez. III n. 5070 del 18.10.2013), secondo cui il provvedimento di esclusione dalla gara può essere disposto solo per gli appalti di lavori, “per i quali vige la norma ad hoc” dei Pani di Sicurezza ex art. 131 D.Lg.vo n. 163/2006 e perciò l’indicazione in sede di offerta dei costi di sicurezza costituisce un elemento essenziale dell’offerta, mentre per gli appalti di servizi e/o forniture il costo della sicurezza risulta consustanziale al prezzo e perciò la valutazione di tale costo va posticipata nella fase del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta. Secondo questo Tribunale merita adesione l’orientamento, secondo cui per l’automatica esclusione dalla gara, senza la previa verifica dell’anomalia dell’offerta, risulta necessaria la previsione nella lex specialis della sanzione dell’esclusione in caso di violazione dell’obbligo dell’indicazione dei costi di sicurezza. Per inciso, va precisato che tale clausola del bando di gara risulterebbe conforme all’art. 46, comma 1 bis, D.Lg.vo n. 163/2006, perché quest’ultima norma qualifica come nulli soltanto gli obblighi a pena di esclusione, che non contemplano casi di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice degli Appalti e dal suo Regolamento o da altre vigenti disposizioni di legge, anche se non già espressamente sanzionate con l’esclusione dal vigente ordinamento giuridico. Ciò perché l’esclusione automatica dalla gara è una sanzione gravissima, che può essere comminata soltanto se espressamente prevista dalla legge e/o dalla lex specialis di gara, ed anche perché, in assenza di un’esplicita disposizione, si impedisce al concorrente di dimostrare di aver rispettato la normativa in materia di sicurezza con specifico riferimento all’appalto da aggiudicare e perciò di aver formulato un’offerta non anomala. Ed infatti, sia dall’art. 86, comma 3 bis, sia dall’art. 87, comma 4, del Codice degli Appalti si evince che l’indicazione nell’offerta dei costi relativi alla sicurezza risulta finalizzata alla valutazione dell’anomalia delle offerte ed inoltre deve anche tenersi conto della circostanza che dopo la modifica apportata dall’art. 4 quater, comma 1, lett. c), n. 1, D.L. n. 78/2009 conv. nella L. n. 102/2009 l’art. 87, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006 non prevede più l’obbligo dei concorrenti di allegare all’offerta una relazione di giustificazioni dei costi, considerati per la formulazione dell’offerta. Né può sostenersi che l’indicazione dei costi di sicurezza sia un elemento essenziale dell’offerta, quasi alla stregua di un requisito di ammissione, in quanto la sua omissione non impedisce l’esame dell’offerta formulata, come per es. quando il concorrente non ha autodichiarato tutte le sentenze di condanna penali (compreso quelle con il beneficio della non menzione), che se non indicate nella domanda di partecipazione non consentono alla stazione appaltante di valutare l’effettiva incidenza di tali condanne sulla moralità professionale. Ciò perché gli oneri di sicurezza sono soltanto uno dei tanti costi, che vanno presi in considerazione per la formulazione di una offerta congrua, anche se sono inderogabili, come quelli relativi al costo del lavoro, che possono essere stimati soltanto nella fase successiva della valutazione dell’eventuale anomalia dell’offerta economica. Tanto più che, nella specie, trattandosi di un appalto di somministrazione di lavoratori, il costo di sicurezza dei lavoratori grava esclusivamente sulla stazione appaltante ed a riprova di ciò va rilevato che la Provincia di Potenza non redatto il suddetto Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenze, mentre il costo di sicurezza aziendale, relativo ai dipendenti cd. fissi della ricorrente risulta del tutto trascurabile, essendo stato quantificato in “0,0048 E per ogni ora lavorata e retribuita”. Ad ulteriore riprova di quanto sopra statuito, va evidenziato che, diversamente dall’art. 17 L. n. 68/1999, il quale prevede espressamente la sanzione dell’esclusione dalla gara per le imprese che non allegano all’offerta la dichiarazione sostitutiva, attestante il rispetto della normativa relativo al diritto al lavoro dei disabili, l’art. 26, comma 6, D.Lg.vo n. 81/2008, come i suddetti artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006, non prevede analoga sanzione di esclusione. E la suddetta disposizione dell’art. 17 L. n. 68/1999 risulta logica, perché vuole impedire alle imprese, partecipanti ad una gara di appalto pubblico, di rinviare al momento dell’aggiudicazione la regolarizzazione della loro posizione con riferimento alla L. n. 68/1999. Invece, l’indicazione del solo costo di sicurezza in sede di offerta non consente alla Commissione giudicatrice di valutare immediatamente la congruità dell’offerta presentata, dopo che il Legislatore ha abolito l’obbligo di allegare all’offerta la relazione di tutti i principali costi stimati. Comunque, nella specie, va rilevato che l’appalto in commento si riferisce ad un servizio di reperimento di personale, cioè ad un servizio incluso nell’Allegato II B al Codice degli Appalti (cfr. punto 22 di tale Allegato) e che perciò, ai sensi dell’art. 20 D.Lg.vo n. 163/2006, risulta disciplinato esclusivamente dagli artt. 65, 68 e 225 dello stesso D.Lg.vo n. 163/2006. Pertanto, come condivisibilmente affermato dalla Sentenza TAR Piemonte Sez. I n. 1376 del 21.12.2012 (la quale, peraltro, richiama anche C.d.S. Sez. V n. 4029 del 5.7.2011), citata dalla ricorrente, nelle gare, relative a servizi ex art. 20 D.Lg.vo n. 163/2006, anche volendo aderire all’orientamento giurisprudenziale più rigoroso, non può essere sanzionata con l’esclusione l’omessa specificazione dei costi di sicurezza, se il bando non prevede espressamente tale obbligo, a pena di esclusione, come nella specie, dove la lex specialis FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 143 richiama gli artt. 86, 87 e 88 D.Lg.vo n. 163/2006 solo ai fini della verifica di anomalia dell’offerta. A quanto sopra consegue l’accoglimento del ricorso in esame e l’annullamento dei provvedimenti impugnati ed anche il subentro della ricorrente nell’appalto di cui è causa. Tenuto conto del contrasto giurisprudenziale sulla questione, oggetto della controversia in esame, sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio, con la condanna della Provincia di Potenza al rimborso del solo Contributo Unificato nella misura versata. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata accoglie il ricorso in epigrafe nei sensi indicati in motivazione. Spese compensate, con la condanna della Provincia di Potenza al rimborso del Contributo Unificato nella misura versata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Michele Perrelli, Presidente Giancarlo Pennetti, Consigliere Pasquale Mastrantuono, Consigliere, Estensore Tribunale amministrativo regionale Sicilia Catania Sez. IV 6 dicembre 2013 n. 2924 Pres. Di Paola Est. Savasta E. s.r.l. (avv. Vitale) Regione Sicilia . (Avv. Stato) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Criteri per la valutazione di proposta progettuale - Voto numerico. In tema di voto numerico relativo ad una selezione pubblica che presuppone la valutazione di una proposta progettuale, le coordinate interpretative sono le seguenti: 1) Quando la valutazione sia relazionata a criteri predeterminati, la cui applicazione non lasci alcun margine di discrezionalità sugli intervalli di graduazione (essendosi la stessa consumata in sede, appunto, di predeterminazione di criteri), come nel caso in cui il punteggio sia, a priori, graduato secondo un riferimento a « fasce » prestabilite, parametrate al diverso grado del valore dei requisiti e delle caratteristiche ritenuto sussistente nell’offerta o del progetto, il voto numerico è del tutto sufficiente a rappresentare il giudizio espresso dalla commissione di valutazione e a consentire il controllo della insussistenza di macroscopiche abnormità in esso contenuto, come tali, censurabili dal G.A.. 2) Quando la valutazione sia altrettanto relazionata a criteri predeterminati secondo quanto indicato sub 1), ma il giudizio sia stato ulteriormente rivolto a una serie di subcriteri tra di loro autonomi, ma rivolti alla valutazione di un criterio omogeneo e complessivo, l’espressione di un voto unico finale non appare sufficiente a esternare il concreto giudizio della commissione di valutazione, posto che non viene esternata la sussistenza di giudizi più o meno critici rispetto ai singoli requisiti richiesti e, quindi, non viene adeguatamente manifestata la modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa. In altri termini, se, ad esempio, per la valutazione di un progetto, la griglia di punteggi definisca, all’interno di ciascuno di essi, una serie di ulteriori diversi requisiti da valutare secondo un certo tipo di caratteristiche (quale espressione anticipata del giudizio possibile), il punteggio, per essere « controllabile e sufficiente », in assenza di una ponderazione espressa mediante l’uso di una chiara espressione linguistica, deve essere riferito parzialmente a ciascuno di essi (di modo che venga manifestata, con il voto, un giudizio per ogni sub criterio), prima che diventare sintesi con un voto finale. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1496 del 2012, proposto da: Euss s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Vitale e Antonio Francesco Vitale, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania, Corso Italia n. 226; contro Regione Sicilia, Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale - Dip. dell’Istruzione e della Formazione Professionale, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; Nucleo per la Valutazione dei Progetti, non costituito in giudizio; nei confronti di C&B S.R.L., Euro Soluzioni 2000, Educational Center S.a.s., Strec Soc. Cons. a r.l., in persona dei legali rappresentati pro tempore, non costituite in giudizio; per l’annullamento - del D.D.G. n. 1346 del 27.04.2012, a firma del Direttore Generale del Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale, con il quale sono state approvate le graduatorie e gli elenchi definitivi delle proposte progettuali pervenute a valere sull’Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità della forza lavoro siciliana periodo 2012/2014”), nella parte in cui ha inserito l’Ente ricorrente nell’Allegato 3 FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 145 tra i progetti esclusi per “punteggio insufficiente” della graduatoria “FORGIO” di Catania, anziché includerlo nell’Allegato 1 tra gli “ammessi al finanziamento” della graduatoria “FORGIO” di Catania, ovvero, in subordine, contemplarlo nell’Allegato 2 tra i progetti “ammessi ma non finanziati” della graduatoria “FORGIO” di Catania; - del D.D.G. n. 2079 del 31.05.2012 (pubblicato sulla G.U.R.S. n. 23 del 08.06.2012), a firma del Direttore Generale del Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale, con il quale, a parziale modifica degli Allegati al D.D.G. n. 1346, sono state approvate le graduatorie e gli elenchi definitivi delle proposte progettuali pervenute a valere sull’Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità della forza lavoro siciliana periodo 2012/2014”), nella parte in cui ha inserito l’Ente ricorrente nell’Allegato 3 tra i progetti esclusi per “punteggio insufficiente” della graduatoria “FORGIO” di Catania, anziché includerlo nell’Allegato 1 tra gli “ammessi al finanziamento” della graduatoria “FORGIO” di Catania ovvero, in subordine, contemplarlo nell’Allegato 2 tra i progetti “ammessi ma non finanziati” della graduatoria “FORGIO” di Catania; - dell’Avviso pubblico n. 20/2011, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 36 del 26.08.2011, nella parte in cui, relativamente ai “Criteri di selezione” ex art. 8.2, prevede, con riferimento all’Indicatore 1.4, un punteggio pari a 0 per quegli Enti non in possesso degli standard minimi di competenze professionali di riferimento previsti dal D.M. 166/2001, pur consentendone la partecipazione; - di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compreso, ove occorra e se del caso, il Verbale n. 1 del 26.01.2012, con il quale il Nucleo per la Valutazione dei progetti presentati ha adottato i criteri di valutazione, nonché il Verbale n. 14 del 15.02.2012, con annessa Scheda di Valutazione, con il quale il Nucleo ha attribuito alla proposta progettuale presentata dalla ricorrente una valutazione di punti 41/100. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Sicilia e dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale - Dip. dell’Istruzione e della Formazione Professionale; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Con Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità della forza lavoro siciliana periodo 2012/2014”), pubblicato sulla G.U.R.S. n. 36 del 26.08.2011, l’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale ha avviato un’innovazione dell’offerta formativa fondata sulla proposizione di un’ampia e variegata dotazione di competenze utili per sostenere l’occupabilità dei soggetti disoccupati e/o inoccupati. Il superiore Avviso sosteneva la realizzazione di percorsi formativi ed esperienziali, articolati in tre diversi ambiti formativi: 1) Formazione Giovani (FORGIO); 2) Formazione Ambiti Speciali (FAS); 3) Formazione Permanente (FP), suddivisi su base provinciale. L’odierna ricorrente, in data 28.10.2011, presentava domanda di ammissione al finanziamento (Identificata con il n. 179) per E 253.728,00 per un “Pacchetto base”, ambito formativo FORGIO da realizzare nella provincia di Catania. In particolare, il superiore Pacchetto prevedeva l’avvio di n. 2 corsi (“Progettista installatore di impianti voltaici” e “Tecnico nella gestione del trattamento dei rifiuti solidi urbani”) di 900 ore ciascuno, per un totale di 1800 ore. Nella seduta del 15.02.2012, il Nucleo per la valutazione dei progetti presentati, nel procedere all’attribuzione dei punteggi delle proposte progettuali ammesse – relative alla provincia di Catania, ambito FORGIO –, assegnava alla ricorrente un punteggio pari a 41/100, inferiore al minimo (stabilito in 55/100), necessario per essere utilmente inserita in graduatoria. Infatti, con successivo D.D.G. n. 860 del 13.03.2012 (pubblicato sulla G.U.R.S. n. 11 del 16.03.2012) – di approvazione delle graduatorie provvisorie – l’EUSS s.r.l. veniva inserita nell’Allegato 3 (“Esclusi per punteggio insufficiente”), con possibilità di presentare osservazioni. La ricorrente, in data 23.03.2012, ritenendo erroneo il punteggio attribuitole, ne chiedeva la correzione, con conseguente ammissione al finanziamento della proposta progettuale presentata. Ciononostante, senza nulla comunicare a sostegno del rigetto delle presentate osservazioni, con D.D.G. n. 1346 del 27.04.2012 venivano approvate le graduatorie e gli elenchi definitivi delle proposte progettuali pervenute a valere sull’Avviso n. 20/2011, all’interno delle quali l’EUSS s.r.l., ancora una volta, veniva, con il medesimo punteggio, inserita nell’Allegato. Successivamente, l’Amministrazione Regionale, “al fine di garantire maggiore comprensione dell’iter procedurale, nonché dei relativi esiti del procedimento di ammissione a finanziamento delle proposte progettuali presentate”, con D.D.G. n. 2079 del 31.05.2012 (pubblicato sulla G.U.R.S. n. 23 del 08.06.2012) procedeva, in autotutela, alla parziale modifica degli Allegati nn. 1, 2 e 3 al D.D.G. n. 1346 del 27.04.2012, all’interno del quale ultimo, tuttavia, l’Ente ricorrente continuava a trovarsi collocato. Con ricorso passato per la notifica il 19.6.2012 e depositato il 20.6.2012, la ricorrente ha impugnato siffatti provvedimenti, affidandosi alle seguenti censure: I. Violazione e falsa applicazione art. 8.2 dell’Avviso Pubblico n. 20/2011. Violazione e falsa applicazione artt. 3 e 10 bis Legge n. 241/1990 ss.mm.ii. Difetto assoluto di motivazione. Eccesso di potere per errore sui presupposti in fatto ed in diritto. Difetto di istruttoria. Falsa rappresentazione della realtà. Ingiustizia grave e manifesta. Illogicità. Disparità di trattamento. Irragionevolezza. Asserisce la ricorrente che, in violazione dell’art. 10 bis delle Legge n. 241/1990, non ha ricevuto alcuna comunicazione preventiva dei motivi che hanno determinato l’esclusione della propria proposta progettuale dal finanziamento. II) L’art. 8.2 dell’Avviso pubblico n. 20/2011, titolato “Criteri di selezione per proposte progettuali presentate da organismi formativi”, prevedeva, ai fini della valutazione complessiva, quattro distinti <<Criteri di valutazione>> (1. Qualificazione del soggetto proponente; 2. Caratteristiche della progettazione; 3. Innovazione ed impatti; 4. Rispondenza alle priorità trasversali) cui attribuire un punteggio massimo sulla base di determinati “Indicatori”. Asserisce la ricorrente che il Nucleo per la valutazione (nella seduta del 26.01.2012) avrebbe stabilito che la valorizzazione di taluni criteri di valutazione – tra cui 1.1, 1.4, 1.5, il cui punteggio è oggetto di contestazione – sarebbero dovuti risultare “dalla mera applicazione di una formula matematica ai dati dichiarati dal soggetto proponente”, cosa nei fatti, di poi, non avvenuta. Con articolate motivazioni, che per economia di giudizio vengono rappresentate in punto di diritto, la ricorrente ha impugnato le valutazioni ottenute per alcuni dei suddetti criteri, che, se se diversamente ponderate, le avrebbero consentito di essere collocata utilmente in graduatoria e, quindi, ottenere il finanziamento. III. Domanda risarcitoria. Stante l’asserita sussistenza dell’ingiustizia del danno, del comportamento colposo dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale e del nesso di causalità, la ricorrente ha richiesto il risarcimento del danno, la cui misura è stata rilasciata alla valutazione di questo Tribunale. Costituitasi, l’Amministrazione intimata ha concluso per l’infondatezza del gravame. Con Ordinanza n. 56/13 del18.1.2013, questa stessa Sezione, premesso che dall’accoglimento delle censure che appaiono, ad un primo esame, suscettibili di positivo apprezzamento (relative ai punti 2.1 e 2.1 della domanda) non consegue il raggiungimento del punteggio minimo (55/100) richiesto per l’ammissione al progetto, ha rigettato la domanda di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati. Il CGA per la Sicilia, con Ordinanza n. 148/13 del 29.3.2013 ha accolto l’appello nei confronti della predetta decisione cautelare adottata da questo Tribunale, ai soli fini di una sollecita definizione nel merito. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 147 Alla pubblica udienza del 10.10.2013, la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO — I. Con il ricorso in esame la ricorrente si duole del giudizio formulato sulla proposta progettuale dalla stessa presentata nell’ambito dell’Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento a complessa vicenda all’esame del Collegio riguarda le graduatorie e gli elenchi definitivi dell’occupabilità della forza lavoro siciliana periodo 2012/2014”) e del conseguente inserimento nell’Allegato 3, relativo ai progetti esclusi per “punteggio insufficiente”. