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87
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n. 87 – dicembre 2014
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, lavoro e
previdenza, Pubblica Amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia,
Amministrazione, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
39
inquinamento,
Pubblica
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APPROFONDIMENTI
Ambiente
RESSO INS TALLAZIONI IN
AIA ALLA L UCE DELLE MO DIFICHE
"COMPETITIVITÀ E CRESCITA"
L’articolo 13, c. 4, del D.L. n. 91/2014, conv. con modificazioni, in l. n. 116/2014,
Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento
energetico dell'edilizia scolastica e universitaria,…
Marco Fabrizio, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 11 dicembre 2014
IL RECUP
ERO D I RIFIUTI P
INTRODOTTE DAL DECRETO
56
Ambiente
LE NUOVE NORME PER LA GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE
Il Decreto Sblocca Italia (Decreto Legge, testo coordinato 12.09.2014 n° 133, G.U.
11.11.2014) contiene rilevanti novità relative ai servizi pubblici locali, in particolare per
quanto riguarda il servizio idrico integrato.
Giovanni La Banca, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 10 dicembre 2014
61
Ambiente
ASSOGGETTABILITÀ A VIA: MANCA IL DECRET O ATTUATIV O E LE REGIONI INTERP RETANO "CASO
PER CASO"
È con l’inerzia caratteristica dei corpi pesanti che si vanno dispiegando gli effetti delle
disposizioni normative in materia di VIA introdotte dal D.L. n. 91 del 24 giugno 2014
Carla Cimoroni, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 12 dicembre 2014
65
Appalti
LA TRASPARENZA NEGLI ENTI LOCALI
La trasparenza è uno dei principi che devono necessariamente reggere l’attività
amministrativa, insieme a quelli di economicità, efficacia, imparzialità e pubblicità, fissati
dall’art. 1, L. 7 agosto 1990, n. 241.Marco Porcu, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – 25
novembre 2014
69
Pubblica amministrazione
I COMUNI E LA LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE
La contraffazione è un fenomeno che colpisce soprattutto le aree urbane, manifestando i
suoi effetti in numerosi campi dell’economia e del vivere in comunità.
Simone D’Antonio, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n.
11/12
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72
2
Pubblica amministrazione
LA P UBBLICAZIONE D EI D OCUMENTI CONTAB ILI
E LE ALTRE MISURE PER L A TRASP ARENZA DELLA
FINANZA LOCALE
Il Dlgs n. 126/2014, recante disposizioni integrative e correttive al Dlgs n. 118/2011, ha
introdotto, con l’adeguamento dei sistemi informativo-contabili…
Paolo Canaparo, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n.
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Pubblico Impiego
I VINCOLI AL FINANZIAMENTO DEL TRATTAMENTO ACCESSORIO
Con deliberazione n. 26/Qmig del 21 ottobre 2014, la sezione autonomie della Corte dei
conti ha chiarito, con pronuncia di orientamento generale
Donato Centrone, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa – 30 Novembre 2014,
n. 11/12
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Pubblico Impiego
NO AL LICENZIAMENTO SENZA P REAVVISO DEL DIPENDENTE
PUBBLICO IN DIFETTO DI SENTENZA DI
CONDANNA
Interessante questione è quella decisa con la sentenza n. 24728/14 dalla Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro…
Mario Piselli, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali - Edizione del 21 novembre 2014 Numero OnLine
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Pubblico Impiego
DIRITTI D
I ROGITO
DEI S EGRETARI, NEI P
ICCOLI ENTI D
OPO IL TAGLIO P
OSSONO ANCH E
AUMENTARE
I segretari dei Comuni in cui non vi sono i dirigenti possono percepire i diritti di rogito per
l'intera quota introitata dall'ente, purché restino entro il tetto di 1/5 del proprio trattamento
economico annuo.
Arturo Bianco, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 Numero OnLine
91
Pubblico Impiego
ASSUNZIONI, LA SEZIONE AUTONOMIE BLOCCA IL CONTEGGIO DEI «RESTI» PER IL TURN OVER
Gli enti locali, nel 2014, non possono utilizzare, quale capacità assunzionale, i "resti"
provenienti dagli anni precedenti.
Gianluca Bertagna, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 Numero OnLine
93
L’ESPERTO RISPONDE
Appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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 Ambiente
 La IPPC: pubblicate le linee di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha emanato in data 27 ottobre
2014 la Circolare, prot. 0022295 GAB “Linee di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina in
materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, recata dal Titolo III-bis alla parte
seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto
legislativo 4 marzo 2014, n.46”.
Le linee guida chiariscono i seguenti punti:
1. Definizione di sito
2. Definizione del concetto di attività connessa
3. Applicazione dell’istituto del rinnovo periodico
4. Modalità di gestione dei procedimenti in corso
5. Presentazione della relazione di riferimento
6. Soglie delle attività di fabbricazione di prodotti alimentari o mangimi
7. Chiarimenti in merito alla nozione di pollame
8. Chiarimenti in merito alla nozione di frantumatori di rifiuti metallici
9. Oggetto dei controlli
10. Sospensione dell’autorizzazione
11. Chiarimenti in merito alla capacità di incenerimento
12. Chiarimenti in merito agli obblighi di pubblicazione
13. Chiarimenti in merito all’impiego delle linee guida MTD
14. Primi chiarimenti in merito agli impianti esistenti non già soggetti ad AIA.
(Francesca Sartori, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 29 novembre 2014)
 Appalti

Nelle gare pubbliche regolarizzazioni in dubbio per il Durc
Forti incertezze sui Durc (documento unico di regolarità contributiva) per le imprese che intendano
partecipare a gare pubbliche. La sentenza del Tar Bologna 27 novembre 2014 n. 1153 ritiene che
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l’impresa debba attestare con Durc la regolarità contributiva con riferimento al momento della
partecipazione alla gara. Non si possono quindi regolarizzare i debiti previdenziali fruendo del
termine quindicinale che l’ente previdenziale è tenuto ad assegnare all’impresa per fruire di
«agevolazioni normative e contributive» (art. 7 Dm lavoro 24 ottobre 2007). La regolarizzazione
sarebbe possibile solo per il cosiddetto Durc “interno”, ossia quello rilasciato dall’Inps per il
riconoscimento di benefici o sgravi contributivi all’impresa, mentre per partecipare alle gare occorre
il Durc “esterno”, per il quale non è prevista la regolarizzazione.
Di segno opposto è la sentenza del Consiglio di Stato 14 ottobre 2014 numero 5064, la quale
sottolinea che l’ente previdenziale è obbligato a consentire all’impresa di regolarizzare la posizione,
e ciò si riverbera in senso favorevole sugli appalti.
La tesi del Consiglio di Stato è condivisa anche dal Tar del Lazio, che nell’ordinanza sospensiva 4
dicembre 2014 n. 6255 si è espresso favorevolmente alla regolarizzazione. La possibilità di fruire di
15 giorni per regolarizzare la posizione contributiva (art. 7 Dm 24 ottobre 2007), senza quindi
distinguere tra Durc interno ed esterno, sembra anche coerente con l’articolo 4 del Dl 34/14
(convertito in legge 78/14), norma che consentirà di sostituire il Durc con un’interrogazione
telematica. Quando l’interrogazione sarà possibile (si attende un decreto del Lavoro) essa sarà
valida sia a fini previdenziali, sia per partecipare a gare di appalto, ed è previsto che siano
individuati i «requisiti di regolarità» e le «tipologie di pregresse irregolarità» ostative al godimento
di benefici normativi e contributivi. Quindi, non esiste né una regolarità assoluta, né un’irregolarità
netta, ma sono possibili zone intermedie, coerenti all’elasticità che l’articolo 38 del Dlgs 167/06
(sugli appalti pubblici) individua con il concetto di «violazioni gravi, definitivamente accertate» che
il Durc aiuta ad individuare. Inoltre va tenuta presente la modifica della legislazione sugli appalti
introdotta dall’art. 39 co.1 del Dl 90/14 (convertito in legge 114/14): l’articolo 38 del Dlgs 163/06
sui Lavori Pubblici è stato arricchito del comma 2 bis, il quale consente una certa elasticità e quindi
autorizza a leggere il Durc come regolarizzabile. La norma del 2014 prevede infatti che in
mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale della partecipazione a gare generi una
sanzione tra mille e 50mila euro e apra le porte ad una regolarizzazione entro 10 giorni. Se
esistono quindi le procedure per regolarizzare il Durc e anche le sanzioni per bilanciare eventuali
irregolarità, anche il Durc può essere regolarizzato.
(Guglielmo Saporito, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 10 dicembre 2014)

Il soccorso istruttorio alla luce della nuova disciplina
L’istituto del soccorso istruttorio è disciplinato dall’art. 46, comma 1 D.Lgs. 163/2006, ai sensi del
quale “… le Stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire
chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”.
La norma è stata subito oggetto di un ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale, articolato tra
le teorie ispirate al principio del favor partecipationis e quelle volte al rispetto dell’opposto principio
della par condicio.
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La prima soluzione normativa alla vexata quaestio viene fornita dall’introduzione del comma 1-bis
dell’art. 46, D.Lgs. 163/2006 che stabilisce l’esclusione dalla gara solo nel caso in cui il codice, la
legge statale o il regolamento attuativo la comminino espressamente, limitando, fortemente, la
discrezionalità della P.A. nella determinazione della normativa di gara.
La tassatività può ritenersi rispettata, dunque, non solo attraverso l’introduzione di specifiche
clausole di esclusione, ma anche quando, pur non prevedendo espressamente l’esclusione, si
impongano, tuttavia, adempimenti doverosi o introducano norme di divieto, qualora sia certo il
carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una
gara (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 9/2014; id. n. 23/2013; id. n. 21/2013).
Tutto ciò in applicazione del generale principio del giusto procedimento (art. 3, L. 241/1990) che
impone all’Amministrazione di superare il rigido formalismo in favore del principio del favor
partecipationis, ovviamente assicurando il pieno bilanciamento con i principi della par condicio,
dell’imparzialità e del buon andamento della P.A.
Di tal ché, il soccorso istruttorio troverà applicazione in ipotesi in cui si dovrà completare o
correggere errori materiali e refusi di dichiarazioni o documenti già presentati, inerenti ai requisiti
di ordine generale.
Anzi, esso diventa doveroso, in applicazione del principio di leale collaborazione (art. 46,
D.Lgs.163/2006), in virtù del quale la Stazione Appaltante è tenuta a richiedere o a consentire la
suddetta integrazione, in modo da rendere conforme l’offerta quanto richiesto dalla lex specialis di
gara (cfr. Cons. Stato 25 luglio 2014, n. 3962; T.A.R. Lazio 14 aprile 2014, n. 4031).
Il nuovo soccorso istruttorio
Il D.L. 24.6.2014, n. 90 (conv.dalla L. 11472014) introduce una profonda innovazione con l’art. 39:
“Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento dei contratti
pubblici”.
Viene inserito il comma 2-bis all’art. 38 D.Lgs.163/2006, che stabilisce che il soccorso istruttorio è
sempre possibile non solo per regolarizzare documenti già presentati, ma anche per integrare una
documentazione mancante con cui il concorrente è chiamato ad attestare il possesso dei requisiti di
ordine generale.
La norma si estende anche ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi ex art. 46,
comma 1-ter relativa a tutte le ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e
delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla
legge, al bando o al disciplinare di gara.
Viene stabilita, dunque, la prevalenza del dato sostanziale su quello formale, in quanto diventa
elemento imprescindibile il reale possesso di determinati requisiti e non la completezza della
documentazione di gara.
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Sicché il concorrente che ha presentato una dichiarazione ex art. 38 incompleta, o che ha omesso
in toto di presentarla, non può, ipso facto, essere escluso dalla gara, dovendo sempre essergli
consentito di sanare le omissioni, dimostrando di essere comunque in possesso di tutti i requisiti di
ordine generale di cui all’art. 38.
Il nuovo istituto del soccorso istruttorio prevede due differenti patologie della fattispecie
procedimentale.
In primis, si fa riferimento alla sanabilità di irregolarità essenziali (es., l’assenza del documento di
identità che deve accompagnare la dichiarazione in modo che questa possa produrre i suoi effetti
sostitutivi dei certificati), nel qual caso la Stazione Appaltante sarà obbligata a esercitare il dovere
del soccorso istruttorio, con imposizione, al concorrente, del pagamento di una sanzione pecuniaria
e di procedere a integrare la documentazione nei termini stabiliti dalla stessa. In assenza di tali
adempimenti, il concorrente sarà escluso.
In secundis, nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di
dichiarazioni non indispensabili, la Stazione Appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né
applica alcuna sanzione.
E in ciò si sostanzia l’elevata portata innovativa della disposizione in esame, in quanto permette,
seppur entro certi limiti, l’integrazione degli elementi documentali essenziali anche quando gli
stessi non sussistevano in sede di presentazione dell’offerta, creando, con ciò, difficoltà
interpretative in una fase procedimentale (quella dell’ammissione o meno al procedimento degli
operatori economici) che esige trasparenza e pari condizioni, non vantaggi arbitrari o elusivi delle
norme in materia.
La problematicità dell’innovazione che, anziché semplificare, sembrerebbe complicare la procedura
di gara, viene analizzata, seppur in via incidentale, dalla prima giurisprudenza amministrativa
emersa sul punto.
Anche se trattavasi di una fattispecie sorta in vigenza della precedente normativa, il Consiglio di
Stato ha preso atto dello ius superveniens di cui alla presente trattazione, affermando che, a
seguito della semplificazione così intervenuta, «in ogni caso andranno risolti problemi esegetici in
sede applicativa e, con riguardo alle fattispecie analoghe a quella all’esame e cioè alla omessa
dichiarazione
di
pregresse
condanne,
non
appare
possa,
anche
in
caso
di
successiva
regolarizzazione, eliminarsi del tutto, ove non esplicitato, il “filtro” dell’Amministrazione» (v. Cons.
Stato, Sez. III, 8 settembre 2014, n. 4543; T.A.R. Puglia, Lecce, n. 2358/2014).
Alla luce delle argomentazioni suesposte, sembrerebbe, da una prima analisi normativa e
giurisprudenziale, che la nuova normativa così introdotta potrebbe, al netto delle esigenze di
semplificazione che intende meritevolmente perseguire, creare delle problematicità afferenti al
corretto bilanciamento degli interessi in gioco, in particolare quello della par condicio e quello
opposto del favor partecipationis.
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(Giovanni La Banca, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 10 dicembre 2014)

Affidamento di servizi complementari senza gara
L’affidamento diretto di servizi complementari all’oggetto del progetto o del contratto originario, ai
sensi dell’art. 57, comma 5 D.Lgs. 163/2006, non può prescindere dal verificarsi di una circostanza
imprevista, non imputabile alla condotta dell’amministrazione.
Questo, il principio affermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza 25 novembre 2014, n. 5827,
nell’ambito di un contratto per la fornitura di un multi servizio tecnologico.
Nel caso in esame, l’amministrazione aveva affidato direttamente, al soggetto gestore del servizio,
attività manutentive di impianti tecnologici non ricomprese nel contratto originario.
Con la decisione in commento, i Giudici amministrativi ritengono illegittimo l’agire dell’Ente, poiché
non hanno ritenuto esistenti i presupposti per poter procedere all’affidamento diretto, ovvero, il
verificarsi di una circostanza imprevedibile e l’esecuzione di attività necessarie per l’esecuzione
dell’opera o del servizio oggetto del progetto o del contratto iniziale.
La sentenza, considera il nuovo affidamento una illegittima estensione del contratto originario,
mentre l’imprevedibilità richiesta dalla norma, non si è verificata.
Non è stata ritenuta infatti plausibile la “controversa” motivazione addotta dall’amministrazione,
anche perché il verificarsi della circostanza c.d. imprevedibile è dipesa da un comportamento non
diligente della P.A.
(Marco Porcu, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 1 dicembre 2014)

Appalti, rischi penali per chi permette varianti ingiustificate
Più sono «aggressivi» i ribassi con i quali vengono aggiudicati gli appalti, più frequenti sono le
varianti in corso d’opera, che spesso consentono all’appaltatore di recuperare gli “sconti” offerti
all’inizio e si giustificano solo formalmente con le classiche «cause impreviste e imprevedibili» che
permettono di riformare i contratti. E non è solo un fatto di frequenza: quando il ribasso d’asta
iniziale è stato superiore al 30%, almeno il 50% delle varianti approvate presentano problemi di
varia importanza, che se messi sotto controllo potrebbero sfociare in responsabilità anche penali
nei confronti di chi ha aggiudicato la gara. Non solo: nel 90% dei casi, l’importo della variante è
vicinissimo al ribasso d’asta iniziale, annullando di fatto il risparmio.
A dirlo è il primo esame delle varianti effettuato dall’Autorità nazionale anticorruzione guidata da
Raffaele Cantone. Il rapporto a volte perverso fra aggiudicazioni con ribassi extra e “correzioni”
successive in corso d’opera è un fatto noto, al punto che proprio per contrastare fenomeni di
questo tipo il decreto sulla Pubblica amministrazione (articolo 37 del Dl 90/2014) ha imposto agli
enti pubblici di trasmettere le varianti all’Autorità. I numeri elaborati dall’Anac, però, offrono per la
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prima volta una misurazione puntuale del fenomeno, e già evidenziano «condotte ricorrenti» che
«nella loro reiterazione testimoniano un’applicazione distorta dell’istituto della variante in corso
d’opera».
Il rapporto evidenzia in particolare undici di queste condotte ricorrenti, a partire dalle varianti
approvate sulla base di «motivazioni non coerenti» o addirittura «in sanatoria» di lavori già eseguiti
o ultimati fino alle modifiche che coprono errori di progettazione oppure che si presentano come
migliorative, ma in realtà finiscono per «comportare una sensibile riduzione della qualità
complessiva della realizzazione», per esempio quando prevedono l’utilizzo di materiali e tecnologie
meno pregiate di quelle previste nel contratto originario senza però modificare il costo.
L’analisi dell’Anac non si limita, tuttavia, a passare in rassegna la “fenomenologia della variante”. Il
passaggio cruciale, anzi, è quello successivo, che porta l’autorità a evidenziare le ricadute che
queste prassi possono avere in termini di responsabilità a carico delle stazioni appaltanti. Il Codice
dei contratti (articolo 132 del Dlgs 163/2006) permette infatti di modificare il contratto iniziale solo
quando ricorrono precise circostanze, come le cause o i rinvenimenti «imprevisti e imprevedibili»
oppure le «sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari» che mettono fuori regola
l’appalto originario. L’ampia maggioranza dei casi arrivati all'Anac sono giustificati con il primo
gruppo di motivazioni, quelle legate ai fattori imprevedibili, che però nelle relazioni dei responsabili
del procedimento spesso non sono dimostrate e servono «a nascondere carenze progettuali».
Quando il responsabile unico del procedimento riporta nella relazione «circostanze non veritiere»
oppure «motivazioni incoerenti con gli elementi di fatto», avverte il documento firmato da Cantone,
non si limita a perseguire «una scarsa trasparenza amministrativa», ma rischia di «integrare la
fattispecie penalmente rilevante di falso in atto pubblico». Non solo, perché con la trasmissione
della relazione all’Anac può scattare la sanzione fino a 51.545 euro dedicata dal Codice (articolo 6,
comma 11 del Dlgs 163/2006) a chi «fornisce informazioni o esibisce documenti non veritieri»: a
far scattare la sanzione sarebbe la stessa Autorità.
Conseguenze importanti possono ricadere anche sul responsabile del procedimento che approva
varianti «in sanatoria», per regolarizzare opere già eseguite. Chi firma queste correzioni ex post,
spiega l’Anac, «finisce per declinare alle proprie funzioni di controllo, nonché ai compiti di vigilanza
sull’ammissibilità delle varianti in corso d’opera», e presta il fianco alle responsabilità erariali e
disciplinari.
(Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 25 novembre 2014)

Sugli appalti controlli solo formali
Le stazioni appaltanti fanno ampio utilizzo delle procedure negoziate per l’affidamento degli appalti,
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in un contesto di forte contrazione del mercato e con una maggiore complessità dei percorsi
selettivi. La fondazione PromoPA e l’Università di Roma Tor Vergata hanno analizzato, nell’edizione
2014 del rapporto «Come appalta la Pa» (che sarà presentato domani a Roma alla sede Ance) le
dinamiche del sistema degli affidamenti di lavori, servizi e forniture, mediante un confronto con gli
esperti delle amministrazioni aggiudicatrici e l’elaborazione delle informazioni rilasciate dall’Autorità
di vigilanza.
L’analisi dei dati pubblicati dall’Anac ha evidenziato per il 2013 l’andamento negativo degli appalti
di lavori, con una diminuzione del 13% delle procedure ordinarie (alla quale corrisponde una
contrazione del 6% dei volumi economici) e addirittura del 21% delle procedure di partenariato
pubblico-privato (con una riduzione di oltre il 50% delle risorse investite). Dalla contrazione del
mercato viene stimata in media una perdita in termini di volume di affari del 16,8 per cento.
Dal confronto con i soggetti che nelle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate si
occupano di appalti emerge come sia chiaramente percepita una tendenza consolidata all’aumento
dei ribassi, che va di pari passo con un aumento della complessità delle procedure per affidamento
ed esecuzione degli appalti. Sull’anticorruzione e sulla trasparenza il giudizio appare univoco e
tendenzialmente negativo: le norme, oltre ad essere giudicate poco efficaci nella loro ratio, sono
considerate non idonee a migliorare la qualità delle procedure ma percepite come ulteriore
appesantimento degli adempimenti.
Tra gli operatori è comunque diffusa la convinzione che l’intervento in grado di incidere in misura
forte sulla trasparenza sia l’introduzione di tecnologie nel processo di appalto, da accompagnare
alla revisione del sistema delle Soa e la diffusione dei Protocolli di legalità. Allo stesso tempo, però,
in merito all’AvcPass, la ricerca rileva le molte perplessità degli operatori, per il timore che il
sistema si riveli un appesantimento.
Pur a fronte del maggior utilizzo del «Mepa» e delle procedure telematiche (ma con un indice
ancora molto basso rispetto al totale) permane un notevole utilizzo degli albi fornitori, soprattutto
da parte delle società partecipate, ma con una ridottissima percentuale di casi nei quali è adottato
un modello di valutazione dei fornitori. A questo aspetto corrisponde, in relazione all’esecuzione dei
contratti, l’utilizzo di strumenti di controllo in circa il 50% delle amministrazioni, anche se con una
prevalenza di soluzioni di verifica poco strutturate.
Per individuare i fornitori le stazioni appaltanti fanno largo uso della procedura negoziata senza
pubblicazione del bando di gara (26%), anche se aumenta il ricorso alle procedure aperte (24%),
che risultano comunque quelle con maggior volume economico gestito. La scelta di ricorrere alla
procedura negoziata è determinata da esigenze di semplicità del percorso ed è connessa anche alla
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riduzione del valore degli interventi trattati, ma curiosamente la ricerca evidenzia che molti
operatori vi ricorrono perché la normativa ha allentato i vincoli al suo utilizzo.
Le stazioni appaltanti dimostrano di essere molto legate al metodo selettivo più semplice e
immediato, poiché nel totale delle procedure prevale largamente la valutazione delle offerte con il
criterio del prezzo più basso (68%) con una forte contrazione del ricorso a quello dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
«Le gare al massimo ribasso - riflette Ezio Melzi, ad di BravoSolution che ha collaborato alla
definizione del rapporto - sono invise alle imprese che puntano su modalità più meritocratiche e
meno penalizzanti dal punto di vista economico. Oggi le soluzioni tecnologiche ci sono, e le Pa
potrebbero dare il giusto spazio alla componente qualitativa non solo nell’aggiudicazione, ma anche
con meccanismi trasparenti di valutazione delle performance dei fornitori».
(Alberto Barbiero, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 novembre 2014)

Atti riservati se la gara è «chiusa»
Nuovi limiti all'accesso agli atti di gara da parte di un concorrente, se non c'è possibilità di ribaltare
il risultato. Li pone il Tar di Milano con la sentenza 30 ottobre 2014 n. 2587, che applica la
riservatezza anche a servizi di pulizia.
L'accesso è un diritto generale previsto dalla legge 241/1990 per favorire la partecipazione e
assicurare imparzialità e trasparenza dei procedimenti, ma a condizione che ci sia un interesse
diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata (articoli 22 e
24). Poi sono sopravvenute più norme, che hanno applicato il principio con intensità diversa di
volta in volta, allargando o limitando l'accesso (si veda la scheda sulla destra). Punto di equilibrio
tra restrizioni e ampliamenti è l'articolo 3 del Dpr 184/2006, che obbliga le amministrazioni ad
informare i controinteressati (cui si riferiscono i dati oggetto di accesso), affinché esprimano o
meno il proprio consenso.
Per il Tar di Milano, la norma sull'accesso civico (il Dlgs 33/2012, articolo 3) non amplia i diritti che
spettano ai partecipanti alle gare: per questi ultimi l'accesso è garantito, ma deve collegarsi a
un'esigenza di difesa in giudizio. Ciò significa che l'ente pubblico che ha gestito la gara deve
effettuare
un
accurato
controllo
in
ordine
all'effettiva
utilità,
per
il
richiedente,
della
documentazione richiesta.
Nel caso specifico, poiché l'impresa di pulizie che chiedeva l'accesso alla documentazione si era
classificata sesta e non aveva impugnato l'esito della gara, non è emerso un interesse concreto ed
attuale a conoscere l'analisi dei costi dell'offerta della prima classificata. Quando le gare si svolgono
sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa (e non sulla base del prezzo più basso),
può essere utile conoscere soluzioni, innovazioni e specifiche tecniche delle offerte risultate
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aggiudicatarie. Con un accesso agli atti di gara si possono conoscere fornitori, sistemi di
organizzazione, tecnologie utili per successive gare. Per ottenere ciò occorre tuttavia motivare
l'istanza di esibizione, affermando di aver intenzione di rivolgersi ad un organo giurisdizionale per
tutelare i propri interessi.
Quando vi è una richiesta del genere, cioè un cosiddetto accesso difensivo, l'unico argomento che
può tutelare la riservatezza dei dati delle imprese vincitrici è il diritto alla riservatezza commerciale
dei dati tecnologici, dei brevetti o dei segreti commerciali o industriali. In particolare se si tratta di
forniture, migliorie e tecniche di manutenzione. La fonte di questo diritto alla riservatezza dei dati è
la Direttiva comunitaria 93/36 (articolo 9, numero 3), che limita la pubblicazione di informazioni
successive ad una gara che possano pregiudicare interessi commerciali o generare una concorrenza
sleale.
Il chiarimento più utile su questa norma comunitaria proviene dalla Corte di giustizia della Ue
(sentenza della causa C-450/06, resa nel 2008), che riguardava una controversia relativa alla gara
per fornire le maglie dei cingoli destinati ai carri armati di tipo Leopard. Respingendo – nella
sostanza – l'istanza di accesso di un produttore che voleva conoscere le tecniche costruttive di altri
concorrenti, la Corte ha sottolineato che la commissione di gara deve garantire la riservatezza ed il
rispetto dei segreti commerciali.
Anche alle imprese di pulizie, nel caso deciso dal Tar di Milano, è stato applicato lo stesso principio
di riservatezza. L'argomentazione è stata che l'azienda interessata potrebbe imitare tecniche altrui
attraverso la scorciatoia dell'accesso alle offerte di gara.
Le modifiche alla 241
CONTRATTI PUBBLICI
Gli articoli 13 e 79 del Dlgs 163/2006 consentono l'accesso, esclusi appalti segretati per sicurezza
nazionale (articolo 17)
SPECIFICHE E ASTE
Ci sono norme particolari su specifiche tecniche di forniture, lavori e servizi (Dlgs 152/2008) e aste
elettroniche (articolo 85, comma 12, Dlgs 163/2006)
LIMITAZIONI
Riguardano andamento dei lavori e riserve (articolo 234, Dpr 207/2010)
ACCESSO CIVICO
Il Dlgs 33/2012, articolo 3, consente a chiunque di conoscere i dati oggetto di pubblicazione
obbligatoria: concorsi, sovvenzioni, esiti
(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 13 novembre 2014)

Servizi pubblici, l'interdittiva non conta
È legittimo non interrompere il contratto pubblico di fornitura o prestazione di servizi con l'impresa
vincitrice colpita da informazione interdittiva antimafia se questa non è sostituibile in tempi rapidi e
UNITELNews24
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la fornitura o il servizio è essenziale per l'interesse pubblico. Lo ha stabilito il Tar della Campania,
sede di Napoli, con la sentenza n. 5692/2014, resa dalla Prima sezione e depositata il 5 novembre.
I giudici hanno respinto il ricorso di un consorzio di aziende che aveva chiesto alla Regione di
subentrare alla società cui era stato affidato in via provvisoria il servizio di trasporto pubblico
locale, dopo che la società era stata sottoposta alle misure preventive del prefetto, in seguito agli
accertamenti degli organi di polizia.
Secondo il Tar, «ha natura eccezionale e suscettibile esclusivamente di stretta interpretazione» la
norma del Codice degli appalti (articolo 140, Dlgs 163/2006) che consente di interpellare gli altri
migliori offerenti – fino al quinto, aggiudicatario escluso – nel caso di interdittiva antimafia, ma
anche per fallimento, liquidazione coatta e concordato preventivo dell'appaltatore, risoluzione del
contratto per reati accertati, decadenza dell'attestazione di qualificazione, gravi inadempimenti,
irregolarità o ritardi.
La norma, afferma il Tar, «proprio perché riferita esclusivamente ai contratti relativi ai lavori
pubblici e in quanto norma di stretta interpretazione non è applicabile ai contratti aventi ad oggetto
prestazioni diverse dalla esecuzione di lavori pubblici, con particolare riferimento ai contratti per
forniture o per prestazione di servizi».
Per i giudici, confermando il gestore nonostante l'interdittiva, la Regione non ha fatto altro che
garantire le «esigenze di continuità del servizio». In questo modo, ha applicato correttamente il
Codice antimafia (comma 3, articolo 94, Dlgs 159/2011) che permette a tutte le Pa – inclusi enti
vigilati o controllati dallo Stato, stazioni uniche appaltanti e concessionarie di opere pubbliche – di
proseguire autorizzazioni, concessioni e contratti se l'opera è in corso di ultimazione o, come nel
caso in esame, non è sostituibile in tempi brevi chi fornisce beni e servizi ritenuti essenziali per
l'interesse pubblico.
(Francesco Clemente, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi 24, 14 novembre 2014)
 Catasto

