Paolo Armao

Il potere calorifico è la quantità massima di energia che si può ricavare convertendo
completamente una massa unitaria di un vettore energetico in condizioni standard. Misura
pertanto la sua validità dato che il principale problema nell'utilizzo dei vettori energetici è
appunto l'ingombro, che per un solido e un liquido è solitamente rappresentato dalla massa,
mentre per un gas o un plasma corrisponde solitamente al volume. Se si sceglie la combustione
come conversione, esso coincide con l'entalpia standard massica o volumica di combustione del
combustibile.
Solitamente si misura in J/kg o, in forma ormai obsoleta, in cal/kg. Usualmente però per i
combustibili gassosi ci si riferisce alla massa in Nm³, o nelle transazioni commerciali in Sm³.
Generalmente si distingue tra:
Potere calorifico superiore (ΔcHso, meno correttamente indicato come PCS o come
HHV)
Potere calorifico inferiore (ΔcHio, meno correttamente indicato come PCI o come LHV).
Il potere calorifico superiore (ΔcHso) è la quantità di calore che si rende disponibile per
effetto della combustione completa a pressione costante della massa unitaria del
combustibile, quando i prodotti della combustione siano riportati alla temperatura iniziale
del combustibile e del comburente.
La determinazione del potere calorifico si può ottenere approssimativamente col calcolo, in base
all'analisi elementare del combustibile, oppure direttamente mediante l'uso di appositi strumenti
calorimetrici.
Nel primo caso si determina la massa degli elementi combustibili, carbonio (C), idrogeno (H),
zolfo (S) contenuta in un chilogrammo di combustibile mediante l'analisi chimica elementare,
quindi si valuta l'apporto di calore fornito da ciascuno di essi e si sommano i risultati. Il calcolo
fornisce un valore approssimato perché la quantità di calore ottenuto dipende anche dalla forza
dei legami chimici nelle molecole del combustibile di partenza.
Ad esempio, considerando che 1 kg di carbonio sviluppa nella combustione circa 33 MJ e che 1
kg di idrogeno sviluppa circa 143 MJ e avendo un olio combustibile con un tenore di carbonio
dell'85,5% e di idrogeno dell'11,5% in massa (cioè 0,855 kgC di carbonio e 0,115 kgH2 di
idrogeno per 1 kgf di olio), col rimanente 3% costituito da materia inerte, il suo potere calorifico
superiore sarebbe:
ΔcHso = 0,855 kgC/kgf · 33 MJ/kgC + 0,115 kgH2/kgf · 143 MJ/kgH2 = 44,66 MJ/kgf
Il potere calorifico superiore si determina invece direttamente mediante la bomba calorimetrica
di Mahler o apparecchi simili, in cui si fa avvenire una reazione stechiometrica completa tra un
quantità ben determinata di combustibile e l'ossigeno. Il calore prodotto dalla reazione viene
assorbito da una massa nota di acqua (o di altro liquido), di cui si misura l'aumento della
temperatura. Di qui si risale alla quantità di calore scambiata.
Tipicamente, nelle combustioni normali i prodotti della combustione sono rilasciati a
temperatura più alta di quella di riferimento del combustibile. Così, una parte del calore
teoricamente disponibile si 'disperde' per il riscaldamento dei fumi e, soprattutto, per la
vaporizzazione dell'acqua prodotta dalla combustione. Si tenga conto che, per ogni grado di
aumento della temperatura dei fumi, servono circa 1 kJ/kg di fumi e che per ogni kg di vapore
d'acqua nei fumi servono circa 2,5 MJ per calore latente di vaporizzazione a 100 °C.
Convenzionalmente si definisce potere calorifico inferiore ΔcHio "il potere calorifico superiore
diminuito del calore di condensazione del vapore d'acqua durante la combustione".
Questo è il valore a cui si fa usualmente riferimento quando si parla di potere calorifico di un
combustibile e di rendimento di una macchina termica.