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente si duole dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, per non essere stati preceduti dal preavviso di rigetto, ai sensi dell’art. 10 bis della l. n. 241/90. La censura non può essere condivisa, posto che, come rappresentato in punto di fatto, a fronte della graduatoria provvisoria, la ricorrente è stata messa in condizione di esporre le ragioni del proprio dissenso dalla decisione provvisoriamente adottata, di guisa che la norma di cui si chiede l’applicazione è stata sostanzialmente osservata dall’Amministrazione. II. E’ possibile passare all’esame del merito del ricorso. E’ bene premettere (cfr. T.A.R. Catania, sez. I , 19/04/2010, n. 1153; TAR Catania, I, 11.9.2006, n. 1403) <<che l’esercizio del potere amministrativo involgente questioni riferite a valutazioni di ordine tecnico, è pur sempre soggetto al giudizio del giudice amministrativo, anche se nei limiti del c.d. ″sindacato debole″, ossia entro i consueti canoni della ragionevolezza, della assenza di evidenti e palesi contraddittorietà logiche o abnormità di fatto (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 256; T.A.R. Valle d’Aosta, 24 settembre 2004, n. 97; Consiglio Stato, sez. VI, 28 giugno 2004, n. 4532). <<Da ciò discende che, ″pur se è precluso al giudice la sostituzione indiscriminata delle proprie valutazioni tecniche a quelle dell’amministrazione, in carenza di elementi atti a rivelare la complessiva inattendibilità del giudizio degli organi di amministrazione attiva, ragion per cui il giudice non può valutare la opportunità delle valutazioni che l’amministrazione in proposito opera, può però apprezzarne la intrinseca coerenza e ragionevolezza; inoltre, il sindacato del giudice non è limitato ad un controllo meramente estrinseco, che si fidi di una mera ″apparenza di ragionevolezza″, in quanto per aversi una tutela giurisdizionale effettiva si deve esaminare se la determinazione amministrativa impugnata corrisponda ad un canone di ragionevolezza″ effettiva e sostanziale (TAR Sicilia, Catania, II, 26 gennaio 2005, nr 113; sulla problematica della discrezionalità tecnica e dei limiti del sindacato giurisdizionale, cfr. anche T.a.r. Palermo, n. 737/2003; C.S., VI, n. 906/2004; TAR Catania, II, 30 maggio 2005 nr. 953)>>. I detti principi sono stati, recentemente, ulteriormente precisati dal giudice di seconde cure (Consiglio di Stato, sez. III, 02/04/2013, n. 1856), secondo il quale <<dopo un’iniziale autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco dell’iter logico seguito dalla p.a. nella motivazione del provvedimento (il G.A.) ha riconosciuto successivamente la possibilità di un sindacato intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto dall’amministrazione (Cons. St., sez. IV, 9.4.1999, n. 601). <<A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è giunta sulla base del dato obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a., anche nell’accertamento di fatti complessi alla stregua di ″concetti giuridici indeterminati″ (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di ″regole tecnicoscientifiche opinabili″, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad una coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e di controllo da parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico. <<Anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto ″elastiche″ o ″opinabili″, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere. << Il giudice amministrativo, quindi, deve poter sempre verificare, anche mediante l’ausilio della c.t.u., se la p.a. abbia fatto buon governo delle regole tecniche e dei procedimenti applicativi che essa ha deciso, nell’ambito della propria discrezionalità, di adottare per l’accertamento o la disciplina di fatti complessi e se la concreta applicazione di quelle regole a quei fatti, una volta che esse siano prescelte dalla p.a., avvenga iuxta propria principia. << Fermo questo presupposto, che può dirsi ormai un dato di ius receptum, gli interpreti si sono poi interrogati e divisi sull’intensità di questo sindacato intrinseco, se, cioè, debba essere ″forte″, sino al punto che il giudice pervenga a sostituire la propria all’erronea valutazione tecnica della p.a., come ha sostenuto una parte della dottrina, o sia invece ″debole″, nella misura in cui impedisca un potere sostitutivo del giudice, tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del ″concetto indeterminato″ all’operato dell’Autorità, potendo questi solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione, secondo un orientamento che questo Consiglio ha avuto modo di esprimere in diversi arresti (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 21.3.2011, n. 1712). << Più di recente, con riferimento, ad esempio, ai provvedimenti dell’Autorità Antitrust, la giurisprudenza di questo Consiglio, nel tentativo di superare l’angusta e, per certi versi, riduttiva contrapposizione sindacato fortedebole, si è attestata su una linea ermeneutica secondo la quale ciò che rileva non è tanto la qualificazione del controllo come ″forte″ o ″debole″, ma ″l’esercizio di un sindacato comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere, ma di verificare - senza alcuna limitazione - se il potere a tal fine attribuito . . . sia stato correttamente esercitato″ (Cons. St., sez. VI, 20.2.2008, n. 595). << Questa giurisprudenza ha messo in rilievo come il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, ben al di là di viete e stereotipe formule definitorie, sia effetto e, insieme, garanzia, a livello nazionale ed europeo, della legalità dell’azione amministrativa, sulla quale il giudice amministrativo, come ha chiarito anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004 e nella sentenza n. 191/2006, è chiamato ad esercitare il suo controllo quale ″giudice naturale″. << . . . L’esigenza che questo pubblico potere, da taluni definito anche ″atipico″ o ″acefalo″, sia ricondotto e sottostia, come ogni altro, ad un principio di legalità sostanziale, non trovando esso un’espressa copertura costituzionale e suscitando, quindi, non poche riserve in ordine al fondamento della sua legalità formale, impone al giudice amministrativo di assicurare che la legittimazione di tale potere rinvenga la sua fonte, al di là delle garanzie partecipative che agli operatori del settore sono attribuite, a livello procedimentale, nella fase della consultazione, proprio o almeno nella corretta e coerente applicazione delle regole che informano la materia sulla quale incide. << La correttezza, la coerenza, l’armonia delle regole in concreto utilizzate, il loro impiego da parte dell’Autorità iuxta propria principia, secondo, quindi, un’intrinseca razionalità, pur sul presupposto e nel contesto di scelte ampiamente discrezionali, garantiscono e, insieme, comprovano che quel settore dell’ordinamento non sia sottoposto all’esercizio di un potere ″errante″ e sconfinante nell’abuso o nell’arbitrio, con conseguenti squilibri, disparità di trattamento, ingiustizie sostanziali, anche e soprattutto nell’applicazione di principi o concetti che, proprio in quanto indeterminati ed elastici, in gran parte reggono, per la loro duttilità, ma condizionano fortemente, per la loro complessità, vasti e rilevanti settori sociali. << Il limite del sindacato giurisdizionale, al di là dell’ormai sclerotizzata antinomia forte/debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e, vien fatto di dire, soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l’autorità detta, appunto, ″le regole del gioco″>>. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 149 Le condivisibili decisioni, ad avviso del Collegio, vanno applicate anche nel caso di formazione di graduatorie, precedute da una selezione e da una valutazione di ordine tecnico espressa mediante un voto numerico. Come appare ormai consolidato in giurisprudenza (cfr. T.A.R. Genova, sez. II, 18/10/2013, n. 1242) sulla questione afferente la sufficienza della motivazione espressa mediante punteggio numerico, la stessa è possibile ove siffatta modalità di giudizio consenta <<di ripercorrere il percorso valutativo della commissione e, quindi, assolva sufficientemente l’onere motivazionale a carico di tale organo, quando la legge di gara abbia prefissato con adeguato grado di chiarezza e dettaglio i criteri di valutazione (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1169). <<Viceversa, nelle ipotesi connotate dall’assenza di criteri o anche di sub-criteri realmente stringenti, quindi improntati a significativi margini di discrezionalità tecnica non compiutamente definiti, la mera attribuzione dei punteggi non è sufficiente a dar conto dell’iter logico seguito nella scelta e a far comprendere con chiarezza le ragioni per cui sia stato attribuito un punteggio maggiore a talune offerte e minore ad altre: in tali ipotesi, pertanto, affinché possa ritenersi correttamente assolto il dovere di motivazione in parola, è necessario che, oltre al punteggio numerico, sia espresso un giudizio motivato, con il quale la commissione espliciti le ragioni del punteggio attribuito>>. Nel caso di specie, come si vedrà, si utilizzano sistemi di ponderazione “misti”. A volte, il giudizio è graduato secondo una scala di requisti e/o presupposti da porre a valutazione, cui corrisponde un valore numerico da attribuire, quale predeterminata espressione del giudizio che la Commissione intende assegnare, altre volte, invece, è previsto un voto unico, quale sintesi di una scala di valutazioni su elementi diversi, seppur predeterminati in maniera precisa, per la quale non è previsto alcun subpunteggio che possa fornire contezza dei singoli sub giudizi. Il Collegio, pur consapevole della giurisprudenza formatasi sulla questione, ritiene in tema di voto numerico di dover precisare quanto segue. 1) Quando la valutazione sia relazionata a criteri predeterminati, la cui applicazione non lasci alcun margine di discrezionalità sugli intervalli di graduazione (essendosi la stessa consumata in sede, appunto, di predeterminazione di criteri), come nel caso in cui il punteggio sia, a priori, graduato secondo un riferimento a “fasce” prestabilite, parametrate al diverso grado del valore dei requisiti e delle caratteristiche ritenuto sussistente nell’offerta o del progetto, il voto numerico è del tutto sufficiente a rappresentare il giudizio espresso dalla commissione di valutazione e a consentire il controllo della insussistenza di macroscopiche abnormità in esso contenuto, come tali, censurabili dal G.A.. Si tratta, per meglio comprendere, dei casi in cui l’Amministrazione, rispetto a una valutazione da operare, indichi un punteggio prestabilito rispetto alla insufficienza, alla sufficienza e alla maggiore o minore bontà del requisito progettuale proposto. In questi casi, l’espressione del voto, aderendo alla fascia di giudizio prestabilito, fornisce una chiara indicazione del “pensiero” dell’organo di valutazione e, pertanto, consente, per un verso, di rendere chiara la motivazione del provvedimento, per un altro di consentire quel controllo riconosciuto al G.A.. 2) Quando la valutazione sia altrettanto relazionata a criteri predeterminati secondo quanto indicato sub 1), ma il giudizio sia stato ulteriormente rivolto a una serie di subcriteri tra di loro autonomi, ma rivolti alla valutazione di un criterio omogeneo e complessivo, l’espressione di un voto unico finale non appare sufficiente a esternare il concreto giudizio della commissione di valutazione, posto che non viene esternata la sussistenza di giudizi più o meno critici rispetto ai singoli requisiti richiesti e, quindi, non viene adeguatamente manifestata la modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa. In altri termini, se, ad esempio, per la valutazione di un progetto, la griglia di punteggi definisca, all’interno di ciascuno di essi, una serie di ulteriori diversi requisiti da valutare secondo un certo tipo di caratteristiche (quale espressione anticipata del giudizio possibile), il punteggio, per essere “controllabile e sufficiente”, in assenza di una ponderazione espressa mediante l’uso di una chiara espressione linguistica, deve essere riferito parzialmente a ciascuno di essi (di modo che venga manifestata, con il voto, un giudizio per ogni sub criterio), prima che diventare sintesi con un voto finale. Esemplificando, se il bando contenga una griglia di punteggi da riferire all’apprezzamento di un requisito o di una proposta progettuale e ciascuno di essi sia concepito quale sintesi di una serie di apprezzamenti su diversi presupposti (ad esempio, nel caso di specie, nel medesimo indicatore sono stati previsti “la congruenza del fabbisogno territoriale, “gli obiettivi dell’offerta formativa contemplata dal pacchetto” e “l’impianto didattico dei corsi preposti” e, per ciascuno di essi è stata indicata la modalità con la quale la valutazione sarebbe stata operata), ebbene, il giudizio non può ritenersi sufficiente se espresso in maniera complessiva finale, poiché, in siffatto modo, non sarà possibile comprendere come ciascuno di detti aspetti sia stato giudicato nel dettaglio e, quindi, abbia influito sul giudizio finale, con l’impossibilità, si ribadisce di verifica da parte del G.A. del concreto operato amministrativo. In somma sintesi, manca la corrispondenza tra il giudizio predeterminato e il voto espresso, sintesi, quest’ultimo, di elementi diversi e, come tali, non unificabili. III. Ciò preliminarmente chiarito, vanno esaminate le singole censure. 1) La prima di esse riguarda l’indicatore di cui al punto 1.1 (“Esperienza continuativa nel territorio regionale”). Lo stesso ha stabilito i seguenti punteggi: • Nessuna esperienza: 0 punti • Da 0 a 1 anno: 3 punti • Oltre 1 anno fino a 3 incluso: 8 punti • Oltre 3 anni fino a 4 anni incluso: 15 punti • Oltre 4 anni: 20 punti. Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1). La ricorrente asserisce di aver dichiarato nella propria proposta progettuale di svolgere l’attività, oltre che per il triennio 2008, 2009 e 2010, sin dal 2006/2007 (allorché avrebbe asseritamente realizzato due corsi di 200 ore per “vetrinisti” in Acireale) e, conseguentemente, di avere diritto a un punteggio pari a 20 punti, mentre il Nucleo di valutazione le ha attribuito solo 8 punti (“Oltre 1 anno fino a 3 incluso”). Rileva il Collegio che il contenuto completo della misura riguarda l’“esperienza maturata nell’ambito di attività di formazione/orientamento/istruzione politiche del lavoro finanziate a valere di risorse regionali e comunitarie”. Nella domanda della ricorrente, espressamente, sono state rappresentate attività per il solo triennio 2008-10 e, soprattutto, solo per esse, come correttamente sostenuto dalla Difesa Erariale, è stato indicato l’ambito formativo. L’indicazione relativa al corso per vetrinisti in Acireale, al contrario, è contenuta nel riquadro relativo agli anni 2008 e 2009, in ambedue i casi, sotto la voce “descrizione breve altre esperienze (dettagli ambiti e attività)”. In altri termini, mentre per il triennio espressamente dichiarato è possibile evincere se le esperienze maturate siano riferibili agli ambiti espressamente indicati e richiesti nella misura, nulla è precisato per i corsi relativi al biennio 2006-2007 (descritti a margine e unitamente a tutta la indiscriminata pregressa attività della ricorrente), disattendendo così quanto stabilito nell’Avviso 20/2011, che, alla pagina 19, prevede espressamente che “i punteggi saranno attribuiti attraverso una valutazione basata sulla realizzazione continuativa di corsi, realizzati nell’intero territorio regionale, nel corso di ciascuno degli ultimi cinque anni precedenti alla data di pubblicazione del presente avviso a valere su risorse pubbliche regionali, nazionali e comunitarie, congruenti con le attività proposte nel presente avviso. Ne consegue che, ad esempio, sono esclusi dal confronto i corsi realizzati nell’ambito dell’OIF, dell’IFTS e dell’alta formazione, dell’apprendistato, della formazione continua anche con i fondi interprofessionali etc.”. Non essendo possibile, si ribadisce, tale tipo di controllo per il biennio 2006-2007, ed essendo stato dichiarato un periodo massimo di un triennio, giustamente sono stati assegnati alla ricorrente 8 punti. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 151 2) Indicatore di cui al punto 1.4 (“Rispondenza del modello organizzativo e delle figure professionali, con contratto a tempo indeterminato, del soggetto proponente rispetto a quanto previsto nell’art. 10 del D.M. 166/2001”). Punteggio previsto: numero minimo competenze professionali di riferimento pari ad almeno cinque, punti 5; numero minimo competenze professionali di riferimento pari a tre, punti 3; numero minimo competenze professionali di riferimento inferiore a 3, punti zero. Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1). Il Nucleo ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 0 su 5 disponibili. Secondo tale Indicatore, l’attribuzione di un determinato punteggio dipendeva dalla presenza o meno, all’interno dell’Ente, di talune figure lavorative (quali il Direttore, il Responsabile gestione economica e finanziaria, il Progettista, etc...). Asserisce la ricorrente di aver dichiarato nella propria domanda di avere, nel proprio staff, solo un soggetto Formatore ed un Formatore Tutor: da qui l’attribuzione di un punteggio pari a 0. Tale assegnazione mortificherebbe, però, la partecipazione di quegli Enti, che, per strutturazione (900 ore), non siano in possesso per intero dei requisiti di competenza professionale richiesti. In altri termini, per un verso, sarebbe consentita la loro partecipazione, per un altro, la stessa sarebbe frustrata, con la previsione di un punteggio nullo. Pertanto, conclude la ricorrente, il Nucleo di valutazione, considerata la struttura dell’EUSS, avrebbe dovuto attribuirle, quantomeno, il punteggio minimo consentito. Il superiore “Indicatore”, inoltre, se interpretato nel senso conforme a quanto ritenuto dall’Amministrazione, renderebbe illegittimo, in parte qua, l’Avviso pubblico n. 20/2011, sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento e contraddittorietà, sicché lo stesso, in via subordinata, è stato per tale motivo impugnato. Il Collegio ritiene che, in disparte quanto ritenuto nell’all. 6 alla produzione allegata in ricorso, vale a dire nella risposta (senza data) del Dipartimento della Formazione professionale alle osservazioni della ricorrente prot. n. 30873 del 27.3.2012 alla graduatoria provvisoria (secondo la quale quanto rappresentato innoverebbe, in maniera non consentita, rispetto a quanto dichiarato in domanda), il nucleo di valutazione abbia semplicemente applicato la disposizione contenuta nell’atto di autolimitazione, così come sub III.1), secondo una valutazione semplicemente matematica. In ordine alla censura subordinata, rivolta a censurare siffatta programmazione, è da ritenere, intanto, che il rilievo impinga sulla discrezionalità ricolta alla programmazione dei criteri e, come tale, non possa essere oggetto di sindacato da parte di questo Tribunale. In ogni caso, la scelta appare immune dal vizio rilevato, poiché non appare illogica l’attribuzione di un punteggio pari a 0, a fronte di un praticamente irrilevante numero di soggetti muniti di una specifica competenza professionale. Né la circostanza appare contraddittoria con la possibilità di partecipazione, posto che, comunque, la sussistenza di importanti punteggi per altre voci ben avrebbero potuto consentire il raggiungimento del minimo richiesto per ottenere il finanziamento. 