Riclassamento sempre motivato
È illegittimo il riclassamento catastale che non indichi gli elementi necessari per giustificare le
ragioni della variazione. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 23247 del 2014, che annulla
un classamento che l'Amministrazione aveva operato con un richiamo solo generico alle espressioni
contenute nella norma che prevede modifiche di classe (nel caso specifico, l'articolo 1, comma 335
della legge 311/2004). «Questa sentenza – sottolinea il presidente di Assoedilizia Achille Colombo
Clerici – è la prova della fondatezza della nostra posizione critica nei confronti di tutti quegli
accertamenti».
In particolare, si discuteva di un castello composto da 38 unità, a nove delle quali l'Agenzia delle
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entrate aveva negato l'attribuzione della specifica categoria (A 9: castelli, palazzi con eminenti
pregi artistici o storici). Per fare ciò, l'ufficio si era limitato a richiamare la circostanza che il
Comune avesse richiesto la revisione del classamento, e aveva richiamato una generica
«evoluzione del mercato immobiliare» per negare a nove unità immobiliari la categoria A 9.
Secondo la Cassazione, invece, per modificare un classamento e cioè il valore degli immobili
presenti nella micro zona, sarebbe stato necessario dimostrare un significativo scostamento del
rapporto tra valore di mercato e valore catastale nella micro zona stessa, indicando il suddetto
rapporto e le dimensioni del relativo scostamento. Di qui l'annullamento del provvedimento
dell'Agenzia delle entrate, ed è il ritorno delle nove immobiliari nella categoria A 9. Accogliendo le
tesi del contribuente, la Cassazione tributaria illustra la procedura che l'Agenzia deve effettuare
quando attribuisce un nuovo classamento a seguito di variazioni: se la variazione si ricollega a
trasformazioni edilizie subite dall'unità immobiliare, l'atto deve recare l'analitica indicazione di tali
trasformazioni; se il nuovo classamento è adottato nell'ambito di una revisione dei parametri
catastali delle microzone in cui l'immobile situato, a causa di un significativo scostamento del
rapporto tra valore di mercato e valore catastale nella micro zona stessa rispetto all'analogo
rapporto tra valore di mercato e catastale nell'insieme delle micro zone comunali, l'Agenzia deve
indicare i suddetti rapporti tra valori e lo scostamento che emerge tra i valori stessi (di mercato e
catastale).
(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 novembre 2014)

Riforma del catasto a corto di dati
Il crollo del mercato immobiliare impone una revisione in corsa del sistema di calcolo delle future
rendite: a oggi mancano spesso i dati necessari alle elaborazioni statistiche.
Ieri, al convegno svoltosi a Milano nell'ambito di Urbanpromo 2014 sulla riforma degli estimi, il
vicedirettore delle Entrate, Gabriella Alemanno, ha illustrato come la struttura dell'ex Territorio stia
andando avanti: «Abbiamo costituito un gruppo di lavoro che a breve ultimerà la bozza del decreto
legislativo sulla riforma del sistema estimativo, che l'autorità politica porterà poi avanti. Ma
vogliamo garantire la "comprensibilità sociale" dell'operazione, con la massima trasparenza e
collaborazione con professioni e operatori». Le risorse, tuttavia, restano un problema da definire. A
margine del convegno, Gabriella Alemanno ha spiegato che, riguardo alle convenzioni con gli ordini
professionali per il necessario supporto «non so se saranno gratuite. La questione risorse è allo
studio di un gruppo di lavoro specifico». Sono comunque già stati stanziati 205 milioni per i
prossimi cinque anni.
A segnalare il problema maggiore è stato Arturo Angelini, della direzione del catasto: «Ci sono
quasi 5mila Comuni dove, nell'ultimo triennio, sono state effettuate meno di cento compravendite.
Su questa base mancano le grandi quantità di dati che sono il presupposto per un serio approccio
statistico. E se è un problema per le unità a destinazione ordinaria, figuriamoci per quelle
speciali!». La soluzione è quella di allargare gli ambiti territoriali: «Delle attuali 30mila microzone
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alcune migliaia verranno accorpate, in modo da avere dati a sufficienza» ha detto Gianni Guerrieri,
il coordinatore del gruppo che sta lavorando al prossimo decreto legislativo (l'unico approvato, per
ora, è quello sulle commissioni censuarie, peraltro prodromico a tutto il resto). Anche perché
l'alternativa sarebbe fare stime puntuali «Che con 63 milioni di unità immobiliari è piuttosto
difficile».
Sulla validità del metodo statistico ha espresso forti dubbi Antonio Anzani, presidente di Aspesi
(promotori immobiliari), citando una serie di casi di immobili a prezzo reale zero o quasi ma con
valore catastale elevato. «Ma la riforma non potrà tenere conto degli infiniti casi singoli - ha
replicato Guerrieri -. Altrimenti non la faremo mai. Si tratta di ridurre il valore di dispersione tra
valori di mercato e catastali, attualmente fermi a 41, almeno a 25, rimuovendo almeno in parte le
iniquità».
Altro tema caldo quello dei rapporti con i Comuni: «Senza una collaborazione, forte, costante e
fedele non si riuscirà a correre - dice Guerrieri -; da loro devono arrivare informazioni
indispensabili». Sempre i Comuni sono poi stati citati come destinatari finali dell'obbligo di
invarianza di gettito: per Guerrieri «i conti si potranno fare solo a fine riforma» e il direttore delle
Entrate, Rossella Orlandi, ospite ieri di Skytg24 Economia, ha confermato che l'invarianza «si
otterrà con una rimodulazione delle aliquote che però saranno frutto di scelte politiche che
competono agli enti locali». Mentre a margine del convegno il presidente di Assoedilizia, Achille
Colombo Clerici, ha motivato il suo scetticismo: «Per esempio, risulta assai arduo poter verificare
l'incidenza del continuo processo di riqualificazione edilizia, che dà luogo a un ovvio incremento del
gettito per via dell'automatismo dell'aggiornamento catastale».
Il funzionamento delle commissioni censuarie nel primo decreto legislativo
LE «LOCALI»
La composizione
Tra i membri delle commissioni censuarie locali (il presidente è nominato dal presidente del
Tribunale locale) è prevista la presenza di: due tra quelli designati dall'agenzia delle Entrate; uno
tra quelli designati dall'Anci; tra quelli designati dal Prefetto, due su indicazione degli Ordini e
Collegi professionali e uno su indicazione e delle associazioni di categoria operanti nel settore
immobiliare; per le Commissioni censuarie provinciali di Trento e Bolzano, un rappresentante delle
due Province autonome
LA «CENTRALE»
Membri e presidente
La commissione censuaria centrale è composta da 25 componenti effettivi e 21 supplenti. Si
articola in tre sezioni (il numero è modificabile con decreto dell'Economia), di cui una competente
in materia di catasto terreni e due competenti in materia di catasto urbano. È presieduta da un
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magistrato ordinario o amministrativo con qualifica non inferiore a magistrato di cassazione o
equiparata, nominato da un Dpr previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del
ministro dell'Economia
LE NOMINE
Alle commissioni locali
Entro 60 giorni dalla richiesta del direttore regionale delle Entrate, l'Anci, il prefetto e la stessa
Agenzia comunicano le rispettive designazioni al presidente del Tribunale, che entro 30 giorni
sceglie i componenti; il direttore regionale provvede, con decreto, alla nomina
Alla commissione centrale
Entro 90 giorni dalla richiesta del direttore delle Entrate, l'Agenzia stessa, l'Anci e il Csm
comunicano le rispettive designazioni al ministro dell'Economia che nomina con proprio decreto i
componenti effettivi e supplenti
LE COMPETENZE
Le attività
In tema di competenze, le commissioni censuarie dovranno validare anche le previste funzioni
statistiche (che vanno a sostituire gli attuali quadri tariffari). Come fatto innovativo rispetto al
passato prossimo, ma che richiama il passato remoto (formazione del catasto edilizio urbano),
sono state introdotte procedure deflattive del contenzioso catastale: l'articolo 2, comma 3, lettera
a) della delega fiscale prevede particolari e appropriate misure di tutela anticipata del contribuente
sull'attribuzione delle nuove rendite
(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 novembre 2014)

Per gli interventi liberi sparisce il «Docfa»
Con lo Sblocca Italia (articolo 17, comma 1, lettera c, punto 3) viene prevista una modifica
all’articolo 6, comma 5, del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia (Dpr 380/01) che ingenera però dei problemi in tema di procedimenti di variazione
catastale di immobili già censiti.
L’articolo 6 del testo unico disciplina le tipologie di interventi liberi avviabili con semplice
comunicazione al comune (opere di ordinaria e anche straordinaria manutenzione). Il comma 5 del
suddetto articolo, nella sua formulazione originaria, prevedeva che al termine dei lavori
l’interessato provvedesse, nei casi previsti dalle vigenti disposizioni, alla presentazione degli atti
d’aggiornamento catastale nel termine di 30 giorni dall’ultimazione dei lavori.
Il nuovo comma prevede, in tali casi, che la comunicazione d’inizio lavori, laddove integrata con la
comunicazione di fine dei lavori, sia tempestivamente inoltrata dal Comune alle Entrate e sia valida
anche ai fini delle variazioni catastali previste dalla legge. Tale semplificazione crea, però, un
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notevole “impasse” operativa negli aggiornamenti catastali, atteso che la comunicazione inoltrata
all’Agenzia non è immediatamente utilizzabile per l’aggiornamento degli atti catastali in quanto
necessita di una preventiva e complessa elaborazione finalizzata alla compilazione delle planimetrie
catastali nel formato standard e alla registrazione della eventuale nuova rendita e dei nuovi
identificativi catastali.
La disposizione ha un effetto ancora più dirompente in quanto tra le opere di straordinaria
manutenzione (modifiche all’articolo 3, lettera b, del Dpr 380/2001), sono state incluse la fusione e
il frazionamento di unità immobiliari urbane, purché non si modifichi la volumetria e la destinazione
d’uso.
In sostanza, con la nuova norma, i cittadini verranno sgravati dall’attuale obbligo di predisposizione
dell’accatastamento (Docfa), che passa a carico delle Entrate. La legge solleva il cittadino da
adempimenti burocratici, ma non dando dei termini perentori all’Agenzia per provvedere
probabilmente
non
centrerà
l’obiettivo
della
semplificazione.
È
probabile,
quindi,
che
l’aggiornamento catastale troverà adempimento effettivo solo nei tempi tecnici (quasi sicuramente
lunghi) compatibili con l’operatività dei vari uffici. Si profila, quindi, all'orizzonte la possibilità di
ricostituzione di un nuovo arretrato nell’aggiornamento catastale.
Tale scenario verosimilmente potrà comportare per il cittadino possibili ritardi nella compravendita
immobiliare nei casi in cui l’Agenzia non provveda all’adeguamento della planimetria catastale allo
stato reale dell’immobile. Di fatto, l’articolo 19, comma 4, del Dl 78/10, convertito nella legge
122/10, per la libera commerciabilità di un immobile impone che la planimetria in catasto sia
conforme allo stato reale dell’immobile. Inoltre in caso di fusione o frazionamento, per
l’individuazione nell’atto notarile le unità immobiliari derivate debbono ricevere un nuovo
identificativo dalle Entrate. Quindi, nei casi di ritardi nell’aggiornamento catastale è probabile che
vada in fumo per il cittadino l’agevolazione prevista dalla nuova norma, in quanto, se ha urgenza di
stipula, si vedrà costretto a presentare volontariamente un Docfa.
Si auspica che la nuova disposizione sia sottoposta ad un adeguato monitoraggio per constatarne
l’effettiva applicabilità negli attuali procedimenti di aggiornamento catastale, senza ritardi nel
rispetto del termine ordinario di conclusione dei procedimenti amministrativi, che, non essendo
stato diversamente precisato, sembra da intendere in 30 giorni ex lege 241/90.
(Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 26 novembre 2014)
 Edilizia e urbanistica
 Abusi edilizi, multe a chi non demolisce
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Prime incertezze applicative sul decreto legge 133/14 (cosiddetto "Sblocca Italia"), convertito nella
legge 164/14 ed entrato in vigore dal 12 novembre scorso.
La norma prevede, infatti, un'immediata sanzione pecuniaria tra 2mila e 20mila euro per gli abusi
edilizi di maggior calibro e in particolare per i casi di demolizioni non eseguite spontaneamente.
Dopo il pagamento di una prima sanzione, imposta dalla legge statale, le Regioni potranno
prevedere che le sanzioni stesse siano periodicamente reiterabili qualora l'ordine di demolizione
non venga eseguito nemmeno dopo il primo pagamento. Questo rischio di sanzioni rinnovate
ciclicamente riguarda gli interventi realizzati senza permesso di costruire, in totale difformità o con
variazioni essenziali (articolo 31, commi 4 bis e 4 quater del Dpr 380/01, introdotti dalla legge
164/14).
Sono interessati dalla novità una schiera di abusivisti, destinatari di ordinanze non eseguite, che
confidavano nell'inerzia delle amministrazioni o nelle lungaggini della giustizia amministrativa.
Oggi, proprio per rimediare a situazioni di abusivismo rimaste nel limbo della mancata esecuzione,
l'articolo
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del
Dl
133/14
prevede
una
sanzione
supplementare
collegata
alla
mera
inottemperanza all'ordine di ripristino e quindi non sostitutiva della demolizione.
Chi realizza un abuso edilizio integrale (senza permesso di costruire, in totale difformità o con
variazioni essenziali) ha 90 giorni di tempo per eliminarlo o per mettersi in regola con un eventuale
permesso in sanatoria. Già dal 91º giorno successivo all'invito del Comune a demolire (articolo 31
del Dpr 380/01, Testo Unico Edilizia), le Regioni potranno deliberare la reiterabilità della sanzione,
facendo scattare una nuova sanzione pecuniaria che potrebbe essere anche trimestrale, trattandosi
di abusi edilizi di particolare gravità.
Indipendentemente dalla reiterazione, che spetta agli enti territoriali decidere, la prima richiesta,
appunto da 2mila a 20mila euro, è oggi inevitabile perché prevista direttamente dal legislatore
statale. Questa sanzione pecuniaria colpisce il proprietario attuale dell'immobile, senza che abbia
rilievo la circostanza che l'abuso sia stato eseguito da altri o anni prima. La sanzione colpisce anche
coloro i quali hanno un ricorso pendente, visto che ne sono esclusi solo coloro i quali hanno
ottenuto un sospensiva da parte del giudice amministrativo.
Poiché si tratta di una sanzione di tipo dissuasivo, finalizzata a rendere effettiva la demolizione
disposta dal Comune, risulta difficile pensare alla possibilità di un ricorso che ostacoli la
riscossione: la sanzione pecuniaria completa, infatti, la reazione dell'ordinamento contro gli abusi di
maggiori dimensioni e non riapre i termini per contestare innanzi il Tar l'ordine di demolizione del
Comune (che andava impugnato nei 60 giorni). In taluni casi, si può pensare a chiedere una
sanatoria specialmente se l'evoluzione dello strumento urbanistico recepisce l'abuso e quindi rende
possibile chiedere il rilascio del permesso di costruire che sani la situazione: sul punto, tuttavia, vi
è un contrasto giurisprudenziale in quanto gli articoli 36 e 37 del Dpr 380/01 richiedono una doppia
conformità per la sanatoria, ossia la conformità sia al momento della realizzazione dell'abuso, sia al
momento della richiesta di sanatoria.
In specifici casi può essere possibile far presente l'esistenza di difficoltà tecniche nell'eliminazione
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dell'abuso (quando cioè si intaccherebbe la struttura di un edificio, come prevede l'articolo 33 del
Dpr 380/01 per le ristrutturazioni in totale difformità). Anche questa, tuttavia, è una strada difficile
da percorrere, perché presuppone un vero e proprio dissesto statico di opere illegittime
nell'eliminazione dell'abuso
Le altre novità dello «Sblocca Italia»
COMUNICAZIONE D'INIZIO ATTIVITÀ
Nel decreto legge 133/14 sono state introdotte alcune modifiche alla disciplina relativa al Testo
unico dell'edilizia sull'attività edilizia libera.
Si tratta, nello specifico, degli interventi per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo e che si
possono effettuare liberamente.
Per quanto concerne gli interventi esenti anche dalla comunicazione d'inizio lavori, alcune novità
sono previste poi in materia di manutenzione ordinaria.
Il Dl 133/14 inserisce, infatti, un richiamo normativo al fine di definire gli interventi di
manutenzione ordinaria, ossia gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione,
rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a integrare o mantenere
in efficienza gli impianti tecnologici esistenti
SEGNALAZIONE CERTIFICATA D'INIZIO ATTIVITÀ
La Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) prende il posto a tutti gli effetti della Dia e si
applica in tutti i casi intermedi rispetto a quelli di calibro superiore all'edilizia libera (articolo 6 Dpr
380/2001, edilizia libera) e di calibro inferiore all'attività che richiede permesso di costruire
(articolo 10 Dpr 380/2001). Serve una doppia valutazione di coerenza alla previsione e di
conformità alle previsioni di strumenti urbanistici, regolamenti edilizi e della disciplina urbanistica
edilizia vigente. L'errore non è consentito perché se c'è discordanza tra le previsioni del Testo unico
e le normative locali, prevale la norma più di dettaglio e cioè quella che motivatamente imponga un
titolo diverso dalla Scia. Il limite massimo per modificare con Scia il permesso di costruire, è
rappresentato dalla dichiarazione di ultimazione dei lavori
PERMESSO DI COSTRUIRE
Lo Sblocca Italia introduce due novità in materia di permesso di costruire.
La prima riguarda il termine per l'istruttoria; non è, infatti, più prevista una durata doppia (120 e
non 60 giorni) per i Comuni con popolazione superiore ai 100mila abitanti.
La possibilità di avere tempi più lunghi per l'istruttoria viene mantenuta solo per i progetti
particolarmente complessi.
In tutti i Comuni il permesso di costruire deve quindi essere rilasciato entro 90 giorni (60 giorni per
l'istruttoria della domanda e 30 per la decisione).
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Il Dl 133/14 ha inoltre ampliato i casi in cui è possibile ricorrere alla proroga del permesso di
costruire mentre rimangono invariati i termini di decadenza del titolo edilizio: un anno dal rilascio
per l'avvio dei lavori e tre anni, successivi all'avvio, per il completamento dell'opera
I PERMESSI IN DEROGA
Per facilitare e incentivare gli interventi volti al recupero edilizio e alla riqualificazione urbana lo
Sblocca Italia ha previsto che i permessi di costruire possano essere in deroga (anche alle
destinazioni d'uso) per gli interventi privati di ristrutturazione edilizia attuati anche in aree
industriali dismesse.
Questa previsione permette di intervenire anche sforando i limiti del piano regolatore, quali
destinazioni d'uso, altezze, indici edilizi, previo accertamento dell'interesse pubblico con specifica
delibera del consiglio comunale. Il mutamento della destinazione d'uso non deve, tuttavia,
comportare un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, ossia un
aumento di superficie coperta rispetto a quella esistente prima dell'intervento
L'APPARATO SANZIONATORIO
Rafforzate le sanzioni per la mancata presentazione della comunicazione d'inizio lavori. L'omessa
trasmissione della comunicazione d'inizio lavori, prevista per alcune opere di edilizia libera, o della
comunicazione asseverata da un tecnico abilitato, per gli interventi di manutenzione straordinaria e
le opere di modifica interna sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti all'esercizio di impresa, o
di modifica della destinazione d'uso degli stessi, comporta la sanzione pecuniaria di mille euro.
Quest'ultima viene ridotta di due terzi nel caso in cui la comunicazione d'inizio lavori venga
effettuata spontaneamente se l'intervento è ancora in corso di esecuzione. L'incremento della
sanzione si deve anzitutto al tentativo di combattere il fenomeno dell'abusivismo edilizio
GLI ONERI DI CONCESSIONE
Le semplificazioni dello Sblocca Italia hanno un contrappeso di tipo economico. Alle agevolazioni
burocratiche, che consentono un più semplice riordino delle unità immobiliari, corrisponde la
possibilità per i Comuni di modulare gli oneri di concessione. Questi si suddividono in costo di
costruzione e oneri di urbanizzazione: i primi sono una percentuale sul valore delle opere che si
realizzano; i secondi corrispondono all'aumento del peso urbanistico dell'intervento e quindi delle
spese che l'ente locale sopporta per consentire standard qualitativi adeguati. Mentre si esclude il
contributo di costruzione per le opere di manutenzione straordinaria, è previsto uno sconto del
20% sui costi di costruzione per le ristrutturazioni, ma solo per le ristrutturazioni ed il recupero di
immobili dismessi
(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE, 23 novembre)
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 Pubblica amministrazione

Affidamento del servizio di riscossione dei tributi
Con la sentenza n. 5284/2014, la V Sezione si è pronunciata sull'art. 3, comma 24, della l. 248 del
2005, che, nel riformare il sistema di riscossione dei tributi statali attraverso la creazione di una
società a totale capitale pubblico (Riscossione s.p.a. in seguito denominata Equitalia s.p.a.), ha
disciplinato il periodo transitorio prevedendo che “fino al momento dell'eventuale cessione…… del
proprio capitale sociale alla Riscossione s.p.a… le aziende concessionarie possono trasferire ad altre
società il ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti
locali, nonché a quelle di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.
446.
In questo caso:
a) fino al 31 dicembre 2010 ed in mancanza di diversa determinazione degli enti stessi, le predette
attività sono gestite dalle società cessionarie del predetto ramo d'azienda, se queste ultime
possiedono i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al medesimo articolo 53, comma uno, del
decreto legislativo n. 446 del 1997, in presenza dei quali tale iscrizione avviene di diritto...”
Alla stregua di tale disciplina transitoria, quindi, nel caso di trasferimento del ramo d'azienda
relativo alle attività svolte in regime di concessione per gli enti locali o di scissione di una società
già concessionaria del servizio di riscossione, le società cessionarie o risultanti da tale scissione
societaria sono titolate ex lege (fino a tutto il 2010) alla prosecuzione diretta del rapporto
concessorio con l'ente locale, salvo che quest'ultimo non adotti al riguardo una specifica “diversa
determinazione”.
Ciò posto, la V Sezione ha osservato come la diversa determinazione richiamata dalla norma debba
necessariamente sostanziarsi in una delibera di natura regolamentare assunta dall'organo elettivo
dell'Amministrazione e non di certo in un atto di carattere gestionale adottato da un suo organo
burocratico, come sostenuto dall'appellante. Da questo punto di vista, sotto il profilo testuale, il
termine “determinazione” usato dal legislatore ha una valenza oggettivamente neutra e, pertanto,
non è di per sé dirimente ai fini considerati. Non v'è dubbio, tuttavia, che nella genericità del
termine usato dal legislatore, l'unico parametro oggettivo di riferimento per la individuazione della
natura dell'atto in questione e del soggetto di conseguenza competente ad assumerlo sia quello
sistematico, con specifico riguardo all'assetto istituzionale degli enti locali ed alle finalità che la
diversa determinazione è normativamente preordinata a perseguire nell'ambito di tale assetto.
Del resto, l'art. 42 del T.U.E.L. disponga che il Consiglio comunale ha competenza relativamente
all'adozione (per quanto qui interessa) dei seguenti atti:
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- “organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei
pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi
mediante convenzione” (lettera e);
- “appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o
che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nell'ordinaria
amministrazione e funzione servizi di competenza della giunta del segretario o di altri funzionari”
(lettera l).
Ciò premesso, hanno osservato i giudici di Palazzo Spada, secondo il consolidato orientamento
della giurisprudenza anche di questa Sezione, la riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento
di un'attività di servizio pubblico (v. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 1° luglio 2005, n. 3672). In
particolare, la decisione circa la modalità di gestione del servizio di riscossione delle entrate
comunali, nonché la conseguente determinazione di indire una procedura negoziata per la scelta
del soggetto incaricato del servizio stesso, costituiscono senz'altro una scelta di organizzazione del
servizio pubblico di riscossione che rientra, dunque, nell'ambito di applicazione della lettera e)
dell’art. 42 del T.U.E.L. sopra richiamata.
(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 10 dicembre 2014)

Agenda p er le se mplificazioni 2015-2017: l'accelerazione dell'Italia passa per il
digitale
Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha affidato a un tweet e all’hashtag
#Repubblicasemplice l’annuncio dell’accordo tra Stato, Regioni e Comuni sull’Agenda per le
semplificazioni 2015-2017, approvata a norma dell’articolo 24 del decreto legge 24 giugno 2014, n.
90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 e recante “Misure urgenti per
la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”.
Nel documento programmatico, sottoscritto tra il ministero e gli enti locali e approvato dal
Consiglio dei ministri lo scorso 1° dicembre, sono previste 38 procedure di semplificazione, in
cinque settori strategici di intervento (cittadinanza digitale, welfare e salute, fisco, edilizia e
impresa) da attuarsi nei tempi indicati, al fine di ridurre di circa il 20% i costi degli oneri di
adempimento che gravano su cittadini e imprese.
Pin unico
Ai blocchi di partenza ad aprile 2015 è prevista, riguardo alla cittadinanza digitale, l’introduzione
del Pin unico: lo Spid, sistema unico di identità digitale, permetterà ai cittadini di autenticarsi e
accedere in sicurezza, con una sola chiave, a tutti i servizi on line erogati dalla pubblica
amministrazione.
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Lo Spid sarà testato, in una fase iniziale, solo in alcune amministrazioni, tra cui Inps, Inail, Agenzia
delle Entrate, le Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana
e tre Comuni: Firenze, Lecce, Milano.
L’obiettivo di questa prima fase è raggiungere i tre milioni di accessi ai servizi on line della PA entro
settembre 2015, mentre entro dicembre 2017 la stima è di circa dieci milioni.
Codice Iuv
La semplificazione passerà anche attraverso i pagamenti elettronici: grazie al codice Iuv
(Identificativo unico del versamento) saranno facilitati, infatti, tutti i pagamenti verso la pubblica
amministrazione. Secondo il cronoprogramma dell’Agenda per le semplificazioni i cittadini potranno
pagare on line tributi, multe, rette scolastiche, entro dicembre 2016. Un ottimo intento, ma per
dare seguito a un effettivo servizio di pubblica utilità è necessario che tutte le PA si connettano al
Nodo dei pagamenti Spc, questione su cui si registrano ancora molti ritardi.
Marca da bollo digitale
Nell’ambito di questo specifico punto del documento programmatico, si annuncia inoltre
l’introduzione della marca da bollo digitale, secondo quanto disposto dall’Agenzia delle Entrate nel
provvedimento del 19 settembre 2014, che definisce la marca da bollo digitale come il “documento
informatico che costituisce la ricevuta di versamento dell’imposta di bollo ed attesta l’avvenuta
erogazione del servizio che associa l’Identificativo Univoco di Bollo Digitale (IUBD) con l’impronta
del documento ad esso correlato”. La dematerializzazione dei bolli prevede una fase pilota nel
primo semestre del 2015, il progetto sarà poi portato a compimento nei successivi diciotto mesi.
Nello specifico la marca da bollo digitale sarà introdotta nelle PA centrali e nelle Regioni entro
dicembre 2015, presso il 50% dei Comuni entro il dicembre 2016 e nel 90% dei Comuni entro il
dicembre 2017.
Nei prossimi mesi l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia per l’Italia digitale pubblicheranno l’elenco
delle PA che accetteranno i bolli digitali e quello degli intermediari che ne forniranno il servizio di
emissione, oltre a una guida operativa per gli utenti. Inoltre, le amministrazioni ospitanti sui propri
siti servizi interattivi che consentono di acquisire le istanze loro rivolte dovranno garantire un
collegamento, usufruendo della piattaforma ex articolo 81 del Codice dell’amministrazione digitale,
con i suddetti intermediari.
Il sistema, denominato @e.bollo, si baserà sull’associazione diretta tra un Identificativo univoco
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bollo digitale (Iubd) e l’impronta del documento soggetto a imposta, l’esatta corrispondenza tra i
due renderà assolta l’imposta.
Interventi in Sanità
Il digitale renderà più semplice anche la burocrazia sanitaria, entro dicembre 2016 sarà garantito
l’accesso on line ai referti medici, progetto che rientra nella diffusione e nell’utilizzo capillare del
Fascicolo sanitario elettronico (su cui ancora si attende l’emanazione di un decreto da adottare ai
sensi dell’articolo 12, comma 7, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge
17 dicembre 2012, n. 221 e dell’articolo 13, comma 2-quater, del decreto legge 21 giugno 2013, n.
69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, punto 3).
La tessera sanitaria elettronica sarà inoltre strettamente legata all’introduzione della dichiarazione
dei redditi precompilata dall’Agenzia delle Entrate. A partire dal 2016 infatti la dichiarazione dei
redditi di lavoratori dipendenti e pensionati sarà disponibile on line già comprensiva delle spese
sanitarie effettuate grazie ai dati trasmessi dalla tessera sanitaria.
Si prevede più agilità anche nelle questioni ereditarie: la dichiarazione di successione e gli
adempimenti necessari, quali domanda di voltura catastale e trascrizione potranno essere compilati
e inviati online. La fase di sperimentazione partirà a dicembre 2015 ed è previsto che il sistema
funzioni a pieno regime a dicembre del 2017.
Puntare al digitale per semplificare
L’Agenda per le semplificazioni 2015-2017, dunque, è ricca di buoni intenti, puntare al digitale per
gli obiettivi di semplificazione è indubbiamente un segno di innovazione per il Paese.
Con tali provvedimenti, inoltre, si prevede il monitoraggio di azioni e risultati per rendere
trasparente ai cittadini il work in progress. Sarà infatti valutata l’effettiva riduzione di tempi e costi
sull’esperienza diretta degli utenti, i dati saranno pubblicati on line e sarà possibile per cittadini e
imprese verificare costantemente l’effettiva attuazione dei 38 procedimenti previsti. Analisi
quantitative e qualitative saranno inoltre condotte per rilevare la percezione del cambiamento nella
quotidianità degli italiani.
Con il documento programmatico ci si pone, dunque, l’ambizioso obiettivo di riportare l’Italia ad
elevati livelli di competitività in Europa: snellire le procedure burocratiche e amministrative
significa accelerare i tempi per la creazione di nuove imprese e allo stesso tempo migliorare la
qualità della vita dei cittadini.
UNITELNews24
24
Tuttavia, è auspicabile che i provvedimenti e le misure previste si traducano in concrete
innovazioni che semplifichino e rendano più digitale il rapporto dei cittadini con le pubbliche
amministrazioni.
(Chiara Pascali, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 9 dicembre 2014)

