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RIVISTA AVVOCATURA & CONCORSI
SPECIALE BANCHE
Rata non pagata: no agli interessi moratori sul credito scaduto per
interessi corrispettivi
Nei mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle
mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario, aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta
in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento, che sono ontologicamente distinte e rispondono a diverse finalità;
di conseguenza, il fatto che nella rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di adempiervi in via differita nel tempo, non è
dunque sufficiente a mutare la natura né ad eliminarne l’autonomia. In forza delle limitazioni previste, quindi, dall’art. 1283 c.c., la banca
mutuataria non può pretendere il pagamento degli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 gennaio – 22 maggio 2014, n. 11400
Presidente Rordorf – Relatore Cristiano
Svolgimento del processo
Il 15.1.97 la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (in seguito, per brevità, MPS) stipulò con Feronia, soc.
coop. a r.l., due distinti contratti di mutuo fondiario, con i quali si obbligò ad erogare alla mutuataria, in via
frazionata, finanziamenti per L. 2.400.000.000 e per L. 720.000.000.
Con decreto del 1.3.99 Feronia fu posta in liquidazione coatta amministrativa.
Le domande avanzate da MPS, di ammissione in via ipotecaria allo stato passivo della procedura dei crediti
nascenti dai contratti stipulati, furono accolte solo parzialmente: furono ammessi i crediti corrispondenti alle
rate semestrali già scadute ed a quelle a scadere, mentre vennero esclusi quelli pretesi a titolo di interessi
moratori.
L'opposizione ex art. 98 L. fall., proposta da MPS contro il provvedimento di parziale esclusione, dichiarata
inammissibile dal Tribunale di Lucca, è stata respinta nel merito dalla Corte d'Appello di Firenze con sentenza
del 16.5.06. La corte territoriale ha innanzitutto affermato che la banca non aveva richiesto l'ammissione dei
crediti per interessi maturati in data successiva a quella della messa in LCA di Feronia, per cui non si poneva
questione di applicazione del disposto del III comma dell'art. 2855 c.c.; ha quindi escluso che potesse
riconoscersi un credito a titolo di interessi moratori sulle rate già scadute, il cui importo era costituito in
massima parte da interessi corrispettivi, atteso il divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c.; ha infine rilevato
che non poteva essere ammesso neppure il credito per ulteriori interessi di mora maturati sino al 1.3.99 "su
tutto il capitale residuo", posto che a tale data il debito sulle rate residue non era ancora venuto a scadenza e
che, anche a voler ritenere la debitrice decaduta dal beneficio del termine, non v'era prova che gli interessi
corrispettivi conglobati all'interno delle rate già scadute non superassero l'ammontare degli interessi che il
capitale avrebbe potuto produrre nel breve periodo intercorso fra il sorgere dell'insolvenza e la data di apertura
della procedura.
La sentenza è stata impugnata da MPS Gestione Crediti Banca s.p.a., nella sua qualità di mandataria alle liti di
MPS s.p.a., con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il Commissario liquidatore di Feronia non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso MPS, denunciando violazione degli artt. 99, 112 e 359 c.p.c. nonché vizio di
motivazione sull'interpretazione degli atti, deduce di aver puntualmente richiesto, sia nel giudizio di primo
grado che in appello, l'ammissione del credito relativo agli interessi legali di mora di cui al III comma dell'art.
2855 c.c. e lamenta che la corte territoriale non si sia pronunciata sulla domanda.
Il motivo va dichiarato inammissibile.
La corte del merito, puntualizzando in sentenza che "non si fa questione d'interessi successivi alla data di
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ammissione alla procedura di liquidazione coatta", ha espressamente affermato che la domanda non era stata
proposta: non si versa, pertanto, in un'ipotesi di omessa pronuncia, né di errata qualificazione od
interpretazione del petitum, ma in fattispecie integrante un vizio revocatorio, denunciabile solo ai sensi dell'art.
395 n. 4 c.p.c., per aver il giudice compiuto un errore di carattere materiale, obiettivamente ed
immediatamente riconoscibile, che lo ha portato ad escludere ciò che emergeva incontestabilmente dalla lettura
degli atti introduttivi di entrambi i gradi del giudizio e delle conclusioni precisate da MPS.
2) Resta assorbito il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente lamenta il rigetto della domanda di
ammissione del credito per interessi sulle rate non ancora scadute alla data di messa in LCA di Feronia,
trattandosi di interessi che, in mancanza di prova di una precedente intimazione di pagamento implicante
decadenza dal beneficio del termine, non potrebbero essere riconosciuti con decorrenza anteriore alla predetta
data (art. 55 II comma L. fall.) 3) Col secondo motivo MPS, denunciando violazione degli artt. 117 4 comma del
d. lg.vo n. 385/93 (t.u.b), 1283, 2855 c.c., 54 e 201 L. fall., si duole del mancato riconoscimento degli interessi
moratori sulle rate del finanziamento già scadute. Sostiene che il divieto di anatocismo non è applicabile ai
mutui fondiari stipulati nella vigenza del t.u.b. e prima dell'entrata in vigore della delibera C.I.C.R. del
9.2.2000, (che ha riconosciuto, per tale categoria di contratti, la legittimità di clausole volte a consentire il
decorso degli interessi di mora sull'intero importo delle rate insolute), per tre ordini di ragioni: in primo luogo
perché gli interessi corrispettivi del mutuo, una volta divenuti esigibili, vengono conglobati nel capitale da
restituire, con la conseguenza che la maturazione sugli stessi degli interessi di mora non integra una fattispecie
riconducibile all'art. 1283 c.c.; perché, inoltre, in materia di mutuo fondiario gli interessi sugli interessi vanno
riconosciuti in deroga al divieto di anatocismo; infine perché, nei contratti di mutuo fondiario, l'anatocismo
sarebbe consentito in virtù di un uso normativo.
Il motivo è infondato e deve essere respinto.
4) Il primo degli argomenti prospettati dalla banca, che appare genericamente riferito a tutti i contratti di
mutuo bancario a medio ed a lungo termine, poggia su di un'affermazione assiomatica, che non trova conforto
in specifiche disposizioni normative né nella giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (cfr. Cass. nn.
3479/71, 1724/77, seguite da Cass. n. 2593/03 e da ulteriori pronunce conformi, fra cui, da ultimo, si
segnalano, in motivazione Cass. nn. 28663/013 e 603/013, nonché Cass. n. 2072/013). Appare perciò
sufficiente ribadire, in conformità dell'orientamento espresso nelle indicate pronunce, che nei c.d. mutui ad
ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed
interessi, attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario - aventi
ad oggetto l'una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l'altra la corresponsione degli interessi per il
suo godimento - che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse. Il fatto che nella rata esse
concorrano, allo scopo di consentire all'obbligato di adempiervi in via differita nel tempo, non è dunque
sufficiente a mutarne la natura né ad eliminarne l'autonomia.
In questa sede va solo opportunamente aggiunto che in tutti i precedenti citati, in cui si discuteva se fossero o
meno dovuti gli interessi moratori anche sulla quota parte degli interessi corrispettivi delle rate scadute di un
mutuo bancario ordinario, la questione è stata risolta in senso negativo, previo accertamento dell'inesistenza, in
materia, di usi normativi che derogassero al divieto di anatocismo: può ben dirsi, pertanto, che sia ormai
consolidato il principio che ai contratti di mutuo bancario ordinario sono applicabili le limitazioni previste dall'art.
1283 c.c., con la conseguenza che la banca mutuataria non può pretendere il pagamento degli interessi
moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi.
5) La capitalizzazione del credito per interessi corrispettivi era però espressamente prevista dalla speciale
normativa che ha, nel tempo, disciplinato i contratti di mutuo fondiario stipulati in data anteriore all'entrata in
vigore del t.u.b. (artt. 38 R.d. n. 646/05, 14 d.P.R. n. 7/76, 16 L. n. 175/91). Non si è mai dubitato, pertanto,
che, il mancato pagamento di una rata di mutuo fondiario comportasse l'obbligo di corrispondere gli interessi di
mora sull'intero suo ammontare, inclusa la parte che rappresentava gli interessi di ammortamento (cfr., da
ultimo, fra molte, Cass. nn. 21885/013, 3656/013, 9695/011). Le leggi speciali sono state tuttavia abrogate
dall'art. 161 1 comma del t.u.b, e continuano a regolare, ai sensi del 6 comma del medesimo articolo, i soli
contratti già conclusi nel loro vigore.
Il t.u.b. fornisce ora, all'art. 38 (incluso nella sezione I del capo VI della legge, rubricata "Norme relative a
particolari operazioni di credito") la nozione di credito fondiario, ma non detta alcuna disposizione che preveda,
come per il passato, che le somme dovute a titolo di rimborso delle rate di ammortamento dei mutui fondiari,
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comprensive di capitali e interessi, producono, di pieno di diritto, interessi dal giorno della scadenza.
L'assunto della ricorrente, secondo cui, pur in difetto di un'espressa previsione di legge, la regola
dell'anatocismo, anteriormente vigente in materia di mutuo fondiario in deroga all'art. 1283 c.c., continuerebbe
a trovare applicazione anche nei contratti aventi ad oggetto tale tipo di mutuo stipulati - come quelli per cui è
causa - in data posteriore all'entrata in vigore del t.u.b., non può essere condiviso.
