la domenica - La Repubblica

la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014 NUMERO 493
Cult
La copertina. I ragazzi del web sono diventati cattivi
Straparlando. Milena Vukotic tra Buñuel e Fantozzi
La poesia. Quando Larkin invidiava i Beatles
HarryePotter
James Bond
alla battaglia di Scozia
Tra un mese e un giorno il paese dei kilt andrà al referendum
La madre del maghetto più letto del mondo e il padre di tutti gli 007
spiegano perché voteranno “no” oppure “sì” all’indipendenza
J. K . R O W L IN G e SE A N C O N N E R Y c o n u n a rti c o l o d i E NRI CO FRAN CE S CH I N I
L’immagine. Dalle stelle alle star, gli chef lontani dalla cucina Il racconto. In vacanza con la famiglia Daltritempi
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
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La copertina. Harry Potter vs James Bond
STURROCK
ARGYLL
CARLISLE
HOUSTON
GORDON
J.K. Rowling e Sir Sean Connery non hanno la stessa idea
Carta d’identità
NOME: JEANNE
COGNOME: ROWLING
ETÀ: 49 ANNI
NATA A: YATE
(INGHILTERRA)
VIVE A: EDIMBURGO
(SCOZIA)
PROFESSIONE:
SCRITTRICE
IL SUO PRIMO
“HARRY POTTER”
VIENE PUBBLICATO
NEL 1997
E N R I C O FR A N C ESCHI NI
LONDRA
H
ARRY POTTER CONTRO JAMES BOND: chi avrà la meglio il prossimo 18 set-
tembre? A un mese dal referendum sull’indipendenza della Scozia,
con i sondaggi che danno i “no” al divorzio dalla Gran Bretagna in vantaggio (49 a 41 per cento) ma almeno il dieci per cento degli elettori
ancora incerti, anche le stelle scendono in campo. Non sono soltanto
la scrittrice J.K. Rowling, inglese che vive da anni a Edimburgo (dove
ha scritto la maggior parte dei romanzi sul suo fortunato maghetto)
e l’interprete del primo agente 007 cinematografico, Sean Connery,
scozzese che risiede alle Bahamas ma ha uno “Scotland Forever” (Scozia per sempre) tatuato su un braccio, a dire la loro. Gli attori Ewan
McGregor ed Emma Thompson (scozzese il primo, mezza scozzese la
seconda) si sono espressi per il “no” all’indipendenza, o più precisamente per il “ni”: il primo afferma di «amare la Scozia ma anche l’idea di una Gran Bretagna», la seconda ammette di capire «il romanticismo dell’indipendenza», concede che «l’Inghilterra si è comportata in modo orribile con la Scozia» ma ammonisce che «erigere nuove frontiere in un mondo globalizzato non è la risposta giusta». La cantante Annie Lennox, la cui canzone Sweet Dreams viene
spesso suonata come un inno alle manifestazioni degli indipendentisti, ritiene che una Scozia indipendente farebbe nascere «una società più egualitaria», mentre David Bowie, inglese che non si muove più da New York, ha mandato la top model Kate Moss a ricevere un premio a suo nome facendole
leggere una dichiarazione in cui implora la Scozia a «restare con noi».
La questione dell’indipendenza coinvolge anche i vip dello sport. Sir Alex Ferguson, mitico allenatore del Manchester United ma ben orgoglioso delle proprie radici a Glasgow, fa campagna attiva per
il “no” alla separazione, ma più che altro perché quella è la posizione del partito laburista di cui l’ex-tecnico è attivo militante. E il campione di tennis Andy Murray, abituato a essere considerato scozzese quando perde e britannico quando vince, fu travolto di insulti quando prima dei penultimi Mondiali di calcio,
alla domanda per quale squadra avrebbe tifato, rispose: «Chiunque purché non sia l’Inghilterra». Dopo
aver vinto la medaglia d’oro nel tennis per il Regno Unito alle Olimpiadi di Londra 2012, non ha gradito
quando l’anno scorso il primo ministro del governo autonomo scozzese, l’indipendentista Alex Salmond,
è arrivato in tribuna a Wimbledon avvolto in una bandiera scozzese.
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Oh no!
I secessionisti?
Mi ricordano
i Mangiamorte
J . K . R O W LI N G
M
I SONO POSTA di fronte alla questione
dell’indipendenza con la mente
aperta, consapevole di quanto sia
seria la scelta che siamo chiamati a
compiere. Non si tratta delle solite
elezioni, nelle quali a spoglio avvenuto possiamo
sempre prendercela con i risultati e sperare che nel
giro di quattro anni le cose vadano meglio. A prescindere da ciò che la Scozia deciderà, probabilmente un giorno saremo chiamati a rendere conto
di questa scelta ai nostri nipoti.
A scanso di equivoci, ho amici che militano nel
fronte “Better Together” (Insieme è meglio, ndt)
e altri che invece parteggiano a favore del “sì” all’indipendenza della Scozia. Di entrambe le fazioni
fanno parte persone intelligenti e attente. Penso
anzi che queste rappresentino la maggioranza.
Tuttavia so anche che esiste una frangia di nazio-
ARMSTRONG
FIDDES
ELPHINSTONE
nalisti che amano demonizzare chiunque non sia
ciecamente a favore dell’indipendenza, e temo che
malgrado io abiti in Scozia da ventun anni e preveda di trascorrervi il resto della mia vita mi ritengano “non sufficientemente” scozzese perché la mia
opinione possa essere considerata influente.
Sono nata nella West Country (regione sud-occidentale dell’Inghilterra, ndt) e cresciuta al confine con il Galles, e pur avendo ereditato del sangue
scozzese da parte di madre ho anche degli antenati inglesi, francesi e fiamminghi. Quando qualcuno
tenta di determinare la purezza delle nostre origini la situazione assume toni da Mangiamorte. Per
domicilio e per matrimonio, ma anche per gratitudine verso tutto ciò che questo Paese mi ha dato,
faccio assolutamente il tifo per la Scozia.
Il fronte del “sì” promette che se la Scozia si staccherà dal Regno Unito avremo una società più giusta, verde, ricca ed equa, e questa prospettiva appare estremamente allettante. Io non appoggio
l’attuale governo di Westminster e sono felice che
il decentramento ci abbia risparmiato ciò che sanità e istruzione stanno diventando nel sud del nostro Paese. Ma se spesso l’atteggiamento “londracentrico” dei media, che talvolta trattano la Scozia
con sdegno e senza attenzione, mi irrita, mi rendo
conto che quando si è trattato di salvare la Royal
Bank of Scotland è stata proprio l’appartenenza al
Regno Unito a risparmiarci la catastrofe economica. E mi domando anche se sia vero che, come ci assicura sempre il fronte del “sì”, i giacimenti petroliferi nel Mare del Nord possano bastare a sostene-
DOUGLAS
NAPIER
la Repubblica
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
KERR
ABERCROMBIE
MURRAY
DIANA
su quale debba essere il futuro della Scozia
Il film più bello?
Il mio paese
indipendente
S E AN CO NNERY
ONSIDERANDO che sono più di cinquant’anni che inseguiamo l’indipendenza, credo che tutte le varie argomentazioni siano state abbondantemente valutate e soppesate.
La cultura è ciò che definisce un Paese più di ogni
altra cosa, fornendogli visibilità internazionale e
stimolando l’interesse globale più di quanto la politica, gli affari o l’economia potrebbero mai fare.
Con il suo ricco passato, il forte senso di identità, le
tradizioni ben radicate e un deciso impegno verso
l’innovazione artistica e la tutela di un paesaggio
bello e vario, la Scozia è un Paese decisamente fortunato. Tutti questi attributi ne fanno anche uno
dei più conosciuti al mondo. Da scozzese che ha trascorso la maggior parte della propria vita lontano
dalla Scozia, rimango sempre stupito dall’affetto
che le persone nutrono verso la nostra nazione, e
dalla conoscenza che ne hanno. Una vittoria del “sì”
C
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ABERDEEN
Carta d’identità
NOME: THOMAS SEAN
COGNOME: CONNERY
ETÀ: 84 ANNI
NATO A: FOUNTAINBRIDGE
(SCOZIA)
VIVE A: NASSAU
(BAHAMAS)
PROFESSIONE:
ATTORE
È STATO
IL PRIMO
JAMES BOND
NEL 1962
al referendum del 18 settembre catturerebbe l’attenzione del mondo intero.
E ciò si tradurrebbe in un
rinnovato interesse nei
confronti della nostra cultura e della nostra politica.
Nessuno si sorprenderà
nell’apprendere che sono
particolarmente emozionato
al pensiero della grande opportunità che una vittoria del “sì” rappresenterebbe per l’industria cinematografica scozzese,
incoraggiando nuovi investimenti locali e la promozione a livello internazionale delle nostre suggestive location. Lo sviluppo e il consolidamento
dei settori cinematografico e televisivo si tradurrebbero in un afflusso di risorse e nella creazione di
nuovi posti di lavoro. Osservando i dati, è chiaro che
i vantaggi economici e culturali sarebbero enormi.
Nel 2011 le industrie creative della Scozia hanno
generato per l’economia del Paese 2,8 miliardi di
sterline. Il patrimonio storico ha fruttato più di due
miliardi di sterline, dando lavoro a sessantamila
persone. Sono cifre di tutto rispetto che potranno
diventare persino più ragguardevoli. Da scozzese
credo che l’opportunità di ottenere l’indipendenza
sia troppo importante per non essere colta. Per dirla in parole povere: non esiste atto più creativo che
quello di creare una nuova nazione.