Fattura elettronica senza rinvii
Lo ha chiesto con forza ieri notte Rossella Orlandi, direttore dell’agenzia delle Entrate, durante
l’audizione
effettuata
dalla
commissione
parlamentare
di
vigilanza
sull’anagrafe
tributaria
nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla prospettiva di una razionalizzazione delle banche dati
pubbliche in materia economica e finanziaria. Banche dati a cui contribuiranno anche gli elementi
gestiti attraverso la fatturazione elettronica. Dati che, ha ribadito Rossella Orlandi, stanno
diventando sempre più precisi; in totale, dal 6 giugno al 30 novembre, il sistema di interscambio chiamato a gestire l’operazione - ha ricevuto 1.482.283 file di cui oltre 294mila (19,8%) sono stati
scartati per errori formali. Un elemento questo che aveva indotto il presidente del Consiglio
nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, Gerardo Longobardi, a chiedere un rinvio
dell’estensione a tutte le amministrazioni pubbliche se questa percentuale di errore fosse rimasta
così elevata. Rossella Orlandi ha precisato che, in realtà, i file scartati per errori che indicano una
difficoltà nell’utilizzo dei supporti (ad esempio formato e regole di colloquio) è pari a 97.789 file,
vale a dire poco più del 6% dei file ricevuti. E proprio per questo Rossella Orlandi ha ribadito come
la scelta di ritardare l’adeguamento «non appare in linea con gli obiettivi di efficientamento delle
fasi amministrative e contabili delle imprese». Da parte sua Longobardi ha insistito sugli aspetti
problematici relativi alla conservazione della fattura elettronica e ai costi che essa determina per
imprese e professionisti, proponendo che siano i server della Sogei a gestire, appunto, la
conservazione sostitutiva delle fatture elettroniche. In alternativa, sempre secondo Longobardi, si
potrebbero esonerare le imprese dalla conservazione visto che si tratta di documenti già in
possesso della Pa. Strade non percorribili, secondo Orlandi, stante l’attuale sistema normativo
(articolo 1, comma 9, legge 244/2007) che obbliga emittente e destinatario alla conservazione
sostitutiva. E Michele Pelillo (Pd), a questo riguardo, ha proposto di utilizzare lo strumento della
delega, in particolare un secondo provvedimento di semplificazione, per modificare la normativa in
senso più favorevole a imprese e professionisti. Da parte di Cristiano Cannarsa, presiedente
amministratore delegato di Sogei, è arrivata la conferma che il sistema operativo non avrà alcuna
difficoltà a sostenere il carico di lavoro in arrivo e che la scadenza del 31 marzo 2015 può essere
perfettamente sostenibile: a patto però che tutte le pubbliche amministrazioni si registrino sul sito
di Italia digitale e dispongano quindi di quel codice che è indispensabile affinché possa essere
emessa dal fornitore la fattura digitale.
(Giorgio Costa, Il Sole 24ORE, Norme e Tributi, 4 dicembre 2014)
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
Diritto di accesso ad esposti e denunce
Con la sentenza n. 1251/2014, il Tar Brescia ha chiarito che il privato che subisce un procedimento
di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del
potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità –
suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti
pregiudizievoli per il denunciato (Consiglio di Stato, sez. V del 19 maggio 2009 n. 3081; sez. VI del
25 giugno 2007 n. 3601).
I giudici del Tar Brescia affermano inoltre:
- che l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un
documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un
intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria
segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione;
- che la sua divulgazione non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto
diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una
dichiarazione a carico di terzi (Tar Veneto, sez. III del 3 febbraio 2012 n. 116);
- che la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento
giuridico (si veda Tar Brescia del 29 ottobre 2008 n. 1469), e gli autori degli esposti sono tutelati
dagli strumenti predisposti dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta privata;
- che non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti
uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’istante, essendo intuitivo che
solo in questo modo egli potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela della propria
immagine verso l’esterno;
- che detto rilievo rende privi di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso strumentale e
ritorsivo della conoscenza dell’esposto che ha dato luogo ai procedimenti a carico del ricorrente,
non potendo ammettersi che pretese esigenze di riservatezza possano determinare un vulnus
intollerabile ad un diritto fondamentale della persona, quale quello dell’onore (Consiglio di Stato,
sez. V, n. 5132 del 28 settembre 2012);
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- che il principio di trasparenza dell’attività amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti
del denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di denunciante legittima l’accesso agli
atti della procedura che ha preso origine dall’esposto;
- che infatti, specularmente, la qualità di autore di un esposto che abbia dato luogo a un
procedimento lato sensu sanzionatorio è circostanza idonea a radicare la titolarità di una situazione
giuridicamente rilevante di accesso agli atti della pubblica amministrazione (Tar Toscana, sez. III,
n. 1569 del 16 ottobre 2014 e la giurisprudenza ivi richiamata);
- che è pur vero che, in un caso particolare sul quale si è confrontata la giurisprudenza – ossia
quello dell’accesso ai verbali redatti dalle autorità amministrative (Inps e Inail), titolari delle
funzioni di vigilanza sui rapporti di lavoro – è stata affermata una stringente esigenza di tutela dei
lavoratori che hanno reso le dichiarazioni agli organi ispettivi, per il possibile rischio di condotte
ritorsive provenienti dalla parte “forte” del rapporto contrattuale;
- che è stato tuttavia affermato che le suesposte necessità appaiono in ogni caso recessive,
rispetto alle esigenze difensive del datore, ove il rapporto d’impiego sia cessato (cfr. Tar Umbria –
n. 31 del 21 gennaio 2013);
- che deve pertanto in simili casi riconoscersi sussistente un evidente interesse diretto alla
conoscenza integrale dell’esposto, che permetterà all’interessato di valutare eventuali future azioni
da compiere.
Tar Brescia, sez. II, sentenza n. 1251 del 20 novembre 2014
(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE –Pubblica Amministrazione24, 27 novembre 2014)

Sì al danno er
ariale nell e società
in hous e, ma a r
ispondere saranno gli
amministratori locali
Niente giurisdizione della Corte dei conti sugli amministratori delle società a capitale pubblico,
quando queste ultime difettano dei requisiti richiesti per la configurabilità dell’in house providing.
In particolare, quando a mancare è il requisito del vincolo statutario della chiusura dell’azionariato
al capitale privato. Con le decisioni nn. 22608 e 22609 del 24.10.2014, le SS.UU. della Cassazione
hanno, in questi termini, confermato l’indirizzo fatto proprio, al riguardo, sin da Cass., SS.UU.,
sent. n. 26283/2013.
Le conseguenze sulla verifica preliminare cui è tenuta la Corte dei conti
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Nel confermare l’indirizzo inaugurato circa un anno fa, le SS.UU. pongono anzitutto una questione
di metodo, vincolando le Procure regionali prima e le Corti giudicanti contabili poi a scrutinare la
sussistenza, caso per caso, e con riferimento all’epoca in cui si sono svolti i fatti in contestazione,
della ricorrenza di un autentico in house providing. Ciò comporta, essenzialmente, una rigorosa
verifica dello statuto sociale e delle sue previsioni.
L’indagine sull’oggetto sociale
Anche l’eventuale ampiezza dell’oggetto sociale della società, sempre da valutarsi con riguardo
all’epoca dei fatti contestati, ha peraltro la sua rilevanza, ad avviso delle SS.UU. Da questo punto
di vista, a fare la differenza sarà, in particolare, la previsione di attività diverse da quelle
propriamente afferenti funzioni pubbliche o servizi pubblici (ferma restando, in alcuni casi, la
difficoltà di classificarne alcune, peraltro di diffusa intestazione a società a partecipazione pubblica,
quale ad esempio la gestione di parcheggi). Per conseguenza, Procure e Corti giudicanti contabili
saranno tenute a svolgere anche questo tipo di verifica.
La responsabilità “ascendente”
L’effetto naturale principale – ma anche quello destinato a far più discutere – dell’orientamento
fatto
proprio
dalle
SS.UU.
è
certamente
una sostanziale
minor
responsabilizzazione
del
management delle società in house, che per un verso risulterà sì soggetto sul piano formale alla
giurisdizione della magistratura contabile, ma per altro verso è da considerarsi privo – sempre ad
avviso delle SS.UU. (sent. n. 26283/2013) –, in questo tipo di società, di un reale potere di
autodeterminazione, essendogli interdetto perfino un legittimo potere di opporre un motivato
dissenso alle direttive che gli vengano impartite dell’azionista pubblico. La conseguenza è che la
responsabilità per danno erariale finisce con il “risalire” verso l’alto, tenendo a concentrarsi in capo
a chi (gli amministratori locali) detiene, in definitiva, il potere di impartire direttive vincolanti agli
amministratori della società in house, e, di riflesso, quello di revocarli, laddove ne ricorrano i
presupposti.
(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 18 novembre 2014)
 Pubblico impiego

Incentivi di progettazione: la riforma Renzi non è retroattiva sull'an, ma sul quantum
Il Dl 24 giugno 2014, n. 90 (art. 13), sebbene con le più tolleranti modifiche della legge di
conversione 11 agosto 2014, n. 114 (art. 13-bis), ha abbattuto la sua scure anche sugli incentivi di
progettazione destinati ai tecnici dipendenti delle amministrazioni alla stregua della legge 11
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febbraio 1994, n. 109 (c.d. legge Merloni) rifluito in buona sostanza nell’art. 92, commi 5 e 6, del
Dlgs 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice dei contratti).
Tuttavia, mentre il Codice aveva confermato il diritto a percepire gli incentivi professionali fino al
2% dell’importo posto a base di gara di un’opera pubblica, nonché il 30% della tariffa professionale
per la redazione di progetti o di atti di pianificazione comunque denominati indistintamente al
predetto personale di livello dirigenziale o meno, il decreto legge Renzi-Madia lo ha dapprima
totalmente espunto, per poi reintrodurlo in sede di conversione, attraverso un emendamento unico,
con esclusione però dei tecnici dirigenti e con dei limiti quantitativi per i restanti dipendenti.
La sopravvivenza degli incentivi alle leggi di contenimento finanziario
Gli incentivi di progettazione, almeno fino al recentissimo intervento normativo, hanno resistito
anche alle misure di contenimento della spesa pubblica, in piena congiuntura depressiva, adottate
dal Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 133
(recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”)
risultando sottratte, anche secondo la Corte dei conti, sezioni riunite, 4 ottobre 2011, n. 51, al
blocco dei fondi per la contrattazione decentrata ed alla crescita del trattamento economico
individuale introdotte dall’art. 9 per il personale pubblico.
Tuttavia, come anticipato, la riforma Renzi ha abrogato tali prebende solo per i tecnici dirigenti
locali in ragione della onnicomprensività del relativo trattamento economico, mentre ha previsto
che le amministrazioni destinano ad un fondo per la progettazione e l'innovazione risorse
finanziarie in misura non superiore al 2% degli importi posti a base di gara di un'opera o di un
lavoro, tenuto conto della complessità del progetto, ripartendolo nella misura dell’80% (la restante
quota essendo acquisita al bilancio dell’ente), per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i
criteri previsti dalla contrattazione decentrata integrativa del personale dei livelli e di un emanando
regolamento, tra il resp0onsabile del procedimento; gli incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo; i loro collaboratori, in considerazione
dell’apporto di ciascuno ma comunque in un importo non superiore al 50% del trattamento
economico complessivo annuo lordo spettante al dipendente interessato.
Le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in
quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del
predetto accertamento, costituiscono economie.
Il parere del giudice contabile sui limiti della riforma Renzi
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In assenza di disposizioni intertemporali, due sono i nodi sciolti dal giudice contabile meneghino,
entrambi inerenti la data di decorrenza della riforma, ma il primo sotto il profilo del divieto di
erogazione ai dirigenti tecnici ed il secondo sotto quello del limite economico introdotto a livello
individuale.
La Corte dei conti, sezione di controllo regione Lombardia, con il parere n. 300 del 13 novembre
2014, quanto al problema dell’esclusione del personale dirigenziale, ritiene di far salve le
remunerazioni per le opere già eseguite, non avendo la legge n. 114 citata efficacia retroattiva non
trattandosi di norma di interpretazione autentica (cfr. Corte dei conti, Emilia Romagna, 19
settembre 2014, n. 183).
A tal proposito, peraltro, il tutore dell’erario rammenta che anche la sezione autonomie, 8 maggio
2009, n. 7, ha precisato che “dal compimento dell’attività nasce il diritto al compenso, intangibile
dalle disposizioni riduttive, che non hanno alcuna efficacia retroattiva. Né rileva, in contrario
avviso, che alla rigorosa applicazione del criterio della spettanza dell’incentivo nella misura vigente
all’atto del compimento della specifica attività, possa conseguire una differente consistenza del
beneficio in ordine alla stessa opera per la quale è stanziata la somma da ripartire, a seconda se la
stessa attività sia stata compiuta prima o dopo il 31 dicembre 2008. Ciò perché, ai fini della nascita
del diritto quello che rileva è il compimento effettivo dell’attività; dovendosi, anzi, tenere conto, per
questo specifico aspetto, che per le prestazioni di durata, cioè quelle che non si esauriscono in una
puntuale attività, ma si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la frazione
temporale di attività compiuta … con la conseguenza che il 'quantum' del diritto al beneficio, quale
spettante sulla base della somma da ripartire nella misura vigente al momento in cui questo è
sorto, ossia al compimento delle attività incentivate, non possa essere modificato per effetto di
norme che riducano per il tempo successivo l’entità della somma da ripartire”.
Viceversa, quanto al tetto individuale di remunerazione, la Corte dei conti lombarda lo ritiene già
operativo, perché la norma effettua un chiaro riferimento al momento della corresponsione che non
condiziona la possibilità di erogare l’incentivo, ma si limita a determinarne (per relationem rispetto
al trattamento economico fruito) l’ammontare massimo.
Conclusioni
La novella, che si colloca sulla scia di quelle ostili alla sola classe dirigente, così interpretata ed
applicata risulta meno foriera di contenzioso, facendo salvi i diritti quesiti del personale dirigenziale
per prestazioni già svolte e responsabilità già assunte in vigenza del precedente regime
incentivante, spesso alternativo, in maniera totale o parziale, di quello inerente il c.d. risultato.
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Permane, tuttavia, qualche perplessità sulla reale volontà ed efficacia contenitiva della misura,
atteso che l’eliminazione degli incentivi per i soli dirigenti, così formulata, non costituisce risparmio
di spesa per l’amministrazione, dovendo l’80% del 2% di cui all’art. 92 del Codice essere pur
sempre ripartito, sebbene tra un numero inferiore di dipendenti (cioè tutti i progettisti che non
abbiano qualifica dirigenziale), celando, piuttosto, la scelta di aderire ad un generale clima di
malcontento verso i vertici burocratici degli enti.
(Paola Cosmai, Il Sole 24 ORE – PubblicaAmministrazione24, 1 dicembre 2014)