Il regime privilegiato di cui in origine godeva il credito fondiario rinveniva infatti la sua giustificazione nel
carattere pubblicistico dell'attività svolta dai soggetti finanziatori, previamente individuati dalla legge fra istituti
di diritto pubblico, nella stretta connessione tra operazioni di impiego ed operazioni di provvista e nella
necessità di assicurare ai risparmiatori, che fornivano quest'ultima acquistando le cartelle fondiarie, sicurezza e
tempestività nei rimborsi attraverso la sicurezza e la tempestività della restituzione delle somme mutuate. In
particolare, avuto riguardo allo specifico tema dell'anatocismo, questa Corte aveva chiarito che gli interessi
corrisposti dai terzi mutuatari non costituivano il corrispettivo del godimento di un capitale fornito dalla banca,
ma il mezzo per consentire alla stessa di far fronte all'eguale importo di interessi passivi dovuto ai portatori
delle cartelle; con la conseguenza che, poiché tali interessi dovevano essere comunque pagati ai risparmiatori
anche nel caso di mancato pagamento delle rate del mutuo, era perfettamente logica e coerente la previsione
dell'obbligo del mutuatario di corresponsione degli interessi moratori sull'intero importo della rata scaduta, (cfr.
Cass. n. 4451/86). Analogamente, Cass. n. 6153/90 aveva rilevato come il pagamento degli interessi moratori
anche sugli interessi compresi nelle rate scadute rimaste insolute trovasse il suo fondamento nella funzione
assolta dagli istituti di credito fondiario, di intermediazione fra i portatori delle cartelle ed i mutuatari, e
nell'obbligo delle banche mutuanti di rimborsare i primi anche nel caso in cui i secondi non avessero pagato la
rata di mutuo.
L'evoluzione normativa che, a partire dal d.P.R. n. 7/76 si è registrata in materia di mutui fondiari, ha
comportato il venir meno di tali giustificazioni.
In particolare, nel sistema disciplinato dal d.lgs. n. 385/93, in cui qualsiasi ente bancario può esercitare
operazioni di credito fondiario ed in cui la provvista non è più fornita attraverso il sistema delle cartelle, il
contratto di mutuo fondiario si caratterizza unicamente quale finanziamento a medio e lungo termine garantito
da ipoteca di primo grado su immobili (art. 38 1 comma cit.).
Deve dunque concludersi che, con l'entrata in vigore del t.u.b., la struttura del credito fondiario ha perso quelle
peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sua sottrazione al divieto di cui all'art. 1283 c.c..
Va pure esclusa la vigenza in materia di un uso normativo, preesistente all'entrata in vigore del codice civile,
che deroghi alla citata disposizione.
Come si è in precedenza accennato, questa Corte è ormai ferma nel ritenere che al mutuo bancario ordinario,
con riferimento al calcolo degli interessi, sono senz'altro applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283 cod. civ.,
non rilevando, in senso opposto, l'esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma
predetta: gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento l’art. 1283 c.c., sono, difatti, soltanto
quelli formatisi anteriormente all'entrata in vigore del codice civile e, nello specifico campo del mutuo bancario
ordinario, non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l'anatocismo oltre i limiti
poi previsti dalla richiamata disposizione codicistica.
Deve allora, a maggior ragione, escludersi che tale uso possa essersi formato per i contratti di mutuo fondiario,
in cui la regola dell'anatocismo è stata applicata, persino dopo l'entrata in vigore del codice, in quanto
espressamente prevista da leggi speciali.
La conclusione secondo cui, a partire dall'entrata in vigore del t.u.b., nei contratti di mutuo fondiario, al pari di
quanto previsto per ogni altro contratto di mutuo bancario, non è più ammessa l'automatica capitalizzazione
degli interessi trova, infine, ulteriore conforto nell'art. 3 della delibera 9.2.2000 del CICR (emessa in attuazione
del disposto del II comma dell'art. 120 del t.u.b. medesimo, introdotto dall'art. 25 del d.lgs. n. 342/99), il quale
prevede che nelle operazioni di finanziamento in cui il rimborso del premio avviene mediante il pagamento di
rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l'importo complessivamente
dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi dalla data di
scadenza e sino al momento del pagamento.
Nel nuovo panorama normativo, pertanto, la deroga al disposto dell'art. 1283 c.c. è consentita in relazione a
tutti i contratti di mutuo bancario, ma solo in base ad apposita pattuizione anteriore al sorgere del credito per
interessi. Non pare superfluo rilevare, peraltro, che, secondo l'indirizzo consolidato di questa Corte (cfr., da
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ultimo, Cass. S.U. n. 775/013) in tema di mutuo ipotecario, gli interessi moratori sulle rate scadute (ivi
compresi, quindi, gli eventuali interessi anatocistici) trovano collocazione chirografaria, ai sensi dell'art. 2855 II
comma c.c..
Non v'è luogo alla liquidazione delle spese in favore della parte intimata, che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Mutui ed eccessiva onerosità sopravvenuta
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 settembre - 7 ottobre 2013, n. 22808
Presidente Massera – Relatore De Stefano
Svolgimento del processo
1. Nella qualità di debitori esecutati, comproprietari di un immobile in Busto Arsizio, i coniugi A..G. ed A.E. si
opposero, con ricorso dep. il 28.1.02, all'esecuzione intrapresa sul bene staggito dalla Cariplo spa, in forza di
contratto di mutuo condizionato indicizzato all'ECU e stipulato il 21.6.91, deducendo l'eccessiva onerosità di
questo a seguito dell'uscita della lira dallo SME e la violazione del divieto di anatocismo, ma chiedendo - in
subordine - anche la rideterminazione degli importi ancora legittimamente dovuti. La controparte, nel frattempo
succeduta alla Cariplo la Banca Intesa BCI spa, contestò la tesi dell'imprevedibilità dell'evento di svalutazione
della lira e dell'applicabilità alla fattispecie dell'istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta,
come pure la stessa sussistenza della dedotta produzione di interessi sugli interessi.
Espletata c.t.u. contabile articolata su ipotesi alternative, due delle quali basate sulle prospettazioni delle parti
tra loro contrapposte, l'adito tribunale di Busto Arsizio individuò nella minor somma di Euro 29.178,58 (di cui
Euro 24.937,08 per capitale residuo ed Euro 4.242,50 per interessi) quella dovuta dagli opponenti alla
controparte, al contempo revocando la sospensione dell'esecuzione disposta in corso di causa.
La Banca Intesa BCI interpose appello, insistendo sulla risoluzione del contratto di mutuo e sul ruolo di
quest'ultimo quale fonte regolatrice del rapporto in essere tra le parti, tanto da invocare il riconoscimento delle
somme calcolate dal c.t.u. secondo le sue indicazioni, la spettanza delle somme a titolo di differenza di cambio
lira/ECU e degli interessi di mora convenzionali e non legali. Le controparti, contestato il gravame avversario,
appellarono in via incidentale la disposta compensazione delle spese di lite.
La corte di appello ambrosiana accolse l'appello principale. In particolare, essa: qualificò non reiterata
l'originaria domanda di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità; definì ingiustificabile l'unilaterale
modifica delle condizioni contrattuali da parte dei mutuatari; riconobbe la spettanza dell'anatocismo in forza
della disciplina applicabile e della misura convenzionale degli interessi di mora, in dipendenza della risoluzione
del mutuo per la notifica del precetto; e, conclusivamente, respinse l'opposizione all'esecuzione, ritenendo così
travolto anche l'appello incidentale e inducendosi, quanto alle spese di lite, a confermare la compensazione
disposta in primo grado, ma a condannare gli appellati, soccombenti in quella sede, a quelle del secondo grado.
Per la cassazione di tale sentenza, resa il 18.7.07 e notificata il 19.9.07, ricorrono A..G. ed E..A. , illustrando
poi i tre motivi di ricorso con memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.; resiste con "atto di intervento
volontario e controricorso ex art. 370 c.p.c." la Italfondiario spa, quale procuratore di Castello Finance srl, a sua
volta cessionaria del credito posto a base dell'esecuzione della cui opposizione oggi si tratta.
Motivi della decisione
2. I ricorrenti sviluppano diciassette doglianze e, analiticamente :
2.1. un primo motivo, numerato 1-a) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1467, da
1362 a 1371 cod. civ., nonché artt. 112 e 346 c.p.c.) che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma
Suprema Corte di Cassazione se possa ravvisarsi un nesso di causalità tra la fattispecie in astratto disciplinata
dall'art. 1467 cod. civ. nonché tra la mancata riproposizione in seconde cure di una domanda di risoluzione del
contratto ex art. 1467 cod. civ. e la dovutezza o meno dell'adeguamento della differenza di cambio LIRA/ECU;
2.2. un secondo motivo, numerato 1-b) (e rubricato nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione
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degli artt. 346 e 112 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione
se comporti nullità della sentenza e/o del procedimento l'accoglimento da parte del Giudice d'appello
dell'impugnazione della sentenza di prime cure sulla scorta di una domanda non riproposta nel giudizio di
gravame;
2.3. un terzo motivo, numerato 1-c) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 61,
112, 115 e 194 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se il
Giudice d'appello investito dell'impugnazione della sentenza di prime cure possa omettere di prendere in esame,
anche al sol fine di disattenderle, le emergenze della disposta CTU;
2.4. un quarto motivo, numerato 1-d) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 1458, 1819, 2697
cod. civ., 61, 112, 115, 194 c.p.c., nonché dell'art. 15, 1 comma, D.P.R. 21.1.76, n. 7 e dell'art. 17 della Legge
6.6.91, n. 175), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se il disposto
dell'art. 15, 1 comma D.P.R. 21.1.76, n. 7 (di poi trasfuso nell'art. 17 della Legge 6.6.91, n. 175) ed il disposto
degli artt. 1458 e 1819 cod. civ., vadano interpretati ed applicati nel senso che la notifica dell'atto di precetto
comporta la risoluzione del mutuo fondiario, con conseguente venir meno del beneficio della dilazione di
pagamento e susseguente dovutezza del rimborso del solo capitale residuo da intendersi epurato, pertanto, di
qualsivoglia altra componente (e, quanto al caso di specie, in particolare, della differenza di cambio LIRA/ECU);
2.5. un quinto motivo, numerato 1-e) (e rubricato nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione
degli artt. 61, 112, 115 e 194 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di
Cassazione se comporti nullità della sentenza e/o del procedimento l'accoglimento da parte del Giudice
d'appello dell'impugnazione della sentenza di prime cure senza pronunciarsi, anche al sol fine di disattenderle,
sulle risultanze istruttorie raccolte nel precedente grado di giudizio e, in particolare, su quelle emergenti dalla
disposta C.T.U.;
2.6. un sesto motivo, numerato 1-f), di vizio motivazionale su profili analoghi a quelli già resi oggetto dei
precedenti motivi; ma senza concludere con un separato autonomo momento di sintesi o di riepilogo;
2.7. un settimo motivo, numerato 2-a) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 15 del D.P.R.