Nelle moderne caldaie a condensazione si riesce a recuperare parte del calore latente del
vapor d'acqua. Questo fatto permette di ricavare, da un kg di combustibile, una quantità di calore
maggiore del potere calorifico inferiore, quindi, con rendimento nominale uguale al 100%, anche
se una parte del calore teoricamente disponibile (potere calorifico superiore) continua ad essere
dispersa coi fumi.
Per determinare il potere calorifico inferiore mediante l’analisi elementare bisogna prima
determinare il potere calorifico superiore e poi sottrarre da questo 2,5 MJ per ogni kg di vapor
d'acqua contenuto nei fumi. Il vapor d'acqua nei fumi sarà dovuto alla combustione dell'idrogeno
e all'umidità presente inizialmente nel combustibile
Esempio (trascurando i termini meno importanti):
ΔcHso (C) = 33 MJ/kg
ΔcHso (H) = 143 MJ/kg
Avendo un olio combustibile con un tenore di 85,5% carbonio, 12% idrogeno, 1% umidità:
wC= 0,855
wH= 0,12
wH2O= 0,01
sapendo che:
Rapporto massico di vapore da idrogeno ΔwH2O = 9 kg/kg
Calore assorbito dal vapore per formarsi da acqua liquida ΔfHo (H2O(g)) = 2,5 MJ/kg
si ha:
ΔcHso = wC ΔcHso (C) + wH ΔcHso (H) = (0,855 × 33 MJ/kg) + (0,12 × 143 MJ/kg) =
45 MJ/kg
ΔcHio = ΔcHso - (ΔwH2O wH + wH2O) ΔfHo (H2O(g)) = 45,375 MJ/kg - (9 x 0,12 +
0,01) × 2,5 MJ/kg = 42,65 MJ/kg
In altre parole, il potere calorifico inferiore è uguale al potere calorifico superiore meno il tenore
di idrogeno nel combustibile, moltiplicato per 9 e per 2,5, meno il tenore di umidità presente nel
combustibile, moltiplicato per 2,5:
Il calore latente (associato a una trasformazione termodinamica) è la quantità di energia
necessaria allo svolgimento di una transizione di fase (o passaggio di stato). Ad esempio, il
"calore latente di fusione" è l'energia massica corrispondente al passaggio di un sistema
(costituito da una a più sostanze chimiche) dallo stato solido a quello liquido.
L'unità di misura del calore latente λ nel Sistema internazionale è J/kg. Spesso il calore latente
viene espresso per mole di sostanza come calore latente molare e nel SI si misura in J/mol.
La teoria cinetica dei gas interpreta (spiega) il calore latente nel seguente modo: durante la
transizione di fase di un sistema bifasico, l'energia fornita (rispettivamente assorbita) al sistema
non va a incrementare (rispettivamente decrementare) la temperatura del sistema stesso, bensì
agisce sulla forza dei legami intermolecolari.
Ad esempio, mentre si fa bollire dell'acqua il calore fornito non innalza la temperatura dell'acqua
oltre i 100 °C (la temperatura infatti rimane costante durante l'ebollizione), ma servirà a
indebolire i legami fra le molecole, le quali di conseguenza saranno libere di occupare tutto il
volume a loro disposizione (ovvero passeranno dallo stato liquido, caratterizzato da una scarsa
compressibilità, allo stato vapore), fino al punto in cui tutta l'acqua si sarà trasformata in vapore.
A seconda del tipo di transizione di fase in questione, si parla di:
● calore latente di fusione
● calore latente di vaporizzazione
● calore latente di sublimazione.
Il calore necessario al passaggio di fase è:
cioè il calore Q fornito o sottratto al sistema non influisce sulla temperatura, ma è proporzionale
alla quantità di sostanza m che ha cambiato fase, e continua fino a che tutta la sostanza non
cambia fase. In assenza di transizioni di fase invece, un apporto o un prelievo di calore determina
una variazione di temperatura: si parla in questo caso di calore sensibile.
Il calore sensibile è la quantità di calore che corrisponde ad una variazione di temperatura
attraverso un coefficiente di proporzionalità detto calore specifico:
dove:
● q: calore sensibile specifico (J/kg) o (J/mol);
● c: calore specifico (J/kg·K) o (J/mol·K);
●
: variazione finita di temperatura (K).