Spazio agli incarichi per i pensionati
Il divieto di conferire a pensionati incarichi dirigenziali o direttivi, di studio o di consulenza o,
ancora, cariche di governo di amministrazioni, enti o società controllate nonché authority,
compresa la Consob, non si applicherà ai commissari straordinari nominati temporaneamente al
vertice di enti pubblici o per specifici mandati governativi. E lo stesso vale per la nomina di
eventuali sub-commissari. Esclusi dal divieto saranno, poi, gli incarichi di ricerca (l’amministrazione
che li conferisce deve aver prima definito uno specifico programma di ricerca) e quelli di docenza, a
patto che siano “effettivi” e non fatti per aggirare il divieto. E consentiti saranno pure gli incarichi in
commissioni di concorso e gara oppure la partecipazione a organi collegiali consultivi, come per
esempio gli organi collegiali delle scuole.
Eccole le attese eccezioni alla norma contenuta nel decreto Madia (articolo 6 del Dl 90/2014), in
vigore dal 25 giugno, che ha perfezionato il divieto di affidare incarichi soggetti in quiescenza. Sono
specificate in una circolare della Funzione pubblica di imminente uscita. Un divieto già voluto due
anni fa dal Governo Monti (Dl 95/2012, articolo 5) ma che è stato facilmente aggirato con
numerose nomine successive, non solo governative. Ora il nuovo Esecutivo è tornato sul punto con
un orientamento rafforzato dalla volontà di realizzare una vera e propria “staffetta generazionale”
nelle
pubbliche
amministrazioni,
da realizzare anche con
strumenti come il
divieto del
trattenimento in servizio, sul quale pure è attesa una circolare interpretativa.
Tra i divieti che dovranno rispettare tutte le amministrazioni la circolare interpretativa messa a
punto a palazzo Vidoni comprende anche quelli per contratti d’opera intellettuale a pensionati. Ma
non, per esempio, per altri tipi di contratti d’opera, come un caso di cui s’è occupata anche la Corte
dei conti, di conferimenti d’incarico a un falegname in pensione da parte di un ateneo universitario
per la realizzazione di un mobile. Possibili, inoltre, incarichi di carattere professionale, come per
esempio quelli legati ad attività legale o sanitaria, a patto di non ricadere nei casi supergettonati di
studio e consulenza.
La circolare è molto attesa dalle amministrazioni che, in queste settimane, hanno inviato numerosi
quesiti alla Funzione pubblica. Ma offre un’interpretazione che dovrebbe proteggere la norma anche
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da eventuali ricorsi alla Consulta, visto che si escluderebbe la volontà di qualunque forma di
discriminazione nei confronti dei pensionati. Obiettivo vero è evitare aggiramenti a un divieto con
incarichi camuffati, in particolare di consulenza e studio, con cui di fatto si sono finora attribuiti
incarichi direttivi.
Le nomine vietate sono quelle successive all’entrata in vigore del decreto e vale per tutti i
pensionati, compresi quelli degli organi costituzionali, i quali ultimi si devono adeguare alle nuove
norme nell’ambito della loro autonomia.
Nella circolare si invitano le amministrazioni anche a non dare incarichi a persone prossime alla
pensione, a meno di non optare per la gratuità. Una carta, quest’ultima, prevista dalla norma e che
consente il superamento di tutti i divieti indicati solo a patto che, appunto, l'incarico sia gratuito,
non più lungo di un anno e non sia prorogabile né rinnovabile.
(Davide Colombo, Il Sole 24 ORE, Norme e Tributi, 25 novembre 2014)
 Anatomia dell'invisibile: il concetto di cultura organizzativa
È nota a tutti la storia del “conosci te stesso”, come raccomanda l’Oracolo ad ogni visitatore del
tempio di Delfi. È da qui che ogni organizzazione, sia essa un’impresa privata o un ente pubblico,
dovrebbe partire. Il management è sempre più spesso chiamato ad implementare azioni di change
management, con l’obiettivo principale di rendere efficace ed efficiente l’azione organizzativa. Ma
spesso queste operazioni (vuoi il cambio della struttura organizzativa, vuoi l’implementazione di un
nuovo gestionale delle paghe) sono di fatto rigettate dall’organizzazione o meglio dalla cultura
organizzativa che la permea. Infatti l'organizzazione è soprattutto un sistema sociale in cui gli
individui portano con sé valori, norme ed aspettative; essi elaborano delle forme di comprensione
collettiva del mondo che li circonda, tali da fornire loro una sensazione di previsione e di controllo
sugli eventi in misura sufficiente per intraprendere delle azioni. E tale sistema è guidato dalla
cultura, che è una ragnatela di significati, vissuta dagli attori come un dato di fatto e nella sua
quotidiana ovvietà.
La nozione di cultura organizzativa
Alcune definizioni possono aiutare a comprendere questo complesso concetto del vivere
organizzativo:
a) la cultura è un fenomeno collettivo, perché si riferisce a orientamenti e valori comuni che danno
l'impronta all’agire del singolo componente, rendendolo conforme e coerente con quello
organizzativo;
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b) la cultura è il risultato di un processo d’apprendimento concreto nella storia dell'impresa ovvero
un insieme di soluzioni pratiche consolidate nel tempo di problemi complessi, che vengono
trasferite e “socializzate” ai nuovi membri come vincenti ed appropriate nella risoluzione di
problemi critici analoghi.
La cultura è quindi un fenomeno complesso, una scatola nera, sconosciuta agli stessi appartenenti
ad una certa realtà organizzativa.
La struttura
Per “visualizzare” la struttura della cultura organizzativa è possibile utilizzare la metafora della
“cipolla a tre strati”.
Il primo strato riguarda il sistema simbolico; è costituito dalle espressioni visibili presenti
nell'impresa: si passa da elementi tangibili - quali il layout degli uffici, il modo di vestire,
l'architettura degli edifici aziendali, i documenti ufficiali - a elementi immateriali come storie
(esempio, il primo direttore generale), rituali (es., le riunioni periodiche), linguaggi (es., quello
utilizzato nella corrispondenza esterna), cerimonie (gli auguri formali in occasione delle principali
festività). Questi elementi sono simboli che preservano e rafforzano l'identità dell'organizzazione
agli occhi degli attori esterni ed interni. Ogni organizzazione, infatti, come ogni individuo, comunica
con l'ambiente in cui si ritrova immersa, trasmettendo non solo all'esterno l'immagine che ha di sé,
ma anche cercando, in certe occasioni, di falsarla, plasmando, a volte, le situazioni in modo da
comunicare significati simbolici che siano a lei favorevoli.
Il secondo strato è costituito dai valori, che sono la cristallizzazione di soluzioni che hanno portato
ripetutamente l’organizzazione ad avere esperienze di successo. Tali valori sono deducibili da
interviste mirate agli attori o dall'analisi documentale presente nell’organizzazione (bilanci sociali,
relazioni varie, documenti strategici ecc.): rimangono pertanto valori dichiarati e cioè ragioni che le
persone
hanno
idealmente
di
se
stesse
ovvero
razionalizzazioni
a
posteriori
del
loro
comportamento
Arriviamo al terzo strato, quello più interno della “cipolla”. Dopo ripetuti successi nel tempo,
l'organizzazione sposta la sua attenzione e si concentra non più sugli effetti ma sulla credenza
stessa. Quest'ultima viene via via sempre più data per scontata, divenendo un ideale condiviso ed
indiscusso. Il valore diventa un assunto, che implica un comportamento automatico da parte
dell'attore quale risposta ad uno stimolo noto, indicandogli come la realtà debba essere percepita,
pensata e sentita.
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Il gruppo
La cultura organizzativa implica necessariamente l'esistenza di un gruppo, che ha una continuità
storica e ha condiviso delle esperienze e dei problemi comunemente risolti. Tali soluzioni hanno
concesso al gruppo di adattarsi all'ambiente esterno tramite il raggiungimento del consenso sulla
strategia (missione fondamentale), sugli obiettivi, sui mezzi per raggiungere gli obiettivi, sulla
valutazione delle prestazioni (parametri che fissano in che misura gli obiettivi sono stati raggiunti)
e sulle strategie (correttive o difensive nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi fissati).
In conclusione, prima di ogni riflessione sul cambiamento organizzativo da implementare
nell’organizzazione, va posta particolare attenzione in quale contesto culturale si va ad operare. E
ciò presuppone un’analisi approfondita sulla cultura presente nell’organizzazione stessa. Ma questa
è un’altra storia.
(Stefano Bombace, Il Sole 24 ORE – PubblicaAmministrazione24, 17 novembre 2014)
 Rifiuti
 Terre da scavo, restyling per i piccoli cantieri
Una nuova disciplina sul deposito temporaneo di terre e rocce da scavo e la razionalizzazione e
semplificazione del riutilizzo nello stesso sito di questi materiali prodotti in piccoli cantieri. Così il
decreto Sblocca Italia introduce nuovi criteri per la semplificazione della disciplina sulle terre e
rocce da scavo, che si aggiungono a quelli già previsti nell aprima versione del Dl 133/14
(coordinamento disposizioni vigenti, esplicitazione norme abrogate, proporzionalità della disciplina,
divieto di introdurre livelli di regolamentazione superiori a quelli comunitari).
In realtà questi nuovi indirizzi per il riordino della normativa sono meno innovativi di quanto
potrebbero apparire ad una prima lettura e - forse - sono unicamente volti a confermare
disposizioni già esistenti che gli enti locali tendono ad interpretare restrittivamente, vanificando
così le finalità reali delle norme.
Il deposito temporaneo
La legge di conversione del Dl Sblocca Italia (Dl 164/2014) prevede che il futuro regolamento (Dpr)
di riorganizzazione della materia dovrà contenere anche una specifica disciplina sul deposito
temporaneo dei materiali da scavo che integri quella prevista dal Codice dell’ambiente (articolo 183
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Dlgs n. 152/2006).
In realtà, questo nuovo criterio, potrebbe creare non pochi fraintendimenti in futuro. Infatti, il
deposito temporaneo disciplinato dall’articolo 183 ha ad oggetto un’attività preliminare di gestione
dei rifiuti, la cui applicazione presupporrebbe che le terre e rocce da scavo non vengano riutilizzate
come sottoprodotti, ma debbano essere avviate a smaltimento o recupero come rifiuti.
Discorso diverso, invece, è il deposito temporaneo dei materiali scavati in attesa di essere
riutilizzati in altri cantieri come sottoprodotti. Questa possibilità non ricade nell’ipotesi disciplinata
dall’articolo 183, ma è già stata prevista dal Dm 161/2012 (siti di deposito intermedio) e potrebbe
già essere applicata analogicamente a tutti i cantieri anche nell’ambito della procedura semplificata
ex articolo 41 bis del Dl 69/2013.
Non è, dunque, chiaro il criterio ispiratore del legislatore e si auspica che la riorganizzazione della
disciplina di settore non confonda il deposito temporaneo di rifiuti con il deposito temporaneo di
sottoprodotti.
I piccoli cantieri
L’ulteriore criterio di semplificazione introdotto dalla legge di conversione rispetto ai piccoli cantieri
sembra più una dichiarazione di principio piuttosto che un criterio sostanziale.
Innanzitutto, il principio di razionalizzazione e semplificazione varrebbe solo per i piccoli cantieri
(fino a 6mila metri c ubi) e limitatamente a interventi di costruzione e manutenzione di reti e
infrastrutture, con esclusione di altri interventi di scavo sebbene di piccole dimensioni.
Non è neppure chiara la portata della semplificazione stessa che dovrebbe trovare applicazione solo
quando i materiali da scavo vengono riutilizzati nel medesimo cantiere di produzione.
Questa ipotesi, invero, è già prevista per tutti i cantieri (grandi o piccoli) dall’articolo 185, comma
1, lett. c) del Codice dell’ambiente il quale consente senza particolari formalismi il riutilizzo di suolo
non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione
nel medesimo sito di produzione, escludendo questo caso dalla disciplina sui rifiuti.
A questo punto, è legittimo domandarsi quali siano le effettive chances di successo della futura
norma di riorganizzazione e razionalizzazione del settore, dato che proprio i criteri di ispirazione di
questa norma sono confusi e tra loro contraddittori. Si auspica che chi metterà mano al nuovo
testo normativo segua i principi generali di razionalizzazione, semplificazione e proporzionalità
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inizialmente indicati nel Dl Sblocca Italia, senza concentrarsi sugli specifici criteri aggiuntivi appena
introdotti che rischiano di creare maggiore confusione.
La via d’uscita
Potrebbe, invece, essere opportuno che il legislatore, nel riorganizzare la materia, semplifichi la
possibilità di riutilizzo dei materiali da scavo prodotti in piccoli cantieri rispetto ad interventi di
manutenzione di reti e infrastrutture in siti esterni, prevedendo anche la possibilità di depositare
temporaneamente i materiali presso le sedi delle imprese esecutrici dei lavori, con facoltà delle
stesse di indicare successivamente (ma entro un periodo di tempo certo) i futuri siti di riutilizzo.
Forse erano queste le finalità che il legislatore intendeva perseguire con la legge di conversione,
anche se ciò che è scritto nel decreto Sblocca Italia ha un significato diverso.
Le semplificazioni
1 IL RIUTILIZZO Come previsione generale (applicabile anche ai piccoli cantieri) il Codice dell’ambiente esclude dalla
disciplina sui rifiuti il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato
nell’attività di costruzione, se è certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato
naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato. L’operatore deve dimostrare la non
contaminazione del materiale e la certezza del riutilizzo nel medesimo sito di produzione, ma non
sono previsti particolari adempimenti
Articolo 185, comma 1 lett. c) Dlgs n. 152/2006
2 LE REGOLE AD HOC
Il Codice dell’Ambiente (Dlgs 152/2006) fin dall’inizio aveva previsto che il ministero dell’Ambiente
dovesse adottare un regolamento specifico per semplificare il riutilizzo dei materiali provenienti
dalle costruzioni, incluse le terre e rocce da scavo, in particolare per i piccoli cantieri. La soglia
dimensionale è stata individuata in 6mila metri cubi. Questa norma ha trovato attuazione non con
un regolamento ministeriale ma con un’altra norma di legge (l’articolo 41 bis del Dl 69/2013)
Articolo 266, comma 7, del Dlgs n. 152/2006
3 I REQUISITI
In deroga alle regole generali (Dm 161/2012), il riutilizzo come sottoprodotti delle terre e rocce da
scavo provenienti da piccoli cantieri avviene sulla base di criteri specifici dichiarati dall’impresa:
-certezza del riutilizzo;
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-rispetto delle soglie di contaminazione (Csc)
-assenza di rischi per la salute;
-esclusione di preventivi trattamenti diversi dalla normale pratica industriale.
La disposizione nasce per i cantieri sotto i 6mila mc, ma è stata estesa a tutti i cantieri (tranne
quelli soggetti a Via o Aia)
Articolo 41 bis Dl n. 69/2013 n. 152/2006
4 LE INFRASTRUTTURE
La semplificazione del decreto Sblocca Italia prevede una nuova razionalizzazione del riutilizzo nello
stesso sito di terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni (max 6mila mc)
per la costruzione e manutenzione di reti e infrastrutture, escluse quelle provenienti da siti
contaminati. La semplificazione è limitata ai casi di:
-riutilizzo dei materiali nel medesimo sito di produzione;
-materiali originati in piccoli cantieri;
-costruzione e manutenzione di reti e infrastrutture
-Articolo 8, comma 1 lett. d bis), Dl n. 133/2014
(Federico Vanetti, Il Sole 24 ORE – Norme e tributi, 1 dicembre 2014)
 Sicurezza
 Infortuni senza «timbro»
Il decreto legislativo 81/2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) ha previsto
la soppressione del registro infortuni.
Sono però le Regioni a intervenire per semplificarne - in realtà non più di tanto - le procedure.
L’ultima è stata il Veneto: con la legge 32 del 22 ottobre 2014, ha disposto che, in attesa
dell’abrogazione dell’articolo 403 del Dpr 547/1955 (istitutivo del registro infortuni), il registro
infortuni non è soggetto all’obbligo di vidimazione stabilito dal decreto ministeriale 12 settembre
1958, purché sia tenuto in conformità a quanto stabilito dall’articolo 53 del Testo unico.
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Il provvedimento della Regione Veneto non è isolato. Ha iniziato la Provincia autonoma di Bolzano
con il decreto 18 del lontano 1992, cui hanno fatto seguito, dopo lunga parentesi, nel 2007 la
Provincia Autonoma di Trento (quindi prima della prevista cancellazione contenuta nel Testo unico
del 2008). Poi si sono aggiunte nel 2009 la Lombardia, nel 2013 la Liguria, il Friuli Venezia Giulia,
Puglia e Calabria e, il 28 marzo 2014, la Campania.
La Commissione per gli interpelli presso il ministero del Lavoro con l’interpello 9/2014 si è
doverosamente riportata all’articolo 53, comma 6, del Testo unico in base al quale fino ai sei mesi
successivi all’adozione del decreto interministeriale che elimina il registro, restano in vigore le
disposizioni relative al registro degli infortuni. Pertanto la Commissione ha ritenuto che, in attesa
dell’emanazione del decreto istitutivo del Sistema informativo nazionale (Sinp) con conseguente
eliminazione del registro dopo 180 giorni, il documento è obbligatorio per tutte le aziende che
ricadono nella sua sfera di applicazione.
La Commissione ha ribadito che il registro dovrà essere redatto conformemente al modello
approvato con il decreto del 1958 (come modificato dal Dm 5 dicembre 1996), tuttora in vigore,
vidimato presso l’Asl competente per territorio, salvo che nelle regioni che hanno abolito tale
prassi, e conservato a disposizione dell’organo di vigilanza sul luogo di lavoro. La mancata tenuta o
vidimazione del registro comporta l’applicazione della sanzione amministrativa (da 564 a 3.395
euro) prevista dall’articolo 89, comma 3, del decreto legislativo 626/1994.
Da considerare che il decreto istitutivo del registro non ne prevede soltanto la vidimazione ma
anche la conformità al modello stabilito nell’allegato
A al decreto stesso, la numerazione in ogni sua pagina, la dichiarazione nell’ultima pagina del
numero dei fogli che lo compongono e la data della sua istituzione che, necessariamente
corrisponderà a quella dell’inizio dell’attività, nonché le notizie, in caso di infortunio o malattia
professionale, riportate nel medesimo decreto ministeriale e ribadite dall’articolo 4, comma 5,
lettera o), del Dlgs 626/1994.
Sul punto è da notare che il legislatore dopo oltre sei anni dalla data di nascita del Testo unico
ancora non è riuscito a dare esecuzione alla previsione di legge. Infatti, ciò non è avvenuto
neanche con le novità introdotte con il decreto legge 69/2013 “del fare” che, pur disponendo
alcune semplificazioni in materia di lavoro intervenendo sul Dpr 1124 del 30 giugno 1965
(assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nulla ha disposto in merito
alle denunce degli infortuni sul lavoro che sono pur correlate al registro degli infortuni.
(Luigi Caiazza, Roberto Caiazza Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 21 novembre 2014)
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Legge e prassi
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
 Ambiente
DECRETO-LEGGE 11 novembre 2014, n. 165
Disposizioni urgenti di correzione a recenti norme in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti
contaminati e misure finanziarie relative ad enti territoriali.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262)
DELIBERA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 ottobre 2014
Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza delle avversita' atmosferiche che hanno
colpito il territorio della regione Lombardia tra il 7 luglio ed il 31 agosto 2014.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262)
DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 6 novembre 2014
Ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzate al superamento della situazione di criticita'
determinatasi a seguito dei gravi eventi sismici che hanno colpito il territorio delle province di
Parma, Reggio Emilia e Modena il giorno 23 dicembre 2008.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262)
DELIBERA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 ottobre 2014
Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche che
hanno colpito il territorio delle provincie di Parma e Piacenza nei giorni 13 e 14 ottobre 2014.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 263)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 3 ottobre 2014
Integrazione e modifica del decreto 23 dicembre 2013, di attuazione dell'articolo 67-octies del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.
134, recante credito d'imposta in favore dei soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 263)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 7 novembre 2014
Primi interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eccezionali eventi atmosferici
verificatisi nei giorni dal 1° al 6 settembre 2014 nel territorio della provincia di Foggia.
(G.U. 14 novembre 2014, n. 265)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 11 novembre 2014
Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici
che nei giorni 19 e 20 settembre 2014 hanno colpito il territorio delle province di Firenze, Lucca,
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Pisa, Pistoia e Prato.
(G.U. 17 novembre 2014, n. 267)
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 23 ottobre 2014
Istituzione dell'elenco degli alberi monumentali d'Italia e principi e criteri direttivi per il loro
censimento.
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Adozione del Piano antincendio boschivo, con periodo di validita' 2013-2017, predisposto dall'Ente
parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, ricadente nei territori delle regioni Abruzzo,
Lazio e Marche, ai sensi dell'art. 8 comma 2 della legge 353/2000.
(G.U. 19 novembre 2014, n. 269)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Adozione del Piano antincendio boschivo, con periodo di validita' 2012-2016, predisposto dalla
Fondazione giustiniani Bandini quale ente gestore della Riserva naturale statale Abbadia di Fiastra,
ricadente nel territorio della regione Marche, ai sensi dell'art. 8, comma 2 della legge 353/2000.
(G.U. 19 novembre 2014, n. 269)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Adozione del Piano antincendio boschivo, con periodo di validita' 2014-2018, predisposto dall'Ente
parco nazionale del Gargano, ricadente nel territorio della regione Puglia, ai sensi dell'art. 8 comma
2 della legge 353/2000.
(G.U. 19 novembre 2014, n. 269)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 14 novembre 2014
Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche
che nei giorni 13 e 14 ottobre hanno colpito il territorio delle province di Parma e Piacenza.
(G.U. 21 novembre 2014, n. 271)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 14 novembre 2014
Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche
che nei giorni dal 9 al 13 ottobre 2014 hanno colpito il territorio della provincia di Genova e dei
comuni di Borghetto di Vara, Ricco' del Golfo di Spezia e Varese Ligure nella Val di Vara in
provincia di La Spezia. (Ordinanza n. 203).
(G.U. 22 novembre 2014, n. 272)
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014
Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile relative agli eccezionali eventi meteorologici
verificatisi nei giorni dal 25 al 26 dicembre 2013, dal 4 al 5 e dal 16 al 20 gennaio 2014 nel
territorio della regione Liguria. (Ordinanza n. 207).
(G.U. 29 novembre 2014, n. 278)
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014
Ulteriori disposizioni di protezione civile per favorire e regolare il subentro del comune di Villa San
Giovanni nelle iniziative finalizzate al definitivo superamento della situazione di criticita'
conseguente all'attraversamento del contesto urbano da parte dei mezzi pesanti.
(G.U. 29 novembre 2014, n. 278)
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PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014
Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile in conseguenza degli eccezionali eventi atmosferici
verificatisi tra il 30 gennaio ed il 18 febbraio 2014 nel territorio della regione Veneto. (Ordinanza n.
205).
(G.U. 1 dicembre 2014, n. 279)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014
Ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzata al superamento della situazione di criticita'
conseguente alle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nel mese di ottobre 2011 nel
territorio della provincia di Massa Carrara.
(G.U. 1 dicembre 2014, n. 279)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
18 settembre 2014
Comitato interministeriale per gli interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito
ambientale ed il monitoraggio del territorio della regione Campania.
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 28 novembre 2014
Primi interventi urgenti di protezione civile conseguenti alle eccezionali avversita' atmosferiche
verificatesi nel periodo dal 7 luglio al 31 agosto 2014 nel territorio della regione Lombardia.
(G.U. 6 dicembre 2014, n. 284)
DECRETO LEGISLATIVO
30 ottobre 2014, n. 178
Attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005 relativo all'istituzione di un sistema di licenze
FLEGT per le importazioni di legname nella Comunita' europea e del regolamento (UE) n. 995/2010
che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati.
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 28 novembre 2014
Dichiarazione dell'esistenza del carattere di eccezionalita' degli eventi calamitosi verificatisi nella
regione Lombardia.
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 28 novembre 2014
Modifica del decreto 9 settembre 2014 relativo alla dichiarazione dell'esistenza del carattere di
eccezionalita' degli eventi calamitosi verificatisi nella regione Marche.
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 28 novembre 2014
Modifica al decreto 5 agosto 2014, recante «Disposizioni nazionali di attuazione del regolamento
(UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e del regolamento (CE) n. 555/08 della
Commissione per quanto riguarda le comunicazioni relative agli anticipi».
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 2 dicembre 2014
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Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione autonoma della
Sardegna nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticita' determinatasi in
conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche verificatesi nel mese di novembre 2013 nel
territorio della medesima regione.
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 2 dicembre 2014
Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione Puglia nelle iniziative
finalizzate al superamento della situazione di criticita' determinatasi in conseguenza delle
eccezionali avversita' atmosferiche verificatesi nei giorni 7 ed 8 ottobre 2013 nei comuni di Ginosa,
Castellaneta, Palagianello e Laterza in provincia di Taranto.
(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)
 Appalti
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 24 settembre 2014
Avvio della procedura per l'istituzione dell'elenco degli operatori economici di fiducia della Direzione
generale della pesca marittima e dell'acquacoltura per l'espletamento delle procedure di
acquisizione in economia, dirette all'affidamento di appalti di servizi.
(G.U. 14 novembre 2014, n. 264)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 24 ottobre 2014
Procedure e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi
aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici e per la redazione e la pubblicazione
del programma annuale per l'acquisizione di beni e servizi.
(G.U. 5 dicembre 2014, n. 283)
 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 24 settembre 2014
Riordino degli interventi di sostegno alla nascita e allo sviluppo di start-up innovative in tutto il
territorio nazionale.
(G.U. 13 novembre 2014, n. 264)
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
DECRETO 7 novembre 2014
Approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione,
nonche' delle relative istruzioni per la compilazione ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159.
(G.U. 17 novembre 2014, n. 267, S.O. n. 87)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 10 ottobre 2014
Modifiche dei termini per la presentazione delle domande per l'accesso al credito d'imposta per le
nuove assunzioni di profili altamente qualificati di cui all'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno
2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
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DECRETO 6 novembre 2014
Esclusione della regione Campania dalla sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo
23 giugno 2011, n. 118.
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 23 settembre 2014
Attuazione dell'art. 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con
modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, relativo al contributo tramite voucher alle micro,
piccole e medie imprese per la digitalizzazione dei processi aziendali e l'ammodernamento
tecnologico.
(G.U. 19 novembre 2014, n. 269)
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 17 novembre 2014, n. 172
Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo
1998, n. 76, in materia di criteri e procedure per l'utilizzazione della quota dell'otto per mille
dell'Irpef devoluta alla diretta gestione statale.
(G.U. 26 novembre 2014, n. 275)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 20 ottobre 2014
Rideterminazione del cofinanziamento nazionale pubblico a carico del Fondo di rotazione di cui alla
legge n. 183/1987 per il Programma Operativo Regionale (POR) Umbria FESR dell'obiettivo
Competitivita' regionale e occupazione, programmazione 2007-2013, per le annualita' dal 2007 al
2013 al netto del prefinanziamento del 7,5 per cento.
(G.U. 26 novembre 2014, n. 275)
DECRETO LEGISLATIVO 21 novembre 2014, n. 175
Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata.
(G.U. 28 novembre 2014, n. 277)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 17 ottobre 2014, n. 176
Disciplina del microcredito, in attuazione dell'articolo 111, comma 5, del decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385
(G.U. 1 dicembre 2014, n. 279)
DECRETO MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
1 dicembre 2014
Integrazione dell'elenco allegato al decreto 20 ottobre 2014 relativo alla sospensione, ai sensi
dell'articolo 9, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, dei termini per l'adempimento degli
obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi metereologici del 10 - 14 ottobre
2014 verificatisi nelle regioni: Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Friuli-Venezia
Giulia.
(G.U. 2 dicembre 2014, n. 280)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 24 ottobre 2014, n. 177
Regolamento di modifica dell'articolo 2 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 29
ottobre 1996, n. 603, in materia di documenti sottratti al diritto di accesso.
(G.U. 3 dicembre 2014, n. 281)
AGENZIA DELLE ENTRATE
PROVVEDIMENTO 20 novembre 2014
Estensione delle modalita' di versamento, mediante modello «F24» ed «F24 Enti pubblici» dei diritti
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relativi ai titoli di proprieta' industriale e delle tasse sulle concessioni governative sui marchi.
(G.U. 3 dicembre 2014, n. 281)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
COMUNICATO
Comunicato relativo alla circolare direttoriale n. 64180 del 24 novembre 2014 concernente ulteriori
istruzioni utili all'espletamento delle procedure previste dal decreto direttoriale 11 marzo 2014,
recante disposizioni in merito alle modalita' di erogazione delle agevolazioni in favore di programmi
di investimento finalizzati al perseguimento di specifici obiettivi di innovazione, miglioramento
competitivo e tutela ambientale nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
(G.U. 3 dicembre 2014, n. 281)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 15 ottobre 2014
Intervento del Fondo per la crescita sostenibile in favore di grandi progetti di ricerca e sviluppo
nell'ambito di specifiche tematiche rilevanti per l'«industria sostenibile».
(G.U. 5 dicembre 2014, n. 283)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 28 novembre 2014
Esenzione dall'IMU, prevista per i terreni agricoli, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h), del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
(G.U. 6 dicembre 2014, n. 284, S.O. n. 93)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 31 ottobre 2014
Attuazione dell'art. 1, commi 522 - 525, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, concernente la
riduzione delle risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario, per l'anno 2014.
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
 Energia
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 6 novembre 2014
Rimodulazione degli incentivi per la produzione di elettricita' da fonti rinnovabili diverse dal
fotovoltaico spettanti ai soggetti che aderiscono all'opzione di cui all'articolo 1, comma 3, del
decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014,
n. 9.
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
COMUNICATO
Risoluzione anticipata della convenzione Cip6 per gli impianti alimentati da combustibili di processo
o residui o recuperi di energia.
(G.U. 20 novembre 2014, n. 270)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 20 ottobre 2014
Cofinanziamento nazionale pubblico a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183/1987
delle attivita' dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico
sostenibile (ENEA) per il programma Euratom, anno 2013.
(G.U. 26 novembre 2014, n. 275)
UNITELNews24
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DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
26 settembre 2014
Piano infrastrutturale per i veicoli alimentati ad energia elettrica, ai sensi dell'articolo 17-septies del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.
(G.U. 2 dicembre 2014, n. 280)
 Immobili
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 27 novembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato. (Decreto n. 30331).
(G.U. 2 dicembre 2014, n. 280)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 27 novembre 2014
Rettifica dell'allegato A del decreto n. 25933 del 19 luglio 2002 e del decreto n. 28212 del 26
novembre 2013, recante: «Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.». (Decreto n.
30337).
(G.U. 2 dicembre 2014, n. 280)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 27 novembre 2014
Rettifica dell'allegato A del decreto n. 28216 del 26 novembre 2013, recante: «Individuazione di
beni immobili di proprieta' dello Stato.». (Decreto n. 30335).
(G.U. 2 dicembre 2014, n. 280)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 4 dicembre 2014
Rettifica del decreto n. 30337 del 27 novembre 2014 relativo alla rettifica dell'allegato A del
decreto n. 25933 del 19 luglio 2002 e del decreto n. 28212 del 26 novembre 2013, recante:
«Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.».
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 4 dicembre 2014
Rettifica del decreto n. 30331 del 27 novembre 2014 recante: «Individuazione di beni immobili di
proprieta' dello Stato.».
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 4 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
 Lavoro, previdenza e professione
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
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COMUNICATO
Avviso relativo al decreto interministeriale, recante modalità e criteri di assegnazione di risorse agli
enti pubblici della regione Calabria per l'assunzione, entro l'anno 2014 con contratto a tempo
determinato, di lavoratori socialmente utili, di pubblica utilità ed ex articolo 7, decreto legislativo
468/1997
(G.U. 12 novembre 2014, n. 263)
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
COMUNICATO
Linee di indirizzo per la presentazione di progetti sperimentali di volontariato finanziati con il Fondo
per il volontariato, di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266 - Anno 2014.
(G.U. 14 novembre 2014, n. 264)
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
COMUNICATO
Approvazione della delibera adottata dal Comitato nazionale dei delegati della Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti in data 26-27 giugno
2014.
(G.U. 17 novembre 2014, n. 267)
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
COMUNICATO
Approvazione della delibera n. 20562/14 adottata dal Consiglio di amministrazione della Cassa
nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti in data 7
maggio 2014.
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
COMUNICATO
CCNL per il riconoscimento ai direttori dei servizi generali ed amministrativi dell'indennita' di cui
all'art. 19, comma 5-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 4, comma 70, della legge 12 novembre 2011,
n. 183
(G.U. 19 novembre 2014, n. 269)
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
DECRETO 24 ottobre 2014
Concessione del prolungamento degli interventi di sostegno al reddito, ai sensi dell'articolo 12,
comma 5-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122. (Decreto n. 85708)
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
 Pubblica amministrazione
LEGGE 11 novembre 2014, n. 164
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante
misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione
del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa
delle attivita' produttive.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262, S.O. n. 85)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 24 ottobre 2014
UNITELNews24
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Attribuzione ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della regione Siciliana e della regione
Sardegna del contributo, pari a 110,7 milioni di euro, quale rimborso del minor gettito dell'imposta
municipale propria relativo ai terreni agricoli posseduti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori
agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola ed ai fabbricati rurali ad uso strumentale, a
decorrere dall'anno 2014
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 26 settembre 2014
Criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative
connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali.
(G.U. 12 novembre 2014, n. 263)
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
DECRETO 28 ottobre 2014
Criteri di determinazione del rendimento individuale ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24
giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
(G.U. 12 novembre 2014, n. 263)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 22 settembre 2014
Definizione degli schemi e delle modalita' per la pubblicazione su internet dei dati relativi alle
entrate e alla spesa dei bilanci preventivi e consuntivi e dell'indicatore annuale di tempestivita' dei
pagamenti delle pubbliche amministrazioni.
(G.U. 14 novembre 2014, n. 265)
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 7 novembre 2014
Variazione della misura dell'indennita' di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari.
(G.U. 19 novembre 2014, n. 269)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE COMUNICATO
Linee guida per la valutazione della conformita' del sistema e degli strumenti di autenticazione
utilizzati nel processo di generazione della firma digitale.
(G.U. 21 novembre 2014, n. 271)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 6 novembre 2014
Determinazione a conguaglio del contributo compensativo spettante ai comuni a seguito
dell'abolizione della seconda rata dell'IMU 2013.
(G.U. 21 novembre 2014, n. 271)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 6 novembre 2014
Attribuzione del contributo di 625 milioni di euro ai comuni.
(G.U. 21 novembre 2014, n. 271)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 24 ottobre 2014
Riparto del contributo ex articolo 2-bis del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, introdotto in sede
di conversione dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, per l'attibuzione ai comuni del minor gettito
dell'imposta municipale propria (IMU) relativo agli immobili equiparati all'abitazione principale, per
l'anno 2013.
(G.U. 25 novembre 2014, n. 274)
COMUNICATO
Determinazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilita' interno relativo all'anno
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2013.
(G.U. 25 novembre 2014, n. 274)
PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO DEI M INISTRI - DIPA RTIMENTO P ER GLI
REGIONALI, LE AUTONOMIE E LO SPORT
DECRETO 16 gennaio 2014
Fondo nazionale integrativo per i comuni montani.
(G.U. 27 novembre 2014, n. 276)
AFFARI
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Integrazioni alla descrizione delle voci contabili dei modelli allegati al decreto 14 maggio 2013,
recante: «Certificazioni di bilancio di previsione 2013 delle amministrazioni provinciali, dei comuni,
delle comunita' montane e delle unioni dei comuni.».
(G.U. 27 novembre 2014, n. 276)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERA 1 agosto 2014
Interventi nel settore dei sistemi di Trasporto Rapido di Massa.
(G.U. 3 dicembre 2014, n. 281)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
30 settembre 2014
Approvazione del piano triennale per la riduzione del disavanzo e per il riequilibrio strutturale di
bilancio di Roma Capitale.
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 28 novembre 2014
Ripartizione delle risorse, per l'anno 2012, da attribuire alle regioni a fronte degli oneri per gli
accertamenti medico legali sui dipendenti assenti da servizio per malattia effettuati dalle aziende
sanitarie locali.
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 1 dicembre 2014
Determinazione per alcuni comuni della regione Sicilia interessati da flussi migratori, degli importi
delle spese escluse dal computo dello specifico obiettivo di saldo finanziario, ai fini del patto di
stabilita' interno, per l'anno 2014.
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 10 ottobre 2014
Attribuzione di risorse alle sezioni del Fondo per la crescita sostenibile relativa alla promozione di
progetti di ricerca, sviluppo e innovazione e al rafforzamento della struttura produttiva.
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 15 ottobre 2014
Intervento del Fondo per la crescita sostenibile in favore di grandi progetti di ricerca e sviluppo nel
settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione elettroniche e per l'attuazione
dell'Agenda digitale italiana.
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
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MINISTERO DELL'INTERNO
COMUNICATO
Determinazione della sanzione al comune di Villamaina per il mancato rispetto del patto di stabilita'
interno, relativo all'anno 2013
(G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
24 ottobre 2014
Definizione delle caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell'identita' digitale di cittadini
e imprese (SPID), nonche' dei tempi e delle modalita' di adozione del sistema SPID da parte delle
pubbliche amministrazioni e delle imprese.
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
 Sicurezza
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 29 ottobre 2014
Estensione dell'attivita' di certificazione della societa' Rina Service S.p.A., in Genova, per
l'esecuzione delle procedure di valutazione della conformita' dell'equipaggiamento marittimo alle
direttive 96/98/CE e 98/85/CE e successivi emendamenti.
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262)
DECRETO-LEGGE 18 novembre 2014, n. 168
Proroga di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il rinnovo dei Comitati degli italiani
all'estero e gli adempimenti relativi alle armi per uso scenico, nonche' ad altre armi ad aria
compressa o gas compresso destinate all'attivita' amatoriale e agonistica.
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 4 novembre 2014
Integrazioni e modifiche al decreto 5 marzo 2014 recante approvazione dell'elenco degli esplosivi,
degli accessori detonanti e dei mezzi di accensione riconosciuti idonei all'impiego nelle attivita'
estrattive, per l'anno 2014
(G.U. 20 novembre 2014, n. 270)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 11 novembre 2014
Attuazione della direttiva 2013/52/UE della Commissione del 30 ottobre 2013, recante modifica
della direttiva 96/98/CE del Consiglio sull'equipaggiamento marittimo, gia' attuata con decreto del
Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999, n. 407.
(G.U. 2 dicembre 2014, n. 280, S.O. n. 92)
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Giurisprudenza
 Appalti
 Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 19 novembre 2014 n. 47751
 NOTA
Se l'appalto è parziale il committente risponde dell'infortunio del terzo
«Il contratto di appalto non solleva da precise dirette responsabilità il committente allorché lo
stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, in quanto, in
tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, compreso quello di controllare
direttamente le condizioni di sicurezza dei cantiere». Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza
47751/2014,
confermando,
sotto
questo
aspetto,
la
responsabilità
per
omicidio
colposo
dell'amministratore di una società, incaricata dal Comune di Catania della realizzazione di una
condotta idrica, a seguito di un infortunio mortale occorso ad un motociclista caduto a causa della
mancata segnalazione del dislivello del manto stradale dovuto ai lavori di scavo.
Il ruolo di garanzia - La Suprema corte ha ricondotto il ruolo di garanzia dell'imprenditore verso i
terzi all'obbligazione personale «al rispetto scrupoloso delle cautele prevenzionali del caso e in
special modo ad apporre la completa segnaletica di pericolo prevista» contratta col municipio.
Inoltre, prosegue la sentenza, pur avendo dato in subappalto «le opere di scavo, messa in opera e
connessione delle tubature», la committente «si era riservata di fornire la conduttura, e l'opera di
saldatura dei relativi tranci, di pari passo con l'andamento dello scavo, sorgendo, così, all'evidenza,
una esigenza di coordinamento, vigilanza e verifica certamente esuberante rispetto ai poteri del
nudo committente». Da questa «speciale ingerenza», giustificata dalla parzialità dell'appalto e dagli
obblighi assunti nei confronti del comune di Catania, «deriva la sussistenza del ruolo di garanzia
nei confronti degli utenti della strada» in capo all'imprenditore.
Sì alla att enuanti - Per i giudici di Piazza Cavour, invece, non è stata dimostrata la condotta
sleale dell'imputato, «unica ragione per la quale è stata esclusa la prevalenza delle attenuanti
generiche e la meritevolezza della non menzione». Nel condannarlo, infatti, la Corte d'Appello ha
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attribuito alla sua volontà di nascondere le proprie responsabilità la frettolosa bitumazione della
strada, avvenuta il giorno successivo all'incidente. L'asfalto, tuttavia, argomenta la Cassazione, era
stato messo dalla impresa appaltatrice, e, quindi, «sarebbe occorso dimostrare che artefice, o,
perlomeno, istigatore o suggeritore della condotta diretta ad inquinare le prove era stato
l'imputato». Non essendo per questo sufficiente l'apodittico asserto secondo il quale l'imputato non
poteva essere all'oscuro dell'operazione «stante il suo costante interessamento ai lavori e la sua
presenza sul luogo dell'incidente il giorno dell'accaduto». Infatti, conclude la sentenza, per la prima
parte l'affermazione costituisce «un assioma fondato sul sospetto mero» e per la seconda parte si
appalesa illogica, in quanto vista la gravità del sinistro la presenza dell'imprenditore
era «ampiamente giustificata», né se ne può desumere che abbia «influito sulla decisione di
bitumare al più presto lo scavo».
(Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 19 novembre 2014)
 T.A.R. Liguria, Sez. II, 21 novembre 2014, n. 1690
 NOTA
Oneri per la sicurezza: negli appalti di servizi di natura intellettuale non occorre indicarli
Il T.A.R. Liguria, Sez. II, 21 novembre 2014, n. 1690 ribadisce che negli appalti di servizi di natura
intellettuale non occorre indicare gli oneri per la sicurezza.
Il Collegio è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso
proposto
per l'annullamento del
provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara d’appalto a procedura negoziata indetta
per
l’affidamento dei servizi e delle prestazioni relative alla direzione lavori, alla misurazione, alla
redazione di tutti gli atti e documenti della contabilità e al coordinamento sicurezza in fase di
esecuzione lavori e per ogni altra prestazione richiesta per il completamento dell’incarico fino alla
ultimazione e al certificato di regolare esecuzione dei lavori per l’omessa indicazione nella lettera
di invito dei costi per la sicurezza non soggetti a ribasso.
Preliminarmente il Collegio osserva che l’omessa indicazione nella lettera di invito dei costi per la
sicurezza non soggetti a ribasso
costituisce una circostanza direttamente incidente sulla
formulazione dell’offerta e, in conseguenza, deve essere immediatamente contestata, per rilevare il
pregiudizio che ne derivava ai danni della concorrente, senza attendere l’esito sfavorevole della
gara (Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671; Cons. Stato, 26 novembre 2009, n. 7442;
T.A.R Liguria, Sez. II, 21 marzo 2014, n. 453).
Comunque, la giurisprudenza amministrativa, dopo talune oscillazioni, ha chiarito che negli appalti
di servizi di natura intellettuale non occorre indicare gli oneri per la sicurezza, poiché le attività da
svolgersi non sono caratterizzate da profili di interesse in tema di sicurezza sul lavoro (cfr., fra le
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ultime, Cons. Stato, Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3054).
In particolare, non si profilano in tale ambito rischi da interferenze esterne (derivanti, per esempio,
dalle particolari condizioni dei luoghi in cui dovrà svolgersi l’attività) ed è per questa ragione che
l’art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. 81/2008, esclude espressamente l’obbligo per la stazione appaltante
di indicare detti oneri nel bando di gara (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 378).
L’indicazione dei costi aziendali per la sicurezza da parte dei singoli concorrenti, invece, risulta
funzionale al giudizio di anomalia e nessuna disposizione normativa prevede la comminatoria di
esclusione per l'omessa indicazione degli stessi nell’offerta (Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n.
3056; T.A.R. Liguria, sez. II, 29 agosto 2014, n. 1323).
Infine,
il
Collegio
osserva
che
una
eventuale
anomalia
dell’offerta
aggiudicataria
non
comporterebbe né la riedizione dell’intera procedura competitiva né l’aggiudicazione in favore della
ricorrente, ma solo lo scorrimento della graduatoria e la conseguente aggiudicazione in favore di
una delle concorrenti che vi occupano una posizione anteriore alla ricorrente.
(Francesco Garritano, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 27 novembre 2014)
 Pubblica Amministrazione
 Tribunale di Palermo - Sentenza 13 ottobre 2014
 NOTA
Anche le società in house possono fallire
L’assoggettabilità alle procedure fallimentari deriva dallo spostarsi del baricentro della legislazione
culminato con la spending review. Un risultato coerente conl progressivo ridimensionarsi della
partecipazione statale nell’esercizio dell’attività d'impresa, seguita anche alla soppressione del
ministero delle Partecipazioni statali. In questi termini si sofferma il Tribunale di Palermo, con
sentenza del 13 ottobre, nell’arrivare a dichiarare lo stato di insolvenza di una società per azioni il
cui oggetto era la riorganizzazione le modalità di gestione del servizio di smaltimento rifiuti
attraverso la presa in carico della raccolta, trasporto, smaltimento e riciclaggio.
La
società,
nel
negare
l’applicabilità
della
Legge
fallimentare
(che
avrebbe
condotto
all’amministrazione straordinaria), aveva sostenuto che la normativa civilistica e fallimentare sono
concordi nel mandare esenti da fallimento gli enti pubblici economici, sottoponendoli piuttosto a
liquidazione coatta amministrativa. La ragione dell’esenzione starebbe nell’incompatibilità tra le
finalità della gestione di un servizio pubblico essenziale e gli effetti tipici del fallimento; in caso
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contrario verrebbe a determinarsi un’ingerenza dell’autorità giudiziaria in ambiti riservati alla
pubblica amministrazione.
Ma i giudici della Sezione fallimentare di Palermo non sono stati di questo avviso. E hanno
innanzitutto proceduto a una riflessione di ordine generale, che muove dalla constatazione che
negli ultimi decenni le pubbliche amministrazioni hanno abusato del privilegio dell’affidamento
diretto delle gestione dei servizi pubblici a società partecipate, in deroga ai fondamentali principi
della concorrenza tra imprese e della trasparenza. Si è sviluppato «in modo esponenziale un
modello di gestione mediante società controllate (cosidette in house) in un’ottica rivolta solo
formalmente all’aziendalizzazione dei servizi e ad una privatizzazione effettiva, in realtà
sostanzialmente diretta a eludere i procedimenti ad evidenza pubblica ed a sottrarre interi comparti
della pubblica amministrazione ai vincoli di bilancio».
A questa linea di tendenza più risalente, si è accompagnata – sottolinea la sentenza – una
posizione diversa, tesa a moralizzare il fenomeno della partecipazione pubblica. Posizione arrivata a
compiuta definizione con gli interventi di spending review. Da ultimo, almeno nella ricostruzione dei
giudici, il decreto legge 95/2012, convertito dalla legge n. 135, ha dettato una norma di generale
rinvio alla disciplina codicistica delle società di capitali anche per società a totale o parziale
partecipazione pubblica.
In contrasto con questa evoluzione, ammette la Sezione fallimentare, c’è un orientamento
giurisprudenziale che esclude, quanto alle società in house, una diversità di rapporto tra l’ente
pubblico partecipante e la società stessa, come pure una separazione patrimoniale. Per la
sentenza, invece, la qualificazione di società in house riguarda esclusivamente l’ambito della
responsabilità degli organi sociali per danni prodotti al suo patrimonio, incardinando la giurisdizione
davanti alla Corte dei conti e non al giudice ordinario, «senza comportare una più generale
riqualificazione della sua natura e senza avere alcuna ricaduta sull'assoggettamento alle procedure
concorsuali».
Nel caso esaminato, invece la società in house, costituita nella forma di spa, iscritta al registro, si
indirizzava a una disciplina privatistica che trova rispondenza nella lettura della visura camerale.
Da questa emerge infatti, l’attribuzione al consiglio di amministrazione dei più ampi poteri di
ordinaria e straordinaria gestione, con la libertà di assumere tutti gli atti necessari al
raggiungimento degli scopi sociali.
I giudici ne concludono così, in sintonia con la Cassazione, nel senso che una società che ha per
oggetto lo svolgimento di un’attività commerciale nelle forme previste dal Codice civile deve essere
assoggettata a procedura fallimentare, indipendentemente poi dall’effettivo esercizio dell’attività
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stessa. La società acquista così la qualifica di imprenditore commerciale già dal momento della
costituzione. E non dall’inizio concreto dell’attività d’impresa.
(Giovanni Negri, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 9 dicembre 2014)
 Edilizia
 Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 1° dicembre 2014 n. 49991
 NOTA
La demolizione delle mura perimetrali non apre all'abbattimento del manufatto
Deve essere considerata illegittima la condanna alla demolizione del manufatto, nel caso in cui
siano state abbattute mura perimetrali in contrasto con il permesso a effettuare semplici lavori di
ristrutturazione. Lo precisa la Cassazione con la sentenza n. 49991/2014.
I fatti. In particolare il ricorrente ha eccepito la violazione dell'articolo 31, comma 9, del Dpr
380/2001, per essere stata disposta la demolizione delle opere abusive. E ciò in considerazione sia
del fatto che nel caso di specie l’abusività aveva a oggetto non un'edificazione, ma semmai una
demolizione, sia del fatto che in questo caso, sebbene in origine fosse stata concessa la violazione
della lettera b) dell'articolo 44 del Dpr citato, nella sentenza di fatto era stata riscontrata quella
della lettera a) cioè un abuso minore per il quale non è prevista una sanzione così pesante.
Pronuncia dell a Cassazione. La Corte ha dato ragione all'imputato ricordando che l'articolo 31
del Dpr 380/2001 prevede l'ingiunzione alla demolizione delle opere abusive solo per interventi
eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali. Si legge
nella sentenza, pertanto, che la misura così pesante deve colpire esclusivamente gli abusi di
maggiore gravità, quelli cioè che comportano «la realizzazione di un organismo edilizio
integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione da quello
oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di opere edili oltre i limiti indicati nel progetto e
tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente».
Conclusioni. Non rientrano, pertanto, nella previsione normativa dell'articolo 31 gli abusi minori,
puniti ai sensi dell'articolo 44, lettera a) del Dlgs 380/2001. Per tali violazioni le sanzioni
amministrative costituite dal ripristino dello stato dei luoghi o dalla irrogazione di una sanzione
pecuniaria sostitutiva restano di esclusiva competenza della pubblica amministrazione, mentre
l'autorità giudiziaria può solo irrogare la pena dell'ammenda comminata dalla norma avente
carattere penale.
(Giampaolo Piagnerelli, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 1 dicembre 2014)
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Ambiente

