Il Giornale di diritto amministrativo rivista nr 11 2014

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Giornale di diritto amministrativo
Sommario
EDITORIALE
Pubblica
UNA NUOVA STAGIONE DI RIFORME AMMINISTRATIVE
amministrazione di Stefano Battini
1017
NORME
Pubblica
LE MISURE URGENTI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
amministrazione Decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114
– La semplificazione, politica comune, di Giulio Vesperini
– La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di appalti pubblici in funzione anticorruzione,
di Fabio Di Cristina
– Le nuove disposizioni in materia di lavoro pubblico, di Massimo Macrı`
– Il processo amministrativo tra organizzazione e digitalizzazione, di Marco Macchia
– Le autorita` indipendenti e gli enti pubblici, di Maria De Benedetto
RASSEGNA DELLA NORMATIVA STATALE
a cura di Umberto G. Zingales
1019
1023
1032
1039
1044
1052
GIURISPRUDENZA
Procedimento
sanzionatorio
Consob
IL CASO GRANDE STEVENS C. ITALIA: LE SANZIONI CONSOB ALLA PROVA DEI PRINCIPI CEDU
Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10
Commento di Miriam Allena
1053
Pareggio
del bilancio
EQUILIBRIO DEI BILANCI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI: PRIME INDICAZIONI
DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Corte costituzionale, sentenza 10 aprile 2014, n. 88
Commento di Giustino Lo Conte
1068
LA RESPONSABILITA` CIVILE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PER VIOLAZIONE DIRETTA
DEL DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA
Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza 31 marzo 2014, n. 1508
Commento di Livia Lorenzoni
1076
LE PRONUNCE DELLA CORTE DI STRASBURGO E IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
Tar Catania, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 424
Commento di Alessandro Basilico
1086
Responsabilita`
della p.a.
Giurisdizione
Osservatori
CORTE DI GIUSTIZIA E TRIBUNALE DELL’UNIONE EUROPEA
a cura di Edoardo Chiti e Susanna Screpanti
1093
CONSIGLIO DI STATO - DECISIONI
a cura di Luigi Carbone e Mario D’Adamo
1095
TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI
a cura di Giulia Ferrari
1099
CORTE DEI CONTI
a cura di Laura D’Ambrosio e Francesco Battini
1104
AUTORITA` NAZIONALE ANTICORRUZIONE
a cura di Domenico Galli e Claudio Guccione
1107
AUTORITA` INDIPENDENTI - AUTORITA` AEEG
di Paolo Cirielli e Marika Miceli
1110
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
1015
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Giornale di diritto amministrativo
Sommario
DOCUMENTI
Trasparenza
amministrativa
LE LINEE GUIDA DEL GARANTE: PROTEZIONE DEI DATI E PROTEZIONE DELL’OPACITA`
Garante della protezione dei dati personali - Provvedimento del 15 maggio 2014
Commento di Enrico Carloni
1113
LIBRI
1122
SEGNALAZIONI E RECENSIONI
INDICI
1124
INDICE AUTORI, CRONOLOGICO E ANALITICO
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Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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Opinioni
Pubblica amministrazione
Una nuova stagione di riforme
amministrative
di Stefano Battini
Con il c.d. disegno di legge Madia, una nuova stagione di riforme strutturali dell’amministrazione
pubblica italiana promette di prendere avvio. Il
provvedimento affronta le principali emergenze,
che riguardano soprattutto la semplificazione amministrativa, da un lato, e, dall’altro lato, il problema del c.d. capitale umano, troppo vecchio e privo
di adeguata formazione.
Le politiche di semplificazione amministrativa
hanno seguito, negli ultimi venti anni, due strade:
gli istituti di semplificazione ad applicazione generale, previsti dalla legge per tutti i procedimenti; e
le semplificazioni di singole procedure, autorizzate
dalla legge, ma definite dall’amministrazione ritagliando la soluzione di semplificazione caratteristiche di un dato processo decisionale. Anche il disegno di legge Madia segue entrambe le strade. Le
semplificazioni generali riguardano, fra l’altro, l’ennesima riscrittura della conferenza di servizi (è significativo che fra i criteri di delega vi sia quello
della semplificazione di un istituto di semplificazione), una condivisibile norma diretta ad identificare
con più certezza i procedimenti che ricadono nell’ambito di applicazione di silenzio assenso e Scia,
nonché un nuovo istituto ad applicazione generale,
che è il silenzio assenso fra amministrazioni. L’esperienza però insegna che è dalla seconda strada
che si possono attendere i migliori risultati, benché
quella strada sia più difficile e più lunga. La vera
semplificazione non è una riforma, ma il risultato
di un’attività riformatrice permanente, continuativa, faticosa, svolta caso per caso e processo decisionale per processo decisionale. Essa non sempre richiede norme legislative e, talvolta, non richiede
nemmeno di modificare il quadro normativo. Per
questa ragione, se si dovesse assegnare l’Oscar al
“miglior comma protagonista” del disegno di legge,
suggerirei l’art. 1, comma 2, lett. c): «previsione
dell’aggiornamento continuo, anche previa delegificazione o deregolamentazione, delle modalità di erogazione dei servizi e di svolgimento dei processi decisionali, sulla base delle tecnologie disponibili e del grado
di diffusione delle stesse presso gli utenti e di soddisfazione degli stessi». Continuità; delegificazione
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
e deregolamentazione; soluzioni modulate sul singolo tipo di procedura; uso delle tecnologie: ecco
gli ingredienti fondamentali della politica di semplificazione.
La seconda emergenza è quella del personale.
I problemi sono chiari. Primo, vecchiaia: i dipendenti pubblici italiani hanno 52 anni di media e
solo il 10% ha meno di 35 anni (in Francia e UK
le percentuali si attestano al 27% e 25%). Secondo, istruzione insufficiente: i laureati sono appena
il 30,5% contro il 45% in UK e il 50,7% in Francia. Terzo, scarso ricorso al lavoro flessibile, che
potrebbe essere strumento per assumere giovani
laureati: il lavoro flessibile si è ridotto del 30% nell’ultimo decennio.
Anche le cause non sono misteriose. Primo: politiche di contenimento della spesa … “a spese” degli
outsiders, cioè dei più deboli. Chi cerca un lavoro,
è bloccato … dal blocco del turn over. Chi è precario, alla fine o viene espulso, indipendentemente
dal merito, oppure attende una “stabilizzazione”,
che spesso non è collegata al merito e, quando arriva, è pure incostituzionale. Secondo: scelte contrattuali (recte, sindacali) sempre a vantaggio degli
insiders, cioè dei più forti. La scarsa percentuale di
laureati dipende dai misfatti della contrattazione
integrativa. Questa ha previsto promozioni indiscriminate alle qualifiche più elevate, mangiandosi
anche le risorse destinate alla retribuzione di risultato, con la conseguenza che il personale non laureato, adibito a compiti che richiederebbero la laurea, è stimato addirittura al 49%.
I rimedi sono più difficili. Attengono almeno a tre
aspetti: accesso, contrattazione, dirigenza. Tutti sono affrontati dal disegno di legge, con scelte condivisibili, tranne una.
Quanto all’accesso, per ringiovanire la burocrazia e
renderla più istruita, non vi è che un mezzo: il concorso pubblico. È un termine che ricorre 16 volte
nel testo del disegno di legge. Ed è un gran bene
restituire centralità a tale principio costituzionale.
Però non basta prevedere che il reclutamento,
quando avviene, avviene per concorso. Bisogna garantire che i concorsi vengano banditi effettiva-
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Opinioni
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Pubblica amministrazione
mente e regolarmente. Qui le norme del disegno di
legge sono tanto giuste quanto importanti: si prevede la “cadenza annuale del corso-concorso” per
l’accesso alla dirigenza e l’accentramento dei concorsi. Queste misure dovrebbero garantire che un
giovane e bravo laureato possa pensare alla carriera
nell’amministrazione come ad una opportunità certa: ci si prepara al concorso, che si terrà nell’anno
successivo alla laurea; e se va male la preparazione
servirà per il concorso dell’anno successivo. Senza
certezza, non si può programmare il futuro; e le intelligenze migliori si rivolgono altrove. Bisogna poi
affrontare il problema del lavoro flessibile, rifuggendo dai due estremi: i divieti di assumere precari;
la stabilizzazione senza concorso dei precari assunti.
A tal fine, bisognerebbe procedere in due direzioni:
da una parte, sottoporre ad un concorso serio e selettivo anche l’accesso al rapporto di lavoro flessibile; dall’altra parte, introdurre un percorso concorsuale privilegiato, ma non automatico, che possa poi consentire il passaggio dalla flessibilità alla
(maggiore) stabilità. In parte, l’ordinamento si è
incamminato su questa via e in questo senso parrebbe muoversi il disegno di legge delega: “riconoscimento nei concorsi pubblici della professionalità
acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con amministrazioni pubbliche”. Insomma, occorre combinare l’approccio delle tutele
crescenti con il pieno rispetto del principio del
concorso pubblico. Non è impossibile.
Quanto alla contrattazione, bisogna porre sotto controllo i contratti integrativi. La via giusta non è
però quella di limitarli legislativamente, togliendo
ad essa materie, bensì quella di rafforzare e responsabilizzare le parti pubbliche che negoziano. Il disegno di legge segue sia la prima soluzione (“definizione delle materie escluse dalla contrattazione integrativa”), sia la seconda, rafforzando i poteri di
controllo e di assistenza dell’Aran. È auspicabile
che i decreti delegati privilegino quest’ultimo criterio.
La dirigenza è tema troppo ampio e complesso per
lo spazio qui a disposizione. È bene limitarsi perciò
a due osservazioni, di segno opposto.
Quella di segno positivo attiene alla responsabilizzazione della dirigenza. Qui le riforme erano dapprima andate nella direzione giusta, per poi dar
luogo a un pasticcio. La direzione giusta era quella
della responsabilità dirigenziale per i risultati, anzi-
1018
ché per singole violazioni di obblighi di servizio.
Invece, di recente, si è assistito ad una trasfigurazione della responsabilità dirigenziale: anziché colpire il risultato negativo della gestione, si sono colpiti, con norme ad hoc, una serie di comportamenti
che, nella valutazione del legislatore, sono suscettibili di produrre risultati negativi della gestione. Ma
così la responsabilità dirigenziale è venuta a sovrapporsi e confondersi con la responsabilità disciplinare e amministrativa, divenendone un succedaneo. E si è de-responsabilizzato il dirigente, togliendogli autonomia e soffocandone la già limitata attitudine manageriale: egli non deve scegliere in funzione del risultato, ma, soprattutto, osservare i precetti legislativi. Era necessario tornare sulla retta
via ed è più che opportuno che il disegno di legge
preveda un riordino della disciplina in materia diretto a circoscrivere la responsabilità dirigenziale
alle ipotesi originarie.
L’osservazione di segno negativo riguarda invece il
rapporto con la politica. Il dirigente pubblico deve
avere la schiena dritta. Deve realizzare gli obiettivi
indicati dal vertice politico, ma osare anche contraddirlo, quando è necessario. Il disegno di legge
contiene molte cose positive, anche in questa prospettiva, tra cui la maggiore trasparenza delle procedure di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, su cui apposita Commissione è chiamata
a vigilare. C’è però un’ombra: il licenziamento del
dirigente “dimenticato”, a cui nessuno, cioè, ha
pensato di conferire un incarico. Non è difficile
immaginare gli effetti di questa norma: il dirigente,
mentre svolge un incarico, penserà alla sua collocazione successiva; egli penserà a costituirsi quella
rete di relazioni e contatti, con il mondo politico
(ma non solo), che gli garantiscano la sopravvivenza al termine dell’incarico, magari presso una
diversa amministrazione. Se il dirigente lavora bene e basta, in assenza di quella rete di “protezioni”,
rischia di venire appunto dimenticato e, quindi,
dopo un po’, licenziato. Ma l’amministrazione ha
bisogno di dirigenti che, durante un incarico, pensino solo a svolgerlo bene: se i risultati sono negativi, devono poter essere sanzionati, magari anche
con il licenziamento. Ma se i risultati sono positivi,
non devono essere licenziati, sol perché nessuno si
ricorda più di loro, o perché non hanno fatto nulla
per essere ricordati da chi conta al momento opportuno.
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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Pubblica amministrazione
Decreto legge n. 90/2014
Le misure urgenti sulla pubblica
amministrazione
DECRETO LEGGE 24 GIUGNO 2014 N. 90 CONVERTITO IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI,
DALL'ART. 1, COMMA 1, LEGGE 11 AGOSTO 2014, N. 114
Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari G.U. n. 144, 24 giugno 2014
(Omissis)
La semplificazione, politica comune
di Giulio Vesperini
Nel titolo dedicato dal decreto legge n. 90/2014 alle misure di semplificazione, rivestono importanza, per
poter dare una valutazione di assieme degli indirizzi seguiti dal legislatore, due serie di previsioni: quelle
sull’agenda per la semplificazione e quelle per la redazione di moduli uniformi e standardizzati su tutto il
territorio nazionale per la presentazione di istanze, segnalazioni e richieste da parte di cittadini e di imprese. Queste disposizioni sono interessanti, soprattutto, per le innovazioni che introducono nel governo delle politiche di semplificazione: esse sono caratterizzate quali politiche comuni del complesso Stato-regioni-autonomie locali; il Ministro della semplificazione e della pubblica amministrazione viene identificato
quale il centro unitario di riferimento di quelle stesse politiche per il governo nazionale.
Le norme di semplificazione nel d.l. n.
90/2014
Dei nove articoli dei quali si compone il titolo II
del d.l. n. 90/2014, sugli “interventi urgenti di semplificazione”, il più interessante, ai fini di una valutazione di assieme degli indirizzi seguiti in materia,
è il primo, l’art. 24. Gli altri dispongono la semplificazione di singoli procedimenti (artt. 25-27); razionalizzano le norme sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni (art. 24-bis); introducono
modifiche al codice dell’amministrazione digitale
(artt. 24-ter – 24-quinquies) (1).
L’art. 24, a sua volta, contiene due gruppi di disposizioni: quelle sull’agenda per la semplificazione
(c. 1); quelle sulla modulistica per la presentazione
di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei
cittadini e delle imprese (c. 2 e ss.). Di ciascuna di
queste due disposizioni si illustrano, di seguito, i
principali contenuti, i precedenti, i problemi aperti.
L’agenda per la semplificazione
L’agenda per la semplificazione deve contenere
«le linee di indirizzo condivise tra Stato, regioni,
province autonome e autonomie locali e il cronoprogramma per la loro attuazione». Inoltre, essa deve contemplare la sottoscrizione di accordi e intese
tra le stesse amministrazioni per coordinare le iniziative e proseguire le attività per l’attuazione
“condivisa” delle misure del d.l. n. 5/2012 (convertito con l. n. 35/2012). Altri accordi, regolati dalla
stessa agenda, servono per l’istituzione di un comitato interistituzionale e la definizione delle forme
di consultazione dei cittadini, delle imprese e delle
loro associazioni. L’agenda si riferisce al triennio
(1) Misure più ampie in materia sono contenute nel ddl del
governo su “Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, A.S. 1577.
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
1019
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Pubblica amministrazione
2015-2017 ed è adottata dal Consiglio dei ministri,
su proposta del Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione, previa intesa con la
conferenza unificata. Entro i quarantacinque giorni
successivi alla sua approvazione, il Ministro ne illustra i contenuti alla commissione parlamentare per
la semplificazione, mentre entro il 30 aprile di ogni
anno riferisce alla commissione stessa sul suo stato
di attuazione.
L’agenda, quindi, viene configurata dal legislatore come lo strumento per la programmazione, la regolamentazione e l’organizzazione di politiche di
semplificazioni comuni allo Stato, alle regioni e agli
enti locali, da svolgere nell’arco del triennio considerato. Alle politiche e agli indirizzi così definiti,
ciascun ente di governo, poi, dovrà dare seguito,
per le parti e con i poteri di rispettiva competenza.
La previsione dell’agenda è importante perché
modifica in modo significativo l’organizzazione e
gli strumenti del governo delle politiche di semplificazione sotto due principali profili. Da un lato,
perché, come si è appena notato, queste si caratterizzano quali politiche comuni, riguardanti, cioè, il
complesso delle amministrazioni centrali, regionali
e locali. Dall’altro lato, perché, per quanto riguarda
il governo centrale, si imputa ad un solo soggetto,
il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, la responsabilità della direzione di
queste stesse politiche.
Sotto il primo aspetto, la norma del 2014 segnala
il passaggio da un modello tendenzialmente “normativo” e “dualistico”, imperniato, cioè, perlomeno nei
suoi riferimenti di carattere generale, su norme statali di semplificazione da attuarsi, con maggiore o
minore grado di autonomia a seconda dei casi, dalle
regioni e dagli enti locali, sempre con proprie norme; ad un modello “amministrativo” e “condiviso”,
nel quale, cioè, la politica di semplificazione trova
la sua espressione più importante in un atto amministrativo di programmazione e nel quale, inoltre, lo
Stato e il sistema delle autonomie concordano gli
indirizzi da seguire, le misure per dare loro attuazione, i tempi di realizzazione e affidano ad un apposito
organismo misto (il comitato interistituzionale, del
quale si è detto) il compito di guidare e seguire l’attuazione del programma medesimo.
Questo modello ha origine nella prassi recente
dei rapporti tra i governi nazionale, regionali e lo-
cali. Il riferimento più immediato si ha nell’accordo concluso in conferenza unificata il 10 maggio
2012, per l’attuazione delle norme di semplificazione del d.l. n. 5/2012. I contenuti di questo stesso
accordo sono importanti perché di essi si trova ampia traccia nella disciplina del d.l. n. 90/2014: con
l’ulteriore conseguenza che le previsioni dell’accordo possono ragionevolmente essere utilizzate per
interpretare e integrare i contenuti, in alcuni casi
davvero scarni, della normativa di legge sull’ agenda di semplificazione. L’accordo del 2012, infatti,
muove dalla enunciazione della necessità, “condivisa” dallo Stato, dalle regioni e dalle associazioni
rappresentative degli enti locali, «di sviluppare le
politiche di liberalizzazione e di semplificazione
amministrativa come elementi portanti per il rilancio e lo sviluppo economico del Paese»; impegna i
contraenti a “condividere” le politiche di semplificazione e le «rispettive azioni normative e amministrative in ragione dell’assetto multilivello delineato dalla Costituzione»; prevede la costituzione di
un tavolo istituzionale, composto da rappresentanti
dello Stato, della conferenza delle regioni, dell’Anci e dell’ Upi; stabilisce i criteri per l’individuazione dei procedimenti da semplificare e delle modalità con le quali agire; fissa un calendario di lavoro;
impegna, infine, i contraenti alla costituzione di
una banca dati unica di tutti i procedimenti amministrativi e degli adempimenti relativi alle attività
economiche, articolata su base regionale. All’ accordo è seguita una “intensa collaborazione” tra i
diversi enti (2) che ha riguardato, tra l’altro, la misurazione degli oneri nel settore dell’edilizia; le misure per la semplificazione dello sportello unico per
l’edilizia; l’istruttoria dello schema di autorizzazione
unica ambientale; la predisposizione delle linee
guida per i controlli sulle imprese; il nuovo programma per la riduzione degli oneri amministrativi.
Sotto il secondo profilo, quello della concentrazione in capo al Ministro per la semplificazione e
la pubblica amministrazione della responsabilità
dell’agenda e delle politiche che attraverso di questa sono definite, il d.l. n. 90/2014 introduce una
importante novità rispetto agli indirizzi seguiti in
passato nella organizzazione e negli strumenti di
governo della semplificazione. Fino ad ora, infatti,
le scelte in materia hanno oscillato tra diverse opzioni e hanno, comunque, determinato una fram-
(2) Secondo la definizione che ne ha dato, nell’intervento al
Forum P.A. 2013, il direttore dell’ufficio per la semplificazione
amministrativa del dipartimento della funzione pubblica. Ulteriori notizie sull’accordo, i suoi contenuti e le azioni intraprese
in esito ad esso, si rinvengono nella audizione (10 febbraio
2014) dello stesso direttore dell’ufficio per la semplificazione
presso la commissione parlamentare per la semplificazione nel
corso dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa
e amministrativa.
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Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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Normativa
Pubblica amministrazione
mentazione delle responsabilità tra diversi centri:
hanno oscillato tra l’opzione a favore dell’imputazione ad un centro unitario della direzione delle
politiche di semplificazione e quella della accentuazione delle competenze in materia delle singole
amministrazioni; hanno frammentato la responsabilità perché le stesse competenze del governo centrale sono state divise tra la presidenza del consiglio, il dipartimento della funzione pubblica e, a seconda dei casi, una pluralità di altri organismi, monocratici o collegiali.
Per la definizione e l’attuazione dell’agenda per
la semplificazione, il d.l. n. 90/2014 innova su entrambi i punti: in luogo della frammentazione tra
una pluralità di differenti uffici centrali, si concentrano le competenze in capo ad un unico soggetto,
il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
Detto dei contenuti della norma e delle novità
che essa introduce, ci sono quattro punti problematici che possono essere segnalati. Innanzitutto,
l’agenda per la semplificazione si riferisce, per
espressa disposizione del legislatore, solo al triennio
2015/2017: non è quindi intesa come strumento
permanente della politica della semplificazione, ma
come programma di lavoro di un triennio. Si tratta, però, con tutta evidenza, di una scelta che contraddice e indebolisce le potenzialità innovative
connesse alla previsione di questo nuovo strumento di programmazione.
In secondo luogo, nulla dice la norma in ordine
al rapporto tra l’agenda stessa e il piano di azione
della semplificazione, regolato dal d.l. n. 4/2006. Il
piano, da adottarsi da parte del Consiglio dei ministri, su proposta di un comitato interministeriale di
indirizzo, previo parere del Consiglio di Stato, è ormai caduto in desuetudine, poiché in questi otto
anni è stato adottato una sola volta (nel luglio
2007); ma proprio per questo sarebbe stato agevole
abrogare la relativa previsione normativa e snellire,
così, il quadro, già molto farraginoso, delle norme
sugli strumenti di governo della semplificazione.
In terzo luogo, come si è già anticipato, la disciplina dell’agenda è molto scarna e restano quindi
insoluti una serie di problemi sui suoi contenuti.
Per esempio: gli indirizzi che devono essere concordati tra lo Stato e il sistema delle autonomie riguardano anche l’esercizio del rispettivo potere
(3) A. Natalini, La semplificazione dei mille giorni, in nelmerito.com, 28 luglio 2014.
(4) In materia, si veda il report predisposto dal dipartimento
della funzione pubblica, nell’aprile del 2014, in esito alla consultazione pubblica sulle cento procedure da semplificare e
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
normativo, come potrebbe far supporre, tra l’altro,
il rinvio operato dalla norma stessa all’art. 8 della
l. n. 131/2003 che prevede intese tra Stato e regioni dirette «a favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni», o si limitano al coordinamento
delle azioni amministrative? Quali sono i compiti
del comitato interistituzionale? E’ possibile modificare, nel corso del triennio, l’agenda? Cosa accade
se non si raggiunge l’intesa in conferenza unificata
circa i contenuti dell’agenda stessa?
Un quarto problema riguarda proprio la concentrazione in capo al Ministro della semplificazione del potere di proposta dell’agenda: ci si è
chiesti se l’assenza di un concerto con i ministri
di settore «sarà un modo per vincere il potere di
veto delle branche dell’amministrazione che fino
ad adesso sono riuscite a sottrarsi ad ogni intervento di semplificazione (prima tra tutte quella fiscale) oppure risulterà ancora più difficile coinvolgerle» (3).
L’unificazione dei moduli per la
presentazione di istanze
Come si è anticipato, la seconda parte dell’art.
24 del d.l. n. 90/2014 è dedicata alla previsione di
moduli unitari e standandizzati per la presentazione di istanze, segnalazioni e dichiarazioni da parte
dei cittadini e delle imprese. Il problema che si intende risolvere si può facilmente descrivere nei seguenti termini: moduli unificati e standardizzati su
tutto il territorio nazionale consentono alle imprese e ai cittadini di orientarsi meglio e di evitare,
quindi, che, per uno stesso tipo di istanza, essi
debbano compilare moduli diversi, a seconda dell’ufficio al quale l’istanza stessa debba essere presentata (4).
La legge prevede due diverse procedure per la
determinazione di tali moduli. Per quelli riguardanti istanze, segnalazioni, dichiarazioni da proporsi ad
amministrazioni dello Stato, nei sei mesi successivi
all’entrata in vigore del decreto legge, provvede il
Ministro competente, di concerto con quello per la
semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della conferenza unificata. Per quanto
riguarda, invece, l’unificazione e la standardizzazione dei moduli per i procedimenti di avvio delle attività produttive e per quelli in materia di edilizia,
avente come titolo: Semplificazione: cosa chiedono cittadini e
imprese. Report sui risultati della consultazione pubblica. Il testo
è consultabile al seguente link: http://www.funzionepubblica.gov.it/media/1166142/risultati_100procedure_apr2014.pdf.
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Normativa
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Pubblica amministrazione
Stato, regioni ed enti locali concludono accordi o
intese in conferenza unificata (5).
Le disposizioni appena illustrate riprendono ed
estendono una tecnica (quella appunto della previsione di modelli unificati e standardizzati) già oggetto di recenti normative di settore. In questo
stesso senso, ad esempio, disponevano già l’art. 5,
c. 2, d.P.R. n. 227/2001, a proposito del modello
per la richiesta di autorizzazioni in materia ambientale allo sportello unico per le attività produttive;
l’art. 10, d.P.R. n. 59/2013, circa il modello per la
richiesta di autorizzazione unica ambientale; l’art.
12, d.P.R. n. 160/2010, per l’unificazione, quanto
meno in ambito regionale, della modulistica delle
amministrazioni responsabili dei subprocedimenti
nell’ambito dei procedimenti per l’esercizio di attività produttive e di prestazione dei servizi.
Lo strumento, quindi, è unico (quello, appunto,
della definizione di moduli unificati e standardizzati),
ma per definirne i contenuti, in questa come nelle
normative precedenti, si seguono due diversi modelli: uno di essi rimette la determinazione relativa all’accordo raggiunto in conferenza unificata tra amministrazioni centrali, regionali e locali; un altro affida,
invece, la decisione al Ministro competente assieme
a quello per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della conferenza unificata.
Per completare la ricostruzione, occorre ricordare che la disposizione dell’art. 24, c.3, del d.l. n.
90/2014 ha conosciuto, per così dire, una attuazione anticipata, con l’accordo del giugno del 2014 in
conferenza unificata tra governo, regioni ed enti
locali per «l’adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza del permesso
di costruire e della segnalazione certificata di inizio
attività». Dall’accordo deriva l’obbligo per i comuni di adeguare la modulistica in uso, mentre si consente alle regioni, se necessario, di adeguare i contenuti dei quadri informativi dei modelli semplificati e unificati «in relazione alle specifiche normative regionali di settore».
Qualche considerazione di assieme.
La prima riguarda l’assetto delle competenze.
Trovano conferma, qui, le scelte compiute nella
prima parte dell’art. 24, a proposito dell’ agenda
per la semplificazione: la posizione di preminenza
accordata, nel governo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione; la condivisione di misure di semplificazione tra i diversi enti
di governo nella conferenza unificata.
Si pone, invece, un problema per quanto riguarda il rapporto tra le potestà legislative dello Stato
e quelle delle regioni. Come si è visto, il d.l. n.
90/2014 prevede che nella fissazione dei contenuti
dei moduli riguardanti le istanze in materia edilizia
e per l’avvio di attività produttive si debba «tenere
conto delle specifiche normative regionali». Una
soluzione differente era stata adottata nel citato accordo in conferenza unificata del giugno 2014, ove
si prevedeva, come si è accennato, che «le regioni,
ove necessario, adeguano in relazione alle specifiche normative di settore, i contenuti dei quadri informativi dei moduli semplificati e unificati». Si
tratta di due formulazioni, differenti tra loro, ma,
pur per diversi aspetti, entrambe problematiche.
L’obbligo di legge affinché si tenga conto delle
specifiche normative regionali si può ragionevolmente intendere quale criterio da seguire nella redazione
di un modulo che, comunque, deve essere unico su
tutto il territorio nazionale, con la possibile conseguenza che ne derivino modifiche alle norme delle
singole regioni sui procedimenti relativi e gli adempimenti da esse previsti. In questo modo, quindi, si
contrae l’autonomia riconosciuta costituzionalmente
alle regioni per la conformazione dei procedimenti
amministrativi nelle materie di propria competenza.
Ci sono, però, due argomenti che possono essere
utilizzati per concludere circa la legittimità costituzionale della norma dell’art. 24.
Innanzitutto, perché il c. 4 dello stesso art. 24
prevede che «gli accordi sulla modulistica per l’edilizia e l’avvio di attività produttive conclusi in sede
di conferenza unificata sono rivolti ad assicurare la
libera concorrenza, costituiscono livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, assicurano il coordinamento informativo
statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale al fine di agevolare
l’attrazione di investimenti dall’estero». Secondo
una tecnica ormai consolidata nella legislazione
statale, cioè, il legislatore del 2014 ha ricondotto
le norme sulla modulistica nel novero di quelle
che la Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato, legittimando, in questo modo, la
contrazione delle potestà legislative regionali.
Inoltre, si può ritenere che gli accordi, di cui all’art. 24, d.l. n. 90/2014, rappresentino una sicura
garanzia di leale cooperazione tra lo Stato e le regioni e la loro previsione corrisponda, così, ai re-
(5) Entrambi i tipi di moduli devono essere pubblicati sul
portale impresainungiorno ed essere a disposizione, nei ses-
santa giorni successivi alla loro approvazione, per la compilazione delle pratiche telematiche da parte delle imprese.
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Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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Pubblica amministrazione
quisiti fissati da una giurisprudenza costituzionale,
ormai decennale, per la conformità alla Costituzione delle leggi statali sulla cosiddetta “chiamata in
sussidiarietà”.
Ugualmente problematica, ma per ragioni differenti rispetto a quelle appena indicate, è la soluzione contemplata nell’accordo del giugno 2014, che,
come si è notato, consente «a ciascuna amministrazione di utilizzare moduli diversi di un modello
unico». In questo caso, infatti, risulta ampiamente
salvaguardata la potestà delle regioni di definire
autonomamente la modulistica in ragione della disciplina autonoma data ai relativi procedimenti;
ma sul territorio nazionale i modelli risultano standardizzati, non uniformati. Ci si può chiedere, però, se proprio questa previsione dell’accordo non
debba ritenersi superata per effetto della diversa disposizione contenuta nel d.l. n. 90/2014.
Le osservazioni appena svolte introducono una
terza serie di considerazioni. L’unificazione e la standardizzazione della modulistica rappresentano una
esigenza diffusa e sono tra le richieste più frequenti
che le imprese e i cittadini hanno presentato nel
corso della recente consultazione pubblica sulle cento procedure da semplificare. Come si è detto, che
uffici pubblici diversi utilizzino, per lo stesso tipo di
procedimento, lo stesso modulo, rende più facile per
le imprese (soprattutto) e per i cittadini circa gli
adempimenti da eseguire per ottenere una determinata utilità amministrativa. Ma non può dimenticarsi che i moduli, a loro volta, riflettono le norme
dettate per un determinato procedimento. Moduli
unitari per tutti gli uffici pubblici, quindi, servono a
dare certezza alle imprese e ai cittadini, ma, di per
sé, non semplificano i procedimenti amministrativi.
Essi, però, possono servire alla semplificazione,
in modo indiretto. A suo tempo, l’obbligo imposto
a tutte le amministrazioni, dalla l. n. 241/1990, di
fissare i termini di conclusione di ciascun procedimento, permise di richiamare l’attenzione del legislatore sui procedimenti più lunghi e (quindi presumibilmente) più complessi e orientare su di essi le
misure di semplificazione. Analogamente, oggi, ci
si può attendere che l’unificazione dei modelli serva a mettere in evidenza i procedimenti più complicati, per numero di adempimenti richiesti agli
interessati, e a fornire, così, ulteriore materiale conoscitivo ai legislatori e ai governi, nazionale e regionali, per selezionare le aree nelle quali è opportuno semplificare con maggiore urgenza.
La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di appalti
pubblici in funzione anticorruzione
di Fabio Di Cristina
Il decreto legge n. 90/2014 presenta una fitta intelaiatura di disposizioni relative alla lotta alla corruzione
e alle infiltrazioni criminali. La trama si muove lungo tre fili principali. Il primo ha impatto sull’organizzazione dell’Autorità nazionale anticorruzione, che diventa il pivot del sistema preventivo italiano: all’Anac
e, specialmente, al suo Presidente, vengono attribuiti nuovi poteri, i vertici e l’Autorità si assicurano la
struttura dell’Avcp, assumendo tutte le competenze della soppressa Autorità di vigilanza. Il secondo, che
è ammantato d’emergenza ma presenta alcune caratteristiche che lo potrebbero avvicinare ad un modello stabile di prevenzione, pone un presidio amministrativo a controllo dei lavori pubblici di Expo 2015. Il
terzo, scardinando alcune parti del Codice del 2011 relative alla documentazione antimafia e intrecciandosi con il primo, affida al Presidente dell’Anac e ai Prefetti il potere di proporre e adottare innovative misure extra ordinem di amministrazione o sostegno alle imprese in caso di presunto illecito. Le nuove regole, che fanno compiere un salto di qualità all’organizzazione e ai poteri dell’Autorità anticorruzione e rendono più credibile lo spazio di autonomia del suo Presidente, vanno osservate in parallelo al rapporto, il
cui equilibrio è sempre instabile, tra autorità e diritti individuali, tra esigenze di prevenzione e libertà.
«L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture […] è soppressa ed i
relativi organi decadono alla data di entrata in vigore del presente decreto». E’ così che l’art. 19 del
decreto-legge n. 90, il primo atto della riforma della pubblica amministrazione avviata dal governo,
pone fine alla vita dell’Avcp (1). A ben guardare,
(1) Sul ruolo istituzionale, ex multis,, F. Garri, Il mercato
dei contratti pubblici: il ruolo dell’Autorità di vigilanza di set-
tore e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato,
in M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli (a cura di), Trat-
Un trapianto di cervello: la testa dell’Anac
sul corpo dell’Avcp
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Normativa
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Pubblica amministrazione
la soppressione dell’Autorità è una soppressione di
soli vertici: quelli dell’Autorità nazionale anticorruzione, dotata di un organico quantitativamente
esiguo (2), vengono posti a capo di quello, ben più
consistente, della defunta Avcp, e ne prendono in
carico compiti e funzioni. Un piano di riordino
complessivo dell’ente sarà presentato entro il 31
dicembre di quest’anno dal Presidente dell’Anac al
Presidente del Consiglio dei Ministri. Esso sarà efficace solo dopo l’emanazione di apposito d.P.C.M.
e sconterà il passaggio parlamentare presso le commissioni competenti.
A seguito del trapianto della testa dell’Anac nel
corpo dell’Avcp, l’Autorità assume nuove competenze e ne cede altre: complessivamente, la sua
funzione di prevenzione della corruzione assume finalmente quella primazia per molto tempo negata,
legata tradizionalmente a poteri insufficienti o condivisa con strutture governative. Il suo piano di
riordino dovrà necessariamente prevedere un’amministrazione a più basso costo, in linea con la stagione di revisione della spesa degli apparati pubblici (3): alla “riunione” delle risorse finanziarie, strumentali e umane in unico ruolo della ex Civit e
dell’Avcp seguirà una riduzione non inferiore al
20% del trattamento accessorio di funzionari e dirigenti, nonché una riduzione di pari importo delle
spese di funzionamento.
Contribuiscono a dare carattere maggiormente
“hard-nosed” alla rinnovata (nei vertici, nelle funzioni e anche nello spirito) Autorità nazionale anticorruzione, la possibilità che whistleblower (4) e
avvocati dello Stato le segnalino illeciti o irregolarità; le sanzioni pecuniarie, che l’Autorità incamererà per spese di funzionamento e rendiconterà semestralmente sul proprio sito internet, a carico del
soggetto che omette di adottare il piano triennale
anticorruzione, quello triennale di trasparenza o il
codice di comportamento; il trasferimento, dal Dipartimento della funzione pubblica, di tutte le
competenze in materia di trasparenza (5) e prevenzione della corruzione. Inoltre, alla relazione sull’attività svolta che l’Anac presenterà ogni anno si
aggiungeranno note sulle «possibili criticità del
quadro amministrativo e normativo che rendono il
sistema dell’affidamento dei lavori pubblici vulnerabile a fenomeni di corruzione» (6).
L’Autorità anticorruzione, poi, riconsegna al governo le funzioni di indirizzo in tema di qualità dei
servizi pubblici e sua misurazione e al Dipartimento
della funzione pubblica quelle relative alla misurazione e alla valutazione della performance amministrativa introdotte dalla riforma Brunetta (7). Queste, a testimonianza di un giudizio largamente insoddisfacente sul sistema di valutazione a soli cinque anni dalla sua introduzione (8), saranno ogget-
tato sui contratti pubblici, vol. I, Milano, 2008, 630 ss.
(2) Il personale in servizio al 31 dicembre 2013, così come
riportato dal sito internet dell’Autorità (http://www.anticorruzione.it/?page_id=1241), contava 24 persone, compreso quello
comandato e i contrattisti a tempo determinato. L’organico
della ex Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, al 31
marzo 2014 (http://www.avcp.it/portal/public/classic/AutoritaTrasparente/DotazioneOrganica), contava 305 persone in servizio e 8 contrattisti.
(3) Ampio spazio al tema è dedicato in AA.VV., Il decreto
“spending review”, in questa Rivista, 2012, 12, 1161 e ss.
(4) Visto l’art. 31 dello stesso decreto che modifica l’art. 54bis del Testo unico del pubblico impiego aggiungendo l’Anac
al novero dei soggetti che possono ricevere segnalazioni di illeciti sul modello del whistleblowing introdotto dalla legge anticorruzione (6 novembre 2012, n. 190). Su punti di forza e di
debolezza dell’istituto, in particolare, R. Cantone, La tutela dei
whistleblower: l’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001, in B.G. Mattarella, M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 243 ss. Sul
fronte della riflessione della dottrina straniera, utile il rinvio a
R.G. Vaughn, The successes and failures of whistleblower
laws, Cheltenham-Northampton, Edward Elgar, 2012, passim.
(5) Il decreto n. 90, all’art. 24-bis, riscrive l’art. 1 del Testo
unico della trasparenza per finalità di chiarificazione dell’ambito di applicazione soggettivo delle norme ivi contenute, visti i
dubbi interpretativi che una circolare del Dipartimento della
funzione pubblica (14 febbraio 2014, n. 1, “Ambito soggettivo
ed oggettivo di applicazione delle regole di trasparenza di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190, e al decreto legislativo 14
marzo 2013, n. 33: in particolare, agli enti economici e le società
controllate e partecipate”) aveva fatto emergere. In particolare,
l’art. 24 bis precisa che per amministrazioni pubbliche si intendono quelle elencate all’art. 1, c. 2, del Testo unico del pubblico impiego, comprese le autorità indipendenti o di regolazione
e vigilanza; che gli enti di diritto pubblico, siano essi nazionali,
regionali o locali, sono soggetti alla disciplina della trasparenza
se e in quanto istituiti, vigilati, finanziati da una pubblica amministrazione o se i suoi amministratori sono da questa nominati; che gli enti di diritto privato controllati, limitatamente all’attività di pubblico interesse, sottoposti a controllo o i cui vertici o componenti di organi sono nominati da una pubblica amministrazione, sono anch’essi sottoposti alla disciplina della
trasparenza; che le società partecipate in via non maggioritaria
sono soggette alla disciplina anticorruzione (art. 1, commi da
15 a 33, della legge anticorruzione) limitatamente all’attività di
pubblico interesse.
(6) Ciò a riprova del fatto che, se è vero che il Parlamento
ha ormai perso interesse per le indagini conoscitive e il governo fa sovente a meno di commissioni di studio (a tal proposito,
S. Cassese, La scienza giuridica: fiori senza radici, in questa Rivista, 2014, 2, in part. 196), è anche vero che l’amministrazione può raccoglierne il testimone. In questa prospettiva, l’eventuale mancata traduzione in atti amministrativi o disposizioni
di legge delle raccomandazioni dell’Anac costringerà il legislatore a renderne conto, quantomeno, di fronte all’opinione pubblica.
(7) Data la vastità della letteratura in tema, sia consentito il
solo rinvio a G. Gardini, S. Battini (a cura di), Il nuovo assetto
del pubblico impiego dopo la riforma Brunetta, Quaderni della
Spisa, Bologna, Bononia University Press, 2012.
(8) Le cui anticipazioni si possono rinvenire, ex multis, in S.
Battini, La “riforma Brunetta” del lavoro pubblico, in questa Rivista, 2010, 1, 5, nonché A. Garilli, Il dirigente pubblico e il si-
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Pubblica amministrazione
to di apposito riordino mediante regolamento governativo da emanarsi entro il 25 dicembre 2014.
Esso sarà ispirato a criteri di semplificazione degli
oneri a carico delle amministrazioni, valorizzazione
dei premi per la performance e utilizzo delle risorse
rivenienti dai piani di razionalizzazione della spesa
eventualmente adottati dalle singole amministrazioni (9), integrazione del ciclo della performance con la programmazione finanziaria, raccordo con
i controlli interni, revisione della disciplina della
valutazione indipendente (10).
L’attenzione che il decreto presta alla realizzazione dei lavori per Expo 2015, evento che è stato oggetto di una stratificata legislazione speciale sin dal
2007 (11), è testimoniata dalla circostanza per cui
lo stesso articolo che ricostruisce le fondamenta
della ex Civit e dell’Avcp dispone che il Presidente dell’Anac formuli proposte al Commissario uni-
co delegato del governo e alla società Expo 2015
per la «corretta gestione delle procedure d’appalto
per la realizzazione dell’evento» (12) e segnali
eventuali omissioni in relazione agli obblighi previsti dal Testo unico della trasparenza (13).
L’attenzione appare rafforzata, inoltre, dal fatto
che tra le misure relative all’esecuzione di opere
pubbliche, servizi e forniture (Titolo III, Capo II,
del decreto), tre delle otto previste (artt. 30, 33 e
34) sono dedicate all’esposizione universale. In
particolare, per fare in modo che il Presidente dell’Anac svolga funzioni di alta sorveglianza (14), sono state previste la costituzione di una Unità operativa speciale (15) e l’attribuzione allo stesso Presidente di alcuni poteri: di verifica preventiva della
legittimità degli atti di gara relativi a lavori, servizi
e forniture connessi all’evento; di verifica del rispetto degli obblighi di trasparenza e dell’adempimento di quelli contenuti nei protocolli di legalità
predisposti dalla prefettura di Milano; di ispezione
sur place ed accesso alla Banca dati nazionale dei
stema di misurazione e valutazione della performance organizzativa della p.a., in Giur. it., 2010, 1, 12: «dalla lettura sistematica
di tutto l’ordito normativo, emerge l’immagine di un dirigente
schiacciato all’interno di un sistema di regole organizzative e
procedurali che ne limitano fortemente l’autonomia e la funzione manageriale. L’attività di valutazione rischia di produrre
conseguenze meccaniche e indifferenziate […], senza che siano previsti dei correttivi che tengano conto delle peculiarità
delle singole amministrazioni o dell’eventuale assenza di nullafacenti».
(9) Art. 16, commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.
111.
(10) Il governo ha poi colto l’occasione per sopprimere il Comitato tecnico-scientifico per il controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato, istituito nel 2006, e per trasferire le funzioni di supporto al controllo, delegate di volta in volta ad autorità politica, alla Presidenza del Consiglio - Ufficio per il programma di governo (art. 19, commi 14 e 14-bis, del decreto n. 90).
(11) L’Expo è stato dichiarato grande evento nel 2007
(d.P.C.M. 30 agosto 2007). Tra le deroghe più rilevanti in tema
di localizzazione e realizzazione di opere pubbliche, basti ricordare che i provvedimenti del commissario straordinario del governo (ordinanze nn. 3900 e 3901 del 5 ottobre 2010, i cui effetti
sono stati salvaguardati dal decreto-legge 15 maggio 2012, n.
59) sostituiscono ad ogni effetto di legge accordi, pareri, intese,
nulla osta, autorizzazioni e concessioni o atti e provvedimenti di
competenza di organi statali, regionali, provinciali e comunali.
Le opere necessarie per la realizzazione del sito espositivo, individuate con apposito provvedimento commissariale, possono
essere localizzate, approvate e dichiarate di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, anche se non incluse in atti di programmazione del comune di Milano e di altre amministrazioni interessate, con facoltà di deroga alla disciplina ordinaria.
(12) Le raccomandazioni sono state redatte dal Presidente
dell’Anac il 7 luglio 2014 e inviate al Commissario. Queste, in
numero di sei, comprendono l’aggiornamento del modello di
prevenzione introdotto dalla disciplina della responsabilità degli
enti nel 2001 rispetto a quello previsto dalla legge anticorruzione
del 2012; l’adozione di specifiche regole di trasparenza con rife-
rimento a tutte le gare per appalti e forniture; la previsione e
pubblicazione della motivazione, anche se sintetica, per cui si
utilizzano i poteri di deroga al Codice dei contratti pubblici; la
previsione in tutti i bandi, gli avvisi, le lettere di invito o nei contratti adottati di una clausola risolutiva del contratto a favore della stazione appaltante in caso di violazione di alcune clausole
del protocollo di legalità stipulato con la Prefettura di Milano; la
previsione in tutti i bandi, gli avvisi, le lettere di invito della regola per cui le gravi inosservanze delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di
esclusione dalla gara; l’impegno a stipulare un patto aggiuntivo
al protocollo di legalità con il Prefetto di Milano che preveda l’esclusione dalla gara di coloro che abbiano commesso fatti di
corruzione o di turbativa della libertà degli incanti e la previsione
che l’eventuale scoperta dei fatti illeciti comporti l’esclusione
dalla gara o la risoluzione immediata del contratto.
(13) Solo in relazione alla pubblicazione dei dati relativi agli
enti pubblici vigilati, agli enti di diritto privato in controllo pubblico, alle partecipazioni in società di diritto privato e ai componenti degli organi di indirizzo politico. Così dispone il decreto legge n. 90 all’art. 19, c. 7, richiamando gli obblighi, e le relative sanzioni, previste dall’art. 47 del decreto legislativo 14
marzo 2013, n. 33.
(14) Si vedano, a questo proposito, le “Linee guida per l’esercizio dei compiti di alta sorveglianza e di garanzia della correttezza e della trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del
grande evento Expo Milano 2015” del 17 luglio 2014. Esse disciplinano lo svolgimento delle attività di sorveglianza e di verifica del Presidente dell’Anac e dell’Unità operativa speciale per
Expo 2015, elencando gli atti sottoposti a verifica preventiva di
legittimità (art. 3) e quelli non sottoposti (art. 6), disponendo la
creazione di una piattaforma informatica per la condivisione
dei documenti da esaminare (art. 4) e definendo le fasi del procedimento di verifica (art. 5).
(15) Istituita dal Presidente dell’Anac con delibera n.
101/2014 e composta in prevalenza da personale dell’Autorità,
anche in comando, e da personale della Guardia di finanza,
per un totale di undici membri a seguito dell’integrazione disposta dal Presidente dell’Autorità in data 2 settembre 2014.
Un presidio amministrativo stabile e le
deroghe per i grandi eventi
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Vi sono quattro disposizioni contenute nel Titolo III (17) del decreto che possono essere lette con-
giuntamente. L’incentivo alla trasparenza e alla
correttezza che dovrebbe derivare dalle norme risiede, essenzialmente, nella loro forza deterrente,
visto che presentano una spiccata carica sanzionatoria (18). Da un lato, il legislatore ha rafforzato il
sistema delle c.d. white list (art. 29). Dall’altro, sono stati introdotti nell’ordinamento strumenti del
tutto nuovi, somiglianti ad una sorta di tutorship pubblica delle imprese soggette ad infiltrazioni
criminali o ad episodi di corruzione o malaffare
(art. 32). In più, è stato previsto un ampio intervento in tema di monitoraggio finanziario dei lavori relativi ad infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi (art. 36). Infine, è stata disposta
la comunicazione delle varianti in corso d’opera all’Anac “per le valutazioni e gli eventuali provvedimenti di competenza” (art. 37). A queste disposizioni se ne aggiunge un’altra (art. 35) che, oltre ad
avere più ampia portata, integra i requisiti di ordine generale per la partecipazione ad una gara pubblica, impedendo “ogni operazione economica o finanziaria” con i soggetti che non osservano gli obblighi di adeguata verifica del titolare effettivo previsti dalla disciplina antiriciclaggio (19).
Nel complesso, le disposizioni appena richiamate, nel primo e nel terzo caso, cercano di rimediare
ad altrettanti problemi emersi in sede di applicazione degli istituti considerati sin dalla loro origine (il
volontarismo che ha contraddistinto l’iscrizione
delle imprese all’interno delle liste bianche ed il
disallineamento della disciplina primaria vigente
rispetto alla delibera n. 45 del 2011 del Comitato
interministeriale per la programmazione economica, la quale recepisce a sua volta prassi prefettizie).
Nel secondo caso, producendo effetti sul rapporto
tra esigenze di prevenzione e tutela dell’iniziativa
economica privata, le disposizioni consegnano nelle mani del Presidente dell’Anac e dei Prefetti un
nuovo strumento di contrasto all’illegalità in una
tripla versione: intimazione prefettizia di sostituzione degli organi sociali, affiancamento di esperti,
amministrazione diretta prefettizia limitata ai singoli appalti o concessioni. Nel quarto caso, infine,
cercano di opporre al rischio di corruzione che sovente è determinato da un uso disinvolto, quando
(16) Circostanza sottolineata anche da A. Fioritto, L’amministrazione delle emergenza tra autorità e garanzia, Bologna,
2008, in part. 230 ss.
(17) “Misure urgenti per l’incentivazione della trasparenza e
correttezza delle procedure nei lavori pubblici”.
(18) Sul bilanciamento tra prevenzione e repressione, G.
Castronovo, Corruzione nel campo degli appalti pubblici: i termini del problema, in Amministrazione italiana, 1993, 3, 391-410,
nonché M. Golden, L. Picci, Corruption and the Management
of Public Works in Italy, in S. Rose-Ackerman (ed. by), International Handbook of Economic Corruption, New York, Edward
Elgar Publisher, 2006, 104 ss.
(19) Decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, il quale
dà attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, nonché della direttiva 2006/70/CE che reca misure di
esecuzione.
contratti pubblici e della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
Inoltre, per proteggere le risorse della società per
azioni Expo, il decreto ha previsto la possibilità
che questa possa chiedere un parere all’Avvocatura
dello Stato in caso di transazione di controversie
relative a diritti soggetti. Per controllare il modo
in cui le risorse sono impiegate in compensi, infine, nella contabilità speciale del Commissario unico rientreranno i denari spesi per i componenti
della sua segreteria e per gli ulteriori incarichi “per
specifiche professionalità” di cui deve darsi conto
sul sito internet di Expo Milano 2015.
Ad una prima lettura, le disposizioni appena richiamate potrebbero apparire solo la risposta urgente a situazioni di accertato malaffare dal notevole impatto mediatico. Che, tuttavia, quelle relative alle funzioni di alta sorveglianza attribuite al
Presidente dell’Anac possano rappresentare il perno attorno al quale costruire, con apposito strumento normativo che chiami in causa l’Autorità
quando si deroga la disciplina dei contratti pubblici, un modello di prevenzione per la realizzazione
dei c.d. “grandi eventi” o pronto all’uso al verificarsi di situazioni d’emergenza che richiedono lavori pubblici, è circostanza di non poco conto.
Non si dubita che, in determinati casi, sia necessario appaltare un lavoro o una fornitura in tempi
che i normali procedimenti di affidamento renderebbero troppo lunghi rispetto alla natura degli
eventi. Non si dubita neppure, d’altro canto, che
una volta fuse le competenze in materia di lotta alla corruzione e vigilanza sul settore delle commesse
pubbliche in un’unica amministrazione, il presidio
amministrativo stabile che ne deriva, a cui il decreto dà nuova linfa, possa adoperarsi per bilanciare i rischi di corruzione e maladministration che l’urgenza o l’emergenza sovente si portano dietro (16).
Un insieme di strumenti
“per l’incentivazione della trasparenza
e della correttezza” negli appalti
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non illecito, delle varianti in corso d’opera una
sorta di controllo successivo di legittimità, seppur
dall’incisività limitata in termini di sindacato, affidato all’Autorità nazionale anticorruzione.
Passando, in ordine, alla disamina dei soli artt.
29, 32, 36 e 37, può ricordarsi preliminarmente
che la legge anticorruzione era già intervenuta in
materia di liste bianche (art. 1, c. 52) (20): il decreto n. 90 sostituisce per intero le disposizioni ivi
contenute. Per le attività che la stessa legge del
2012 definisce come “maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa” (c. 53) (21), il cui
novero può essere aggiornato entro il 31 dicembre
di ogni anno mediante procedimento aggravato (22), le Prefetture competenti per territorio curano white list settoriali, da intendersi come obbligatorie: una impresa che vi risulta iscritta, e che diversamente non potrebbe offrire prestazioni al contraente pubblico per quella tipologia di lavoro o
fornitura, soddisfa i requisiti per ottenere l’informativa antimafia liberatoria (che si confonde pienamente con l’atto di iscrizione alla lista). Le Prefetture, poi, effettuano controlli periodici circa la sussistenza dei requisiti di ciascun operatore.
Il legislatore del 2012 aveva immaginato liste
obbligatorie, sul modello di un vero e proprio albo,
e avviato l’automatismo dei controlli, sebbene su
presupposti basati solo sul tipo di attività imprenditoriale. Il decreto n. 90 compie alcuni passi in
avanti, rafforzando il sistema delle liste di imprese
“pulite” e colmando alcuni vuoti interpretativi.
In primo luogo, specifica che l’informazione antimafia liberatoria, per le attività di cui si è detto,
deve essere acquisita obbligatoriamente a prescindere dalla soglia di rilevanza dell’appalto.
In secondo luogo, indica che l’informazione è
acquisita da parte delle amministrazioni cui il Codice delle leggi antimafia fa esplicito riferimento (23) mediante consultazione, anche telematica,
delle liste bianche e che l’informazione eventualmente interdittiva segue i termini già previsti dal
Codice, all’art. 92, commi 2 e 3 (24), per le informazioni rilasciate a seguito del procedimento tradizionale.
In terzo luogo, prevedendo l’ultrattività degli effetti delle informative conseguenti all’iscrizione in
una lista bianca prefettizia, dispone che, ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti e subcontratti relativi ad attività diverse da quelle
associate alla singola lista (ed elencate nella legge
anticorruzione), l’iscrizione equivale ad informazione liberatoria.
In quarto e ultimo luogo, proprio in ragione del
progressivo abbandono di un sistema imperniato
sull’iscrizione volontaria, il decreto prevede che i
soggetti tenuti all’acquisizione della documentazione antimafia, in prima applicazione e comunque
non oltre il 25 giugno 2015, debbano accertare
preventivatamene la domanda di iscrizione alle liste da parte delle imprese per poter validamente affidare i contratti o autorizzare i subcontratti e comunicare di essere in attesa del provvedimento di
iscrizione alla competente Prefettura. Gli effetti
dell’eventuale emersione di cause ostative all’iscrizione sono quelli già previsti dal Codice delle leggi
antimafia (art. 94, commi 2 e 3): revoca o recesso,
fatta salva la corresponsione delle somme per le
prestazioni già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione di quelle non ancora concluse; valutazione discrezionale da parte dell’ammi-
(20) In relazione agli interventi del legislatore del 2012 in tema di appalti, G. M. Racca, La prevenzione e il contrasto della
corruzione nei contratti pubblici (art. 1, commi 14-25, 32 e 5258), in B.G. Mattarella, M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino,
2013, 125-151.
(21) Trasporto di materiali a discarica per conto di terzi; trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi; estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali
inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e
di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo; autotrasporti per conto di terzi; guardiania dei
cantieri.
(22) Decreto del Ministro dell’interno, adottato di concerto
con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti
e dell’economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni
dalla data di trasmissione del relativo schema alle Camere e
da intendersi come favorevole decorso infruttuosamente il termine.
(23) Art. 83, commi 1 e 2, del Codice: pubbliche amministrazioni, enti pubblici anche costituiti in stazioni uniche appal-
tanti, enti e aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico,
società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro
ente pubblico, concessionari di opere pubbliche, contraenti
generali.
(24) Quando dalla consultazione della banca dati emerge la
sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto
o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, il Prefetto rilascia l’informazione antimafia interdittiva entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta. Quando le verifiche disposte sono particolarmente complesse, egli ne dà immediata comunicazione all’amministrazione interessata e le fornisce le informazioni acquisite entro i successivi 30 giorni. Decorso il termine di 45 (o
30) giorni ovvero, nei casi di urgenza, decorso il termine di 15
giorni dalla ricezione della richiesta, i soggetti appaltanti procedono anche in assenza dell’informazione antimafia. In tale
caso, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni sono corrisposti sotto condizione risolutiva e gli stessi
soggetti revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono
dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere
già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
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nistrazione, in caso di opere in ultimazione, della
possibilità di non interrompere il rapporto negoziale se il soggetto in questione non è sostituibile in
tempi rapidi.
Il decreto n. 90, come anticipato, introduce nell’ordinamento istituti assolutamente nuovi che
hanno già trovato pronta applicazione (25). Si tratta, come anticipato, di «misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione». Per la forte incidenza che tali misure hanno sul rapporto tra
autorità e libertà, esse meritano particolare attenzione, sebbene se ne possa, in questa sede, studiarne il solo tenore letterale e poche delle molte implicazioni sul piano dei presupposti all’esercizio del
potere, del procedimento e della loro carica generatrice di potenziale contenzioso (26).
Anzitutto, il decreto individua due presupposti
alternativi all’attivazione delle misure. Il primo si riferisce all’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria indaghi per i delitti di concussione, corruzione, traffico
di influenze, turbata libertà degli incanti o del procedimento di scelta del contraente (27). Il secondo
è relativo all’emersione di “situazioni anomale e
comunque sintomatiche di condotte illecite o
eventi criminali” attribuibili ad un aggiudicatario
di appalto per la realizzazione di opere pubbliche,
servizi o forniture, ad un concessionario o ad un
contraente generale. A carico di tali soggetti, e a
prescindere dalla sussistenza del primo o del secondo presupposto, devono comunque emergere “fatti
gravi e accertati”. All’accertata presenza di almeno
uno dei presupposti segue una comunicazione al
Procuratore della Repubblica da parte del Presidente dell’Anac.
Il Presidente può quindi proporre al Prefetto
competente per il territorio in cui ha sede l’impresa
l’attivazione alternativa di misure, ad efficacia limitata alla sola esecuzione, volte all’intimazione di
sostituzione degli organi sociali da parte della stessa
impresa o alla sua straordinaria gestione mediante
amministratori appositamente nominati. Quest’ultima misura può essere adottata anche se l’impresa
in questione non ottempera l’intimazione prefettizia entro trenta giorni. E’ il Prefetto che, sebbene
non possa agire senza ricevere dal Presidente dell’Anac apposita richiesta, accerta i presupposti di
cui si è detto, prodromici all’attivazione della misura soft (intimazione di sostituzione) o di quella
hard (amministrazione prefettizia), che valuta la
gravità dei fatti sintomatici di illecito, che intima
all’impresa coinvolta la sostituzione degli organi
sociali e che nomina gli amministratori in caso di
inottemperanza, che gradua, infine, la durata della
misura in ragione delle “esigenze funzionali” legate
alla prestazione o all’oggetto del contratto.
Di fatto, il procedimento istruito dall’Anac e
quello istruito dall’ufficio territoriale del governo,
distinti ma teleologicamente collegati, si fondano
sulla valutazione dell’esistenza dei medesimi presupposti (valutazione che può ben condurre ad esiti
divergenti, sebbene sia difficile immaginare un
conflitto aperto tra autorità, specialmente nell’attuale momento storico). L’uno, tuttavia, è condizione necessaria per l’altro.
Presupposto della richiesta del Presidente dell’Anac al Prefetto può anche non essere l’avvio di
un’indagine da parte dell’autorità giudiziaria per
uno dei reati indicati dalla disposizione, essendo
sufficiente che vengano rilevate “situazioni anomale” cui si aggiungono necessariamente, come detto,
“fatti gravi e accertati”. Il fumus richiesto, stante il
tenore letterale della norma, è vicino a quello dei
gravi indizi di colpevolezza di cui al Codice di procedura penale (art. 273 ss.) ma non così vicino da
abbandonare quello, molto meno garantista, della
“qualificata probabilità” di illecito che, fondato
sulla nozione giurisprudenziale di pericolo, sorregge
l’adozione delle informative prefettizie (28).
(25) Nel momento in cui si scrive, l’applicazione di tali istituti è stata richiesta ed ottenuta in due occasioni. Le richieste
sottoscritte dal Presidente dell’Anac e i decreti prefettizi di attuazione sono consultabili sul sito internet dell’Autorità
(http://www.anticorruzione.it/).
(26) M. Clarich, La legge Merloni quater tra instabilità e flessibilità, in Corr. giur., 2002, 10, 1401 ss., secondo cui l’equilibrio tra flessibilità e rigidità procedurale riflette quello, più generale, tra autorità e libertà.
(27) Più precisamente, si tratta dei reati di concussione;
corruzione per l’esercizio della funzione; corruzione per un atto
contrario ai doveri d’ufficio; corruzione per un atto contrario ai
doveri d’ufficio avente ad oggetto il conferimento di pubblici
impieghi stipendi o pensioni, la stipulazione di contratti, nonché il pagamento o il rimborso di tributi; corruzione in atti giu-
diziari; induzione indebita a dare o promettere utilità; corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio; istigazione alla
corruzione; peculato; concussione; induzione indebita a dare o
promettere utilità; corruzione e istigazione alla corruzione di
membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari
delle Comunità europee di Stati esteri; traffico di influenze; turbata libertà degli incanti; turbata libertà di scelta del procedimento del contraente.
(28) In argomento, G. Corso, La normativa antimafia, in M. A.
Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, Milano, 2008, 3428-3429; E. Leotta, I poteri certificativi del Prefetto quali strumenti di contrasto alla criminalità organizzata: inquadramento sistematico ed aspetti problematici, relazione alla conferenza nazionale “Le nuove disposizioni
penali in materia di sicurezza pubblica. Strumenti e poteri di pre-
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Sul piano patrimoniale, quando il Prefetto nomina gli amministratori, adoperando lo strumento più
forte che la tutorship pubblica di cui si è detto ha
introdotto, si costituisce una sorta di blind trust con
una doppia funzione: da un lato, la protezione delle
risorse pubbliche impiegate per il singolo contratto
pubblico e, dall’altro, la sottrazione di diritti di natura patrimoniale ad individui su cui gravano, come minimo, situazioni anomale sintomatiche di illeciti e, al contempo, fatti gravi e accertati di reato. Gli amministratori, per la durata della misura
prefettizia extra ordinem, subentrano pienamente
nei poteri di disposizione e gestione dell’impresa e,
in caso di società, non rispondono all’assemblea, le
cui funzioni sono sospese. Inoltre, l’attività degli
amministratori è da considerarsi di pubblica utilità,
con gli effetti derogatori e in termini di specialità
del regime giuridico applicabile che ciò comporta.
Essi, cui spetta un compenso a carico dei pagamenti dell’impresa parametrato rispetto a quello degli
amministratori giudiziari, rispondono di eventuali
diseconomie di gestione solo in caso di dolo o colpa grave. Sino all’esito del giudizio in sede penale
o dei giudizi di impugnazione o cautelari riguardanti l’informazione antimafia interdittiva, l’utile
d’impresa derivante dal contratto di appalto in
questione è accantonato in apposito fondo ed è
protetto: non può essere né distribuito, né pignorato.
Il decreto ha disposto, inoltre, la necessaria sostituibilità del “sistema” della tutorship rispetto a
quello dell’amministrazione dei beni confiscati alla
criminalità organizzata introdotto nell’ordinamento
italiano nel 2010: il provvedimento di confisca, sequestro o amministrazione giudiziaria dell’impresa
nel quadro di procedimenti penali o dell’applicazione di misure di prevenzione determina la revoca
(o comunque la cessazione d’efficacia) delle misure
prefettizie.
Non si mette in dubbio che lo strumento della
tutorship rappresenti una delle frontiere più avanzate in tema di prevenzione dell’illegalità nel settore
degli appalti e delle concessioni. Anzi, si tratta di
una misura tanto efficace, perché rapida, quanto
chirurgica, poiché limitata a singoli appalti o concessioni e in ogni caso efficace non oltre il collaudo. Il punto è un altro: se si decide che le ragioni
della prevenzione debbano prevalere, in questo ca-
so, su quelle della libertà imprenditoriale, occorre
accollarsi i rischi che ne derivano. Da un lato, infatti, l’adozione delle misure si basa sia su decisioni
dalla notevole carica discrezionale, seppur inferiore
a quella che ha contraddistinto il criticato sistema
delle informazioni prefettizie atipiche (29), sia sul
debole o pronunciato self-restraint di quello che
sembra a tutti gli effetti un organo monocratico (il
Presidente dell’Anac). Dall’altro, dati questi presupposti, all’Autorità anticorruzione, ai Prefetti e
ai privati si aggiungeranno certamente altri attori,
i giudici, a chiusura di un sistema fortemente esposto al rischio di contenzioso, direttamente proporzionale all’attivismo di cui si è detto e foriero di
tempi lunghi ed eventuali risarcimenti a carico della finanza pubblica. L’esistenza dei rischi cui si è
fatto riferimento non è però un motivo sufficiente
per dubitare dell’efficacia dello strumento. Tuttavia, è bene considerarne i risvolti.
Il decreto n. 90 introduce, altresì, una forma di
tutorship più morbida, definita di “sostegno e monitoraggio”. Il Prefetto, qualora le indagini alla base
dei presupposti per l’attivazione delle misure soft o
hard riguardino organi societari diversi da quelli di
cui all’art. 32, comma 1, può nominare fino a tre
esperti che accompagnino l’impresa in un percorso
di revisione virtuosa di prassi e organizzazione
aziendale.
Ora, il comma 1 non elenca una tassonomia di
organi sociali di cui il Prefetto può ordinare la sostituzione (o che egli stesso può sostituire mediante
la nomina di amministratori). Si pone, evidentemente, un problema di coordinamento: posto che,
sulla base di un’interpretazione letterale dell’art.
32, c. 1, lett. a) e b), si può inferire che le misure
prefettizie possano avere ad oggetto gli organi societari necessari, può ipotizzarsi che solo se le indagini (quindi solo questa fase del procedimento penale e non la verifica di situazioni anomale sintomatiche o di fatti gravi e accertati) riguardano
componenti di organi sociali non necessari il Prefetto possa nominare gli esperti che dovranno fornire
all’impresa «prescrizioni operative, elaborate secondo riconosciuti indicatori e modelli di trasparenza, riferite agli ambiti organizzativi, al sistema
di controllo interno e agli organi amministrativi e
di controllo». Il Prefetto può quindi nominare consulenti, il cui compenso è a carico dell’impresa e
venzione antimafia”, Siracusa, 25-27 giugno 2010, disponibile su
www.giustizia-amministrativa.it; S. Gambacurta, La prevenzione
delle infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici
e nelle attività economiche, in F. Ramacci, G. Spangher (a cura
di), Il sistema della sicurezza pubblica, Milano, 2010, 301 ss.
(29) Sul punto, R. Cantone, La riforma della documentazione
antimafia: davvero solo un restyling?, in questa Rivista, 2013, 89, 888.
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parametrato rispetto a quello degli amministratori
giudiziari ma mai superiore al 50% di quello ad essi
liquidabile, con funzioni di compliance aziendale rispetto ai noti modelli introdotti nel 2001 parallelamente alla disciplina della responsabilità delle società e degli enti. Che essi, dall’interno dell’impresa, possano agire sottotraccia per segnalare eventuali illeciti, anche come whistleblower, è circostanza non banale.
Va rimarcato, infine, che tutte le misure di cui si
discute possono seguire anche all’emanazione di
una informazione prefettizia interdittiva: in questo
caso, e solo se ricorrono presupposti di urgenza relativa al completamento dell’esecuzione ed altri,
più vaghi, concernenti la continuità di servizi e
funzioni indifferibili, la salvaguardia dell’occupazione e dei bilanci pubblici, la presenza di una prestazione in corso di ultimazione ed essenziale per l’interesse pubblico, nonché l’impossibilità di sostituire il contraente in tempi rapidi, il Prefetto le assume di propria iniziativa e ne informa il Presidente
dell’Anac. L’efficacia delle misure cessa in tre casi:
passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’informazione prefettizia, passaggio in
giudicato dell’ordinanza che ne dispone la sospensione degli effetti in via cautelare, aggiornamento
del contenuto dell’informazione (come disposto dal
Codice delle leggi antimafia, ciò avviene su iniziativa di parte o d’ufficio).