© New Statesman 2014
(Traduzione di Marzia Porta)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oh yes!
re, e addirittura migliorare, la nostra qualità della
vita. Alcune delle persone più favorevoli all’indipendenza che io conosco ritengono che la Scozia,
destinata com’è ad eccellere, non debba temere di
camminare sulle proprie gambe. Questa visione
romantica della realtà mi colpisce particolarmente, perché anch’io credo che questo Paese sia eccezionale. La Scozia ha ottenuto dei risultati superiori alle aspettative in quasi ogni settore, e ha sfornato scienziati, statisti, economisti, filantropi,
atleti, scrittori, musicisti e addirittura primi ministri di Westminster in quantità che tenderemmo
piuttosto ad associare a un Paese ben più vasto.
Se esito nel sostenere l’indipendenza non è certo per mancanza di fiducia nello straordinario popolo scozzese. Il fatto è che la Scozia, come il resto
del mondo, è soggetta alle pressioni del ventunesimo secolo: deve competere nello stesso mercato
globale e procedere a dispetto di una ripresa economica che continua ad apparire incerta. Più ascolto il fronte del “sì”, più mi preoccupo di quanto questo minimizzi, o addirittura neghi, i rischi. Tutte le
volte che si affrontano problematiche serie — la pesante dipendenza dal petrolio nel caso diventassimo indipendenti, la valuta da adottare o l’appartenenza all’Ue — ogni ragionevole obiezione viene
messa a tacere con l’accusa di “allarmismo”.
Si sente dire: “Dobbiamo staccarci, altrimenti ce
la faranno pagare”, ma credo piuttosto che se votassimo per rimanere ci troveremo nell’inebriante
posizione del coniuge che sul punto di andarsene di
casa decide all’ultimo momento di dare un’altra
ERSKINE
chance al suo matrimonio. I principali partiti ci
blandiscono offrendoci maggiori poteri. Credo che
se votassimo per restare acquisteremmo una popolarità mai conosciuta prima, e ci troveremmo in
un posizione ideale per dettare delle condizioni. Se
invece ce ne andassimo non potremmo più tornare indietro. La separazione non sarebbe rapida né
indolore: solo degli interventi di microchirurgia potranno districare il groviglio formatosi in tre secoli di stretta interdipendenza. E una volta separati
dovremo vedercela con tre vicini maldisposti. Dubito che la Scozia, divenuta ormai indipendente,
potrà fare affidamento sui dolci ricordi che i suoi expartner conservano del legame che un tempo li univa. Inoltre, il resto del Regno Unito risentirà della
maggiore trasformazione che la Union ha conosciuto in secoli di storia.
Se la maggioranza degli scozzesi vuole l’indipendenza, mi auguro allora che il “sì” ottenga un
successo clamoroso. E anche se dopo aver letto queste righe alcuni dei nazionalisti più agguerriti volessero portarmi di peso al di là dei nostri confini, io
preferirei rimanere e dare il mio contributo a un
Paese che mi ha dato più di quanto io riesca a esprimere. A prescindere da quale sarà l’esito del referendum del 18 settembre, la Scozia vivrà un momento storico. Spero con tutto il cuore che non avremo mai motivo di guardarci indietro con l’impressione di aver compiuto un errore di portata storica.
© JKRowling.com
(Traduzione di Marzia Porta)
CLAN E TARTAN
DALL’ALTO, IN SENSO
ORARIO, ALCUNI TIPI
DI TARTAN
CHE RAPPRESENTANO
I DIVERSI CLAN
SCOZZESI
© RIPRODUZIONE RISERVATA
INGLIS
GORDON OF ABERGELDIE
FLETCHER
KINNAIRD
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LA DOMENICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
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L’immagine. Miti d’oggi
Dal pianoforte di Gualtiero Marchesi
alla passione per l’arte di Heinz Beck
Che cosa fanno i grandi cuochi
quando sono lontano dai fornelli?
Un fotografo ne svela gli hobby segreti
e loro volentieri si prestano al gioco
IL LIBRO
“BEYOND THE CHEF” (SKIRA,
264 PAGINE, 70 EURO)
DEL FOTOGRAFO GIANNI RIZZOTTI
È IN LIBRERIA
NELLA NOSTRA FAMIGLIA C’È UNA VOCAZIONE
CHE È QUASI UN KARMA: LA MUSICA. FACCIAMO MUSICA
PER NOI E PER GLI ALTRI. LA PRIMA FU MIA SUOCERA
GIUSEPPINA SERRA, SOPRANO E INSEGNANTE
DI PIANOFORTE DELLA FAMIGLIA FLORIO...
GUALTIERO MARCHESI (RISTORANTE TEATRO ALLA SCALA IL MARCHESINO, MILANO)
IL TRENTINO È TERRA DI ACCELERAZIONI VERTICALI,
VETTE ACCECANTI, NUVOLE VELOCI. IO SONO
UN NAVIGANTE DELL’ARIA, HO TRASVOLATO
IN PARAPENDIO DALLA VALTELLINA ALL’AUSTRIA, SONO
UN APPASSIONATO DEL VOLO IN TUTTE LE SUE FORME...
ALFIO GHEZZI (UNA STELLA MICHELIN. LOCANDA MARGON, TRENTO)
AMO LA CUCINA PERCHÉ PUÒ FARTI ATTRAVERSARE
TERRE INESPLORATE, O RIPORTARTI ALLA STUFA
DELLA NONNA. MI RICORDO ANCORA DI QUANDO
MI NASCONDEVO SOTTO IL TAVOLO, RESTAVO
INEBRIATO DAI PROFUMI DEL BRODO E DELL’ARROSTO...
MASSIMO BOTTURA (TRE STELLE MICHELIN. OSTERIA FRANCESCANA, MODENA)
MARCO MALVALDI
UANDO è che una persona diventa una star? Semplice:
quando qualcuno è talmente bravo o rinomato per una
sua qualche abilità che i mezzi di comunicazione cominciano a ritenere necessario informarci su tutto quello che
tale persona fa quando non fa quello che sa fare meglio.
Ci ritroviamo così a sapere tutto sulla passione per l’arredamento di scrittori e giornalisti, sulle capacità che alcuni attori hanno di scalare pareti rocciose di sesto grado e su altre simili minuzie. In alcuni casi, come quando
scopriamo le velleità danzanti o canore di Emanuele di
Savoia, non è chiaro cosa il personaggio sappia fare bene
nella vita reale; altre possibilità, come il parlare dei gusti
letterari e filosofici dei calciatori, non vengono inspiegabilmente prese in considerazione. Bene: dopo centrocampisti, veline, modelle, stilisti, registi ed attrici, adesso la parte della star tocca al cuoco. E vediamo in tv cuochi simpatici, scattanti, proattivi e magri, ognuno con una propria
caratteristica distintiva e un modo di interpretare la cucina. Quello che è bello, di questo
improvviso risorgere dell’interesse nazionalpopolare verso dei tizi che cucinano, è che
molti di questi cuochi sono diventati famosi proprio come cuochi, ovvero facendo il loro
mestiere. E io, di questa cosa, non posso che essere contento. Il mangiare è un’attività necessaria, che bene o male interessa tutti, perché tutti mangiamo; ed è una delle poche attività umane che coinvolgano tutti e cinque i sensi contemporaneamente. Tutti, anche
l’udito: devo ancora conoscere qualcuno a cui non piaccia il rumore di un fiore di zucca che
sfrigola in padella. Per noi, esseri del ventunesimo secolo, che leggiamo giornali virtuali
e ci stiamo piano piano disabituando a tutti i mostruosi pregi della multisensorialità, mangiare e cucinare può essere un ottimo allenamento per ricordarci tutti i vantaggi del nostro incancellabile status di animali. Mangiare, si diceL’AUTORE
va, e cucinare; e soprattutto essere in grado di associare qualcosa che viene mangiato al fatto che prima bisoMARCO MALVALDI È CHIMICO
gna cucinarlo, è un punto molto importante, per noi che
E SCRITTORE. IL SUO ULTIMO
abbiamo passato gli ultimi decenni convinti di poter
ROMANZO È “ARGENTO
comprare quello che ci serviva, che ci sarebbero sempre
VIVO” (SELLERIO 2013, 272
stati i soldi per comprarlo, e che qualcun altro avrebbe
PAGINE, 14 EURO )
pulito dopo. Non c’è modo migliore di apprezzare qualcosa se non fabbricandocelo con le nostre manine, il che
vale per il cibo come per qualsiasi altra cosa. Ben vengano, dunque, gli chef che dalle stelle della guida vanno verso la consacrazione di stelle della tv e del web. A patto che continuino a dirci come cucinare, e quali sbagli evitare in cucina, senza ammorbarci con le loro squadre del cuore o con la loro presunta abilità nella fotografia subacquea: di questo,
mi perdonino, non sappiamo che farcene.
Q
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C’è
vita
oltre
lo chef
la Repubblica
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
LO STORICO DELL’ARTE BERNARD BERENSON DICEVA
CHE IL VERO AMORE PER L’ARTE È UN DONO NON MENO
CHE IL CREARLA. LO STESSO VALE PER L’ALTA CUCINA:
CHI CREA E CHI AMA SONO MOLTO MENO DISTANTI
DI QUANTO COMUNEMENTE SI POSSA PENSARE
HEINZ BECK (TRE STELLE MICHELIN. LA PERGOLA, ROMA)
AVEVO DODICI ANNI QUANDO INIZIAI A LAVORARE
IN PASTICCERIA. NELLA VITA TUTTE LE ESPERIENZE
HANNO UN VALORE, NESSUNA ESCLUSA. QUEL LAVORO
SVELÒ A ME STESSO L’AMORE PER IL CIBO.