Il recupero di rifiut i pre sso installa zioni in AIA alla luce delle modifiche
introdotte dal decreto "competitività e crescita"
Marco Fabrizio, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 11 dicembre 2014
L’articolo 13, c. 4, del D.L. n. 91/2014, conv., con modificazioni, in l. n. 116/2014, Disposizioni
urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia
scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti
sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla
normativa europea , ha introdotto modifiche anche alla disciplina in materia di recupero di rifiuti,
sostanzialmente demandando a nuovi decreti attuativi l’aggiornamento della disciplina tecnica del
caso, ivi compresa l’operazione consistente
“nel
mero controllo sui materiali di rifiuto per
verificare se soddisfino i criteri elaborati affinche' gli stessi cessino di essere considerati rifiuti nel
rispetto delle condizioni previste” (nuovo art. 216, c. 8-quinquies, D.lgs. n. 152/2006 e succ.
modd..). Tali decreti,
aggiunge la nuova disposizione, dovranno, comunque, considerare taluni
principi generali all’uopo fissati, quali: a) la qualita' e alle caratteristiche dei rifiuti da trattare;
le condizioni specifiche che devono
essere
rispettate
prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti
nello svolgimento delle attivita';
siano trattati senza
pericolo
per
la
b)
c) le
salute
dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente,
con specifico riferimento agli obblighi minimi di monitoraggio;
cessano di essere
d) la destinazione dei rifiuti che
considerati rifiuti agli utilizzi individuati (cc. 8-quater e 8-quinquies, art. 216
cit.). Rileverà, a carico dei gestori degli impianti di recupero esistenti, un periodo di salvaguardia di
sei mesi dall’emanazione di nuovi regolamenti per procedere all’adeguamento dei processi (se
necessario).
Il comma
8-septies della medesima disposizione ha aggiunto, inoltre, una ulteriore disposizione
relativa agli impianti di recupero assoggettati alla normativa in tema di autorizzazione integrata
ambientale, apparentemente al fine di agevolare la conduzione delle attività di recupero di rifiuti
presso gli impianti medesimi (rectius “installazioni”), del seguente tenore: “al fine di un uso piu'
efficiente delle risorse e di un'economia circolare che promuova ambiente e occupazione, i rifiuti
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individuati nella lista verde di cui al regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 14 giugno 2006, possono essere utilizzati negli impianti industriali autorizzati ai
sensi della disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale di cui agli articoli 29-sexies e seguenti
del …- D.lgs. n. 152/2006 – , nel rispetto del relativo BAT
da
inoltrare quarantacinque giorni prima dell'avvio
References,
dell'attivita'
previa
comunicazione
all'autorita' ambientale
competente. In tal caso i rifiuti saranno assoggettati al rispetto alle norme riguardanti
esclusivamente il trasporto dei rifiuti e il formulario di identificazione “.
I rifiuti in questione sono quelli indicati nell’allegato III al menzionato regolamento n. 1013/2006,
Elenco dei rifiuti soggetti agli obblighi generali di informazione di cui all'articolo 18, ovvero quelli
che, ai fini di un trasporto internazionale, necessitano di una mero documento di accompagno
contenente talune informazioni (spedizioni di rifiuti superiori a 20 kg., elencati nell'allegato III o III
B al reg., piuttosto che miscele di rifiuti, non classificati sotto una voce specifica dell'allegato III,
composte da due o più rifiuti elencati nell'allegato III, sempreché la composizione delle miscele non
ne impedisca il recupero secondo metodi ecologicamente corretti e tali miscele siano elencate
nell'allegato III A, a norma dell'articolo 58, reg. medesimo; spedizioni di rifiuti, inferiori a 25 kg.,
esplicitamente destinati alle analisi di laboratorio allo scopo di accertare le loro caratteristiche
fisiche o chimiche o di determinare la loro idoneità ad operazioni di recupero o smaltimento).
Trattasi della dichiarazione di inizio attività (DIA, oggi SCIA) da inoltrare all’autorità competente e,
quindi, della legittimazione all’esercizio dell’attività al decorso di 45 giorni dall’invio della
comunicazione all’autorità competente, con maturazione del silenzio assenso.
Il legislatore ha ricalcato, in tal senso, la disciplina semplificata di cui all’art. 216, c. 1, D.lgs. n.
152/2006 e succ. modd. in tema di recupero (in generale) di rifiuti, tale che la comunicazione resa
nelle forme e contenuto di legge (norme tecniche), unita al decorso del termine (45 giorni nel caso
in questione, differentemente dai 90 gg. Altrimenti previsti in generale dall’art. 216 citato), abilita il
privato a condurre l’attività di recupero di rifiuti.
Se, dunque, all’apparenza il legislatore spinge per un’apparente liberalizzazione delle attività di
recupero rifiuti presso i siti (installazioni) soggetti alla disciplina di cui all’autorizzazione integrata
ambientale (elenco di attività di cui all’allegato VIII, parte seconda del D.lgs. n. 152/2006, per
l’a.i.a. regionale, e allegato XII, stessa parte seconda del D.lgs. n. 152/2006 per l’a.i.a. nazionale)
pur vero è che, analizzando l’iter procedimentale con cui le autorità competenti conducono
l’istruttoria per le modifiche in materia, non v’è ragione di temere alcuno scadimento dei controlli,
prima, e delle pratiche condotte all’uopo, poi…
Rileva, innanzitutto, come l’amministrazione non potrebbe di certo sottrarsi ad un attento esame
istruttorio sulla comunicazione in questione ricevuta, non solo e non tanto perché ciò è previsto
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dalla legge (tale che anche nel caso di recupero di rifiuti di attività non in AIA la provincia potrebbe
intervenire inibendo l’attività ai sensi dell’ art. 216, c. 4, D.lgs. cit.), bensì anche perché è lo stesso
schema amministrativo di cui all’art. 19, c. 3, l. n. 241/1990 e succ. modd., a richiedere ciò, fermo
restando il generale potere di autotutela dell’amministrazione, sempre legittimata a riaprire
un’istruttoria (anche nel caso di decorso di termini), fino all’eventuale revoca del provvedimento
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
(anche per mera ri-valutazione dell’interesse
pubblico originario – art. 21-quinquies, l. cit.), piuttosto che all’annullamento del medesimo (art.
21-nonies, l. cit.).
Ancora più in particolare, inoltre, soccorre, ai fini del controllo da parte dell’autorità competente,
l’iter in materia di autorizzazione integrata ambientale.
Come è noto, al riguardo, la comunicazione prevista dall’art. 216, c. 8-septies, D.lgs. n. 152/2006
e succ. modd. con il suo apparente termine breve di 45 giorni, si inserisce, in realtà, nella disciplina
più complessa della modifica sostanziale/non sostanziale di cui all’art. 29-nonies, D.lgs. medesimo,
per gli impianti soggetti alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale.
Invero,
in caso di qualsiasi modifica, intesa come “…variazione di un
piano,
programma,
impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle
loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento,
produrre
che
possano
effetti sull'ambiente” il gestore dell’installazione autorizzata in a.i.a. deve, infatti,
comunicare all’autorità competente le modifiche progettate (art. 29-nonies, c. 1, D.lgs. n.
152/2006 e succ. modd.), decorrendo, a questo punto, a carico dell’autorità competente il temine
di 60 giorni entro il quale la medesima amministrazione “dovrà” procedere all’aggiornamento
dell’autorizzazione
(presunta modifica non sostanziale) ovvero, qualora ravvisi che le modifiche
progettate possano considerarsi sostanziali, per inviare al gestore notizia in tal senso, con
conseguente obbligo, a
carico di quest’ultimo,
di inviare all’autorità competente una vera e
propria nuova domanda di autorizzazione corredata dalla relazione di cui all’art. 29-ter, cc. 1 e 2,
D.lgs. cit. (ovvero: a) descrizione dell'installazione e
portata;
delle
sue
attivita', specificandone tipo e
b) descrizione delle materie prime e ausiliarie, delle sostanze e dell'energia usate o
prodotte dall'installazione;
del
c) descrizione delle fonti di emissione dell'installazione;
sito
di
d)
descrizione
dello
stato
ubicazione dell'installazione; e) descrizione del tipo e
dell'entita'
delle
prevedibili emissioni dell'installazione in ogni comparto ambientale nonche'
un'identificazione degli effetti significativi
delle
emissioni sull'ambiente; f) descrizione della
tecnologia e delle altre tecniche di cui si prevede l'uso per prevenire le emissioni dall'installazione
oppure, qualora cio' non fosse possibile, per ridurle; g) descrizione delle misure di prevenzione, di
preparazione per il riutilizzo, di riciclaggio e di recupero dei rifiuti prodotti dall'installazione;
h) descrizione delle misure previste per controllare le emissioni nell'ambiente nonche' le attivita' di
autocontrollo e di controllo programmato che richiedono l'intervento dell'ente responsabile degli
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accertamenti di cui all'articolo 29-decies, c. 3, d.lgs. n. 152/2006 e succ. modd.; i) descrizione
delle principali alternative alla tecnologia, alle tecniche e alle misure proposte, prese in esame dal
gestore in
forma sommaria;
l) descrizione delle altre misure
previste
per
ottemperare
ai
principi di cui all'art. 6, c. 16, D.lgs. cit.; m) se l'attivita' comporta l'utilizzo, la produzione o lo
scarico di sostanze pericolose e, tenuto conto della possibilita'
e delle acque
sotterrane
nel
di contaminazione del suolo
sito dell'installazione, una relazione di riferimento elaborata
dal gestore prima della messa in esercizio dell'installazione o prima del primo aggiornamento
dell'autorizzazione rilasciata, per la quale l'istanza
costituisce
richiesta
di
validazione; n)
una sintesi non tecnica delle precedenti informazioni) (art. 29-nonies, c. 2, cit.).
Si rammenta come, alla luce delle ultime modifiche apportate alla disciplina in materia di a.i.a., è
“sostanziale” la modifica di un progetto, opera o di un impianto, tale che “…la variazione delle
caratteristiche
o
del
dell'infrastruttura o del
funzionamento
ovvero
un
potenziamento
dell'impianto,
dell'opera
o
progetto…, secondo l'autorita' competente…- producono – effetti negativi
e significativi sull'ambiente” (art. 5. C. 1, lett. L-bis, D.lgs. n. 152/2006 e succ. modd.).
La modifica introdotta dal D.lgs. n. 46/2014 prevede inoltre, come, con specifico riferimento
particolare alla disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale “…, per ciascuna attivita' per la
quale l'allegato VIII indica valori di soglia, e' sostanziale
una
modifica all'installazione che dia
luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al
valore della soglia stessa” (art. 5, c. 1, lett. L-bis. Cit.).
Peraltro, a seguito dell’ultima modifica introdotta alla disciplina in questione, anche al di fuori dei
casi sopra richiamati di modifica sostanziale e non, il gestore dovrà pur sempre informare l'autorita'
competente (oltre che l'autorita' di controllo di cui all'art. 29-decies, c. 3, D.lgs. n. 152/2006)
“…in
merito
ad
ogni
nuova
istanza presentata per l'installazione ai sensi della normativa in
materia di prevenzione dai rischi di incidente rilevante, ai sensi della normativa in materia di
valutazione di impatto ambientale o ai
comunicazione,
sensi della
normativa
in
materia
urbanistica”.
La
da effettuare prima di realizzare gli interventi, dovrà specificare espressamente
gli elementi in base ai quali il gestore ritiene che gli interventi previsti non comportino ne' effetti
sull'ambiente,
ne'
contrasto
con
le prescrizioni
esplicitamente
gia'
fissate
nell'autorizzazione integrata ambientale (art. 29-nonies, c. 3, D.lgs. n. 152/2006 e succ. modd.),
ancora una volta con necessario avvio di un’istruttoria e comunicazione di avvio del procedimento…
Si consideri, sotto tale ultimo profilo, come l’avvio di attività di recupero di rifiuti comporterà pur
sempre una qualche variazione sotto il profilo urbanistico-edilizio, quando non anche implicare una
vera e propria valutazione di impatto ambientale (es. lettere m) e n), allegato III, D.lgs. n.
152/2006, come richiamato da art. 6, c. 6, D.lgs. medesimo: m) Impianti
di
smaltimento
e
recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B, lettere D1, D5, D9, D10 e
D11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
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n) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacita' superiore a 100
t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento di cui all'allegato B, lettere D9,
D10 e D 11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152).
In conclusione l’istruttoria che l’autorità competente apre per una modifica anche prima facie “non
sostanziale” corrisponde sempre ad un preciso adempimento di legge, cui fa sovente seguito
un’attenta disamina tecnico-giuridica dell’istanza ricevuta (non solo sulle BAT References),
preceduta da comunicazione di avvio del procedimento ed in genere con richiesta di integrazioni
documentali e successivi approfondimenti.
Si ritiene, pertanto, che la “liberalizzazione” in questione sarà tale nel senso positivo della parola,
senza scadimento dei controlli o, peggio, dello stato di salute dell’ambiente.
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Ambiente
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Le nuove norme per la gestione delle risorse idriche
Giovanni La Banca, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 10 dicembre 2014
Il Decreto Sblocca Italia (Decreto Legge, testo coordinato 12.09.2014 n° 133, G.U. 11.11.2014)
contiene rilevanti novità relative ai servizi pubblici locali, in particolare per quanto riguarda il
servizio idrico integrato.
Si evidenzia che si tratta del primo organico intervento legislativo a seguito del Codice
dell’Ambiente e, in particolar modo, dopo l’esito del referendum del 2011.
Le nuove norme per la gestione delle risorse idriche vanno a modificare ed integrare il Codice
dell’Ambiente (Dlgs. 152/06) non solo per accelerare gli interventi per la riduzione del rischio
idrogeologico e l’adeguamento del sistema di fognatura e depurazione, ma anche al fine di
migliorare gli assetti istituzionali, organizzativi e gestionali del settore.
L’obiettivo dichiarato è quello di accelerare i tempi e offrire certezza alle procedure di affidamento
del servizio.
La prima innovazione di rilievo è attinente alla partecipazione obbligatoria degli enti locali agli enti
d’ambito, con contestuale riassetto della governance, individuando ruoli e responsabilità dei
soggetti coinvolti.
Nello specifico, viene affidato all’ente di governo d’ambito il compito di definire i piani delle opere e
quello di affidare il servizio mentre si incardina, in capo alle Regioni, un dovere di vigilanza sulle
attività degli stessi enti di governo d’ambito.
Allo stesso tempo, la Regione diviene titolare di poteri sostitutivi di commissariamento nei casi di
inerzia o inadempienza di questi ultimi.
Infine, a chiusura del complessivo riparto di competenze, all’Autorità per l'energia elettrica, il gas
ed il sistema idrico sono demandati precisi doveri di vigilanza e segnalazione circa il rispetto dalle
procedure e dei tempi, mentre alla Presidenza del Consiglio è lasciato, come organo di ultima
istanza, il compito di nominare commissari ad acta.
Complessivamente, dunque, il Presidente della Regione esercita i poteri sostituitivi in caso di
inadempienza degli enti di governo d’ambito nell’organizzazione del servizio; se la Regione non
UNITELNews24
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provvede l’Autorità per l’energia elettrica e il gas segnala l’inadempienza al Presidente del Consiglio
dei Ministri per i provvedimenti di propria competenza.
L’esercizio di poteri sostitutivi risponde all’esigenza di garantire la definizione della governance del
servizio idrico integrato indispensabile per generare economie di scala e, di conseguenza,
accelerare gli investimenti nel settore.
Inoltre, ad una ripartizione delle competenze tra i vari Enti, con il decreto Sblocca Italia, si
aggiunge una precipua delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, sulla base del principio volto
ad assicurare e conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio
all'utenza, perseguendo, altresì, l’unicità della gestione.
Rilievo fondamentale, a parere di chi scrive, assume la parte direttamente sanzionatoria
Accanto ai poteri sostitutivi delle Regioni, che invero erano già previsti dal Codice dell’Ambiente, e
che non sono stati esercitati se non in casi sporadici, il provvedimento introduce la responsabilità
erariale in capo agli Enti locali che non aderiscono entro termini perentori all’Ente di governo
d’ambito.
In particolare, l’art. 7 comma 1, lett. b), punto 1) impone l’obbligo di adesione entro il termine
perentorio di sessanta giorni.
In caso di violazione, possono intervenire, esercitando poteri sostitutivi previsti dal comma 1, lett.
i), punto 4, il Presidente della Regione e, in caso di sua inattività, il Presidente del Consiglio dei
Ministri, su segnalazione AEEGSI, che nomina un commissario ad acta.
La violazione della norma comporta responsabilità erariale.
La disposizione in esame ha grande rilievo in quanto, da quando sono state soppresse le Autorità di
Ambito territoriale ottimale (Ato) ed è stato assegnato alle Regioni il compito di definire struttura e
caratteristiche dei nuovi regolatori locali, 15 Regioni su 19 hanno completato l'iter con
l'approvazione di una legge regionale, mentre Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia hanno
nominato commissari o comunque definito regimi transitori.
Questo processo ha portato a una riduzione dei cosiddetti enti di governo di Ambito che sono
passati da 92 a 70, facendo registrare la positiva tendenza a costituire soggetti di dimensioni
regionali (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Sardegna e Calabria).
Ma di negativo c'è la grande eterogeneità delle scelte regionali e la parziale o assente operatività
degli Ega in molte Regioni del Sud, in cui detti Enti non sono stati costituiti o si è ancora in una
fase commissariale.
Il decreto in esame, prevedendo il termine perentorio del 31 dicembre 2014 per le Regioni ancora
inadempienti, decorso il quale scatta il commissariamento da parte del Governo, unitamente alla
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responsabilità erariale, cerca di individuare la via maestra per la soluzione della problematica in
questione, assicurando, anche a coloro che ancora non l’avessero fatto, una governance idonea alla
tutela degli interessi de quibus.
Altre specifiche norme di rilievo sono:
- La necessità di un affidamento avente la durata massima di 30 anni per le convenzioni tipo tra
l’ente di governo e il gestore, predisposte dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con l’obbligo
di raggiungimento dell’equilibrio economico, la disciplina relativa al subentro;
- L’obbligo, per gli enti di governo di ciascun ambito territoriale, di provvedere, nel termine di un
anno, all’affidamento del servizio ad un gestore unico, con la conseguente decadenza degli
affidamenti non conformi;
- per garantire il rispetto della normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, con il
comma 6 è stato istituito un Fondo ad hoc destinato agli interventi di adeguamento dei sistemi di
collettamento, fognatura e depurazione, finanziato attraverso la revoca delle risorse stanziate per
le Regioni del Sud dalla delibera CIPE 60/2012 che stanziava 1,6 miliardi di euro per interventi per
la depurazione delle acque, per i quali, al termine del 30 settembre 2014, non risultino essere stati
assunti atti giuridicamente vincolanti e, a seguito di verifiche dell’ISPRA, risultino presenti obiettivi
impedimenti di tipo tecnico-progettuale o urbanistico.
L’utilizzo delle risorse del Fondo è condizionato all’avvenuto affidamento al gestore unico del
servizio idrico integrato dell’ATO, e alla partecipazione con il co-finanziamento degli interventi a
valere sulla tariffa del servizio idrico integrato.
E’ prevista, infine, una dettagliata disciplina transitoria che regola l’organizzazione del servizio in
attesa di giungere alla gestione unica d’ambito.
Alla luce di tali argomentazioni, può dedursi che il legislatore ha inteso intervenire, in maniera
decisa, su una problematica ormai ben nota agli addetti al settore e ai governi che si sono
succeduti negli ultimi anni.
Ad oggi, gli aspetti di maggiore problematicità riguardano la governance istituzionale del settore e
l'assetto industriale delle aziende che gestiscono il servizio.
Basti ricordare che, per quanto riguarda il sistema delle aziende che gestiscono i servizi di
acquedotto, fognatura e depurazione, a distanza di anni dalla legge Galli, si registra ancora una
elevata frammentazione del settore, per il quale di certo non può parlarsi di assetto industriale.
La dimensione media delle aziende è ancora molto ridotta sia in termini di abitanti serviti
(300.000) sia in termini di comuni gestiti (40) sia infine per valore del ricavo da vendita (36,2
UNITELNews24
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milioni di euro con solo dieci aziende che superano gli 87 milioni nel 2013).
Lo sblocca-Italia sembrerebbe evidenziare una decisa volontà di riforma, non solo ribadendo il
principio di unicità della gestione, ma collegandolo a un tendenziale favor verso dimensioni
dell'ambito territoriale di livello regionale.
A ciò, però, andrebbe aggiunta l’estensione della fattispecie della responsabilità erariale,
attualmente prevista solo nei casi di mancata adesione dell’Ente locale all’Ente di governo
d’ambito, ai vari livelli di governo del settore, al fine di giungere in tempi celeri all’individuazione
del gestore unico e all’affidamento del servizio.
Di tal chè, al decreto in esame, pur lasciando ad ulteriori provvedimenti il compito di “normare” in
merito agli aspetti tecnici specifici (come mancanze, inerzie, inadempienze), va riconosciuto
l’indubbio merito di aver rimesso al centro del dibattito politico - istituzionale la problematica del
servizio idrico integrato, individuando una disciplina specifica volta alla garanzia dell’ottimale
gestione del servizio stesso.
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Ambiente
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Assoggettabilità a VIA: manca il de
interpretano "caso per caso"
creto attuativo
e le Regio
ni
Carla Cimoroni, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 12 dicembre 2014
È con l’inerzia caratteristica dei corpi pesanti che si vanno dispiegando gli effetti delle disposizioni
normative in materia di VIA introdotte dal D.L. n. 91 del 24 giugno 2014 (Decreto Competitività) e
le conseguenti reazioni da parte delle amministrazioni locali deputate al rilascio delle autorizzazioni
in campo ambientale. Ma tutto il sistema rischia di collassare solennemente se a breve non
interverrà un chiarimento che dia attuazione a quanto previsto dallo stesso D.L.
L’articolo 15, infatti, così come modificato in sede di conversione in Legge n.116 dell’11 agosto
2014, prevede, tra le altre cose, che criteri e soglie per sottoporre i progetti di competenza
regionale a verifica di assoggettabilità a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA),
vengano stabiliti attraverso un decreto ministeriale, nelle more della cui adozione, la stessa verifica
dovrà essere effettuata “caso per caso”. Proprio questa dicitura, “caso per caso”, ha generato il
caos, anche perché le amministrazioni coinvolte stanno reagendo in maniera diversificata alle
nuove disposizioni, con interpretazioni più o meno restrittive.
Per comprendere la portata dell’intera vicenda, è opportuno ricordare che sono soggetti a VIA di
competenza regionale non solo i progetti contenuti nell’Allegato III alla Parte II del D.Lgs.
152/2006, ma anche quelli di cui all’Allegato IV che, in base a una preliminare fase di screening
(verifica di assoggettabilità), siano ritenuti appunto assoggettabili sulla base dei criteri previsti
dall'Allegato V. L’allegato IV contempla in molti casi delle soglie dimensionali minime per sottoporre
il progetto a verifica di assoggettabilità, che le Regioni e le Province autonome hanno avuto finora
solo la facoltà e non l’obbligo di modificare per fissare criteri e condizioni di esclusione diversi. Solo
per citare qualche esempio, in base alla norma nazionale sono sottoposti a verifica gli impianti
termici per produzione di energia con potenze superiori a 50 MW, i gasdotti per tratte più lunghe di
20 km, le fonderie con capacità di produzione maggiore di 20 tonnellate al giorno, i progetti di
sviluppo di zone industriali e aree urbane per superfici superiori a 40 ettari. Quelli di taglia minore
non sono automaticamente sottoposti a verifica e quindi evidentemente non è nemmeno
contemplata la possibilità di assoggettamento a procedura di VIA, per quelli ricadenti in aree
naturali protette le soglie si intendono ridotte del 50%.
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La Commissione europea ha censurato la formulazione di tali soglie aprendo una procedura
d’infrazione nel 2009 (2009/2086). Nel frattempo, inoltre, sono intervenute nuove disposizioni sulla
VIA a livello comunitario contenute nella Direttiva 2011/92/UE e in ultimo nella Direttiva
2014/52/UE, da recepirsi com’è noto nei tre anni successivi all’emanazione. Vale senz’altro la pena
di ricordare che delle 94 procedure d’infrazione aperte, ben 16 riguardano la materia ambientale.
La procedura sulle soglie della verifica di assoggettabilità a VIA risale in realtà al 2003
(2003/2049). Con l’emanazione prima del D.Lgs 152/2006 e poi del D.Lgs. 4/2008, era stata
sospesa, ma successivamente riavviata (2009/2086), in quanto la Commissione Europea non ha
ritenuto superati i rilievi già formulati in base alla normativa previgente. Nel fissare le soglie,
infatti, gli Stati membri avevano l’obbligo di prendere in considerazione tutti i criteri dettati
dall’Allegato III della Direttiva VIA. Invece, nel determinare quali progetti di competenza regionale
sottoporre a screening (Allegato IV) la normativa italiana prende in considerazione solo alcuni di
tali criteri (in particolare la “dimensione del progetto” e le “zone classificate o protette dalla
legislazione degli Stati membri”) ignorando gli altri. Nemmeno le recenti modifiche normative
intervenute con la Legge n. 97 del 2013 sono state ritenute sufficienti dalla Commissione che non
ha archiviato la procedura di infrazione.
Per questo, con l’articolo 15 del D.L. 91/2014 si è inteso superare una volta per tutte i rilievi mossi
dalla Commissione europea, recependo quanto disposto dalla Direttiva 2011/92/UE e intervenendo
in maniera definitiva sulla questione delle soglie, la cui individuazione viene direttamente
demandata ad un decreto ministeriale, da emanarsi, previa l’intesa in sede di Conferenza StatoRegioni, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (21 agosto 2014).
Ma il termine è scaduto e del decreto attuativo ancora non c’è traccia. Nel frattempo, come si è
detto, “la procedura di cui all'articolo 20 (screening) è effettuata caso per caso, sulla base dei
criteri stabiliti nell'allegato V”.
Tra le prime a lanciare l’allarme la Provincia di Lucca, che ha rilevato che, in base
all’interpretazione della Regione Toscana, i
recenti mutamenti legislativi hanno reso di fatto
inapplicabile il concetto di soglia dimensionale con la conseguenza che tutte le categorie progettuali
presenti nell’elenco dell’Allegato IV dovrebbero essere sottoposte alla procedura di verifica di
assoggettabilità indipendentemente dalle dimensioni, finché non vengano definiti con decreto le
nuove taglie e i nuovi criteri applicativi. Ne è nata anche un’interrogazione parlamentare, proposta
prima in Commissione (25 settembre) e successivamente in Aula (19 novembre), tuttora in attesa
di risposta da parte del Ministro competente. Alla richiesta dell'Amministrazione Provinciale, infatti,
di fornire un indirizzo procedimentale per valutare i progetti sì «caso per caso», ma in modo da
poter escludere le piccole attività con situazioni di evidente irrilevanza sotto il profilo dell'impatto
ambientale, la Regione Toscana ha risposto di non essere competente né a interpretare la
normativa statale né tantomeno a fornire criteri per l'applicazione della procedura di screening ai
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progetti di cui all'Allegato IV “sotto soglia” finché vige la fase transitoria ovvero fino all’entrata in
vigore del più volte citato decreto attuativo.
Anche altre Amministrazioni regionali, come quelle di Abruzzo e Sardegna, in linea con quanto
rilevato dalla Toscana, hanno evidenziato che le soglie previste dall’Allegato IV non sono più
applicabili e che ogni diversa interpretazione diretta ad escludere l’attivazione della procedura di
screening per uno qualsiasi dei progetti elencati nell’Allegato IV contrasta con le finalità della
norma in questione di superare le censure della Commissione europea. Stando così le cose, i
procedimenti in itinere inerenti progetti “sotto soglia” o modifiche degli stessi devono essere
sospesi per consentire lo svolgimento della procedura di verifica di assoggettabilità.
In sede di Conferenza Unificata per l’espressione del parere di competenza sulla conversione in
legge del Decreto Competitività, le Regioni avevano già espresso forti perplessità sulla
formulazione dell’articolo 15 denunciando oltre al “pesante aggravamento degli oneri alle imprese,
in un frangente di estrema fragilità del contesto produttivo”, anche “un’assoluta inidoneità degli
apparati della Pubblica Amministrazione” per far fronte all’ulteriore e sproporzionato carico di
lavoro, paventando “il collasso del sistema autorizzatorio degli impianti e delle opere rientranti nel
campo di applicazione della normativa in materia di VIA”. Il suggerimento, non accolto, era stato
dunque quello di sopprimere il periodo che si riferisce alla gestione della fase transitoria (da
condurre “caso per caso” fino all’emanazione del decreto per soglie e criteri), ritenendo tale
disposizione addirittura eccedente rispetto a quanto richiesto dalla Commissione europea che non
contesta tanto l’apposizione delle soglie “ma rileva come, nel definirle, lo Stato membro abbia
tenuto conto solo di due criteri tra quelli rilevanti”. Del resto, anche la nuova Direttiva 2014/52/UE
di modifica alla Direttiva VIA prevede una generale semplificazione degli obblighi connessi al
procedimento.
È doveroso rilevare che l’aggravio comportato dalla norma transitoria così introdotta dipende anche
dalle modalità con cui, nelle varie regioni, è disciplinato l’iter della VIA. In Toscana come in Emilia
Romagna, per esempio, le procedure in ambito di valutazione di impatto ambientale si integrano
con i processi autorizzatori in capo a Regione, Province e Comuni in base ad un preciso riparto di
competenze, consentendo in generale di abbreviare i tempi dei processi decisionali e di renderli più
trasparenti. In molte altre regioni, invece, le procedure sia di screening che di valutazione di
impatto ambientale sono distinte da ulteriori autorizzazioni di natura ambientale e sono prerogativa
dell’amministrazione regionale attraverso Servizi e Comitati dedicati. Se nel primo caso le nuove
disposizioni implicano certamente un maggior onere per i proponenti e per le amministrazioni, nel
secondo rischia di crearsi un vero e proprio collo di bottiglia.
Non per niente, la Regione Umbria che individua l'Autorità cui spetta lo svolgimento dei
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procedimenti di verifica di assoggettabilità ovvero di VIA nel competente Servizio regionale,
propone per superare l’impasse che lo screening si svolga direttamente nell’ambito del
procedimento di autorizzazione dell’opera avviato dalle diverse amministrazioni di volta in volta
competenti. La stessa Regione Umbria si spinge anche oltre, ipotizzando per la fase transitoria una
procedura di “pre-screening” per i progetti “sotto soglia” sulla base di quanto dichiarato dal
proponente in base ad un modello predisposto all’uopo.
Anche la Provincia di Bologna ha ritenuto di affrontare la questione indicando per i progetti “sotto
soglia” la presentazione, unitamente all’istanza di autorizzazione, di una relazione per evidenziare i
motivi di esclusione dalla procedura di verifica di assoggettabilità. Qualora accolti, l’iter
proseguirebbe con i tempi previsti dalla norma di settore. La non esclusione comporterebbe,
invece, la sospensione dell’iter in corso fino all’espletamento della procedura di screening ed
eventualmente di VIA.
Dunque alcune amministrazioni, pur rilevando la gravità della situazione, hanno ritenuto di poter
intervenire nel transitorio con soluzioni dirette a sbloccare l’inevitabile stallo amministrativo, altre,
almeno per il momento, hanno interpretato in maniera maggiormente restrittiva la possibilità
stessa di promuovere indirizzi volti alla semplificazione.
Comitati e associazioni ambientaliste gridano vittoria, avendo spesso denunciato l’insufficienza
delle soglie dimensionali a garantire l’applicazione dei criteri previsti dall’Allegato III della Direttiva
VIA, confortati anche dai pronunciamenti in materia della Corte Costituzionale (Sentenza 93/2013).
D’altro canto, non mancano interpretazioni dell’articolo 15 del D.L. 91/2014 come quella dell’ANEV
(Associazione Nazionale Energia del Vento) che mettono in discussione la stessa inapplicabilità
delle soglie previste nell'Allegato IV, che non sarebbero affatto “temporaneamente sospese” in
attesa del decreto più volte citato.
Fatto sta che, ad oggi, in esecuzione delle nuove norme e in attesa del decreto, almeno in alcune
regioni sussiste il paradosso per cui l’obbligo della verifica di assoggettabilità riguarda opere e
interventi attualmente sottoposti a procedimenti autorizzativi semplificati (tra tutti, le P.A.S.
previste dal D.Lgs. 28/2011 per gli impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili) proprio per
l’impatto ambientale ritenuto poco significativo in ragione delle loro caratteristiche tecniche e delle
ridotte dimensioni, vanificando così gli sforzi messi in campo dalle amministrazioni locali in termini
di razionalizzazione e coordinamento procedimentale.
Un intervento tempestivo del Ministero dell’Ambiente è quanto mai urgente, a cominciare da un
chiarimento rispetto agli effettivi margini di manovra delle Regioni e delle Province autonome nel
fornire indirizzi volti a gestire la fase interlocutoria senza eccessivi oneri per la Pubblica
Amministrazione e le piccole imprese. In attesa dell’ennesimo decreto attuativo ritardatario.
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Appalti
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La trasparenza negli Enti Locali
Marco Porcu, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – 25 novembre 2014
La trasparenza è uno dei principi che devono necessariamente reggere l’attività amministrativa,
insieme a quelli di economicità, efficacia, imparzialità e pubblicità, fissati dall’art. 1, L. 7 agosto
1990, n. 241.
Sono stati molteplici gli interventi legislativi diretti a tutelare i cittadini, assicurando loro la
possibilità di ottenere una miriade di informazioni sulla gestione della res pubblica.
La L. 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, aveva, come ai più noto, istituito la
Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, ora
divenuta A.NA.C.
La stessa legge, all’art. 1, comma 15, ribadiva come la trasparenza dell’attività amministrativa
costituisse “livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo
117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”, e poneva una serie di obblighi informativi in
capo alle Pubbliche Amministrazioni, concernenti l’obbligo di pubblicare nei siti web istituzionali le
informazioni relative a:
-procedimenti amministrativi, bilanci e conti consuntivi;
-costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini;
-dichiarazioni concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare di incarichi politici, di
carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico di livello statale, regionale e
locale, nonché tutti i compensi cui dà diritto l’assunzione della carica;
-informazioni relative ai titolari di incarichi dirigenziali nelle Pubbliche Amministrazioni;
-ulteriori atti e documenti ritenuti di pubblico interesse.
Questa infinita serie di obblighi informativi ha dato luogo a un appesantimento eccessivo
dell’attività amministrativa, costringendo tutti i soggetti interessati a intervenire nel proprio sito
web istituzionale e inserire una sezione denominata “Amministrazione trasparente”, in cui
pubblicare i dati richiesti.
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Il rispetto di questi doveri, ha inoltre imposto oneri economici aggiuntivi per le amministrazioni che
hanno dovuto rivolgersi all’esterno per l’inserimento dei dati richiesti, vista l’impossibilità di potervi
farvi fronte con il proprio personale tecnico.
Si assiste ora, forse, a un’inversione di tendenza, in cui si ritiene opportuno valutare se questa
eccessiva trasparenza e pubblicità soddisfa effettivamente l’esigenza mostrata dal legislatore,
ovvero violi la privacy dei soggetti interessati.
Sul punto, si segnala una recente azione (lettera del 30 ottobre 2014) del Garante per la Privacy,
Antonello Soro e del Presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone in cui chiedono l’intervento del
Ministro per la semplificazione e per la pubblica amministrazione Marianna Madia.
Si segnala, in particolare, che gli attuali obblighi informativi si applicano indifferentemente a Enti e
realtà profondamente diversi tra loro, “senza distinguere la portata in ragione del grado di
esposizione dell’organo al rischio di corruzione; dell’ambito di esercizio della relativa azione o,
comunque, delle risorse pubbliche assegnate, della cui gestione l’ente debba quindi rispondere.”.
Il documento condiviso dai due presidenti, ritiene opportuna una rivisitazione generale dell’ambito
soggettivo di applicazione degli obblighi di pubblicità e del loro contenuto, “nonché delle modalità
di assolvimento di tali oneri informativi, per i quali non sempre la pubblicazione in rete è garanzia
di reale informazione, trasparenza e quindi democraticità”.
La divulgazione on-line dei dati potrebbe, infatti, essere oggetto di manipolazione e alterazione che
andrebbe contro la ratio prevista dalla norma.
Per tali ragioni, sempre secondo la comunicazione, si potrebbe preferibilmente obbligare le
amministrazioni a pubblicare in sintesi soltanto alcune delle informazioni tutt’ora richieste,
vincolandole al possesso della documentazione corrispondente, così da permettere il libero accesso
al cittadino che lo ritenga opportuno e necessario.
Il bilanciamento fra trasparenza e privacy è tema assai noto e dibattuto e non è questa la sede per
prendere posizione e individuare possibili soluzioni.
A ogni modo, deve rilevarsi l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali, con le
“Linee guida in materia di trattamento dei dati personali, contenuti anche in atti e documenti
amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da
altri enti obbligati”, del 15 maggio 2014, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 12 giugno 2014, n. 134.
In sintesi, le indicazioni fornite dal Garante, impongono la pubblicazione dei soli dati aggiornati e
indispensabili, vietando di diffondere informazioni sulla salute e tutti quei dati che possano
pregiudicare i diritti delle persone.
Per quanto concerne in particolare gli open data, l’obbligo di pubblicazione dei dati in formato
aperto comporta che il riutilizzo dei dati personali non deve pregiudicare il diritto alla privacy.
All’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, le Pubbliche Amministrazioni sono infatti
tenute a inserire un alert con cui si informa il pubblico che i dati personali sono riutilizzabili in
termini compatibili con gli scopi per i quali sono raccolti e nel rispetto delle norme sulla protezione
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dei dati personali.
In merito, invece, alla indicizzazione dei dati nei motori di ricerca generalisti, deve esserci una
limitazione ai soli dati tassativamente individuati dalle norme in materia di trasparenza, con
esclusione degli altri dati che si ha l’obbligo di pubblicare per altre finalità di pubblicità.
In conclusione, la necessità di ottenere la massima trasparenza dell’attività amministrativa, deve
inevitabilmente essere bilanciata con la tutela di quanto pubblicato sul web. Sono pertanto legittimi
e necessari tutti quegli interventi diretti a impedire la manipolazione dei dati ed il loro illecito
riutilizzo.
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Pubblica amministrazione