All’interno di una delle poche disposizioni di
questa parte del decreto non emendate dal Parlamento in sede di conversione, il governo ha ritoccato ed aggiornato la disciplina del monitoraggio
finanziario dei lavori relativi a infrastrutture strate-
giche e insediamenti produttivi, oggetto, negli ultimi anni, di una moltiplicazione di fonti di vario
rango e di un notevole affastellamento normativo.
Il decreto prevede che il monitoraggio dei flussi finanziari, sia nella versione che prevede l’utilizzo
del Sistema informativo delle operazioni degli enti
pubblici (Siope) per i pagamenti effettuati dai “responsabili” pubblici o privati delle opere infrastrutturali e degli insediamenti produttivi con utilizzo
del mandato elettronico su cui deve essere obbligatoriamente riportato il Codice unico del progetto (30), sia in quella relativa agli accordi in materia di prevenzione e repressione della criminalità
che il soggetto aggiudicatore che affida a contraente generale deve stipulare con gli “organi competenti” (31), segua le modalità individuate dal Cipe
nella delibera n. 45 del 2011.
La disposizione del decreto n. 90 vale pro futuro (le stazioni appaltanti, infatti, adeguano gli atti
generali di propria competenza alla delibera), ha
altresì portata retroattiva (per i contratti stipulati
anteriormente al 25 giugno 2014, le modalità di
controllo dei flussi finanziari devono essere adeguate a quanto stabilito dal Comitato interministeriale), e impegna il Cipe ad aggiornare il sistema di
monitoraggio sulla base della disciplina relativa alla valutazione degli investimenti in opere pubbliche (32), alla verifica dello stato di attuazione delle
opere e dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi
previsti, nonché a quanto disposto dallo stesso Cipe (33) in tema di completamento del Sistema di
monitoraggio degli investimenti pubblici (Mip) e
di utilizzo del Codice unico di progetto (Cup). Sono previste dal decreto apposite coperture (34): è
(30) Art. 161, c. 6-bis, del Codice dei contratti pubblici: «Per
consentire il monitoraggio finanziario delle opere di cui al presente capo con il ricorso al Siope (Sistema informativo delle
operazioni degli enti pubblici), tutti i soggetti responsabili di
dette opere, anche diversi dalle pubbliche amministrazioni come definite secondo i criteri di contabilità nazionale SEC 95,
dovranno procedere per i loro pagamenti in base alle procedure previste per il Siope e dovranno provvedere a far riportare
anche il Cup (Codice unico di progetto) sui mandati informatici
utilizzati per il pagamento dei fornitori».
(31) Art. 176, c. 3, lett. e), del Codice dei contratti pubblici.
Il soggetto aggiudicatore provvede «alla stipulazione di appositi accordi con gli organi competenti in materia di sicurezza
nonché di prevenzione e repressione della criminalità, finalizzati alla verifica preventiva del programma di esecuzione dei lavori in vista del successivo monitoraggio di tutte le fasi di esecuzione delle opere e dei soggetti che le realizzano. I contenuti
di tali accordi sono definiti dal Cipe sulla base delle linee guida
indicate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza
delle grandi opere, […], in ogni caso prevedendo l’adozione di
protocolli di legalità che comportino clausole specifiche di impegno, da parte dell’impresa aggiudicataria, a denunciare
eventuali tentativi di estorsione, con la possibilità di valutare il
comportamento dell’aggiudicatario ai fini della successiva am-
missione a procedure ristrette della medesima stazione appaltante in caso di mancata osservanza di tali prescrizioni. Le prescrizioni del Cipe a cui si uniformano gli accordi di sicurezza
sono vincolanti per i soggetti aggiudicatori e per l’impresa aggiudicataria, che è tenuta a trasferire i relativi obblighi a carico
delle imprese interessate a qualunque titolo alla realizzazione
dei lavori. Le misure di monitoraggio per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa comprendono il
controllo dei flussi finanziari connessi alla realizzazione dell’opera, inclusi quelli concernenti risorse totalmente o parzialmente a carico dei promotori […] e quelli derivanti dalla attuazione di ogni altra modalità di finanza di progetto. Il Cipe definisce, altresì, lo schema di articolazione del monitoraggio finanziario, indicando i soggetti sottoposti a tale forma di controllo, le modalità attraverso le quali esercitare il monitoraggio,
nonché le soglie di valore delle transazioni finanziarie oggetto
del monitoraggio stesso […]».
(32) Decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228, e decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, emanati in attuazione
di apposita delega contenuta nella legge di contabilità e finanza pubblica (31 dicembre 2009, n. 196).
(33) Delibera n. 124 del 2012.
(34) Circa 1,3 milioni di euro per il 2014 derivanti dalla riduzione del fondo destinato a coprire le assunzioni di personale a
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venuto meno, almeno in questo caso, l’attaccamento alle clausole di invarianza finanziaria che
ha contraddistinto le norme relative alla prevenzione della corruzione del 2012.
La delibera del Cipe di cui si discute, cui il monitoraggio finanziario dovrebbe aderire, ha carattere precettivo (e la necessaria portata generale, funzionale ad estenderne la portata all’intero sistema
di monitoraggio dei lavori relativi a infrastrutture
strategiche e insediamenti produttivi) solo in alcune parti. In particolare, essa dispone la proroga della sperimentazione relativa alla tracciabilità dei
flussi già avviata per la realizzazione della tratta T5
della linea C della metropolitana di Roma; la creazione di applicativi informatici appositamente dedicati (tra questi, uno che consenta forme automatiche di warning in caso di anomalie nei pagamenti); il subentro del Comitato di coordinamento per
l’alta sorveglianza delle grandi opere (Casgo) nelle
funzioni di coordinamento della sperimentazione;
la prosecuzione della stessa, già avviata per la realizzazione della c.d. “variante di Cannitello”, estesa
a tutti i soggetti appartenenti alla filiera; l’utilizzo
di conti correnti dedicati e di bonifici Sepa on line per i pagamenti ai fornitori; la previsione di apposite sanzioni in caso di violazione dei protocolli
di legalità (risoluzione di contratti e subcontratti,
applicazione di penali pecuniarie). Insomma, la disposizione in questione “positivizza” una tendenza
del sistema preventivo, ossia la rimessione a prassi
applicative, concordate tra soggetto aggiudicatore,
contraente generale e Prefettura competente per
territorio, del controllo in itinere dei pagamenti effettuati per la realizzazione di alcuni tipi di lavori
pubblici.
Infine, una disposizione parzialmente riscritta in
sede di conversione per rimpicciolirne l’oggetto introduce un obbligo di comunicazione delle varianti
in corso d’opera, sebbene lasci sfumare i contorni
del potere attribuito all’Autorità a fronte della co-
municazione sino all’indefinibilità. Entro 30 giorni
dall’approvazione della variante da parte della stazione appaltante, fermi restando gli obblighi di comunicazione all’Osservatorio dei contratti pubblici,
la stessa la trasmette all’Anac “per le valutazioni e
gli eventuali provvedimenti di competenza”. La disposizione prevede che, per gli appalti sopra soglia,
l’obbligo di comunicazione sussista per tre delle
cinque tipologie di varianti che l’art. 132 del Codice dei contratti pubblici contempla (cause impreviste o imprevedibili o possibilità di utilizzare nuovi
strumenti che determinino aumenti di qualità e
non di costo, rinvenimenti o eventi imprevisti riguardanti i beni su cui si interviene, aumento notevole di onerosità per cause geologiche o idriche
non previste dalle parti) (35) e che alla variante si
accompagnino altri documenti (progetto esecutivo,
atto di validazione, relazione del responsabile del
procedimento). Per gli appalti sotto soglia, invece,
sussiste un obbligo di comunicazione all’Osservatorio, la cui inosservanza è sanzionata pecuniariamente (36), di tutte le varianti di cui all’art. 132
del Codice “per le valutazioni e gli eventuali provvedimenti di competenza dell’Anac”.
Ebbene, prescindendo da considerazioni sul carico di lavoro che dalla disposizione deriverà e sui
tempi necessari al suo smaltimento (37), il doppio
binario creato dalla disposizione in questione presenta alcune difficoltà d’interpretazione.
In primo luogo, per gli appalti sopra soglia, prevede un obbligo di trasmissione all’Anac «fermo
restando quanto previsto in merito agli obblighi di
comunicazione all’Osservatorio» e, per quelli sotto
soglia, un obbligo di trasmissione all’Osservatorio
per le valutazioni e i provvedimenti di competenza
dell’Anac. Osservatorio e Anac sono distinti solo
funzionalmente (come del resto la “fusione per incorporazione” dell’Avcp da parte della ex Civit,
prevista proprio dal decreto n. 90, conferma): un
obbligo nei confronti dell’Osservatorio dovrebbe
tempo indeterminato delle amministrazioni soggette a limitazioni assunzionali relative a graduatorie approvate dopo il 30
settembre 2003, e, a regime, dal contributo dello 0,0006% versato dai soggetti aggiudicatari di cui all’art. 176 del Codice dei
contratti pubblici a sostegno delle spese di monitoraggio e
prevenzione dell’illegalità.
(35) L’obbligo di comunicazione esclude implicitamente il
medesimo obbligo per le varianti derivanti da sopravvenute disposizioni legislative o regolamentari e dal manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in
tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione.
(36) Come disposto dall’art. 6, c. 11, del Codice dei contratti pubblici «Con provvedimento dell’Autorità, i soggetti ai quali
è richiesto di fornire gli elementi di cui al comma 9 sono sottoposti alla sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro
25.822 se rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di
fornire le informazioni o di esibire i documenti, ovvero alla sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro 51.545 se forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri. […]».
(37) Nella Relazione annuale del 2012 dell’attività svolta dall’Avcp, si trovano dati delle varianti in corso d’opera relative alle sole opere della “legge obiettivo”. Tra le opere in esecuzione
o concluse (373 lotti), nel 56,3% dei casi è stata validata una
variante, con frequenza maggiore per gli appalti di importo
compreso tra 10 e 50 milioni di euro aggiudicati con procedure negoziate (72%) e criterio di aggiudicazione del massimo ribasso. In aggiunta, la stessa Autorità segnalava che “vengono
spesso indicate cause impreviste ed imprevedibili che talvolta
mascherano l’insufficiente capacità delle stazioni appaltanti di
progettare opere pubbliche anche quando queste sono di importo non particolarmente elevato”.
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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equivalere, sul piano degli effetti (ma anche del
drafting normativo), ad un obbligo nei confronti
dell’Anac.
In secondo luogo, una precisa scelta di politica
legislativa ha escluso che, per gli appalti di importo
e importanza maggiori, le stazioni appaltanti debbano comunicare le varianti relative a norme sopravvenute o a gravi errori od omissioni nel progetto esecutivo. Una scelta di pari grado ha incluso
queste due tipologie di variante nella comunicazione relativa agli appalti sotto soglia (38). Una valutazione dell’Autorità sulla eventuale illegittimità di
una variante per un errore nel progetto esecutivo,
forse voluta a fini di ribasso in sede di gara e successiva artificiale lievitazione dei costi in fase esecutiva, sarebbe stata probabilmente funzionale al
rafforzamento del sistema di prevenzione (39).
In terzo luogo, il riferimento alle “valutazioni” e
agli “eventuali provvedimenti di competenza dell’Anac” appare vago. Forse lo è volutamente e lascia
all’Autorità il più ampio margine di manovra. Tuttavia, come è noto, il legislatore non ha affidato al-
l’Avcp alcun potere di sindacato delle varianti in
corso d’opera, né sotto il profilo della legittimità, né
sotto quello del merito. E’ immaginabile che, a seguito dell’esame condotto dall’Autorità anticorruzione, essa possa segnalare eventuali profili di irregolarità o sospetta illiceità all’autorità giudiziaria.
Quest’ultima, in verità, è il convitato di pietra
del decreto: per evitare che un’autorità amministrativa come l’Anac si ibridi con quella giudiziaria, le sinergie tra le due sono cruciali per l’efficacia degli strumenti preventivi e repressivi, nonché
per il potenziamento della necessaria complementarietà tra attività amministrativa e giudiziaria.
Inoltre, ciò che la lettura e la riconduzione a sistema delle disposizioni del decreto suggerisce è che
non esista un’Autorità con più poteri, bensì un suo
Presidente con maggiori prerogative. In futuro, a
ordinamento fermo, la nomina di quest’ultimo
condizionerà il modo in cui l’Autorità si farà carico
dei propri compiti istituzionali, utilizzando con minore o maggiore verve gli strumenti che il legislatore le ha recentemente affidato.
Le nuove disposizioni in materia di lavoro pubblico
di Massimo Macrì (*)
Tra le principali innovazioni introdotte in materia di lavoro pubblico dal decreto legge n. 90/2014, sono di
particolare interesse quelle afferenti i processi di ricambio generazionale, le disposizioni relative alla razionalizzazione e semplificazione dei limiti previsti per le nuove assunzioni, le misure in ordine alla mobilità e
collocamento in disponibilità dei dipendenti, nonché le norme che introducono una più rigorosa disciplina
di conferimento degli incarichi di natura dirigenziale anche negli enti locali.
Le disposizioni in materia di lavoro pubblico,
contenute nel Titolo I, Capo I, artt. 1 - 15 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito nella
legge n. 114 dell’11 agosto 2014, sebbene siano
tutte orientate al “sostegno dell’occupazione”, non
sembrano improntate a rivedere in via strutturale
la disciplina di riferimento (1) attesa la molteplicità e diversità delle norme ed istituti coinvolti. Infatti, molte delle disposizioni introdotte all’interno
del Capo I, risultano essere dettate da fattori contingenti di necessità ed urgenza, (2) anche e so-
(38) L’art. 37, c. 2, del decreto legge n. 90 del 2014, infatti,
dispone che «Per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, le varianti in corso d’opera di cui all’art. 132 del codice di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono comunicate all’Osservatorio […]». Per gli appalti
sopra soglia, invece, il medesimo art. 37, al c. 1, fa riferimento
alle sole varianti di cui all’art. 132, comma 1, lett. b), c) e d).
(39) Non a caso, la dottrina si interroga su quale debba essere la profondità dei controlli per evitare un mercato oltremodo ingessato. A. Vannucci, Il mercato della corruzione: i meccanismi dello scambio occulto in Italia, Milano, 2007, in part. p.
15 ss.; nonché F. Merloni, L. Vandelli (a cura di), La corruzione
amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Firenze-Antella,
2010, passim.
(*) Le opinioni espresse nel presente articolo sono a titolo
personale e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione
di appartenenza.
(1) Per un’ ampia disamina in tema di personale, si veda S.
Battini, Il personale, in S. Cassese, (a cura di) Istituzioni di diritto amministrativo, IV edizione, Milano 2012, 131-194
(2) In tale contesto, ed al fine di analizzare nel presente
contributo gli istituti ritenuti di maggiore interesse, di seguito
si riportano gli articoli del Capo I non trattati: Rifinanziamento
dell’accesso alla pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti (art. 1-bis); Estensione del divieto di conferimento di incarichi di natura dirigenziale a soggetti in quiescenza (art. 6); Riduzione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali
nelle pubbliche amministrazioni (art. 7); Riforma degli onorari
Premessa
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prattutto, nell’ottica di una politica di spending review avviata già dai precedenti governi fin dal
2011. (3)
In tale contesto, ciò che traspare, è la “volontà”
del legislatore di tentare di valorizzare la professionalità dei lavoratori della pubblica amministrazione, garantendo, da un lato, il miglior utilizzo delle
risorse umane attualmente in servizio, e, dall’altro,
il rinnovamento e l’arricchimento delle capacità
del personale pubblico attraverso l’ingresso di giovani e nuovi lavoratori. Tuttavia, alla luce di una
analisi d’insieme delle norme introdotte, sembra
emergere che detta volontà non trovi un effettivo
riscontro nella rivisitazione degli istituti coinvolti,
i quali, probabilmente, dovranno essere ripensati
in futuro, magari in costanza di altri non trattati.
In ogni caso, tra le principali innovazioni è possibile annoverare i processi di ricambio generazionale, la razionalizzazione e semplificazione dei limiti previsti per le nuove assunzioni, l’introduzione di
misure volte a favorire l’efficiente utilizzo del personale delle diverse amministrazioni anche attraverso gli istituti della mobilità e del collocamento
in disponibilità, una più rigorosa disciplina di conferimento degli incarichi di natura dirigenziale anche negli enti locali.
Disposizioni per il ricambio generazionale
nelle pubbliche amministrazioni
Al fine di favorire il ricambio generazionale delle pubbliche amministrazioni «in un momento di
crisi del sistema economico nel suo complesso e di
dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli
enti pubblici (art. 9); Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione della ripartizione
del provento annuale dei diritti di segreteria (art. 10); Copertura
assicurativa dei soggetti beneficiari di forme di integrazione e
sostegno del reddito coinvolti in attività di volontariato ai fini di
utilità sociale (art. 12); Abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163, in materia di incentivi per la progettazione (art. 13);
Fondi per la progettazione e l’innovazione (art. 13bis); Conclusione delle procedure in corso per l’abilitazione scientifica nazionale (art. 14); Disposizioni urgenti relative a borse di studio
per le scuole di specializzazione medica (art. 15); Incarichi direttivi ai magistrati (art. 2); Estensione dell’obbligo del collocamento in fuori ruolo per i magistrati, avvocati e procuratori dello Stato che assumono incarichi negli uffici di diretta collaborazione (art. 8).
(3) L. Hinna, M. Marcantoni, Spending review. E’ possibile
tagliare la spesa pubblica italiana senza farsi male? 2012, Roma.
(4) Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Atti parlamentari,
Disegni di legge e relazioni, disegno di legge n. 2486, Conversione in legge del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 recante
Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, presentato il 24
giugno 2014, Relazione di accompagnamento, p. 2.
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blocco delle assunzioni» (4) l’art. 1, del decreto in
esame interviene sotto due profili. In primo luogo,
abrogando tutte le norme che disciplinano l’istituto del trattenimento in servizio, (5) in secondo
luogo, riformando la disciplina della risoluzione
unilaterale del rapporto di lavoro da parte della
pubblica amministrazione.
Per quanto concerne il trattenimento in servizio
nelle pubbliche amministrazioni, in via preliminare
occorre rilevare come detto istituto consentiva ai
dipendenti pubblici di permanere in servizio per
un biennio oltre l’età pensionabile. Il c. 1, dell’art.
1, del decreto n. 90/2014, abroga tutte le disposizioni che disciplinano tale istituto (6) - prevedendo
una disciplina transitoria (7) - e al contempo introduce una triplice deroga alla nuova disciplina che
a regime entrerà in vigore il 1 novembre 2014. La
prima deroga (c. 3) è in favore dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, i quali possono continuare ad usufruire dell’istituto in parola
fino al 31 dicembre 2015 o fino alla scadenza se
anteriore «al fine di salvaguardare la funzionalità
degli uffici giudiziari», purché alla data di entrata
in vigore del decreto i magistrati siano in possesso
dei requisiti previsti dalla normativa vigente al momento della richiesta. (8) La seconda deroga (c. 3bis) è nei confronti del personale della scuola, al
quale è consentito avvalersi del trattenimento in
servizio fino al 31 agosto 2014 o fino alla scadenza
se anteriore, «al fine di salvaguardare la continuità
didattica e di garantire l’immissione in servizio fin
dal 1 settembre». Infine, una terza deroga (c. 3-ter)
è stata prevista in modo da garantire la permanen(5) Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Atti parlamentari,
Disegni di legge e relazioni, disegno di legge n. 2486, Conversione in legge del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 recante
Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, presentato il 24
giugno 2014, Relazione di accompagnamento, p. 2, la quale
chiarisce che l’abolizione di tale istituto non rappresenta un fenomeno di grande incidenza in termini quantitativi.
(6) Le norme abrogate sono: l’art. 16 del d.lgs. n. 503/1992,
l’art. 72, commi 8 - 10 del d. l. n. 112/2008 convertito nella l.
n. 133/2008 e l’art. 9, c. 31, del d. l. n. 78 /2010 convertito nella l. n. 122/2010.
(7) Ai sensi del c. 2, del citato art. 1, del decreto in esame, i
trattenimenti in servizio in essere alla data dell’entrata in vigore del decreto legge (25 giugno 2014) sono fatti salvi fino al 31
ottobre 2014 (o fino alla loro scadenza se anteriore), mentre i
trattenimenti in servizio disposti ma non ancora efficaci alla
medesima data sono revocati.
(8) Al riguardo si evidenzia che per dette categorie di personale - compresi gli avvocati dello Stato, inizialmente inclusi
nella deroga in parola e poi espunti in sede di conversione del
decreto - il comma 1-bis, dell’art. 16 della l. n. 503/1992 ha
esteso la facoltà del trattenimento in servizio sino al compimento del settantacinquesimo anno di età.
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te, addirittura pregiudicando il regolare espletamento della funzione istituzionale cui è preposta:
l’erogazione del servizio ai cittadini. Rimangono
invece esclusi dall’ambito di applicazione dell’istituto in commento (come previsto nella normativa
previgente) il personale della magistratura, i professori universitari ed i responsabili di struttura
complessa del Servizio sanitario nazionale.
za in servizio dei consiglieri di Stato appartenenti
al gruppo di lingua tedesca della provincia di Bolzano.
In ordine poi alle modifiche apportate alla disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di
lavoro da parte della pubblica amministrazione, il
c. 5, dell’art. 1, del decreto n. 90/2014, sostituisce
il comma 11 dell’art. 72, del d.l. n. 112/2008 convertito nella legge n. 133/2008, intervenendo sotto
vari aspetti.
Innanzitutto, la nuova normativa ha carattere di
stabilità, nel senso che quella previgente era prevista fino al 2014. Inoltre, è esteso l’ambito di applicazione dell’istituto oltre che nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni di cui al all’art. 1,
c. 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, (9) anche al personale delle autorità indipendenti. Più
specificamente è previsto che le citate amministrazioni possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al
pensionamento (10) e non prima del compimento
di sessantadue anni di età (al di sotto della quale
opererebbero riduzioni percentuali del trattamento
pensionistico) risolvere il rapporto di lavoro ed il
contratto individuale anche del personale dirigenziale, (11) con un preavviso di sei mesi (come già
previsto nella previgente normativa). Tuttavia, per
poter procedere alla risoluzione è necessaria una
«decisione motivata con riferimento alle esigenze
organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza
pregiudizio per la funzionale erogazione del servizio». Appare dunque evidente la cautela operata
dal legislatore nel prevedere un obbligo di motivazione che di fatto consente un controllo sul corretto operato dell’amministrazione, impedendo che la
stessa possa assumere un provvedimento non rispondente ad un interesse generale e quindi di par-
L’art. 3 introduce una nuova disciplina in ordine
alle limitazioni di assunzioni a tempo indeterminato del personale pubblico, cosi detto turn over, improntata, secondo gli obiettivi dichiarati del Governo e riportati nella rubrica di tale articolo, alla
semplificazione e alla flessibilità. L’intento dovrebbe essere quello della semplificazione normativa
(mediante riconduzione ad un unico articolo) e
coordinamento delle assunzioni nel periodo 20142018. In realtà, l’art. 3 introduce dei regimi differenziati, sia sotto l’ambito oggettivo (graduale aumento delle percentuali di turn over) sia sotto il
profilo soggettivo (enti a amministrazioni tenute
ad applicare dette percentuali). Infatti, fermo restando il principio secondo il quale le categorie
protette non sono soggette a vincoli di assunzione
nel limite della copertura della quota d’obbligo, è
possibile individuare i seguenti diversi regimi di
turn over a seconda dell’amministrazione interessata: 1) amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agenzie, enti pubblici non
economici (12) (compresi quelli di cui all’art. 70,
c. 4 del decreto legislativo n. 165/2001 (13)); 2)
enti di ricerca; (14) 3) Corpi di polizia, Corpo na-
(9) Ai sensi dell’art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, «Per
amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e
grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province,
i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni,
le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le
Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali,
regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del
Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e le Agenzie
di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di
cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al Coni».
(10) Attualmente il requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento è pari a 42 anni e 6 mesi per gli uomini
e 41 anni e 6 mesi per le donne. Senato, XVII Legislatura, Dossier del Servizio Studi, n. 159, sull’A.S. 1582 “Conversione in
legge del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 recante misure
urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e
per l’efficienza degli uffici giudiziari”, agosto 2014, p. 55.
(11) La norma chiarisce che per i dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale la risoluzione è ammessa non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo
anno di età.
(12) C. 1, prima parte, dell’art. 3, del d.l. n. 90/2014.
(13) Gli enti di cui all’art. 70, c. 4, del d.lgs. n. 165/2001 sono: ente Eur; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche
assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (Enea); Azienda autonoma di assistenza al volo per il
traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (Rai);
Coni; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.n.a.c.).
(14) C. 2, dell’art. 3, del d.l. n. 90/2014. Inoltre, si sottolinea
come per i regimi sub 1) e 2), il c. 3 dell’art. 3, preveda una
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Semplificazione e flessibilità nelle nuove
assunzioni: rimodulazione delle percentuali
di turn over nel periodo 2014-2018
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La disciplina della mobilità dei dipendenti è stata innovata dal decreto in esame, sia per quanto riguarda il trasferimento tra amministrazioni pubbliche, sia nell’ambito di società dalle stesse partecipate.
Più in particolare, l’art. 4 introduce una nuova
disciplina dell’istituto della mobilità volontaria e
obbligatoria dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche, sostituendo, i commi 1, 1-bis e 2 dell’art. 30 del decreto legislativo n. 165/2001, recante “Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse”.
Per quanto concerne la mobilità volontaria, il
comma 1, innova la precedente disciplina in primo
luogo prevedendo che i dipendenti pubblici, in
presenza di vacanze di posti in organico presso altre
amministrazioni, possono presentare la domanda di
trasferimento “previo assenso dell’amministrazione
di appartenenza”, e non già, come in passato, a seguito di un parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o
sarà assegnato. In sostanza, sebbene si confermi la
regola generale secondo la quale il dipendente pubblico per potersi avvalere dell’istituto de quo deve
comunque ottenere un preventivo consenso della
propria amministrazione, non si individua - come
accadeva precedentemente - quale soggetto, all’interno di questa, è tenuto a fornire il placet, con la
conseguenza di ingenerare dubbi interpretativi e
difficoltà applicative della norma in questione. (18)
Inoltre, mentre precedentemente si prevedeva
un generico obbligo di pubblicazione da parte delle
amministrazioni circa la disponibilità dei posti in
organico da ricoprire mediante passaggio diretto di
personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta, il nuovo c. 1, dell’art. 30 del decreto legislativo n. 165/2001, circostanzia detto obbligo stabilendo che le amministrazioni sono tenute a pubblicare un bando sul proprio sito istituzionale per un periodo minimo di
trenta giorni, in cui sono indicati i posti disponibili, i criteri di scelta dei candidati nonché i requisiti
e le competenze professionali che gli stessi devono
possedere. (19)
Tuttavia, in via sperimentale, fino all’introduzione di nuove procedure per la determinazione dei
fabbisogni standard, il trasferimento dei dipendenti
tra sedi centrali di ministeri, agenzie, ed enti pubblici non economici (escluse quindi le autorità indipendenti) è ammesso anche in mancanza dell’assenso dell’amministrazione di appartenenza, a condizione, che l’amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore a
quella dell’amministrazione di provenienza. Quest’ultima disposizione, oltre a favorire i processi di
mobilità volontaria risponde sicuramente al principio di efficienza organizzativa della pubblica amministrazione. (20) Inoltre, deve ritenersi di sicura
utilità la previsione (se e nel momento in cui sarà
concretamente attuata) ai sensi della quale, al fine
di agevolare l’incontro tra la domanda ed offerta
della mobilità, è istituito un “portale” presso la
specifica procedura per le autorizzazioni alle assunzioni nei limiti di turn over come innovati.
(15) C. 1, seconda parte, dell’art. 3, del d.l. n. 90/2014.
(16) C. 5, dell’art. 3, del d.l. n. 90/2014.
(17) Il divieto è stabilito dall’art. 16, c. 9, del d. l. n. 95/2012
convertito nella l. n. 135/2012.
(18) Articolo de Il Sole24ore, Mobilità volontaria in cerca di
“consenso”, del 15 settembre 2014, p. 26.
(19) M. Danza, Le novità in materia di impiego dopo la riforma del d. l. n. 90/2014, Intervento al seminario di formazione
per la riforma della PA – FSI-Coordinamento ADASS Sanità –
Lecce 11 e 12 luglio 2014.
(20) G. Napolitano, M. Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, 91-93.
zionale dei vigili del fuoco, scuola e università; (15)
4) Regioni ed enti locali sottoposti al patto di stabilità interno; (16) 5) Province, per le quali resta
fermo il già previsto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. (17)
Inoltre, nell’ottica della più generale politica di
spending review, la novella introduce un sistema di
monitoraggio annuale dei costi sull’andamento
delle assunzioni e dei livelli occupazionali (nel rispetto dei limiti introdotti) ad opera del Dipartimento della funzione pubblica (presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) e del Dipartimento
della ragioneria generale dello Stato (presso il Ministero dell’economia e delle finanze), i quali, se
rilevano incrementi di spesa che possono compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, rimettono la rilevazione al Ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione
che, di concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze, adotta misure correttive «volte a
neutralizzare l’incidenza del maturato economico
del personale cessato nel calcolo delle economie
da destinare alle assunzioni previste dal regime vigente».
La nuova disciplina della mobilità dei
dipendenti nelle amministrazioni pubbliche
e nelle società da queste partecipate
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Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica. (21)
Il c. 2 disciplina invece la mobilità obbligatoria
prevedendo che i dipendenti pubblici possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione,
o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel
territorio dello stesso comune ovvero a distanza
non superiore a cinquanta chilometri dalla sede
cui sono adibiti. Il c. 2 stabilisce inoltre la non applicazione (e quindi il superamento) del terzo periodo, primo comma, dell’art. 2103, del codice civile, ai sensi del quale il lavoratore «non può essere
trasferito da una unità produttiva ad una altra se
non per comprovate ragioni tecniche, organizzative
e produttive». (22)
Dunque tale norma innova rispetto al passato,
da un lato, prevedendo l’ambito territoriale entro
il quale le amministrazioni, accordandosi, possono
imporre il trasferimento del dipendente (stesso comune o entro cinquanta chilometri dal posto di lavoro), dall’altro, eliminando la necessita di indicare le motivazioni che determinano il trasferimento,
precedentemente individuate dal legislatore in ragioni di natura tecnica, organizzativa e produttiva.
Inoltre, secondo criteri da definirsi con successivo decreto del Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione - previa intesa, ove necessario in sede di conferenza unificata, e previa
consultazione con le confederazioni rappresentative - si prevede che possano realizzarsi passaggi diretti di personale tra amministrazioni anche in assenza di accordo tra queste, quando sia necessario
sopperire a carenze di organico per l’esercizio delle
funzioni istituzionali. E’ poi stabilito che dette diposizioni possano applicarsi solo con il consenso
dei dipendenti, esclusivamente qualora questi abbiano figli di età inferiore a tre anni con diritto al
congedo parentale, ovvero si sia in presenza di dipendenti che assistono persone con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro
il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i ses-
santacinque anni oppure siano anch’essi affetti da
patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Infine, il c. 2.2, dell’art. 4, del decreto n.
90/2014 statuisce la nullità degli accordi, atti e
clausole dei contratti collettivi in contrasto con la
nuova disciplina di mobilità volontaria e obbligatoria come sopra enucleata.
Per quanto riguarda invece la mobilità del personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, del decreto legislativo n. 165/2001, o dai loro enti strumentali, l’art.
5, c. 2, del decreto in commento, modifica la relativa disciplina prevista dall’art. 1, commi 563 - 568
della legge n. 147/2013, legge di stabilità 2014, introducendo il c. 567-bis. Quest’ultimo, in primo
luogo fissa un termine entro il quale le procedure
vigenti per il personale in esubero devono concludersi: sessanta giorni per la ricollocazione nella
stessa società o in società controllate dallo stesso
ente o dai suoi enti strumentali (c. 566); novanta
giorni per la ricollocazione in altre società dello
stesso tipo collocate anche al di fuori del territorio
regionale (c. 567). In secondo luogo, al pari di
quanto previsto per il personale in disponibilità
delle pubbliche amministrazioni, è introdotta la
possibilità, anche per il personale in esubero delle
società partecipate dalle prime, di chiedere la ricollocazione in una qualifica inferiore nella stessa società o in un’altra, entro quindici giorni dalla conclusione delle citate procedure. La differenza principale, come si spiegherà meglio nel proseguo, consiste nel fatto che la richiesta di ricollocazione in
una qualifica inferiore nella stessa società o in
un’altra, non è limitata ex lege - come accade nell’ambito delle amministrazioni pubbliche - ad “un
solo livello” rispetto alla qualifica posseduta.
(21) Il c.1-bis, del nuovo citato art. 30, stabilisce poi che
l’amministrazione di destinazione provveda alla riqualificazione
dei dipendenti la cui domanda di trasferimento sia stata accolta, anche avvalendosi della Scuola nazionale dell’amministrazione senza maggiori oneri per la finanza pubblica.
(22) In conformità a tale nuova disciplina della mobilità obbligatoria (che deroga ex lege, come visto, al terzo periodo, primo comma, dell’art. 2103 del codice civile) il c. 2, dell’art. 4,
del decreto, ha abrogato l’art. 1, c. 29 del d.l. n. 138/2011 con-
vertito nella l. n. 148/2001, ai sensi del quale i dipendenti delle
amministrazioni pubbliche, con esclusione dei magistrati, su richiesta del datore di lavoro, erano tenuti, sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive, ad effettuare
la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi, secondo criteri
ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.
(23) Più specificamente, all’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001, la
novella normativa aggiunge il c. 3-bis, modifica il c. 4, e sostituisce il c. 6.
1036
Assegnazione di nuove mansioni al
personale collocato in disponibilità
L’art. 5, c. 1, ridefinisce la disciplina del personale pubblico in esubero e collocato in disponibilità, di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001, in particolare prevedendo la possibilità di assegnare nuove
mansioni allo stesso. (23)
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Pubblica amministrazione
In primo luogo, per esigenze legate alla trasparenza e alla maggiore efficienza dell’istituto, (24) si
prevede che gli elenchi del personale collocato in
disponibilità, formati e gestiti dal Dipartimento
della funzione pubblica (per quanto concerne le
amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo e per gli enti pubblici non economici
nazionali) e dalle strutture regionali e provinciali
(per le altre amministrazioni), devono essere pubblicati sul sito istituzionale delle amministrazioni
competenti. (25)
Inoltre, al fine di ampliare le possibilità di ricollocamento del personale in disponibilità, e quindi
di garantire una maggiore tutela nei confronti di
tale categoria di dipendenti, è introdotta la facoltà
di presentare una istanza di ricollocazione, nell’ambito dei posti vacanti in organico, anche in una
qualifica inferiore o in posizione economica inferiore, della stessa o di inferiore area o categoria, in
deroga a quanto previsto dall’art. 2103 del codice
civile. (26) Al riguardo, è stato chiarito dalla norma che la ricollocazione può essere di un solo livello inferiore (27) e che il personale ricollocato in
qualifica o posizione inferiore non ha diritto alla
indennità spettante a seguito del collocamento in
disponibilità, (28) mentre mantiene il diritto di essere successivamente ricollocato nella originaria
qualifica (e, dovrebbe ritenersi, anche posizione) e
categoria di inquadramento, anche attraverso le
procedure di mobilità volontaria di cui all’art. 30
del d.lgs. n. 165/2001. (29) L’istanza può essere
presentata nei sei mesi anteriori alla data di scadenza del termine di ventiquattro mesi previsto, ai
sensi dell’art. 33, c. 8 del d.lgs. n. 165/2001, quale
periodo di godimento massimo della indennità
spettante a seguito del collocamento in disponibilità e, comunque, la ricollocazione non può avvenire
prima di trenta giorni anteriori alla data di scadenza del citato termine di ventiquattro mesi. (30)
Nell’ambito delle programmazione triennale delle assunzioni prevista dall’art. 39 della legge n.
449/1997, l’art. 5, dopo aver confermato la regola
generale secondo la quale prima di procedere a
nuove assunzioni occorre verificare la possibilità di
utilizzare il personale collocato in disponibilità, innova la precedente disciplina chiarendo che detta
regola vale sia per le assunzioni a tempo indeterminato, sia per quelle a tempo determinato per un
periodo superiore ad un anno, nonché per l’avvio
di procedure concorsuali che devono essere altrettanto subordinate alla predetta verifica.
Infine, si prevede che il personale in disponibilità, iscritto nei su menzionati elenchi, possa, alternativamente: 1) essere assegnato, nell’ambito dei
posti vacanti in organico, in posizione di comando
presso altre amministrazioni (31) che ne facciano
richiesta o individuate a seguito della ricognizione
effettuata dal Dipartimento della funzione pubblica; (32) 2) avvalersi dell’istituto della aspettativa
senza assegni presso organismi pubblici o privati. (33) Si stabilisce poi che il termine di ventiquattro mesi, quale periodo massimo di godimento
dell’indennità di disponibilità, è sospeso durante il
periodo in cui i dipendenti sono impiegati a tempo
determinato, o sono in posizione di comando presso altre amministrazioni o, ancora, si avvalgono
(24) Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Atti parlamentari, Disegni di legge e relazioni, disegno di legge n. 2486, Conversione in legge del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, presentato il 24 giugno 2014, Relazione di accompagnamento, p. 6.
(25) Art. 34, c., 2- 3-bis, del d.lgs. n. 165/2001.
(26) L’art. 2103 del codice civile prevede che il lavoratore
deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o
a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
(27) L’orientamento prevalente della giurisprudenza è quello di collegare la modifica in peius delle mansioni e della retribuzione, ad un esplicito accordo tra le parti ed al fatto che tale
modifica sia necessaria per evitare il ricorso al licenziamento
(sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 7755 del 7 agosto
1998 e sentenza della Cassazione, sezione lavoro, n. 16106 del
20 dicembre 2001).
(28) Ai sensi dell’art. 33, c. 8 del d.lgs. n. 165/2001, “Dalla
data di collocamento in disponibilità … il lavoratore ha diritto
ad una indennità pari all’80% dello stipendio e dell’indennità
integrativa speciale, con esclusione di qualunque altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi”.
(29) Con riferimento alla ricollocazione del personale in
qualifica o posizione inferiore, la nuova disciplina prevede che
in sede di contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative possono essere stabiliti criteri generali per l'applicazione delle disposizioni di cui al quinto
e al sesto periodo dell’art. 34, c. 4 del d.lgs. n. 165/2001.
(30) Art. 34, c., 4, del d.lgs. n. 165/2001.
(31) Artt. 56 e 57 del D.P.R. n. 3/1957.
(32) La ricognizione è eseguita ai sensi dell’art. 34-bis, c. 5bis del d.lgs. n. 165/2001, secondo il quale «ove se ne ravvisi
l’esigenza per una più tempestiva ricollocazione del personale
in disponibilità .. il Dipartimento della funzione pubblica effettua ricognizioni presso le amministrazioni pubbliche per verificare l’interesse all’acquisizione in mobilità dei dipendenti».
(33) L’art. 23-bis del decreto legislativo n. 165/2001 consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, di essere
collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale. Con l’introduzione
della normativa in commento si prevede una estensione dell’applicazione di detto istituto a tutti i dipendenti pubblici e
non soltanto ai dirigenti come in passato.
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della aspettativa senza assegni, e si precisa che l’onere retributivo è a carico dell’amministrazione o
dell’ente che utilizza il dipendente in quel momento. (34)
Conferimento di incarichi dirigenziali
a tempo determinato negli enti locali, enti
di ricerca, Regioni, enti ed aziende del
Servizio sanitario nazionale
L’art. 11, modifica il sistema di conferimento di
incarichi dirigenziali a tempo determinato negli
enti locali (c. 1), negli enti di ricerca (c. 2), nelle
Regioni e negli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale con riferimento alla dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa (c. 3).
L’intento della norma è quello di razionalizzare indicando indirettamente i limiti di spesa - l’assetto della dirigenza degli enti locali nella more di
una rivisitazione globale della materia, nel rispetto
del principio dell’obbligo della selezione pubblica. (35)
Più nel dettaglio, il c. 1, modificando l’art. 110
del decreto legislativo n. 267/2000, aumenta, dal
dieci al trenta per cento dei posti della pianta organica, la soglia massima per gli incarichi dirigenziali
che gli enti locali possono conferire mediante contratto a tempo determinato. Al riguardo, si chiarisce in maniera inequivocabile rispetto al passato,
l’obbligo di selezione pubblica per il conferimento
di tali incarichi al fine di «accertare, in capo ai
soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle
materie oggetto dell’incarico». Quanto sopra in
conformità all’orientamento della giurisprudenza
costituzionale che ammette le deroghe al concorso
pubblico, sia pure in ottemperanza all’art. 97, c. 3,
della Costituzione, in presenza di «peculiari e
straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee
a giustificarle, tenuto conto che dette deroghe devono essere esse stesse funzionali alle esigenze di
buon andamento dell’amministrazione. (36) Inol-
(34) Art. 34, c., 6, del d.lgs. n. 165/2001.
(35) Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Atti parlamentari, Disegni di legge e relazioni, disegno di legge n. 2486, Conversione in legge del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
1038
tre, si prevede che se i contratti sono stipulati con
dipendenti di pubbliche amministrazioni, questi sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento della anzianità di servizio, diversamente dalla disciplina previgente che statuiva la risoluzione del rapporto di lavoro e l’eventuale riassunzione subordinata alla vacanza del posto in organico.
Il c. 2, sostituisce il c. 6-quater dell’art. 19 del
d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’aumento del numero complessivo degli incarichi di funzione dirigenziale con contratto a tempo determinato attribuiti negli enti di ricerca di cui all’art. 8, del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri n.
593/1993. In particolare, detto incremento è fissato
nel venti per cento della dotazione organica dei dirigenti di prima fascia e nel trenta per cento della
dotazione organica dei dirigenti di seconda fascia,
in luogo, rispettivamente, del dieci per cento e dell’otto per cento, previsti in via generale per le pubbliche amministrazioni, dall’art. 19, c. 6, del d.lgs.
n. 165/2001. Al riguardo si precisa che nell’ambito
delle risorse disponibili a legislazione vigente, gli
incarichi eccedenti le citate percentuali previste in
via generale, devono essere conferiti a ricercatori o
tecnologi in servizio, previa selezione interna «volta ad accertare il possesso di comprovata esperienza
pluriennale e specifica professionalità» nelle materie oggetto dell’incarico.
Il c. 3, fissa un limite massimo pari al dieci per
cento della dotazione organica in ordine al numero
degli incarichi dirigenziali conferibili con contratti
a tempo determinato dalle Regioni, ovvero con riferimento alla dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa, dagli enti e dalle aziende del Servizio sanitario nazionale. La norma precisa che detti incarichi devono essere conferiti previa selezione pubblica, (al pari di quanto previsto dal c. 1) ai sensi dell’art. 19, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001 o di «disposizioni di settore riguardanti incarichi della medesima natura».
amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, presentato il 24 giugno 2014, Relazione di accompagnamento, p. 10.
(36) Sentenze della Corte costituzionale n. 81 del 2006 e n.
293 del 2009.
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Il processo amministrativo tra riorganizzazione e digitalizzazione
di Marco Macchia
Il decreto legge n. 90/2014 e la relativa legge di conversione ridisegnano parzialmente, con interventi chirurgici, la mappa delle tutele nel processo amministrativo. Le principali novità riguardano la riorganizzazione degli uffici giudiziari, l’accelerazione del giudizio di merito nel rito sugli appalti pubblici, l’introduzione del processo telematico nella giustizia amministrativa, il rafforzamento dei danni punitivi e delle sanzioni per l’abuso del processo. Alternando aspetti settoriali e ambiti più generali, le nuove disposizioni incidono in modo significativo sullo svolgimento della procedura giurisdizionale, sebbene non sembrano tali da imprimere una svolta nella direzione dell’effettività e della pienezza della tutela ai rimedi contro l’azione dei poteri pubblici.
Le misure di riforma della giustizia amministrativa sono eterogenee e appaiono ancorate a quattro
differenti principi ispiratori: economicità, effettività, semplificazione, nonché sanzione per responsabilità aggravata. Rispettivamente, nella prima categoria, stanno le misure di riorganizzazione delle sedi, dirette all’obiettivo di risparmio di spesa, nonché ad una modulazione più efficiente delle strutture. Nella seconda le previsioni sulla speditezza di
alcuni procedimenti giurisdizionali, che riguardano
in particolare il rito degli appalti pubblici, pure
mediante l’esplicitazione del principio di sinteticità
degli atti. Nella terza categoria rientrano gli interventi di informatizzazione e digitalizzazione, mediante i quali si introduce nel nostro sistema, per
la prima volta, un vero e proprio processo amministrativo telematico. Nella quarta categoria, infine,
sta il rafforzamento dei danni punitivi e delle sanzioni per l’abuso del processo, secondo la logica conosciuta negli ordinamenti anglosassoni nelle forme degli exemplary damages, comminati verso chi
ha agito con malice o gross negligence.
Ciò dimostra un interesse evidente del governo
verso il tema della giustizia amministrativa e forse
è coerente con il recente dibattito, in cui si è registrata la tendenza ad «attribuire alla giustizia amministrativa la responsabilità dell’incertezza, dello
stallo e dell’inefficienza che caratterizzano il sistema italiano e della sua incapacità di uscire dalla
crisi», a dimostrazione appunto che «il processo è
il terminale sul quale si scaricano le tensioni del sistema» (1). Eppure pensare di intervenire sul processo per riformare la pubblica amministrazione,
conferendole maggiore efficienza, appare una spe(1) L. Torchia, Giustizia ed economia, in questa Rivista, 2014,
337.
(2) Così in M. Nigro, Giustizia amministrativa, IV ed., Bologna, 1994, 28. Sul rapporto tra riforma costituzionale e giustizia amministrativa, S. Cassese, La giustizia amministrativa in
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ranza vana, pur essendo vero che la giustizia amministrativa è intimamente collegata con la posizione
e la funzione dell’autorità amministrativa. Così come sembra illusorio ritenere di stemperare con riforme siffatte quella “rilevanza politica”, di cui è
dotata la lite amministrativa, che è «alla base dell’alterazione o modificazione dei lineamenti puri
dell’ordinamento della funzione giurisdizionale» (2), ossia spiega il mantenimento del sistema a
sé di erogazione della giustizia, venendo «ad assicurare contemporaneamente, da un lato, la tutela dei
cittadini di fronte al non corretto svolgimento dell’attività, dall’altro, il perseguimento dell’interesse
pubblico attraverso l’esercizio del potere consentendo di indirizzarne la successiva azione» (3).
La soppressione delle sezioni staccate dei
tribunali amministrativi regionali
Ai sensi dell’art. 18, sono soppresse a decorrere
dal 1 luglio 2015 le sezioni staccate dei tribunali
amministrativi aventi sede in comuni che non sono sedi di corte d’appello, ad eccezione della sezione della provincia di Bolzano. Con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri saranno stabilite le modalità per il trasferimento del contenzioso
pendente. Stando a quanto “promette” il legislatore, si tratta solo di un primo intervento a carattere
provvisorio nelle more di una integrale rideterminazione dell’assetto organizzativo dei tribunali amministrativi. Entro la fine del 2014, infatti, il Governo si è impegnato a presentare alle Camere una
relazione sull’assetto dei tribunali e un contestuale
piano di riorganizzazione, che comprenda un’analisi dei fabbisogni, dei costi delle sedi e del personaItalia, in Corr. giur., 1994, 772.
(3) C. Franchini, Giustizia e pienezza della tutela nei confronti
della pubblica amministrazione, in Il diritto amministrativo oltre i
confini, Milano, 2008, 186.
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le, del carico di lavoro di ciascuna struttura e del
grado di informatizzazione. L’obiettivo è ammodernare il sistema e razionalizzare la spesa, individuando ulteriori sezioni giudiziali da cancellare sulla base della collocazione geografica e del carico di lavoro.
Nel breve periodo, nel tempo in cui dovrà essere
predisposta tale riorganizzazione, l’art. 18 sopprime
- a decorrere dal 1° luglio 2015 - tre delle attuali
otto sezioni staccate. Si tratta degli uffici dei tribunali amministrativi di Latina, Pescara e Parma,
mentre allo stato permangono le strutture di Catania, Lecce, Reggio Calabria, Salerno e Brescia. Tra
le soppressioni va annoverata anche l’eliminazione
del magistrato delle acque per le province venete e
di Mantova, le cui funzioni sono trasferite al provveditorato interregionale per le opere pubbliche
competente per territorio. Con riguardo alla città
di Venezia, le funzioni esercitate dal magistrato
delle acque, in materia di salvaguardia e di risanamento dell’ambiente lagunare, di polizia lagunare,
di organizzazione della vigilanza, di tutela dall’inquinamento, sono trasferite alla città metropolitana con le modalità che dovranno essere stabilite in
un apposito decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri.
La soppressione di queste sedi giudiziarie va nella giusta direzione di garantire maggiore incisività
al processo, nonché un giudizio più snello? Per rispondere a questo interrogativo è necessario premettere qualche dato utile. Storicamente le sezioni
distaccate sono state istituite - tra i primi anni Settanta e gli anni Ottanta (4)- per rispondere a due
diverse esigenze. La prima è per far fronte ai bisogni di centri urbani importanti sul piano socio-economico, circondari popolosi, caratterizzati da un rilevante contenzioso, in città di pari importanza rispetto a quella individuata come capoluogo (spesso
anche geograficamente distante). Basti pensare che
la sezione di Lecce ha un contenzioso, in termini
numerici, pari a quello di Bari, ovvero che la sezione di Catania vanta più personale in servizio e numeri maggiori rispetto alla sede di Palermo. La seconda, invece, consiste nella necessità di sfoltire il
carico di lavoro dei tribunali amministrativi nelle
sedi capoluogo oberati di un più rilevante contenzioso, come è evidente per la sezione di Latina rispetto al Tar della Capitale. Stando a questa distinzione, le soppressioni operate dall’art. 18 riguardano in due casi sedi che rientrano nella prima categoria (Pescara e Parma), e nella restante ipotesi
una sede della seconda categoria (Latina). I problemi maggiori sembrano registrarsi proprio in quest’ultimo caso, poiché il maggior contenzioso che
andrà ad affluire sul tribunale amministrativo di
Roma comporterà sicuramente, nell’immediato, disagi e difficoltà di gestione, e forse costi maggiori
per la necessità di reperire locali adatti ad ospitare
il personale e gli archivi della sede soppressa.
Complessivamente sulla capacità di un misura
del genere di produrre meno spesa pubblica si ha
qualche perplessità. In primo luogo, per il ridotto
raggio della misura stessa, poiché sono interessate
solo tre sedi su otto. In secondo luogo, perché vi è
il rischio di aggravare eccessivamente le sedi regionali più grandi, garantendo un servizio di minore
qualità. In terzo luogo, perché le sezioni staccate
hanno raggiunto negli ultimi anni elevati standard
di efficienza, impiegando poco personale e riducendo sensibilmente l’arretrato (5).
(4) Le fonti relative alle sezioni staccate dei tribunali amministrativi sono: l’art. 1 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; il
d.P.R. 21 aprile 1973, n. 214; il d.P.R. 18 aprile 1975, n. 277,
che indica le sedi e le circoscrizioni delle sezioni staccate dei
tribunali amministrativi regionali istituite nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Abruzzi, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia; l’art. 6 della l. 27 aprile 1982, n. 186 sull’ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed
ausiliario del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi
regionali.
(5) Come risulta da un rapporto presentato dall’Associazione magistrati amministrativi: «in tutte le sedi staccate, l’arretrato si è ridotto, negli ultimi anni, in percentuali rilevanti che
vanno dal 23 al 64%. Ad esempio, tra le sezioni staccate di
maggiori dimensioni Catania, terzo Tar d’Italia per dimensioni,
ha ridotto l’arretrato da 69.500 fascicoli pendenti a 53.161;
Reggio Calabria da 11.643 a 4.173; Latina da 7.787 a 4.280;
Brescia da 7.370 a 3.980; Lecce da 6.639 a 4.836. Parma e Pescara, poi, hanno ridotto l’arretrato rispettivamente del 21 e
del 64%)».
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La speditezza nel rito sugli appalti pubblici
Secondo il disegno della direttiva n. 2007/66/CE,
gli artt. 121 e 123 c.p.a. prevedono un periodo di
attesa tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto al fine di impedire all’amministrazione aggiudicatrice di sottoscrivere il contratto prima dell’intervento di una decisione giurisdizionale, cautelare
o nel merito. Per evitare di imporre al concorrente
pretermesso una situazione ormai stabilizzata, in particolare, la stazione appaltante deve attendere per la
stipulazione 35 giorni dalla comunicazione dei risultati di gara e 20 giorni di stand still nel caso di pronuncia cautelare all’interno del giudizio di impugnazione avverso l’aggiudicazione. Generalmente, però,
i tempi di attesa sono assai più lunghi: poiché la
proposizione del ricorso incidentale o dei motivi ag-
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giunti, in primo grado, comportano il rinvio della
pronuncia sulla richiesta cautelare, ovvero la presentazione della domanda di appello cautelare può a
sua volta ritardare il momento della stipulazione del
contratto. Nella prassi accade che l’amministrazione
stipuli oltre due mesi dopo che il ricorso è stato presentato.
L’art. 40 muta questo assetto, inserendo misure
tese ad accelerare ulteriormente il giudizio in materia di appalti, escludendo dall’ambito di applicazione i giudizi già introdotti con ricorso depositato (6). Lasciando da parte per ora le disposizioni
sul principio di sinteticità degli atti, che saranno
trattate più avanti, per un verso, si prevede che il
giudizio di merito, ferma la possibilità della sua definizione nell’udienza cautelare ove ne ricorrano i
presupposti, «viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad un’udienza fissata d’ufficio da tenersi entro quarantacinque giorni dalla
scadenza del termine per la costituzione delle parti
diverse dal ricorrente» (7). Per l’altro, che le misure cautelari possono essere subordinate, quanto all’efficacia - anche qualora dalla decisione non derivino effetti irreversibili - alla prestazione, pure attraverso fideiussione, di una cauzione di importo
commisurato al valore dell’appalto e che non sia
superiore allo 0,5 per cento di tale valore. Tale misura interinale è disposta per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza. Entrambe le disposizioni manifestano un evidente favor per il giudizio di merito, a
scapito del processo cautelare, il quale viene in
qualche modo indebolito (8).
Ambedue i rimedi, eppure, non sembrano sufficienti a correggere le alterazioni del sistema attua-
le. Innanzitutto, l’accelerazione del giudizio di merito serve ad ottenere una pronuncia più stabile,
ma non esaurisce il processo, poiché potrebbe comunque aversi un diverso esito del contenzioso in
secondo grado. Per cui, se attenendosi alle risultanze del giudizio del tribunale l’amministrazione sottoscrive il contratto, e successivamente il Consiglio di Stato capovolge detta pronuncia, si ripropongono tutti gli inconvenienti già noti: al giudice
spetterà decidere la sorte del contratto - fatta eccezione per le infrastrutture strategiche -; al contraente, nel caso di inefficacia, sarà dovuto il ristoro delle spese sostenute nella fase di avvio dell’appalto, considerato l’arricchimento senza causa di
cui le altre parti si potrebbero giovare; al subentrante saranno imposte le condizioni pattuite con
il precedente contraente, tanto per gli aspetti tecnici quanto per i profili economici, giacché non vi
è scorrimento di graduatoria, bensì intervento nel
corso dell’esecuzione contrattuale; all’amministrazione toccherà la difficile gestione del subentro,
con inevitabili ritardi e disagi nell’avvicendamento, ovvero, nel caso di mancata pronuncia di inefficacia, il risarcimento del danno a favore del ricorrente vincitore, considerata la non rilevanza del requisito soggettivo della colpa, secondo la giurisprudenza europea, nella responsabilità per illegittima
aggiudicazione degli appalti (9).
Anche la penalizzazione del giudizio cautelare,
gravato dall’imposizione della cauzione, non sembra andare nella giusta direzione. La cauzione sembra immaginata esclusivamente nel caso di accoglimento dell’istanza cautelare (10), in un momento
in cui non si produce alcun effetto irreversibile giustificandosi così l’espressa dicitura impiegata dal
(6) Sul tema, G. Greco, Il contenzioso sugli appalti pubblici e
la riforma del D.L. 90/2014 (brevi note), in giustamm.it; M. Lipari, L’efficienza della P.A. e le nuove norme per il processo amministrativo, in giustamm.it; M.A. Sandulli, Osservazioni a primissima lettura sull’impatto del d.l. 24 giugno 2014 n. 90 sul sistema
di giustizia amministrativa, in federalismi.it; R. De Nictolis, Le
novità dell’estate 2014 in materia di contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture, in federalismi.it.
(7) Prosegue la disposizione precisando che: «della data di
udienza è dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze
istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o
assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l’ordinanza che dispone gli adempimenti
istruttori o l’integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio
per l’esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad un’udienza da
tenersi non oltre trenta giorni».
(8) Oltre a ciò, si prevede anche che il tribunale amministrativo «deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro trenta giorni dall’udienza di discussione, ferma restando la
possibilità di chiedere l’immediata pubblicazione del dispositivo entro due giorni».
(9) Corte di giustizia, sez. III, 30 settembre 2010, in causa
C-314/09. In particolare, la Corte di giustizia ha chiarito che, in
tema di responsabilità dell’amministrazione aggiudicatrice, la
normativa dell’Unione europea prescinde dalla colpa, venendosi sostanzialmente a configurare una responsabilità di tipo
oggettivo: e ciò, soprattutto, al fine di assicurare un sistema di
rimedi giurisdizionali rapidi ed efficaci, anche in un’ottica di
maggiore apertura e trasparenza nel mercato degli appalti
pubblici. Di converso, il Consiglio di Stato - sez. IV, 31 gennaio
2012, n. 482 - ha cercato di temperare la problematica dell’imputazione soggettiva dell’illecito, ribadendo la tesi della responsabilità presunta, salva la dimostrazione dell’errore scusabile, sottolineando che nell’ordinamento interno la responsabilità civile dell’amministrazione per lesione di interessi legittimi
da attività provvedimentale rimane da inquadrarsi necessariamente nello schema dell’illecito extracontrattuale ex art. 2043
c.c.
(10) La norma precisa «il collegio quando dispone le misure
cautelari». Viceversa, gli effetti più gravi si hanno quando l’istanza cautelare è rigettata, poiché in genere da ciò consegue
la stipula del contratto con l’aggiudicatario, eppure in questa
ipotesi non pare immaginabile il ricorso allo strumento della
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contratto, con le difficoltà segnalate, a meno che la
decisione cautelare non ne sospenda la stipula, continuando la stessa a rimanere il «vero spartiacque
tra aggiudicazione e contratto» (13). Se l’intento
del legislatore è quello di anticipare quanto più possibile il giudizio di merito, quasi relegando l’ordinanza cautelare anche in modo dissuasivo a poche e
limitate ipotesi, ciò non sembra insomma vanificare
i motivi di preoccupazione più che presenti nel contenzioso sugli appalti pubblici.
legislatore - ed è incamerata dall’amministrazione,
così da proteggerla nell’ipotesi in cui il giudizio di
merito stravolga la pronuncia cautelare. In pratica,
si tratta di un onere aggiuntivo, imposto al ricorrente, per aver ritardato l’azione dell’amministrazione nella stipulazione e nell’esecuzione del contratto, domandando una tutela urgente. Dati gli
elevati importi degli appalti, la cauzione può costituire un grave deterrente e un elemento che scoraggia la parte a richiederla, né serve ad evitare,
peraltro, che si possa giungere alla conclusione del
contratto. Anzi, se si scoraggia la tutela cautelare,
si favorisce la stipulazione del contratto rendendo
ineffettiva la clausola di stand still. Eppure, il rimedio cautelare è protetto da una copertura costituzionale, nonché europea, trattandosi di uno strumento contemplato dalle direttive e immaginato
per impedire, con la massima sollecitudine, che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, per
cui la legittimità di tale intervento può essere posta
in dubbio (11). Ne sembra ammissibile che la parte
privata si faccia carico della sospensione di un progetto, dando garanzie rispetto agli oneri da ritardo
dell’opera pubblica.
La riforma non sembra, insomma, agevolare una
tutela più effettiva, né minimizza i rischi che il contratto possa essere dichiarato inefficace o che l’autorità pubblica possa essere condannata al risarcimento del danno (12). Ciò accade perché la riforma
promuove l’ottenimento della sentenza di merito in
tempi brevissimi, con l’obiettivo di esaurire rapidamente il contenzioso, ma non incide sul periodo di
stand still, che rimane comunque ancorato al giudizio cautelare: non opererebbe, pertanto, alcun meccanismo impeditivo della stipulazione del contratto.
L’anticipazione del giudizio appare poco efficace,
poiché non tiene conto dell’eventuale ricorso incidentale o per motivi aggiunti ovvero ancora dell’appello cautelare, che nel frattempo possono intervenire, i quali dilatano inevitabilmente i tempi di discussione. Sarà molto frequente il rinvio all’udienza,
da tenersi entro trenta giorni, per esigenze istruttorie o per l’integrazione del contraddittorio. Durante
questo lasso di tempo potrebbe sopraggiungere il
Sempre con riguardo al rito sugli appalti pubblici, il legislatore è intervenuto con una disposizione
volta a contenere il numero delle pagine degli atti
prodotti dalle parti, ricollegando a ciò l’auspicio ad
uno spedito svolgimento del giudizio. Già il codice
del processo conteneva la regola del principio di
sinteticità, sancito all’art. 3, alla cui violazione può
conseguire una condanna per le parti che hanno
prodotto atti lunghi, complessi e poco comprensibili, sebbene frequentemente scontino una complessità che non sta nella ricostruzione dell’avvocato, ma nella contraddittorietà dell’ordinamento.
Nondimeno tali previsioni e sanzioni non sono state ritenute sufficienti.
D’ora in poi le parti dovranno contenere «le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei
termini stabiliti con decreto del Presidente del
Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale
forense e l’Avvocato generale dello Stato, nonché
le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti» (14). Non si tratterà di un
compito semplice, poiché dovrà essere creata una
sorta di ipotetica griglia in cui si tenga conto - come richiesto dalla norma - di numerose variabili: il
valore effettivo della controversia, la natura tecnica, nonché il valore degli interessi sostanzialmente
perseguiti dalle parti. Elementi, peraltro, a loro
volta di difficile definizione.
Di fronte a questa furia legificatrice numerose sono le obiezioni che potrebbero essere avanzate. A
parte ciò, il quadro non sarebbe completo se si
cauzione. È difficile, invece, che la stazione appaltante aggiudichi al ricorrente vittorioso in sede cautelare, con scorrimento
della graduatoria, annullando l’aggiudicazione sulla scorta dell’accoglimento dell’istanza, considerato il breve lasso di tempo
che intercorre con il giudizio di merito super accelerato.
(11) Secondo G. Greco, Il contenzioso sugli appalti pubblici
e la riforma del d.l. 90/2014 (brevi note), cit., la cauzione obbligatoria risulta «in aperto contrasto con la direttiva 2007/66/CE.
La quale, al 28° considerando, dichiara, viceversa, di voler “incoraggiare gli interessati ad avvalersi maggiormente delle pos-
sibilità di ricorso con procedura d’urgenza, prima della conclusione del contratto».
(12) In argomento, M. D’Alberti, L’effettività e il diritto amministrativo, Napoli, 2011.
(13) Così in G. Greco, Il contenzioso sugli appalti pubblici e
la riforma del D.L. 90/2014 (brevi note), cit.
(14) Non se ne capisce la ragione, ma la norma si preoccupa anche di specificare che «con il medesimo decreto sono
stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere
consentito superare i relativi limiti».
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La sinteticità degli atti processuali
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omettessero alcune disposizioni di dettaglio, come
quelle in cui si precisa che «dai suddetti limiti sono
escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali
dell’atto», ovvero che «il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti» (15). Inevitabilmente per le
pagine che esorbitino da tali margini non v’è tutela,
né alcuna forma di ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c. Tutto ciò, come se non fossero la legislazione e l’amministrazione «a produrre incertezza
e ad essere impermeabili alle esigenze di modernizzazione, di chiarezza, di tempestività» (16), bensì come
se la lentezza fosse a carico di coloro i quali esercitano i “costosi” diritti di difesa, dato l’elevato peso del
contributo unificato dovuto in questo rito (17).
Il decreto n. 90 scommette molto sul processo telematico, quale misura per accelerare e semplificare
le fasi processuali. L’informatizzazione del processo
amministrativo è già in uno stadio avanzato, ma
l’art. 38 del medesimo decreto, ora convertito, trasforma quella che prima era solo una facoltà («possono») in un obbligo tassativo, prescrivendo che
«tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi
ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle
parti sono sottoscritti con firma digitale». Il che
comporta, di conseguenza, che tutti gli attori del
processo amministrativo dovranno, entro il 1 gennaio 2015, dotarsi degli strumenti per firmare digitalmente, ed in particolare non sarà agevole organizzare in un tempo così breve gli uffici giudiziari.
In più, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore
del provvedimento, dovrà essere adottato il decreto
del Presidente del Consiglio (18), con gli apporti
del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e dell’Agenzia per l’Italia digitale, volto a
stabilire le regole tecnico-operative per la sperimentazione e l’applicazione del processo amministrativo
telematico, «tenendo conto delle esigenze di flessibilità e di continuo adeguamento delle regole informatiche alle peculiarità del processo amministrativo, della sua organizzazione e alla tipologia di prov-
vedimenti giurisdizionali». In quella sede si dovranno assumere decisioni operative sul fascicolo digitale, sulla firma del cancelliere, sulla numerazione,
sulle comunicazioni in automatico alle parti.
Il deposito informatico sarà obbligatorio anche
per gli atti introduttivi del ricorso - a differenza di
quanto già accade nel processo civile telematico in cui sono esclusi, poiché nascono come documenti cartacei e non digitali, essendo per essi previsto l’obbligo di notifica. Nel processo amministrativo dovrà procedersi, dunque, ad un doppio
adempimento, producendo l’atto introduttivo in
versione sia cartacea che digitale. Non può sottacersi, inoltre, che l’informatizzazione integrale delle
fasi processuali compromette alcune disposizioni
del codice del processo, imponendone la riscrittura,
allorquando si fa menzione appunto di atti cartacei, relativamente al deposito ovvero alla comunicazione della notizia della sentenza.
La trasformazioni in senso telematico non riguarda solo gli atti del giudice e delle parti, ma pure tutte le comunicazioni e le notificazioni. D’ora
in poi si applicheranno al processo amministrativo
le disposizioni dell’art. 16 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179. Pertanto, le comunicazioni e le
notificazioni, a cura della cancelleria, saranno effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata. A tal fine le
pubbliche amministrazioni dovranno comunicare
al Ministero della giustizia l’indirizzo di posta elettronica certificata a cui ricevere le comunicazioni
e notificazioni. Questo elenco sarà consultabile dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati. La relazione di
notificazione sarà redatta in forma automatica dai
sistemi informatici in dotazione alla cancelleria. A
chi non abbia provveduto a munirsi di indirizzo di
posta elettronica certificata - sebbene la legge lo
preveda come obbligatorio - ovvero non lo abbia
tempestivamente comunicato, le notificazioni e le
comunicazioni saranno eseguite esclusivamente
mediante deposito in cancelleria. Mentre le comunicazioni e le notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica comu-
(15) Prosegue la norma approfondendo che “solo” «il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della
sentenza di appello».
(16) L. Torchia, Giustizia ed economia, cit., 338.
(17) Come noto, nel contenzioso amministrativo con riferimento alla materia degli appalti pubblici il contributo unificato
è stato via via aumentato. Attualmente gli importi sono così
stabiliti: € 2.000,00 quando il valore della controversia è pari o
inferiore a euro 200 mila euro; € 4.000,00 per le cause di importo compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro; € 6.000,00 per
quelle di valore superiore a 1.000.000 euro.