Il calore sensibile si differenzia dal calore latente perché il calore sensibile viene ceduto mentre
non è in corso una transizione di fase, mentre il calore latente è definito solo durante transizioni
di fase.
Nelle caldaie a condensazione per calore latente si intende il calore che viene recuperato tramite
la condensazione dei vapori. Tale calore è fondamentale per determinare la differenza tra potere
calorifico inferiore (pci) e superiore (PCS) di una caldaia a condensazione.
Il calore specifico di una sostanza è definito come la quantità di calore necessaria per innalzare
(o diminuire) la temperatura di una unità di massa di 1 K (o equivalentemente di 1 ºC).
Nel Sistema internazionale l'unità di misura del calore specifico è il J / (kg × K); nel Sistema
tecnico è kcal / (kg × °C).
Una grandezza analoga è il calore molare, definito come la quantità di calore necessaria per
aumentare di 1 kelvin (K) la temperatura di una mole di sostanza, l'unità di misura SI (Sistema
internazionale di unità di misura) è il J / (mol × K).
In fisica, in particolare in termodinamica, il calore è definito come il contributo di energia
consumata o generata a seguito di una reazione chimica o nucleare o trasferita tra due sistemi o
tra due parti dello stesso sistema, non imputabile ad un lavoro o ad una conversione tra due
differenti tipi di energia.
Gli effetti del passaggio di calore sono descritti dal primo principio della termodinamica nella
sua forma più generale:
ΔE = Q + W
dove ΔE indica una variazione di qualsiasi forma di energia (ad esempio energia interna, cinetica,
potenziale), Q indica il calore e W indica il lavoro (per variazione di volume o isocoro). Le
conseguenze del passaggio di calore possono quindi essere principalmente di due tipi: variazione
di energia o scambio di lavoro.
Una particolare forma di energia che può essere modificata a seguito del passaggio di calore è
l'energia interna; la variazione di energia interna può avere diverse conseguenze, tra cui una
variazione di temperatura o un cambiamento di stato di aggregazione.
Se il trasferimento di calore ha come conseguenza un cambiamento di stato di aggregazione, tale
calore prende il nome di calore latente, mentre se il trasferimento di calore ha come
conseguenza una diminuzione della differenza di temperatura (in quanto i due sistemi o le due
parti dello stesso sistema tendono a raggiungere l'equilibrio termico) si parla di calore sensibile.
Infine nel caso in cui il trasferimento di calore comporti sia una diminuzione della differenza di
temperatura sia un cambiamento di fase, tale calore può essere pensato come la somma di due
contributi: un contributo relativo al calore sensibile e un contributo relativo al calore latente.
Ad esempio l'aumento di temperatura dell'acqua da 20 °C a 50 °C in condizioni standard (cioè
alla pressione di 1 atm) è determinato dal fatto che ad essa è fornito calore sensibile, mentre, se
l'acqua ha già raggiunto la temperatura d'ebollizione, essa immagazzina energia (sotto forma di
calore latente), mantenendo la propria temperatura invariata, fino a quando non avviene il
cambiamento di fase da liquido a vapore. Per tale motivo, un getto di vapore acqueo a 100 °C,
avendo immagazzinato energia durante il passaggio di stato, può provocare ustioni più gravi
dell'acqua allo stato liquido alla medesima temperatura.
Si parla inoltre di "calore di reazione" quando il calore viene consumato o generato da una
reazione chimica.
Il calore è energia in transito. In presenza di un gradiente di temperatura, il calore fluisce dai
punti a temperatura maggiore a quelli a temperatura minore, finché non viene raggiunto
l'equilibrio termico.
In quanto energia, il calore si misura nel sistema Internazionale in joule. Nella pratica viene
tuttavia ancora spesso usata come unità di misura la caloria, che è definita come la quantità di
calore necessaria a portare la temperatura di un grammo di acqua distillata, sottoposta alla
pressione di 1 atm, da 14,5 °C a 15,5 °C. A volte si utilizzano anche unità a carattere meramente
tecnico, quali kW h o BTU.