3) Indicatore di cui al punto 1.5 (“Indicatore premiale: incidenza percentuale del personale a tempo indeterminato in organico al 30.06.2011 sul personale totale proposto per l’attuazione delle attività presentate”). Punteggio previsto: da 0 a 50% = 0 da 50% a 80% = 1 oltre 80% = 3 Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1). Il Nucleo di valutazione ha attribuito alla ricorrente, ancora una volta, un punteggio pari a 0 sui 3 disponibili. In sostanza, secondo tale indicatore, era possibile attribuire un punteggio sulla base del rapporto tra personale a tempo indeterminato in organico al 30.06.2011 e quello proposto per l’attuazione delle attività prestate. In sede di presentazione della proposta progettuale, la ricorrente ha indicato una percentuale dell’1,00%, anziché del 100%. Tale indicazione sarebbe il risultato di un mero errore di trascrizione, infatti, in seno alla domanda di agevolazione, il ricorrente avrebbe espressamente reso manifesta la volontà di servirsi, per lo svolgimento dell’attività di docenza, di tutti e tre i dipendenti (con contratto a tempo indeterminato), con un’incidenza, appunto, pari al 100%. Pertanto, il corretto punteggio da attribuire sarebbe stato il massimo, pari a punti 3. Per altro, la superiore circostanza avrebbe formato oggetto di esplicita censura in seno alle osservazioni presentate da parte ricorrente in data 27.03.2012, che, come premesso, non sarebbero state prese in considerazione, con conseguente eccesso di potere per difetto di istruttoria. L’amministrazione deduce, ex adverso, che non sarebbe possibile alcun soccorso istruttorio a fronte dell’erronea indicazione contenuta in domanda da parte del ricorrente, al fine di non pregiudicare la par condicio tra i vari concorrenti. Il Collegio, sul punto, osserva che, in linea di principio, l’evidente errore materiale, purché reso tale da prevalenti diverse dichiarazioni da parte del concorrente, si presta a essere superato e, quindi, siano possibili successive precisazioni. Tuttavia, nel caso di specie, la ricorrente si limita a dedurre di aver altrove indicato in domanda di volersi avvalere della professionalità di tutti e tre i propri dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato e, dunque, del 100% del proprio personale. Sfugge al ricorrente che la dichiarazione richiesta é più complessa, richiedendosi la sussistenza del rapporto percentuale del personale a tempo indeterminato in organico al 30.6.2011 rispetto a quello proposto per l’attuazione delle attività presentate, sicché l’eventuale indicazione, così come prospettata in ricorso, appare comunque insufficiente a definire la proporzione richiesta per l’assegnazione del punteggio. Consegue l’infondatezza della censura. Il Collegio, dopo avere scrutinato le censure relative alla predette misure, osserva che, diversamente da quanto opinato in ricorso, il Nucleo per la valutazione, coerentemente con quanto sostenuto nella seduta del 26.01.2012 ha applicato dei criteri la cui valutazione deriva “dalla mera applicazione di una formula matematica ai dati dichiarati dal soggetto proponente”. Deriva l’infondatezza anche di detta censura. 4) Con riferimento al secondo dei Criteri di Valutazione (“Caratteristiche della progettazione”), il Nucleo di valutazione ha attribuito all’Ente EUSS s.r.l. un punteggio complessivo di 22/44. Nel particolare, con riferimento all’Indicatore di cui al punto 2.1 (“Congruenza tra fabbisogno territoriale, obiettivi dell’offerta formativa contemplata dal pacchetto, impianto didattico dei corsi proposti”) erano previsti i seguenti punteggi: • Ottimo: 5 punti • Buono: 3 punti • Discreto: 2 punti • Sufficiente: 1 punto • Insufficiente: 0 punti Asserisce la ricorrente che il Nucleo per la valutazione, senza specificarne la motivazione, ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 2 su 5, quindi, valutando il progetto presentato come “Discreto”. Il superiore punteggio non rispecchierebbe il valore del progetto proposto. La Commissione, nell’attribuzione del punteggio, avrebbe dovuto considerare tre aspetti fondamentali: 1) il fabbisogno territoriale; 2) l’obiettivo del corso; 3) l’impianto didattico. Nel particolare, con riferimento al“fabbisogno territoriale”, la valutazione avrebbe dovuto tenere in considerazione, tra gli altri, “il livello effettivo di rispondenza della stessa ai fabbisogni formativi reali del territorio ... omissis ...”; con riferimento, poi, all’“obiettivo dell’offerta formativa”, avrebbe dovuto valutarsi l’“indicazione degli obiettivi perseguiti in coerenza con i fabbisogni emersi e le prescrizioni dell’Avviso 20/2011”; con riferimento, FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 153 infine, all’“impianto didattico dei corsi”, avrebbe dovuto essere valutata “la descrizione dell’impianto didattico in termini di fasi, durata moduli, articolazione didattica”. Asserisce la ricorrente che, considerata la natura dei Corsi dalla stessa presentati (“Progettista installatore di Impianti Fotovoltaici” e “Tecnico della gestione del trattamento dei rifiuti urbani”), sarebbe insufficiente la valutazione di punti 2 attribuita. Con riferimento al “fabbisogno territoriale”, infatti, sarebbe stato espressamente specificato come “l’intervento formativo proposto dall’ente presenta un progetto che risponde in maniera consona alla richiesta rappresentata dal fabbisogno territoriale ... omissis ... Sebbene la crisi attanagli il mondo economico è continuamente in crescita la richiesta di personale specializzato da parte delle aziende. Il suddetto progetto nasce in risposta a tale richiesta fornendo l’opportunità di formazione di figure professionali specializzate a) nell’ambito dell’utilizzo di energie rinnovabili; b) nell’ambito dello smaltimento rifiuti urbani e del loro riciclo in strutture specifiche, volto alla tutela dell’ambiente”. Con riferimento, poi, tanto all’ “obiettivo del corso” quanto all’“impianto didattico”, la puntuale e dettagliata descrizione degli stessi renderebbe incomprensibile la valutazione attribuita. Anche le superiori censure sarebbero state proposte da parte ricorrente in sede di osservazioni del 27.03.2012. Il caso di specie, questa volta, rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.2). Ed in effetti, come sopra chiarito, il Nucleo di valutazione, con l’indicazione di un voto unico, non ha rappresentato il giudizio espresso per ciascuno dei diversi elementi costituenti il giudizio finale, impedendo, così, l’esternazione di un’adeguata motivazione e, conseguentemente, il controllo di questo Giudice. Peraltro, come parte ricorrente correttamente rappresenta, le attività proposte non sembrano al Collegio, secondo la comune esperienza, tali da giustificare un punteggio di soli due punti. Ne deriva che soltanto con una espressa indicazione di giudizio su ciascuno degli aspetti che conducono al punteggio finale sarebbe stato possibile evidenziare la correttezza dell’operato amministrativo. In concreto, se l’utilità del progetto, così come sembra, è massima, soltanto l’indicazione di un punteggio scarso sulla progettualità espressa (eventualmente contestabile, in quanto resi noti i motivi del giudizio sfavorevole) potrà condurre ad un corretto uso del potere discrezionale e, comunque, alla possibilità di un controllo da parte del Giudice nei residui margini di giudizio a questo consentiti. Consegue la fondatezza della censura e, quindi, la possibilità di attribuire ulteriori tre punti alla ricorrente. 5) Con riguardo, invece, all’indicatore di cui al punto 2.2 (“Grado di dettaglio nella descrizione dei principali elementi progettuali. Contenuti/modalità formative, criteri e modalità di selezione, qualifica rilasciata”) erano previsti i seguenti punteggi: • Ottimo: 5 punti • Buono: 3 punti • Discreto: 2 punti • Sufficiente: 1 punto • Insufficiente: 0 punti Il Nucleo per la valutazione, senza specificarne la motivazione, ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 1 su 5, valutando, così, il progetto presentato come “Sufficiente”. Relativamente al detto Indicatore, nell’attribuzione del punteggio, si sarebbero dovuti tenere in considerazione tre aspetti fondamentali: 1) i contenuti formativi; 2) i criteri e le modalità di selezione; 3) la qualifica rilasciata. In particolare, con riferimento ai “contenuti/modalità formative” – vale a dire la presenza di tutti i moduli che compongono l’offerta formativa e la descrizione dei contenuti, nonché l’utilizzo di metodologie di didattica attiva, di apprendimento dall’esperienza anche tramite stage, analisi di casi, esercitazioni – gli stessi sarebbero stati tutti puntualmente indicati e specificati dalla ricorrente in sede di proposta progettuale presentata. Con riferimento ai “Criteri e modalità di selezione” – vale a dire l’indicazione dei criteri selettivi, della eventuale presenza di una commissione esaminatrice, delle caratteristiche degli esaminatori e la presenza di una procedura di comparazione dei curriculum vitae – la ricorrente ha indicato come questi sarebbero stati attuati tramite prove attitudinali, prove oggettive di competenza, prove di abilità, elaborati scritti, prove pratiche, colloqui, ecc.; ha previsto i requisiti di ingresso, la possibilità di nomina di una commissione esaminatrice, qualora il numero delle domande fosse stato superiore al numero di allievi previsti. Infine, con riferimento alla “Qualifica rilasciata”, si è espressamente riferito che, al termine del corso, sarebbe stato rilasciato un Attestato di qualifica. In definitiva, anche in questo caso, il punteggio di 1 su 5 attribuito sarebbe decisamente insufficiente e non rispondente alla “chiarezza espositiva” ed al “grado di dettaglio” fornita dalla ricorrente, tanto più se si consideri che il Nucleo per la Valutazione, come dallo stesso dichiarato in seno al Verbale n. 1 del 26.01.2012, “avrebbe dovuto” prendere in esame “le informazioni dichiarate dal soggetto proponente come contenute nella proposta progettuale ammessa a valutazione”. Anche le superiori censure sarebbero state sollevate da parte ricorrente in sede di osservazioni del 23.03.2012. Sul detto indicatore, possono ripetersi le identiche conclusioni cui è giunto il Collegio per l’indicatore precedente 2.1, sicché anche la detta censura va accolta. 6) Con riferimento all’Indicatore 2.4 (“Descrizione qualitativa e quantitativa degli strumenti e delle tecnologie didattiche per la realizzazione del progetto”) è stato attribuito il punteggio di 0 su 5. L’Ente ricorrente, in sede di domanda, asserisce di aver puntualmente specificato che per la realizzazione del progetto corsuale avrebbe messo a disposizione “strumenti e tecnologie specifiche, in quanto possessore di attrezzature quali pannelli fotovoltaici, inverter, kit di montaggio, sezionatori. Il personale adoperato sarà costituito da un team di ingegneri e operai specializzati nel settore, con esperienza pluriennale. Per ciò che concerne la realizzazione della proposta progettuale di formazione della figura di tecnico nel trattamento e riutilizzo dei rifiuti l’ente metterà a disposizione dei laboratori volti a far verificare di presenza l’importanza della corretta gestione degli impianti di smaltimento. Saranno, inoltre, resi disponibili materiali didattici ed attrezzature, un’aula multimediale per il completamento delle varie fasi del progetto e la disponibilità del personale per la realizzazione di visite guidate che permetteranno agli allievi l’acquisizione di una esperienza diretta sul campo”. In sostanza, conclude la ricorrente, nonostante la stessa avesse specificato di avere facile accesso ad impianti fotovoltaici – oggetto del corso proposto – dunque di possedere “strumenti/tecnologie didattiche adeguate sia qualitativamente che quantitativamente” (in presenza dei quali l’Avviso prevedeva l’attribuzione di 5 punti), il Nucleo ha ritenuto opportuno attribuire un punteggio pari a 0 su 5. In conclusione, una congrua valutazione da parte del Nucleo avrebbe consentito all’EUSS di vedersi riconosciuto un parziale superiore al 22/44 assegnatogli. Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1). Quindi, nell’ipotesi in esame, invece, il punteggio era stato esattamente commisurato a diversi livelli di progettualità espressi in ordine a “strumenti/tecnologie didattiche”, da punti 5, per quelli ritenuti “significativamente rilevabili sia qualitativamente che quantitativamente” a punti 0 per quelli ritenuti inadeguati. Sicché, il giudizio era esattamente predeterminato. La Difesa erariale, sul punto ha dedotto che dal progetto della ricorrente, stante la sua genericità, non sarebbe stato possibile evincere l’aspetto quantitativo degli strumenti proposti “(ad esempio, 15 computer, 3 lavagne multimediali, etc.)”. L’osservazione è pertinente. La descrizione della misura, in effetti, appare generica e non espressiva di alcun criterio quantitativo, da valutare unitariamente a quello qualitativo, secondo la chiara dicitura contenuta nell’atto di autoregolamentazione. Deriva l’infondatezza della censura. 7) Con riferimento al terzo Criterio di Valutazione (“Innovazione ed Impatti”) il Nucleo ha attribuito al ricorrente un punteggio di 5 su 9. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 155 a) In particolare, con riferimento all’Indicatore di cui al punto 3.2 (“Grado di innovazione metodologica”) il Nucleo, ai fini dell’attribuzione del punteggio, aveva a disposizione la seguente griglia di voti: • Innovazione metodologica elevata: 2 punti • Innovazione metodologica discreta: 1 punto • Innovazione metodologica non significativa: 0 punti Senza l’indicazione di una specifica motivazione, è stato attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 1 su 2 che, seppur “discreto”, non rispecchierebbe appieno la validità della proposta progettuale presentata. Nella fattispecie, il Nucleo, nell’attribuzione del punteggio, avrebbe dovuto valutare “la descrizione della metodologia usata e la presenza di elementi innovativi che puntino al raggiungimento di efficienza (organizzativa, cognitiva), efficacia formativa e qualità dei processi, sia nell’attività d’aula sia nell’attività di stage, laddove prevista”. La ricorrente, in sede di integrazione della proposta progettuale presentata, asserisce di aver dimostrato di rispettare ampiamente il “principio dell’innovazione”, mettendo a disposizione dei corsisti “i cantieri dove potranno sviluppare la propria esperienza sul campo. I discenti potranno fare un’esperienza che permetterà loro di sviluppare, oltre ad una migliore conoscenza sul lavoro, anche abilità pratiche fondamentali per l’attività e la crescita dell’identità professionale dei medesimi. Avrà finalità di tipo applicativo, conoscitivo e di pre-inserimento. Gli allievi infine sperimenteranno in ambiente protetto il ruolo professionale, nelle sue componenti tecniche che dovranno ricoprire”. In sostanza, attesa la piena soddisfazione degli elementi di valutazione, il detto indicatore avrebbee dovuto essere valutato con il massimo dei punti previsti. Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1). Sembra da condividere, sul punto, quanto la Difesa erariale ha precisato, circa la mancata indicazione di un “elevato” grado di innovazione tecnologica, di guisa che, sempre nei limiti possibili di giudizio consentiti a questo Giudice, non si rileva alcuna macroscopica incongruenza nella valutazione espressa. 8) Relativamente, poi, all’Indicatore di cui al punto 3.3 (“Grado di individuazione quali-quantitativa (analisi dei fabbisogni di lavoro e formativa) dei destinatari”) il punteggio da attribuire si basava sulla seguente griglia: • Ottimo: 3 punti • Buono: 1 punto • Insufficiente: 0 punti Anche in questo caso, il Nucleo per la valutazione, senza specificarne la motivazione, ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 1 su 3. Con riferimento a detto indicatore, si sarebbe dovuto valutare “la corretta individuazione dei destinatari rispetto all’azione formativa progettata”. Il rispetto dell’elemento dei “bisogni espressi dal target di appartenenza dei destinatari” risulterebbe evidente dalla proposta progettuale presentata, nella parte in cui espressamente è stato disposto che “la procedura generale dei progetti è rivolta a proporre un approccio imprenditoriale per tutti quei soggetti che trovano difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro...”; allo stesso modo, risulterebbe pienamente soddisfatto l’ulteriore elemento delle “esigenze/opportunità del territorio di riferimento”, allorché la ricorrente, in seno alla proposta progettuale, ha specificato che “le procedure formative proposte risultano coerenti con l’intera programmazione regionale relativa allo sviluppo dell’occupazione ed al rilancio economico della Sicilia, che passa attraverso una politica attiva per il lavoro fondata su: formazione delle risorse umane adeguata agli standard nazionali ed europei; promozione della partecipazione femminile al mercato del lavoro, sostegno, sviluppo e consolidamento dell’imprenditorialità ...”. Anche in questo caso, la griglia predispone dei punteggi progressivi ed espressivi di una diverso grado di apprezzamento, sicché il giudizio espresso è immediatamente percettibile. Il Nucleo di valutazione, all’evidenza, non ha ritenuto alcun elemento nel progetto tale da poterlo, nell’ambito in questione, definire ottimo, dal che il giudizio inferiore espresso. Ed invero, anche le argomentazioni offerte in ricorso non sembrano tali da evidenziare l’evidente discostamento dal reale del giudizio espresso, censurabile da questo Tribunale. 