(18) Tale decreto è richiamato all’art. 13 dell’Allegato II al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
La semplificazione digitale del processo
amministrativo
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nicati al Ministero della giustizia. Anche per il
processo telematico è prevista lo svolgimento con
modalità informatiche, ai sensi dell’art. 43, purché
dei relativi atti processuali sia garantita la riferibilità soggettiva, l’integrità dei contenuti e la riservatezza dei dati personali.
La revisione della disciplina sulle spese
processuali e il contrasto all’abuso del
processo
L’art. 41, infine, ridefinisce l’art. 26 c.p.a. in tema di aumento delle spese e sanzioni per lite temerarie. La logica di tale disposizione consiste nella
comminatoria di una sanzione, ulteriore e aggiuntiva alla ordinaria soccombenza, finalizzata a ridurre
il contenzioso e contrastare l’abuso del processo. In
particolare, è previsto che il giudice - oltre alla obbligatoria pronuncia sulle spese del giudizio - può
condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente
al pagamento, in favore della controparte di una
somma equitativamente determinata, comunque
non superiore al doppio delle spese liquidate, in
presenza di motivi manifestamente infondati (19).
I rilievi critici possono essere diversi: per un verso,
manca un criterio legislativo predefinito a cui ancorare il giudizio di condanna, per l’altro, non è
chiaro il rinvio alla manifesta infondatezza dei motivi. Ad una prima impressione tale pronuncia sanzionatoria sembra davvero un evento residuale.
La descritta misura afflittiva, infatti, coesiste e si
viene a sovrapporre e ad aggiungere ad un’ulteriore
sanzione, anch’essa d’ufficio, prevista nel secondo
comma, comminata allorquando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio (20). Orbene, se la lite temeraria è connotata
dall’aver agito con malafede o colpa, in violazione
del dovere di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., in
modo da censurare tale comportamento della parte
processuale, questa nuova misura sanzionatoria si
appunta, viceversa, contro la condotta di un soggetto il cui unico profilo di censura è nel risultare “manifestamente” soccombente, il che appare quantomeno eccessivamente punitivo. Oltre al fatto che
ciò potrebbero essere contrario all’obiettivo di riduzione della spesa pubblica tutte le volte in cui ad essere soccombente è la pubblica amministrazione.
L’introduzione nel processo amministrativo di
forme di danno per scoraggiare l’abuso del processo
e preservare la funzionalità del sistema, con la censura di iniziative giudiziarie avventate o dilatorie,
sembra comportare in sostanza un inevitabile trasferimento degli oneri: non è tanto l’amministrazione che si deve preoccupare del buon funzionamento, dell’efficienza della giustizia e della ragionevole durata dei processi, quanto piuttosto è il
cittadino che - data la “chiarezza” e la semplicità
dell’ordinamento - deve essere in grado di valutare,
in via preventiva, le proprie ragioni e di introdurre
solo le cause che non appaiano manifestamente infondate, pena altrimenti la sua condanna. È il problema delle riforme del processo, con finalità deflattiva, a costo zero!
Le autorità indipendenti e gli enti pubblici
di Maria De Benedetto
Il decreto legge n. 90/2014 ha disposto una serie di misure in materia di autorità indipendenti (e di enti
pubblici) con la dichiarata prospettiva di una loro “razionalizzazione”. Queste misure sono intervenute a
disciplinare le incompatibilità, la gestione unitaria delle procedure di reclutamento e dei servizi strumentali, la sede, il numero dei componenti della Consob, il finanziamento delle Camere di commercio, l’informazione in materia di enti pubblici. Se l’intervento normativo sarà in grado di conseguire la ricercata razionalizzazione è però piuttosto improbabile. Alcune previsioni, infatti, riducono l’autonomia organizzatoria delle autorità e, attraverso di questa, la loro indipendenza e utilità istituzionale. Inoltre, l’istruttoria normativa si è rivelata inadeguata rispetto all’ambizioso obiettivo e non ha palesato elementi o analisi funzionali ad una valutazione prognostica delle regolazioni adottate: ciò ha consentito che in sede di conversione le norme adottate con il decreto siano state, in più di un caso, significativamente riformulate.
(19) Tale sanzione pecuniaria è accompagnata da un limite
edittale, poiché deve essere di misura non inferiore al doppio e
non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per
il ricorso introduttivo del giudizio.
1044
(20) L’art. 41 precisa, inoltre, che nel rito speciale in materia di appalti pubblici l’importo della sanzione pecuniaria per lite temeraria può essere elevato fino all’uno per cento del valore del contratto, ove superiore al suddetto limite.
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L’indipendenza delle istituzioni è questione di
grande interesse e al contempo di acceso dibattito:
un approfondimento se ne deve proprio agli studi
in materia di autorità indipendenti (4).
Le leggi istitutive di queste autorità hanno utilizzato (accanto ad altri) lo strumento dell’incompatibilità preventiva con la prospettiva di assicurare la
piena dedizione dei soggetti nominati alla missione
istituzionale, imponendo una previa verifica di
condizioni potenzialmente ostative all’assunzione
dell’incarico.
Nei sistemi amministrativi che da più lungo
tempo conoscono le autorità indipendenti – come
quello statunitense - è però ben chiaro il pericolo
di cattura delle authorities anche dopo la scadenza
dei mandati (5). La prevenzione di questa pratica è
stata assicurata con incompatibilità successive, limitando le possibilità di riconversione professionale nei settori regolati (6).
Così, il d.l. n. 90/2014 (art. 22, c. 2) ha novellato la legge in materia di tutela del risparmio introducendovi un art. 29-bis (7) e prevedendo per i
componenti degli organi di vertice ed i dirigenti a
tempo indeterminato della Consob un divieto di
intrattenere rapporti di collaborazione, consulenza
o impiego con i soggetti regolati, per i quattro anni
successivi alla cessazione dell’incarico. Lo stesso divieto, che era già previsto dalla normativa vigente
per i componenti delle autorità di regolazione dei
servizi pubblici (8) e in proposte di legge generale
in materia di autorità indipendenti (9), è stato dal
decreto esteso ai dirigenti a tempo indeterminato
delle stesse autorità (art. 22, c. 3, lett. a). Nei due
casi le conseguenze della violazione del divieto sono però diverse: per la Consob è prevista la nullità
del contratto, mentre per le autorità di regolazione
la legge istitutiva dispone una vera e propria sanzione pecuniaria.
Con la legge di conversione sono state, poi, operate due importanti modifiche, da un lato, mitigando nella durata tale incompatibilità successiva, che
viene portata da quattro a due anni (anche per le
autorità di regolazione); dall’altro, estendendo
l’ambito applicativo della previsione alla Banca
d’Italia e all’Istituto per la vigilanza sulle assicura-
(1) L’estensione più ampia riguarda: l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, la Commissione nazionale per le
società e la borsa, l’Autorità di regolazione dei trasporti, l’Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, l’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali, l’Autorità nazionale anticorruzione, la
Commissione di vigilanza sui fondi pensione, la Commissione
di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi
pubblici essenziali.
(2) Riguardante Consob, Banca d’Italia e Ivass.
(3) Sul punto si rinvia, supra, a F. Di Cristina, La nuova vita
dell’Anac e gli interventi in materia di appalti pubblici in funzione
anticorruzione.
(4) Per riferimenti bibliografici sia consentito il rinvio a M.
De Benedetto, voce Autorità indipendenti, in Dizionario di diritto
pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, 588. Sul tema v.
G. Amato, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in
Riv. trim. dir. pubb., 1997, S. Cassese, Poteri indipendenti, Stati, relazioni ultrastatuali, in Il Foro it., V, 1996, c. 9 e M. D’Alberti, Il valore dell’indipendenza, in M. D’Alberti, A. Pajno (a cura
di), Arbitri dei mercati. Le autorità indipendenti e l’economia,
Bologna, 2010, 11.
(5) Cfr. J.O. Freedman, Crisis and Legitimacy: the Administrative Process and American Government, New York, Cambridge University Press, 1978, 58. V. anche A. Frignani, R. Pardolesi, Diritto Antitrust italiano, Bologna, 1993, 841.
(6) Sul punto v. M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e
prospettive di un modello, Bologna, 2005, 43-44.
(7) Legge 28 dicembre 2005, n. 262, “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina
dei mercati finanziari”.
(8) Legge 14 novembre 1995, n. 481, “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”,
art. 2, comma 9.
(9) Tra cui, v. in particolare, Senato della Repubblica, XV legislatura, Disegno di legge n. 1366, Disposizioni in materia di
regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle
autorità indipendenti preposte ai medesimi, art. 16, comma 6,
riportato in G. Napolitano, A. Zoppini, le Autorità al tempo della crisi. Per una riforma della regolazione e della vigilanza sui
mercati, Bologna, Il Mulino/Arel, 2009, p. 124.
Premessa
Tra le altre (numerose) misure adottate, il decreto legge n. 90/2014 ne ha previste alcune per le
autorità indipendenti con l’espresso intento di una
loro “razionalizzazione”, reso evidente nella rubrica
dell’art. 22: se ne trovano ad ambito applicativo
più ampio (1) (tra cui, art. 22, commi 1, 4, 6 e 7 e
9), più ristretto (2) (art. 22, comma 2) e disposizioni specifiche (Avcp e Anac, art. 19 (3); Consob,
art. 22, commi 13-16). Qualche ulteriore previsione normativa è relativa agli enti pubblici e si pone
anch’essa in una prospettiva di “razionalizzazione”(art. 17).
L’obiettivo ambizioso della razionalizzazione non
sembra, però, esser stato sempre sostenuto dalle soluzioni regolatorie approntate, né preparato da
un’adeguata istruttoria normativa. Qualche previsione, infatti, riduce l’autonomia organizzatoria
delle autorità - e attraverso di questa l’indipendenza - senza che se ne palesi l’utilità mentre altre norme sono state completamente ridisegnate in sede
di procedura di conversione.
Autorità indipendenti e sistema delle
incompatibilità
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zioni (Ivass) che erano già stati presi in considerazione in una prima versione del decreto legge e poi
espunti dal testo portato in approvazione. La formula utilizzata dalla legge di conversione, a tale riguardo, tiene ora opportunamente in conto il fatto
che l’incompatibilità opera per Banca d’Italia e
Ivass «per un periodo non superiore ai due anni»
che però dovrà esser stabilito con d.P.C.M. da
emanarsi «previo parere della Banca centrale europea».
Inoltre, tanto per Consob che per le autorità di
regolazione dei servizi pubblici la legge di conversione ha soppresso la specificazione «a tempo indeterminato» di modo che l’incompatibilità successiva (che non si applica ai dirigenti responsabili
esclusivamente di funzioni di supporto) deve ora
essere applicata persino ai dirigenti a tempo determinato.
Il d.l. n. 90/2014 è, ancora, intervenuto con una
previsione di taglio generale (art. 22, c. 1), escludendo la possibilità che i componenti di un’autorità indipendente, alla scadenza del mandato, possano essere nominati presso altra autorità nei due anni successivi (10), così da evitare possibili “giostre”
di nomine. In sede di legge di conversione tale termine è stato peraltro portato a cinque anni di modo che il comprensibile divieto appare ora connotato di una particolare severità.
Il tentativo di concentrazione gestionale
Elemento fondante dell’indipendenza di una
autorità è senz’altro l’autonomia organizzatoria,
consistente nella possibilità di darsi un assetto e,
coerentemente, di avere un proprio ruolo del personale e di selezionarlo (11). Il d.l. n. 90/2014 ha
previsto una serie di misure che su questa autonomia incidono significativamente ma che - prima
ancora di meritare la qualificazione di “attacco
all’indipendenza” delle autorità da parte del go(10) Nel già richiamato Disegno di legge n. 1366, “Disposizioni in materia di regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle autorità indipendenti preposte ai medesimi”,
art. 16, comma 4, era prevista analoga incompatibilità per la
durata di un anno.
(11) Sul punto, sia consentito il rinvio alla voce M. De Benedetto, Autorità indipendenti cit., 591-593
(12) Cfr. Aeegsi, Memoria per l’audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, 7 luglio 2014, 329/2014/I/COM, in particolare p. 5. L’audizione si è
tenuta il 9 luglio 2014.
(13) Camera dei Deputati, I Commissione permanente - Affari costituzionali, Audizione dell’Autorità di regolazione dei
trasporti, 9 luglio 2014, p. 3
(14) Quali la riduzione percentuale del trattamento economico accessorio del personale dipendente non inferiore al ven-
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verno - si segnalano per la loro pochezza regolatoria.
In primo luogo, è stata disposta una gestione
unitaria delle procedure concorsuali per il reclutamento del personale delle autorità indipendenti,
previa stipula di apposite convenzioni, seppur con
un richiamo alla «specificità delle professionalità
di ciascun organismo» (art. 22, c. 4). La misura lascia fin d’ora prevedere criticità applicative: l’alto
livello di expertise professionale richiesta ai dipendenti delle autorità e lo straordinario assortimento
di competenze necessario per lo svolgimento delle
funzioni negli ambiti di loro competenza richiedono, infatti, che la provvista del personale sia assicurata da procedure adeguate e flessibili, in grado
di acquisire professionalità e competenze specifiche
all’interno di specifici settore di riferimento (12);
inoltre, è stato eccepito che nel caso di Autorità di
recente istituzione (come l’autorità di regolazione
dei trasporti), tale misura “rallenterebbe” il completamento della pianta organica (13).
Accanto ad altre norme adottate con la prospettiva della riduzione della spesa (14) l’art. 22, comma 7, ha poi stabilito la gestione “in modo unitario” dei servizi strumentali delle autorità mediante
la stipula di convenzioni o la costituzione di uffici
comuni tra almeno due Autorità: tra questi servizi
sono richiamati gli affari generali, i servizi finanziari
e contabili, gli acquisti e appalti, l’amministrazione del
personale, la gestione del patrimonio, i servizi tecnici e
logistici, i sistemi informativi ed informatici. Il legislatore si aspetta che da tale previsione si producano
«risparmi complessivi pari ad almeno il dieci per
cento della spesa complessiva sostenuta» per gli
stessi servizi dai medesimi organismi anche se, per
la verità, non è dato sapere alla stregua di quali
calcoli (15).
Tale disposizione suscita perciò curiosità: innanzi
tutto, su come sia conseguibile (e gestibile a regime) tal sorta di centralizzazione adespota dei servizi
ti per cento (art. 22, c. 5), e l’ulteriore abbattimento della spesa
per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per gli organi
collegiali non previsti dalla legge (riduzione “in misura non inferiore al cinquanta per cento, rispetto a quella complessivamente sostenuta nel 2013”, art. 22, c. 6).
(15) Come in più punti evidenziato nel parere del Comitato
per la legislazione sulla conversione in legge del decreto (Camera dei deputati, XVII legislatura, Bollettino delle Giunte e
delle Commissioni parlamentari, giovedì 3 luglio 2014) il disegno di legge di conversione «non è corredato della relazione
sull’analisi tecnico-normativa (ATN), né è provvisto della relazione sull’analisi d’impatto della regolamentazione (AIR), senza
che nella relazione di accompagnamento si riferisca in merito
all’eventuale esenzione dall’obbligo di redigerla» (p. 10 e p.
18).
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di staff (e delle leve gestionali), in presenza di leggi
istitutive, regolamenti di organizzazione e contratti
collettivi diversi. Se vi è certamente un rinvio della legge alla definizione in sede di convenzione, resta però più di un dubbio sulla giustificazione della
norma: in altri termini, come sia stato calcolato il
costo di tale complessa operazione e se il beneficio
atteso del dieci per cento di riduzione della spesa
sia il risultato di un percorso di valutazione prognostica o consista in una mera enunciazione ottativa.
Ancora, vi è la misura che ha previsto l’assoggettamento delle autorità indipendenti alle disposizioni in materia di acquisti centralizzati della pubblica
amministrazione (art. 22, c. 8), realizzata attraverso
l’estensione anche a queste (che ne erano escluse)
di due norme contenute nella legge finanziaria
2007 (16). Questa disposizione, che non sembra
mossa da evidenze risultanti dai controlli della
Corte dei conti (17), si inserisce in un quadro di
generale ricorso, da parte delle autorità, a meccanismi di revisione interna della spesa, così come in
una prassi di utilizzo delle convenzioni Consip (18): l’imposizione di un vincolo esplicito alle
norme in materia potrebbe pertanto costituire un
irrigidimento non necessario (19).
Ordini e contrordini in materia di sede
Altre norme del d.l. n. 90/2014 hanno riguardato la sede delle autorità.
Innanzi tutto, il decreto si è preoccupato di reagire all’eccessivo costo degli immobili strumentali
sede delle autorità indipendenti prevedendo un
(16) Legge 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, art.
1, c. 449-450.
(17) A tale riguardo v. Corte dei conti, Sezione centrale di
controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Deliberazione n. 1/2014/G del 6 marzo 2014, Esiti dell’esame dei
rendiconti e analisi della gestione amministrativa della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) - Esercizi 2010-2011-2012, in particolare p. 91, dove si conclude evidenziando «[…] una situazione ispirata ai canoni di buona amministrazione, sia sotto il profilo finanziario sia sotto quello più
strettamente amministrativo» e dove si constata «l’adozione di
politiche di contenimento delle spese tese in prospettiva ad
una riduzione dei contributi a carico dei soggetti vigilati». V.,
inoltre, Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Deliberazione n.
7/2014/G del 16 luglio 2014, Esame dei rendiconti e della gestione amministrativa dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Esercizi 2009-2012), in particolare p. 86 («i provvedimenti organizzativi decisi dall’Autorità, negli ultimi anni, appaiono orientati opportunamente ad una riduzione dei costi») e
p. 88 («per alcune voci di spesa, l’abbattimento è andato al di
là di quanto richiesto dal legislatore») ma anche p. 90 (in cui si
richiede «maggiore incisività nello sforzo di contenimento»).
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
procedimento per l’individuazione di edifici da adibire a sede comune (art. 22, c. 9), in altri termini
prevedendo un sostanziale obbligo di coabitazione
tra, da un lato, le tre autorità di regolazione, la Covip e la Commissione di garanzia per lo sciopero
(che avrebbero dovuto trasferirsi entro il 30 giugno
2015 in uno o più edifici contigui “da adibire a sede comune”, individuati attraverso l’Agenzia del
Demanio) e, dall’altro, le autorità di garanzia
(Agcm, Consob-sede di Roma, Garante Privacy,
Anac, che avrebbero dovuto essere collocate in
non più di due sedi comuni).
E’ stata poi abrogata - con l’art. 22, c. 10 - la
previsione dell’art. 2, c. 3 della legge n. 481/1995,
per cui «[…] più Autorità per i servizi pubblici non
possono avere sede nella medesima città». La norma - al tempo adottata in risposta ad una spinta
politica verso il «riequilibrio territoriale» dell’amministrazione - ha infatti determinato «un effetto
incrementale delle spese logistiche» quale conseguenza della duplicazione delle sedi, effetto evidenziato anche dalla Corte dei conti (20): le autorità
con sede a Napoli o Milano hanno, infatti, sede (e
personale) anche a Roma. In esito a tali previsioni,
l’art. 22, c. 12, ha abrogato il c. 2 dell’art. 14 del
codice del processo amministrativo che attribuiva
alla competenza inderogabile del Tar Lombardia,
sede di Milano, le controversie relative ai poteri
esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il
gas.
In sintesi, il decreto legge sembrava aver posto
le premesse per una concentrazione territoriale delle autorità indipendenti a Roma in un numero limitato di edifici.
(18) Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Deliberazione n.
1/2014/G cit., p. 92, dove si registra che Consob ha adottato la
prassi di far ricorso alle convenzioni Consip pur non essendone formalmente obbligata. Vedi anche Consip, Rapporto annuale 2012, dove si richiama la Convenzione fra l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e Consip avente ad oggetto lo svolgimento di attività di supporto in tema di acquisizione di beni e servizi, 19 giugno 2012.
(19) Sui rischi dei processi di centralizzazione degli acquisti
v. A. Nicita, F. Pammolli, La centralizzazione delle procedure
pubbliche di acquisto per beni e servizi «complessi»: quale valutazione economica delle opportunità e dei rischi?, 2003, CERM,
Note, 6/04, ottobre, disponibile sul sito www.cermlab.it, in particolare p. 4-5. V. anche L. Fiorentino, (a cura di), Lo Stato compratore. L’acquisto di beni e servizi nelle pubbliche amministrazioni, Bologna, 2007 e Gli acquisti delle amministrazioni pubbliche nella Repubblica federale, Bologna, 2011. V., infine, F. Di
Lascio, La centralizzazione degli appalti, la spending review e
l’autonomia organizzativa locale, in questa Rivista, 2, 2014, 205.
(20) Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Deliberazione n.
7/2014/G cit., p. 85.
1047
Normativa
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Pubblica amministrazione
A seguito dell’adozione del decreto, il Comitato
per la legislazione ha avanzato una serie di rilievi
critici riguardo alle misure adottate (21) e le audizioni delle autorità svolte presso la Commissione
Affari costituzionali della Camera dei Deputati
hanno consentito di quantificare i costi che un trasferimento di sede avrebbe imposto, sottostimati
dal decreto legge (22).
Così, in sede di conversione - anche grazie al
forte radicamento territoriale delle autorità - tali
misure sono state ridisegnate: l’art. 22 c. 9 è stato
sostituito, è stato introdotto un c. 9-bis e sono stati
soppressi il c. 11 e il c. 12.
La nuova formulazione dell’art. 22, c. 9, individua criteri alla stregua dei quali le Autorità indipendenti devono gestire i propri “servizi logistici”.
Tra questi: la sede dell’edificio deve essere di proprietà pubblica o in uso gratuito, ovvero in locazione ma a condizioni più favorevoli rispetto a quelle
previste per gli edifici demaniali disponibili; gli uffici devono essere concentrati nella sede principale, salvo che per obiettive esigenze funzionali; non
possono essere assegnate abitazioni a favore di
componenti o del personale; la spesa complessiva
per le sedi secondarie, per la rappresentanza, per le
trasferte e le missioni non può superare il venti per
cento della spesa complessiva; nella sede principale
deve essere assegnato almeno il settanta per cento
del personale (ad eccezione della Consob); la spesa
per incarichi di consulenza, studio e ricerca, non
può superare il due per cento della spesa complessiva.
Con il c. 9-bis si prevede poi che il rispetto dei
criteri sopra indicati debba essere assicurato dalle
autorità interessate entro un anno e che ne sia dato conto all’interno delle relazioni annuali, trasmesse anche alla Corte dei conti. Nel caso di
mancato rispetto anche di uno solo dei primi tre
criteri, l’Agenzia del demanio individua uno o più
edifici di proprietà pubblica da adibire a sede,
eventualmente comune, delle relative autorità inadempienti. Nel caso di violazione di uno degli altri
criteri l'autorità inadempiente dovrà trasferire all'erario una somma corrispondente all’entità della
maggiore spesa.
(21) Rilevando una mancanza degli “opportuni coordinamenti” nelle disposizioni dell’art. 22 (Camera dei deputati, XVII
legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, giovedì 3 luglio 2014 cit., p. 13), una dubbia portata
innovativa di alcune norme (con riferimento all’art. 22, c. 11,
p. 8), “ulteriori questioni di coordinamento” per altre misure
(art. 22, c. 12, p. 15)
(22) Aeegsi, Memoria per l’audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, cit., in particolare p. 4. Si veda, anche, Camera dei Deputati, I Commissione permanente - Affari costituzionali, Audizione dell’Autorità di
regolazione dei trasporti cit., p. 3: «l’incertezza rende difficile
procedere speditamente al completamento del suo assetto organizzativo».
(23) Art. 23, c. 1, lett. e) del decreto legge 6 dicembre
2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici”, convertito dalla legge 22
dicembre 2014, n. 214.
(24) Disegno di legge n. 2486, Relazione di accompagnamento cit., p. 16
(25) Art. 40, legge 23 dicembre 1994, n. 724. Sull’autofinanziamento della Consob v. P. Valensise, Il nuovo sistema di
finanziamento della Consob, in questa Rivista, 1996, 186. V. anche, A. La Spina, S. Cavotorto, Le autorità indipendenti, Bologna, 2008, 83 ss.
(26) Art. 8, c. 3, decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
(27) Disegno di legge n. 2486, Relazione di accompagnamento cit., p. 16
1048
Di nuovo sul numero dei componenti:
disposizioni in materia di Consob
Alcune altre norme (art. 22, commi da 13 a 16)
riguardano l’ordinamento della Consob.
In primo luogo, ne viene ripristinata l’originaria
composizione a cinque membri: l’art. 22, c. 13 del
d.l. n. 90/2014 abroga, infatti, la norma che aveva
disposto, con il «fine di perseguire il contenimento
della spesa complessiva per il funzionamento delle
autorità amministrative indipendenti», una riduzione dei costi portando il numero dei componenti
della Commissione nazionale per la società e la
borsa da cinque a tre (23).
Dalla relazione di accompagnamento emergono
le ragioni di tale misura (che in verità potrebbero
esser valide anche nel caso di altre autorità): si è,
in sostanza, considerato che «una composizione allargata della Commissione rafforzi, con l’apporto al
vertice di un maggior numero di competenze e di
una maggiore collegialità, l'azione di vigilanza sull’efficienza e sulla trasparenza dei mercati finanziari». Inoltre, nella relazione viene evidenziato che
«da un esame della legislazione comparata […] tutte le corrispondenti autorità dei principali mercati
finanziari hanno al proprio vertice organi composti
da più di tre membri» (24).
Tale novità non dovrebbe comportare nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, come previsto dall’art. 22, c. 15: la Consob ha da tempo un sistema di auto-finanziamento (25) e, anche a seguito della ulteriore riduzione dei trasferimenti dal bilancio dello Stato (26), «si finanzia esclusivamente
con i contributi dei soggetti vigilati» (27).
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Pubblica amministrazione
Sempre riguardo alla Consob, vengono reintrodotte con l’art. 22, c. 14 alcune norme che prevedevano maggioranze rafforzate per l’adozione di regolamenti o delibere in materia organizzativa.
L’informazione, elemento del difficile
governo degli enti pubblici
In materia di camere di commercio il d.l. n.
90/2014 aveva previsto, all’art. 28 un dimezzamento del diritto annuale dovuto a ogni singola camera
di commercio da parte delle imprese iscritte (28).
La misura è stata rivista in sede di conversione (29), prevedendo una diminuzione graduale del
contributo nel triennio 2015-2017 fino a giungere
alla misura del cinquanta per cento.
In sede di audizione alla Camera dei Deputati (30) era, infatti, stata evidenziata l’esiguità del risparmi di spesa che sarebbero derivati alle imprese
da una previsione così formulata e, al tempo stesso
gli effetti negativi che questa avrebbe potuto produrre (31). Tale contributo istruttorio - che è giunto ex post rispetto all’adozione della norma - avrebbe potuto assai utilmente essere acquisito ex ante.
Peraltro, l’inevitabile riorganizzazione del sistema delle camere di commercio che deriverà dalla
norma andrà valutata anche alla luce degli obiettivi di prevenzione della corruzione, che altrove nel
decreto appaiono così rilevanti. Infatti, le camere
di commercio alimentano e rendono disponibile
un patrimonio informativo indispensabile tanto
per il contrasto che per la prevenzione della corruzione (32) e sembrano chiamate a svolgere anche
funzioni in materia di gestione dei beni confiscati (33).
Le previsioni del d.l. n. 90/2014, art. 17, che riguardano la ricognizione degli enti pubblici (e l’unificazione delle banche dati delle società partecipate) meritano di essere segnalate perché costituiscono una misura di governo che segue i numerosi
tentativi di riforma e riduzione, a partire dalla legge n. 70/1975, segnati da altrettanto numerosi insuccessi (34).
L’art. 17, c. 1 esordisce con l’enunciazione del
«fine di procedere ad una razionalizzazione degli
enti pubblici e di quelli ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria». Per ciò, il Dipartimento della
funzione pubblica viene investito del compito di
predisporre entro sessanta giorni «un sistema informatico di acquisizione di dati e proposte di razionalizzazione in ordine ai predetti enti». Il sistema dovrà essere alimentato dalle amministrazioni statali
che inseriscono sia i dati che le proposte «con riferimento a ciascun ente pubblico o privato, da ciascuna di esse finanziato o vigilato».
Per assicurare che tale obbligo venga adempiuto,
il decreto legge prevede altresì un incentivo di tipo
negativo: decorsi tre mesi dall’abilitazione all'inserimento, le amministrazioni non potranno compiere atti relativi agli enti «ivi compresi il trasferimento di fondi e la nomina di titolari e componenti dei relativi organi». L’incentivo non sembra,
però, esser stato disegnato in modo ottimale: è stato notato come si tratta di una «formulazione dal
significato tecnico-giuridico di non immediata
comprensione» (35) e che la possibile inerzia delle
amministrazioni statali potrebbe risolversi in una
conseguenza negativa per enti «incolpevoli» i quali
(28) Sulla base dell’art. 18 della legge 29 dicembre 1993, n.
580 recante “Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”.
(29) Riguardo al punto si era espresso anche il Comitato
per la legislazione (Camera dei deputati, XVII legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, giovedì
3 luglio 2014) cit., p. 10 e 18 richiedendo una valutazione della
«effettiva sussistenza del requisito di immediata applicabilità».
(30) Camera dei Deputati, XVII legislatura, Bollettino delle
Giunte e delle Commissioni parlamentari, I Commissione Permanente - Affari Costituzionali, Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame del disegno di legge C. 2486 di conversione in
legge del decreto-legge n. 90 del 2014 recante misure urgenti
per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per
l’efficienza degli uffici giudiziari, Audizione di rappresentanti di
Unioncamere, p. 20.
(31) Effetti negativi sulle economie dei territori, sull’occupazione e direttamente sul bilancio dello Stato: dal testo dell’audizione (reperibile in www.unioncamere.gov.it) risulta che le imprese «mediamente […] risparmieranno ogni anno 63 euro […] per
le ditte individuali, che rappresentano il 60% delle imprese italia-
ne, il risparmio effettivo non supererà i 32 euro l’anno».
(32) Ci si riferisce, in particolare, alla banca dati Infocamere. Sul punto v. il Protocollo d'intesa tra Ministero degli Interni
e Unioncamere siglato il 14 dicembre 2011 (reperibile in
www.forumlegalita.it).
(33) Le Camere di Commercio sono interessate da una proposta di legge attualmente in discussione, Camera dei deputati, XVII legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni
parlamentari, giovedì 11 settembre 2014, II Commissione permanente (Giustizia), p. 45 ss., Misure per favorire l’emersione
alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate
e confiscate alla criminalità organizzata. C. 1138 d’iniziativa
popolare, C. 1039 Gadda e C. 1189 Garavini.
(34) Sul tema v. G. Napolitano, voce Enti pubblici, in Dizionario di Diritto Pubblico, diretto da S. Cassese, v. 3, Milano,
2223 e G. Napolitano, Gli enti pubblici: disegni di riforma e nuove epifanie, in G. Vesperini (a cura di), La riforma dell’amministrazione centrale, Milano, 2005, 51.
(35) Comitato per la legislazione (Camera dei deputati, XVII
legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, giovedì 3 luglio 2014) cit., 8.
I tagli al finanziamento delle Camere di
commercio
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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Normativa
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Pubblica amministrazione
«svolgono attività nell’interesse pubblico» (36). In
altri termini, questi potrebbero non «garantire la
continuità dell’azione amministrativa in eventuale
carenza di risorse pregiudicando, in tal modo, anche l’esercizio di funzioni pubbliche con possibili
maggiori oneri a carico della finanza pubblica in
relazione agli eventuali disservizi resi» (37).
Primum pensare (le funzioni), deinde
disegnare (l’organizzazione)
L’analisi delle disposizioni in materia di autorità
indipendenti (e marginalmente in materia di enti
pubblici) contenute nel d.l. n. 90/2014 spinge ad
interrogarsi sulla logica unitaria dell’intervento
normativo, o quanto meno a cercar di delineare
qualche tratto unificante delle misure adottate anche a seguito della incisiva riformulazione di diverse norme operata in sede di conversione dalla l. n.
114/2014.
Se dovessimo affidarci all’intento dichiarato
(“razionalizzazione delle autorità indipendenti, rubrica dell’art. 22; “razionalizzazione degli enti pubblici”, art. 17, c. 1) non troveremmo una risposta
convincente. Infatti, razionalizzazione è ormai sinonimo di riduzione di spesa ma non è affatto detto che - pur in questo circoscritto significato - la riduzione di spesa effettivamente si produca quale
conseguenza delle misure adottate. Anzi, dall’analisi delle quantificazioni operate dagli uffici parlamentari (38) e dalle audizioni svolte (39) è emerso
più di un punto critico che non consente di esclu(36) Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Verifica delle
quantificazioni, A.C. 2486, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici
giudiziari (conversione in legge del d.l. 90/2014), n. 123, 15 luglio 2014, p. 46.
(37) Ivi.
(38) Cfr. ivi, p. 46 e 61.
(39) V. sul punto la nota n. 22.
(40) Relazione sul Rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2005, vol. I, pag. 327: «la costante rimodulazione degli apparati può porre, sul piano operativo, non solo
incrementi di costi, quanto oneri ulteriori connessi alla effettiva
funzionalità delle strutture».
(41) European Commission, Communication “Strengthening
the foundations of Smart Regulations - improving evaluation”,
COM(2013) 686 final, 2.10.2013, p. 5.
(42) Con riguardo all’assenza dell’Air e dell’Atn, v. la nota n.
15.
(43) Da parte del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, tra
l’altro artt. 9 e 10.
(44) Comitato per la legislazione sulla conversione in legge
del decreto (Camera dei deputati, XVII legislatura, Bollettino
delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, giovedì 3 luglio
2014) cit., p. 6 e p. 14
1050
dere l’insorgere di ulteriori oneri a carico della finanza pubblica in esito alle norme adottate, quei
costi di “ritorno” più volte segnalati anche dalla
Corte di Conti (40): in altri termini, i cambiamenti nell’organizzazione producono costi (“changes are
costly” (41)) e creano effetti collaterali che dovrebbero essere considerati prima di avviare i processi
di riforma.
La povertà dell’istruttoria (42) sembra invece caratterizzare il complesso della normazione governativa anche in materia di organizzazione. Emblematico il caso dell’art. 19 in cui si prevede la soppressione dell’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) la quale
di recente era stata destinataria dell’attribuzione di
nuove competenze (43) da parte di un decreto legge convertito il giorno precedente a quello in cui è
stato adottato il decreto che l’ha soppressa (44).
L’institutional design (45) è, invece, affar serio in
quanto parte dell’enforcement del diritto, capace di
condizionarne l’effettività e la certezza (46).
La questione, se possibile, è di ancor maggior rilievo quando si tratta di autorità indipendenti, modello organizzativo per funzioni esecutive che richiedono una sottrazione all’indirizzo politico dei governi e un’indipendenza dai soggetti regolati (47), molto spesso in osservanza di vincoli europei.
Non si intende, peraltro, seguire un approccio
pregiudizialmente ostile alla richiesta di sacrifici o
di ragionevoli vincoli ad autorità tradizionalmente
destinatarie dell’ “invidia” degli altri comparti pubblici (48). La ratio di alcune norme del d.l. n.
(45) C. Alexander, Notes on the Synthesis of Form, 1964, p.
1 dove l’institutional design è descritto come un processo consistente in “inventing physical things which display new physical
order, organization, form, in response to function”. Sul punto v.
M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amministrazione
civile, 1959, 11, ora in Scritti, Vol. IV, 1955-1962, 719.
(46) Sul punto, v. J. Wroblewski, The rational law-maker. General theory and socialist experience, in L’educazione giuridica,
V - Modelli di legislatore e scienza della legislazione, tomo III - la
discussione contemporanea, a cura di A. Giuliani and N. Picardi, Napoli, 1987, 65. V. anche M.S. Giannini, Le incongruenze
della normazione amministrativa e la scienza dell’amministrazione, in Riv. trim. dir. pubb.,1954, 312: «le tematiche principali
della razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche risiedono innanzi tutto e prima di tutto nella delineazione delle forme
più idonee di strutture organizzative».
(47) Sul punto, v. C. Franchini, Le autorità indipendenti come
figure organizzative nuove, in S. Cassese, C. Franchini (a cura
di), I garanti delle regole, Bologna, 1996, 78: «le scelte organizzative che occorre operare per garantire l’indipendenza di determinate autorità appaiono obbligate […] la legge deve attribuire a questo tipo di autorità autonomia organizzatoria, di organico, finanziaria, contabile e di bilancio e prevedere talune
garanzie per i titolari degli uffici».
(48) M. Clarich, Autorità indipendenti cit., 34-35.
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Pubblica amministrazione
90/2014 è, infatti, ben comprensibile (seppur perfezionabile): così per le riduzioni di spese per consulenze, per la riduzione del trattamento accessorio,
per la ricerca di sedi meno dispendiose, per le incompatibilità. Peraltro, il problema della razionalizzazione delle autorità indipendenti è stato oggetto
di raccomandazioni anche in Francia, più di recente da parte del Comité d’évaluation et de contrôle des
politiques publiques, con riguardo alle questioni della
riduzione della spesa per immobili (recommandation
n. 21) e delle altre spese di funzionamento (recommandation n. 22) (49), pur se tali raccomandazioni
sembrano non aver portato tutti i risultati attesi (50).
Altre misure sembrano, però, potenzialmente
idonee a intaccare l’autonomia organizzatoria e mediatamente - l’indipendenza e la qualità della
prestazione istituzionale delle authorities: così, ad
esempio, le norme sui servizi unificati o sulla gestione unitaria delle procedure di reclutamento.
Non sembrano, perciò, contribuire a una razionalizzazione dal momento che il problema (reale) della valutazione della performance delle autorità indipendenti andrebbe affrontato con meccanismi specifici, informati al rispetto tanto dell’indipendenza
che della expertise (51).
E’, poi, tutto da dimostrare che tali misure saranno in grado di conseguire una razionalizzazione anche solo nei più ristretti termini di riduzione della
spesa. Anzi, in fase attuativa si renderà necessaria
la ricerca di escamotage e di soluzioni di accomodamento per contenere quanto più possibile i costi e
le disfunzionalità derivanti da alcuni dei nuovi vincoli normativi.
(49) Recommandations concluant le rapport d’information n.
2925, 28 ottobre 2010, Les Autorités administrative indépendantes : pour une indépendance sous la garantie du Parlement. La
razionalizzazione era, peraltro, già stata richiesta dal Rapport de
l'office parlementaire d'évaluation de la législation n. 404 (20052006), Les autorités administratives indépendantes: évaluation
d'un objet juridique non identifié, fait au nom de l'Office parlementaire d'évaluation de la législation, 15 giugno 2006.
(50) Sénat, Rapport d'information n. 616 (2013-2014), Autorités administratives indépendantes - 2006-2014: un bilan, 11
giugno 2014.
(51) Come nei processi di peer review attivati in sede Ocse
che vedono coinvolte anche le nostre autorità di regolazione. Il
20 settembre 2013, la Executive Committee ha approvato la
creazione del Network of Economic Regulators (NER), una
struttura sussidiaria della Regulatory Policy Committee (RPC)
[GOV/RPC/NER(2013)4], «a unique forum to promote dialogue
across regulators operating in different sectors. The NER
brings together more than 70 regulators from energy, telecommunications, transport and water to share experiences».
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Norme
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Novità in sintesi
Rassegna della normativa
statale
a cura di Umberto G. Zingales
Decreto “sblocca Italia”
Decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133
«Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive» - in G.U.
12 settembre 2014, n. 212
Il decreto (denominato “sblocca Italia”), composto di 45 articoli, è stato emanato al fine di: accelerare e semplificare la realizzazione di opere infrastrutturali strategiche, indifferibili e urgenti, nonché per favorire il potenziamento delle reti autostradali e di telecomunicazioni e migliorare la funzionalità aeroportuale; mitigare il rischio idrogeologico, salvaguardare gli ecosistemi, adeguare le infrastrutture idriche, superare le eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti; introdurre misure per garantire l’approvvigionamento energetico e favorire la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali; semplificare oneri burocratici, rilanciare i settori dell’edilizia e
immobiliare, promuovere il Made in Italy, rifinanziare gli ammortizzatori sociali in deroga.
Processo civile
Decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132
«Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo
civile» - in G.U. 12 settembre 2014, n. 212
Con questo decreto sono previste disposizioni in materia di: eliminazione dell’arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti (ad esclusione di quelli aventi ad oggetto diritti indisponibili o in materia di
lavoro, previdenza e assistenza sociale); procedure alternative alla ordinaria risoluzione delle controversie nel processo (in particolare, si segnala la nuova disciplina sulla procedura di negoziazione assistita da un avvocato);
semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio; funzionalità del processo civile di cognizione (tra le altre misure, si segnala la riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali, ora stabilita dal 6 al 31 agosto di ciascun anno); tutela del credito, semplificazione e accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali; organizzazione giudiziaria (con particolare riferimento ai tramutamenti successivi dei magistrati).
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Giurisprudenza
Diritti dell’uomo
Procedimento sanzionatorio Consob
Il caso Grande Stevens c. Italia:
le sanzioni Consob alla prova
dei principi Cedu
Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri
c. Italia
Anche se il procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob non ha soddisfatto le esigenze di equità e di imparzialità oggettiva dell’art. 6 CEDU, il successivo controllo giurisdizionale da parte della Corte d’appello, organo indipendente e imparziale dotato di piena giurisdizione, può compensare i vizi della fase procedimentale. Non è però compensato il vizio connesso alla mancanza di un’udienza pubblica, stante l’assenza di quest’ultima dinnanzi alla Corte d’appello, con conseguente violazione dell’art. 6 CEDU.
Il sistema punitivo delineato dagli artt. 185 e 187-ter del d.lgs. n. 58 del 1998, viola il principio del ne bis in
idem di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella misura in cui consente l’instaurazione di un procedimento penale per i medesimi fatti e per la stessa condotta quando la precedente sanzione amministrativa è
già stata confermata in via definitiva in sede giudiziale.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italie, ricorso n. 43509/08; (sul
ne bis in idem) Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Sergueď Zolotoukhine c. Russia, ricorso n. 14939/03.
Difforme
Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 giugno 2009, Dubus S.A.v. c. France, ricorso n. 5242/04; (sul ne bis in idem)
Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 luglio 1998, Oliveira v. Switzerland, ricorso n. 25711/94.
(Omissis)
IL COMMENTO
di Miriam Allena
Secondo la Corte di Strasburgo, il procedimento sanzionatorio della Consob non è conforme ai principi
dell’«equo processo» di cui all’art. 6 CEDU, in particolare sotto i profili del mancato rispetto della parità
delle armi tra accusa e difesa e del mancato svolgimento di un’udienza pubblica. Tuttavia, la successiva
fase giurisdizionale innanzi alla Corte d’Appello è idonea a sanare i vizi della fase procedimentale, salvo
per quanto attiene all’udienza pubblica, dato il carattere camerale di tale procedimento. Inoltre, sulla base
di un approccio sostanzialistico che guarda alla concretezza dei fatti commessi dall’accusato, la Corte ritiene che il sistema italiano di punizione dei market abuses, fondato sul cd. doppio binario penale e amministrativo, violi il principio del ne bis in idem di cui all’art. 4, protocollo n. 7 CEDU. La decisione induce a
ripensare il sistema sanzionatorio della Consob e delle altre Autorità amministrative indipendenti italiane.
Introduzione e sintesi dei fatti della
sentenza
Una nuova e importante sentenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo consente di fare il
punto sulla portata trasformatrice degli insegna-
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menti convenzionali europei in tema di potestà
sanzionatoria della pubblica amministrazione.
Si tratta del caso Grande Stevens e altri c. Italia,
nel quale si è criticamente discussa la conformità
del procedimento sanzionatorio amministrativo
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Giurisprudenza
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Diritti dell’uomo
della Consob e, poi, del ricorso in opposizione dinnanzi all’autorità giurisdizionale ordinaria, rispetto
ai principi dell’«equo processo» di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (1).
Più precisamente, i ricorrenti, sanzionati per
avere posto in essere un’operazione di rinegoziazione di un contratto di equity swap (2) ritenuta manipolativa del mercato, hanno sollevato alcune fondamentali questioni attinenti, da un lato, alla mancata attuazione del contraddittorio nella fase procedimentale di irrogazione della sanzione e, dall’altro, alla assenza di imparzialità e di indipendenza
della Consob.
Sotto il primo profilo, gli stessi hanno evidenziato come, nel caso di specie, non fossero stati posti
in condizione di conoscere e di interloquire (né
tramite il deposito di memorie e documenti né tramite audizione orale) relativamente a tutti gli atti
istruttori: infatti, seguendo la procedura dettata per
l’applicazione delle sanzioni amministrative dalla
delibera Consob del 21 giugno 2005, n. 15086 (3),
le conclusioni dell’Ufficio sanzioni (incaricato, insieme alla Divisione competente per materia, di
svolgere l’istruttoria) erano state trasmesse direttamente all'organo competente a irrogare la sanzione
(la Commissione), senza essere previamente portate a loro conoscenza, con conseguente violazione
del principio di parità delle armi tra le parti e del
diritto di difesa (4).
Sotto il secondo profilo, i ricorrenti hanno sottolineato che nel procedimento dinnanzi alla Con-
sob non era stata realizzata una effettiva separazione tra accusa e difesa, cioè tra gli organi competenti a istruire la causa (la Divisione competente per
materia e l’Ufficio sanzioni amministrative) e quello deputato a irrogare la sanzione (la Commissione): ciò, soprattutto in ragione della sottoposizione
dell’intera istruttoria al potere direttivo del Presidente il quale, peraltro, era altresì componente (in
qualità di Presidente) della Commissione, vale a
dire dell’organo decisorio chiamato a emanare il
provvedimento finale; di conseguenza, il principio
di separazione, pur formalmente attuato tramite
l’articolazione del procedimento sanzionatorio in
due fasi di competenza di organi diversi era stato,
nei fatti, vanificato.
Infine, facendo leva sulla natura sostanzialmente
“penale” (nel particolare significato attribuito a tale termine dalla giurisprudenza di Strasburgo) della
sanzione irrogata dalla Consob, i ricorrenti hanno
lamentato una violazione del principio del ne bis in
idem (sancito dall’art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (5)), per essere stati successivamente sottoposti, con riguardo
ai medesimi fatti, anche a procedimento penale. In
specie, essi hanno contestato la conformità a tale
principio del sistema del cd. “doppio binario” previsto dall’ordinamento italiano con riguardo alle
condotte di manipolazione del mercato: queste ultime, secondo quanto previsto, rispettivamente,
dagli artt. 185 e 187-ter del decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58 (testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, cd. Tuf),
(1) La sentenza è divenuta definitiva, ai sensi dell’art. 43
CEDU, il 7 luglio 2014, a seguito del rigetto della richiesta di
rinvio alla Grande Camera che era stata formulata dal Governo
italiano.
(2) Tale operazione aveva consentito a Ifil Investments s.p.a.
di mantenere una partecipazione di controllo nel capitale della
Fiat s.p.a. nonostante l'avvenuto aumento di capitale sociale a
servizio di un pregresso "prestito convertendo" stipulato dalla
società automobilistica con alcune banche. La manipolazione
del mercato era derivata, secondo l’accusa, dalla diffusione al
pubblico, da parte di Ifil Investiments s.p.a. e Giovanni Agnelli
& C. s.p.a., di comunicati riguardanti la vicenda finanziaria in
esame nei quali non era stata fatta menzione del piano di rinegoziazione del contratto di equity swap (che sarebbe stato, all’epoca, già in fase di avanzata realizzazione) onde evitare i
probabili effetti negativi sul prezzo delle azioni FIAT. Per una
più dettagliata esposizione della vicenda si rinvia alla approfondita nota di M. Ventoruzzo, Abusi di mercato, sanzioni Consob e diritti umani: il caso Grande Stevens e altri c. Italia, in Riv.
delle società, 2014, 693 ss.
(3) Come si dirà (cfr. il par. 5), gli artt. 1, 2 e 3 di tale delibera, recante "Disposizioni organizzative e procedurali relative all'applicazione di sanzioni amministrative e istituzione dell'Ufficio Sanzioni Amministrative" sono stati abrogati dalla delibera
n. 18750 del 19 dicembre 2013, recante “Adozione del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob, ai sensi
dell'articolo 24 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e succes-
sive modificazioni”.
(4) In specie, le censure riguardavano la mancata attuazione del contraddittorio nel passaggio dalla fase istruttoria a
quella decisoria. Secondo quanto previsto dalla delibera della
Consob del 21 giugno 2005, n. 15086, infatti, gli interessati potevano presentare memorie scritte e documenti durante la fase
istruttoria la quale era articolata in due momenti: il primo si
svolgeva innanzi alla Divisione competente per materia che
aveva contestato gli addebiti e il secondo innanzi all’Ufficio
sanzioni amministrative. Viceversa, non era previsto un ulteriore confronto con le controparti prima che l’Ufficio sanzioni amministrative formulasse le proprie conclusioni e proposte motivate e le trasmettesse alla Commissione, cioè all’organo decisorio competente ad adottare la misura sanzionatoria.
(5) Tale disposizione statuisce, al par. 1, che «Nessuno può
essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato». Per
un commento, cfr. G. Spangher, Art. 4, Protocollo addizionale
n. 7, in S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, 957 ss.; nonché, più di recente, S. Allegrezza, Art. 4, Protocollo n. 7, in S.
Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario
breve alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, 894 ss.
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Giurisprudenza
Diritti dell’uomo
possono essere punite sia con sanzione penale, sia
con sanzione amministrativa (6).
Nella sentenza che qui si commenta, la Corte di
Strasburgo ha riconosciuto in modo netto il disallineamento tra il regolamento della Consob in tema
di esercizio della potestà sanzionatoria e i principi
dell’«equo processo» di cui all’art. 6 CEDU (in particolare, sotto i profili del mancato rispetto della parità delle armi tra accusa e difesa e del mancato
svolgimento di un’udienza pubblica). Tuttavia, essa
ha poi ritenuto che il successivo sindacato giurisdizionale della Corte d’Appello (7) fosse sufficiente a
ristabilire ex post il rispetto dei principi convenzionali salvo che per il profilo, tutto sommato minore,
dell’inesistenza (sia in sede procedimentale che, poi,
in sede processuale) di un’udienza pubblica.
Sotto il profilo del ne bis in idem, i giudici europei hanno invece pienamente accolto le censure
dei ricorrenti.
La nozione di «accusa penale» nella
giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo relativa all’art. 6 CEDU
Al fine di comprendere il merito delle questioni
affrontate nel caso in esame, pare utile soffermarsi
brevemente sulla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo relativa all’art. 6 CEDU e, in
particolare, sull’interpretazione che in tale sede
viene data della nozione di «accusa penale».
(6) L’art. 185 del d.lgs. n. 58 del 1998, rubricato «Manipolazione del mercato», prevede infatti che «Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi
concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione
del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da
due a dodici anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni». Il successivo art. 185 del medesimo decreto legislativo, rubricato, ancora, «Manipolazione del mercato», statuisce: «Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato,
è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro
centomila a euro venticinque milioni chiunque, tramite mezzi
di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano
o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti
in merito agli strumenti finanziari». In argomento, da ultimo, F.
D’Alessandro, Autorità di vigilanza sul mercato finanziario e diritto penale, Milano, 2012.
(7) La quale era competente, nel caso di specie, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 187-septies, c. 6, del d.lgs. n. 58
del 1998, e 23 della l. n. 689 del 1981. È importante sottolineare che la competenza del giudice ordinario in materia era venuta meno quando gli artt. 133, c. 1, lett. l), e 134, c. 1, lett. c),
del Codice del processo amministrativo avevano attribuito alla
giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo i
ricorsi avverso i provvedimenti sanzionatori irrogati da varie
autorità indipendenti tra cui, appunto, la Consob; da ultimo,
però, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 27
giugno 2012, n. 162, la competenza in materia di procedimenti
sanzionatori della Consob è stata nuovamente attribuita al giu-
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Il tema, come si dirà, ha acquisito una rilevanza
via via crescente grazie a una serie di pronunce
della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate
con riferimento ad alcune Autorità amministrative
indipendenti francesi e italiane nonché, da ultimo,
a seguito della acquisita consapevolezza del rilievo
della questione anche da parte dei giudici comunitari (8).
Ora, è ampiamente noto che la Corte di Strasburgo, nella sua opera di interpretazione delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, procede a vere e proprie “ridefinizioni” dei termini dei quali si serve, poiché gli stessi potrebbero
avere una estensione semantica diversa nei vari
Stati membri del Consiglio d’Europa (si parla, al riguardo, di interpretazione “autonoma”) (9).
Con riferimento all’art. 6 CEDU (il quale statuisce, al par. 1, il diritto per ogni persona «a che la
sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente
ed entro un termine ragionevole da un tribunale
indipendente e imparziale il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere
civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale
che le venga rivolta»), tale approccio ha consentito alla Corte di estendere notevolmente l’ambito
di applicazione della disposizione, ben oltre quanto
la lettera della stessa sembrava, a prima vista, consentire.
Così, la nozione di «accusa penale» è stata intesa in un significato sostanziale, riconducendo a essa
dice ordinario, ossia alla Corte d’Appello. La norma di riferimento è dunque, oggi, l’art. 195 del Tuf.
(8) È significativo, peraltro, che già il lavoro di C.E. PalieroA. Travi, La sanzione amministrativa. Profili sistematici, Milano,
1988, spec. 151 ss., mettesse in luce il rilievo della Convenzione europea per la disciplina delle sanzioni amministrative in
Italia.
(9) Sul punto cfr. G. Ubertis, Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo, Varese, 2009, 27 ss., il
quale evidenzia come la Corte europea dei diritti dell’uomo utilizzi vocaboli ai quali essa stessa attribuisce un significato proprio nell’ambito convenzionale: tanto è vero che tale significato non coincide necessariamente con quello attribuito agli
stessi vocaboli nei vari ordinamenti degli Stati membri del
Consiglio d’Europa. Sul significato “autonomo” dei termini utilizzati dalla CEDU sono ancora attuali le riflessioni di D. Evrigenis, L’interaction entre la dimension internationale et la dimension nationale de la Convention européenne des Droits de
l’Homme: notions autonomes et effect direct, in Völkerrecht als
Rechtsordnung, Internationale Gerichtsbarkeit, Menschenrechte,
Festschrift für Hermann Mosler, Berlin/Heidelberg/New York,
1983, 193 ss.; nonché di F. Sudre, Le recours aux notions autonomies, in F. Sudre (a cura di), L’interprétation de la Convention
européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 1998, 93 ss. Per
un inquadramento del tema attento anche a profili di teoria generale del diritto cfr. G. Letsas, The Truth in autonomous concepts: How to interpret the ECHR, in Oxford Journ. Intern. Law,
2004, 279 ss.
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Giurisprudenza
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diverse misure di carattere punitivo e capaci di incidere pesantemente nella sfera soggettiva degli individui coinvolti, a prescindere dalla qualificazione
(per es., come penali o amministrative o, addirittura, come misure non sanzionatorie) che ricevano
in un determinato ordinamento.
In particolare, secondo quanto precisato sin dalla sentenza Engel del 1976, in presenza di una infrazione che abbia una connotazione «intrinsecamente penale», occorre guardare al carattere della
sanzione irrogata (che deve essere punitivo e non
meramente risarcitorio o ripristinatorio) e alla gravità della stessa al fine di qualificarla come “penale” ai sensi dell’art. 6 CEDU (10).
Peraltro, secondo la costante giurisprudenza di
Strasburgo, i due requisiti sopra richiamati del carattere punitivo e della gravità della misura sanzionatoria sono tra loro alternativi e non cumulativi (11). Sicché, da un lato, la gravità (i.e. severità)
può essere non necessaria, ove una sanzione abbia
in se stessa una inequivoca funzione deterrente e
punitiva (12). Dall’altro, entro certi limiti, anche
una misura nella quale il carattere afflittivo non
sia prevalente (o addirittura manchi), ma che abbia conseguenze gravi per il destinatario, può essere
considerata di natura “penale” e, quindi, rientrare
nell’ambito di applicazione dell’art. 6 CEDU: pertanto, anche provvedimenti di carattere interditti-
vo o ripristinatorio comunemente ritenuti espressione di un generico potere ablatorio possono, a
certe condizioni, ricadere nella nozione di «accusa
penale» di cui all’art. 6 CEDU (13).
Ciò comporta, all’evidenza, uno stravolgimento
della distinzione, comunemente accolta nel nostro
ordinamento, tra sanzione amministrativa in senso
stretto (la cd. «pena in senso tecnico» (14), avente
un carattere prettamente afflittivo) e provvedimenti di tipo diverso preordinati alla cura in concreto dell’interesse pubblico i quali sono stati tradizionalmente qualificati come “sanzioni” solo in
senso lato (15) e, comunque, sono sempre stati ritenuti esclusi dalle particolari garanzie che circondano la funzione sanzionatoria amministrativa.
A ogni modo, per quanto maggiormente interessa in questa sede, sono certamente “penali” e ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 6 CEDU
le sanzioni amministrative pecuniarie disciplinate
in Italia dalla legge n. 689 del 1981: la Corte di
Strasburgo ha avuto modo di chiarirlo sia con riguardo alle più modeste sanzioni derivanti dalla
violazione di norme sulla circolazione stradale (16)
sia, da ultimo, con riguardo alle sanzioni (ben più
rilevanti) irrogate dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato (17).
Del resto, sempre con riguardo al nostro ordinamento, l’appartenenza sostanziale al diritto penale
(10) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 8 giugno 1976,
Engel and Others v. the Netherlands, ricorsi nn. 5100/71, n.
5101/71, n. 5102/71, parr. 81-82, che, per prima, ha individuato i tre criteri (natura «intrinsecamente penale» dell’infrazione,
carattere punitivo della sanzione e gravità della stessa) che
consentono di qualificare una determinata misura come “penale” ex art. 6 CEDU.
(11) Infatti, l’adozione di un approccio cumulativo è possibile solo quando l’analisi separata di ciascun criterio non permetta di raggiungere conclusioni chiare circa l’esistenza di
una «accusa penale».
(12) Cfr., per es., Corte europea dei diritti dell’uomo, 1 febbraio 2005, Ziliberberg v. Moldova, ricorso n. 61821/00, par.
34, che ha ritenuto di natura “penale” una sanzione pecuniaria
di pochi euro inflitta a uno studente per avere preso parte a
una manifestazione non autorizzata sull’assunto che l’ammontare della stessa fosse comunque significativo rispetto al reddito del destinatario.
(13) Cfr. in tal senso, da ultimo, Corte europea dei diritti dell’uomo, 24 aprile 2012, Mihai Toma v. Romania, ricorso n.
1051/06, par. 26, che ritenuto di natura “penale”, ex art. 6 CEDU, la sanzione di ritiro della patente di guida (qualificata nel
relativo ordinamento come misura amministrativa); nonché, in
precedenza, Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 maggio
2006, Matyjec v. Polland, ricorso n. 38184/03, par. 58 (riguardante la comminazione di misure di interdizione per dieci anni
dai pubblici uffici e dall’esercizio di determinate professioni
prevista dall’ordinamento polacco nei confronti di coloro che
avessero reso false dichiarazioni in ordine alla passata collaborazione con il regime comunista), ove si legge: «Having weighed up the various aspects of the case, the Court notes the
predominance of those which have criminal connotations. In
such circumstances the Court concludes that the nature of the
offence, taken together with the nature and severity of the penalties, was such that the charges against the applicant constituted criminal charges within the meaning of Article 6 of the Convention»; tra le più risalenti cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 febbraio 1980, Dewer c. Bélgique, ricorso n. 6903/75,
che ha ritenuto di natura “penale” il provvedimento di chiusura
di una macelleria che non aveva rispettato la legislazione sui
prezzi.
(14) Secondo la definizione di G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, Torino, 1924, 38. Sul tema cfr., per tutti, A. Travi,
Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Padova,
1983.
(15) Per questa impostazione cfr. F. Goisis, Verso una nuova
nozione di sanzione amministrativa in senso stretto: il contributo
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir.
pubbl. comunit., 2014, 337 ss.
(16) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 9 novembre
1999, Varuzza v. Italy, ricorso n. 35260/97, ove è stata qualificata come “penale”, ex art. 6 CEDU, una comune sanzione
amministrativa pecuniaria per eccesso di velocità. L’orientamento era stato inaugurato, molti anni prima, da Corte europea dei diritti dell’uomo, 21 febbraio 1984, Öztürk v. Germany,
ricorso n. 8544/79, par. 53 ss., annotata da C.E. Paliero, «Materia penale» e illecito amministrativo secondo la Corte europea
dei diritti dell’uomo: una questione “classica” a una svolta radicale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, 894 ss.
(17) Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 settembre 2011,
Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italie, ricorso n. 43509/08, par. 42,
nella quale è stato riconosciuto carattere “penale” a una sanzione pecuniaria irrogata da tale Autorità a un’impresa farmaceutica, a seguito di un’intesa restrittiva della concorrenza:
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Diritti dell’uomo
delle sanzioni amministrative aventi un carattere
afflittivo ha trovato definitiva conferma pure nella
giurisprudenza della Corte costituzionale: quest’ultima, dopo essersi pronunciata in tal senso una prima volta, nel 2010, con riguardo a un provvedimento di confisca di un veicolo per guida in stato
di ebbrezza (18), ha nuovamente ribadito il proprio
orientamento con la sentenza n. 104 del 2014, riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria
irrogata per violazione della normativa sul commercio (19).
Non stupisce, dunque, che nella sentenza qui in
commento la Corte di Strasburgo abbia ritenuto
applicabile l’art. 6 CEDU al procedimento sanzionatorio Consob il quale, pur avendo a oggetto un
illecito formalmente di tipo amministrativo, era
evidentemente (secondo le categorie convenzionali) volto a decidere una «accusa penale»: ciò si desume dall’indiscutibile grado di severità dell’impianto sanzionatorio (il massimo edittale della sanzione amministrativa pecuniaria era, infatti, di cinque milioni di euro, cui si accompagnava, per gli
esponenti aziendali, la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità, e, relativamente alle società
quotate in borsa, la temporanea incapacità di assumere incarichi di direzione, di amministrazione e
«l’AGCM a prononcé en l’espèce une sanction pécuniaire de six
millions d’euros, sanction qui présentait un caractère répressif
puisqu’elle visait à sanctionner une irrégularité, et préventif, le
but poursuivi étant de dissuader la société intéressée de recommencer. A la lumière de ce qui précède et compte tenu du montant élevé de l’amende infligée, la Cour estime que la sanction
relève, par sa sévérité, de la matière pénale». Su tale sentenza
cfr. T. Bombois, L’Arrêt Menarini c. Italie de la Cour Européenne
des Droits de l’Homme - Droit antitrust, champ pénale et contrôle de pleine jurisdiction, 47 Cahiers de Droit Européen, 2011,
541 ss., A.E. Basilico, Il controllo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust e l’art. 6 CEDU, in Rivista telematica giuridica dell’associazione dei costituzionalisti, n. 4/2011; M. Abenhaïm, Quel droit au juge en matière de cartels?, in Revue trimestrelle de droit européen, 2012, 117 ss.
(18) Cfr. Corte cost., 4 giugno 2010, n. 196, in Giur. cost.,
2010, 2320 ss., con nota di A. Travi, Corte europea dei diritti
dell’uomo e Corte costituzionale: alla ricerca di una nozione comune di “sanzione”, nella quale si legge, al punto 3.1.5 del
Considerato in diritto: «Dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull’interpretazione degli artt.
6 e 7 della CEDU, si ricava il principio secondo il quale tutte le
misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette
alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto». Nello stesso senso cfr., peraltro, in precedenza, Corte costituzionale, 27 febbraio 2009, n. 56, in Foro it., 2010, I, 807
ss., con nota di richiami, che ha affermato l’applicabilità dell’art. 6 CEDU alle sanzioni amministrative tributarie, implicitamente riconoscendone la natura “penale” ai fini convenzionali.
(19) Cfr. Corte cost., 18 aprile 2014, n. 104, punto 7.2 del
Considerato in diritto: «L’esame di tale censura deve prendere
le mosse dalla sentenza n. 196 del 2010 nella quale questa
Corte ha affermato che dalla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo formatasi sull’interpretazione degli artt. 6 e 7 della
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di controllo), nonché, dallo scopo chiaramente punitivo-deterrente (che si univa a quello preventivo
e riparatorio dei pregiudizi di natura finanziaria cagionati dalla condotta) della misura adottata.
L’applicabilità dell’art. 6 CEDU alla potestà
sanzionatoria amministrativa e la
compensazione ex post: verso più elevati
livelli di tutela
Il descritto approccio sostanziale della Corte di
Strasburgo ha indotto la stessa a ritenere, in linea
di principio, applicabili alla fase procedimentale di
irrogazione di una sanzione amministrativa le stesse
garanzie previste per le sanzioni penali (20).
In effetti, come chiarito in alcune sentenze riguardanti sanzioni tributarie, poiché le sanzioni
amministrative vengono emanate con pienezza di
conseguenze e di esecutività all’esito della fase procedimentale (e non di quella giurisdizionale che è
successiva e meramente eventuale), è proprio tale
momento, almeno ove si voglia salvaguardare il
principio di presunzione di innocenza, a dover essere assistito dalle medesime garanzie che connotano il processo giurisdizionale (21): ciò, specialmente, quando ci si trovi in presenza di sanzioni particolarmente afflittive, idonee a cagionare un danno
CEDU, si ricava “il principio secondo il quale tutte le misure di
carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto”».
(20) La rilevanza innanzitutto procedimentale dell’art. 6 CEDU è stata colta, in Italia, tra i primi, da S. Cassese, Le basi costituzionali, in Id. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo,
Diritto amministrativo generale, Milano, 2003, I, 173 ss., 239;
nonché da G. della Cananea, Al di là dei confini statuali. Principi
generali del diritto pubblico globale, Bologna, 2009, 27, e F.
Goisis, Garanzie procedimentali e Convenzione europea per la
tutela dei diritti dell’uomo, in Dir. proc. amm., 2009, 1338 ss.;
da ultimo, cfr. M. Pacini, Diritti umani e amministrazioni pubbliche, Milano, 2012, spec. 211 ss.; e, se, si vuole, M. Allena, Art.
6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli,
2012. Fuori dall’Italia, tra i primi a studiare il tema è stato D.J.
Galligan, Due Process and Fair Procedures. A Study of Administrative Procedures, Oxford, 1997, spec. 212 ss.
(21) Cfr, in tal senso,Corte europea dei diritti dell’uomo, 23
luglio 2002, Janosevic v. Sweden, ricorso n. 461/97, par. 108,
ove si legge: «A system that allows enforcement of considerable amounts of tax surcharges before there has been a court
determination of the liability to pay the surcharges is therefore
open to criticism and should be subjected to strict scrutiny»; in
termini analoghi, Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 luglio
2002, Vastberga Taxi Aktiebolag and Vulic v. Sweden, ricorso n.
36985/97, par. 120. Da ultimo, Corte europea dei diritti dell’uomo, 14 febbraio 2006, Paulow v. Finland, ricorso n. 53434/99,
par. II/B: «The Court notes that while neither Article 6 nor, indeed, any other provision of the Convention can be seen as
excluding, in principle, enforcement measures being taken before decisions on tax surcharges have become final, States are
required to confine such enforcement within reasonable limits
that strike a fair balance between the interests involved (Janosevic, cited above, § 106)».
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Diritti dell’uomo
immediato e non compiutamente ristorabile ex
post in sede di decisione giudiziale (si pensi, per
es., a una sanzione pecuniaria che sia così afflittiva
da “mettere in ginocchio” un’impresa, ovvero a
una sanzione interdittiva rispetto alla prosecuzione
di una attività economica o di altro tipo che non
possa essere agevolmente ripresa a seguito di una
interruzione) (22).
In questi casi, la realizzazione dell’«equo processo» di cui all’art. 6 CEDU già nella fase procedimentale di irrogazione di una sanzione sarebbe però possibile solo ove si attuasse una rivisitazione, in
chiave accusatoria, del modello generale del procedimento amministrativo (basato, nel nostro ordinamento, sul principio inquisitorio): occorrerebbe
dunque intervenire, in primo luogo, sul principio
del contraddittorio e su quello della parità delle armi tra le parti partendo dalla semplice constatazione che, trasponendo sul piano sostanziale la terminologia processuale, nel procedimento sanzionatorio l’autorità chiamata a irrogare la sanzione si configura, sostanzialmente, come la “controparte” del
cittadino “accusato”. Di conseguenza, per es., la
prima non dovrebbe poter disporre in via esclusiva
della gran parte dei materiali probatori, ma dovrebbe mettere a disposizione della controparte (del
cittadino accusato) tutti gli atti e i documenti rilevanti per la difesa, sollecitando sugli stessi il contraddittorio orale in udienza pubblica o, quantomeno, in forma scritta.
