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Cultura
l’alternativa alla crisi
per una nuova idea di
progresso
10°RAPPORTOANNUALEFEDERCULTURE2014
a cura di
Roberto Grossi
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In copertina: disegno di Cecco Mariniello /
© Biblioteca comunale Alessandro Lazzerini, Prato
Redazione: Francesca Chiarantano
Realizzazione editoriale
24 ORE Cultura srl
© 2014 24 ORE Cultura srl, Milano
Federculture e l’Editore ringraziano gli autori dei testi
per la gentile concessione
Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi.
Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.
Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le seguenti modalità di legge:
fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti
del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso
previsto dall’art. 68, commi 3, 4, 5 e 6, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno
avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’editore.
Prima edizione giugno 2014
Edizione eBook giugno 2014
ISBN 978-88-6648-209-3
federculture | organi direttivi
presidente
Roberto Grossi
Accademia di Belle Arti di Roma –
Presidente
vice presidente
Gabriella Belli
Fondazione Musei Civici
di Venezia – Direttore
presidente onorario
Maurizio Barracco
segretario generale
Roberto Grossi
consiglio direttivo
Gabriella Belli
Luca Borzani
Fondazione Palazzo Ducale di Genova –
Presidente
Maurizio Braccialarghe
Comune di Torino – Assessore Cultura,
Turismo e Promozione della città
Andrea Cancellato
Fondazione La Triennale di Milano –
Direttore Generale
Antonio Centi
Istituzione Sinfonica Abruzzese – Presidente
Andrea Colasio
Comune di Padova – Assessore Cultura
Umberto Croppi
Fondazione Valore Italia – Direttore Generale
M. Teresa De Gregorio
Regione Veneto – Direttore Regionale
Dipartimento Cultura
Domenico De Masi
S3 Studium srl – Presidente
Marcello Foti
Fondazione Centro Sperimentale
di Cinematografia – Direttore Generale
Carlo Fuortes
Fondazione Musica per Roma –
Amministratore Delegato
Pietro Marcolini
Regione Marche – Assessore Beni
e Attività Culturali
Davide Rampello
Fondazione Florens 2012 – Direttore Artistico
Lidia Ravera
Regione Lazio – Assessore Cultura
e Politiche giovanili
Albino Ruberti
Zètema Progetto Cultura srl – Amministratore
Delegato
Giuseppe Tota
Lazio Service spa – Direttore Generale
ad interim
giunta esecutiva
Gabriella Belli
Andrea Cancellato
Umberto Croppi
Mario De Simoni
Marcello Foti
Roberto Grossi
Giuseppe Tota
con il sostegno di
Mario De Simoni
Azienda Speciale Palaexpo –
Direttore Generale
Sergio Escobar
Fondazione Piccolo Teatro di Milano –
Teatro d’Europa – Direttore
Pierpaolo Forte
Fondazione Donnaregina per le arti
contemporanee – Presidente
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sommario
9 prefazione
Pietro Grasso
13
per una nuova politica della cultura e del turismo
15
cultura bene comune per una nuova visione della società
19
investire in cultura, il capitale italiano. un impegno alla prova
dei fatti
23
il coraggio delle scelte. la cultura per la democrazia
delle opportunità, il benessere diffuso e la competitività
Dario Franceschini
Piero Fassino
Roberto Napoletano
Roberto Grossi
parte i
la cultura nelle politiche e strategie internazionali
59
la cultura: una scelta strategica, una scelta per il futuro
61
la cultura, priorità del brasile
67
cultura 3.0 e partecipazione attiva
79
una nuova frontiera per il futuro in europa
91
dall’europa risorse e opportunità per tornare a produrre cultura
Aurélie Filippetti
Marta Suplicy
Pier Luigi Sacco, Guido Ferilli
Luca Bergamo
Claudio Bocci
parte ii
autonomia gestionale e competenze per qualificare l’offerta culturale
109
113
produrre bellezza: l’elogio del fare
Sergio Escobar
la pianificazione strategica del teatro stabile
di torino per trasformare la cultura da patrimonio
a capitale di sviluppo
Evelina Christillin, Filippo Fonsatti
123
133
il bene culturale tra tutela e valorizzazione
Cristina Acidini
un’anomalia siciliana. la gestione pubblico-privata
del palazzo reale di palermo
Francesco Forgione
141
cultura e memoria: una priorità per il paese
Rossana Rummo
parte iii
scenari possibili per una vera collaborazione con i privati
151
159
163
la cultura per lo sviluppo del paese
Marco Parini
verso un’alleanza tra finanziamento pubblico e privato
Carlo Fontana
le sponsorizzazioni private per la cultura: strumenti
e progetti di successo
Francesco Moneta
173
191
la cultura che vince. viaggio nell’italia della buona gestione
Flavia Camaleonte
dati e ricerche
cultura, città e cittadini. riflessioni intorno ai bilanci dei comuni
e delle aziende culturali
Ludovico Solima
201
dati e analisi sulle dinamiche del settore cultura-turismo 2012-2013
a cura di Emanuela Berna Berionni
contenuti extra in formato e-book
275 centro-periferia
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prefazione
Pietro Grasso*
Il Rapporto Annuale Federculture 2014, giunto alla decima edizione, illustra
in modo compiuto e dettagliato lo stato dell’attività culturale italiana, evidenziando con chiarezza ed efficacia gli elementi di criticità e le possibili soluzioni per uscire da un’allarmante situazione di impoverimento economico
e culturale del nostro Paese.
In un confronto serrato, si alternano autorevoli interventi che analizzano le
politiche governative, le strategie vincenti nello scenario nazionale e internazionale e il ruolo degli operatori, delle imprese e della società civile. Il rapporto comprende anche un’ampia appendice statistica che raccoglie gli indicatori
socio-economici del settore di riferimento: investimenti pubblici e privati,
politiche culturali, consumi delle famiglie, fruizione culturale e flussi turistici.
Numerosi i temi affrontati, come la necessità di rimettere al centro delle
politiche culturali i cittadini, e rafforzare e modernizzare l’offerta e la produzione culturale, le scelte adottate da altri Paesi europei per sostenere la produzione culturale e stimolare la domanda e l’individuazione di nuove strategie
di partenariato tra pubblico e privato per aumentare gli investimenti.
Sfogliando le pagine di questo Rapporto, emerge l’urgenza di determinare un reale cambiamento delle politiche culturali, nella piena consapevolez* Presidente del Senato della Repubblica
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za che la diffusione dei saperi e della cultura è fondamentale, per riaffermare i valori civili e il senso dell’identità sociale e per restituire competitività al
Paese contemperando economicità, tradizione e contemporaneità, efficienza
gestionale e interesse sociale.
Sono profondamente convinto che il nostro patrimonio culturale sia una leva
fondamentale per la ripresa economica. È nel nostro patrimonio artistico, nella
nostra lingua, nella nostra capacità creativa, che risiede il cuore dell’identità
italiana. E questa identità deve basarsi sulla consapevolezza di essere custodi
di un patrimonio culturale che non ha eguali nel mondo. Occorre rielaborare
nuovi paradigmi di crescita, centrati sulla vocazione culturale del nostro Paese,
su un’economia reale e quindi sul benessere dei cittadini. La conoscenza deve
tornare a essere determinante per la crescita e per la rinascita dell’occupazione.
In questa prospettiva e nell’ottica di individuare le scelte decisive per lo sviluppo, dobbiamo lavorare sui temi dell’identità e della competitività, che sono essenziali per valorizzare i beni e le attività culturali, sostenere l’industria
creativa e migliorare la qualità della vita dei cittadini. Il ruolo della cultura per
la crescita e il superamento della grave crisi economica è un fattore strategico
che le Istituzioni devono saper cogliere e valorizzare, dimostrando che la cultura rappresenta davvero il valore aggiunto su cui far leva per invertire la rotta.
E in tal senso si esprime anche la nostra Costituzione all’articolo 9, secondo il quale: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione”.
La connessione tra i due commi dell’articolo 9 è un tratto peculiare e significativo del nostro assetto costituzionale: sviluppo, cultura, ricerca, patrimonio formano un tutto inscindibile. Anche la tutela, dunque, deve essere
concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in
funzione della diffusione della cultura: deve cioè rendere il patrimonio artistico fruibile da tutti. La doverosa economicità ed efficienza nella gestione dei
beni culturali non è l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo
utile per la loro conservazione e diffusione. E la presenza dell’articolo 9 tra i
principi fondamentali della nostra Carta costituzionale offre un’indicazione
importante sulla missione del nostro Paese, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dobbiamo essere fedeli.
È dunque necessario rafforzare le sinergie tra le istituzioni, gli operatori
culturali, gli enti e le imprese culturali e creative, gli intellettuali e gli economisti, così da attivare ogni misura utile per valorizzare quel patrimonio di
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prefazione | 11
arte, cultura, beni e paesaggi, ma anche di creatività, idee, innovazione e sapienza storica, che rendono l’Italia un caso unico nello scenario mondiale.
Ritengo a tale proposito che vi siano ampie possibilità di avviare un percorso virtuoso, che stimoli sviluppo e occupazione e sia in grado di rilanciare
il Paese agli occhi del turismo internazionale e degli investitori stranieri. Sono molte le potenzialità connesse alle nuove tecnologie per la valorizzazione del patrimonio culturale, ma occorrono nuovi investimenti nella cultura e
un’accelerazione dei rapporti tra pubblico e privato in senso positivo, oltre a
una rinnovata attenzione agli investimenti come strumento strategico di politiche industriali e a una riqualificazione del management dei beni culturali.
Dobbiamo poter favorire un vero e proprio rinascimento culturale, tecnologico e industriale legato all’arte e alla cultura nel nostro Paese. A tale scopo
è necessario reimpostare il rapporto tra sviluppo e cultura. Dove per “cultura” deve intendersi un concetto ampio e profondo che implichi formazione,
istruzione, ricerca scientifica e conoscenza, e per “sviluppo” non una nozione
meramente economicistica, incentrata soltanto sull’aumento del pil.
La crisi dei mercati e la recessione in corso, se da un lato ci impartiscono
una dura lezione sul rapporto tra speculazione finanziaria ed economia reale,
dall’altro devono indurci a ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo. Dobbiamo lavorare in un’ottica di medio-lungo periodo, in cui lo sviluppo
passi necessariamente per la valorizzazione dei saperi e delle culture, puntando in questo modo sulla capacità di guidare il cambiamento.
La cultura e la ricerca generano innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo. La cultura, in una parola, deve tornare
al centro dell’azione di governo. È una condizione imprescindibile per il futuro dei giovani. Negli ultimi anni l’Italia ha ridotto in misura significativa
gli investimenti per il sistema di istruzione e formazione, collocandosi tra gli
ultimi Paesi dell’area ocse per cifre complessive di spesa. Questo è inaccettabile. Anche in una situazione difficile per la finanza pubblica come quella
attuale bisogna avere il coraggio di guardare al futuro, perché la spesa pubblica per l’istruzione è un investimento per il Paese. L’innalzamento del livello delle competenze contribuisce, infatti, alla crescita del pil e alla riduzione
della disoccupazione.
Investire sulla cultura significa anche cogliere le opportunità di sviluppo
che si prospettano a livello europeo. Mi riferisco, ad esempio, alla programmazione pluriennale 2014-2020 varata dall’Unione Europea, dove cultura,
creatività e innovazione rappresentano dimensioni trasversali dell’impegno
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europeo per il prossimo settennio. Numerose sono, infatti, le iniziative dell’ue
per sostenere i settori culturali e creativi. E l’Italia, anche grazie al suo patrimonio dinamico, fatto di straordinarie capacità e competenze intellettuali e
professionali, può e deve trarre vantaggio dalle opportunità messe in campo
dall’Europa, assumendo una posizione di leadership nell’inaugurare una nuova stagione di sviluppo fondata sulla cultura.
Il mio auspicio è che si possa recuperare al più presto quel doveroso rispetto per il nostro patrimonio culturale, che ci è chiesto dalla nostra Costituzione, dall’Europa e dai nostri figli. Ci dobbiamo impegnare con tutte le nostre
forze per la valorizzazione delle persone attraverso la formazione; dobbiamo
puntare sull’innovazione tecnologica e sulla capacità di fare sistema. Occorre
rimuovere al più presto gli ostacoli che fino a oggi hanno bloccato l’adozione
di una strategia nazionale e promuovere una costruttiva sinergia tra pubblico e privato, anche attraverso adeguate politiche di sostegno alle imprese che
vogliono investire in cultura. Solo in questo modo potremo tornare a essere
un Paese produttore di cultura, ammirato non solo per il suo glorioso passato. Un Paese dove la cultura costituisce l’elemento trainante dell’innovazione,
della ricchezza diffusa e della qualità della vita dei propri cittadini.
Desidero, dunque, ringraziare Federculture, che mi ha offerto la possibilità
di condividere queste riflessioni e che da anni si impegna per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, riconoscendo alla cultura il suo ruolo di
sostegno all’identità e alla coesione nazionale e di risorsa per la crescita sociale ed economica del nostro Paese.
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per una nuova politica della cultura e del turismo
Dario Franceschini*
Il Rapporto Annuale Federculture, associazione delle imprese operanti in
questo difficile ma entusiasmante settore, è divenuto in dieci anni un punto fermo per tutti coloro i quali si occupano di cultura. La cospicua mole di
dati, l’affidabilità e la serietà con cui sono trattati ed esposti, i messaggi che
se ne traggono, fanno opinione in questo contesto, ma purtroppo non hanno
mai ispirato l’azione della politica, che finora ha colpevolmente trascurato in
maniera direi quasi bipartisan la cultura.
Si tratta di una situazione paradossale, figlia di una mancanza di visione
strategica sugli assi portanti del posizionamento competitivo del nostro Paese nel mondo. Quando ho assunto l’incarico di Ministro pro tempore, ho sin
da subito affermato di trovarmi alla guida del principale dicastero economico
della Nazione, e intendo comportarmi di conseguenza.
Il valore del patrimonio storico, artistico, archeologico e paesaggistico
dell’Italia è indubbio e non può essere messo in discussione. Questa eredità,
frutto delle innumerevoli civiltà che si sono sviluppate nel nostro territorio
lasciando ognuna un segno profondo della propria storia, è la vera e propria
anima del nostro Paese. Si tratta di un’armonia sublime, frutto della millenaria
interazione dell’uomo con il territorio. Civiltà e natura si sono compenetrate
al meglio nella nostra penisola, plasmando quell’equilibrio tra cultus e saltus
che è uno dei caratteri originali della Nazione. Non a caso, come scrisse Jacob
Burckhardt, “gli Italiani sono i primissimi fra i moderni che osservarono e
gustarono il lato estetico del paesaggio”.
* Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
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Se è nostro preciso dovere tutelare e difendere questo patrimonio, lo è altrettanto cogliere le enormi potenzialità di crescita che ne derivano. Lo prescrive l’articolo 9 della Costituzione italiana. Per questo ritengo fondamentale
mettere l’industria culturale e turistica al centro delle politiche di governo. È
utile e vitale tornare a considerare la cultura, declinata in tutte le sue manifestazioni – monumenti, paesaggio, musei, archivi, biblioteche, musica, cinema,
teatro, danza – un potente volano per lo sviluppo economico e sociale. Come
per tutte le economie avanzate, fondate sulla produzione di beni e servizi ad
alto valore aggiunto e contenuto tecnologico, anche per l’Italia è fondamentale investire sull’istruzione, sulla formazione e sulla ricerca.
Per cogliere questi obiettivi il settore pubblico deve agire lungo tre direttrici.
Innanzitutto giudico necessario adeguare ai tempi la macchina amministrativa del ministero, procedendo a una riorganizzazione degli assetti interni; in
secondo luogo occorre ripensare in profondità gli strumenti della promozione internazionale; infine bisogna favorire una maggiore digitalizzazione del
patrimonio culturale e dei servizi turistici, recuperando un divario significativo con le principali realtà internazionali.
Fondamentale, poi, risulta il maggiore coinvolgimento dei privati. È doveroso superare il binomio tra tutela e valorizzazione che finora è stato connotato da una caratterizzazione ideologica ormai stantia e inattuale. Questo
è un campo in cui vigono ancora molti, troppi tabù, nella gran parte dei casi
smentiti dai fatti. Esistono, infatti, molti esempi di buona offerta culturale, di
eccellente gestione pubblica e di virtuoso rapporto tra pubblico e privato, che
dimostrano quanto sia possibile collaborare per il migliore interesse del nostro
patrimonio. Penso alla Biennale di Venezia, che da tempo ha instaurato relazioni positive con alcune delle maggiori realtà protagoniste dell’imprenditoria
italiana e internazionale; agli scavi di Ercolano, dove da dieci anni agisce in
operoso silenzio la Fondazione Packard; ai tanti restauri sostenuti da privati.
Oggi, in una contingenza così difficile come quella che stiamo vivendo da
ormai sei anni, è bene favorire in ogni modo gli apporti delle realtà economiche del territorio, che in una logica di responsabilità sociale d’impresa devono cominciare a dimostrare maggiore interesse nei confronti del patrimonio
culturale e ambientale in cui operano.
Tutti gli attori della società sono chiamati pertanto a occuparsi sempre di
più di cultura. Compito del legislatore è far sì che questo intervento avvenga
in armonia con il dettato dell’articolo 9 della Costituzione, e questo è il dovere a cui mi atterrò.
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La cultura è viva e ha funzioni sociali molto importanti per lo sviluppo di
una comunità.
È uno dei valori fondamentali e non dev’essere mai considerata una spesa o un semplice investimento; è invece un pilastro – indispensabile – per
la crescita di una società. Non è un caso che l’articolo 9 della Costituzione,
nell’intento di valorizzarla e tutelarla, afferma: “La Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Da quando, a partire dalla metà degli anni Sessanta, si cominciò a individuare nei beni culturali l’espressione di coscienza civile e un fattore di progresso
intellettuale e sociale, la concezione di patrimonio culturale del nostro Paese, ma non solo, si è andata allargando. Da quel momento è stato considerato
uno strumento di educazione permanente e individuato come area strategica
per la vita e lo sviluppo socio-economico della nostra Nazione.
Molto importante, quindi, per la collettività, è il valore sociale, morale e
formativo dell’educazione alla cultura: un insegnamento fondamentale sia per
la costruzione critica e consapevole di ogni intelletto, sia per la fruizione di
strumenti di confronto con culture e civiltà di ieri e di oggi.
* Sindaco di Torino, Presidente Nazionale dell’anci
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È lontanissima dal vero la tesi secondo cui “con la cultura non si mangia”. I
dati, come ricorda il rapporto di Federculture dello scorso anno, ci raccontano
tutt’altro. Quest’industria vale 76 miliardi di euro e occupa circa 1.400.000
lavoratori, con 440.000 imprese riconducibili al comparto delle realtà culturali e ricreative.
La cultura è crescita, progresso e stato di benessere socio-esistenziale. È motore di sviluppo economico. È fattore strategico che innalza l’attrattività dei
territori e la sua qualità della vita. Lo dimostra, ad esempio, il grande successo ottenuto dalla mostra su Renoir alla Galleria di Arte Moderna di Torino
che ha chiuso i battenti, dopo quattro mesi, ottenendo un record di 250mila
visitatori, provenienti dall’Italia e dall’estero e alcuni arrivati nel capoluogo
piemontese per la prima volta proprio grazie all’evento. Anche la scelta di realizzare la prima Amiex – Art&Museum International Exhibition Xchange, la
Borsa Internazionale delle Mostre, nella nostra città rientra nelle linee guida
della politica culturale di Torino che, anche grazie alle sue relazioni con Paesi di tutto il mondo e alla sua offerta variegata e di ottimo livello, è riuscita
negli ultimi anni nell’obiettivo di far crescere i flussi turistici.
Sebbene in tutte le regioni italiane il 2013 sia stato un anno non facile e i
dati relativi alla promozione e allo sviluppo turistico abbiano rivelato un crollo, ciò non è accaduto a Torino, dove i numeri hanno registrato un andamento
diametralmente opposto: il capoluogo piemontese, che ha visto quadruplicare
negli ultimi dieci anni il numero dei turisti, ha accolto oltre 5 milioni di visitatori; mostre e rassegne culturali hanno toccato oltre 5 milioni di visitatori e
i flussi turistici hanno raggiunto circa 7 milioni di persone.
Nel 2012-2013, in tempi di crisi perdurante e con i vincoli alla spesa derivanti dal patto di stabilità – a cui sono corrisposte minori risorse giunte alla
città – l’insieme delle attività culturali programmate hanno superato quelle
degli anni precedenti. Il sistema culturale torinese, nel 2013, ha conosciuto
un incremento globale di 100 milioni di euro, di cui circa 25 tra sponsorizzazioni e fundraising.
Ne è una bella dimostrazione il ruolo centrale che la cultura è venuta assumendo nella trasformazione di Torino, una città che, al suo storico profilo
industriale, ha affiancato un forte incremento in ricerca, sapere, conoscenza,
cultura. Con ritorni economici e turistici del tutto inediti.
Insomma: la cultura non è un “lusso” ma è un bene primario indispensabile per la vita di ogni comunità, una risorsa che rende più ricco, accogliente e
attrattivo un territorio. Ed è per questo che essa va tutelata sia con scelte co-
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raggiose, sia con la capacità di mobilitare esempi di mecenatismo privato che
si affianchino alle risorse pubbliche.
È grazie a queste collaborazioni che la programmazione culturale di Torino
non ha subito contrazioni, nonostante le minori risorse pubbliche. Accanto a
tutte le iniziative culturali già esistenti, sono stati pianificati nuovi eventi come il “Festival Jazz”, il “Festival Beethoven”, la rassegna “Oltre i limiti”, “Torino incontra la Francia”, gli accordi con grandi musei, come l’Ermitage o il
Museo d’Orsay, che hanno dato luogo a nuove grandi mostre, come quelle
su Degas e Renoir.
Un lavoro costruito in sinergia con tutte le realtà culturali e finalizzato a sviluppare la fruizione del patrimonio culturale, la qualificazione e valorizzazione.
Tutto questo ha contribuito a ridisegnare il profilo e l’identità di Torino.
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investire in cultura, il capitale italiano.
un impegno alla prova dei fatti
Roberto Napoletano*
Dalle parole ai fatti. Dalle idee agli impegni concreti. Il cambio di passo è
oggi indispensabile in vista di un traguardo ambizioso: la rinascita del valore-cultura.
La grande tradizione italiana – arte, musei, lettere, ma anche ricerca scientifica e tecnica, innovazione e università, moda e design, talento della manifattura e dell’artigianato, mescolanza di mille saperi – deve essere ricollocata
al centro della strategia di politica economica del Paese.
Occorrono “fatti” non solo per proteggere il patrimonio – un’urgenza
drammatica e indifferibile, come dimostrano agli occhi del mondo l’agonia
quotidiana di Pompei e le ferite alla nostra immagine –, ma soprattutto per
promuovere l’identità culturale come leva potente della crescita e per aiutare
l’Italia a riconciliarsi con il suo (grande) capitale dimenticato.
È su questa consapevolezza di un tesoro da ritrovare che deve poggiare la
sfida culturale per eccellenza. Sappiamo che la sensibilità nella coscienza del
Paese è aumentata e crediamo, in questo, di poter rivendicare un piccolo merito per «Il Sole 24 Ore»: prima con il Manifesto per la Costituente della cultura, poi con due edizioni degli Stati Generali della Cultura, nel 2012 e nel
2013, e con un nuovo indice elaborato dai nostri esperti che misura come il
* Direttore «Il Sole 24 Ore», Radio 24 e Radiocor, Direttore del Gruppo mediale 24 Ore
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brand Italia perda terreno a livello internazionale. In questo contesto, il Rapporto Annuale Federculture continua a offrire un contributo prezioso alla discussione pubblica sui grandi temi dell’economia e della cultura, e rappresenta
un’importante fonte di analisi sul settore dei beni e degli investimenti culturali.
Non ci stancheremo mai di ripetere che la cultura, come la intendiamo
noi, deve essere riportata al vertice delle priorità nazionali. Dietro la parola
“cultura”, infatti, c’è il made in Italy di questo Paese: se, infatti, il nostro design conta, in Italia e nel mondo, così come il sistema moda, se tutto ciò che
attiene al gusto, alla persona, alla meccanica, allo stile italiano ha una forza e una riconoscibilità nel mondo, è perché dietro il marchio italiano c’è la
storia culturale di questo Paese.
Fatti concreti, dunque, e interventi rapidi. Su questo fronte vogliamo mettere alla prova il nostro impegno per il valore-cultura e, allo stesso tempo,
sollecitare una risposta sempre più ampia da parte del Governo, del Parlamento e dei grandi player economici del Paese.
L’intervento “in prima persona” de «Il Sole 24 Ore» riguarda un progetto
per lo sviluppo e per la crescita di una nuova generazione di start-up, attive in un preciso segmento economico: l’impresa culturale e creativa, con un
particolare orientamento ai servizi. Insieme a un grande partner bancario,
selezioneremo trenta idee imprenditoriali innovative, accompagnando in un
percorso formativo di alto profilo i ragazzi che le hanno concepite e che vogliono provare ad attuarle. Infine, sceglieremo i dieci migliori casi fornendo
ai neo-imprenditori gli strumenti per costruire un’azienda in grado di confrontarsi tutti i giorni con il mercato.
Un secondo impegno è di carattere più strettamente editoriale, coerente
con la grande vocazione del supplemento «Domenica»: è la proposta di un
sito dedicato ai temi della cultura, con versione anche in lingua inglese, che
sappia esaltare il nostro patrimonio, i suoi talenti spesso abbandonati a se
stessi, la forza di una bellezza e di un’identità uniche nel mondo.
La prova dei fatti chiama in causa soprattutto il sistema pubblico, che deve
abbandonare radicate diffidenze e imparare a incoraggiare, con sollecitazioni
vere, l’intervento degli operatori privati. Non ci rassegniamo, infatti, all’idea
che al patrimonio culturale si debbano negare non solo le risorse pubbliche,
ma anche quegli stimoli fiscali (detraibilità e credito d’imposta per chi investe in cultura) che permetterebbero di attrarre risorse private, italiane ed
estere, necessarie per valorizzare il grande capitale dimenticato.
Mentre si apre alle opportunità d’investimento privato, il sistema pubblico
deve al tempo stesso eliminare, al proprio interno, gli ostacoli amministrativi
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investire in cultura, il capitale italiano. un impegno alla prova dei fatti | 21
e burocratici che, di fatto, equiparano gli enti culturali agli uffici anagrafe e
mortificano, anziché valorizzare, le competenze professionali, le idee innovative e la passione civile di cui disponiamo.
Dal pubblico al privato, il trionfo italiano agli Oscar con La grande bellezza incoraggia tutti a proseguire in questo percorso di autentico rinascimento. Il successo del film di Paolo Sorrentino è la potente dimostrazione che il
capitale-cultura è la scommessa vincente per crescita dell’Italia.
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il coraggio delle scelte.
la cultura per la democrazia delle opportunità,
il benessere diffuso e la competitività
Roberto Grossi*
1. la cultura deve guidare un nuovo progetto di paese
Resistere con la cultura. È la risposta più forte, con la conoscenza e l’arte, al
populismo e alla sfiducia dilaganti in Europa. E, di fronte ai chiari segnali
di decadenza di quest’epoca contemporanea, per la prima volta questo grido di allarme viene raccolto dai Ministri dei Paesi nel vertice europeo straordinario di Parigi. Ci auguriamo diventi un obiettivo centrale della politica
per ridare un senso e un nuovo vigore al grande progetto europeo. Il rinnovo
del Parlamento europeo e il semestre di Presidenza italiana dell’ue sono, per
questo, occasioni da non perdere per riaffermare il valore del nostro patrimonio di identità e l’importanza della produzione creativa. Per non rinunciare,
in Italia e in Europa, a quel ruolo di avanguardia e di spinta verso il progresso che la storia ci ha assegnato. Non rinunciare, dunque, per poter cambiare.
Consapevoli che siamo in un momento cruciale. I cittadini hanno smarrito
il futuro e persino la speranza che sia possibile recuperare una prospettiva.
Ci sentiamo dentro una tempesta perfetta. Nella quale i problemi drammatici dell’economia e del lavoro si saldano con la crisi di un modello di società
* Presidente Federculture
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che non riesce a ritrovare nuovi orizzonti di fronte allo sfilacciamento delle
trame relazionali nella società, nella famiglia, nei luoghi del tempo libero e
del lavoro. Anche le istituzioni e la politica cessano di essere un punto di riferimento nel quale riporre fiducia e speranza. Allora, in una realtà che bussa
alle porte chiuse delle nostre certezze, cerchiamo punti di riferimento, voci
forti, messaggi che arrivino al cuore. Per non sentirci più soli e recuperare il
senso profondo della vita. E sì, perché oltre al diritto al lavoro rubato al 46%
dei giovani italiani e a una vecchiaia dignitosa tolta a 2 milioni di anziani,
vengono negati i presupposti stessi della democrazia: la libertà, l’uguaglianza,
l’identità sociale che genera la fratellanza. Quegli stessi principi che cambiarono il mondo con la rivoluzione francese e che hanno ispirato la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la nostra splendida Costituzione del
dopoguerra. Non è, infatti, solo una questione di speculazioni finanziarie che
drogano i mercati, o dell’economia reale che non va. La recente tragedia di
Lampedusa ha schiaffeggiato le coscienze degli europei e ci ha obbligato a
una riflessione sugli squilibri sociali, sui diritti di ogni uomo alla vita e alla
pace, sulle responsabilità degli individui e delle Nazioni rispetto al modello
di sviluppo della comunità mondiale.
Oggi le categorie di valutazione principali del benessere di un Paese e delle aziende vengono sintetizzate in alcune formule. Il pil, lo spread, il debito
pubblico per lo Stato, il valore della produzione e la situazione finanziaria per
le aziende, la capacità di spesa e di consumo per le famiglie. Su questi temi si
sviluppano talk show e si sprecano pagine di inchiostro mentre sembrano del
tutto dimenticate le categorie filosofiche, religiose e culturali sulle quali si sono fondate nella storia le diverse civiltà. La dimensione cognitiva del sapere,
le abilità e i mestieri del saper fare, la dimensione valoriale del saper essere.
Non a caso, nelle riunioni dei politici ai tavoli dei Consigli dei Ministri, agli
incontri di vertice a Bruxelles, o ai summit del G8 la parola più usata è “crescita”. Dell’economia, dell’occupazione, degli investimenti, dei consumi e così
via. Più raramente si parla di “sviluppo” ed è sostanzialmente scomparsa dal
vocabolario comune la parola “progresso”. Proprio perché manca una visione complessiva della società e dell’uomo rispetto alla quale coltivare il bene
comune, l’interesse e i diritti di ogni singolo individuo. E misurare, di conseguenza, la bontà o meno delle scelte e delle azioni.
Nella concezione del progresso, invece, l’uomo è al centro. Viceversa, non è
possibile nessun progresso se l’essere umano perde dignità nei processi della
storia. Mazzini diceva: “Oggi sappiamo che la legge della vita è il progresso:
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progresso per l’individuo, progresso per l’umanità”, che passa attraverso
l’avanzamento della cultura, come l’insegnamento scolastico, della conoscenza
e dei livelli di libertà. Non a caso l’idea di progresso nasce con la concezione
cristiana che vede il susseguirsi degli avvenimenti orientati verso il meglio,
l’infinito come destino ultimo. Nel Rinascimento, con le scoperte geografiche
e l’innovazione tecnico-scientifica, si fece strada la consapevolezza della
modernità. E anche nella visione illuministica, laica della storia, richiamando il
forte impegno a servirsi della ragione, l’obiettivo era quello di migliorare la vita
singola e associata dell’uomo. Oggi la globalizzazione inarrestabile, il dominio
invisibile ma tangibile dei poteri finanziari (come ha evidenziato l’inizio della
crisi del 2008 con il crollo della Lehman Brothers), la forza persuasiva che
transita attraverso i nuovi e sempre più sofisticati mezzi di comunicazione,
hanno nascosto quella dimensione culturale ed etica dello sviluppo che è la
chiave per costruire una fase di progresso.
Pensiamo ad esempio alla distruzione continua della natura e del paesaggio, all’inquinamento di ogni specchio d’acqua, o allo smog che ha sostituito il
grigiore della nebbia di Londra. O alle navi alte 60 metri, che fanno capolino
tra il campanile di San Marco e la Giudecca, nella laguna veneziana dipinta
dal Canaletto che ha ispirato le Quattro Stagioni di Vivaldi. Pensiamo all’incapacità di trovare soluzioni all’aumento della povertà nel mondo e con essa
alla crescita delle ineguaglianze e dell’ingiustizia. Pensiamo all’emarginazione
cui sono relegati gli anziani, gli indifesi, i giovani senza lavoro.
“Questo è un tempo sgangherato” (The time is out of joint) diceva Shakespeare, nell’Amleto, un tempo di grandi paure, di lotte continue per il potere,
nelle quali i re restano nudi (Macbeth) e quel mondo, della seconda metà del
Cinquecento, era diventato in poco tempo non più riconoscibile. Anche oggi sembra essere così.
Ma proprio dalle tragedie del drammaturgo inglese nasce l’uomo moderno. Viene fissato un prima e un dopo nella nostra cultura occidentale. Sarà
un caso, ma nello stesso 1564, 450 anni fa, nasceva a Pisa Galileo Galilei le
cui teorie, insieme a quelle copernicane, trasformarono la “coscienza europea” di allora. Contemporaneamente, per un triangolo simbolico, moriva a
Roma uno degli emblemi del Rinascimento, quel Michelangelo Buonarroti
che con il suo genio artistico rappresentò il culmine di una civiltà, ma anche
la sua drammatica conclusione. Due mondi, due epoche storiche e religiose
che hanno segnato l’evoluzione dell’umanità sospinta dall’opera architettonica,
pittorica e scultorea michelangiolesca di universale ammirazione e da quella
drammaturgica, straordinaria, del teatro shakespeariano.
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Ora, nell’epoca della globalizzazione, occorre resistere alla distruzione del
valore dell’identità culturale che, pur attraverso il processo continuo di cambiamento, è punto di partenza e di arrivo del progresso dell’umanità e del
senso della storia. Per ricostruire un progetto non “per” ma “di” Paese e di
Europa. Che manca.
Il vero dramma che viviamo, il problema principale per il futuro è proprio
l’assenza di una visione nella quale costruire un orizzonte nuovo. Allora dobbiamo porci alcune domande: come superare un disperato qualunquismo, anche quando trattiamo temi importanti come il lavoro e il declino economico;
come andare oltre il dibattito annacquato, le chiacchiere ripetitive e superficiali? In definitiva, come solcare nella nostra esistenza quotidiana l’oceano del
nulla, e riacquistare la passione per la dignità dell’uomo?
Siamo convinti che ci sia un’alternativa sicura a un dibattito pubblico, sempre
più misero e insopportabile, bloccato sulla parola “crisi” e incapace di vedere
una realtà in trasformazione. Un’alternativa che costruisca una nuova profezia di società e liberi le forze di cambiamento, le potenze creative in grado di
sovvertire l’esistente e aprire a un futuro migliore. Perché ancora una volta di
fronte al mito della ricchezza economica e del potere, “il Re è nudo”. Il declino culturale ha superato la soglia e diventa povertà, disoccupazione, diseguaglianza, degrado.
Per questo il segreto, anche della crescita, è investire sul capitale culturale. Come negli anni Cinquanta e Sessanta, quando il miracolo economico fu
sostenuto dall’inventiva di un popolo senza grandi capitali ma che creava industria con le sue scoperte. Allora l’Italia innovava, in tutti i campi della vita
e dell’economia, grazie a un poderoso investimento sull’alfabetizzazione, sulla ricerca, sul grande cinema, su quella “promessa di felicità” con cui Stendhal
amava parlare dell’arte. “L’immaginazione al potere” è stato lo slogan per decenni, quella “proprietà di anticipazione”, vera essenza della creatività artistica, che per Marcuse è capace di sovvertire gli schemi e l’immobilismo della
società. E innovando, la società progrediva.
Dicevamo nel Rapporto Cultura e Sviluppo. La scelta per salvare l’Italia che
occorre riacquistare la dimensione della svolta di un’epoca. Comprendere le
necessità profonde e le opportunità di una krisis che non è la fine “del” mondo ma la fine “di un” mondo. Se ritroveremo l’orgoglio civile e non rinunceremo al sogno, forse potremo superare il vuoto delle idee (oggi facciamo fatica
a individuare intellettuali viventi) e a costruire un futuro che non sia solo un
nostalgico e sterile richiamo al “c’era una volta un bel Paese”.
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Dicevamo che serve una rivoluzione culturale. Il governo Renzi e l’Europa
dovrebbero inserire nel prodotto interno lordo libri, film, fotografia, quadri,
musica, buoni programmi televisivi, brevetti, diritti d’autore e poi ricerca,
formazione e istruzione. Per far diventare queste voci, da pure e semplici
caselle di spesa – da tagliare inesorabilmente in periodi di vacche magre –
zavorre per il pil, in voci attive, cioè veri investimenti. Il valore di Pompei,
che in fondo è un’area di rovine appartenenti al passato, sta nel suo significato
simbolico culturale, che è un dato immateriale e quindi non misurabile. Per
questo l’unesco ha creato nel 1972 una propria lista di siti, beni culturali
patrimonio dell’umanità. Per questo è drammatico non riuscire a trovare le
risorse per tutelare Sibari e tanti altri patrimoni di arte e storia e nemmeno
attuare le soluzioni gestionali per valorizzarli.
Non si tratta di una provocazione ma di una prospettiva da aprire. L’innovazione, la creatività e la ricerca, ha recentemente detto Steve Landefeld, che
ha guidato la struttura federale per il bilancio usa, sono i nuovi parametri
della ricchezza di una Nazione.
Il pil non serve più, non ci dà la dimensione dello sviluppo, né tantomeno del progresso. Già Canada e Australia stanno elaborando i loro indicatori secondo nuovi criteri; ora toccherà all’Europa e all’Italia, secondo un programma di un gruppo di studio delle Nazioni Unite, incamminarsi su questa
strada. Misurare cioè la ricchezza del Paese, a partire dal benessere, non solo
macroeconomico, dei suoi cittadini. Chi non ricorda le parole rivoluzionarie pronunciate da Robert Kennedy il 18 maggio 1968 nel campus universitario del Kansas: “Non possiamo misurare il successo di un Paese sulla base
del prodotto interno lordo. Il pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità dell’educazione o della gioia nei momenti di svago. Non
comprende la bellezza né la poesia”?