9) Con riferimento, infine, al quarto Criterio di Valutazione (“Rispondenza alle priorità trasversali”) il Nucleo, ha attribuito alla ricorrente un punteggio di 0 su 6. a) Relativamente al primo dei due Indicatori (“Pari opportunità”) il Nucleo, dovendo valutare la “presenza nei corsi di attività di accompagnamento e di formazione finalizzate a favorire la partecipazione femminile ed a sostenere la diffusione del principio delle pari opportunità di genere”, aveva a disposizione la seguente griglia dei punteggi: • Elevata presenza di attività finalizzate al conseguimento di questo obiettivo trasversale: 3 punti • Presenza soddisfacente di attività finalizzate al conseguimento di questo obiettivo trasversale: 1 punto • Nessuna presenza: 0 punti L’Ente, in sede di domanda di finanziamento, avrebbe compiutamente salvaguardato il principio delle pari opportunità, articolando i progetti in maniera tale da rimuovere il maggior numero possibile di ostacoli e/o barriere al fine di consentire il più ampio accesso al lavoro da parte delle donne. Nella proposta presentata sarebbe stato chiarito che “il principio delle pari opportunità e salvaguardato, in prima istanza, da un punto di vista soggettivo, in quanto l’impianto e l’articolazione dei progetti proposti sono rivolti alla rimozione del maggior numero possibile di barriere alla inclusione socio-lavorativa di tutte le persone ... omissis ... Nei percorsi formativi esiste una elevata finalità al conseguimento degli obiettivi trasversali, finalizzati ad attività di accompagnamento finalizzate a favorire la partecipazione femminile ed a sostenere la diffusione del principio delle pari opportunità”. In ogni caso, come per tutti gli altri indicatori, il Nucleo avrebbe dovuto “prendere in esame le informazioni dichiarate dal soggetto proponente come contenute nella proposta progettuale ammessa a valutazione”. La fattispecie in esame rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1). La griglia, infatti, è predeterminata e la censura è generica, posto che tali sembrano anche le sintetiche concrete modalità con le quali parte ricorrente ha ritenuto di poter conseguire il detto obiettivo “trasversale”. 10) Relativamente, poi, all’Indicatore di cui al punto 4.2 (“Sviluppo sostenibile”), il Nucleo aveva a disposizione la seguente griglia dei punteggi: • Elevata presenza di attività che dimostrano attenzione al principio dello sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: 3 punti • Presenza soddisfacente di attività che dimostrano attenzione al principio dello sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: 1 punto • Nessuna presenza di attività che dimostra attenzione al principio dello sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: 0 punti Anche in questo caso, il Nucleo ha attribuito alla ricorrente un punteggio pari a 0 su 3. La valutazione operata dall’organo valutatore sarebbe incomprensibile, ove si consideri la natura dei corsi presentati dell’EUSS (“Progettista installatore di impianti fotovoltaici” e “Tecnico nella gestione del trattamento dei rifiuti urbani”), asseritamente esempio tipico di uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi. Come affermato nel progetto presentato dalla ricorrente, questo “rispecchia lo sviluppo sostenibile, impone di soddisfare i bisogni fondamentali di tutti e di estendere a tutti la possibilità di attuare le proprie aspirazioni ad una vita migliore e di migliorare la qualità della stessa. L’obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi un regime di equilibrio ambientale. I nostri percorsi cercano di soddisfare i bisogni dei destinatari, le proprie aspirazioni e le proprie capacità. L’obiettivo generale è di personalizzare l’intervento, cercando di valorizzare le esperienze di ciascun corsista potenziandone le competenze”. Anche per tale ultimo “Criterio di valutazione” una corretta ed adeguata istruttoria avrebbe dovuto comportare un diverso punteggio. In definitiva, anche in quest’ultimo caso, avrebbe dovuto essere riconosciuto un punteggio superiore a quello assegnato. Anche in questo caso vanno ripetute le precedenti considerazioni. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 157 A fronte di una griglia espressa, il giudizio riferito a una proposta assolutamente descrittiva (vera e propria “scatola vuota”, contenente ipotesi teoriche piuttosto che proposte concrete, così come richiesto negli atti di autolimitazione) non sembra giustificare macroscopici (invero, neanche ordinari) rilievi alla ponderazione amministrativa. Consegue l’infondatezza della censura. IV. Conclusivamente, il ricorso è complessivamente infondato, posto che pur ammettendo l’attribuzione massima del punteggio per le misure 2.1 e 2.2, per un totale di sette punti (+ 3 per la prima e + 4, per la seconda), la ricorrente otterrebbe 48/100, insufficienti per ottenere il minimo necessario (55/100) per essere inserita in graduatoria, senza considerare che l’ultimo progetto finanziato ha conseguito 61/100. La complessità della vicenda e la non immediata percettibilità della infondatezza delle censure suggerisce al Collegio di disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati: Cosimo Di Paola, Presidente Francesco Brugaletta, Consigliere Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore Tribunale amministrativo regionale Sicilia Catania Sez. IV 6 dicembre 2013 n. 2929 Pres. Di Paola Est. Savasta U. S.r.l. (avv. Arcifa, Immordino) Urega - Sezione Provinciale di Messina . (Avv. Stato) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Dichiarazione del partecipante - Codice antimafia - In Sicilia - Necessità - Sussiste. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Esclusione Per parziale mancanza dichiarazione ex art. 38 del Codice - Rispetto del modello di dichiarazione del bando - Esclusione - Legittimità - Non sussiste. D.lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 38 [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Apposizione di due cifre decimali, piuttosto che tre - Esclusione - Legittimità - Non sussiste. La prescritta dichiarazione di cui all’art. 1 del Codice Antimafia e Anticorruzione della Pubblica amministrazione, vigente nella Regione Sicilia, in sede di offerta per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, va resa a pena di esclusione. È illegittima l’esclusione da una gara per l’affidamento di un appalto pubblico, ove manchi qualcuna delle dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti, ma la partecipante si sia attenuta scrupolosamente al modello allegato agli atti di autoregolamentazione della gara, la cui osservanza ha, di fatto, « spiazzato » i concorrenti (o, almeno, alcuni di essi), ingenerando la possibile convinzione che la diligente redazione della dichiarazione, così come confezionata dalla stazione appaltante, li avrebbe messi al riparo dall’esclusione dalla gara, come, per altro, espressamente indicato nel disciplinare. A fronte di tale omissione, la stazione appaltante al più deve consentire la regolarizzazione della documentazione di gara nel senso di integrare la dichiarazione incompleta risultante dal modulo predisposto (e ciò in applicazione dei principi in materia di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento). Non vi è alcuna ragione logico-giuridica per disporre l’esclusione dell’offerta relativa alla gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, proposta con ribasso formulato con due cifre decimali: non può ritenersi violata la lex specialis stante la perfetta equivalenza (sia ai fini aritmetici che giuridici) dell’aver formulato il ribasso percentuale con un numero di decimali pari a due anziché pari a tre poiché la cifra decimale (la terza) che avrebbe dovuto seguire l’ultima indicata deve comunque ritenersi pari a zero e, dunque, tamquam non esset, ininfluente rispetto all’esito complessivo del calcolo della media delle offerte. Né, è possibile condividere l’osservazione prospettata in ordine alla eventualità di una strumentale (e illecita) alterazione dell’offerta da parte di un’amministrazione « compiacente » mediante l’aggiunta della quarta cifra all’offerta che ne presenti soltanto tre, posto che, anche dall’osservazione diretta dell’offerta in questione, l’alterazione, certamente possibile nel numero espresso in cifre, dovrebbe comprendere anche quella in lettere. Ed invero, nonostante l’eccessivo spazio lasciato nello schema tipo dell’offerta non sembra proprio che ciò sia possibile anche sintatticamente. Ciò in quanto, tenuto conto della necessità di esprimere il ribasso sia in lettere che in cifre, l’unica possibile alterazione è quella di lasciare, dopo la virgola, tutto « in bianco », per il semplice motivo, che l’espressione a tre cifre inizia, in lettere, con riferimento alle centinaia, quello a quattro alle migliaia, con evidente insanabile discrepanza espressiva. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 2610 del 2013, proposto da: Urania Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Arcifa e Giovanni Immordino, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Catania, via Gabriele D’Annunzio, n. 111; contro FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 159 Urega - Sezione Provinciale di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; Comune di San Piero Patti, non costituito in giudizio. nei confronti di I.Ge.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Dover Scalera, Gabriele Di Paolo e Valentina Magnano San Lio, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Catania, via Vincenzo Giuffrida, n. 37; per l’annullamento - della determina del responsabile dell’Area Tecnica del Comune di S. Piero Patti n. 44 del 7.10.2013, comunicata con nota prot.n. 13.345 di pari data, con la quale è stata aggiudicata definitivamente la gara avente ad oggetto “Opere di consolidamento zona centro abitato compresa tra la via L. da Vinci e la Via Catania” alla IGECO s.r.l.; - del verbale di gara dei giorni 5, 6, 7, 8 e 9 agosto 2013, nella parte in cui è stata ammessa alla gara in oggetto la I.GE.CO. s.r.l.; - del verbale di gara dei giorni 5, 6, 7, 8 e 9 agosto 2013 nella parte in cui è stata aggiudicata provvisoriamente la gara in oggetto alla I.GE.CO. s.r.l., invece che alla ricorrente, seconda classificata; - nonché degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Urega - Sezione Provinciale di Messina e di I.Ge.Co. S.r.l.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO — I. Con bando ritualmente pubblicato, il Comune di San Piero Patti ha indetto una gara per le «opere di consolidamento zona centro abitato compresa tra la via L. da Vinci e la Via Catania». Il disciplinare di gara, all’art. 3 dei documenti da contenere a pena di esclusione nella busta “A”, richiedeva “una dichiarazione sostitutiva ai sensi del DPR 445/00 ... con la quale il concorrente...assumendosene la piena responsabilità ...” avrebbe dovuto dichiarare “indicandole specificamente di non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art. 38 ... e dell’art. 1, comma 1, del Codice Antimafia”. Sempre il disciplinare di gara prevedeva che “la domanda, le dichiarazioni e le documentazioni di cui ai punti 1), 2), 3), 4), 5), 6) 7), 8), a pena d’esclusione salvo ove diversamente specificato, devono contenere quanto previsto nei predetti punti”. Il bando di gara, all’art. 14, rubricato “Criteri di aggiudicazione”, precisava inoltre che “il prezzo offerto deve essere determinato, ai sensi dell’art, 1 comma 89 l.r. n. 20/2007, mediante offerta espressa in una cifra percentuale di ribasso, con quattro cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, applicabile uniformemente a tutto l’elenco prezzi posto a base di gara secondo le norme e con le modalità previste nel disciplinare di gara. Si precisa che non si terrà conto delle eventuali cifre oltre la quarta”. La gara si concludeva con l’aggiudicazione in favore della I.GE.CO. s.r.l.. Con ricorso passato per la notifica il 17.10.2013 e depositato il 29.10.2013, la ricorrente ha impugnato siffatta aggiudicazione, premettendo che la suddetta Impresa avrebbe dovuto essere esclusa: a) avendo omesso il legale rappresentante Giulio Toppetta di rendere compiutamente la dichiarazione di cui all’art. 3, lett. a), del disciplinare di gara non avendo in particolare dichiarato “di non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art. 1, comma 1 del Codice Antimafia”; b) avendo presentato un’offerta recante solo tre cifre decimali in luogo delle quattro prescritte dal bando di gara, nonché dall’art. 1, comma 9, della l.r. 20/2007. Qualora la suddetta Impresa fosse stata esclusa dalla gara, la ricorrente, seconda classificata, sarebbe risulta aggiudicataria. Quindi, ha così esposto le proprie censure: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, lett. a), del disciplinare di gara in relazione all’art. 1, comma 1, del Codice Regionale Antimafia. L’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa per non avere reso, come necessario e a pena di esclusione, la dichiarazione di cui all’art. 1, comma 1, del Codice Regionale Antimafia. La stessa, infatti, avrebbe non solo omesso di dichiarare l’assenza della suddetta condizione, ma, di più, avrebbe, altresì, depennato quella a tal fine predisposta dalla stazione appaltante nel modello di partecipazione alla gara, aggiungendo, poi, soltanto la dichiarazione relativa all’art. 38 del codice degli appalti. Tale previsione omessa e prevista dal bando di gara, inoltre, sarebbe coerente con l’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006, così come chiarito dalla AVCP con determinazione n. 4/2012. 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 9, della l.r. n. 20/2007, nonché dell’art. 3 della l.r. n.16/2003, in relazione all’art. 14 del bando di gara. Asserisce la ricorrente che il bando di gara, all’art. 14, in coerenza con la normativa sopra calendata, imponeva ai concorrenti di formulare l’offerta con l’utilizzo di quattro cifre decimali che avrebbero dovuto tutte essere indicate. La I.GE.CO. s.r.l. ha formulato la propria offerta, consistente nel ribasso del 30,655%, utilizzando soltanto tre cifre decimali e il seggio di gara l’ha ritenuta legittima, limitandosi ad aggiungere, autonomamente, uno zero finale a detta cifra. Anche tale incompletezza avrebbe dovuto, invece, essere sanzionata con l’esclusione dalla gara. La suddetta previsione del bando sarebbe coerente con l’art. 11, co. 6, del D.P.R.S. 31/1/2012 n. 13, le cui previsioni, per espressa previsione della l. r. n.12/2011, costituirebbero altrettanti motivi di esclusione ai sensi dell’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006. Costituitesi, sia l’Urega che la controinteressata hanno concluso per l’infondatezza del ricorso. Alla Camera di Consiglio del 21.11.2013, i difensori delle parti sono stati avvisati che il Collegio, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., avrebbe potuto definire il giudizio con sentenza in forma semplificata. Indi, la causa è stata trattenuta per la decisione. II. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente sostiene l’illegittimità dell’ammissione alla gara della aggiudicataria controinteressata, nonostante la stessa non abbia reso la prescritta dichiarazione di cui all’art. 1 del Codice Antimafia e Anticorruzione della Pubblica Amministrazione, vigente nella Regione Sicilia. Il Collegio concorda con la ricostruzione di parte ricorrente, secondo la quale la detta prescrizione avrebbe dovuto essere resa a pena di esclusione. In disparte, infatti, l’espressa comminatoria contenuta nel bando, il predetto art. 1 così recita: “1. Al fine di prevenire infiltrazioni di tipo mafioso o comunque riconducibili alla criminalità organizzata nelle pubbliche amministrazioni della Regione Siciliana e fermo restando quanto previsto dall’art. 38 D.Igs. n°163/2006 e successive modifiche e integrazioni, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento, delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna definitiva, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati di criminalità di tipo mafioso o comunque riconducibili ad organizzazioni criminali, nonché per reati di concussione (art. 317 c.p.), corruzione (artt. da 318 a 322 c.p.), scambio elettorale politico mafioso (art. 416 ter c.p.), rapina (art. 628 c.p.), estorsione (art.629 c.p.), usura (ad. 644 c.p.), ricettazione (art.648 c.p. esclusa l’ipotesi prevista dal cpv. di tale articolo), riciclaggio (art. 648-bis c.p), impiego di denaro, beni o altri utilità di provenienza illecita (art.648 ter c.p.), trasferimento fraudolento di valori (art. 12 quinques Legge n. 356/92), reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale, fra cui quelli di truffa aggravata ai danni dello Stato ( ad. 640 cpv. 1 c.p.), turbata libertà degli incanti (ad. 353 c.p.), frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 161 L’esclusione e il divieto operano se la sentenza è stata emessa nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di imprese individuali; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari se si tratta di società accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”. Così come condivisibilmente chiarito dalla AVCP, con determinazione n. 4/2012, la dichiarazione è coerente con l’art. 46, comma 1 bis, del Codice dei contratti, che, come meglio sarà precisato, ha tipizzato le cause di esclusione delle partecipanti alle selezioni ad evidenza pubblica. La detta decisione dell’Autorità di Vigilanza si è, infatti, così espressa: <<si ritiene legittimo prescrivere, a pena di esclusione, l’accettazione delle condizioni contrattuali contenute nella documentazione di gara. <<Ciò avviene, di norma, mediante una espressa dichiarazione con la quale il concorrente dichiara di aver esatta cognizione del contenuto delle stesse, fatta comunque salva la facoltà dell’esecutore di apporre eventuali riserve in fase di esecuzione nei modi ed entro i limiti consentiti dalla normativa vigente. <<Più in dettaglio, a titolo esemplificativo, possono citarsi: omissis <<(v) l’accettazione degli obblighi in materia di contrasto delle infiltrazioni criminali negli appalti previsti nell’ambito di protocolli di legalità/patti di integrità.. <<Alcune puntualizzazioni si rendono necessarie con riguardo a tale ultima fattispecie. <<I cd. protocolli di legalità/patti di integrità sanciscono un comune impegno ad assicurare la legalità e la trasparenza nell’esecuzione di un dato contratto pubblico, in particolar modo per la prevenzione, il controllo ed il contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, nonché per la verifica della sicurezza e della regolarità dei luoghi di lavoro. Nei protocolli le amministrazioni assumono, di regola, l’obbligo di inserire nei bandi di gara, quale condizione per la partecipazione, l’accettazione preventiva, da parte degli operatori economici, di determinate clausole che rispecchiano le finalità di prevenzione indicate. <<Deve ritenersi che la previsione dell’accettazione dei protocolli di legalità e dei patti di integrità quale possibile causa di esclusione sia tuttora consentita, in quanto tali mezzi sono posti a tutela di interessi di rango sovraordinato e gli obblighi in tal modo assunti discendono dall’applicazione di norme imperative di ordine pubblico, con particolare riguardo alla legislazione in materia di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata nel settore degli appalti. <<Mediante l’accettazione delle clausole sancite nei protocolli di legalità al momento della presentazione della domanda di partecipazione e/o dell’offerta, infatti, l’impresa concorrente accetta, in realtà, regole che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro che sono ammessi a partecipare alla gara e che prevedono, in caso di violazione di tali doveri, sanzioni di carattere patrimoniale, oltre alla conseguenza, comune a tutte le procedure concorsuali, della estromissione dalla gara (cfr. Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2012, n. 2657; Cons. St., 9 settembre 2011, n. 5066)>>. Tuttavia, ritiene il Collegio che colga nel segno la difesa della controinteressata, nella misura in cui ha sostenuto che l’allegato all’offerta, predisposto dalla stessa Amministrazione al fine di rendere una compiuta dichiarazione, prevedendo l’esclusione dalla gara soltanto nel caso di mancata barratura di una delle due ipotesi previste in ordine alla dichiarazione da rendere in riferimento all’art. 38, lett. c), codice degli appalti (per come si evince, ulteriormente, dalla dicitura “oppure in alternativa”, ivi apposta), ha potuto ingenerare l’errore nel concorrente chiamato a rendere la dichiarazione ritenuta insussistente. Ed invero, la ricorrente non ha omesso di rendere la seconda delle due dichiarazioni espressamente previste e di indicare, così come richiesto, la condanna di primo grado subita, ritenendo, così, di aver compiutamente assolto all’onere procedimentale imposto dall’Amministrazione. Sulla questione della “scusabilità dell’errore” nelle ipotesi analoghe a quella in esame, questa Sezione, rivedendo un precedente orientamento, ha già avuto modo di pronunziarsi (cfr. T.A.R. Catania. IV, 5.4.2013, n. 988). La detta decisione ha, preliminarmente, dato atto del revirement della stessa Sezione, rammentando che con precedente sentenza (cfr. TAR Catania, IV, 22.11.2012, n. 2638), secondo la quale, in caso del tutto analogo, era stato ritenuto inapplicabile <<il principio del legittimo affidamento,. . . non invocabile, atteso che, diversamente, l’applicazione di norme imperative, quale quella di cui si discute>>, vale a dire l’art. 38 del codice dei contratti, <<sarebbe subordinata al comportamento più o meno diligente, o, finanche, compiacente, dell’Amministrazione appaltante, che avrebbe così il potere, inserendo o meno una certa dichiarazione nel modello all’uopo predisposto, o omettendo di richiamare una certa disposizione nel bando di gara, di condizionare l’esito di una gara, ammettendo imprese che potenzialmente non hanno uno o più requisiti fondamentali>>. In quest’ottica, continua la sentenza n. 2638/12, <<non può quindi pensarsi ad un dovere di “soccorso” dell’Amministrazione appaltante, al fine di consentire eventuali integrazioni postume, e diventa irrilevante che l’impresa poi illegittimamente ammessa si riveli in possesso del requisito che ha omesso di dichiarare, perché altrimenti, così ragionando, tale soluzione dovrebbe essere ammessa sempre, o per lo meno ogniqualvolta l’Amministrazione abbia commesso errori di qualsiasi tipo, creando un inammissibile caos, e vanificando così tutto il sistema delle previste dichiarazioni, finalizzato a consentire un controllo delle dichiarazioni rese solo per i soggetti aggiudicatari>>. Come premesso, con la citata sentenza n. 988/13, la Sezione ha rivisto il proprio convincimento, che il Collegio ora non ha motivo di disattendere. La decisione ha chiarito che, anche in ossequio al rigore introdotto da comma 1 bis dell’art. 46 del Codice dei contratti, sia preferibile in termini generali una diversa impostazione della questione. <<E’ da premettere che nel caso in esame, non si versa nella diversa ipotesi di eterointegrazione del bando, posto che la disposizione poi non trasfusa nel modello di dichiarazione predisposto dalla stessa Amministrazione, è espressamente prevista nel disciplinare di gara. <<In quel caso (cfr. T.A.R. Catania Sicilia sez. III, 25 luglio 2012, n. 1930) << i principi . . . in tema di eterointegrazione del bando, coerenti anche con la giurisprudenza più datata di questo stesso Tribunale (cfr. TAR Catania, I, 16.12.2010, n. 4747; 9.9.2008, n. 1632), consentono di poter concludere che . . . deriva l’esclusione dalla gara ove sia stata omessa la dichiarazione, seppur non prevista dagli atti di autoregolamentazione a pena di esclusione, relativa alla sussistenza dei requisiti generali soggettivi di cui all’art. 38 del Codice dei contratti, essendo possibile, ai sensi dell’art. 46 del medesimo Testo legislativo, integrare o completare soltanto le dichiarazioni presenti, intendendo per tali quelle contenenti i necessari elementi soggettivi ed oggettivi. <<Il problema, come sopra chiarito, nel caso di specie, è diverso, poiché la richiesta di compilazione di un modello privo del riferimento alla norma, invece prevista sia dall’art. 38 Codice dei contratti che dall’atto di autoregolamentazione della gara, ha, di fatto, “spiazzato” i concorrenti (o, almeno, alcuni di essi), ingenerando la possibile convinzione che la diligente redazione della dichiarazione, così come confezionata dalla stazione appaltante, li avrebbe messi al riparo dall’esclusione dalla gara, come, per altro, espressamente indicato nel disciplinare>>. Ed invero, osserva il Collegio che nel caso di specie, il disciplinare di gara, a pag. 6, in grassetto e preceduto da un “nota bene”, così si esprime: “N.B.: I concorrenti, al fine di agevolare le operazioni di gara, sono invitati ad utilizzare i modelli di istanza e dichiarazione predisposti dalla stazione appaltante e disponibili sul sito . . .”. Tanto precisato, la predetta decisione ha ulteriormente chiarito <<che “in applicazione dei principi di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento, non sia possibile che vada sanzionata con l’esclusione dalla gara la condotta del concorrente che abbia fedelmente ricalcato le indicazioni contenute nello schema di domanda predisposto dalla stazione appaltante” (cfr. T.A.R. Genova Liguria sez. II, 11 gennaio 2013, n. 69). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 163 << “L’eventuale incongruenza tra il modello di domanda e gli obblighi dichiarativi posti dalla legge a carico dei concorrenti”, continua il giudice ligure, avrebbe dovuto essere imputato <<“alla pubblica amministrazione che aveva messo a disposizione detto modello e non certo dell’impresa che, facendo affidamento sulla correttezza del medesimo, si era limitata alla sua puntuale compilazione>>. <<In altri termini, così come ritenuto in una situazione praticamente sovrapponibile dalla Giurisprudenza richiamata dalla controinteressata . . . (cfr. Cons. Stato, III, 30.1.2012, n. 447), ove i concorrenti abbiano “reso una dichiarazione del tutto conforme a quella risultante dal modulo predisposto dall’Amministrazione (che faceva supporre la sua piena completezza rispetto alle dichiarazioni da rendersi ai sensi della legge di gara), sì che l’omissione della dichiarazione concernente l’assenza delle cause di esclusione di cui alla lettera m- ter) del citato comma 1, se pure prevista come causa di esclusione dalla legge di gara, non può in ogni caso portare alla esclusione del concorrente incorso nell’omissione, vertendosi in ipotesi di clausole della lex specialis contraddittorie, equivoche ed ambigue, tali da ingenerare l’errore in cui è caduto il concorrente nel rendere le dichiarazioni richieste dal bando a pena di esclusione (v., proprio per l’ipotesi di modulistica non conforme al disciplinare, Cons. St., IV, 5 luglio 2011, n. 4029)”. << Ne deriva che, a fronte di tale omissione, la stazione appaltante al più avrebbe dovuto consentire la regolarizzazione della documentazione di gara nel senso di integrare la dichiarazione incompleta risultante dal modulo predisposto (e ciò in applicazione dei principi in materia di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento), ma in ogni caso non avrebbe potuto procedere all’esclusione, come invece pretendono le appellanti incidentali”. <<Né appare, ad avviso del Collegio, dirimente quanto sostenuto ex adverso dalla citata giurisprudenza di questa stessa Sezione circa la possibilità, consentita dalla interpretazione ritenuta corretta dal Collegio, di giustificare l’errore, e non solo, dell’Amministrazione, posto che l’omissione che ha determinato la “confusione” nelle dichiarazioni costituisce un fatto generalizzato e, come tale, non volto a “favorire” posizioni individuali. <<In ordine, poi, alla possibilità di concreta aggiudicazione a concorrente privo dei necessari requisiti, è appena il caso di osservare che quanto oggetto di dichiarazione, al momento dell’effettivo affidamento dell’appalto, va verificato e, quindi, non sembra potersi ipotizzare una sorta di “collusione” con imprese di dubbia moralità>>. Tanto appare sufficiente, per ritenere infondata la censura. III. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto che la controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa, poiché ha presentato, diversamente da quanto prescritto dall’art. 14 bando, un’offerta contenente soltanto tre cifre decimali (30,655%), piuttosto che le quattro ivi stabilite. La controinteressata controdeduce che la disposizione non è prevista a pena di esclusione dagli atti di autoregolamentazione della gara e che, comunque, la norma (che siffatto modo di presentazione dell’offerta ha stabilito) sarebbe stata superata in sede di recepimento del codice degli appalti in Sicilia. Premette il Collegio che la questione, a fronte della non assoluta chiarezza dell’intervento legislativo, merita di essere approfondita. La disposizione in questione è stata introdotta in Sicilia dall’art. 1, comma 9, della L.R. 21.8.2007 n. 20, volto a regolare “modifiche ed integrazioni alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotta dalla legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche ed integrazioni”. La stessa così espressamente recitava: << 9. Il comma 1 dell’articolo 21 della legge n. 109/1994, come introdotto dall’articolo 17 della legge regionale n. 7/2002 e successive modifiche e integrazioni, è sostituito dal seguente: “1. L’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto è effettuata di norma con il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara o con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura, che a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con 4 cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente a tutto l’elenco prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta.″>>. La disposizione è stata ulteriormente modificata dalla L.R. 3.8.2010 n. 16, avente ad oggetto, “modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti”, il cui art. 3, così recita: <<1. All’articolo 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotto dall’articolo 17 della legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche e integrazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) Il comma 1 è sostituito dal seguente: “1. Per i criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse si applicano le disposizioni degli articoli 81, 86 commi 1, 3, 3-bis, 3-ter e 4, 87 commi 2, 3, 4-bis e 5, 88 commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 5 nonché il comma 9 dell’articolo 122 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche e integrazioni. Il criterio del prezzo più basso inferiore a quello a base d’asta è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura, che a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con quattro cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente all’elenco prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta”>>. Quindi, la previsione relativa alle quattro cifre decimali è rimasta identica, mentre è cambiata soltanto la premessa della norma, con il rinvio, da parte della disposizione più recente, a quelle contenute nel codice degli appalti. L’art. 1 della L.R. 12.7.2011 n. 12, volta, appunto a regolare il “recepimento del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e successive modifiche ed integrazioni”, così recita: <<Art. 1 Applicazione della normativa nazionale. 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modifiche dalla stessa introdotte, si applicano nel territorio della Regione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione della direttiva 2004/17/CE e della direttiva 2004/18/CE” e le sue successive modifiche ed integrazioni ed i regolamenti in esso richiamati e successive modifiche, fatta eccezione dell’articolo 7, commi 8 e 9, dell’articolo 84, commi 1, 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11 e 12, dell’articolo 128 e dell’articolo 133, comma 8. In particolare, si applica il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 e le successive modifiche ed integrazioni, con esclusione delle parti riferibili alle norme del decreto legislativo 163/2006 espressamente dichiarate non applicabili in forza della presente legge. Entro il 31 dicembre 2011, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto regionale, saranno definite le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente capo. 2. I riferimenti al “Bollettino Ufficiale della Regione” e alla “Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana” contenuti nel decreto legislativo n. 163/2006 devono intendersi riferiti alla “Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana”; nel caso di riferimenti ad organi ed istituzioni statali deve farsi riferimento ai corrispondenti organi ed istituzioni regionali. 3. Sono fatti salvi l’articolo 3 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20, e l’articolo 7 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>. L’impianto generale è confermato dall’art. 1 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, “Regolamento di esecuzione ed attuazione della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12”, che, nella parte di interesse, così stabilisce: <<Art. 1 Disposizioni generali. 1. Ai sensi dell’articolo 1 della legge regionale n. 12/2011, gli appalti di lavori, servizi e forniture sono disciplinati nella Regione siciliana nel rispetto delle prescrizioni poste dal decreto legislativo n. 163/2006 ed in specie degli articoli 4 e 5 dello stesso, nonché dal D.P.R. n. 207/2010, fatto salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento. 2. Tutte le disposizioni del presente regolamento trovano applicazione, salvo diversa previsione espressa, nei confronti della Regione siciliana e di tutti gli altri soggetti indicati all’articolo 2 della legge regionale n. 12/2011>>. Da una prima lettura, così come sostenuto dalla controinteressata, sembra emergere che le uniche norme “salvate” dalla novella della l.r. 12/2011 sono l’articolo 3 della legge FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 165 regionale 21 agosto 2007, n. 20 (e, quindi, non l’art. 1) e il solo articolo 7 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16 (e, quindi, non l’art. 3). Tuttavia, l’art. 32 della medesima l.r. 12/2011, dispone, per quanto di interesse, che << con l’entrata in vigore della presente legge sono abrogati: omissis g) la legge regionale 2 agosto 2002, n. 7, con esclusione dell’articolo 42, comma 1; omissis m) l’articolo 1, commi 1, 2 e 7 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20; omissis o) gli articoli 1, comma 1, 2 e 3 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>. Quindi, sia pure nella non assoluta chiarezza dell’intenzione del Legislatore regionale, è da ritenere che l’art. 3 della l.r. 16/2010, che contiene, in termini di decimali nell’offerta, la precedente previsione di cui all’art. 1, comma 9, della l.r. 20/2007, sia rimasto in vigore, non potendosi sostenere la sua abrogazione implicita, per altro, a fronte dell’inesistenza di una norma nel codice degli appalti dello stesso segno con esso contrastante (ed, invero, l’art. 74, nella qualificazione dell’offerta, nulla dice in merito ai decimali da apporre all’offerta, rilasciati, pertanto, alla previsione contenuta negli atti di autoregolamentazione). E’ da dire, però, che la norma, non essendo stata richiamata espressamente (ma neanche abrogata) dalla l.r. 12/2011, non rientra nella previsione di cui al comma 6, dell’art. 11 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, secondo il quale << ai sensi dell’articolo 46, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 163/2006, la violazione delle prescrizioni scaturenti dalla legge regionale n. 12/2011 e dalle correlate norme del presente regolamento costituisce causa di esclusione>>. Resta da verificare se comunque lo sia, posto che, in effetti, il bando di gara, pur richiamando nel criterio di aggiudicazione espressamente l’art. 1, comma 9, della l.r. n. 20/2007, riproducendone il contenuto, nulla dice in merito alla sanzione per il mancato rispetto di detta modalità di offerta. Sul punto, questa Sezione (cfr. T.A.R. Catania, sez. IV, 16/12/2011, n. 3039), dopo aver premesso di ben conoscere <<quella giurisprudenza, . . . secondo la quale la mancanza di una o più cifre decimali non altererebbe il computo aritmetico, dovendo ritenersi sottintesa l’aggiunta di due zeri dopo le prime due cifre decimali>>, ha già avuto modo di chiarire che <<tuttavia, bisogna considerare che la richiamata disposizione interviene, tra l’altro, a modificare una norma precedente, che richiedeva invece l’indicazione di tre cifre decimali, potendo ben ritenersi che la disposizione in esame abbia voluto porre rimedio alla creazione di ″cordate″ di imprese che offrono tutte il medesimo ribasso. Ed infatti, la necessità di dover indicare una cifra di ribasso con ben quattro decimali renderebbe estremamente difficile sostenere che la eventuale coincidenza di più offerte sia dovuta a un caso fortuito. Tale tesi è poi rafforzata anche dalla precisazione finale contenuta nella stessa disposizione, secondo la quale ″non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta″, inducendo a ritenere che nessuna deroga sia consentita al suo tenore letterale, che impone l’indicazione di quattro cifre decimali>>. Aggiunge il Collegio che proprio tale tipo di indicazione, espressamente richiamata nel bando di gara, non solo qualificava l’offerta in maniera omogenea in Sicilia, ma, a fronte delle predette corrette considerazioni, era sorta proprio per evitare il fenomeno, estremamente ricorrente, delle “cordate” caratterizzate dalla medesima offerta di ribasso (ed oggetto di particolare interesse del Giudice di seconde cure, che, spesso, ha ritenuto di stigmatizzare in sede di decisione il fenomeno, investendo della questione il competente Giudice penale). Tuttavia, il nuovo sistema di aggiudicazione delle gare introdotto dalla l.r. 12/2011 di recepimento della normativa nazionale, mutuato direttamente dal codice degli appalti, impedisce naturaliter che si raggiunga un parametro di ribasso sempre più “incomprimibile” come nel passato. Ed infatti, mentre la L.R. n. 20/2007, prevedeva l’applicazione di un meccanismo matematico il cui inevitabile effetto era quello di determinare un restringimento sempre maggiore dell’arco delle offerte valide, sino a giungere - come è avvenuto nell’ultimo periodo - ad una assoluta identicità delle offerte di ribasso proposte dai partecipanti alle procedure di aggiudicazione, la disciplina nazionale, semmai, sembra orientare al continuo innalzamento della percentuale di ribasso. Più analiticamente, il precedente criterio di aggiudicazione siciliano prevedeva, in somma sintesi, il