Perché Karol Wojtyła non è stato un santo

La VOCE ANNO XVI N°9
maggio 2014
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Perché Karol Wojtyła non è stato un santo
LE RESPONSABILITA’ VATICANE NEL CONFLITTO BALCANICO: ALCUNI ELEMENTI
Cronologia a cura del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia (Roma 1999)
http://www.cnj.it/CHICOMEPERCHE/sfrj_04.htm
• Nei primi anni ’80, subito dopo la morte di Josip Broz Tito, viene segnalata l’apparizione della Madonna ad alcuni giovani croati a Medjugorje, una
località della Erzegovina dove già durante la seconda Guerra mondiale i fascisti si erano scatenati con violenze ed uccisioni contro la popolazione di
religione ortodossa. La gerarchia cattolica non ha mai voluto ufficialmente riconoscere la veridicità delle apparizioni di Medjugorje, ma il clero locale
(i frati francescani dell’Erzegovina noti da secoli per il loro fondamentalismo e, nel Novecento, per il loro supporto alla causa degli ustascia) se ne è
avvalso per fini propagandistici. Anche dall’Italia sono stati organizzati pellegrinaggi.
Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto oggi quei ragazzi "visionari" o "miracolati": sappiamo ad esempio che Marija Pavlovic, che aveva
fatto voto di entrare in convento, è oggi felicemente sposata; pare anzi che anche gli altri quattro ragazzi protagonisti della vicenda abbiano messo
su famiglia, e che tre di loro siano emigrati all’estero.
Molti dicono che le cose, in Jugoslavia, cominciarono a precipitare con la morte di Tito. Ma si può anche dire che le cose cominciarono ad andare a
rotoli quando "apparve" la Madonna a Medjugorje. Probabilmente sono vere entrambe le affermazioni...
• Il 1990 è l’anno dedicato a Madre Teresa di Calcutta. Pochi sanno che questa suora era originaria di Skopje, nella ex repubblica federata di
Macedonia, ed apparteneva al gruppo etnico albanese. Lo stesso anno raggiungono il culmine le tensioni tra albanesi e serbi nella regione del Kosmet
(Kosovo e Metochia). Dinanzi a personalità albanesi Giovanni Paolo II, in uno dei paesini albanesi del meridione d’Italia, celebra la Madonna di
Scutari, patrona e protettrice dell’Albania. Durante la celebrazione il papa afferma: "Madre della speranza regalaci il giorno nel quale questo popolo
generoso possa essere unito", dichiarando così esplicitamente il sostegno del Vaticano alla causa degli albanesi del Kosovo.
Negli anni successivi segnaliamo tra l’altro la visita del papa in Albania (paese - per inciso - a stragrande maggioranza atea o, al limite, musulmana)
e la frequentazione di Madre Teresa con pezzi grossi dello Stato quali la vedova di Hoxha, con la quale presenzia ad una cerimonia dinanzi ad un
monumento alla "Grande Albania".
• Nel 1991 scoppia la guerra. Il papa parla all’Angelus delle "legittime aspirazioni del popolo croato". Il riconoscimento ufficiale della Croazia
indipendente da parte del Vaticano avviene il 13 gennaio del 1992, contro il parere del resto della comunità internazionale, almeno apparentemente:
gli altri paesi si adegueranno dopo due giorni.
• Nel 1992 la guerra civile si estende in Bosnia-Erzegovina, repubblica a maggioranza relativa di musulmani. I serbi (cristiani ortodossi)
costituiscono un terzo della popolazione, mentre circa il 15% sono croati (cattolici). Durante il conflitto i soldati croati compiranno i crimini più
efferati (semmai sia possibile compilare statistiche su queste cose... noi comunque ci riferiamo ai dati del londinese Institute for Strategic Studies
- cfr. LIMES n.3/’95, pg.60). Le cronache parlano di soldati che vanno in guerra con il rosario al collo, di preti e frati francescani erzegovesi che
vanno in giro con la pistola (alcuni intervistati anche dall’italiano Avvenire) o tuonano dai pulpiti delle loro chiese, di ingiustizie nella distribuzione
degli aiuti della Caritas (secondo il criterio "etnico", applicato d’altronde da tutte le organizzazioni umanirie religiose)...