NON HO AVUTO MAESTRI. SONO UN SELF MADE CHEF
CICCIO SULTANO (DUE STELLE MICHELIN. DUOMO, RAGUSA)
LA MIA STAGIONE PREFERITA È L’INVERNO. QUANDO
LA NEBBIA ATTANAGLIA LA PIANURA, NEL PARCO
DELL’OGLIO, IN PIENA CAMPAGNA MANTOVANA,
MI METTO IN TESTA IL CAPPELLO DA PRETE
E IL MANTELLO. È LA RISPOSTA PERFETTA...
GIOVANNI SANTINI (TRE STELLE MICHELIN. DAL PESCATORE, CANNETO SULL’OGLIO)
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LA CUCINA È RICERCA. IL MIO LABORATORIO SI CHIAMA
COMBAL.ZERO. I RIFLESSI DEL CRISTALLO IRRORANO
LO SPAZIO. SONO IN CONTINUA EVOLUZIONE.
AMO LE TAVOLE DEGLI ELEMENTI. L’AMBIENTE
È TEATRALE. IL FOOD È DESIGN. PREPARO CYBER EGGS
DAVIDE SCABIN (DUE STELLE MICHELIN. COMBAL.ZERO, RIVOLI)
QUANDO SONO ARRIVATO IN ITALIA NELLA MIA VALIGIA
C’ERA UN CLANDESTINO: LA MIA PASSIONE
PER IL CALCIO. ALL’INIZIO DEGLI ANNI NOVANTA
A TOKYO HO GIOCATO NELLA NAZIONALE NIPPOBRASILIANA DI CALCIO A CINQUE. L’INTER È IL MIO OPPIO
ROBERTO OKABE (FINGER’S, MILANO)
MONTEMERANO È UN BORGO MEDIOEVALE
DELLA MAREMMA, IN CIMA A UNA COLLINA. BOSCHI,
ULIVI, VITI, ACQUE TERMALI. MI SENTO LONTANA
DALLE MODE. MI SENTO VICINA ALLE STAGIONI.
MI LIMITO A PRENDERE IN PRESTITO I LORO PROFUMI
VALERIA PICCINI (DUE STELLE MICHELIN. DA CAINO, MANCIANO)
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LA DOMENICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
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Il racconto. Di ferragosto
Un faldone zeppo di dépliant e ricevute d’albergo
Una fitta corrispondenza. Un padre scrupoloso
E un giovane scrittore che un bel giorno sale
in macchina e decide di andare a cercarla
La famiglia
Daltritempi
va in vacanza
L’AUTORE
VALERIO MILLEFOGLIE
MACUGNAGA (PIEMONTE)
M
OLTI anni fa, in un mercatino dell’antiquariato, ho trova-
to un vecchio faldone portadocumenti. Aprendolo ho scoperto un’epoca: venti anni di vacanze di una famiglia milanese. Dal 1957 al 1977 il capofamiglia ha raccolto e archiviato la corrispondenza con gli albergatori, le ricevute dei ristoranti e i dépliant pubblicitari che promettevano tramonti da sogno, american bar e bagni in tutte le
camere. Per me valeva tantissimo, per il venditore quindici euro. Tornato a casa l’ho letto come fosse un romanzo, appassionandomi a quelle lettere scritte in modo così formale e rigoroso. Da alcuni dettagli si delineava una saga familiare con comparse di suocere, cognati, amici dai nomi fantasiosi come i Sigg. Panico e vacanze da prenotare. A ferragosto si pensava già a dove passare l’ultimo dell’anno. Da una lettera inviata il 18 marzo 1958 all’indirizzo dello
Spett.le Albergo Moderno di Macugnaga, località
ai piedi del Monte Rosa, vengo a conoscenza dei
principali protagonisti di questa storia: “Gradirei
sapere se Lei dispone di una camera a due letti con
acqua corrente calda o fredda per mia moglie ed il
mio bambino di sei anni, dove poter aggiungere
una branda per quelle poche notti che io passerò
costì”. Il proprietario dell’Albergo Moderno propone la camera 102 specificando che: “Le rendo
noto però che in una parete di questa camera passa la canna fumaria delle cucine, nelle giornate
fresche ciò è di vantaggio ma in quelle calde può
rappresentare una molestia”. Le trattative proseguono per tutto il mese di marzo e si giunge a
VALERIO MILLEFOGLIE
È SCRITTORE, MUSICISTA
E PERFORMER, SONO SUOI
“MANUALE PER DIVENTARE
VALERIO MILLEFOGLIE” (BALDINI
CASTOLDI DALAI 2005), “L’ATTIMO
IN CUI SIAMO FELICI” (EINAUDI
2012) E IL DISCO “I MIEI MIGLIORI
AMICI IMMAGINARI” (QUIET,
PLEASE!/EMI 2011). IL SUO ULTIMO
LIBRO È “MONDO PICCOLO”
(CONTROMANO LATERZA, 2014)
un accordo a fine aprile: la famiglia, che chiameremo la famiglia
Daltritempi, pernotterà lì dal 2 al 24 agosto. Di quel mese posso sapere solo i conti dei pranzi e delle cene, ma una lettera di
settembre a firma del proprietario dell’Albergo Moderno innesca un giallo: “Gentile Signora, ho guardato subito nella camera 106 da Lei occupata, ma vi erano solo i cuscini normali del letto matrimoniale. Scriverò pertanto al facchino Dante per chiedergli dove lo ha messo, in modo da poterlo isolare e tenerlo poi
a Sua disposizione. Intanto Lei dovrebbe informarmi se il cuscino aveva qualche segno o connotato speciale, atto a facilitare la sua identificazione”.
In questo tempo ho conservato il raccoglitore in un angolo
della casa, e della mente, rimandando per un anno l’idea di ri-
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DOMENICA 17 AGOSTO 2014
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IL FALDONE
NELL’ALTRA PAGINA
IL FALDONE RITROVATO.
QUI SOTTO UNA PARTE
DEL SUO CONTENUTO
percorrere i loro viaggi. Poi, ora che la mia compagna è in attesa e stiamo per diventare anche noi una famiglia, decido di partire per sapere che fine hanno fatto il cuscino, la famiglia e le vacanze di una volta.
Parcheggio nella piazza dove un tempo si fermavano le corriere. Ad attendere i turisti c’era un esercito di facchini in uniforme, si riconoscevano dal nome dell’albergo ricamato in oro sul
cappello. In un dépliant dell’epoca l’albergo Moderno è ritratto accanto alla chiesa del paese, seguo il campanile nel cielo e
mi allontano dal centro. Attraverso prima una “Scuola Asilo”,
alle finestre disegni di mani colorate, e poi un edificio abbandonato, che scoprirò essere un altro hotel storico. Di fronte c’era l’albergo Moderno. Al suo posto ci sono un panificio, la rimessa di un artigiano e un condominio. Entro nel panificio per
illudermi di entrare nella hall. Faccio il giro del palazzo, più volte durante la giornata. Ogni volta spero di ritrovare l’albergo o
d’incontrare un inquilino così affezionato alla camera delle sue
estati da aver deciso di acquistare la casa. Nel suo appartamento ha lasciato tutto com’era, compone il numero del centralino e risponde una voce dal ’58. L’emporio qui vicino è rimasto come allora, è di proprietà della coppia più anziana di Macugnaga. «Non ha abbastanza carta per gli appunti», mi dice
l’uomo indicando la mia agenda quando gli chiedo se posso fargli qualche domanda. La moglie mi stringe forte il braccio e mi
dice: «Siamo vecchi, noi dobbiamo morire». Più tardi vedrò l’uomo seguire con il binocolo la passeggiata della moglie, non potendo star dietro al suo passo, le sta vicino con gli occhi.
La famiglia Daltritempi mi ha portato qui e non lo sa, sono venuto a passare le ferie con loro, solo un po’ in ritardo. Ogni persona che incontro mi fa il nome di un’altra persona che potrebbe sapere qualcosa dell’albergo, del facchino Dante e della famiglia che cerco. Elemosino aneddoti e ricordi passando da un
volto all’altro, da un bar al salotto di un collezionista di memorabilia del posto: «Mi sono trasferito a vivere qui dopo la morte
di mia moglie, per starle più vicino». Mi mostra i suoi tesori: una
serie di cartoline del Moderno, un libretto di poesie dedicate a
Macugnaga scritto e autoprodotto da Giovanni Testori, alcune
lettere che la poetessa Amelia Rosselli aveva scritto da qui al figlio Carlo, come questa datata 7 agosto 1914: “Quando arriva
qualche copia del giornale, alle due, tutti corrono e se la strappano di mano l’un l’altro come tanti selvaggi. È una vita di ansia
continua. Spero anch’io che succeda quello che speri tu”. Più o
meno negli stessi giorni di quell’anno una signora spediva questa cartolina a un’amica: “Carissima, siamo agli sgoccioli, le nostre vacanze stanno per finire. Il tempo è sempre incerto, assai
variato, bellissimo e anche bruttissimo in una stessa giornata
causa il vento. È piuttosto freddo ma non dà fastidio. Le partenze sono molte e gli alberghi vanno chiudendosi”.