Analogamente, la effettiva parità delle armi tra
le parti richiederebbe l’attuazione di una chiara distinzione tra l’autorità chiamata a istruire la causa
e quella competente a irrogare la sanzione (o, almeno, all’interno della stessa autorità amministrativa, tra gli organi aventi funzioni istruttorie-accusatorie e quelli aventi funzioni decisorie): in questo
modo, la scelta se infliggere o meno una determinata misura sanzionatoria spetterebbe a un soggetto
(o a un organo) in posizione di terzietà rispetto alle
parti (l’amministrazione procedente, da un lato, e
il cittadino, dall’altro).
Tuttavia, la compiuta applicazione del modello
accusatorio al procedimento amministrativo pone
una serie di problemi: si pensi, a tacere d’altro, al
rischio, insito nel modello accusatorio puro, che
l’attività amministrativa finisca per essere basata
sulla verità procedimentale portata in evidenza dalle parti anziché sulla verità cd. reale o materiale (23).
Più in generale, non si può non considerare che
il modello di procedimento amministrativo paragiurisdizionale (quasi-judicial) è estraneo alla tradizione della gran parte dei Paesi europei cd. “a diritto amministrativo”, nei quali prevale nettamente
l’idea di una pubblica amministrazione che deve
perseguire d’ufficio e secondo un metodo inquisitorio puro la pretesa punitiva; in tale contesto, le garanzie del cittadino o dell’impresa accusati sono viste come un profilo secondario rispetto a quello
dell’effettività dell’azione pubblica.
Forse anche per questo, l’approccio assunto dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo (in generale,
ma anche nel caso qui in commento) appare ispirato da un notevole grado di pragmaticità: i giudici
di Strasburgo riconoscono cioè che non tutte le garanzie di cui all’art. 6 CEDU debbano essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa potendo esse, nel caso delle sanzioni
minori, ossia non rientranti nel “nocciolo duro”
(cd. «hard core») della funzione penale, collocarsi
nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale (24). In tal caso, quest’ultima si viene a configurare come luogo di correzione dei deficit di tutela
che si siano verificati in sede procedimentale.
In realtà, nella giurisprudenza di Strasburgo (e la
sentenza in commento ne è un esempio) il rapporto tra garanzie procedimentali e giurisdizionali è
per certi profili ancora sfuggente. In ogni caso, non
v’è dubbio che la fase processuale, per avere la richiamata capacità correttiva, dovrebbe costituire
(se ciò il ricorrente domanda) luogo di compiuto
riesame della scelta amministrativa, anche ove di
carattere tecnico complesso o, addirittura, discrezionale (25): la giurisdizione dovrebbe cioè essere
(22) In tali casi, il cittadino si troverebbe a dover subire l’afflittività della sanzione in mancanza di ogni giusto processo
che abbia accertato in via definitiva la sua colpevolezza: riprendendo M. Delmas-Marty, Pour un droit commun, Paris, 1994,
38: «On punit d’abord, on juge ensuite, si l’intéressé proteste».
(23) In tal senso, cfr. G. Pastori, Principi costituzionali sull’amministrazione e principio inquisitorio nel procedimento, in
M. Cammelli, M.P. Guerra, Informazione e funzione amministrativa, Rimini, 1997, 21 ss.; il tema era peraltro già stato evidenziato dall’A. molti anni prima, nel lavoro Introduzione, in Id. (a
cura di), La procedura amministrativa, Vicenza, 1964. In argo-
mento, in una prospettiva di teoria generale del diritto, cfr. G.
Tuzet, Dover decidere. Diritto, incertezza e ragionamento, Roma, 2010, passim.
(24) La sentenza che ha inaugurato l’orientamento basato
sulla distinzione tra «hard coreo f criminal law» è Corte europea
dei diritti dell’uomo, 23 novembre 2006, Jussila v. Finland, ricorso n. 73053/01, par. 43, relativa a una sanzione tributaria di
modesta entità.
(25) Per un approfondimento di questo punto cfr., se si vuole, M. Allena, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche complesse: orientamenti tradizionali versus ob-
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“piena”, nel senso di sostitutiva, perché altrimenti
sarebbe incapace di offrire al cittadino l’effettiva
possibilità di godere, seppure ex post, di adeguati diritti di difesa, rispetto a un’azione pubblica volta a
comminare sanzioni afflittive qualificabili come
“penali” ai sensi dell’art. 6 CEDU (26).
In senso contrario non si ritiene possano essere
richiamate pronunce della Corte europea dei diritti
dell’uomo come quella sul caso Menarini c. Italia
che è stata invece salutata da alcuni esponenti della dottrina come la dimostrazione della astratta
compatibilità tra il sindacato di legittimità del giudice amministrativo italiano e i principi di cui all’art. 6 CEDU. In realtà, in quel caso si trattava
semplicemente di valutare il grado di partecipazione di un’impresa a un’intesa restrittiva della concorrenza, cioè un profilo di mero fatto (non implicante valutazioni di carattere discrezionale) rispetto al quale non stupisce che anche il giudice amministrativo avesse potuto verificare «si, par rapport
aux circonstances particulières de l’affaire, l’Agcm
avait fait un usage approprié de ses pouvoirs», nonché «le bien-fondé et la proportionnalité des choix de
l’Agcm et […] ses évaluations d’ordre technique» (27).
In definitiva, la regola generale è che quando le
garanzie dell’art. 6 CEDU sono compiutamente
soddisfatte in sede procedimentale, un successivo
controllo giurisdizionale potrebbe, al limite (dal
punto di vista della CEDU), non essere neppure
previsto (28); quando invece ciò non accade, la decisione adottata in sede procedimentale deve poter
essere successivamente controllata da un organo
giurisdizionale dotato, secondo la definizione della
Corte europea dei diritti, di una «full jurisdiction»,
ossia della capacità di (ri)valutare tutte le decisioni
amministrative impugnate o, almeno, quelle centrali per la definizione della controversia, visto
blighi internazionali, in Dir. proc. amm., 2012, 1602 ss.
(26) Cfr., per es., Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2004, Silverster’s Horeca Service c. Belgique, ricorso n.
47650/09, parr. 26-27, che, dopo aver precisato che «Parmi les
caractéristiques d'un organe judiciaire de pleine juridiction figure
le pouvoir de réformer en tous points, en fait comme en droit, la
décision entreprise, rendue par l'organe inférieur. Il doit notamment avoir compétence pour se pencher sur toutes les questions
de fait et de droit pertinentes pour le litige dont il se trouve saisi», ha ritenuto violato l’art. 6 CEDU in quanto il giudice competente nel caso di specie «était uniquement appelée à examiner la réalité des infractions […] et à contrôler la légalité des
amendes fiscales réclamées […] sans être compétente pour apprécier l’opportunité ou accorder une remise complète ou partielle de celles-ci». Sul tema, da ultimo, L. Prudenzano, Giusto
procedimento amministrativo, discrezionalità tecnica ed effettività della tutela giurisdizionale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Osservatorio costituzionale AIC,
maggio 2014 (https://www.associazionedeicostituzionalisti.it).
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che, come la Corte ha chiarito ancora di recente,
«where the reviewing court is precluded from determining the central issue in dispute, the scope of review
will not be considered sufficient for the purposes of Article 6» (29).
L’attuazione delle garanzie di cui all’art. 6
CEDU nel procedimento o nel processo:
la soluzione adottata dalle Autorità
indipendenti francesi e quella della Corte
di giustizia Ue
La descritta rivisitazione in chiave accusatoria
della struttura del procedimento amministrativo
(che può apparire estremamente improbabile ai nostri occhi), è stata in realtà in gran parte realizzata
in un ordinamento a noi vicino quale quello francese, a seguito di tre pronunce della Corte europea
dei diritti dell’uomo che hanno riguardato la compatibilità, rispetto all’art. 6 CEDU, dei procedimenti sanzionatori di alcune Autorità amministrative indipendenti preposte alla tutela del risparmio.
In specie, a partire dal 2009, con la sentenza Dubus, i giudici di Strasburgo, chiamati a pronunciarsi
circa la struttura organizzativa interna della Commission bancaire francese, hanno ritenuto che la
stessa, pur presentando una certa distinzione tra
l’organo istruttorio-accusatorio (il Secrétariat Général) e l’organo decisorio competente ad adottare la
sanzione (la Commission), non realizzasse una sufficiente separazione tra gli stessi: infatti, il Secrétariat
Général (l’organo istruttorio) appariva in posizione
servente rispetto alla Commission (l’organo decisorio) dalla quale riceveva istruzioni ed era controllato (30). Proprio per dare attuazione a tale sentenza,
nel 2010 è stata creata in Francia una nuova autorità (l’Autorité de contrôl prudentiel) composta da
Cfr., inoltre, F.J. Rodriguez Pontón, Las articulación de las garantías administrativas y jurisdiccionales en el sistema del
CEDH, Cizur Menor (Navarra), 2005, 101 ss.
(27) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 settembre
2011, Menarini diagnostic s.r.l. c. Italia, cit., parr. 63-67.
(28) Cfr., per es., la sentenza della Grand Chambre, 22 novembre 1995, Bryan v. the United Kingdom, ricorso n.
19178/91, nella quale la Corte di Strasburgo ha ritenuto che
fosse conforme ai canoni dell’art. 6 CEDU anche un sindacato
giurisdizionale limitato quale quello della judicial review, perché
preceduto da un procedimento «quasi-judicial», nel quale la
parte pubblica e quella privata erano state poste in condizione
di sostanziale parità e in reale contraddittorio tra loro.
(29) Corte europea dei diritti dell’uomo, 21 luglio 2011, Sigma Radio Television Ltd v. Cyprus, ricorsi nn. 32181/04 e n.
35122/05, par. 157.
(30) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 giugno
2009, Dubus S.A.v. c. France, ricorso n. 5242/04, par. 60.
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due organi con funzioni chiaramente distinte e
non più da una commissione unica (31).
Successivamente, nel 2011, con la sentenza Vernes, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che anche
la procedura sanzionatoria di un’altra autorità, la
Commission des opérations de bourse (COB), non
fosse conforme all’art. 6 CEDU, questa volta sotto
il profilo del mancato rispetto del principio di pubblicità poiché, all’epoca dei fatti, il regolamento
interno della stessa non prevedeva la possibilità
per l’accusato di richiedere un’udienza pubblica (32).
Infine, nel 2011, ancora con riguardo a quest’ultima autorità, la sentenza Messier ha precisato che
la fase procedimentale di irrogazione di una sanzione deve rivestire un «carattere contraddittorio» e
assicurare la parità delle armi tra accusa e difesa. In
altri termini, secondo i giudici europei, non solo vi
deve essere pieno accesso ai documenti e al fascicolo dell’accusa, ma l’autorità inquirente ha l’obbligo di comunicare alla difesa (cioè a colui che è
sottoposto a procedura sanzionatoria) tutte le prove a carico e a discarico (lo deve fare in modo
automatico), sollecitando sulle stesse il contraddittorio in udienza pubblica (33).
È interessante notare che, nell’ordinamento
francese, il rafforzamento (grazie all’influenza della
giurisprudenza di Strasburgo) delle garanzie proprie
dei procedimenti amministrativi sanzionatori (ossia
la loro progressiva “giurisdizionalizzazione”), è andato di pari passo con la estensione, agli stessi, del-
la competenza del giudice del plein contentieux (34),
il quale, come è noto, è dotato di poteri amplissimi, potendo non solo annullare l’atto invalido, ma
altresì riformarlo o modificarlo (35): ciò significa
che in quell’ordinamento si è ben compresa la rilevanza anzitutto procedimentale del diritto all’«equo processo» e, dunque, specialmente in materia
sanzionatoria, il rafforzamento delle garanzie procedimentali non è stato posto in alternativa all’ampliamento dei poteri cognitori del giudice.
Parzialmente diversa è invece, sotto questo profilo, l’esperienza dell’Unione europea, con riguardo
alle sanzioni antitrust emanate dalla Commissione.
Ivi, si è sì ammessa la natura “penale” di tali sanzioni e dei relativi procedimenti; tuttavia, si è poi
negata con decisione la necessità di un’evoluzione
del procedimento sanzionatorio, ritenendo del tutto sufficiente una compensazione ex post tramite
un sindacato di «full jurisdiction».
Peraltro, oramai da qualche anno, in sede comunitaria, almeno la necessità di una cognizione più
penetrante sulle sanzioni irrogate dalla Commissione sembra essere presa “sul serio” (36).
Sicché, non solo viene valorizzata la giurisdizione di merito in materia sanzionatoria prevista dall’art. 261 del Tfue (e i cui caratteri sono precisati
dal regolamento Ce n. 1/2003, ai sensi del quale
«La Corte di Giustizia […] può estinguere, aumentare o ridurre l’ammenda o la penalità di mora irrogata») (37), ma, anche con riferimento ai casi nei
quali è prevista la giurisdizione di legittimità (per
(31) Cfr. l’art. L. 612-4 dell’Ordonnance n. 2010-76 del 21
gennaio 2010. La vicenda è particolarmente significativa, soprattutto ove si consideri che, a ben vedere, il Secrétariat Général non era probabilmente dotato di una posizione di minore
separatezza rispetto a quella che connota i funzionari svolgenti
compiti istruttori nei procedimenti sanzionatori delle diverse
Autorità indipendenti italiane: sicché, le censure mosse avverso l’organizzazione interna della COB potrebbero, in gran parte, essere trasferite a queste ultime.
(32) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 20 gennaio
2011, Vernes c. France, ricorso n. 30183/06, par. 31.
(33) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 giugno
2011, Messier v. France, ricorso n. 25041/07, par. 52.
(34) Cfr., in tal senso, da ultimo, l’intervento del vice presidente del Conseil d’ État, J.M. Sauvé, Autorités administratives,
droits fondamentaux et opérateurs économiques, in occasione
del Colloque de la Société de législation comparée à Paris au
Conseil d'État, 12 ottobre 2012. In precedenza, cfr. C. Mamontoff, La notion de pleine juridiction au sens de l'article 6 de la
Convention européenne des droits de l'homme et ses implications en matière de sanctions administratives, in RFDA, 1999,
1004.
(35) Per es., nel momento in cui sono intervenute le sentenze Vernes e Mesier, era già stato introdotto il ricorso di pleine
juridiction con riguardo alle sanzioni della Commission des opérations de bourse (COB).
(36) Cfr. le tre pronunce dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a. c. Commissione Europea, cause riunite C-272/09, C-
386/10 e C-389/10, ove, a fronte del rilievo dei ricorrenti secondo cui «la dottrina del “potere discrezionale” e della “deferenza giudiziaria” non dovrebbe più essere applicata oggigiorno,
poiché il diritto dell’Unione è ormai caratterizzato dall’enorme
importo delle ammende inflitte dalla Commissione, situazione
spesso designata come trasformazione in senso penale de facto del diritto dell’Unione relativo alla concorrenza», la Corte di
Giustizia ha statuito espressamente che il giudice «non può
basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione
[…] al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in
fatto quanto in diritto». In particolare, il giudice comunitario
non dovrebbe mai astenersi dal «controllare l’interpretazione,
da parte della Commissione, di dati di natura economica», tra
l’altro verificando «non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza», ma
altresì accertando «se tali elementi costituiscano l’insieme dei
dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa». Infine, egli deve valutare se
tali dati «siano di natura tale da corroborare le conclusioni che
se ne traggono» (cfr. rispettivamente, parr. 94, 54 e 121). Per
un’impostazione contraria all’estensione del sindacato della
Corte di Giustizia cfr., da ultimo, J.C. Laguna de Paz, Understanding the limits of judicial review in European Competition
Law, in Journal of Antitrust Enforcement, vol. 2, n.1, 2014, 203
ss.
(37) Cfr. Corte europea di giustizia, 24 ottobre 2013, Kone
Oyj v. European Commission, causa C-510/11 P, par. 23: «Ruling on the principle of effective judicial protection, a general
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es., per il sindacato sull’ammissione a programmi
di leniency o comunque per i profili diversi da quelli sull’an e sul quantum della sanzione una volta accertato l’illecito), si afferma a chiare lettere che il
giudice «cannot use the Commission’s margin of discretion […] as a basis for dispensing with the conduct
of an in-depth review of the law and of the facts» (38).
Ciò, sull’assunto che «The principle of effective judicial protection is a general principle of European Union
(EU) law to which expression is now given by Article
47 of the Charter and which corresponds, in EU law,
to Article 6(1) of the ECHR » (39).
Sicché, per quanto tale approccio rimanga discutibile, poiché non salvaguarda la posizione del cittadino nel momento (procedimentale) di inflizione
della sanzione amministrativa, è però apprezzabile
che, almeno sul piano delle dichiarazioni di principio, la Corte di Giustizia si stia assestando su un
modello di sindacato giurisdizionale maggiormente
conforme ai dettami convenzionali (40).
I dubbi sull’effettivo esercizio della «full
jurisdiction» nel caso Grande Stevens e il
persistente disallineamento del
procedimento sanzionatorio Consob
rispetto agli obblighi dell’equo processo
La posizione assunta dalla Corte di Strasburgo
nel caso in esame suscita perplessità sotto il profilo
della affermata sufficienza del sindacato della Corte
d’Appello a sanare i vizi della fase procedimentale
di irrogazione della sanzione Consob.
Ciò, innanzitutto, perché la Corte di Strasburgo,
in numerose sentenze (a partire da quella fondamentale sul caso Öztürk del 1984 (41)) ha indiviprinciple of EU law to which expression is now given by Article
47 of the Charter, the Court of Justice has held that, in addition to the review of legality provided for by the FEU Treaty,
the European Union judicature has the unlimited jurisdiction
which it is afforded by Article 31 of Regulation No 1/2003, in
accordance with Article 261 TFEU, and which empowers it to
substitute its own appraisal for the Commission’s and, consequently, to cancel, reduce or increase the fine or periodic penalty payment imposed (Case C-386/10 P Chalkor v Commission [2011], par. 63, and Schindler Holding and Others v. Commission, par. 36)».
(38) Cfr. Corte europea di Giustizia, Kone Oyj v. European
Commission, cit., par. 24, e, in termini sostanzialmente analoghi, Corte europea di giustizia, 18 luglio 2013, Schindler Holding and Others v. Commission, causa C_501/11 P, par. 36.
Cfr., inoltre, da ultimo, Corte europea di giustizia, Grande sezione, 14 novembre 2013, causa C-60/12, Marián Baláž, par.
47.
(39) Cfr. Corte europea di giustizia, Kone Oyj v. European
Commission, cit., par. 20.
(40) Su questi profili cfr., da ultimo, M. Siragusa, C. Rizza,
Violazione delle norme antitrust, sindacato giurisdizionale sull’e-
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duato come chiaro limite alla compensazione ex
post delle garanzie dell’«equo processo» la minorità
della sanzione e, francamente, definire “minori”
sanzioni che ammontano, come nel caso in questione, a diversi milioni di euro, appare perlomeno
problematico.
In secondo luogo, perché appare affrettata, come
ben rilevato dalla dissenting opinion dei giudici Karakaş e Pinto de Albuquerque (42), la conclusione
nel senso dell’esercizio, nella fattispecie in oggetto,
di una reale «full jurisdiction» da parte della Corte
d’Appello italiana.
Con riferimento a quest’ultimo profilo, si è detto
che il concetto di «full jurisdiction», per quanto certamente ancora suscettibile di precisazioni, richiede, per es., che la compiutezza e la profondità del
sindacato giurisdizionale non sia accertata in
astratto, ma sul piano concreto: sicché, se è probabilmente vero che la Corte d’Appello possedeva,
in astratto, il potere di riesaminare totalmente la
pretesa sanzionatoria (con il solo limite del divieto
di reformatio in pejus); è però quantomeno dubbio
che ciò fosse davvero avvenuto nella vicenda in
questione, come dimostra il fatto che il punto era
stato contestato dai ricorrenti.
Dall’esterno non è facile prendere una posizione
netta sul punto ed è anche possibile che la Corte
d’Appello avesse semplicemente ritenuto (a torto o
a ragione, ma non è questo il problema) di condividere pienamente il merito della scelta amministrativa; tuttavia, a tratti si ha l’impressione di un
appiattimento del sindacato giurisdizionale in questione sulle conclusioni raggiunte dall’autorità amministrativa. Ed è certo, invece, che «full jurisdiction» significa riesame pieno, punto su punto, delle
sercizio del potere sanzionatorio da parte dell’autorità di concorrenza e diritto fondamentale a un equo processo: lo “stato dell’arte” dopo le sentenze Menarini, KME e Posten Norge, in Giur.
comm., 2013, 408 ss.; nonché, in precedenza, A. Ó Caoimh,
Standard of Proof, Burden of Proof, Standards of Review and
Evaluation of Evidence in Antitrust and Merger Cases: Perspective of Court of Justice of the European Union, in European
Competition Law Annual, 2009, 271 ss.
(41) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 21 febbraio
1984, Öztürk v. Germany, cit., par. 53.
(42) Cfr. i punti 11, 12 e 13 della dissenting opinion, ove si
legge: «L’aspetto sorprendente di questa causa non è il solo
fatto che non sia stata rispettata una formalità (la celebrazione
di una pubblica udienza), come sembra affermare la maggioranza. Si tratta di molto di più. Ciò che è realmente scioccante
è la totale assenza di esame in contraddittorio degli elementi
di prova confutati e relativi a fatti cruciali, nel contesto di un’udienza in tribunale. La Corte d’Appello ha accettato ed avallato
senza riserve le testimonianze raccolte dall’accusa senza lasciare ai ricorrenti la possibilità di effettuare un controinterrogatorio dei testimoni sui fatti di causa».
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scelte amministrative nel contesto di un sindacato
avente un carattere appellatorio in cui l’autorità
giurisdizionale possa verificare se, in rapporto alle
circostanze del caso concreto, l’autorità amministrativa abbia fatto «un uso appropriato dei suoi
poteri», esaminando «il fondamento e la proporzionalità delle scelte» compiute dall’autorità amministrativa, «anche sindacando le (relative) valutazioni tecniche complesse» (43).
Peraltro, ponendosi nella prospettiva della Corte
di Strasburgo di una «full jurisdiction» che compensa, ex post, i limiti del procedimento amministrativo, va detto che il problema della mancanza di
una udienza pubblica davanti alla Corte d’appello
(profilo che ha indotto i giudici europei a ritenere
violato, nella sentenza qui in commento, l’art. 6
CEDU) era stato risolto dal legislatore del codice
del processo amministrativo il quale aveva introdotto, per tutte le sanzioni Consob, la giurisdizione
amministrativa esclusiva. Tuttavia, la sentenza della Consulta del 2012, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo tale trasferimento di giurisdizione per difetto di delega ha, forse inavvertitamente, riaperto il problema: ai sensi dell’art. 195,
c. 7, del Tuf, infatti, il procedimento dinanzi alla
Corte d’appello si svolge in camera di consiglio e il
rito camerale è, per definizione, estraneo all’udienza pubblica (44).
Sicché, delle due l’una: o si passa di nuovo alla
giurisdizione amministrativa esclusiva dando a essa
chiara copertura legislativa; ovvero, si rinuncia al
giudizio camerale con il rischio, però, di un giudizio civile ordinario dalle tempistiche incompatibili
con il principio CEDU (e costituzionale interno)
della ragionevole durata.
Tornando alla questione della adesione del regolamento sanzionatorio Consob ai principi CEDU,
va precisato che tale problema è particolarmente
significativo anche perché vi è, sul punto, un chiaro vincolo legislativo interno: in specie, l’art. 24
della legge sul risparmio e l’art. 187 del Tuf da
tempo impongono una conformazione ai principi
CEDU (45) e lo fanno in quanto la stessa direttiva
comunitaria sui market abuses contiene tale prescrizione (46).
È dunque in ogni caso da stigmatizzare il fatto
che le criticità evidenziate dai ricorrenti nel caso
Grande Stevens non siano state affrontate e risolte
neppure dal nuovo regolamento della Consob,
emanato con la delibera n. 18750 del 19 dicembre
2013 (47).
In specie, anche a seguito di tale provvedimento, rimane integro il problema del mancato accesso
dell’accusato al rapporto finale predisposto dall’Ufficio sanzioni amministrative, nel quale quest’ultimo formula «proposte motivate in merito alla sus-
(43) Cfr., in tal senso, Corte europea dei diritti dell’uomo, 27
settembre 2011, Menarini dignostic s.r.l. c. Italia, cit., parr. 6367.
(44) È vero che, come nota M. Ventoruzzo, Abusi di mercato, sanzioni Consob e diritti umani: il caso Grande Stevens e altri
c. Italia, cit., a seguito della riforma attuata con la l. n. 62 del
2005, il procedimento sanzionatorio relativo ai market abuses
era stato disciplinato in via autonoma dall’art. 187-septies del
Tuf, in base al quale il giudizio di opposizione a tali sanzioni si
doveva svolgere «nelle forme previste dall’art. 23 della l. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto compatibili» (c. 6): in altri termini, la norma (che pure per molti altri aspetti era sostanzialmente riproduttiva dell’art. 195 Tuf) non prescriveva espressamente il rito camerale (l’ipotesi è avanzata anche da M. Fratini,
Commento all’art. 187-septies, in M. Fratini, G. Gasparri ( a cura di), Il testo unico della finanza, Padova, 2012, 2544). Non
sfugge, tuttavia, come tale norma, in quanto contenente una
clausola di compatibilità, fosse intrinsecamente ambigua
quanto al profilo della necessità, o meno, di un'udienza pubblica. è del resto un fatto che il confuso coordinamento tra le
due norme avesse dato luogo a problemi in sede applicativa: è
significativo, a questo riguardo che, nel caso in esame, la Corte di Strasburgo abbia ritenuto di non poter valutare se un’udienza pubblica si fosse davvero svolta oppure no (le versioni
proposte dal Governo e dai ricorrenti erano infatti divergenti: il
primo affermava che l’opposizione aveva seguito il rito camerale, mentre i ricorrenti rivendicavano la pubblicità delle udienze), ma si è limitata a rilevare che dagli «atti ufficiali del procedimento», vale a dire dalle sentenze emesse dalla Corte d’Appello, risultava che «le udienze si erano svolte in camera di
consiglio o che era stata disposta la comparizione delle parti in
camera di consiglio» (par. 153 della sentenza Grande Stevens).
(45) L’art. 24 della legge 28 dicembre 2005, n. 265, sulla tutela del risparmio prevede infatti, al c. 1 che «i procedimenti
sanzionatori sono svolti nel rispetto dei princìpi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all'irrogazione della sanzione». Su previsione cfr., per tutti, B.G. Mattarella, Artt. 23-24, in La tutela del
risparmio. Commentario della legge 28 dicembre 2005, n. 262,
e del e del d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, a cura di A. Nigro
e V. Santoro, Torino, 2007, 438 ss. Analogamente, l’art. 187septies, c. 2, del d.lgs. n. 58 del 1998 prevede, con riguardo al
procedimento sanzionatorio della Consob, che lo stesso: «è
retto dai princìpi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra
funzioni istruttorie e funzioni decisorie».
(46) Cfr. il 44° considerando della Direttiva n. 2003/6/CE,
del 28 gennaio 2003, ai sensi del quale: «La presente direttiva
rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti
segnatamente dalla Carta dei diritti dell’Unione europea».
(47) Cfr., supra, nt. 3. Tale regolamento si è limitato a eliminare la configurazione bifasica della fase istruttoria (precedentemente articolata tra la Direzione competente per materia e
l’Ufficio sanzioni amministrative) e a prevedere un modulo
istruttorio “a fase unica” incentrato presso l’Ufficio sanzioni
amministrative; ciò nell’ottica, dichiarata, di «ottenere recuperi
di efficienza, efficacia e tempestività dell’azione amministrativa
nel suo complesso»: cfr. il documento di consultazione del Regolamento sul procedimento sanzionatorio del 5 agosto 2013
(Parte I, par. 2). Per più ampie riflessioni circa i limiti del procedimento sanzionatorio della Consob, anche alla luce degli obblighi CEDU, si rinvia ad A. Tonetti, Il nuovo procedimento sanzionatorio della Consob, in questa Rivista, 2005, 1227 ss.
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Diritti dell’uomo
cessiva fase giudiziale, ciò rileverebbe solo ai fini
dell’adempimento dell’Italia agli obblighi internazionali CEDU; del tutto intatto rimane, invece, il
problema della violazione della legge interna da
parte del regolamento Consob (53).
sistenza della violazione contestata e alla quantificazione della relativa sanzione, ovvero in merito
all’archiviazione» (48).
In conseguenza, l’interessato non ha neppure la
possibilità di essere sentito oralmente, in udienza
pubblica, di fronte all’organo deputato ad adottare
il provvedimento sanzionatorio: infatti, solo nella
(antecedente) fase istruttoria i destinatari della lettera di contestazione possono chiedere di avere accesso agli atti del procedimento sanzionatorio (senza che vi sia, dunque, piena e automatica disclosure
di tali documenti) e di essere sentiti personalmente (49).
Per altro verso, il Regolamento non interviene
sul ruolo del Presidente al quale continua a essere
affidato il potere di sovrintendere all’intera attività
istruttoria (50) e di partecipare direttamente all’esercizio dei più importanti poteri di ispezione e di
indagine dell’Autorità (51).
Infine, rimane immutato il problema (non affrontato dalla sentenza in commento, ma evidenziato nella dissenting opinion dei giudici Karakaş e
Pinto de Albuquerque) della mancanza di tempestività dell’accusa, visto che la fase preistruttoria non
viene in alcun modo disciplinata e il termine di 180
giorni di conclusione del procedimento comincia a
decorrere solo dal momento in cui è effettuata la
formale contestazione degli addebiti (sicché, di fatto,
la fase preistruttoria non è limitata nel tempo) (52).
Anche a volersi convincere, dunque, che nel caso di specie i deficits nel procedimento sanzionatorio Consob potessero essere compensati dalla suc-
L’ultimo profilo affrontato dalla sentenza in
commento attiene, come si è detto, al principio
del ne bis in idem che, secondo la Corte europea
dei diritti dell’uomo, è violato nel momento in cui,
con riguardo a una stessa condotta e agli stessi fatti, vengano inflitte una sanzione formalmente amministrativa (ma sostanzialmente “penale”, nel significato convenzionale del termine) e una sanzione penale in senso proprio; ovvero, più semplicemente (come nel caso di specie), quando, dopo
che una decisione penale definitiva (nel significato
convenzionale), di condanna o di assoluzione, sia
già stata imposta, continui un altro procedimento
penale in relazione ai medesimi fatti (54).
È evidente infatti che, nell’ottica dei giudici di
Strasburgo, una volta qualificata come “penale”
una sanzione amministrativa, la stessa non può cumularsi con un’altra sanzione (formalmente o sostanzialmente penale): questo è ciò che avviene,
invece, nel sistema legislativo italiano in materia
di abusi di mercato (55).
(48) L’ art. 6, c. 4, del Regolamento n. 18750 del 2013, prevede infatti che tale rapporto venga immediatamente trasmesso alla Commissione.
(49) Cfr. art. 5, cc. 3 e 4 del Regolamento n. 18750 del
2013.
(50) Cfr. l’art. 1, c. 6, decreto legge 8 aprile 1974, n. 95,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 giugno
1974, n. 216.
(51) Cfr. la Delibera Consob del 21 giugno 2005, n. 15087.
Le criticità, connesse al ruolo del Presidente della Consob, sul
piano della effettiva attuazione del principio di separazione tra
funzioni istruttorie e decisorie erano state ben messe in luce
da R. Rordorf, Ruolo e poteri della Consob nella nuova disciplina
del market abuse, in Le società, 2005, 813 ss., nonché Id., Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, ibidem, 2010, 981 ss.
(52) Per più ampie riflessioni sul punto cfr. W. Troise Mangoni, Il potere sanzionatorio della Consob. Profili procedimentali
e strumentalità rispetto alla funzione regolatoria, Milano, 2012,
119 ss.
(53) In tal senso anche V. Zagrebelsky, Le sanzioni Consob,
l’equo processo e il ne bis in idem nella Cedu, in Giur.it, 2014,
1196 ss. Sembrano invece propensi a ritenere che a seguito
della sentenza Grande Stevens il procedimento sanzionatorio
Consob possa considerarsi adeguato, G.M. Flick, V. Napoleoni, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o
binario morto? “Materia penale”, giusto processo e ne bis in
idem nella sentenza della Corte Edu, 4 marzo 2014, sul market
abuse, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it, n.
3/2014.
(54) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Stevens, cit., par. 220, ove si precisa che «Non è importante sapere quali parti di queste nuove accuse siano alla fine ammesse
o escluse nella procedura successiva, poiché l’articolo 4 del
Protocollo n. 7 enuncia una garanzia contro nuove azioni penali o contro il rischio di tali azioni, e non il divieto di una seconda condanna o di una seconda assoluzione».
(55) È significativo, peraltro, che la dottrina penalistica più
attenta avesse evidenziato, sin dall’introduzione degli artt. 185
e 187-ter, i problemi che potevano derivare dalla replica di norme incriminatrici penali in identici illeciti amministrativi: in tal
senso, per es., e senza alcuna pretesa di completezza, cfr. A.
Alessandri, Un esercizio di diritto penale simbolico: la cd. tutela
penale del risparmio, in Scritti per Federico Stella, II, Napoli,
2007, 930 ss.; M. Vizzardi, Manipolazione del mercato: un
«doppio binario» da ripensare?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006,
704 ss.; nonché, S. Seminara, Abuso di informazioni privilegiate
e manipolazione del mercato: le norme della Comunitaria 2004,
in Dir. pen. proc., 2006, 17 ss; F. Mucciarelli, L’abuso di informazioni privilegiate: delitto e illecito amministrativo, in Dir. pen.
e processo, 2005, 745 ss., il quale parlava di «piena sovrapponibilità sul versante della tipicità tra illeciti penali e amministrativi». Cfr., inoltre, E. Paliero, «Market abuse» e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr. mer., 2005, 810 ss., il
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Il principio del ne bis in idem e il divieto di
cumulo di sanzioni penali e
“amministrative”
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Importante e ricca di conseguenze sistematiche e
pratiche è soprattutto la regola affermata dalla
Corte per comprendere se le due sanzioni possano
dirsi riferite al medesimo illecito.
Emerge anche qui l’approccio sostanzialistico e
antielusivo della Corte EDU: infatti, richiamando i
criteri ermeneutici enunciati nella pronuncia della
Grande Camera Sergue ï Zolotoukhine v. Russia (56), essa afferma che «la questione da definire
non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi
degli illeciti previsti dagli articoli 187-ter e 185, c.
1, del decreto legislativo n. 58 del 1998 siano o
meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dinanzi alla Consob e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta»; e, con riferimento al caso di specie, rileva che il procedimento
Consob e quello penale riguardavano una «unica e
medesima condotta commessa da parte delle stesse
persone nella stessa data» (57).
Insomma, sembra dire la Corte, non basta intervenire legislativamente in un processo (potenzialmente infinito) di creazione di nuovi illeciti, tramite una sorta di “slicing” di una medesima condotta: la unitarietà di quest’ultima deve infatti essere
accertata autonomamente, secondo un approccio
sostanzialistico.
Ebbene, la distanza di questa impostazione rispetto a quella della nostra giurisprudenza appare
evidente: quest’ultima si è infatti tradizionalmente
adagiata su un comodo criterio formale e, nello stabilire l’ambito di applicazione del principio del ne
bis in idem, ha guardato al rapporto intercorrente
tra fattispecie tipiche, considerate in astratto, e
non alle condotte in concreto poste in essere.
Stando alla pronuncia in esame, l'assetto di
molte cornici regolatorie è dunque destinato a es-
sere messo in crisi: nel nostro ordinamento è infatti frequente (e non solo nel campo dei mercati
finanziari) l'intervento dell'autorità amministrativa nella sua veste sanzionatoria e, assieme, dell'autorità giudiziaria, in un processo di reciproca
sinergia (58).
Tuttavia, l’impostazione della Corte di Strasburgo sembra porsi in precaria compatibilità con
il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.) (59): poiché, infatti, nella gran parte dei casi, la sanzione amministrativa “arriva prima”, temporalmente, rispetto
a quella penale, quest’ultima rischia di essere sostanzialmente preclusa. In questo senso, si potrebbe anche ipotizzare una inoperatività del
principio CEDU dato che la Convenzione può
integrare il nostro ordinamento quale norma interposta solo a condizione che sia conforme a Costituzione.
Del resto, qui la Corte EDU sembra ritenere
che la definitività della sanzione amministrativa
si acquisiti solo con il definitivo rigetto dell’opposizione giudiziale (60). Ma ciò è in contrasto con
la natura provvedimentale della sanzione, che è
definitiva al termine del procedimento amministrativo, ed infatti produce fin da subito (salvo rare sospensive giudiziali) tutti i suoi effetti afflittivi (61).
A prescindere da quest’ultimo profilo, occorre
comunque considerare che, almeno nelle materie
di interesse comunitario (tra cui si può fare rientrare la pressoché totalità dei settori nei quali operano
le Autorità indipendenti), il principio del ne bis in
idem, come inteso dalla CEDU, risulta vincolante
anche ai sensi dell'art. 50 Carta europea dei diritti
fondamentali dell'Unione (62), il quale va inter-
quale aveva sostenuto la piena sovrapponibilità delle condotte
tipizzate in tali articoli, proponendo di applicare il criterio della
consumazione e della esclusione della figura meno grave (l’illecito amministrativo) da parte della figura più grave (il reato penale). Su questi profili si rinvia, anche per ulteriori indicazioni
bibliografiche, a M. Miedico, La manipolazione del mercato: illecito penale o illecito amministrativo?, in Società, 2007, 621 ss.
(56) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 febbraio
2009, Serguei Zolotoukhine c. Russia, ricorso n. 14939/03. Sul
principio del ne bis in idem nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo cfr. B. van Bockel, The Ne Bis in Idem Principle in
EU Law, Kluwer Law International, The Nederlands, 2010,
spec. 173 ss.
(57) Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Stevens, cit., par. 224.
(58) Il punto è evidenziato anche da I. Caraccioli, La progressiva assimilazione tra sanzioni penali e amministrative e l’inevitabile approdo al principio del ne bis in idem, in Fisco,
2014, 2374 ss.
(59) In tal senso anche F. D’Alessandro, Tutela dei mercati
finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. pen. e
processo, 2014, 614 ss.
(60) Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Stevens,
cit., par. 220: «La garanzia sancita all’articolo 4 del Protocollo
n. 7 entra in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna
è già passata in giudicato».
(61) Sul punto cfr. A.F. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo)
fa due. L'Italia condannata per violazione del bis in idem in tema
di manipolazione del mercato, in www.penalecontemporaneo.it,
9 marzo 2104, 1 ss., par. 6, il quale suggerisce una interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 649 c.p.p. (laddove
stabilisce il divieto di un secondo giudizio per «l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti
irrevocabili») in modo da ricomprendere nel concetto di «sentenza o decreto penale […] irrevocabile» anche i provvedimenti
amministrativi sanzionatori che rientrano nella nozione di «accusa penale» elaborata dalla Corte di Strasburgo.
(62) Il quale statuisce che «nessuno può essere perseguito
o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o
condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».
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Diritti dell’uomo
che possano essere adottate le opportune misure
amministrative o irrogate le opportune sanzioni
amministrative a carico delle persone responsabili
del mancato rispetto delle disposizioni adottate in
attuazione della presente direttiva»: tale formulazione (pur con una certa ambiguità) significa semplicemente che è ammesso un sistema che preveda
la permanente opzione per sanzioni penali, le quali
offrono indubbiamente la stessa capacità dissuasiva
di quelle (formalmente) amministrative.
L’espressione «fatto salvo il diritto di imporre
sanzioni penali» va dunque intesa come una clausola di salvezza che, conformemente al principio di
sussidiarietà (e in ragione del fatto che l’Unione
non ha competenza in materia penale), consente
agli ordinamenti nazionali di mantenere il loro assetto sanzionatorio (67).
In definitiva, lo si ripete, non vi è altra strada
che quella di affidare al legislatore il compito di
evitare di doppiare i possibili strumenti di reazione
sanzionatoria, così da non giungere all'esito (indubbiamente anomalo) di un'autorità giudiziale
che si debba bloccare, una volta divenuta definitiva la sanzione amministrativa (68).
pretato in necessaria coerenza con i principi CEDU (63).
In queste materie, dunque, si potrebbe ben sostenere che sia il principio della obbligatorietà dell’azione penale a dover soccombere, in quanto, probabilmente, non rientrante in quel nucleo essenziale di principi fondamentali che, secondo la teoria dei cd. controlimiti all’ordinamento comunitario, non potrebbero mai essere superati. Con il
che, la strada affacciata da una relazione dell'Ufficio massimario della Cassazione, ossia quella del
controlimite costituzionale all'adeguamento ai
principi CEDU, sarebbe sostanzialmente impercorribile (64).
In presenza di comportamenti identici e di fattispecie nelle quali sostanzialmente il bene giuridico
protetto è lo stesso, la soluzione più semplice è
dunque che sia il legislatore a scegliere, prendendo
chiaramente posizione nel senso della applicazione
della misura penale o di quella amministrativa (65).
Del resto, non pare convincente l’argomento
(avanzato dal Governo italiano e “liquidato” rapidamente dalla Corte di Strasburgo nel caso in esame) secondo il quale sarebbe la stessa direttiva
2003/6/CE/ sui market abuses a imporre un sistema
di “doppio binario” sanzionatorio (66).
Infatti, l’art. 14 di tale direttiva si limita a prevedere che «Fatto salvo il diritto di imporre sanzioni
penali, gli Stati membri sono tenuti a garantire,
conformemente al loro ordinamento nazionale,
Il percorso di adeguamento ai principi CEDU (e
comunitari) in tema di sanzioni “penali” richiede
insomma scelte sotto vari profili profondamente
innovative e, talvolta, dolorose (69).
(63) Come sembra fare, da ultimo, Corte europea di giustizia, 26 febbraio 2013, Aklagaren c. Hans Akerberg Fansson,
causa C-617710, relativa a un procedimento penale per frode
fiscale aggravata nei confronti di un soggetto che era già stato
condannato al pagamento di una sovrattassa di natura fiscale
per lo stesso illecito.
(64) Cfr. la relazione della cassazione dell’8 maggio 2014,
n. 35, Considerazioni sul principio del ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande
Stevens e altri contro Italia.
(65) Sul punto cfr. le acute osservazioni di A. Alessandri,
Delitti e pene nello scenario della crisi, in Giur. cost., 2010, 671
ss., sulla necessità di un ridimensionamento o, quantomeno,
di un ripensamento del ruolo del diritto penale (che non potrebbe più costituire «il battistrada o l’avanguardia armata») in
campo economico. Naturalmente, come evidenziato da F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta?, in www.penalecontemporaneo.it, 30 giugno 2014, 26 ss., ciò non esclude che, in
attesa dell’intervento del legislatore, siano i magistrati italiani,
anch’essi vincolati, almeno nelle materie di interesse comunitario, a rispettare le statuizioni della Corte di Strasburgo, a dover evitare il prodursi di nuove violazioni convenzionali ponendo fine ai procedimenti penali relativi ai medesimi fatti già sanzionati dalla Consob con provvedimento confermato in sede
giurisdizionale.
(66) È significativo, a questo riguardo, che la nuova direttiva 2014/57/Ue(che sostituisce la direttiva 2003/6/Ce), e il con-
testuale regolamento Ue 596/2014, vincolano oggi gli Stati
membri all’adozione (entro il 2016), in ogni caso, di sanzioni
penali per i fatti più gravi di abusi di mercato commessi con
dolo, mentre l’adozione di sanzioni amministrative per gli stessi fatti è indicata come facoltativa.
(67) Infatti, la tale formulazione va interpretata alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia che, nell'importante
sentenza Spector Photo Group c. Commissione, del 23 dicembre 2009 (causa C-45/08), ha riconosciuto la natura penale, ai
fini convenzionali, delle misure previste in Belgio in attuazione
della Direttiva sui market abuses. In tal senso si esprime anche
la sentenza Grande Stevens al par. 229.
(68) Del resto, appare evidente che la strada, proposta
sempre dall’Ufficio massimario della Corte di Cassazione, di
«costruire l’illecito amministrativo parallelo alla previsione penale in maniera tale da non superare la “soglia di tollerabilità”
del livello di afflittività della sanzione che comporta per la Corte europea la sostanziale violazione del principio del ne bis in
idem», appare non percorribile alla luce di quanto si è detto sopra circa la nozione CEDU di «accusa penale»: nell’ottica della
Corte di Strasburgo, infatti, anche una sanzione di qualche decina di euro potrebbe essere penale, ove avente un chiaro carattere punitivo (cfr. nt. 11).
(69) Cfr., da ultimo, l’ordinanza del Cons. Stato, 2 ottobre
2014, n. 7567 che, proprio richiamando la sentenza sul caso
Grande Stevens¸ ha accolto un’istanza cautelare avente a oggetto l’obbligo della Consob di adeguare il proprio procedimento sanzionatorio ai principi CEDU.
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Conclusioni
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E tuttavia, leggendo la sentenza sul caso Grande
Stevens viene da chiedersi perché i giudici di Strasburgo, almeno sotto il profilo del mancato rispetto
delle garanzie procedimentali, siano stati più inclini ad accettare la compensazione ex post in sede
giurisdizionale rispetto a quanto avevano fatto nel
caso delle analoghe sanzioni irrogate dalle Autorità
indipendenti francesi.
Probabilmente, la risposta va cercata nella maggiore maturità dell’ordinamento d’oltralpe ove, è
bene ricordarlo, fin dal 1989 il Conseil constitutionnel ha iniziato ad affermare la necessità di una
estensione delle garanzie proprie delle misure penali alla procedura sanzionatoria amministrativa (70).
Viceversa, in Italia, come è noto, tutta una serie di garanzie sono state a lungo ritenute confinate all’interno dell’ambito di applicazione della
legge n. 689 del 1981 perché ritenute prive di un
fondamento costituzionale (71): ciò è accaduto,
per es., per la riserva di legge assoluta, per il divieto di retroattività e per la necessità del rispetto dei diritti della difesa. Questo ha fatto sì che
tali garanzie siano state ritenute non applicabili a
sanzioni amministrative che fuoriuscivano dall’ambito di applicazione della legge di depenalizzazione; e, allo stesso tempo, ha impedito l’estensione alle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689 delle garanzie ulteriori proprie del sistema penale: si pensi, per es., alla regola della retroattività della legge sopravvenuta più favorevole (72).
Peraltro, in Francia, anche in anni più recenti le
sentenze della Corte di Strasburgo hanno continuato ad esercitare un’influenza determinante sulla
giurisprudenza del Conseil constitutionnel: basti dire,
per es. che, nel 2009, quest’ultimo ha esteso alle
sanzioni amministrative il principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, par. 2 CEDU (73); e, nel 2013, ha dichiarato l’incostituzionalità della legge istitutiva dell’Autorité de régula-
tion des communications électroniques et des postes
perché non prevedeva, all’interno di quest’ultima,
una chiara separazione tra funzioni istruttorie e decisorie (74).
In definitiva, l’impressione è che la Corte Edu
voglia sì parificare le garanzie dell’ambito sanzionatorio amministrativo a quelle dell’ambito penale, ma tenendo conto del grado di evoluzione dell’ordinamento in questione. Vi è cioè un dialogo
costruttivo tra le Corti costituzionali interne e il
giudice di Strasburgo il quale finisce per imporre
nella loro pienezza le garanzie dell’art. 6 solo a
quegli ordinamenti che abbiano già mostrato una
reale consapevolezza e sensibilità per il problema (75).
Da questo punto di vista, allora, le recenti prese
di posizione della Corte costituzionale italiana, che
ha riconosciuto in modo chiaro l’appartenenza alla
nozione sostanziale di diritto “penale” delle sanzioni amministrative aventi un carattere afflittivo e,
anche per ciò, ha esteso a tali sanzioni la regola
della irretroattività della legge penale più sfavorevole prevista dall’art. 25, c. 2, Cost., fanno ben
sperare (76).
Quel che è certo, in ogni caso, è che non è più
il tempo per adesioni meramente formali e nominalistiche ai principi CEDU: non basta quindi scrivere nell’art. 24 della legge sul risparmio o in altre
normative di settore che i relativi procedimenti
sanzionatori sono conformati ai principi dell’equo
processo, ma occorre, come è già avvenuto in altri
ordinamenti europei e, pur con ambiguità, nello
stesso ordinamento comunitario, che l’equo processo venga effettivamente attuato all’interno del procedimento ovvero che, quantomeno, la «full jurisdiction» venga realmente esercitata dai giudici ordinari o amministrativi- competenti al riesame
della pretesa sanzionatoria.
Viene in mente quella filastrocca nel libro di Lewis Carrol, Alice’s Adventures in Wonderland, “The
Mock turtle’s Song”: «“Will you walk a little fa-
(70) Conseil constitutionnel, décision 22 aprile 1997 (n. 97389-DC); Id., décision 17 janv. 1989 (n. 88-248-DC).
(71) Per questa osservazione cfr. P. Cerbo, nella relazione
tenuta in occasione del Seminario “Sanzione amministrativa: i
confini della nozione e le relative garanzie”, 20 febbraio 2014,
Università Cattolica del S. Cuore di Milano, dattiloscritto consultato per la gentilezza dell’Autore.
(72) Su questo profilo cfr. P. Provenzano, La retroattività in
mitius delle norme sulle sanzioni amministrative, in Riv. it. dir.
pubbl. comunit., 2012, 877 ss.; nonché, da ultimo, P. Pantalone, Principio di legalità e favor rei nelle sanzioni amministrative,
in M. Allena-S. Cimini (a cura di), Il potere sanzionatorio delle
Autorità amministrative indipendenti, in Il dir. dell’economia, Approfondimenti 3/2013 (https://www.mucchieditore.it).
(73) Décision du 10 juin 2009 n. 2009-580-DC, in Revue de
science criminelle et de droit pénal comparé, 2010, 408 ss.,
con nota di A. Cappello, Retour sur la jurisprudence du Conseil
constitutionnel relative aux sanctions administratives, 415 ss.
(74) Conseil constitutionnel, décision n. 2013-331 QPC del 5
luglio 2013.
(75) Il tema del dialogo tra le Corti è al centro del volume di
S. Cassese, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine giuridico globale, Roman, 2009. Sul tema cfr., inoltre,
almeno, V. Sciarabba, Tra fonti e Corti. Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali e comparati degli sviluppi
sovranazionali, Milano, 2008.
(76) Cfr. le pronunce della Consulta nn. 196 del 2010 e 104
del 2014, cit. alle note 19 e 20.
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Diritti dell’uomo
ster?” said a whiting to a snail, “There’s a porpoise
close behind us, and he’s treading on my tail. See
how eagerly the lobster and the turtles all advance!
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They are waiting on the shingle - will you come
and join the dance? Will you, won’t you, won’t
you, will you join the dance?”».
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Finanza e contabilità pubblica
Pareggio in bilancio
Equilibrio dei bilanci delle
Regioni e degli enti locali: prime
indicazioni della Corte
costituzionale
Corte costituzionale, 10 aprile 2014, n. 88 - Pres. G. Silvestri - Red. G. Coraggio
È ammissibile l’impugnazione della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (“Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”), dal momento che essa,
pur essendo una legge c.d. “rinforzata” (in ragione della maggioranza parlamentare richiesta per la sua approvazione), ha il rango di legge ordinaria, trovando la sua fonte di legittimazione nella legge costituzionale
n. 1 del 2012, di cui detta la disciplina attuativa. Le disposizioni dettate dall’art. 10, commi 3, 4 e 5 della citata
legge n. 243 del 2012, che disciplinano l’indebitamento degli enti territoriali, si applicano anche alle Regioni
autonome e alla Provincia autonoma di Trento.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Corte cost. 30 dicembre 2003, n. 376 e Corte cost. 29 dicembre 2004, n. 425
Difforme
Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.
(Omissis)
IL COMMENTO
di Giustino Lo Conte (*)
Con la sentenza n. 88/2014, la Corte costituzionale si pronuncia per la prima volta sulla legge n.
243/2012 di attuazione del principio del pareggio di bilancio. Essa evidenzia preliminarmente che la citata
legge n. 243/2012, pur essendo una legge “rinforzata” (in ragione del quorum richiesto per la sua approvazione), ha comunque il rango di legge ordinaria. Il Giudice delle leggi giunge poi all’accoglimento parziale di alcune delle questioni sollevate, offrendo indicazioni sulla disciplina dell’indebitamento degli enti
territoriali e sul concorso dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome al finanziamento dei livelli
essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali e alla sostenibilità
del debito pubblico.
Premessa
La sentenza n. 88/2014 della Corte costituzionale decide alcune questioni di legittimità, riunite in
un unico giudizio stante l’identità delle norme denunciate e delle censure proposte, promosse in via
principale dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e
dalla Provincia autonoma di Trento. Essa, pur non
discostandosi da un orientamento (oramai) consolidato che la Consulta segue da qualche anno a
questa parte sulle questioni di legittimità costitu-
(*) Le opinioni espresse dall’Autore sono personali e non
impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
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Finanza e contabilità pubblica
zionale in materia bilancio e finanza pubblica (1),
è interessante per almeno tre ragioni. Innanzitutto
la Corte costituzionale si pronuncia, per la prima
volta, sulle innovazioni introdotte con le riforme
del 2012 che hanno formalmente inserito nella
Costituzione il principio del pareggio (rectius: dell’equilibrio) di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico (2). In secondo luogo essa qualifica
la natura giuridica della legge attuativa del principio ora enunciato. Infine, offre indicazioni circa
l’esercizio di funzioni amministrative in materia di
coordinamento finanziario.
Prima di procedere ad analizzare le argomentazioni della Corte, appare necessario ripercorrere
brevemente la genesi e l’attuazione, prima europea
e poi nazionale, del principio del pareggio di bilancio, al fine di inquadrare in modo più completo la
questione oggetto del contendere.
Il principio del pareggio di bilancio: in
Europa …
L’obbligo per gli Stati membri dell’Unione europea (Ue) di raggiungere un saldo di bilancio della
pubblica amministrazione prossimo al pareggio o in
attivo risale alla metà degli anni Novanta, essendo
contenuto nella risoluzione del Consiglio europeo
adottata ad Amsterdam il 17 giugno 1997 (3).
Più recentemente, con l’approvazione da parte
del Consiglio europeo, nel marzo 2011, del c.d.
Patto Euro- Plus, che ha la forma di un accordo in(1) In proposito, per una analisi (critica) della recente giurisprudenza costituzionale, cfr. C. Forte, La recente giurisprudenza costituzionale in tema di art. 81 Cost., in Rassegna parlamentare, 2013, 3, 661; ID., La recente giurisprudenza costituzionale
in tema di art. 81 Cost. (aggiornamento in base all’ultimo trimestre 2013), ivi, 2014, 1, 177 ss. e A. Crismani, Regole di copertura finanziaria e pareggio di bilancio, in Giurisprudenza italiana,
2014, 5, 1173 ss.
(2) Dapprima con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n.
1 (“Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale”) e successivamente con la legge 24 dicembre 2012, n. 243 (“Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma,
della Costituzione”). In proposito si veda R. Perez, Dal bilancio
in pareggio all’equilibrio tra entrate e spese, in questa Rivista,
2012, 10, 929 ss.; G. D’Auria, Sull'ingresso in Costituzione del
principio del «pareggio di bilancio» (a proposito di un recente
parere delle sezioni riunite della Corte dei conti), in Foro italiano,
III, 2012; I Ciolli, Le ragioni dei diritti e il pareggio di bilancio,
Roma, 2012 e C. Golino, Il principio del pareggio di bilancio.
Evoluzione e prospettive, Padova, 2013.
(3) Tale risoluzione, unitamente ai due regolamenti nn.
1466/97 e 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997, costituisce
il Patto di stabilità e crescita (Psc). Il Psc è stato modificato anche nel 2005.
(4) Il Regolamento (Ue) n. 1175/2011 detta disposizioni per
il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio
nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche
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tergovernativo, gli Stati dell’area euro e alcuni altri
Stati membri dell’Unione si impegnavano tra l’altro a recepire nella legislazione nazionale le regole
di bilancio dell’Ue fissate nel Patto di stabilità e
crescita (Psc), ferma restando la facoltà di scegliere
lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere, purché avente natura vincolante e sostenibile
sufficientemente forte (ad esempio costituzionale o
legge quadro) e tale da garantire la disciplina di bilancio a livello sia nazionale che subnazionale.
Peraltro, con le recenti modifiche apportate al
Psc dal Regolamento (Ue) n. 1175/2011 (4), gli
Stati membri devono registrare un saldo di bilancio
strutturale (5) corrispondente all’obiettivo di medio termine (Omt) (6) o in rapida convergenza ad
esso. Per gli Stati membri dell’area dell’euro l’Omt
deve essere specificato entro un intervallo compreso tra -1 per cento del Prodotto interno lordo (Pil)
e il pareggio o il surplus.
Infine, con la sottoscrizione, nel marzo 2012, del
“Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla
governance nell’unione economica e monetaria”
(meglio noto come «Fiscal Compact» o «patto di
bilancio») gli Stati contraenti (tra cui l’Italia) si
sono impegnati ad avere un bilancio strutturale
«in pareggio o in avanzo» e a dare attuazione a
questo principio «tramite disposizioni vincolanti e
di natura permanente - preferibilmente costituzionale - o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio» (7).
economiche. Esso è uno dei regolamenti che costituiscono il
c.d. six pack, vale a dire tre regolamenti (1175/2011,
1177/2011 e 1173/2011) che modificano il PSC, altri due
(1174/2011 e 1176/2011) che definiscono la nuova procedura
di sorveglianza multilaterale e la direttiva 2011/85/UE del Consiglio che fissa i requisiti e i criteri per i quadri di bilancio degli
Stati membri.
(5) Il saldo strutturale è definito come il saldo tra entrate e
spese, depurato dalle misure una tantum e temporanee e degli
effetti del ciclo economico.
(6) «In sintesi, si tratta di un programma triennale, specifico
per ciascuno Stato membro e mirato al conseguimento di un
disavanzo strutturale inferiore all’1% del PIL»: così G. L. Tosato, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa
dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno, Seminario
“Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma, Palazzo della Consulta, 22 novembre
2013, in www.cortecostituzionale.it.
(7) Cfr. art. 3 del Fiscal Compact. Quest’ultimo, sottoscritto
da 25 Stati europei, ha la forma di Trattato in quanto non è
stato possibile procedere all’interno dell’Unione per il dissenso
del Regno Unito e della Repubblica Ceca. Si è fatto quindi ricorso ad un normale Trattato, che gli Stati contraenti hanno
concluso come soggetti di diritto internazionale. In dottrina, ex
multis, R. Perez, La nuova governance economica europea: il
meccanismo di stabilità e il Fiscal Compact, in questa Rivista,
2012, 5, 469 ss.
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… e in Italia
Trascurato per un lungo periodo nel nostro Paese, il tema del pareggio di bilancio è prepotentemente entrato nel dibattito politico e istituzionale
italiano a partire dal 2011, sia per gli interventi europei e sovranazionali sopra richiamati, sia al fine
di fronteggiare l’aggravarsi degli effetti della crisi
economico-finanziaria ancora in atto.
Con il Documento di Economia e Finanza (Def)
presentato nel mese di aprile di quell’anno (8), infatti, il Governo italiano si impegnava a raggiungere, entro il 2014, un livello prossimo al pareggio di
bilancio. Soltanto qualche mese più tardi, e precisamente ad agosto, la Banca centrale europea
(Bce) inviava al Presidente del Consiglio dell’epoca una lettera in forma riservata con la quale “invitava” il Governo italiano ad adottare alcune misure, ritenendole necessarie affinché l’Italia potesse
uscire dalla crisi economico-finanziaria (9). In particolare, nell’ottica di assicurare la sostenibilità
delle finanze pubbliche, la Bce prospettava la necessità di intervenire nuovamente al fine di raggiungere un deficit migliore di quanto previsto nel
2011, di adottare una riforma costituzionale in modo tale da rendere più stringenti le regole di bilancio e di anticipare il pareggio di bilancio nel 2013.
A tale riguardo, con il decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), il Governo interveniva allo scopo dichiarato di raggiungere il
pareggio di bilancio già nel 2013 e il mantenimento di questo negli anni successivi.
Quest’ultima previsione trovava conferma nel
Def 2012 (10), con cui tra l’altro veniva indicato
l’impegno del Governo a costituzionalizzare tale
vincolo attraverso la modifica dell’art. 81 Cost.
(impegno che, come sopra ricordato, era stato as(8) Reperibile al sito http://www.mef.gov.it/doc-finanzapubblica/def/2011/documenti/26708_def_sez_i.pdf.
(9) Si tratta della lettera del 5 agosto 2011 firmata da due
governatori della Bce, quello uscente, Jean-Claude Trichet, e
quello appena designato (e ancora Governatore della Banca
d’Italia), Mario Draghi. Della lettera in questione, definita
«strettamente confidenziale», si è parlato per la prima volta in
un articolo apparso sul Corriere della Sera del 29 settembre
2011. Si veda, in proposito, E. Olivito, Crisi economico-finanziaria ed equilibri di bilancio. Qualche spunto a partire dalla lettera
della BCE al Governo italiano, in Rivista AIC, n.1/2014.
(10) Consultabile al sito http://www.mef.gov.it/doc-finanzapubblica/def/2012/documenti/Programma_di_Stabilitx_2012_xPROTETTOx.pdf
(11) Come noto, la materia dell’«armonizzazione dei bilanci
pubblici» era stata assegnata alla competenza concorrente
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al ti-
1070
sunto dal nostro Paese con la sottoscrizione del Fiscal Compact).
Per tale ragione, la legge costituzionale n. 1 del
2012 novellava gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost.,
introducendo nell’ordinamento un principio di carattere generale a decorrere dall’esercizio finanziario 2014 - secondo il quale tutte le amministrazioni
pubbliche, compresi gli enti territoriali, devono assicurare l’equilibrio tra entrate e spese del bilancio
e la sostenibilità del debito - e riconducendo alla
potestà esclusiva dello Stato la materia dell’«armonizzazione dei bilanci pubblici» (scorporandola dal
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», che resta nella potestà legislativa
concorrente) (11).
In particolare, a seguito della modifica dell’articolo 81 Cost., lo Stato deve assicurare l’equilibrio
tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi - avverse o favorevoli del ciclo economico. Lo stesso legislatore costituzionale disponeva il rinvio ad una legge c.d. rinforzata (12), la legge 24 dicembre 2012, n. 243, la disciplina delle norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese
dei bilanci pubblici e la sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni, nonché degli altri aspetti trattati dalla citata legge costituzionale n. 1 del 2012.
Nello specifico, la nuova legislazione nazionale
distingue a seconda che il principio in questione si
applichi alle pubbliche amministrazioni, allo Stato
o agli enti territoriali (13). Nel primo caso, è stabilito che per le amministrazioni pubbliche il pareggio di bilancio si ottiene qualora il saldo strutturale coincida con l’Omt mentre per lo Stato esso
corrisponde a un valore del saldo netto da finanziare o da impiegare coerente con quanto previsto
annualmente dai documenti di programmazione finanziaria e di bilancio. La legge stabilisce invece
tolo V della parte seconda della Costituzione).
(12) In ragione della maggioranza parlamentare richiesta
per la sua approvazione, ossia la maggioranza assoluta dei
componenti di ciascuna Camera. In generale, relativamente alla legge n. 243/2012, cfr. M. Bergo, Pareggio di bilancio “all’italiana”. Qualche riflessione a margine della legge 24 dicembre
2012, n. 243, attuativa della riforma costituzionale più silenziosa
degli ultimi tempi e R. Dickmann, Brevi considerazioni sulla natura rinforzata della legge 24 dicembre 2012, n. 243, di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio, entrambi
in Federalismi.it, n. 6/2013.
(13) In generale, un prospetto riepilogativo delle regole fiscali per i vari livelli di governo è contenuto nella Nota breve
della Ragioneria Generale dello Stato, L’attuazione del principio
costituzionale del principio del pareggio bilancio, Legge 243 del
2012, Roma, febbraio 2013.
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un doppio criterio affinché i bilanci delle Regioni
e degli enti locali possano considerarsi in equilibrio ai sensi dell’art. 119, comma 1, Cost., ossia se
esiste un saldo non negativo tra entrate e spese finali (14) e tra entrate e spese correnti (incluse le
quote di capitale delle rate di ammortamento dei
prestiti assunti) in termini di competenza e di cassa a livello di singolo ente territoriale in fase di
previsione e in fase di rendiconto.
Nonostante tutti questi sforzi, principalmente a
causa del perdurare della crisi economica, l’Italia
non è riuscita a rispettare tale scadenza. Con il Def
2014, il Governo italiano ha infatti richiesto al
Parlamento l’autorizzazione a discostarsi temporaneamente, per il 2014, dal percorso di avvicinamento verso il pareggio di bilancio in termini
strutturali, ossia dal proprio Omt, impegnandosi a
raggiungerlo pienamente soltanto nel 2016. Approvata dalle Camere (15), simile proposta non ha
però superato i rilievi europei. Il Consiglio dell’Ue
ha recentemente raccomandato all’Italia di operare, nel 2015, un sostanziale rafforzamento della
strategia di bilancio al fine di garantire il rispetto
del requisito di riduzione del debito pubblico, raggiungendo così il proprio obiettivo di medio termine (16). Ciononostante, il peggioramento delle
stime di crescita per il biennio 2014-2015 - con i
conseguenti riflessi negativi sull’evoluzione della finanza pubblica - ha indotto il Governo a presentare alle Camere, in allegato alla Nota di aggiornamento al Def 2014, la Relazione (17) contenente
la richiesta di posticipare il raggiungimento del pa(14) Secondo la legge di contabilità e finanza pubblica n.
196/2009 (art. 25, c. 7), le operazioni finali sono rappresentate
da tutte le entrate e tutte le spese, escluse le operazioni di accensione e rimborso dei prestiti.
(15) In data 17 aprile 2014 la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato la Relazione e autorizzato
in proposito il Governo rispettivamente nei seguenti termini:
«La Camera, premesso che il Documento di economia e finanza 2014 (DEF) reca, al Capitolo III del Programma di Stabilità
dell'Italia, la Relazione al Parlamento sull'indebitamento netto
e il debito pubblico presentata ai sensi dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012 n. 243; preso atto delle comunicazioni
intercorse tra il Governo italiano e la Commissione europea;
sentite le dichiarazioni rese dal Ministro dell'economia e delle
finanze nel dibattito odierno; autorizza il Governo ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione e dell'articolo
6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a dare attuazione a
quanto indicato nella Relazione citata in premessa.» e «Il Senato, sentite le comunicazioni odierne del Governo, considerato
che il Governo, sentita la Commissione europea, ha presentato, nella Sezione I, Capitolo III del DEF 2014, la Relazione di
cui all'articolo 6, comma 3, della legge n. 243 del 2012, approva la predetta Relazione e autorizza il Governo, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a dare puntuale attuazione alle misure in essa indicate.».
(16) Cfr. Raccomandazione del Consiglio dell’Ue dell’8 lu-
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reggio di bilancio in termini strutturali al 2017,
con un anno di ritardo rispetto a quanto stabilito
nel medesimo Def.
L’ammissibilità dell’impugnazione della
legge n. 243 del 2012 e la sua qualificazione
come «legge ordinaria»
È in questo complicato contesto che si inseriscono i ricorsi della Regione Friuli-Venezia Giulia e
della Provincia autonoma di Trento. Esse dubitano
della legittimità costituzionale di diverse (e significative) disposizioni contenute nel capo IV - dedicato ai bilanci delle Regioni e degli enti locali (18) della citata legge n. 243 del 2012.
Secondo le ricorrenti, che godono di autonomia
finanziaria in forza dei propri statuti (19), le disposizioni impugnate - che si applicano a partire dall’esercizio finanziario 2016 (20) - ledono i propri statuti e l’autonomia finanziaria ad esse riconosciuta.
Avendo, poi, le norme censurate scopo di stabilizzazione finanziaria, esse non possono essere unilateralmente imposte alle Regioni speciali, dovendosi seguire il principio dell’accordo, fissato dalla
legge 13 dicembre 2010, n. 220 (“Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge di stabilità 2011”), e dalla legge
5 maggio 2009, n. 42 (“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”).
Sembra interessante evidenziare che comunque
entrambe le ricorrenti sostengono di non volersi
glio 2014 sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia e
che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità
2014 dell’Italia.
(17) La Relazione al Parlamento è stata presentata ai sensi
dell’art. 6 della legge n. 243/2012.