c.d. “taglio delle ali”, pari al 50% delle offerte ammesse, una particolare procedura con l’estrazione di un numero compreso tra 11 e 40, che rappresentava la percentuale delle offerte di minor ribasso che ricadevano nel taglio delle ali. Tale numero, poi, veniva sottratto al numero 50 e il risultato indicava la percentuale di offerte di maggior ribasso dei eliminare dal calcolo della media di aggiudicazione. Il procedimento descritto, a tutta evidenza, mirava a rendere assolutamente casuale la distribuzione del taglio delle ali, al fine di scoraggiare eventuali “cordate” tendenti a condizionare il calcolo della media finale. Seguiva tutta una procedura improntata a impedire una preventiva conoscenza dell’incidenza dello scarto medio aritmetico nel calcolo della media di aggiudicazione al fine di rendere ulteriormente difficoltoso il condizionamento della media di aggiudicazione. È da ritenere che siffatto meccanismo sia stato la causa di quel particolare fenomeno per il quale le offerte di ribasso presentare delle imprese siciliane si sono sempre più ravvicinate, sino a raggiungere un risultato finale, presente praticamente in tutte le gare. In quest’ottica, risulta comprensibile, altresì, l’indicazione di ben quattro decimali nel ribasso, rivolta alla medesima finalità. Venuto meno, si ribadisce, siffatto complesso sistema di aggiudicazione delle gare, anche quest’ultima finalità sembra non essere più necessaria. Sicché, ad avviso del Collegio, pur non essendo stata, come chiarito, espressamente abrogata la norma che quest’ultimo obbligo sancisce, a fronte, per altro, del recepimento della diversa normativa nazionale, non può dirsi che la stessa costituisca un preciso obbligo nella formulazione dei bandi di gara e, conseguentemente, delle offerte. Resta da verificare, se una volta che sia comunque inserita negli atti di autoregolamentazione, così come nel caso di specie, costituisca prescrizione imprescindibile, la cui inosservanza debba comportare l’esclusione dell’offerta, ovvero possa ritenersi possibile l’integrazione, non dell’offerta in sé, ma del ribasso considerando gli ulteriori decimali pari a zero. Premesse le superiori considerazioni, ritiene il Collegio di dover aderire a quella Giurisprudenza (cfr. T.A.R. Palermo, sez. III, 24 luglio 2009, n. 1342), secondo la quale non vi sia <<alcuna ragione logico-giuridica per disporre l’esclusione dell’offerta, proposta con ribasso formulato con due cifre decimali: non può ritenersi violata la lex specialis stante la perfetta equivalenza (sia ai fini aritmetici che giuridici) dell’aver formulato il ribasso percentuale con un numero di decimali pari a due anziché pari a tre poiché la cifra decimale (la terza) che avrebbe dovuto seguire l’ultima indicata deve comunque ritenersi pari a zero e, dunque, tamquam non esset, ininfluente rispetto all’esito complessivo del calcolo della media delle offerte>>. Il medesimo principio, sia pure nella sinteticità della motivazione, può trarsi dalle indicazioni del Giudice di seconde cure (CGA per la Sicilia, Ord. 30.9.2013, n. 743). Conclusivamente, ritiene il Collegio che l’integrazione da parte del seggio di gara del ribasso contenuto in un’offerta, con l’aggiunta di uno zero finale, possa essere utilizzato sia per “sanare” un’offerta prevista da un atto di autolimitazione con un certo numero di decimali, purché, come nel caso di specie, tale ribasso sia concordemente (sia in lettere che in cifre) rappresentato con una quantità di decimali inferiore, sia per uniformare l’una all’altra (ad esempio, rispettivamente, 20,927% in ambedue i ribassi ove fosse stata prevista un offerta con quattro decimali, ovvero, nel secondo caso, 20,927 in cifre e 20, 9270% in lettere o viceversa). Altrimenti, si verserebbe in un’ipotesi di indebita alterazione della volontà dell’offerente da parte dell’Amministrazione e, comunque, la fattispecie troverebbe regole e principi diversi per dirimere la questione. Né, infine, è possibile condividere l’osservazione prospettata dalla ricorrente in ordine alla eventualità di una strumentale (e illecita) alterazione dell’offerta da parte di un’amministrazione “compiacente” mediante l’aggiunta della quarta cifra all’offerta che ne presenti soltanto tre, posto che, anche dall’osservazione diretta dell’offerta in questione, l’altera- FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 167 zione, certamente possibile nel numero espresso in cifre, dovrebbe comprendere anche quella in lettere. Ed invero, nonostante l’eccessivo spazio lasciato nello schema tipo dell’offerta non sembra proprio che ciò sia possibile anche sintatticamente. L’offerta in questione, è pari a 30,655%, sicché, riportandola in lettere, non è possibile aggiungere alcun corrispondente numero; in lettere, infatti, da seicentocinquantacinque, dovrebbe diventare seimilacinquecentocinquanta (...), con chiara disarmonia dei dati. Non cambia il ragionamento se si accede a un’ipotesi astratta. Ciò in quanto, tenuto conto della necessità di esprimere il ribasso sia in lettere che in cifre, l’unica possibile alterazione è quella di lasciare, dopo la virgola, tutto “in bianco”, per il semplice motivo, si ribadisce, che l’espressione a tre cifre inizia, in lettere, con riferimento alle centinaia, quello a quattro alle migliaia, con evidente insanabile discrepanza espressiva. Per completezza, l’unica possibilità di alterazione sembra quella di aggiungere non la quarta cifra, ma la prima dei decimali. La soluzione appare, però, improbabile a causa della necessaria continuità della scrittura. Tanto é sufficiente per ritenere infondata anche la detta censura e, conseguentemente, per rigettare il ricorso. La non assoluta pacificità delle questioni sollevate suggerisce al Collegio di disporre l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Catania nelle camere di consiglio del giorno 21 novembre e 5 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Cosimo Di Paola, Presidente Francesco Brugaletta, Consigliere Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore Tribunale amministrativo regionale Sicilia Catania Sez. IV *7 dicembre 2013 n. 3178 Pres. Di Paola Est. Savasta R. Srl (avv. Carrubba, Bertino) Comune di Pagliara . (avv. Monforte) [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta - In Sicilia - Necessità di quattro cifre decimali a pena di nullità - Non sussiste. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Discordanza e differenza numero decimali - Applicabilità dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione - Non sussiste - Motivi. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Discordanza e differenza numero decimali - Applicabilità dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione - Non sussiste - Motivi. [6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Discordanza tra prezzo in cifra e in lettere - Applicabilità dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione - Limiti. In Sicilia, anche dopo il recepimento del Codice degli appalti e del connesso Regolamento, è da ritenere che l’art. 3, l. rg. n. 16 del 2010, che contiene in termini di decimali nell’offerta per l’aggiudicazione di un appalto pubblico la prescrizione che la stessa deve essere a quattro cifre, e la connessa precedente previsione di cui all’art. 1 comma 9, l. rg. n. 20 del 2007, sia rimasto in vigore, non potendosi sostenere la sua abrogazione implicita, per altro, a fronte dell’inesistenza di una norma nel codice degli appalti dello stesso segno con esso contrastante (ed, invero, l’art. 74, nella qualificazione dell’offerta, nulla dice in merito ai decimali da apporre all’offerta, rilasciati, pertanto, alla previsione contenuta negli atti di autoregolamentazione). La norma, però, non essendo stata richiamata espressamente (ma neanche abrogata) dalla l. rg. n. 12 del 2011, non rientra nella previsione di cui al comma 6, dell’art. 11, d.P.Rg. 31 gennaio 2012 n. 13, secondo il quale « ai sensi dell’art. 46 comma 1-bis, d.lg. n. 163 del 2006, la violazione delle prescrizioni scaturenti dalla l. rg. n. 12 del 2011 e dalle correlate norme del presente regolamento costituisce causa di esclusione ». Nell’ipotesi in cui vi sia discordanza nei decimali espressi in cifre e in lettere in un’offerta volta all’aggiudicazione di un appalto pubblico non può applicarsi l’art. 72 comma 2, r.d. n. 827 del 1924, anche nell’ipotesi in cui, una delle due cifre risulti rappresentata in un numero di decimali inferiori a quello previsto (offerta espressa in lettere con sole tre cifre, nella quale é stato omesso lo zero quale prima cifra decimale, invece presente in quella espressa numericamente), poiché non è possibile, come è ordinariamente consentito, in quanto evidentemente ininfluente ai fini matematici, aggiungere lo zero quale quarta cifra. Tale espediente, stante l’equivalenza matematica, può essere utilizzato per « sanare » un’offerta prevista da un atto di autolimitazione con un certo numero di decimali, ma concordemente rappresentata con una quantità inferiore ovvero per uniformare l’una all’altra. Altrimenti si verserebbe in un’ipotesi di indebita alterazione della volontà dell’offerente da parte dell’Amministrazione. Ne deriva che l’intervento correttivo dell’Amministrazione non può essere utilizzato né per « parificare » due offerte evidentemente difformi, né qualora la differenza sia il frutto di un mero evidente errore nella rappresentazione di una di esse e ciò neanche all’ulteriore fine di rendere applicabile l’art. 72, r.d. del 23 maggio 1924 n. 827, ai sensi del quale « quando in una offerta all’asta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione. L’art. 72, r.d. del 23 maggio 1924 n. 827, ai sensi del quale « quando in una offerta all’asta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione, per come si evince dal suo chiaro tenore letterale, trova applicazione proprio nelle ipotesi di discordanza di prezzo fra lettere e cifre in due offerte compiutamente formulate e non, automaticamente, nel caso di « differenza » tra di esse determinata, quest’ultima, dall’evidente errore nella compilazione dei ribassi e per la quale, stante l’assoluta evidenza, è possibile risalire alla effettiva (manifesta) volontà della parte. REPUBBLICA ITALIANA FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 169 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1340 del 2013, proposto da: Romeo Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Carrubba e Gregorio Bertino, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Catania, via Umberto, 303; contro Comune di Pagliara, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Monforte, con domicilio ex lege presso la Segreteria del Tribunale, in Catania, via Milano 42/b; nei confronti di Medi Appalti Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Silvano Martella, con domicilio ex lege presso la Segreteria del Tribunale; per l’annullamento - dell’aggiudicazione definitiva dei lavori di ″consolidamento e regimentazione delle acque centro abitato – linea d’intervento 2.3.1.1.A, assunta con determinazione n. 31 del 29.4.2013; - di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi incluso il verbale di aggiudicazione provvisoria n. 3 del 7.3.2013. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pagliara e di Medi Appalti Srl; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Connota del 27.11.2012 prot. n. 6290, il Comune di Pagliara ha invitato la società ricorrente a partecipare alla gara di appalto a procedura negoziata da espletarsi ai sensi dell’art. 57, comma 6, D.lgs 163/2006 s.m.i., relativa all’affidamento dei lavori di “consolidamento e regimentazione delle acque – centro abitato”. La ricorrente formulava la propria offerta economica e, all’esito della procedura selettiva, unitamente all’aggiudicataria Medi Appalti s.r.l., veniva ammessa alla successiva fase di apertura delle offerte economiche fissata per il 19.12.2012. Dopo aver proceduto al calcolo della soglia di anomalia, risultata pari a 33,2589 %, nonché all’esclusione automatica delle offerte aventi una percentuale di ribasso maggiore, la Commissione di gara aggiudicava provvisoriamente i lavori alla partecipante Impresa Medi Appalti s.r.l. in virtù dell’offerta di ribasso di quest’ultima pari al 33,0927 %. Indi, disponeva la trasmissione del verbale di aggiudicazione provvisoria e di tutta la documentazione di gara al R.U.P. designato per l’adozione dei provvedimenti consequenziali ai sensi e per gli effetti degli art.li 11 e 12 D.lgs 163/2006. A seguito di richiesta di visione degli atti di gara formulata dai rappresentanti della società ricorrente ed accordata dalla Stazione appaltante nella successiva data del 20.12.2012, emergeva, dall’esame dell’offerta economica formulata dall’aggiudicataria provvisoria dei lavori Medi Appalti s.r.l., una discordanza tra l’offerta di ribasso formulata in cifre (33,0927) e l’offerta formulata in lettere cosi indicata: trentatrevirgolanovecentoventisettepercento, come tale nettamente più favorevole per la stazione appaltante. Pertanto, la ricorrente, in data 21.01.2013, inoltrava formale reclamo ex art. 243 bis D.lgs 163/2006, con il quale sottoponeva all’attenzione del R.U.P. la rilevata discordanza contenuta nell’offerta dell’aggiudicataria provvisoria dei lavori. A tal fine, evidenziava come l’errore commesso dalla Commissione di gara avesse altresì determinato un errato calcolo della media delle offerte, all’esito del quale la Medi Appalti s.r.l. sarebbe stata, illegittimamente, individuata come aggiudicataria provvisoria dei lavori. Diversamente, asserisce la ricorrente, laddove la Commissione di gara avesse preso a riferimento l’offerta più vantaggiosa tra quelle formulate dall’impresa aggiudicataria, e nella fattispecie l’offerta indicata in lettere (trentatrevirgolanovencentoventisettepercento), le operazioni di gara sarebbero culminate con l’aggiudicazione in suo favore. Pertanto, invitava la Stazione appaltante, previa verifica di quanto denunciato in seno al reclamo proposto, a procedere all’applicazione della norma di carattere generale contenuta nell’art. 72, comma 2, R.D. 23.05.1924 n. 827 e, conseguentemente, ad effettuare un nuovo calcolo della media delle offerte, utilizzando l’offerta più vantaggiosa tra le due formulate dalla Medi Appalti s.r.l., ossia quella espressa in lettere. Il R.U.P. della stazione appaltante, con nota prot. n. 458 del 25.01.2013, dava atto che “dall’esame dell’offerta presentata dall’Impresa Medi Appalti s.r.l., si è riscontrata una discordanza fra il prezzo indicato in cifre e quello espresso in lettere, ossia in cifre 33,0927% ed in lettere Trentatrevirgolanovecentoventisettepercento”. In ragione di ciò, riteneva di non poter procedere all’aggiudicazione definitiva a favore della Medi Appalti s.r.l., rimettendo gli atti al Presidente della Commissione di Gara per la rinnovazione della procedura. Quest’ultima, con verbale di aggiudicazione provvisoria n. 3 del 07.03.2013, riteneva, tuttavia, di non accogliere i rilievi mossi dal R.U.P. circa la regolarità dell’aggiudicazione provvisoria a favore della Medi Appalti s.r.l. “in quanto a parere della commissione, la lamentata discordanza tra il prezzo indicato in cifre e quello indicato in lettere da parte dell’impresa Medi Appalti s.r.l., nella fattispecie non determina una effettiva discrasia fra le due indicazioni, constatandosi, di contro, un mero errore di scritturazione in lettere nella parte decimale dell’offerta indicata in cifre” e, per l’effetto, confermava l’aggiudicazione provvisoria a favore della Medi Appalti S.r.l.. Anche il predetto verbale veniva contestato con reclamo ex art. 243 bis D.lgs. 163/2006 formulato dalla Romeo Costruzioni s.r.l. in data 11.03.2013. Con nota prot. 1452 del 21.03.2013, a firma del Presidente della Commissione di gara, la Stazione Appaltante confermava quanto deciso con il verbale di aggiudicazione provvisoria n. 3 del 07.03.2013 e, infine, con determinazione n. 31 del 29.04.2013, aggiudicava definitivamente i lavori alla Medi Appalti s.r.l. con provvedimento assunto dal responsabile dell’area tecnica, in luogo del R.U.P., che, in detta qualità, aveva ritenuto fondate le doglianze formulate dalla ricorrente. Con ricorso passato per la notifica il 24.5.2013 e depositato il 31.5.2013, la ricorrente ha impugnato siffatti provvedimenti, affidandosi ai seguenti motivi di ricorso: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 72 del r.d. 827/1924. Erroneo calcolo della media delle offerte economiche ammesse alla gara. Abnormità e illogicità delle motivazioni. Violazione e falsa applicazione del principio di buona amministrazione ed economicità. La Commissione di gara avrebbe errato nel procedere all’aggiudicazione definitiva dei lavori a favore della Medi Appalti s.r.l., nonostante la discordanza tra l’offerta espressa in cifre (più sfavorevole per l’amministrazione) rispetto a quella indicata in lettere. Nel caso di specie, la commissione di gara avrebbe dovuto applicare la norma di carattere generale espressa dall’art 72, comma secondo, del R.D. 23.05.1924 n. 827, secondo cui “ Quando in un’offerta all’asta vi sia discordanza tra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’Amministrazione”. Ed invero, l’errore materiale, che avrebbe potuto giustificare l’operato dell’Amministrazione, si realizzerebbe solo laddove la difformità tra i due prezzi sia talmente evidente da rendere palesemente inattendibile e fuori mercato l’importo indicato in una delle due formulazioni La discordanza rilevata tra l’offerta in cifre (33,0927%) e l’offerta in lettere (trentatrevirgolanovecentoventisettepercento) non potrebbe certo definirsi vistosa, né palesemente abnorme, di guisa il seggio di gara non ne avrebbe dovuto tenere conto. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 171 Costituitesi, sia l’Amministrazione intimata che la controinteressata hanno concluso per l’infondatezza del gravame. Con Ordinanza n. 601/2013, del 28.6.2013, questa stessa Sezione ha rigettato la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati, ritenendo, nella fattispecie in esame la sussistenza dell’errore materiale. Con Ordinanza n. 743/2013 del 30.9.2013, il C.G.A. per la Sicilia, accogliendo l’appello cautelare ai fini dell’esame della questione nel merito e stante la già intervenuta sospensione dei provvedimenti impugnati con Ordinanza n. 618/13 di questa Sezione, riferita a connesso ricorso, ha chiarito che “nella fattispecie, diversamente da quanto opinato dal Primo Giudice, debba trovare applicazione l’art. 72, comma 2 del R.D. n. 827/1924 e che, quindi, l’offerta di ribasso formulata da Medi Appalti s.r.l. sia da intendersi effettuata nella misura di 33,9270%”. All’udienza pubblica del 21.11.2013, la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO — La questione posta all’esame del Collegio è se nell’ipotesi in cui vi sia discordanza nei decimali espressi in cifre e in lettere in un’offerta volta all’aggiudicazione di un appalto pubblico debba applicarsi l’art. 72, comma 2 del R.D. n. 827/1924, anche nell’ipotesi in cui, una delle due cifre risulti rappresentata in un numero di decimali inferiori a quello previsto. In altri termini, la questione è se, in caso di difformità tra le due offerte, di cui una con un numero di decimali inferiori a quanto previsto, debba essere comunque applicata la suddetta normativa che impone la valutazione dell’offerta più favorevole all’Amministrazione. Sostiene, in tal senso, la ricorrente che ove fosse stata presa in considerazione l’offerta espressa in lettere (pari a 33,927%) piuttosto che quella in cifre (pari a 33,0927%), la media sarebbe cambiata a suo favore, determinandone l’aggiudicazione. Sostengono le parti resistenti che, trattandosi di un mero errore materiale e che dall’allegato 6 al bando di gara risulterebbe determinante l’indicazione delle offerte in cifre, posto che quella in lettere sarebbe preceduta dalla dicitura “dicasi”, ad indicare che quest’ultima sarebbe una mera specificazione della reale offerta già numericamente espressa, bene avrebbe fatto il seggio di gara a considerare come valida quest’ultima. In particolare, secondo la controinteressata, per effetto dell’articolo 3 legge regionale n. 16/2010, tutte le offerte sarebbero state presentate, appunto, con quattro cifre decimali, così come quella correttamente utilizzata dal seggio di gara. Il Collegio premette che in nessuna parte degli atti di autoregolamentazione, ivi compreso l’allegato 6, é prevista la modalità di espressione dell’offerta con quattro cifre decimali. Resta da considerare se l’articolo 3 della l.r. n. 16/2010 trovi comunque applicazione, di guisa che sarebbe possibile sostenere la correttezza dell’applicazione del ribasso effettuato secondo le prescrizioni della predetta norma. La tesi non può essere condivisa. La disposizione in questione è stata introdotta in Sicilia dall’art. 1, comma 9, della L.R. 21.8.2007 n. 20, volto a regolare “modifiche ed integrazioni alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotta dalla legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche ed integrazioni”. La stessa così espressamente recitava: << 9. Il comma 1 dell’articolo 21 della legge n. 109/1994, come introdotto dall’articolo 17 della legge regionale n. 7/2002 e successive modifiche e integrazioni, è sostituito dal seguente: “1. L’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto è effettuata di norma con il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara o con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura, che a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con 4 cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente a tutto l’elenco prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta.″>>. La disposizione è stata ulteriormente modificata dalla L.R. 3.8.2010 n. 16, avente ad oggetto, “modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti”, il cui art. 3, così recita: <<1. All’articolo 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotto dall’articolo 17 della legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche e integrazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) Il comma 1 è sostituito dal seguente: “1. Per i criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse si applicano le disposizioni degli articoli 81, 86 commi 1, 3, 3-bis, 3-ter e 4, 87 commi 2, 3, 4-bis e 5, 88 commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 5 nonché il comma 9 dell’articolo 122 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche e integrazioni. Il criterio del prezzo più basso inferiore a quello a base d’asta è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura, che a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con quattro cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente all’elenco prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta”>>. Quindi, la previsione relativa alle quattro cifre decimali è rimasta identica, mentre è cambiata soltanto la premessa della norma, con il rinvio, da parte della disposizione più recente, alle norme contenute nel codice degli appalti. L’art. 1 della L.R. 12.7.2011 n. 12, volta a regolare il “recepimento del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e successive modifiche ed integrazioni”, così recita: <<Art. 1 Applicazione della normativa nazionale. 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modifiche dalla stessa introdotte, si applicano nel territorio della Regione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione della direttiva 2004/17/CE e della direttiva 2004/18/CE” e le sue successive modifiche ed integrazioni ed i regolamenti in esso richiamati e successive modifiche, fatta eccezione dell’articolo 7, commi 8 e 9, dell’articolo 84, commi 1, 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11 e 12, dell’articolo 128 e dell’articolo 133, comma 8. In particolare, si applica il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 e le successive modifiche ed integrazioni, con esclusione delle parti riferibili alle norme del decreto legislativo 163/2006 espressamente dichiarate non applicabili in forza della presente legge. Entro il 31 dicembre 2011, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto regionale, saranno definite le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente capo. 2. I riferimenti al “Bollettino Ufficiale della Regione” e alla “Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana” contenuti nel decreto legislativo n. 163/2006 devono intendersi riferiti alla “Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana”; nel caso di riferimenti ad organi ed istituzioni statali deve farsi riferimento ai corrispondenti organi ed istituzioni regionali. 3. Sono fatti salvi l’articolo 3 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20, e l’articolo 7 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>. L’impianto generale è confermato dall’art. 1 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, “Regolamento di esecuzione ed attuazione della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12”, che, nella parte di interesse, così stabilisce: <<Art. 1 Disposizioni generali. 1. Ai sensi dell’articolo 1 della legge regionale n. 12/2011, gli appalti di lavori, servizi e forniture sono disciplinati nella Regione siciliana nel rispetto delle prescrizioni poste dal decreto legislativo n. 163/2006 ed in specie degli articoli 4 e 5 dello stesso, nonché dal D.P.R. n. 207/2010, fatto salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento. 2. Tutte le disposizioni del presente regolamento trovano applicazione, salvo diversa previsione espressa, nei confronti della Regione siciliana e di tutti gli altri soggetti indicati all’articolo 2 della legge regionale n. 12/2011>>. Da una prima lettura sembra emergere che le uniche norme “salvate” dalla novella della l.r. 12/2011 sono l’articolo 3 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20 (e, quindi, non l’art. 1) e il solo articolo 7 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16 (e, quindi, non l’art. 3). FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 173 Tuttavia, l’art. 32 della medesima l.r. 12/2011, dispone, per quanto di interesse, che << con l’entrata in vigore della presente legge sono abrogati: omissis g) la legge regionale 2 agosto 2002, n. 7, con esclusione dell’articolo 42, comma 1; omissis m) l’articolo 1, commi 1, 2 e 7 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20; omissis o) gli articoli 1, comma 1, 2 e 3 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>. Quindi, sia pure nella non assoluta chiarezza dell’intenzione del Legislatore regionale, è da ritenere che l’art. 3 della l.r. 16/2010, che contiene in termini di decimali nell’offerta, la precedente previsione di cui all’art. 1, comma 9, della l.r. 20/2007, sia rimasto in vigore, non potendosi sostenere la sua abrogazione implicita, per altro, a fronte dell’inesistenza di una norma nel codice degli appalti dello stesso segno con esso contrastante (ed, invero, l’art. 74, nella qualificazione dell’offerta, nulla dice in merito ai decimali da apporre all’offerta, rilasciati, pertanto, alla previsione contenuta negli atti di autoregolamentazione). E’ da dire, però, che la norma, non essendo stata richiamata espressamente (ma neanche abrogata) dalla l.r. 12/2011, non rientra nella previsione di cui al comma 6, dell’art. 11 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, secondo il quale << ai sensi dell’articolo 46, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 163/2006, la violazione delle prescrizioni scaturenti dalla legge regionale n. 12/2011 e dalle correlate norme del presente regolamento costituisce causa di esclusione>>. Resta da verificare se possa entrarvi in sede di eterointegrazione del bando, che, si ribadisce, nulla dispone in tal senso. Sul punto, questa Sezione (cfr. T.A.R. Catania, sez. IV, 16/12/2011, n. 3039), dopo aver premesso di ben conoscere <<quella giurisprudenza, . . . secondo la quale la mancanza di una o più cifre decimali non altererebbe il computo aritmetico, dovendo ritenersi sottintesa l’aggiunta di due zeri dopo le prime due cifre decimali>>, ha già avuto modo di chiarire che <<tuttavia, bisogna considerare che la richiamata disposizione interviene, tra l’altro, a modificare una norma precedente, che richiedeva invece l’indicazione di tre cifre decimali, potendo ben ritenersi che la disposizione in esame abbia voluto porre rimedio alla creazione di ″cordate″ di imprese che offrono tutte il medesimo ribasso. Ed infatti, la necessità di dover indicare una cifra di ribasso con ben quattro decimali renderebbe estremamente difficile sostenere che la eventuale coincidenza di più offerte sia dovuta a un caso fortuito. Tale tesi è poi rafforzata anche dalla precisazione finale contenuta nella stessa disposizione, secondo la quale ″non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta″, inducendo a ritenere che nessuna deroga sia consentita al suo tenore letterale, che impone l’indicazione di quattro cifre decimali>>. Aggiunge il Collegio che proprio tale tipo di indicazione non solo qualificava l’offerta in maniera omogenea in Sicilia, ma, a fronte delle predette corrette considerazioni, era sorta proprio per evitare il fenomeno, estremamente ricorrente, delle “cordate” caratterizzate dalla medesima offerta di ribasso (ed oggetto di particolare interesse del Giudice di seconde cure, che, spesso, ha ritenuto di stigmatizzare in sede di decisione il fenomeno, investendo della questione il competente Giudice penale). Tuttavia, il nuovo sistema di aggiudicazione delle gare introdotto dalla l.r. 12/2011 di recepimento della normativa nazionale, mutuato direttamente dal codice degli appalti, impedisce naturaliter che si raggiunga un parametro di ribasso sempre più “incomprimibile” come nel passato. Ed infatti, mentre la L.R. n. 20/2007, prevedeva l’applicazione di un meccanismo matematico il cui inevitabile effetto era quello di determinare un restringimento sempre maggiore dell’intervallo delle offerte valide, sino a giungere - come è avvenuto nell’ultimo periodo - ad una assoluta identicità delle offerte di ribasso proposte dai partecipanti alle procedure di aggiudicazione, la disciplina nazionale, semmai, sembra orientare al continuo innalzamento della percentuale di ribasso. Più analiticamente, il precedente criterio di aggiudicazione siciliano prevedeva, in somma sintesi, il c.d. “taglio delle ali”, pari al 50% delle offerte ammesse, una particolare procedura con l’estrazione di un numero compreso tra 11 e 40, che rappresentava la percentuale delle offerte di minor ribasso che ricadevano nel taglio delle ali. Tale numero, poi, veniva sottratto al numero 50 e il risultato indicava la percentuale di offerte di maggior ribasso da eliminare dal calcolo della media di aggiudicazione. Il procedimento descritto, a tutta evidenza, mirava a rendere assolutamente casuale la distribuzione del taglio delle ali, al fine di scoraggiare eventuali “cordate” tendenti a condizionare il calcolo della media finale. Seguiva tutta una procedura improntata a impedire una preventiva conoscenza dell’incidenza dello scarto medio aritmetico nel calcolo della media di aggiudicazione al fine di rendere ulteriormente difficoltoso il condizionamento della media di aggiudicazione. È da ritenere che siffatto meccanismo sia stato la causa di quel particolare fenomeno per il quale le offerte di ribasso presentate dalle imprese siciliane si sono sempre più ravvicinate, sino a raggiungere un risultato finale, presente praticamente in tutte le gare. In quest’ottica, risulta, altresì, comprensibile la previsione da parte del Legislatore regionale di ben quattro decimali nel ribasso, rivolta alla medesima finalità. Venuto meno, si ribadisce, siffatto complesso sistema di aggiudicazione delle gare, per essere stato adottato quello nazionale, anche le ragioni del predetto sistema sono cessate. Sicché, ad avviso del Collegio, pur non essendo stata, come chiarito, espressamente abrogata la norma che sancisce la previsione di quattro decimali nell’offerta, non può dirsi che la stessa costituisca un preciso obbligo nella formulazione dei bandi di gara e, conseguentemente, delle offerte. E in effetti, come chiarito, la disposizione non è stata prevista nel bando, sicché nessun obbligo vi era di redigere l’offerta con quattro decimali, di guisa che non è possibile affermare che il ribasso in tal modo espresso, in quanto conforme a legge, avrebbe dovuto, così come è avvenuto, essere preferito. Il Giudice di seconde cure, in sede cautelare, ha affermato che, al contrario, sarebbe stata corretta la valutazione dell’offerta espressa in lettere con sole tre cifre (nella quale é stato omesso lo zero quale prima cifra decimale, invece presente in quella espressa numericamente), essendo sufficiente aggiungere, in quanto evidentemente ininfluente ai fini matematici, lo zero quale quarta cifra e, dal raffronto delle percentuali così ottenute, in applicazione dell’art. 72 R.D. 23.5.1924, n. 827, avrebbe dovuto essere preferita quella più favorevole all’Amministrazione (e, quindi, quella così corretta). Ritiene il Collegio che sia condivisibile, così come altrimenti ritenuto da altra Giurisprudenza (cfr. T.A.R. Palermo, sez. III, 24 luglio 2009, n. 1342), che non vi sia <<alcuna ragione logico-giuridica per disporre l’esclusione dell’offerta, proposta con ribasso formulato con due cifre decimali: non può ritenersi violata la lex specialis stante la perfetta equivalenza (sia ai fini aritmetici che giuridici) dell’aver formulato il ribasso percentuale con un numero di decimali pari a due anziché pari a tre poiché la cifra decimale (la terza) che avrebbe dovuto seguire l’ultima indicata deve comunque ritenersi pari a zero e, dunque, tamquam non esset, ininfluente rispetto all’esito complessivo del calcolo della media delle offerte>>. Tuttavia, il principio non sembra potersi applicare al caso in esame, posto che ad avviso del Collegio, tale espediente, stante l’equivalenza matematica, può essere utilizzato per “sanare” un’offerta prevista da un atto di autolimitazione con un certo numero di decimali, ma concordemente rappresentata con una quantità inferiore ovvero per uniformare l’una all’altra (ad esempio, rispettivamente 33,927%. in ambedue i ribassi ove fosse stata prevista un’offerta con quattro decimali, ovvero, nel secondo caso, 33,927 in cifre e 33,9270% in lettere o viceversa). Altrimenti si verserebbe in un’ipotesi di indebita alterazione della volontà dell’offerente da parte dell’Amministrazione. Ne deriva che l’intervento correttivo dell’Amministrazione non può essere utilizzato né per “parificare” due offerte evidentemente difformi, né qualora la differenza sia il frutto di un mero evidente errore nella rappresentazione di una di esse e ciò neanche all’ulteriore fine di rendere applicabile l’art. 72 R.D. 72 del 23 maggio 1924 numero 827, ai sensi del quale “quando in una offerta all’asta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione”. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 175 E infatti, la norma, per come si evince dal suo chiaro tenore letterale, trova applicazione proprio nelle ipotesi di discordanza di prezzo fra lettere e cifre in due offerte compiutamente formulate e non, automaticamente, nel caso di “differenza” tra di esse determinata, quest’ultima, dall’evidente errore nella compilazione dei ribassi e per la quale, stante l’assoluta evidenza, è possibile risalire alla effettiva (manifesta) volontà della parte. Si vuole, in altri termini, dire che la norma é posta proprio a presidio della conservazione dell’offerta, che, a tutta evidenza, risultando discordante, dovrebbe essere causa di esclusione dell’offerente. Il Legislatore, proprio al fine di evitare l’incertezza determinata dal fatto del concorrente, ha ammesso la possibilità della sua permanenza nella gara, a condizione di considerare come valida l’offerta più vantaggiosa per l’amministrazione. Il principio, in altri termini, non può trovare applicazione quando la differenza tra percentuale in lettere e in cifre sia il frutto, però, di un errore materiale in cui è incorsa la concorrente talmente evidentemente da consentire di risalire immediatamente e in maniera inequivoca alla reale volontà espressa nell’offerta. Soccorre, in tal senso, la condivisibile giurisprudenza anche del Giudice di seconde cure (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 9 ottobre 2003, n. 6070), secondo la quale “Secondo orientamento giurisprudenziale costante (cfr., per tutte, Con. Stato, Sez. V, 6 maggio 1997 n. 466; id. 21 ottobre 1995 n. 1467), nella valutazione delle offerte in una gara d’appalto pubblico non sussiste discordanza d’espressione tra offerta in cifre ed offerta in lettere, tale da dover giustificare la prevalenza di quest’ultima ai sensi dell’art. 72 reg. cont. (r.d. 23 maggio 1924 n. 827), nel caso in cui l’offerta in cifre sia erroneamente formulata, con tre cifre decimali, in centesimi, anziché in millesimi, stante l’immediata riconoscibilità dell’errore in cui l’offerente è incorso)”. Appare condivisibile, quindi, quanto affermato anche da questo stesso Tribunale (cfr. T.A.R. sez. IV Catania , Sicilia 11/01/2007 n. 48), secondo il quale, <<ai sensi dell’art. 72, comma 2 del regolamento di contabilità generale dello Stato, quando in un’offerta per una gara d’appalto pubblico vi è discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello espresso in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per la p.a. appaltante e tale soluzione può essere adottata legittimamente quando si verifichi un’oggettiva divergenza tra le due indicazioni del prezzo, non importa se determinata da un errore ostativo o da altra ragione, ma non anche quando la discordanza scaturisca da un mero ed evidente errore materiale, nel qual caso si deve dare esclusivo rilievo al prezzo espresso in maniera esatta (CFR: Consiglio di Stato, sez. V, 28.2.02 n. 1228 e 6 maggio 1997, n. 466; Cons. giu. Amm. Sicilia, sez. consult. 