21.1.76, n. 7, dell'art. 16 della Legge 6.6.91, n. 175, nonché degli artt. 1282, 1458, 1459, 1819, 2041 cod.
civ.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se nel caso di contratto
di mutuo fondiario prevedente un piano di ammortamento mediante la restituzione di rate conglobanti,
unitariamente, capitale e interesse, si debba procedere, sia per le rate scadute, sia per le rate a scadere, allo
scorporo di dette due componenti, di guisa che gli interessi conservino la loro natura e non si trasformino in
capitale da restituire al mutuante, con indebito arricchimento di quest'ultimo e con violazione del divieto di
anatocismo. Dica altresì la Suprema Corte se, quantomeno ed in ogni caso con riferimento alle rate a scadere,
una volta risolto il contratto di mutuo fondiario per effetto dell'intimazione dell'atto di precetto, nessuna forma
di anatocismo possa trovare applicazione, dovendosi fare riferimento al solo capitale residuo, epurato di
qualsivoglia altra componente;
2.8. un ottavo motivo, numerato 2-b) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 61,
112, 115 e 194 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se il
Giudice d'appello investito dell'impugnazione della sentenza di prime cure possa omettere di prendere in
considerazione, anche al sol fine di disattenderle, le emergenze della disposta C.T.U.;
2.9. un nono motivo, numerato 2-c) (e rubricato nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli
artt. 61, 112, 115 e 194 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di
Cassazione se comporti nullità della sentenza e/o del procedimento l'accoglimento da parte del Giudice
d'appello dell'impugnazione della sentenza di prime cure senza pronunciarsi, anche al solo fine di disattenderle,
sulle risultanze istruttorie raccolte nel precedente grado di giudizio e, in particolare, su quelle emergenti dalla
disposta C.T.U.;
2.10. un decimo motivo, numerato 2-d), di vizio motivazionale sul calcolo degli interessi convenzionali, senza
formulare però alcun momento separato di sintesi o di riepilogo;
2.11. un undicesimo motivo, numerato 3-a) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 15 del
D.P.R. 21.1.76, n. 7, artt. 1224, 1458, 1819 e 2041 cod. civ., nonché dell'art. 12 del r.d. 16.3.42, n. 262), che
concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se, una volta risolto il contratto di
mutuo fondiario a seguito dell'intimazione dell'atto di precetto, possa configurarsi la mora, ovvero se debba
riscontrarsi un inadempimento definitivo, stante il venir meno del titolo contrattuale, con conseguente
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maturazione dei soli interessi al tasso legale sul capitale residuo.
Dica altresì se l'applicazione di un interesse differente da quello legale configuri un indebito arricchimento;
2.12. un dodicesimo motivo, numerato 3-b) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod.
civ., 61, 112, 115 e 194 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di
Cassazione se il Giudice d'appello investito dell'impugnazione della sentenza di prime cure possa omettere di
prendere in esame, anche al sol fine di disattenderle, le emergenze della disposta C.T.U.;
2.13. un tredicesimo motivo, numerato 3-c) (e rubricato nullità della sentenza e/o del procedimento per
violazione degli artt. 61, 112, 115 e 194 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema
Corte di Cassazione se comporti nullità della sentenza e/o del procedimento l'accoglimento da parte del Giudice
d'appello dell'impugnazione della sentenza di prime cure senza pronunciarsi, anche al sol fine di disattenderle,
sulle risultanze istruttorie raccolte nel precedente grado di giudizio e, in particolare, su quelle emergenti dalla
disposta C.T.U.;
2.14. un quattordicesimo motivo, numerato 3-d), di vizio motivazionale sulla ritenuta spettanza degli interessi
di mora al tasso convenzionale, anziché a quello legale: ma che non concludono con alcun separato momento di
sintesi o di riepilogo;
2.15. un quindicesimo motivo, numerato 4-a) (e rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e
336 c.p.c., nonché degli artt. da 1362 a 1371 cod. civ.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma
Suprema Corte di Cassazione se il Giudice di appello - che nel riformare la sentenza di primo grado abbia
ritenuto, dopo averlo riesaminato, di non modificare il capo con il quale è stata disposta la compensazione delle
spese di lite e di C.T.U. tra le parti, siccome fondata su giustificati motivi possa, trascurando di considerare
tutte le vicende processuali e l'inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese
medesime, disporre per l'integrale addebito delle spese di lite del secondo grado a carico di una delle parti;
2.16. un sedicesimo motivo, numerato 4-b) (e rubricato nullità della sentenza e/o del procedimento per
violazione degli artt. 91, 92 e 336 c.p.c.), che concludono col seguente quesito: dica l'Ecc.ma Suprema Corte di
Cassazione se comporti nullità della sentenza e/o del procedimento il porre ad integrale carico di una delle parti
del giudizio di seconde cure le spese di lite relative a tale grado anche quando il secondo Giudicante, nel
riformare la sentenza di prime cure, ha mantenuto fermo, siccome ritenuto fondato su giustificati motivi, il capo
della sentenza di prime cure sulle spese che ne aveva disposto la compensazione;
2.17. un diciassettesimo motivo, rubricato 4-c) di vizio motivazionale sulla pronuncia in tema di spese di lite,
che non concludono però con alcun separato momento di sintesi o di riepilogo.
3. Dal canto suo, la procuratrice della cessionaria del credito: del ricorso eccepisce preliminarmente
l'inammissibilità, per le modalità di formulazione delle censure, la contemporanea doglianza di vizi ed assenza
della motivazione, la carenza di indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda il ricorso;
contesta la fondatezza dei motivi di vizio motivazionale, come pure dei motivi ricondotti ai nn. 3 e 4 dell'art.
360 cod. proc. civ., oltre all'ammissibilità di quelli, tra questi ultimi, non relativi alla conferma della
compensazione delle spese di lite in primo grado. E tanto una volta identificate, quali questioni principali su cui
si incentra il ricorso:
a) se siano dovuti o meno gli importi per differenza di cambio lira/ECU;
b) se il calcolo degli interessi sia corretto o meno;
c) se, successivamente alla notifica del precetto, siano dovuti interessi in misura legale o convenzionale;
d) se siano legittime o meno le statuizioni in materia di spese di lite e di C.T.U.
Va rilevato che, anche in base alla sola documentazione prodotta in ordine alla qualità di cessionaria del credito
in capo alla sua mandante, il controricorso di Italfondiario spa - depurato dall'incongruo, ma innocuo,
riferimento all'intervento volontario, evidentemente ai sensi dell'art. 105 cod. proc. civ., di norma inammissibile
in sede di legittimità - va qualificato ammissibile, alla stregua dei principi di Cass. 9 giugno 2004, n. 10902 e di
Cass. Sez. Un., 30 maggio 1966, n. 1412.
4. Ciò posto, va premesso che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla
fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di cui
all'art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69) l'art. 366 bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la
rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n.
12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079). Pertanto:
4.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità, da
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quesiti che devono compendiare:
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice;
c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le
molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo
2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);
d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perché, in contrario, difetterebbero di decisività (sulla
indispensabilità della pertinenza del quesito, per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass.,
ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
4.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono
consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico,
evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure -se non soprattutto - le ragioni per le quali
la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord.
n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680);
4.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione, nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di
norme di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla imprescindibile condizione che ciascuna sia
accompagnata dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte: Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770;
Cass. 20 dicembre 2011, n. 27649).
5. Ognuno dei diciassette motivi va preliminarmente sottoposto al vaglio di ammissibilità alla stregua dei
principi or ora ricordati.
5.1. Il quesito a corredo del motivo 1-a è formulato in termini non solo vaghi, ma perfino di non agevole
comprensione ed ambigua formulazione, tanto che non contempla l'enunciazione non solo delle peculiarità della
fattispecie e tanto meno della regola che si assume applicata, ma neppure di alcuna regula iuris coerente e
logica suscettibile di essere applicata ad una serie indeterminabile di fattispecie future (non ravvisandosi il
senso di un "nesso di causalità" tra una fattispecie astratta, una mancata riproposizione di domanda di
eccessiva onerosità sopravvenuta e la prospettazione della tesi della non spettanza dell'adeguamento della
differenza di cambio lira/ECU).