• Il culmine dell’interventismo vaticano viene raggiunto nel 1994 con la visita del papa a Zagabria. Il viaggio di Karol Wojtyla in Croazia avviene nel
pieno del conflitto bosniaco, mentre è ancora aperta la ferita delle Krajne (territori dell’odierna Croazia a maggioranza serba, in quel periodo
autonomi e sotto il controllo di truppe ONU), ed è una evidente boccata d’aria per il regime di Tudjman, con il quale il papa si incontra e presenzia a
cerimonie pubbliche. Scriveva La Repubblica del 12/9/1994: "...il contatto con la folla fa bene a Giovanni Paolo II. I fedeli lo applaudono
ripetutamente. Specie quando ricorda il cardinale Stepinac, imprigionato da Tito per i suoi rapporti con il regime di Ante Pavelic, ma sempre rimasto
nel cuore del Croati come un’icona del nazionalismo. Wojtyla, che sabato sera ha pregato sulla sua tomba, gli rende omaggio, però pensa
soprattutto al futuro."
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Da una mezza frase di un articolo di giornale veniamo dunque a conoscenza del fatto che il papa ha pregato sulla tomba del collaborazionista dei
nazisti Stepinac, nell’entusiasmo dei seminaristi di San Girolamo (la chiesa croata di Roma, all’inizio di Via Tomacelli, nota tra l’altro per avere
ospitato Pavelic in fuga dopo la guerra; cfr. il libro "Ratlines" di M. Aaron e J. Loftus) presenti a Zagabria per l’occasione.
Il 26 novembre successivo Vinko Puljic, arcivescovo cattolico di Sarajevo, è nominato cardinale dal papa insieme ad altri 30 che rispecchiano le
tendenze della geopolitica vaticana. Citiamo ad es. Mikel Loliqi, 92enne cardinale di Scutari (Albania). In onore di Puljic due giorni dopo si tiene un
concerto sinfonico nella stessa chiesa di San Girolamo.
• 1995: è l’anno risolutivo. Dopo una primavera in cui la tensione cresce enormemente (Srebrenica ecc.), e si parla insistentemente di una visita
del papa a Sarajevo, in luglio Giovanni Paolo II in una dichiarazione ai giornalisti si schiera per l’intervento militare (contro i "tentennamenti" della
comunità internazionale, perchè si faccia finalmente "il necessario" per punire gli aggressori, e così via). Pochi giorni dopo Tudjman ordina il
definitivo "repulisti" della Krajna, mentre in settembre, dopo l’ennesimo grande attentato sarajevese stile "strategia della tensione" (v.
Cronologia), la tanto invocata "comunità internazionale" interviene a forza di bombe contro i serbobosniaci.
In dicembre, con gli accordi di Dayton, la guerra si interrompe.
• Nell’ottobre 1996 il rettore della chiesa di San Girolamo (di cui sopra), monsignor Artur Benvin, viene trovato impiccato. La notizia non "passa"
sui giornali. Noi l’abbiamo trovata sull’Evropske Novosti, giornale serbo, che ipotizza triangolazioni di danaro per comprare armi tra il clero croato,
pezzi grossi musulmani di Sarajevo e la Trzaska Kreditna Banka di Trieste, la banca della minoranza slovena in Italia dichiarata fallita proprio in
quelle settimane.
• Durante la primavera 1997 (12 e 13 aprile) si realizza la "tanto attesa" visita del papa a Sarajevo. La visita ha un contenuto palesemente
politico, essendo stata preceduta da varie polemiche (cfr. ad es. Predrag Matvejevic su "la Repubblica" del 5/3/1997, e come risposta ad es. le
dichiarazioni del vescovo di Mostar in visita a Trieste) e da vari attentati alle istituzioni cattoliche in Bosnia, tra cui uno, sventato, contro il papa (i
giornali parlano di un ponte nella zona musulmana da far esplodere al momento del passaggio del papa, ma la bomba sarebbe stata disinnescata dai
militari stranieri della missione SFOR - cfr. i giornali di quei giorni).