All’hotel Le Alpi sono l’unico ospite. In cento anni ha visto feste e gran galà, fuggiaschi e soldati. I primi si nascondevano nelle camere, gli altri s’intrattenevano al bar. Ceno da solo nella sala da pranzo facendomi compagnia con il libro degli ospiti. La
notte ho il sonno tormentato. Sogno di due famiglie che vogliono trascorrere insieme le vacanze, ma provengono da epoche
diverse e quindi, anche se sono nello stesso albergo, non riescono mai a incontrarsi. Ripenso alle parole e alle informazioni
recuperate durante il giorno. Guido Morselli, autore di romanzi postumi come Roma senza Papa e Dissipatio H.G, si suicida di
ritorno da una vacanza a Macugnaga perché nessun editore
vuole pubblicare i suoi libri. I cavalli ammaestrati entrano nella sala da pranzo del Grand Hotel Monte Moro, l’edificio abbandonato di fronte al Moderno, e ballano al suono dell’orchestra. I bambini giocano con i coriandoli fuori da un dancing. Nella mia testa il raccoglitore della famiglia Daltritempi si popola
di altri personaggi. Prendo sonno quando devo svegliarmi. Raggiungo a piedi un’abitazione che si trova dopo un ponticello e
parlo finalmente con una donna che ha lavorato come cameriera al Moderno. «Certo che conoscevo il facchino Dante, era
un bravissimo facchino. Era di Sanremo e veniva insieme al cuoco, anche lui di lì, avrà avuto cinquant’anni. Il Moderno era di
prima categoria. Tutte le posate, le portate e i bicchieri erano in
argento. Dopo colazione i turisti andavano a fare le loro passeggiate, tornavano per pranzo verso le dodici e mezzo. Nel pomeriggio un sonnellino e poi altre passeggiate, queste erano le
vacanze». In quei giorni, mentre la famiglia Daltritempi era sotto il sole, il primo sottomarino atomico americano era sotto il
ghiaccio e raggiungeva il Polo nord. Oltre a questa notizia, un
giornale riporta il resoconto di un evento che ha allietato la serata dei villeggianti, “Singolare raduno a Macugnaga. Una giuria femminile ha giudicato i calvi d’Italia. Il vincitore, quarantottenne, ceramista di Varese, sposato, due figli è calvo dal
1925”. La signora Daltritempi si sofferma a leggere divertita
l’articolo, le fatture riportano che la mattina del 6 agosto fa colazione pagando 100 lire. Gli altri giorni beve del caffè o del latte semplice per 60 lire. A pranzo e a cena, insieme al marito le
poche volte che lui la raggiunge costì, ordinano del vino, 400 lire per brindare a un’altra estate insieme. Torneranno anche
l’anno seguente, così come quello dopo e quello dopo ancora. Io
invece riparto. In borsa ho il raccoglitore e penso a una lettera
del ’67 spedita all’Albergo Sanciani di Sondrio: “Per cortesia che
il terzo letto sia di lunghezza normale dato che il mio ragazzo è
alquanto cresciuto”. Potrei tornare a casa, o potrei partire per
scoprire i letti del boom. Grazie al miracolo economico facevano gli stessi progressi di chi ci dormiva e sognava più in grande.
Intanto dispiego la cartina, metto in moto e lascio il 1958.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
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Spettacoli. Vite da film
Fu l’uomo che inventò
la “Hollywood rossa”
Dagli archivi del Pcus
riemerge l’avventura
di Francesco Misiano
LOCANDINE
QUI A DESTRA MISIANO NEL 1930.
IN ALTO ALCUNI DEI FILM PRODOTTI
DALLA MEZRABPOM: IL FANTASCIENTIFICO
“AELITA” DI PROTAZANOV, “TEMPESTE
SULL’ASIA” E “LA MADRE” DI PUDOVKIN
L’italiano
della
Potemkin
la Repubblica
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CARICATURA
G IANCARLO BO CC H I
C
OSA CI FACEVANO MARY PICKFORD E DOUGLAS FAIRBANKS, “la fidanzata d’Ameri-
ca” e il “Robin Hood a stelle e strisce”, per le strade della Mosca bolscevica
del 1926 inseguiti da uno stuolo di cineoperatori tra due ali di folla in delirio? Chi aveva reso possibile quell’evento incredibile che non vedeva i leader della Rivoluzione d’Ottobre ma i due divi simbolo dell’America raccogliere tanto calor di popolo? L’autore di quel miracolo era stato Francesco
Misiano, un italiano. Il suo nome, cancellato nel dopoguerra e oggi sconosciuto ai più, suonava invece familiare negli anni ‘20 e ‘30 alle orecchie di
Sergei Eisenstein, Thomas Mann, Dos Passos, Maksim Gorkij, Bernard
Shaw, Bertold Brecht, Vsevolod Pudovkin, Charlie Chaplin, Albert Einstein.
La sua vita straordinaria è indissolubilmente legata alla storia del cinema e
in particolare all’“età dell’oro” del cinema russo. Capolavori come La Corazzata Potemkin non sarebbero mai arrivati ad un successo internazionale e epocale senza il suo intuito.
Inventore della cosiddetta “Hollywood rossa”, Misiano fu in sostanza il più grande produttore cinematografico dell’Unione sovietica. Riuscì a realizzare quattrocento tra film e documentari.
“Sono nato nel 1884 in Calabria. Mio padre era un sarto, mia madre un’istitutrice. Fino a sei anni ho vissuto a Ardore, il mio paese. Quando ne ebbi nove anni mio padre diventò cieco...” scriverà Misiano nel 1930
in un documento finora inedito presentato a sua difesa davanti alla Commissione di epurazione del partito comunista quando le cose per lui e per tanti altri nell’Urss di Stalin cominciarono ad andare male. Ferroviere, a vent’anni Misiano aderisce al Partito socialista. Pacifista e antimilitarista, diserta e raggiunge
Zurigo dove conosce Lenin. Poi è a Berlino dove, armi in pugno, è al fianco di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht per difendere la sede del Vorwärts, l’organo del partito socialdemocratico tedesco. Dopo sei giorni
d’assedio, finite le munizioni, viene arrestato e rinchiuso in carcere per dieci mesi. Eletto deputato nel ’19
torna in Italia, va a Fiume e subisce la “condanna a morte” di D’annunzio: “Il miserabile disertore tenta di
entrare nella città per fare opera di sobillazione. Dategli la caccia e infliggetegli il castigo immediato, a ferro freddo!”. Durante il “biennio rosso” partecipa all’occupazione delle fabbriche e nel 1921, assieme a
Gramsci e Bordiga, è tra i fondatori del Partito comunista d’Italia. Viene aggredito da un gruppo di deputati fascisti e nazionalisti che dopo averlo picchiato lo rasano, lo coprono di vernice e di sputi obbligandolo a sfilare con un cartello al collo. Torna a Berlino,
dove contribuisce a fondare il Soccorso operaio in- no investe in tutti i generi, ma sempre con un livelternazionale e dove gli viene finalmente proposto lo tecnico elevatissimo, utilizzando sia autori tradi aprire una sede dell’organizzazione in Urss e qui dizionali che innovatori, sia divi del teatro che voldi realizzare film e documentari per autofinanzia- ti ancora sconosciuti. I film della Mezrabpom fanno
re l’organizzazione. Ecco dunque Mosca, l’Unione ridere, piangere e pensare milioni di cittadini sovietici. E affascinano le platee di tutto il mondo con
Sovietica, il cinema.
L’Urss appariva in quegli anni ancora molto le vicende della rivoluzione d’Ottobre, grazie soaperta e tollerante, perfino verso quelle avanguar- prattutto alla Corazzata Potemkin che è proprio Midie artistiche che avevano prodotto i progetti più siano a esportare e distribuire attraverso la Provisionari, la pittura di Rodcenko, di Malevic, il tea- meteus Film fuori dai confini dell’Urss.
Ma sul nascere degli anni ’30 gli spazi di libertà
tro di Mejerchol’d, il cinema di Dziga Vertov. Quando la Nep, la nuova politica economica di Lenin, co- cominciano a chiudersi. A Mosca si apre l’epoca grimincia a promuovere l’iniziativa privata anche in gia dei piani quinquennali, del realismo socialista,
campo culturale, Misiano si lancia nell’impresa di dell’unanimismo, della caccia ai trotskisti e ai “pacreare e dirigere la sezione cinematografica del Soi. cificatori”. L’internazionalismo solidale del SocNasce così la Mezrabpom Film. E si apre per lui una corso operaio internazionale comincia ad apparire
nuova stagione, la più frenetica, la più esaltante. un corpo estraneo, perfino ostile, alle strategie staSono anni di continui viaggi in tutta Europa a repe- liniste del “socialismo in un paese solo”. Partono ririre pellicole, a presentare e diffondere i film sovie- petute condanne di “intellettualismo e formalitici e ad importarne dall’occidente, a sovrintende- smo” che coinvolgono le iniziative e le produzioni
re a nuove produzioni in Russia, a creare un terre- del Mezrabpom. Quanto ai rapporti con i compagni
no d’incontro tra la nuova cinematografia sovieti- di partito in Italia, da alcuni documenti da noi rica e registi come Hans Richter, Erwin Piscator, Jo- trovati negli Archivi riservati sovietici emerge che
ris Ivens, intellettuali come Béla Bàlazs, attori, dal nucleo dei comunisti vicini a Togliatti, con cui
scrittori, musicisti. La sua malandata Lincoln de- Misiano aveva continuato a mantenere un rapporcappottabile scorrazza per le vie di Mosca con a bor- to problematico, partono attacchi politici e persodo i maggiori protagonisti della cultura progressi- nali più duri che mai. Quando scrive “Hitler andrà
sta europea, e il suo piccolo appartamento di Mosca al potere. Il partito comunista sarà distrutto. Per dediviene meta abituale dei più noti cineasti sovieti- cine di anni la classe operaia tedesca sarà vinta” la
ci e sede di interminabili dibattiti di estetica. Ma il sua analisi viene etichettata come “prospettiva opsuo cruccio principale è un altro ed è tutto politico: portunistica della disfatta, cavallo di battaglia del
la creazione di un fronte antifascista mondiale, il troschismo rivoluzionario”.