Insomma come non calcolare il valore delle parole dei libri, le emozioni
del teatro e il potere delle idee? Pensiamo che la ripresa passi proprio da qui.
Ci viene in mente il monito di Carlo Cattaneo nel 1861, quando si trattava
di scegliere le priorità, dopo l’uso dei moschetti e delle baionette, per creare un’Italia unita e prospera: “Chiuso il circolo delle idee si chiude il circolo
della ricchezza”. Non a caso il sogno di Quintino Sella e dei fondatori dello
Stato Unitario era di fare dell’Italia il più grande centro scientifico del mondo. Su queste basi in pochissimi decenni il Paese, diviso e povero, ha conosciuto uno sviluppo economico e sociale imponente sospinto dall’istruzione
di massa, dalla qualità delle capacità tecniche, dal gusto e dalla raffinatezza
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che hanno contaminato molti rami della produzione. Sulla stessa linea, a ben
vedere, si è sviluppata l’Italia del dopoguerra fino a entrare tra le otto potenze mondiali e aver ottenuto il riconoscimento del Paese più attraente e amato. È sicuramente una questione di scelte. Come ha più volte richiamato il
Presidente Napolitano e come ci ricorda nella prefazione a questo volume il
Presidente del Senato Grasso. Quelle scelte, figlie di una visione democratica e aperta della società, che hanno ispirato la Costituzione repubblicana e
le politiche di intervento volte a dare una buona scuola a tutti, ampliare gli
studi universitari, animare le città distrutte e tristi con il teatro e la musica,
aprire biblioteche in ogni paese, rendere accessibili i musei e tutelare l’intero
patrimonio culturale, far sognare attraverso il cinema e dare la possibilità ai
bambini di un’educazione attraverso la musica. Ma nel 1955 spendevamo in
cultura lo 0,8% del bilancio statale e si andava rapidamente proprio in questa direzione. Invece oggi, ad esempio, l’insegnamento della storia dell’arte e
della musica è praticamente scomparso con le recenti riforme. E lo Stato per
il 2014 destina alla tutela solo 87 milioni di euro e a tutto il settore dei beni
e delle attività culturali 1.595 milioni, pari allo 0,19% dell’intera spesa pubblica. Un crollo del 27% nell’ultimo decennio, una cifra che a stento si riesce
ancora a difendere dai tagli pubblici del bilancio. Ma che è figlia di una indifferenza verso questo settore pulsante del Paese e di un’arrogante ignoranza che la storia giudicherà. Ma, mentre crollano gli investimenti e la politica
per la cultura stenta a decollare, permane, inossidabile, il peso di un apparato
burocratico sempre meno efficiente e produttivo.
Per questo l’imperativo è resistere per andare avanti. Per poter tornare a immaginare ciascuno il proprio futuro in una realtà che diventi ricca di opportunità,
e costruire una società che non sia solo rivolta al proprio passato glorioso, ma
si mostri capace di rinnovarsi e di recuperare un rapporto vivo tra comunità
civile e il suo capitale culturale. Perché non esiste un destino ineluttabile al
quale arrendersi. Né la fine delle grandi civiltà, né l’affermarsi di nuove fasi di
progresso, dipendono dal fato. Nell’Afghanistan di oggi, simbolo dell’intolleranza religiosa e ridotto in macerie, all’entrata del museo di Kabul colpisce
una targa: “A Nation stays alive, when its culture stays alive”.
Per questo occorre resistere e superare il nichilismo e il pessimismo che
crescono nell’ignoranza e nell’immobilismo. È il tempo delle riforme, è il
tempo, come diceva Gramsci, di costruire il futuro cambiando il presente.
Per questo serve una rivoluzione, un nuovo progetto per il Paese, che solo la
cultura può guidare.
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2. il coraggio e la voglia di cambiare
È un tempo di transizione. Quello delle nuove passioni ma anche di una grande incertezza. Che si genera ad esempio nell’economia finanziaria, quando gli
algoritmi fanno sì che un fondo sovrano si appropri della metà della ricchezza di un Paese. E così vi sono cose che permangono e che passano di padre
in figlio e altre che creano un trauma, come la teoria copernicana che rovesciò un mondo e aprì nuove prospettive all’umanità. In questo tempo di paura che destabilizza, il rapporto dei cittadini con la cultura si stringe e diventa
sempre più vitale. Perché, richiamando ancora Shakespeare con la Tempesta,
“siamo fatti della sostanza dei sogni”. Per questa ragione – che ci spinge a riprendere in mano la nostra sorte, a ritrovare le passioni e l’acume dello spirito critico come sguardo sulla società – orde di persone affollavano il Rose o
i numerosi teatri londinesi di fine Cinquecento e anche oggi ricercano nella
cultura domande e risposte per la propria esistenza. Una voglia di cultura che
va incoraggiata e promossa.
Nelle due giornate pasquali di quest’anno i musei italiani sono stati letteralmente presi d’assalto. Il Circuito archeologico del Colosseo, Foro romano e Palatino ha registrato quasi 54.000 visitatori contro i 24.000 del 2013.
Pompei ha accolto 25mila persone, circa il 30% in più rispetto all’anno precedente, nonostante i crolli e il degrado. Ma anche nei circuiti minori e nei
musei civici si è riversata una folla di persone curiose e attente. Per il design,
il Salone del Mobile di Milano, con oltre 350mila visitatori, si è affermato nel
mondo. Il successo straordinario della “notte bianca” dei musei, nel maggio
2014, ha consacrato la voglia di cultura dei cittadini. La ricerca, cioè, da parte
dei giovani e delle famiglie, di significati profondi e del senso di appartenenza – altro che “gita fuori porta”, come qualcuno ha detto. È un segnale forte
e chiaro alla politica, contro il catastrofismo e la stupidità. E non si tratta di
un fenomeno episodico e casuale. In tutte le epoche storiche la partecipazione alla vita culturale è cresciuta nei momenti di crisi e di cambiamento. Forse
anche come desiderio di evasione dai problemi, ma certamente per ricordarci
da dove veniamo per poter andare avanti. Così è stato nell’Austria sconfitta
del primo dopoguerra quando i teatri e le sale concerto erano stracolme, così
durante la Grande Depressione degli anni Trenta, così anche in Italia negli
anni Cinquanta.
Per questo il nostro primo impegno deve essere quello di ampliare la
partecipazione culturale dei cittadini. Siamo purtroppo all’ultimo posto in
Europa. Solo il 30% degli italiani ha frequentato nel 2013 i musei almeno un
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volta l’anno, rispetto al 52% degli inglesi, al 44% dei tedeschi, al 39% dei francesi.
Ben al di sotto della media ue anche per quanto riguarda la fruizione di teatro,
concerti e cinema. Gli italiani che vanno a teatro sono meno della metà dei
cittadini dei Paesi Bassi. Quasi 6 italiani su 10 non hanno letto nemmeno un libro
nel 2013, con una caduta di un ulteriore 6,5% rispetto al 2012. Abbiamo 12.000
biblioteche pubbliche con un patrimonio archivistico e storico che ha alimentato
la conoscenza per secoli ma che sembra essere relegato agli annali della storia.
Da una recente indagine emerge che i lettori forti sono badanti e colf. Basta
andare in metropolitana o in un giardino pubblico e vedere chi sfoglia un libro
e chi, invece, è incollato freneticamente al telefonino con WhatsApp e Facebook.
Dunque, a esclusione dei concerti di musica classica che hanno avuto un
incremento di oltre il 16%, tutti i settori della partecipazione sono in discesa:
il teatro (-8%), le visite a musei e mostre (-7,5%), il cinema (-5,6%).
E non bastano il successo de La grande bellezza di Sorrentino, che ha riportato l’Oscar in Italia dopo tanti anni, e quello di grandi esposizioni come
la Biennale di Venezia o spettacoli teatrali come quelli dell’Arena di Verona
per illuderci che le cose vadano bene. Per questo bisogna intervenire, contemporaneamente e con decisione, su tre fronti: educare e formare il nuovo
pubblico; migliorare il sistema di offerta della cultura; favorire la capacità di
spesa delle famiglie.
Primo: occorre puntare sull’educazione e sulla formazione. L’Italia è al 26°
posto tra i Paesi della ue per spesa pubblica sull’istruzione. L’interesse, l’attenzione e la curiosità verso le forme della cultura sono un processo quotidiano di apprendimento che lo Stato sembra aver dimenticato. Lo dimostra
la marginalità alla quale le ultime riforme sugli insegnamenti scolastici hanno relegato la storia dell’arte, la musica, le materie umanistiche e in genere
il sostegno ai docenti e alla qualità della formazione. Questo aspetto è forse ancora più grave del degrado strutturale degli edifici scolastici. Introdotto
dalla Riforma Gentile del 1923, l’insegnamento della storia dell’arte è stato
per anni una peculiarità italiana. Oggi viene considerata, come la musica, una
materia obsoleta, mentre in Francia dal 2008 lo studio della storia dell’arte
è stato reso obbligatorio in tutti gli indirizzi educativi, a partire dalla scuola
primaria. Se non si studia geografia e storia dell’arte, come si può pensare che
i giovani possano imparare ad amare luoghi e bellezze che non conoscono?
E poi, reinserirle in tutti gli istituti vuol dire favorire la tutela dell’ambiente.
Ma occorre anche rilanciare le Accademie di Belle Arti che in Italia rappresentano una rete di eccellenza, vere e proprie fucine per la formazione tecni-
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ca e artistica, tanto richieste dagli stranieri, quanto lasciate ai margini delle
politiche per la cultura e l’istruzione. Luigi xiv sottolineava in alcune sue lettere l’importanza, per i giovani artisti francesi, di frequentare i corsi a Roma,
presso l’Accademia, quegli stessi artisti che apprendendo in Italia hanno poi
creato Versailles. E cosa ne pensano oggi i nostri Ministri?
Secondo: occorre migliorare il sistema dell’offerta, la produzione di spettacoli, mostre, attività artistiche di qualità. E non solo, anche l’organizzazione
dei servizi complementari per favorire la visita ai musei delle famiglie, le
attività di comunicazione e marketing e quelle didattiche che sono elementi
imprescindibili ormai ovunque. Si tratta di andare incontro al gradimento del pubblico ed essere capaci di attrarre nuove fasce di popolazione. Ma
come si qualifica l’offerta? In primo luogo riservando la giusta attenzione al
tema della gestione, decisamente trascurato nel nostro Paese. Troppe realtà
si dimostrano inadeguate, poco attraenti, talvolta disinteressate a stimolare
la fruizione, soprattutto nell’ambito dell’apparato pubblico. È mai possibile
che nessuno si ponga la questione degli Istituti statali (musei, monumenti,
aree archeologiche) praticamente vuoti tutto l’anno ma che, comunque, hanno nell’organico un direttore, impiegati e custodi? Ben 78 di questi enti nel
2013 non hanno realizzato alcun introito né avuto visitatori. Nel Chiostro
Ex Convento di San Domenico a Taranto sono entrate 19 persone, tutte
non paganti, e nell’Area Archeologica di Sassoferrato ad Ancona solo 200,
poco meno del Circuito Archeologico di Orvieto che ha ospitato in tutto
222 persone, con un introito annuo di 1.100 euro. Il Museo nazionale Napoleonico, a due passi da Piazza Navona, ha incassato meno di 20mila euro in tutto il 2013, ma è costato 640mila euro per accogliere appena 15mila visitatori. Ma anche sulle politiche dei prezzi dei biglietti regna il caos.
Occorrerebbe stabilire gli importi con criteri oggettivi, come la qualità dei
servizi o l’importanza e la capacità di attrazione del museo, trasformando
la tassa d’ingresso in vera e propria tariffa. Superando le contraddizioni tra
il regime delle agevolazioni e la necessità di generare introiti. Ad esempio,
un insegnante che ha portato la classe di prima media a visitare la Torre
di Pisa ha avuto una amara sorpresa: ben 18 euro per ognuno dei ragazzi
undicenni e neanche una riduzione per il gruppo di 25 studenti. La consapevolezza è che lo Stato, proprietario del bene, non favorisca l’accesso alla
cultura e che il privato (l’opa di Pisa), che in questo caso lo gestisce, lucri
sui tentativi da parte di scuole e docenti. Invece a Pompei il biglietto intero costa 11 euro (al Metropolitan di New York si entra con 25 dollari e ci
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vanno 6 milioni di persone), non si paga fino a 18 anni e oltre i 65 anche
i ricchi turisti entrano gratis.
Viceversa la rete dei soggetti autonomi che gestiscono teatri, auditorium,
musei, attività per lo spettacolo (fondazioni, aziende speciali, società) dimostrano, dati alla mano, che riescono, nonostante tutto, a portare risultati
eccellenti. È l’Italia della cultura che funziona e che qualcuno, forse per le
ragioni che dicevamo prima, cioè per riportarle sotto il controllo politico o
della burocrazia, sta tentando di affossare. Pensiamo alla capacità di attrarre
pubblico, di produrre eventi di qualità e di raggiungere livelli di autofinanziamento che arrivano a quel 60% che per il settore rappresenta il top internazionale. Sono realtà come la Fondazione Musica per Roma che gestisce l’Auditorium, il secondo al mondo dopo Sidney, o la Fondazione Torino
Musei che organizza tutta la rete dei musei comunali, o il Consorzio di Venaria Reale che ha fatto rinascere non solo la Reggia ma l’intero territorio,
contribuendo in pochi anni, in modo determinante, a diminuire la disoccupazione e che potrebbe essere un modello replicabile per risolvere i problemi
anche della Reggia di Caserta. E poi la nuova Fondazione del Museo Egizio, secondo al mondo dopo quello del Cairo, che ha rilanciato un museo di
stampo ottocentesco, ora ammirato non solo come vetrina ma come centro
di formazione, produzione scientifica e ricerca. E ancora, come non ricordare il Piccolo Teatro di Milano che, grazie all’ottima gestione e programmazione, continua a essere un centro vitale e innovativo di produzione teatrale,
rinnovando anno per anno l’impegno sociale che ne ha contraddistinto lo
spirito sin dal 1946 e, sempre a Milano, il ruolo propulsivo della Fondazione
La Triennale nel campo dell’arte contemporanea e del design? A Venezia, la
rete museale che fino a pochi anni fa andava verso il collasso è stata presa in
mano dalla Fondazione Musei Civici, che ha creato un circuito integrato tra
Palazzo Ducale e gli altri 12 musei, riducendo i costi e aumentando il pubblico fino ad arrivare a 2,3 milioni di visitatori nel 2013, la più grande rete
museale italiana. Ma anche nei piccoli centri vi sono esperienze molto positive. A Barumini, nell’entroterra della Sardegna, una giovane Fondazione sta
valorizzando un sito nuragico, patrimonio unesco, portando ogni anno più
di 100mila visitatori, creando ricchezza e evitando il degrado al quale andava
inesorabilmente incontro l’intera area. E Macerata si è affermata come città della cultura grazie a un progetto pluriennale del Comune: è stato recentemente riaperto al pubblico lo storico Palazzo Bonaccorsi, sede principale
dei musei civici e sono state attivate nuove gestioni aperte ai privati per la
musica, il teatro e l’arte. A Scicli, in Sicilia, una cooperativa di ragazzi tiene
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aperti tutti i palazzi storici, le chiese e i monumenti e li illustra in cambio di
una offerta libera, mentre a Catania l’Associazione Officine Culturali gestisce in modo efficiente l’ex monastero dei Benedettini. Insomma c’è una Italia della cultura che va, che piace, che dovrebbe essere il modello da seguire.
Hanno ragione lo scrittore Claudio Magris e il cardinale Gianfranco Ravasi,
che in un confronto al Salone del Libro di Torino, hanno sottolineato come
sia molto facile parlare del male, che ha un suo fascino, mentre è cosa difficilissima parlare del bene. Anche perché il grande dramma del nostro tempo
è che si rimane indifferenti, incolori come in una sospensione di assenza, nel
vuoto del nulla, come diceva Bernanos.
Forse per questo anche quando si parla di cultura c’è un continuo rimbombo
delle stesse notizie negative: i soldi che non ci sono, il degrado del patrimonio
e la caduta dei consumi. Lamentarsi solamente è l’atteggiamento che spesso
nasconde una facile rinuncia, la mancanza di volontà reale di cambiamento e
uno scarso interesse a mettere in evidenza le cose che funzionano.
I positivi risultati delle imprese culturali sono ben evidenti in questo Rapporto, nella ricerca curata da Solima sui bilanci dei Comuni e sui risultati delle
aziende culturali. Le esperienze di buona gestione, nel segno di una positiva interazione pubblico-privato che crea ricchezza, sono invece illustrate da
Camaleonte sui dati del Premio promosso da Federculture. Di queste realtà
la politica dovrebbe, finalmente, tener conto, per riaprire un ciclo virtuoso di
sviluppo.
D’altronde si dice sempre che l’Italia è un museo diffuso. Abbiamo 46.025
edifici storici, cioè uno ogni 1.200 cittadini, 3.872 musei (più di tutti quelli
dell’Africa e del Sud America), 48 teatri d’opera (più dei 34 di Francia, Russia,
Stati Uniti, Spagna e Regno Unito). Ma anche una leadership europea nelle
produzioni tipiche: produciamo 331 vini doc, 59 docg e 119 igt; abbiamo
229 denominazioni di origine riconosciute a livello comunitario e 4.606 specialità tradizionali censite dalle Regioni. Centinaia di manifestazioni storiche
e rievocazioni religiose tramandate per secoli e che sono tutt’oggi straordinarie attrazioni turistiche. Alla festa di Sant’Agata a Catania dal 3 al 5 febbraio
2014 hanno partecipato 1.300.000 persone innamorate della città e attratte
dalla unicità dell’esperienza.
Per alcuni questo straordinario patrimonio culturale è considerato un peso
rispetto alla nostra scarsa capacità economica di tutelarlo e alle inadeguate
competenze organizzative. Con tale motivazione si sostiene la dismissione di
una parte di questo capitale o la permanenza in una situazione di oblio, cioè
di inefficienza e di lontananza dalla vita reale. Niente di più sbagliato.
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In tutto il mondo i processi di sviluppo delle Nazioni prevedono la creazione di musei, tanto che negli ultimi vent’anni il loro numero è passato da
23mila a quasi 60mila. Di questi l’Italia ne detiene, grazie alla sua storia, una
parte significativa. Più come numero e qualità, però, che per afflusso di visitatori. Solo per fare qualche paragone, nel 2013 i musei statunitensi, secondo
l’American Alliance of Museum, hanno avuto oltre 850 milioni di presenze, più di tutti gli eventi sportivi e i parchi a tema messi insieme. Nel Regno
Unito oltre la metà della popolazione adulta è andata a vedere musei o mostre
nell’ultimo anno e in Svezia, addirittura, tre su quattro. Nel 2013 il Louvre,
pur avendo perso il 10% dei propri visitatori, ha attirato oltre 9,3 milioni di
persone e rimane il museo più visitato al mondo. La Cina in pochi anni sta
arrivando ad avere 4.000 musei (erano 2.200 nel 2005 e solo 25 negli anni
Cinquanta), che nel 2013 hanno accolto 500 milioni di visitatori, con un aumento di 100 milioni dal 2009. Anche nei Paesi emergenti la costruzione dei
musei è in crescita. I governi intendono, con la cultura, offrire un’immagine
di innovazione, benessere e modernità ma anche utilizzare i musei come luoghi dove raccontare la storia nazionale e come fonte di istruzione per i loro
cittadini, soprattutto per la fascia media in grande espansione.
In Italia tutti i musei, i monumenti e le aree archeologiche accolgono circa
110 milioni di visitatori l’anno (2013). Di questi, appena il 35% si reca nei siti
statali, come gli Uffizi, il Colosseo e il Foro Romano o la Torre dei Pisa, che
nell’ultimo anno sono stati mèta complessivamente di 38,2 milioni di persone. Il restante 65% degli ingressi nei nostri musei e monumenti è, quindi,
rivolto ai siti di pertinenza degli enti locali o dei privati.
Nell’anno magico del boom mondiale del turismo e mentre la Commissione
Europea mette in evidenza che il settore è la terza maggiore attività economica dell’ue, il Paese “più bello del mondo” perde il 4,6% dei pernottamenti
e invece la Grecia, a rischio default, cresce dell’11%.
Eppure siamo in cima ai sogni dei turisti e, ancora alla fine degli anni Settanta, eravamo primi per presenze di stranieri, primi per strutture ricettive,
primi per incassi turistici e per saldo valutario. Oggi siamo al 5° posto per incoming e al 26° per competitività turistica. Il contributo del turismo al pil è
circa il 10%, ben lontano dalle proiezioni programmatiche previste dal Piano
strategico del turismo. Ma soprattutto manca un progetto Paese. Manca la
cultura dell’accoglienza, non solo dei manager o degli operatori alberghieri,
ma del tassista, del commerciante, del singolo cittadino.
In questo scenario, proprio la motivazione turistica, con la crescita esponenziale del settore negli ultimi anni, è al centro delle politiche nazionali e
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territoriali dei Paesi che si contendono il mercato internazionale. L’Italia,
invece, è praticamente ferma da troppi anni, con un Ente di promozione
(enit) incapace di produrre risultati e con le Regioni, a cui è riservata la potestà legislativa per il turismo, palesemente non in grado di assolvere al loro
compito. Al contrario l’attrazione turistica attraverso la cultura è alla base dei
progetti giganteschi del Qatar e Abu Dhabi. Attraverso i musei, si vogliono portare nell’area del Golfo turisti provenienti dall’Europa, dalla Russia e
dall’Asia. Per questo il Louvre ha venduto il proprio marchio e collabora alla
realizzazione e gestione di una nuova sede nel Cultural District degli Emirati e il British Museum ha sottoscritto un contratto con il Museo nazionale
Zayed di Abu Dhabi che sarà inaugurato nel 2016, per offrire servizi di consulenza che valgono 10 milioni di sterline all’anno.
Dall’Italia verso l’estero, di scambi di competenze, di attività di marketing
o di prestiti onerosi di opere d’arte, sostanzialmente non se ne vede traccia. E
non è perché siamo in crisi.
Giova infatti ricordare che in piena recessione, nel 1929, fu fondato il mitico moma di New York, che riuscì a sottrarre a Parigi il monopolio dell’arte
e che, per primo al mondo, comprese quanto l’arte contemporanea contribuisca a definire e a diffondere un’identità nazionale. Con questa vocazione nel
1942 il moma lanciò Jackson Pollok e si sviluppò il movimento Action Painting, per fare uscire la cultura americana dallo stato di soggezione nei confronti della cultura europea. Un investimento sempre rinnovato, tant’è che
per la struttura odierna, inaugurata appena 10 anni fa, furono spesi ben 858
milioni di dollari. Creando un indotto economico che dal 2004 ha coperto e
raddoppiato il valore dell’investimento. Dimostrando, come abbiamo detto
nel Rapporto del 2012, che “l’arte può farsi reddito senza perdere l’anima”.
Il maxxi di Roma, unico museo nazionale d’arte contemporanea, inaugurato
con clamore internazionale nel 2010, ha oggi un budget complessivo di 10,5
milioni di euro e riceve dallo Stato, azionista unico, per il 2014 solo 5 milioni.
Terzo: favorire la spesa delle famiglie. A che serve avere teatri o musei se
rimangono vuoti o tutt’al più vengono frequentati solo da turisti stranieri?
Troppo poco è stato fatto, fino a oggi, per estendere la domanda di cultura. E non si tratta solo di incrementare la visita ai musei, alle cattedrali della storia o ai templi dell’arte. La cultura va portata nelle famiglie, nelle case
e nelle periferie, nei luoghi di lavoro e di incontro. Insomma dove la gente
vive ogni giorno. Sappiamo che la spesa delle famiglie italiane per cultura e
ricreazione è stata di 66,6 miliardi di euro, il 3% in meno rispetto all’anno
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precedente. È il secondo calo consecutivo (nel 2012 è stato del 4,4%) dopo
un decennio di crescita continua. Si comprende bene quanto sia indispensabile bloccare immediatamente questa caduta per evitare di entrare in una
fase di depressione dei consumi culturali che ci trascinerebbe ancora più in
basso nei livelli di accesso e partecipazione degli italiani e con effetti negativi anche sulla produzione e sull’offerta. Con perdite reali di posti di lavoro,
chiusure di attività e di imprese, riduzione della rete museale e dello spettacolo a puro intrattenimento per i più ricchi e a vetrina per le masse di turisti internazionali.
Per riprendere la fase espansiva della spesa dei cittadini, che aveva mostrato in oltre venti anni una decisa vitalità e un rinnovato interesse soprattutto
da parte dei giovani, bisogna agire anche sulla leva dell’incentivazione fiscale. Negli anni Sessanta andare al cinema costava meno di due euro (162 lire),
un quarto rispetto a oggi e un terzo del 2004, quando se ne spendevano 6.
Il budget familiare diminuisce e nel 2013 gli italiani spendono sempre meno
in cultura, per andare a teatro, cinema, visitare musei e mostre, siti archeologici,
ma anche per comprare libri e studiare musica. In media destiniamo alle attività
culturali il 7% per nucleo familiare, molto meno dei cittadini inglesi (11%),
di quelli tedeschi (9,2%) e degli spagnoli (8,2%). Insomma si allungano le
distanze dall’Europa che mantiene una media di spesa per la cultura dell’8,9%.
Su questa china rischiamo davvero di diventare un popolo di ignoranti e incolti.
Nel Rapporto dell’anno scorso Una strategia per la cultura. Una strategia per
il Paese avevamo lanciato un appello al Governo e articolato una proposta per
introdurre la leva della detrazione fiscale delle spese culturali e per la formazione sostenute dai cittadini. Non si comprende perché siano state previste
detrazioni fino al 50% per l’acquisto di frigoriferi, lavatrici o forni a microonde nell’ambito di progetti di ristrutturazione delle abitazioni, se non come
l’ennesima politica di sostegno al settore edile e degli elettrodomestici, mentre una famiglia non può detrarre le spese per l’acquisto di libri universitari o
l’abbonamento al teatro. Il Presidente del Camera Boldrini nella sua prefazione aveva, autorevolmente, posto la domanda: “Perché non pensare, allora,
alla detraibilità delle spese per la frequentazione di musei, teatri, concerti e
per la frequenza di scuole di avviamento alla pratica artistica e musicale, come avviene per le attività sportive?”.
Il Ministro Bray nel decreto “Destinazione Italia” si era, giustamente, incamminato su questa strada prevedendo, tra le misure per favorire la diffusione della lettura, la detrazione del 19% di quanto speso per l’acquisto di
ogni tipologia di libro fino a un massimo di 2.000 euro per tutti i cittadini.
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Il provvedimento è stato poi stravolto limitando la detrazione a beneficio dei
rivenditori di libri che recuperano lo sconto con il credito d’imposta. Ancora una volta un’iniziativa positiva volta ad avvicinare la fruizione culturale a
tutta la popolazione deraglia per il peso degli interessi lobbistici e la miopia
del Tesoro. Anche in questo caso è evidente, purtroppo, che la cultura è ancora vista come una pura voce di costo e non come un investimento utile alla
società. Non ci lamentiamo, allora, se nel primo trimestre del 2014 sono stati venduti 1,4 milioni di libri in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente, con un calo del 68% del settore.
E pensare che in Brasile il Presidente Dilma Rousseff ha attivato uno speciale esperimento in alcune prigioni del Paese: per ogni titolo letto, ai detenuti
vengono tolti quattro giorni di reclusione per un massimo di 48 ogni anno.
Avranno una visione più larga del mondo che vale gli sconti di pena, si è detto. In Italia, invece, volersi cibare di cultura è forse considerata una colpa che
va quindi penalizzata rispetto ad altri consumi?
3. politiche pubbliche e autonomia della cultura
La cultura non si può affamare. E le politiche pubbliche sono fondamentali.
Non c’è possibilità di surroga da parte di privati, di banche o imprese. Semmai
vanno affermate logiche di complementarità tra lo Stato con le Regioni e i
Comuni e tra tutti gli operatori, le imprese e i cittadini. Vanno combattuti gli
sprechi e perseguita l’efficienza. Vanno combattuti i centralismi e gli eccessi
della burocrazia che favoriscono i conformismi e la mediocrità e mortificano
l’innovazione e la creatività artistica. Non è il libro dei sogni. Le esperienze
virtuose e positive ci sono ma stentano a farsi strada e ad avere continuità. È
un lontano ricordo, ad esempio, il successo dell’inaugurazione congiunta del
maxxi (museo nazionale) e del macro (museo comunale) il 28 maggio 2010
nella settimana della Fiera dell’arte contemporanea, quando Roma si presentò
al mondo intero con un’immagine inedita, giovane, di avanguardia, e i cittadini romani, per la prima volta, hanno avuto la sensazione di entrare a far parte
di un nuovo capitolo della storia della Città Eterna. L’offerta e la produzione
culturale si aprivano alle espressioni artistiche del XXI secolo. Ora il macro
soffre dell’assenza di un chiaro indirizzo strategico da parte delle istituzioni e
di scelte gestionali conseguenti. Tantomeno sono in atto forme organiche di
coordinamento tra i diversi musei romani rispetto alla programmazione e al
marketing. Della Fiera dell’arte contemporanea si sono perse le prospettive.
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Altro caso. Il Sistema dei Cori e delle Orchestre Infantili e Giovanili in
Italia, una onlus che si ispira alla straordinaria esperienza venezuelana creata da Josè Antonio Abreu e sostenuta da Claudio Abbado e dal Presidente
Napolitano, ha dato vita, in soli tre anni, a 50 nuclei educativi nelle realtà più
disagiate, in forma gratuita, in particolare a favore di bambini disabili. Alla richiesta di finanziamento statale, la Direzione Generale dello Spettacolo
ha risposto che la domanda non era stata neanche ammessa all’esame della
Commissione tecnica perché la onlus non presentava un bilancio in deficit.
Con questa stessa logica – che respinge, sulla base del regolamento voluto dal
Ministro Bondi, una realtà che opera esclusivamente grazie all’impegno dei
privati e dei volontari, svolge un servizio pubblico e ha i conti in regola – lo
Stato ha continuato a versare per anni decine di milioni di euro a fondazioni liriche che presentavano a ogni esercizio finanziario i conti sempre più in
rosso e una produzione artistica sempre più scadente. Con questo principio,
si premiano i deficit, garantendo il sostegno pubblico a chi produce buchi di
bilancio. Il paradosso è che il Ministro Bray è dovuto intervenire prevedendo
nel decreto “Valore cultura” un fondo di 75 milioni per evitare il collasso proprio degli stessi teatri e degli enti lirici come il Teatro dell’Opera di Roma o
il Maggio Fiorentino che hanno beneficiato, senza merito alcuno e per anni,
dei soldi di tutti gli italiani.
Dovremmo aver imparato la lezione dopo 20 anni di continui ripiani dei
disavanzi sulle spalle della comunità. Dal 2008 ad oggi il settore culturale ha
perso in tutto 1,5 miliardi tra risorse pubbliche e private (1,3 fino al 2013).
Nel 2008 i Comuni spendevano in cultura 2,4 miliardi di euro, scesi a 1,9 nel
2012, e le Province sono passate nello stesso periodo da 295 milioni a 160. Le
risorse sono poche, sempre meno, ma proprio per questo bisogna ripensare il
sistema alla radice. Non è immaginabile supporre che il bilancio del mibact
possa far fronte, da solo, alle necessità di tutela e sviluppo. Bisogna utilizzare
tutti gli strumenti e immaginarne di nuovi. Uscendo dal pregiudizio che nella cultura non possa essere innestata una logica di investimento, come è stato fatto per altri grandi brand come la moda. L’alleanza con le realtà locali (i
Comuni in primis) potrà servire ad aprire progettualità e prospettive di valorizzazione territoriale delle identità e delle reti; quella con i privati, imprese
e associazioni, consentirà di avviare processi di gestione manageriale laddove, evidentemente, la sola gestione pubblica non riesce a uscire dalla contraddizione dell’incuria e di una adeguata fruizione. E poi, qualcuno si è chiesto
cosa succederà quando le Province, che sostengono sistemi e reti territoriali
come quelli dei Castelli Romani o dei Musei Senesi, chiuderanno i battenti?
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Nel 2013 sono quasi 100.000 – per l’esattezza 94.126 – gli emigranti italiani che si sono messi la penisola alle spalle, con un aumento del 55%. È come
se si fosse svuotata in pochi mesi una città delle dimensioni di Arezzo o Lecce. Secondo l’aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero presso il Ministero degli Esteri) il fenomeno ha la sua punta tra i giovani laureati, la classe
dirigente di domani. Tra questi, circa 10.000 sono artisti e creativi, diplomati
delle nostre Accademie di Belle Arti o dei prestigiosi centri di formazione
per il cinema, il teatro, il restauro che cercano un posto di lavoro a Londra o
a Berlino e la terra promessa in Brasile o negli Stati Uniti.
Anche per questo occorre democratizzare la gestione della cultura. Perché
in un progetto ampio di rilancio quello che conta è il risultato sociale che oggi, sempre più, è connesso a quello economico. L’obiettivo deve essere spostato su come vengono utilizzate e destinate le risorse, sugli effetti che queste generano. Per questo il principale strumento di finanziamento è la buona gestione del nostro capitale culturale. Il nuovo governo dovrà affrontare
seriamente e con determinazione questo problema, per dare una prospettiva
concreta alla collaborazione pubblico-privato, oggi incancrenita in un dibattito ormai ammuffito.
Ecco, a fronte anche di queste gravi deformazioni, alcune teorie affermano
che bisognerebbe ridurre i finanziamenti pubblici, rei di generare assistenzialismo, di favorire una crescita esponenziale dell’offerta senza vantaggi per
i cittadini e, infine, di produrre l’abbassamento della qualità. In Germania e
in altri Paesi europei si sono levate feroci accuse verso una cultura considerata
dispendiosa e che ha favorito il proliferare di spettacoli, mostre, libri e film
di ogni tipo. Ma intanto, mentre Obama visita il Colosseo e la Merkel va a
Pompei, la Germania stanzia per la cultura oltre 9 milioni di euro contro i
5 dell’intero investimento pubblico in Italia. Il punto vero è che l’intervento
dello Stato per essere utile ed efficace, innanzitutto socialmente, ha bisogno
di una policy chiara, forte e coerente nel tempo. Richiede cioè scelte precise
e selettive (che non vuol dire per pochi) e una trasparente e rigorosa attività
di verifica di quei risultati che devono legittimare la spesa pubblica. Quello
che è accaduto in Italia, almeno per quanto riguarda lo Stato, è un accentramento dei meccanismi di controllo burocratico sui gestori e produttori; la
crescita delle procedure amministrative soffocanti; l’incertezza sia sull’ammontare dei contributi che sulle scadenze della loro effettiva erogazione.
Invece di semplificare, favorendo l’autonomia gestionale di aziende, fondazioni ed enti culturali e subordinarla, come è giusto che sia, unicamente al
rispetto ferreo degli indirizzi generali e degli obiettivi da perseguire. Questa
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è la verità dei fatti. Anche su questo ci attendiamo dal nuovo governo una
rottura con il passato.
Il rispetto dell’autonomia della cultura è una necessità generale e va difesa a tutti i costi. Se i pozzi della conoscenza e dell’arte, che abbeverano ogni
uomo e una comunità, vengono inquinati mescolando interessi e funzioni diverse, se la cultura diventa compiacente e assoggettata alla finanza o alla politica, allora anche la società si piega inesorabilmente al volere e agli interessi del più forte. Perché la politica alta deve disegnare la società e tracciare le
risposte alle esigenze delle persone e allora, come diceva Bobbio, “non ci può
essere politica senza cultura”. E, aggiungiamo noi, non vi è cultura senza libertà, spirito critico e verità.
La storia lo insegna. Luigi XIV, Napoleone, Mussolini o Stalin puntavano all’egemonia culturale, all’arte propagandistica per consolidare il potere.
Nella seconda metà del Novecento, nell’epoca del capitalismo e del mercato,
la supremazia economica e politica americana si accompagnò al predominio
nell’arte con Pollok, De Kooning, Raushenberg, con i quali il nuovo mondo
superò anche in questo campo il vecchio continente.
Un po’ ovunque oggi, e anche in Italia, è attuale il tema del controllo sui
cittadini che avviene attraverso la televisione, utilizzata spesso per abbassare
le nostre difese culturali e renderci facile preda di spot commerciali, slogan
e modelli di riferimento artefatti. Programmi come “Saranno famosi”, nei
quali bambini impomatati cantano e si cimentano come rock star per simulare stili di successo, o le trasmissioni a quiz, producono danni enormi che si
riflettono sulla società. D’altronde la negativa riforma Gelmini sulla scuola
fu pubblicizzata dalla tv come un biscotto buono del Mulino Bianco. E il
ruolo determinante delle reti Mediaset per ottenere il consenso degli italiani
sull’immagine di Berlusconi e sulla propaganda politica è noto a tutti. Non
stupiamoci allora se gli italiani leggono poco. Il j’accuse del Ministro Franceschini al Salone del Libro di Torino ha fatto scoppiare un acceso dibattito.
Forse perché ha colto nel segno?
Invece l’arte e la cultura sono la spinta più forte all’innovazione e il sostegno più vero alla democrazia. Il 26 aprile 2014 è stato inaugurato al quinto
piano di un anonimo palazzo di Hong Kong il Museo della memoria, quello che ricorda la rivolta degli studenti nel 1989 contro il regime di Pechino.
C’è la foto del giovane cinese, camicia bianca e pantaloni scuri e una giacca
stretta in mano che, al centro della carreggiata, verso piazza Tienanmen, ferma, senza fare un gesto, la fila di nove carri armati. Divenne una delle immagini simbolo della lotta per la democrazia, del coraggio e della tragedia.
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La primavera di Pechino finì nel sangue e l’illusione della speranza contro
i regimi e le ingiustizie è stata rubata. Ora, dopo 25 anni, aprire la porta di
questa mostra è una vittoria perché, grazie ai video, alle foto, a reperti come
le camicie insanguinate collocate in povere vetrine, si apre una falla nell’invalicabile muro del silenzio. Per questo il Museo rappresenta una sfida alla
verità storica su Tienanmen, quelle immagini che chiusero il Novecento, e
alla memoria negata per tutti i giovani all’interno della Grande Muraglia.