• Nel maggio 1998 viene ufficialmente annunciata la prossima visita del papa in Croazia. Nell’ottobre successivo il papa andra’ a Zagabria ed a
Marija Bistrica, il principale santuario cattolico della Croazia, dove celebrera’ la cerimonia per la beatificazione di Alojzije Stepinac. Sulle
responsabilita’ di Stepinac in quanto collaborazionista del regime genocida di Ante Pavelic nello "Stato Croato Indipendente" instaurato durante la II
Guerra mondiale suggeriamo la lettura del libro "L’Arcivescovo del genocidio", di M.A. Rivelli (Ed. Kaos 1999).
• Durante la sua visita in Croazia all’inizio diottobre 1998 Karol Wojtyla oltre a beatificare Stepinac pronunzia alcune frasi rispetto alla situazione
in Kosovo, oggetto di una violentissima campagna-stampa, che alludono al diritto di "ingerenza umanitaria" da parte della "Comunita’
Internazionale", cioe’ alla liceita’ di un intervento armato per "aiutare chi soffre". Quando il 24 marzo 1999 la NATO effettivamente attacca la
Repubblica Federale di Jugoslavia con il pretesto del Kosovo, il papa cita una frase di Pio XII, vale a dire di quel suo predecessore che non solo non
aveva fatto nulla per denunziare e fermare il nazifascismo, ma che viceversa benedi’ Pavelic e lo sostenne tramite il clero croato (si veda a
proposito il libro di Carlo Falconi "Il silenzio di Pio XII" uscito nel 1965, nonche’i gia’citati "Ratlines" e "L’Arcivescovo del genocidio"). La frase
recita: "Con la guerra tutto e’ perduto, con la pace niente e’ perduto". All’Angelus pasquale, una settimana dopo, il papa afferma retoricamente:
"Ma come si puo’ parlare di pace quando si costringono le popolazioni [albanesi] a fuggire... e se ne incendiano le abitazioni?... E come rimanere
insensibili di fronte alla fiumana dolente dei profughi dal Kosovo?". Percio’, a parte la discutibile richiesta di una "pausa" nei bombardamenti in
occasione della Pasqua (cattolica, non ortodossa), il Papa non fa appello per la loro cessazione incondzionata.
Nei giorni successivi la stampa riporta anche le dichiarazioni del Cardinale croato di Sarajevo Vinko Puljic che rivendica la giustezza dell’intervento
militare argomentandola con la necessita’ "di estirpare la malattia" e di sconfiggere una volta per tutte "il creatore della guerra" Slobodan
Milosevic.
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Messaggio di saluto alla Conferenza "PER NON DIMENTICARE" - nel XV
Anniversario della aggressione NATO
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
Belgrado, 22-23 marzo 2014
L’Associazione "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Organizzazione non lucrativa di utilità sociale” è stata ufficializzata in Italia
nel 2007 con lo scopo di mantenere attive e rilanciare le attività di persone e gruppi a vario titolo impegnati, sin dai primi anni Novanta,
sulle problematiche jugoslave, inerenti cioè allo spazio geografico, culturale e politico della disciolta Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia.
Scopo associativo è cioè la continuazione ed il rilancio di tutte le attività culturali, di controinformazione, di difesa dei diritti civili e di
solidarietà già avviate in Italia prima, durante o subito dopo la aggressione del 1999 contro la Repubblica Federale di Jugoslavia.
In particolare, siamo qui a portare il nostro saluto e augurio di buon lavoro perché è importante continuare a ricordare l’aggressione del
1999, non solo perché in questo momento Stati Uniti ed Unione Europea sono all’attacco in varie parti del mondo e la Jugoslavia è
paradigma delle molte altre guerre succedutesi, ma anche per il ruolo che la Jugoslavia ha avuto nella storia del secolo scorso, e per il
comportamento della classe operaia europea di fronte a tali guerre.
La reazione all’aggressione alla Jugoslavia da parte della classe operaia italiana non fu omogenea. Il sindacato più importante, la CGIL,
insieme a CISL e UIL giustificarono tale aggressione con un documento spregevole in cui addebitavano alla Jugoslavia la colpa in quanto
“avrebbe rifiutato il trattato di Rambouillet”.