Tanto esime dal rilevare che:
- è comunque non configurabile la riproposizione di una domanda di risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta nell'articolazione di difese sulla non spettanza della sola differenza di cambio rispetto ad una
certa data (non spettanza che, al contrario, si fonda sulla persistenza del vincolo contrattuale, sia pure con una
modifica delle relative condizioni);
- è poi anche solo in astratto esclusa la configurabilità di un'eccessiva onerosità sopravvenuta nel caso di mutuo
riferito, in alcuna sua parte, a valuta non nazionale, benché dalle peculiari caratteristiche dell'ECU: in tal caso,
l'alea di un contratto che, a norma dell'art. 1467 cod. civ., comma secondo, non legittima la risoluzione per
eccessiva onerosità sopravvenuta, comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle
regolari normali fluttuazioni del mercato; in simile ipotesi, infatti, le parti, nell'esercizio della loro autonomia
negoziale, hanno assunto un rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, rendendo il contratto di
mutuo, sotto tale profilo, aleatorio in senso giuridico, e non solo economico (sotto il profilo della convenienza):
Cass. 21 aprile 2011, n. 9263; Cass. 17 luglio 2003, n. 11200; Cass. 25 novembre 2002, n. 16568;
- è a maggior ragione impossibile pretendere di ricondurre (sia, in origine, unilateralmente, sia, poi, in sede
giudiziale) il contratto, liberamente accettato come aleatorio al momento della stipula, a condizioni diverse,
quali il valore di cambio ad un determinato momento, nonostante l'espressa previsione del suo ancoraggio alla
libera fluttuazione del valore stesso.
5.2. Il quesito a corredo del motivo 1-b è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che si intende violata,
come pure privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si assumerebbe
malamente applicata.
5.3. Il quesito a corredo del motivo 1-c è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che i ricorrenti
intenderebbero violata, privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si
assumerebbe malamente applicata.
5.4. Il quesito a corredo del motivo 1-d è privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola
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che si assumerebbe malamente applicata.
5.4.1. E tanto esime dal considerare che, comunque, in materia di mutuo fondiario disciplinato, ratione
temporis, dal d.P.R. n. 7 del 1976, spetta al giudice di merito accertare se, mediante la notificazione di atto di
precetto al mutuatario inadempiente, la banca abbia manifestato la propria volontà di avvalersi della clausola
risolutiva espressa prevista dell'art. 15 del citato d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, dichiarando espressamente di
voler risolvere il contratto di mutuo, ovvero, per fatti concludenti, intimando l'immediato pagamento di ogni
residua somma ad essa spettante; non può così, per il solo fatto dell'intimazione del precetto e senza addurre e
specificare adeguatamente le ulteriori ragioni di risoluzione anticipata del contratto, il debitore pretendere la
cessazione di operatività dello speciale anatocismo legale previsto in materia (dall'art. 14 dello stesso d.P.R. n.
7 del 1976) e riferito al tasso convenzionale e non a quello legale (Cass. 14 febbraio 2013, n. 3656, ove
ulteriori riferimenti e richiami alla giurisprudenza sul punto consolidatasi; in senso analogo, v. Cass. 3 maggio
2011, n. 9695); e, nella specie, non si ricava certo dai quesiti (ma, a ben vedere, neppure dal ricorso, in
violazione del disposto del n. 6 dell'art. 366 cod. proc. civ.) né il contenuto del precetto, né la circostanza del
dispiegamento in tali espressi termini di una doglianza dei precettati, né il riferimento dei conteggi poi posti a
base della decisione gravata all'anatocismo sulle rate a scadere: sicché, sotto questo profilo, la complessiva
doglianza sarebbe infondata, se non inammissibile.
5.5. Il quesito a corredo del motivo 1-e è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che i ricorrenti
intenderebbero violata, nonché privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si
assumerebbe malamente applicata.
5.6. A corredo del motivo 1-f non è formulato alcun momento di sintesi o riepilogo, tanto meno dai rigorosi
requisiti di cui al punto 4.2.
5.7. Il duplice quesito a corredo del motivo 2-a è privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed
alla regola che si assumerebbe malamente applicata; e ad ogni buon conto richiamandosi pure quanto indicato
al precedente punto 5.4.1.
5.8. Il quesito a corredo del motivo 2-b è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che intenderebbero
violata, privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si assumerebbe malamente
applicata.
5.8.1. Del resto, le questioni sulla relazione di C.T.U. sembrano piuttosto, se non altro alla stregua della solo
parziale trasposizione di essa in ricorso, riferite ai presupposti normativi dei singoli conteggi e sono pertanto
assorbite dalla qui dichiarata inammissibilità delle questioni di diritto complessivamente affrontate.
5.9. Il quesito a corredo del motivo 2-c è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che intenderebbero
violata, privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si assumerebbe malamente
applicata; e ad ogni buon conto richiamandosi pure quanto indicato al precedente punto 5.8.1.
5.10. A corredo del motivo 2-d non è formulato alcun momento di sintesi o riepilogo, tanto meno dai rigorosi
requisiti di cui al punto 4.2.
5.11. Il quesito a corredo del motivo 3-a è privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla
regola che si assumerebbe malamente applicata; e ad ogni
buon conto richiamandosi pure quanto indicato al precedente punto 5.4.1.
5.12. Il quesito a corredo del motivo 3-b è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che i ricorrenti
intenderebbero violata, nonché privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si
assumerebbe malamente applicata; e comunque potendo richiamarsi pure quanto indicato al precedente punto
5,8.1.
5.13. Il quesito a corredo del motivo 3-c è vago ed apodittico quanto alla regola astratta che i ricorrenti
intenderebbero violata, nonché privo di ogni riferimento alla peculiarità della fattispecie ed alla regola che si
assumerebbe malamente applicata.
5.14. A corredo del motivo 3-d non è formulato alcun momento di sintesi o riepilogo, tanto meno dai rigorosi
requisiti di cui al punto 4.2.
5.15. A corredo del motivo 4-c non è formulato alcun momento di sintesi o riepilogo, tanto meno dai rigorosi
requisiti di cui al punto 4.2.
6. Discorso in parte diverso va fatto per i motivi 4-a e 4-b, per il caso in cui si possano superare le perplessità
sulle modalità di formulazione dei quesiti a loro corredo.
Essi, una volta ricostruita correttamente la fattispecie, sono infatti inammissibili per difetto di interesse.
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È ben vero che la valutazione della soccombenza, ai fini della regolazione del carico delle spese, dev'essere
complessiva e globale (tra le molte: Cass. 23 agosto 2011, n. 17523; Cass. 11 giugno 2008, n. 15483; Cass. 7
luglio 2006, n. 15557; Cass. 7 gennaio 2004, n. 58); ma, poiché la parte integralmente soccombente, quali
vanno definiti gli odierni ricorrenti (la cui opposizione risulta, all'esito del secondo grado, rigettata), non vanta
mai alcun diritto alla compensazione delle spese (al riguardo, potendo certo dolersi della compensazione chi la
subisce, cioè chi avrebbe avuto diritto alla liquidazione in proprio favore), non ha ragione né interesse essa di
dolersi della pure non corretta esclusione, dalla propria condanna integrale, di una parte soltanto delle spese di
lite, motivata oltretutto sulla peculiarità di una condotta di controparte in primo grado e benché appunto
limitata, anziché in una quota astratta del totale, ad una serie specifica di spese del processo. E neppure
potrebbe dirsi che la valutazione di giusti motivi per la compensazione delle spese di lite in primo grado possa o
debba estendersi de plano al secondo grado, riferendosi solo all'uno - in base ad una valutazione di fatto - le
ragioni giustificatrici della deroga al principio della normale dipendenza della condanna alle spese dalla
soccombenza.
7. In definitiva, il vizio o la carenza di quesiti o momenti di sintesi per tutti i motivi diversi dal 4-a e 4-b e
l'inammissibilità di questi ultimi impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso; ed i soccombenti ricorrenti
vanno, tra loro in solido per la comunanza dell'interesse in causa, condannati al pagamento delle spese di lite in
favore di controparte.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna G.A. ed E..A. , tra loro in solido, al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, in pers. del leg. rappr.nte p.t., liquidate in Euro
12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Mutuo fondiario, interessi corrispettivi ed interessi moratori
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 maggio - 25 settembre 2013, n. 21885
Presidente Carnevale – Relatore Acierno
Svolgimento del processo
S.E. e N.C. proponevano opposizione all'esecuzione immobiliare intrapresa con pignoramento notificato dalla
Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, il 21/6/2001. Gli opponenti, l'uno in qualità di debitore
principale, l'altra in qualità di fideiussore, premesso che la banca aveva concesso un mutuo per miglioramento
agrario da erogarsi in più stanziamenti in base agli stati di avanzamento delle opere da realizzare e da
estinguersi in 15 anni a partire dalla stipula del contratto definitivo e che venivano complessivamente erogate L.
389.585.000, deducevano la nullità del precetto per illegittima applicazione del tasso degli interessi moratori in
quanto superiori al tasso soglia. La parte opposta per quel che interessa rilevava che la nuova
regolamentazione normativa dei tassi usurari non poteva avere efficacia retroattiva.
Il Tribunale accoglieva parzialmente l'opposizione sulla base delle seguenti affermazioni:
a) La legge n. 108 del 1996 non aveva effetto retroattivo ma secondo la sentenza della Corte di cassazione n.