(18) Il capo IV della legge n. 243/2012 (articoli da 9 a 12) disciplina sia l’equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali che il concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico. Nella vicenda in esame, sono impugnati gli artt.
9, c. 2 e 3, nella parte in cui richiamano, rispettivamente, il c.
4 dell’art. 10 e l’art. 10, l’art. 10, c. 3, 4 e 5, l’art. 11 (la sola
Provincia autonoma di Trento) e l’art. 12 della legge n.
243/2012.
(19) Cfr. artt. 48 e ss. della legge costituzionale 31 gennaio
1963, n. 1 (“Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia”) e art. 69 e ss. del decreto del Presidente della Repubblica
31 agosto 1972, n. 670 (“Approvazione del testo unico delle
leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige per la Provincia autonoma di Trento”).
(20) Ai sensi dell’art. 21 della medesima legge n. 243/2012,
le disposizioni del capo IV e dell’art. 15 (Contenuto della legge
di bilancio) si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2016, e ciò
al fine di permettere l’adeguamento delle nuove disposizioni
con la previgente disciplina sia a livello statale che territoriale,
nonché con l’intero impianto del federalismo fiscale. Di tale
circostanza non è fatta menzione nella sentenza in commento.
1071
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sottrarre ai principi della sostenibilità del debito
delle pubbliche amministrazioni e del rispetto dell’equilibrio di bilancio del complesso degli enti della Regione (e degli enti della provincia), ritenendo
tuttavia che la definizione delle loro modalità attuative debba avvenire con le procedure previste
dagli statuti (21).
La Corte costituzionale affronta preliminarmente
la questione concernente l’ammissibilità o meno
dell’impugnazione della legge n. 243 del 2012. Tale
questione, risolta nel senso dell’ammissibilità, porta
la Consulta a qualificare la legge n. 243 come legge
ordinaria, pur trattandosi di una legge “rinforzata”
in virtù del particolare procedimento di adozione
(maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna
Camera) (22). La risposta piuttosto sbrigativa offerta su questo punto appare uno dei passaggi più
significativi della sentenza in commento. È appena
il caso di sottolineare, infatti, che nei riguardi della
legge attuativa del principio del pareggio di bilancio è stata depositata la richiesta di referendum
abrogativo popolare e che è tuttora in corso la raccolta del necessario numero di sottoscrizioni. Si
tratta di un referendum parziale, volto cioè ad abrogare quattro disposizioni della legge n. 243 del
2012 che, a detta del Comitato promotore, prescrivono modalità attuative del principio di equilibrio
dei bilanci non previste dalla Costituzione né im-
poste dalla normativa europea o dal citato Fiscal
Compact (23).
Il tema meriterebbe un approfondimento sulle
molteplici e significative implicazioni della questione, approfondimento non possibile in questa
sede. Non si può evitare di sottolineare, però, che
se l’intento è quello di aprire un dibattito - dalla
dottrina giustamente ritenuto assente nel corso
dell’iter parlamentare delle revisioni del 2012 (24)
- su alcuni profili delle attuali politiche di austerità
considerate «palesemente irragionevoli» (25), lo
strumento prescelto appare adeguato; da un punto
di vista strettamente giuridico, occorre tuttavia segnalare che se anche fosse dichiarato ammissibile
il citato referendum e si riuscisse a raggiungere il
quorum prescritto, i vincoli alle politiche di bilancio nazionali resterebbero ugualmente vigenti, in
considerazione del fatto che, come si è sopra evidenziato, le disposizioni del Fiscal Compact riproducono i principi contenuti nel Regolamento (Ue)
del 2011.
(21) Osserva giustamente L. Grimaldi, La Corte accoglie solo
parzialmente alcune istanze regionaliste, ma conferma, nella sostanza, la disciplina di attuazione del principio di equilibrio dei bilanci pubblici (note a margine della sentenza Corte cost. n.
88/2014, in www.amministrazioneincammino.it) che dai ricorsi
presentati dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalla Provincia
autonoma di Trento emerge il tentativo «di preservare quantomeno alcuni “spazi di manovra” delle autonomie speciali in ordine alle modalità con cui gestire le politiche (più che la definizione del quantum) di indebitamento e di spesa, e, dall’altra,
l’esigenza di tutelare, in fase di attuazione ed applicazione della disciplina costituzionale di bilancio, le speciali condizioni di
autonomia riconosciute in capo alle ricorrenti, pur senza pregiudicare il perseguimento delle (preminenti e condivise) finalità generali rivenienti dalla normativa statale in questione».
(22) Corte cost. 10 aprile 2014, n. 88, punto 3 del Considerato in diritto. La Corte rigetta anche la richiesta di inammissibilità avanzata dalla Presidenza del Consiglio e motivata sulla
circostanza che l’oggetto della legge n. 243 del 2012 sarebbe
interamente riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «armonizzazione dei bilanci pubblici». In dottrina, alcuni ritengono che la legge de qua debba essere considerata come (al momento) unico esemplare di un’originale tipologia di fonti legislative rinforzate (è la tesi di R. Dickmann,
Brevi considerazioni sulla natura rinforzata della legge 24 dicembre 2012, n. 243, di attuazione del principio costituzionale del
pareggio di bilancio, cit.), mentre altri sostengono che in questo caso il legislatore abbia optato per l’adozione di una nuova
fonte del diritto, la c.d. «legge organica», uniformandosi a
quanto già previsto in altri ordinamenti europei, in particolare
francese e spagnolo (N. Lupo, La revisione costituzionale della
disciplina di bilancio e il sistema delle fonti, in Il Filangieri, Napoli, 2011, 89 ss.).
(23) I quesiti referendari, aventi ad oggetto alcune disposizioni del Capo II (Equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito
delle amministrazioni pubbliche) della legge n. 243/2012, sono
quattro. Con il primo si tenta di abrogare la norma (art. 3, c. 3
e 5) che prevede la possibilità, per il Governo e il Parlamento,
di stabilire obiettivi di bilancio più gravosi di quelli definiti in
sede europea. Il secondo quesito prevede l’abolizione della
previsione circa l’esatta corrispondenza tra il principio costituzionale di bilancio e l’OMT (art. 3, c. 2). Il terzo mira ad abrogare la norma che limita il ricorso all’indebitamento per realizzare
operazioni finanziarie ai soli casi eccezionali stabiliti dalla legge
(art. 4, c. 4). Infine, il quarto quesito intende abrogare quella
parte della legge che impone l'attivazione del meccanismo di
correzione quando si determina uno scostamento considerato
significativo anche sulla base di trattati internazionali e non
soltanto quando previsto dall’Ue (art. 8, c. 1).
(24) Cfr. G. Rivosecchi, Il c.d. pareggio di bilancio tra Corte e
legislatore, anche nei suoi riflessi sulle regioni: quando la paura
prevale sulla ragione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
n. 3/2012, 1 e M. Luciani, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità, Seminario “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma
costituzionale del 2012”, Roma, Palazzo della Consulta, 22 novembre 2013, in www.cortecostituzionale.it, 11-12.
(25) In tal senso si sono espressi alcuni componenti del Comitato promotore (cfr. P. De Ioanna e G. Piga, Con i vincoli
contabili di oggi nessun miracolo italiano, in Il Sole-24 Ore del
31 luglio 2014).
1072
Le ulteriori questioni decise dalla Corte
Nel merito, la sentenza riconosce, anzitutto, non
fondate le censure delle ricorrenti rivolte contro le
disposizioni della legge rinforzata sull’indebitamento degli enti territoriali (c. 3, 4 e 5 dell’art. 10)
che, avendo natura dettagliata, avrebbero ecceduto
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i limiti propri dell’intervento statale nella materia
del coordinamento della finanza pubblica - la quale
dovrebbe limitarsi alla determinazione dei principi
- e di conseguenza avrebbero violato l’autonomia finanziaria delle Regioni. Di contro a tale prospettazione, la Corte rileva che l’art. 5, c. 2, lett. b) della
legge costituzionale n. 1 del 2012 stabilisce da un
lato che la disciplina statale attuativa debba avere
un contenuto uguale per tutte le autonomie e, dall’altro, che essa non debba limitarsi ai principi generali. Quindi, il fatto che la normativa censurata
abbia un contenuto dettagliato e che sia più rigorosa di quella contenuta negli statuti delle ricorrenti
non comporta una violazione dell’autonomia finanziaria e delle competenze in materia di finanza locale attribuite a queste ultime. Nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale
delle norme soprarichiamate, il Giudice costituzionale ribadisce posizioni già espresse nella propria
giurisprudenza ante e post riforma del 2012: in primo luogo che non è possibile «ammettere che ogni
ente, e così ogni regione, faccia in proprio le scelte
di concretizzazione» dei vincoli posti in materia di
indebitamento, trattandosi infatti di vincoli generali che devono valere «in modo uniforme per tutti
gli enti, [e pertanto] solo lo Stato può legittimamente provvedere a tali scelte» (26). In secondo
luogo, dopo avere riconosciuto natura ancillare alla
disciplina dell’indebitamento rispetto ai princìpi
dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del
debito pubblico, rileva come i vincoli imposti alla
finanza pubblica, se hanno come primo destinatario
lo Stato, debbano coinvolgere tutti i soggetti istituzionali che concorrono alla formazione del «bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche»,
in relazione al quale deve essere verificato il rispetto degli impegni assunti sia in sede europea che sovranazionale (27).
È, invece, incostituzionale la disposizione della
legge n. 243 (c. 5 dell’art. 10) secondo cui i criteri
e le modalità per l’indebitamento di Regioni ed en-
ti locali devono essere definiti con d.P.C.M. previa
intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (28). In proposito,
i giudici costituzionali rilevano che il rinvio alla
fonte secondaria può dirsi conforme a Costituzione
soltanto se ad essa si demanda per la disciplina di
aspetti meramente «tecnici», ragione per cui la
norma della legge di attuazione è incostituzionale
nella parte in cui non prevede che i criteri e le
modalità per l’attuazione abbiano esclusivamente
natura «tecnica» (29). In altre parole, con la disposizione de qua il legislatore non ha istituto un
potere limitato all’adozione di misure tecniche,
bensì un potere regolamentare completo, in grado
di esaurire ogni possibile margine di scelta degli
enti territoriali (30).
La Corte dichiara inammissibili le doglianze
proposte nei confronti dei c. 2 e 3 dell’art. 9 della
legge rinforzata, in quanto le ragioni delle censure
della Regione Friuli e della Provincia autonoma risultano prive dell’indicazione dei parametri costituzionali ritenuti violati e insufficientemente motivate. In proposito, non si può fare a meno di cogliere un certo “disappunto” da parte della Corte
riguardo alla superficialità e inadeguatezza delle
motivazioni contenute nei ricorsi introduttivi del
giudizio, soprattutto alla luce di un principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale (e nella sentenza in esame nuovamente ribadito), secondo cui il ricorso in via principale non soltanto deve «identificare esattamente la questione nei suoi
termini normativi», attraverso l’indicazione delle
norme costituzionali e ordinarie, della definizione
del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità
costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve altresì «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della
richiesta declaratoria di incostituzionalità della
legge», ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa «in termini
(26) Corte cost. 29 dicembre 2004, n. 425, punto 6 del Considerato in diritto
(27) Corte cost. 10 aprile 2014, n. 88, punto 7.1 e 7.2 del
Considerato in diritto, in cui si richiamano i principi espressi
nella sentenza n. 40 del 2014. La soluzione adottata dalla Corte è criticata da L. Grimaldi, La Corte accoglie solo parzialmente
alcune istanze regionaliste, ma conferma, nella sostanza, la disciplina di attuazione del principio di equilibrio dei bilanci pubblici (note a margine della sentenza Corte cost. n. 88/2014, cit.,
11.
(28) Secondo le ricorrenti, il rinvio ad una fonte secondaria
nell’ambito di una competenza assegnata alla potestà legislativa regionale avrebbe violato l’art. 117, c. 6, Cost. e l’art. 5, c. 2
lett. b), della legge costituzionale n. 1 del 2012, che rinvia alla
legge la disciplina dell’indebitamento.
(29) Corte cost. 10 aprile 2014, n. 88, punto 8.1 del Considerato in diritto. La Corte non ritiene invece fondata la censura
delle ricorrenti relativamente alla violazione del principio di leale collaborazione. L’intesa con la Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica è infatti una garanzia
procedimentale di per sé sufficiente del coinvolgimento delle
autonomie e non è quindi necessario, come richiesto invece
dalle ricorrenti, la previsione di un’intesa con la Conferenza
unificata.
(30) Sul punto, cfr. G. Boggero, Gli obblighi di Regioni ed
enti locali dopo la legge n. 243/2012, in Amministrare, 2014, 1,
107 ss.
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1073
Giurisprudenza
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Finanza e contabilità pubblica
perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in
quelli incidentali» (31).
Infine, in merito alle doglianze relative alle disposizioni circa il concorso delle Regioni e degli
enti locali alla sostenibilità del debito pubblico, il
Giudice delle leggi dichiara violato il principio di
leale collaborazione nell’art. 12, c. 3, della legge n.
243 del 2012, laddove stabilisce che, nelle fasi favorevoli del ciclo economico, un d.P.C.M. determini il contributo di Regioni e di enti locali al
Fondo di ammortamento per i titoli di Stato, sentita la Conferenza per il coordinamento della finanza
pubblica (32). Nel ragionamento della Corte,
«considerate l’entità del sacrificio imposto e la delicatezza del compito cui la Conferenza è chiamata», l’adozione del decreto dovrebbe fare seguito ad
un’intesa e non essere meramente successiva all’ottenimento di un parere non vincolante. A dover
essere coinvolta è poi la Conferenza unificata (33)
e non, come stabilito dalla norma, la Conferenza
per il coordinamento della finanza pubblica; quest’ultima, infatti, è un organo soltanto parzialmente
rappresentativo delle autonomie territoriali, tenuto
conto che in essa non siedono tutti i rappresentati
delle Regioni, mentre in questo caso occorre «garantire a tutti gli enti territoriali la possibilità di
collaborare alla fase decisionale» (34).
In proposito, parte della dottrina aveva già rilevato che per l’adozione del decreto in questione era
necessaria una previa intesa con la Conferenza unificata, in considerazione del fatto che l’imposizione di
oneri finanziari agli enti locali e alle Regioni incide
direttamente sulla loro autonomia finanziaria (35).
Con la sentenza annotata la Corte costituzionale
riafferma principi giurisprudenziali oramai consolidati.
In primo luogo ribadisce che la disciplina dell’indebitamento delle autonomie territoriali deve
essere ricondotta al coordinamento della finanza
pubblica.
In secondo luogo, ricorda che anche gli enti ad
autonomia differenziata sono soggetti ai vincoli legislativi derivanti dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica (36). Infatti,
quando sostiene che i vincoli imposti ai conti pubblici coinvolgono tutti i soggetti istituzionali che
rientrano nel c.d. «bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche», la Consulta ricorre indirettamente al proprio costante orientamento secondo cui la finanza delle Regioni a statuto speciale è parte della «finanza pubblica allargata», nei
cui riguardi lo Stato conserva poteri di disciplina
generale e di coordinamento, nell’esercizio dei quali può chiamare pure le autonomie speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica (connessi anche ai vincoli
europei).
In questa prospettiva, nel contemperamento tra
esigenze unitarie e istanze autonomistiche, i giudici
costituzionali confermano la prevalenza delle prime
sulle seconde.
Inoltre, è senza dubbio interessante, anche per le
future decisioni della Corte stessa, il passaggio della sentenza in cui, come accennato, alla legge n.
243 del 2012 si attribuisce la natura comunque di
legge ordinaria nonostante la particolare maggioranza parlamentare richiesta per la sua adozione.
Con riferimento alla disciplina degli enti territoriali, all’indomani dell’approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2012, parte della dottrina parlava di «sensibile riduzione» (37) delle autonomie
regionali e locali; altri autori, invece, analizzando
gli sviluppi più significativi della recente giurisprudenza costituzionale sull’autonomia finanziaria regionale, evidenziano come la normativa sull’inde-
(31) Corte cost. 10 aprile 2014, n. 88, punto 9 del Considerato in diritto.
(32) La Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica, disciplinata dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68
(“Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni
a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione
dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”), è un
organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra
comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato. È composta, tra l’altro, da sei presidenti o assessori di regione, quattro sindaci e due presidenti di provincia, designati rispettivamente dalla conferenza delle regioni e delle province autonome, dall’Associazione nazionale dei comuni d’Italia (Anci) e
dall’Unione province d’Italia (Upi).
(33) La disciplina normativa della Conferenza unificata è
contenuta nel decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (“Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e
dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali”). Della Conferenza in parola fanno parte, tra gli altri, il presidente dell'Associazione nazionale dell’Anci, il presidente dell'Upi ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità
ed enti montani (Uncem). Ne fanno parte, inoltre, quattordici
sindaci designati dall'Anci e sei presidenti di provincia designati dall'UPI.
(34) Corte cost. 10 aprile 2014, n. 88, punto 10.3 del Considerato in diritto.
(35) È la tesi di G. Boggero, Gli obblighi di Regioni ed enti locali dopo la legge n. 243/2012, cit., 123 ss.
(36) Cfr., ex plurimis, Corte cost. 22 luglio 2011, n. 229, 23
febbraio 2012, n. 30 e, da ultimo, 2 aprile 2014, n. 72.
(37) È l’opinione di M. Cecchetti, Legge costituzionale n. 1
Brevi considerazioni conclusive
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Finanza e contabilità pubblica
bitamento stabilita dalla legge di attuazione del
principio del pareggio di bilancio abbia avvicinato
lo status delle Regione speciali a quello delle Regioni ordinarie (38).
In conclusione, tenuto conto di quanto sostenuto nella sentenza n. 88/2014, è lecito attendersi
per il futuro una giurisprudenza costituzionale che,
nel perseguimento di un obiettivo di interesse generale, richiami il necessario concorso anche degli
enti autonomi territoriali (comprese le autonomie
speciali) al risanamento della finanza pubblica e
salvi le scelte di politica economica nazionale,
adottate per far fronte alla eccezionale emergenza
finanziaria che il Paese sta attraversando.
del 2012 e Titolo V della Parte II della Costituzione: profili di contro-riforma dell’autonomia regionale e locale, in Federalismi.it,
n. 24/2012, secondo cui l’intervento del 2012 è frutto di un approccio politico-culturale opposto al rafforzamento dell’autonomia degli enti sub-statali determinato dalla riforma costituzionale del 2001. Secondo F. Covino, La fiscalità di vantaggio
degli enti territoriali tra l’art. 81 della Costituzione e federalismo fiscale, in Quaderni costituzionali, 2012, 3, 625, le recenti
riforme sollevano attualmente un interrogativo sul modello
autonomistico cui si vuole giungere, ponendo in dubbio la
configurazione stessa della forma di Stato.
(38) Cfr. G.G. Carboni, Lo stato regionale al tempo del rigore
finanziario, in Rivista AIC, n. 2/2014, spec. 17 ss. e M.G. Putaturo Donati, Competenza legislativa concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica e vincoli alle politiche di
bilancio anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale: ultime pronunce in tema della Corte costituzionale e prospettive di
riforma, in www.giustamm.it, 24 luglio 2014. La stessa logica
della prevalenza della normativa statale sull’indebitamento si
applica ai Comuni delle autonomie speciali, in luogo della disciplina statutaria dettata nella materia finanza locale.
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Responsabilità della p.a.
Diritto europeo della concorrenza
La responsabilità civile della
pubblica amministrazione per
violazione diretta del diritto
europeo della concorrenza
Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1508 - Pres. Scola - Est. De Michele - C. s.r.l. c.
Ccia Vicenza
È pacifico che - pur venendo meno l'interesse attuale all'annullamento degli atti originariamente impugnati
(divenuti inefficaci per abrogazione della legge, in applicazione della quale erano stati emessi) - permanga l'interesse residuale di natura risarcitoria.
Circa la prova della colpevolezza nell’azione risarcitoria deve essere accertato se la posizione assunta dall'amministrazione sia qualificabile, sostanzialmente, come "colpa grave", ovvero non scusabile, trattandosi di valutare non la legittimità dei dinieghi di autorizzazione, ai fini del relativo annullamento, ma la responsabilità
dell'amministrazione per gravi vizi procedurali o inescusabili errori di apprezzamento, di cui l'appellante deve
fornire adeguato principio di prova, sia per quanto attiene alle modalità di avvenuta applicazione della norma
nazionale sia per l’omessa disapplicazione della stessa.
Anche nella configurazione della responsabilità civile della pubblica amministrazione in termini non perfettamente coincidenti con quelli di cui all'art. 2043, c.c. - ovvero nell'ottica della cosiddetta "responsabilità da contatto" - non è comunque configurabile un onere probatorio invertito, riconducibile all'art. 1218, c.c.: disposizione, quest'ultima, da cui emerge con chiarezza la non sovrapponibilità dell'interesse legittimo al diritto soggettivo, consentendo il primo di esigere il mero rispetto delle norme, nonché di corretti parametri procedurali, e solo il secondo d'imporre ad altri una specifica condotta, satisfattiva dell'esigenza prospettata.
I profili di responsabilità per colpa dell'amministrazione, elaborati dalla giurisprudenza italiana dopo le due sentenze della Cassazione civile a sezioni unite n. 500 e n. 501 del 1999, trovano sostanziale rispondenza nel diritto
comunitario. Si pongono per l'interprete, di volta in volta, delicati problemi di coordinamento, con particolare riguardo alle materie di competenza concorrente fra Stati membri e UE, essendo rimessa ai primi la qualificazione delle situazioni soggettive protette, ma fermo restando il principio secondo cui il grado di tutela non può essere inferiore a quello assicurato ad altre situazioni soggettive di rilievo comunitario (principio di equivalenza).
Appare comunque arduo ritenere che le amministrazioni possano autonomamente disapplicare la disciplina
nazionale, dettata per regolare le competenze autorizzative alle stesse demandate, senza l'interposizione di
norme statali incorporanti quelle comunitarie. Non è in ogni caso ravvisabile quella "grave e manifesta" violazione delle norme comunitarie, che consentirebbe di ravvisare la colpa - fonte di danno risarcibile - dell'amministrazione chiamata in giudizio.
IL COMMENTO
di Livia Lorenzoni
La sentenza ripercorre le principali linee evolutive della giurisprudenza italiana ed europea in materia di
responsabilità civile dell’amministrazione, ponendo in luce alcune criticità inerenti al rapporto tra l’obbligo
di disapplicazione di norme interne contrastanti con il diritto europeo della concorrenza e la valutazione
dell’elemento soggettivo nei giudizi risarcitori contro la pubblica amministrazione. La pronuncia mette in
dubbio l’immediata cogenza delle regole e dei princìpi del Trattato in materia di concorrenza e condiziona
il risarcimento alla prova da parte del danneggiato dell’esistenza di gravi vizi procedurali o inescusabili errori di apprezzamento nel diniego di disapplicazione opposto dall’amministrazione.
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Giurisprudenza
Responsabilità della p.a.
L’oggetto della controversia e la decisione
del Consiglio di Stato
La sentenza del Consiglio di Stato affronta una
serie di questioni connesse alla responsabilità civile
della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi pretensivi scaturenti dalla violazione
diretta di norme europee in materia di concorrenza, soffermandosi in particolare sull’elemento soggettivo della colpa.
La decisione trae origine dalla controversia relativa ad un diniego di autorizzazione da parte della
Camera di commercio, industria ed artigianato di
Vicenza (Ccia) per l’attivazione di un impianto
produttivo di pane. Il rigetto dell’istanza si fondava
su una disposizione di legge del 1956 che subordinava l’autorizzazione all’apertura di nuovi panifici
alla valutazione discrezionale della Ccia, previo parere di una commissione tecnica, circa l’opportunità del nuovo impianto in relazione alla densità dei
panifici esistenti e del volume locale della produzione (1). La domanda di parte, avanzata nel marzo
2005, conteneva un’espressa richiesta di disapplicazione da parte dell’amministrazione della suddetta
norma per contrasto con la normativa comunitaria
in materia di concorrenza e mercato. Nondimeno
l’autorizzazione veniva negata e, dopo un provvedimento giurisdizionale di sospensione del diniego,
nuovamente negata.
Il ricorrente impugnava i provvedimenti opponendo profili di illegittimità sia relativi all’errata
valutazione discrezionale dell’ambito territoriale di
contingentamento, sia all’omessa disapplicazione
della norma in contrasto con il diritto comunitario
della concorrenza.
Nelle more del giudizio entrava in vigore cosiddetto “decreto Bersani” (2) che all’art. 4 abrogava
espressamente la ricordata legge del 1956, sottopo(1) Art. 2, legge n. 1002 del 1956, Nuove norme sulla panificazione, in G.U. 10 settembre 1956, n. 228.
(2) Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in
materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.” (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, legge 4 agosto 2006,
n. 248), con commento di M. D’Alberti, Misure urgenti a tutela
della concorrenza e dei consumatori nel decreto legge
223/2006, in questa rivista 2006, 11, 1173.
(3) Tar Veneto, Venezia, Sez. III, 22 maggio 2007, n. 1583.
(4) Secondo l’insegnamento della Consulta, la tutela risarcitoria costituisce «uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a
quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per
rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione», Corte Cost. 6 luglio 2004, n. 204, punto 3.4.1. Tale ricostruzione è stata confermata dal legislatore con l’art. 34
c. 3 del d.lgs. 3 luglio 2010 n.104 (codice del processo amministrativo) «Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del
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nendo l’attività di panificazione al regime liberalizzato della dichiarazione di inizio attività (Dia, ora
Scia). Per effetto della modifica legislativa, l’istanza non era più soggetta al potere discrezionale di
contingentamento, potendo l’operatore attivare
l’esercizio sulla sola presentazione della Dia. La
sentenza di primo grado dichiarava quindi improcedibili i due ricorsi di annullamento, essendo stato conseguito il bene della vita e cessato l’interesse
alla tutela demolitoria (3).
L’improcedibilità dell’azione di annullamento
non esauriva tuttavia la pretesa risarcitoria del ricorrente ritualmente avanzata nello stesso contesto, che, respinta in primo grado, era riproposta in
appello (4).
Dopo aver riconosciuto, in via generale, la sussistenza di un danno subìto dal ricorrente in conseguenza del ritardato avvio dell’attività di panificazione ed il nesso causale tra questo ed i dinieghi
dell’amministrazione, la sentenza passa ad esaminare i profili dell’antigiuridicità e dell’imputabilità
della condotta dell’amministrazione ai fini risarcitori.
Il Consiglio di Stato afferma, in sostanza, che i
princìpi europei di concorrenza non sono così
stringenti da imporre all’amministrazione la disapplicazione della norma sul contingentamento, ipotizzando semmai una potenziale violazione delle
norme del Trattato sulla libertà di stabilimento (5),
ovvero della c.d. “direttiva servizi” (6), violazione
che comunque non avrebbe costituito presupposto
sufficiente per affermare la responsabilità della
Ccia per mancata disapplicazione della norma in
vigore. Secondo il Collegio, la situazione di obiettiva incertezza circa il conflitto della legge italiana
con le norme del Trattato giustificava la condotta
dell’amministrazione, difettandone quindi l’antiprovvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente,
il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse
ai fini risarcitori». Per la dottrina anteriore al codice si veda G.
D. Comporti Pregiudizialità amministrativa: natura e limiti di una
figura a geometria variabile in Verso un’amministrazione responsabile, Milano 2005, 73-121; in senso contrario E. Follieri
Il modello di responsabilità per lesione di interessi legittimi nella
giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la responsabilità amministrativa di diritto pubblico, in Dir. proc. amm.,
2006, 1, 18
(5) In riferimento all’art. 49 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), ex art. 43 del Trattato che istituisce la
Comunità europea (Tce).
(6) Direttiva 2006/123/CE, del 12 dicembre 2006, relativa ai
servizi nel mercato interno. Sul divieto di misure che, pur non
fondate sulla nazionalità, possono avere l’effetto equivalente di
discriminazione a danno degli stranieri, si veda G. Tesauro, Diritto Comunitario, Padova 2005, 525.
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giuridicità e l’elemento soggettivo della colpa, quali condizioni necessarie per il titolo risarcitorio distinte dalla violazione delle regole della discrezionalità a tutela dell’interesse pretensivo all’esercizio
d’impresa.
Se non si può negare che l’argomentazione della
sentenza sia ampia e articolata e ripercorra accuratamente gli sviluppi degli istituti inerenti alla responsabilità civile dell’amministrazione per violazione del diritto europeo, d’altro canto le conclusioni cui perviene il Collegio non paiono rispondere a pieno ai princìpi consolidati in materia di primato del diritto europeo della concorrenza sui diritti nazionali.
Il ricorrente, unitamente all’istanza per l’avvio
dell’esercizio commerciale, aveva presentato una
memoria con la quale chiedeva espressamente la
disapplicazione della legge del 1956 in quanto incompatibile con i princìpi e le norme europee in
materia di libera concorrenza ed in particolare con
gli artt. 10, 81 ed 82 dell’allora vigente Trattato
istitutivo della Comunità europea (ora artt. 4 c. 3
Tue e 101 e 102 Tfue. La Ccia escludeva che vi
fossero gli estremi per disapplicare la disposizione
citata e negava l’autorizzazione affermando che un
eccesso di produzione nell’area precludeva il rilascio di ulteriori licenze.
Per comprendere con maggiore puntualità la rilevanza della decisione in esame, può essere utile
soffermarsi brevemente sull’evoluzione dell’obbligo
di disapplicazione delle disposizioni interne incompatibili con norme europee che attribuiscono situazioni giuridiche soggettive ai privati, sancito per gli
organi giurisdizionali degli Stati membri dalla Cor-
te di giustizia della Comunità europea a partire dalla fine degli anni Settanta (7), per essere poi esteso
a tutti gli organi della pubblica amministrazione (8). L’obbligo in questione è stato imposto per
dare piena attuazione al primato del diritto dell’Unione europea sui diritti degli Stati membri enunciato per la prima volta nella sentenza Costa c.
Enel della Corte di giustizia del 1964 (9) ed ora pacificamente accolto e consolidato nell’ordinamento
italiano (nonostante le iniziali resistenze da parte
della Corte costituzionale (10)) laddove è imposto
come vincolo al legislatore ai sensi del nuovo testo
dell’art. 117, c. 1, Cost. come novellato nel 2001.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, dubita che vi fosse un contrasto diretto tra la
norma allora esistente che l’amministrazione rifiutava di disapplicare e il diritto europeo della concorrenza, intendendo quest’ultimo come insieme di
regole applicabili alle imprese per impedire intese
anticoncorrenziali. Il Collegio non esclude invece
una possibile violazione delle norme europee sulla
libertà di stabilimento e sulla libera circolazione
dei servizi, le quali impongono la soppressione delle misure nazionali che assoggettano l’accesso al
mercato a controlli pubblici ingiustificati, discriminatori o sproporzionati rispetto al fine pubblico
perseguito (11).
Se è senz’altro vero che la disciplina antitrust nasce per sanzionare la condotta anticoncorrenziale
degli operatori economici privati, la disciplina europea della concorrenza, oltre ad imporre divieti
puntuali alle imprese (12), contiene anche norme
recanti in via generale il principio di un’economia
di mercato aperta e in libera concorrenza (13) e
persegue talvolta anche finalità di integrazione del
mercato interno (14).
La Corte di giustizia ha inoltre chiarito che le
norme del Trattato sulla concorrenza attribuiscono
direttamente diritti ai cittadini degli Stati membri
(7) Corte di giustizia Ce, sentenza 9 marzo 1978 - Simmenthal - Causa 106/77.
(8) Corte di giustizia Ce, sentenza del 22 giugno 1989 - Fratelli Costanzo - Causa 103/88. In senso analogo Corte cost.,
sentenza 11 luglio 1989 n. 389. Sulla forza espansiva del diritto
comunitario e la sua incidenza sul diritto amministrativo nazionale si veda S. Cassese, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2002, 2-3, 291 e Id.
Diritto amministrativo europeo e diritto amministrativo nazionale:
signoria o integrazione? in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2004, 5,
1135.
(9) Corte di giustizia Ce, 15 luglio 1964, causa 6/64, Flaminio Costa c. l’E.N.E.L.
(10) Corte cost. 7 marzo 1964 n. 14; Corte cost. 30 ottobre
1975 n. 232; Corte cost. 8 giugno 1984 n. 170. Le sentenze
Corte cost. 24 ottobre 2007 nn. 349 e 348 hanno infine accolto
definitivamente il principio del primato del diritto europeo sulla
base dell’art. 117, c.1 come modificato dalla l. cost. n. 3/2001,
con il solo limite dell'intangibilità dei princìpi e diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione (controlimiti). Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale sui rapporti
tra ordinamento europeo e nazionale si vedano per tutti G.
Greco, I rapporti tra ordinamento comunitario, in Tratt. dir.
amm. eur., Parte generale, II, Milano 2007, 827 e S. Cassese,
Ordine giuridico europeo e ordine nazionale, in questa Rivista,
2010, 4, 419.
(11) Cfr. A. Negrelli, Economia di mercato e liberalizzazioni:
le (principali) ricadute sul sistema amministrativo italiano, in Riv.
it. dir. pubbl. comunit., 2013, 3-4, 679.
(12) Artt. 101 e 102 Tfue ex. artt. 81 e 82 Tce.
(13) Artt. 119 e 120 Tfue, ex artt. 4 e 98 del Tce.
(14) H. Schweitzer, The History, Interpretation and Underlying Principles of Sec. 2 Sherman Act and Art. 82 EC, Oxford,
Hart, 2008, 119-164.
L’obbligo per le pubbliche amministrazioni
di disapplicare gli atti interni in violazione
del diritto europeo della concorrenza
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che i giudici nazionali devono tutelare (15). In seguito, con la nota sentenza C.I.F. (16), la Corte di
giustizia ha specificato, che: «sebbene di per sé gli
artt. 81 CE e 82 CE riguardino esclusivamente la
condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri,
ciò non toglie che tali articoli, in combinato disposto con l’art. 10 CE, che instaura un dovere di collaborazione, obbligano gli Stati membri a non
adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei a
eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza
applicabili alle imprese» (17). È stato dunque sancito l’obbligo per l’autorità amministrativa nazionale di disapplicare le misure interne anticoncorrenziali, alla stregua dei princìpi di leale collaborazione tra Stati membri, del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali e del principio un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
In questo contesto, il principio di concorrenza
ha assunto una posizione di rilevanza centrale nella
disciplina economica internazionale ed europea,
tanto da essere definito in dottrina quale «parame-
tro di legittimità e appropriatezza di tutta la regolazione pubblica in materia economica» (18). La crescente influenza del diritto della concorrenza negli
ordinamenti statali ha indotto i legislatori nazionali ad una drastica riduzione degli interventi pubblici che alterano il funzionamento dei mercati, mediante forme di liberalizzazione amministrativa ed
economica, nell’ottica di «rivalutare il mercato come strumento per la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi» (19).
In tale prospettiva si è posta la giurisprudenza costituzionale italiana che ha fornito un’interpretazione evolutiva - dinamica della tutela della concorrenza (20), materia introdotta in Costituzione nel
2001 ed affidata alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato (21). In questa accezione la tutela della
concorrenza è intesa come «una delle leve della politica economica statale» (22) ed include, oltre alla
disciplina antitrust di repressione delle condotte illecite delle imprese operanti in mercati già competitivi, gli interventi pubblici di liberalizzazione e le
misure volte a ridurre gli squilibri ed a promuovere
condizioni di mercato concorrenziali (23).
(15) Si vedano le sentenze della Corte di giustizia Ce sentenza 30 gennaio 1974, causa 127/73, BRTI, punto 16; sentenza18 marzo 1997, causa C-285/95 P, Guérin automobiles/Commissione, punto 39; sentenza 20 settembre 2001, causa C453/99 Crehan/Courage.
(16) Corte di giustizia Ce, sez. riunite, sentenza 9 settembre
2003, causa C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) e
Autorità garante della concorrenza e del mercato, con commenti di S. Cassese; M. Libertini e G. Napolitano, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale in materia di concorrenza, in questa rivista 2003, 11, 1129. Per i precedenti giurisprudenziali si veda D. Durante, Concorrenza (diritto comunitario), voce in Enc. giur. vol. I agg., Milano, 1997, 364.
(17) Id., punto 45.
(18) Così M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercato e globalizzazione, Bologna 2008, 79. L’Autore aveva già definito il principio di concorrenza come «una sorta di timone della normazione economica statale e regionale», così M. D’Alberti, La tutela
della concorrenza in un sistema a più livelli, Dir. amm., 2004, 4,
705.
(19) G. Corso, Liberalizzazione amministrativa ed economica,
in Diz. di dir. pubbl. a cura di S. Cassese, Milano, 2006, 3496;
M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercato e globalizzazione, cit.,
106-107.
(20) Sulle diverse accezioni di «tutela della concorrenza»
adottate dalla Corte costituzionale dopo la riforma del titolo V
si veda: L. Ceraso, La recente giurisprudenza della corte costituzionale sulla «tutela della concorrenza» (art. 117, comma 2, lett.
e): linee di tendenza e problemi aperti, in Giur. cost., 4, 2005,
3448.
(21) Art. 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione
come modificato dalla Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione". Sul
rapporto tra articolo 41 e art. 117 Cost. in materia di tutela della concorrenza si veda per tutti: M. Libertini, La tutela della
concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., 2,
2005,1429
(22) «la tutela della concorrenza (…) non può essere intesa
soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regola-
zione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali», cfr. Corte cost., 18 dicembre 2003 - 13
gennaio 2004 n.14, punto 4. Tra i molteplici commenti alla sentenza si vedano: V. Onida, Applicazione flessibile e interpretazione correttiva del riparto di competenze in due sentenze “storiche”; A. A. Demmig, Istanze di unità e istanze autonomistiche
nel “secondo regionalismo”: le sentenze nn.303 del 2003 e 14
del 2004 della Corte costituzionale e il loro seguito; R. Bifulco,
La tutela della concorrenza tra parte I e II della Costituzione (in
margine alla sent. 14/2004 della Corte costituzionale, in Riflessioni sulle sentenze della Corte costituzionale 303 del 2003 e 14
del 2004, ricordando Carlo Mezzanotte, in Le Regioni n. 4-5,
2008, 771 e ss.
(23) La Corte costituzionale ha affermato in più occasioni
che «la liberalizzazione da intendersi come razionalizzazione
della regolazione, costituisce uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi per il
circuito economico. Una politica di “ri-regolazione” tende ad
aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permette
ad un maggior numero di operatori economici di competere,
valorizzando le proprie risorse e competenze. D’altra parte,
l’efficienza e la competitività del sistema economico risentono
della qualità della regolazione, la quale condiziona l’agire degli
operatori sul mercato: una regolazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusiva - cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti (sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009) - genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento
degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla
stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore
statale» sentenze n. 299 e n. 200 del 2012, citate da ultimo
dalla sentenza Corte cost. 7 maggio 2014 n. 125. Si veda sul
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Il primato del principio di concorrenza sulle discipline economiche di settore è peraltro un tema
largamente dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (24). Eccezioni a tale primato sono previste dall’articolo 106 del Tfue a favore dei servizi economici di pubblica utilità limitatamente a quanto
strettamente necessario a garantire l’adempimento
della specifica missione di interesse generale ad essi
affidata. In tale ambito ci si riferisce, come noto, a
mercati nei quali assumono rilevanza esigenze di
servizio universale tradizionalmente associate a
istanze derogatorie rispetto alle logiche di mercato (25).
L’attività d’impresa oggetto della pretesa del ricorrente nella sentenza in commento non presenta, tuttavia, quelle specificità che giustificano alla
stregua del diritto europeo interventi pubblici distorsivi delle dinamiche concorrenziali. La subordinazione dello svolgimento dell’attività di produzione del pane ad un provvedimento discrezionale
della pubblica autorità rientra nella categoria dogmatica dei procedimenti autorizzatori costitutivi
con funzione di programmazione (26) tipici di un
modello di Stato interventista (27), il cui declino è
stato segnato dall’incidenza del diritto europeo sul
nostro ordinamento (28). Nella prospettiva del diritto della concorrenza, l’autorizzazione amministrativa costituisce, infatti, una barriera normativa
all’ingresso suscettibile di rafforzare le posizioni degli operatori esistenti, sottraendoli al confronto
competitivo (29). L’esigenza di eliminare questo
ostacolo è stata accolta, nel caso di specie, dal legislatore che, con l’art. 4 del D.L. 223 del 2006, ha
abrogato espressamente il regime autorizzatorio discrezionale, recependo in suo luogo i princìpi europei «al fine di favorire la promozione di un assetto
maggiormente concorrenziale nel settore della panificazione ed assicurare una più ampia accessibilità dei consumatori ai relativi prodotti» (30).
Ciononostante, il Consiglio di Stato nella sentenza in esame considera “arduo” affermare che la
Ccia potesse autonomamente disapplicare la disciplina nazionale in vigore, in assenza dell’interposizione di norme statali incorporanti quelle comunitarie. Su tale base la sentenza esclude la colpevolezza e l’antigiuridicità del comportamento dell’amministrazione, poiché inserito in un contesto che
«vedeva sussistenti, a livello comunitario, princìpi
non ancora compiutamente recepiti nella legislazione nazionale» (31).
punto: V. Onida, Quando la Corte smentisce se stessa, in AIC
n.1, 2013.
(24) Si veda in proposito: M. D’Alberti e M. Tesauro (a cura
di), Regolazione e concorrenza, Bologna 2000; S. Cassese
Quattro paradossi sui rapporti tra poteri pubblici ed autonomie
private, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 2, 389; M. D’Alberti Poteri pubblici e autonomie private nel diritto dei mercati, in Riv.
trim. dir. pubbl., 2000, 2, 395; A. La Spina-G. Majone, Lo Stato
regolatore, Bologna 2000; M. De Benedetto, L’Autorità garante
della concorrenza e del mercato, Bologna, 2000, 300-325; M.
D’Alberti Libera concorrenza e diritto amministrativo in Riv. trim.
dir. pubbl. 2004, 2, 348; M. D’Alberti La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in Dir. amm., 2004, 4, 705; G. Napolitano Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna 2005;
M. D’Alberti, Concorrenza, in Diz. dir. pubbl., S. Cassese (a cura di), Milano 2006, 1140; F. Di Porto La regolazione “geneticamente modificata”; c’è del nuovo in tema di rapporti tra regolazione e concorrenza, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2006, 6,
947; S. Cassese, La nuova Costituzione economica, Roma - Bari, 2007; M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercato e globalizzazione,
cit.; M. D’Alberti, Competition Law and Regulatory Reform,
London, 2008, 273; G. Monti, Managing the Intersection of Utilities Regulation and EC Competition Law in The Competition
Law Rev. 2008, 2, 123-145; P. Ibáñez Colomo On the Application of Competition Law as Regulation: Elements for a Theory,
Yearbook of European Law 2010, 261; P.L. Parcu, The surprising convergence of antitrust and regulation in Europe, EUI
Working Papers RSCAS 2011, 35; F. Trimarchi Banfi Il “principio di concorrenza”: proprietà e fondamento, in Dir. amm.,
2013, 1-2, 15.
(25) Sul tema la dottrina è vastissima. Si vedano, senza fini
di esaustività, N. Rangone, I servizi pubblici, Bologna 1999; D.
Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in
Dir. pubbl., 1999, 371; G. Napolitano Servizi pubblici e rapporti
di utenza, Padova 2001; E. Scotti, Il pubblico servizio tra tradizione nazionale e prospettive europee, Padova 2003; V. Cerulli Irelli,
Impresa pubblica, fini sociali, servizi di interesse generale, in Riv.
it. di dir. pubbl. comunit., 2006, 5, 747; F. CintioIi, Integrazione e
sovrapposizione tra regolazione e antitrust. Il caso dei servizi di
interesse economico generale, in www.giustamm.it, 2009; D.
Gallo, I servizi di interesse economico generale. Stato, mercato e
welfare nel diritto dell'Unione europea, Milano, 2010
(26) Cfr. M.S. Giannini Diritto Amministrativo, Milano 1970
Vol. II, 1097-1100. L’Autore, prendendo le mosse dalle ripartizioni concettuali elaborate nelle opere di Ranelletti, evidenzia
la funzione dei provvedimenti autorizzatori non come composizione di interessi, bensì di subordinazione della realizzazione di
interessi privati ad interessi pubblici. Per un’interessante ricostruzione della giurisprudenza più risalente sulle richieste risarcitorie in materia di autorizzazioni ad esercizi commerciali si
veda G.G. Stendardi e C. Montella, Le licenze di commercio
nella giurisprudenza, Padova 1974.
(27) Sull’interpretazione costituzionale dell’intervento pubblico nell’economia nell’ordinamento italiano, si veda A. Baldassarre, Iniziativa economica privata, voce in Enc. dir. XXI, Milano 1971, 582
(28) Si veda sul punto G. Majone, G., From the Positive to
the Regulatory State: Causes and Consequences of Changes in
the Mode of Governance in Journal of Public Policy, n. 17, 2,
1997, 139-167. Sul fenomeno dell’attenuazione del potere discrezionale delle autorità pubbliche in materia di accesso degli
operatori economici ai mercati dovuta all’influenza sul diritto
nazionale del diritto europeo e internazionale si veda M. D’Alberti, Poteri pubblici mercati e globalizzazione, Bologna 2008,
99-105.
(29) Questo tipo di regolazione amministrativa è stata definita in dottrina “di tipo lato sensu corporativo, e quindi anticoncorrenziale.” Così M. Libertini, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale in materia di concorrenza, cit.
(30) Art. 4, c.1, decreto legge 4 luglio 2006, n. 223
(31) Così si esprime la sentenza in commento, alla lett. N)
della decisione.
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Nella decisione in esame il Consiglio di Stato
ha negato il risarcimento sostenendo che il danneggiato non avesse adeguatamente provato la colpa grave dell’amministrazione, colpa che la pronuncia identifica con la non scusabilità della condotta. La sentenza, pur dando atto delle evoluzioni
giurisprudenziali italiane ed europee in materia di
colpa ed onere della prova, ne fornisce un’interpretazione restrittiva, limitando la possibilità per il
privato di ottenere il risarcimento.
La sentenza ripercorre l’ampia problematica dell’elemento soggettivo nella responsabilità civile
della pubblica amministrazione a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite civili n. 500 e n. 501 del
1999 (32) che hanno riconosciuto la risarcibilità
degli interessi legittimi nell’ordinamento italiano,
già da lungo tempo dibattuta in dottrina (33), riconducendola al modello di responsabilità aquiliana delineato dall’art. 2043 c.c., fatte salve alcune
peculiarità che caratterizzano la responsabilità civile dell’organo pubblico rispetto a quella dei soggetti privati.
Le storiche pronunce del 1999 hanno escluso l’ipotesi, dominante fino ad allora in giurisprudenza,
della colpa in re ipsa nell’illegittimità dell’atto (34),
affermando al contempo che i criteri di imputazione rispetto all’amministrazione appartato andassero
provati in giudizio in relazione alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione quali
limiti esterni all’attività amministrativa discrezionale (35).
In merito, è di interesse osservare come la dottrina abbia evidenziato fin dagli anni Sessanta la non
coincidenza sia tra le nozioni di atto illegittimo e
fatto illecito, sia tra discrezionalità e colpa, ponendo in luce le difficoltà di adattare i princìpi prettamente civilistici sull’illecito aquiliano alla condotta dell’amministrazione (36). Le posizioni dottrinarie successive alle sentenze del 1999 sull’elemento
della colpa dell’amministrazione intesa come apparato sono state definite “molteplici e discrepanti” (37). Oltretutto, l’attribuzione alla giurisdizione
amministrativa delle controversie sul risarcimento (38) ha introdotto in un giudizio tradizional-
(32) Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500 e n.501. La
dottrina di commento alle sentenze è vastissima. Si vedano,
senza pretesa di completezza: R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, in Foro it., 1999, 11, 3201
- 3212; F. Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all'affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti, in Foro it., 1999, 11, 3212 - 3221; A. Romano,
Sono risarcibili; ma perché devono essere interessi legittimi?, in
Foro it., 1999, 11, 3222 - 3225; E. Scoditti, L'interesse legittimo
e il constituzionalismo, in Foro it., 1999, 11, 3226 - 3240 ; A. Orsi Battaglini, C. Marzuoli, La Cassazione sul risarcimento del
danno arrecato dalla pubblica amministrazione: trasfigurazione e
morte dell'interesse legittimo, in Dir. pubbl. 1999, 487; V. Carbone, La Cassazione apre una breccia nella irrisarcibilità degli interessi legittimi, in Corr. giur., 1999, 9, 1061; A. Di Majo, Il risarcimento degli interessi “non più solo legittimi”, in Corr. giur.,
1999, 11, 1376; V. Mariconda, “Si fa questione d’un diritto civile…”, in Corr. giur., 1999, 11, 1381; C. Castronovo, L’interesse
legittimo varca la frontiera della responsabilità civile, in Eur. dir.
priv., 1999, 1268.
(33) M. S. Giannini, Intervento in Atti del convegno nazionale sull’ammissibilità del risarcimento del danno patrimoniale
derivante da lesione di interessi legittimi (Napoli, 27-28-29 ottobre 1963), Centro italiano di studi amministrativi sezione
campana, Milano 1965, ora in Scritti, Vol. V 1963-1969, Milano
2004 , 384-393. Per la ricostruzione del dibattito dottrinario degli ani precedenti la svolta del 1999 sul tema si veda E. Follieri
Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, Chieti
1985. Sull’ammissibilità nel nostro ordinamento della responsabilità civile della P.A. si veda F. Satta, voce Responsabilità
della pubblica amministrazione, in Enc. dir., XXXIX, Milano,
1988, 1378.
(34) Si vedano, tra le molte, Cass. civ., sez. un., 22 ottobre
1984, n. 5361 e Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n. 6542.
(35) Essendo i parametri adottati dalle Sezioni Unite del
1999 per verificare l’elemento soggettivo dell’illecito della pubblica amministrazione parzialmente coincidenti a quelli per valutare i vizi di legittimità, la giurisprudenza si era in un primo
momento chiesta, per poi escludere tale ipotesi, se la colpa
dell’amministrazione apparato costituisse “una mera specificazione (aggravata) dei vizi del provvedimento”. Cons. Stato,
sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239.
(36) Cfr. M.S. Giannini, La responsabilità precontrattuale dell’Amministrativa pubblica, estratto da Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, Vol. III, Milano 1963 ora in Scritti, Vol. V
1963-1969, Milano 2004, 154-185. Secondo lo stesso Autore :
«per sostenere (…) che il provvedimento amministrativo lesivo
di diritti sia in ogni caso un fatto illecito civile, occorrerebbe
mostrare che in diritto amministrativo vige una concezione
dell’illecito civile diversa da quella che è accolta dal diritto privato; ma nei diritti positivi che conoscono un diritto amministrativo non vi è la menoma traccia di ciò», M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Milano 1970, Vol. II, 640.
(37) Così L. Garofalo, La responsabilità dell’amministrazione:
per l'autonomia degli schemi ricostruttivi, in Dir. amm., 2005, 1.
Sulla difficoltà di utilizzare il criterio della colpa dell’apparato
legata al problema di “«oggettivare» un requisito che, per sua
natura, non può che essere riferito all’uomo” si veda F. Fracchia Colpa dell’amministrazione e «autoprotezione» da parte del
privato-vittima, in Verso un’amministrazione responsabile, Milano 2005, 153.
(38) Art. 35, decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, poi
È pur vero che il recepimento specifico del principio comunitario di concorrenza per l’attività di
panificazione è avvenuto solo con il decreto legge
n. 223 del 4 luglio 2006, tuttavia l’espressa richiesta di disapplicazione, avanzata dal ricorrente nel
2005, era appositamente rivolta ad ottenere l’applicazione prioritaria del diritto europeo rispetto a
quello interno all’epoca vigente secondo i sopra citati princìpi elaborati dalla Corte di giustizia.
La responsabilità civile della p.a. per
violazione diretta del diritto europeo e
l’elemento soggettivo della colpa
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mente improntato al sindacato di legittimità (39)
la distinta valutazione dei criteri di imputazione
dell’illecito ex. art. 2043 c.c., norma che peraltro
presuppone l’assenza di un previo rapporto tra il
danneggiato ed il danneggiante (40).
La pronuncia n. 1508/2014 ricostruisce i recenti
approdi della giurisprudenza amministrativa italiana che hanno qualificato la responsabilità della
pubblica amministrazione come responsabilità sui
generis, ascrivibile alla nozione di responsabilità da
“contatto sociale”,nella quale emergono profili della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento di obbligazioni ex. 1218
c.c. (41). A tal proposito, la sentenza dà conto dell’emersione, superato il limite della tutela mera-
mente demolitoria a fronte dell’esercizio del potere
discrezionale della pubblica amministrazione, di un
interesse pretensivo legato all’instaurazione di un
rapporto procedimentale con l’amministrazione «al
cosiddetto “giusto procedimento”, che richiede
competenza ed efficacia, quali ragionevoli parametri dell’azione amministrativa» (42), meritevole di
tutela autonomamente dalla valutazione sulla spettanza del bene della vita (43).
Il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento fa altresì riferimento all’approccio, ad oggi
maggioritario nella giurisprudenza amministrativa,
che, pur continuando a qualificare la responsabilità
della pubblica amministrazione come responsabilità
extracontrattuale, introduce un temperamento del-
modificato dall’art. 7, legge 21 luglio 2000, n. 205, ora art. 7
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
(39) Per una critica nei confronti della giurisprudenza amministrativa che si limitava a valutare la legittimità del provvedimento senza valutare in concreto la lesione della posizione
giuridica sostanziale del cittadino, si veda F. Satta, Giustizia
amministrativa, Padova 1997, 149-159.
(40) Sulla giurisprudenza successiva alla sentenza n. 500
del 1999 si vedano L. Torchia, La responsabilità, in Tratt. dir.
amm., Parte generale, II, Milano 2000, 1481-1482; A. Travi, Tutela risarcitoria e Giudice Amministrativo, in Dir. amm., 2001, 1,
7; C. Pasquinelli, Gli orientamenti delle corti dopo la sentenza n.
500/1999 delle sezioni unite, in Resp. civ. e prev. 2003, 1, 21; L.
Montesano, I giudizi sulle responsabilità per danni e sulle illegittimità della pubblica amministrazione (dopo la sentenza delle sezioni unite della cassazione n. 500 del 22 luglio 1999), in Dir.
proc. amm., 2001, 3, 583; M. Protto, La responsabilità della
P.A. per lesione di interessi legittimi come responsabilità da contatto amministrativo, in Resp. civ. e prev., 2001, 1, 213; F. Fracchia, L’elemento soggettivo nella responsabilità dell’amministrazione, in Dir. pubbl., 2008, 2, 445.
(41) In tal senso Cons. Stato, sez. V, 6 agosto 2001, n.
4239; Id. sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; Id. sez. V 2 settembre 2005 n. 4461. Nell’impostazione tradizionale, pur ammettendosi che l’amministrazione fosse titolare di obbligazioni,
tanto derivanti dalle fonti di diritto comune, quanto da un’attribuzione normativa pubblica o da un atto amministrativo, si riteneva che «a fronte dei doveri istituzionali posti a carico dell’Amministrazione nell’interesse della collettività il privato può
avere al più un interesse legittimo all’annullamento degli atti in
cui si esplica l’abusivo operato dell’Amministrazione.», cfr. M.
Bianca Diritto civile, parte IV, Milano 1993, 17. La tesi della responsabilità da contatto prende le mosse dagli orientamenti
dottrinali civilistici che hanno ipotizzato l’applicabilità, nell’ambito della relazione tra cittadino e p.a., della categoria delle
“obbligazioni senza obbligo primario di prestazione”, espressione coniata per qualificare quelle situazioni nelle quali sorge
un affidamento fondato su un rapporto tra soggetti (nella specie, il procedimento amministrativo) che, ancorché privo di
prestazione, costituisce fonte di obblighi di conservazione della sfera giuridica altrui. Si veda sul punto: C. Castronovo, L'obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, Le
ragioni del diritto, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, I, Milano
1995, 147. La nozione di responsabilità da “contatto sociale” è
stata adottata per la prima volta dalla Cassazione in una pronuncia di poco precedente alle sentenze delle Sezioni Unite n.
500 e 501 del 1999, con la quale si è fondata la responsabilità
professionale di un medico dipendente dal servizio sanitario
sull’obbligazione senza prestazione derivante dal rapporto con
il paziente quale fonte atipica delle obbligazioni ex. art. 1173
c.c.: si veda Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1999 n. 589, con
commento di A. Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corr. giur. 1999, 4, 441-451.
(42) In questi termini si esprime la sentenza in commento,
alla lett. H) della motivazione.
(43) Si veda in tal senso Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2003,
n. 157. Fin dagli anni Sessanta, la dottrina aveva evidenziato la
rilevanza degli strumenti di protezione non solo processuale
ma anche procedimentale (e quindi sostanziale) dell’interesse
protetto ed aveva assimilato la responsabilità dell’amministrazione per violazione di interessi pretensivi alla responsabilità
precontrattuale per violazione dei doveri di buona fede e correttezza, si veda in tal senso M. S. Giannini, Intervento in Atti
del convegno nazionale sull’ammissibilità del risarcimento del
danno patrimoniale derivante da lesione di interessi legittimi,
cit., 384-393. Alla “responsabilità relativa” della Pubblica amministrazione quando questa agisce nell’ambito di un rapporto
precostituito ha fatto riferimento F. Benevenuti, in Appunti di
diritto amministrativo, Padova 1987, 281. Per la dottrina più recente sulla responsabilità “da rapporto” si vedano, tra i molti,
C. Castronovo, Responsabilità civile per la pubblica amministrazione, Jus, 1998, 647; M. Protto, La responsabilità della p.a. per
lesione di interessi legittimi come responsabilità da contatto amministrativo, in Resp. civ. e prev., 2001, 1, 213; M. Renna, Obblighi procedimentali e responsabilità dell'amministrazione, in
Dir. amm. 2005, 3, 557; A. Zito La natura della responsabilità
per i danni derivanti dalla lesione degli interessi legittimi: il dibattito in corso e qualche considerazione critica, in Verso un’amministrazione responsabile, Milano 2005, 351-386; V. Antonelli,
Contratto e rapporto nell'agire amministrativo, Padova 2008; C.
Castronovo, Ritorno all'obbligazione senza prestazione, in Europa e dir. priv., 2009, 3, pag. 679; G. Poli, Potere pubblico, rapporto amministrativo e responsabilità della P.A. L’interesse legittimo ritrovato, Torino 2012, 74-86; C. Castronovo, La «civilizzazione» della pubblica amministrazione, in Europa e dir. priv.,
2013, 3, 637; V. Carbone Obbligazioni ex lege e responsabilità
da inadempimento, in Corr. giur., 2014, 2, 165; in senso contrario alla riconduzione della responsabilità della pubblica amministrazione alla nozione di responsabilità da contatto G. Falcon, La responsabilità dell'amministrazione e il potere amministrativo, in Dir. proc. amm., 2009, 2, 241; R. Chieppa, Viaggio
di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell'esercizio dell'attività amministrativa, in Dir. proc.
amm., 2003, 3, 683; F. Cortese, Dal danno da provvedimento illegittimo al risarcimento degli interessi legittimi? la “nuova” responsabilità della p.a. al vaglio del giudice amministrativo, in
Dir. proc. amm., 2012, 3, 968.
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Responsabilità della p.a.
l’onere della prova incombente sul danneggiato
nell’azione aquiliana, consentendo al privato di invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa dell’amministrazione, la
quale a sua volta può liberarsi dimostrando l’errore
scusabile (44).
Nel caso concreto la sentenza sembra però subordinare a criteri più stringenti la responsabilità
dell’amministrazione, identificando la non scusabilità dell’errore con la “colpa grave”, contrariamente alla cospicua giurisprudenza amministrativa che
ritiene sufficiente la colpa lieve, non essendo presente nell’art. 2043 c.c. alcuna indicazione circa
l’intensità della colpa (45).
Quanto all’onere probatorio, la sentenza ne
esclude una completa inversione alla stregua dell’art. 1218 c.c. (46), per evitare un’inammissibile
sovrapposizione tra l’interesse legittimo al rispetto
delle norme e dei parametri procedurali ed il diritto soggettivo all’esatto adempimento di un’obbligazione dell’amministrazione (47). La pronuncia impone quindi al ricorrente l’allegazione «quanto meno di un principio di prova» sulla responsabilità
dell’amministrazione secondo i princìpi generalmente applicabili al processo amministrativo. La
decisione conclude poi che, seppure le deduzioni
dell’appellante potessero dimostrare l’illegittimità
della condotta dell’amministrazione per violazione
del diritto comunitario, la dimensione della colpa
«per gravi vizi procedurali o inescusabili errori di
apprezzamento» non sarebbe stata sufficientemente
provata dal danneggiato ai fini risarcitori. L’onere
probatorio addossato al ricorrente appare quindi
piuttosto gravoso, dovendo egli dimostrare l’inescusabilità degli errori di apprezzamento dell’amministrazione.
La sentenza in commento si interroga poi sulla
compatibilità dei princìpi adottati in tema di responsabilità per colpa della pubblica amministrazione con il diritto comunitario. La pronuncia ripercorre la giurisprudenza della Corte di giustizia
che, fin dalla sentenza Francovich del 1991, ha affermato la risarcibilità degli interessi lesi da violazioni del diritto comunitario, vietando che le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle diverse
legislazioni nazionali possano configurarsi in modo
meno favorevole di quelle disposte per analoghi reclami interni o che rendano eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (48). L’ambito della risarcibilità è stato successivamente esteso dalla Corte di giustizia a qualsiasi violazione del diritto europeo che attribuisca diritti ai singoli, indipendentemente dall’organo dello Stato responsabile della
trasgressione (49), purché la violazione risulti “grave e manifesta” sulla base di una pluralità di indici
rivelatori, tra i quali l’ampiezza della discrezionalità
dell’organo nazionale responsabile rispetto alle norme europee violate, la volontarietà della condotta
e la scusabilità dell’errore (50). La Corte di Lussemburgo ha inoltre precisato che il diritto interno
(44) Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 2007, n. 1307; id. sez. V,
18 novembre 2010, n. 8091; Id. sez. V, 8 aprile 2014, n. 1644.
(45) Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981; Id. V, 2
febbraio 2010, n. 1038; Id. sez. III, 4 settembre 2013, n. 4408;
Id. sez IV, 18 novembre 2013, n. 5458.
(46) L’inversione dell’onere della prova nelle azioni per il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è stato
affermato in via definitiva dalla sentenza Cass. civ., sez. un.,
30 ottobre 2001, n. 13533.
(47) Le storiche sentenze delle Sezioni Unite del 1999 hanno, peraltro, avuto il pregio di riaccendere il dibattito sulla nozione di interesse legittimo, definito dalle Sezioni Unite quale
“posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione
ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri
idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da
rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene”, secondo la nozione elaborata da M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna 1976, 108. Si veda in merito: A. Romano, Sono risarcibili; ma perché devono essere interessi legittimi? cit., 3222.
A. Orsi Battaglini, C. Marzuoli, La Cassazione sul risarcimento
del danno arrecato dalla pubblica amministrazione: trasfigurazione e morte dell'interesse legittimo, cit., 487; A. Di Majo, Il risarcimento degli interessi “non più solo legittimi”, cit., 1376; C. Castronovo, L’interesse legittimo varca la frontiera della responsabilità civile, cit., 1268. Tra i contributi più recenti, si vedano S.
Civitarese Matteucci, Funzione, potere amministrativo e discrezionalità in un ordinamento liberal-democratico, in Dir. pubbl.
2009, 3, 739; L. Ferrara, L’interesse legittimo alla riprova della
responsabilità partimoniale, in Dir. pubbl. 2010, 3, 637; G. Rossi, I principi di diritto amministrativo, Torino 2010, 420; F. G.
Scoca Attualità dell'interesse legittimo?, in Dir. proc. amm.
2011, 2, 379; G. Poli, L’interesse legittimo (di diritto amministrativo) nel prisma del diritto privato, in Dir. pubbl. 2012, 1; A. Travi, Introduzione a un colloquio sull'interesse legittimo, in Dir.
amm., 2013, 1-2.
(48) Corte di giustizia Ce, 19 novembre 1991 cause riunite
C-6/90 e C-9/90, Francovich, punto 43. Sulla reazione degli
Stati membri alla giurisprudenza europea sulla responsabilità
dello Stato per violazione del diritto comunitario, si vedano J.
Tallberg, Supranational influence in EU enforcement: the ECJ
and the principle of state liability, Journal of European Public
Policy, 2000, 7, 104-121; M-P Granger, National applications of
Francovich and the construction of a European administrative
jus commune' 32 European Law Rev., 2007, 157; K. M. Scherr
Comparative aspects of the application of the principle of State
liability for judicial breaches ERA Forum 2012, 12, 565–588
(49) Corte di giustizia Ce , 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur SA ex parte: Factortame Ltd e altri, Cause riunite C46/93 e C-48/93, punto 32.
(50) Id. punto 56. Sull’evoluzione dei criteri per affermare la
responsabilità dello Stato per violazione del diritto europeo, si
vedano T. Tridimas, Liability for Breach of Community Law: Growing Up and Mellowing Down?, in CMLR 2001, 38, 301; G.
Anagnostaras, The Principle of State Liability for Judicial Breaches: The Impact of EC Law, in European Public Law, 2001, 7,
281; P. Craig, European administrative law, Oxford, 2006 , 815828; B. Beutler, State liability for breaches of Community law by
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Responsabilità della p.a.
non può condizionare il risarcimento a criteri eccedenti la nozione oggettiva di “violazione grave e
manifesta” (51) ed ha sanzionato uno Stato membro il cui diritto interno subordinava la risarcibilità
delle violazioni del diritto europeo alla prova del
requisito soggettivo del dolo o della colpa (52).
La sentenza in esame rileva una sostanziale rispondenza al diritto comunitario delle posizioni
della prevalente giurisprudenza italiana che individua la colpa della pubblica amministrazione attraverso criteri analoghi a quelli per valutare la violazione grave e manifesta del diritto europeo. Il Consiglio di Stato ritiene circoscritta alla disciplina degli appalti pubblici la portata applicativa di un ultimo arresto della Corte di giustizia che ha esteso il
divieto di condizionare la tutela risarcitoria all’elemento soggettivo anche qualora il diritto interno
preveda una presunzione di colpa ed oneri l’amministrazione della dimostrazione della scusabilità
della condotta (53). La decisione in commento, affermandone l’irrilevanza negli altri campi dell’attività amministrativa, si pone in linea di continuità
con due sentenze del Consiglio di Stato del 2012
che hanno ritenuto tale pronuncia della Corte di
giustizia fondata sul peculiare sistema rimediale e
sull’estremo dettaglio della normativa europea sugli
appalti pubblici (54).
Per valutare tale presa di posizione sul punto,
sembra utile ricordare che le Sezioni Unite nel
1999 hanno impiegato, tra gli argomenti volti a dimostrare l’evoluzione dell’ordinamento verso il superamento del dogma dell’irrisarcibilità del danno
da attività discrezionale della pubblica amministrazione, proprio l’esistenza dell’azione risarcitoria
nella disciplina europea sugli appalti pubblici. Le
celebri sentenze del 1999 hanno affermato che attribuendo alla suddetta previsione valore ultrasettoriale si sarebbe conformato l’ordinamento interno a quello comunitario (il cui primato è ormai incontroverso), evitando disparità di trattamento
nell’ambito della generale figura dell’interesse legittimo (55).
La pronuncia in commento riafferma inoltre il
principio secondo il quale la responsabilità dell’ente pubblico di risarcire i danni provocati ai singoli
dall’adozione di provvedimenti contrari al diritto
comunitario può sorgere in aggiunta a quella dello
Stato membro che non abbia dato attuazione nell’ordinamento interno al diritto europeo (56). A
tal proposito, sembra utile segnalare che, seppure
la responsabilità dello Stato - legislatore in Italia
sia stata inizialmente ricondotta alla categoria dell’illecito civile di tipo aquiliano, analogamente a
quella della pubblica amministrazione (57), la responsabilità dello Stato per omessa, tardiva o inesatta trasposizione delle direttive comunitarie è stata di recente ascritta dalle Sezioni Unite della Cassazione alla responsabilità ex. art. 1218 c.c. per
inadempimento di un’obbligazione ex lege avente
natura indennitaria, svincolata dai presupposti del
dolo o della colpa (58) ed assoggettata al termine
decennale di prescrizione (59).
national courts: Is the requirement of a manifest infringement of
the applicable law an insurmountable obstacle?, in CMLR, 3,
46, 2009, 773–804; M. Breuer, State Liability for judicial wrongs
and Community law: the case of Gerhard Köbler v Austria, in
European law Rev. 2004, 29, 243.