Sicché molti operai iscritti a tali sindacati credettero alle bugie. Viceversa, i sindacati di base presero subito posizione contro
l’aggressione.
Nello stesso tempo, la scarsa reattività della classe operaia alle fandonie provenienti dai media fu una delle cause della sconfitta della
classe operaia italiana a livello nazionale: non rendersi conto che la guerra alla Jugoslavia è stata una guerra per il controllo dei
mercati, delle risorse e della forza-lavoro, e dei corridoi con cui queste fluiscono verso i paesi imperialisti, ha indebolito la classe
operaia stessa.
Anche gran parte delle forze politiche e degli attivisti dei movimenti di sinistra, antimilitaristi o che nominalmente si richiamavano al
comunismo tennero un atteggiamento ambiguo: da un lato si opposero alla guerra, ma dall’altro non solidarizzarono con gli aggrediti.
Ma l’aggressione a un Paese importante nella storia recente come la Jugoslavia, terra del più grande movimento partigiano durante la II
Guerra Mondiale, tra i fondatori del Movimento dei non-allineati, scosse comunque coscienze individuali che si raccolsero intorno ai
gruppi che autonomamente si venivano formando per non solo opporsi alla aggressione, ma anche per esprimere solidarietà alla
popolazione colpita, che resisteva di fronte ad un aggressore così tanto più forte. Sorsero gruppi e associazioni di solidarietà, che
inviarono aiuti, a partire peraltro da posizioni differenti.
Per mantenere in collegamento questi gruppi, sparsi su tutto il territorio italiano da Trieste a Torino, da Firenze a Bari, da Roma a
Milano, è nato il CNJ, che ha mantenuto tuttavia una specificità perché basato sulla convinzione che l’esistenza dello stato unitario
jugoslavo era la soluzione adatta ai problemi dei territori che lo formavano, e che il suo dissolvimento è stato frutto di un progetto a
lungo covato da Stati Uniti ed Europa, che hanno appoggiato i vari nazionalismi per ragioni sia economiche sia geopolitiche.
L’aggressione alla Jugoslavia si inserisce nel quadro delle neo-guerre imperialiste, dopo la caduta del muro di Berlino. L’aggressione
all’Iraq fu la prima di queste guerre, ma il contesto internazionale non permise il suo completamento, il paradigma è quello della guerra
alla Jugoslavia. Senza volere esaurire l’argomento, ci sembra che gli elementi del paradigma siano:
• Preparativi mediatici estremamente accurati ed affidati ad agenzie specializzate, demonizzazione del Paese da aggredire, a partire dal
governo (definito “regime” anche se democraticamente eletto) o addirittura dal capo del governo (definito il “nuovo Hitler”)
• Alleanze con elementi nazionalistici separatisti all’interno del Paese
• Tentativi di far apparire l’intervento militare come giusto, inevitabile, secondo il modello “Auschwitz”, nel senso che l’aggredito di turno
è equiparato ai nazisti, mentre i nemici interni, alleati di Stati Uniti ed EU, agli ebrei: si parla di guerra etica
• Sanzioni o embargo, finché l’aggressore non è pronto, onde evitargli perdite
• Bombardamenti delle strutture industriali e delle infrastrutture, con uso di armi non convenzionali
• Sproporzione di forze tra aggressori e aggredito
• Rivolta di piazza contro il governo legittimo, ampiamente foraggiata da USA e EU
• Eliminazione o assassinio del capo di stato del Paese aggredito
• Sfruttamento della forza lavoro locale ad opera degli investitori stranieri
Un elemento caratterizzante l’aggressione alla Jugoslavia fu la scarsa perdita di vite umane dalla parte degli aggressori, mentre le
vittime dalla parte jugoslava furono in numero considerevole. Si trattò di una guerra esclusivamente aerea, di sessioni di
bombardamenti di incredibili durate e frequenze, i cui danni furono spesso limitati dalla abilità e intelligenza dei tecnici jugoslavi (militari
e civili), che riuscirono spesso ad ingannare la grande potenza americana.