1126 del 2000 poteva applicarsi limitatamente alla regolamentazione degli effetti dei rapporti ancora in corso
alla data della sua entrata in vigore per la frazione temporale ad essi successiva. Nella specie, di conseguenza,
alla luce della consulenza contabile eseguita, doveva essere espunta la somma di Euro 27.972,19, in quanto
relativa all'ammontare degli interessi praticati limitatamente alla parte di rapporto intercorso dopo l'entrata in
vigore della legge n. 108 del 1996;
b) Doveva altresì escludersi la somma di Euro 101.460,00 in quanto il precetto era stato intimato per una
somma (Euro 586.040.0959 pari al capitale scaduto) superiore dell'importo effettivamente erogato di Euro
389.585.000. Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso ex art. 111 Cost. la Sicilcassa in liquidazione
coatta p amministrativa, affidandosi a tre motivi:
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Nel primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 83 del d.lgs n. 385 del 1993 in
relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per non essere stato radicato il giudizio davanti al Tribunale del luogo
dove la banca ha la sede legale. Il motivo prospetta un'eccezione d'incompetenza sollevata del tutto
tardivamente rispetto allo sbarramento temporale individuato nell'art. 38 cod. proc. civ., ratione temporis
applicabile nella prima udienza di trattazione (art. 183 cod. proc. civ.), essendo stato affermato dallo stesso
ricorrente che tale eccezione è stata sollevata per la prima volta in sede di comparsa conclusionale del
procedimento svoltosi davanti al Tribunale di Gela.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione art. 112 cod. proc. civ. per vizio di ultrapetizione della sentenza
impugnata. Afferma al riguardo la parte ricorrente che gli opponenti avevano dedotto la nullità del precetto
notificato contestando esclusivamente "l'assoluta nullità del calcolo degli interessi come effettuato in atto di
precetto perché superiore al tasso soglia individuato con la L. n. 108 del 1996". Nessuna censura aveva
riguardato l'ammontare del capitale. Pertanto, il Tribunale di Gela provvedendo ingiustificatamente alla
riduzione della sorte, per la parte ritenuta ingiustamente "non versata" è incorsa nel vizio di extrapetizione. Il
motivo si chiude con rituale formulazione del principio di diritto.(no la domanda c'è).
Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione viene dedotta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1284; 1372 e 1815 cod. civ. nonché dell'art. 16 della L. n. 175 del 1991 e dell'art. 38 del r.d. n. 646
del 1905 e, più in generale dei principi in materia di credito fondiario. Precisava al riguardo il ricorrente che era
stato stipulato un contratto di mutuo agevolato soggetto alle norme antecedenti il d.lgs n. 385 del 1993 che
prevedeva un sensibile vantaggio ai sensi della L. regionale siciliana n. 13 del 1986 per il mutuatario, costituito
dall'obbligo di pagare soltanto una frazione degli interessi dovuti (pari al 3,30%) mentre la restante parte era a
carico della Regione; l'ammortamento della somma mutuata in 15 anni a partire dal quarto anno successivo alla
stipula dell'atto definitivo; la previsione del pagamento dei soli interessi nel periodo quadriennale di
preammortamento, la previsione di una clausola risolutiva espressa operante con il mancato pagamento anche
di un solo rateo. Aggiungeva il ricorrente che il contratto definitivo non veniva stipulato e che veniva in concreto
erogata la somma di L. 474.979.970 cui dovevano aggiungersi gli interessi di preammortamento scaduti relativi
alle somme versate e non pagate fino al 30 giugno 2000 ed infine gli interessi moratori sul capitale scaduto. Il
Tribunale è incorso nell'errore di confondere il capitale scaduto composto dal finanziamento erogato e
dall'importo degli interessi di preammortamento relativi ai ratei scaduti e non pagati ed il capitale versato,
limitando l'obbligo a carico del mutuatario al solo capitale versato. In realtà la banca ha richiesto del tutto
legittimamente gli interessi di preammortamento contrattualmente pattuiti e maturati a far data dalle singole
somministrazioni fino al giugno del 2000, sul capitale effettivamente erogato. Tali importi dovevano
necessariamente essere aggiunti al "capitale" andando a comporre l'entità del capitale scaduto, sulla quale
dovevano essere corrisposti gli interessi moratori, la cui legittimità, secondo il ricorrente, oltre ad essere
prevista dalla disciplina normativa relativa ai mutui fondiari, non era stata contestata dagli opponenti, sotto il
profilo dell'anatocismo ma solo in ordine al dedotto tasso usurario. La eliminazione della quota di capitale
relativa agli interessi di preammortamento scaduti costituisce una violazione della disciplina negoziale ex art.
1372 cod. civ., nonché la violazione dell'art. 1284 cod. civ. nella parte in cui prevede la facoltà di prevedere
interessi convenzionali superiori a quelli legali purché disposti per iscritto. Infine è stato violato il principio
dell'onerosità dei mutui previsto dall'art. 1815 cod. civ. Il motivo si chiude con rituale quesito di diritto.
Nel quarto motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996 e della
legge d'interpretazione autentica n. 24 del 2001, per avere la sentenza impugnata non riconosciuto la somma di
L. 27.972,19 perché relativa ad interessi calcolati in misura superiore a quella legale secondo i parametri della
normativa antiusura. Escludendo l'importo in questione la sentenza impugnata ha disatteso il più recente ma
conforme orientamento di questa Corte in ordine all'applicazione della normativa antiusura dopo la L. n. 24 del
2001, ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 29 del 2002. Secondo la
giurisprudenza di legittimità al fine di stabilire se il tasso d'interesse praticato superi il tasso soglia è necessario
verificarne l'ammontare al momento della stipulazione del contratto, e non al momento del pagamento. Nella
specie il mutuo fu stipulato nel 1979 ed il precetto intimato nel 1991, con conseguente inapplicabilità radicale
della disciplina normativa contenuta nella L. 108 del 1996. Peraltro, precisa la parte ricorrente il tasso applicato
era "amministrato" per definizione ex lege e non era negoziato in senso stretto, oltre a non gravare se non in
misura ridottissima (3,3,%) a carico del mutuatario. Inoltre gli atti concreti di erogazione erano stati anteriori
all'entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 (27/9/93 e 5/4/1995).
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Il secondo e terzo motivo devono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Pur potendosi
ritenere inclusa nella censura di invalidità radicale del precetto e di non corrispondenza dell'importo azionato a
quello dovuto, la domanda relativa alla riduzione della somma complessivamente richiesta a titolo di capitale
"scaduto", si deve osservare che l'importo di L. 101.460,00 non poteva essere espunto perche non
materialmente erogato costituendo il corrispettivo sinallagmatico del versamento della somma concretamente
mutuata. Il piano di preammortamento e di ammortamento del mutuo derivano dalla naturale natura onerosa
del mutuo prevista dall'art. 1815 cod. civ. Secondo tale norma il mutuatario, salvo diversa volontà delle parti
"deve" gli interessi al mutuante, perché tali interessi costituiscono il costo per il mutuatario del finanziamento.
Essi hanno la natura d'interessi corrispettivi e, come correttamente evidenziato dal ricorrente compongono il
capitale "scaduto" ovvero la complessiva sorte da pagare, costituita dall'importo erogato e dal "prezzo" del
mutuo secondo il piano a scalare stabilito nel piano di ammortamento(comprensivo di quello di
preammortamento). Ove i ratei vengano tempestivamente pagati non si applicano gli interessi moratori, In caso
contrario essi devono essere corrisposti sugli interessi corrispettivi maturati sui ratei scaduti.
Nella specie era stato previsto un piano quadriennale di preammortamento, ovvero di ratei formati solo di una
quota a scalare degli interessi corrispettivi complessivamente dovuti, peraltro, in virtù della natura agevolata
del mutuo, posti solo in misura modesta (3,30%, mentre il restante 11,40% era di pertinenza dell'ente
territoriale) a carico del mutuatario. Quest'ultimo non aveva corrisposto alcun rateo e ne era conseguita
l'operatività della clausola risolutiva espressa e la richiesta di pagamento della quota (integrale a causa
dell'omesso versamento dei ratei) degli interessi di preammortamento che fossero scaduti alla data di
cessazione della vigenza del rapporto.
Si deve osservare, al riguardo, che in tema di mutuo fondiario, la debenza del c.d. capitale scaduto è prevista
espressamente dall'art. 38 del r.d. n. 646 e dall'art. 16 della L. n. 175 del 1991, ratione temporis applicabili.
Nelle due norme è, infatti, prevista la decorrenza automatica degli interessi corrispettivi maturati alle singole
scadenze nonostante l'opposizione del mutuatario e l'applicabilità degli interessi di mora sugli importi a tale
titolo dovuti, al pari del capitale versato. (Cass.9695 del 2011; 3656 del 2013). La riduzione del capitale
"scaduto" con l'eliminazione di quanto dovuto per interessi corrispettivi non corrisposti, nella specie non poteva,
di conseguenza aver luogo, in quanto:
a) il piano di preammortamento era stato stipulato per iscritto in ossequio all'art. 1815 e 1284 cod. civ.;
b) l'applicazione della normativa antiusura, incidente anche sugli interessi corrispettivi ex art. 1815 secondo
comma, non era applicabile ratione temporis, e non era stata neanche prospettata la questione dell'operatività
nella specie del divieto di anatocismo. La sentenza impugnata, limitandosi all'esclusione dell'importo relativo
agli interessi relativi al piano di preammortamento, mediante un'adesione non del tutto comprensibile alla
consulenza tecnica d'ufficio, si è limitata ad affermare erroneamente che essi non costituiscono parte del
capitale, così confondendo capitale versato e "scaduto". La sentenza impugnata, infine, non distingue tra
interessi a scalare su ratei scaduti, da integrare nel capitale da restituire, e interessi su ratei non ancora scaduti
e conseguentemente non dovuti in caso di domanda di rimborso anticipato dell'intero importo erogato (S.U
n.12639 del 2008) limitandosi ingiustificatamente ad escludere dall'obbligo restitutorio la quota di capitale non
riconducibile all'importo effettivamente erogato. Si ritiene, peraltro, di dover precisare che tale differenziazione
degli interessi corrispettivi dovuti non è desumibile aliunde dalla lettura complessiva della pronuncia o del
ricorso.