(51) Corte di giustizia Ce 5 marzo 1996, cit. punti 78 e 79.
(52) Corte di giustizia Ce, 14 ottobre 2004, causa C-275/03
e 10 gennaio 2008, causa C-70/06, Commissione/Portogallo.
(53) Corte di giustizia Ce, sez. III; 30 settembre 2010, Stadt
Graz, C-314/09.
(54) Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, nn. 482 e 483
con commento di R. Caranta, Diritto Uee diritto nazionale: il caso dell'elemento soggettivo della responsabilità, in questa Rivista, 2012, 10, 969.
(55) Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500 e n. 501. Sulle situazioni giuridiche soggettive nell’ordinamento europeo si
veda E. Picozza, Le situazioni giuridiche soggettive, in Tratt. dir.
amm. eur., 905.
(56) Corte di giustizia Ce, 4 luglio 2000, Causa C-424/97,
Haim, punto 32
(57) Come affermato in dottrina: «La responsabilità dello
Stato per violazione del diritto comunitario da parte del legislatore (…) può essere inquadrata con i dovuti adattamenti nella
medesima fattispecie di illecito configurabile in capo alle pub-
bliche Amministrazioni nella nostra tradizionale esperienza: al
momento in cui si afferma e si consolida il principio, fondamentale nella configurazione stessa dello Stato di diritto, che i
poteri pubblici (a qualsiasi livello essi operino) nel loro concreto agire sono soggetti alla legge, e la violazione della legge
mediante atti od omissioni, in quanto produca danni in capo a
soggetti terzi (cui la stessa legge avesse attribuito situazioni
protette di vantaggio), dà luogo ad una obbligazione risarcitoria circa il danno prodotto secondo le regole del diritto comune.». In tal senso V. Cerulli Irelli, Trasformazioni del sistema di
tutela giurisdizionale nelle controversie di diritto pubblico per effetto della giurisprudenza europea, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, 2, 472; M. Clarich, La responsabilità nel sistema comunitario, in Tratt. dir. amm. europeo, Parte generale, II, Milano
2007, 589; M. P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano
2004, 537.
(58) Sul dibattito circa la necessità dell’elemento soggettivo
della colpa nella responsabilità da inadempimento si veda F.
Piraino, Sulla natura non colposa della responsabilità contrattuale, in Europa e dir. priv., 2011, 4, 1019.
(59) Cfr. Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147, con
commento di A. Di Majo Contratto e torto nelle violazioni ad
opera dello Stato, in Corr. giur. 2009, 10, 1351; nello stesso
senso si veda Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1182
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Conclusioni
La pronuncia del CdS n. 1508 esclude una violazione grave e manifesta dell’ordinamento comunitario alla stregua di un’asserita non immediata co-
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Responsabilità della p.a.
genza delle norme europee sulla concorrenza in
mancanza di norme italiane di recepimento. In definitiva, il Consiglio di Stato ritiene che i princìpi
europei in materia di concorrenza costituirebbero
obblighi per il legislatore e non per l’amministrazione, la quale conserva il potere discrezionale attribuito dalla norma interna, finché questa non sia
abrogata da una disposizione di legge.
L’obbligo per l’amministrazione di disapplicare la
disciplina interna distorsiva della concorrenza risulta così depotenziato, in contrasto con il consolidato orientamento della Corte di giustizia europea,
definitivamente sancito con la sopra citata sentenza
C.I.F., peraltro confermato in altre sentenze dal
giudice amministrativo italiano (60) e più volte ribadito dall’Autorità garante della concorrenza e
del mercato nella sua attività consultiva e di segnalazione (61), con il conseguente rischio di minare
l’attività di tutela e promozione della concorrenza
e di rimozione degli ostacoli legali e amministrativi
al libero funzionamento dei mercati.
La tesi del Consiglio di Stato, inoltre, muove da
una definizione statica della concorrenza, intesa
come mera disciplina repressiva delle intese anticoncorrenziali tra imprese, da ritenersi ormai superata alla stregua della cospicua giurisprudenza costituzionale sulla cosiddetta nozione dinamica della
tutela della concorrenza che include misure di razionalizzazione della regolazione delle attività economiche finalizzate a consentire al maggior nume-
ro di operatori economici possibili di competere (62).
La decisione in commento riduce così la portata
di un principio europeo che, invero, risulta talmente strutturato nella sua evoluzione giurisprudenziale
da essere oggi idoneo a garantire direttamente la
posizione soggettiva dell’operatore con l’intervenuta liberalizzazione amministrativa dell’attività di
panificazione e che sembra dimostrare il fondamento della pretesa di disapplicazione della norma
di contingentamento avanzata diligentemente dal
ricorrente fin dall’origine.
La sentenza dà atto delle evoluzioni giurisprudenziali in materia di responsabilità civile della
pubblica amministrazione ed afferma di aderire alla
tesi che impone all’amministrazione la prova della
scusabilità dell’errore, tale da escludere negligenza
o imperizia nell’adozione dell’atto. Nel decidere sul
risarcimento, tuttavia, il Consiglio di Stato reintroduce il concetto di “colpa grave” ed onera il ricorrente di fornire la prova controfattuale, non solo
della spettanza del bene della vita secondo l’insegnamento delle Sezioni unite del 1999 (63), bensì
dell’esistenza di gravi vizi procedurali o inescusabili
errori di apprezzamento dell’amministrazione, restringendo l’ambito della tutela risarcitoria per violazioni del diritto comunitario da parte della pubblica amministrazione e disattendendo in parte le
indicazioni della Corte di giustizia tendenti ad ancorare a criteri oggettivi la responsabilità dei pubblici poteri.
(60) Si veda, tra le sentenze più note, Consiglio di Stato del
10 marzo 2006 n. 1271. Tra le più recenti si veda Tar Lazio Roma Sez. I, 7 febbraio 2014, n. 1525, punti 4 e ss., che ripercorre la giurisprudenza europea sull’obbligo per le amministrazioni di disapplicazione delle norme interne in violazione del diritto europeo di concorrenza.
(61) Tra le molte segnalazioni si veda Agcm, AS958 - Provincia di Rieti - Concessione di esercizio dell’impianto seggiovia biposto Monte Terminillo, Roma, 6 luglio 2012, reperibile
dal sito: http://www.agcm.it/segnalazioni/segnalazioni-e-pareri/open/C12563290035806C/6F778CEF37317C25C1257A3E003572B5.html. Sull’attività consultiva dell’Agcm in
rapporto con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea
si veda: A. Lalli, La valutazione della regolazione distorsiva del
mercato: profili amministrativi e giurisdizionali, in Dir. amm., 3,
2006, 635
(62) Si vedano tra le molte Corte cost. n. 247 e n. 152 del
2010, n. 167 del 2009, n. 299 e n. 200 del 2012, n.125 del
2014 cit.
(63) Le Sezioni Unite nel 1999 avevano subordinato la risarcibilità degli interessi pretensivi scaturenti dal diniego di un richiesto provvedimento (o di ingiustificato ritardo nella sua
adozione) ad un giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza e quindi sulla consistenza dell’affidamento del cittadino
circa il suo accoglimento. Cass. civ., sez. unite, 22 luglio 1999,
n. 500 e n. 501.
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Esecuzione delle pronunce della Cedu
Le pronunce della Corte
di Strasburgo e il giudizio
di ottemperanza
T.A.R. Catania, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 424 - Pres. Veneziano - Est. Messina - Li. Ca. c. Ministero dell'Economia
È inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso per l’ottemperanza delle pronunce della Corte europea
dei diritti dell’uomo, le quali non sono assimilabili ad un titolo esecutivo giudiziale suscettibile di esecuzione
forzata nei confronti dello Stato contraente condannato, poiché nessuna disposizione della Convenzione prevede meccanismi esecutivi diretti di tali provvedimenti. Esse creano reciproci vincoli obbligatori tra gli Stati
membri e non danno luogo ad obbligazioni di tipo privato nei confronti dei ricorrenti vittoriosi, ciò che urterebbe contro la lettera della Convenzione e i comuni principi di diritto internazionale riconosciuti dagli Stati
contraenti.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Non sono stati rinvenuti precedenti conformi.
Difforme
Non sono stati rinvenuti precedenti difformi.
(Omissis)
IL COMMENTO
di Alessandro Basilico
Il Tar di Catania ritiene inammissibile per difetto di giurisdizione un ricorso per l’ottemperanza di una pronuncia della Corte europea per i diritti dell’uomo, perché nessuna disposizione della Convenzione prevede meccanismi esecutivi diretti e perché le sentenze di Strasburgo creerebbero unicamente dei vincoli
tra gli Stati membri, senza far sorgere obbligazioni di tipo privato nei confronti dei ricorrenti vittoriosi. La
tesi appare riduttiva dello stato ormai avanzato dell'integrazione della CEDU nell'ordinamento interno e
non coglie le potenzialità offerte dal giudizio di ottemperanza.Si ritiene infatti che possa darsi un’interpretazione conforme alla CEDU del codice del processo amministrativo, ricomprendendo tra gli «altri provvedimenti» di cui all’art. 112, c. 1, lett. d), anche le pronunce della Corte europea, dalla quale possono derivare obblighi per l’amministrazione di cui il singolo ha interesse a domandare l’adempimento. Una simile
lettura, da un lato consente di rispettare il dovere degli Stati, sancito dall’art. 46 della CEDU, di conformarsi a tali pronunce; dall’altro risulta conforme alla storia del giudizio di ottemperanza, caratterizzata dal
rilievo preminente del principio di effettività della tutela.
L’obbligo degli Stati di conformarsi alle
pronunce della Corte europea dei diritti
dell’uomo
Il dovere degli Stati di conformarsi alle sentenze della Corte europea per i diritti dell'uomo è
senza dubbio «di centrale rilievo nel sistema eu-
1086
ropeo di tutela dei diritti fondamentali» perché,
come ha rilevato la Corte costituzionale, è innegabile che « la consistenza dell’obbligo primario
nascente dalla CEDU a carico degli Stati contraenti - riconoscere a ogni persona i diritti e le
libertà garantiti dalla Convenzione (art. 1) - venga a dipendere, in larga misura, dalle modalità di
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“composizione” delle singole violazioni accertate» (1).
L’importanza di questa considerazione non è
sminuita, anzi è avvalorata, dal fatto che tale dovere può spesso richiedere un'attività ulteriore rispetto alla mera esecuzione della singola pronuncia e
consistere nell'obbligo di rimuovere le cause della
lesione, di risarcire il danno per equivalente (solo
in via subordinata e se disposto dalla pronuncia) e
di prevenire nuove violazioni (2).
La situazione non cambia nel caso in cui le parti
abbiano raggiunto una composizione amichevole
della controversia (ammissibile in quanto «si fondi
sul rispetto dei diritti dell'uomo») e la Corte l'abbia recepita nella propria decisione con la quale
cancella la causa dal ruolo ai sensi dell'art. 39 della
CEDU: anche in quest’ipotesi sorge l’obbligo per
lo Stato di rispettare quanto pattuito (3).
Eppure, la Convenzione non prevede un vero e
proprio giudizio di esecuzione: l'art. 46 della CEDU
stabilisce che gli Stati contraenti «si impegnano a
conformarsi alle sentenze definitive della Corte
sulle controversie nelle quali sono parti» e affida il
compito di verificare che essi vi provvedano al Comitato dei Ministri, l'organo del Consiglio d'Europa composto dai Ministri degli esteri degli Stati
membri (o dai loro rappresentanti permanenti).
Un organo di natura politica, dunque, il quale,
laddove una parte contraente non adempia ai doveri derivanti dalla pronuncia, «può, dopo aver
messo in mora tale Parte e con una decisione adottata con voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio
in seno al Comitato, adire la Corte sulla questione
dell'adempimento degli obblighi assunti dalla Parte». Se constata la violazione, la Corte «rinvia il
caso al Comitato del Ministri affinché questo esamini le misure da adottare», le quali possono giungere, nei casi più gravi, sino alla sospensione del
diritto di rappresentanza nel Consiglio d'Europa
dello Stato inadempiente.
Il ricorso alla Corte non è quindi una reazione
automatica alla mancata esecuzione della sentenza,
ma è rimesso alla discrezionalità del Comitato dei
Ministri e subordinato al raggiungimento di un'elevata maggioranza. Gli stessi giudici di Strasburgo,
una volta ravvisata l’inottemperanza, non hanno
poteri esecutivi né sanzionatori, ma possono solamente rimettere la questione alla valutazione - inevitabilmente politica, data la composizione dell’organo - del Comitato dei Ministri.
Soprattutto, non risulta che il singolo possa rivolgersi - se non in via informale - al Comitato per
lamentare la mancata esecuzione della sentenza e
comunque non è stabilito alcun obbligo di dare riscontro alle sue richieste. Egli può solamente chiedere alla Corte di fornire chiarimenti sulla corretta
interpretazione da dare alle sue sentenze, nei termini e alle condizioni previsti dall'art. 79 delle
norme di procedura (4).
La tutela offerta dal sistema convenzionale pertanto può talvolta rivelarsi, sul piano pratico, incompleta o comunque inefficace e questo non solo
nel caso - nel quale l’esecuzione della pronuncia è
senza dubbio più complessa e comporta la scelta
tra una pluralità di soluzioni normative (5) - in cui
il legislatore statale è chiamato a modificare l’ordinamento interno per prevenire nuove violazioni,
(1) Corte cost., sentenza n. 113 del 2011.
(2) Nella giurisprudenza di Strasburgo si v., tra le tante, Corte EDU, sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, pt. 83;
Corte EDU, GC, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, pt. 147; Corte EDU, GC, sentenza 1 marzo 2006, Sejdovic
c. Italia, pt. 119. In letteratura si v. B. Randazzo, Le pronunce
della Corte europea dei diritti dell'uomo: effetti ed esecuzione
nell'ordinamento italiano, in N. Zanon (a cura di), Le Corti dell'integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, Napoli
2006, 300 e ss., nonché Id., Giustizia costituzionale sovranazionale, Milano 2012, 105 e ss.; P. Pirrone, Art. 46, in S. Bartole,
P. De Sena, V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritto dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, Padova 2012, 744 e ss.; si v. anche A.
Guazzarotti, A. Cossiri, L’efficacia in Italia delle sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo secondo la prassi più recente,
in www.forumcostituzionale.it; E. Lamarque, Gli effetti delle
sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corr. giur., 2010, 955 e ss.; nonché il volume La
Corte europea dei diritti umani e l’esecuzione delle sue sentenze, Napoli 2003, e in particolare gli scritti di G. Raimondi, L’obbligo degli Stati di conformarsi alle sentenze definitive della Corte Europea dei diritti umani negli affari nei quali essi sono parti:
l’art. 46, primo comma, della CEDU, 20 e ss.; V. Esposito, La libertà degli Stati nella scelta dei mezzi attuativi delle sentenze
della Corte Europea dei Diritti Umani, 50 e ss.; F. Crisafulli, Il
pagamento dell’“equa soddisfazione”, 79 e ss..
(3) Lo si evince, tra l’altro, dalla previsione del c. 4 secondo
cui «tale decisione è trasmessa al Comitato dei Ministri che
sorveglia l’esecuzione dei termini della composizione amichevole quali figurano nella decisione».
(4) Le Rules of the Court prevedono anche la possibilità di
domandare la revisione della sentenza (art. 80) e di chiedere la
correzione di errori materiali (art. 81).
(5) Si pensi al caso delle violazioni strutturali derivanti dal
sovraffollamento carcerario in Italia (accertato dalla Corte europea nella sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia):
chiamata a pronunciarsi sull’incostituzionalità dell’art. 147
cod. pen. nella parte in cui non prevede l’ipotesi di rinvio dell’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, la Corte costituzionale ha
dichiarato l’inammissibilità della questione in quanto «risulta la
pluralità di possibili configurazioni dello strumento normativo occorrente per impedire che si protragga» un simile trattamento
ed è quindi necessario assicurare il «rispetto della priorità di valutazione da parte del legislatore» (sent. n. 279 del 2013).
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ma anche quando la sentenza abbia disposto che al
ricorrente sia versata una somma di denaro a titolo
di «equa soddisfazione» ai sensi dell’art. 41 della
CEDU.
Una situazione apparentemente meno complicata, ma spesso di grande importanza per il singolo,
perché non si deve dimenticare che l’«equa soddisfazione» è accordata dalla Corte europea in quanto
il diritto interno non permetta di rimuovere le
conseguenze della violazione (6).
Nel suo complesso, quindi, il sistema convenzionale risulta caratterizzato da una lacuna nella tutela effettiva e concreta dei diritti del singolo e il rimedio, anche in virtù del principio di sussidiarietà
ricavabile dagli artt. 1 e 35 della CEDU, non può
che essere cercato nell'ordinamento interno (7).
L’obbligo nell’ordinamento italiano.
L’ipotesi di ricorrere al giudizio per
l’ottemperanza per ottenerne
l’adempimento
Nel caso dell'Italia, l'obbligo di conformarsi alle
pronunce della Corte di Strasburgo discende dalla
legge n. 848 del 1955 di ratifica ed esecuzione della
Convenzione che, nel darvi «piena ed intera esecuzione», traspone nel diritto italiano anche l'impegno preso dallo Stato ai sensi dell'art. 46 della CEDU (8).
Come ha rilevato la Corte costituzionale, tale
dovere grava su tutti i poteri dello Stato, «ciascuno
nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni» (9).
(6) Corte EDU, sentenza 13 luglio 2000, Scozzari c. Italia, pt.
250.
(7) In tal senso anche V. Starace, L’inadeguatezza della vigente disciplina convenzionale relativa all’esecuzione delle sentenze e l’opportunità di adeguamenti, in La Corte europea dei
diritti umani, 126 e ss..
(8) Per quanto riguarda «i pagamenti di somme di denaro
conseguenti alle pronunce di condanna della Corte europea
dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello Stato italiano»
la richiesta deve essere presentata al Ministero dell’economia
e delle finanze, cui compete il versamento di queste somme ai
sensi dell’art. 1, c. 1225, della legge n. 296 del 1996 (Legge finanziaria 2007). Sul punto si v. anche V. Esposito, La libertà
degli Stati, 51.
(9) Corte cost., sentenza n. 210 del 2013. La Corte faceva
riferimento alle pronunce dei giudici di Strasburgo che accertano una «violazione strutturale» e ammoniva circa la necessità
di «adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della CEDU cessino», ma non vi è ragione che impedisca di applicare questo
principio, a maggior ragione, all'esecuzione di tutte le pronunce della Corte europea che accertino una violazione (anche
non «strutturale») della Convenzione.
(10) Art. 95 Cost..
(11) Art. 5, c. 3, lett. a-bis) della legge n. 400 del 1988. Il
comma precisa che il Presidente del Consiglio svolge questa
funzione «direttamente o conferendone delega ad un ministro»
e aggiunge che il suo corretto esercizio può essere fonte di re-
1088
Per quanto riguarda gli obblighi che sorgono in
capo alla pubblica amministrazione, la legge n. 400
del 1988 assegna al Presidente del Consiglio dei
ministri - l'organo che, nel sistema costituzionale
«mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei
ministri» (10) - il compito di promuovere «gli
adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti
dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano» (11). Le richieste di pagamento di «somme di
denaro conseguenti alle pronunce di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate nei
confronti dello Stato italiano», in particolare, devono essere presentate al Ministero dell’economia
e delle finanze. (12)
Trattandosi di obblighi, derivanti da una sentenza definitiva, che gravano sull'amministrazione,
sorge spontaneo il quesito circa l'applicabilità del
giudizio per l'ottemperanza di cui agli artt. 112 e
ss. c.p.a., nel caso in cui quest'ultima non vi adempia. (13)
Proprio questo problema è stato affrontato dalla
sentenza n. 424 del 6 febbraio 2014, emessa dal
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia,
sezione distaccata di Catania. (14)
Nel caso di specie, all’inerzia dell’amministrazione di conformarsi al giudicato della Corte europea, (15) il singolo aveva reagito presentando un
ricorso per l’ottemperanza, che il Tar aveva tuttavia giudicato inammissibile per difetto di giurisdizione. Secondo i giudici catanesi, infatti, «le decisponsabilità dinanzi alle Camere, disponendo che venga presentata al Parlamento una relazione annuale sullo stato di esecuzione delle pronunce della Corte di Strasburgo. È significativo, del resto, che la norma appena citata sia stata inserita nella
legge sull'attività di governo dalla legge n. 12 del 2006, che
detta Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della
Corte europea dei diritti dell'uomo.
(12) Art. 1, c. 1225, della legge n. 296 del 1996 (Legge finanziaria 2007).
(13) In senso favorevole, quantomeno per le sentenze che
accordano un’equa soddisfazione alla parte lesa, si v. il contributo di G. Spadea, L’esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in Italia, relazione italiana all’incontro annuale dell’AGATIF del 2008, disponibile al sito www.agatif.org, il quale argomenta sulla base dell’obbligo di conformarsi alle pronunce della Corte di Strasburgo sancito dall’art. 46
della CEDU.
(14) Contro la sentenza non risulta che sia stata proposta
alcuna impugnazione.
(15) Più precisamente, si trattava della decisione sul ricorso
n. 53239/10 emessa il 16 ottobre 2012 dalla seconda sezione
della Corte europea con la quale era stato recepito l’accordo
amichevole raggiunto con lo Stato italiano nel caso Perrella e
a. c. Italia. Davanti alla Corte di Strasburgo il ricorrente lamentava la violazione degli art. 6, par. 1, e 13 della CEDU per violazione della durata ragionevole del processo.
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Giurisprudenza
Giurisdizione e competenza
sioni della Corte europea non sono assimilabili ad
un titolo esecutivo giudiziale suscettibile di esecuzione forzata nei confronti dello Stato contraente
condannato dalla Corte».
La sentenza non appare del tutto convincente,
perché risulta riduttiva dello stato ormai avanzato
dell'integrazione della CEDU nell'ordinamento interno e non pare cogliere le potenzialità che offre
il giudizio di ottemperanza, tanto per la sua storia,
quanto in virtù di un’interpretazione conforme alla
CEDU delle norme che lo regolano.
Al fine di valutare le argomentazioni del giudice
siciliano appare opportuno premettere alcuni brevi
cenni sul giudizio di ottemperanza (16).
È noto come questo mezzo fosse in origine ammesso per ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’amministrazione di conformarsi «al giudicato dei
Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un
diritto civile o politico» (17).
Solo in seguito il rimedio venne esteso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato alle proprie pronunce, sulla base dell’argomento che «se l’amministrazione, di fronte al giudicato amministrativo,
siasi mantenuta in atteggiamento negativo, poiché
la perdurante omissione dell’amministrazione sempre importa lesione d’un legittimo interesse del privato, riconosciuto e dichiarato dal giudicato, bene
è a ritenersi in tal caso ammissibile il ricorso del
privato all’autorità giurisdizionale» (18).
Una tesi che, prima di venire recepita dal legislatore (19), aveva ricevuto l'avallo della Corte di cassazione, la quale aveva enunciato un «principio
che, per la sua evidenza e per la sua spontanea germinazione dall'essenza stessa dell'ordinamento giu-
ridico, non ha bisogno di essere espressamente formulato nella legge scritta», quello secondo cui «il
processo deve dare praticamente a chi ha un diritto
(e non v'è ragione per non estendere questo canone fondamentale all'interesse legittimo) tutto quello che egli ha diritto di conseguire» (20). Ne consegue che l'affermazione dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere e del connesso interesse del
privato «rischierebbero di rimanere, quantomeno
in taluni casi, meramente platoniche se non fosse
possibile al giudice amministrativo di sostituirsi all'eventuale inerzia dell'Amministrazione» (21).
Ciò che ha consentito ai giudici di estendere
l'ambito di applicazione del giudizio di ottemperanza - pur nel silenzio della «legge scritta» - fu, quindi, la consapevolezza che, in mancanza, il sistema
delle garanzie giurisdizionali sarebbe stato «incompleto e lacunoso» (22).
Lo stesso principio di effettività ha poi condotto
la giurisprudenza, confortata dalla scienza giuridica,
a superare la lettera della norma, ricorrendo a questo istituto ogni volta in cui fosse necessario assicurare «l’adempimento da parte della pubblica amministrazione degli obblighi nascenti da qualsiasi giudicato, per tale intendendosi ogni pronuncia, emanata da un organo imparziale a seguito di un procedimento contenzioso, che risolva un conflitto di
interessi alla stregua di norme giuridiche, con effetti preclusivi: sia nel senso che è irrevocabile, sia
nel senso che, salva la revocazione, fa stato tra le
parti» (23) e quindi fosse praticabile «per l’attuazione delle statuizioni di “qualsiasi giurisdizione,
anche speciale”» (24).
Esso, per esempio, è stato considerato esperibile
con riferimento alle decisioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche (25) e, da un orientamento rimasto minoritario, a quelle rese su ricorso
straordinario al Capo dello Stato. (26)
(16) Su tale giudizio si v., in letteratura, tra i tanti R. Arib,
M. Di Lullo, Giudizio di ottemperanza, in M. Sanino (a cura di),
Codice del processo amministrativo, Torino 2011, 445 e ss.; E.
Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2010, 930 e
ss.; M. Clarich, L’esecuzione, in A. Sandulli (a cura di), Diritto
processuale amministrativo, Milano 2007, 318 e ss.; A. Travi,
Esecuzione della sentenza, in S. Cassese (a cura di), Dizionario
di diritto pubblico, Milano 2006, 2263 e ss., nonché Id., Lezioni
di giustizia amministrativa, Torino 2006, 330 e ss.; L. Mazzarolli,
G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna 2005, 668 e ss.; C. Adamo, Giudizio di ottemperanze delle sentenze non passate in giudicato, in www.giustizia-amministrativa.it; A.M. Sandulli, Consistenza ed estensione dell’obbligo delle autorità amministrative
di conformarsi ai giudicati, ora in Scritti giuridici, V, Napoli
1990, 467 e ss..
(17) Si v. l’art. 4 della legge n. 5992 del 1889, istitutiva della
quarta sezione del Consiglio di Stato, il cui contenuto è stato
poi trasposto nell’art. 27 del r.d. n. 1054 del 1924 (T.U. Consiglio di Stato).
(18) Cons. Stato, sez. IV, decisione n. 181 del 1928, ora in
G. Pasquini, A. Sandulli, Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Milano 2001, 131 e ss., con nota di R. Dipace. Si v. anche
Cons. Stato, sez. V, decisione n. 176 del 1931 e Cons. Stato,
Ad. plen., decisione n. 10 del 1969.
(19) Con l'art. 37 della legge n. 1034 del 1971.
(20) Cass. civ., sez. un., sent. n. 2157 del 1953.
(21) Ivi.
(22) Si v. la già citata nota di R. Dipace, 136.
(23) Cons. Stato, Ad. plen., decisione n. 43 del 1980.
(24) Cons. Stato, sez. VI, sentenze. n. 3383 del 2010 e n.
4183 del 2002; Cons. Stato, sez. IV, sentenze n. 2825 e n.
2670 del 2005, n. 3031 del 2003, n. 6083 del 2000.
(25) Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 740 del 1990.
(26) L’ammissibilità del rimedio dell’ottemperanza per le
decisioni pronunciate in sede di ricorso straordinario al Capo
L’effettività della tutela quale principio
ispiratore del giudizio per l’ottemperanza
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1089
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Il codice del processo amministrativo ha ridisciplinato questo mezzo di tutela, consentendo di avvalersene per conseguire l’attuazione - oltre che
delle pronunce del giudice amministrativo (passate in giudicato o comunque esecutive), delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti equiparati del giudice ordinario, dei lodi arbitrali - anche «delle sentenze passate in giudicato
e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i
quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza» (27).
Con questa disposizione il legislatore ha recepito quanto elaborato dalla giurisprudenza, ammettendo su questi presupposti il ricorso al giudizio di ottemperanza per conseguire l’attuazione
delle sentenze «di quei giudici speciali per i quali
non sia previsto il rimedio dell’esecuzione davanti ad essi» (28), ricomprendendovi per esempio,
secondo l’orientamento largamente prevalente
nella scienza giuridica e ora accolto anche in giurisprudenza, l'esecuzione del decreto del Presidente della Repubblica sul ricorso straordinario (29).
Nel caso affrontato dal Tar di Catania, il ricorso
per l’ottemperanza è stato presentato per ottenere
l’esecuzione di una pronuncia della Corte europea
dei diritti dell’uomo.
Il ricorrente aveva raggiunto con il Governo italiano una composizione amichevole della causa
(promossa per denunciare la violazione della ragionevole durata di un processo interno) ma, pur
avendo inviato le richieste e i documenti necessari,
non aveva ricevuto dal Ministero dell'economia e
delle finanze il pagamento dovuto.
Egli aveva quindi presentato ricorso per l'ottemperanza, sostenendo che le pronunce della Corte di
Strasburgo fossero riconducibili tra gli «altri provvedimenti» previsti dall'art. 112, c. 2, lett. d),
c.p.a. (30).
La domanda è stata tuttavia dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione dal collegio catanese, secondo cui nessuna autorità giudiziaria nazionale sarebbe competente ad assicurare l'esecuzione delle decisioni della Corte europea, che non
sono assimilabili a un titolo esecutivo «poiché nessuna disposizione della Convenzione prevede meccanismi esecutivi diretti di tali provvedimenti».
Più in generale, secondo il Tar, le sentenze di
Strasburgo «creano reciproci vincoli obbligatori tra
gli Stati membri e non danno luogo ad obbligazioni di tipo privato nei confronti dei ricorrenti vittoriosi, ciò che urterebbe contro la lettera della Convenzione e i comuni principi di diritto internazionale».
La sentenza indica quindi i due mezzi di cui i
privati potrebbero avvalersi per sollecitare l'esecuzione delle decisioni della CEDU: presentare un'istanza informale direttamente al Comitato dei Ministri oppure richiedere alla Corte europea l'interpretazione della propria pronuncia.
Tuttavia, nessuno di questi rimedi è realmente
satisfattivo: il primo, come si è visto, non assicura
una risposta da parte del Comitato dei Ministri né
consente di accedere a una tutela nei confronti
dell'inerzia di quest'ultimo; il secondo evidentemente non conduce all'esecuzione della sentenza,
all'ottenimento della somma dovuta, ma solo a un
chiarimento delle sue statuizioni.
dello Stato, negata per decenni sulla base della presunta natura amministrativa di questo procedimento (Cass., sez. un.,
sentenza n. 3141 del 1953), era stata poi affermata dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n.
6843 del 2000; Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 5934 del 2001)
dopo la sentenza della sentenza Garofalo della Corte di giustizia (sentenza 16 ottobre 1996, C-69/96). In seguito, però, la
Corte di cassazione aveva ribadita la natura amministrativa del
ricorso straordinario, escludendo così l’esperibilità del rimedio
dell’ottemperanza (Cass., sez. un., sentenza n. 15978 del
2001), e la tesi era stata accolta anche dal Consiglio di Stato
(Cons. Stato, sez. V, sent. n. 5036 del 2006; Cons. Stato, sez.
IV, sent. n. 3463 del 2009). Il diverso orientamento, ormai minoritario, è stato comunque riproposto dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana in diverse occasioni, con riferimento all’analogo procedimento del ricorso straordinario al Presidente della Regione (Cgars, sentt. n. 695 del
2005 e n. 880 del 2009).
(27) Art. 112, c. 2, lett. d), c.p.a..
(28) Relazione al codice, p. 49, disponibile sul sito www.giu-
stizia-amministrativa.it.
(29) La giurisprudenza ritiene infatti che, a seguito della
nuova disciplina prevista dal codice del processo amministrativo, la decisione sul ricorso straordinario sia configurabile come
provvedimento che, «pur non essendo formalmente giurisdizionale, è suscettibile di tutela mediante il giudizio di ottemperanza»: si v. Cass. civ., sez. un., sentenze n. 2065 e n. 14838 del
2011; Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 4024 del 2014; Cons.
Stato, sez. VI, sentenza n. 636 del 2013. Nella scienza giuridica
si v. M. Tariciotti, Art. 112, in R. Garofoli, G. Ferrari (a cura di),
Codice del processo amministrativo, Roma 2010, 1507 e ss.; V.
Lopilato, Art. 112, in A. Quaranta, V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo, Milano 2011, 887; D. Giannini, Il nuovo
giudizio di ottemperanza dopo il Codice del processo, Milano
2011, 113 e ss..
(30) La competenza del Tar di Catania veniva affermata in
base al criterio della produzione degli effetti (sul quale si v., tra
le tante, Cons. Stato, Ad. plen., sentenza n. 33 del 2012), perché nella circoscrizione di questo giudice risiedeva la persona
nei cui confronti si doveva eseguire il versamento.
La non condivisibile decisione
d’inammissibilità del Tar di Catania
1090
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Giurisdizione e competenza
L’ammissibilità del giudizio per
l’ottemperanza in virtù di
un’interpretazione conforme alla CEDU
delle norme che lo regolano
La conclusione cui giunge la sentenza e il percorso argomentativo seguito non appaiono persuasivi, non fosse altro perché viene del tutto trascurata la questione principale.
Il Tar, infatti, nel fondare la decisione d'inammissibilità sulla considerazione che il sistema convenzionale non prevede meccanismi esecutivi diretti delle pronunce della Corte europea, omette di
chiedersi, anche in virtù del richiamato principio
di sussidiarietà, se nell'ordinamento interno vi siano
istituti cui ricorrere a tal fine e, in particolare, se le
norme che regolano il giudizio di ottemperanza, interpretate in conformità alla stessa CEDU, consentono di esperire questo rimedio.
Nel subordinare l'esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, infatti,
l'art. 117, c. 1, Cost. impedisce di relegare gli effetti delle pronunce della Corte europea sul piano dei
diritto internazionale pubblico perché, come ha affermato da tempo la Corte costituzionale, «tra gli
obblighi internazionali assunti dall'Italia con la
sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello
di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte
specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione» (31), con la conseguenza
che le disposizioni convenzionali sono «norme interposte» la cui violazione comporta il contrasto
con la norma costituzionale (32).
Da ciò discende, com'è noto, «l'obbligo di saggiare un'interpretazione conforme a Costituzione e
alla CEDU» delle norme di legge (33), tentativo
che risulta vano solamente «a fronte di una disposizione chiara e inequivocabile» (34).
Nello specifico caso del processo amministrativo,
inoltre, il codice affida espressamente alla giurisdizione amministrativa la funzione di assicurare «una
tutela piena ed effettiva» secondo i principi della
Costituzione e «del diritto europeo», all’interno
del quale non può che ricomprendersi anche la
CEDU (35).
(31) Corte cost., sentenza n. 348 del 2007.
(32) Corte cost., sentenza n. 349 del 2007. Nella giurisprudenza successiva si v., tra le tante, le sentenze n. 135 del
2014, n. 210 del 2013, n. 230 del 2012. Sulle sentenze. n. 348
e 349 del 2007 si v., tra i tanti, i commenti in questa Rivista,
2008, 1, di B. Randazzo, Costituzione e CEDU: il giudice delle
leggi apre una “finestra” su Strasburgo, 25 e ss., e di M. Pacini,
La CEDU e l’art. 117 della Costituzione. L’indennità di esproprio
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Il Tar di Catania avrebbe dunque dovuto interrogarsi sulla possibilità d'interpretare l'art. 112
c.p.a. in conformità all'obbligo di conformarsi alle
sentenze definitive della Corte di Strasburgo.
L’avesse fatto, non avrebbe potuto che dare una
risposta positiva, tanto in considerazione del dato
letterale, quanto in virtù della ratio e della storia
del giudizio di ottemperanza.
La formulazione dell'art. 112 c.p.a., infatti, nell'ammettere questo rimedio per ottenere l'esecuzione «delle sentenze passate in giudicato e degli altri
provvedimenti ad esse equiparati per i quali non
sia previsto il rimedio dell’ottemperanza», appare
sufficientemente ampia da consentire di ricomprendervi anche le pronunce della Corte europea.
Come detto, si tratta di sentenze da cui possono
discendere obblighi per la pubblica amministrazione e, se il rimedio dell'ottemperanza è previsto per
ottenere «l’adempimento da parte della PA degli
obblighi nascenti da qualsiasi giudicato, per tale
intendendosi ogni pronuncia, emanata da un organo imparziale a seguito di un procedimento contenzioso, che risolva un conflitto di interessi alla
stregua di norme giuridiche, con effetti preclusivi» (36), non vi è ragione per escludere anche le
pronunce definitive della Corte di Strasburgo, la
quale è appunto un giudice imparziale che, a seguito di un contraddittorio, emette sentenze (contro
cui non sono ammesse impugnazioni) che accertano la violazione di diritti tutelati da norme giuridiche.
L'esperibilità del giudizio di cui si discute per ottenere l'esecuzione delle pronunce della Corte europea appare dunque ammissibile alla luce di quel
principio - che ha ispirato ogni estensione dell'ambito di applicazione dell'istituto - secondo cui «il
processo deve dare praticamente a chi ha un diritto
[…] tutto quello che egli ha diritto di conseguire»,
perché in caso contrario le norme che tutelano i
diritti dei singoli rimarrebbero «meramente platoniche» (37).
Da altro punto di vista, l’interpretazione seguita
dal Tar di Catania espone l’art. 112 c.p.a. a una
censura d’incostituzionalità per violazione dell’art.
117, c. 1, Cost. e dell’art. 46 della CEDU quale
per aree edificabili e il risarcimento del danno da occupazione
acquisitiva, 31 e ss..
(33) Tra le tante si v. Corte cost., sentenza n. 170 del 2013.
(34) Corte cost., sentenza n. 191 del 2014.
(35) In tal senso, si v. la Relazione al codice, p. 9.
(36) Cons. Stato, Ad. plen., decisione n. 43 del 1980.
(37) Ivi.
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Qualora la tesi del Tar di Catania, nonostante i
suoi aspetti critici, si consolidasse nella giurisprudenza, anche costituzionale, un secondo rimedio
per la mancata esecuzione delle sentenze della
Corte europea da parte dell'amministrazione potrebbe essere trovato nel ricorso avverso il silenzio, che rappresenta il mezzo processuale preordinato proprio «a sanzionare un fatto incompatibile
con l'ordinamento quale è l'inerzia dell'amministrazione» (38), è oggi proponibile «anche senza
previa diffida» ai sensi dell'art. 117 c.p.a., (39) e
mediante la nomina da parte del giudice, ove occorra, di un commissario ad acta, consente al singolo di ottenere in tempi rapidi il bene della vita
cui aspira. Non a caso esso era indicato in letteratura come l’istituto cui riferirsi per ottenere l’ese-
cuzione del Decreto del Presidente della Repubblica sul ricorso straordinario quando a esso era ritenuto inapplicabile il giudizio di ottemperanza (40).
I presupposti, com’è noto, sono l'esistenza di un
obbligo dei pubblici poteri di adottare un provvedimento espresso e, appunto, l'inerzia dell'organo
competente, che non lo emana entro il termine di
conclusione del relativo procedimento (41).
Nel nostro caso, l'obbligo di conformarsi alle
pronunce della Corte di Strasburgo discende dalla
legge n. 848 del 1955 e dall'art. 46 della CEDU,
l’organo competente è il Presidente del Consiglio
o, per i pagamento di somme di denaro, il Ministro
dell’economia e delle finanze, mentre per quanto
riguarda il termine si può fare riferimento a quello
generale di trenta giorni previsto dall’art. 2 della
legge n. 241 del 1990.
Il ricorso contro il silenzio potrebbe quindi rappresentare uno strumento per assicurare il rispetto
dell’art. 46 della CEDU qualora la tesi sostenuta
dal Tar di Catania trovasse ulteriore fortuna.
Per tutte le ragioni esposte, tuttavia, si confida
che l’orientamento del giudice etneo rimanga isolato e che la giurisprudenza possa ravvisare nel giudizio di ottemperanza il rimedio più appropriato,
tra quelli offerti dall’ordinamento italiano, per ottenere il rispetto da parte dell’amministrazione degli obblighi derivanti dalle sentenze della Corte di
Strasburgo.
Sarebbe un’ulteriore importante tappa nel percorso ormai ultrasecolare di un istituto che, costantemente ispirato dal principio di effettività, può rivelare un’eccezionale ricchezza anche nell’attuale
contesto d’integrazione tra mezzi di tutela nazionali
e sovranazionali.
(38) Si v., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 1535
del 2006.
(39) Sul punto si v. anche, in giurisprudenza, Cons. Stato,
Ad. plen., sentenza n. 7 del 2005 e, in letteratura, E. Quadri, Il
silenzio della pubblica amministrazione, Milano 2007, 79 e ss.,
nonché Id., Ricorsi avverso il silenzio, in R. Garofoli, G. Ferrari
(a cura di), Codice, 1612 e ss..
(40) M. Clarich, L’esecuzione, 320.
(41) In letteratura si v., tra i tanti, V. Lopilato, Articolo 31, in
A. Quaranta, V. Lopilato (a cura di), Il processo, 315 e ss.; S.
Varone, Azioni di cognizione, in M. Sanino (a cura di), Codice,
157 e ss.; M. Occhiena, F. Fracchia, Art. 31, in R. Garofoli, G.
Ferrari (a cura di), Codice, 1612 e ss.; L. Mazzarolli, G. Pericu,
A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, 724 e ss., F.G. Scoca, Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano 1971.
norma interposta, perché si frappone a una piena
esecuzione della sentenza della Corte di Strasburgo
(così come l’art. 630 c.p.p. impediva la riapertura
del processo, quando ciò fosse stato necessario per
conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte
europea e per tale motivo è stato giudicato parzialmente incostituzionale con la sent. n. 113 del
2011).
Per queste ragioni, si ritiene che il Tar abbia errato nel negare l'ammissibilità del giudizio di ottemperanza per l'esecuzione delle pronunce della
Corte europea e si auspica che la conclusione da
questo raggiunta venga rimeditata dalla giurisprudenza, al fine di assicurare, anche alla luce del
principio di sussidiarietà, una tutela piena ed effettiva dei diritti convenzionali nell’ordinamento interno.
Un eventuale rimedio alternativo: la tutela
contro l'inerzia dell'amministrazione
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Osservatorio
Corte di giustizia Ue
Osservatorio della Corte
di giustizia e del Tribunale
dell’Unione europea
a cura di Edoardo Chiti e Susanna Screpanti
UNIONE EUROPEA
SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA
Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione,
sentenze 17 luglio 2014, cause riunite C-473/13 e C514/13 - Giud. rel. G. Arestis - Avv. gen. Y. Bot, Adala
Bero c. Regierungspräsidium Kassel (C-473/13) e Ettayebi Bouzalmate c. Kreisverwaltung Kleve (C-514/13).
Sulla medesima questione Thi Ly Pham c. Stadt
Schweinfurt, Amt für Meldewesen und Statistik (C474/13).
Uno Stato membro non può far valere l’assenza di centri di permanenza temporanea per trattenere in prigione i cittadini di paesi terzi in attesa di allontanamento.
Due cittadini di paesi terzi, che soggiornavano irregolarmente in Germania, impugnavano i provvedimenti con cui
le autorità di alcuni Lander tedeschi li trattenevano in prigione a causa dell’assenza di appositi centri per la permanenza temporanea in attesa dell’allontanamento.
I giudici del rinvio chiedevano in via pregiudiziale alla Corte
di chiarire se, ai sensi dell’articolo 16 della direttiva
2008/115, uno Stato membro fosse tenuto a trattenere i
cittadini di paesi terzi, soggiornanti irregolari, in un apposito centro di permanenza temporanea, anche se il Lander
competente ne fosse sprovvisto.
La Corte ricorda anzitutto che la direttiva 2008/115 stabilisce che i cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare devono essere trattenuti in appositi centri di permanenza temporanea. Tale obbligo grava sugli Stati membri in quanto tali, a prescindere dalla struttura amministrativa o costituzionale. Ciò non implica che uno Stato a struttura federale sia obbligato a creare appositi centri di permanenza temporanea in ciascuno Stato federato. Occorre
garantire, però, che le autorità competenti che non dispongono di appositi centri di permanenza temporanea possano utilizzare quelli presenti nel territorio nazionale sulla base di specifici accordi di cooperazione amministrativa.
La direttiva 2008/115/CE deve essere interpretata, dunque,
nel senso che uno Stato membro è tenuto, di norma, a trattenere i cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare in un apposito centro di permanenza temporanea,
ancorché tale Stato abbia una struttura federale e lo Stato
federato competente a decidere e eseguire la misura nazionale di allontanamento non disponga di un apposito centro.
Con separata sentenza (C-474/13), la Corte rileva che la direttiva europea non permette a uno Stato membro di trattenere ai fini dell’allontanamento un cittadino di un paese
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
terzo in un istituto penitenziario, insieme a detenuti comuni, neppure se abbia prestato il proprio consenso a tale sistemazione.
CITTADINANZA
Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 17 luglio 2014, causa C-469/13 - Giud. rel. A. Ó Caoimh Avv. gen. Y. Bot, Shamim Tahir c. Ministero dell’Interno, Questura di Verona
Un permesso di soggiorno di lungo periodo può essere
rilasciato solo a chi abbia soggiornato personalmente e
per almeno cinque anni nello Stato membro interessato.
Una cittadina pakistana, soggiornante in Italia da circa due
anni per ricongiungimento familiare, chiedeva alla Questura un permesso di soggiorno di lungo periodo. La richiedente faceva valere di essere coniuge di un cittadino pakistano che già beneficiava in Italia di tale permesso. La
Questura rigettava la domanda sostenendo che il diritto italiano non esenta i familiari di un soggiornante di lungo periodo dal soddisfare personalmente la condizione prevista
dalla direttiva 2003/109, ovvero un soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni nello Stato membro interessato.
Il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire se la direttiva europea richiedesse che tale condizione
fosse soddisfatta a titolo personale e se consentisse ad
uno Stato membro di stabilire condizioni più favorevoli.
Ad avviso della Corte, un soggiorno legale e ininterrotto
nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda
è una condizione indispensabile da soddisfare a titolo personale per poter acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo nello Stato membro interessato. Spetta al giudice nazionale verificare il rispetto di tale condizione e nel caso di specie occorre considerare che la richiedente aveva
soggiornato nel territorio italiano per un periodo inferiore a
due anni prima della domanda. Sulla seconda questione, la
Corte rileva che uno Stato membro non può rilasciare un
permesso di soggiorno di lungo periodo a condizioni più favorevoli di quelle previste nella direttiva 2003/109. Pertanto, un familiare di un soggiornante di lungo periodo in nessun caso può beneficiare di condizioni più favorevoli di
quelle previste dal diritto dell’Unione.
LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE
Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione,
sentenza 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C59/13 - Giud. rel. L. Bay Larsen - Avv. gen. N. Wahl, A. e
1093
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Corte di giustizia Ue
P. Torresi c. Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata
Non è abuso di diritto se un cittadino utilizza il titolo di
avvocato acquisito in uno Stato membro diverso da
quello di stabilimento.
Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza e il titolo
di avvocato in Spagna, due cittadini italiani si stabilivano in
Italia e presentavano domanda di iscrizione all’albo degli
avvocati ai sensi dell’art. 3 della direttiva 98/5. Il Consiglio
Nazionale Forense chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire in via pregiudiziale se il caso di specie configurasse un
abuso del diritto di stabilimento ed un’elusione della normativa italiana sull’accesso alla professione forense.
La Corte ricorda anzitutto che lo scopo della direttiva europea è facilitare l’esercizio permanente della professione di
avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è
stato acquisito il titolo. Ne consegue che non c’è abuso del
diritto di stabilimento quando un cittadino consegua la laurea e acquisisca la qualifica professionale di avvocato in un
altro Stato membro e faccia poi ritorno nel proprio Stato
per esercitare la professione forense avvalendosi del titolo
ottenuto all’estero.
In secondo luogo, l’art. 3 della direttiva 98/5 non costituisce elusione della normativa italiana, perché non disciplina
l’accesso, né le modalità di esercizio della professione forense in base al titolo ottenuto in un diverso Stato Membro. Inoltre, una domanda di iscrizione all’albo degli avvocati, presentata ai sensi della direttiva europea, non necessariamente elude l’applicazione della legislazione nazionale
sull’accesso alla professione di avvocato.
LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione,
sentenza 1 luglio 2014, causa C-573/12, Giud. rel. A.
Prechal - Avv. gen. Y. Bot, Ålands Vindkraft Ab c. Energimyndigheten
1094
Il regime svedese che favorisce chi produce energia verde sul territorio nazionale è compatibile con il diritto
europeo.
La controversia prende le mosse dal rifiuto delle autorità
svedesi di concedere un certificato verde a una società che
gestiva un parco eolico situato in Finlandia. La norma svedese, infatti, prevedeva l’attribuzione dei certificati verdi solo a favore dei gestori di impianti di produzione di energia
rinnovabile situati in Svezia. Peraltro, il legislatore svedese
obbligava i fornitori e taluni utenti di elettricità ad acquistare quote di energia verde dai produttori nazionali. Ad avviso del ricorrente, il regime nazionale violava il principio di
libera circolazione delle merci, riservando una parte del
mercato ai produttori di elettricità verde situati in Svezia a
discapito delle importazioni di elettricità provenienti da altri
Stati membri. Il giudice adito chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire se il regime svedese fosse compatibile con la
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’energia da fonti
rinnovabili e con il principio di libera circolazione delle merci di cui all’art. 34 Tfue.
Secondo la Corte di giustizia, il sistema svedese è un regime nazionale di sostegno dell’energia verde che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/28/CE. Tale direttiva non impone agli Stati membri di estendere i benefici
del regime nazionale di sostegno all’elettricità verde prodotta in un altro Stato. Ne consegue che il regime di sostegno svedese che favorisce chi produce energia verde sul
territorio nazionale è compatibile con la direttiva europea.
In secondo luogo, la Corte riconosce che il sistema svedese è idoneo a ostacolare le importazioni di elettricità prodotta in altri Stati membri e costituisce, dunque, una restrizione alla libera circolazione delle merci. Tuttavia, la Corte
considera compatibile detta limitazione con il diritto europeo, in quanto è giustificata dall'obiettivo di interesse generale di promuovere l'uso di fonti di energia rinnovabile al fine di proteggere l'ambiente e combattere i cambiamenti
climatici.
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Osservatorio
Consiglio di Stato
Osservatorio delle decisioni
del Consiglio di Stato
a cura di Luigi Carbone e Mario D’Adamo (*)
DIRITTO DI ACCESSO
DIRITTO DI CRONACA E DIFESA NEL GIUDIZIO PENALE
Consiglio di Stato, sez. IV, 22 settembre 2014 n. 4748 Pres. Virgilio - Est. Migliozzi
Anche se il diritto all’informazione della stampa detiene
una posizione qualificata e differenziata in relazione alla
conoscenza degli atti pubblici, non è ammissibile una
dilatazione degli ambiti di garanzia previsti dalla l. n.
241/1990 in relazione al diritto di accesso. Quest’ultimo
è comunque possibile solo se l’istante possiede un interesse personale e concreto volto alla tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti (nel caso di specie, esercizio
del diritto di difesa in un giudizio penale).
Un giornalista, che aveva seguito gli accadimenti della ricostruzione successiva al sisma del 2009 in Abruzzo, al fine
di difendersi nel giudizio sorto su querela del Prefetto dell’Aquila chiede di accedere a numerosi atti - peraltro indicati solo genericamente - di competenza delle varie amministrazioni coinvolte. Il parziale diniego di queste ultime e
della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sono impugnati dal privato innanzi al Tar Abruzzo. La sentenza di
rigetto è confermata dal Consiglio di Stato.
La decisione de qua esamina il diritto di accesso in ragione
della dovuta tutela all’esercizio del diritto di cronaca quale
estrinsecazione, a sua volta, del principio di informazione
di cui all’art. 21 Cost. La Sezione IV è consapevole della
questione riguardante il rapporto tra diritto di cronaca nell’esercizio dell’attività giornalistica e diritto di accesso ai
documenti, e del particolare valore che assume la libertà di
informazione, da cui deriva una posizione qualificata e differenziata della stampa in relazione alla conoscenza degli
atti detenuti dall’amministrazione. Ricorda, inoltre, che l’ordinamento comunitario sulla materia spinge verso una società dell’informazione e della conoscenza (cfr direttiva
2003/98/Ce) .
Nonostante ciò, non è consentito dilatare l’ambito soggettivo e oggettivo del diritto di accesso, ben definiti dall’art.
22 della l. n. 241/1990. Questo presuppone che il richiedente sia detentore di un interesse personale e concreto
volto alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. In particolare, ciò è vero quando, come nel caso di specie, «l’esercizio del diritto di cronaca viene in rilievo non in quanto
tale oggettivamente, ma nella misura in cui è strumentale
ad altra finalità» ovvero al reperimento di materiale documentale utile alla difesa in giudizio e all’esigenza concreta
e attuale di accordare la relativa tutela al ricorrente. Se,
dunque, in linea di principio non si può equiparare la posi-
zione di una testata giornalistica o di un operatore della
stampa a quella di un qualunque soggetto giuridico per
quanto attiene al diritto di accesso ai documenti amministrativi, nondimeno nella specie non è consentito dilatare
l’ambito applicativo della citata normativa; tanto più in
quanto, dopo l’emanazione del d.lgs. n. 33/2013 (c.d. codice della trasparenza), l’amministrazione è tenuta alla pubblicazione di numerosi dati e notizie sui siti istituzionali,
permettendo in tal modo al cittadino di conoscere anche
atti e documenti non strettamente funzionali al diritto di difesa ma di potenziale interesse per l’opinione pubblica.
ENTI LOCALI
PROCEDIMENTO ELETTORALE DELLE NUOVE PROVINCE
Consiglio di Stato, sez. V, 6 ottobre 2014 n. 4993 - Pres.
Maruotti - Est. Franconiero
I sottoscrittori delle liste partecipanti alle elezioni provinciali non possono essere a loro volta candidati, pena
la mancata dimostrazione della rappresentatività delle
liste.
Il Consiglio di Stato si pronuncia per la prima volta sul procedimento elettorale delle nuove province. Ciò ai sensi della l. n. 56 del 2014, che le ha trasformate in enti territoriali
di secondo grado, cioè in organi politici non più eletti direttamente dal popolo ma, a loro volta, dagli organi elettivi
dei comuni compresi nella circoscrizione provinciale.
Alcuni sottoscrittori di una lista per le recenti elezioni del
consiglio provinciale e del presidente della Provincia di
Massa Carrara ricorrono avverso la loro esclusione, disposta dall’ufficio elettorale provinciale perché alcuni di essi
sono anche consiglieri di comuni della provincia, a loro volta candidati a consigliere provinciale.
La sentenza di rigetto del Tar Toscana è confermata in appello dalla V Sezione. Quest’ultima preliminarmente chiarisce che il procedimento elettorale di secondo grado per l’elezione dei presidenti e dei consiglieri provinciali deve, nel
silenzio della l. n. 56/2014, essere espletato comunque mediante richiamo alle regole generali del procedimento elettorale preparatorio, ed in particolare alla verifica di rappresentatività delle liste partecipanti a competizioni elettorali,
da effettuarsi attraverso la raccolta di un numero minimo
di sottoscrizioni degli elettori a sostegno di queste ultime
(cfr. gli artt. 18-bis e 20 d.P.R. n. 361/1957, sulle elezioni alla Camera dei deputati, 9 d.lgs. n. 533/1993, sulle elezioni
del Senato della Repubblica, 9 l. n. 108/1968, per le elezioni regionali, 28 e 32 d.P.R. n. 570/1960 e 3 l. n. 83/1991
per le elezioni comunali).
(*) Con la collaborazione di Francesca Di Lascio.
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
1095
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Consiglio di Stato
A questa verifica è consustanziale l’alterità soggettiva tra
elettori e candidati, e cioè tra il corpo elettorale e coloro
che esercitano l’elettorato passivo (e si spiega il divieto di
sottoscrizioni plurime). È infatti solo il corpo elettorale che
può attribuire la rappresentatività ai soggetti che, accettando la candidatura, aspirano a formare la rappresentanza
politica del primo in seno alle istituzioni democratiche. Tuttavia, non vi sarebbe rappresentanza, ma cooptazione quanto meno a livello di designazione preliminare - e pura
autoreferenzialità, se le liste fossero sottoscritte dai soggetti che le compongono attraverso l’accettazione della candidatura: la rappresentanza è l’antitesi della cooptazione, e
cioè di un sistema di designazione non democratica, in cui
i cooptati non sono espressione di un gruppo sociale esterno all’istituzione ma rappresentativi dello stesso.
GIURISDIZIONE
CONTROVERSIE IN TEMA DI ATTI DI RECUPERO DELLA TIA
Consiglio di Stato, sez. V, 28 luglio 2914 n. 3980 - Pres.
Pajno - Est. Franconiero
È il giudice tributario a conoscere del ricorso avverso la
delibera con cui l’ente locale ha disposto l’aumento in
corso d’anno della Tariffa di igiene ambientale (Tia) e i
conseguenti atti di recupero delle ulteriori somme.
Il Consiglio comunale di Civitavecchia adotta una delibera
con cui dispone un adeguamento della tariffa, in attuazione
del regolamento sulla tariffa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani (cd. Tia) di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997,
al fine di coprire il disavanzo di gestione della società in
house comunale affidataria del servizio.
Alcune imprese impugnano la delibera al Tar Lazio, unitamente agli atti di recupero emessi nei loro confronti. Il
giudice di prime cure accoglie i ricorsi, ritenendo che i
mancati ricavi da sanzioni accertate - da cui il disavanzo non potessero essere qualificati come “eventi straordinari” che, ai sensi del regolamento comunale, consentivano
l’aumento della Tia. L’affidataria appella la sentenza, riproponendo al Consiglio di Stato l’eccezione pregiudiziale, disattesa dal Tar, di difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo.
I giudici di Palazzo Spada, invece, ricordano come la Corte
costituzionale (sentenza n. 238/2009; ordinanza n.
64/2010) abbia chiarito che la Tia ha natura tributaria, ed
escludono che nella fattispecie sia applicabile la norma di
interpretazione autentica contenuta nell’art. 14, c. 33, del
d.l. n. 78/2010, secondo cui la natura della tariffa di igiene
ambientale "non è tributaria", con conseguente devoluzione della giurisdizione al giudice ordinario. Tale norma, infatti, si riferisce alla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani di
cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 (cd. t.u. ambientale) e
non alla tariffa prevista dall’art. 49 d.lgs. n. 22/1997 (peraltro soppressa proprio dal citato art. 238).
Del resto, il ricorso è diretto anche contro gli atti di recupero della Tia, costituenti altrettanti atti di imposizione della
pretesa tributaria nascente dalla impugnata delibera consiliare: al riguardo le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 8313/2010) hanno affermato la giurisdizione del giudice tributario anche se viene contestato l’atto amministrativo generale presupposto in virtù del quale gli atti impositivi
sono stati emessi.
1096
PROCESSO AMMINISTRATIVO
LEGITTIMAZIONE A RICORRERE DI SOGGETTI STRANIERI
Consiglio di Stato, sez. VI, 22 settembre 2014 n. 4775 Pres. Severini - Est. Lageder
Il provvedimento di assenso per la realizzazione di un
parco eolico in zona transfrontaliera è impugnabile anche dal comune straniero confinante.
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tribunale di
giustizia amministrativa di Trento di accoglimento del ricorso promosso dal Comune austriaco Gries am Brenner e
dall’Österreichischer Alpenverein - ÖAV (Club Alpino Austriaco) unitamente al WWF Italia, avverso il progetto della
Provincia di Bolzano per la realizzazione di un parco eolico
vicino al Brennero, avente un impatto ambientale-paesaggistico transfrontaliero.
Di particolare interesse è la questione inerente alla legittimazione di soggetti stranieri ad impugnare atti di un’amministrazione italiana. Al riguardo, i giudici richiamano innanzitutto il principio di territorialità che caratterizza l’esercizio
dei poteri sovrani statali (tra cui il potere esecutivo-amministrativo), in ragione del quale solo il giudice amministrativo
italiano può annullare atti di autorità amministrative italiane, così come solo quello straniero può giudicare di atti
amministrativi del suo ordinamento. In conseguenza di ciò,
i non residenti o non aventi sede in Italia non sono, ordinariamente, soggetti agli effetti dei provvedimenti emanati
dalle autorità nazionali.
La regola subisce, però, una deroga quando sussiste un interesse pratico in relazione ad attività che per loro natura
hanno effetti immediatamente e macroscopicamente transfrontalieri. La questione è tipica del diritto ambientale, in
cui gli esiti materiali dei provvedimenti adottati possono
causare interferenze paesaggistiche, acustiche e visive sui
territori confinanti. Per questa ragione sussiste la legittimazione a ricorrere di un soggetto straniero davanti al giudice
amministrativo italiano. Diversamente, apparirebbero violati sia il principio di non discriminazione di cui all’art. 12
Tue, sia i principi costituzionali di parità di trattamento e di
garanzia del diritto di azione a tutela dei diritti soggettivi e
degli interessi legittimi, riconosciuti dagli artt. 3 e 24 della
Costituzione italiana, sia la Convenzione di Arhus del 25
giugno 1998 che impone di garantire a chiunque ritenga leso un diritto partecipativo in materia ambientale.
Il rimedio giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo
italiano si affianca, così, al ricorso a organi internazionali di
giustizia previsto dalla Convenzione di Espoo del 25 febbraio 1991 (Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, ratificata e resa esecutiva con l. 3 novembre 1994, n. 640, in vigore dal 10 settembre 1997) che, nella fattispecie in esame, ha peraltro
trovato applicazione, essendo il progetto stato trasmesso
alle competenti autorità austriache per l’acquisizione di
eventuali osservazioni del pubblico.
TAR COMPETENTE IN CASO DI RICORSO AVVERSO LA
DECISIONE DELLA COMMISSIONE PER L’ACCESSO AI
DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
Consiglio di Stato, sez. IV, 31 luglio 2014, n. 4047 Pres. Zaccardi - Est. Sabatino
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Consiglio di Stato
Per determinare quale Tar possa pronunciarsi sulla legittimità del diniego della Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi occorre far riferimento al
provvedimento avverso il quale è stato proposto ricorso a detta Commissione.
Un socio dell’Automobil Club di Brescia chiede di accedere
al contratto stipulato dall’ente con una società privata per
lo sfruttamento del marchio Freccia rossa/Mille miglia. Il diniego è impugnato in via amministrativa alla Commissione
per l’accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che accoglie il ricorso. Avverso detta decisione la società ricorre al Tar Lazio il quale,
respingendo l’eccezione di incompetenza territoriale avanzata dalla Amministrazione, ritiene fondate le censure proposte. La Presidenza del Consiglio si appella al Consiglio di
Stato che, con la decisione qui segnalata, ravvisa l’incompetenza del giudice romano in favore di quello lombardo.
Secondo la IV Sezione, per determinare la competenza territoriale - in analogia con altri casi di procedimento giustiziale interno alla stessa amministrazione, quali i ricorsi gerarchici - occorre far riferimento al provvedimento avverso
il quale è stato proposto ricorso alla Commissione per l'accesso e non alla decisione di quest'ultima, che non costituisce l'atto conclusivo del procedimento ma un rimedio di tipo giustiziale, cui seguono ulteriori fasi procedimentali.
Pertanto, essendo fondante il provvedimento amministrativo a monte, il riferimento normativo applicabile è dato dall’art. 13 c.p.a. sulla competenza territoriale inderogabile.
Né può condividersi la tesi del giudice di primo grado, secondo cui il suddetto criterio non si può applicare quando
non viene in rilievo un profilo relativo al rapporto sostanziale dedotto (accesso rispetto ad un determinato atto emanato dalla amministrazione locale), ma un vizio proprio del
procedimento dinanzi alla Commissione per l’accesso, che
si riverbera sull’atto conclusivo di detto procedimento. Il sistema processuale delineato dal c.p.a., infatti, non radica
la competenza in funzione della tipologia di vizio lamentato, ma su elementi dell’atto gravato (autorità emanante,
luogo degli effetti, soggetti destinatari) oggettivamente
percepibili e non condizionati dalle scelte difensive delle
parti: una diversa soluzione porterebbe ad una indicazione
della competenza territoriale a geometria variabile, in quanto collegata all’accoglimento o meno delle istanze della
parte ricorrente, che non si concilia con le esigenze di certezza e di celerità del rito dell’accesso.
PUBBLICO IMPIEGO
NUOVE ASSUNZIONI PRESSO LE PROVINCE E LORO
SOPPRESSIONE AI SENSI DELLA L. N. 56/2014
Consiglio di Stato, sez. V, 28 luglio 2014, n. 3976 - Pres.
Pajno - Est. Franconiero
Non è applicabile alle Province, in via di soppressione,
la l. n. 113/1985 nella parte in cui impone ad ogni amministrazione dotata di centralino telefonico di assumere
un non vedente.
Una non vedente ricorre al Tar Puglia avverso la determinazione con cui la Provincia di Barletta Andria Trani, sopraggiunto il divieto di assunzioni alle dipendenze delle Provin-
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
ce di cui all’art. 16, c. 9, del d.l. n. 95/2012, aveva revocato
il procedimento di chiamata diretta per centralinista telefonica in qualità di non vedente ai sensi della l. n. 113/1985.
La sentenza del giudice di prime cure, di accoglimento del
ricorso, è ribaltata in appello con la decisione qui segnalata.
La V Sezione riprende, sul punto, l’orientamento della Corte dei conti in tema di assunzioni obbligatorie dei disabili ai
sensi della l. n. 68/1999 (delibera della Sezione Autonomie
locali n. 25/2013). La prevalenza della norma che introduce
il divieto di assunzione nelle Province rispetto a quella, antecedente, sul diritto all’assunzione ex l. n. 113/1985 cit.,
viene motivata sulla base di un criterio sostanzialmente teleologico. Essendo, infatti, l’art. 16, c. 9, più volte citato un
divieto non correlato al contenimento della spesa pubblica
ma al riordino dell’ente Provincia - con la finalità di cristallizzare la struttura burocratica nel comparto risorse umane
in vista della sua prevista soppressione - , poi effettivamente sancito dalla l. n. 56/2014, non è configurabile una prevalenza della norma precedente speciale su quella successiva generale, ma è proprio quest’ultima, avente carattere
a sua volta speciale, a dovere prevalere, anche in base al
criterio cronologico, su quella precedente.
URBANISTICA ED EDILIZIA
ABUSO EDILIZIO SU IMMOBILE CONDOMINIALE
Consiglio di Stato, sez. IV, 25 settembre 2014 n. 4818 Pres. Virgilio - Est. Russo
È illegittimo il condono su abusi realizzati da singoli
condomini su aree comuni se non vi è un consenso
espresso alla sanatoria da parte degli altri comproprietari.
La decisione in esame conferma la sentenza del Tar Puglia
di annullamento dell’atto del Comune di San Pietro Vernotico (BR) che aveva condonato alcune opere di ampliamento
di un’abitazione privata, effettuate su lastrico solare dell’immobile e, dunque, su area condominiale. Il provvedimento era stato impugnato da uno dei comproprietari per
difetto di legittimazione a proporre richiesta, in ragione della mancanza di un titolo proprietario esclusivo da parte dell’istante e del mancato consenso espresso di tutti i comproprietari.
Il Consiglio di Stato conferma, in primo luogo, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, dalla previsione dell’art. 11, c. 1, del d.P.R. n. 380/2001 deriva in capo al comune competente a decidere della sanatoria di abusi edilizi
un diritto-dovere di verificare il presupposto della disponibilità giuridica del bene immobile oggetto di trasformazione,
particolarmente in presenza di contestazioni. Quanto alla
questione relativa alla necessità di un consenso manifesto
ed univoco da parte di tutti i proprietari del bene immobile,
se di proprietà condominiale, la IV Sezione condivide la posizione maggioritaria secondo cui il condono non è ammissibile se l’abuso è realizzato dal singolo su aree comuni e
in mancanza di elementi di prova in merito alla volontà degli altri comproprietari. In caso contrario l’amministrazione
legittimerebbe una sostanziale appropriazione di spazi condominiali in presenza di una, seppur solo potenziale, volontà contraria di alcuni proprietari.
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Osservatorio
Tribunali amministrativi regionali
Osservatorio dei Tribunali
amministrativi regionali
a cura di Giulia Ferrari
CONCORSI
ACCESSO AI DOCUMENTI
ACCESSO AI DOCUMENTI DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE
RICUSAZIONE COMPONENTE DI UNA COMMISSIONE
T.A.R. Milano, sez. III, 8 settembre 2014, n. 2288 - Pres.
Leo - Est. Mameli
T.A.R. Milano, sez. I, 4 settembre 2014, n. 2307 - Pres.