Alcune equivalenze:
La caloria, o piccola caloria, simbolo cal, è un'unità di misura dell'energia, introdotta in ambito
termodinamico. Viene comunemente definita come l'energia necessaria per innalzare da 14,5 a
15,5 °C la temperatura di 1 g di acqua distillata posta a livello del mare (pressione di 1 atm).
Esistono altre definizioni, ciascuna usata in determinati ambiti scientifici o ingegneristici. Per la
spiegazione far riferimento al paragrafo "Varianti".
In biologia e in nutrizione la grande caloria o caloria alimentare, simbolo Cal o,
indifferentemente kcal, equivalente a 10^3 piccole calorie, è l'energia necessaria per innalzare di
1 °C la temperatura di un kg di acqua distillata posta a livello del mare ed è usata per indicare
l'apporto energetico medio di un alimento in combinazione con l'unità di massa g o hg.
La determinazione dell'apporto calorico fu fatta inizialmente per lo zucchero più semplice, cioè il
glucosio, l'alimento di più facile assimilazione.
Tenendo conto che 1 g di carboidrati sviluppa ca. 3,8 kcal, 1 g di proteine ca. 3,1 kcal e 1 g di
lipidi ca. 9,3 kcal, di ogni alimento si può determinare l'apporto energetico medio sulla base dei
componenti detti. Sulla confezione di quasi tutti gli alimenti è indicato l'apporto calorico medio,
espresso in Cal/100 g, tipicamente. Sebbene il valore energetico d'un alimento e il consumo di
energia nell'attività fisica vengano ancora indicati in Cal (o kcal), il Sistema internazionale di
unità di misura adotta il Joule (simbolo J) e il multiplo kilojoule (simbolo kJ), ove: 1 kJ = 10^3 J
Conversione
1 J = 0,2388459 cal
1 cal = 4,1867999409 J
Con un apporto di 9 kcal/g, il grasso è il macronutriente più denso di energia: 1 g di proteine
contiene 4 kcal.
La frigoria (pronuncia: [fri-go-rì-a], simbolo Fr o frig) è una unità di misura della quantità di
calore; è spesso utilizzata per i sistemi di raffreddamento e di condizionatori.
È equivalente alla chilocaloria, in simboli: 1 Fr = 1 kcal; infatti viene definita come la quantità di
calore che deve essere sottratta da un chilogrammo d'acqua per abbassarne la temperatura da
15,5 °C a 14,5 °C alla pressione di 1 atmosfera. Per valutare la capacità di raffreddamento di un
condizionatore si utilizza la potenza frigorifera, che ha come tipica unità di misura la frigoria per
ora: Fr/h.
Altre unità di misura della potenza frigorifera sono il watt e la British thermal unit (BTU). Tra le
tre unità valgono le seguenti equivalenze:
1 watt = 3,413 BTU/h = 0,85985 Fr/h
Per potenza termica del focolare di un generatore di calore ,si intende il prodotto del pci del
combustibile impiegato e della portata del combustibile bruciato;
l’unità di misura usata è il KW.
Per potenza termica convenzionale di un generatore d calore ,la potenza termica del focolare
diminuita della potenza termica persa al camino ;
l’unità di misura utilizzata è il KW;
Per potenza termica utile di un generatore di calore,la quantità di calore trasferita nell’unità di
tempo al fluido termovettore,corrispondente alla potenza termica del focolare diminuita della
potenza termica scambiata dall’involucro del generatore con l’ambiente e della potenza termica
persa al camino;
l’unità utilizzata è il KW;
per rendimento di combustione sinonimo di rendimento termico convenzionale di un generatore
di calore,il rapporto tra la potenza termica convenzionale e la potenza termica del focolare;
per rendimento termico utile di un generatore di calore,il rapporto tra la potenza termica utile e
la potenza termica del focolare;
per temperatura termica dell’aria in un ambiente , la temperatura dell’aria misurata secondo le
modalità della UNI 5364;
per gradi-giorno di una località ,la somma ,estesa a tutti i giorni di un periodo annuale
convenzionale di riscaldamento ,delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura
dell’ambiente ,convenzionalmente fissata a 20°C e la temperatura media esterna giornaliera,
l’unità di misura usata è il grado-giorno GG.