I Comuni e la lotta alla contraffazione
Simone D’Antonio, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n. 11/12
La contraffazione è un fenomeno che colpisce soprattutto le aree urbane, manifestando i suoi
effetti in numerosi campi dell’economia e del vivere in comunità. La produzione, la distribuzione e il
consumo di merci contraffatte pone sfide importanti alle amministrazioni nazionali, regionali e locali
non solo sul fronte della sicurezza ma anche su quello della crescita economica. La contraffazione
rappresenta infatti un elemento che spesso ostacola lo sviluppo dell’economia locale nei settori
interessati, favorendo lo sviluppo di forme di economia illegale con una netta riduzione delle
entrate fiscali da parte dei comuni. Sul fronte sociale, la contraffazione danneggia le economie di
interi quartieri attraverso la diffusione di lavoro nero, sfruttamento lavorativo e minorile che
incidono sui livelli di istruzione e, più in generale, sulla coesione sociale delle zone interessate. Tali
fenomeni si legano a doppio filo alle tematiche della sicurezza urbana e al modo in cui la
contraffazione contribuisce ad alimentare circuiti criminali e attività illecite svolte soprattutto nelle
città, dall’accattonaggio allo sfruttamento della prostituzione fino al traffico di stupefacenti. Più in
generale la contraffazione si lega a problemi di ordine e decoro pubblico, con la presenza di
venditori abusivi sulle strade principali e conseguenze forti sul commercio regolare, oltre che sulla
vivibilità di molte tra le zone più centrali delle città italiane. Ciò provoca una diffusa percezione di
insicurezza e illegalità da parte dei residenti, oltre a contribuire a una riduzione dell’attrattività
turistica delle zone interessate da tali fenomeni. Il carattere combinato di tali fenomeni impone
un’azione multilivello, che coinvolga enti locali e forze di polizia nel contrasto a un fenomeno solo
apparentemente marginale ma che impatta sulla qualità della vita e degli spazi pubblici soprattutto
in aree urbane di medie e grandi dimensioni. La necessità di definire politiche adatte a contrastare
la contraffazione a livello locale in maniera strutturale e non solo emergenziale sta alla base di
un’azione sempre più coordinata fra comuni e autorità preposte alla sicurezza, producendo una
serie di progetti e iniziative che mettono il nostro Paese all’avanguardia nel contrasto alla
contraffazione soprattutto nelle aree urbane.
La contraffazione in Italia: le cifre del fenomeno
Secondo i dati del Rapporto 2014 del Censis, il mercato del falso ha visto un giro d’affari di circa 6
miliardi e mezzo di euro. Abbigliamento e accessori sono i settori maggiormente colpiti dalla
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contraffazione, con un fatturato complessivo che supera i 2 miliardi e 243 milioni di euro (34,3%
del totale), seguito dal comparto Cd, Dvd e software che totalizza 1,786 miliardi di euro, ovvero il
27,3%. Significativa anche la quota di mercato dei prodotti alimentari contraffatti, che ammontano
a circa un miliardo di euro pari a circa il 16% del totale. La crisi colpisce anche il settore del falso,
se si mette in luce il calo del fatturato rispetto al 2010 (che presentava un valore pari a 7 miliardi e
326 milioni di euro) e al 2008, quando totalizzava rispettivamente 7 milioni e 689 milioni di euro. I
settori in cui il fatturato è calato di più sono orologi e gioielli (-20%) seguito da abbigliamento e
accessori (-14,8%). Il calo della domanda interna colpisce anche questo particolare settore
economico illegale, costringendo buona parte delle famiglie a tagliare assieme a tutti gli altri tipi di
consumo anche quelli per i beni contraffatti (si veda Tabella 1).
L’indagine Censis evidenzia quanto l’impatto del mercato del falso sia significativo sull’economia
italiana e per le entrate dello Stato. Si stima infatti che se fossero stati venduti sul mercato legale
tutti i prodotti acquistati sul mercato illegale si sarebbero avuti 17,7 miliardi di euro di produzione
aggiuntiva e 6,4 miliardi di valore aggiunto (corrispondenti allo 0,45% del Pil italiano). La
produzione di tali beni avrebbe inoltre richiesto l’impiego di 105mila unità lavoro a tempo pieno,
pari allo 0,44% dell’occupazione complessiva nazionale, apportando così una spinta forte alla
creazione di nuovi posti di lavoro a livello locale. Ancora più significative le perdite dello Stato
legate alla contraffazione: riportare nell’ambito della legalità quanto prodotto e commercializzato
nell’ultimo anno porterebbe un gettito complessivo di 5 miliardi e 280 milioni di euro, che
attualmente corrispondono a un ammanco del 2% del totale delle entrate dello Stato. I soggetti
maggiormente colpiti dalla contraffazione sono le imprese, danneggiate non solo sul fronte della
produzione ma più in generale dai diversi passaggi della filiera illegale, che vanno dal trasporto alla
distribuzione delle merci fino, più in generale, alla creazione di un contesto locale negativamente
permeato da forme “regolari” di illegalità e quindi meno propenso ad accoglierne iniziative di
contrasto (si veda Tabella 2).
Imprese irregolari, sfruttamento del lavoro e immigrazione irregolare sono i fenomeni illegali
maggiormente denunciati dagli imprenditori, che ritengono in crescita sia la produzione che
l’acquisto di merci contraffatte sui territori. L’ultimo rapporto Censis evidenzia quanto sia ancora
insufficiente il livello di conoscenza degli strumenti a disposizione delle imprese per tutelare la
proprietà industriale. Dispositivi anticontraffazione, registrazione di marchi collettivi, disegni o
modelli oppure i controlli nella catena produttiva e distributiva sono alcuni degli strumenti di tutela
meno conosciuti o meno utilizzati dalle imprese, nonostante la presenza di sportelli di supporto e
tavoli di coordinamento diffusa sul territorio ancora a macchia di leopardo (con maggiore diffusione
al Centro-Nord e più scarsa al Sud). Numerosi gli interventi ritenuti decisivi dalle imprese per
contrastare le contraffazioni. Dagli incentivi con cofinanziamento pubblico-privato agli investimenti
su innovazione, nuove tecnologie fino all’adozione di sistemi di tracciabilità e l’introduzione di
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sistemi di tracciabilità obbligatori, queste misure sono indicate come un necessario supporto da
parte dello Stato per il contrasto alla contraffazione. L’introduzione di sistemi di tracciabilità e
l’aumento dei controlli sulla filiera di produzione e distribuzione sono ritenute invece azioni che le
stesse imprese possono mettere in campo per contrastare il mercato del falso e al contempo
rafforzare il legame di fiducia tra produttore e consumatore (si veda Tabella 3).
Svolgere un’azione culturale soprattutto nei confronti dei consumatori più giovani rappresenta una
priorità che emerge dalle indagini demoscopiche che si sono succedute nel corso del tempo, dalle
quali emerge l’intenzionalità della scelta di acquistare prodotti falsi, reperiti soprattutto per strada
in bancarelle e mercati: meno frequente invece l’acquisto in negozi e via internet. Articoli di
abbigliamento e accessori rappresentano gli articoli maggiormente acquistati dai giovani sul
mercato del falso, seguiti da Cd e Dvd, scarpe e occhiali. Puntare sui temi dello sfruttamento
lavorativo o dell’implicazione della criminalità organizzata nelle catene di produzione e distribuzione
di tali prodotti per indurre i giovani a rivolgersi al mercato regolare rappresenta una possibile
strategia per rendere sempre meno tollerabile e accettato il gesto di comprare contraffatto, che
non provoca soltanto danni alle imprese ma più in generale ripercussioni sui contesti di vita
quotidiani (si veda Tabella 4).
I comuni e il contrasto alla contraffazione a livello locale
Considerato il forte impatto della contraffazione sulle economie locali e più in generale sulla
sicurezza e la coesione sociale dei territori, l’Anci ha svolto attività di sostegno, assistenza tecnica
ed
erogazione
di
servizi
nell’ambito
del
Programma
nazionale
di
azioni
territoriali
anticontraffazione, che ha preso piede a partire dall’analisi dei fabbisogni di comuni e corpi di
Polizia municipale coinvolti nelle azioni di contrasto alla contraffazione. Oltre settanta comuni
hanno risposto all’invito a presentare proposte per progetti e interventi sul tema e sono in totale
ventisei i comuni che hanno ricevuto finanziamento ai progetti presentati. Tra le azioni ritenute
necessarie per favorire una migliore conoscenza del fenomeno non figurano solo le classiche azioni
di benchmarking o scambio di buone prassi ma anche la formazione degli operatori e l’informazione
dei cittadini attraverso campagne e iniziative specifiche capaci di far comprendere appieno i rischi
legati all’acquisto di prodotti contraffatti. La necessità di migliorare gli strumenti regolamentari e
legislativi a disposizione dei comuni per il contrasto alla contraffazione viene incentivato anche
dalle evoluzioni legislative, che da qualche anno assegnano ai comuni una compartecipazione ai
proventi derivanti dalle attività di contrasto al fenomeno. Le dimensioni significative della
contraffazione soprattutto sulle grandi città (Roma, Milano e Genova sono infatti le città in cui sono
stati sequestrati il numero superiore di oggetti) si accompagna a una capillare diffusione del
fenomeno, con una media di 28 accessori di abbigliamento sequestrati per città. Le attività di
formazione hanno contribuito a rafforzare il coordinamento tra gli attori addetti all’attività di
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contrasto sui territori, contribuendo a qualificare al meglio l’azione delle Polizie locali sul tema nelle
città del programma.
Le esperienze dei comuni: i casi di Milano, Venezia, Torino e San Vito dei Normanni
Il comune ha dato vita al Consiglio milanese anticontraffazione, in collaborazione con il Centro
studi Grande Milano e con l’obiettivo di migliorare la tutela delle produzioni locali e nazionali.
Grazie al coinvolgimento attivo, tra gli altri, della Direzione scolastica provinciale, di Assolombarda,
Rete Imprese Italia, Expo 2015 e Associazione consumatori, sono state realizzate una serie di
attività tra cui l’allestimento di gazebo sulle principali arterie commerciali cittadine in cui gli agenti
hanno educato la cittadinanza sui rischi derivanti dall’acquisto e sulle modalità di riconoscimento
del falso. Oltre 75mila persone hanno visitato il gazebo, nel quale sono stati anche esposti prodotti
contraffatti e distribuito materiale pubblicitario e didattico ai cittadini. Particolare attenzione è stata
riservata
ai
prodotti
tecnologici
e
all’abbigliamento,
ovvero
alle
tipologie
merceologiche
maggiormente acquistate dai più giovani sul mercato del falso. L’utilizzo delle nuove tecnologie per
la realizzazione di azioni di contrasto e monitoraggio attraverso la condivisione di banche dati è al
centro del progetto ‘ Pipols ’ realizzato dal comune di Venezia, che ha realizzato un portale
intercomunale per le polizie locali scientifiche. Il progetto ha favorito la creazione di una rete
digitale investigativa inserita nel più ampio quadro della collaborazione interregionale già attiva con
il comune di Torino, da tempo attivo su questi temi. La condivisione di buone prassi e la formazione
congiunta degli operatori sono solo alcune delle attività in comune messe in piedi nel quadro di una
collaborazione istituzionale che ha favorito la messa in rete di informazioni, procedure e tecnologie
sul contrasto alla contraffazione. Ciò ha portato alla realizzazione di banche dati destinate al
supporto all’attività investigativa e all’analisi dei fenomeni di contraffazione sul livello locale. Il
portale si configura come uno strumento operativo che consente alle polizie locali di ricostruire le
reti attraverso cui avvengono i percorsi di falsificazione comuni e le reti relazionali dei venditori di
prodotti contraffatti. A Torino il progetto ‘ Il Replicante’ ha visto la collaborazione di numerosi
soggetti attivi nel contrasto alle contraffazioni nell’intera area metropolitana (dalle Polizie
municipali di Moncalieri e Venaria Reale fino all’agenzia delle Dogane, Ascom e Confesercenti). Il
progetto ha predisposto una campagna di comunicazione e sensibilizzazione di consumatori e
operatori commerciali sui rischi legati all’acquisto e alla commercializzazione dei prodotti
contraffatti. È stato inoltre messo a disposizione della cittadinanza un infopoint per richiedere
informazioni sul fenomeno o ricevere consulenza su singoli prodotti, reperibile via mail o telefono.
Questo mix di azioni non è stato adottato solo nei comuni di grandi dimensioni ma anche nei centri
più piccoli, che soprattutto in virtù della loro vocazione turistica si trovano a dover affrontare sul
proprio territorio gli effetti dei fenomeni di contraffazione.
Il comune di San Vito dei Normanni ha da un lato definito una serie di azioni di formazione del
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personale di Polizia municipale e dall’altro ha predisposto materiali informativi, come brochure e
manifesti, per sensibilizzare la cittadinanza sul tema della contraffazione e sulle sue conseguenze.
Coinvolte nelle attività promosse dal protocollo d’intesa tra comune e Camera di commercio anche
le scuole superiori, con un concorso intitolato “Fai l’originale ” che ha premiato lo slogan più
efficace da utilizzare nelle successive campagne.
Tabella 1 - Stima del fatturato della contraffazione in Italia per
settori, 2012 (v.a. e var. %)
Settore
v.a. (mln di euro)
Var. %
Prodotti alimentari, alcolici e bevande
1.035,2
15,8
Profumi e cosmetici
108,3
1,7
Abbigliamento e accessori
2.243,3
34,3
Apparecchi e materiale elettrico
586,6
9,0
Materiale informatico
243,2
3,7
Cd, Dvd, cassette audio e video
1.786,5
27,3
Orologi e gioielli
379,8
5,8
Giochi e giocattoli
28,8
0,4
Medicinali
21,4
0,3
Pezzi di ricambio auto
102,1
1,6
Totale
6.535,2
100,0
Fonte: Censis, 2014
Tabella 2 - Stima dell’impatto generato dalla contraffazione
sull’economia nazionale, 2012 (v.a.)
Voci
Fatturato interno (mln di euro)
6.535,0
Impatto sulla produzione (mln di euro)
17.773,0
Impatto sul valore aggiunto (mln di euro)
6.370,0
Importazioni attivabili (mln di euro)
5.650,0
Importazioni attivabili per ogni euro di fatturato
0,9
Impatto sull’occupazione (unità di lavoro generabili
nel mercato legale)
104.538,0
Unità di lavoro generabili per ogni milione di euro di
fatturato
16,0
Fonte: Censis, 2014
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Tabella 3 - Stima della contraffazione in Italia, 20082012 (numero indice e valore assoluto in milioni di euro costanti)
Anni
v.a. (in milioni di euro a prezzi costanti
2012)
2008
7.689,8
2010
7.326,0
2011
7.366,1
2012
6.535,2
Var. % 2008-2012
-4,7
Var. % 2010-2012
-10,8
Fonte: Censis, 2014
Tabella 4 - Gettito tributario generato dalla contraffazione in
Italia per categoria di imposta, 2012 (in mln di euro)
Imposte
Su
Su domanda diretta produzione
attivata
Totale
diretta e
attivata
Imposte dirette
Gettito Ires-Ire
reddito di impresa
210,18
572,62
782,8
Gettito Irap reddito
di impresa
101,61
259,62
361,22
Gettito Ire su redditi
da lavoro
dipendente
232,32
267,9
500,22
544,1
1.070,11
1.644,25
Gettito Iva sulla
vendita
978,22
2.658,20
3.636,42
Totale imposte
indirette
978,22
2.658,20
3.636,42
1.522,33
3.758,34
5.280,67
Totale imposte
dirette
Imposte indirette
Totale
Fonte: Censis, 2014
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Pubblica amministrazione