Non basteranno le telecamere installate dalle autorità filocinesi all’ingresso
del museo per dissuadere i visitatori dallo scegliere il profumo della libertà
contro l’arroganza del potere. Così, in questa sfida, in questo mezzogiorno di
fuoco, anche in Italia leggere un libro, andare a teatro, entrare in un museo
dobbiamo considerarlo come un gesto di rivoluzione silenziosa. Rendiamolo
possibile, sempre di più, per tutti.
4. il mezzogiorno d’europa
Per il Mezzogiorno la situazione è ancora più grave. Quel filo rosso che lega
la cultura al benessere e al progresso sembra definitivamente spezzato, creando
un cortocircuito con la storia dello sviluppo della civiltà nel Mediterraneo,
flusso vitale tra Oriente e Occidente, che proprio qui si è alimentato e ha
trovato cittadinanza. Eppure le idee, le energie creative, le capacità, ci sono.
Uscire dal tunnel è possibile. La prima consapevolezza, il dato storico da cui
partire, è che non c’è sviluppo senza cultura, come non ci può essere nuova
crescita del Paese senza il Mezzogiorno. Lo dice la storia, lo dicono i fatti, nel
bene e nel male. I problemi sono ampi e complessi, non esistono ricette facili.
D’altronde, come drammaticamente descritto dall’ultimo rapporto Svimez,
oggi ci troviamo di fronte a un processo di desertificazione economica e produttiva e, aggiungerei, anche umana. Il nostro Meridione rischia di perdere
il contatto con il resto del Paese, e con l’Europa. Appare incapace di offrire
nuove opportunità ai giovani – in 50.000 ogni anno emigrano all’estero per
trovare una speranza di futuro e, tra questi, per la prima volta tantissimi artisti – di attrarre capitali privati e investimenti, di avviarsi finalmente sulla
strada dell’innovazione. Il rischio, come ci ricorda l’immane tragedia umana
di Lampedusa, è che il Mezzogiorno resti schiacciato nel ruolo di ponte di
approdo di un altro Sud ancora più povero e disperato. Bisogna, quindi, invertire la rotta. Subito e con determinazione. Avviando una vera rivoluzione culturale che possa cambiare innanzitutto la mentalità e i comportamenti
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individuali e collettivi. Una nuova idea di Paese nella quale bellezza e conoscenza, ricchezza economica e qualità della vita, competitività e uguaglianza
trovino un nuovo equilibrio.
Ma alcuni punti sui quali imprimere una svolta non possiamo fare a meno di evidenziarli.
Non sono di certo gli asset da cui partire che ci mancano.
Il tessuto del Mezzogiorno non è costituito solo da grandi attrattori culturali, ma da realtà, luoghi di fruizione diffusi ovunque nel territorio, migliaia
di musei, palazzi storici, aree di interesse naturale e artistico e un’infinità di
tradizioni e rievocazioni storiche e popolari. Chi non conosce la Macchina
di Santa Rosa di Viterbo, i Gigli di Nola, la Varia di Palmi, i Candelieri di
Sassari? Sono le “grandi macchine a spalla”, riconosciute dall’unesco come
un pezzo della cultura popolare italiana che diventa patrimonio dell’umanità
e che ha una straordinaria capacità di attrazione turistica. In queste regioni è
presente il 48% del patrimonio statale, tra musei, monumenti e aree archeologiche, e il 30% dei siti unesco italiani. Pensiamo alle oltre 3.600 biblioteche
pubbliche, più numerose delle 3.400 municipali dell’intera Francia. Tuttavia,
c’è un grave problema di gestione, un ritardo da colmare rispetto alle esperienze positive in altre aree del Paese. Fondazioni, imprese e istituzioni, costruite
in un processo di esternalizzazione dei servizi pubblici da parte di Regioni ed
enti locali, che negli ultimi anni hanno migliorato e arricchito l’offerta culturale del territorio e ai cittadini con un più efficiente utilizzo delle risorse.
Lo dimostra, ad esempio, il limitatissimo numero di visitatori dei siti culturali statali del Sud, nel 2013 appena 7,6 milioni (11,3 compresa la Sicilia) con
un incasso di 30,8 milioni di euro di introiti lordi (44 con la Sicilia) di cui il
54% derivante da Pompei, dalla Reggia di Caserta e da Ercolano. L’assenza di
efficaci politiche di valorizzazione e la scarsa capacità gestionale dell’apparato statale negli ultimi 15 anni hanno portato, nel Sud, a una crescita degli ingressi di appena il 3,8%, a fronte di un incremento del 52% a livello nazionale.
Il Satiro danzante, la Dea di Morgantina, i Bronzi di Riace non sono adeguatamente valorizzati. Perché stupirci se in Calabria, maglia nera nel Meridione, sono arrivati nel 2013 solo 220mila stranieri contro i 20 milioni attratti dalla Lombardia?
Non mancano, per fortuna, esempi virtuosi di una programmazione culturale efficiente, di rivitalizzazione dei luoghi d’arte, di creazione di nuova occupazione come il Consorzio del Teatro Pubblico Pugliese, il nuovo Museo di
Arte contemporanea Donnaregina di Napoli, o la Fondazione Federico II che
a Palermo gestisce con efficienza il complesso monumentale di Palazzo Reale
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e la Cappella Palatina, visitati ogni anno da oltre 350mila persone. Questi e
tanti altri casi nei quali sono coinvolte associazioni e imprese dimostrano che
la buona gestione è possibile e che le competenze ci sono.
Da anni, però, queste esperienze, invece di essere sostenute, sono bersaglio di politiche miopi, soffocano in una morsa di leggi e regolamenti che le
trasformano da centri vivi di produzione a unità burocratiche e contabili, nel
migliore dei casi.
Ma, anche per la gestione dei siti statali di fama mondiale, come Caserta e
Pompei, servono scelte coraggiose. Il precedente governo e ora il Ministro Franceschini hanno affrontato il problema con determinazione. Ma sempre secondo
il modello pubblico tradizionale. Occorrerebbe, invece, a nostro avviso, abbandonare quella gestione diretta da parte dello Stato e degli enti locali che per
troppo tempo si è dimostrata inadeguata e insufficiente rispetto agli obiettivi
di valorizzazione e di tutela e che hanno dato al mondo l’immagine negativa
del Mezzogiorno d’Italia. Esaltare le funzioni di indirizzo e di controllo delle
istituzioni pubbliche sulle politiche culturali e affidare la gestione, con obiettivi
e regole chiare, a soggetti terzi in grado di svolgere le attività di servizio a beneficio di tutti. Perché non pensare, ad esempio, per risolvere il problema della
Reggia di Caserta, di assegnarne la gestione a un soggetto autonomo sul modello dell’Azienda Consortile per la Reggia di Venaria Reale che, in pochi anni,
ha dato risultati straordinari in termini, non solo di valorizzazione, ma anche
di ricchezza economica e occupazione per il territorio circostante? Così come
avviene anche in Francia per la Reggia di Versailles e il castello di Chambord.
Accrescere la partecipazione culturale è un obiettivo del quale tutti dobbiamo farci carico. Il primo bene culturale, il vero bene comune, è la conoscenza. Dobbiamo ripartire da questo concetto chiaro. La cultura è un diritto di
tutti ed è un dovere dello Stato garantirla, è creatività e identità, deve servire
al presente e alimentare il benessere sociale diffuso.
L’allontanamento dei cittadini dalla fruizione culturale nel Sud rischia di
assumere i contorni di una vera depressione dei consumi. Gli ultimi dati sulla
spesa delle famiglie italiane in cultura e ricreazione a livello regionale mostrano una situazione di arretramento: solo il 5,7% della spesa totale è destinato
a questa fascia di consumi, rispetto a una media nazionale del 7,3%. Una nota
positiva viene dalla lettura: nel Mezzogiorno coloro che leggono 1-3 libri l’anno
sono il 58,3%, mentre nelle regioni del Nord-Ovest, ad esempio, il 40%. Ma i
cittadini del Mezzogiorno frequentano meno il cinema e il teatro, visitano poco
monumenti, mostre ed esposizioni e seguono più raramente i concerti classici.
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Sappiamo, tuttavia, che due cittadini su tre del Mezzogiorno ritengono che
l’investimento sul patrimonio artistico e paesaggistico e sulla ricerca sia l’unico volano credibile di sviluppo.
Anche per questo, soprattutto al Sud, l’industria culturale e creativa può
rappresentare una prospettiva straordinaria e irrinunciabile di nuova occupazione qualificata e di sviluppo sostenibile del territorio.
La localizzazione nelle aree del Mezzogiorno di produzioni cinematografiche di richiamo internazionale, di laboratori di arti visive e la valorizzazione
delle produzioni locali di qualità ha rappresentato, in molti casi, un efficacissimo strumento di marketing territoriale per l’attrazione di nuovi investimenti
e professioni. Le imprese culturali e creative nel Sud producono il 16% del
valore aggiunto complessivo del settore, pari al 12,6 miliardi di euro. È un
contributo molto rilevante per l’economia del Mezzogiorno, ma scarsamente
considerato nelle politiche di sviluppo. La cultura è, quindi, un ambiente che
fa fiorire le imprese. È arrivato, allora, il momento di immaginare un piano
per il Mezzogiorno che finalmente utilizzi anche le risorse europee attraverso la nascita di reti e incubatori di imprese creative, artistiche e culturali che
possano essere un formidabile strumento per stimolare e accelerare percorsi
di crescita per il tessuto imprenditoriale e sociale.
Non possiamo tacere delle difficoltà di spesa dei fondi comunitari nel Mezzogiorno. Due miliardi di euro del “Programma attrattori culturali 2007-2013”,
destinati a migliorare l’offerta culturale delle regioni del Sud, dovranno presto
essere restituiti a Bruxelles. Un esito doloroso per un settore che necessita disperatamente di risorse, ma che deve essere di incoraggiamento per superare
i limiti del passato.
Primo fra tutti l’imprescindibilità della cooperazione tra i vari livelli istituzionali, a partire da quella tra Stato, Regioni ed Enti locali; il secondo riguarda la qualità dei progetti, che dovrebbero sempre prevedere un modello
gestionale sostenibile nel tempo.
Come non ricordare la stagione dei “giacimenti culturali” e quella degli
itinerari turistici nel Mezzogiorno che, nonostante ingenti risorse destinate,
non hanno dato, tuttavia, gli effetti sperati proprio per le difficoltà di integrare le misure di pianificazione territoriale con una sostenibilità gestionale
nel tempo. Per questo abbiamo proposto un “Fondo per la progettualità culturale” al quale destinare apposite risorse, a partire dal prossimo ciclo di programmazione dei fondi comunitari, quale sostegno di un nuovo modello di
programmazione integrata e partecipata capace di gestire progetti di qualità
e sostenibili per il nostro patrimonio culturale.
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L’emigrazione intellettuale dal Mezzogiorno è una piaga. I giovani che vanno
via non sono più quelli di Rocco e i suoi fratelli, cioè contadini analfabeti, manodopera per le catene di montaggio della Fiat. Scappano, cercando lavoro
altrove, quasi tutti diplomati e laureati, un’emorragia che spopola di competenze ed energie le città, impoverendole, non solo economicamente, ma soprattutto sul piano culturale e intellettuale.
Tuttavia il vero problema, come ha dichiarato con forza Giuseppe Galasso,
non sono le persone che (a ragione) partono, bensì coloro che restano. Restano
amministrazioni e parti della politica e delle organizzazioni sociali inadeguate. Restano enti e gruppi incrostati in nicchie di privilegio e di potere. Resta
una burocrazia che non è certo la più efficiente. Resta soprattutto una malavita diffusa e potente, che si nutre nel degrado e nell’illegalità. Tutti questi sono
problemi che hanno una matrice culturale che a sua volta è intimamente legata
alla povertà economica, all’ignoranza, a una realtà sociale avara di opportunità.
Allora occorre riannodare il filo rosso dello sviluppo e della cultura per ricostruire una trama di convergenze che consenta di superare i problemi che abbiamo davanti e realizzare davvero la democrazia delle opportunità. A partire
da un forte investimento in educazione e formazione per combattere efficacemente le mafie, l’illegalità e il degrado sociale. Consapevoli inoltre che, se il
Mezzogiorno, l’Italia e l’Europa non torneranno a essere produttori di cultura,
saremo destinati al declino rispetto ai processi mondiali nei quali proprio alla
conoscenza e alla cultura vengono affidati i destini dello sviluppo.
5. la cultura crea innovazione. la cultura ha bisogno di innovazione
L’innovazione è strettamente legata alla propensione creativa e all’humus culturale di una società. Anche le figure più geniali della storia, e l’Italia ne ha
coltivate tantissime, sono emerse in contesti fecondi e ricchi di opportunità.
Da Leonardo da Vinci a Enrico Fermi la lista è davvero lunga. Ma il primo si
è formato a Firenze nella bottega del Verrocchio, vera e propria fucina di talenti, come Sandro Botticelli, Pietro Perugino e Domenico Ghirlandaio, che
hanno incarnato lo spirito dell’epoca rinascimentale, il secondo divenne uno
dei più grandi scienziati al mondo grazie al fertile contesto formativo della
Scuola Normale Superiore di Pisa e, successivamente, all’attività del gruppo
di ricerca noto come “i ragazzi di via Panisperna”.
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Il genio isolato esisterà sempre, ma la quantità di uomini e donne che nel
Rinascimento hanno espresso straordinaria capacità e grande spirito di modernità nelle arti, nell’artigianato, nell’ingegneria civile, nella scienza e nelle tecniche, fino alla poesia e alla letteratura, è dovuta alle scuole d’arte e dei
mestieri, alle università. In sostanza alla diffusione, sin dalla nascita, del senso
del bello e alla spinta verso l’innovazione.
Un genio indiscusso come Albert Einstein diceva: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose [...]. La vera
crisi è l’incompetenza [...]. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa che è la tragedia di non voler lottare per superarla”. Con questo spirito dovremmo combattere per far sì che l’Italia torni a essere la culla della
bellezza, il paese delle opportunità, l’eccellenza del vivere bene.
Il nemico da sconfiggere è l’assuefazione al degrado ambientale e a quello
dei comportamenti individuali e collettivi (che in fondo sono la stessa cosa).
Le condizioni negative da controvertere, proprio in senso rivoluzionario, riguardano principalmente tre ambiti: il sistema scolastico, l’innovazione, gli
standard qualitativi di produzione.
Nell’indice globale che misura i migliori sistemi d’istruzione, l’Italia resta in
coda. Su 40 Paesi, l’Istituto di ricerca inglese, l’Economist Intelligence Unit,
ha incoronato la Corea del Sud, poi il Giappone e Singapore e solo al 25° posto troviamo l’Italia, dopo Svezia, Francia e Ungheria. Abbiamo già parlato
di alcune riforme indispensabili, quali quelle per la musica e l’arte, ma complessivamente, per essere competitivi, bisogna creare un senso di comunità attorno alla scuola. Deve tornare a essere interesse di tutti, delle aziende, degli
enti locali oltre che dello Stato, poter investire di più sulla qualità dell’insegnamento. Anche nella lista del mit, Massachusetts Institute of Technology
di Boston, emerge l’arretratezza dell’Italia: l’innovazione brilla altrove e anche
Cipro ci supera. Nessuna azienda italiana risulta tra le 50 più creative e nella ue siamo solo al 15° posto. Vince Illumina, fondata nel 1998 a San Diego
in California, che produce macchine rivoluzionarie per il genoma, a seguire
Tesla Motors, all’avanguardia per le auto elettriche, e poi il colosso Google.
Le graduatorie contano relativamente, non vi è dubbio, ma non è un caso se
anche nel rapporto annuale “Eurobarometro dell’Innovazione” del 2013, realizzato dalla Commissione Europea, siamo lontanissimi da Svezia e Germania e, tristemente, superati da Estonia e Slovenia. Le ragioni di questa situazione devastante? Basta guardare le cifre degli investimenti in ricerca. Quelli
pubblici sono solo lo 0,53% del pil, a fronte dello 0,71% della media europea.
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Una terza classifica stilata da Future Brand, che ha vagliato il peso specifico di 140 Paesi attraverso la valutazione dei cittadini sulla piazza globale,
ci dice che nel made in, nonostante borse, arredamento, vestiti e prosciutto di
Parma, l’Italia è quinta dopo gli usa (che vincono per la moda e la cura della
persona), la Francia (per il cibo), la Germania (per i marchi auto, e non a caso
la Mercedes vince quest’anno sulla Ferrari) e il Giappone (per l’elettronica).
Non bastano quindi all’Italia la sua fama mondiale e lo stile indiscusso per
avere un ruolo di rilievo e tenere alto il prestigio internazionale e la competitività dei territori e dei prodotti.
Per secoli abbiamo esportato bellezza, creatività, tecnica. Cioè gusto, competenze e valori culturali che hanno plasmato tanti campi delle nostre produzioni famose nel mondo. Chi non conosce il Va Pensiero del Nabucco di Verdi
che, dal 1842, è l’inno contro l’oppressione, oppure il Cenacolo di Leonardo da
Vinci nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, voluto da Ludovico il Moro, che dovrebbe essere uno dei luoghi simbolo dell’Expo 2015?
L’export di beni creativi rappresenta circa il 9% del nostro export totale, per
un valore di esportazione pari a 27,3 miliardi di dollari. È una cifra enorme,
che tuttavia non nasconde una situazione di difficoltà. Nel 2002 la nostra
quota di export di beni creativi rispetto al commercio mondiale era dell’8%,
mentre oggi è del 6%: abbiamo quindi perso il 25% della nostra capacità di
penetrazione. Anche in Europa andiamo peggio. La quota italiana sull’Unione Europea era al 19% ed è scesa al 17%.
Ma il problema non è solo questo. Gran parte del nostro volume di esportazioni dei beni creativi dipende dal settore del design, che rappresenta ben
l’86%. È invece molto basso il nostro export di prodotti new media (397 milioni di dollari) e in visual art (492 milioni), pari all’1,8 % del totale. Non erano
proprio le arti visive, da Botticelli a Pistoletto, la nostra più grande attrazione? E non produciamo più nulla di qualità internazionale in questo campo o
in quello musicale? O forse ci accontentiamo che il barattolo di Nutella porti gente a Perugia o nelle Langhe e riceva il premio internazionale dell’ocse
come prodotto di qualità?
Un discorso a parte merita il grave ritardo nell’uso dell’innovazione tecnologica dei musei italiani. La rivoluzione digitale sembra impermeabile al mondo
pubblico della cultura. Oggi la tecnologia di base è accessibile a tutti, o quasi,
ma non tutti sanno metterla a profitto (pensiamo alla vendita elettronica dei
biglietti di ingresso) e trasformarla in innovazione. Basta dare un’occhiata ai
siti web di Pompei e di Caserta per rendersi conto che non ci sono informa-
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zioni in inglese né servizi di e-commerce. Provate a comprare un biglietto per
visitare Castel Sant’Angelo o il Colosseo su Google, ed entrando nei siti vi
renderete conto che l’operazione è impossibile. Oppure, sul portale della Regione Siciliana, dei 115 luoghi artistico-culturali presenti sul territorio, solo
undici sono presenti sul web con un proprio sito e appena cinque sono anche
in versione inglese. Per non parlare delle presenze sui social networks, praticamente inesistenti.
L’apparato pubblico statale della cultura è immobile, antico, pietrificato
nella sua diffidenza e incapacità a garantire il ruolo di custode e promotore
dell’arte verso un maggior numero di cittadini. Il solo campo di applicazione dell’innovazione riguarda il restauro. Il David di Michelangelo è stato rivitalizzato grazie al 3D, a cura della Stanford University, un capolavoro che
nasce da un blocco di pietra pieno di difetti, tanto che il marmo di scarto era
già stato lavorato da due scultori prima che Buonarroti lo modellasse e fosse
poi esposto all’aperto l’8 settembre 1504 in Piazza della Signoria a Firenze,
suscitando, da allora, la meraviglia generale.
E non possiamo neanche consolarci di partecipare, con gli Uffizi, i Musei Capitolini di Roma o il Museo Archeologico di Ferrara, al Google Art
Project, che consente la visita virtuale dell’arte in un clic. Sarà anche il “museo dei musei”, com’è stato chiamato, la più grande galleria dell’arte del mondo, fruibile dalla poltrona di casa e che consente di visualizzare 57mila opere
digitalizzate, dai paesaggi di Turner alla Tate Britain ai quadri di Warhol al
moma. Ma non è certo questo che risolverà i problemi dei nostri musei. Anche se dovremmo avere l’umiltà e l’intelligenza di guardare cosa avviene all’estero. C’è una nuova fase, stimolante, grazie all’innovazione tecnologica, e di
profondo cambiamento.
In tutto il mondo, i musei registrano un numero record di visitatori e ogni
giorno se ne aprono di nuovi. Hanno successo quelli che si rinnovano, cambiano l’offerta e il rapporto con il pubblico.
Una volta erano considerati luoghi per pochi studiosi, vecchi noiosi e polverosi, lontani dalla vita reale. In Italia istituti così sono ancora troppi. Basta
entrare in gran parte dei musei statali, praticamente vuoti, per rendersene conto. Quelli, invece, che hanno successo è perché sono cambiati radicalmente.
La loro offerta si è rinnovata, sono diventati luoghi aperti a tutti, capaci di
attirare l’interesse dei giovani e delle famiglie. Non solo vetrine e depositi di
collezioni, ma veri e propri laboratori interdisciplinari, spazi di incontro e di
confronto culturale. Sono “una tribuna oltre che uno scrigno pieno di tesori”
dice sir Nicholas Serote, direttore della Tate Modern di Londra.
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All’estero l’affluenza del pubblico e il rinnovato interesse del mondo delle
imprese dicono che questa è la strategia giusta. E in Italia?
È vero che anche l’intero sistema produttivo italiano è arretrato, visto che
solo il 17% delle nostre aziende ha un sito internet, contro il 34% in Spagna.
Ma il punto è che i musei, i teatri, le biblioteche, devono tornare a essere “generatori” di cultura, luoghi vitali nei quali il focus non sia l’opera d’arte in sé
ma il cittadino che ne deve cogliere il messaggio e sentirla vicina.
È forse un male utilizzare le tecnologie digitali per ricostruire spazi e frammenti perduti di opere d’arte o ricreare virtualmente templi, monumenti, immagini della vita reale? Anche questo vuol dire rendere contemporaneo ciò
che è stato, togliendolo dalle gabbie burocratiche e dall’oblio del tempo. Non
a caso, una recente indagine ha dimostrato che il bene culturale più apprezzato a Roma, nelle valutazioni dei visitatori, non è il Colosseo né la Cappella
Sistina, bensì l’Area Archeologica Le Domus Romane di Palazzo Valentini
che, grazie alle tecnologie di Studio Azzurro, offre a ciascuno una esperienza
di conoscenza e di emozione.
Le analisi sugli effetti generati dall’investimento culturale nell’economia e
sull’innovazione di una comunità o di un prodotto sono numerose e chiare.
Il periodo di crisi che ha stravolto molti settori può aprire una fase nuova di
“distruzione creatrice”. Cioè, andando oltre Schumpeter, avviare un processo
di rinnovamento profondo in grado di aprire un nuovo ciclo di sviluppo, che
solo grazie alla cultura può portare benefici duraturi in tutti i campi della società. Economia e occupazione insieme a democrazia, diritti umani, benessere.
Questa è la strada del progresso che la storia, di là di ogni studio, ci dimostra.
6. la cultura per l’europa, l’europa della cultura
Non esiste una vera politica europea per la cultura, considerato un settore
come altri e non il punto di partenza identitario di una Comunità Europea
che vacilla sotto i colpi dei nazionalismi. Il nuovo programma Europa Creativa 2014-2020 rappresenta sicuramente un’opportunità, ma evidenzia anche
la mancanza di una chiara idea della sua funzione civile. A Roma, nelle sale
dei Musei Capitolini nel 1957, si tracciarono le basi di un percorso rimasto
a metà ma i cui obiettivi rimangono di assoluta attualità e importanza. Costruire, cioè, un modello di società in cui i valori della democrazia, dell’uguaglianza, il senso di cittadinanza e anche la competitività economica, trovino
un fondamento unificante sul terreno della cultura e della conoscenza. Per-
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ché la vera moneta unica è l’identità culturale. Una moneta forte, un capitale
sul quale investire per superare la crisi che attanaglia il Vecchio Continente.
Gli Uffizi sono stati il primo museo pubblico dell’Europa moderna e il suo
primo direttore, l’abate Luigi Lanzi, fu un grande storico dell’arte che educò
al gusto pittorico Stendhal. Le arti visive, la musica e la lingua italiana per
secoli hanno educato l’Europa. Pensiamo a Goethe o a Shakespeare che si
nutrì delle teorie di Machiavelli. Nel Museo Nazionale di Bucarest, i reperti
più importanti sono considerati, dagli stessi rumeni, i calchi della Colonna
Traiana di Roma, in cui è raffigurata la storia della conquista romana dei Daci, la storia della Nazione, un pezzo della storia d’Europa. Come trascurare,
quindi, le basi romane dell’Occidente europeo? Non si può ridurre al problema dell’euro, del debito pubblico, ai meccanismi che imbrigliano le sovranità
nazionali, il solco profondo che si sta creando sull’identità storica, religiosa,
culturale che ha, per secoli, nobilitato il cuore e lo spirito.
Per questo l’elezione del nuovo Parlamento Europeo e il semestre europeo
di Presidenza italiana dell’ue sono delle occasioni imperdibili per riprendere
il cammino della storia. E per rinnovare una promessa di progresso e di civiltà. Anche Dante nel De Monarchia auspicava l’instaurazione di un impero
universale che coincideva con l’Europa unita nella identità politica e culturale.
Secondo Kant, in uno scritto del 1795, l’unica strada per evitare nuove guerre era di creare un governo democratico sovranazionale, e Rousseau diceva
che: “Oggi non ci sono più né francesi, né tedeschi, né spagnoli e nemmeno
inglesi; ci sono solo gli europei. Tutti hanno gli stessi gusti, le stesse passioni,
gli stessi costumi, perché nessuno ha ricevuto forme nazionali da un’istituzione particolare”.
In fondo anche Napoleone, a modo suo, provò a unire l’Europa: pur perseguendo il primato della Francia, sognava il suo disegno più grandioso, l’unificazione del Vecchio Continente, ricalcando le orme dell’Impero di Carlo
Magno. La storia la conosciamo e sappiamo che la strada della democrazia,
aperta dalla Rivoluzione Francese, pose anche le premesse per la creazione
degli Stati nazionali.
Nella sua storia culturale ed economica, l’Europa, proprio nel lungo periodo (aldilà delle vicende dei singoli Stati), ha saputo creare una straordinaria concentrazione di benessere e sviluppo. Oggi il più ricco Paese europeo distanzia i Paesi più poveri del mondo di 400 volte. Questo divario si
spiega proprio in base alla “cultura”. Quell’insieme di valori che genera una
società aperta e vitale, capace di premiare il lavoro e la conoscenza e dunque
orientare alla crescita della produttività, alla creazione di tecnologie, al cam-
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biamento continuo nel segno della competizione, alle innovazioni, alla loro
diffusione nella società.
Pensiamo a quelle, ormai lontanissime, come il mulino ad acqua, gli occhiali, i primi orologi meccanici, passando alle tecnologie della rivoluzione industriale nel tessile e nelle altre industrie, per finire agli straordinari progressi
nelle comunicazioni, nella medicina e nella capacità di organizzare la ricerca
tecnologica e scientifica. Ma la centralità economica e finanziaria dell’Occidente è recente. Tra l’viii e il xviii secolo è stata l’Asia il cuore commerciale
mondiale, e ancora nella seconda metà del Settecento India e Cina ne monopolizzano ben oltre la metà. L’Europa, però, cresceva in tecnologia e quella
che era stata, soprattutto fino alla metà dell’Ottocento, una storia britannica
diventò, tra il 1860 e il 1914, una storia europea e nordatlantica. Elettricità,
motori, petrolio, telegrafo, telefono e rete fognaria, in quegli anni c’erano già
tutte le invenzioni fondamentali per la modernità. Fu un boom tecnologico
più decisivo dell’era internet: computer e web, per quanto eccezionalmente
utili e capaci quasi di azzerare il costo della comunicazione globale, non hanno trasformato l’economia e la vita come le scoperte chiave che a Londra innescarono la seconda rivoluzione industriale. Oggi il primato europeo non è
più consolidato. Gli Stati Uniti hanno acquisito il modello europeo e lo hanno migliorato. Il Giappone e l’Asia, pur con molte contraddizioni, hanno fatto eccezionali balzi in avanti. È allora evidente che l’Europa deve rimettere
in moto i motori fondamentali della competitività e della crescita con scelte
lungimiranti da parte di governi e dei privati.
Partendo dalla consapevolezza che la società ha bisogno di cultura. Richiede più educazione e conoscenza, investimenti nella ricerca, valorizzazione del
proprio capitale di tradizioni e di arte ma anche ritornare a produrre cultura. Tornare cioè a essere protagonisti nell’arte contemporanea, nella new economy. Sono anche questi i fattori fondamentali dello sviluppo e del benessere
in un momento decisivo per attuare logiche di lungo periodo. Tra emergenze
quotidiane e polemiche politiche bisogna trovare il coraggio per cambiamenti incisivi nel solco di quella cultura della libertà e della innovazione che ha
fatto grande l’Europa e l’Italia.
Perché nell’Europa e nell’Euromediterraneo l’industria culturale non crescerà a tavolino. Dobbiamo tornare a essere protagonisti liberando le energie
e l’amore dei giovani per l’arte e la bellezza, offrendo loro delle opportunità.
Per costruire Il Mondo Nuovo, come l’affresco così intitolato da Giandomenico Tiepolo a Ca’ Rezzonico: una folla di passanti visti di spalle che sgomitano, tutti intenti a guardare in avanti. Verso una visione capace di trasformare
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queste energie in sviluppo e progresso. Nella sua riflessione su ricchezza e povertà, Papa Francesco ci stimola a interpretare la crisi come una occasione per
aprire una fase di innovazione e di avanguardia attraverso la cultura, la generosità, la solidarietà. Se non vogliamo essere un relitto alla deriva della storia.
Oggi il disincanto dei cittadini europei per il peggioramento delle condizioni di vita può essere affrontato, più che con politiche di austerità a oltranza, ricostruendo il sogno e un disegno lungimirante. Partendo da quell’idea di
unità europea che vive da secoli nel nostro continente. L’Europa deve tornare
a produrre cultura, non può diventare una vetrina di bellezze del passato che
non migliorano e non danno significato alla vita dei giovani e delle famiglie.
LE PROPOSTE DI FEDERCULTURE
Modernizzare l’offerta culturale. Il solo
fatto di avere un grande patrimonio
culturale non basta. Occorre riportare
al centro la gestione, quella che crea
occupazione, sviluppo, bellezza, che
accresce la domanda e che rende
vive, attraverso la cultura, le nostre
città. Ridare autonomia ai soggetti
gestori, semplificare le procedure e
sostenere i processi di affidamento
dei servizi pubblici culturali alle
fondazioni e agli enti autonomi
deve diventare una priorità. Modelli
vincenti cui ispirarsi non mancano.
Basti pensare ai Musei Civici di Venezia
o alla Reggia di Venaria Reale che,
oltre a gestirli in maniera efficiente,
garantiscono la tutela programmatica
dei beni culturali loro affidati.
Giovani e lavoro. È fondamentale
coinvolgere i giovani professionisti
della cultura in un programma volto
a favorire progetti di valorizzazione
per rendere fruibili e vitali luoghi
altrimenti destinati all’oblio.
La cultura può diventare un bacino
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di nuova e qualificata occupazione,
tramite la nascita di imprese culturali
e creative. Sarà necessario allora
introdurre agevolazioni per lo start
up d’impresa al fine di coinvolgere i
numerosi giovani che ogni anno sono
costretti a lasciare il Paese. E inoltre,
perché non affidare a soggetti privati
la gestione di musei e siti minori che
lo Stato non riesce a valorizzare?
Detraibilità delle spese culturali.
Non possiamo più aspettare. Per
stimolare la domanda delle famiglie è
indispensabile che il Governo accolga il
nostro appello rispetto alla previsione
della detraibilità delle spese per
la frequentazione di musei, teatri,
concerti e per l’acquisto di libri.
Lo sgravio fiscale appena introdotto per
favorire il mecenatismo, il cosiddetto
Art Bonus, apre la strada a una politica
fiscale di vantaggio che, senza dubbio,
avrà effetti positivi sul settore. Ma,
per stimolare la domanda di cultura,
è indispensabile pensare a una leva
fiscale, già prevista per l’acquisto
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di mobili ed elettrodomestici, che
agevoli i cittadini rispetto alla scelta
di spesa in beni e servizi culturali.
Avviare un rinascimento dei progetti
di sviluppo locale legati alla cultura.
Il processo di sviluppo locale legato
alla progettualità culturale, che negli
ultimi vent’anni ha rivitalizzato le
città, si scontra sempre più con la
diminuzione delle risorse disponibili
e la scarsa capacità degli enti locali
di programmare interventi sui
quali far convergere partenariati
e finanziamenti anche europei.
Introdurre e favorire una “cultura della
progettualità integrata” nei processi
di valorizzazione del patrimonio
storico-artistico-paesaggistico
significa disegnare un percorso di
crescita civile ed economica che può
contribuire a rendere più attrattivo
e vitale il contesto locale anche in
chiave turistica. Un fondo rotativo
per la progettualità culturale –
quale strumento di finanziamento
dedicato alla progettazione strategica
integrata nella governance culturale
– darebbe un rilevante impulso alla
promozione e allo sviluppo locale
attraverso la valorizzazione di sistema
del patrimonio culturale, spesso
disperso tra vari livelli istituzionali.
Sconfiggere la peggiocrazia e premiare
la qualità. Non ha senso finanziare
allo stesso modo enti che dimostrano
ottime capacità gestionali ed enti che
non riescono nemmeno a riequilibrare i
propri bilanci. La ripartizione dei fondi
deve avvenire secondo equità e grado
di efficienza. Occorre pertanto definire
uno standard di qualità e di costo di
musei e teatri, fissando uno schema
di indici di sostenibilità culturale che,
tramite la raccolta dei dati disponibili,
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misurino il grado di efficienza dei
progetti. Ciò consentirà di ridurre gli
sprechi, di stabilire punti di riferimento
concreti sulla congruità dei costi o sui
livelli di funzionalità e di “certificare”
i risultati di gestione in un’ottica
di accountability per favorire la
trasparenza nella gestione e misurare
il raggiungimento dei risultati.
L’innovazione tecnologica per
raccontare l’Italia. Serve un programma
per la modernizzazione tecnologica del
sistema di offerta, in particolare statale.
L’innovazione tecnologica in ambito
culturale è, infatti, all’anno zero. In
Europa, l’Italia è l’ultima nell’accesso e
nell’uso delle risorse digitali. Tra i musei
italiani, solo il 3% ha applicazioni per
smartphone e tablet; il 6% ha videoguide o dispositivi digitali per la visita e
il 13% ha il catalogo accessibile online.
Serve un racconto dell’Italia,
una Tourist Card nazionale che
apra il nostro Paese ai visitatori
e ai turisti internazionali e offra
anche un sistema di accesso alla
fruizione dell’offerta. Nell’ambito
dell’attuazione dell’Agenda Digitale,
la realizzazione di una piattaforma
multicanale, basata su tecnologie
digitali avanzate, favorirebbe la
gestione veloce e personalizzata di
tutte le fasi di acquisto e consumo del
viaggio turistico-culturale in Italia. Lo
strumento agevolerebbe la promozione
e la crescita degli operatori culturali
e delle imprese del settore turistico
tramite lo scambio di informazioni
e servizi in una logica di sistema e
darebbe la possibilità al turista di
costruire un itinerario personalizzato,
di acquistare con tariffe agevolate
e accedere a diversi servizi, oltreché
ad avere sempre a disposizione, in
modalità multicanale, un servizio
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di assistenza alla fruizione del
patrimonio culturale e paesaggistico.
Expo 2015 potrà costituire un’utile
occasione e una rilevante vetrina per
presentare la Tourist Card nazionale.
SIAE e RAI - due aziende culturali da
reinventare. Nel contratto di servizio
tra la RAI e il Ministero dello Sviluppo
economico, prossimo alla stipula, sarà
necessario definire nuovi orientamenti
per far sì che la società concessionaria
del servizio pubblico radiotelevisivo
ritorni a essere motore di crescita civile
e fattore di sviluppo per il Paese.
Anche la SIAE non deve più essere un
semplice esattore dei diritti d’autore,
ma un soggetto che favorisca davvero
la produzione creativa in tutti i settori
artistici. Perché poi non prevedere
delle esenzioni o agevolazioni per gli
spettacoli legati ai settori non profit
e a quelli di carattere formativo?
Superare l’impasse nei servizi al
pubblico dei musei. Dagli anni
Novanta la prima grande svolta nella
gestione dei beni culturali è legata
all’introduzione dei servizi aggiuntivi
dei musei (bookshop, ristorazione,
didattica, biglietteria). Il sistema
di convenzione e regole previste a
livello statale si è tuttavia rivelato
inadeguato, bloccando ancora oggi nei
fatti il meccanismo di affidamento dei
servizi. Perché allora non ispirarsi al
modello più innovativo e funzionante
di regolazione del rapporto tra i
musei e i privati che gestiscono questi
servizi, ovvero quello attuato dalle
aziende autonome e comunali?
Serve una politica nazionale per
il turismo. Non esiste una politica
nazionale del turismo, perché sono
le Regioni ad avere competenza
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legislativa in materia dopo la riforma
del Titolo V della Costituzione. Questo
sistema si è dimostrato inefficiente.
Non basta aver delegato la materia
del turismo al Ministero dei Beni e
delle Attività Culturali, ma va rivisto
il sistema di governance del settore.
Il ruolo strategico che il turismo
riveste anche a livello internazionale
e, soprattutto, il suo peso per
l’economia rendono necessario il
rafforzamento del coordinamento
nazionale per le politiche
intersettoriali a favore del turismo.
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Turismo e contributo di scopo. La tassa
di soggiorno, introdotta da qualche
anno, ha portato nel 2013 circa 290
milioni di euro nelle casse dei comuni.
Sarebbe opportuno prevedere che una
quota specifica del gettito sia destinato
alla tutela e alla valorizzazione dei
beni culturali, in modo che divenga
effettivamente un contributo di
scopo, finalizzato alla sostenibilità
e alla fruibilità del patrimonio.