La conducibilità termica o conduttività termica (indicata con λ o k) è il rapporto, in condizioni
stazionarie, fra il flusso di calore[1] e il gradiente di temperatura che provoca il passaggio del
calore.[2] In altri termini, la conducibilità termica è una misura dell'attitudine di una sostanza a
trasmettere il calore (vale a dire maggiore è il valore di λ, meno isolante è il materiale). Essa
dipende solo dalla natura del materiale, non dalla sua forma.
La conducibilità termica non va confusa con la diffusività termica (o "conducibilità
termometrica"), che è il rapporto fra la conducibilità termica e il prodotto fra densità e calore
specifico della data sostanza (espressa nel Sistema internazionale in m2/s, analogamente a tutte le
"diffusività") e misura l'attitudine di una sostanza a trasmettere, non il calore, bensì una
variazione di temperatura
La conducibilità termica è definita come la costante di proporzionalità fra il flusso di calore
osservato e il gradiente di temperatura che lo provoca:
conducibilità termica = flusso di calore / (gradiente di temperatura)
o in formule, supponendo che una barra lunga d e di sezione S, abbia i suoi due estremi a
contatto con due sorgenti di calore a temperature diverse:
dove:
● Q è la velocità di trasferimento di calore, misurata in watt, cioè la quantità di energia
termica (calore) che transita nell'unità di tempo attraverso la sezione S della barra;[4]
● d è la lunghezza, misurata in metri, della barra (ovvero la distanza tra i punti a
temperatura
e ), che si suppone omogenea;
● S è l'area, misurata in metri quadri, della sezione trasversale della barra, ortogonale
rispetto alla direzione del gradiente di temperatura;
● T1 e T2 sono le temperature, misurate in kelvin, assunte agli estremi della barra.
La conducibilità termica di una sostanza dipende dalla temperatura (per alcuni materiali
aumenta all'aumentare della temperatura, per altri diminuisce), dall'induzione magnetica,
e da fattori fisici come la porosità (che blocca i fononi responsabili della conducibilità
termica nei materiali ceramici), e dipende anche dalla pressione nel caso di aeriformi
La conducibilità termica può essere stimata al variare della temperatura ridotta e della pressione
ridotta per via grafica, utilizzando un diagramma generalizzato
Nelle unità del Sistema internazionale, la conducibilità termica è misurata in watt per metrokelvin (W/(m·K) o W·m-1·K-1), essendo il watt (W) l'unità di misura della potenza, il metro (m)
l'unità di misura della lunghezza e il kelvin (K) l'unità di misura della temperatura. Nel Sistema
tecnico (o Sistema pratico degli ingegneri), invece, essa è misurata in chilocalorie per orametro-grado Celsius (Kcal/(h·m·°C)o Kcal·h-1·m-1·°C-1).
In genere, la conducibilità termica va di pari passo con la conducibilità elettrica; ad esempio i
metalli presentano valori elevati di entrambe. Una notevole eccezione è costituita dal diamante,
che ha un'elevata conducibilità termica, ma una scarsa conducibilità elettrica.