La pubblicazione dei documenti contabili e le altre misure per la
trasparenza della finanza locale
Paolo Canaparo, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n. 11/12
Il Dlgs n. 126/2014, recante disposizioni integrative e correttive al Dlgs n. 118/2011, ha introdotto,
con l’adeguamento dei sistemi informativo-contabili, alcuni puntuali obblighi di pubblicazione dei
documenti di programmazione e di rendicontazione degli enti locali al fine di assicurare la più
ampia trasparenza degli andamenti finanziari di ciascuna amministrazione e con ciò agevolare la
loro conoscibilità.
Il decreto legislativo n. 126 del 10 agosto 2014, recante disposizioni integrative e correttive al
decreto legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, ha introdotto, con l’adeguamento dei sistemi
informativo-contabili, alcuni puntuali obblighi di pubblicazione dei documenti di programmazione e
di rendicontazione degli enti locali al fine di assicurare la più ampia trasparenza degli andamenti
finanziari di ciascuna amministrazione e con ciò agevolare la loro conoscibilità, non solo da parte
degli operatori, ma anche da parte dei cittadini-utenti-contribuenti, chiamati ad esercitare il c.d.
controllo diffuso, per affiancare e rafforzare quello esercitato dagli organi di controllo interno ed
esterno. Gli interventi del decreto n. 126 consistono in novelle e integrazioni al Titolo I del decreto
n. 118 del 2011, concernente i principi contabili generali e applicati per le regioni, le province
autonome e gli enti locali, e al Testo unico sugli enti locali, e sono stati adottati nell’ambito
dell’esercizio della legge delega n. 42 del 2009 sull’attuazione del federalismo fiscale, che
all’articolo 1, lett. c), ha fatto espresso riferimento, tra i criteri e principi direttivi generali, alla
previsione dell’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle regioni, delle città
metropolitane, delle province e dei comuni, tali da riportare in modo semplificato le entrate e le
spese pro capite, secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata.
Il principio contabile generale della pubblicità
Le misure del decreto n. 126 declinano il principio contabile generale della pubblicità di cui al n. 14
dell’allegato 1 al decreto legislativo n. 118 del 2011, che non è stato peraltro modificato nei
contenuti dal correttivo. Il predetto principio attribuisce al sistema di bilancio una funzione
informativa
nei
confronti
degli
utilizzatori
dei
documenti
contabili
e
con
ciò
assegna
all’amministrazione pubblica il compito di rendere effettiva tale funzione, assicurando ai cittadini e
ai diversi organismi sociali e di partecipazione la conoscenza dei contenuti significativi e
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caratteristici del bilancio di previsione, del rendiconto e del bilancio di esercizio, comprensivi dei
rispettivi allegati, anche integrando le pubblicazioni obbligatorie. Il rispetto del principio di
pubblicità presuppone un ruolo attivo dell’amministrazione pubblica nell’ambito della comunità
amministrata, garantendo trasparenza e divulgazione alle scelte di programmazione contenuti nei
documenti previsionali e ai risultati della gestione descritti in modo veritiero e corretto nei
documenti di rendicontazione, fondamentale - conclude lo stesso punto n. 14 dell’allegato - per la
fruibilità delle informazioni finanziarie, economiche e patrimoniali del sistema di bilancio.
Gli obblighi di pubblicità del decreto legislativo n. 126/2014
In particolare, nell’ambito della totale riscrittura dell’articolo 11 del decreto n. 118, che disciplina
l’adozione di schemi di bilancio comuni, il decreto n. 126 dispone, al comma 2 del predetto articolo,
che le amministrazioni pubbliche redigano un rendiconto semplificato per il cittadino, da divulgare
sul proprio sito internet, recante una esposizione sintetica dei dati di bilancio, con evidenziazione
delle risorse finanziarie, umane e strumentali utilizzate dall’ente nel perseguimento delle diverse
finalità istituzionali, dei risultati conseguiti con riferimento al livello di copertura e alla qualità dei
servizi pubblici forniti ai cittadini. Si tratta di un documento che intende fornire alle collettività
amministrate una lettura facile e immediata dell’azione degli amministratori, correlando risorse
impiegate e relative finalizzazioni e risultati.
L’articolo 18-bis (“Indicatori di bilancio”), introdotto dal decreto n. 126, aggiunge l’obbligo di
divulgazione, anche attraverso la pubblicazione sul sito internet istituzionale dell’amministrazione
stessa nella sezione “Trasparenza, valutazione e merito”, accessibile dalla pagina principale (home
page), del “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio”, un sistema di indicatori misurabili
e riferiti ai programmi e agli altri aggregati del bilancio, che devono essere costruiti da ciascun ente
locale secondo criteri e metodologie comuni. Il piano è parte integrante dei documenti di
programmazione e di bilancio di ciascuna amministrazione ed è diretto - evidenzia la relazione
illustrativa al decreto n. 126 - a consentire la comparazione dei bilanci.
Con una modifica all’articolo 174 del Tuel, il decreto n. 126 dispone, inoltre, ai sensi del comma 4
del predetto articolo, la pubblicazione sul sito internet dell’ente locale del bilancio di previsione, del
piano esecutivo di gestione, delle variazioni al bilancio di previsione, del bilancio di previsione
assestato e del piano esecutivo di gestione assestato. Con la sostituzione dell’articolo 172 del Tuel
è imposta poi, alla lettera a) del predetto articolo, la pubblicazione, tra gli allegati al bilancio di
previsione, dell’elenco degli indirizzi internet di pubblicazione del rendiconto della gestione, del
bilancio consolidato deliberati e relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il
bilancio di previsione, dei rendiconti e dei bilanci consolidati delle unioni di comuni e dei soggetti
considerati nel gruppo “amministrazione pubblica” di cui al principio applicato del bilancio
consolidato allegato al decreto legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, relativi al penultimo esercizio
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antecedente quello cui il bilancio si riferisce. Solo nel caso in cui tali documenti contabili non
dovessero essere pubblicati integralmente nei siti internet indicati nell’elenco si deve procedere ad
allegarli al bilancio di previsione.
Il successivo articolo 227, al comma 6-bis, introdotto dal decreto n. 126, prevede che, nel sito
internet dell’ente, nella sezione dedicata ai bilanci, debba essere pubblicata anche la versione
integrale del rendiconto della gestione, comprensivo anche della gestione in capitoli, dell’eventuale
rendiconto consolidato, comprensivo della gestione in capitoli e una versione semplificata per il
cittadino di entrambi i documenti. Al rendiconto della gestione deve essere allegato, ai sensi della
lettera a) del comma 5 dell’articolo 227, l’elenco degli indirizzi internet di pubblicazione del
rendiconto della gestione, del bilancio consolidato deliberati e relativi al penultimo esercizio
antecedente quello cui si riferisce il bilancio di previsione, dei rendiconti e dei bilanci consolidati
delle unioni di comuni di cui il comune fa parte e dei soggetti considerati nel gruppo
“amministrazione pubblica” di cui al principio applicato del bilancio consolidato allegato al decreto
legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il
bilancio si riferisce. Tali documenti contabili debbono essere allegati al rendiconto della gestione
qualora non integralmente pubblicati nei siti internet indicati nell’elenco.
Gli altri vincoli di pubblicità
Le predette misure di pubblicità del decreto n. 126 sono state precedute dalla legge n. 89 del 23
giugno 2014, di conversione del decreto legge n. 66 del 24 aprile 2014, recante misure per la
competitività e la giustizia sociale (il c.d. decreto legge bonus Irpef), che ha previsto alcuni
interventi normativi per rafforzare la trasparenza della contabilità pubblica locale e realizzare un
regime di open data dei dati di finanza locale al duplice fine di agevolare il più stringente controllo
diffuso da parte delle collettività amministrate e di favorire comportamenti emulativi tra pubbliche
amministrazioni. Si tratta di interventi che, anche con specificazioni al decreto legislativo 14 marzo
2013, n. 33 (il c.d. Testo unico sulla trasparenza), adottato in attuazione della delega di cui
all’articolo 1, comma 35, della legge n. 190 del 6 novembre 2012 (c.d. legge anticorruzione),
ampliano gli obblighi di diffusione sui siti istituzionali di dati e informazioni sulle modalità di
gestione finanziaria degli enti, assicurandone la più ampia e libera accessibilità e riutilizzabilità.
Il decreto legislativo n. 33 del 2013 ha imposto, all’articolo 29, la diffusione sui siti istituzionali dei
dati relativi al bilancio di previsione e a quello consuntivo di ciascun anno in forma sintetica,
aggregata e semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche, ciò con l’espressa finalità
di assicurarne la piena accessibilità e comprensibilità. Il successivo articolo 31 ha previsto che le
pubbliche amministrazioni debbano diffondere sui siti istituzionali anche i rilievi, unitamente agli
atti cui si riferiscono, non recepiti degli organi di controllo interno, degli organi di revisione
amministrativa e contabile e tutti i rilievi, ancorché recepiti della Corte dei conti, riguardanti
l’organizzazione e l’attività dell’amministrazione o di singoli uffici. Il comma 1 dell’articolo 8 della
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legge n. 66 del 2014 ha ridefinito gli obblighi ex articolo 29 estendendo il vincolo di diffusione
anche ai documenti e allegati del bilancio preventivo e del conto consuntivo entro trenta giorni
dalla loro adozione. Il nuovo comma 1-bis ha prescritto che i dati relativi alle entrate e alla spesa di
cui ai bilanci preventivi e consuntivi debbano essere pubblicati in formato tabellare aperto, anche
mediante ricorso a un portale unico, in modo che sia possibile l’esportazione, il trattamento e il
riutilizzo. Questo nuovo comma specifica quanto previsto, in via generale, dall’articolo 7 del decreto
legislativo n. 33 del 2013, opportunamente richiamato, che stabilisce che i documenti, le
informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente debbano
essere pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell’articolo 68 del codice dell’amministrazione
digitale (Dlgs n. 82 del 7 marzo 2005) e riutilizzabili ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 24
gennaio 2006 (Attuazione della direttiva 2003/98/Ce relativa al riutilizzo di documenti nel settore
pubblico), del codice dell’amministrazione digitale e del codice in materia di protezione dei dati
personali (Dlgs n. 196 del 30 giugno 2003), senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare
la fonte e di rispettarne l’integrità. A un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è rimessa
la definizione dello schema-tipo e delle modalità con le quali rendere accessibili tali dati.
Il rafforzamento del regime di trasparenza della contabilità pubblica riguarda anche l’articolo 33 del
decreto n. 33 del 2013 nei termini in cui dispone l’obbligo di pubblicazione, con cadenza annuale, di
un indicatore dei tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture,
denominato “indicatore di tempestività dei pagamenti”. Questa disposizione viene ampliata con la
prescrizione a diffondere, a decorrere dall’anno 2015, un indicatore con il medesimo oggetto con
cadenza periodica trimestrale. Anche in questo caso, la norma rinvia a un decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri l’adozione dello schema-tipo e delle modalità con cui elaborare e
pubblicare tali indicatori (annuali e trimestrali).
L’accessibilità al Siope
Il comma 3 dell’articolo 8 della legge n. 89 del 2014 ha inoltre modificato la legge di contabilità e di
finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) intervenendo sull’articolo 14 relativo al controllo e al
monitoraggio dei conti pubblici. In particolare, ha disposto che i dati del Siope (Sistema informativo
sulle operazioni degli enti pubblici) gestiti dalla Banca d’Italia siano di “tipo aperto” e liberamente
accessibili da parte dei cittadini e delle amministrazioni pubbliche. Si rammenta che il Siope è un
sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le
amministrazioni pubbliche (frutto della collaborazione tra la Ragioneria generale dello Stato, la
Banca d’Italia e l’Istat), disciplinato dall’articolo 14, commi 6-11, della legge n. 196 del 2009. Esso
è strumento volto alla rilevazione in tempo reale del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche
(superando la tradizionale rilevazione dei flussi trimestrali di cassa) e a una più puntuale
predisposizione delle statistiche trimestrali di contabilità nazionale, ai fini della verifica delle regole
previste dall’ordinamento comunitario (procedura su disavanzi eccessivi e Patto di stabilità e
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crescita). Le nuove modalità di accesso al Siope, nel rispetto del codice dell’amministrazione
digitale, sono state stabilite, secondo quanto previsto dallo stesso comma 3 dell’articolo 8 della
legge n. 89 del 2014, dal decreto del ministero dell’Economia e delle finanze adottato il 30 maggio
2014. Il provvedimento prevede che la banca dati debba essere organizzata in modo da consentire
la consultazione e l’estrazione dei dati riguardanti almeno: a) gli incassi e i pagamenti giornalieri
per singolo ente; b) gli incassi e i pagamenti mensili, trimestrali e annuali per singolo ente; c) gli
incassi e i pagamenti mensili, trimestrali e annuali, aggregati per comparti di enti, in ambito
provinciale, regionale e nazionale. Lo stesso decreto stabilisce che, entro il 1° gennaio 2015, la
banca dati Siope deve essere organizzata in modo tale da consentire il confronto della spesa tra
enti diversi, con ciò garantendo la raffrontabilità dei dati non solo a fini conoscitivi ma anche di
stimolo ad atteggiamenti emulativi tra le diverse amministrazioni. Le amministrazioni pubbliche
che, per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, hanno la necessità di acquisire i dati Siope
organizzati secondo forme differenti da quelle previste ai fini predetti, possono comunque fruirne
con le modalità previste dall’articolo 50, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 82 del 7 marzo
2005. In tal senso il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato è tenuto a rendere
disponibili
i
dati
Siope
attraverso
apposite
convenzioni
aperte
all’adesione
di
tutte
le
amministrazioni interessate senza oneri a loro carico nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 58
del citato decreto legislativo. Nelle more della definizione di tali strumenti convenzionali, le
amministrazioni pubbliche possono richiedere tali dati al dipartimento della Ragioneria generale
dello Stato, con nota firmata dal rappresentante legale del richiedente o da un suo delegato,
specificando il motivo della richiesta e il nominativo della persona incaricata della gestione dei dati,
con i riferimenti telefonici e di posta elettronica. Le richieste di estrazione dati possono essere
presentate anche da enti e istituzioni di ricerca aventi natura giuridica privata, per lo svolgimento
di attività di studio e analisi riguardanti l’attività finanziaria delle amministrazioni pubbliche, di
interesse per la finanza pubblica.
La pubblicità dei tempi di pagamento
Sul versante dei pagamenti, l’articolo 41, comma 1, del decreto legge n. 66 del 2014, conv. dalla
legge n. 89 del 2014, ha introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, a decorrere
dall’esercizio 2014, di allegare alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio (per le
amministrazioni dello Stato a ciascun stato di previsione della spesa in sede di rendiconto generale)
un prospetto, sottoscritto dal rappresentante legale e dal responsabile finanziario, che deve
attestare l’importo dei pagamenti relativi a transazioni commerciali effettuate dopo la scadenza dei
termini previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2002, recante “Attuazione della direttiva
2000/35/Ce relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, nonché il
c.d. indicatore annuale di tempestività dei pagamenti, che indica i tempi medi di pagamento relativi
agli acquisti di beni, servizi e forniture. In sede di conversione del decreto legge è stato inserito il
riferimento specifico a tale indicatore in luogo della generica dizione di “tempo medio dei
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pagamenti effettuati”, individuato dall’articolo 33 del decreto legislativo n. 33 del 2013, che le
pubbliche amministrazioni, con cadenza annuale, sono tenute a pubblicare e che rappresenta, per
ciascuna PA, i tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture. Si ricorda
che il decreto legislativo n. 231 del 2002 è stato ampiamente modificato dal decreto legislativo n.
192 del 9 novembre 2012, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2011/7/Ue
(sostitutiva della precedente direttiva 2000/35/Ce) relativa ai ritardi dei pagamenti nelle
transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra
privati e pubbliche amministrazioni. In particolare i termini ordinari per il pagamento nelle
transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione sono ora fissati in
30 giorni, termine prorogabile fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni. In caso di
superamento dei termini, il comma 1 dell’articolo 41 della legge n. 89 del 2014 ha previsto che,
nelle relazioni al bilancio consuntivo o di esercizio delle pubbliche amministrazioni, debbano essere
indicate le misure adottate o previste per consentire la tempestiva effettuazione dei pagamenti;
dette attestazioni sono sottoposte a verifica contabile da parte dell’organo di controllo di regolarità
amministrativa e contabile. Il comma 2 ha aggiunto che le amministrazioni, esclusi gli enti del
Servizio sanitario nazionale, che, sulla base delle predette attestazioni, registrino tempi medi nei
pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, non possono,
nell’anno successivo a quello di riferimento, procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo,
con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto inoltre divieto agli
enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi del predetto
divieto. Il comma 3, infine, è intervenuto sul sistema di premialità previsto in favore degli enti
locali rispettosi del patto di stabilità interno, ai sensi del comma 122 dell’articolo 1 della legge n.
220/2010, limitandone l’applicazione in favore dei soli enti locali che risultino essere rispettosi dei
tempi di pagamento. A essi soltanto, dunque, si applica la riduzione degli obiettivi finanziari del
patto di stabilità interno, sulla base dei criteri, individuati con decreto del ministro dell’Economia e
delle finanze, di cui al medesimo comma 122.
La pubblicazione dei dati dei consuntivi degli enti locali
L’articolo 43 della legge n. 89 del 2014 è intervenuto, infine, sulla contabilità degli enti locali, con
una integrale riformulazione dell’articolo 161 del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali.
L’innovazione risiede nella prescrizione del 31 maggio dell’anno successivo a quello di riferimento,
quale termine ultimo per la trasmissione (al ministero dell’Interno) delle certificazioni relative al
rendiconto della gestione da parte degli enti locali. Intendimento della norma è una accelerazione
dei tempi di acquisizione di tali certificazioni. Nella riscrittura dell’articolo 161 del Testo unico, si
specifica che per “enti locali” destinatari dell’obbligo di certificazione, siano da intendersi anche le
unioni di comuni, e che la sospensione dei pagamenti da parte del ministero dell’Interno,
conseguente all’inadempienza da parte degli enti locali, investa le risorse finanziarie dovute a
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qualsiasi titolo da quel Ministero, incluse quelle a valere sul fondo di solidarietà comunale. A tali
prescrizioni si accompagna la più articolata ed estesa pubblicità a cura del ministero dell’Interno dei
dati delle certificazioni. L’articolo 161 ora prevede infatti, che essi siano resi noti, sul sito internet
della Direzione centrale della finanza locale del predetto ministero, anche ai fini del loro
inserimento nella banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche, istituita presso il ministero
dell’Economia e delle finanze, di cui all’art. 13 della legge di contabilità nazionale. La norma
previgente si rivolgeva alle regioni, alle associazioni rappresentative degli enti locali, alla Corte dei
conti e all’Istituto nazionale di statistica.
L’istituzione della banca dati Opencivitas
Nell’ambito del rafforzamento del regime di trasparenza dei diversi profili di finanza locale e di
efficientamento della spesa pubblica territoriale, rientra anche l’attivazione dallo scorso mese di
luglio 2014 della banca dati dei fabbisogni standard degli enti locali dati, chiamata Business
intelligence opencivitas. In questa banca dati elaborata da Sose in collaborazione con il
dipartimento delle Finanze del Mef, confluiscono tutti i dati raccolti con i questionari ad hoc inviati
agli enti locali. Essa vuole costituire - come evidenziato dal direttore dell’agenzia delle Entrate nella
audizione del 25 settembre 2014 dinanzi alla Commissione bicamerale sull’attuazione del
federalismo fiscale - lo strumento on line di esplorazione, benchmark e simulazione dei dati dei
comuni, delle unioni dei comuni, per consentire ai cittadini e agli amministratori locali di monitorare
il fabbisogno finanziario e la performance degli enti locali, confrontando il posizionamento del
proprio ente rispetto agli altri, così da rendere più facile il controllo diffuso e supportare al
contempo le amministrazioni nell’individuazione delle strategie di gestione per l’erogazione più
efficiente dei servizi. Essa è articolata in tre sezioni: Fabbisogni standard, Indicatori di gestione e
Benchmark. Nella sezione “Fabbisogni standard”, è possibile effettuare il confronto tra Fabbisogno
standard e spesa storica per funzione/servizio; gli “Indicatori di gestione” consentono di misurare
l’efficienza e l’efficacia della spesa per valutare l’adeguatezza dei servizi; la sezione “Benchmark”
permette di conoscere il posizionamento di un ente rispetto agli altri enti, con particolare
attenzione a quelli simili o limitrofi. È possibile effettuare un benchmark con altri enti a livello di
singola funzione/servizio sul fabbisogno, sugli indicatori di gestione o sui dati del questionario.
Oltre alle funzionalità appena descritte per gli enti locali, la disponibilità delle funzionalità e degli
indicatori gestionali contenuti nella BI Opencivitas sarà estesa, nell’intendimento del Governo, nel
mese di ottobre anche a tutti i cittadini (e non solo agli enti locali), che avranno, in tal modo, a
disposizione
informazioni
omogenee,
utili
per
la
valutazione
delle
scelte
operate
dagli
amministratori locali. Si tratta di un’innovazione importante per la trasparenza delle informazioni e
per l’esercizio di un reale controllo democratico sulle scelte operate dagli amministratori locali,
nella prospettiva di una maggiore accountability e trasparenza del loro operato.
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Pubblico impiego

I vincoli al finanziamento del trattamento accessorio
Donato Centrone, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa – 30 Novembre 2014, n. 11/12
Con deliberazione n. 26/Qmig del 21 ottobre 2014, la sezione autonomie della Corte dei conti ha
chiarito, con pronuncia di orientamento generale (art. 6, comma 4, Dl n. 174/2012, conv. con
legge n. 213/2012), che “le risorse del bilancio che i comuni di minore dimensione demografica
destinano, ai sensi dell’art. 11 del Ccnl 31 marzo 1999, al finanziamento del trattamento accessorio
degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano
nell’ambito di applicazione dell’art. 9, comma 2-bis, del Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni”.
La questione di fondo
La questione era stata sollevata dalla sezione regionale di controllo per la Basilicata (deliberazione
n. 61/2014), che aveva evidenziato divergenze interpretative tra la Src Veneto (del. n. 71/2012),
secondo la quale il citato art. 9, comma 2-bis, non facendo espresso riferimento al “fondo” per la
contrattazione integrativa, includerebbe nella nozione di “trattamento accessorio” tutti gli
emolumenti corrisposti a tale titolo, indipendentemente dalla loro allocazione in bilancio, e le Src
Lombardia (del. n. 59/2012) e Liguria (del. n. 17/2014), il cui avviso contrario trovava fondamento
in precedente pronuncia nomofilattica delle sezioni riunite in sede di controllo (Qm 51/Contr/2011),
da cui emergeva che la latitudine operativa della disposizione vincolistica era riferita alle risorse del
fondo (in aderenza alla circolare Mef-Rgs n. 12 del 15 aprile 2011).
I precedenti
Alcune sezioni regionali avevano già rilevato l’emersione di una nozione di “trattamento accessorio”
che lasciava aperte alcune problematiche (Src Lombardia, del. n. 59/2012/Par), per esempio in
tema di assoggettamento delle risorse destinate al lavoro straordinario (non comprese nel fondo,
ma ritenute ugualmente soggette a limitazione, Src Lombardia, del. n. 423/2012/Par).
La deliberazione n. 26 della sezione autonomie
La sezione autonomie, con la deliberazione n. 26/2014, fornisce un importante chiarimento,
precisando come il “tetto 2010”, posto dal citato art. 9, comma 2-bis, si applichi sia alle risorse
imputate al fondo per la contrattazione integrativa (come individuate dal Ccnl), che a quelle
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direttamente stanziate nel bilancio dell’ente, purché destinate al trattamento accessorio (come
previsto, in alcuni casi, sia dal Ccnl enti locali, che da altri Ccnl di comparto).
La disposizione è inserita, infatti, in un complesso di norme (l’art. 9 del Dl n. 78/2010, conv. con
legge n. 122/2010) volte a perseguire chiari obiettivi di contenimento della spesa di personale.
Pertanto, il significato precettivo non può non tenere in considerazione, anzitutto, l’espressione
letterale adoperata dal legislatore (“l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente
al trattamento accessorio del personale”) che denota la volontà di ricomprendere nella fattispecie
ogni genere di risorse.
La sezione delle autonomie conferma, tuttavia, le eccezioni già individuate da Ss.Rr. nella
deliberazione n. 51/2011, in particolare escludendo dal vincolo le risorse destinate a remunerare
prestazioni professionali di dipendenti, individuati o individuabili, che, in alternativa, l’ente
dovrebbe acquisire all’esterno, con costi aggiuntivi. Tale caratteristica è stata riconosciuta per i c.d.
incentivi alla progettazione (oggetto di rivisitazione con gli artt. 13 e 13-bis del Dl n. 90/2014,
conv. con legge n. 114/2014) e per i compensi attribuibili all’avvocatura interna (oggetto di
riduzione con l’art. 9 del citato Dl n. 90/2014). In tali ipotesi la portata precettiva dell’art. 9,
comma 2-bis viene meno in quanto afferente a risorse che alimentano il fondo in senso puramente
“figurativo”.
In effetti, le fattispecie che Ss.Rr. avevano escluso dal limite riguardano compensi accessori che
non hanno fonte nelle norme del Ccnl che individuano le risorse che possono confluire nei fondi per
la contrattazione integrativa (art. 31 Ccnl 21 gennaio 2004 e art. 15 Ccnl 1 aprile 1999), ma
direttamente in norme di legge (art. 93, commi 7-bis e ss., Dlgs n. 163/2006, per i c.d. incentivi
alla progettazione) o in norme del Ccnl che permettono l’erogazione di compensi accessori “fuori
fondo” (art. 27 Ccnl 14 settembre 2000, per i compensi agli avvocati interni). Le due eccezioni
appaiono, pur nel distinguo motivazionale, conformi all’orientamento adottato da Ss.Rr. nella
deliberazione n. 51/2011, che, nel riprendere la circolare Mef-Rgs n. 12/2011, aveva optato per
un’assimilazione, ai fini dell’art. 9, comma 2-bis, fra “ammontare complessivo delle risorse
destinate al trattamento accessorio” e “fondo per la contrattazione integrativa di ente” (nella
considerazione, esplicitata dalla circolare Mef, della confluenza del trattamento accessorio
individuale nel diverso limite del precedente comma 1 del medesimo art. 9).
La recente deliberazione n. 26/2014/Qmig, nel valorizzare il tenore letterale della norma (primario
criterio di interpretazione ex art. 12 preleggi al codice civile), pone un interrogativo circa la
sostenibilità motivazionale delle due eccezioni, posto che il criterio delle prestazioni professionali
acquisibili con maggiori costi all’esterno, oltre a non essere previsto dalla legge (la cui portata
letterale e vincolante, anche in un’ottica di risparmio complessivo, viene invece affermata), lascia
aperti dubbi applicativi per altre funzioni o servizi per i quali ugualmente sussiste il rischio di
antieconomico ricorso all’esterno (per es., esternalizzazione del servizio di riscossione tributi in
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luogo dell’attribuzione a un dirigente di congrua indennità di posizione; o alla mancata nomina di
un dipendente nel Cda di società partecipata, ex art. 4, Dl n. 95/2012, recentemente modificato
dall’art. 16 del Dl n. 90/2014.)
La sezione delle autonomie richiama, altresì, quale deroga compatibile con lo spirito del vincolo
posto dall’art. 9, comma 2-bis, la presenza di economie di bilancio scaturite da un più efficiente
utilizzo del personale. In questo caso l’intenzione del legislatore di ridurre la spesa di personale,
ponendo un freno al trattamento accessorio, si contrapporrebbe “al favor dello stesso verso
politiche di sviluppo della produttività individuale del personale”. Le autonomie richiamano, in tal
senso, la propria deliberazione n. 2/2013/Qmig. La pronuncia indicata afferiva all’interpretazione
dell’art. 16, commi 4 e 5, del Dl n. 98/2011, conv. con legge n. 111/2011 (norma speciale e
successiva all’art. 9, comma 2-bis), con la quale il legislatore ha permesso di integrare i fondi per
la contrattazione integrativa nella ricorrenza di risparmi, certificati, derivanti da processi di
riorganizzazione e razionalizzazione (per approfondimenti, Src Lombardia, n. 441/2013). Non
appare chiaro se tale orientamento possa essere esteso ad altre ipotesi in cui ricorre la medesima
ratio (risparmi certificati da riorganizzazione o razionalizzazione), propria anche di alcune delle
stesse norme del Ccnl che alimentano il fondo (cfr. art. 15, lett. d, e, k, m, Ccnl 1° aprile 1999).
Un ultimo problema concerne la sovrapposizione di portata precettiva fra i commi 1 e 2-bis dell’art.
9 del Dl n. 78/2010, il primo dei quali àncora al 2010 “il trattamento economico complessivo dei
singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio”. Nella
circolare Mef-Rgs n. 12/2011, ripresa da Ss.Rr. n. 51/Contr/2011, sulla base di una lettura
sistematica, venivano considerate nel tetto del comma 1, oltre al trattamento fondamentale, le
componenti del trattamento accessorio aventi carattere fisso e continuativo (per es., indennità di
amministrazione, retribuzione di posizione ecc.), al netto degli eventi straordinari ivi indicati.
Infatti, “le componenti variabili del trattamento accessorio vengono disciplinate dal comma 2-bis
ove viene previsto un limite… che non incide sui trattamenti individuali dei singoli dipendenti, bensì
sull’ammontare complessivo delle risorse per il trattamento accessorio” (per la cui individuazione
faceva riferimento a quelle destinate al fondo per la contrattazione integrativa).
Conclusioni
Il recente orientamento della sezione autonomie n. 26/2014/Qmig, nel momento in cui àncora la
limitazione posta dal comma 2-bis all’ammontare complessivo delle risorse destinate al
“trattamento accessorio” e non più (o non solo) a quelle che confluiscono, ai sensi del Ccnl, nel
“fondo per la contrattazione integrativa” ripropone due problemi. Da un lato, negli enti di minori
dimensioni, comporta il rischio di sovrapposizione fra i due limiti (al trattamento accessorio
individuale, comma 1, e a quello complessivo, comma 2-bis), rendendo di fatto inoperanti le
eccezioni previste dal comma 1 in caso di conseguimento di “funzioni diverse” (cfr. Src Toscana n.
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205/2010), che, invece, nell’interpretazione sinora seguita, essendo finanziate da risorse del
bilancio (senza confluire nei fondi), erano assoggettate solo al limite del trattamento accessorio
individuale. Dall’altro, imporrebbe di enucleare le risorse effettivamente destinate al trattamento
accessorio, posto che, come noto, quelle confluenti nei fondi per la contrattazione integrativa
remunerano anche componenti del trattamento fondamentale (per es. progressioni economiche ex
art. 5 del Ccnl 31 marzo 1999, o indennità di posizione dei dirigenti nella misura minima, ex artt.
26 e 27, Ccnl 1998/2001). L’effettivo scorporo costituisce tuttavia operazione non semplice.
Appare auspicabile un intervento del legislatore che, alla luce dell’esperienza acquisita in questi
anni, chiarisca la portata applicativa dell’art. 9, comma 2-bis, a beneficio dell’uniformità
applicativa, anche da parte delle altre pubbliche amministrazioni.
Corte dei conti, sezione autonomie, deliberazione n. 26/Qmig del 21 ottobre 2014
Pubblico impiego - Incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali Trattamento accessorio - Finanziamento
Le risorse del bilancio che i comuni di minore dimensione demografica destinano, ai sensi dell’art.
11 del Ccnl 31 marzo 1999, al finanziamento del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni
organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano nell’ambito di applicazione
dell’art. 9, comma 2-bis, del Dl n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, in legge n.
122 del 30 luglio 2010, e successive modificazioni.
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Pubblico impiego