Agli inizi del 1934, ancor pripiù largo possibile, per tentare di superare i settarismi. “Che diavolo è diventato il nostro partito, che ma dell’assassinio di Kirov
suppone dappertutto compagni in atto di far piani e della definitiva resa
che danneggiano gli altri compagni e il partito? E dei conti di Stalin con
cosa diventerà, se si trasforma in una serie di per- gli oppositori intersone che si sentono perpetuamente minacciate dal ni, Paolo Robotti, coproprio compagno?”. Così scriveva a Terracini, nel gnato di Togliatti e
1923. Ad un anno da quella lettera, Misiano subirà responsabile del Club
il primo processo politico da parte della “Centrale degli internazionali, accusa Misiano di aver sosteitaliana”. L’accusa è di aver gestito inadeguata- nuto in Tenebre, un dramma teatrale d’impronta
mente nel 1922 la distribuzione di aiuti durante la pacifista del 1918, “una tesi antileninista” e di aver
carestia nelle regioni del Volga. “Il caso Misiano” esaltato “la diserzione dall’esercito borghese”, una
viene smontato in poche settimane dalla potente tesi “massimalista quindi antirivoluzionaria”. MiCommissione di controllo del Comintern che an- siano viene pesantemente accusato anche sul giornulla e sconfessa, con grande delusione di Palmiro nale murale del Partito con nove articoli e due viTogliatti, le decisioni prese dalla Commissione del gnette: “Per sei sere abbiamo discusso inutilmente
col compagno Misiano per mostrargli i suoi errori.
Partito Comunista d’Italia.
Messi provvisoriamente a tacere i suoi nemici, Ma inutilmente… Le sue ultime parole sono state
Misiano impegna tutte le sue energie intellettuali una sfida contro il collettivo”. Anche la moglie, Mae creative nella Mezrabpom Film. Nel giro di pochi ria, viene presa di mira. Accusata di far “opera di dianni produce centosessanta film e duecentoqua- sgregazione…” è sospesa per un anno dal Club deranta documentari, da grandi capolavori come La gli internazionali. Misiano scrive diverse appassiomadre, La fine di San Pietroburgo e Tempeste sul- nate difese delle sue idee e del suo operato, ma venl’Asia di Pudovkin a pellicole di genere (polizieschi, gono definite dai suoi accusatori “non operaie...
comici, sentimentali, commedie) più tantissimi non comuniste… una prova in più della sua mentafilm per bambini, soprattutto cartoni animati lità individualistica piccolo – borghese”.
estremamente innovativi, veri gioielli di tecnica e
“So bene che nella vita del Partito, una parola mal
di creatività. Le sale cinematografiche di tutta la collocata in una Commissione d’inchiesta può ucRussia si riempiono fino all’inverosimile di spetta- cidere un uomo”, annotava Misiano già nel 1923 a
tori incantati da storie in cui riconoscono la loro vi- margine della sua prima autodifesa. La profezia si
ta di tutti i giorni, come ne La casa in piazza Trub- avvera nel 1936. Viene proposto al partito bolscevaja e ne La ragazza con la cappelliera, o si lasciano vico dell’Urss la sua espulsione. Misiano si ammala
trasportare nel mondo fantastico de Le avventure e muore il 16 agosto del 1936 in un sanatorio. Si
di Mr. West nel paese dei bolscevichi e perfino in diffonde la voce che sia stato assassinato. Tre giormondi alieni come quello di Aelita di J.A. Protaza- ni dopo, a Mosca, comincerà il primo dei grandi pronov che incita all’insurrezione i proletari del pia- cessi staliniani.
neta Marte. La Hollywood rivoluzionaria di Misia© RIPRODUZIONE RISERVATA
“FATE LARGO AI BAMBINI!”
MISIANO IN UN DISEGNO
SATIRICO DEL FAMOSO
REGISTA PUDOVKIN
(IL SECONDO DA DESTRA)
DIVI
MOSCA, 1926:
DA SINISTRA FRANCESCO
MISIANO E GLI ATTORI
AMERICANI DOUGLAS
FAIRBANKS
E MARY PICKFORD
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
Next. Camera con vista
Le
tappe
367 a.C.
ATLANTIDE
1870
LA STORIA DELL’ISOLA
LEGGENDARIA
SPROFONDATA
NEGLI ABISSI COMPARE
LA PRIMA VOLTA
NE “I DIALOGHI”
DI PLATONE.
RISCOPERTA IN ETÀ
MODERNA ISPIRA
MOLTI AUTORI
TRA CUI BACONE CON
“LA NUOVA ATLANTIDE”
MAURIZIO RICCI
LU, glu. A incontrar qualcuno, passeggiando là fuori, non sarete in grado di dire di più, lo vogliate o no. Il posto, per giunta, è un po’ umido, la luce diffusa e fioca. In compenso il clima è mite tutto l’anno e il panorama intorno mozza il fiato.
Se siete un lupo di Wall Street, con portafogli conseguente,
potete farci un pensierino: 300 metri quadri di villa, tre camere da letto, tre bagni, vista sulla barriera corallina, vanno per dieci milioni di dollari, più un milione per la messa in
opera. Più o meno, l’equivalente di otto milioni di euro. E allora, ci potete pensare anche se, più modestamente, siete
solo un presidente della Regione Lombardia, un po’ disinvolto: la villa di Formigoni in Sardegna vale cinque milioni
di euro. Ed è una banalissima costruzione di mattoni che
guarda la baia. Questa, invece, è una bolla trasparente,
quindici metri sotto il mare, faccia a faccia con polipi e meduse: nessuno dei vostri amici ce l’ha.
In verità, al momento, anche se siete un lupo di Wall Street o di Palazzo Lombardia, non potete averla neanche voi. L’idea di vivere sott’acqua attraversa da secoli il nostro immaginario:
in fondo, non si è mai ben capito se gli abitanti della sommersa Atlantide vivessero sopra o sotto il pelo dell’acqua. Negli ultimi cinquant’anni, ci si è riusciti davvero, svariate decine di volte. Quasi sempre, però, per sperimentare condizioni particolari, come quelle delle spedizioni
nello Spazio. O, comunque, per scopi scientifici. Battistrada, naturalmente, Jacques-Yves Cousteau. Il suo Précontinent fu posato sul fondo del mare poco più di cinquant’anni fa. Permetteva di vivere una settimana, respirando aria compressa, dentro un cilindro d’acciao battezzato
con il nome di “Diogene”. Fate un salto di mezzo secolo e anche una persona debole di cuore
può seguire le orme di Costeau. In nome della trivialità dei tempi, la scienza è scomparsa e
sott’acqua ci si va per mangiare: una galleria trasparente di plexiglass, con tavoli e pavimenti
di legno chiaro, dove gustare, fra lo svolazzare di una manta e le evoluzioni di uno squalo balena, un menù di sei portate di cucina europea, caviale compreso. È l’Ithaa, il “ristorante sotto il
mare” del Conrad Hilton Hotel di Rangali, alle Maldive (1.400 dollari a notte). Ed è anche l’unica struttura di vita ordinaria sottomarina, sia pure di passaggio, attualmente esistente.
G
JULES VERNE
CON QUASI UN SECOLO
DI ANTICIPO
NEL ROMANZO
DI FANTASCIENZA
“VENTIMILA LEGHE
SOTTO I MARI”
LO SCRITTORE
PREVEDE L’UTILIZZO
DEL SOTTOMARINO
E LA COLONIZZAZIONE
DA PARTE DELL’UOMO
DEGLI ABISSI
Ma, allora, la villa da trecento metri quadri in
mezzo ai pesci-palla? Per ora, è solo un progetto.
La Us Submarines, che l’ha disegnata, non ne ha
costruita neanche una, ma la fattibilità tecnica è
a portata di mano. La H2Ome, come l’hanno chiamata, ha tutti i servizi (riscaldamento, condizionatore, ventilazione ecc.) in superficie. Poi, immaginate una scala a chiocciola o un ascensore
trasparente che scende fino dentro la casa, a quindici metri di profondità. Potrebbero essere anche
200 ma, oltre al fatto che a quella profondità c’è
buio e quasi tutta la vita marina è concentrata nei
primi dieci metri dalla superficie, ci sarebbero
problemi di pressione. Ci sono, in realtà, anche a
quindici metri. Uno dei punti chiave della H2Ome
è, infatti, la pressurizzazione dell’ambiente, come su un aereo. Altrimenti, per andare su e giù,
bisognerebbe ogni volta passare attraverso la
procedura della decompressione.
Se la H2Ome aspetta commesse, il Poseidon
Undersea Resort, alle Figi, sarebbe già in attività,
non fosse, giurano i titolari, per via dei colpi di stato e degli intralci burocratici. Su Internet si può
vedere l’animazione in 3D dell’hotel, con le stanze che si snodano sul fondo dell’oceano, a ridosso
della barriera corallina dell’isola di Katafinga: legni chiari, mobili sobri e moderni, pareti trasparenti su un brulichio di vita sottomarina tropicale. L’albergo ancora non c’è, ma i prezzi sì: 12 mila euro per una settimana in suite.
Poseidon Resort e H2Ome sono solo due dei
progetti di vita sottomarina che si vanno accu-
20 leghe
sotto i mari
Questo è il primo progetto
di villettapronta
per essere costruita,
installata (e abitata)
a quindici metri
di profondità
Sarà sott’acqua
il futuro di noi terrestri?