Il terzo motivo, merita, conseguentemente accoglimento, così come il quarto motivo, trovando applicazione
l'orientamento più recente ma consolidato della giurisprudenza di questa Corte, alla luce del quale "I criteri
fissati dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano
applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla
norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv.,
con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione
con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale" (Cass. N. 4380 del 2003; 26499 del 2009). Risulta
pertanto illegittima la riduzione degli interessi moratori per L. 27.912,19, operata in virtù dell'applicazione della
L. n. 108 del 1996.
In conclusione il ricorso deve essere accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si procede
ex art. 384, secondo comma cod. proc. civ. alla decisione nel merito,e, conseguentemente, al rigetto
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dell'opposizione, con applicazione del principio della soccombenza in ordine al giudizio di merito e alla fase di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'opposizione
all'esecuzione e condanna le parti resistenti al pagamento delle spese di lite del precedente grado di merito e
del presente procedimento, liquidate, per il grado di merito in Euro 2500 per onorari; Euro 1500 per
competenze; Euro 300 per spese; per il presente procedimento in Euro 11800 per compensi; Euro 200 per
esborsi otre accessori di legge.
Anatocismo e banche
Una volta dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo, gli
interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 16 aprile - 3 settembre 2013, n. 20172
Presidente Di Palma – Relatore De Chiara
Premesso in fatto
1. — Il sig. C.N. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore la Banca Popolare dell'Emilia
Romagna, per ottenerne la condanna alla restituzione delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse
nell'ambito del contratto di conto corrente con affidamento di scoperto stipulato con la sua filiale di Nocera
Superiore, previo accertamento della nullità parziale del contratto per violazione dell'art. 1283 c.c., con
riferimento, tra l'altro, alla clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Il Tribunale accolse la domanda, negando in particolare la spettanza di qualsiasi capitalizzazione degli interessi
a favore della banca.
La Corte d'appello di Salerno, adita da quest'ultima, ha emesso una prima sentenza non definitiva con la quale
ha rigettato tutti i motivi di gravame ad esclusione di quello concernente la spettanza della capitalizzazione
degli interessi, in relazione al quale ha disposto consulenza tecnica d'ufficio con separata ordinanza; quindi, con
sentenza definitiva, in parziale accoglimento del gravame proposto dalla banca, confermata la nullità della
clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, ha riconosciuto a favore della stessa la capitalizzazione
con frequenza annuale ed ha condannato l'appellato al pagamento di Euro 12.671,08 oltre interessi.
Il sig. C. ha quindi proposto ricorso per cassazione per un unico motivo, cui la banca ha resistito con
controricorso.
Con relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. il Consigliere relatore ha ritenuto fondato il ricorso. La relazione è
stata ritualmente comunicata al P.M. e notificata agli avvocati della parti costituite, i quali non hanno presentato
conclusioni o memorie.
Considerato in diritto
2. — Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1283 c.c., poiché la Corte d'appello ha
ritenuto applicabile al rapporto bancario originato dal contratto, stipulato in data anteriore al 22 aprile 2000 (e
dunque persistentemente nullo, in parte qua, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, con
sentenza n. 425 del 2000, della sanatoria disposta dall'art. 25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342), la
capitalizzazione annuale in luogo di quella trimestrale dichiarata nulla.
3. — Il ricorso è fondato.
Va preliminarmente sgombrato il campo dall'eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per
omessa impugnazione della sentenza non definitiva della Corte d'appello. Invero, diversamente da quanto
sostenuto dalla banca, con la sentenza non definitiva la Corte non si è pronunciata sul motivo di gravame
relativo alla capitalizzazione degli interessi, in merito al quale ha invece disposto la prosecuzione del giudizio
per l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio, espressamente chiarendo, in motivazione, che ciò era
preliminare alla decisione della questione della "spettanza o meno della capitaniamone e, per il caso
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OPERA FORENSIS
affermativo, della sua frequenta", e, in dispositivo, che venivano respinti "i motivi di appello diversi da quello
relativo alla capitaniamone degli interessi”.
Quanto al merito della censura, si osserva che Cass. Sez. Un. 24418/2010, richiamata dal ricorrente, ha chiarito
che, una volta dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il
divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale
di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare
capitalizzazione alcuna.
Né ha fondamento il rilievo della controricorrente secondo cui la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite,
successiva alla decisione della Corte d'appello di Salerno, integrerebbe un'ipotesi di c.d. overruling, con
conseguente esigenza di rimedi a tutela dell'affidamento incolpevole della banca. Ai fini di tali rimedi, invero,
rileva il solo mutamento, nella giurisprudenza di legittimità, della consolidata interpretazione di norme di
carattere processuale (e sempre che si tratti di mutamento in senso restrittivo delle facoltà delle parti), come
chiaramente risulta da Cass. Sez. Un. 15144/2011, mentre nella specie il chiarimento delle Sezioni Unite non ha
comportato alcuna modifica della precedente giurisprudenza di questa Corte e ha riguardato norme di diritto
sostanziale.
4. - La sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato
in dispositivo, che si atterrà al principio di diritto enunciato al penultimo capoverso del paragrafo che precede e
provvederà anche sulle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di
Salerno in diversa composizione.
(ricostruzione del fenomeno dell’anatocismo)
Commissione di massimo scoperto
La commissione di massimo scoperto è lecita se approvata espressamente
dal cliente, altrimenti è usuraria
Due interessanti sentenze sulla commissione di massimo scoperto che aprono un contrasto giurisprudenziale: per una il correntista, che ha
accettato l’apposita clausola, deve rimborsare la banca; per l’altra, invece, è sempre illecita e vessatoria anche per la carenza del consenso
informato ai prelievi.
(Tribunale di Milano, sez. VI Civile, sentenza 27 marzo 2013)
(Tribunale di Macerata, sentenza n. 334/13; depositata l’11 marzo)
Tribunale di Milano, sez. VI Civile, sentenza 27 marzo 2013
Giudice Antonio S. Stefani
Fatto e diritto
1. Gli attori L. s.r.l. e L.S. - rispettivamente titolare del c/c …omissis… presso la BANCA …omissis… e fideiussore
- hanno avanzato una serie di censure relativamente alla tenuta del predetto conto, chiedendo il suo ricalcalo e
la ripetizione delle somme pagate in eccedenza al dovuto.
In particolare sono state contestate l'applicazione della commissione di massimo scoperto, le valute dei
versamenti, il tasso debitore, le spese e la periodicità di liquidazione degli interessi debitori.
2. Per quanto riguarda la commissione di massimo scoperto si rileva che nel contratto di c/c in questione,
stipulato in data 14/11/2003 (v. doc. I di parte attrice, relativo alle condizioni economiche), tale onere è stato
espressamente convenuto, precisandone anche la misura.
L'autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall'art. 1322 c.c. consente alle stesse di convenire il
pagamento di una simile commissione, posto che la stessa è volta a remunerare l'onere della Banca di dover
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OPERA FORENSIS
essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto di conto (cfr. Istruzioni
Banca d'Italia per rilevazione tassi usura, ed. 2002, par. C5) ed è quindi meritevole di tutela giuridica. Non
sussiste, conseguentemente, la denunciata nullità del patto per difetto di causa.
A ciò si aggiunga che, successivamente alla stipula del contratto oggetto di causa, è intervenuto lo stesso
legislatore a disciplinare la c.m.s., dapprima con l'art. 2-bis, decreto-legge n. 185/2008, conv. dalla legge
2/2009 e quindi con l'art. 117-bis TUB (introdotto con la legge n. 214/2011), il che attesta che anche
l'ordinamento positivo ha riconosciuto la meritevolezza degli interessi perseguiti con la pattuizione della c.m.s.
2. Relativamente alle valute dei versamenti la censura di violazione delle condizioni contrattuali è generica,
giacché parte attrice non ha indicato alcuna specifica operazione limitandosi a lare riferimento agli estratti conto
al 31/5/2004, 30/6/2004, 31/7/2004, ecc.
Inoltre la parte ha lamentato, ad es., l'applicazione di una valuta tra 7 e 10 giorni per il versamento di assegni,
senza tuttavia allegare di aver tenuto conto dei soli giorni lavorativi, come contrattualmente previsto (v. doc. 1
cit), né di aver tenuto conto delle variazioni via via intervenute Si noti ad esempio che proprio con l'estratto
conto del 31/5/2004 (doc 2 di parte attrice) la Banca ha comunicato l'elevazione dei giorni di valuta per gli
assegni bancari fuori piazza dai 4 inizialmente previsti a 5.
3. Circa il tasso debitore, parte attrice ha dato atto che è stato pattuito il tasso di sconfinamento nella misura
del 13,750% (v. doc. 1) ed ha riconosciuto che essa è stata effettivamente applicata, ma ha affermato che il
rapporto fosse affidato "come si evince anche dalla semplice visione degli estratti conto" e ha quindi ritenuto
inapplicabile quel tasso all'interno del fido. In realtà gli estratti conto prodotti nulla dimostrano circa l'esistenza
di un fido ed anzi nel riepilogo delle condizioni in essere è indicato un unico tasso debitore, pari appunto al
13,750% (v ad es. e/c al 30/6/2004, doc. 2). La parte onerata non ha quindi offerto la necessaria prova
dell'esistenza di un fido con un diverso tasso debitore, di modo che la doglianza è infondata.