Mariuzzo - Est. Simeoli
Un’organizzazione sindacale ha diritto ad ottenere il rilascio di documenti relativi all’esito delle visite mediche
effettuate su dipendenti pubblici con limitazioni all’attività lavorativa ove questi ultimi, iscritti a detta associazione, abbiano presentato alla stessa una segnalazione
per asserite anomalie.
E’ legittimo il provvedimento che accoglie l’istanza di ricusazione del componente la commissione di una procedura comparativa per la nomina di ricercatori universitari che alcuni anni prima aveva avuto una relazione
sentimentale con una candidata.
Un’organizzazione sindacale ha ricevuto segnalazioni, da
parte di alcuni iscritti dipendenti da un’Agenzia delle Dogane, di anomalie nella conduzione delle visite mediche periodiche effettuate sui dipendenti con limitazioni all’attività
lavorativa, nell’ambito del piano di sorveglianza sanitaria
relativo all’anno 2013. Ha quindi presentato istanza di accesso all’Agenzia per avere la documentazione relativa a
tali visite. Avverso il diniego oppostole propone ricorso al
Tar Lazio, che lo accoglie. Preliminarmente riconosce la legittimazione dell’organizzazione sindacale ad esercitare il
diritto di accesso per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro dei singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’associazione. Afferma
quindi che, nel caso sottoposto al proprio esame, sussistono tutti i presupposti di cui all’art. 22, c. 1, lett. b), legge 7
agosto 1990, n. 241, avendo l’organizzazione sindacale un
interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti
in relazione ai quale è stato chiesto l’accesso. Chiarisce poi
che la documentazione oggetto della richiesta di ostensione si sostanzia nelle note trasmesse dall’Ufficio delle Dogane al medico competente, in occasione delle visite per la
verifica della permanenza delle limitazioni alle mansioni dei
dipendenti, nell’ambito del piano di sorveglianza sanitaria
relativo all’anno 2013. Tali note contengono una descrizione delle mansioni svolte dai dipendenti, al fine di verificare,
da parte del medico competente, la sussistenza dei presupposti per l’esclusione del dipendente stesso da determinate
attività. Esse riguardano quindi l’organizzazione del lavoro
e la materia della sicurezza dei lavoratori, ambiti in cui l’interesse del sindacato è strettamente correlato alla finalità
dell’associazione che, tra le proprie prerogative, ha anche
quelle nelle materie suddette. Né varrebbe opporre che si
tratta di documenti che attengono alla posizione sanitaria
specifica di ciascun lavoratore atteso che la tutela della riservatezza dei dati sanitari può essere contemperata con il
diritto di accesso ai documenti attraverso l’oscuramento
del nome del dipendente.
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
Un componente della Commissione giudicatrice di procedura comparativa per la nomina di ricercatori universitari impugna il provvedimento che ha accolto l’istanza di ricusazione
di alcuni candidati per avere avuto, anni or sono, una relazione sentimentale con una candidata. Il ricorrente non nega
che tredici anni prima ci fosse stata tale relazione, poi interrotta, ma sostiene l’insussistenza di ragioni di convenienza
ed opportunità suscettibili di sorreggere il provvedimento impugnato sotto il profilo della motivazione. L’adito Tar Milano
respinge il ricorso. Afferma che l’Amministrazione ben poteva revocare il provvedimento di nomina precedentemente
adottato anche al di fuori delle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c., ovvero in virtù del potere alla medesima riconosciutole dall’art. 21-quinques, legge 7 agosto 1990,
n. 241 (Cons. Stato, sez. VI, 7 dicembre 2009, n. 7660). Quest’ultima disposizione fonda infatti il generale potere di revoca dei provvedimenti per sopravvenuti motivi d’interesse
pubblico ovvero nel caso di mutamento della situazione di
fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Aggiunge che il canone per cui le Commissioni giudicatrici,
nei concorsi pubblici anche universitari, devono garantire,
nella loro composizione, trasparenza, obiettività e terzietà di
giudizio, discende dai principi generali e costituzionali vigenti
in subiecta materia. Nella specie, l’avere intrattenuto (sia pure
in passato) una relazione sentimentale con una candidata costituisce un presupposto non irragionevole per disporre la revoca della nomina di un commissario, in quanto circostanza
(ben diversa dall’ipotesi della mera collaborazione scientifica)
astrattamente idonea ad offuscarne l’immagine di indipendenza di giudizio e di terzietà. L’ordinamento amministrativo,
infatti, con tale genere di misure mira a evitare tutte le ipotesi
in cui, per circostanze oggettive, sussiste il concreto pericolo
(ma non necessariamente la certezza, attesa la natura formale della tutela) che possa essere compromessa la serenità di
giudizio e la natura formale dell’accertamento.
CONTRATTI PUBBLICI
REVISIONE PREZZI
T.A.R. Piemonte, sez. I, 18 settembre 2014, n. 1481 Pres. Balucani - Est. Bini
1099
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Tribunali amministrativi regionali
E’ nulla la clausola del Capitolato speciale, nella parte
in cui stabilisce che «non è ammessa la revisione dei
prezzi sul canone del primo anno, detto di transizione»,
per contrasto con l’art 6, legge 24 dicembre 1993, n.
537, che impone la revisione prezzi per tutta la durata
del contratto.
L’affidatario del servizio di fornitura di energia e gestione
calore degli immobili di un Comune propone ricorso al Tar
Piemonte perché accerti il proprio diritto alla revisione prezzi, nel quantum dallo stesso richiesto. Il Tar afferma preliminarmente la propria giurisdizione ai sensi dell’art. 133
c.p.a., che deve essere definita secondo un’indagine di tipo
bifasico, ossia la prima volta all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale aspetto per il quale è consentito il giudizio impugnatorio riferito all’atto autoritativo della pubblica amministrazione ed
al suo surrogato costituito dal silenzio rifiuto - e poi alla verifica del quantum debeatur, secondo meccanismi propri
della tutela delle posizioni di diritto soggettivo. Nel merito,
accoglie il ricorso. Esamina primariamente la questione
della nullità della clausola del Capitolato speciale, nella parte in cui stabilisce che “non è ammessa la revisione dei
prezzi sul canone del primo anno, detto di transizione”, per
contrasto con l’art 6, legge 24 dicembre 1993, n. 537, che
impone la revisione prezzi per tutta la durata del contratto.
Il Tar dichiara la clausola nulla. Premette che l’istituto della
revisione dei corrispettivi nei rapporti di durata, così come
disciplinato dai commi 4 e 6 dell’art. 6, l. n. 537 del 1993,
costituisce una normativa speciale e derogatoria rispetto a
quella del contratto di appalto contenuta nell’art. 1664 c.c..
Tale norma ha carattere imperativo e prevale dunque su
clausole difformi, con il meccanismo della sostituzione
automatica ex artt. 1419, c. 2, e 1339 c.c.. Stante l’imperatività della disposizione, il meccanismo della revisione prezzi (determinabile mediante precisi parametri), non può essere sostituito con un sistema differente, quale quello scelto previsto nel Capitolato speciale, che prevede un pagamento forfettario. Aggiunge il Tar che sulla possibilità di
applicare la revisione al primo anno di gestione, si registrano due orientamenti contrapposti: secondo il primo deve
essere considerata nulla una clausola contrattuale che
esclude l’applicabilità della revisione dei prezzi per le variazioni intervenute nel primo anno di attuazione del rapporto,
«in quanto l’istituto della revisione dei corrispettivi dei rapporti di durata così come disciplinato dai commi 4 e 6 dell’art. 6, l. n. 537 del 1993 costituisce una normativa speciale e derogatoria rispetto a quella del contratto di appalto
contenuta nell’art. 1664 c.c., ed essa prevale su clausole
difformi con il meccanismo della sostituzione automatica
ex art. 1419 comma 2 e 1339 c.c.». Secondo l’opposto
orientamento, una clausola negoziale che prevede che si
faccia luogo alla revisione del prezzo originario solo dopo il
decorso di un primo arco temporale, è conforme allo spirito ed alla lettera della legge, in cui la previsione di una “revisione” del prezzo su base “periodica” dimostra che il legislatore ha semplicemente inteso munire i contratti di forniture e servizi di un meccanismo di aggiornamento del corrispettivo alla dinamica dei prezzi registrata in un determinato intervallo temporale, secondo cadenze predeterminate, rilevando inoltre nell’ordinamento plurimi indici di un
costante indirizzo legislativo nel senso della legittimità, se
non della necessità, di legare l’adeguamento del prezzo al
trascorrere di un significativo periodo di tempo.
1100
AFFIDAMENTO A TRATTATIVA PRIVATA DEL SERVIZIO DI
TRASPORTO SCOLASTICO
T.A.R. Veneto, sez. I, 16 settembre 2014, n. 1212 - Pres.
Amoroso - Est. Vitanza
Il ricorso alla trattativa privata senza bando, resosi necessario perché la gara a procedura aperta era andata
deserta, è illegittimo se mutano le condizioni economiche dell’affidamento, rendendolo molto più appetibile.
E’ impugnato il provvedimento con il quale la stazione appaltante ha affidato, con procedura negoziata e senza pubblicazione del bando, il servizio del trasporto scolastico.
L’affidamento era già stato oggetto di una gara a procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta più vantaggiosa, con facoltà di proroga per ulteriori due anni. La
gara era andata, però, deserta. Successivamente, tre operatori economici avevano presentato istanza d’invito all’eventuale procedura negoziata per l’assegnazione del servizio. Solo successivamente uno di essi aveva appreso che
l’appalto era stato affidato a trattativa privata al gestore
uscente del servizio, ma a condizioni economiche molto
più favorevoli. Avverso detto provvedimento ha quindi proposto giurisdizionale al Tar Veneto che lo ha accolto. Afferma il Collegio giudicante che, in astratto, la mancata partecipazione di candidati all’originaria gara consentiva alla stazione appaltante di utilizzare il sistema di assegnazione del
servizio nei termini indicati dagli artt. 56 e 57, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Aggiunge che, però, nel caso
di specie la stazione appaltante ha alterato significativamente il dato economico del contratto, prevedendo un sostanzioso aumento del corrispettivo del servizio. Tale evenienza si pone in evidente contrasto con la previsione dell’art. 57, d.lgs. n. 163 del 2006 che, nel c. 2, lett. a), dispone che «nella procedura negoziata non possono essere
modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del
contratto». L’alterazione essenziale e significativa del dato
economico negoziale ha modificato radicalmente la natura
della richiesta della stazione appaltante, così da impedire la
legittima utilizzazione dell’istituto della procedura negoziata. La significativa modifica della parte economica del contratto ha reso quest’ultimo remunerativo, con conseguente
interesse dei diversi imprenditori all’aggiudicazione. Ciò è
comprovato dal fatto che neppure il precedente aggiudicatario, poi affidatario del servizio a trattativa privata, aveva
manifestato, alle condizioni originariamente indicate nel
bando, interesse a partecipare alla gara.
DECADENZA DALL’AGGIUDICAZIONE DI UNA GARA
PUBBLICA
T.A.R. Lecce, sez. III, 3 settembre 2014, n. 2242 - Pres.
Costantini - Est. Adamo
E’ legittima la decadenza dall’aggiudicazione di una gara pubblica ove l’aggiudicatario non si sia presentato il
giorno stabilito per la stipula del contratto e comunque
non era in possesso di mezzi della marca offerta in sede
di gara.
Il concorrente, risultato vincitore di una gara pubblica per
l’appalto del servizio di trasporto scolastico, impugna la decadenza dall’aggiudicazione disposta per non essersi presentato per stipulare il contratto nel giorno e all’ora stabiliti
dalla stazione appaltante e, soprattutto, per l’assorbente
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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circostanza di aver comunicato di non poter disporre dei
due mezzi marca ''Volkswagen", offerti in sede di gara, entro il termine previsto dal bando (id est, 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di aggiudicazione). L’adito Tar
Lecce respinge il ricorso, per essere corrette entrambe le
ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Quanto alla prima, giustamente la stazione appaltante ha
fatto decorrere i 35 giorni per la conclusione del contratto
dall’avvenuta comunicazione dell’aggiudicazione definitiva
ai sensi dell’art. 79, c. 5, lett. a), decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 anziché dal momento, successivo, in cui
l’aggiudicazione definitiva è divenuta efficace, a seguito
del controllo della documentazione dell’aggiudicatario, ex
art. 11, c. 10, del citato d.lgs. n 163 del 2006. A tale conclusione è giunta l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture sia nell’avviso 18 maggio 2011, n. 20 che nel parere 20 marzo 2014, n. 6. Quanto
alla seconda ragione posta a base della decadenza dall’aggiudicazione, il Tar non ritiene condivisibile l’assunto di parte ricorrente secondo cui al momento dell’adozione del
provvedimento impugnato non erano ancora decorsi i 60
giorni entro i quali i mezzi avrebbero dovuto essere messi a
disposizione, per non essere stata formalmente comunicata l’aggiudicazione definitiva divenuta efficace, comunicazione che rappresenta il dies a quo dal quale cominciano a
decorrere i 60 giorni. Afferma il Tribunale che l’art. 79, c. 5,
d.lgs. n. 163 del 2006 impone che l’aggiudicazione debba
essere comunicata “tempestivamente e comunque entro
un termine non superiore a cinque giorni” e quindi sicuramente prima del controllo della documentazione, adempimento questo assolto dalla Stazione appaltante.
VALORE GIURIDICO DEI CHIARIMENTI RESI DALLA
STAZIONE APPALTANTE
T.A.R. Liguria, sez. II, 29 agosto 2014, n. 1324 - Pres.
Caruso - Est. Goso
La risposta della stazione appaltante a una richiesta di
chiarimenti formulata da un concorrente costituisce
una sorta di interpretazione autentica, con cui l’Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale dapprima non perfettamente intelligibile, precisando
le previsioni della lex specialis.
Il concorrente ad una gara pubblica, collocatosi al secondo
posto in graduatoria, impugna l’aggiudicazione della gara
bandita dall’Autorità portuale della Spezia, viziata, a suo
avviso, sotto molteplici profili. Il Tar preliminarmente affronta la questione, sottoposta da parte ricorrente, di nullità
del mandato che l’Autorità portuale ha conferito ad un difensore del libero foro, pur essendo stata autorizzata ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato con
d.P.C.M. 4 dicembre 1997. Il Tar dichiara tale eccezione infondata. Afferma che le Autorità portuali, appartenenti alla
categoria degli enti pubblici non statali, possono avvalersi
del patrocinio facoltativo, nel cui ambito l’autorizzazione
rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente
a far insorgere l’obbligo di avvalersi esclusivamente del patrocinio erariale. L’attuazione del patrocinio facoltativo costituisce, infatti, una fattispecie complessa alla cui formazione concorrono la volontà dell’Amministrazione e il conseguente atto di autorizzazione. Deve quindi escludersi - in
mancanza di una espressa dichiarazione, della stessa Autorità, di voler beneficiare del patrocinio dell’Avvocatura dello
Stato - che, per effetto dell’intervenuta autorizzazione go-
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vernativa, l’Ente sia vincolato ad avvalersi in via organica
ed esclusiva del patrocinio erariale. Nel merito il Tar accoglie il ricorso, ritenendo fondato il motivo secondo cui illegittimamente gli elaborati del progetto esecutivo dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria erano stati sottoscritti solo
dal legale rappresentante dell’impresa, e non anche da un
professionista abilitato, come prescritto sia dall’art. 90, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 che dalla stazione
appaltante in risposta ad una richiesta di chiarimenti. Ricorda il Tar che la risposta della stazione appaltante ad una richiesta di chiarimenti formulata da un concorrente costituisce una sorta di interpretazione autentica, con cui l’Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale
dapprima non perfettamente intelligibile, precisando le previsioni della lex specialis
GIURISDIZIONE
ISTANZA DI DEFINIZIONE DI ACCORDO BONARIO SU
RISERVE ISCRITTE NEI REGISTRI DI CONTABILITÀ
T.A.R. Milano, sez. I, 18 settembre 2014, n. 2358 - Pres.
Mariuzzo - Est. Simeoli
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il silenzio opposto dall’amministrazione sull’istanza volta a promuovere la definizione di un accordo bonario sulle riserve iscritte nei registri di contabilità.
Una società aggiudicataria dei lavori appaltati da un’azienda ospedaliera per la ristrutturazione del Pronto Soccorso e
di n. 2 Piani di degenza, nel corso dell’esecuzione del predetto appalto, aveva iscritto nei registri contabili due riserve; la stazione appaltante non ha mai dato corso al procedimento previsto dall’art. 240, decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163 volto al raggiungimento dell’accordo bonario
per la definizione delle riserve iscritte in corso di appalto,
né all’epoca dell’iscrizione delle riserve nei registri contabili, né dopo la conferma delle riserve stesse nel verbale dello
stato di consistenza dei lavori, né, infine, successivamente
al collaudo. Avverso il silenzio opposto dall’amministrazione sull’istanza volta a promuovere la definizione di un accordo bonario sulle riserve iscritte nei registri di contabilità
è proposto ricorso al Tar Milano, che declina la propria giurisdizione. Premette che l’azione, ex art. 31 c.p.a., in tema
di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione, essendo
finalizzata alla condanna dell’amministrazione inadempiente all’adozione di un provvedimento esplicito, non costituisce un rimedio di carattere generale azionabile a fronte di
qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della stessa. Ed
invero, al fine di radicare la giurisdizione del giudice amministrativo, è necessario che venga dedotta la violazione di
una norma che regola un procedimento specificatamente
ordinato all’esercizio del potere autoritativo, per tale via risolvendosi nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo.
Ma non è questo il caso dell’istanza presentata dal ricorrente. Il procedimento finalizzato al raggiungimento di un
accordo bonario, disciplinato dall’art. 240, d.lgs. n. 163 del
2006, si inserisce nella fase di esecuzione del contratto in
corso tra le parti; in tale ambito, le relative controversie, in
quanto scaturenti dallo svolgimento del rapporto paritario
cui è preordinato lo scambio, sono espressamente riserva-
1101
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te alla cognizione del giudice civile. L’accordo bonario ha
natura di transazione sulle liti esecutive, con la conseguenza che il giudice amministrativo è privo di giurisdizione in
ordine al rapporto giuridico sottostante.
PARERE DI CONGRUITÀ SU PARCELLA DI AVVOCATO
T.A.R. Milano, sez. III, 11 settembre 2014, n. 2345 Pres. Leo - Est. Mameli
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la
controversia avente ad oggetto il parere di congruità
espresso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per la
liquidazione di onorari professionali.
Il Tar Milano afferma la propria giurisdizione nella controversia proposta avverso il parere di congruità espresso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per la liquidazione di onorari
professionali. Premette che, in relazione alle controversie
aventi ad oggetto i pareri di congruità sulle parcelle professionali, si sono registrati orientamenti contrastanti. Una parte della giurisprudenza del giudice amministrativo (Tar Veneto, sez. I, 31 gennaio 2013, n. 113; Id. 5 dicembre 2011, n.
1801; Tar Napoli, sez. VIII, 24 giugno 2009, n. 3496) afferma
la giurisdizione del giudice ordinario; altra parte, maggioritaria, della giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre
2013, n. 4942; Tar Veneto, sez. I, 13 febbraio 2014, n. 183;
Id. 1 agosto 2014, n. 1110; Tar Milano, sez. III, 10 aprile
2012, n. 1047) - alla quale il Tar Milano aderisce - ritiene invece che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo.
A questa seconda conclusione la giurisprudenza perviene in
considerazione della natura di ente pubblico non economico
del medesimo Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e del carattere del parere di congruità sulle parcelle professionali: esso, infatti, si configura quale atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo, emesso nell’esercizio di poteri
autoritativi, che non si esaurisce in una mera certificazione
della rispondenza del credito alla tariffa professionale ma implica la valutazione di congruità del quantum (Cass.civ., sez.
un., 12 marzo 2008, n. 6534; Id. 27 gennaio 2009, n. 1874;
Id. 24 giugno 2009, n. 14812).
PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO
MOTIVAZIONE DEGLI ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE
T.A.R. Lazio, sez. I, 8 settembre 2014, n. 9505 - Pres. ff.
Sestini - Est. Bottiglieri
Anche gli atti di alta amministrazione devono essere
motivati.
E’ impugnata dinanzi al Tar Lazio l’esclusione dalla procedura di selezione pubblica per l’individuazione dei componenti
e del coordinatore dell’Unità tecnica finanza di progetto, indetta dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il ricorrente deduce l’illegittimità della propria esclusione innanzitutto per carenza di motivazione. Il
Tar accoglie il ricorso. Ricorda che ai sensi dell'art. 3, c. 2,
legge 7 agosto 1990, n. 241, che introduce un’espressa eccezione alla necessità della motivazione per i soli atti normativi e per quelli a contenuto generale, la motivazione è requisito indispensabile di ogni atto amministrativo, ivi compresi
quelli consistenti in manifestazioni di giudizio interni a proce-
1102
dimenti concorsuali o para-concorsuali, nell’ambito dei quali,
anzi, la motivazione svolge un precipuo ruolo pregnante,
quale fattore di esternazione dell’iter logico delle determinazioni assunte dalle commissioni esaminatrici in esercizio dell’amplissima discrezionalità loro riconosciuta, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa in giudizio. Tale conclusione non
muta in considerazione della valenza fiduciaria della selezione da cui il ricorrente è stato escluso e della natura di atto di
alta amministrazione delle nomine finali, essendo escluso
dal sistema, dopo l'entrata in vigore della l. n. 241 del 1990,
ogni spazio per la categoria dei provvedimenti amministrativi
c.d. a motivo libero. (chiedere a Ferrari di controllare: che
c’entra l’Ircss con l’Unità tecnica finanza di progetto? Si discute di un’esclusione dalla procedura o di una nomina?)
PUBBLICA ISTRUZIONE
RIDUZIONE DELLA DURATA DEL CORSO DI STUDI DI
ALCUNE SCUOLE SUPERIORI
T.A.R. Lazio, sez. III bis, 16 settembre 2014, n. 9694 Pres. (ff.) - Est. Biancofiore
È illegittimo il decreto del Ministero dell’istruzione che,
senza la previa acquisizione del parere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione e senza una specifica
motivazione, riduce di un anno il corso di studi in talune scuole.
Un’organizzazione sindacale impugna i decreti con i quali il
Ministero dell’istruzione ha disposto l’avvio di una sperimentazione consistente, in talune scuole nominativamente indicate, nella riduzione di un anno del percorso formativo necessario per ottenere il titolo avente valore legale normalmente conseguito in tutte le altre scuole con la frequentazione di un corso di studi comprendente una ulteriore annualità.
L’adito Tar accoglie il ricorso. Afferma che nelle premesse
dei decreti impugnati - unitamente al d.P.R. n. 89 del 15
marzo 2010, concernente la revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei Licei e al d.P.R. n. 275
dell’8 marzo 2009, relativo all’autonomia scolastica - è richiamata la Priorità n. 5, punto c), dell’Atto di Indirizzo del Ministro dell’istruzione in data 4 febbraio 2013. Il citato Atto di Indirizzo prevede: «c) Adeguare la durata dei percorsi di istruzione agli standard europei. Occorre superare la maggiore
durata del corso di studi in Italia procedendo alla relativa riduzione di un anno in connessione anche alla destinazione
delle maggiori risorse disponibili per il miglioramento della
qualità e della quantità dell’offerta formativa, ampliando anche i servizi di istruzione e formazione». Tale Priorità appare,
ad avviso del Tar, completamente sganciata da essi, per non
dire sconnessa sotto il profilo motivazionale, perché in assenza del parere del C.N.P.I., che coniughi l’autonomia delle
istituzioni scolastiche e la loro modifica ordinamentale con i
bisogni del territorio, l’adeguamento agli standard europei
appare costituire piuttosto una motivazione superficiale ed
insufficiente a giustificare l’abbreviazione di un anno. Quest’ultima poi, in assenza di una chiara specificazione circa il
valore legale del titolo di studio conseguibile al termine del
quadriennio di sperimentazione ed anche in assenza di ogni
indicazione circa la sua spendibilità nel mondo del lavoro o
per il prosieguo degli studi universitari, finisce per generare
una sperequazione tra coloro che seguono il corso ridotto e
coloro che, invece, effettuano il corso di studi quinquennale.
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Tribunali amministrativi regionali
PUBBLICO IMPIEGO
DINIEGO DI ASSUNZIONE PER FATTI PENALI
T.A.R. Lazio, sez. II, 19 agosto 2014, n. 9105 - Pres. Taglienti - Est. Loria
È illegittimo il diniego di stipula di un contratto di lavoro con il vincitore del concorso a posti di vigile del fuoco per la pendenza di un procedimento penale ove tale
situazione non sia stata individuata come ostativa dal
bando di concorso.
E’ impugnato dinanzi al Tar Lazio il provvedimento con il
quale il Ministero dell’interno comunica al vincitore di un
concorso a posti di vigile del fuoco di non procedere alla
stipula del contratto individuale di lavoro in quanto, dagli
accertamenti disposti d’ufficio al fine di verificare il possesso delle qualità morali e di condotta di cui all’art. 41, decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, è emerso che l’interessato si è reso responsabile del reato di emissione di assegno senza provvista, reato ritenuto ostativo all’instaurazione del rapporto di lavoro con l’Amministrazione. L’adito Tribunale accoglie il ricorso, ritenendo fondato il motivo relativo alla violazione del bando di concorso. L’art. 2 della lex
specialis della procedura concorsuale prescriveva, infatti,
che i candidati dovessero essere in possesso di determinati
requisiti tra cui, in particolare, il non avere riportato condanne passate in giudicato per delitti contro la personalità
dello Stato, fatta eccezione di alcuni espressamente individuati. Nella specie però non si è realizzata la condizione
prevista dal bando atteso che, né al momento della conclusione della procedura né, tanto meno, a quello di adozione
del provvedimento impugnato il ricorrente era stato condannato, né vi erano condanne passate in giudicato nei
suoi riguardi. Il procedimento penale per il reato, successivamente depenalizzato, di emissione di assegno senza
provvista si è infatti estinto con il pagamento dell’oblazione
ancora prima dell’adozione del provvedimento impugnato.
A tale assorbente rilievo il Tar aggiunge che il possesso
delle qualità morali e di condotta di cui all’art. 41, d.lgs. n.
29 del 1993 non è mai stato espressamente disciplinato né
era indicato nel bando di concorso in questione.
SANITÀ
AUTORIZZAZIONE ALL’APERTURA DI STUDIO
ODONTOIATRICO
T.A.R. Lazio, sez. III quater, 21 luglio 2014, n. 7784 Pres. Riggio - Est. Ferrari
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L’attività di odontoiatra svolta, in regime privatistico,
presso uno studio dentistico non necessita di autorizzazione se è espletata senza procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino
un rischio per la sicurezza del paziente.
Un dentista impugna dinanzi al Tar Lazio la diffida, inoltrata
dalla Regione Lazio, a cessare l’attività sanitaria presso un
ambulatorio odontoiatrico perché intrapresa senza autorizzazione. Il Tar accoglie il ricorso. Afferma che l'autorizzazione è necessaria soltanto in presenza di attività medica che
comporti un rischio per la sicurezza del paziente (Cass. civ.,
sez. II, 30 aprile 2013, n. 10207). In questo senso dispone
l’art. 8-ter, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 in
tema di riordino della disciplina in materia sanitaria, aggiunto dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, che
al comma 2 prevede espressamente che «l'autorizzazione
all'esercizio di attività sanitarie è, altresì, richiesta per gli
studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie,
ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di
particolare complessità o che comportino un rischio per la
sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4,
nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività
diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi». Né risulta di ostacolo a tale conclusione la previsione contenuta
nell’art. 193, t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, secondo cui «nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case
o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica,
gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento
diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale
autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver
sentito il parere del consiglio provinciale di sanità». Ad avviso del Tar tale norma, di carattere generale, deve essere
letta congiuntamente con la disposizione speciale dettata
dall’art. 8-ter, d.lgs. n. 502 del 1992 per gli studi odontoiatrici che non prestano attività diagnostica rischiosa. Ne
consegue che l’autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie di cui al citato art. 193 è richiesta per gli studi odontoiatrici (ed in genere, di medici e di altre professioni sanitarie)
ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di
particolare complessità o che comportino un rischio per la
salute del paziente. Gli studi odontoiatrici, all'interno dei
quali si svolgono prestazioni del tipo di quelle sopra indicate, possono, dunque, concretamente operare solo se muniti di specifica autorizzazione, la cui necessità è prevista da
una vigente legge dello Stato per le esigenze di controllo
appena evidenziate. Per tutti gli altri, quindi, tale autorizzazione non è necessaria (Tar Lazio, sez. I bis, 19 settembre
2011, n. 7358).
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Corte dei conti
Osservatorio della Corte
dei conti
a cura di Laura D’Ambrosio e Francesco Battini
CONTROLLI
GLI ANDAMENTI DELLA FINANZA TERRITORIALE
Corte dei conti, sezione delle Autonomie, deliberazione
11 luglio 2014, 20/2014/SEZAUT/FRG
Con riferimento agli andamenti delle entrate degli enti
territoriali, la Sezione rileva che la sostanziale tenuta
delle entrate sia per i comuni che per le province è da
attribuire ad un aumento dei trasferimenti più che all'andamento, pur favorevole, delle entrate proprie. La
spesa corrente delle province si riduce, mentre aumenta quella dei comuni, ciò che dimostra che le misure legislative di contenimento della spesa non riescono ad
incidere in maniera stabile.
La spesa corrente delle regioni e province autonome registra un andamento crescente nel triennio.
La spesa media del personale in alcune regioni, a fronte
di una riduzione delle risorse umane, non si riduce confermando che gli enti distribuiscono le medesime risorse, benché su una platea di voci in diminuzione. I trasferimenti per la spesa sanitaria registrano una sostanziale
stabilità.
Per il 2014 la Sezione delle autonomie della Corte dei conti
ha stabilito di riunire in un unico referto i dati riguardanti
gli enti locali e le regioni, presentando preliminarmente i
dati di cassa, e prevedendo di analizzare i dati di competenza nel successivo referto programmato in autunno. L’orizzonte di riferimento sono le annualità 2011-2012-2013;
nella relazione vengono utilizzati prevalentemente i dati reperibili dal Siope, che registra i flussi di cassa degli enti territoriali, e dal Sico, il sistema informativo che raccoglie le
informazioni relative alla spesa di personale.
Il quadro che emerge dalle analisi risulta fortemente influenzato dall’immissione di liquidità avviata dal d.l. n.
35/2013 e proseguita dai dd.ll. nn. 102/2013 e n. 66/2014,
con la quale il Governo ha cercato di imprimere una accelerazione dei pagamenti dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche maturati alla data del 31 dicembre
2012, rendendo disponibili agli enti territoriali maggiori risorse per un totale di complessivi 23,7 miliardi di euro nell’anno 2013 e 24,7 miliardi di euro per il 2014.
Le intervenute misure di alleggerimento dei vincoli del patto di stabilità interno sono state interamente utilizzate da
regioni e province ma non dai comuni, i quali hanno usufruito degli spazi finanziari in misura inferiore al previsto.
Per le province, i trasferimenti nel 2013 aumentano
dell’11,21% compensando la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio. Anche le entrate proprie crescono del
3%. Le province presentano una strutturale carenza di liquidità, a cui si fa fronte con le anticipazioni di tesoreria.
Anche i comuni registrano una tenuta delle entrate tra il
2012 e il 2013 (+0,64%) che, tuttavia, risente della riduzio-
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ne delle entrate proprie, dovuta alla abolizione dell’Imu sulla prima casa, compensata da un aumento dei trasferimenti.
Sul piano della spesa, il comparto regioni e province autonome fa registrare movimenti di cassa in uscita con ritmo
crescente (201,2 miliardi di euro nel 2011, 208,1 miliardi
nel 2012 e 256,1 miliardi nel 2013). I maggiori importi sono
imputabili a spesa corrente (141,7 miliardi di euro nel
2011, circa 142 miliardi nel 2012, e 144,7 miliardi nel
2013), la metà della quale è assorbita da cinque enti regionali (Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia e Piemonte). Si
registra anche una positiva inversione di tendenza della
spesa in conto capitale che nel 2013 torna a crescere rispetto agli anni precedenti.
A differenza delle province, per le quali la spesa corrente
flette del 4,96%, includendo la flessione delle spese per il
personale e per la prestazione di servizi, nei comuni la stessa cresce dell’8,2% anche se quale risultante della diminuzione della spesa per il personale (-2,98%) e dell’incremento della spesa per l’acquisto di beni (0,33%) e per la prestazione di servizi (12,03%). Il fenomeno è ben noto ai commentatori, poiché il blocco del turn over e i vincoli alle assunzioni impongono frequentemente agli enti di utilizzare
risorse umane esterne con conseguente aumento della
spesa per acquisto di servizi.
La legislazione di riduzione della spesa non riesce ancora
ad avere un’incidenza strutturale e stabile.
Relativamente alla spesa di personale del comparto regioni
e autonomie locali, dalla rilevazione Sico emerge che il
comparto, complessivamente, occupa circa 550.000 dipendenti. La spesa totale dell’intero comparto ammonta a circa 15 miliardi di euro.
L’impatto della spesa di personale sul complesso della spesa corrente si evidenzia dall’analisi dei pagamenti registrati
in Siope, da cui si evince, per il 2013, un valore del 16,27%
per le regioni e le province autonome (ove il totale del Titolo I è stato depurato della spesa sanitaria), del 28,86% per i
comuni e del 27,23% per le province.
Ai fini dell’analisi del costo del personale, altro indicatore
significativo, indipendente dal numero dei soggetti, è costituito dalla spesa media che, in presenza dei noti vincoli/blocchi stipendiali, dovrebbe rimanere stabile. Se ne rileva,
invece, la tendenza incrementale in talune realtà regionali e
locali caratterizzate dalla sensibile contrazione della consistenza del personale dirigente; il che appare sintomatico
della reiterata prassi di ripartire le risorse del trattamento
accessorio tra i dirigenti rimasti in servizio, in contrasto
con il disposto dell’art. 9, c. 2-bis, d.l. n. 78/2010. Ciò potrebbe significare che la riduzione di personale, in alcuni
casi, non comporta risparmi, ma, al contrario, aumenti della spesa.
I trasferimenti per la spesa sanitaria sono stabili nel triennio
dove, sulla base delle analisi, i trasferimenti derivanti dal
decreto n. 35 non sembrano aver influenzato il livello della
spesa. Dall’analisi comunque emerge un aumento della
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spesa corrente che non trova riscontro nei dati nazionali riportati nel Def. Il problema potrebbe derivare dalla diversa
contabilizzazione di alcune poste, in particolare i pagamenti in conto residui.
LA GESTIONE DEL PATRIMONIO DELLO STATO
Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, delibera 6 giugno 2014. Decisione e relazione sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2013
La relazione della Corte certifica che i 1.778,5 miliardi
cui ammonta il debito pubblico a fine 2013 corrispondono al 132,6% del Pil, con un aumento (5,6%) minore di
quelli del precedente biennio. Registra una positiva tendenza della relativa gestione a recuperare, nell'anno,
condizioni di normalità, con la ripresa di emissioni a
lunga scadenza e ritorno degli investitori, domestici ed
esteri. Per le 46 società direttamente partecipate dallo
Stato, delle quali solo 4 quotate, la consistenza iscritta
nel conto del patrimonio è pari a 77,1 miliardi, con un
complessivo incremento nonostante le perdite verificatesi per alcune gestioni, tra le quali quelle della Finmeccanica spa e della Rai. Il susseguirsi delle norme finalizzate alla diminuzione della spesa pubblica per locazioni
passive di immobili ha concentrato nell'Agenzia del demanio compiti di razionalizzazione degli spazi, per effetto dei quali la minore spesa del 2013 si è quantificata
in 12 milioni di euro.
1. Nell'ambito del primo volume dei tre - con l'aggiunta di
due appendici - dei quali si compone la Relazione della
Corte sul rendiconto del 2013, il capitolo n. 5 è dedicato alla gestione del patrimonio e riferisce al Parlamento, tra l'altro, sulle passività finanziarie, per circa due terzi costituite
dal debito pubblico, sulle partecipazioni azionarie dello Stato e sulla gestione degli immobili statali da parte dell'Agenzia del demanio.
Al termine del 2013, le passività finanziarie ammontavano
a 2.561 miliardi, dei quali 1.778,5 costituivano il debito
pubblico, composto dal debito fluttuante, nonché da BTP,
CCT, prestiti esteri ed altri prestiti del debito redimibile.
Sulla base dei computi comunitari, il debito italiano ha rappresentato il 132,6 per cento del Pil, con un aumento del
5,6 per cento sul 2012, dopo i maggiori tassi di crescita del
biennio perecedente (11,9 e 13,3 per cento, rispettivamente). La gestione del debito, ad avviso della Corte, si è positivamente mossa nel 2013 verso il recupero di condizioni improntate a normalità, dopo le negative vicende dell'anno
precedente. La fase iniziale, influenzata dalla riduzione dei
tassi, anche in connessione con meccanismi di sostegno finanziario, ha consentito di puntare nuovamente alla emissione di titoli a scadenza più lunga, pur in un contesto ancora segnato dalla riduzione di vita media del debito. Contrassegnata da maggiori difficoltà è stata invece la seconda
parte dell'anno, sul finire del quale il differenziale di tassi
con i bund tedeschi si è però ricollocato a livelli antecedenti
la crisi del 2010 e sono anche ripresi gli scambi sul mercato secondario, anche in considerazione del ritorno di investitori stranieri.
La gestione del Tesoro è stata in tali condizioni caratterizzata dalla regolarità nonché dalla prevedibilità delle scelte
compiute, nel perseguimento degli obiettivi primari di contenimento sia del costo del debito e sia dell’esposizione ai
principali rischi di mercato. Si è altresì verificata la ripresa
delle emissioni delle tipologie di titoli nel passato recente
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più penalizzate, come i titoli nominali a più lungo termine,
quelli indicizzati all’inflazione europea e quelli a tasso variabile.
Per il mercato domestico a breve termine, sono stati assegnati 218.336 milioni di BOT, con una diminuzione
(-10,3%) rispetto al 2012, mentre, per quanto concerne i titoli a medio-lungo termine, le più favorevoli condizioni del
mercato hanno determinato, oltre che la ripresa di interesse degli investitori, sia domestici che esteri, la possibilità
del Tesoro di rinunciare ad alcune aste programmate per la
fine dell’anno.
Come negli anni precedenti, sono state effettuate operazioni di concambio e altre operazioni a riduzione del debito, e
sono state utilizzate, per un ammontare nominale di 8,45
miliardi, le disponibilità del Fondo ammortamento dei titoli
di Stato per effettuare operazioni di riacquisto sul mercato
secondario ovvero di rimborso.
Quanto agli obiettivi programmatici in tema di riduzione
del debito, la relazione della Corte sottolinea che, a partire
da gennaio 2014, è stata avviata la messa sul mercato del
40 per cento di Poste Italiane s.p.a. e del 49 per cento di
Enav, con una stima di incasso che oscilla tra il 4 e i 6 miliardi di euro; ma anche che le raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia del 5 giugno u.s., auspicano in tema di
riduzione del debito pubblico di portare a compimento
“l’ambizioso piano di privatizzazione”, che, al momento, “rimane in gran parte imprecisato”.
2. La consistenza a fine 2013 delle partecipazioni al capitale di società detenute da amministrazioni statali registra un
aumento di circa 6 miliardi rispetto al 2012 ed è computata
in 77,1 miliardi, dei quali oltre 61 rappresentati da azioni
non quotate.
Premesso che al Conto del patrimonio sono allegate schede informative che per ogni società individuano gli elementi più significativi, la Corte enumera 46 società partecipate,
gran parte delle quali è assoggettata al controllo della Corte stessa ex-lege n. 259 del 1958.
Situazioni particolari riguardano Alitalia s.p.a., in amministrazione straordinaria, che risultava iscritta nel 2012 con
una posta simbolica di 1 euro e che nel 2013 è iscritta invece per 1,27 miliardi, nonché le tre società cedute alla Cassa
depositi e prestiti (Sace, Fintecna e Simest), le prime due
non iscritte e la terza con consistenza azzerata.
Le società quotate sono partecipate dal solo Ministero dell’economia e delle finanze e sono: Eni s.p.a. (partecipata al
4,34 per cento), Enel s.p.a. (partecipata al 31,24 per cento),
Finmeccanica s.p.a. (partecipata al 30,20 per cento); Stmicroelectronics Holding N.V. (partecipata al 50 per cento).
Movimentazioni in diminuzione del patrimonio netto si registrano per alcune società non quotate: in perdita risultano
Cinecittà Luce s.p.a. (50,6 milioni), la STMicroelectronics
holding (254,9), la Finmeccanica s.p.a. (700 milioni), l’Expo
2015 s.p.a. (2,4 milioni), la RAI (245,7) e Lam.For in liquidazione (160 mila).
Molte delle società direttamente partecipate dallo Stato a
loro volta partecipano al capitale di altre società, il cui numero complessivo è diminuito per effetto del passaggio a
Cassa depositi e prestiti di Simest, che aveva partecipazioni in 257 società di secondo livello.
3. A decorrere dal 2011, la legge finanziaria del 2010 (art.
2, c. 222) ha affidato all’Agenzia del demanio, cui già competeva la gestione degli immobili di proprietà dello Stato,
anche funzioni di razionalizzazione degli spazi occupati da
pubbliche amministrazioni. In particolare, l’Agenzia ha
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esercitato fino al 2011 la titolarità dell’intero procedimento
delle locazioni passive, con lo status di conduttore unico e
responsabile del coordinamento e del monitoraggio della
spesa per gli interventi manutentivi. Per effetto, tuttavia,
delle correzioni apportate dall’art. 27, c. 4, del d.l. n. 201
del 2011, l’Agenzia, in luogo di stipulare tutti i contratti di
locazione, deve rilasciare un nulla-osta alla stipula, in assenza del quale il contratto è nullo.
Sono successivamente intervenute, in materia, le disposizioni del d.l. n. 95 del 2012, con la sospensione dell’aggiornamento Istat del canone dovuto dalle amministrazioni per
gli anni 2012/2014, la riduzione del 15 per cento del canone di locazione per gli immobili in uso istituzionale, più
stringenti condizioni per i rinnovi, la verifica da parte dell’Agenzia del demanio della possibilità di utilizzo di immobili
di proprietà di enti pubblici non territoriali.
L’art. 1, c. 138 della legge n. 228 del 2012 - la cui interpretazione autentica è stata poi dettata dal d.l. n. 35 del 2013
(legge n. 64) - ha vietato a tutte le amministrazioni pubbliche di acquistare immobili a titolo oneroso nel 2013 e di
stipulare contratti di locazione passiva, salvo il caso di rinnovi ed altre ipotesi particolari.
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La normativa di cui trattasi è stata infine presa in considerazione dalla legge di stabilità 2014, il cui art. 1, commi
388 e 389, obbliga le amministrazioni pubbliche a scegliere, nell’individuazione degli immobili da assumere in locazione passiva, le soluzioni economicamente più vantaggiose, valutando anche la possibilità di decentrare gli uffici. Le
stesse amministrazioni devono, inoltre, comunicare i costi
delle locazioni alla Agenzia del demanio, che, su tale base,
individua gli indicatori di performance (costo d’uso per addetto) cui le amministrazioni devono uniformarsi entro due
anni. L’Agenzia autorizza il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell’applicazione di prezzi medi di mercato,
soltanto a condizione che non sussistano immobili demaniali disponibili; i contratti stipulati in violazione della norma
sono nulli.
Nel 2013, ad avviso della Corte, l’attività di razionalizzazione degli spazi ha comportato un risparmio per oneri da locazione passiva di circa 12,8 milioni di euro. Altra leva per
la riduzione delle locazioni passive è costituita dallo strumento contrattuale della permuta, utilizzato nel 2013 in cinque casi.
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Osservatorio
Autorità indipendenti
Osservatorio dell'Autorità
nazionale anticorruzione
a cura di Domenico Galli e Claudio Guccione
CONTRATTI PUBBLICI
APPLICAZIONE DELL’ART. 38, C. 1, LETT. B), DEL D.LGS.
N. 163/2006 DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL D.LGS.
N. 159/2011 (CODICE ANTIMAFIA)
Autorità nazionale anticorruzione - Determinazione 2
settembre 2014, n. 2
Con la determinazione di cui sopra, l’Autorità Nazionale
Anticorruzione ha fornito alcuni chiarimenti di natura
interpretativa sulle modalità di verifica dei requisiti di
ordine generale da parte delle Società Organismo di Attestazione (SOA), con particolare riferimento alla verifica della sussistenza di procedimenti pendenti per l’applicazione di una misura di prevenzione (art. 38, c. 1,
lett. b), d.lgs. n. 163 del 2006).
Il codice antimafia ha sostituito tutta la previgente disciplina relativa alla tipologia ed agli effetti delle misure di prevenzione (art. 3 l. n. 1423/1956 ed art. 10 l. n. 575 /1965),
con la conseguenza che il rinvio a tali disposizioni contenuto nell’art. 38, c. 1, lett. b), del d.lgs. n. 163 del 2006 deve
intendersi sostituito dal rinvio alle nuove disposizioni in materia (artt. 6 e 67 del d.lgs. n. 159/2011). Il che, però, ha
creato alcune criticità in ragione della non completa sovrapponibilità della nuova disciplina antimafia rispetto alle
disposizioni previgenti.
Secondo l’Autorità: (i) la verifica circa l’assenza delle cause
ostative antimafia ex art. 38, c. 1, lett. b), del Codice dei
contratti deve essere effettuata, non solo nei confronti dei
soggetti posti in rilievo dalla norma (titolare o direttore tecnico se si tratta di impresa individuale, soci o direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, soci accomandatari o direttore tecnico se si tratta di società in accomandita
semplice, amministratori muniti di poteri di rappresentanza,
direttore tecnico, socio unico persona fisica, ovvero socio di
maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se
si tratta di altro tipo di società), ma anche nei confronti dei
soggetti indicati dal Codice antimafia (art. 85, c. 2-bis),
quale ulteriore garanzia dell’affidabilità morale dell’impresa
che intende ottenere l’attestato di qualificazione (si tratta,
in particolare, dei membri del collegio sindacale, ovvero, nel
caso si tratti di società a responsabilità limitata, del sindaco
unico); (ii) ai sensi del combinato disposto dell’art. 38, c. 1,
lett. b) del Codice dei contratti con l’art. 67 del Codice antimafia, il divieto contemplato nello stesso art. 38, c. 1, lett.
b) in relazione al rilascio dell’attestato di qualificazione,
opera - non più sulla base della mera pendenza del procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione ma sulla base di un provvedimento espresso del giudice
con il quale sia disposta in via provvisoria l’operatività del
divieto stesso durante il procedimento per l’applicazione
delle misure di prevenzione; (iii) è possibile procedere all’emissione dell’attestato di qualificazione ove siano decorsi
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
infruttuosamente i termini per il rilascio della comunicazione antimafia, fatta salva la facoltà di procedere alla revoca
del predetto documento ex art. 40, c. 9-ter del Codice dei
contratti in caso di successiva documentazione antimafia
dalla quale emerga, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause di decadenza di cui all’art. 67 del Codice
antimafia.
PROBLEMATICHE SULL’USO DELLA CAUZIONE
75 E 113 DEL CODICE)
PROVVISORIA E DEFINITIVA (ARTT.
Autorità nazionale anticorruzione - Determinazione 29
luglio 2014, n. 1
L’Autorità nazionale anticorruzione, con la determinazione n. 1 del 2014, ha fornito alcune indicazioni operative per il superamento di alcune criticità riscontrate in
ordine all’applicazione della disciplina delle cauzioni
nella fase di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici e nella fase di esecuzione delle
relative prestazioni (artt. 75 e 113 del Codice appalti).
L’Autorità si è soffermata, in primo luogo, su alcune problematiche riscontrate in relazione all’applicabilità della disciplina delle garanzie ai settori speciali ed alle conseguenze che ne derivano.
In merito a tale aspetto, l’Autorità ha chiarito preliminarmente che le disposizioni in tema di cauzioni negli appalti
pubblici (art. 75 del Codice appalti - cd. “cauzione provvisoria”, art. 113 del Codice appalti - cd. “cauzione definitiva”) non sono direttamente applicabili ai settori speciali. Infatti, l’art. 206 del Codice appalti, che effettua una puntuale
ricognizione delle norme applicabili a tali settori, non indica
gli artt. 75 e 113 del Codice medesimo tra le norme di diretta applicazione ai settori speciali.
Ne discende che con la lex specialis la stazione appaltante
possa discrezionalmente richiedere al concorrente la cauzione provvisoria e/o quella definitiva. E ciò ferma restando
la necessità di rispettare i principi generali stabiliti dall’art.
2 del Codice appalti, nonché quanto precisato dagli artt. 75
e 113, affinché le stazioni appaltanti nei settori speciali non
dettino regole “più severe e più stringenti” rispetto a quanto previsto per settori ordinari e non limitino, di fatto, la
possibilità per le imprese di partecipare alla gara.
Tuttavia, nei bandi di gara nei settori speciali accade spesso che le stazioni appaltanti richiedono requisiti che potrebbero produrre discriminazioni tra i concorrenti impedendo ad alcuni di partecipare alla gara. Le maggiori criticità rilevate riguardano l’ipotesi in cui la garanzia venga rilasciata da soggetti terzi (espressamente abilitati al rilascio di
tale tipologia di garanzia) sotto forma di fideiussione. Si
tratta, in particolare: (a) della limitazione della scelta dei
soggetti garanti alle sole banche o assicurazioni, escludendo dal novero dei possibili fideiussori gli intermediari finanziari iscritti negli appositi albi tenuti dalla Banca d’Italia (art.
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107 del d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, Tub); (b) della limitazione della scelta dei soggetti garanti a coloro che posseggono determinati livelli di rating, come assegnati dalle
principali agenzie internazionali.
Quanto al profilo sub (a), secondo l’Autorità, l’affidabilità
degli intermediari finanziari è di per sé assicurata dagli
stringenti controlli (sull’adeguatezza patrimoniale, sul contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, sull’organizzazione amministrativa e contabile, ecc…) che la
Banca d’Italia deve compiere per consentire l’iscrizione nel
relativo albo di cui all’art. 107 del d.lgs. 1 settembre 1993
n. 385 e che il Ministero dell’economia e delle finanze deve
svolgere per autorizzare i soggetti iscritti al rilascio di garanzie. Pertanto, è illegittimo escludere tali soggetti dal novero dei possibili garanti. Le stazioni appaltati, per porsi al
riparo da eventuali rischi, possono richiedere, nel caso di ricorso ad intermediari finanziari, che il modulo di fideiussione contenga gli estremi dell’iscrizione all’albo tenuto dalla
Banca d’Italia nonché dell’autorizzazione ministeriale al rilascio di garanzie.
Quanto al profilo sub (b), l’Autorità ha precisato che è contrario ai principi di cui all’art. 2 del Codice appalti che una
stazione appaltante, ritenendo di essere maggiormente garantita sul livello del patrimonio di un’impresa o di una banca e sul di correttezza ed affidabilità della stessa, richieda
un “rating”, come assegnati dalle principali agenzie internazionali (Fitch, Standard & Poor’s o Moody’s Investor Service), superiore ad un determinato livello. Tale richiesta, infatti, introduce restrizioni non previste dal Codice, le quali
non sono neppure correlate e proporzionate con gli obiettivi che si intende perseguire.
Infatti, se è comprensibile la ragione per cui una stazione
appaltante possa operare tale richiesta (ottenere un elemento “tranquillizzante” sul livello del patrimonio di un’impresa), resta il fatto che lo strumento del “rating” non è
sufficiente a garantire la solvibilità di un determinato soggetto. E ciò in quanto alcuni possibili fideiussori, anche se
in possesso di margini di solvibilità elevati, non sempre
hanno un “rating”, in quanto non procedono al collocamento dei propri titoli sul mercato e comunque, come confermano anche i pareri espressi dalla Banca d’Italia e dall’ABI, non sempre il “rating” è un indice certo di riferimento
per determinare i requisiti patrimoniali di un determinato
soggetto.
Infine, l’Autorità si è espressa in merito alle ulteriori criticità
riscontrate, principalmente da imprese di assicurazione, in
relazione alla possibile qualificazione giuridica della cauzione, ove rilasciata sotto forma di fideiussione.
Le imprese di assicurazione, infatti, contestano la previsione di richiedere che le garanzie siano prestate nella forma
del “contratto autonomo di garanzia”, ossia nei termini di
garanzia da escutersi a prima richiesta e senza alcuna eccezione eccezioni.
L’Autorità ha chiarito che la richiesta di rilascio di garanzie
dal contenuto di “contratto autonomo di garanzia” è perfettamente compatibile con quanto previsto in materia dal
Codice appalti, il quale specifica che le garanzia devono
prevedere (i) la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale; (ii) la rinuncia, all’eccezione di
cui all’art. 1957, c. 2, c.c. (eccezione di intervenuta scadenza della fideiussione); (iii) l’operatività della garanzia medesima entro quindici giorni, a semplice richiesta scritta della
stazione appaltante.
In questo modo, il Codice ha inteso attribuire alla cauzione
la forma di garanzia autonoma che, a differenza della fi-
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deiussione, è priva del vincolo dell’accessorietà rispetto al
contratto principale e che tutela pienamente l’interesse
pubblico e l’esigenza delle stazioni appaltanti ad ottenere
l’integrale soddisfacimento del proprio interesse economico, danneggiato dall’inadempimento dell’appaltatore all’obbligo di stipula del contratto (cauzione provvisoria) o di
corretta ed integrale esecuzione della prestazione affidata
(cauzione definitiva).
PROCEDURE DI CONCORDATO PREVENTIVO CON
“CONTINUITÀ AZIENDALE”
Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi
A.NAC.) - Determinazione 23 aprile 2014, n. 3
L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi
A.NAC.), con la determinazione n. 3 del 2014 ha fornito
alle SOA alcune indicazioni in merito al controllo dei requisiti di ordine generale. Ciò con particolare riferimento alla possibilità di ottenere la qualificazione per gli
operatori economici in concordato preventivo con “continuità aziendale”.
L’Autorità ha chiarito che, la richiesta di ammissione alle
procedure di concordato preventivo con “continuità aziendale” (art. 186-bis della legge fallimentare), così come l’ammissione dell’impresa a tale procedura, non ha alcun effetto ai fini dell’ottenimento dell’attestazione SOA. In tale ipotesi, infatti, non viene meno il requisito di ordine generale
di cui all’art. 38, c. 1, lett. a), del Codice appalti (come modificato dall’art. 33, del d.l. n. 83/2012, convertito con modifiche dalla l. n. 134/2012).
Per la partecipazione alla gara, infatti, (i) le imprese che
abbiano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo con “continuità aziendale” possono partecipare previa autorizzazione del Tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (in mancanza
di nomina provvede il Tribunale - art. 186-bis, c. 4, della
legge fallimentare); (ii) le imprese già ammesse a tale procedura possono partecipare presentando in sede di gara
(art. 186-bis, c. 5, della legge fallimentare): (a) una relazione di un professionista che attesti la ragionevole capacità
dell’impresa ad adempiere al piano concordatario; (b) una
dichiarazione di impegno, da parte di altro operatore in
possesso dei necessari requisiti, a mettere a disposizione,
per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa in concordato nel caso in cui questa fallisca in corso di gara o di esecuzione.
Per quanto attiene, invece, all’attestazione di qualificazione, le SOA, nell’ipotesi di presentazione della domanda di
ammissione al concordato preventivo “con continuità aziendale” non devono dichiarare la decadenza dell’attestazione
di qualificazione e possono comunque procedere alla verifica triennale, al rinnovo (per le imprese attestate) ed al rilascio dell’attestazione di qualificazione (per le imprese non
attestate). L’attestato di qualificazione, infatti, è in tali ipotesi un vero e proprio requisito per ottenere l’autorizzazione
del Tribunale alla partecipazione alla gara. L’Autorità specifica, inoltre, che resta fermo l’obbligo della SOA di monitorare lo svolgimento della procedura concorsuale e di verificare l’intervenuta ammissione al concordato preventivo
con “continuità aziendale”. In caso di rigetto dell’istanza di
ammissione la SOA dovrà disporre la decadenza dell’attestazione.
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Autorità indipendenti
APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO STAND STILL E LIMITI
Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi
A.NAC.) - Parere sulla normativa n. 6 del 20 marzo 2014
L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi
A.NAC.) si è soffermata sulla decorrenza del termine dilatorio di trentacinque giorni (c.d. stand still) in pendenza del quale non è possibile procedere alla stipula di un
contratto d’appalto pubblico.
L’istituto dello stand still (art. 11, c. 10, del Codice appalti),
come noto, impedisce la stipulazione del contratto per un
termine di trentacinque giorni. La norma, più in particolare,
fa decorrere tale termine “dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione”.
La richiesta di parere aveva ad oggetto la possibilità che il
termine di stand still decorra non già dall’aggiudicazione
definitiva, ancorché priva della condizione di efficacia, bensì dal momento in cui l’aggiudicazione definitiva acquista
efficacia a seguito della verifica del possesso dei requisiti
(art. 11, c. 8, del Codice appalti).
L’Autorità, dopo aver brevemente ricostruito gli opposti
orientamenti giurisprudenziali sull’argomento, osserva in
merito che riferire il termine di stand still esclusivamente al
momento in cui l’aggiudicazione sia divenuta efficace determinerebbe una eccessiva compressione dell’interesse dell’amministrazione alla celerità del procedimento e si porrebbe in contrasto con due considerazioni: (i) il termine dilatorio
per procedere alla stipulazione del contratto non sarebbe più
certo in quanto verrebbe a dipendere dalla maggiore o minore celerità dell’azione amministrativa nell’attività di accertamento dei requisiti finalizzata ad attribuire efficacia al provvedimento di aggiudicazione definitiva; (ii) in assenza di un
espresso riferimento all’aggiudicazione definitiva efficace,
l’espressione utilizzata dalla norma (“dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione”) va riferita all’aggiudicazione definitiva non ancora efficace.
INDICAZIONI ALLE STAZIONI APPALTANTI IN MATERIA DI
AVVALIMENTO DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE UE 10
OTTOBRE 2013 CAUSA C-94/12
Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi
A.NAC.) - Comunicato del Presidente del 20 marzo
2014
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
L’Autorità si sofferma sulla possibilità per gli operatori
economici di avvalersi della capacità di diverse imprese
ausiliarie per la qualificazione in una specifica categoria.
L’Autorità, in particolare, ha fornito alcune indicazioni
operative volte ad indirizzare gli operatori economici e
le stazioni appaltanti a seguito della decisione della
Corte di giustizia dell’Unione europea del 10 ottobre
2013 (C-94/12). E ciò anche al fine di adeguare il proprio
orientamento, espresso nella precedente determinazione n. 2 del 2012.
La decisione della Corte di giustizia Ue del 10 ottobre
2013 (C-94/12) ha escluso la compatibilità con il diritto
europeo dell’art. 49, c. 6, del Codice appalti nella parte in
cui vieta agli operatori economici di avvalersi, per la stessa categoria di qualificazione, della capacità di più imprese (escludendo, così, il frazionamento dei relativi requisiti). Secondo la Corte di giustizia, infatti, deve essere ammessa la facoltà di utilizzare più attestati di qualificazione
anche per una singola categoria. Il diritto dell’Unione Europea non pone nessuna limitazione all’avvalimento, consentendo al concorrente privo dei necessari requisiti di
«fare affidamento … sulle capacità di altri soggetti … purché dimostri all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari» per eseguire le prestazioni da
affidare.
In linea con le indicazione della Corte di giustizia Ue: (i) è
ammessa, in sede di gara, la possibilità che il concorrente
si avvalga, per il raggiungimento della classifica richiesta
dal bando gara, di più attestati di qualificazione per ciascuna categoria; (ii) nel caso di lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità minima (ad esempio, lavori di elevata complessità), la stazione
appaltante potrà richiedere, mediante adeguata motivazione da inserire nella delibera o determina a contrarre o
negli atti di gara, che il livello minimo della capacità in
questione sia raggiunto da un operatore economico unico
o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di operatori economici. In tale ipotesi, nel bando o
nella lettera di invito dovrà essere specificato qual è il livello minimo di capacità richiesta in termini di classifica
minima che deve essere posseduta dall’operatore economico.
1109
Osservatorio
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Autorità indipendenti
Osservatorio dell’Autorità
per l’energia elettrica,
il gas ed il sistema idrico
a cura Paolo Cirielli e Marika Miceli
ENERGIA ELETTRICA E GAS
SMART METERING MULTISERVIZIO
Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico
- Deliberazione 10 luglio 2014, n. 334/2014/R/gas
L’Autorità ha selezionato le proposte di progetto di
smart metering multiservizio presentate in virtù della
deliberazione 393/2013/R/gas
Con la deliberazione 393/2013/R/gas l’Autorità ha avviato
una sperimentazione di soluzioni “smart metering multiservizio” allo scopo di verificare l’efficacia e efficienza della
condivisione dell’infrastruttura di comunicazione, dedicata
allo smart metering del gas, con altri servizi di pubblica utilità, anche non soggetti alla regolazione dell’Autorità ma inseriti in una logica di “smart city”.
L’obiettivo principale della sperimentazione, che prevede
anche l’erogazione di un contributo ai progetti selezionali,
risiede nella verifica dei potenziali benefici di efficienza economica e di natura sociale che tali modelli di implementazione possano recare nello sviluppo dello smart metering
del gas e nella raccolta di informazioni utili ai futuri sviluppi
di erogazione dei servizi e dei connessi meccanismi di regolazione.
Con la delibera 334/2014/R/gas, la Commissione costituita
dalla delibera 393/2013/R/gas ha selezionato i progetti la
cui valutazione ha raggiunto almeno 65 punti, come previs t o d a l l’ a r t i c o l o 7 , c o m m a 3 , d e l l a d e l i b e r a z i o n e
393/2013/R/gas, ammettendo al trattamento incentivante
le seguenti istanze: AES, per un progetto nella città di Torino; AGSM distribuzione, per un progetto nella città di Verona; AMGAS, per un progetto nella città di Bari; ASEC, per
un progetto nella città di Catania; HERA, per un progetto
nella città di Modena; IREN Emilia e Genova Reti Gas congiuntamente, per un progetto nelle città di Reggio Emilia,
Parma e Genova e nel Comune di Scandiano (RE); SED,
per un progetto nella città di Salerno.
Per quanto riguarda il progetto presentato da Isera srl, non
rispettando pienamente i requisiti minimi dell’art. 3 della
deliberazione 393/2013/R/gas, la Commissione ha ritenuto
– considerate le peculiarità di un piccolo Comune – di richiedere al proponente di ripresentare il progetto in forma
modificata allo scopo di rispettare i suddetti requisiti.
I risultati dei sette progetti vincitori dovranno essere resi
pubblici e messi a disposizione di tutti gli operatori dei servizi regolati direttamente dall'Autorità ma anche di altri settori, come l'illuminazione pubblica o altri servizi relativi alla
"smart city".
Nell'ambito del bando per la selezione dei progetti, l'Autorità ha inoltre previsto la fornitura ai clienti interessati di in-
1110
formazioni sui propri consumi "online" e in ottica multi-servizio: anche se i contatori delle diverse utenze rimarranno
separati, i clienti potranno accedere ad un unico sito web
nel quale trovare tutti i consumi relativi alle diverse forniture.
TUTELA DEL CONSUMATORE
Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico
- Deliberazione 6 giugno 2014, n. 266/2014/R/com
Adottate disposizioni di adeguamento al decreto legislativo n. 21 del 2014, che ha recepito la direttiva
2011/83/UE, del codice di condotta commerciale e di altre disposizioni relative alla tutela dei consumatori nei
settori dell’energia elettrica e del gas.
L’Autorità ha adeguato la propria regolazione in modo che
i clienti che stipulino un nuovo contratto per la fornitura di
energia elettrica o di gas naturale possano effettivamente
beneficiare di maggiori tutele offerte dal decreto legislativo
n. 21/14, con cui è stata recepita la direttiva 2011/83/UE in
materia di diritti dei consumatori. Il decreto legislativo n.
21/14 incide in primo luogo su alcuni importanti ambiti disciplinati del Codice di condotta commerciale. In particolare, le nuove previsioni prevedono: a) specifici obblighi di informazione che l’esercente la vendita deve osservare, tra
cui le informazioni relative alle caratteristiche dei servizi, all’indirizzo geografico in cui è stabilito e al numero di telefono; b) ulteriori obblighi informativi, gravanti sull’esercente
la vendita che concluda un contratto al di fuori dei locali
commerciali o a distanza, volti ad informare il cliente finale
qualora non benefici di un diritto di ripensamento o, se del
caso, delle circostanze in cui perde tale diritto; c) l’obbligo
in capo all’esercente la vendita che concluda un contratto
a distanza, di fornire, laddove pertinenti, le informazioni sul
costo associato all’utilizzo del mezzo di comunicazione a
distanza adoperato ai fini della stipula. Sempre con riferimento agli obblighi informativi nella fase preliminare alla
conclusione del contratto, le nuove disposizioni del Codice
del consumo prevedono altresì l’obbligo a carico dell’esercente la vendita di indicare al cliente finale il prezzo totale
dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, almeno, le
modalità di calcolo del prezzo e, se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali etc. Infine,
l’esercente deve anche informare in merito alle circostanze
in cui il cliente perde il diritto di ripensamento
Con riferimento ai requisiti formali di conclusione dei contratti, si prevede che l’esercente la vendita che conclude
un contratto al di fuori dei locali commerciali fornisca al
cliente le informazioni precontrattuali su supporto cartaceo
o, se il cliente finale è d’accordo, su un altro mezzo durevo-
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Autorità indipendenti
le. Se il predetto contratto a distanza è concluso telefonicamente, l’esercente la vendita è tenuto a confermare l’offerta al cliente, il quale è vincolato solo dopo aver firmato
quest’ultima o dopo averla accettata per iscritto. In caso di
conclusione di un contratto a distanza o negoziato al di
fuori dei locali commerciali, viene esteso il periodo utile per
l’esercizio del diritto di ripensamento da parte del consumatore fino ad un massimo di 14 giorni, senza oneri a carico di quest’ultimo.
UNBUNDLING CONTABILE
Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico
- Deliberazione 22 maggio 2014, n. 231/2014/R/com
Approvato un nuovo testo integrato delle disposizioni
in merito agli obblighi di separazione contabile per le
imprese operanti nei settori dell’energia elettrica e del
gas, al fine di semplificare la normativa in materia e, in
particolare, gli oneri di comunicazione a carico degli
operatori.
Il nuovo testo integrato sull’unbundling contabile semplifica
gli obblighi di separazione contabile, sia attraverso la revisione delle soglie di applicazione del regime ordinario e
semplificato di separazione, sia attraverso la previsione di
un'esenzione dall'invio dei dati per diverse tipologie di soggetti. Al fine di rendere le disposizioni relative all'unbundling contabile coerenti con le previsioni del decreto legislativo 93/11, che ha recepito le direttive del c.d. terzo pacchetto, e con l'evoluzione del quadro regolatorio, anche alla luce di esigenze di miglioramento della qualità delle informazioni di separazione contabile, il nuovo testo integrato fornisce una migliore definizione dei perimetri delle diverse attività della filiera, in particolare procedendo ad una
revisione della struttura e del contenuto delle seguenti attività e comparti dei settori dell’energia elettrica e del gas:
trasmissione e dispacciamento dell'energia elettrica, distribuzione e misura sia del settore elettrico che del gas, vendita finale di energia elettrica e di gas, fornitura del servizio
di salvaguardia elettrico e produzione di energia elettrica.
Il nuovo testo integrato dispone anche una razionalizzazione degli obblighi informativi per gli esercenti del settore
elettrico e del gas e un’esenzione da tali obblighi per le imprese di minore dimensione, in particolare per quelle che
non operano nelle attività oggetto di regolazione tariffaria,
e per le imprese estere. Vengono inoltre esonerate dalla
predisposizione e dall'invio dei conti annuali separati le imprese che operano esclusivamente nel settore della distribuzione e vendita di altri gas a mezzo rete.
Al fine di predisporre un manuale di contabilità regolatoria
finalizzato a fornire specifiche tecniche di dettaglio per la
redazione dei conti annuali separati, si prevede infine, l'avvio di un tavolo tecnico con gli operatori e le associazioni
di categoria.
REGOLAMENTO SUGLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA
Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico
- Deliberazione 16 maggio 2014, n. 210/2014/A
Approvato il Regolamento sugli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni dell’Autorità
per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico ed assegnate le funzioni di Responsabile della prevenzione della corruzione.