38
la Repubblica
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
1960
1962
TRITON CITY
PRECONTINENT 1
LA PRIMA CITTÀ
GALLEGGIANTE
E AUTOSUFFICIENTE
VIENE IDEATA
E PROGETTATA
NEGLI ANNI ’60
DA BUCKMINSTER
FULLER, BRILLANTE
E POLIEDRICO
ARCHITETTO
E DESIGNER
STATUNITENSE
mulando in questi ultimi anni. Quasi tutti gli altri,
però, più che prevedere un vero e proprio trasferimento, presuppongono l’apertura come di una testa di ponte sott’acqua, con un costante via vai tra
sopra e sotto, un po’ come nel “ristorante sotto il
mare” delle Maldive. Il Water Discus Hotel, allo studio a Dubai, è composto da due dischi — uno sopra
e uno sotto l’acqua, collegati da scala e ascensore.
Rompendo l’isolamento, tuttavia, il sott’acqua si
popolarizza, non è più terreno esclusivo degli straricchi, diventa una ipotesi di massa. Anzi, quasi una città. Il “waterscraper”, il “grattacqua”
immaginato da Sarly Adre Bin
Sarkum, è un grattacielo
rovesciato, ma anche
una entità urbana
autosufficien-
L’AUTO
LA LOTUS ESPRIT ANFIBIA È L’ASSO NELLA MANICA
CHE PERMETTE ALL’AGENTE 007
DI SFUGGIRE AI SUO INSEGUITORI NEL FILM
“LA SPIA CHE MI AMAVA” DEL1977.
PECCATO PERÒ CHE NELLA REALTA NON FUNZIONI
1994
© RIPRODUZIONE RISERVATA
GIORNO
NELLE VILLETTE DEL PROGETTO
H2OME È PREVISTA ANCHE
UN’AMPIA AREA PER IL PRANZO,
PERFETTAMENTE CLIMATIZZATA
IN MODO CHE NON SIA
NECESSARIO ALCUN TIPO
DI DECOMPRESSIONE QUANDO
SI RISALE IN SUPERFICIE
LA CASA
H2OME È L’UNICO PROGETTO ESISTENTE DI CASA
SOTT’ACQUA. LA US SUBMARINE, CHE L’HA PROGETTATA,
TUTTAVIA ANCORA NON L’HA COSTRUITA
AVETE SEMPRE SOGNATO
DI DORMIRE SOTTOIL MARE?
IL SOGNO (PER POCHISSIMI)
PUÒ DIVENTARE REALTÀ
QUI A FIANCO UNA CAMERA
DA LETTO DA CUI È POSSIBILE
VEDERE UN PANORAMA
IN CONTINUO MUTAMENTO
IMMAGINE DA U.S. SUBMARINE STRUCTURE LLC - INFOGRAFICA ANNALISA VARLOTTA
NOTTE
IL TRENO
IL TUNNEL
DELLA MANICA UNISCE
LE CITTADINE
DI CHERITON NEL KENT
A QUELLA FRANCESE
DI COQUELLES.
È LUNGO OLTRE
50 CHILOMETRI
DI CUI 39 SI SNODANO
A OLTRE 45 METRI
SOTTO IL FONDALE
MARINO
L’OCEANOGRAFO
FRANCESE
JACQUES COUSTEAU
AL LARGO DI MARSIGLIA
INSTALLA UN CILINDRO
D’ACCIAIO SOTT’ACQUA.
È IL PRIMO
A SPERIMENTARE
LA POSSIBILITÀ
DI CREARE
INSEDIAMENTI UMANI
SUI FONDALI MARINI
te, adatta ad una Terra sovrappopolata (o semisommersa). All’aria c’è una piccola foresta a ricaricare ossigeno e, subito sotto, gli spazi per le colture idroponiche e l’allevamento degli animali. Come in un iceberg, il grosso è sott’acqua, tanti piani
come di un grattacielo, dove la gente vive e lavora.
Onde, vento, pannelli solari forniscono energia.
Un complesso sistema di zavorre consente al “grattacqua” di rimanere dritto e di non rovesciarsi. In Olanda hanno fatto un passo in più e l’esotico sott’acqua si riduce
IL MARE
a poco più un parco divertimenti con
È TUTTO.
parcheggio annesso. L’idea è di svuoCOPRE I SETTE
tare i canali di Amsterdam, trasfor- DECIMI DEL GLOBO
marli in un garage a più piani, giusto TERRESTRE.
sotto un po’ di discoteche, e poi far ri- IL SUO RESPIRO
fluire l’acqua, guadagnando spazio vi- È PURO E SANO
tale alla città, al costo di quindici mi- È L'IMMENSO
liardi di dollari.
DESERTO
Forse, tanto fervore di idee è solo l’ec- DOVE L'UOMO
cesso di fantasia e di smania pubblici- NON È MAI SOLO,
taria degli architetti. Oppure è il segno POICHÉ SENTE
che l’umanità è sull’orlo di una nuova FREMERE LA VITA
spinta colonizzatrice, finalmente nelDA “VENTIMILA LEGHE
l’ultima regione inesplorata del pianeta. Ma, queSOTTO I MARI”
sta volta, senza traccia di eroismi e avventura. A
DI JULIES VERNE
scorrere i progetti, il dubbio che viene è, piuttosto,
il “rischio Calabria”. E cioè che uno arriva a vedere
la Grande Barriera Corallina australiana e scopre
che la vista è bloccata da una schiera di villette sottomarine.
39
2014
IL RISTORANTE
ITHAA, IL PRIMO
RISTORANTE
SOTTOMARINO ,
SI TROVA
NELLE MALDIVE.
A QUATTRO METRI
DI PROFONDITÀ.
OSPITA 14 COPERTI
E CONSENTE
UNA VISIONE
DELL’AMBIENTE
MARINO A 270 GRADI
?
L’ALBERGO
DEEP OCEAN
HA PROGETTATO
UN HOTEL COMPOSTO
DA DUE DISCHI
COLLEGATI
TRA LORO, UNO SOPRA
E L’ALTRO SOTTO
LA SUPERFICIE.
IL WATER DISCUS
UNDERWATER HOTEL
VERRÀ COSTRUITO
NEI PROSSIMI ANNI
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
40
Sapori. Exotica
DALL’ATAI
AL KAVA KAVA,
DAL GINGER ALE
ALL’AGUA DE COCO,
SONO SEMPRE
PIÙ DIFFUSE
SULLE NOSTRE
TAVOLE LE BIBITE
TRADIZIONALI
DEGLI ALTRI PAESI
MA SI POSSONO
ANCHE RISCOPRIRE
RICETTE
DI CASA NOSTRA.
COME LA “PREMUTA
DI LIMONE”
CHE VIENE
DA SORRENTO
8
gusti
per otto paesi
Kava Kava
(Polinesia)
Black Gulaman
(Filippine)
Lassi
(India)
Utilizzata come analgesico
e come bevanda rinfrescante,
si ottiene aggiungendo acqua
al rizoma (tritato a pietra)
del Piper Methystic,
che cresce spontaneo
nelle isole del Pacifico
Le alghe benefiche coltivate
nelle Filippine, trasformate
in gelatina o ridotte
in polvere, si mescolano
con acqua, latte, o succhi
di frutta, regalando gusto
e consistenza cremosa
Yogurt, acqua, sale, pepe
e spezie (cumino, cardamomo,
curcuma, coriandolo...)
Per la bevanda anti-caldo
originaria del Punjab
nella declinazione dolce,
mango, banana o papaia
Lassi e i suoi fratelli.
Altre bevande dal mondo
per dissetarci in estate
LICIA GRANELLO
Il libro
Si intitola "Formaggi Veg" il libro
di Grazia Coccia (Edizioni
Macrolibrarsi) dedicato
ai latticini vegetali. Partendo
da soia, riso, avena, mandorle,
orzo, il ricettario spiega
come realizzare in casa
creme spalmabili e caciotte,
sottilette e robiole, in linea
con l'alimentazione vegana
L
ASSI O ACQUA DI COCCO: questo è il dilemma. Nell'estate che arranca, anche il consumo di bibite è meno compulsivo del consueto. Fa caldo, ma non ci si arroventa. Si suda senza disidratarsi. Bere - al di là dei due litri quotidiani di liquidi benefici, ovvero acqua e poco più, al primo posto dei comandamenti del benessere - diventa un piacere senza urgenza, quasi uno sfizio. Non dovendo tracannare e ingollare come reduci da una traversata del deserto, ci si concede il lusso
della scelta meno scontata, di una ricetta insolita, di una bevanda che in caso di
caldo torrido mai al mondo avremmo scambiato con la nostra bibita preferita.Le bevande degli altri sono apparse sulle nostre tavole insieme alle contaminazioni gastronomiche in arrivo dai quattro angoli del pianeta. Fino a pochi
anni fa, l'idea di pasteggiare con un tè (Giappone docet) o di rinfrescarsi con
uno yogurt salato ci avrebbe fatto inorridire. E invece, i sapori diversi sbucati
negli anni tra lasagne e arrosti hanno allargato la scelta nel nostro personalissimo parco-bevande.