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Semplificazione. Il problema
principale del settore culturale non
è solo la mancanza di risorse, ma
anche la schiacciante burocrazia,
causa del rallentamento di qualsiasi
processo. Occorre invece semplificare
le procedure amministrative in
relazione ai prestiti di opere d’arte,
ai finanziamenti e al regime di
autorizzazioni e controlli per lo
svolgimento delle attività.
Un immenso patrimonio immateriale.
Il patrimonio italiano non è
costituito solo da beni culturali, ma
anche da un vastissimo patrimonio
immateriale. Abbiamo centinaia di
manifestazioni storiche, laiche e
religiose, che custodiscono l’identità
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delle comunità locali che, grazie
a questi eventi vivono i momenti
più alti della propria tradizione.
Queste manifestazioni attraggono
numeri sempre più elevati di turisti,
anche internazionali. Ad esempio,
la Macchina di Santa Rosa a Viterbo
attira ogni anno decine di migliaia di
visitatori. Chi non conosce la Regata
Storica di Venezia, la Perdonanza
Celestiniana dell’Aquila, il Gioco
del Calcio storico fiorentino, il Palio
di Siena o la Regata delle Antiche
Repubbliche Marinare? Non si riesce
pertanto a comprendere come sia
possibile che non esista ancora
una regolamentazione, né albi,
nazionali o regionali, soprattutto
considerando l’indotto economico
generato da queste manifestazioni.
o
ARCUS. Si auspica che il piano di
ristrutturazione e razionalizzazione
che interessa le società in house
del MiBACT preveda un serio
ripensamento di ARCUS. Per sostenere
progetti riguardanti i beni e le attività
culturali, è necessario svincolare
le scelte della destinazione dei
fondi dalla discrezionalità politica.
Inoltre, per raggiungere risultati più
proficui, è necessario garantire la
partecipazione dei rappresentanti
delle categorie interessate alla
fissazione dei criteri di assegnazione
delle risorse, stabilire su base
pluriennale le priorità d’intervento
e prevedere una rendicontazione
dei risultati più trasparente.
MiBACT e MIUR. Non ha senso che
il problema della partecipazione
dei cittadini alla vita culturale,
dello sviluppo della creatività
contemporanea e dell’insegnamento
della storia dell’arte e delle discipline
artistiche e musicali sia un tema
affrontato esclusivamente all’interno
del MIUR, cui fanno riferimento
esclusivo tutti i Conservatori, le
Accademie, le Scuole di teatro o di
cinema. Così come è indispensabile, che
le politiche della formazione vadano
raccordate con quelle del lavoro e
del sistema dell’offerta dell’industria
culturale e creativa. Su queste politiche
integrate, è necessario dunque
attivare un tavolo permanente di
coordinamento tra il MiBACT e il MIUR.
Presidenza italiana del semestre
europeo. Non possiamo perdere
l’occasione della Presidenza italiana
del semestre europeo. Per ritornare a
essere protagonisti in Europa, occorre
un piano di intervento centrato
sulla cultura, sia come elemento
fondante dell’identità europea, sia
come sostegno di una nuova fase di
sviluppo economico e occupazionale,
basata sulla valorizzazione delle
industrie culturali e creative.
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La cultura nelle politiche e strategie
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la cultura: una scelta strategica, una scelta per il futuro
Aurélie Filippetti*
La cultura occupa una posizione particolare in Europa, al centro del modello
della società europea, dei suoi Paesi e dei suoi territori. La sua eredità culturale e la vitalità della sua creazione sono alla base del suo successo nel mondo. E sono, al tempo stesso, motori della nostra economia. Con il 3,3% del
pil e 6,7 milioni di posti di lavoro, il settore culturale e creativo rappresenta
in effetti per l’Europa un asse strategico, in un’economia mondiale fondata
sull’innovazione e sulla creazione.
Il rapporto annuale di Federculture permette di comprendere la portata della
ricchezza culturale italiana. Alla vigilia della Presidenza italiana del Consiglio
dei Ministri dell’Unione Europea, è essenziale mettere di nuovo in luce i progetti degli attori della cultura e le iniziative prese nel settore culturale. Poiché
mi è offerta l’occasione, mi preme ringraziare l’Italia e, in particolare, Dario
Franceschini, per la sua partecipazione e il suo contributo attivo a questo Forum, che testimonia la volontà di dare alla cultura l’importanza che essa merita in occasione della prossima Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea.
Oggi è più che mai necessario riallacciare i legami con la lunga tradizione
di scambi e di dialogo culturale su cui si fonda l’Europa. Tale necessità è tan* Ministro della Cultura e della Comunicazione, Francia
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to più forte se si considera che a breve gli elettori europei si appresteranno
a rinnovare il Parlamento, poiché ritengo che attraverso la cultura, la vitalità
della creazione e l’eredità culturale, i cittadini europei possano forgiare un’immagine concreta dell’Europa.
Conoscete lo stretto legame che mi unisce all’Italia, dove mi reco regolarmente per prendere parte a eventi culturali sempre di alta qualità. E, per la
Francia, l’Italia è anche un partner culturale privilegiato: i nostri legami culturali sono intensi e le rispettive politiche traggono giovamento dai nostri
scambi. Sono sempre molto felice di trovare in Italia un’ambizione condivisa
con la Francia per valorizzare al meglio la cultura nel progetto europeo.
Spero vivamente che Federculture possa continuare con la sua opera di valorizzazione della vitalità del settore culturale per molti anni a venire.
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Negli ultimi anni, il Brasile si è distinto a livello mondiale per la sua lotta contro la fame, per la sua politica di crescita economica basata sulla redistribuzione del reddito e per la creazione di posti di lavoro. Parallelamente a questi
sviluppi, si sta realizzando nel nostro Paese un cambiamento di pari importanza, ma con meno visibilità internazionale.
Questo cambiamento è avvenuto nella sfera culturale. Le nostre linee guida nel Ministero della Cultura, come determinato dalla Presidente Dilma
Rousseff, sono quelle di promuovere l’inclusione sociale dei brasiliani attraverso la cultura, e rafforzare ed espandere l’immagine del Brasile agli occhi
del mondo.
Per raggiungere questi due obiettivi sono state messe in pratica una serie di
politiche culturali. Nell’ambito dell’inclusione sociale, lavoriamo affinché tutti
i brasiliani abbiano accesso alla nostra eccezionale diversità culturale e anche
ai suoi mezzi di produzione. Abbiamo davvero lavorato molto per sradicare la fame in Brasile e crediamo che il nostro popolo non possa fare a meno
della cultura, che è il nutrimento dell’anima.
* Ministro della Cultura, Brasile
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Tra queste politiche, il Bonus-Cultura è il più grande programma di trasferimento di reddito per il consumo di beni culturali nella storia del Paese.
Il Bonus-Cultura è una carta di credito con la quale i lavoratori con reddito
fino a 5 salari minimi (circa 1.185 euro), in prima istanza, potranno ricevere
50 real al mese (circa 15 euro) per il consumo di beni culturali.
L’adesione del lavoratore è volontaria. Coloro che aderiscono, in un anno,
avranno circa 200 euro da spendere in prodotti e servizi culturali. In questo
modo potranno, tra le altre cose, andare ogni mese al cinema e a teatro, assistere a spettacoli di musica e danza, seguire corsi, acquistare strumenti musicali e libri.
Quando sarà in pieno funzionamento, il Bonus-Cultura potenzialmente potrà raggiungere 42 milioni di brasiliani e introdurre annualmente 25 miliardi
di reais (circa 8 miliardi di euro) nella nostra economia culturale.
Una delle caratteristiche che distinguono il Bonus-Cultura dalle altre politiche d’incentivo alla cultura è che agisce rafforzando la domanda, e non
l’offerta culturale. Questo fa sì che gli artisti possano innovarsi al fine di conquistare il pubblico, il quale avrà le risorse e potrà usarle in modo creativo e
autonomo. Certamente il Bonus-Cultura rappresenterà un’occasione per una
sperimentazione e una crescita sia per il pubblico sia per gli artisti in Brasile,
oltre a offrire la possibilità, a molti, di soddisfare il desiderio di consumare
cultura. Abbiamo avuto esperienze come quelle promosse dal Centro Cultural Banco do Brasil, il quale offre gratuitamente mostre di qualità aperte fino
a tarda notte, che tuttavia hanno avuto code enormi.
Esiste una forte domanda repressa per l’accesso alla cultura. Allo stesso tempo, una ricerca circoscritta alle città di Brasilia e San Paolo ha indicato che il
sogno principale dei potenziali utenti è di andare a teatro.
Abbiamo cercato di aggiornare la “legge Rouanet”, che è stata uno dei
principali meccanismi di promozione della cultura della nostra storia recente. Attraverso un sistema di agevolazioni fiscali, questa legge mira a stimolare il settore privato e i singoli individui a sostenere l’offerta culturale. Solo nel 2013, grazie ad essa sono stati investiti 1,3 miliardi di reais (circa 425
milioni di euro).
Tuttavia, la “legge Rouanet” ha ormai venti anni. Durante questo periodo,
la sua regolamentazione ha consentito una concentrazione di investimenti in
regioni del Paese con maggiore interesse commerciale del settore privato, lasciando senza risorse settori più lontani dal centro finanziario.
Per risolvere questo problema, la stiamo aggiornando. La sua nuova versione sarà chiamata “Procultura”. La nuova legge, che è stata approvata alla Ca-
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mera e andrà al Senato con la relazione dell’ex presidente Sarney, può modificare i criteri di selezione dei progetti. Porterà maggiori incentivi ai progetti
culturali nelle regioni meno favorite dal mercato e permetterà al Ministero
di esercitare più facilmente una politica di Stato con una risorsa che, alla fin
fine, è del Governo.
È quindi possibile includere progetti di minori dimensioni nella ricerca
di sponsor e consentire di recuperare manifestazioni culturali meno favorite.
Perseguiamo la capacitazione dei nostri agenti e manager culturali tramite la
creazione di Incubatrici dell’Economia Creativa, dove questi possono contare,
tra le altre cose, su microcredito e consulenza tecnica e giuridica per avviare
e mantenere i loro progetti culturali. Incoraggiamo, attraverso bandi pubblici, l’arrivo delle tecnologie di produzione della cultura nelle mani di segmenti della società che sono stati storicamente esclusi, come i neri, gli indios, gli
artisti della regione amazzonica, le donne, tra gli altri, in un processo d’inclusione socio-culturale e di valorizzazione, conservazione e rinnovamento
della nostra cultura.
Attraverso il programma “Cultura Viva” favoriamo istituzioni e gruppi culturali, che ora possono contare sulla partnership inedita dello Stato brasiliano per mantenere e ampliare le loro attività, pur conservando la propria autonomia. Una buona parte di questi gruppi realizza lavori fondamentali per
la diffusione della cultura, rappresentando spesso l’unica possibilità culturale
in regioni con un basso isu (Indice di Sviluppo Umano). Dopo dieci anni di
attuazione di questa politica, sono ormai più di 3.000 i gruppi riconosciuti e
articolati in una grande rete di collaborazione, che aggrega anche circa 5.000
iniziative, premiate nel campo della cittadinanza e della diversità culturale.
L’esperienza brasiliana in questo settore è ormai riconosciuta e condivisa da
altri Paesi del Sud America.
Nell’ambito dell’internazionalizzazione della cultura brasiliana, del rafforzamento del nostro soft power, la Coppa del Mondo e le Olimpiadi che ospiteremo saranno grandi opportunità per mostrare al mondo l’ampiezza della
nostra cultura. Il Brasile ha il calcio, i paesaggi, il carnevale, che sono beni
ricchissimi e conosciuti, ma ne possiede molti altri. La cultura costituisce il
nostro grande differenziale e la nostra identità. Chi si troverà in Brasile, durante il periodo dei giochi, avrà l’opportunità di conoscere la nostra diversità
culturale espressa in svariati linguaggi artistici, nella gastronomia, e molto altro.
Oltre alle manifestazioni sportive, recentemente siamo stati il Paese ospite
d’onore alla Fiera del Libro di Francoforte e alla Fiera del Libro per Ragazzi
di Bologna. Entrambi gli eventi sono i maggiori al mondo nel loro settore.
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A Bologna abbiamo portato, oltre agli scrittori, anche illustratori brasiliani.
Uno di loro è stato Roger Mello, che ha vinto l’Hans Christian Andersen Award,
assegnato dal Consiglio Internazionale della Letteratura per i Giovani (ibby,
International Board on Books for Young People) ad autori di letteratura per
bambini e ragazzi. Nell’ambito dell’illustrazione, questo è un avvenimento inedito per il Brasile. Roger Mello sta mostrando al mondo il talento brasiliano.
A Francoforte, abbiamo promosso una vera e propria invasione della cultura
brasiliana. Non solo nomi della letteratura ma musicisti, graffitisti, ballerini...
La città è stata impregnata di Brasile.
A complemento della mia visita in Italia in occasione della Fiera di Bologna, abbiamo potuto firmare accordi importanti nell’ambito culturale tra
Brasile e Italia. Con l’Università di Bologna, abbiamo siglato una partnership
per concretizzare l’interscambio di studenti dell’area culturale. Con Federculture abbiamo avuto la gratificante opportunità di avviare il dialogo per una
proposta di cooperazione che contempla la formazione artistica, la gestione
di strumentazioni culturali, l’interscambio di produzione artistica, l’organizzazione congiunta di festival del cinema e mostre, oltre allo scambio d’informazioni su legislazione, norme fiscali, investimenti, statistiche ed economia
creativa, al fine di promuovere il settore.
In aprile, il Brasile è stato ospite d’onore alla 14ª edizione del Festival Ibero-Americano del Teatro di Bogotà, la più grande mostra di arti sceniche del
mondo.
Solo nel 2013, abbiamo realizzato l’“Anno del Brasile in Portogallo” e l’“Anno
del Portogallo in Brasile”, il “Mese del Brasile in Cina” e il “Mese della Cina
in Brasile”, oltre a una stagione culturale del Brasile in Germania e a una della
Germania in Brasile. Tutti questi eventi hanno approfondito l’interscambio
culturale tra il Brasile e questi Paesi, rafforzando quella che rappresenta una
caratteristica intrinseca nella formazione dell’identità brasiliana.
La cultura brasiliana ci unisce sia nelle nostre differenze, che nelle nostre
somiglianze. Essa è forgiata, tra l’altro, dalla nostra immensa diversità etnica,
che nasce dalla presenza di indios, portoghesi e africani nel nostro territorio
e che, successivamente, ha potuto contare sulla presenza di altri Paesi europei
– tra i quali in maniera incisiva l’Italia –, asiatici, arabi ecc. Inoltre, è il frutto
della nostra estensione territoriale continentale, del nostro percorso storico
con i suoi diversi momenti politici ed economici.
Il talento è nel dna del brasiliano. Tra tutte le ricchezze del Brasile, la nostra cultura è senza dubbio la più grande. E vive un momento molto speciale.
La cultura brasiliana offre al mondo riflessioni rilevanti al giorno d’oggi, come
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la questione della diversità, della sostenibilità, dell’eradicazione della povertà.
L’intero Brasile si mobilita intorno alla propria cultura.
Il Congresso ci ha supportato con le leggi necessarie per progredire, la società civile partecipa attivamente agli spazi democratici che abbiamo aperto
per la creazione di politiche pubbliche, le imprese pubbliche e private ci sostengono in molte delle nostre azioni, partecipano alla diffusione del BonusCultura, dando il beneficio ai propri dipendenti. Per il Governo brasiliano la
cultura è una priorità.
Con la nostra cultura forte, vogliamo trasformare la nostra crescita economica in sviluppo umano. Chiunque punterà sul Brasile, creando partnership e
investendo nel nostro Paese, per quanto riguarda gli aspetti economici e il rafforzamento della nostra cultura, vincerà questa scommessa. Si può esserne certi.
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cultura 3.0 e partecipazione attiva
Pier Luigi Sacco*, Guido Ferilli**
L’idea sbagliata circa il ruolo della cultura, nell’ambito economico contemporaneo, può essere fatta risalire alla persistenza di concettualizzazioni obsolete sul rapporto tra attività culturali e la generazione di valore economico
(e sociale) aggiunto.
Per secoli tale rapporto è stato strutturato in base a quello che potremmo
chiamare il modello Cultura 1.0, che ruota fondamentalmente attorno al concetto di mecenatismo. Il modello Cultura 1.0 è tipico di un’economia preindustriale. In esso la cultura non è né un vero e proprio settore economico,
né è accessibile alla maggior parte del pubblico potenziale. La produzione
effettiva di cultura è garantita dall’iniziativa individuale degli utenti: persone con grandi possibilità finanziarie e un elevato status sociale, che derivano
la loro ricchezza e il loro status da fonti diverse, e decidono di impiegare alcune delle loro risorse per garantire che gli artisti possano sopravvivere con
la loro attività, ottenendo in cambio la possibilità di godere dell’esito della
produzione creativa, e di condividerla con i loro conoscenti.
Il mecenatismo culturale può naturalmente essere un mezzo efficace per la
costruzione di un nuovo status sociale e per la reputazione del committente,
* Professore Ordinario di Economia della Cultura, Università iulm, Milano
** Ricercatore in Economia della Cultura, Università iulm, Milano
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ma è chiaro che ciò è reso possibile dalla disponibilità di risorse, che sono
raccolte al di fuori della sfera culturale. La produzione culturale qui vive interamente sui sussidi, e non potrebbe sopravvivere altrimenti. Nel rapporto
di mecenatismo, il salario dei produttori culturali tende a non essere considerato come parte di una transazione di mercato, ma piuttosto come una sorta
di scambio reciproco simbolico di doni tra il committente e l’artista – una
pratica che ancora sopravvive in alcuni ambiti culturali e trova interessanti
applicazioni in nuove piattaforme sociali mediate culturalmente.
Chiaramente, questo modello può supportare solo un numero molto limitato di produttori culturali, che vivono esclusivamente sul potere discrezionale del mecenate e un pubblico molto limitato. Sia la produzione sia l’accesso alla cultura sono quindi fortemente limitati da barriere economiche e
sociali in cui la produzione culturale è legata alla promozione di élite della
società, più che allo sviluppo di un senso di appartenenza e all’inclusione di
tutta la società civile.
Con gli enormi cambiamenti sociali prodotti dalla rivoluzione industriale,
e con le concomitanti rivoluzioni politiche che hanno portato alla nascita dei
moderni stati nazionali, si assiste a un ampliamento delle utenze culturali, rese possibili da un insieme di circostanze. In primo luogo, le rivoluzioni politiche mettono in discussione ogni sorta di privilegi delle classi dominanti ed
emerge una nuova visione che legittima gradualmente l’accesso alla cultura
come diritto universale, che fa parte dell’idea stessa di cittadinanza. In secondo luogo, con il miglioramento costante delle condizioni di vita delle classi
lavoratrici, vi è un corrispondente aumento della disponibilità a pagare, per
un numero crescente della popolazione, per alcune forme d’intrattenimento
culturale. L’accesso a beni e opportunità culturali, tuttavia, rimane limitata
fino allo scoppio della “Rivoluzione culturale”, che avviene nei decenni immediatamente prima e dopo la fine del xx secolo, grazie allo sviluppo tecnologico per la creazione di mercati culturali di massa.
Tuttavia, anche prima di questa fase cruciale, lo sviluppo dei moderni stati
nazionali ha portato alla nascita di forme di mecenatismo pubblico. Gli Stati
dedicavano parte delle risorse pubbliche per il sostegno della cultura e delle
arti a beneficio della società nel suo complesso. Si rende possibile parlare di
politiche pubbliche culturali, e dei relativi modelli di politica culturale.
È durante questo periodo che le politiche culturali acquistano una maggiore consapevolezza del loro ruolo nel promuovere il senso di cittadinanza,
anche se l’approccio persiste nell’essere dall’alto verso il basso, con il rischio
di favorire l’estremismo e il nazionalismo. È importante rilevare, inoltre, che
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la nozione di ordine pubblico-culturale è ancora radicata nel modello Cultura 1.0, anche se avanzato e maturo. Il ruolo mecenatistico non è più esclusivamente nelle mani dei singoli individui, ma diventa una funzione pubblica.
La cultura, d’altra parte, è ancora un’attività economicamente non produttiva, che assorbe risorse create in altri settori dell’economia. Quando avviene la
“Rivoluzione culturale”, intorno al volgere del xx secolo, tuttavia, la possibilità tecnologica dei mercati di massa culturali diventa una realtà, con l’introduzione della stampa moderna, la fotografia, il cinema, la musica registrata,
le trasmissioni radio e così via.
Questo cambiamento non permette solo lo sviluppo di nuovi prodotti
culturali, ma ne rende possibile anche la disponibilità a un pubblico molto
più ampio e a prezzi sempre più accessibili. Siamo, così, entrati nella fase di
Cultura 2.0.
Nel modello Cultura 2.0 il pubblico si espande in modo rilevante, mentre la produzione culturale è ancora fortemente controllata da barriere d’ingresso, come la difficoltà ad accedere alle tecnologie produttive o gli eccessivi costi finanziari.
Come risultato, molti aspiranti produttori culturali sono filtrati dai complessi sistemi di selezione che differiscono da un settore culturale a un altro. La Cultura 2.0 è una nuova forma di relazione tra produzione culturale e generazione di valore economico, dominata dall’espansione delle industrie culturali e creative. A differenza della Cultura 1.0, nella Cultura
2.0 ci sono attività culturali e creative che producono valore economico e
sono ancora redditizie, ma rappresentano un settore specifico, e minore, di
tutta l’economia.
una nuova rivoluzione
In un primo momento, l’idea della produzione culturale di massa non è accolta universalmente, in quanto è considerata come un potente strumento di
manipolazione di massa e d’inganno, ma con il tempo le industrie culturali
diventano pienamente legittimate e motivo di sviluppo sociale ed economico,
grazie anche al notevole aumento del tempo libero della popolazione.
La scoperta del potenziale economico delle industrie culturali e creative
può essere visto come uno sviluppo maturo della fase di Cultura 2.0. In questa fase avanzata, le politiche pubbliche tendono ad affrontare i problemi legati al miglioramento dell’accesso del pubblico ai prodotti e alle esperienze
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culturali, come pure a quello delle capacità produttive e imprenditoriali dei
settori culturali e creativi, alla luce del contributo sempre più rilevante che
queste attività apportano a livello macro-economico.
Un inconveniente dell’eccessiva focalizzazione sul potenziale economico
delle industrie culturali e creative è l’enfasi fuorviante data alla redditività delle
catene dei singoli valori, che causano la concentrazione delle risorse verso il
supporto dei migliori settori più performanti a spese degli altri, con la conseguenza di compromettere la redditività di entrambi in vista delle complesse
relazioni inter-settoriali che li legano insieme.
Progettare politiche adeguate per le industrie culturali è un compito particolarmente difficile con l’utilizzo dei modelli di razionalità strumentale basati
sull’economia famigliare di massimizzazione del profitto. Nei regni culturali e creativi la razionalità espressiva, la motivazione intrinseca e lo scambio
sociale sono aspetti essenziali che spesso portano a forme d’interazione che
non sono mediate dai mercati. Ma nonostante la fase della Cultura 2.0 sia
relativamente giovane, una nuova ondata di innovazione tecnologica ha fissato le tracce per il passaggio a un ulteriore stadio, che potremmo chiamare
fase della Cultura 3.0.
È ancora in uno stadio molto preliminare, e la sua complessità può essere
considerata transitoria. Tale nuova fase è caratterizzata dall’innovazione che,
a differenza della precedente, non solo favorisce un aumento delle potenzialità della domanda ma anche, e soprattutto, un ampliamento della produzione. Oggi si può facilmente avere accesso alla tecnologia per la produzione
che consente il trattamento professionale di testi, immagini fisse, immagini
in movimento, suoni e multimedia, con curve di apprendimento straordinariamente rapide e a prezzi molto economici. Qualcosa che, prima dell’esplosione della rivoluzione del personal computing, e quindi non più di un paio di
decenni fa, sarebbe stata semplicemente impensabile.
Se la rivoluzione Cultura 2.0 è stata caratterizzata da un’esplosione della
dimensione dei mercati culturali, la rivoluzione Cultura 3.0 è caratterizzata
dall’esplosione del bacino di produttori in modo da rendere sempre più difficile distinguere i produttori culturali dagli utenti. Diventa uno scambio di
ruoli che ogni individuo può assumere. Allo stesso modo, il predominio dei
mercati culturali è sempre più in discussione, grazie alla diffusione e all’espansione delle comunità di pratica, in cui i membri interagiscono in conformità agli scambi non mediati dal mercato. Un cambiamento che è reso
possibile dalla vasta scala e dalla velocità della connettività tra soggetti, grazie alle piattaforme online.
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Il segno distintivo della fase di Cultura 3.0 è dunque la trasformazione del
pubblico – che è ancora il riferimento della fase dell’industria culturale – in
praticanti, definendo così una nuova nozione di paternità e di proprietà intellettuale. L’accesso alle esperienze culturali stimola sempre più individui a
sviluppare le proprie capacità di assimilare e manipolare in modo personale
i contenuti culturali che sono loro proposti.
I modelli di ricezione passiva della fase “classica” delle industrie culturali
è sostituita da modelli coinvolgenti di accoglienza attivi. L’altra caratteristica
di questa fase è la pervasività della cultura, che cessa di essere una specifica
forma d’intrattenimento, per diventare un ingrediente essenziale della trama
della vita quotidiana, com’è ormai particolarmente evidente nelle pratiche di
consumo. Rimanere concentrati sulle industrie culturali e creative come macrosettore economico separato può essere gravemente fuorviante. Al contrario, è necessario sviluppare una nuova rappresentazione a livello di sistema
delle interdipendenze strutturali tra le industrie culturali e creative e gli altri
settori dell’economia – e persino della società. Questo cambiamento di prospettiva ha importanti conseguenze nell’approccio alle politiche pure, che a
sua volta può avere anche effetti positivi per lo sviluppo del senso di appartenenza e di cittadinanza.
Ranking Inn
(Paesi EU15)
Svezia
Germania
Danimarca
Finlandia
Paesi Bassi
Lussemburgo
Belgio
Regno Unito
il potenziale non sfruttato
Austria
Un segnale chiaro sul fatto che vi sia la necessità di superare il modello tradizionale di Cultura 2.0, concentrato sulla mera crescita settoriale delle industrie culturali e creative, è quello di considerare il macro-settore e gli effetti che esso produce in termini di ricadute creative positive su altri settori.
Finora, tuttavia, gli argomenti sugli effetti di spillover della cultura e della
creatività sono evidenziati in modo piuttosto casuale e senza un background
concettuale ben definito.
Questo non ha aiutato a catturare l’attenzione, e tanto meno a convincere i responsabili politici. Ragionando sulla base della transizione da Cultura
2.0 a 3.0, diventa più facile da spiegare, perché e come, le questioni di cultura per l’economia generale. La chiave dell’argomento sta nella crescente attenzione sui risultati economici delle attività culturali e sui comportamenti
che provocano.
Al fine di comprendere gli effetti della cultura al di fuori della sfera culturale, dobbiamo considerare come il suo accesso cambi il comportamento
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Irlanda
Francia
EU27 media
Italia
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degli individui e dei gruppi. Uno degli effetti più evidenti ha a che fare con
la leva fondamentale della fase di Cultura 3.0: la partecipazione culturale attiva. Con la partecipazione culturale attiva s’intende una situazione in cui gli
individui non si limitano ad assorbire passivamente gli stimoli culturali, ma
sono motivati ​​a utilizzare le loro competenze per lavorare. Questo significa
non solo sentire la musica, ma giocare; non leggere semplicemente dei testi,
ma scrivere, e così via. In questo modo, gli individui si sfidano a espandere la
propria capacità di espressione, a rinegoziare le loro aspettative e credenze, e
a rimodellare la propria identità e coesione sociale. In particolare è importante rilevare che la costruzione di capacità e acquisizione di competenze non è
soltanto un’attività individuale, ma è molto sociale e fondamentalmente dipende dal contesto sociale a cui appartengono gli individui.
L’aspetto interessante di partecipazione attiva è che gli individui non sono semplicemente esposti a esperienze culturali, ma si immergono nelle regole che le generano. Devono imparare a giocare con i “codici” che sono alla base del significato culturale. La partecipazione attiva favorisce ulteriormente l’interesse e la curiosità verso l’esplorazione di esperienze culturali e
beni prodotti da altri; una classica dinamica di feedback positivi, in cui ogni
elemento rafforza l’altro. Nell’ambito Cultura 3.0, gli individui strutturano
i loro interessi culturali come piste fittamente intrecciate di espressione e di
ricezione, cioè micro-fasi in cui essi operano la “trasmissione”, e fasi in cui
sono passivi “riceventi”.
L’acquisizione di competenze culturali li motiva a trasmettere, alza il livello
di attenzione e di filtraggio critico verso i contenuti ricevuti, richiede volontà
di trasmettere nuovi contenuti e così via, aprendo così la strada per una serie
di nuove forme di innovazione aperta e co-creazione, grazie al ruolo crescente
delle piattaforme di social media e a tutte le forme di conoscenza e pratiche
socio-economiche ad alta intensità esperienziale. Alcuni degli effetti sistemici positivi di accesso culturale possono essere generati anche all’interno di
una tradizionale modalità di ricezione passiva, ma se ci limitiamo a questo
(obsoleto) punto di vista non siamo in grado di apprezzare l’intero quadro.
Il sistema delle interdipendenze tra gli effetti indiretti sullo sviluppo della
cultura che descriveremo di seguito ci danno il senso di un adeguato quadro
della Cultura 3.0, dove l’accesso culturale attivo e la partecipazione diventano
la norma sociale e l’orientamento naturale delle economie della conoscenza
e della società civile. Questo non vuol dire che l’effetto sociale e l’effetto macroeconomico diretto della crescita delle industrie culturali e creative diventino trascurabili o siano meno importanti in questa fase. Piuttosto, il contra-
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rio. Come abbiamo argomentato, vi è una forte complementarietà tra il canale sociale ed economico, diretta e indiretta, che consente di aumentare la
partecipazione individuale e l’accesso alle opportunità culturali, stimolando
ulteriormente la costruzione di capacità.
il potere della partecipazione culturale
Una discussione dettagliata dei fondamenti teorici dei vari effetti che analizzeremo in questa sezione è al di fuori del campo di applicazione del presente articolo, che mira piuttosto a fornire un quadro sintetico globale del
sistema di interdipendenze.
Quando ragioniamo sugli effetti di ricaduta della cultura, un primo importante collegamento è con la coesione sociale. Ci sono ampie prove che dimostrano come certi tipi di progetti culturali possono produrre effetti forti e
significativi in termini di sviluppo del senso di cittadinanza, di prevenzione
della criminalità giovanile, orientamento professionale, pro-sociale o di risoluzione dei conflitti1.
È interessante notare che, ancora una volta, questi progetti sono generalmente concentrati sulla partecipazione culturale attiva, poiché si è reso possibile, ad esempio, attraverso programmi di educazione musicale. E ancora,
più in generale, l’effetto indiretto della partecipazione culturale sulla coesione sociale è il superamento di sé e di altri stereotipi2 provocati da pregiudizi
sociali storici, spesso legati a fattori etnici3.
Ci sono stati approcci strategici alla infrastrutturazione culturale, che hanno esplicitamente preso in considerazione la dimensione della coesione sociale e l’hanno affrontata in modo sistematico, come è il caso ad esempio del
sistema Maisons Folie di strutture culturali realizzato dalla Région Nord-Pas
1 Hollinger D.M., Instrument of Social Reform: A Case Study of the Venezuelan System of Youth Orchestras.
PhD dissertation, Arizona State University, 2006; Buendìa F.C., More Carrots than Sticks: Antanas
Mockus’s Civic Culture Policy in Bogotà, «New Directions for Youth Development», 125, pp. 19-32, 2010;
Washington D.M., Beecher D.G., Music as Social Medicine: Two Perspectives on the West-Eastern Divan
Orchestra, «New Directions for Youth Development», 125, pp. 127-140, 2010.
2 Si veda, per esempio, Amin A., Ethnicity and the Multicultural City: Living with Diversity, «Environment
and Planning A», 34, pp. 959-980, 2002.
3 Per esempio, si veda Guyll M., Madon S., Prieto L., Scherr K.C., The Potential Roles of Self-Fulfilling
Prophecies, Stigma Consciousness, and Stereotype Threat in Linking Latino/a Ethnicity and Educational
Outcomes, «Journal of Social Issues» 66, pp. 113-130, 2010.
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de Calais, nel contesto di Lille 2004, città Capitale Europea della Cultura4,
che hanno creato spazi di interazione multi-culturale e di scambio sociale in
aree socialmente critiche, facilitando la conoscenza reciproca e l’incontro tra
persone diverse, spesso perché appartenenti a comunità etniche differenti.
Gli effetti indiretti di partecipazione culturale sulla coesione sociale sono
dovuti al fatto che una maggiore partecipazione dà agli individui e ai gruppi
nuove abilità di concettualizzare, aiuta a comprendere la diversità e consente di riprogrammare il comportamento di ostilità difensiva con la comunicazione per riscoprire, al contempo, nuove possibilità di sviluppo personale.
Pensando ai costi dei conflitti sociali in tutta Europa, si potrebbe pensare a
questo collegamento come a un interessante oggetto di sperimentazione con
notevoli conseguenze sociali (e di sviluppo economico).
Un secondo importante collegamento ha a che fare con la nozione politicamente critica del benessere. Esiste oramai una grande quantità di testimonianze secondo le quali la partecipazione culturale può avere effetti forti e rilevanti sulle aspettative di vita5, ma più di recente una ricerca sembra
suggerire che l’impatto è altrettanto forte in termini di benessere psicologico percepito6. In particolare, si è scoperto che la partecipazione culturale è il
secondo predittore di benessere psicologico, dopo la presenza/assenza delle
principali malattie, e in questo senso ha un impatto decisamente più forte di
variabili quali il reddito, luogo di residenza, età, genere od occupazione. L’effetto è particolarmente forte per i malati gravi e gli anziani, in cui il benessere psicologico distingue enormemente i soggetti con accesso culturale da
quelli senza. Questi risultati preliminari suggeriscono che un collegamento
molto interessante potrebbe essere quello legato al welfare culturale. Infatti,
se la partecipazione culturale influenza fortemente la percezione del benessere dei malati e degli anziani, poiché il trattamento del benessere è in generale una delle voci principali di deficit delle finanze pubbliche nell’Unione
Europea, è possibile che, attraverso una strategia di trattamento di prevenzione orientato alla cultura che determini una riduzione minima dei costi
4 Paris D., Baert T., Lille 2004 and the Role of Culture in the Regeneration of Lille Métropole, «Town
Planning Review», 82, pp. 29-44, 2011.
5 Si veda, per esempio, Koonlaan B.B., Bygren L.O., Johansson S.E., Visiting the Cinema, Concerts,
Museums or Art Exhibitions as Determinant of Survival: A Swedish Fourteen-year Cohort Follow-up,
«Scandinavian Journal of Public Health», 28, pp. 174-178, 2000.
6 Grossi E., Sacco P.L., Tavano Blessi G., Cerutti R., The Impact of Culture on the Individual Subjective
Well-Being of the Italian Population: An Exploratory Study, «Applied Research in Quality of Life», 6, pp.
387-410, 2011; Grossi E., Tavano Blessi G., Sacco P.L., Buscema M., The Interaction Between Culture,
Health, and Psychological Well-Being: Data Mining from the Italian Culture and Well-Being Project, «Journal
of Happiness Studies», 13, pp. 129-148, 2011.
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legati al welfare, si possa creare in realtà un approvvigionamento di risorse
in grado di finanziare il programma stesso, oltre a essere potenzialmente tale da trasferirsi in parte ad altri usi e migliorare sostanzialmente il livello di
soddisfazione di vita di categorie di cittadini in condizioni critiche. Inoltre,
gli effetti macroeconomici indiretti di questo effetto spillover sono suscettibili di essere sostanziali.
Un terzo effetto importante legato alla cultura ha a che fare con il tema
della sostenibilità. La crescente enfasi sulla dimensione sociale della sostenibilità, come evidenziato dall’Agenda 21, ha portato a riflettere sulla modalità
di trasmissione di comportamenti nella società e su come gli usi e i costumi
possano influenzare l’efficacia delle misure e delle strategie di risparmio delle
risorse. A questo riguardo, tuttavia, l’attenzione è stata rivolta principalmente
alle forme tradizionali di mobilitazione sociale7. Ma, ancora una volta, la partecipazione culturale può avere un ruolo indiretto importante nel promuovere la mobilitazione sociale e la consapevolezza delle conseguenze sociali di
comportamenti individuali sulle risorse critiche per l’ambiente.
Un quarto importante collegamento è quello con l’innovazione, ma non
essendo scopo di questo articolo non sarà trattato anche se, per esempio, c’è
una letteratura interessante che sta cominciando a far luce su questo importante collegamento funzionale8. Possiamo quindi sostenere che la partecipazione culturale può agire come motore di crescita economica endogena e sociale9 in modalità che sono complementari a quelle già ampiamente studiate
e documentate per l’istruzione.
Vi sono prove che confermino queste intuizioni? Si consideri la seguente tabella, che fa un confronto tra la classifica dei Paesi dell’ue15 in termini
di capacità innovativa, misurata dai parametri dell’Innovation Scoreboard, e il
tasso di partecipazione culturale attiva dei cittadini, misurato dal sondaggio
di Eurobarometro (2013). 7 Schmidt L., Gil Nave J., Guerra J., Who’s afraid of Local Agenda 21? Top-down and bottom-up perspectives
on local sustainability, «International Journal of Environment and Sustainable Development», 5, pp.
181-198, 2006.
8 Bakhshi H., McVittie E., Simmie J., Creating innovation. Do the creative industries support innovation
in the wider economy?, nesta Research Report, London 2008.
9 Bucci A., Segre G., Human and cultural capital complementarities and externalities in economic growth,
Departemental Working Papers – 2009-05, Department of Economics in Milano University, 2009; Sacco
P. L., Segre G., “Creativity, cultural, investment and local development: a new theoretical framework for
endogenous growth”, in Growth and Innovation of Competitive Regions. The Role of Internal and External
Connections, a cura di U. Fratesi, L. Senn, Berlino, Springer 2009, pp. 281-294.