Sostanza
W·m-1·K-1
diamante
1600
argento
460
rame
350
oro
320
alluminio
260
ottone
111
platino
70
quarzo
8
ghiaccio
2,20 - 2,50
vetro
1
laterizi
0,8
neve (compatta, strati da 20 a 40 cm)
0,70
acqua distillata
0,6
idrogeno
0,172
glicole etilenico
0,25
neve (moderatamente compatta, strati da 0,23
7 a 10 cm)
olio minerale
0,15
neve (soffice, strati da 3 a 7 cm)
neve (appena caduta e per strati fino a 3
cm)
lana
vermiculite
polistirolo espanso
aria secca (a 300 K, 100 kPa)
poliuretano
aerogel di silice
0,12
0,06
0,05
0,046
0,045
0,026
0,026
0,013 in pannelli sotto vuoto alla pressione di 1,7
× 10-5 atmosfere
In fisica il gradiente di temperatura è una quantità fisica utilizzata per descrivere la direzione e
l'intensità delle variazioni di temperatura. Formalmente, esso è un campo vettoriale definito
come campo gradiente di un campo scalare, detto anche campo di temperatura. Supponendo di
poter associare un valore di temperatura ad ogni punto dello spazio, si avrà una legge T del tipo
Se tale funzione è sufficientemente regolare, sarà possibile calcolarne il gradiente:
Il significato fisico di tale grandezza vettoriale è quello generale di gradiente di una funzione di
più variabili: la direzione del vettore indica il verso di maggior crescita della temperatura,
mentre il suo modulo indica l'intensità di tale crescita.
L'equazione
determina una varietà, in generale, bidimensionale, sulla quale la temperatura rimane
costantemente pari al valore T0; poiché dunque la temperatura non varia, sul piano tangente a
tale varietà il gradiente termico avrà proiezione nulla e sarà quindi ad esso perpendicolare. Di
fatto, una simile superficie è anche detta, nell'ambito delle funzioni di più variabili, curva di
livello, la quale soddisfa alla proprietà di ortogonalità testé enunciata.
Nel Sistema internazionale (S.I.) l'unità di misura è K/m (Kelvin a metro).
Se la funzione T(x,y,z) descrive le distribuzioni di temperatura all'intero di un corpo, per via
delle differenze di temperatura (supposte finite) all'interno di questo si manifesteranno dei flussi
di calore diretti dalle zone a temperatura maggiore verso quelle più fredde. Il gradiente di
temperature risulta in questo fenomeno un elemento discriminante: empiricamente è possibile
osservare che il flusso di calore è direttamente proporzionale alla norma di tale vettore. Dal
momento che il flusso avviene in direzione opposta a quella del gradiente, il quale punta nella
direzione di crescita della temperatura, si avrà:
La direzione del flusso non necessariamente coincide con quella del gradiente: tale equivalenza
richiederebbe isotropia nelle proprietà termiche del corpo soggetto al gradiente di temperature.
In generale, la conducibilità termica non sarà uno scalare, bensì un tensore di rango 2. La
direzione del flusso sarà allora data da
Nella conduzione termica viene dunque considerato questo nuovo vettore
che integrato su una superficie fornisce il flusso di calore attraverso di essa.
In termotecnica la trasmittanza termica (indicata con g) è una grandezza fisica che misura la
quantità di calore scambiato da un materiale o un corpo per unità di superficie e unità di
temperatura e definisce la capacità isolante di un elemento. Nel SI si misura in W/m2K.
Dato un fenomeno di trasmissione di calore in condizioni di regime stazionario (in cui cioè il
flusso di calore e le temperature non variano nel tempo) la trasmittanza misura la quantità di
calore che nell'unità di tempo attraversa un elemento della superficie di 1 m² in presenza di una
differenza di temperatura di 1 K tra l'interno e l'esterno.
Nella formula si tiene conto di una trasmissione di calore da un aeriforme ad un altro aeriforme
separati dalla lastra piana del materiale in esame, per irraggiamento, convezione e conducibilità
termica interna.
Dove:
● hi e he [W/m² K] sono i coefficienti di adduzione interna ed esterna;
● s [m] lo spessore del materiale;
● k [W/m K] la conducibilità termica interna del materiale.
Più il valore è basso, maggiore è l'isolamento della struttura in esame. Tanto maggiore è
l'isolamento termico, cioè tanto minore è la conducibilità termica e la trasmittanza, tanto
maggiore è l'inerzia termica di una struttura, a parità di massa della struttura. Il reciproco della
trasmittanza per la superficie di conduzione è la resistenza termica ovvero la capacità di un
materiale di opporsi al passaggio del calore:
La trasmittanza aumenta al diminuire dello spessore ed all'aumentare della conducibilità
termica. Strutture con bassissima trasmittanza termica si caratterizzano per fornire un elevato
isolamento termico.