Ingredienti inattesi, ma anche temperature che nella nostra storia alimentare mai sono state contemplate nella categoria dissetanti. Il dolcissimo tè alla menta della tradizione araba, per esempio, servito in un bicchierino istoriato e inesorabilmente tiepido, a prescindere dalla stagione. O quello semplice, non zuccherato, che accompagna i pasti in Giappone, alter ego della zuppa bollente, immancabile apertura di pranzo e cena della cucina cinese. Frigorifero bandito, vade retro ghiaccio. La tradizione del bere non freddo anche quando fa molto caldo in realtà poggia su basi scientifiche solidissie mente, come il polinesiano kava kava. Per chi è
me, che evidenziano i danni derivati dagli shock
allergico alle troppe virtù, certe bibite sanno tratermici subiti dal corpo (e dai reni in particolare)
verstirsi da cocktail con l'aggiunta di un brivido alcon l'assunzione di liquidi ghiacciati.
colico, a patto di conoscerne le inclinazioni segreE poi il bere sano. Se l'Occidente intero si interte. Battezzarle con un superalcolico empatico diroga sui legami tra bibite industriali e malattie
venta una piccola trasgressione da sera d’estate:
metaboliche come obesità e diabete, ormai clasil succo di fico d’India con la tequila, il gin con il fiosificate alla stregua di epidemie già a livello inre d’ibisco del karkadè. Se non avete ancora scelfantile, in Oriente succhi e infusi sono ancora ben
to la meta vacanziera e cogliere i cocchi dalle palpresenti nella quotidianità sociale. Miscele di erme è fuori dalla vostra portata, regalatevi qualche
be, che sembrano uscite da manuali di fitoterapia.
giorno sulla costiera sorrentina ed eleggete la
Beveroni a base di frutti essiccati, polverizzati,
“premuta di limone” a bibita dell'estate. Il lassi lo
dolcificati con miele o stevia. Dissetanti che vanberrete a settembre, nel ristorante indiano sotto
no oltre il loro compito primario, regalando enercasa.
gia come il mate sudamericano o rilassando corpo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il cocktail
Rum, tequila, gin, ma anche
whisky e vodka si sposano
con il ginger ale in decine
di cocktail internazionali,
a partire dal Moscow Mule
Il ginger ale "golden",
assimiliabile alla ginger beer
- fermentata con zucchero
di canna - regala invece
un gusto più spiccato
La ricetta
Ravino cactus cocktail
La specialità
Acqua calda e foglie di erba mate
per la bevanda nazionale
uruguaiana (Mate)
Utensili indispensabili: matero
(contenitore derivato dalla zucca
porongo), thermos d’acqua
e bombilla (cannuccia di metallo
con filtro). Gli argentini
aggiungono miele o zucchero,
in Paraguay si beve freddo
INGREDEIENTI:
1/8 PAPAYA, 1/4 MARACUJA, 1/2 DI SUCCO RAVINO JUICE (CONCENTRATO ALLE ERBE
E FRUTTI DI CACTUS), FOGLIE DI MENTA PIPERITA, FOGLIE DI SATUREJA VIMINEA
(MENTA MESSICANA), ACQUA TONICA
ettere nello shaker Papaya, Maracuja e succo
di Cactus . Pestare il tutto con un muddler (pestello
da barman), aggiungendo metà delle foglie
di menta. Shakerare e versare come fondo in un
bicchiere da long drink largo, con molto ghiaccio. Aggiungere il restante delle foglie di menta e acqua tonica a piacere.
Per la versione alcolica, aggiungere un quid di Tequila (liquore a sua volta ricavato da un'agave). In entrambi i casi, miscelare girando con attenzione, per non perdere l'effetto frizzante
M
GLI CHEF
GIUSEPPE D’AMBRA
E SUO FIGLIO LUCA
SONO I PATRON
DEI GIARDINI RAVINO
DI ISCHIA, AL CUI CAFÉ
SI SERVONO BEVANDE
AI FRUTTI DI CACTUS,
COME QUELLA IDEATA
PER REPUBBLICA
Cocktail
Ai frutti esotici,
dal cocco alla carambola
D’estate è il mix
più apprezzato
la Repubblica
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
41
Bibitone d’America
a qualcuno piace freddo
VITTORIO ZUCCONI
Agua de coco
(Brasile)
R
Nel cuore cavo
del cocco,
si trova il liquido
ricco di vitamine B, E,
fibre, sali minerali
e potassio da bere
con la cannuccia
Sorrel Juice
(Giamaica)
Gli sgargianti petali
dell’Hibiscus Sabdariffa
colorano la tisana fredda
conosciuta come Carcadè
nei paesi nordafricani
Nella ricetta caraibica, anche
zucchero di canna e zenzero
UZZOLANDO GIÙ DALLA BOCCA DI PLASTICA, pezzi di
ghiaccio come enormi diamanti riempiono
bicchieroni di carta nelle mangiatoie dei fast food.
Cold, Ice Cold, deve essere gelida come un iceberg,
la bibita che aiuta a deglutire l’hamburger, le
“frites”, l’hot dog, l’anestetico del palato
al quale il consumatore americano anela, come alla sua
contropartita opposta, il caffè piping hot, bollente
e fumante, che svolge la stessa funzione preventiva: evitare che
si senta il sapore di quanto si mangia o si beve.
Non è certamente una prerogativa solo americana quella
di pretendere enormi vasi ricolmi di cubi di ghiaccio. Ma nella
nazione del tutto “più”, dove ogni cosa deve essere la più
grande del mondo e si venera semischerzosamente anche il
Grande Cocomero, anche il freddo della bibita, o il caldo del
caffè, devono essere più intensi che nel resto del pianeta, per
essere davvero americani. Non importa neppure che quella
cascata di ghiaccio rovesciata dai bocchettoni automatici nel
fast food costituisca una truffa commerciale, vendendo al
consumatore acqua in proporzione ben superiore alla bibita. Il
costo del bicchierone, è stato calcolato, supera largamente il
costo del contenuto il che incoraggia il paradosso del super size:
più grande è il contenitore, più piccolo il contenuto. I produttori
di birre in serie pubblicizzano le loro ice cold beer, birre gelate,
come se la temperatura della bevanda fosse una qualità
intrinseca indipendente dal luogo dove è conservata. Altri
costruiscono lattine che, come il termometro, avvertono
cambiando colore quando il liquido è abbastanza freddo per
essere golosamente tracannato. Tutto ritorna al principio
fondamentale di ogni società costruita sul consumo, sia esso di
gazzose o di automobili: la instant gratification, la
gratificazione istantanea. Freddissimo, Caldissimo,
Grandissimo. E subitissimo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tristi tropici
addio cocco crudele
STE F A NO MA L A TE STA
Atai
(Marocco)
Si bolle insieme all’acqua
il tè verde importato
dalla Cina, addizionato
con abbondante zucchero
e foglioline di menta fresca,
prima di essere servito
in bicchierini di vetro
Ginger Ale
(Canada)
Rooibos
(Sudafrica)
Creata a fine ’800
dal farmacista canadese
John McLaughlin,
è popolare in Nordamerica
Nella ricetta casalinga,
zenzero, succo di limone,
zucchero e acqua gassata
È battezzato in lingua
afrikans, il dolce infuso
di foglie rossastre
dell’omonima pianta
leguminosa,
dalle virtù antiossidanti,
ad alto potere dissetante
D
A RAGAZZO, TRA I TANTI MITI CHE MI AFFLIGGEVANO,
non so se più scemi o ingenui, provocati
dall’eccessiva lettura di libri di geografia e
romanzi, c’era quello della noce di cocco,
allo stesso tempo bevanda e pasto.
Questa infatuazione mi passò anni dopo durante un viaggio
nell’Oceano Indiano. Ero rimasto un mese alle Seychelles per
prendere un cargo e raggiungere Aldabra, ma il cargo non si
materializzava mai. Stanco di aspettare e di vedere passare il
governatore in Rolls-Royce decapottabile, mi imbarcai su una
sgangherata goletta indiana che raggiungeva l’Isola des
Noeufs per raccogliere una parte dell’immensa quantità di
uova lasciate dalle Sooty Tern che venivano a nidificare. Fu un
viaggio che partì male e continuò peggio. Ho sempre sofferto il
mal di mare, ma in forma leggera. Ma su quella goletta il fetore
delle tartarughe rovesciate sul carapace per evitare che si
buttassero a mare si fondeva con il puzzo della copra che saliva
dalle cantine. Il mio alloggio era una cuccia dentro la cucina
frequentata da una quantità di pidocchi e altri insetti
innominabili. Inoltre la barca ballò per tutti e sette i giorni del
viaggio. Non riuscivo a mandare giù nulla. Al secondo giorno mi
ricordai di aver visto imbarcare una notevole quantità di noci di
cocco e chiesi un machete per aprirne qualcuna e berne il
liquido. Ma prima mi tagliai un piede e poi mi accorsi solo
troppo tardi che erano avariate come le tartarughe.
Quando sbarcai sull’isola ero un “ecce homo”: reggevo con la
mano sinistra una busta di plastica dove avevo infilato la testa
per proteggerla dallo sterco lanciato in quantità inaudite dalle
Sooty Tern e nella destra una radiolina che improvvisamente
fece sentire una canzone che diceva “viva la pappa col
pomodoro”. Rita Pavone mi risvegliò dal coma in cui ero finito,
ma da quel giorno non ho mai più potuto bere il succo di cocco
che aveva cambiato sapore con quello dello sterco.
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 17 AGOSTO 2014
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L’incontro. Sognatori
IL GRAPHIC NOVEL
NON MI INTERESSA.
HA FATTO
RIDIVENTARE
L’IMMAGINE
UN SUPPORTO
AL SERVIZIO
DELLA STORIA
DOVREBBE ESSERE
IL CONTRARIO.