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Classifica Innovation Scoreboard 2013
(Paesi UE15)
Classifica partecipazione culturale attiva,
Eurobarometro 2013 (Paesi UE15)
Svezia
Danimarca
Germania
Svezia
Danimarca
Finlandia
Finlandia
Paesi Bassi
Paesi Bassi
Lussemburgo
Lussemburgo
Francia
Belgio
Belgio
Regno Unito
Austria
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Germania
Irlanda
Regno Unito
Francia
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UE27 media
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Spagna
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Nonostante i due sistemi di misurazione non abbiano dati statistici in comune,
le due classifiche mostrano una proprietà interessante: tutti e solo i Paesi che sono
al di sopra della media ue27 su una graduatoria, lo sono anche nell’altra classifica,
e viceversa. I dati per il pannello ue27 sono meno chiari a causa delle proiezioni
transitorie in termini di processi di innovazione dei membri più recenti dell’ue.
È interessante notare che l’associazione è stabilita tra capacità innovativa a livello nazionale e partecipazione culturale attiva allo stesso livello. Si tratta naturalmente di una prova preliminare, ma sembra suggerire che i meccanismi di cui
sopra si rispecchino più chiaramente con i dati di quanto ci si potrebbe aspettare.
Un quinto collegamento è quello con l’identità locale. In tempi recenti l’accento è stato posto sul ruolo molto importante dello sviluppo di spettacolari
strutture culturali, volte a offrire visibilità internazionale a uno specifico milieu urbano o regionale10, e più in generale sul ruolo della cultura nel ridefinire
i fondamenti sociali e simbolici del luogo, figuriamoci il suo modello di sviluppo locale11.
Si veda, per esempio, Plaza B., On Some Challenges and Conditions for the Guggenheim Museum Bilbao
to be an Effective Economic Re-activator, «International Journal of Urban and Regional Research», 32,
pp. 506-517, 2008.
11 Si veda, per esempio, Evans G., Creative Cities, Creative Spaces and Urban Policy, «Urban Studies»,
46, pp. 1003-1040, 2009.
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Questo è probabilmente uno dei migliori effetti macroeconomici indiretti compresi di produzione e di partecipazione culturale, ma vale la pena sottolineare come tale effetto sia stato spesso travisato come l’ultima versione
di una economia mercificata basata sulla spettacolarizzazione di massa12. Al
contrario, il potenziale di sviluppo di un’identità locale a base culturale risiede
nella capacità di stimolare nuove dinamiche di produzione di contenuti culturali e di nuove regole di accesso alla cultura da parte della comunità locale,
come conseguenza delle nuove opportunità create dall’attrazione di risorse
esterne, com’è stato per esempio il caso della strategia di rinnovamento urbano Newcastle/Gateshead13. Con l’obiettivo di generare la base di una nuova
governance culturale che si fondi sull’identità locale e che incorpori le ragioni
dello sviluppo sostenibile nelle politiche culturali, l’Agenda 21 della cultura14
incoraggia le città a elaborare strategie culturali a lungo termine e invita il sistema culturale a influenzare gli strumenti chiave di pianificazione della città.
In una strategia più coerente e globale di coordinamento sistematico di
tutti gli effetti indiretti di produzione e di partecipazione culturale, sarebbe
molto importante orientare i progetti locali di rivitalizzazione culturale verso un approccio proattivo, partecipativo, che costruisca competenze locali e
attivi capacità, piuttosto che verso la costruzione di strutture spettacolari non
autentiche, a uso e consumo del turista mordi e fuggi, con le possibili conseguenze in termini di allontanamento dei cittadini dal senso di appartenenza
al contesto locale e di sviluppo di una cittadinanza attiva.
Un sesto collegamento è con l’apprendimento permanente e lo sviluppo
di una società dell’apprendimento. L’associazione tra partecipazione culturale attiva e l’apprendimento permanente è abbastanza naturale, a differenza di
altri non è particolarmente sorprendente. In effetti, si potrebbe anche pensare alla partecipazione culturale attiva come forma specifica di apprendimento permanente.
Un settimo collegamento è con il soft power. Partendo dal lavoro seminale
di Nye15, vi è oggi una forte consapevolezza del fatto che la produzione culturale e creativa possa contribuire in grande misura ad aumentare visibilità e
autorevolezza di un Paese a tutti i livelli delle relazioni internazionali, dalla
12 Come denunciato, per esempio, da Gotham K.F., Marketing Mardi Gras: Commodification, Spectacle
and the Political Economy of Tourism in New Orleans, «Urban Studies», 39, pp. 1735-1756, 2002.
13 Per esempio, Bailey C., Miles S., Stark P., Culture-led Urban Regeneration and the Revitalization of
Identities in Newcastle, Gateshead and the North East of England, «International Journal of Cultural
Policy», 10, pp. 47-65, 2004.
14 www.agenda21culture.net.
15 Nye J., Soft Power. The means to success in world politics, New York, PublicAffairs, 2004.
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politica economica alla creazione di nuove opportunità per lo sviluppo della
reputazione di un Paese e il senso di appartenenza tra i suoi cittadini. Così, un altro settore in cui il potenziamento della produzione e partecipazione
culturale può produrre effetti indiretti di rilevanza macroeconomica, è lo sviluppo di nuove forme di cooperazione tra i Paesi dell’Unione Europea, volti
a rafforzare il vantaggio competitivo dell’Europa sul commercio e sui servizi
attraverso il branding globale e il co-marketing della produzione culturale e
creativa europea.
Infine, un ottavo collegamento è quello concernente i nuovi modelli d’imprenditorialità. Vi è una chiara percezione del fatto che il settore culturale e
creativo potrà essere un potente incubatore di nuove forme di imprenditorialità16 e la rapida crescita del settore dei contenuti online, solo per fare un
esempio particolarmente evidente, sta creando le basi per una nuova impresa
culturale con una forte base generazionale17.
A livello comunitario, questo scenario è preso abbastanza sul serio18, ma lo
sviluppo di imprenditorialità creativa è ancora indietro, rispetto all’attenzione
e alle risorse dedicate alla crescita e al sostegno dell’imprenditorialità in altri
settori dell’economia. Stiamo definendo così un modello a otto livelli, degli
effetti indiretti sullo sviluppo della cultura, che trova il suo pieno significato
all’interno di un adeguato modello Cultura 3.0, dove l’accesso culturale attivo
e la partecipazione diventano la norma sociale e l’orientamento naturale delle
economie della conoscenza e della società civile.
Questo non significa, naturalmente, che gli effetti sociali e macroeconomici
diretti della crescita delle industrie culturali e creative diventino trascurabili o
meno importanti in questa fase; al contrario: com’è stato argomentato, vi sono forti complementarietà tra i canali sociali ed economici, dirette e indirette, che consentono di aumentare la partecipazione individuale e l’accesso alle
opportunità e stimolare la costruzione di capacità culturali correlate.
Eikhof D.R., Haunschild A., Lifestyle Meets Market: Bohemian Entrepreneurs in Creative Industries,
«Creativity and Innovation Management», 15, pp. 234-241, 2006; Scott A.J., Entrepreneurship, Innovation, and Industrial Development: Geography and the Creative Field Revisited, «Small Business Economics», 26, pp. 1-24, 2006.
17 Mason M., The Pirate’s Dilemma: How Youth Culture is Reinventing Capitalism, New York, The Free
Press, 2008.
18 Study on the Contribution of Culture to Local and Regional Development – Evidence from the Structural
Funds. Final Report. September 2010. Centre for Strategy and Evaluation Services, Kent, United Kingdom.
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una nuova frontiera per il futuro in europa
Luca Bergamo*
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Nel novembre del 1966 dei ragazzi provenienti da tutta Italia corrono in soccorso dei tesori culturali di Firenze durante l’alluvione che minaccia la città.
Accade perché sono abituati a vedere il mondo con uno sguardo più ampio
nel tempo e nello spazio di quanto siamo abituati a fare oggi.
Per troppo tempo ci siamo arresi a un approccio a breve termine, nel lavoro, nella politica e anche alla nostra vita privata. Per troppo tempo abbiamo
accettato che tutto possa essere sostituito da qualcosa di più nuovo, più efficiente, più smart. Fino al punto di arrivare a essere sempre più incapaci di
nutrire le stesse relazioni umane.
Il momento storico che stiamo vivendo impone di pensare prospettive più
ampie, fatte di periodi più lunghi, spazi geografici più vasti, problemi più interconnessi.
Che volto ha il nostro mondo, oggi, dove siamo nello spazio e nel tempo?
Che cos’è che compone il quadro entro il quale gli attori culturali operano in
tutta Europa e qual è la responsabilità del settore culturale in esso? Quale può
essere il loro contributo per aiutare questa regione del mondo a riprendersi
da una stagione turbolenta della sua storia? Una stagione che contiene in sé
rischi visibili di turbolenze ancora più grandi e drammatiche.
Queste sono alcune delle domande difficili alle quali credo serva dare risposte oneste, per sviluppare una strategia credibile di promozione del ruolo
della cultura in Europa nei prossimi anni.
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la crisi
Siamo intorno alla metà di settembre 2008 – settembre, ancora… – i titoli
di giornali, news e blog, si riempiono di notizie sul collasso della Lehman
Brothers, banca d’investimento tra le più grandi in usa, ovvero nel mondo.
Il suo debito è stimato in oltre 600 miliardi di dollari, grosso modo equivalente a quattro anni di bilancio dell’Unione Europea.
Tracce che la situazione fosse compromessa risalgono a diversi anni prima.
Ma la logica finanziaria del massimo utile nel periodo minimo ci ha educato
a non guardare oltre il naso. Non investighiamo sulle conseguenze di quel che
accade oggi nel periodo lungo. Ci affidiamo al giudizio degli “esperti”, coloro
che se ne intendono (le agenzie di rating, ad esempio, molti autorevoli economisti e commentatori), continuando felici e ignari a spendere e fare debiti
finché il sistema di produzione di denaro a mezzo di carta straccia non va in
fumo, e con esso, la pace sociale.
Da quel giorno siamo bombardati da un messaggio schizofrenico: “È la più
grande crisi dopo quella del 1929” – che vale la pena ricordare, terminò con
la Seconda guerra mondiale – e da altri messaggi del tipo: “L’anno prossimo
riprende la crescita”, ovvero, domani si ricomincia da dove eravamo prima.
Da allora, ogni anno, ci è stato detto che il successivo sarebbe stato migliore,
tuttavia la realtà si è dimostrata diversa. Ci viene detto che per uscire dalla
crisi abbiamo bisogno di una crescita economica, da cui solamente si può ottenere una re-distribuzione della ricchezza, tuttavia la realtà si è dimostrata
diversa nei decenni che abbiamo alle spalle.
le fondamenta perdute del modello europeo
Quello che non viene detto è che la base su cui abbiamo costruito la nostra ricchezza non esiste più: le persone vivono più a lungo e gli abitanti del
pianeta sono già troppi, le risorse naturali si stanno esaurendo, l’Occidente
non è più al centro del mondo e il buon lavoro sta diventando merce scarsa. Queste condizioni non sono tutte reversibili. Non si può, semplicemente,
tornare indietro.
Nel 1810 la durata media della vita era inferiore ai 40 anni. Le prospettive di vita di un europeo non erano così dissimili da quelle di un
indiano. E così era stato nei secoli e per secoli. Pochi anni dopo la fine
della Seconda guerra mondiale, il quadro è drasticamente diverso; le dif-
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ferenze tra Occidente e il resto del mondo sulla speranza di vita sono immensamente più ampie. Poi tutto comincia a correre e nell’arco di mezzo secolo l’aspettativa di vita si allunga sensibilmente in tutto il mondo,
eccetto in Africa.
Questa gigantesca trasformazione, durante la quale la vita media è quasi
raddoppiata, ha prodotto una crescita impetuosa della popolazione mondiale
e un cambiamento sostanziale nella sua distribuzione. Quando, nel 1900, le
decisioni prese dal mondo occidentale plasmavano il destino di stati, società e persone che vivevano nei più remoti luoghi del pianeta, la popolazione
occidentale era circa il 30% del totale. Nel 2050 meno del 10% degli abitanti del pianeta vivrà in “Occidente” e la quota del commercio mondiale nelle
mani di Cina e India passerà dal 5% a circa il 30%.
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Un periodo di quasi continua dominazione che possiamo far risalire ai
primi anni del XVI secolo sta volgendo al termine. Nuovi giocatori – poteri finanziari transnazionali emergenti – contestano il ruolo degli Stati
come regolatori della nostra vita, come incarnazione della sovranità dei
cittadini. Considerano il welfare un ostacolo all’espansione dei loro mercati; avversano in generale i sistemi messi in opera in Europa per mitigare
la diseguaglianza prodotta dall’economia. E dalle debolezze strutturali di
questi sistemi, traggono beneficio.
Nel 1950 si viveva meno e l’arco di vita dedicato alla produzione era
in proporzione più ampio di quello restante. Su questo equilibrio poggiava il sistema di redistribuzione della ricchezza che chiamiamo welfare. E
da questo equilibrio abbiamo tratto le risorse per l’espansione della sfera
pubblica grazie alla quale abbiamo ad esempio costruito sistemi educativi
accessibili a tutti e consentito alla maggioranza dei cittadini di partecipare
alla vita culturale e ai benefici della scienza (articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo).
Oggi questo equilibrio non esiste più: l’Europa è chiamata ad affrontare
l’impatto di una popolazione che cambia, all’interno della quale i produttori
sono ora una minoranza. E la soluzione non si trova nell’aumento della popolazione né in quello del tempo di vita dedicato al lavoro, oltre ragionevoli
limiti. Occorrono strategie alternative per continuare nella marcia verso la
democratizzazione della cultura, compatibili con una società composta in
maggioranza di anziani. Strategie che richiedono prima di tutto innovazione sociale e sviluppo di capacità e competenze in grado di alimentarla.
ineguaglianza, benessere percepito e vita culturale
Il divario tra i pochi ricchi e i molti il cui tenore di vita è scivolato progressivamente verso la povertà è costantemente cresciuto negli ultimi decenni, senza che il segno + davanti ai pil abbia avuto un sostanziale impatto su questa tendenza. La cosiddetta crisi ha accelerato questa deriva,
ne ha rivelato la portata prima celata dietro un miraggio, scuotendo alle
fondamenta la fiducia nel futuro e con essa la propensione alla partecipazione alla vita culturale.
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Eurobarometro
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L’Eurobarometro 399 della Commissione Europea mostra che quasi ovunque in Europa si riduce la partecipazione alle attività culturali classiche. Il
fenomeno è vistoso in Italia. Occorre leggerne bene le ragioni. Se la rilevazione non inganna, le motivazioni di questo declino sono prima di tutto da
rintracciare nella “mancanza di interesse” e “mancanza di tempo”, non tanto
nel “costo”, ovvero nella scarsità di mezzi economici.
Sebbene si tratti di indicazioni molto generali, è importante prenderne atto
e leggerle in relazione ad altri dati, questa volta pubblicati dalla Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (ocse) a novembre scorso,
nel rapporto How is life del 2013. Questo rapporto racconta di una crescente
insoddisfazione tra i cittadini europei, un calo molto netto nella percezione
di benessere e una chiara correlazione tra questa situazione e la fiducia dei
cittadini nei loro governi, in ultima istanza, nella adeguatezza dei sistemi democratici a risolvere i problemi.
“La relazione è un campanello d’allarme per tutti noi”, dice il segretario generale dell’ocse Angel Gurría, presentandola. “Abbiamo bisogno di ripensare
il modo di mettere i bisogni delle persone al centro del processo decisionale”.
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L’economia, ci dice l’ocse, deve essere al servizio delle persone e non viceversa perché la democrazia e la pace prevalgano, e la vita economica stessa
possa rifiorire.
non è una crisi, non si torna indietro. è una transizione
Lo scossone cominciato nel 2008 mette in luce crisi multiple, tra di loro interconnesse: crisi d’identità e di fiducia, crisi dell’etica, crisi di un modello di
sviluppo che mina le condizioni per la nostra sopravvivenza come specie biologica, crisi degli stati nazionali. Crisi che s’intersecano con rivoluzioni vere
e proprie: dalla demografia alla tecnologia. In ultima analisi, il nostro tempo
è diverso da come lo descriviamo.
La scomoda verità è che in Europa non stiamo vivendo una crisi, ma una
transizione il cui approdo è ancora incerto, aperto a esiti opposti, di terribili ingiustizie e conflitti o di una nuova fase della civiltà umana.
È tuttavia chiaro che il destino della nostra società è in procinto di cambiare in profondità e se vogliamo far progredire valori fondanti come la democrazia, i diritti umani, il primato della legge e la parità di opportunità per
tutti, la pace, la giustizia, dobbiamo dare corpo a una nuova visione del nostro
futuro, i cui fondamenti sono interamente culturali.
cultura in europa
Nonostante l’integrazione europea abbia privilegiato la dimensione economica, l’Unione in Europa è prima di tutto un progetto culturale e politico e
il suo futuro dipende da fattori culturali in senso ampio.
L’Unione è il primo e il più ambizioso tentativo di stabilire una nuova
forma di democrazia in cui le dimensioni locali e globali possono coesistere. Richiede che Paesi e Nazioni antiche e ben radicate riducano la loro
sovranità non a causa dell’egemonia di una lingua, cultura o religione, non
per la vittoria militare di uno sugli altri, ma per la volontà di organizzare
la vita civile attorno a un’identità culturale intrinsecamente complessa. È
il progetto politico, sociale ed economico del futuro fondato sul rispetto
delle diversità culturali, la realizzazione del diritto umano per le generazioni attuali e future, il riconoscimento dei limiti alla crescita e l’adozione
di un modo di vita sostenibile.
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È una prospettiva di futuro, indebolita da fallimenti ma ancora possibile e
sempre più necessaria. Una promessa di futuro per la quale l’Europa ha accumulato le risorse materiali e immateriali (democrazia e stato di diritto, libertà
di espressione, solidarietà, educazione universale, parità tra i generi, sensibilità ambientale, riconoscimento della sfera pubblica come sfera comune, governance decentrata…) e, cosa più importante, per cui l’Europa ha sviluppato
una cultura potenzialmente adatta.
Tuttavia, senza un cambiamento sostanziale di priorità, quest’opportunità
sarà perduta e con essa molto del buono che abbiamo saputo costruire dopo
la Seconda guerra mondiale, inclusa la relativa pace, di cui il continente più
insanguinato del mondo ha goduto per settant’anni.
Questa è l’Europa nella prima parte del xxi secolo, 500 milioni di persone
a un punto di svolta.
una nuova frontiera per i governi in europa
Una sfida interamente nuova, che i governi in Europa dovranno affrontare: assicurare il benessere individuale e collettivo dei cittadini, e non solo
un’equa distribuzione della ricchezza materiale. Un benessere che tutti gli
indicatori mostrano strettamente correlato al livello di fiducia dei cittadini nelle proprie istituzioni, alla condivisione di un progetto per il futuro,
al senso di appartenenza alla propria comunità e alla sicurezza di poter
contare su qualcuno nel momento del bisogno. Un benessere che richiede consapevolezza dei limiti posti dalla natura alla crescita, che pretende
la piena realizzazione di diritti umani, che si nutre del riconoscimento di
valore e ruolo sociale di attività che non producono ricchezza economica
ma beneficio per la comunità.
Ciò implica un nuovo approccio allo sviluppo, al cui centro sono le capacità delle persone di concorrere al benessere comune. Un approccio che riconosce all’economia una funzione fondamentale nell’ambito di un progetto
civile e sociale, ma non un primato in sé. Un approccio che colloca al centro
delle strategie di sviluppo la formazione di capitale sociale, il quale dipende,
in ultima analisi, dal livello culturale dei cittadini e dalla qualità delle esperienze che fanno nella vita quotidiana.
Migliorare capacità culturali come la cooperazione e la creatività,
apertura alla diversità, curiosità, attitudine al lirismo a fianco del pensiero logico e astratto – tutte condizioni essenziali per sviluppare una socie-
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Parole chiave: 1. Curiosità, 2. Consapevolezza, 3. Cooperazione, 4. Partecipazione, 5. Empatia, 6. Appartenenza,
7. Comunità, 8. Autostima, 9. Impegno, 10. Speranza, 11. Fiducia
tà pienamente sostenibile, dove i diritti umani, le libertà civili, un benessere condiviso e vite ricche di significato, possano essere raggiunti. Arte,
scienza e la partecipazione attiva dei cittadini alla vita scientifica e artistica contribuiscono potentemente alla valorizzazione di tali capacità così
come fanno, da un’altra prospettiva, l’istruzione e la ricerca, l’architettura
e l’impegno civico.
La vita che conduciamo, le esperienze di ogni giorno, incidono sulle nostre capacità culturali, hanno “impatto” sull’accumulazione di capitale sociale. Analogamente a quanto già facciamo valutando l’impatto ambientale
di molte scelte, è ormai tempo di interrogarsi sull’influenza culturale delle
decisioni riguardanti un ampio spettro di politiche.
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Parlare di politiche culturali in senso classico non basta. Le politiche di
settore devono essere parte di una strategia che investe settori ampi e diversi della nostra vita.
ciascuno ha una quota di responsabilità… e di potere
Con la presidenza dell’Unione Europea che inizia nel luglio 2014, l’Italia
potrebbe svolgere un ruolo fondamentale in Europa, se solo il Paese avesse
il coraggio di prendere l’iniziativa. Ci sono temi politici da affrontare, a partire dalla necessità di coordinare a livello europeo per lo sviluppo culturale
di persone e comunità. Bisogna poi modificare la strategia europea chiamata
Europa 2020, per continuare con la revisione del trattato di Lisbona, riconoscendo all’Unione competenze in materia di cultura.
In questo periodo di profonda transizione, conquistare spazio per la cultura
nelle politiche pubbliche e nelle scelte private richiede cambiamenti profondi
e qualche chiarimento.
La politica culturale, intesa come l’insieme delle misure per la protezione
e lo sviluppo della vita artistica e del patrimonio, dovrebbe essere sostituita da qualcosa che possiamo chiamare strategia per lo sviluppo culturale (delle
persone e delle collettività). I beni culturali, l’arte (e ciò che oggi chiamiamo
attività culturali in generale) ne sono parte fondamentale, ma non il tutto.
Una strategia per lo sviluppo culturale, articolata nei diversi livelli del governo, è necessaria, ed è una delle componenti chiave verso un nuovo contratto sociale e di cittadinanza.
Occuparsi dello sviluppo culturale comporta coordinare un ampio insieme di attività umane in ragione dell’impatto che hanno sulla formazione di
capacità e risorse che sono essenziali alla trasformazione di valori condivisi
in realtà. Che effetti ha la scuola sulla capacità di cooperare, di partecipare,
di essere empatici e consapevoli, di avere autostima e senso di appartenenza, oltre che quella di insegnare a competere, a leggere e far di conto? Quali
conseguenze hanno i suoi programmi, metodi e obiettivi? Come collegare alla vita civile la scienza, il suo dibattito e le sue acquisizioni prima ancora che
siano tecnologia? Che impatto ha la disconnessione attuale? L’architettura e
gli spazi urbani, i sistemi d’informazione e i servizi pubblici, in primis quelli
radio-televisivi, la regolazione della vita civile, sono alcuni degli ambiti di attività che devono essere considerati parte di una strategia unitaria. Non sarà
possibile fare tutto insieme, ma bisogna cominciare.
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Occuparsi dello sviluppo culturale comporta anche un’onesta valutazione
attraverso delle politiche fin qui messe in campo dalle istituzioni (a partire
dal Ministero, per arrivare alle istituzioni culturali che operano in rapporto diretto con in cittadini). Comporta modificare a fondo queste istituzioni
in funzione di obiettivi diversi, necessariamente intersettoriali, al servizio in
primo luogo dello sviluppo umano e del protagonismo dei tanti soggetti che
agiscono a cavallo delle attuali zone di confine tra attività artistica, educazione e formazione, impegno civile e sociale.
Occuparsi dello sviluppo culturale comporta cambiamenti da parte degli
operatori culturali e delle loro organizzazioni rappresentative. Ci impone di
riflettere sempre sull’impatto che le nostre scelte hanno su persone e società.
Per molti implica cambiamenti sostanziali negli obiettivi, programmi e processi, nel rapporto con gli enti pubblici e con le comunità che ne accolgono le attività. Comporta apertura alle influenze esterne e collegamento con
le organizzazioni di cittadini e della società civile, in generale alla ricerca di
convergenze intorno al contributo che ciascuno dà all’evoluzione della società verso una direzione condivisa. In sostanza, comporta la ricerca di convergenze e coordinamento per migliorare l’influenza di ciascuno nell’accumulazione di capitale sociale.
Investire nello sviluppo culturale è più che mai una necessità per aiutare
la nostra società a uscire dalla sua depressione. Ancora una volta, le persone
che lavorano nel campo della cultura, le organizzazioni in cui operano e le
comunità con cui sono in relazione possono svolgere un ruolo cruciale nella
svolta di cui l’Europa e l’Italia hanno disperatamente bisogno. Fare finta che
non sia così e rifiutare la responsabilità che ne deriva è una scelta dalle profonde implicazioni.
Non c’è posizione neutrale, nel nostro tempo; la pretesa di essere al di fuori/al di sopra della vicenda umana si configura come una vera e propria scelta
politica. Non si tratta di indirizzare contenuti o messaggi, all’opposto. Bisogna investire nella libertà di espressione e nella fiducia che persone consapevoli del proprio ruolo nel proprio tempo sappiano scegliere come concorrere
al benessere comune.
Bisogna dedicare ogni sforzo per mettere a disposizione di ciascuno risorse
e strumenti per concorrere alla nascita, in Europa, di una civiltà fondata sulla
realizzazione dei diritti umani per le generazioni presenti e future. Su questo
dovrebbe riflettere e agire una politica consapevole dei rischi e delle opportunità della transizione in Europa. Di questo dovrebbe occuparsi chi dedica
la propria vita alla cultura.
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Fondata nel 1992, Culture Action Europe (cae) è oggi la più estesa rete culturale in Europa. Attraverso le oltre 110 tra reti europee e nazionali associate, cae
dà voce a più di 80.000 organizzazioni attive in 24 Paesi dell’ue e in tutti i settori culturali e artistici: dai musei ai festival, dalle orchestre ai teatri lirici, dalle
biblioteche ai centri culturali indipendenti, dalle associazioni di scrittori agli istituti di ricerca, dai teatri alle arti visive e all’architettura.
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dall’europa risorse e opportunità
per tornare a produrre cultura
Claudio Bocci*
italia: museo diffuso, partecipazione scarsa
A fine 2013, in un incontro pubblico, l’istat e il Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo, in collaborazione con la Conferenza delle
Regioni, hanno reso nota l’indagine più aggiornata sulle dimensioni del patrimonio culturale italiano1.
Una “fotografia” scattata nel 2011 che restituisce un quadro impressionante delle dimensioni del numero dei musei, delle aree archeologiche e dei monumenti in Italia.
Sono 4.588 i musei, pubblici e privati, aperti al pubblico, 240 le aree archeologiche e 501 i monumenti censiti dalla ricerca, e hanno accolto quasi 104
milioni di visitatori.
* Direttore Ufficio Sviluppo e Rapporti Istituzionali Federculture, Consigliere Delegato Comitato Ravello Lab
Con la firma del protocollo d’intesa del 25 luglio 2012, tra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, l’istat e le Regioni e le Province autonome, è stata avviata l’indagine istat sui
musei e le istituzioni similari per l’anno 2011. I dati del Sistema Informativo Integrato sono consultabili in www.imuseiitaliani.beniculturali.it.
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I primi quindici musei hanno registrato circa un milione di ingressi ciascuno e complessivamente hanno assorbito circa il 30% del totale dei visitatori;
i musei statali, da soli, attraggono più di 40 milioni di visitatori (il 38,8% del
totale). È interessante notare come la maggior parte dei musei (il 63,8%) sia
di proprietà pubblica, ma ben 1.909 istituti, pari al 41,6% del totale, appartengono ai Comuni e solo il 9% al mibact.
Un altro elemento di grande interesse riguarda la partecipazione dei visitatori: quasi la metà (il 44,9%) è straniero, anche se per oltre la metà degli istituti (il 53,3%), tendenzialmente quelli locali, gli stranieri rappresentano una
componente minoritaria del pubblico: non più del 10% dei visitatori.
Questi ultimi dati aprono una serie di questioni che attengono alla potenzialità del turismo culturale per l’economia dei territori e al tema della partecipazione dei cittadini alla cultura. Le indagini fornite dall’Unione Europea
pongono l’Italia nelle posizioni di coda nella graduatoria dei Paesi europei.
Il più alto livello di partecipazione culturale si registra in Danimarca (ben il
74% ha partecipato ad almeno un’attività culturale nel 2012), Svezia (68%),
Finlandia (63%) e nei Paesi Bassi (58%). Il più basso livello di partecipazione
attiva vede in fondo alla classifica la Bulgaria (14%), Malta (18%) e, al terzultimo posto, l’Italia (20%).
I numeri del sondaggio dell’Eurobarometro2 sono impietosi: nel nostro Paese si legge meno che nel resto d’Europa, si visitano meno musei, si va meno
a teatro e ai concerti. Una vera beffa per un Paese che vanta un patrimonio
artistico sterminato, un’eredità storica e culturale che da secoli ne fa la destinazione del Grand Tour.
La scarsa partecipazione dei cittadini alle attività culturali è frutto di mali
antichi e recenti, che non sono stati certo attenuati dalle scelte sconsiderate
di togliere la storia dell’arte dal percorso di studi nella scuola. Il ritardo nel
sostegno alla partecipazione dei cittadini alla cultura è anche istituzionale,
considerando che soltanto il 27 febbraio 2013 il Governo italiano ha sottoscritto (ma il Parlamento non ha ancora ratificato) la c.d. “Convenzione di
Faro”, che prende il nome dalla località portoghese in cui, il 27 ottobre 2005,
fu avviato il processo di sottoscrizione della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società. A differenza degli altri strumenti giuridici internazionali esistenti in materia, la Convenzione di Faro sposta l’attenzione dal patrimonio culturale alle persone, al
loro rapporto con l’ambiente circostante, alla loro partecipazione attiva e al
2 Eurobarometro Commissione Europea. Accesso alla cultura e partecipazione. Maggio 2013.
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dall’europa risorse e opportunità per tornare a produrre cultura | 93
loro riconoscimento dei valori culturali, ponendo la risorsa patrimoniale al
centro di una visione di sviluppo sostenibile e di promozione della diversità
culturale per la costruzione di una società pacifica e democratica.
Per la prima volta, il diritto al patrimonio culturale è espressamente riconosciuto come parte del diritto alla partecipazione alla vita culturale, quale definito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e,
conseguentemente, come fonte di corrispondenti diritti e responsabilità, individuali e collettive.
Si tratta di principi di grande importanza in cui, per la prima volta, si collega il valore dell’eredità culturale allo sviluppo della società. La peculiarità
della Convenzione sta proprio nella nuova visione che la ispira e che supera
il valore del patrimonio culturale, materiale e immateriale (visto solo come
complesso di beni che necessita di essere protetto per il suo valore intrinseco),
per promuovere una più forte concezione del patrimonio fortemente collegata alla qualità della vita dei cittadini.
La Convenzione, in questo orizzonte innovativo, assegna un ruolo centrale alla partecipazione culturale e invita i cittadini a svolgere un ruolo attivo nel riconoscimento dei valori dell’eredità culturale e impegna gli Stati
a promuovere un processo di valorizzazione partecipativo fondato sul dialogo tra istituzioni pubbliche, cittadini, associazioni, tutti soggetti che la
Convenzione definisce “comunità di eredità” costituite da “insiemi di persone che attribuiscono valore agli aspetti specifici dell’eredità culturale, che
desiderano, nell’ambito dell’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle
generazioni future”.
Per la prima volta in un testo ufficiale internazionale, inoltre, è fornita la
definizione di “patrimonio comune dell’Europa” che si compone di due dimensioni: da un lato, quella più propriamente culturale, costituita da tutte
le manifestazioni che ricordano gli avvenimenti della storia comune europea; dall’altro, una dimensione intellettuale, costituita dall’insieme condiviso
dei valori sociali e degli ideali europei. L’orizzonte europeo, peraltro, si rivela
di particolare importanza nella fase di grave crisi economica che attraversa
il Paese. La crisi della finanza pubblica colpisce duramente gli investimenti in cultura e spinge gli operatori a guardare con particolare attenzione alle
risorse che l’Unione Europea assegna alla cultura attraverso programmi gestiti direttamente da Bruxelles o attraverso programmi operativi nazionali, la
cui destinazione è frutto di un lungo processo di negoziazione con una larga
rappresentanza delle forze sociali organizzate e affidato all’Accordo di Partenariato 2014-2020.
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risorse culturali e fondi europei
La rilevanza del patrimonio culturale italiano portò, già nel ciclo di programmazione dei fondi europei del periodo 2000-2006, alla scelta strategica di identificare nelle risorse culturali uno specifico asse di finanziamento
(gli altri 4 riguardavano: risorse umane, sistemi locali di sviluppo, città, reti e
nodi di servizio). All’asse cultura nell’insieme delle c.d. Regioni Obiettivo 1
“in ritardo di sviluppo” (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia) furono assegnati nel settennio circa 2.710 milioni di euro che, tuttavia, non sono
stati efficacemente utilizzati mostrando, secondo le relazioni degli organismi
ufficiali di valutazione, una “non piena correlazione tra politiche di valorizzazione e sistemi di gestione del patrimonio culturale”.
La critica, anche se velata, ha inteso rilevare come ingenti risorse furono
spese per restaurare castelli e palazzi, ma senza un piano di valorizzazione e
di gestione in grado di riconnettere il patrimonio culturale allo sviluppo dei
territori. Anche a causa di questa difficoltà, le risorse destinate alla cultura nel
successivo ciclo di programmazione 2007-2013 si sono drasticamente ridotte e si sono, sostanzialmente, concentrate nel Programma Operativo Interregionale (poin) “Attrattori Culturali, Naturali e Turismo” che, per le quattro
regioni dell’Obbiettivo Convergenza (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) ha
potuto contare su un finanziamento complessivo di 1.031 milioni di euro, per
l’intero periodo di programmazione.
La cronica difficoltà a integrare le risorse destinate alla cultura in concreti
programmi di sviluppo territoriale ha così provocato il doloroso effetto che il
poin “Attrattori Culturali”, nella valutazione intermedia al 31 dicembre 2012,
è stato l’unico dei 52 programmi operativi a non aver raggiunto gli obiettivi prefissati e, in forza delle stringenti regole dei fondi comunitari, costretto
a un “disimpegno automatico” di 33 milioni di euro, che sono stati restituiti
a Bruxelles.
L’intervento correttivo impresso dall’ex Ministro della Coesione Territoriale,
Fabrizio Barca, e dal suo successore, ha comportato una drastica riprogrammazione (il cui intervento più eclatante è stato il Grande Progetto Pompei che,
in tempi record, ha visto concentrarsi sul grande attrattore dell’area campana
ben 105 milioni di euro nel tentativo di evitare ulteriori dispersioni di risorse
dal settore culturale). Lo sforzo è stato importante e, forse, si riuscirà a non
perdere fondi ma, certamente, non si riuscirà a invertire la tendenza a concentrare risorse sulla voce restauro/conservazione nella incapacità, prima di tutto
culturale, di inserire il patrimonio in concreti piani di gestione/valorizzazione.
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In effetti, anche secondo studi indipendenti, il limite più grande nella spesa
in cultura riguarda la qualità dei progetti che, assai di rado, tengono insieme
tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale. Non può stupire,
dunque, se, secondo tali studi, la percentuale di spesa effettiva dei fondi strutturali in cultura nel ciclo di programmazione 2007-2013 è andata per oltre
l’80% a interventi di conservazione e restauro (contro il 47% di quanto programmato), e solo il 12% in infrastrutture culturali (contro il 20% programmato) e il 6% in servizi (contro il 33% programmato). Si tratta di dati preoccupanti che, in assenza di correttivi di sistema in grado di favorire progetti di
qualità, potrebbero ripetersi anche nel ciclo di programmazione 2014-2020,
in cui, peraltro, la cultura, nell’Accordo di Partenariato con l’Unione Europea,
ha perso la sua specifica e autonoma dimensione e viene citata, quasi incidentalmente, tra le 11 priorità strategiche di assegnazione dei fondi europei,
nell’ambito dell’Obiettivo Tematico (ot) 6 “Tutela dell’Ambiente e Valorizzazione delle Risorse Culturali e Ambientali” (un’interpretazione estensiva dell’ot indicato dalla Commissione Europea che lo indirizza a “Tutelare
l’ambiente e promuovere l’uso efficiente delle risorse”).
Infatti, nonostante il tentativo dei negoziatori di parte italiana di dotare di
adeguate risorse la voce cultura, la Commissione Europea, in un documento intermedio di “osservazioni informali” riguardante la bozza di Accordo di
Partenariato, ha sanzionato pesantemente tale orientamento ricordando che
gli interventi dell’Obiettivo Tematico 6 “devono dare priorità alla protezione
dell’ambiente e alla promozione dell’uso efficiente delle risorse”.
Per quanto riguarda più specificamente le misure riguardanti il patrimonio culturale, il citato documento segnala che “manca un approccio strategico
adeguato né si traggono lezioni dalla programmazione 2007-2013”; in particolare, “nonostante i problemi irrisolti, il testo non esclude la possibilità di
un’attuazione interregionale del Programma Cultura nelle regioni meno sviluppate” facendo esplicito riferimento alla debole performance del poin “Attrattori Culturali” che ha registrato difficoltà di spesa non soltanto per incapacità operativa dei territori ma per una oggettiva impossibilità di tenere insieme validamente progetti di valorizzazione e gestione su scala interregionale.
Infine, il documento della Commissione Europea insiste per un uso efficiente delle risorse finanziarie che dovrebbero essere sempre dirette a interventi
in grado di avere un impatto economico strutturale. Si tratta di una critica
che sottolinea, ancora una volta, l’incapacità dei nostri policy-makers di immaginare un intervento strategico in grado di coniugare strettamente cultura
e sviluppo, nella sua doppia dimensione di crescita economica e di sviluppo
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sociale e civile. Le rare esperienze di successo, infatti, dimostrano che l’unica
strada per avviare un percorso di sviluppo sostenibile passa per l’innalzamento
della qualità progettuale che, sempre, deve essere integrata (tra diversi livelli istituzionali e tra pubblico e privato) e partecipata (favorendo al massimo
il coinvolgimento dei cittadini nell’individuazione delle priorità strategiche
d’intervento) e stabilmente inserita in un percorso di pianificazione strategica di medio periodo, in grado di tenere insieme tutela, valorizzazione e gestione delle risorse culturali e paesaggistiche. In questo senso, sarebbe assai
utile trarre i necessari insegnamenti dall’interessante processo di candidatura
a Capitale Europea della Cultura per il 2019.
capitale europea della cultura 2019:
un’occasione per un’innovazione di sistema
A differenza che in Italia, in Europa sono stati molti, infatti, gli esempi di
corretto e utile impiego dei fondi strutturali per riqualificare e rilanciare intere aree territoriali attraverso la cultura e le industrie creative.