Inoltre il disastro ecologico causato dai bombardamenti della NATO fu una vera e propria guerra chimica, in quanto la distruzione
programmata e precisa di obiettivi industriali, dalle industrie petrolchimiche a quelle farmaceutiche ed alimentari, dalle centrali
elettriche alle fabbriche di automobili, provocò effetti di ordini di grandezza molto superiori agli incidenti che possono comunemente
accadere. L’effetto sulla biosfera è stato devastante, ed ancora non completamente analizzato. Le perdite di vite umane dunque non
sono solo quelle durante l’aggressione, ma anche quelle diluite nel tempo, dovute agli effetti della catastrofe ecologica (tumori,
leucemie,…); un discorso a parte si meriterebbe l’analisi degli effetti dell’Uranio impoverito. Proprio coloro che avevano nella fase
preparatoria della aggressione definito i Serbi colpevoli del “genocidio” degli Albanesi della provincia del Kosovo, tentarono uno
sterminio della popolazione civile, come del resto era accaduto con gli effetti spaventosi dell’embargo all’Iraq (500000 mila morti, tra cui
soprattutto bambini…).
La VOCE ANNO XVI N°9
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Segue da Pag.23: Messaggio di saluto alla Conferenza "PER NON DIMENTICARE" - nel XV Anniversario della aggressione NATO
La Jugoslavia, uno dei fondatori del Movimento dei non –allineati, è anche il primo Paese appartenente al movimento a venir distrutto:
gli Stati Uniti non sopportano l’esistenza di Paesi che ricerchino una via autonoma di sviluppo, culturale, civile, economico. Infatti uno
degli scopi dei feroci bombardamenti è in genere di distruggere le industrie e le infrastrutture, in modo da tentare di riportare il Paese
di turno molti decenni indietro (se non all’età della pietra, come sperava un generale americano nella prima guerra del Golfo…). Dopo la
Jugoslavia, altri paesi del Movimento dei non –allineati sono stati aggrediti e devastati, come la Libia, o sono tuttora oggetto di pesanti
manovre di destabilizzazione.
Lo scopo degli Stati Uniti è quello di dominare il globo, e la tendenza ad accusare il nemico di turno di essere un novello Hitler, in realtà
nasconde il disegno questo sì hitleriano statunitense di espandersi a Est e a Sud del mondo. Dietro gli Stati Uniti, l’Unione Europea
arranca nella speranza di aprirsi nuovi mercati e di poter usufruire di mano d’opera qualificata a poco prezzo: esemplare la vicenda
della FIAT a Kragujevac.
Ricordiamo che anche nel X Anniversario dei bombardamenti, nel marzo del 2009, il CNJ con la Rete “Disarmiamoli!” promosse una
grande iniziativa a Vicenza alla quale parteciparono sia relatori stranieri come Juergen Elsaesser e Diana Johnstone, sia i rappresentanti
delle molte associazioni italiane protagoniste del movimento di solidarietà, che ancora oggi mantengono migliaia di “adozioni a distanza”
dei figli dei lavoratori della Serbia bombardati, tra cui: Non bombe ma solo caramelle, Associazione Zastava Brescia, Un ponte per
Belgrado in terra di Bari, Un ponte per... Organizzazione Non Governativa. Al convegno - che volle analizzare, a dieci anni dai
bombardamenti della NATO, i vari aspetti dell’aggressione, da quelli mediatici, a quelli ecologici, a quelli economici - parteciparono tra
gli altri esponenti del sindacato Samostalni degli operai della Zastava di Kragujevac.
Anche le più recenti aggressioni, quali quella alla Libia, con l’assassinio di Gadafi, l’intervento in Mali, il tentativo in corso di distruggere
la Siria, le provocazioni in Venezuela ed il colpo di stato in Ucraina, seguono il modello “jugoslavo”.
In Ucraina attualmente sono intervenute addirittura forze nazifasciste, che hanno contribuito alla vittoria delle forze nazionaliste e hanno
poi dato sfogo al solito odio anticomunista, assalendo sedi del partito comunista ucraino.