5 maggio 1999, n. 170; TAR CATANIA, I, n. 227 de 1.2.01; Tar Sardegna, I, n. 1911/05 del 7/9/2005)>>. Ed ancora (cfr. T.A.R. Torino, II, 27/12/2006, n. 4721) <<L’incongruenza nell’offerta presentata in gara. . . deve essere risolta alla luce dei principi dettati dal codice civile in materia di annullamento del contratto quando il consenso sia viziato da errore essenziale e riconoscibile, applicabili - per il rinvio contenuto nell’art. 1324 del cod. civ. - anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, qual è l’offerta economica della gara (sul punto si veda Consiglio Stato, sez. V, 23 gennaio 2000, n. 327). Più correttamente, sotto il profilo civilistico, il fatto deve essere inquadrato tra le ipotesi di errore ostativo, cioè di errore sulla formulazione della dichiarazione. Secondo l’art. 1431 cod. civ. ″l’errore si considera riconoscibile quando in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo″. La riconoscibilità, come noto, indica una situazione potenziale: la possibilità per una persona di media diligenza di accorgersi del divario tra il contenuto della dichiarazione negoziale e quanto effettivamente voluto dal dichiarante>> Nel caso di specie, che non si tratti di discordanza, presupposto della norma in commento, ma di mero errore risulta palese per il fatto che una delle due percentuali, quella numerica, è espressa chiaramente e per esteso con quattro cifre decimali, mentre in quella accanto riprodotta in lettere è stato omesso, come chiarito, lo zero iniziale. Così come nel caso scrutinato dalla appena citata decisione del Tribunale piemontese, <<l’errore macroscopico commesso . . .non solo era facilmente riconoscibile da una persona in possesso delle ordinarie conoscenze professionali . . . , ma è stato effettivamente riconosciuto dalla destinataria della dichiarazione errata, cioè la stazione appaltante>>. Conclusivamente, l’errore in cui è incorsa parte controinteressata appare del tutto evidente e, anche alla luce dei principi privatistici (art. 1366 c.c., che impone l’interpretazione secondo buona fede, art. 1367, c.c., nel dubbio il contratto o le singole clausole vanno interpretate nel senso in cui possono avere effetto, anziché in quello dove tale effetto verrebbe meno, art.1369 c.c., le espressioni suscettibili di più letture, nel dubbio, vanno interpretate nel senso più conveniente rispetto alla natura e all’oggetto del contratto e 1371 c.c., permanendo ancora dei dubbi, le clausole vanno interpretate nel senso che si realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti), appare emendabile, così come è avvenuto, mediante il riferimento al ribasso completo di quattro cifre decimali, contenete, all’evidenza, quello zero omesso nella rappresentazione in lettere. Deriva che l’attività amministrativa è da ritenere priva di mende e, come tale, legittima. Consegue il rigetto del ricorso. La non immediata percettibilità dei principi in questione, avvalorata anche dalla diversa conclusione cui il Giudice d’appello è giunto nella fase cautelare, suggeriscono di compensare integralmente tra le parti, le spese di giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Cosimo Di Paola, Presidente Francesco Brugaletta, Consigliere Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 177 Tribunale amministrativo regionale Sardegna Sez. II 4 dicembre 2013 n. 815 Pres. Scano Est. Plaisant M. B. (avv. Tavolacci) Comune di Cagliari, R. M. e altri, A. S. P. e altri, altri (n.c.). (avv. Curreli), (avv. Barberio, Porcu), (avv. Massa, Vignolo) [1680/12] Concorsi a pubblici impieghi - Pprocedimento di concorso - Graduatoria e scorrimento - Per posti vacanti già alla data di indizione del concorso - Illegittimità - Ragioni. [1680/12] Concorsi a pubblici impieghi - Pprocedimento di concorso - Graduatoria e scorrimento - Per posti vacanti già alla data di indizione del concorso - Illegittimità - Successiva vacanza di ulteriori posti - Irrilevanza - Ragioni. Ai sensi dall’art. 91 comma 4, d.lg. n. 267 del 18 agosto 2000 (in base al quale, per gli enti locali, le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso medesimo), è illegittimo lo scorrimento in graduatoria per dei posti già vacanti alla data di indizione del concorso; tale norma, infatti, ha la finalità di evitare che l’amministrazione indica concorsi per un numero di posti inferiore alle proprie reali necessità, in tal modo disincentivando la partecipazione al concorso, per poi successivamente ampliare i posti messi a concorso mediante scorrimento della graduatoria. La ratio dall’art. 91 comma 4, d.lg. n. 267 del 18 agosto 2000 (evitare che l’amministrazione indica concorsi per un numero di posti inferiore alle proprie reali necessità, in tal modo disincentivando la partecipazione al concorso, per poi successivamente ampliare i posti messi a concorso mediante scorrimento della graduatoria) non viene meno nell’ipotesi in cui, dopo l’indizione del concorso, si rendano vacanti posti ulteriori, essendo il rischio direttamente collegato all’esistenza, o meno, dei posti vacanti al momento della pubblicazione del bando, giacché è proprio in relazione all’organico a quell’epoca vigente, che il legislatore impone all’amministrazione di predeterminare il numero dei posti da mettere a concorso. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 137 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Mario Bandel, rappresentato e difeso dall’avv. Gianmarco Tavolacci, con domicilio eletto presso il suo studio, in Cagliari, via Carbonia n. 22; contro Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall’avv. Carla Curreli, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale del’Ente, in Cagliari, via Roma n. 145; nei confronti di - Roberto Montixi, Claudia Madeddu, Teresa Carboni e Francesca Brundu, rappresentati e difesi dagli avv.ti Mauro Barberio, Stefano Porcu, con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, via Garibaldi n. 105; - Alessandra Serenella Piras, Manuela Atzeni e Gianbattista Marotto, rappresentati e difesi dagli avv.ti Massimo Massa e Marcello Vignolo, con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, piazza del Carmine n. 22; - Teresa Carboni, non costituita in giudizio. per l’annullamento: col ricorso introduttivo: - della determinazione del Direttore Generale del Comune di Cagliari 2010/12135 del 17/11/2010, con la quale si è dato corso alla copertura di 4 posti di Dirigente Amministrativo Contabile a tempo indeterminato mediante scorrimento della graduatoria degli idonei di un concorso per la copertura di n. 1 posto di Dirigente Amministrativo Contabile, precedentemente espletato; - della determinazione del Dirigente dello Sviluppo Organizzativo e Gestione del Personale del Comune di Cagliari 2010/14387 del 31/12/2010, con la quale si è dato corso alla copertura di ulteriori 2 posti; - della deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Cagliari n. 203 del 4/8/2010, avente ad oggetto “rideterminazione provvisoria della dotazione organica nelle more della definizione delle procedura di revisione della macrostruttura, della mappatura dei processi e della revisione dei profili professionali - aggiornamento fabbisogno di personale per il triennio 2010/2012”; - del regolamento per l’accesso agli impieghi del Comune di Cagliari approvato con deliberazione della Giunta Municipale n. 939 del 20/12/2001 e ss. mod.; con i motivi aggiunti depositati in data 23/12/2011: - della determinazione del Dirigente dello Sviluppo Organizzativo e Gestione del Personale del Comune di Cagliari 10363/2011 del 24/10/2001, con la quale si è dato corso alla copertura di 1 posto di Dirigente Amministrativo Contabile, a tempo indeterminato mediante scorrimento della graduatoria degli idonei; - della deliberazione della Giunta del Comune di Cagliari n. 105/2011 del 20/4/2011 avente ad oggetto “Approvazione piano fabbisogno di personale per il triennio 2011/2013”. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati. Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Cagliari e di Francesca Brundu e di Alessandra Serenella Piras. Manuela Atzeni e di Gianbattista Marotto. Viste le memorie difensive. Visti tutti gli atti della causa. Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2013 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO — Con determinazione dirigenziale 5 ottobre 2009, n. 4791, il Comune di Cagliari aveva indetto una procedura concorsuale per la copertura di un posto di “Dirigente amministrativo contabile” a tempo indeterminato, in esito alla quale, con determinazione dirigenziale 10 agosto 2010, n. 8520, è stato nominato vincitore il dott. Alessandro Cossa e altri 7 partecipanti sono stati dichiarati idonei non vincitori. Con successiva determinazione dirigenziale 17 novembre 2010, n. 12135 -sul presupposto che “con deliberazione G.C. n. 203 del 04.08.2010 è stato approvato il Piano triennale del fabbisogno di personale per il triennio 2010/2012”, che “in tale atto, per l’anno 2010, è prevista la copertura di n. 12 posti di categoria dirigenziale mediante ricorso a concorsi pubblici/o procedure di mobilità” e che “dalla data di pubblicazione del bando si sono resi vacanti n. 4 posizioni dirigenziali”- lo stesso Comune ha disposto lo scorrimento della graduatoria sino al quarto idoneo (senza considerare il vincitore), così attribuendo l’incarico di dirigente amministrativo contabile ai dott.ri Francesca Brundu, Roberto Montixi, Alessandra Serenella Piras e Claudia Madeddu. Inoltre, con successiva determinazione dirigenziale 31 dicembre 2010, n. 14387, il Comune –sulla base di motivazioni analoghe e osservando, altresì, che “successivamente alla data di approvazione della su citata determinazione n. 12135 del 17.11.2010 si sono rese vacanti ulteriori n. 2 posizioni dirigenziali”- ha disposto l’ulteriore scorrimento della graduatoria sino al settimo idoneo (senza considerare il vincitore), così attribuendo l’incarico di dirigente amministrativo contabile anche ai dott.ri Manuela Atzeni e Giambattista Marotto. Essendo in possesso di tutti i requisiti richiesti per proporre domanda di mobilità, il dott. Mario Bandel ha proposto il ricorso in esame, deducendo due distinte censure, aventi -in sintesi- il seguente contenuto: - ai sensi dell’art. 30, comma 2 bis, del d. l.gs. 30 marzo 2001, n. 165, il Comune -prima di procedere allo scorrimento della graduatoria- avrebbe dovuto avviare la procedura di mobilità; - ai sensi degli artt. 91 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e della deliberazione della Giunta comunale di Cagliari 20 dicembre 2001, n. 939, di tenore sostanzialmente identico, lo scorrimento della graduatoria è legittimamente attivabile solo per coprire posti resisi disponibili successivamente all’indizione del concorso cui si riferisce la graduatoria interes- FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 179 sata, mentre nel caso di specie alla data di indizione del concorso sarebbero già risultati vacanti n. 11 posti dirigenziali, dei quali n. 4 relativi alle funzioni di dirigente amministrativo contabile. Nelle more del giudizio il Comune di Cagliari ha adottato l’ulteriore determinazione 24 ottobre 2011, n. 10636, con cui ha nominato anche l’ottavo idoneo della graduatoria in questione, cioè la dott.ssa Teresa Carboni. Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 23 dicembre 2011, il ricorrente ha quindi esteso l’impugnazione anche a quest’ultima determinazione, denunciando i medesimi vizi già dedotti col ricorso introduttivo del giudizio. Si sono costituiti in giudizio sia l’amministrazione intimata, che i controinteressati Francesca Brundu, Alessandra Serenella Piras, Manuela Atzeni e Gianbattista Marotto, che, con separate memorie, si sono opposti all’accoglimento del ricorso, eccependone in via preliminare l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del T.A.R. e per carenza di interesse del ricorrente, in quanto privo dei requisiti per partecipare ad un’eventuale procedura di mobilità. Alla pubblica udienza del 27 marzo 2013, la causa, su richiesta delle parti, è stata posta in decisione. Con sentenza non definitiva 27 marzo 2013, n. 330, questa Sezione ha affermato la propria giurisdizione sulla controversia, ritenuto irrilevante (perché riferibile solo al primo motivo di ricorso) l’eccezione di difetto di interesse del ricorrente, respinto il primo motivo di ricorso e disposto incombenti istruttori necessari ai fini della decisione della seconda censura. In particolare è stato disposto, a cura del Comune di Cagliari, il deposito di copia della “pianta organica del ruolo dirigenziale vigente alla data di indizione del concorso a cui si riferisce la graduatoria utilizzata con i provvedimenti impugnati, in cui siano specificati i posti relativi a ciascun profilo professionale”, nonché di un “prospetto da cui risulti, per il profilo di dirigente amministrativo contabile, quanti posti erano coperti da personale assunto a tempo indeterminato alla data di indizione del medesimo concorso”. Con nota 17 maggio 2013 dell’Avvocatura comunale sono stati depositati in giudizio gli atti richiesti con la sopra descritta sentenza non definitiva. Con ulteriori memorie difensive ciascuna delle parti ha ulteriormente argomentato le proprie tesi. Alla pubblica udienza del 13 novembre 2013 la causa è stata trattenuta a decisione. DIRITTO — Si osserva, in primo luogo che l’eccezione di difetto di interesse ribadita dalla difesa comunale anche nelle memorie da ultimo depositate -sul presupposto che alla data di indizione del concorso (5 ottobre 2009) il dott. Bandel sarebbe stato privo dei requisiti per accedere ad una eventuale procedura di mobilità- è stata già ritenuta irrilevante con la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 330/2013, con cui si è ritenuto di prescindere dalle “eccezioni di rito prospettate dalle controparti” in quanto “ove accolte, pregiudicherebbero unicamente l’esame del primo motivo di gravame, il quale, però, essendo da respingere, può essere affrontato nel merito”. Ciò posto resta da decidere la seconda censura dedotta dal ricorrente, secondo cui n. 4 dei n. 7 posti di dirigente amministrativo contabile coperti mediante scorrimento della graduatoria concorsuale sarebbero stati già vacanti prima dell’indizione del concorso, per cui, almeno per questa parte, la procedura di scorrimento si porrebbe in contrasto con gli artt. 91, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 e con la deliberazione della Giunta comunale di Cagliari n. 939/2001, che ciò consentirebbero solo per la copertura dei posti resisi vacanti dopo l’indizione del concorso. Osserva il Collegio che dagli atti versati in giudizio a seguito dell’istruttoria processuale emerge quanto segue: - alla data di indizione del concorso (5 ottobre 2009) risultavano coperti nel profilo di dirigente amministrativo contabile a tempo determinato n. 11 posti (cfr. il doc. 1 prodotto dal Comune in data 17 maggio 2013, denominato nella nota di accompagnamento “prospetto relativo ai posti coperti come Dirigente amministrativo contabile”); - l’organico comunale per questo profilo professionale era di n. 15 posti in tutto (cfr. il prospetto di “individuazione dei profili professionali” prodotto dal Comune quale doc. 2). Tale documentazione, pertanto, conferma e avvalora l’esattezza della tesi sostenuta dal ricorrente. Sul punto sia la difesa del Comune che quella dei controinteressati eccepiscono che dopo l’indizione del concorso si sono resi disponibili ulteriori n. 7 posti di dirigente, a causa di altrettanti collocamenti a riposo e che tali sopravvenienze comunque giustificherebbero la decisione di far scorrere la graduatoria. La difesa della controinteressata dott. Brundu eccepisce, inoltre, che la pianta organica del Comune è stata in seguito modificata, riducendo da n. 15 a n. 13 i posti di dirigente amministrativo contabile. Secondo la difesa del Comune si dovrebbe tenere conto -nel novero dei posti già coperti alla data di indizione del concorso- anche dei tre posti all’epoca occupati da dirigenti di ragioneria, in quanto tale figura dirigenziale è stata poi “accorpata” a quella di dirigente amministrativo contabile. Il Collegio non condivide tali eccezioni e reputa fondato il secondo motivo di ricorso. Giova ricordare che, ai sensi dell’art. 91, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, “Per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso medesimo”. È pacifico in causa, a seguito della documentazione acquista a seguito di istruttoria, che prima dell’indizione del concorso fossero già disponibili in pianta organica n. 4 posti di dirigente amministrativo contabile e ciò comporta l’illegittimità della procedura di scorrimento per violazione della norma dianzi richiamata, quanto meno in relazione ai n. 4 posti già vacanti alla data di indizione del concorso. Né assume rilievo il fatto che dopo l’indizione dello stesso si fossero liberati ulteriori posti di dirigente amministrativo contabile, in quanto: - non è oggettivamente possibile distinguere, ai fini dello scorrimento della graduatoria, tra l’una e l’altra tipologia di posti; - soprattutto, la ratio dell’art. 91, comma 4, è quella di evitare che l’amministrazione indica concorsi per un numero di posti inferiore alle proprie reali necessità, in tal modo disincentivando la partecipazione al concorso, per poi successivamente ampliare i posti messi a concorso mediante scorrimento della graduatoria; - questo rischio non è scongiurato neppure laddove, dopo l’indizione del concorso, si rendano vacanti posti ulteriori, essendo quel rischio direttamente correlato all’esistenza o meno di posti vacanti al momento della pubblicazione del bando, giacché è proprio sull’organico a quell’epoca vigente che il legislatore impone all’amministrazione di predeterminare il numero dei posti da mettere a concorso. Ugualmente irrilevanti sono le circostanze del successivo accorpamento di alcune figure dirigenziali e della successiva riduzione dei posti di dirigente amministrativo contabile previsti in pianta organica, posto che l’art. 91, comma 4, vieta di tenere conto -ai fini dello scorrimento della graduatoria- anche dei “posti trasformati” dopo l’indizione del concorso, il che è proprio quanto accaduto in tali ipotesi. Pertanto il ricorso ed i motivi aggiunti sono fondati e ciò implica l’annullamento degli atti impugnati limitatamente alla parte in cui hanno previsto lo scorrimento della graduatoria a favore degli ultimi quattro dei sette candidati risultati idonei alla procedura concorsuale (dott.ssa Claudia Madeddu, dott.ssa Manuela Atzeni, dott. Giambattista Marotto e dott.ssa Teresa Carboni). Sussistono comunque giusti motivi per un’integrale compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto nei termini descritti in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. FORO AMMINISTRATIVO TAR - 12/2013 - ADDENDA ONLINE © GIUFFRÈ EDITORE 181 Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati: Francesco Scano, Presidente Alessandro Maggio, Consigliere Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore
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