Alcuni esempi virtuosi ci giungono dalla vecchia Europa (Spagna, Irlanda)
ma, sempre con maggior frequenza, dai Paesi recentemente integrati nell’Unione Europea (Polonia, area baltica, per non parlare del “miracolo” della ex
Germania Est).
Tra le varie esperienze di successo molte si annoverano nell’ambito di un’azione specifica che giunge da Bruxelles: il modello delle Capitali Europee della
Cultura. Concepito come mezzo per avvicinare i cittadini europei, il programma
“Città Europee della Cultura” venne lanciato nel 1985 dal Consiglio dei Ministri su proposta dell’allora ministro greco alla cultura, Melina Mercuri. Nel 1999
l’iniziativa è stata ribattezzata “Capitali Europee della Cultura” e finanziata dal
Programma Cultura 2000; nello stesso anno, per evitare la feroce concorrenza tra
le città, sono state introdotte nuove procedure di selezione che, di anno in anno,
assegnano la candidatura a due Paesi, uno appartenente all’Europa occidentale e
uno a quella dell’Est. Secondo questo nuovo criterio di assegnazione e dopo una
complessa fase di selezione, nel 2019, una città italiana e una bulgara saranno Capitale Europea della Cultura.
La connessione tra cultura e sviluppo, sia sotto il profilo economico sia sociale,
in effetti, è particolarmente evidente nell’esperienza delle Capitali Europee della
Cultura di maggiore successo, che hanno usato il programma comunitario come
occasione-chiave per la riconversione economica di città ex industriali, per la ri-
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qualificazione di zone urbane “dismesse”, per la rivitalizzazione della società civile, con l’obiettivo strategico di rinvigorire un’economia stagnante, ottenere un
riconoscimento internazionale e attrarre investimenti.
Il programma ecoc – European Capital of Culture mostra notevoli punti di
interesse e può rappresentare uno stimolante tema di discussione sulle politiche urbane in considerazione dell’esperienza ormai venticinquennale del
modello che ha messo in luce straordinarie potenzialità di policy culturale e
non solo, favorendo l’introduzione di strumenti di pianificazione strategica, di
progettazione integrata, di partecipazione dei cittadini e di proficuo rapporto
tra pubblico e privato, con esiti assai interessanti sulla riqualificazione e rigenerazione urbana, sulla crescita economica e sui processi di inclusione sociale.
Dalle migliori esperienze europee, infatti, emerge l’innovatività di una modalità di programmazione che, ponendo al centro dello sviluppo urbano un
progetto culturale, è in grado di integrare altre dimensioni di intervento, dalle infrastrutture alla mobilità, dalla riconversione di spazi industriali dismessi
all’intervento sulle periferie, stimolando attività centrate sulla cultura e sulla
creatività e coinvolgendo attivamente la società civile.
La connessione tra cultura e rigenerazione urbana è resa evidente dall’esperienza delle Capitali Europee della Cultura di maggiore successo (Lille
2004, Liverpool 2008, Ruhr 2010 e, più recentemente, Marsiglia 2013 e la sua
regione), che hanno usato il programma ecoc come occasione-chiave per la
riconversione economica di città ex industriali con l’intenzione strategica di
favorire il turismo culturale per rinvigorire un’economia stagnante, ottenere
un riconoscimento internazionale, migliorare significativamente la reputazione della città, attrarre investimenti e talenti creativi.
Il programma ecoc promosso dalla Commissione Europea è, in questo
senso, esemplare, poiché la quota di co-finanziamento che l’Unione Europea
conferisce alle città assegnatarie del titolo (1,5 milioni di euro) costituisce
una quota minima rispetto agli investimenti che l’iniziativa riesce ad attrarre.
La convinzione che si è fatta strada, infatti, è che, al di là dell’interesse della
città designata, il valore del Programma risiede nella progressiva introduzione, nelle città che intendono misurarsi con il processo di candidatura, di un
percorso bottom-up che introduce una cultura della pianificazione strategica a base culturale in grado di ripensare la città e proiettarla verso un nuovo
modello di sviluppo più aderente alla sfida dell’economia della conoscenza,
tipico delle società post-industriali.
È stato dunque di grande interesse registrare come, nella corsa al titolo di
Capitale Europea della Cultura che, nel 2019, riguarderà l’Italia, si siano can-
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didate ben ventuno città italiane grandi e piccole: da Bergamo a Siracusa, da
Carbonia a L’Aquila, da Lecce a Siena, da Bari a Torino, da Matera a Ravenna.
Anche grazie a spinte provenienti dalla società civile, molte città italiane
hanno inteso misurarsi con il rigoroso processo di selezione richiesto dalla
Commissione Europea che consentirà, nel 2019, di fregiarsi di un titolo che,
nelle esperienze europee più riuscite, ha letteralmente cambiato il volto della città vincitrice, e non solo. Il primo punto che sorprende è proprio questo:
in un Paese come il nostro che ha difficoltà a programmare il giorno dopo,
ci sono molte città che si stanno impegnando a progettare il loro profilo nel
2019! Dopo il positivo esito di Ruhr 2010 (che ha coinvolto nel programma
cinquantatré municipalità per complessivi 50 milioni di abitanti), il modello, peraltro, ha mostrato di funzionare anche in ambiti di area vasta: a questa
esperienza si è espressamente richiamata la candidatura di Venezia come capofila dell’intero Nord-Est o quella di Perugia-Assisi, sul cui asse si sta costruendo l’impegno dell’intero territorio regionale.
Proprio in ragione della rilevanza dell’esperienza europea, quando, in un
recente intervento nell’ambito degli Stati Generali della Cultura promossi
da «Il Sole 24 Ore» nel novembre 2013, l’ex Presidente del Consiglio Enrico
Letta ha lanciato l’idea di una “Capitale Italiana della Cultura”, gli addetti
ai lavori hanno salutato con interesse la proposta. Tale proposta si richiama
esplicitamente all’esperienza del Regno Unito che, dopo la brillante prova
di Liverpool 2008 (il processo di candidatura e gli interventi infrastrutturali
hanno impresso nuova vita alla città ex industriale che ha individuato nelle
industrie creative un importante driver di sviluppo), ha internalizzato il programma europeo, introducendo la “Città Britannica della Cultura” che, nel
2013, è stata assegnata a Derry, nell’Ulster.
Si tratta, dunque, di una proposta di grande importanza che entra nel vivo del dibattito sulle politiche culturali e si raccorda alla grande attenzione
riservata al processo di candidatura a Capitale Europea della Cultura 2019
il cui titolo, alla fine del corrente anno, sarà assegnato a una delle città che
ha superato la fase di preselezione: Ravenna, Perugia-Assisi, Siena, Cagliari,
Lecce e Matera.
L’esperienza delle città selezionate e, in generale, delle ventuno città che
si erano candidate alla prima fase di selezione, sottolinea come tale modello
sia in grado di promuovere un laboratorio di sviluppo che, a prescindere dalla città italiana che sarà designata, introduce progressivamente una virtuosa
“cultura della progettualità integrata e partecipata” la quale, superando il “settorialismo” dell’assessorato competente, impegna il Sindaco in prima persona
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e tutte le deleghe assessorili (sottolineando così la trasversalità della cultura),
coinvolge attivamente il mondo della ricerca e dell’università, avvia un virtuoso
percorso di partenariato pubblico-privato ed è in grado di avviare uno straordinario intervento di integrazione sociale e di partecipazione dei cittadini.
Proprio in considerazione dei molti spunti di policy connessi al modello
ecoc, sin dal 2009, l’esperienza delle capitali europee della cultura è al centro
delle riflessioni di Ravello Lab – Colloqui Internazionali, il think tank sulle
politiche culturali che ha sede nella “perla” della costiera amalfitana.
Nelle ultime edizioni il tema è stato più volte ripreso e analizzato ospitando
le città candidate nell’intento di evidenziare le potenzialità di governance della buona pratica europea. La “raccomandazione” che giunge da Ravello Lab,
infatti, è che tale modello debba diventare una pratica ordinaria d’intervento
nella pianificazione dello sviluppo delle città, incrociando gli eventi e le produzioni culturali con i processi di rigenerazione urbana e con lo sviluppo delle industrie culturali e creative. In questa direzione muove il disegno di legge
presentato al Senato, nella scorsa legislatura3, dall’onorevole Alfonso Andria,
presidente del Centro Universitario per i Beni Culturali che, insieme a Federculture, promuove annualmente i Colloqui di Ravello. L’idea è quella di
non disperdere la cultura della pianificazione strategica a base culturale connessa all’esperienza della candidatura per il 2019 e, facendo tesoro di quanto
è stato fatto in Gran Bretagna, introdurre anche in Italia il programma “Città Italiana della Cultura”, “virato” però sulle industrie culturali, con l’obiettivo di collegarlo strettamente all’economia della conoscenza e ai più recenti
orientamenti della Commissione Europea che, a partire dal Libro Verde sul
potenziale delle industrie creative, ha avviato un percorso di stimolo ai settori industriali interessati, sfociato nel programma Creative Europe del ciclo di
programmazione 2014-2020.
qualità progettuale e gestione del patrimonio culturale
nei fondi comunitari 2014-2020
La difficoltà di spesa registrata sui territori, soprattutto quella finalizzata a
promuovere una progettazione culturale di qualità che tenga insieme salvaguardia, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale, non è estranea
3 Senato della Repubblica XVI Legislatura – Disegno di Legge n. 3068 d’iniziativa del senatore Alfonso Andria relativo all’istituzione del programma annuale “Città Italiana della Cultura”.
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all’esito della negoziazione sull’utilizzo dei fondi del ciclo di programmazione
2014-2020, in cui la cultura non compare con piena dignità tra le 11 priorità
del documento strategico di programmazione nazionale di impegno dei fondi comunitari e viene ricompresa nell’Obiettivo Tematico 6 “Tutela dell’Ambiente e Valorizzazione delle Risorse Culturali e Ambientali”.
Nei documenti ufficiali, la strategia per la valorizzazione delle risorse culturali e naturali è fondata su una scelta di necessaria discontinuità rispetto alla
modalità di attuazione sperimentata con il ciclo di programmazione 20072013, condizionata da una cooperazione istituzionale e tecnica inefficace, forte
frammentazione degli interventi, carenza generalizzata di progetti di qualità, difficoltà ed eccessiva lentezza nelle realizzazioni, mancata pianificazione
della puntuale destinazione d’uso del patrimonio oggetto di intervento e del
necessario corredo di piani di gestione in termini di sostenibilità economicofinanziaria e responsabilità.
L’obiettivo è di introdurre rigore e rapidità nella programmazione e nella
messa in opera, concentrazione, chiarezza degli obiettivi, cooperazione attiva fra i diversi attori coinvolti nel processo di valorizzazione ispirato anche a
valori di legalità e trasparenza.
Si tenta di superare, in questo modo, una visione frammentata degli interventi con l’obiettivo di migliorare, attraverso la valorizzazione sistemica e integrata di risorse e competenze territoriali, le condizioni di offerta e fruizione
del patrimonio nelle aree di attrazione culturale e/o naturale tale da promuovere e consolidare processi di sviluppo territoriale.
È interessante notare che, nella descrizione degli obiettivi di sviluppo territoriale di cui ogni Regione si dovrà dotare, anche attraverso una condivisione ex-ante con le Amministrazioni competenti, si insiste sulla necessità di
promuovere modelli di gestione sostenibili e integrati, accanto alla necessità
di creare servizi innovativi di fruizione delle risorse anche grazie alla promozione di attività formative indispensabili per elevare le competenze del capitale umano.
In questa prospettiva, si individua nel settore turistico un punto di forza
del territorio italiano da porre in stretta relazione con il sistema delle imprese. Nel nuovo ciclo di programmazione sarà necessario che i fondi comunitari
cessino di essere indirizzati a interventi di mero recupero e restauro e siano
strettamente collegati a piani di gestione e ai servizi a essa collegati.
Nell’esperienza concreta, si tratta di un percorso complesso perché necessita
di un attivo coinvolgimento di vari soggetti, pubblici e privati, che, sui territori, hanno titolarità alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio cultura-
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le (soprintendenze statali, Regioni, enti locali, diocesi, fondazioni di diritto
privato, altri operatori pubblici e privati). Appare dunque necessario elevare
la qualità dei progetti, agganciando strettamente tutela, valorizzazione e gestione a programmi complessi e integrati tra diversi livelli istituzionali, anche
al fine di favorire la convenienza a investire da parte del privato.
A questo fine, Federculture e ifel / anci (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale / Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) hanno recentemente proposto4 che il nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 preveda
che, a livello centrale e/o regionale, i territori possano contare su un fondo per
la progettualità culturale che finanzi rigorosi studi di fattibilità con l’obiettivo
di dimostrare in anticipo la sostenibilità di progetti integrati e partecipati di
valorizzazione a base culturale.
Il nuovo strumento finanziario darebbe un rilevante impulso a una qualificata progettualità in campo culturale promuovendo lo sviluppo locale
attraverso la valorizzazione “di sistema” del patrimonio culturale, spesso
disperso tra vari livelli istituzionali. L’introduzione del fondo, infatti, potrebbe determinare le condizioni per un virtuoso sviluppo territoriale centrato sulla valorizzazione delle risorse culturali e naturali, in grado di cogliere obiettivi di efficienza/efficacia e di sostenibilità delle politiche culturali, favorendo altresì lo sviluppo di nuove imprese, profit e non profit, e
di nuova occupazione.
Introdurre e favorire una “cultura della progettualità integrata e partecipata” nei processi di valorizzazione del patrimonio storico-artistico-paesaggistico significa, infatti, disegnare un percorso di crescita civile ed economica
che contribuisce a rendere più attrattivo e vitale il contesto locale, anche in
chiave turistica. Un progetto integrato sostenuto da uno studio di fattibilità
affidabile, peraltro, sarebbe anche la condizione indispensabile per il coinvolgimento, oltre che di diversi livelli istituzionali e di altri soggetti pubblici (soprintendenze statali, enti locali, camere di commercio ecc.), anche di potenziali partner privati (fondazioni di origine bancaria, associazioni di categorie,
imprese, profit e non profit, associazioni) e sarebbe anche la pre-condizione
per porre i territori in condizioni competitive nell’assegnazione delle risorse
comunitarie.
Un segnale positivo arriva dall’analisi della bozza di Accordo di Partenariato (che definisce l’allocazione dei Fondi Strutturali), in cui si calcolano in
Claudio Bocci e Francesco Monaco (a cura di), Le forme di partenariato pubblico-privato e il fondo di
progettualità culturale, Federculture - Fondazione ifel/anci 2013
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Trasferimento dei modelli di gestione
per i siti archeologici nei contesti urbani.
Il progetto archeomedsites-enpi
Il rapporto che lega la cultura allo
sviluppo territoriale, nella sua doppia
dimensione di sviluppo economico
e di crescita sociale, è stato ritenuto
eleggibile anche dai programmi
europei del ciclo di programmazione
2007-2013 nell’ambito del Programma
enpi (European Neighbourhood and
Partnership Instrument), il programma
di cooperazione internazionale che
finanzia lo scambio di esperienze
e di buone pratiche con i Paesi
contigui all’Unione Europea.
Una specifica declinazione del
programma ha riguardato i Paesi
del Mediterraneo (enpi cbcmed,
Cross-Border Cooperation in the
Mediterranean) nell’ambito della
cooperazione transfrontaliera della
Politica Europea di Vicinato (pev).
Scopo del programma è rafforzare
la cooperazione tra Unione Europea
e i Paesi della sponda sud del
Mediterraneo, promuovendo un
processo di cooperazione armonioso
e sostenibile dell’intero Bacino,
valorizzando le potenzialità dell’area.
Il Programma enpi cbcmed, destinato
a quattordici Paesi sulle due sponde
del Mediterraneo, ha potuto contare
su un budget iniziale di 173,6 milioni di
euro a cui, a seguito di una valutazione
positiva della sua performance di
cooperazione transfrontaliera, sono
stati aggiunti 26,4 milioni di euro, per
un budget totale di 200 milioni di euro.
Nell’ambito di tale programma,
Federculture si è resa ispiratrice di una
concept note che, dopo una prima fase
di selezione, è stata successivamente
sviluppata in un progetto dettagliato
denominato archeomedsites,
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risultato vincitore dell’ultima call
del Programma europeo (che nel
prossimo ciclo di programmazione
cambierà denominazione in
ENI-European Neighbourhood
Instrument CBC Med 2014-2020, e
nella cui Autorità di Gestione è stata
riconfermata la Regione Sardegna).
Il soggetto capofila di
archeomedsites è la Direzione
Generale per il Paesaggio, le
Belle arti, l’Architettura e l’Arte
contemporanee del mibact, che guida
un partenariato in cui, per la sponda
sud del Mediterraneo, sono presenti
il Ministero della Cultura del Libano
e l’Institut National du Patrimoin
della Tunisia; per la parte italiana,
oltre a Federculture, sono presenti:
le Soprintendenze archeologiche
di Salerno/Avellino/Benevento/
Caserta e di Cagliari/Oristano, i
Comuni di Firenze, Siena e Carbonia,
l’Università di Sassari e la ong Ricerca
e Cooperazione. L’architettura
istituzionale del progetto può inoltre
contare su un qualificato numero di
partner associati tra cui è presente
anche il Centro Universitario Europeo
per i Beni Culturali (cuebc) che, con
Federculture, organizza ogni anno
Ravello Lab - Colloqui Internazionali in
cui l’idea progettuale ha preso luce.
L’obiettivo del progetto
archeomedsites è di creare una
rete di istituzioni del Mediterraneo
per la salvaguardia e la valorizzazione
di siti archeologici in contesti urbani,
per uniformare buone pratiche,
diffondere conoscenze, promuovere
scambi tra gli operatori del settore
e, in prospettiva, coinvolgere anche
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dall’europa risorse e opportunità per tornare a produrre cultura | 103
altri Paesi europei e del bacino del
Mediterraneo. In particolare, con
le attività che si svilupperanno fino
al dicembre 2015, si intende porre
le basi per creare e promuovere un
processo teso all’adozione di Piani
di gestione dei siti archeologici
individuati e linee-guida per garantire
salvaguardia, manutenzione e
valorizzazione degli stessi e dei
contesti urbani circostanti, anche
ricorrendo a iniziative condivise
di scambio e formazione degli
operatori. I siti individuati, oggetto
delle specifiche azioni previste dal
progetto, sono: Cagliari e CarboniaMonte Sirai in Sardegna, Paestum
e Velia in Campania, Cartagine e
Kerkouane in Tunisia, Tiro e Al Bass
in Libano. Per garantire più efficaci
modalità di tutela, valorizzazione e
gestione dei siti, anche nell’ottica di
una migliore fruizione degli stessi, il
progetto prevede il coinvolgimento e
la sensibilizzazione di differenti attori,
istituzionali e non, quali: istituzioni
locali, società civile, comunità
scientifica, giovani e studenti.
Le attività principali del progetto
archeomedsites riguardano:
a) laboratori rivolti a giovani e studenti
per aumentare la consapevolezza sui
temi della tutela e sulla valorizzazione
del patrimonio culturale;
b) organizzazione di eventi artistici
all’interno dei siti archeologici;
c) creazione di una rete stabile euromediterranea per la valorizzazione e la
gestione di siti storici e archeologici;
d) formazione specialistica
per l’adozione di metodiche
di pianificazione strategica e
di gestione di siti archeologici
definite dagli standard unesco;
e) mappatura e georeferenziazione dei
siti archeologici interessati al progetto.
archeomedsites si sviluppa nell’arco
di ventiquattro mesi e beneficia di
un budget totale di circa 2 milioni di
euro (www.archeomedsites.com).
oltre 100 miliardi di euro le risorse complessive, tra nazionali e comunitarie,
destinate alla coesione territoriale per il periodo 2014-2020, suddivisi in Programmi Nazionali che, trasversalmente e a condizione che si sappia lavorare
attraverso progetti complessi, possono vedere la cultura protagonista. Per le
Regioni meno sviluppate (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e in cui rientra anche la Basilicata), poi, è previsto uno specifico Programma Cultura che,
per evitare la dispersione di risorse sperimentata nei precedenti cicli di programmazione dei fondi europei, dovrà essere fortemente condizionato a una
elevata qualità progettuale di valorizzazione e gestione.
Il Programma prende le mosse dall’ultima fase di riprogrammazione del
poin 2007-2013 che ha messo in atto un modello decisionale basato su una
stretta cooperazione istituzionale e tecnica e che ha consentito l’avvio di una
mole consistente di nuovi progetti. Nella convinzione che la valorizzazione
del patrimonio culturale del Sud passi per l’individuazione e la realizzazione
di interventi strategici e territoriali, il pon Cultura 2014-2020 sarà largamente
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attuato per progetti e si fonderà su una strutturata cooperazione istituzionale
e su processi di co-decisione. Nel tentativo di evitare gli errori della programmazione precedente, che hanno portato a un disimpegno automatico di ingenti risorse destinate al patrimonio culturale, la filiera di decisione sarà “corta”
e diretta attraverso un costante coordinamento tra mibact (che si impegna
a innovare e rafforzare gli uffici centrali e le sue articolazioni territoriali) e le
Regioni. La struttura del pon sarà articolata lungo quattro assi ma il grosso
del finanziamento (fino al 75% delle risorse assegnate) sarà destinato all’Asse 1 – Rafforzamento delle dotazioni culturali – finalizzato al miglioramento
delle condizioni di fruizione degli attrattori culturali. Gli altri tre assi lungo
cui si svilupperà la programmazione riguardano: l’attivazione delle dotazioni
territoriali (che prevede interventi a favore delle imprese e cross fertilization
con i settori produttivi tradizionali e della filiera culturale); interventi per il
rafforzamento delle capacità istituzionali delle autorità pubbliche interessate
al miglioramento dei servizi resi ai cittadini; l’assistenza tecnica di supporto
alle Autorità di gestione del pon e a tutti gli attori a vario titolo coinvolti nel
Programma. È interessante notare che, per la prima volta, è previsto un plafond finanziario per la progettazione, tema su cui molto si è impegnata Federculture in questi anni.
Accanto alle risorse comunitarie assegnate all’Italia e distribuite lungo undici Obiettivi Tematici, ulteriori opportunità sono rinvenibili nell’ambito dei
programmi a regia comunitaria. Grande attesa, in particolare, tra gli operatori
culturali per le prime call in uscita di Europa Creativa, il nuovo programma
che, riunendo i precedenti Cultura e Media, assegna al settore circa 1,46 miliardi di euro nel settennio per i 28 Paesi dell’Unione Europea e che, per la
prima volta, integra, in una sezione transettoriale, il fondo di garanzia per il
settore culturale e creativo che partirà nel 2016. Pur ridotto rispetto agli 1,8
miliardi di euro inizialmente previsti, il Programma Creative Europe risulta
in crescita del 9% rispetto al settennio precedente.
Il Culture Sub-Programme, evoluzione del Programma Cultura 2007-2013,
vale il 31% del budget totale di Europa Creativa, i cui principali obiettivi, superando le finalità che nei decenni scorsi hanno interessato la mobilità e il
dialogo interculturale, riguardano progetti di cooperazione transnazionale
che riuniscano organizzazioni culturali e creative di Paesi diversi attraverso:
1) attività di network europei di organizzazioni culturali e creative provenienti da Paesi diversi;
2) attività promosse da organizzazioni a vocazione europea per lo sviluppo
di talenti emergenti e per la mobilità degli artisti/professionisti e la circola-
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dall’europa risorse e opportunità per tornare a produrre cultura | 105
zione delle opere nei settori culturali e creativi, in particolare delle piccole e
medie imprese;
3) traduzioni letterarie e loro promozione;
4) azioni speciali che diano visibilità alla ricchezza e alle diversità delle culture europee, come Premi europei, l’European Heritage Label e le Capitali Europee della Cultura.
Il budget complessivo di Creative Europe assegna poi 824 milioni di euro al Media Sub-Programme, pari al 56% del totale, e 183 milioni allo Strand
transettoriale, assorbito in larga parte dal fondo di garanzia sui prestiti erogati da istituzioni finanziarie nazionali.
Tuttavia, ponendo a confronto le cifre di Europa Creativa con altri programmi gestiti direttamente dalla Commissione Europea, come quelli destinati alla competitività delle imprese del turismo (cosme) che vale 110 milioni
di euro, ma soprattutto a quelli destinati alla ricerca (horizon 2020), all’Agenda Digitale, o allo sviluppo rurale, che beneficiano rispettivamente di 70,
11 e 95 miliardi di euro, sarà necessario che gli operatori culturali orientino
la loro attenzione anche verso altre fonti di finanziamento provando a inserire la cultura in interventi complessi e trasversali.
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parte ii
Autonomia gestionale
e competenze per qualificare
l’offerta culturale
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produrre bellezza: l’elogio del fare
Sergio Escobar*
A volte guardandola mi chiedo:
la mia mano pensa realmente?
Tullio Pericoli, “Pensieri della mano”
(ma potrebbe essere da Leonardo da Vinci)
Ho seguito, organizzato, “subìto” decine, forse centinaia d’incontri che avevano
come leitmotiv la legittimazione dei soldi investiti nella cultura, pubblici,
privati o misti che siano.
Quasi tutti diventati consunte ripetizioni di parole, di jingle, alibi all’inerzia
che sta asfissiando la capacità produttiva del Paese anche in questo settore.
Confesso responsabilità personali, recenti e più antiche.
Recenti: l’idea di una “costituente” scivolata verso la passerella di politici,
ministri (tanti) che si sono alternati ai governi (tanti) su cultura-motore dello
sviluppo, mentre i settori più produttivi erano sospinti da funzionari del Tesoro, nella sentina della Pubblica Amministrazione improduttiva.
Antiche: quarant’anni fa partecipavo (allora è un vizio!) all’elaborazione, al
Club Turati di Milano, dell’idea – allora davvero innovativa – dei “giacimenti
culturali” misconosciuti dal nostro Paese. Mai avrei pensato che questo portasse a una assurda separazione tra “bene culturale” e “fare cultura”.
Si sa, anche il miglior vino va in aceto se non bevuto a tempo debito. I “giacimenti”, da opportunità per fare, sono “girati” nell’aceto di una malintesa, ingombrante “eredità in sé”, gioia degli slogan italian style e incubo dei Ministri,
sottoposti fatalmente alla “prova del mattone”, ancor prima di insediarsi e darsi
* Direttore del Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
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una strategia. Il mattone crolla in qualche sito archeologico, minacciando, se
non stroncando sul nascere, carriere e responsabilità politiche.
Si sa, tutti i veri innovatori hanno liberato i figli dal peso, dalla zavorra
dell’eredità che indebolisce la creatività. Il “fatto da altri, in altri tempi” ne
offusca la vera origine e allontana da noi la necessità del “fare”, produrre cultura. Il patrimonio dei beni ereditati fa dimenticare che prima di essere tali
sono stati la scelta di qualcuno: di “farli”, produrli. Pietre, mattoni, pensiero,
idee, impresa, civiltà, possono essere separati solo da figli appesantiti da eredità immeritate, subite come ingombranti. Un Paese non può, come farebbe
qualsiasi cittadino, rinunciare al legato ereditario perché lo vive come minaccia e non come opportunità. Ma lo sappiamo, il degrado dell’eredità spesso
non è dovuto alle pur scarse risorse, ma all’incapacità di usarle. Di “fare”. Un
doppio tradimento per chi ha fatto nel passato, e per chi ora deve subire il
“bene culturale” come contrapposto al fare cultura.
Non m’invento “tecnico della nazionale” ma mi assumo la responsabilità di
dire che per siti, come Pompei e tanti altri del Paese, sarebbe il caso di invocare
meno “masterizzati” in economia irreale, più ingegneri (meglio periti tecnici),
idraulici (è paradossale che la civiltà che prima nel mondo ha inventato, nel
fare, la scienza idraulica, si sciolga sotto la pioggia), archeologi-esperti, competenti, pronti a sfidare i condizionamenti ambientali della sottoeconomia
locale (bancarelle e servizi igienici abusivi compresi) affiancati da “frotte” di
archeologi neolaureati disoccupati, che non aspettano altro che passare dal
banco al campo in tuta blu e cazzuola in mano.
Sono certo che quest’approccio indurrebbe molti più privati, ben intenzionati, a sostenere e promuoverne il valore. Mentre ora si sfruttano superficialmente l’indignazione e il disinteresse percepito dalla collettività.
E qui il punto che mi sta a cuore: non “nominalistico”, ma reale, segnale di
una malattia grave che minaccia crolli fisici dei “giacimenti”, ma non meno
la capacità di produrre cultura, eredità materiale e immateriale futura. Conservare e produrre sono, anche nel nome voluto dal Ministero, proposti come
inconciliabili, quando non opposti nelle scelte di governo.
Ogni assenza di visione genera mostri (e mostre?): così si passa da uno
stucchevole sballottamento tra privati sì, privati no (mentre si chiede loro
di supplire nei migliori dei casi, di sfruttare l’inerzia nei peggiori) in dispute degne dei “dentisti dantisti” di pasoliniana (Totò) memoria al sostenere (è
successo anche di recente su un importante quotidiano) che la produzione
culturale sia frivolezza, evanescenza, rispetto all’ipocrita senso di colpa per i
“giacimenti” che ci crollano sotto gli occhi. Questo nel Paese (e non solo nel
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Rinascimento) in cui cultura e fare, cervello e mano, “pensare con le mani del
fare” non si sono mai mossi separatamente. Esemplare lo spettacolo sui designer degli anni Sessanta-Settanta che abbiamo, lo scorso anno, realizzato con
Laura Curino al Piccolo.
Parlavo di “nominalismo” sintomo di una visione malata. Ci torno perché
ha conseguenze gravi.
L’Italia è l’unico Paese in Europa, ne sono certo, ma forse dopo più accurata verifica, al Mondo, in cui si sono spesi mesi in disquisizioni scolastiche
sul nome da dare al Ministero. In tutta Europa si ha il coraggio di chiamarli
“Ministri della Cultura”, a conferma che qualcuno si assume la responsabilità
e ha la possibilità di Governo (di Governo e non solo di Ministero) di tracciare strategie d’investimento produttivo tout court per la cultura. No, da noi
che siamo i sofisti della forma, il Ministero si chiama “dei Beni e delle Attività
Culturali”, certificando anche nel nome una separatezza, nell’orrido acronimo
mibact (la T si è aggiunta di recente, per il turismo!) capace di trasformare il termine in un dichiarato “ossimoro” nei fatti: conservare contrapposto a
produrre! Ma si è fatto di più. Criticai a suo tempo l’innaturale separazione
tra “spettacolo dal vivo” e (verrebbe da cedere a una facile necrofilia per contrapposizione) cinema e audiovisivi. Sto parlando di strategia (non di ovvie
minuzie burocratiche) nel Paese che la Cina studia e imita nello stretto intreccio (dal neorealismo in poi) tra teatro, musica e cinema.
Per di più nel momento in cui, non annullando peculiarità dei linguaggi,
immagine, parola, suono, si modificano e confrontano con nuovi immaginari
creativi e collettivi. La rivincita se l’è presa, come sempre, la realtà: il film che ha
riportato l’Oscar in Italia è interpretato quasi esclusivamente da attori teatrali!
Gli effetti, non nominalistici, di queste separatezze sono sotto gli occhi di
tutti, documentati con coraggiosa e lodevole capacità di denuncia e di proposte anche quest’anno dal lavoro di Federculture: effetti disastrosi sulla capacità di produrre cultura. Anche la produzione teatrale, quella che meglio
conosco, è in vertiginoso declino. Ne ho esperienza diretta: la quantità di
proposte che ci arrivano per essere “ospitate” nel nostro teatro sono numericamente diminuite in modo verticale. Non si tratta di una naturale selezione
“qualitativa” connessa alle diminuite risorse investite in produzione: al contrario, negli ultimi anni l’assenza di strategie a sostegno della produzione sta
generando “succedanei” che sono monologhi (non giustificati da scelte artistiche) in giro per l’Italia.
E se “pudicizia” o timore delle piazze mediatiche hanno suggerito maggior
prudenze agli assessori che si astengono da autoglorificazioni con eventi in
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“piazza” (diurni o notturni), plauso ricevono rassegne, festival, anche quelli
che non producono, se non immediato consenso.
La comparazione con il resto d’Europa è per noi impietosa e non per
potenziale creativo e di pubblico. Ma che senso ha parlare continuamente di
occupazione giovanile, quando questa deve e può esprimersi, anche nella sua
autonomia creativa, solo in un contesto che punti sulla dignità e la funzione
della “produzione culturale”? Che senso ha discutere del ruolo complementare
dei privati quando non si crede nel “fare” e ci si ferma all’apparire della bellezza
travolta dalla pioggia?
Sono convinto che la battaglia contro i disinvestimenti e le nuove burocrazie non solo debba dare risposta e prospettiva di lavoro alle nuove generazioni,
ma far superare quella distinzione tra “bene culturale” e produzione che trova
“consacrazione” nello stesso acronimo mibact. Sono anche convinto che con
questo approccio sarebbe più chiaro il ruolo del pubblico e del privato, nel fare
e non nel “mantenere”: ancora una volta scelgo uno dei possibili riferimenti.
Guardiamo a cosa furono capaci di fare gli architetti, gli artigiani, le imprese
nel dopoguerra inventando l’industrial design. Certo non tutto è imputabile
al mibact, né da esso risolvibile.
Mentre scrivo queste note (inutili, probabilmente) sento alla radio un autorevole Ministro di un autorevole dicastero dire: “Io di teorie non ne ho e
non ne voglio avere: voglio fare solo cose utili”. Qui sta il problema del nostro
Paese: quando va bene, le cose utili, senza una visione, diventano solo inutili!
E se non facessimo più l’ennesimo convegno sull’economia della cultura
(affannati a raccontare a sordi di “ritorno possibile”, di “ritorni che legittimino”), ma ne facessimo uno, uno solo, sulla “Cultura dell’Economia”? Forse il
rapporto tra produrre cultura e sviluppo del Paese che deve confrontarsi col
Mondo, troverebbe risposta. Finalmente.
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la pianificazione strategica del teatro stabile di torino
per trasformare la cultura da patrimonio a capitale di sviluppo
Evelina Christillin*, Filippo Fonsatti**
mission statement, vision e pianificazione strategica
Nella crisi globale dell’economia era inevitabile che lo spettacolo dal vivo facesse i conti con una drastica contrazione delle risorse pubbliche. La maggior parte delle istituzioni artistiche e culturali attive sul territorio nazionale si sono trovate di fronte a un bivio: reagire prontamente e dinamicamente adeguandosi al nuovo scenario, oppure tirare a campare in attesa di tempi
migliori, correndo il rischio di scomparire o perlomeno di compromettere le
proprie funzioni.
Per quelle aziende che hanno scelto la prima strada, si è trattato di cambiare
in modo responsabile ma radicale il modus operandi, di innovare la strategia e
di reingegnerizzare ogni fase del processo produttivo. Per esse la crisi ha dunque rappresentato un’opportunità da non perdere per abbandonare insostenibili pretese assistenzialistiche e guardare al futuro senza timore, riequilibrando le proprie fonti di finanziamento con il rafforzamento della componente
derivante dal mercato, a compensazione della calante base contributiva a carico della comunità, e ponendosi obiettivi sfidanti per essere più competitive.
Il legislatore, una volta tanto consapevole della situazione implosiva, ha colto l’attimo per emanare dispositivi (“Decreto Valore Cultura” 91/2013) abbastanza efficaci, che prevedono da una parte strumenti di “salvataggio” rivolti a
* Presidente della Fondazione del Teatro Stabile di Torino
** Direttore esecutivo della Fondazione del Teatro Stabile di Torino
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soggetti in crisi disposti a fare sacrifici per ristrutturare e adeguare la propria
modalità operativa, dall’altra incentivi a favore delle aziende che hanno voluto e saputo contrastare in tempo reale le difficoltà, mutando la propria organizzazione e innovando il sistema di gestione. L’indicizzazione dei contributi pubblici a parametri qualitativi e quantitativi oggettivi e svincolati dalle
clientele politiche premierà le imprese più intraprendenti, capaci di ampliare
il mercato e aumentare il fundraising.
Tuttavia, riguardo ai risultati attesi in termini assoluti, occorre richiamare in questa sede il cosiddetto Morbo di Baumol, dal nome dell’economista
statunitense che negli anni Sessanta del secolo scorso diagnosticò la tendenza ineluttabile all’aumento dei costi nei settori in cui la tecnologia non
può essere aumentata senza snaturare il prodotto, e in cui il processo produttivo è poco standardizzabile. E tra questi settori “a tecnologia stagnante”
Baumol portava ad esempio proprio lo spettacolo dal vivo (cfr. W.J. Baumol,
On the Performing Arts: the Anatomy of their Economic Problems e Performing
Arts: the Economic Dilemma). Atteso dunque che il sostegno delle istituzioni
pubbliche a un’impresa non profit che produce, programma e distribuisce
teatro d’arte e danza contemporanea sia “scientificamente” irrinunciabile,
ogni azienda dello spettacolo dal vivo non dovrebbe porsi come obiettivo il
miglioramento della redditività operativa, del pay back period o dell’internal
rate of return, ma piuttosto la “sostenibilità” e la riduzione dell’impatto sociale in una fase critica. “Sostenibilità” intesa sia come risultato economico
sia come valore etico, garantita innanzitutto dalla riduzione del fabbisogno
di finanziamenti pubblici, dall’aumento del fatturato e della percentuale di
ricavi propri sul valore della produzione, dalla riduzione dei costi fissi di
gestione, dalla capacità di attrarre sponsorizzazioni ed erogazioni liberali e
infine dalla consapevolezza della necessità di progettare in modo integrato
con altri soggetti per contribuire a rafforzare la vocazione e la redditività
turistico-culturale del territorio.