Questi fatti dimostrano che è indispensabile la continuità dell’analisi e dei valori appresi sulla base dei fatti storici, e non di mere
idealizzazioni geopolitiche. Perciò CNJ è una associazione che si richiama ai valori dell’antifascismo e ritiene importante il mantenimento
della memoria storica della lotta dei partigiani jugoslavi contro il nazifascismo. In questo contesto organizza ricerche su temi storici,
quali i crimini dell’esercito italiano in Jugoslavia nella II Guerra Mondiale, o di recente la storia poco nota dell’operato dei partigiani
jugoslavi in Italia: molti jugoslavi, catturati in Jugoslavia dagli Italiani, e imprigionati in Italia, riusciti poi a fuggire dai campi di prigionia
o liberati dal 25 luglio 1943 in poi, parteciparono alla Resistenza italiana, e talvolta furono sepolti in Italia.
Anche la nostra campagna contro l’istituzione in Italia, dal 2004, del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo
giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale, da commemorare ogni 10 Febbraio, grazie a una legge frutto di un accordo tra
destra e sinistra, ha le stesse motivazioni antimperialiste. La data prescelta è infatti quella del Trattato di Pace con la Jugoslavia (10
febbraio 1947): simbolicamente l’Italia mette così in discussione lo stesso Trattato di Pace e, di conseguenza, i confini dello Stato – una
enormità, che però appare possibile dopo la frantumazione della Jugoslavia e l’aggressione dei paesi della NATO nel 1999 a ciò che di
essa restava. La ricorrenza scelta, in ogni caso, si presta bene all’operazione di revisionismo: essa infatti cade abbastanza vicino al 27
gennaio (Giornata della Memoria dell’Olocausto), cosicché anche gli Italiani hanno la loro giornata in cui presentarsi da aggrediti anziché
da aggressori. Aggressori nel 1941, aggressori nel 1999.
Anche sul piano della battaglia culturale, proprio dalla sua fondazione, CNJ intrattiene rapporti con linguisti, registi e uomini di cultura
delle varie repubbliche jugoslave, promuovendo dibattiti sulla lingua serbo-croata, sull’arte e la storia dei popoli di quei territori (Lordan
Zafranović è stato più volte ospite di CNJ per la proiezione in Italia dei sui film più importanti, quali Okupacija u 26 slika, e Pad
Italije).
Per il 15.mo Anniversario anche in Italia siamo presenti con le nostre iniziative. Quest’anno abbiamo voluto proprio celebrare la
ricorrenza della Aggressione sotto il profilo del danno culturale, organizzando a Milano una iniziativa incentrata sul tesoro della cultura
serbo-bizantina, colpito anch’esso dai bombardamenti e tuttora messo a repentaglio in Kosovo, dove è il cuore della storia, della cultura
e della identità non solo serba ma di tutti gli Slavi del Sud. Ai serbi del Kosovo, che continuano a patire per il regime razzista instaurato
dalla NATO, va in questo momento il nostro primo pensiero.
Trieste 24 marzo 1999-2014
Care amiche e cari amici solidali, oggi e’ il quindicesimo anniversario dell’inizio dei bombardamenti aerei della NATO sulla allora Repubblica Federale di Jugoslavia, ai quali
partecipo’ anche il nostro Paese, attraverso l’invenzione della ingerenza umanitaria, in violazione della nostra Costituzione. All’epoca il presidente del consiglio dei ministri era
Massimo D’Alema. Ma poiche’ noi Italiani siamo ’’Brava Gente’’ inventammo immediatamente la ’’Operazione Arcobaleno’’ per portare ’’aiuti umanitari’’ la’ dove
bombardavamo.
Oggi ho ritrovato il TARGET che utilizzai sulla camicia per tutto il tempo di quei bombardamenti, in qualunque occasione mi trovassi, di fronte ai miei studenti, in laboratorio, a
conferenze e congressi, nelle manifestazioni contro quella aggressione.
Ricordo che alcuni colleghi non mi salutarono piu’ e devo dire che ne fui contento…
Gilberto Vlaic