Per la misura in opera della trasmittanza si deve seguire la norma ISO 9869. Il metodo descritto è
quello delle medie progressive, lo strumento usato è il termoflussimetro. La tecnica che studia la
misurazione dei flussi di calore è la termoflussimetria.
In vecchi documenti potrebbe trovarsi indicata la trasmittanza con la lettera K maiuscola ed
espressa in chilocalorie per ora, metro quadro e grado Celsius, al posto dei watt per metro quadro
e kelvin. La conversione è 1 W/m² K = 0,86 kCal/h m² °C.
In termotecnica per inerzia termica si intende la capacità di un materiale o di una struttura di
variare più o meno lentamente la propria temperatura come risposta a variazioni di temperatura
esterna o ad una sorgente di calore/raffreddamento interno. Il concetto è in piena analogia con
l'inerzia nel moto dei sistemi meccanici, dove l'energia meccanica è l'equivalente dell'energia
termica.
Si può valutare in termini di temperatura/tempo*differenza di temperatura (s-1) oppure più
comunemente in potenza/tempo*differenza di temperatura (W/s×K). È un parametro molto
importante, assieme alla conducibilità termica, per valutare l'efficientamento energetico di una
struttura, ad esempio in seguito di un isolamento termico o in assenza di esso. È proporzionale al
calore specifico dei materiali e alla massa (riassumibili nella capacità termica) e inversamente
proporzionale alla conducibilità termica (o più in generale alla trasmittanza termica) e alla
differenza di temperatura tra interno ed esterno.
Alcune tecniche di isolamento termico prevedono la realizzazione di manufatti edilizi che
soddisfino queste caratteristiche, cioè alto grado di inerzia termica grazie ad un aumento della
massa degli edifici, con costi superiori. Questo fa sì che le variazioni di temperatura si registrino
con un ritardo temporale più o meno accentuato mantenendo inalterate per più tempo le
condizioni ambientali preesistenti senza dover far intervenire una fonte di climatizzazione con
relativo consumo energetico per ristabilirle, cioè in maniera passiva.
La emissività di un materiale (di solito indicata con ) è la frazione di energia irraggiata da quel
materiale rispetto all'energia irraggiata da un corpo nero che sia alla stessa temperatura. È una
misura della capacità di un materiale di irraggiare energia. Un vero corpo nero avrebbe un
mentre qualunque oggetto reale ha
(corpo grigio).
L'emissività dipende da fattori quali la temperatura, l'angolo di emissione, la lunghezza d'onda e
la finitura superficiale del corpo osservato. In generale i metalli hanno emissività piuttosto bassa
e crescente con la temperatura, mentre i non metalli (in cui vanno inclusi anche gli ossidi
metallici) hanno emissività relativamente elevata e decrescente al crescere della temperatura.
Con finitura superficiale si intende sia la rugosità della superficie (valore medio, forma e
direzione delle asperità) del corpo che l'eventuale presenza di inclusioni estranee o zone
chimicamente o fisicamente alterate. Una rugosità elevata e senza direzioni preferenziali
aumenta l'emissività e la rende meno sensibile a variazioni di angolo di emissione. Ne consegue
che non è sempre possibile stabilire univocamente l'emissività di un corpo: nel caso ci siano forti
variazioni risulta più corretto parlare di emittanza in un dato punto, in una certa direzione, a una
certa temperatura e a una data lunghezza d'onda.
Comunque una tipica semplificazione ingegneristica è di considerare che per una stessa
superficie l'emissività e il coefficiente di assorbimento non dipendano dalla lunghezza d'onda,
così che l'emissività sia una costante. Questa è nota come ipotesi del corpo grigio. Quando si
trattano superfici non nere le deviazioni dal comportamento di un corpo nero ideale sono
determinate sia dalla struttura geometrica sia dalla composizione chimica, e seguono il principio
per cui l'emissività uguaglia il coefficiente di assorbimento (principio conosciuto anche come
Legge di Kirchhoff): in questo modo un oggetto che non assorbe tutta la luce incidente emetterà
anche meno radiazione rispetto a un corpo nero.