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In attuazione di quanto previsto dall’articolo 11, comma
3, del decreto legislativo n. 33/13, l’Autorità ha approvato
il Regolamento sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione delle informazioni al fine di disciplinare gli obblighi di trasparenza concernenti l’organizzazione e l’attività dell’Autorità, per favorire forme diffuse di controllo
sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse assegnate assicurando, nel contempo, il rispetto delle norme nazionali, sovranazionali e internazionali, in materia di segreto d’ufficio e tutela della vita privata dei cittadini che prestano servizio presso l’Autorità medesima.
Il Regolamento disciplina gli atti che l’Autorità ha l’obbligo
di pubblicizzare, la decorrenza e durata dell’obbligo di pubblicazione, l’accesso alle informazioni pubblicate nel sito
istituzionale dell’Autorità e l’accesso civico, nei casi in cui
sia stata omessa la loro pubblicazione.
Il Regolamento prevede che per esigenze di riservatezza o
di segreto istruttorio, l’Autorità, con provvedimento motivato, possa differire, totalmente o parzialmente, la pubblicazione di documenti, informazioni o dati.
Inoltre, l’Autorità deve adottare il Programma triennale per
la trasparenza e l’integrità, da aggiornare annualmente,
che indica le iniziative necessarie per garantire un adeguato livello di trasparenza, legalità e sviluppo della cultura
dell’integrità. Tale Programma è pubblicato sul sito istituzionale dell’Autorità nella sezione «Autorità Trasparente».
Il Collegio ha inoltre affidato al responsabile della
dell’Unità Trasparenza e Accountability le funzioni di Responsabile per la trasparenza. con compiti di controllo sull’adempimento da parte dell’Autorità degli obblighi di pubblicazione previsti dal Regolamento..
L’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti
dal Regolamento o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale e sono comunque valutati ai fini della corresponsione
della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio
collegato alla performance individuale del Responsabile e
dei responsabili degli Uffici.
TARIFFA DI RETE PER I CONSUMI AD ALTA EFFICIENZA
Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico
- Deliberazione 8 maggio 2014, n. 205/2014/R/eel
Avviata una sperimentazione tariffaria su scala nazionale rivolta ai clienti domestici collegati in bassa tensione
che utilizzano come unico sistema di riscaldamento delle proprie abitazioni di residenza pompe di calore elettrico
A partire dal mese di luglio 2014, i clienti domestici che riscaldano la propria abitazione utilizzando esclusivamente
pompe di calore elettriche possono chiedere di partecipare
alla sperimentazione della nuova tariffa D1, basata su un
prezzo del kilowattora costante rispetto ai consumi di energia elettrica. La nuova tariffa di rete per i consumi ad alta
efficienza consente di pagare un costo più aderente a quello effettivo per i servizi di rete (trasporto, misura e gestione
del contatore).
In questo modo, la nuova tariffa sperimentale mira ad allineare le tariffe di rete ai costi effettivi, eliminando sussidi e
distorsioni in attuazione di quanto disposto delle normative
europee e nazionali sul raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica e l'utilizzo di fonti rinnovabili. L'elimina-
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zione della progressività della tariffa rispetto ai consumi, infatti, può ridurre significativamente i costi di esercizio di
tecnologie efficienti e innovative come appunto le pompe
di calore, le piastre di cottura a induzione e i veicoli elettrici.
L’Autorità svolgerà un monitoraggio continuativo sull’evoluzione delle adesioni alla sperimentazione tariffaria, anche
1112
al fine di valutare gli eventuali impatti della stessa sui gettiti
delle componenti tariffarie.
La sperimentazione tariffaria consentirà, inoltre, di acquisire informazioni utili per studiare i comportamenti di consumo dei clienti che riscaldano la propria abitazione con
pompe di calore elettriche ai fini dell’adozione di eventuali
ulteriori provvedimenti da parte dell’Autorità.
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Pubblica amministrazione
Trasparenza amministrativa
Le Linee guida del Garante:
protezione dei dati e protezione
dell'opacità
Garante della protezione dei dati personali - Provvedimento del 15 maggio 2014
Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti
amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e
da altri enti obbligati - G.U. 12 giugno 2014, n. 134
(Omissis)
IL COMMENTO
di Enrico Carloni
L'equilibrio tra le esigenze di trasparenza e di protezione dei dati, definito dal Garante con le Linee guida
del 2011, è stato sconvolto dall'approvazione del d.lgs. n. 33 del 2013, che ha fortemente valorizzato le
esigenze di conoscibilità e definito un nuovo regime per le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria. Il Garante torna, dunque, sulla rapporto tra privacy e trasparenza, con nuove Linee guida che mal si
conciliano, a volte, con le scelte del legislatore, leggendone in termini restrittivi le previsioni relative, in
particolare, alle regole di riutilizzabilità e piena accessibilità di dati (anche se) personali. Il documento si
presta ad essere letto, però, criticamente, dal momento che, mantenendo in gran parte ferme le proprie
posizioni così come maturate prima della recente evoluzione normativa, nell'ottica di valorizzare al massimo le istanze di protezione dei dati, il Garante finisce per negare al legislatore il suo irrinunciabile ruolo di
responsabile dell'equilibrio tra meccanismi di pubblicità e di riservatezza, e per incidere sulla portata di
strumenti di conoscibilità che, rispondendo ai paradigmi dell'open data government, costituiscono una
fondamentale prospettiva di sviluppo del sistema pubblico.
L'esigenza di protezione della riservatezza, ma al
tempo stesso la percezione del connesso rischio di
una limitazione del diritto a conoscere dei cittadini
rispetto a questioni di interesse pubblico, costituiscono un dato fondativo del concetto stesso di privacy, se è vero che nel noto saggio che enuclea
questo “nuovo” diritto, Warren e Brandeis affermano che il diritto alla privacy non dovrebbe mai tradursi in un limite rispetto alla divulgazione di noti-
zie di interesse pubblico. (1) Oltre un secolo dopo,
la tutela della riservatezza, che ha conosciuto uno
sviluppo normativo formidabile e che trova protezione (anche) attraverso gli interventi di un Garante dedicato, incrocia nuovamente le contrapposte istanze di conoscibilità e trasparenza rispetto a
fatti ed informazioni “pubblici”. Ora, però, la trasparenza è avvertita, più di allora, come un pericolo per la protezione della riservatezza: in questo, il
nuovo scenario tecnologico, frutto degli sviluppi
(1) “The right to privacy does not prohibit any publication
of matter which is of public or general interest”: S.D. Warren,
L.D. Brandeis, The Right to Privacy, in Harvard Law Rev., 1890,
IV, 193. Da notare, peraltro, che una conclusione non dissimile
è ricavabile ora dalla sentenza “Google Spain” (CGUE C-131
12, del 13 maggio 2014), che dopo aver affermato il diritto al-
l'oblio, conclude che «tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale
persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi».
Premessa
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1113
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Pubblica amministrazione
più recenti della “società dell'informazione”, non
appare un dato secondario. (2) È all'interno del più
complessivo rapporto, inevitabilmente spesso conflittuale, tra le esigenze di tutela della riservatezza e
quelle di trasparenza pubblica che si inserisce quello tra la protezione dei dati personali e la diffusione
di informazioni attraverso siti web delle amministrazioni pubbliche. Questo rapporto solo in parte
può, e deve, collegarsi a quello, più risalente, tra
privacy e diritto di accesso ai documenti amministrativi: la differenza tra gli strumenti di trasparenza mossi da istanza di parte e valutabili “in concreto” da parte dell'amministrazione, e gli strumenti
di pubblicità “indiscriminata”, a favore di chiunque, è infatti forte, ed evidente.
L'aspetto più interessante della questione non è,
però, collegabile al modello della tradizionale pubblicità cartacea e quindi al conflitto tra privacy e
pubblicità, entro il quale pure si inscrive nei suoi
tratti fondamentali la problematica sviluppata dalla
Linee guida. La questione decisiva, che porta con sé
un'ineliminabile esigenza di approfondire le nuove
dinamiche e le nuove relazioni, è data dal fatto che
queste si sviluppano in un ambiente digitale che presenta tipicità e specificità che segnano una profonda
discontinuità rispetto ai paradigmi tradizionali.
Semplificando, a rilevare in modo decisivo è il
contrasto tra i paradigmi dell'amministrazione aperta e quelli della privacy, che ha i suoi punti più evidenti nelle contrapposizioni tra riutilizzo (per qualsiasi finalità) e principi di finalità e necessità; tra indicizzazione e pericolo di decontestualizzazione; tra
completezza e pertinenza-non eccedenza; più complessivamente tra dati di tipo aperto e dati oggetto
di protezione, tra open data e habeas data. (3)
Rispetto a questa tensione, ed ai problemi interpretativi che inevitabilmente ne discendono, le
nuove Linee guida svolgono un ruolo solo apparentemente chiarificatore: la scelta di un testo che,
più che di attuare la riforma del d.lgs. n. 33 mettendola “a sistema” con il Codice della privacy, pare preoccupato di contrapporsi (4) a questa e quindi di rileggerla forzando talora anche il dato normativo, appare infatti foriera di nuove incertezze, e
di nuove e contrapposte prese di posizione da parte
dell'Autorità anticorruzione. (5) Con i problemi
che ne discendono per gli operatori e la certezza
(tanto delle esigenze di protezione della privacy
che di quelle di trasparenza).
(2) Per un inquadramento concettuale del nuovo scenario,
cfr. per tutti, S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove
tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2009; Z.
Bauman, D. Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità
liquida, Roma-Bari, Laterza, 2014, spec. 36-64. Lo scenario, allarmante, mostrato da vicende come il “data-gate”, solo in misura marginale pare però inquadrabile come contrasto tra dinamiche di trasparenza pubbliche e dinamiche di protezione
dei dati personali.
(3) Su queste tematiche, per una riflessione complessiva, ci
sia consentito a rinviare a E. Carloni, L'amministrazione aperta.
Regole, strumenti, limiti dell'open government, Rimini, 2014.
(4) Non è un caso, ad avviso di chi scrive, se un riferimento
primario delle Linee guida è il parere reso dal Garante sullo
schema di decreto legislativo che è poi divenuto il d.lgs. n. 33
del 2013 (doc. web. 2243168, in www.garanteprivacy.it).
(5) Sull'Anac come autorità della trasparenza si v. anche il
recente d.l. 90 del 2014, che concentra sull'Anac le funzioni in
materia di prevenzione della corruzione, integrità e trasparenza
precedentemente ripartite tra Anac/Civit e Dipartimento della
funzione pubblica.
(6) In merito, anche per più ampi riferimenti, v. E. Menichet-
ti, La conoscibilità dei dati, tra trasparenza e privacy, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, 283
ss.. Sul tema, per una riflessione successiva al d.lgs. n. 33, si
v. B. Ponti, Il regime dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria: i tempi, le modalità e i limiti della diffusione, in B. Ponti (a
cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo
2013, n. 33, Rimini, 75 ss.; A. Bonomo, Il codice della trasparenza e il nuovo regime di conoscibilità dei dati pubblici, in Istituzioni del Federalismo, 2013, 727 ss.
(7) Su questo spostamento di baricentro dall'accesso alla
pubblicità, ci sia consentito rinviare anche a E. Carloni, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza
amministrativa, in Diritto pubblico, 2009, 779 ss.; dopo il d.lgs.
n. 33 il dato risulta evidente, come si ricava dalla letteratura
più recente: v. es. M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio di trasparenza, in Istituzioni del federalismo, 2013, 670 ss.; diffusamente B. Ponti (a
cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo
2013, n. 33, cit.).
(8) A. Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni.
Dall'accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni,
Bari, Cacucci, 2012; e cfr. già E. Carloni, Nuove prospettive del-
1114
Accesso, pubblicità e privacy
Sul rapporto tra privacy e trasparenza sono stati
scritti volumi e saggi, ed in particolare questa relazione è stata analizzata, in quanto problematica ma
centrale, tanto nella fase successiva all'approvazione della legge sulla riservatezza, del 1996, quanto
dopo l'adozione del codice della privacy, quanto
successivamente alla “stabilizzazione” del rapporto
con la legge n. 15 del 2005 di riforma della l. n.
241 del 1990 (6). Il fatto è, però, che per quanto
articolata, la relazione tra privacy e diritto di accesso sempre meno, nel corso dell'ultimo decennio,
si è mostrata come in grado di rappresentare in
modo complessivo il rapporto tra privacy e trasparenza (7): questo, evidentemente, tanto più quanto
più si è assistito allo spostamento dell'asse della
trasparenza dall'accesso ai documenti alla disponibilità di informazioni (8). Questa tendenza, alla valorizzazione da parte del legislatore della pubblici-
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Pubblica amministrazione
tà/pubblicazione di documenti e informazioni, utilizzando la rete Internet quale canale di disseminazione, è presente a livello comparato (9), e si è affermata in Italia in modo sempre più evidente a
partire dal Codice dell'amministrazione digitale (10) e, quindi, dopo una pluralità di previsioni
frammentarie, con la definizione del principio di
“accessibilità totale” nel quadro delle riforme del
2009. (11) Il c.d. “codice della trasparenza”, d.lgs.
n. 33 del 2013, interviene dunque a completare, ribadire, integrare questo percorso evolutivo, che nel
suo svilupparsi aveva già messo in fibrillazione il
rapporto tra privacy e forme di trasparenza rivolte a
“chiunque”, tanto che il Garante aveva sentito la
necessità di intervenire con un provvedimento generale (le Linee guida del 2011 (12)) che a sua volta riprendeva e completava un ragionamento già
avviato con un provvedimento precedente, del
2007. (13) Mutando lo strumento di conoscibilità
mutano in modo decisivo le modalità di composizione tra le contrapposte esigenze di riservatezza e
di trasparenza (14) .È chiaro, infatti, che mentre
l'equilibrio tra le esigenze conoscitive del richiedente l'accesso, e quelle di protezione dei dati personali del controinteressato all'accesso, può essere
ricercato ex post, ed in concreto, e può essere dunque assistito da momenti di mediazione e di proceduralizzazione, quello che interessa le forme di pubblicità, come diffusione di informazioni generalizzata, va risolto ex ante, e porta con sé, in ragione delle scelte effettuate sul contenuto conoscitivo da
veicolare, l'inevitabile prevalenza dell'esigenza di
trasparenza o di quella di riservatezza.
Il diffondersi di forme di dissemination attraverso
la rete, pervasive e di facile realizzazione utilizzando il contenitore-sito, previsto e disciplinato dal
Codice dell'amministrazione digitale, ha reso que-
sto problematico rapporto, risalente ma a lungo
marginale, un nervo scoperto per il Garante della
privacy: questo, in assenza di una disciplina organica della trasparenza-pubblicità, ha innestato le singole previsioni espresse volte a disporre forme di
pubblicità-pubblicazione on line entro il quadro generale dato dal Codice della privacy.
la trasparenza amministrativa. Dall'accesso ai documenti alla disponibilità di informazioni, in Dir. pubblico, 2005, 573 ss.; il tema è ampiamente presente in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, cit., passim. Un processo questo, si noti,
che nello scenario comparato si accompagna ad una crescente circolazione di modelli di accesso ampio e generalizzato: un
esigenza, questa, che non viene meno neanche nell'esperienza
italiana (in questo senso, v. M. Savino, Le norme in materia di
trasparenza e la loro codificazione, in B.G. Mattarella, M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 113 ss.).
(9) V. es. A. Cerrillo Martinez, The regulation of diffusion of
public sector information via electronic means: lessons from the
Spanish regulation, in Gov. Information Quarterly, 2011, 28-2,
188.
(10) Su cui v. E. Carloni (a cura di), Codice dell'amministrazione digitale, Rimini, 2005; nell'ambito del Cad, rilevano in
particolare l'art. 54 e il complessivo regime dei dati e dei siti:
sulla disciplina di questi temi nel d.lgs. n. 82 del 2005, in particolare, v. E. Menichetti, Capo V, Sez. I, Dati delle pubbliche am-
ministrazioni, ivi, 315 ss.
(11) Per tutti v. A. Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni, cit., passim.
(12) Linee guida del marzo 2011, in www.garanteprivacy.it,
doc. web. n. 1793203.
(13) Linee guida in materia di trattamento di dati personali
per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di
enti locali - 19 aprile 2007 (in www.garanteprivacy.it, doc. web
n. 1407101).
(14) Il che, peraltro, rimarca l'esigenza di rinforzare i meccanismi di accesso, à la Foia, dei quali ha bisogno non solo la trasparenza, ma anche la stessa privacy: il rafforzamento degli
strumenti di trasparenza ad accesso comunque limitato (se
non più agli interessati, comunque ai richiedenti) potrebbe giustificare una riduzione del ruolo, ora sostanzialmente assorbente, dei meccanismi di pubblicazione-pubblicità, il cui effetto sulla compressione delle istanze di privacy è più forte. Su
queste tematiche, cfr. da ultimo G. Gardini, Il codice della trasparenza: un primo passo verso il diritto all'informazione amministrativa?, in questa Rivista, 2014, 875 ss.
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Dalle Linee guida del 2011 a quelle del 2013
In una prima stagione, che si conclude con l'approvazione del decreto 33 del 2013 che ne ridefinisce i paradigmi, la relazione tra privacy e pubblicità
va rinvenuta dunque nell'integrazione degli obblighi di pubblicità con i principi e i criteri generali
del Codice sul trattamento dei dati personali: è in
questo senso che gli obblighi conoscitivi sono stati
non solo circoscritti, ma più complessivamente organizzati, entro le matrici della regolazione della riservatezza. In sostanza, in questa fase, la privacy ha
svolto non solo una funzione di limite alla trasparenza, ma più complessivamente un ruolo di regolazione ordinata dei fenomeni conoscitivi pubblici.
In questo senso, le Linee guida del 2011, intervenute dopo una serie di provvedimenti puntuali che
avevano evidenziato l'esigenza di una regolazione
più chiara ed organica del fenomeno, hanno svolto
una funzione non tanto di contenimento, ma al
contrario, in un senso più ampio, di promozione di
trasparenza.
Il discorso muta con l'approvazione del decreto
n. 33 del 2013, attuativo di una delega contenuta
nella legge anticorruzione volta a riorganizzare ed
ampliare gli obblighi di pubblicazione-pubblicità in
capo alle amministrazioni: gli obblighi definiti in
modo frammentario e incrementale dal legislatore
nel corso del tempo, di pubblicazione on line di
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documenti e informazioni in risposta ad esigenze e
finalità diversificate, vengono raccolti entro una
comune macro-finalità, di prevenzione e contrasto
della corruzione, ma soprattutto attraverso il decreto del 2013 vengono ad essere sottoposti ad uno
specifico, organico, regime. Un regime nel quale
l'equilibrio tra privacy e trasparenza, definito “in
solitudine” dal Garante della privacy nel 2011, è
espressamente modificato, e rimodulato, a favore
delle esigenze di conoscibilità. (15) Le scelte concretamente adottate dal legislatore presentano, per
il Garante, una serie di problemi, che l'autorità
non ha mancato di evidenziare già nel percorso di
adozione del provvedimento legislativo (16): complessivamente, a “turbare” il Garante è l'eccessiva
enfasi posta su meccanismi di conoscibilità generalizzata, ma in modo più puntuale sono le problematiche relative ai paradigmi dell'open data ad essere
oggetto di una particolare attenzione. Si assiste, a
ben vedere, a margine ed in seguito all'approvazione del d.lgs. n. 33 del 2013, ad un “arroccamento”
del Garante a difesa dell'equilibrio da questi definito con le Linee guida del 2011. In questo quadro
l'autorità prima manifesta in più occasioni pubbliche, poi con provvedimenti puntuali, la propria insoddisfazione per le soluzioni individuate dal legislatore della riforma, per poi giungere appunto ad
una ri-definizione del nuovo equilibrio (cercando
di riportare, per quanto possibile, l'orologio della
storia al 2011) attraverso le nuove Linee guida .
Va segnalato, peraltro, il fatto che nel frattempo
lo scenario anche istituzionale è sensibilmente mutato, ed il Garante della privacy si trova di fronte
un'autorità in qualche modo speculare, della trasparenza, di modo che apparirebbe improprio, e,
come accennato, foriero di incertezze e problemi
rilevanti per le amministrazioni, una scelta non
condivisa tra i soggetti che dispongono di poteri
sanzionatori ex post e, quindi, di una rilevante fun-
zione direttiva ex ante, rispetto alla violazione degli
obblighi connessi alla normativa in materia di privacy (il Garante) e di trasparenza (l'Anac). La
scelta del Garante di adottare le Linee guida, senza
peraltro seguire la prassi di un processo di notice
and comment (17), a fronte dei richiami in senso
contrario da parte dell'Anac (18), segna dunque
non solo un punto di arrivo del posizionamento
dell'autorità della privacy, ma anche l'apertura di
una potenziale tensione istituzionale che andava
evitata, pena evidentemente il rischio di opposte
e, come vedremo, giustificate, linee interpretative
da parte dell'autorità anticorruzione.
(15) In via generale, per approfondire il nuovo modello di
trasparenza secondo il d.lgs. n. 33, si v. B. Ponti (a cura di), La
trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33,
cit.
(16) Il riferimento è, in particolare, al parere, del 7 febbraio
2013, reso sullo schema di decreto legislativo, non a caso citato dal Garante tra i riferimenti rilevanti per l'adozione delle nuove Linee guida (in www.garanteprivacy.it: doc. web n.
2243168).
(17) Le precedenti Linee guida erano state approvate in via
provvisoria e quindi sottoposte a consultazione pubblica previa
pubblicazione nel sito nel dicembre del 2010.
(18) Nel commentare le Linee guida, il Garante evidenzia altresì come queste siano state il frutto di un rapporto aperto e
di una “leale collaborazione” con l'Anac (si v. L. Califano, Le
nuove Linee guida del Garante privacy sulla trasparenza nella
PA, relazione al Forum PA 2014, 28 maggio 2014, in www.ga-
ranteprivacy.it). Leale collaborazione confermata anche nelle
comunicazioni del Presidente dell'Anac al Garante, dalle quali
emerge però una significativa distanza sul merito del provvedimento, ed in particolare “si esprimono perplessità sull’opportunità di intervenire sulla definizione delle finalità del principio
di trasparenza”. Nella precedente lettera del 6 maggio, va ricordato, lo stesso Presidente aveva chiesto al garante di “soprassedere” dall'adozione delle Linee guida.
(19) Merita rimarcare il fatto che il potere, sostanzialmente
normativo, esercitato dal Garante si fonda, dal punto di vista
formale, su attribuzioni la cui portata parrebbe molto più circoscritta (traendo fondamento nell'art. 154, comma 1, lett. h) del
Codice della privacy, che affida al Garante il compito di «curare
la conoscenza tra il pubblico della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali e delle relative finalità,
nonché delle misure di sicurezza dei dati»).
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La distinzione tra pubblicità-trasparenza e
altre forme di pubblicità
Valorizzando la propria funzione di indirizzo (19), volta ad assicurare il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, il
Garante ha assunto, da tempo, un ruolo di regolatore, sostanziatosi in particolare già in altri interventi in materia di diffusione di informazioni e documenti da parte delle pubbliche amministrazioni.
Nelle Linee guida del 2011, nello specifico, il
Garante aveva prospettato una distinzione tra diverse forme di conoscibilità, distinguendo in particolare (oltre che rispetto alle ipotesi di accesso) tra
le ipotesi di pubblicazione volte ad adempiere ad
esigenze di pubblicità-notizia di atti legali, e quelle
volte a rispettare specifici obblighi di pubblicità
previsti espressamente, per esigenze diverse ma in
sintesi per “trasparenza”, da parte del legislatore. In
questo senso, una delle funzioni fondamentali delle
Linee guida del 2011 era stata appunto quella di
tracciare un confine tra gli obblighi di pubblicazione variamente (e sempre più spesso) previsti dal legislatore e quelli discendenti dal trasferimento sul
sito istituzionale di forme di pubblicità legale pre-
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cedentemente svolte attraverso altre modalità di tipo cartaceo, quali per tutte l'affissione all'albo pretorio per gli enti locali. Le precedenti Linee guida
avevano dunque inteso rispondere ad una serie di
problemi (di protezione di dati personali) connessi
alla disciplina dell'“albo pretorio on line”, e complessivamente allo spostamento (regolato dalla l.
69 del 2009) sul web delle forme di pubblicazione
di documenti officiali precedentemente destinati
ad altre forme di pubblicità funzionali ad integrare
l'efficacia dell'atto.
Le nuove Linee guida tengono in larga parte ferma questa distinzione, e questa tassonomia, e mirano dunque a regolare in modo distinto il rapporto
tra privacy e pubblicità legale nel web (oggetto,
della seconda parte dell'atto del Garante), assoggettando queste seconde ipotesi (cui complessivamente si intende sottoporre le ipotesi di pubblicità
obbligatoria che esulano dal d.lgs. n. 33) ad un regime di conoscibilità diverso e più restrittivo, nella
misura in cui la pubblicità comporti anche la conoscibilità di dati personali.
Per quanto in termini generali questa scelta possa apparire condivisibile, va detto al riguardo che
questa delimitazione di campo avrebbe dovuto essere meglio argomentata, e probabilmente meglio
precisata.
L'operazione è condivisibile (e riprende quella
già effettuata nel 2011), dal momento la “sostenibilità” di un meccanismo di prevalenza di esigenze
di conoscibilità richiede una espressa presa di volontà da parte del legislatore. Il nuovo modello
della trasparenza consente e giustifica dunque una
compressione della privacy nella misura in cui la
scelta (ed il bilanciamento) sia frutto di manifestazione di consapevolezza da parte de legislatore (oltre che, evidentemente, espressione proporzionata
e ragionevole, relativamente a ciascun obbligo di
pubblicazione di dati, di questa volontà): questo e
impone di non sottoporre a trasparenza-totale documenti e informazioni non individuati in modo
espresso.
D'altro canto, però, il tenore testuale del d.lgs.
n. 33 avrebbe giustificato anche posizioni interpretative diverse, nel senso di ricomprendere complessivamente entro il regime della nuova trasparenza
tutte le forme di pubblicità-pubblicazione obbligatoria: con la conseguenza che l'esclusione dal nuovo regime delle forme di pubblicità legale on line
andava quanto meno meglio argomentata, e giustificata. E che, d'altra parte, questa operazione va effettuata con circospezione, evitando di escludere
dal nuovo regime di conoscibilità quelle forme di
pubblicità che, seppur non ricomprese nel d.lgs. n.
33, appaiono coerenti con il modello e quindi suscettibili di rispondere al nuovo regime in virtù del
richiamo contenuto nell'art. 3 (si pensi, ad esempio, al regime di pubblicità delle graduatorie concorsuali). (20) Detto altrimenti, pur condividendo
l'esigenza di tracciare un confine tra le forme di
pubblicità-trasparenza e quelle di pubblicità-legale,
appare improprio ricondurre a questo secondo modello, come fa il Garante, ed in via generale, gli
obblighi di pubblicazione non incorporati nel d.lgs.
n. 33 ma “volti a far conoscere l'azione amministrativa in relazione al rispetto dei principi di legittimità e correttezza” (21).
Pur con queste mancanze, la scelta del Garante,
di distinguere tra pubblicità-trasparenza e forme di
pubblicità legale (le Linee guida parlano però, come accennato, più ampiamente di pubblicità con
“altre finalità”) appare corretta se ci si pone nell'ottica della disciplina sul trattamento dei dati
personali: la compressione della privacy conseguente alla sottoposizione di dati personali al regime di trasparenza definito ora dal decreto n. 33, si
basa in ultima istanza sulla presunzione che la legge abbia operato una ponderazione tra le contrapposte esigenze della conoscibilità e della protezione
dei dati personali, ed abbia dunque inteso definire
un più ampio regime di trasparenza anche tenuto
conto della possibile compressione di istanze di riservatezza. Una valutazione ex ante di esigenze contrapposte che, se è presente nelle norme che individuano in modo espresso specifici documenti o
specifiche informazioni come oggetto di pubblicazione obbligatoria, non può esserlo in clausole generali che prevedono tout court la pubblicazione
della generalità degli atti di un ente, con finalità
(non di trasparenza ma) di pubblicità legale.
(20) In base all'art. 3 del d.lgs. n. 33 del 2013, infatti, «tutti i
documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione
obbligatoria ai sensi della normativa vigente» (e non solo quelli
indicati dal decreto) sono pubblici e quindi liberamente accessibili e riutilizzabili.
(21) Parte II, punto 1, in apertura.
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Trasparenza on line e privacy per il Garante
Pur così delimitato, il tema presenta per il Garante numerosi profili critici, che attengono essenzialmente all'esigenza, solo in parte condivisibile,
di dare una lettura restrittiva del decreto e, attraverso questa operazione interpretativa, di riespan-
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dere la protezione dei dati rispetto al pericolo di
una loro dequotazione in ragione di esigenze di trasparenza.
Nel fare questa operazione, il Garante pare manifestare una forte carica ideologica, che non si
lega tanto (il che sarebbe evidentemente non solo
corretto, ma auspicabile) all'esigenza di tutelare,
attraverso la protezione dei dati, individui potenzialmente lesi nei loro diritti e nella loro dignità
da una impropria sovra-esposizione dovuta alla loro interazione con la “casa di vetro” pubblica,
quanto alla critica all'idea di trasparenza insita
nel decreto n. 33, specie nella sua declinazione
come “open data”. In questo senso, le Linee guida
appaiono il naturale punto di approdo di un Garante che aveva in più occasioni pubbliche manifestato insofferenza per questo sviluppo legislativo, lamentando in termini molto enfatici, ma
spesso sganciati da specifiche situazioni di rischio,
le derive di una trasparenza-monstre, capace di
condurre a “forme di controllo sociale spaventose” (22). Coerentemente con queste prese di posizione, ma evidentemente prestando attenzione
anche a esigenze di riserbo proprie di collaboratori
e consulenti della stessa autorità, il Garante aveva
avviato una rilettura del decreto 33 già in occasione del proprio regolamento sulla trasparenza (23): un documento, questo, mediante il quale
era stata data una lettura restrittiva, ed apparentemente contra legem, rispetto alla possibilità di indicizzazione e rintracciabilità tramite motori di ricerca dei dati e delle informazioni contenuti nella
sezione “amministrazione trasparente”.
Col paradosso, a ben vedere, di un'evoluzione
del Garante che da soggetto teso a valorizzare, attraverso le regole di privacy, la stessa trasparenza
(purché legittima), assume su di sé il ruolo, non
auspicabile, di garante dell'opacità: un'opacità funzionale al potere, più che alla tutela dei diritti, nel
momento in cui si da sponda, così facendo, ad
istanze di riserbo cui da più parti dentro le amministrazioni si aspira.
Questo perché se il decreto 33 ha delle pecche,
queste vanno ricercate e ravvisate in concreto, individuando le ipotesi (specifiche) nelle quali il bilanciamento operato dal legislatore appare sproporzionato, tenuto essenzialmente conto della necessità di protezione di situazioni che presentano un rischio specifico, o di informazioni potenzialmente
in grado (ove conoscibili) di produrre una lesione
della riservatezza “sbilanciata” rispetto alle esigenze
di trasparenza intese in particolare con riguardo alle informazioni «concernenti l'organizzazione e
l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo
delle risorse pubbliche» (24).
Se è vero che vi è una sorta di inconciliabilità
di fondo tra i paradigmi della trasparenza-totale (in
particolare nelle sue declinazioni come open data)
e quelli della protezione dei dati personali, di modo
che la scelta di assoggettare alcune informazioni
personali ad un regime di piena conoscibilità e (come vedremo) riutilizzabilità di talune informazioni
personali ne comporta un evidente sacrificio, l'operazione di riequilibrio va condotta riducendo le situazioni di rischio specifico (e, quindi, lamentando
la compressione sproporzionata/irragionevole della
privacy in relazione a determinati obblighi di pubblicazione), ma non depotenziando o negando tout
court la funzionalità dei principi di apertura e trasparenza. Pena, come detto, trasformare la privacy
in alibi di un'amministrazione che rimane restia a
riconoscere lo spostamento di potere (a vantaggio
non solo del cittadino interessato, ma del “chiunque” (25)) che si connette all'attivazione di così
incisivi flussi di informazione.
L'esito di un simile approccio pare d'altra parte
confermare queste perplessità: l'attenzione sembra,
in ultima istanza, centrata più che sulla protezione
(22) In questo senso, si v. l'intervento dell'allora Garante,
Franco Pizzetti, che ha lamentato i rischi di “una concezione
potenzialmente illimitata dell’open data”, accompagnati “dall’invocazione della trasparenza declinata come diritto di ogni
cittadino di conoscere tutto”: l’insieme di queste tendenze, ha
concluso il Garante della privacy, “può condurre a fenomeni di
controllo sociale di dimensioni spaventose” (così in occasione
della presentazione della relazione sull'attività del 2011, in
www.garanteprivacy.it). Elementi di preoccupazione, dei quali
troviamo ora evidente traccia nelle Linee guida, sono ben
espressi da L. Califano (componente dell'autorità), Il bilanciamento tra trasparenza e privacy nel d.lgs. n. 33/2013, intervento
alla XXX assemblea Anci - Firenze 23 ottobre 2012, in
www.garanteprivacy.it.
(23) Regolamento sugli obblighi di pubblicità e trasparenza
relativi all’organizzazione e all’attività del Garante per la protezione dei dati personali, in www.garanteprivacy.it, doc. web.
2573442; si v. in particolare l'art. 8, ai sensi del quale, si prevede che il Garante «può disporre filtri e altre soluzioni tecniche
atte ad impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche all'interno della sezione "Autorità Trasparente"
relativamente ai dati personali, anche contenuti in documenti».
(24) V. ora, in questi termini, il “principio generale di trasparenza” sancito dall'art. 1, c. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013.
(25) In termini generali, sulla valorizzazione dei diritti a conoscere di “chiunque”, cfr. C. Marzuoli, La trasparenza come
diritto civico alla pubblicità, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, cit., 45 ss.; C. Cudia, Trasparenza amministrativa e pretesa del cittadino all'informazione, in Diritto pubblico, 2009, 99 ss.
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del cittadino, sulla protezione della stessa amministrazione (rectius, di coloro i quali operano entro
questa, e per questa) dalla trasparenza generalizzata
e, quindi, dalla “curiosità” del pubblico.
All'interno di Linee guida in larga parte condivisibili, e ben fatte, troviamo una serie di “forzature” che, non a caso, toccano i nervi più scoperti
del rapporto tra privacy e open data government. È
su queste che pare utile soffermarci, rimandando
altrimenti alla lettura di un documento di per sé
chiaro ed ampio, che è qui impossibile esaminare
esaustivamente nelle sue numerose puntualizzazioni
ed esemplificazioni.
Privacy e open data
Come accennato, il cuore delle riflessioni (e delle prese di posizione) del Garante attiene al complessivo rapporto tra privacy e open data, intendendo con questo, in particolare, un regime nel quale
determinate informazioni sono liberamente riutilizzabili, fruibili e pienamente accessibili da parte di
chiunque, e sono rese disponibili in un formato di
tipo aperto che favorisce agevoli riutilizzazioni e
riaggregazioni delle informazioni. Queste condizioni, tecniche e normative, consentono lo sviluppo
di esperienze di open government che realizzano un
effettivo, ed efficace, “controllo diffuso”: pensiamo,
esemplificativamente, a casi come quello di Open
polis (26), dove troviamo informazioni pubbliche,
ma altrimenti spesso scarsamente conosciute, e
quindi di fatto, e singolarmente prese, scarsamente
utili, riaggregate in capo a personaggi che ricoprono cariche politiche (27): singole informazioni (il
voto nella singola decisione, il contratto di consulenza presso un'altra amministrazione, ecc.) proprio
grazie al riutilizzo ed alla decontestualizzazione divengono funzionali ad una trasparenza come controllo generalizzato.
La nuova trasparenza richiede, di più impone,
open data e questo, si noti, anche con riferimento
ad alcune informazioni personali (vale a dire, informazioni riconducibili ad un soggetto). L'idea è,
(26) Si v. in www.openpolis.it.
(27) Si v. in particolare il progetto “Open Politici” (politici.openpolis.it) che si pone l'obiettivo di far conoscere e monitorare i politici eletti, raccogliendo (anche grazie all'azione di utenti
che “adottano” specifici titolari di cariche di livello nazionale o
territoriale e assicurano la massima completezza delle informazioni che li riguardano, in larga parte raccolte nel web da fonti
pubbliche) tutti i dati e le informazioni disponibili sul singolo individuo: dati che risultano quindi, da un lato decontestualizzati,
ma dall'altro ri-contestualizzati con evidenti vantaggi in termini
di trasparenza.
(28) Ora ben esplicitati dal comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n.
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anzi, che un gran numero di informazioni possano,
e debbano, riaggregarsi intorno a persone che ricoprono cariche pubbliche ed esercitano funzioni
pubbliche: l'immagine di una trasparenza fatta di
informazioni anonime è inadeguata alle finalità di
un principio che (a prendere sul serio il d.lgs. n.
33), realizzando fondamentali principi costituzionali (28) ha in sé un valore non minore della stessa
protezione dei dati personali rispetto a dati non
sensibili o giudiziari. Riprendendo le affermazioni
contenute nel Memorandum Obama sull’Open government (29), la democrazia richiede accountability, l’accountability richiede trasparenza.
La spinta alla anonimizzazione di documenti e
informazioni espressamente indicati come “pubblici” dal legislatore, ed in particolare nel Codice della trasparenza, è dunque in via generale non condivisibile, e giustificata solo in presenza di informazioni realmente non pertinenti (30) ed in presenza
di rischi specifici. Di nuovo, in sostanza, va evitata
la messa in discussione per ragioni di privacy dei
contrapposti paradigmi dell'open data, accettando
che la mediazione sta non nella compenetrazione
di regimi (di massima inconciliabili), ma nel corretto esercizio da parte del legislatore (ed eventualmente nella contestazione delle specifiche ipotesi
in cui quest'operazione è stata fatta in modo irragionevole o sproporzionato) del suo ruolo di regolazione dei confini, tramite l'individuazione espressa di informazioni personali sottoposte a un regime
di conoscibilità per ragioni di interesse pubblico.
Funzione, quest'ultima, che il sistema europeo della
privacy rimette correttamente alla legislazione.
Riutilizzo e il principio di finalità
La principale, e decisiva, faglia è quella che segna il confine tra il modello del riutilizzo, per come
inteso nei paradigmi dell'open governmnent e fatto
proprio dal decreto 33, e una serie di principi del
sistema della privacy, primi tra tutti quelli di necessità e finalità. In sostanza, se il riutilizzo comporta la (voluta, e dovuta) perdita di controllo da
33 del 2013.
(29) Cfr. il Memorandum on Transparency and Open government, del 21 gennaio 2009, e quindi la direttiva sull’Open government dell’Office of Management and Budget, dell’8 dicembre dello stesso anno (si v. in http://www.whitehouse.gov/omb/open).
(30) In base all'art. 4, c. 4, del d.lgs. n. 33 del 2013, «nei casi in cui norme di legge o di regolamento prevedano la pubblicazione di atti o documenti, le pubbliche amministrazioni provvedono a rendere non intelligibili i dati personali non pertinenti
o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della pubblicazione».
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Pubblica amministrazione
parte delle amministrazioni rispetto ad informazioni che, in quanto individuate dal legislatore come
di interesse pubblico sono, per così dire, “restituite”
alla comunità perché da queste tragga nuove e non
preventivabili conoscenze, questo approccio non
consente di valutare il rilascio delle informazioni
in ragione delle finalità specifiche di utilizzo, e
quindi di verificare quali informazioni siano strettamente necessarie tenuto conto degli obiettivi conoscitivi definiti ex ante. Qui, a ben vedere, gli
obiettivi conoscitivi emergono ex post, “scavando”
nei giacimenti conoscitivi messi a disposizione della collettività, integrando fonti di informazione diverse, rielaborando e aggregando informazioni.
Il Garante vede, non da ora, con sospetto queste
dinamiche, il che è corretto vista l'angolazione (di
protezione dei dati e richiesta di giustificazione per
i diversi “trattamenti”) che inevitabilmente assume
l'autorità nel confrontarsi con questi processi: in
effetti, sottoponendo un dato a riutilizzo il legislatore finisce per autorizzare, rispetto a questo, una
serie indeterminata di trattamenti successivi diversi, alcuni dei quali non coerenti con le ragioni della pubblicazione come trasparenza totale.
Nelle Linee guida il problema è aggredito attraverso più prese di posizione. Solo alcune di queste
sono però condivisibili.
Suscitano perplessità, in particolare, gli indirizzi
delineati dal Garante nell'inquadrare, e quindi ridefinire, il modello di “riutilizzo” contenuto nel
d.lgs. n. 33. Qui l'operazione è condotta attraverso
due interventi di rilettura (o forse “riscrittura”) del
decreto: da un lato, intendendo la nuova disciplina
come riconducibile nel solco di quella sul riutilizzo
di cui al d.lgs. n. 36 del 2006; dall'altro, intendendo la nuova regolazione come rivolta ad imporre,
per i documenti e le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, non già che questi dati siano di tipo aperto, ma solo che siano in “formato”
di tipo aperto. Entrambe le posizioni non paiono
convincenti, ma mentre il dato testuale può giustificare almeno in parte la prima di queste due opzioni interpretative, l'idea di sostituire il (solo) formato aperto al modello dell'open data trova fondamento solo in una lettura parziale del decreto.
Andando con ordine: il Garante tende a sottoporre al regime del riutilizzo così come previsto dal
d.lgs. n. 36 del 2006 la possibilità di riutilizzo dei
dati pubblici regolati dal d.lgs. n. 33 del 2013. Un
regime, quello del decreto del 2006 (31), che nel
recepire in modo restrittivo la direttiva comunitaria 2003/98/CE, ha sostanzialmente configurato il
riutilizzo come non doveroso (in quanto rimesso alla scelta dell'amministrazione), dietro licenza, a pagamento. Che un simile regime, peraltro ora oggetto di una nuova direttiva europea (32), possa attagliarsi al riutilizzo come open data di cui parla il
d.lgs. n. 33 è dubitabile, ma è vero che l'art. 7 del
“codice della trasparenza” nel regolare il riutilizzo
prevede che questo avvenga “ai sensi del decreto
legislativo 24 gennaio 2006, n. 36” (nonché ai sensi del Codice dell'amministrazione digitale) . In
ogni caso, va detto che stante il non equivoco tenore testuale dell'ultima parte dell'art. 7, il regime
va in ogni caso coordinato al fine di assicurare che
il riutilizzo stesso sia in ogni caso concesso gratuitamente e senza obblighi diversi da quello di citare
la fonte e non manomettere i dati. Con buona pace del regime del d.lgs. n. 36, dunque.
Anche con riferimento al secondo profilo, vale a
dire quello dell'obbligo di apertura del formato, ma
non dei dati, il Garante tende a valorizzare in modo eccessivo il “rinvio” ad altri corpi normativi,
evitando quindi di leggere questi rinvii dentro (e
coerentemente con) il d.lgs. n. 33. È vero, infatti,
che nel trattare dei “dati aperti” l'art. 7 prevede
che documenti, dati e informazioni sono resi disponibili “in formato di tipo aperto ai sensi dell'art. 68
del codice dell'amministrazione digitale” (articolo
che, peraltro, non solo di “formato” tratta (33)),
ma non si vede come si possa ricavare da questo
l'esclusione del fatto che si tratti di dati aperti,
pubblicati in formato aperto. Si tratta di dati aperti
perché “sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e
riutilizzarli” (art. 3), riutilizzabilità che è “senza ulteriori restrizioni diverse dall'obbligo di citare la
fonte e di rispettarne l'integrità”; addirittura sono
dati tracciabili e indicizzabili (art. 4, comma 1, salvo evidentemente che si tratti di dati di tipo sensibile o giudiziario). Con che, non è chiaro quale caratteristica del “dato aperto” manchi ai dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, a partire appunto
dal formato, “aperto” esso stesso.
(31) In ordine a questo regime, si v. B. Ponti, Il riutilizzo dei
documenti del settore pubblico, in questa Rivista, 2006, 616 ss.;
ed Id., Il patrimonio informativo pubblico come risorsa: i limiti
del regime italiano di riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni, in Dir. pubb., 2007, 991 ss.
(32) Direttiva 2013/37/Ue, che rivede il quadro del riutilizzo
dell'informazione del settore pubblico e mira a rendere ancora
più ampio ed agevole il riutilizzo.
(33) L'art. 68 del d.lgs. n. 82 del 2005, al comma 3, parla
sia di “formato aperto”, alla lett. a), sia di “dati aperti”, alla lett.
b).
1120
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
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Documenti
Pubblica amministrazione
In conclusione, e senza che sia qui possibile approfondire altri profili problematici frutto di questa
contrapposizione (tra privacy e open data) e di questo approccio del Garante teso a ridurre l'impatto
del decreto 33 anche forzandone l'interpretazione
(si pensi, ad esempio, ai passaggi relativi alla qualità dei dati, da intendere anche come contestualizzazione delle informazioni, o alla possibile riduzione della durata degli obblighi di pubblicazione (34)), le Linee guida del Garante più che segnare, come era stato con quelle del 2011, un punto di
arrivo e di definizione di un equilibrio, paiono
piuttosto il segnale di una frattura, di una tensione
che resta irrisolta anche per le prese di posizione
dell'autorità della privacy. Un’autorità che, anziché
rileggere il suo ruolo ed il diritto alla riservatezza
nei nuovi scenari dell'open data, rifiuta i nuovi paradigmi della trasparenza e, così facendo, nega al
legislatore il suo ruolo di responsabile (certo non
infallibile, ma necessario) della definizione dei
confini e, al contempo, assume, quasi come fosse
un dato ineluttabile, su di sé il ruolo di antagonista
di una trasparenza della quale altresì l'ordinamento
ha, oggi, più che mai straordinario bisogno.
(34) È un tema, questo, di grande interesse in termini generali, dal momento che si ricollega al dibattito sul “diritto all'o-
blio” in rete e, quindi, alla recente sentenza, già citata,“Google
Spain” (CGUE C-131 12, del 13 maggio 2014).
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
1121
Rubriche
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Libri
Segnalazioni e recensioni
IL MESTIERE DI GIUDICE. PENSIERI DI UN ACCADEMICO
AMERICANO
Guido Calabresi, il Mulino, Bologna, 2014, p. 138, € 14
Il volume raccoglie la prima Alberico Gentili Lecture, tre
lezioni tenute all’Università di Macerata dal noto giurista
Guido Calabresi, il fondatore dell’analisi economica del
diritto. Quel che emerge è un formidabile ritratto di un
uomo che viene “da fuori”: giunto negli Stati Uniti a sei
anni, in fuga dal regime fascista e dalle leggi razziali, diventerà il più giovane professore della facoltà di legge di
Yale, di cui sarà preside per quasi dieci anni, prima di essere nominato dal presidente Bill Clinton giudice della
Corte d’appello federale del Secondo Circuito a New
York. “Il dovere di un giudice non è di scrivere bene per
compiacere la propria vanità, ma di scrivere ciò che giusto”, occorre superare “la tentazione di preferire un concetto ben detto a uno meno efficace ma più utile”. La lettura di questo libro è appassionante e stimolante, è il racconto di sé come professore, giudice, uomo, nel contesto storico e politico. Una narrazione ricca di episodi,
esperienze, incontri, dalla quale è possibile imparare molto anche di come è praticata la giustizia negli Stati Uniti:
dai law clerks alla coabitazione con colleghi di diversa
estrazione, orientamento, formazione e origine, dall’estensione delle materie su cui si esercita la giurisdizione
al ruolo dei giudici nella società. Particolare attenzione
sono dedicate al dialogo tra i giudici, come fonte di aggiornamento e miglioramento del diritto, nonché al rapporto con la legge ingiusta, come la pena di morte, un
abominio nella cultura del diritto. Si tratta di un libro, insomma, come scrive Benedetta Barbisan, che l’ha curato, a proposito delle conversazioni con lo stesso Calabresi, che “ti fa venir voglia di voglia di essere migliore”.
(Marco Macchia)
OLTRE LO IUS SOLI. LA CITTADINANZA ITALIANA IN
PROSPETTIVA COMPARATA
Mario Savino (a cura di), Editoriale Scientifica, Napoli,
2014, p. 242, € 14,50
Perché i figli di cittadini stranieri nati e residenti in Italia devono attendere la maggiore età per divenire cittadini? Perché gli stranieri stabilmente residenti devono attendere dieci anni per poterla richiedere, senza certezze su tempi ed
esito dell’istanza? E perché, invece, il diritto alla cittadinanza è generosamente riconosciuto a tutti i discendenti degli
emigrati italiani, senza limiti temporali o generazionali e
senza neppure richiedere l’esistenza di un legame effettivo
con la madrepatria degli avi?
A questi interrogativi dà risposta il volume che si segnala.
Nell’accurata indagine svolta da un gruppo di ricercatori
dell’IRPA si esamina la disciplina dell’acquisto della cittadinanza in Italia e in altri nove paesi (Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Svezia, Austria, Stati Uniti, Canada e
Australia) che, come il nostro, sono meta di consistenti
flussi migratori in entrata. Ai dieci ordinamenti menzionati
sono dedicati altrettanti capitoli, ciascuno dei quali articola-
1122
to in quattro parti, riguardanti, rispettivamente, l’evoluzione
della disciplina, la normativa vigente, la sua applicazione in
via amministrativa e il relativo impatto, di cui si dà conto
con dati e statistiche. I risultati dell’indagine comparata sono condensati nel capitolo iniziale, ove, passati in rassegna
i principali “fallimenti” della normativa italiana, si evidenzia
lo scarto rispetto alle principali esperienze straniere e si
prospettano, su quella base, alcune proposte di riforma.
(Marco Macchia)
LEZIONI DI DIRITTO PUBBLICO DELL’ECONOMIA
Francesca Trimarchi Banfi, Giappichelli, Torino, 2014,
p. 202, € 19
È dai tempi di E. Forsthoff (Der Staat der Industriegesellschaft, München, 1971) che si è consapevoli delle ragioni
costitutive della difficoltà di sintetizzare i caratteri del diritto
speciale che si propone di regolare le attività economiche.
L’idea stessa che vi possa essere una trattazione manualistica sembra doversi arrendere di fronte alla natura sempre
inedita e alluvionale degli interventi normativi, così come
all’elevato tecnicismo delle valutazioni che vi sono sottese.
Queste lezioni, tuttavia, dimostrano la perdurante attualità
di un’introduzione generale, dato che la navigazione nel
mare magnum di soluzioni apparentemente particolari può
confermare che si tratta davvero di veicoli potenti ed efficaci, capaci di una trasformazione complessiva del diritto
amministrativo e degli approcci interpretativi che finora lo
hanno animato.
Sul punto pare molto utile la distinzione che l’a. svolge in
premessa, tra regole e istituti che hanno effetti economici
e regole e istituti che hanno oggetto economico: tale criterio non è interessante solo ai fini dell’analisi della compatibilità costituzionale di talune misure. Esso aiuta a rimarcare
la profondità dell’effetto retroattivo che talune scelte normative possono sortire sull’intero sistema, anche se topograficamente circoscritte.
Il testo si può dividere in due parti. Nella prima (capitoli III) si illustrano le finalità e i metodi delle politiche di intervento pubblico nel mercato; ci si sofferma su alcuni snodi
peculiari del diritto amministrativo, tra i quali il regime
della segnalazione d’inizio attività; si descrivono i principi
del diritto dell’Unione europea e se ne misura l’impatto
sugli artt. 41 e 43 Cost.; si offre un quadro degli apparati
pubblici che operano in campo economico e delle formule
organizzative con cui vengono gestiti imprese e servizi
pubblici. Nella seconda parte (capitoli III-VI) si approfondiscono aspetti qualificanti del diritto pubblico dell’economia: la fisionomia dell’attività di regolazione (con specifica attenzione al regime dell’infrastruttura); la disciplina
dei servizi pubblici (e il rapporto tra il diritto europeo e
quello nazionale; con digressione sulle peculiarità del servizio postale); l’azione pubblica di conformazione dei mercati (vista nel prisma della programmazione commerciale
e della pianificazione delle farmacie); le procedure contrattuali della pubblica amministrazione, alla luce delle direttive europee e con puntuali precisazioni sull’organismo
di diritto pubblico e sull’in house providing. (Fulvio Cortese)
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Libri
AUTORIZZAZIONE INTEGRATA E REGOLAZIONE AMBIENTALE
Vittorio Pampanin, Aracne, Roma, 2014, p. 275, € 8
Il volume muove dal presupposto che l’istituto dell’autorizzazione integrata ambientale, previsto dalla disciplina europea in materia di prevenzione e riduzione dell’inquinamento, operi come un vero e proprio strumento di regolazione.
L’amministrazione è chiamata a verificare la compatibilità
di una iniziativa del privato rispetto a un’esigenza di interesse pubblico e ad esercitare una potestà conformativa.
Questa si realizza attraverso la previsione di condizioni relative all’impatto inquinante dell’attività svolta, alle quali è
subordinata l’attività autorizzata. Da quali fattori dipenda la
determinazione delle condizioni di autorizzazione, e quale
valutazione funzionale si possa dare dello strumento dell’autorizzazione integrata ambientale, sono le domande
che stanno al centro di questa indagine. Opportunamente,
la ricerca scava nel parametro della migliore tecnica disponibile, che rappresenta lo snodo di fondo intorno al quale
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
ruota l’effettiva utilizzazione dell’istituto. Dopo una parte
iniziale dedicata ai principi europei di diritto ambientale e
alla graduale messa a punto di un «approccio integrato» al
problema delle emissioni inquinanti, sono posti in evidenza
i problemi applicativi legati alla concreta individuazione
della migliore tecnica disponibile e le soluzioni procedurali
messe a punto dalla disciplina europea. Il riferimento alla
migliore tecnica disponibile fa dell’autorizzazione integrata
ambientale uno strumento duttile e adattabile. Ma può anche dare luogo ad anomalie applicative e limitare l’effettività della tutela giurisdizionale. Le conclusioni riflettono sulla
rilevanza dell’autorizzazione integrata nella regolazione ambientale europea. L’indagine, però, è rilevante anche al di
fuori dei confini del settore specifico, là dove offre un termine di comparazione con sviluppi analoghi in altri settori
(ad esempio, la concorrenza), mostra la messa a punto di
strumenti di cooperazione amministrativa, offre un esempio dell’evoluzione delle tecniche regolatorie nell’ordinamento europeo. (Edoardo Chiti)
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Giornale di diritto amministrativo
Indici
INDICE DEGLI AUTORI
17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13 .....
1 luglio 2014, causa C-573/12 ...........................
Allena Miriam
Corte costituzionale
Il caso Grande Stevens c. Italia: le sanzioni Consob
alla prova dei principi Cedu ..............................
10 aprile 2014, n. 88 ......................................
1053
Basilico Alessandro
Le pronunce della Corte di Strasburgo e il giudizio di
ottemperanza ...............................................
Battini Stefano
Una nuova stagione di riforme amministrative .......
Carloni Enrico
Le Linee guida del Garante: protezione dei dati e
protezione dell’opacita` ....................................
28 luglio 2914 n. 3980, sez. V ...........................
22 settembre 2014 n. 4775, sez. VI ....................
22 settembre 2014 n. 4748, sez. IV ....................
25 settembre 2014 n. 4818, sez. IV ....................
1113
6 ottobre 2014 n. 4993, sez. V ..........................
1044
6 febbraio 2014, n. 424, Tar Catania, sez. II ..........
De Benedetto Maria
Le autorita` indipendenti e gli enti pubblici .............
28 luglio 2014, n. 3976, sez. V ..........................
31 luglio 2014, n. 4047, sez. IV .........................
1017
21 luglio 2014, n. 7784, Tar Lazio, sez. III quater
La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di
appalti pubblici in funzione anticorruzione .............
19 agosto 2014, n. 9105, Tar Lazio, sez. II ............
1023
29 agosto 2014, n. 1324, Tar Liguria, sez. II ..........
3 settembre 2014, n. 2242, Tar Lecce, sez. III .......
Lo Conte Giustino
4 settembre 2014, n. 2307, Tar Milano, sez. I ........
1068
8 settembre 2014, n. 9505, Tar Lazio, sez. I ..........
Lorenzoni Livia
8 settembre 2014, n. 2288, Tar Milano, sez. III ......
La responsabilita` civile della pubblica amministrazione per violazione diretta del diritto europeo della
concorrenza .................................................
11 settembre 2014, n. 2345, Tar Milano, sez. III .....
16 settembre 2014, n. 1212, Tar Veneto, sez. I ......
1076
16 settembre 2014, n. 9694, Tar Lazio, sez. III bis ..
Macchia Marco
18 settembre 2014, n. 1481, Tar Piemonte, sez. I ...
Il processo amministrativo tra organizzazione e digitalizzazione ..................................................
18 settembre 2014, n. 2358, Tar Milano, sez. I, .....
1039
Macrı` Massimo
Le nuove disposizioni in materia di lavoro pubblico ..
1032
Vesperini Giulio
La semplificazione, politica comune ....................
1076
1097
1096
1096
1096
1095
1097
1095
Tribunali amministrativi
Di Cristina Fabio
Equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali:
prime indicazioni della Corte costituzionale ...........
1068
Consiglio di Stato (decisioni)
31 marzo 2014, n. 1508, sez. VI ........................
1086
1093
1094
1019
1086
1103
1103
1101
1100
1099
1102
1099
1102
1100
1102
1099
1101
Corte dei conti
11 luglio 2014, n. 20/2014/SEZAUT/FRG, sezione
delle Autonomie, deliberazione .........................
1104
6 giugno 2014, sezioni riunite in sede di controllo,
delibera ......................................................
1105
A.N.A.C. - Autorita` nazionale anticorruzione
(Avcp) Parere sulla normativa n. 6 del 20 marzo
2014 .........................................................
INDICE CRONOLOGICO
DEI PROVVEDIMENTI
(Avcp )Determinazione 23 aprile 2014, n. 3 ...........
(Avcp) Comunicato del Presidente del 20 marzo
2014 .........................................................
Norme
Determinazione 29 luglio 2014, n. 1 ...................
Normativa statale
Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 ..................
Decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 ............
Decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 ............
1019
1052
1052
Determinazione 2 settembre 2014, n. 2 ...............
8 maggio 2014, n. 205/2014/R/eel, deliberazione ....
Giurisprudenza
22 maggio 2014, n. 231/2014/R/com, deliberazione
Corte europea dei diritti dell’uomo
6 giugno 2014, n. 266/2014/R/com, deliberazione ...
1053
10 luglio 2014, n. 334/2014/R/gas, deliberazione ....
1093
1093
15 maggio 2014 - Provvedimento del Garante della
protezione dei dati personali .............................
Corte di giustizia Ue e Tribunale Ue
17 luglio 2014, cause riunite C-473/13 e C-514/13 ...
17 luglio 2014, causa C-469/13 .........................
1124
1109
1107
1107
AEEG
16 maggio 2014, n. 210/2014/A, deliberazione .......
4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10 .....................
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Documenti
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Giornale di diritto amministrativo
Indici
INDICE ANALITICO
Smart metering multiservizio - Osservatorio Autorita`
ind. ...........................................................
Autorita` indipendenti
Tariffa di rete per i consumi ad alta efficienza - Osservatorio Autorita` ind. ...................................
Tutela del consumatore - Osservatorio Autorita` ind.
Il caso Grande Stevens c. Italia: le sanzioni Consob
alla prova dei principi Cedu (Corte europea dei diritti
dell’uomo, 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10), commento di Miriam Allena ...................................
Unbundling contabile - Osservatorio Autorita` ind. ...
1110
1111
1110
1111
1053
Enti locali
Concorsi
Ricusazione componente di una commissione - Osservatorio Tar ...............................................
Procedimento elettorale delle nuove province - Osservatorio CdS .............................................
1095
1099
Finanza e contabilita` pubblica
Contratti pubblici
Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali:
prime indicazioni della Corte costituzionale (Corte
costituzionale, 10 aprile 2014, n. 88), commento di
Giustino Lo Conte .........................................
Applicazione dell’art. 38, c. 1, lett. b), del d.lgs. n.
163/2006 dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 159/
2011 (Codice antimafia) - Osservatorio Autorita` ind.
1107
Applicazione dell’istituto stand still e limiti - Osservatorio Autorita` ind. ..........................................
1109
Giurisdizione ecompetenza
1100
Controversie in tema di atti di recupero della Tia Osservatorio CdS ..........................................
1096
1100
Istanza di definizione di accordo bonario su riserve
iscritte nei registri di contabilita` - Osservatorio Tar ..
1101
Affidamento a trattativa privata del servizio di trasporto scolastico - Osservatorio Tar ....................
Decadenza dall’aggiudicazione di una gara pubblica Osservatorio Tar ...........................................
Indicazioni alle stazioni appaltanti in materia di avvalimento dopo la sentenza della Corte Ue 10 ottobre
2013 causa c-94/12 - Osservatorio Autorita` ind. . ....
Problematiche sull’uso della cauzione provvisoria e
definitiva (artt. 75 e 113 del codice) - Osservatorio
Autorita` ind. .................................................
Procedure di concordato preventivo con ‘‘continuita`
aziendale’’ - Osservatorio Autorita` ind. .................
1109
Le pronunce della Corte di Strasburgo e il giudizio di
ottemperanza (Tar Catania, sez. II, 6 febbraio 2014,
n. 424), commento di Alessandro Basilico ............
Parere di congruita` su parcella di avvocato - Osservatorio Tar ..................................................
Valore giuridico dei chiarimenti resi dalla stazione appaltante - Osservatorio Tar ...............................
1101
Le Linee guida del Garante: protezione dei dati e
protezione dell’opacita` (Garante della protezione dei
dati personali - Provvedimento del 15 maggio 2014),
commento di Enrico Carloni .............................
1113
Processo amministrativo
Controlli
Gli andamenti della finanza territoriale - Osservatorio
Corte dei conti .............................................
1104
La gestione del patrimonio dello Stato - Osservatorio
Corte dei conti .............................................
1105
Legittimazione a ricorrere di soggetti stranieri - Osservatorio CdS .............................................
1096
Tar competente in caso di ricorso avverso la decisione della Commissione per l’accesso ai documenti
amministrativi - Osservatorio CdS ......................
1096
Diritti dell’uomo
Provvedimento amministrativo
Il caso Grande Stevens c. Italia: le sanzioni Consob
alla prova dei principi Cedu (Corte europea dei diritti
dell’uomo, 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10), commento di Miriam Allena ...................................
Motivazione degli atti di alta amministrazione - Osservatorio Tar ..............................................
1053
Pubblica amministrazione
Accesso ai documenti di organizzazione sindacale Osservatorio Tar ...........................................
1099
La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di
appalti pubblici in funzione anticorruzione (Le misure
urgenti sulla pubblica amministrazione - D.l. n. 90/
2014), di Fabio Di Cristina ................................
Diritto di cronaca e difesa nel giudizio penale - Osservatorio CdS .............................................
1095
Diritto di accesso
1097
La semplificazione, politica comune (Le misure urgenti sulla pubblica amministrazione - D.l. n. 90/
2014), di Giulio Vesperini .................................
Le autorita` indipendenti e gli enti pubblici (Le misure
urgenti sulla pubblica amministrazione - D.l. n. 90/
2014), di Maria De Benedetto ...........................
1111
Le Linee guida del Garante: protezione dei dati e
protezione dell’opacita` (Garante della protezione dei
dati personali - Provvedimento del 15 maggio 2014),
commento di Enrico Carloni .............................
Edilizia ed urbanistica
Energia elettrica e gas
Giornale di diritto amministrativo 11/2014
1102
Privacy
Revisione prezzi - Osservatorio Tar .....................
Regolamento sugli obblighi di trasparenza - Osservatorio Autorita` ind. ..........................................
1086
1107
1108
1099
Abuso edilizio su immobile condominiale - Osservatorio CdS ....................................................
1068
1102
1023
1019
1044
1113
1125
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Giornale di diritto amministrativo
Indici
Le nuove disposizioni in materia di lavoro pubblico
(Le misure urgenti sulla pubblica amministrazione D.l. n. 90/2014), di Massimo Macrı` .....................
Il processo amministrativo tra organizzazione e digitalizzazione (Le misure urgenti sulla pubblica amministrazione - D.l. n. 90/2014), di Marco Macchia .....
Una nuova stagione di riforme amministrative, di
Stefano Battini .............................................
Responsabilita` della p.a.
1032
1039
1102
Autorizzazione all’apertura di studio odontoiatrico Osservatorio Tar ...........................................
1103
Unione europea
Cittadinanza - Osservatorio Corte Ue ..................
Libera circolazione delle persone- Osservatorio Corte Ue ........................................................
Pubblico impiego
Diniego di assunzione per fatti penali - Osservatorio
Tar ............................................................
Nuove assunzioni presso le province e loro soppressione ai sensi della l. n. 56/2014 - Osservatorio CdS
1076
Sanita`
1017
Pubblica istruzione
Riduzione della durata del corso di studi di alcune
scuole superiori - Osservatorio Tar .....................
La responsabilita` civile della pubblica amministrazione per violazione diretta del diritto europeo della
concorrenza (Consiglio di Stato sez. VI, 31 marzo
2014, n. 1508), commento di Livia Lorenzoni ........
1093
1103
Libera circolazione delle merci - Osservatorio Corte Ue
1093
1094
1097
Spazio di liberta`, sicurezza e giustizia - Osservatorio
Corte Ue ....................................................
1093
Hanno collaborato:
M. Allena
A. Basilico
F. Battini
S. Battini
L. Carbone
E. Carloni
E. Chiti
P. Cirielli
M. D’Adamo
L. D’Ambrosio
M. De Benedetto
F. Di Cristina
F. Di Lascio
G. Ferrari
D. Galli
C. Guccione
G. Lo Conte
L. Lorenzoni
M. Macrı`
M. Macchia
M. Miceli
S. Screpanti
G. Vesperini
U. G. Zingales
1126
Ricercatrice di diritto amministrativo nell’Universita` Bocconi di Milano
Avvocato e Dottore di ricerca in diritto costituzionale nell’Universita` degli studi di Milano
Presidente onorario della Corte dei conti
Professore di diritto amministrativo nell’Universita` della «Tuscia»
Presidente di sezione del Consiglio di Stato
Professore associato di diritto amministrativo nell’Universita` degli studi di Perugia
Professore straordinario di diritto amministrativo nell’Universita` della Tuscia
Dottore di ricerca in diritto ed economica nell’Universita` degli studi di Siena
Dirigente amministrativo presso la regione Campania
Consigliere della Corte dei conti
Professore di diritto amministrativo dell’economia nell’Universita` «Roma Tre»
Dottore di ricerca in diritto ed economica nell’Universita` degli studi di Siena
Ricercatore di diritto amministrativo nell’Universita` di «Roma Tre»
Magistrato dei Tar
Avvocato in Roma
Avvocato in Roma
Dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia nell’Universita` «Sapienza» di Roma
Dottoranda di ricerca in diritto amministrativo nell’Universita` «Roma Tre»
Funzionario dell’Autorita` Nazionale Anticorruzione
Ricercatore di diritto amministrativo nell’Universita` «Tor Vergata» di Roma
Dottore di ricerca in organizzazione e funzionamento della p.a. nell’Universita` «Sapienza» di Roma
Dottore di ricerca in diritto amministrativo nell’Universita` di «Roma Tre»
Professore ordinario di diritto amministrativo nell’Universita` della «Tuscia»
Consigliere della Corte Costituzionale
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V
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ANNO XX - Direzione e redazione - Strada 1 Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI)
11 2014
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Una nuova stagione
di riforme amministrative
Il decreto n. 90/2014
e la pubblica amministrazione
Le sanzioni Consob
alla prova dei principi Cedu
DIRETTORE SCIENTIFICO
Sabino Cassese
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L’opera commenta, con sapiente
sintesi degli autori, gli articoli del
Codice Civile e delle disposizioni
attuative, dando conto delle relative
discipline speciali, alla luce delle
numerose novellazioni intervenute
su tutti i Libri del Codice (non meno
da ultimo il d.l. 21 marzo 2014 n.34
in tema di contratti a termine e
apprendistato e la sentenza della
Corte Costituzionale del 9 aprile
2014 in tema di fecondazione
eterologa).
Mensile di legislazione, giurisprudenza,
prassi e opinioni
00148761
COMMENTARIO
BREVE AL
CODICE CIVILE
Giornale di diritto
amministrativo
TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46 ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO
GIORNALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO - NOVEMBRE 2014 N. 11
AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
COMITATO SCIENTIFICO
Edoardo Chiti
Giulio Napolitano
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Francesco Battini
Luigi Carbone
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