SONO LE IMMAGINI
A FARCI TOCCARE
SENSAZIONI
IRRAGGIUNGIBILI
CON LE PAROLE
Da Parigi, la città in cui vive da quindici anni, i suoi fumetti e le sue illustrazioni tra libri, riviste e ora anche film hanno fatto il giro del mondo.
Eppure nella capitale francese si sente ancora uno straniero: “Forse è
per questo che quando penso a nuove storie da disegnare mi vengono
in mente personaggi emarginati,viaggiatori, emigranti, persone che
vivono isolate nella loro bolla, un po’ come me. Non ho mai avuto il mito
della cultura francese, ma è vero
mittenti ci sono il New Yorker, Le Monde e tanti altri), manifesti, quadri, libri
viaggio. Senza dimenticare le incursioni nel mondo del cinema e le collaboprestigiose, come quella con Lou Reed per The Raven. Insomma, a poco
che è qui che ci sono gli editori più adirazioni
poco Mattotti è diventato un artista a tutto campo. «Artista è una parola che
mi fa paura, forse perché le attribuisco un valore troppo grande. È però vero che,
nel mio piccolo, mi sento in qualche modo legato alla tradizione dei
aperti. Fosse stato per me sarei ri- ovviamente
grandi artisti italiani del Rinascimento, soprattutto per via dell’aspetto artigianale del mio modo di lavorare e per l’importanza della committenza nella
evoluzione». Quando gli si domanda se veramente non si senta un artista,
masto per sempre a Udine: per mia
dopo un po’ ammette: «Forse sì, qualche volta, quando mi sembra che le mie immagini riescano dar corpo a misteri più densi e complessi delle semplici appaMi è accaduto tanti anni fa con Fuochi e più di recente con Oltremai, ocquelli che vivono in provincia in- renze.
casioni nelle quali ho esplorato direzioni che non conoscevo».
La sperimentazione è da sempre un tratto caratteristico dei suoi disegni magici, nelle cui forme e colori si alternano sogni poetici, melanconie metafisiche
ventarsi un mondo è quasi una ne- e incubi angoscianti. «Mi piace confrontarmi con problemi nuovi e da ogni lavoro imparo sempre qualcosa, nella ripetizione mi annoio». Da qualche anno ha
però l’impressione di essere meno libero di un tempo: «Ho sempre cercato di
cessità”
esplorare nuovi linguaggi e nuove forme, oggi però gli editori mi domandano di
Lorenzo
Mattotti
F AB I O G AM B AR O
PARIGI
d’immagini. È forse questa la miglior definizione
per Lorenzo Mattotti, l’artista italiano trapiantato a Parigi i cui fumetti visionari sono noti in tutto il mondo. Da sempre alla ricerca
di nuove sfide e di nuove strade da percorrere, l’autore di Fuochi,
Stigmate e Il rumore della brina, lavora in un luminoso atelier affacciato su un quartiere colorato e multietnico nel cuore di quella capitale francese a cui — malgrado vi abiti ormai da quindici anni — in fondo non si è mai veramente abituato. «La prima volta che arrivai in questa città mi parve subito
fredda e ostile, volli scappare via», racconta mentre si muove tra tavoli ingombri di disegni, schizzi, matite, pastelli e colori: «Mai avrei pensato che
un giorno sarei venuto a viverci». E ancora oggi, nonostante i molti successi professionali, nella ville lumière si sente straniero e
fuori luogo: «Forse è per questo che, quando penso a nuove storie da disegnare, mi vengono in mente personaggi emarginati, viaggiatori, emigranti, persone che vivono isolate nella
loro bolla, un po’ come sono io».
Ma se alla fine ha deciso di venire a vivere sulle rive della
Senna, è perché in Francia esiste da sempre quell’attenzione
al fumetto d’autore che in Italia invece spesso e volentieri è
mancata nonostante il mercato sia in crescita: «Non avevo il mito della cultura francese, ma qui gli editori hanno subito apprezzato il mio modo di raccontare storie, dimostrandosi aperti alla mia creatività. Fosse stato per me, sarei rimasto a Udine,
anche perché, per disegnare fumetti, è meglio vivere in un cittadina tranquilla e senza distrazioni. La calma e la lentezza della provincia creano quel tempo un po’ sospeso che mette in mo-
U
N ESPLORATORE
C’È TUTTA UNA CORRENTE FANTASTICA DELLA CULTURA
ITALIANA SPESSO TRASCURATA O DIMENTICATA.
CON I MIEI DISEGNI VORREI FARLA RIVIVERE
DANDO CORPO A UN IMMAGINARIO CHE NON SIA
NÉ QUELLO AMERICANO NÉ QUELLO GIAPPONESE
to la fantasia e spinge a sognare ad occhi aperti. Per chi vive in
provincia, inventarsi un mondo e un immaginario è quasi una
necessità vitale: è così che sono nate le mie prime storie».
Non a caso, da quando vive nella capitale francese, a mano a
mano che la sua notorietà internazionale è cresciuta, Mattotti ha progressivamente allargato il campo delle ricerche, dedicando sempre meno tempo al fumetto che ormai non può
più essere considerato la sua attività principale anche se resta la più amata. In compenso, tra i risultati del suo lavoro figurano illustrazioni per giornali e riviste (tra i suoi com-
rifare lo “stile Mattotti”. Di conseguenza, quella che una volta poteva essere invenzione e rivoluzione ora sta diventando convenzione e costrizione. Forse è per
questo che mi tengo più a distanza dal fumetto». Non è neppure interessato al
graphic novel, tendenza emergente degli ultimi anni: «Il graphic novel ha spostato l’attenzione dall’immagine al testo, tanto che l’immagine sembra essere
ridiventata un semplice supporto al servizio della storia. Io invece sono convinto da sempre che la storia debba essere al servizio delle immagini, le quali consentono di toccare realtà e sensazioni irraggiungibili con le parole. Grazie alla
potenza visionaria delle immagini, il fumetto deve portarci in un altro mondo.
Se diventa troppo realista non m’interessa più. Il mondo, le persone, i drammi,
gli amori, tutto deve passare attraverso il filtro della memoria e delle emozioni.
Ed è lì, in fondo a quel pozzo interiore, che bisogna andare cercare la materia
delle immagini».
Di recente, forse perché ha compiuto sessant’anni, Mattotti ha sentito il bisogno di mettere un po’ d’ordine nel suo lavoro, classificando e archiviando una
parte delle sue molte opere. Così, dopo Works, in cui ha raccolto i suoi pastelli, a
settembre pubblicherà Works 2 (Logos), un volume con tutte le illustrazioni
dedicate al mondo della moda. Da poco è anche disponibile un libro stupendo
con i disegni nati da un viaggio in Vietnam (Louis Vuitton Travel Book), ultimo
tassello di una riflessione sullo spazio e il paesaggio che ha già dato luogo a volumi affascinanti dedicati a Venezia, Patagonia e Cambogia: «Le ricerche sui luoghi mi hanno permesso di arricchire molto il mio linguaggio», spiega il disegnatore che negli ultimi anni si è sempre più avvicinato al cinema, un ambito
dove sta per affrontare la sua sfida più ambiziosa. Dopo aver collaborato a Eros
(il film a episodi di Soderbergh, Wong Kar-wai e Antonioni), al Pinocchio di Enzo D’Alò e al film collettivo Peur du noir, si è infatti lanciato nella realizzazione
di un film d’animazione tratto dalla Famosa invasione degli orsi in Sicilia di Buzzati: «È una storia bellissima, c’è tutto quello che fa per me: poesia, fantasia, leg-
AMO ESPLORARE NUOVI LINGUAGGI.
E PERÒ SEMPRE PIÙ SPESSO MI SI CHIEDE
DI FARE COSE IN “STILE MATTOTTI”. COSÌ
QUELLA CHE UNA VOLTA POTEVA ESSERE
UNA RIVOLUZIONE DIVENTA CONVENZIONE
gerezza. È un esempio di quella corrente fantastica della cultura
italiana troppo spesso trascurata o dimenticata. Ecco, con i miei
disegni vorrei farla rivivere, dando corpo a un immaginario che
non sia né quello americano né quello giapponese. Insomma,
un immaginario italiano, dove siano presenti il nostro universo e i nostri paesaggi, che poi sono quelli che io so disegnare».
Fare un film è però un lavoro di lunga lena che consente
nei tempi morti di dedicarsi ad altro. È così che Mattotti ha
appena terminato una serie d’immagini ispirate all’Orlando Furioso per una mostra collettiva intitolata Un’incantata
inquietudine. Sulle orme d’Ariosto e dell’Orlando Furioso, che
si terrà dal 27 settembre alla Fondazione Palazzo Magnani di
Reggio Emilia. «Ho sempre sognato d’illustrare un Orlando
Furioso, come pure avrei sempre voluto fare un Flauto Magico», confessa. E intanto coltiva un segreto progetto sulle sue radici, nel paese dei nonni, bassa padana, vicino
Mantova. «La mia attività può anche sembrare disordinata e senza un centro ma, se guardo meglio, mi sembra di vedere una coerenza: la ricerca costante dell’immagine che non descrive ma illumina, un’immagine che ci apre le porte di un mondo segreto. Poi,
certo, io sono uno che sconfina sempre, da un genere all’altro, da una tecnica all’altra, ma proprio questo movimento in molte direzioni mi ha permesso di
esplorare il mondo delle immagini in piena libertà.
Senza dimenticare che disegnare per me è anche un
modo per appropriarmi di quegli istanti della vita
che di solito fuggono via velocissimi. Disegnare
quindi è un modo per vivere intensamente. E questa, naturalmente, è una grande fortuna».
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