Facendo riferimento al Teatro Stabile di Torino, l’autonomia gestionale delle competenze del management ha assunto il modello dell’azienda composta,
capace di seguire una modalità operativa basata sulla progettazione integrata
per innescare un processo di trasformazione della cultura da patrimonio – tangibile o intangibile – a capitale di sviluppo e di mettere in moto meccanismi di
fruizione economica del bene culturale in grado di accompagnare e sostenere lo sviluppo del territorio, sia in termini di occupazione per l’indotto sia in
termini di attrattività per il turismo. Accanto a quanto prescritto dai decreti
legislativi che regolano le funzioni dei Teatri Stabili Pubblici e agli obiettivi
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statutari dei medesimi in termini di attenzione al soddisfacimento dei bisogni
di formazione culturale della comunità e della conservazione del patrimonio
culturale nazionale, il nostro Stabile ha focalizzato la propria strategia su un
sistema in cui rilievo particolare è dato alla capacità di autofinanziamento e
dunque di penetrazione sul mercato, diretto o indiretto, pubblico o privato,
nazionale o estero, collocandosi in modo integrato ed equilibrato tra azienda
di erogazione e azienda di produzione per il mercato e dunque riprogettando
la propria customer value proposition.
Contestualmente alla soddisfazione a prezzi accessibili dei bisogni della
comunità allargata che contribuisce a sostenere l’attività (offerta di spettacoli nei teatri direttamente gestiti, progetti educational per bambini e famiglie,
formazione del pubblico, ricerca in collaborazione con Università e Accademia, formazione professionale e conservazione degli edifici storici), lo Stabile
sta consolidando la valorizzazione economica dei propri asset, con l’obiettivo
di generare flussi finanziari.
Di seguito i dati comparati degli esercizi 2007-2013 che dimostrano il progressivo rovesciamento della percentuale di dipendenza dai contributi delle
pubbliche amministrazioni rispetto ai ricavi propri e a contributi privati (sponsorizzazioni, erogazioni liberali, sottoscrizioni, commesse conto terzi ecc.).
Ricavi vendite
e prestazioni
Contributi
delle PA*
Altri
contributi
Valore della
produzione
Contributi PA
su valore
della prod.*
2007
1.869.005
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18.331.385
70%
2008
2.897.901
12.050.000
1.366.000
16.313.901
65%
2009
3.207.959
10.421.997
1.941.000
15.570.956
59%
2010
5.074.341
8.999.000
1.882.588
15.955.929
50%
2011
4.326.336
8.901.605
2.086.600
15.314.541
52%
2012
3.748.935
7.940.998
2.899.855
14.589.788
50%
2013
4.464.431
7.472.000
1.800.000
13.736.966
50%
*Al lordo partite
di giro STT e
consumi intermedi * Al netto partite
di giro e consumi
intermedi
Anno
Presidio culturale permanente, facilità di accesso per tutte le fasce di censo e
anagrafe, formazione delle giovani generazioni, conservazione dell’identità culturale collettiva, miglioramento della qualità della vita, intrattenimento colto e
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intelligente, attrattività e competitività del territorio, loisir turistico, conservazione, valorizzazione di edifici storici e ovviamente ridotto impatto economico sulle
casse pubbliche: è l’insieme di tutti questi fattori il vero profitto sociale e il valore
aggiunto che legittima l’esistenza di un Teatro Stabile come il nostro, che negli
ultimi anni si è impegnato nella costruzione di un modello innovativo di sostenibilità economica e gestionale, attraverso l’integrazione di funzioni diverse, l’efficientamento del sistema produttivo, l’introduzione del lean e del change management e della balanced scorecard in un ambiente che poco li pratica.
il marketing mix
Product. Prima di qualsiasi altra considerazione, merita un approfondimento la
definizione delle caratteristiche del prodotto offerto che sta alla base della proposta di valore per il cliente (cvp). Esso si può definire nella maggior parte dei
casi un prodotto complesso, che richiede da parte del cliente conoscenze specifiche; e si basa su nozioni astratte, che presuppongono l’abilità del consumatore ad
apprezzare tali concetti. Ovviamente la complessità aumenta se il consumatore
non ha familiarità con il prodotto. Tra le caratteristiche vi è l’intangibilità, la deteriorabilità, la simultaneità e la dimensione circostanziale. E ancora, il prodotto
è multidimensionale: in certi casi la dimensione referenziale permette agli spettatori di situarlo rispetto a diversi punti di vista che variano secondo l’esperienza
e conoscenza individuale; in altri casi esso è giudicato dal punto di vista tecnico
per il valore dell’esecuzione; e infine, in altri casi ancora, prevale la dimensione
circostanziale legata a fattori percettivi anche effimeri durante la fruizione del
prodotto, come la consapevolezza dell’unicità della rappresentazione, lo stato
d’animo durante l’esperienza e la contestualizzazione spaziale. Inoltre i prodotti
del Teatro Stabile di Torino rientrano nella categoria degli acquisti specializzati, laddove il consumatore è pronto a impegnarsi per acquistare i biglietti in prevendita con un sovrapprezzo, a fare lunghe file al botteghino, ad attendere pazientemente il proprio turno al call center, a coprire distanze ragguardevoli per
assistere alla performance.
Date le peculiarità del prodotto sovraesposte, per aumentare il valore differenziale dell’offerta rispetto ai competitor, l’area marketing ha lavorato per rafforzare
i fattori critici di successo (fcs) sia perfezionandone le caratteristiche costitutive,
sia migliorando servizi accessori come la riduzione dei tempi di attesa al botteghino, la differenziazione degli orari di spettacolo, l’accesso wi-fi nei teatri con
possibilità di scaricare su smartphone e tablet contenuti multimediali sul pro-
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la pianificazione strategica del teatro stabile di torino | 117
dotto, un layout più accattivante del sito web, il comfort delle sale e dei foyer, le
convenzioni per il parcheggio.
Promotion. Considerate le peculiarità del prodotto, è molto importante la reputazione della marca, proprio in considerazione del fatto che spesso il cliente non
può sapere cosa compra e lo scoprirà nel momento stesso in cui fruirà del suo
acquisto. Dunque assumono un’importanza fondamentale: (i) la qualità percepita e (ii) la conoscenza del brand; (iii) la fedeltà o il livello di soddisfazione del
cliente; (iv) l’associazione con elementi importanti, come ad esempio attori celebri in cartellone; (v) gli asset tangibili e intangibili, ad esempio i mirabili interni
barocchi del Teatro Carignano o neoclassici del Teatro Gobetti.
Il combinato disposto di questi cinque elementi esprime la considerazione e
il valore della marca sul mercato e ciò è tanto più importante nell’ambito dello
spettacolo dal vivo. Pertanto spesso lo spettatore non acquista un biglietto per
il singolo spettacolo (La locandiera, Aspettando Godot, Amleto) bensì il prodotto offerto dal Teatro Stabile, che dovrà trarre vantaggio dall’alone che si viene a
creare attorno alla sua reputazione, e dovrà sfruttare la brand recognition per influenzare la percezione dei clienti/spettatori.
La pianificazione strategica del marketing del Teatro Stabile di Torino si è basata su due elementi fondamentali. Il primo è il risultato di un lavoro di segmentazione, targeting e positioning che identifica i profili e i processi di acquisto, l’attrattività potenziale, il sistema dell’offerta e le politiche di comunicazione e dal
quale è scaturita la focalizzazione sui prodotti/servizi illustrati ai punti precedenti;
il secondo è la piena disponibilità delle direzioni artistiche (teatro e danza) a collaborare con l’area marketing per ideare e produrre spettacoli (titoli, autori, interpreti) orientati verso il gap concorrenziale: competitività dell’offerta, prezzo relativo, comunicazione specifica e soprattutto progettazione integrata con il territorio.
Per quanto riguarda le attività above-the-line, si è progressivamente consolidata la capacità di spesa per inserzioni pubblicitarie, cartellonistica, iniziative
promozionali, new media ecc. Componente innovativa della strategia below-theline e del direct marketing è invece un team interno di giovani creativi, esponenti
della generazione digitale (pubblicitario, giornalista, informatico, videomaker,
grafico, webmaster), al quale è stata data una precisa consegna: elaborare idee
nell’ambito del cross media multicanale facendo ricerca sulle tecniche di web e
mobile advertising. A questo gruppo è stato inoltre affidato il compito di “gestire” i meccanismi d’influenza del valore da parte dei clienti attraverso i social networks e di sviluppare la vendita online di tutti i prodotti e servizi, con l’obiettivo
di innovare in modo progressivo le procedure attualmente in uso nel customer
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relationship management (crm) e in particolare di incentivare l’uso della tessera fedeltà Carta Stabile per monitorare dettagliatamente il profilo dei clienti.
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Place. I canali diretti di vendita del Teatro Stabile di Torino sono principalmente
due. Il primo è la vendita di biglietti al pubblico (singoli o multipli) per gli spettacoli programmati nelle sedi gestite direttamente. Il secondo è la vendita degli
spettacoli prodotti ad altri soggetti organizzatori (teatri, istituzioni, associazioni, festival, scuole, musei ecc.).
Per sostenere il primo canale, lo Stabile si è avvalso di due distinte modalità:
la vendita al box office e la vendita online. Ovviamente per ridurre i costi di gestione del personale addetto al front-office in biglietteria si è attuata una politica
d’incentivazione per l’acquisto online con sconti anche sensibili. Attualmente,
la percentuale di spettatori che comprano i biglietti online è pari al 25%, entro
il 2017 si prevede che salga al 50%. Per quanto riguarda l’acquisto “fisico” in biglietteria, si è garantita un’articolazione degli orari di apertura al pubblico che
ne favorisca l’accesso in pausa pranzo, al termine dell’orario di ufficio o il sabato.
L’adozione di una nuova applicazione per il ticketing ha consentito di migliorare i tempi e il comfort delle operazioni di acquisto dei biglietti, permettendo
al cliente di visualizzare in modo chiaro il proprio posto sulla pianta dei teatri grazie all’ottima definizione grafica e accorciando i tempi di elaborazione e
stampa dei biglietti.
La convenzione con l’ufficio turistico regionale Infopiemonte in piazza Castello ha consentito inoltre di avere un punto vendita fisico alternativo aperto
365 giorni all’anno con orario di apertura molto esteso. Sul fronte web, si è sviluppata una politica dei prezzi piuttosto aggressiva, un’ulteriore semplificazione
delle procedure di acquisto e una progressiva riduzione delle commissioni per
gli acquisti effettuati usando il circuito Vivaticket.
Per il secondo canale, ossia la vendita di produzioni, spettacoli e servizi, l’area
ha potuto contare su addetti “commerciali” di grande esperienza e forte credibilità, dotati di un importante portfolio storico di clienti ed è prevista la progettazione di un’area del sito web per potenziare l’e-commerce riguardo al noleggio delle
sale teatrali per convention, cerimonie, conferenze, matrimoni, manifestazioni.
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Price. È stata ampliata la differenziazione e la personalizzazione dei biglietti e
degli abbonamenti per assecondare in modo flessibile la curva della domanda:
per tipologia di teatro, posizionamento dei posti a sedere, tempistica (prevendita/lastminute) e modalità di acquisto (biglietteria/online), celebrità degli interpreti e dei titoli, periodo della stagione (inaugurazione, capodanno), età anagra-
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la pianificazione strategica del teatro stabile di torino | 119
fica del cliente, quantità di biglietti acquistati (ingresso singolo/abbonamento),
sconto gruppi o famiglie.
Per quanto riguarda invece il prezzo di vendita di prodotti e servizi a soggetti
terzi e partner, le economie di scala derivanti dalla progettazione e produzione
integrata con altri soggetti, unitamente alla progressiva standardizzazione e alla
parziale innovazione di alcune fasi delle operation, hanno ridotto i costi di produzione e dunque hanno ottimizzato il rapporto costo/prezzo garantendo un
miglioramento del mol.
Ottimi risultati sono stati raggiunti anche dal fatturato per il noleggio delle
sale teatrali, prodotto non core sul quale tuttavia il Teatro Stabile di Torino ha
deciso di puntare, sfruttando anche il successo congressuale del territorio per
offrire spazi ben localizzati in centro città e di un certo prestigio.
La gestione strategica del marketing mix ha migliorato in modo esponenziale
le prestazioni e la “redditività”: nel corso di un settennio si possono considerare pienamente raggiunti tutti gli obiettivi previsti nel business plan, sia sul fronte del contenimento dei costi fissi del personale dipendente, sia sul fronte degli
incassi da bigliettazione, sia infine sul fronte del fatturato, come si evince dalla
tabella che segue.
Descrizione
Anno 2007
Anno 2013
Differenza
Valore della produzione (= bilancio)
18.331.385
13.787.700
- 25%
Contributo Città di Torino
9.250.000
4.313.000
- 53%
Costi fissi del personale dipendente
3.810.664
2.980.000
- 21%
108
162
+ 50%
39
148
+ 279%
N. recite produzione (totale)
147
310
+ 110%
N. recite ospitalità
249
250
+ 0%
12.429
15.910
+ 28%
396
560
+ 41%
90.713
123.091
+ 36%
3.022
82.740
+ 2.650%
93.736
205.831
+ 120%
Ricavi da bigliettazione in sede
878.303
1.629.818
+ 97%
Fatturato per vendita spettacoli a terzi
990.703
1.752.708
+ 77%
N. recite produzione in sede
N. recite produzione fuori sede
N. abbonati
N. recite attività (produzione + ospitalità)
N. spettatori in sede
N. spettatori fuori sede
N. spettatori totali
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In particolare, riguardo alla legittimazione delle funzioni di teatro stabile
pubblico, assume un rilievo fondamentale la composizione della platea di abbonati, che nella stagione 2013-2014 ha sfondato la quota record di 16.000
unità, e che manifesta un’equilibrata rappresentanza della società in ordine a
censo, anagrafe, provenienza e grado di istruzione.
Il pubblico giovane (18-35 anni), coltivato anche attraverso i canali della
Scuola secondaria di secondo grado e dell’Università, conta quasi 7.000 abbonati (il 44% del totale!) e costituisce la risorsa più straordinaria del Teatro; lo “zoccolo duro” di età adulta, che predilige il posto fisso al Carignano
o comunque abbonamenti economicamente più impegnativi (da sei a dodici
titoli), conta 6.361 unità; gli abbonati over 65 che hanno scelto le recite pomeridiane del sabato sono circa 1.000; gli abbonati di Torinodanza sono 381;
infine gli abbonati che hanno preferito formule promozionali o ridotte, come
Regala il Teatro, sono 1.195.
Giovani 18-35
44%
Over 65
6%
Torinodanza
2%
Formule promo
8%
Adulti
40%
Segnaliamo in questa sede un indicatore significativo, ovvero il progressivo
consolidamento del numero degli abbonamenti acquistati tramite web: 3.410,
pari al 21% del totale. Un dato che premia gli investimenti fatti dallo Stabile
per sviluppare il marketing mix verso le nuove tecnologie, come il web-marketing, i social networks, l’e-commerce e la Carta Stabile quale strumento di fidelizzazione e tracciabilità dei consumi.
Conclusioni. Il modello di sviluppo elaborato e adottato dal Teatro Stabile
di Torino parte dalla consapevolezza che, per essere competitivo, deve garan-
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la pianificazione strategica del teatro stabile di torino | 121
tire, in modo contestuale, qualità e quantità nell’erogazione dei servizi alla
comunità di riferimento (redditività sociale) ma allo stesso tempo conseguire
l’ampliamento del proprio mercato (redditività economica).
La definizione di una nuova vocazione del sistema territoriale e il potenziamento della sua attrattività in una fase di forte cambiamento dell’identità
della Città e della Regione – da industriale a postindustriale, da prevalente
polo manifatturiero e agricolo a emergente polo della conoscenza, della cultura materiale e immateriale, dell’enogastronomia e del turismo – richiede la
convergenza responsabile di tutti gli operatori per trasformare le potenzialità
in attività economiche concrete.
Per quanto riguarda il Teatro Stabile di Torino, la sostenibilità di questo
modello di sviluppo passa attraverso la value innovation esposta in sintesi nei
paragrafi precedenti, che consente di evitare la concorrenza creando uno spazio di mercato incontestato, conquistando una nuova domanda e allineando
l’intero sistema delle attività dell’azienda con il doppio obiettivo della differenziazione e del contenimento dei costi (cfr. W. Ch. Kim e R. Mauborgne,
Strategia Oceano Blu). L’aggregazione della domanda del sistema cultura-turismo contribuisce inoltre a massimizzare le nuove opportunità di crescita e
la curva di valore è destinata a migliorare, perché accanto all’offerta di prodotti più tradizionali il Teatro Stabile di Torino ne propone di più innovativi.
In attesa che il legislatore metta mano a norme che davvero potrebbero
cambiare il destino della cultura nel nostro Paese (come per esempio la defiscalizzazione totale dei contributi privati di matrice anglosassone), tocca oggi
all’autonomia gestionale delle competenze del management proporre soluzioni alternative allo status quo per riequilibrare il peso che la comunità si assume attraverso la tassazione del mantenimento delle istituzioni (magari senza
fruirne) e per rilanciare definitivamente la competitività del comparto, con la
consapevolezza sempre viva – come ricorda l’installazione luminosa dell’artista cileno Alfredo Jaar sul timpano della Biblioteca Nazionale di Torino –
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il bene culturale tra tutela e valorizzazione
Cristina Acidini*
Nel portare alcuni pochi punti di riflessione sugli argomenti di questo rapporto, che sono poi quelli più attuali e ricorrenti nei dibattiti che si tengono
e nelle azioni che si intraprendono nel vasto ambito dei “beni culturali”, mi
limiterò a condividere alcune delle considerazioni – in gran parte ovvie, ma
pur sempre ineludibili – che di frequente capita a me e ai colleghi di dover
formulare e valutare nelle circostanze quotidiane del mio-nostro lavoro: vale
a dire nell’ambito della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico
ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze.
Essa è un organo periferico del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo dotato (dal 2003) di autonomia scientifica, gestionale, amministrativa e contabile, fermi restando la normativa della Pubblica Amministrazione e il controllo del Collegio dei Revisori entro il Consiglio d’Amministrazione, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Direzione
Generale competente del nostro stesso Ministero.
Le responsabilità che fanno attualmente capo a questa Soprintendenza, che
guido dal 2006, comprendono la conduzione diretta di 25 tra musei, parchigiardini storici, ville, cenacoli (centri di costo), che vanno, solo per esemplifi* Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della
città di Firenze
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care, dalle grandi Gallerie – Accademia, Palatina, Uffizi – alla minuscola ancorché preziosa Sala Capitolare del Perugino nell’ex convento di Santa Maria
Maddalena de’ Pazzi, oggi Liceo Michelangelo, dal centralissimo Giardino
di Boboli collegato con la reggia di Palazzo Pitti, alle Ville medicee che, del
sistema, rappresentano i più lontani capisaldi territoriali.
E comprendono altresì la tutela del patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico non conservato nei musei statali bensì diffuso sul “territorio”:
dove per territorio s’intende qui l’ambito geografico e amministrativo identificato dal Comune di Firenze, che contiene entro i suoi confini presenze
artistiche sbalorditive come le grandi chiese, i conventi e gli enti ecclesiastici, i musei degli enti locali, i patrimoni delle fondazioni, nonché le raccolte
e le opere singole dei privati proprietari e dei mercanti d’arte, ove dichiarate
d’importante interesse.
Questa premessa era d’obbligo per inquadrare le osservazioni che seguiranno, ispirate da un vissuto quotidiano certamente molto specifico, poiché siamo alla presenza di un addensamento di beni artistici e culturali che, avendo
pochi termini di confronto in Italia e nel mondo, genera aspettative e solleva
criticità in misura superiore alla media.
Se dovessi definire con la maggior possibile sintesi il principio ispiratore
delle scelte che si operano all’interno di questo sistema complesso (che ha
oltre 600 dipendenti e nel 2012 ha potuto contare entro l’autonomia su un
bilancio di oltre 20 milioni di euro) parlerei di ricerca di equilibrio: equilibrio fra istanze, valori, scopi tutti rispettabili, se non addirittura encomiabili,
ma proprio per questo capaci di giustapporsi in nette ed apparentemente irresolubili antinomie.
Nella lingua italiana, uno dei sinonimi di equilibrio è “bilanciamento”: lemma plastico, carico di storia, che rinvia non alle contemporanee bilance digitali,
ma al dispositivo di antichissime origini in uso fino a un paio di generazioni fa.
Il vocabolario Treccani lo descrive, analiticamente, in questo modo: “Strumento per la misurazione del peso di un corpo (o, più esattamente, della sua massa),
costituito, nel suo schema originario e tradizionale, da una leva a bracci uguali
(giogo), poggiata, nel suo punto di mezzo, su uno spigolo di un prisma triangolare
di acciaio o di pietra dura (coltello); alle estremità dei due bracci del giogo sono
sospesi due piatti uguali, destinati a sostenere gli oggetti da pesare e i campioni
di peso (a piatti vuoti, la bilancia è in equilibrio a giogo orizzontale)”.
Strumento, non a caso, assunto a simbolo della Giustizia. Perché, per trovare l’equilibrio occorre soppesare e confrontare, con tutto ciò che comporta: aggiungere, togliere, annettere, ricusare, in due parole valutare e scegliere.
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il bene culturale tra tutela e valorizzazione | 125
Peraltro, l’equilibrio che – con fatica e non sempre – si riesce a raggiungere
fra principi opposti e pratiche antitetiche, è per definizione instabile e transitorio, da ritrovare ogni volta. Tanto che, forse, andrebbe definito variabile
nell’una o nell’altra direzione, come la linea della battigia dove di onda in onda l’acqua prevale sulla sabbia, oppure la sabbia prevale sull’acqua. O magari,
compreso nel segmento centrale dell’arco, che un pendolo semplice descrive
oscillando fra gli estremi opposti...
Ma, uscendo dalle metafore, credo sia il caso di esemplificare alcuni dei
concetti tra i quali si è obbligati – se si opera quotidianamente nella tutela,
gestione, valorizzazione del patrimonio culturale – a cercare il punto d’incontro con una strenua mediazione. Per comodità retorica, ne ragionerò a coppie estremizzando il contrasto di partenza; ed elencherò le coppie in ordine
alfabetico (secondo l’iniziale del primo lemma), per non suggerire gerarchie
d’importanza che sarebbero opinabili e quindi improprie, con l’eccezione della coppia finale.
Aperto/chiuso. Crescono le aspettative di apertura dei musei e luoghi d’arte,
in termini di orari e di spazi. Condivido con i dipendenti tutti della Soprintendenza fiorentina lo scopo di aprire il più possibile il “sistema” museale: sale, ambienti, percorsi.
Due esempi. La Galleria degli Uffizi, teatro della più grande trasformazione museale in essere in Italia, grazie alla progressiva attuazione del progetto
“Nuovi Uffizi” da parte della Soprintendenza addetta alla tutela dell’architettura, dal dicembre 2011 presenta con regolarità al pubblico – allestite con
sculture e pitture – sale che mai prima d’ora erano state sedi d’esposizione
permanente, e insieme rinnova, all’insegna di un profondo ripensamento
critico e museologico, le sale dedicate ai massimi capolavori nella galleria
“storica” al secondo piano. Il tutto senza chiudere un giorno, né rinunciare alle mostre temporanee e alle attività culturali e organizzative diffuse nel
Complesso Vasariano, di cui fa parte la Galleria. Ma dal 2011 si è anche resa possibile una sostenibile apertura della già ricordata Sala Capitolare del
Perugino, minuscola enclave museale nel vasto complesso di Santa Maria
Maddalena de’ Pazzi, grazie a un complesso accordo che vede partecipe anche il volontariato.
Quanto agli orari, pochi si rendono conto che i musei statali italiani sono,
nel confronto internazionale, tra i più aperti in assoluto: dalle 8.15 alle 19, o
alle 17, o alle 14, a seconda dalle possibilità consentite dalle risorse umane e
finanziarie. Un giorno la settimana è di chiusura per le fisiologiche necessità
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di ogni museo (manutenzioni, campagne fotografiche, pulizie, traslochi, allestimenti, visite speciali...), pur mirando con un’alternanza tra musei di mantenere adeguata l’offerta al visitatore. I giorni di chiusura si limitano a tre, secondo la normativa attuale: Capodanno, 1° Maggio, Natale, che è molto meno
che in altri Paesi europei. Segnalati naturalmente nei siti web. Ma c’è sempre
chi s’indigna se, presentandosi in uno di quei tre giorni senza essersi prima
informato (cosa che invece farebbe, se avesse intenzione di prendere un treno
o di andare a teatro), trova chiuso il portone.
Esposto/in deposito. Nel tempo in cui viviamo, la visibilità di tutto per
tutti – 7/7 h24 – è non solo richiesta ma reclamata. Nel caso delle opere
d’arte, essa è uno scopo in parte già raggiunto, e comunque in via di raggiungimento con gli archivi digitali, che attraverso i siti web rendono accessibile il patrimonio (dati alfanumerici e immagini) all’utenza, da qualsiasi
pc o strumento analogo del mondo che si colleghi alla rete.
Altra cosa è la visibilità fisica. La conservazione di opere d’arte (e reperti e oggetti) nei depositi dei musei è una pratica non tanto imposta da
circostanze quali mancanza di spazi o carenza di personale, quanto piuttosto salutare e addirittura raccomandabile. Perché nei depositi, se idonei
e ben organizzati (niente sotterranei polverosi...), le opere sono disponibili per studi, restauri, estrazione per mostre temporanee in sede o fuori. E
poiché la stragrande maggioranza delle opere non è a livello di eccellenza
(perché mai i direttori e curatori sarebbero così stoltamente autolesionisti
da tener segregati proprio i capolavori?), la loro indiscriminata esposizione appesantirebbe oltre il sostenibile la visita museale, allungando i tempi,
aumentando la quantità e diluendo la qualità.
Uno storico dell’arte “conoscitore” deve vedere più opere possibile, anche
quelle mediocri, per formarsi a saper discernere la qualità nelle sue espressioni più alte: ma a un visitatore non è opportuno imporre uno sforzo analogo,
che renderebbe l’esperienza del museo faticosa e frastornante. Per gli studiosi,
invece, la consultazione dei depositi deve esser resa sempre possibile, giacché
vitale per il progredire della ricerca.
Gratuito/oneroso. A chi non piacerebbe fruire gratuitamente di accessi e
servizi, ovunque? E naturalmente anche nei musei? Esempi stranieri: il biglietto si paga pressoché ovunque. Al Metropolitan Museum di New York
viene “suggerita” energicamente una donazione minima. È gratuita la National Gallery of Art a Washington D.C. in quanto museo federale. Sono gra-
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tuiti i grandi musei di Londra (non le mostre temporanee al loro interno), ma
periodicamente si riaffaccia il quesito se istituire un biglietto, per far fronte
agli ingenti costi.
In Italia il mosaico delle situazioni è fitto e vario. Nei musei del Polo Fiorentino, ville, cenacoli e altri spazi sacri (circa 10 su 25 musei e luoghi d’arte) sono ad accesso gratuito. Per i restanti vige una bigliettazione composita
che va dalla gratuità per gli aventi diritto, secondo la legge (con estensione
ai minori extracomunitari), alla somma di biglietto base, maggiorazione per
mostra temporanea, e volendo, prenotazione: servizi gestiti dall’ati concessionaria dei servizi ex aggiuntivi e oggi d’accoglienza, con il controllo della
Soprintendenza e dei ministeri sovraordinati per il bilancio. Anche in Italia
si discute attorno alla gratuità dell’accesso, che certo avrebbe un positivo impatto sulla preparazione e sulla sensibilità dei cittadini in campo artistico, ma
le continue restrizioni della disponibilità finanziaria non la rendono possibile,
se non in occasione di “giornate” e “notti” speciali.
La contrapposizione continua quando si parla di canoni per la concessione occasionale di spazi a terzi (dalla gratuità applicata per le Onlus ai canoni
importanti esigibili per eventi impegnativi) e di indennizzo per il prestito di
opere ad altri musei o soggetti organizzatori. In quest’ultimo caso, mentre la
richiesta e il pagamento di fee sono prassi comune in certi Paesi europei e non
(fee a tariffa fissa, oppure mimetizzate da campagna fotografica, rimborso spese, assunzioni temporanee ecc.), si preferisce stipulare accordi e convenzioni
che inquadrino il “beneficio” richiesto in uno scambio comunque caratterizzato da finalità culturali.
Passato/presente. Quando si è in una città d’arte e nel cuore di un sistema museale che annovera il primo museo dell’Europa moderna, il rapporto tra le testimonianze di una creatività che si misura con i millenni, stratificate, pregevoli, da tutelare, e le manifestazioni dell’arte d’oggi locale e
globale, non può che generare delle tensioni. Artisti e fautori del contemporaneo reclamano i loro spazi, affermando che la città storica – Firenze
tra le prime – col suo soverchiante patrimonio antico soffoca e inibisce le
espressioni innovative.
C’è del vero. E d’altronde, arricchire (alterare?) percorsi e contesti, che la
storia ha modellato con interventi concrescenti e reciprocamente compatibili,
per introdurre i volumi, le materie, i linguaggi di manifestazioni che hanno
preso ampiamente le distanze da quei codici creativi ed espressivi, comporta
rischi ingenti.
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Crediamo sia però da assicurare, nel nome di una continuità che sempre
più rappresenta una sfida, l’ingresso di opere d’arte contemporanee nelle raccolte aperte dei nostri musei, specialmente quelle della Galleria del Costume,
del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e degli Uffizi stessi, in particolare con gli autoritratti d’artisti, nonché del Giardino di Boboli, prediletto da
grandi scultori contemporanei.
Prestare/negare. Un dilemma ricorrente ovunque, tanto che il programma
d’interesse europeo Collections Mobility si basa su un documento del 2005, redatto da un gruppo di esperti del quale feci parte, che fu pubblicato col titolo
Lending to Europe ma che ebbe in un primo momento come titolo di lavoro
un amletico To lend or not to lend, prestare o non prestare.
A Firenze, il solo Polo Museale supera ogni anno i 1500 prestiti in uscita, senza contare le autorizzazioni riguardanti opere del “territorio” a cura dei
funzionari dell’Ufficio Città di Firenze. Numerosi sono anche i prestiti in entrata, in un regime di reciprocità non solo teorico ma pratico.
L’eventualità, o meno, di un prestito, porta con sé una serie di valutazioni
che vertono principalmente sullo stato di conservazione dell’opera e sull’opportunità di concederne il prestito. Se per il primo esistono parametri relativamente oggettivi, che vanno dalla valutazione dello stato dell’opera alla
considerazione dei requisiti del trasporto e dell’esposizione, per la seconda
tutto si fa più complesso e sfumato, sebbene esistano, museo per museo, liste
di opere per le quali il prestito è sconsigliato ed è negata l’esportazione temporanea. Per i politici ci sono ragioni politiche per prestare, per i diplomatici
ragioni diplomatiche, per gli organizzatori economiche, per i prestatari ragioni di completezza scientifica ma anche di prestigio... Occorrono motivazioni
davvero valide perché sia tolta dal suo luogo abituale un’opera, la cui assenza
potrà deludere il pubblico dei visitatori che conta di trovarla. Per questo, più
serenamente, si prestano le opere dei depositi, protagoniste o comprimarie di
mostre in Italia e all’estero, che pure conseguono interesse e successo. In generale tuttavia siamo molto generosi di prestiti a Paesi stranieri, visto il successo delle mostre che rappresentano l’Italia (esemplare in questo la grandiosa
mostra Florenz! organizzata a Bonn) e i benefici di ritorno che ne vengono.
Pubblico/privato. Molti dei nostri musei sono caratterizzati, attraverso la loro
storia, da un’origine privata evolutasi – specie dal Settecento, il “Secolo dei Lumi” – verso una destinazione pubblica per l’incivilimento dei cittadini. Questa
dialettica si ripropone oggi in termini diversi: se e quanto il settore privato par-
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tecipi alla gestione di beni culturali pubblici. Per gli operatori, sostenuti dagli
economisti (e nutriti di esempi e manualistica d’area anglosassone), partecipa
troppo poco: solo il privato potrebbe, in quest’ottica, garantire la sostenibilità
anzitutto finanziaria di un sistema museale diffuso, diversificato, oneroso, spesso
vetusto e scarsamente redditizio. Da qui, la retorica mineraria dei giacimenti e
del petrolio, invalsa negli anni Ottanta del secolo scorso. Per altri osservatori,
tanto interni quanto esterni al sistema dei beni culturali, i soggetti privati devono assumere solo ruoli marginali o addirittura essere estromessi, affinché sia
assicurata la prevalenza o l’esclusiva della conduzione pubblica, unica garanzia
di conservazione, di serietà scientifica, di corretta interpretazione e presentazione del patrimonio, specialmente museale (nonché di tutele per il personale
interno), e si scongiuri un riprovevole arricchimento di organizzazioni private.
La tenuta dell’equilibrio fra questi due estremi conflittuali è particolarmente
laboriosa, anche in ragione delle semplificazioni (e delle strumentalizzazioni) cui
gli organi d’informazione e l’opinionismo pervasivo danno decisivi contributi.
Occorre anzitutto far presente che il settore privato è già largamente coinvolto nella gestione museale con forme di partenariato, sponsorizzazione,
presa in concessione di servizi ex aggiuntivi e oggi d’accoglienza. Quest’ultimo ambito, la concessione dei servizi, ha creato negli anni un movimento
economico interessante sia per il privato gestore che per il soggetto pubblico
– Soprintendenza, museo o sito – così da rendere indifferibile il riordino e il
potenziamento di queste attività, anche tramite le gare.
Si tratta quindi di capire quanto e se convenga estendere questa partecipazione, e con quali effetti per il patrimonio e per i lavoratori. Vi sono aree in
cui si può migliorare e potenziare l’offerta al pubblico con investimenti privati:
penso all’oggettistica museale, nella maggior parte dei casi standardizzata, triste
e rinunciataria, laddove invece le potenzialità editoriali e di creazione artigianale basate sul nostro patrimonio sono immense, o ai contributi per i restauri
e riallestimenti d’interi comparti museali. O all’arricchimento delle raccolte
con donazioni. Senza dimenticare che presso i privati che operano integrandosi con i musei pubblici, molti laureati e professionisti esordienti trovano le
loro uniche opportunità per un lavoro corrispondente alla loro preparazione,
purtroppo precario e spesso sottopagato, ma in parte almeno compensativo rispetto alla chiusura del settore pubblico, dove il lungo blocco delle assunzioni
ha azzerato il turn-over tagliando fuori proprio i giovani. Quanto alla gestione
vera e propria del museo, ritengo fondamentale che il controllo della qualità
di qualunque iniziativa, permanente o temporanea, scientifica o divulgativa,
resti affidato a rappresentanti pubblici selezionati con criteri di trasparenza.
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Tutela/valorizzazione. Ecco una coppia di principi che mai nessuno di noi
vorrebbe veder confliggere. Ma dagli anni Novanta del secolo scorso, maldestre concessioni alle pressioni delle autonomie locali – vedi la modifica del
Titolo V della Costituzione, di cui finalmente si sta riconoscendo l’inopportunità – hanno fatto “passare” il concetto che la tutela e la valorizzazione non
siano le due facce della stessa medaglia, bensì due ambiti separabili e addirittura passibili di gestioni differenti, l’una statale, l’altra regionale.
In realtà il “bene culturale” ha bisogno di entrambe, e la sua collocazione ottimale non può essere che fra le due: protetto e conservato dalla tutela (senza
rigori ingiustificati), interpretato e portato all’attenzione dalla valorizzazione
(senza concessioni fuorvianti).
La demarcazione tra le due è una linea particolarmente mobile e fluttuante,
tanto che conviene considerarle sempre insieme, fin dall’inizio di ogni progetto. Ciò è particolarmente vero nel caso esemplare di un intervento di restauro: atto supremo di tutela (ai fini della conservazione del bene e della sua
“consegna” alle generazioni future) e insieme occasione di valorizzazione, in
ragione delle aumentate conoscenze, degli studi svolti o rinnovati, della condivisione con il pubblico. Due esempi attualissimi: il restauro dello Sposalizio
della Vergine del Rosso Fiorentino (1523) e la Visitazione del Pontormo (152830), che hanno messo in sicurezza due capolavori della “maniera” fiorentina
ma anche rivelato la loro pittura, di qualità mirabile, nella mostra dedicata ai
due maestri fiorentini in Palazzo Strozzi.
Vicino/lontano. Un’iniziativa, un prestito o una mostra intera si rivolgono a
pubblici diversi, ma tutti – negli auspici – ugualmente sollecitati ad accostarsi al patrimonio artistico e alle conoscenze collegate ad esso, con curiosità e
con vantaggio.
La serie di mostre La città degli Uffizi tocca città e luoghi del territorio fiorentino e toscano (ma anche italiano), portando per ogni sede le opere d’arte
e le testimonianze più appropriate a ricostruire antichi legami e a proporne di
nuovi, nel rispetto delle culture locali. Ma dagli stessi Uffizi, dagli stessi musei
del Polo partono mostre appositamente progettate e ordinate che raggiungono capitali e città non solo d’Europa, ma di regioni del pianeta che solo negli
ultimi anni si sono manifestate desiderose di relazioni culturali imperniate
sull’arte: Russia, naturalmente, e poi Giappone, Cina, Brasile, in prospettiva
Corea, gli Emirati.
Il rischio più grave è la semplificazione del messaggio: da Firenze tutti si
aspettano il Rinascimento e dunque Botticelli (magari i suoi quadri più ina-
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movibili!), Leonardo da Vinci, Michelangelo e via enumerando. Difficilissimo, invece, promuovere i Macchiaioli, pur protagonisti di una mostra di strepitoso successo ultimamente all’Orangerie, il cui titolo instillava l’artificioso
dubbio: Des Impressionistes Italiennes? per strizzar l’occhio al pubblico francese.
Noce/lama. In deroga dall’ordine alfabetico, propongo per ultima questa
“strana coppia” (anche se, esondando dalle pagine a me assegnate, potrei continuare con un lungo elenco di coppie conflittuali, come: ricerca/divulgazione, massa/élite, tecnico/politico, centro/periferia, museo/territorio ecc.). Una
coppia che simboleggia le possibilità che si presentano a chi quotidianamente
si trovi preso tra l’incudine e il martello. Se si è noce, si finisce subito stritolati. Se si è lama, ogni colpo contribuisce alla forgiatura. E in questo secondo
caso, non ci si stupisca se la personalità via via acquisita avrà dei lati taglienti.