4. Parte attrice ha poi lamentato come indebita l'applicazione trimestrale a partire dal 31/3/2004 di spese nella
misura di euro 21,39 per spese fisse di chiusura e di euro 8,76 quale importo forfettario. In realtà tali importi
sono esattamente quelli comunicati dalla Banca, in variazione di quelli originari, già con l'estratto conto del
31/1/2004 (v. doc. 2), con la precisazione che l'importo di euro 8,76 era previsto fino a 19 movimenti nel
trimestre.
5. Infondata è anche la doglianza relativa al fatto che non sarebbe stata espressamente prevista la pariteticità
degli interessi attivi e passivi. Al riguardo si osserva, innanzitutto, che la parte non ha prodotto il contratto
normativo di c/c, come era suo onere quale attore per l'indebito, al fine di dimostrare la violazione dell'art. 120
TUB. Ma anche nelle condizioni economiche prodotte sub 1 è chiaramente indicato che la capitalizzazione avrà
periodicità trimestrale, senza alcuna distinzione tra interessi passivi ed attivi e ciò è sufficiente per ritenere non
provata la doglianza.
6. Le censure sopra esposte sono state genericamente estese anche agli altri conti correnti intrattenuti dagli
attori con BPM, In proposito, però, la parte ha prodotto solo alcuni estratti conto (docc. 3-10). In particolare
non sono stati prodotti i contratti di c/c e le relative condizioni economiche, di modo che non è possibile
accertare la fondatezza delle doglianze e ciò comporta il rigetto delle domande, atteso che sul punto l'onere
gravava sulla parte attrice che doveva dimostrare gli indebiti
7 La L. ha inoltre dubitato dell'esistenza di una fideiussione rilasciata nell'interesse della s.r.l. L. a sua firma,
affermando di non averne mai ricevuto copia, e ne ha comunque eccepito la nullità per indeterminatezza
dell'oggetto ove priva di "indicazione alcuna del rapporto bancario oggetto della ... fideiussione" (v. citazione,
pag. 18).
La Banca convenuta ha prodotto sub doc. 7 la fideiussione in questione e in relazione a tale documento nessuna
contestazione è stata mossa dalla attrice Né sussiste l'eccepita nullità, atteso che ai sensi dell'art. 1938 c.c. è
valida la fideiussione prestata anche per un'obbligazione futura - di modo che non è necessario che nella
garanzia sia specificato il singolo rapporto contrattuale - a condizione della previsione dell'importo massimo
garantito. Tale condizione è stata rispettata nel caso di specie, dal momento che la fideiussione prestata dalla
L., aveva originariamente il limite di euro 60.000,00, via via aumentato fino ad euro 420.000,00 (v. doc. 7 di
parte convenuta).
8. La Banca convenuta ha svolto domanda riconvenzionale di condanna al pagamento del saldo debitore relativo
al c/c …omissis…, intrattenuto dalla s.r.l. L., per euro 675.276,10 alla data del 19/5/2008, nonché del saldo
debitore relativo al c/c …omissis… intrattenuto dalla L., per euro 13.510,41 alla data del 21/5/2008. Al riguardo
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ha prodotto gli estratti conto certificati ai sensi dell'art. 50 TUB (v. docc. 8 e 9 di parte convenuta) e va rilevato
che nessuna contestazione ha mosso la controparte, oltre a quelle implicitamente contenute nelle doglianze
sopra già esaminate e disattese. La domanda riconvenzionale deve, quindi, essere accolta, con la precisazione
che trattandosi di un debito di valuta non può essere riconosciuta la richiesta rivalutazione monetaria e che gli
interessi applicabili sono quelli legali, in difetto di qualsiasi diversa allegazione della parte.
9. Nel caso di specie non vi è soccombenza reciproca, né ricorrono gravi ed eccezionali ragioni per derogare al
principio sancito nell'art. 91 c.p. e per la liquidazione delle spese, operata in dispositivo, ai sensi del dm. n
140/2012, osservato che in forza del disposto degli artt. 9, comma 3, decreto-legge n. 1/2012, convertito da
legge 27/2012, e 41 dm. citato, la previgente tariffa professionale non può essere applicata nel presente
procedimento (cfr. Cass. s.u., n. 17406/2012). La liquidazione tiene conto della mancato svolgimento di una
istruttoria, della redazione della sola comparsa conclusionale e della assenza di allegazione di spese.
P.Q.M.
il Tribunale di Milano
in composizione monocratica
VI sezione civile
definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
1) rigetta le domande di parte attrice – L. s.r.l. e L.S.;
2) accoglie la domanda riconvenzionale svolta da parte convenuta – BANCA …omissis…;
3) per effetto condanna L. s.r.l. a pagare in favore di parte convenuta la somma di euro 675.276,10 oltre
interessi legali dal 20/5/2008;
4) condanna altresì L.S. a pagare in favore di parte convenuta la somma di euro 13.510,41 oltre interessi legali
dal 22/5/2008;
5) condanna parte attrice a rimborsare in favore di parte convenuta le spese di giudizio, che liquida in euro
10.000,00 per compensi oltre CPA e IVA.
Tribunale di Macerata, sentenza 13 febbraio – 11 marzo 2013, n. 334
Giudice Pietro Merletti
Ritenuto in fatto
La società …omissis… aveva acceso il 3 marzo 1995 il rapporto di conto corrente bancario n …omissis… negli
anni successivi erano stati aperti svariati conti anticipi ed erano state effettuate anche numerose operazioni di
anticipi in valuta estera i cui oneri erano confluiti del conto corrente predetto. Tale conto era stato trasformato
nel numero …omissis… ed era stato trasferito nella filiale Macerata 2 Piediripa. Il conto era ancora acceso ed
operativo al momento della notifica dell'atto di citazione .Esponeva che dal 3 marzo 1995 fino alla notifica del
citazione da cui sorgeva la presente causa la società attrice aveva intrattenuto con l'istituto di credito
convenuto un rapporto dì conto corrente di corrispondenza. L'attrice aveva sempre effettuato su tale conto
bancario operazioni correlate alla propria attività commerciale. Successivamente all'inizio del sopraccitato
rapporto di conto corrente bancario, alla società attrice era stato concesso dalla banca anche un'apertura di
credito sotto forma di finanziamenti in valuta estera ed anticipi salvo buon fine. La società attrice aveva così
iniziato ad operare avvalendosi degli affidamenti. In seguito all'Istituto bancario aveva progressivamente
variato nel corso degli anni l'importo del credito messo a disposizione della società stessa. Nel corso degli anni il
tasso di interesse nominale applicato era variato in maniera del tutto arbitraria, senza nessun riferimento
all'andamento del tasso ufficiale di sconto e in danno della attrice; inoltre fino al secondo trimestre del 2006
l'Istituto di credito aveva effettuato sul conto corrente bancario intestato all'attrice la capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi dovuti dalla correntista. Oltre a ciò, erano stati addebitati a calzaturificio
ulteriori oneri, assolutamente non dovuti ed ingiustificati, a titolo di commissione di massimo scoperto ed altre
competenze come, ad esempio, le spese di tenuta del conto e le valute. Per oltre 10 anni la società attrice,
aveva usufruito dell'apertura di credito e degli affidamenti connessi al suddetto rapporto di conto corrente
pagando competenze elevatissime. Nella situazione di scarsa liquidità, determinata anche dai tassi esosi
richiesti dalla banca, la società, non avendo da subito la forza economica di chiudere il conto, non aveva
comunque potuto fare altro che profondere ogni sforzo per far fronte alle richieste dell'istituto di credito ma non
potendo, nel contempo, impiegare maggiori risorse economiche per incrementare la propria attività
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OPERA FORENSIS
commerciale. Denunciava le norme bancarie uniformi come accordi di cartello. Chiedeva la nullità delle clausole
che imponevano interessi usurari e commissioni non dovute e quindi la restituzione del denaro indebitamente
percepito dalla banca. La Banca si costituiva affermando che l'andamento del conto corrente era stato del tutto
regolare; comunque eccepiva il decorso della prescrizione, riferite a somme versate precedentemente al
decennio decorrente dalla notifica della citazione introduttiva. Contestava la richiesta di risarcimento del danno.