No al lic enziamento senza preavviso del dipendente pubblico in difetto di
sentenza di condanna
Mario Piselli, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali - Edizione del 21 novembre 2014 - Numero
OnLine
Interessante questione è quella decisa con la sentenza n. 24728/14 dalla Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, con la quale quest'ultima si è pronunciata in tema di licenziamento,
senza preavviso, di un dipendente di un ente pubblico arrestato in flagranza di reato per il delitto di
corruzione e destinatario di un provvedimento di custodia cautelare in carcere.
L'impugnazione
Nella fattispecie, l'ente aveva impugnato presso la Corte d'Appello il lodo con il quale il collegio di
disciplina costituito presso il suo dipartimento del personale aveva annullato il suddetto
licenziamento senza preavviso, adducendo quale motivazione che il collegio aveva disapplicato
l'articolo 68, comma 8, lettera g) del contratto collettivo, sul presupposto che esso contrastasse
con il disposto normativo di cui alla legge 97/2001, e poi perché non aveva tenuto conto che le
disposizioni del suo statuto regionale conferivano autonomia normativa all'ente in materia di stato
giuridico ed economico dei suoi impiegati e funzionari.
La Corte d'Appello rigettava l'impugnazione ritenendo che la legge 97/2001 avesse disciplinato
esaustivamente il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e, di conseguenza,
dovesse ritenersi illegittima la disposizione contenuta nella contrattazione collettiva, addotta a
fondamento del provvedimento espulsivo.
La Cassazione
A tale decisione non si atteneva l'ente pubblico il quale impugnava la decisione per cassazione,
osservando che la fattispecie in esame, cioè il licenziamento senza preavviso di un dipendente per
l'arresto in flagranza per i reati di peculato, concussione e corruzione, non fosse espressamente
disciplinato dalla legge 97/2001 e che, in ogni caso, essendo tale fatto configurabile come grave
infedeltà, lo stesso avesse forza tale da rompere, in maniera irreversibile ed irrimediabile, il
rapporto di fiducia tra la pubblica amministrazione ed il lavoratore medesimo.
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Osservava, inoltre, l'ente che la norma contenuta nel contratto collettivo costituiva integrazione
della norma contenuta nella legge suddetta.
La decisione
Il giudice di legittimità non ha condiviso tale assunto, osservando intanto che le disposizioni
contenute nel contratto collettivo non possono mai prevalere sulla normativa prevista dalla legge.
In particolare, quest'ultima, nel regolare il rapporto tra procedimento penale e quello disciplinare,
ha stabilito che l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego segue di diritto soltanto alla
sentenza di condanna alla reclusione, non inferiore a tre anni, per i delitti di cui agli articoli 314,
rimo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale, mentre negli altri casi l'estinzione
può essere disposta soltanto a seguito di procedimento disciplinare.
La Corte ha, inoltre, considerato del tutto infondata non solo la tesi dell'ente secondo cui la
previsione del contratto collettivo fosse del tutto autonoma rispetto alla disciplina di legge e che,
addirittura, non interferirebbe sulla stessa, ma anche quella secondo cui l'autonomia normativa,
conferita dallo statuto regionale in materia, fosse tale da poter attribuire al contratto collettivo un
rango superiore a quello della legge.
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Pubblico Impiego

Diritti di rogito dei segretari, nei pi ccoli enti dopo il taglio p ossono anche
aumentare
Arturo Bianco, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 - Numero
OnLine
I segretari dei Comuni in cui non vi sono i dirigenti possono percepire i diritti di rogito per l'intera
quota introitata dall'ente, purché restino entro il tetto di 1/5 del proprio trattamento economico
annuo. Questo principio si applica fino a che il nuovo contratto nazionale non avrà stabilito la
misura della quota spettante di questi compensi.
La delibera
È questa la indicazione fornita dalla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti della Sicilia
con il parere 194/2014. Come in ogni telenovela che si rispetti, ad ogni puntata vi è una novità e,
come si suol dire, non è finita qui. D'altronde è questa la logica conseguenza di norme redatte in
modo assai approssimativo. Sulla base di questa pronuncia si realizzerebbe per molti segretari un
aumento di fatto rispetto ai compensi effettivamente percepiti a questo titolo prima del Dl 90/2014,
che nel testo iniziale aveva abrogato questa voce. La scelta contenuta nel parere di considerare la
contrattazione collettiva come abilitata a fissare la quota dei compensi che possono essere attribuiti
ai segretari a questo titolo non appare pienamente convincente, in quanto vi sono numerose
ragioni che spingono ad attribuire tale facoltà alle singole amministrazioni, visto che questi
compensi oggi vengono integralmente acquisiti nel bilancio dei singoli comuni. Il parere, nella
prima parte, consolida le indicazioni già fornite dalle deliberazioni della sezione regionale di
controllo della Corte dei Conti della Lombardia con le delibere 275e 297: i segretari che svolgono la
loro attività nei comuni senza dirigenti hanno diritto a percepire i compensi di rogito. Questa scelta
legislativa viene spiegata con la constatazione che negli enti privi di dirigenti il trattamento
economico accessorio dei segretari è significativamente più ridotto, in quanto essi non possono
"galleggiare" -avere cioè come minimo lo stesso compenso di posizione- rispetto al salario
accessorio dei dirigenti, ma solamente su quello significativamente più basso delle posizioni
organizzative.
La novità
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Veniamo alla parte innovativa del parere. Va ricordato in premessa che espressamente il legislatore
ha abolito il modo di calcolare questi oneri, che prima venivano liquidati entro la soglia del 67,5%
di quanto incassato dall'ente (cioè al 75% di quanto restava all'ente detratte le quote, il 10%,
trasferite all'Agenzia dei segretari). Ed ha lasciato solamente il vincolo di non superare 1/5 del
trattamento economico annuo, mentre invece prima tale tetto era fissato in 1/3. Da qui la
seguente conclusione: «l'espressione adottata dal legislatore induce a ritenere che gli importi dei
diritti di segreteria e di rogito vadano introitati integralmente al bilancio dell'ente locale, per essere
erogati, al termine dell'esercizio, in una quota calcolata in misura non superiore al quinto dello
stipendio in godimento. Pertanto, nel silenzio della legge ed in assenza di regolamentazione
nell'ambito del contratto collettivo nazionale di categoria successivo alla novella, i proventi in
esame sono attribuiti integralmente al segretario comunale, laddove gli importi riscossi dal comune
non eccedano i limiti della quota del quinto delle retribuzione in godimento».
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Pubblico Impiego
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Assunzioni, la sezione Autonomie
turn over
bl occa il conteggio dei «resti» per il
Gianluca Bertagna, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 - Numero
OnLine
Gli enti locali, nel 2014, non possono utilizzare, quale capacità assunzionale, i "resti" provenienti
dagli anni precedenti. Le nuove regole di turn-over sono compiutamente definite nel Dl 90/2014 e
non sono permesse interpretazioni estensive, rispetto al tenore letterale della norma.
La pronuncia
La sezione Autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 27/2014, mette un altro tassello
alle vicende sul personale dei Comuni, trattando, in questo caso, la problematica della facoltà di
assumere. Con la deliberazione n. 25/2014, era stato da poco chiarito il parametro per la riduzione
della spesa di personale, ovvero il triennio 2011/2013. Ora viene affermato che, in materia di
assunzioni, gli enti locali dovranno fare riferimento solo alla capacità di turn-over riscritta dal
decreto.
Il problema
La questione nasce dal fatto che, spesso, non sempre si riesce ad utilizzare nell'anno successivo la
capacità assunzionale prevista, in quanto troppo limitata oppure per problemi di bilancio o di tempi
di svolgimento dei concorsi. Con la deliberazione n. 52/2010, le Sezioni Riunite avevano reso
possibile "sommare i resti" derivanti dalle cessazioni di più anni, ma solamente per gli enti più
piccoli, ovvero non soggetti a Patto di stabilità. Questa interpretazione era stata poi estesa da più
sezioni regionali della Corte dei conti, anche agli enti sottoposti a patto di stabilità, senza però, mai
giungere, né alle sezioni Riunite, né alla sezione Autonomie. Solo ora viene preso in esame il
contesto complessivo e le conclusioni dei magistrati contabili non sono di certo di grande sollievo
per i comuni.
Il principio
Nella deliberazione n. 27/2014, si ritiene non condivisibile la possibilità di conteggiare tra la
capacità assunzionale degli enti locali, i "resti" derivanti dalla normativa previgente al Dl 90/2014.
La nuova disposizione costituisce, pertanto, una cesura rispetto alla precedente regolamentazione
ed è atta a rappresentare le regole di turn-over solo per il futuro. Dal 2014 in poi, quindi, in sede di
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programmazione di fabbisogno e finanziaria, si potrà tenere conto delle cessazioni prevedibili
nell'arco di un triennio, che inevitabilmente, diventeranno cessazioni in parte già verificatesi nel
momento in cui il concorso si conclude, e dunque rilevanti al momento dell'assunzione. Il punto di
partenza è, quindi, la capacità assunzionale del 60%, rispetto alle cessazioni del 2013 (la
percentuale sale all'80% se il rapporto tra spese di personale e spese correnti è inferiore al 25%) a
cui si potranno aggiungere le disponibilità che si creeranno alla luce delle cessazioni dell'intero
triennio
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Casi pratici
 Edilizia
 IL SILENZIO DEL COMUNE SI IMPUGNA DAVANTI AL TAR
D. Un mio vicino ha eretto una enorme pensilina sul proprio balcone fissandola alla pavimentazione
del mio balcone. Alle mie contestazioni ha chiesto ed ottenuto un'autorizzazione in sanatoria. Ho
chiesto, quindi, al responsabile tecnico del Comune, all'assessore all'urbanistica, al sindaco e poi al
dirigente della polizia municipale di verificare la conformità del manufatto all'autorizzazione fornita
e al regolamento edilizio locale. Non ho ricevuto risposta, anzi hanno sollevato eccezioni alla mia
richiesta di visionare il fascicolo, cosa che alla fine mi sarà sicuramente negata. È legittimo quanto
accade o si può contestare l'omissione di atti di ufficio e una responsabilità amministrativa in
quanto si viene meno alla funzione di vigilanza nella propria materia? Vorrei capire cosa posso fare
e se è proprio necessario avviare una causa legale.
---R. La legge 241/1990 riconosce il diretto di accesso agli atti dell’amministrazione in virtù di un
interesse concreto ed attuale, collegato al documento al quale è chiesto l’accesso e lo stesso può
essere negato solo quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone
fisiche; l’interessato può ricorrere al Tar per il diniego o il silenzio serbato dall’amministrazione.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 11 del Dpr 380/2001, Testo Unico edilizia, il titolo edilizio è sempre
rilasciato fatti salvi i diritti dei terzi, che possono promuovere azione alla competente autorità
giurisdizionale al fine di non pregiudicare posizioni soggettive proprie, contrastanti con quanto
assentito, specialmente nel caso in cui l’intervento sia invasivo della proprietà altrui e
pregiudizievole
del
libero
godimento
da
parte
del
proprietario.
Quindi,
se
di
regola
l’amministrazione non è chiamata a svolgere complesse indagini volte a ricostruire le vicende
concernenti la titolarità del bene, è comunque tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia
sorretta dall’effettiva disponibilità del bene, soprattutto nel caso in cui un altro soggetto si attivi per
esprimere la propria posizione. L’amministrazione, perciò, in presenza di una segnalazione
sottoscritta, circostanziata e documentata ha l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e
verifica dell’abuso, della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio del
potere sanzionatorio che in quello della motivata archiviazione, dovendosi escludere che la ritenuta
mancanza
dei
presupposti
per
l’esercizio
dei
poteri
sanzionatori
possa
giustificare
un
comportamento meramente silente (Consiglio Stato, sezione IV n.2592/2012). Alla luce di tutto
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ciò, in caso di silenzio od inerzia dell’amministrazione, si dovrà far ricorso all’azione giurisdizionale.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 novembre 2014)
 L'ORDINANZA DI DEMOLIZIONE NON SI PRESCRIVE
D. Il Comune rilascia nel 1997 la concessione edilizia per la costruzione di un immobile. All'interno
di esso, però, viene realizzata abusivamente (ossia senza prevederla in fase di progettazione) una
scala in muratura, per collegare l'ultimo piano con la soffitta. Per tale abuso edilizio, nel 1999,
viene disposto l'abbattimento da parte dell'ufficio comunale. La demolizione, a oggi, non è stata
effettuata. Può il Comune, nel 2014, pretendere la rimozione della scala? In sostanza, le ordinanze
di demolizione dell'ente entro quali termini temporali vanno eseguite?
---R. La risposta al primo quesito è affermativa. L'esercizio dei poteri repressivi in materia di abusi
edilizi non incontra alcun termine di decadenza o di prescrizione e, quindi, non esiste un termine
trascorso il quale l’abuso viene sanato. Nel caso di specie, la mancata rimozione del manufatto
abusivo entro il termine stabilito dall’ordinanza di demolizione comporterà semplicemente che il
Comune sarà autorizzato a emanarne un’altra e, di seguito, ove tale ordinanza non venga eseguita,
l’ente potrà, ex articolo 34, comma 1, del Dpr 380/2001, procedere esso stesso con la demolizione,
ovviamente a spese del responsabile dell’abuso.
(Massimo Sanguini, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)
 ILLEGITTIMO IL PERMESSO CONCESSO PRIMA DEL PGT
D. A luglio 2013 il consiglio comunale adotta il nuovo Pgt; a ottobre 2013 un privato protocolla una
richiesta di permesso di costruire, per interventi in contrasto con il vigente Prg; a gennaio 2014 il
consiglio comunale approva il Pgt; a febbraio 2014 il dirigente rilascia il permesso di costruire; a
luglio2014 il Pgt acquisisce efficacia con la pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione
(articolo 13, comma 11, legge 12/2005 della Lombardia). È legittimo il permesso di costruire? In
caso contrario, quali sono i termini per adire le vie legali?
---R. Il piano di governo del territorio (Pgt,) per avere piena efficacia e sostituire in toto il vecchio
piano regolatore generale (Prg), dev'essere pubblicato sul «Bollettino ufficiale Regione Lombardia»
(cosa che, nel caso descritto, è avvenuta a luglio 2014). Di conseguenza, poiché il permesso di
costruire è stato rilasciato prima di questo evento (cioè a febbraio 2014), esso è illegittimo. Infatti,
in questi casi valgono le misure di salvaguardia, ossia per la legittimità del permesso di costruire
occorre che lo stesso non sia in contrasto tanto con il vecchio Prg quanto con l’adottato Pgt.I
termini per adire le vie legali sono normalmente di 120 giorni dal momento in cui si ha notizia del
provvedimento.
(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)
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 Enti locali
 COMUNE, IMMOBILI INCEDIBILI CON DATI CATASTALI ERRATI
D. In riferimento alla normativa concernente l'alienabilità degli immobili di proprietà comunale
(articolo 2, comma 59, della legge 662/1996; articolo 40, commi 5 e 6, della legge 47/1985;
articolo 7, comma 2, della legge 136/1999), si chiede se la successiva norma contenuta
nell'articolo 19 della legge 122/2010, circa la conformità dello stato di fatto dell'immobile alle
planimetrie depositate in Catasto, sia ostativa alla vendita in presenza di difformità sostanziali,
quali ampliamenti o sopraelevazioni non sanabili con le procedure ordinarie, previste dagli articoli
36 e 37 del Dpr 380/2001.
----R. La legge 122/2010 statuisce, ai commi 8 e 9, che, entro il 31 dicembre 2010, i titolari di diritti
reali sugli immobili che non risultano dichiarati in Catasto, individuati secondo le procedure previste
dall’articolo 2, comma 36, del Dl 262/2006, erano tenuti a procedere alla presentazione, ai fini
fiscali,
della
relativa
dichiarazione
di
aggiornamento
catastale.
L'agenzia
del
Territorio,
successivamente alla registrazione degli atti di aggiornamento presentati, rende disponibili ai
Comuni le dichiarazioni di accatastamento per i controlli di conformità urbanistico-edilizia,
attraverso il portale per i Comuni (comma 8).Entro il medesimo termine del 31 dicembre 2010, i
titolari di diritti reali sugli immobili oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato una
variazione di consistenza o di destinazione non dichiarata in Catasto, erano tenuti a procedere alla
presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento catastale (comma
9).Sempre la legge 122/2010 ha aggiunto il seguente comma all'articolo 29 della legge 27 febbraio
1985, n. 52: «Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il
trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già
esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari
urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate
in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati
catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta
dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato
alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il
notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri
immobiliari». La richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni
immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite,
deve contenere anche l'indicazione dei dati catastali degli immobili. La mancata o errata
indicazione dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta di
registro ed è punita con la sanzione prevista dall'articolo 69 del Dpr 131/1986.Nel rispetto dei
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principi desumibili da questo articolo, nei territori in cui vige il regime tavolare le Regioni a statuto
speciale e le Province autonome adottano disposizioni per l'applicazione di quanto dallo stesso
previsto, al fine di assicurare il necessario coordinamento con l'ordinamento tavolare. L’ultimo
comma citato si riferisce genericamente a tutti gli immobili; attraverso un’interpretazione letterale
della norma, trova applicazione anche ai trasferimenti di beni immobili di proprietà dei Comuni.
Conseguentemente, qualunque atto pubblico o scrittura privata autenticata avente a oggetto la
vendita di immobili comunali, se non contiene i dati indicati nel comma 1-bis citato, sono nulli.
(Paolo Mariotti, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)
 IL COMUNE DEVE COLLAUDARE LE OPERE DI URBANIZZAZIONE
D. Abito in un quartiere dove non sono ancora stati effettuati il collaudo e quindi il trasferimento al
Comune delle opere di urbanizzazione (opere già presenti da circa 20 anni). Di conseguenza, il
Comune non esegue manutenzione di nessun tipo anche se i residenti versano le tasse. Dal punto
di vista legislativo, ho visto che il Comune è tutelato. Chiedo quali sono le normative regolanti
questa situazione e se il Comune ha almeno degli obblighi nei confronti dei residenti.
----R. Nell’ambito del piano di lottizzazione, l’articolo 28 della legge n. 1150 del 1942 impone, in capo
all’ente locale, il trasferimento delle opere di urbanizzazione, cui seguono ulteriori obblighi quali la
manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere stesse. Dal tenore letterale della norma, e
stando a talune pronunce della giurisprudenza amministrativa, è pacifico che questi oneri ricadano
interamente sul Comune, il quale provvederà alle spese con gli introiti derivanti dall’imposta
comunale sugli immobili e dalla fiscalità generale, ma solo «una volta acquisite al suo patrimonio
per cessione» e «previo collaudo sulla loro regolare esecuzione» (Consiglio di Stato, sentenza n.
6368/2011 e Tar Cagliari, n.89/2009). Nel caso del lettore, non risulta soddisfatto nessuno dei due
requisiti, pertanto sul Comune non graverebbe alcun onere di manutenzione. Tuttavia, il Tar di
Cagliari (sentenza n.187/2010) in un caso simile a quello proposto, ha sancito come la difformità
delle opere in concreto realizzate dai lottizzanti rispetto al piano di lottizzazione «non può
comportare un rifiuto sine die del Comune di prendersi cura dei servizi pubblici cui le opere di
urbanizzazione sono preordinate» e ancora che, consentire al Comune un perdurante rifiuto di
accollarsi la gestione di tali opere sarebbe una conclusione illogica ed incompatibile con la funzione
mista – privata ma anche pubblicistica – della convenzione di lottizzazione e delle opere da essa
previste, aderendo quindi alla tesi di un dovere di intervento, anche in assenza di effettiva
cessione.
(Umberto Fantigrossi, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 24 novembre 2014)

BILANCI COMUNALI: I PARERI POSSONO ESSERE DISATTESI
D. Su un emendamento al bilancio di previsione 2014 è stato espresso parere contrario dal
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responsabile del servizio finanziario e dal revisore dei conti. È legittimo che il consiglio comunale si
pronunci con votazione sull'emendamento? L'articolo 49, comma 4, del Tuel 267/2000, permette al
consiglio e alla giunta comunale di discostarsi dal parere contrato, con motivazione adeguata. Io
ritengo che il consiglio possa votare l'emendamento, motivandone le ragioni. È corretta questa
interpretazione o l'emendamento non deve essere votato poichè inammissibile o irricevibile?
----R. In merito alla valenza del parere previsto dall’articolo 49, comma 4, del Dlgs 267/2000, la
giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di proporre alcuni chiarimenti utili per la presente
fattispecie. Secondo l’interpretazione maggioritaria, l’articolo 49 rende obbligatoria la presenza del
parere, specialmente quello di regolarità contabile, ed un’eventuale assenza renderebbe illegittima
la deliberazione poiché risulterebbe viziata la fase istruttoria (si veda la del sentenza Consiglio di
Stato, V sezione, n.680 del 1998), mancando l’atto preparatorio che funge da presupposto di
diritto in ordine alla validità formale della deliberazione (Corte dei Conti, Appello, Sicilia,
n.01/A/2009). Ciò stabilito, nulla impedisce agli amministratori di dissociarsi da quanto espresso
nel parere: infatti, se è vero che esso svolge una funzione consultiva di controllo, è altresì vero che
il suo dettato non è vincolante per gli organi rappresentativi poiché, come chiarito dal Tar Napoli
con la sentenza n. 7878/2007 e dallo stesso Consiglio di Stato con la pronuncia di cui sopra, in
caso contrario «si finirebbe con l’attribuire agli organi consultivi l’effettivo potere d’amministrazione
attiva, lasciando ai corpi rappresentativi la funzione di mera ratifica di determinazioni altrui».
Semmai, la necessità di acquisizione del parere è finalizzata a pre-individuare, sul piano formale, i
suoi funzionari redattori, in modo da valutarne la responsabilità in solido, sul piano amministrativo
e contabile, con i componenti degli organi politici votanti la deliberazione stessa.
(Giorgio Lovili, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 24 novembre 2014)

SEGNALAZIONE AL COMUNE SUI PROBLEMI VIABILISTICI
D. Abito in una villetta, con giardino recintato da un'inferriata, che si affaccia su una strada
comunale (senza marciapiede, ma con delimitatori di corsia a circa un metro dalla mia proprietà)
con divieto di sosta. Ci sono due cancelli per il passaggio: quello principale, davanti all'ingresso
dell'abitazione, di circa 1 metro di larghezza, e quello laterale, di circa 2,80 metri, usato molto di
rado. Quest'ultimo scorre orizzontalmente e, essendo molto pesante, richiede uno sforzo fisico non
indifferente per l'apertura/chiusura. In occasione di fiere e mercati, i camion delle bancarelle
ostruiscono il passaggio principale costringendo me e la mia famiglia a passare lateralmente e,
nonostante le mie proteste verbali con gli agenti di polizia urbana, la cosa continua. Che posso
fare?
----R. Se un'area è destinata a mercato dal Comune, deve essere stata necessariamente emessa dallo
stesso Ente un'ordinanza che regoli la viabilità nella zona in occasione dell'evento. Solitamente, tali
ordinanze garantiscono una certa distanza dagli ingressi delle abitazioni, al fine di consentire
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l'accesso dei residenti, tenendo conto anche delle esigenze dei portatori di handicap. Qualora tali
misure non siano rispettate, può essere opportuno inoltrare una segnalazione formale al Comune –
anche per il tramite di un’associazione di consumatori o di un legale – affinché siano assunti i
necessari provvedimenti.
(Maurizio Di Rocco, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 24 novembre 2014)

NOMINE ANNULLABILI IN DIFETTO DI PUBBLICAZIONE
D. Un decreto del sindaco di un piccolo Comune, contenente la nomina della commissione edilizia,
non pubblicato sull'albo pretorio online, è comunque valido a tutti gli effetti di legge?
----R. Premesso che la disciplina della commissione edilizia è in gran parte dettata dalle norme
regionali e dal regolamento edilizio comunale e, quindi, varia sul territorio, in generale si può dire
che eventuali difetti di forma o di procedura dell'atto di nomina, come di ogni altro provvedimento
amministrativo, salvo casi del tutto particolari, non rendono l'atto nullo ma meramente annullabile.
Il che significa che la nomina resta efficace e può solo essere impugnata da chi ne abbia interesse
nel termine di legge. La mancanza della pubblicazione rileverà sul piano della decorrenza di questo
termine, che potrà appunto prescindere dalla pubblicazione, che non è avvenuta, e sarà calcolata
sulla base della conoscenza effettiva.
(Umberto Fantigrossi, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)

ISTANZA DI RIMBORSO ENTRO CINQUE ANNI
D. Sono comproprietario di una mansarda e di un secondo piano non ultimato, mentre il piano
terra e il primo piano sono accatastati. Sulla base della risposta al quesito 1532, pubblicato
dall'Esperto risponde del 12 maggio 2014, dal titolo «L'immobile in costruzione non entra nel 730»,
si evince che l'immobile non è soggetto a Imu. Considerando il pagamento dell'Isi per il 1992,
quelli dell'Ici e dell'Imu fino al 31 dicembre 2013, già effettuati, è possibile inoltrare la richiesta di
rimborso con decorrenza 1992?
----R. Secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 17035/2013, in caso di
sopraelevazione di un fabbricato già esistente, l'area di sedime dei lavori di costruzione non è
considerata come area edificabile e non è comunque tassabile ai fini Ici/Imu, in quanto ricompresa
nel valore imponibile del fabbricato già ultimato ed esistente. Ne consegue che il pagamento
dell'imposta sulla parte di fabbricato ultimata "assorbe" il tributo dovuto sull'area di costruzione,
fino alla ultimazione dei lavori. Si ritiene che l'istanza di rimborso possa essere presentata, al
massimo, entro il termine decadenziale di cinque anni dal pagamento.
(Luigi Lovecchio, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)
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