Veniva condotta istruttoria con consulenza tecnica e prova per testi; ed all'esito, precisate le conclusioni e
concessi termini per le memorie conclusionali, la causa veniva spedita a sentenza e trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Si ritiene di dover aderire ai metodo del Consulente tecnico, per vero criticato da entrambe le parti, secondo il
quale la commissione di massimo scoperto e le spese fisse accessorie vanno in ogni caso inserite nei calcoli
usurari, ma vanno calcolate con formule separate rispetto a quella del calcolo degli interessi, a meno che
l'entità di tali voci sia talmente sproporzionata rispetto alla prestazione effettuata dall'operatore finanziario da
far ritenere che lo stesso operatore abbia volutamente maggiorato le stesse voci per realizzare ulteriori interessi
passivi, mascherandoli al fine di eludere la normativa antiusura; in tal caso le voci accessorie vanno sommate
agli interessi passivi, diventandone parte integrante. Quanto alla sottoscrizione della …omissis…, è stato
reperito il documento denominato benestare di apertura del conto corrente …omissis… con le norme che ne
regolavano l'utilizzo, e all'art. 7 di tali nonne si legge che i rapporti di dare ed avere vengono chiusi
contabilmente alla fine di ogni trimestre solare e con le medesime scadenze periodiche vengono liquidati e
capitalizzati gli interessi creditori e debitori, al netto delle ritenute fiscali ove applicabili; tale documento è privo
di data, ma risale ai primi giorni di aprile 2001, quando è stato sostituito il conto …omissis… con il conto
…omissis…. Il conto era ancora attivo al momento della citazione, per cui non si vede, alla luce dell'intervento
chiarificatore della Corte Costituzionale con sentenza 5 aprile 2012 n 78, con cui espressamente si afferma che
le ripetizioni di indebito oggettivo spesso diventano chiare solo all'atto della chiusura del conto, quale tipo di
prescrizione possa essere invocato nel caso di specie. Per quanto attiene la conoscibilità del variare delle
condizioni, con pubblicità effettuata attraverso gli estratti conto, si ritiene che, in difetto di specificazione del
perché di volta in volta venissero operate tali variazioni, le stesse non potessero legittimamente essere
effettuate dalla Banca ; per cui, tenuto conto che dopo il 2000 la banca ha legittimamente operato la
capitalizzazione, ma ha indebitamente addebitato spese che venivano fatte conoscere al correntista tramite il
meccanismo dell'estratto conto ma non erano state preventivamente approvate per iscritto; e comunque con un
tipo di pubblicità su cui non veniva sufficientemente attirata l'attenzione dei correntista, il quale in caso di
modifica sfavorevole ha sempre un periodo di tempo per disdire il proprio conto, o comunque non approvare tali
modifiche se introdotte senza giustificazione ed unilateralmente, si prende il conteggio 5 c del Ctu (non il 5 d
per comodità di calcolo) e lo si addiziona di tutte le spese globalmente emerse dal prospetto 2 a (sempre
illegittime perché non si è mai trovato il contratto originario firmato; poco importa che il funzionario rammenta
che è stato firmato con il sistema della carta copiativa, che è quello che normalmente succede; la banca non ha
alcuna giustificazione per non essersi tenutali documento originario del 95 da cui sono partiti i rapporti, e quindi
tutte le condizioni, tra …omissis… e Banca di Roma). Ne deriva che la Banca dovrà restituire al correntista la
somma indebitamente percetta pari ad euro 123.156,42, al correntista dovute per indebito superamento dei
tassi soglia, indebita applicazione delle commissioni di massimo scoperto, ed indebita applicazione di spese che
non sono mai state preventivamente approvate dal correntista, di cui non è mai stato prodotto il documento
originario da lui sottoscritto. Trattandosi di ripetizione di indebito, le somme come determinate saranno dovute
con interessi in misura legale dalla data della notifica della citazione al saldo effettivo.
Ciò ribadendo che il sistema di capitalizzazione dopo il 2000 prevedendo pari periodi tra interessi attivi e passivi
è sostanzialmente corretto. Si prende atto che ulteriori richieste di risarcimento danno non sono state
riproposte nelle conclusioni, e comunque in merito ad esse non è stata formulata alcuna prova, per cui devono
ritenersi in fatto abbandonate. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie per quanto di ragione la domanda proposta da …omissis… contro Banca di Roma Spa ora Unicredit spa
e condanna la convenuta Unicredit spa a pagare alla …omissis… la complessiva somma di euro 123.156,42,
oltre interessi, in misura legale, dalla data della citazione della domanda al saldo effettivo. Condanna la
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OPERA FORENSIS
convenuta Unicredit spa alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in favore di …omissis… che
liquida in complessivi euro 9.000,00 per compensi, oltre spese di ctu come liquidate, spese di ctp come
fatturate, altri esborsi documentati, ed accessori di legge.
MUTUO BANCARIO
Zero limiti alla negoziabilità degli interessi nei rapporti anteriori alla
legge antiusura
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 novembre 2012 - 11 gennaio 2013, n. 603
Presidente Fioretti – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Con atto di citazione in data 22 ottobre 1996, W.G.M.U. proponeva opposizione avverso decreto ingiuntivo,
emesso dal Presidente del Tribunale di Roma in data 11/06/1996 ed integrato in data 10/07/1996, con cui egli
era stato condannato a pagare alla Banca Nazionale del Lavoro la somma di lire 650.450.206, oltre interessi.
Costituitasi, la Banca chiedeva rigettarsi l'opposizione.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1819/1999 rigettava la domanda.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello il W.G..
Si costituiva la Banca, che chiedeva il rigetto dell'appello.
La Corte d'Appello di Roma, con sentenza 26/01/ - 13/09/2005, accoglieva parzialmente l'appello, revocava il
decreto ingiuntivo e condannava l'appellante al pagamento della somma di Euro. 529.660, oltre interessi.
Ricorre per cassazione il W.G.. Resiste, con controricorso, e propone ricorso incidentale la Banca Nazionale del
Lavoro SpA.
Resiste con controricorso al ricorso incidentale il W.G..
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente principale lamenta violazione dell'art. 1283 c.c. nonché vizio di motivazione in
punto capitalizzazione degli interessi passivi.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1815, 1284, 1339 e 1419 c.c., e della L.
07/03/1996 n. 108, nonché vizio di motivazione, in ordine alla applicazione del tasso soglia in sostituzione dei
tassi usurari e alla mancata applicazione del tasso legale.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione, circa l'omesso esame delle contestazioni sollevate
sulla consulenza tecnica e l’acritica adesione ad essa.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, la Banca Nazionale del Lavoro lamenta violazione degli artt. 183,
189, 342, 345 c.p.c. essendo stata sollevata la questione dell'anatocismo, per la prima volta soltanto in
comparsa conclusionale di appello. Con il secondo, violazione degli artt. 1418 e 1815 c.c., della L. n. 108/1996
e del D.L. n. 394 del 2000, circa l'illegittimità della pattuizione concernente gli interessi convenzionali
anteriormente alla L. 108 del 1996.
Per ragioni sistematiche va innanzi tutto esaminato il primo motivo del ricorso incidentale, che va rigettato in
quanto infondato.
Non sussiste, nella specie, alcuna preclusione del giudice di appello ad esaminare la questione relativa
all'anatocismo. La stessa Corte di merito, con motivazione adeguata e non illogica, precisa che già in atto di
opposizione si affermava che l'estratto conto bancario non indicava la misura dell'addebito degli interessi e la
loro decorrenza: si trattava, all'evidenza, di una generale contestazione degli interessi. Senza contare che la
questione dell'anatocismo, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 6518/2011) può essere
considerata anche d'ufficio.
Quanto al primo motivo del ricorso principale, va precisato che la Corte di Appello esclude, nella specie,
l'esistenza di anatocismo: non vi sarebbero illegittime forme di capitalizzazione degli interessi, trattandosi di
contratto di finanziamento, nel quale la restituzione di singole rate di mutuo costituirebbe l'adempimento di una
unica obbligazione, determinata fin dall'inizio sia nel capitale che negli interessi, secondo il piano di
ammortamento contrattualmente stabilito. L'argomentazione non ha pregio: a nulla rileva l'eventuale
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OPERA FORENSIS
"ammortamento" comprendente capitale ed interessi. In qualsiasi contratto di mutuo o finanziamento, è sempre
possibile distinguere capitale ed interessi corrispettivi. Il divieto di produzione di interessi su interessi è fissato
dall'art. 1283 c.c., ai sensi del quale è ammesso soltanto dal giorno della domanda giudiziale o per l’effetto di
convenzione posteriore alla scadenza degli interessi stessi (sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per
sei mesi) salvo usi contrari (ma dovrà trattarsi di usi normativi, e non negoziali o interpretativi). Il motivo è
dunque fondato e va accolto. Quanto al secondo motivo, va precisato che giurisprudenza ormai consolidata (da
ultimo Cass. N. 25182 del 2010) precisa che, con riferimento a fattispecie anteriore (come - pacificamente - nel
caso che ci occupa) alla L. 108 del 1996 (disciplina "anti - usura"), in mancanza di una previsione di
retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito alle parti di
determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta: l'illiceità si
ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario, stato di
bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell'autore del reato. Valide dunque le
predette clausole contrattuali, è esclusa l'automatica sostituzione del tasso originariamente determinato con
quello legale. Al contrario, trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L. 108
(con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato l'art. 1 L. n. 108 del 1996 che ha
previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali), al di sopra dei quali,
gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n.
5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, secondo comma e 1319
c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia.
Il motivo va dunque rigettato in quanto infondato. Per ragioni sistematiche, va esaminato il secondo motivo del
ricorso incidentale, anch'esso relativo agli interessi usurari.
Il motivo va dichiarato inammissibile in quanto non coglie il senso dell'argomentazione censurata. Non afferma
la sentenza impugnata la nullità delle pattuizioni anteriori alla L. 108 del 1996, ma ne precisa correttamente
l'illegittimità degli effetti, relativamente ai rapporti non ancora esauriti, con sostituzione automatica del tasso
divenuto usurario con il tasso soglia, di cui all'art. 1 predetta legge (e successivi decreti ministeriali).
Quanto al terzo motivo del ricorso principale esso consiste sostanzialmente in una critica all'operato ed ai
conteggi del CTU, in parte circostanziata, in parte generica, a fronte di una motivazione adeguata,
particolarmente analitica e non illogica della sentenza impugnata: in essa si precisa che il CTU, sulla base della
documentazione prodotta, con ragionamento immune da errori e vizi logici ha accertato che la Banca ha
applicato interessi moratori superiori a quanto pattuito nonché al tasso - soglia di cui alla L. 108/1996, e ha
effettuato i relativi conteggi, che vengono ampiamente richiamati. Il motivo va pertanto rigettato in quanto
infondato. Conclusivamente va accolto il primo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri, nonché il ricorso
incidentale, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione,
che si atterrà a quanto sopra indicato e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale; rigetta gli altri nonché il ricorso incidentale; cassa la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
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OPERA FORENSIS