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un’anomalia siciliana. la gestione pubblico-privata
del palazzo reale di palermo
Francesco Forgione*
La Sicilia fa sempre molto parlare di sé: regione di frontiera, metafora di tutte
le contraddizioni del Paese, laboratorio politico che anticipa i processi nazionali, concentrato di tutti i mali che affliggono la vita pubblica e degli sprechi
di denaro che stanno affossando il sistema. E poi, naturalmente, le cronache
giudiziarie sulla mafia e i suoi rapporti con la politica e l’imprenditoria, ricorrenti, quasi quotidianamente, in prima pagina. Si potrebbe continuare.
Da tempo, è questo il leitmotiv scelto dalla stampa e dai media nazionali
nella rappresentazione dell’Isola che, dopo oltre mezzo secolo di autonomia
speciale, ha dissipato un patrimonio di risorse pubbliche e produttive. Ma
occorre dire che questa è spesso anche l’autorappresentazione che le classi
dirigenti susseguitesi negli ultimi decenni hanno dato di sé, non discostandosi molto dallo stereotipo loro assegnato, giungendo del tutto impreparate
agli appuntamenti e alle sfide che l’Europa e il nuovo mondo globale ponevano all’Isola, alle sue ricchezze e alla sua collocazione strategica nel cuore
del Mediterraneo.
Tutto il resto rimane in ombra, compresi i processi di modernizzazione
che hanno trasformato il paesaggio agricolo o lo sviluppo di aree di speri* Direttore Generale della Fondazione Federico ii di Palermo
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mentazione avanzate dell’intreccio tra ambiente, cultura, enogastronomia,
artigianato, che oggi rappresentano le vere potenzialità di una moderna e
innovativa imprenditoria e una nuova capacità attrattiva dell’Isola nelle rotte del turismo nazionale e internazionale. Ovviamente queste, nell’attuale
mercato dell’informazione, sono notizie poco appetibili, buone per i report
televisivi di trasmissioni come “Mediterraneo” o “Alle falde del Kilimangiaro” ma non per soddisfare la voglia di forca e antipolitica che attraversa l’Italia da nord a sud.
Eppure quando si parla della Sicilia, si deve anche, e per forza, pensare alle sue ricchezze artistiche e naturali, alla memoria delle sue “pietre” e al suo
patrimonio archeologico, all’intreccio di storia, cultura e natura che rendono
l’Isola un deposito unico di bellezze. La loro fruibilità oggi rappresenta l’unico settore con potenzialità espansive, dopo decenni di politiche di sviluppo
alimentate con fiumi di denaro pubblico dello Stato e della Regione, il cui
fallimento ha lasciato soltanto aree desolate di archeologia industriale e devastazioni ambientali da risanare.
Turismo e cultura, quindi. La retorica da convegno è facile e ricorrente, le
scelte da compiere e gli investimenti di valore strategico molto più difficili
da realizzare. Soprattutto quando impattano nel rapporto distorto tra pubblico e privato e di fronte a una gestione del “pubblico” che, nel corso degli
anni, ha trasformato la Regione siciliana in uno degli ultimi reperti sopravvissuti di “modello sovietico”, con sprechi e spesa clientelare senza alcun ritorno produttivo.
Il settore dei Beni culturali non poteva rimanerne estraneo e i dati resi pubblici dall’Assessorato regionale sul rapporto tra dipendenti dei musei regionali, visitatori e incassi annuali, ne forniscono la rappresentazione plastica: dal
Museo Abatellis di Palermo, con 120 dipendenti e 109.000 euro d’incasso, al
Museo Pirandello di Agrigento, con 65 dipendenti e 36.000 euro di entrate, al Museo della Ceramica di Caltagirone con 22 dipendenti e 10.000 euro
d’incasso o il Museo archeologico di Gela, con 39 dipendenti e 3.712 euro
di entrate. O, ancora, il Parco archeologico di Himera, con 36 dipendenti e
1.669 euro di incasso e il Museo regionale di Caltanissetta, con 39 dipendenti
e 987 euro di incasso, fino al Museo del Carretto di Terrasini con 50 dipendenti e 4.666 euro di incasso.
Leggendo questi numeri, sui quali Federculture ha posto più volte l’attenzione, il quadro che emerge è sconfortante. Ed è ancora più preoccupante,
guardando al futuro, se messo in relazione con le casse vuote di una Regione che nell’ultimo anno, a caccia di risorse e di risparmi, ha scelto di taglia-
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re in modo “lineare” proprio i fondi da destinare alla cultura e alla sua promozione. Una scelta rilevatasi profondamente sbagliata: inutile dal punto di
vista della razionalizzazione del sistema della spesa, e incapace di intervenire in modo selettivo sugli sprechi delle risorse e sui livelli di improduttività
del patrimonio pubblico, che, invece, avrebbe bisogno di vedere valorizzate
e sostenute le potenzialità delle istituzioni e degli enti che, nonostante tutto, hanno saputo dimostrare una gestione virtuosa dei beni culturali e della
loro fruibilità turistica.
In questo quadro non certo idilliaco, l’esperienza della Fondazione Federico II di Palermo può considerarsi un’anomalia positiva, naturalmente non
senza limiti e contraddizioni.
La Fondazione è stata istituita con legge nel 1996 come braccio culturale
dell’Assemblea Regionale Siciliana, e nel 1998 riconosciuta dalla Regione. La
cosa in apparenza può sembrare strana, in realtà non lo è.
La sede dell’Assemblea Regionale Siciliana è il Palazzo Reale di Palermo,
noto comunemente come Palazzo dei Normanni. Non si tratta quindi di uno
dei tanti anonimi palazzi della politica e dell’amministrazione pubblica, ma
di uno dei più bei siti storici dell’Isola, residenza di re e imperatori, e quindi
il palazzo del potere più importante della storia della Sicilia che da secoli, e
ancora oggi, continua ad avere questa funzione.
Dal 2005, una nuova legge regionale assegna alla Fondazione il compito di
gestire i servizi aggiuntivi per la visita turistica del Palazzo che, al suo interno,
“ospita” il gioiello per eccellenza del patrimonio arabo-normanno, la Cappella Palatina, oltre alla Sala di Ruggero con i suoi mosaici, la Sala d’Ercole affrescata da Velasquez, la Sala Duca di Montalto utilizzata per le mostre, per
finire nello spazio sotterraneo delle mura puniche, tra i primi insediamenti della città di Palermo. Nasce così un servizio che, altrimenti, l’Assemblea
regionale non avrebbe potuto svolgere direttamente se non facendo lievitare
enormemente i costi del proprio personale che, peraltro, ha una missione ben
diversa da quella di offrire servizi turistici.
Il Palazzo Reale e la Cappella Palatina quindi non rientrano nella gestione diretta dell’Assessorato ai Beni culturali della Regione, ma, attraverso la
Fondazione Federico II, hanno una loro autonomia gestionale. Ed è proprio
questa la ragione che ne caratterizza l’anomalia.
Credo sia utile analizzarne sia le caratteristiche positive sia i limiti, per
comprendere come un modello gestionale, nato per esclusiva volontà e con
risorse pubbliche, se razionalizzato, può misurarsi nel campo aperto del mercato turistico-culturale.
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La Fondazione ha attualmente 43 dipendenti, tra i quali tre giornalisti per
la redazione di Cronache parlamentari siciliane, l’organo informativo dell’Assemblea regionale. Sono gli unici dipendenti inquadrati con contratto giornalistico. Del resto, per statuto, oltre alla promozione del patrimonio artistico
e culturale della regione, la Fondazione ha anche il compito di valorizzare la
memoria e la storia della Sicilia e informare sull’attività parlamentare e istituzionale. E non va dimenticato che l’Assemblea Regionale Siciliana rappresenta il più antico parlamento italiano e uno dei più antichi d’Europa.
I dipendenti della Fondazione impegnati nella gestione dei servizi aggiuntivi al Palazzo e nell’amministrazione sono quindi 40. Non sono pochi, anche
se la maggioranza ha un contratto part-time.
I dati relativi ai visitatori negli ultimi anni indicano una tendenza positiva:
a fronte dei 344.341 visitatori del 2012, dei quali 198.602 paganti e 145.709
con biglietto omaggio, per un totale di incassi di 1.566.000 euro, nel 2013
abbiamo registrato una presenza di 362.984 visitatori, dei quali 278.705 paganti e 84.279 con biglietti omaggio, per un incasso totale di 1.960.000 euro. Nei biglietti omaggio sono inclusi 35.000 studenti e i visitatori under 18.
È bene riflettere su questi numeri. Dall’aprile del 2013 la Fondazione ha
deciso di istituire il biglietto anche per gli over 65. Ovviamente si tratta di
un biglietto ridotto al costo di 5 euro, ma questo ha portato un incremento
delle entrate di 400.000 euro, anche grazie alle fasce di età dei visitatori che,
in particolari periodi (settembre, ottobre, novembre, marzo, aprile), fanno registrare una prevalenza di persone della terza età.
Va però rilevato come nel 2013 vi sia stato anche un incremento assoluto
di 18.643 visitatori rispetto al 2012. Anche se si tratta di un aumento di meno del 10% sul numero dei visitatori dell’anno precedente, indica una tendenza interessante.
In questi tempi di crisi infinita, e con una precarietà delle condizioni di vita che spinge le famiglie e le persone al taglio di ciò che nel senso comune è
considerato superfluo, sarebbe necessario che su questi dati, oltre agli operatori privati, che hanno il compito di qualificare e indirizzare l’offerta, riflettessero anche gli amministratori di Palermo e della Regione per adeguarvi
le scelte e gli investimenti indirizzati alla promozione. Ma la cosa non è così
scontata. Anzi, da oltre un anno, il primo impatto che si ha giungendo nella
capitale della Sicilia è quello con montagne di rifiuti prodotte da una “emergenza” diventata strutturale.
Eppure, l’aumento di presenze turistiche al Palazzo Reale e alla Cappella
Palatina, fatta salva la mobilità del turismo interno all’Isola, indica una più
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generale tendenza alla scelta della Sicilia come luogo per le proprie vacanze.
Del resto, guardando i dati, il Palazzo Reale rappresenta il complesso monumentale più visitato di Palermo, registrando da solo più del doppio delle presenze e degli incassi di tutti i siti museali dell’intera città e provincia (Duomo di Monreale, Castello della Zisa, Chiesa di San Giovanni degli Eremiti,
Museo Abatellis ecc.).
Evidentemente le crisi che hanno investito e continuano a infiammare alcuni Paesi del Mediterraneo, dall’Egitto alla Tunisia, hanno deviato parte del
flusso turistico verso l’Isola, con un notevole aumento di presenze anche in
novembre e un boom nel periodo di fine anno 2013 e inizio 2014.
Una tendenza interessante quindi, ma che non si può considerare irreversibile. I flussi turistici, è un dato certo, sono soggetti a rapidi mutamenti
legati non solo agli andamenti del mercato, ma anche a diversi fattori ambientali (in questo caso l’insicurezza di alcuni Paesi dell’area mediterranea).
Sarebbe quindi irresponsabile non cogliere queste potenzialità per provare
a consolidare e rendere stabile, almeno a medio termine, l’attenzione verso
la Sicilia. Ma, anche in questo campo, non tutto è semplice: dopo diversi
anni, solo nel 2013, la Regione siciliana ha deciso di partecipare alle fiere
nazionali e internazionali.
In questa situazione, qualità dell’offerta e valorizzazione del patrimonio ci
riportano all’anomalia della Fondazione Federico II, ovviamente riguardo al
contesto siciliano.
La prima anomalia riguarda il rapporto tra il personale impiegato, presenze
turistiche e incassi: basta fare il raffronto con i numeri riguardanti i siti gestiti direttamente dalla Regione e dalla sua società di servizi, per comprendere
quanto una gestione razionale possa abbattere i costi e offrire servizi efficienti
e di qualità. Anzi, credo debba fare di più anche la Fondazione che guido da
soli sei mesi e che intendo traghettare nel mare aperto del mercato, per liberarla, vista anche la crisi di liquidità delle casse pubbliche, da ogni dipendenza dalla spesa regionale.
Del resto, già con il bilancio di previsione per il 2014, non ci sono voci
in entrata da parte della Regione siciliana e dell’Assemblea Regionale Siciliana: i finanziamenti pubblici alla Fondazione sono scesi dai 600.000 euro
del 2011, ai 588.000 del 2012, ai 35.000 del 2013, più il contributo dell’Assemblea regionale, finalizzato esclusivamente alla pubblicazione del proprio
organo, Cronache parlamentari siciliane. Ed è bene chiarire che i 35.000 euro
del 2013 non sono stati assegnati per sostenere l’attività dei servizi aggiuntivi, ma per la realizzazione di progetti di valorizzazione turistica (Itinerari
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federiciani, seguendo le orme storiche di Federico II nelle diverse provincie
siciliane, con convegni e visite per le scuole), l’attività didattica finalizzata
all’inclusione sociale attraverso la fruizione dell’arte (progetto di formazione di piccole guide per 150 bambini e ragazzi delle scuole del cep – Centro
Edilizia Popolare – e Zen, aree a rischio di Palermo) e il convegno storico
con le università sui 70 anni dello sbarco americano in Sicilia.
È importante evidenziare queste attività, perché la svolta che si vuole imprimere alla Fondazione è strettamente legata a una nuova visione della promozione e dell’attività culturale collegata alla gestione e alla valorizzazione
del complesso monumentale.
L’altro aspetto è strettamente legato al modello di gestione dei servizi. La
biglietteria del Palazzo Reale, in tutta l’Isola, è l’unica informatizzata e munita
di biglietto elettronico. Ovunque sarebbe una cosa ovvia, in Sicilia non lo è.
Chi controlla i flussi finanziari e ne assicura la tracciabilità se nessuna biglietteria è dotata di controllo elettronico? Nessuno, e, infatti, le denunce e le
inchieste sulla gestione dei beni culturali si susseguono. E così, con il “controllo a mano” sono gestiti siti con centinaia di migliaia di visitatori, come il
teatro di Taormina, la Valle dei Templi di Agrigento, il Teatro Greco di Siracusa, la Villa del Casale di Piazza Armerina, il Tempio di Segesta e tutti gli
altri parchi e musei della regione.
Se, infatti, si confrontano gli incassi complessivi della Regione con l’importanza dei siti e il flusso dei visitatori, si capisce subito che i conti non tornano né in termini di gestione né di trasparenza, svalorizzando così l’unica vera
risorsa pubblica che potrebbe produrre profitto.
La Fondazione, tra i suoi servizi, offre un buon bookshop e una videoguida
in sei lingue (italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo, giapponese), con
una rigorosa spiegazione del Palazzo e della Cappella Palatina. Anche questo
è un servizio quasi esclusivo nel panorama dei siti museali in Sicilia.
Inoltre, da settembre, abbiamo arricchito il bookshop, con un settore interamente dedicato ai prodotti di Libera Terra provenienti dalle terre confiscate ai
mafiosi. Non è stata solamente una scelta etica. Abbiamo voluto creare un nesso
tra la bellezza del patrimonio artistico e la bellezza delle terre liberate dalla mafia.
Infine, tutte le informazioni sugli orari, le attività culturali e le mostre sono
comunicate attraverso il sito della Fondazione, altra rara eccezione nel panorama dei musei e dei beni culturali siciliani che, quasi tutti, ne sono sforniti.
Certo, non mancano le difficoltà, alcune abbastanza originali.
Il Palazzo Reale è la sede del parlamento siciliano e la Cappella Palatina
è una parrocchia, perche così la volle, in conflitto con il potere religioso del
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tempo, Ruggero II. La particolarità, che rende vivo un complesso monumentale storico, crea più di un problema di fruibilità.
Nei giorni di attività parlamentare, gli appartamenti reali sono chiusi al
pubblico e con essi la Sala di Ruggero con i suoi mosaici, la torre Gioaria, la
Sala d’Ercole. Allo stesso modo, è inaccessibile alla visita la Cappella Palatina durante le funzioni religiose, quelle quotidiane e i matrimoni o i battesimi
e le cresime che possono tenersi anche durante l’ora di apertura al pubblico,
poiché, in quanto parrocchia, non può dismettere le proprie funzioni. Ciò
costringe la Fondazione a gestire e comunicare quotidianamente una griglia
di orari differibili con conseguente diverso prezzo del biglietto (7 euro per la
sola Cappella Palatina, 8.50 euro per l’intero Palazzo, 5 euro per gli over 65,
gratis fino a 18 anni).
A questa difficoltà se ne aggiunge un’altra, imprevedibile e anche incomprensibile per chi non è pratico di cose siciliane: trovandoci nella sede del
Parlamento, con la biglietteria collocata di fronte a Palazzo d’Orleans, sede
del Governo della Regione, quasi quotidianamente, nei periodi politicamente
“caldi”, le forze dell’ordine e i servizi di sicurezza parlamentare ci impongono
di vietare l’accesso, per prevenire il rischio che manifestanti più o meno violenti o particolarmente arrabbiati, camuffati da turisti, invadano le sedi istituzionali. Il risultato di questo complesso di problemi “laico-religiosi” è che,
calcolando il monte ore, il complesso monumentale rimane inaccessibile per
oltre un mese l’anno.
Il danno, oltre che economico, è anche d’immagine, sia nei confronti di turisti i quali in modo del tutto inaspettato trovano il sito inaccessibile, sia per
la fondazione la quale, altra anomalia in Sicilia, offre la visita per tutti i giorni
dell’anno tranne Natale e Capodanno.
Anche la gestione degli orari non è semplice. La Cappella Palatina è gestita
dalla parrocchia con i suoi sacristi, che hanno orari previsti dal loro contratto nazionale. Andare oltre le 17.30, soprattutto d’estate e in una città come
Palermo, sarebbe quasi naturale e risponderebbe a una diffusa domanda dei
visitatori. Purtroppo non è semplice giungere a un accordo tra i diversi protagonisti, tenendo conto che già oggi la Fondazione versa alla curia 10.000
euro mensili per il sostegno delle spese.
Insomma, ho provato a raccontare le potenzialità e le difficoltà di una fondazione culturale che, nata per volontà pubblica, a compimento di un percorso gestionale, è oggi nelle condizioni di provare a vivere fuori dai vincoli
dei rapporti politici per affermare il primato delle logiche aziendali. In Sicilia
questo obiettivo rappresenta una sfida doppia, per le difficoltà del rapporto
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con i diversi livelli di governo locale e per le pastoie burocratiche dell’amministrazione pubblica.
Dal 2014 la Fondazione non avrà più contributi pubblici, se non quelli per
i progetti che riuscirà a promuovere nell’ambito della programmazione europea o per attività culturali e mostre realizzate di concerto con l’Assemblea
regionale.
Sarà la prova vera. Intanto, puntiamo al riconoscimento dell’Itinerario arabo-normanno di Palermo e delle cattedrali di Cefalù e Monreale come patrimonio dell’unesco. La candidatura è stata ufficializzata e la Fondazione,
qualora si raggiungesse questo risultato, sarà tra i soggetti gestori del Sito.
Non è un problema nominativo. Qualità dell’ambiente, assetto urbanistico,
mobilità sostenibile, sono le condizioni per il riconoscimento di una eccellenza che è tale per il valore del patrimonio storico-artistico che rappresenta,
ma anche per le scelte politiche a tutela della ricchezza culturale che si offre
alla fruibilità e per la qualità delle iniziative di promozione artistica partecipata e formazione educativa in grado di proiettare quel patrimonio nel futuro. Ma questo vale per un sito unesco come per qualunque area museale, o
parco archeologico o culturale.
L’Isola ha bisogno di una svolta profonda che cambi la natura dell’azione
pubblica e sostenga il privato di qualità. Non credo ci sia molto tempo, ma è un
dovere provarci. Forse è l’ultima possibilità per non perdere il proprio futuro.
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Ci sono due emergenze gravi in Italia di cui si continua a parlare e che, fino
ad oggi, non hanno trovato risposte adeguate né nel breve periodo né in prospettiva: da una parte la disoccupazione e la precarietà giovanile e dall’altra il
degrado del nostro patrimonio culturale, unico al mondo. Un retaggio che rappresenta il nostro “patrimonio genetico”, il dna che ci racconta chi siamo, da
dove veniamo e dove andremo.
Il perimetro del patrimonio culturale è, però, vasto e complesso: aree archeologiche, beni artistici, musei, paesaggio, architettura, letteratura, cinema, teatro,
archivi e biblioteche. Tuttavia, quando si parla di patrimonio culturale, ci si sofferma troppo spesso sui monumenti, sulle sculture, sui musei, mentre archivi e
biblioteche non vengono quasi mai citati e considerati. È evidente che un crollo che si verifica a Pompei produce maggiore attenzione rispetto alla necessità di intervenire per il deterioramento di preziose carte di Caravaggio o, come
nel recente caso, per il restauro delle lettere di Aldo Moro dalla prigionia delle
Brigate rosse, salvate dalla scomparsa. Occorre tuttavia essere consapevoli che
il concetto di patrimonio è strettamente legato al concetto di memoria intesa
come testimonianza, come fonte indispensabile alla comprensione e all’interpretazione di un fatto storico.
* Direttore Generale ad interim per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d’autore, Ministero
dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo
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Archivi e biblioteche svolgono un ruolo e una funzione importantissima di
servizio non solo per la ricerca ma rappresentano anche, nel caso specifico delle
biblioteche, un’infrastruttura democratica irrinunciabile.
I dati sulla consistenza del patrimonio archivistico e librario del nostro Paese
sono impressionanti: 156 strutture archivistiche statali disseminate in tutte le
regioni italiane e 62.000 archivi non statali; 46 biblioteche pubbliche statali, di
cui due biblioteche nazionali centrali a Roma e a Firenze e oltre 12.000 biblioteche non statali; 1500 km di patrimonio archivistico statale, un lungo scaffale
da Milano a Palermo; oltre 800 km di scaffalatura del patrimonio librario statale. A fronte di questa ricchezza, le risorse umane ed economiche sono inesorabilmente diminuite nell’ultimo decennio, con effetti negativi sul servizio che
queste strutture rendono al cittadino.
Una costante diminuzione del personale archivistico e bibliotecario, dovuta
al blocco del turn-over e ai progressivi pensionamenti, ha impedito il necessario ricambio generazionale e la difficoltà di garantire un servizio adeguato agli
utenti. Negli archivi e nelle biblioteche statali, circa il 60% ha un’età superiore
ai sessant’anni, mentre solo il 5% ha un’età inferiore ai cinquanta. Questo dato
da solo racconta lo stato di emergenza in cui versa il settore.
Alla riduzione delle risorse umane si è accompagnata la riduzione delle risorse finanziarie: negli ultimi dieci anni si può dire che il settore archivi e biblioteche ha perso oltre il 50% delle risorse economiche, con picchi di oltre l’80%
per l’acquisto di libri e la catalogazione e di oltre il 90% per le attività di conservazione del patrimonio.
Un altro grave problema è costituito dalle sedi degli istituti archivistici, per le
quali è prevalente il ricorso allo strumento della locazione passiva, cui si affiancano le spese per l’adeguamento dei locali sul piano archivistico e bibliotecario,
in particolare dal punto di vista della sicurezza e degli impianti per la tutela e
la conservazione. Il problema delle sedi è reso ancora più spinoso dal fatto che
la documentazione archivistica e libraria ha un tasso di crescita esponenziale
e, dunque, richiede l’acquisizione di spazi sempre nuovi. L’impossibilità di far
fronte a questa esigenza ha determinato, ad esempio, il blocco dei versamenti
degli archivi prodotti da organi e uffici statali, per i quali sussiste l’obbligo di
conservazione da parte degli istituti archivistici. Un discorso che vale particolarmente per la documentazione giudiziaria, che costituisce la fonte prioritaria
per lo studio della storia dell’Italia repubblicana, in particolare per le tematiche
del terrorismo, della violenza politica e della criminalità organizzata.
Bisogna dire che sia gli archivi sia le biblioteche hanno cercato di reagire a
questo trend negativo, impegnandosi in un’attività di valorizzazione del proprio
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patrimonio per renderlo più accessibile anche al grande pubblico. In questo
processo, l’uso delle nuove tecnologie ha giocato un ruolo fondamentale, favorendo un radicale cambiamento nell’approccio agli archivi e alle biblioteche da
parte del pubblico.
Se, infatti, finora essi erano perlopiù concepiti nell’immaginario collettivo
come luoghi spesso misteriosi e di difficile accesso, nel quale consultare documenti polverosi, e spesso di non facile lettura, per il gusto di uno sterile eruditismo, oggi vengono sempre più considerati come soggetti in grado di erogare
informazioni, gran parte delle quali disponibili online, a vantaggio di un’utenza
estremamente differenziata.
A modificare nella sostanza l’immagine tradizionale degli archivi è al tempo
stesso intervenuta la consapevolezza che la memoria del nostro recente passato
si è sedimentata su una straordinaria pluralità di supporti.
L’idea di un archivio legato esclusivamente al materiale cartaceo è ormai in
larga parte tramontata, perché gli archivi del Novecento comprendono una
varietà rilevante di tipologie documentarie che attestano una ricchezza fino a
qualche decennio fa ancora insospettata.
Questa nuova realtà si traduce con particolare evidenza nei portali tematici
che la Direzione generale per gli archivi è andata realizzando dal 2011 ad oggi.
Tali portali, inseriti nell’ambito del Sistema Archivistico Nazionale, sistema di
accesso unificato al patrimonio archivistico italiano presente sul web, dimostrano come gli archivi conservino, appunto, non solo carte ma anche una straordinaria varietà di documenti quali filmati, registrazioni sonore, bozzetti, figurini,
disegni tecnici, manifesti, locandine, partiture, spartiti musicali.
Non a caso i portali sono incentrati su temi come la musica, le imprese, la moda, l’architettura, la cartografia, la mafia e il terrorismo, in grado di far emergere
non soltanto la documentazione archivistica in senso stretto, ma anche materiali
diversissimi tramite cui documentare la nostra realtà contemporanea e sfatare
definitivamente l’immagine dell’archivio come un ammasso di carte polverose.
Al contrario, l’archivio si presenta oggi più che mai come un’istituzione culturale attiva, inserita a pieno titolo nella realtà contemporanea e capace di fornire
le chiavi per accedere alla complessa eredità del Novecento.
I portali si propongono quindi in primo luogo di attirare l’interesse generale
e favorire il coinvolgimento di un pubblico il più vasto possibile, non limitato
ai soli esperti o studiosi, ma esteso anche a giovani, a studenti, a semplici interessati ai quali consentire l’accesso sul web a un ampio ventaglio di fonti documentarie, iconografiche, fotografiche, audiovisive inerenti un tema specifico. In
questo contesto, la fonte audiovisiva si rivela estremamente preziosa in quanto
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favorisce l’immediata comunicazione con l’utente, favorendo la comprensione
della realtà attraverso immagini capaci di parlare direttamente a un pubblico
estremamente variegato.
Tra i molti filmati visibili attraverso i portali, vorrei, qui, almeno ricordare
quelli accessibili tramite il portale della Rete degli archivi per non dimenticare dedicato ai temi delle mafie, del terrorismo e della violenza politica, che intende
trasmettere alle generazioni future la memoria di tragici eventi ancora in larga parte attuali. Così, i video tratti dalla trasmissione “La storia siamo noi” del
9 maggio 2010 e del 2012 possono documentare con forte impatto emotivo,
attraverso frammenti di telegiornali e immagini amatoriali, le stragi e i diversi
attentati avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra dal 1962 al 2002.
Materiali audiovisivi sono stati usati anche per il portale degli Archivi della
moda: si tratta in questo caso di testimonianze preziose, risalenti agli anni Cinquanta, in cui Bianca Maria Piccinino illustra le nuove tendenze di moda, presentando le sfilate organizzate dal Centro Romano per l’Alta Moda Italiana
per la stagione primavera-estate 1959. Viene così a essere ricreato il clima magico di quegli anni di grande fermento creativo, quando nelle sale dell’albergo
Excelsior di Roma si presentano alla stampa e ai buyers di tutto il mondo, abiti
e accessori realizzati dalla Boutique Lo Zodiaco, da Enzo Albanese, da Dalco’, da Ninetta Lavagna, da Gabriella Donati, da Corrado Zingone, da Angelo
Litrico, da Fernanda Gattinoni, dalle Sorelle Fontana, mentre il Quintetto di
Bruno Martino apre e chiude la trasmissione cantando Donna.
Altrettanto affascinante è la trasmissione “Made in Italy” in cui Giovanni Battista Giorgini, il creatore delle sfilate italiane, parla della nascita dell’alta moda
nel nostro Paese, coinvolgendo esperti del settore, quali Eleonora Garnet, Jole
Veneziani, Giovanna Caracciolo, Ubaldo Baratta e Maria Antonelli, che sottolineano i diversi passaggi che portano dalla creazione alla confezione di un
manufatto, spiegando il successo degli abiti italiani nel mondo.
Anche il portale degli Archivi d’impresa si giova di numerosi filmati, provenienti dal Centro per il cinema d’impresa e dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (aamod), grazie ai quali è possibile documentare due facce di una stessa medaglia: il mondo della grande industria e quello
degli operai chi vi lavorano.
Altrettanto incisiva la presenza di materiali audiovisivi nel portale Verdi on
line, che raccoglie le principali fonti su Giuseppe Verdi, conservate presso una
pluralità di istituzioni pubbliche e private. L’approccio a queste fonti è reso più
agevole da una serie di filmati, dedicati ciascuno a un’opera verdiana e comprendenti un’illustrazione dell’ambiente storico-politico in cui la partitura è
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nata, nonché un’analisi musicologica e un approfondimento sulla evoluzione
della vocalità verdiana. I filmati utilizzano un’ampia gamma di materiali storici presenti nel portale, che spaziano da immagini di spartiti a dipinti e disegni,
da bozzetti a figurini, da manifesti a locandine, cui si affiancano registrazioni
storiche, letture di brani di lettere e spezzoni dello sceneggiato Verdi diretto da
Renato Castellani.
Le registrazioni sonore costituiscono il fulcro di un’altra iniziativa della Direzione generale: la Rete degli archivi sonori delle musiche di tradizioni popolari, collegata al portale degli Archivi della musica, in cui sono resi accessibili i
risultati di un’indagine volta a recuperare, catalogare, digitalizzare e valorizzare
le raccolte etnomusicali conservate presso soggetti pubblici e privati, relative ad
alcune regioni (Puglia, Basilicata, Campania, Abruzzo, Marche).
Anche nel settore delle Biblioteche è importante sottolineare il grande impegno dell’Amministrazione nel rendere oggetto di rilevanti attività di catalogazione informatizzata e di digitalizzazione il patrimonio bibliografico e documentario custodito nei numerosi istituti culturali e bibliotecari presenti sul
territorio nazionale.
La Direzione Generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d’autore ha indirizzato il coordinamento di numerose iniziative di digital library, come
ulteriore tappa evolutiva di rinnovamento del settore, fermo restando il processo
iniziale di automazione e informatizzazione delle biblioteche che prende il nome
di Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), avviato già agli inizi degli anni Novanta come strumento di grande portata innovativa. A dicembre 2013 risultano,
in collaborazione in SBN, in modo paritario, 5.258 biblioteche raggruppate in
85 poli locali, e i dati nell’anno passato riportano oltre 132.000.000 di accessi da
internet, 66.129.933 ricerche bibliografiche e 262.902.225 record visualizzati.
In campo bibliotecario, certamente uno dei più significativi paradigmi dell’innovazione è il sistema piramidale della conoscenza dei portali World Digital
Library-Europeana-CulturaItalia-Internet Culturale e, in generale, la Biblioteca
Digitale, che si sono confermati nel tempo quali esemplari rappresentazioni del
punto d’incontro di molti ambiti disciplinari, tra i quali quello della gestione dei
dati e delle basi di dati, del reperimento e dei sistemi di elaborazione dell’informazione, del web, dell’archivistica, della bibliografia, della biblioteconomia,
dei sistemi informativi, dell’interazione uomo-macchina e della conservazione
degli oggetti digitali, consolidando il solido percorso di valorizzazione e accessibilità al patrimonio culturale nella sua unitarietà, sebbene variamente custodito nelle biblioteche, negli archivi e in molte altre istituzioni di conservazione
e pubblica fruizione.
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In particolare, il portale Internet Culturale (www.internetculturale.it), porta
d’accesso ai contenuti digitalizzati attraverso il progetto della Biblioteca Digitale
Italiana – volta a promuovere conoscenza e accessibilità di cataloghi manoscritti, materiale fotografico, cartografico, musicale, manoscritto e a stampa ecc. –,
contiene a oggi 10.300.000 file digitali, numero in continua crescita. Oltre sette
milioni di schede di catalogo delle biblioteche sono state, altresì, digitalizzate, e
sono consultabili a partire dal suddetto portale.
Seguendo, inoltre, una strategia di partnership pubblico-privato al fine di
assicurare alla collettività, in primo luogo nazionale e poi mondiale, la disponibilità
di una mole progressivamente più consistente di materiale italiano leggibile in
formato digitale, il mibact ha stipulato nel marzo 2010 un importante accordo
di collaborazione con Google Ireland per la digitalizzazione di fino a un milione
di volumi antichi o di pregio conservati nelle più importanti biblioteche italiane.
Il progetto, che ha preso avvio dal 10 dicembre 2012, coinvolge, oltre alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, capofila, la Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze nonché la Nazionale di Napoli, e prevede al momento la digitalizzazione di 750.000 volumi compresi tra il 1701 e il 1870. Attualmente già circa
cinquantamila volumi antichi risultano interamente fruibili in rete.
Nell’ambito del progetto di valorizzazione degli itinerari storici, culturali e
religiosi, il Ministero ha sviluppato, inoltre, il portale Via Francigena, dedicato
al cammino fino a Roma di Sigerico, arcivescovo di Canterbury (X secolo), e
destinato a essere una via d’accesso unificata a manoscritti, materiale a stampa,
lettere, diari di viaggio, carte geografiche, incisioni, giornali, filmati e fotografie
riferiti a un percorso, in primis, spirituale ma anche ricco di tradizioni artigianali e culturali locali, per quanto riguarda il tratto italiano.
Dunque, se da una parte il panorama bibliotecario appare penalizzato da
una serie di fattori di natura organizzativa, economica, strumentale e umana,
dall’altra ha avviato importanti percorsi per fronteggiare il paventato pericolo di
disintermediazione dell’utenza che progressivamente si affida alle ricerche private in rete. Certamente, l’interoperabilità è uno dei più efficaci veicoli a favore
di un più facile accesso al patrimonio e dell’ottimizzazione e customization dei
servizi all’utente: da quelli di base a quelli più sofisticati, dal servizio nazionale
di fornitura delle registrazioni a supporto dell’attività di catalogazione a un più
efficiente sistema di prestito locale, nazionale e interbibliotecario – l’InterLibrary Loan – per soddisfare le esigenze dell’utenza di ottenere anche i documenti
non fisicamente posseduti dalle biblioteche, dai servizi di document delivery a
quelli di indicizzazione, digitalizzazione e via dicendo.
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Evidentemente una maggiore conoscenza, accessibilità e fruibilità del patrimonio comporta la necessità di assicurarne disponibilità, valorizzazione, difesa e
conservazione per le generazioni a venire, a sostegno della ricerca e dello sviluppo.
Troppe volte, in questi anni, abbiamo sentito parlare della necessità di considerare l’investimento in cultura uno strumento reale di crescita economica e
sociale. Si dice: “La cultura è il petrolio di questo Paese”; “Con la cultura si mangia”. Concetti che registrano un consenso unanime ma che cominciano a diventare, proprio per essere confinati solo nelle buone intenzioni, vuoti di contenuto.
Ritengo sia giunto il momento di dare concretezza a queste dichiarazioni e
invertire la rotta: ciò significa che siamo chiamati tutti, Stato, enti locali, istituzioni culturali e privati a definire priorità, a compiere scelte che tengano conto, oltre che della crisi che ci attraversa, dell’urgenza di costruire nuovi modelli
d’intervento pubblico che coniughino la tutela dell’immenso patrimonio identitario del nostro Paese con la necessità di farne uno strumento reale di crescita
culturale, economica e sociale.
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la cultura per lo sviluppo del paese
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La cultura rappresenta un valore fondamentale e identitario per l’Italia e deve
ricoprire un ruolo primario nel programma di governo del Paese. La sua centralità nella strategia di sviluppo economico e sociale è rilevante ed è dimostrata dai valori generati all’interno del nostro Paese, e nell’interscambio con
gli altri Paesi, anche se la crisi ha colpito duramente, nel 2012 alcuni settori,
dal mobile al tessile, risparmiando però la fascia alta della qualità e i marchi
più noti del made in Italy.
Occorre un nuovo modello di sviluppo. Un New Deal della Cultura diviene
ora indispensabile per la nostra economia priva di materie prime e incentrata su processi di trasformazione che oggi, nel campo della grande industria,
lamentano una progressiva decrescita.
I valori espressi e potenzialmente ulteriormente esprimibili dalla valorizzazione dei beni culturali, dalle città d’arte, dalla qualità del paesaggio ma altresì
dalla ricerca tecnologica in ogni campo, dal fatturato nel mondo dell’enogastronomia, della moda, del design, della meccanica di precisione, dell’artigianato di qualità, sono reali e riconosciuti nel mondo. Molti settori presentano
alti fatturati ed elevate percentuali di prodotto esportato, altri richiedono un
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aiuto dallo Stato e dal sistema economico nazionale. La piccola e media impresa e il sistema cooperativistico abbisognano di finanziamenti dalle banche e lo Stato può contribuire a ciò saldando i propri debiti e creando efficaci
e concrete forme di garanzia per i mutui contratti per lo sviluppo. Lo Stato
deve impegnarsi nel finanziamento della scuola e dell’università, deve evitare
“la fuga dei cervelli” motivandoli a rimanere nel Paese che ha investito nella
loro formazione, deve tutelare i propri prodotti, le proprie opere d’ingegno,
in Italia e all’estero.
Il made in Italy è famoso in tutto il mondo ma deve caratterizzarsi in una
fascia di qualità medio-alta, incoraggiando un’esportazione di alto valore, attirando investimenti esteri destinati alla produzione nazionale. Assistiamo a
una crisi del teatro e dell’editoria dovuta all’impoverimento progressivo delle
fasce di reddito più basse e del ceto medio, dove registriamo un indice di disoccupazione del 40% tra i giovani.
In ragione di ciò, gli investimenti vanno orientati verso la valorizzazione
dei nostri talenti.
E veniamo alla tutela del paesaggio, e alle conseguenze di un insensato proliferare di colossali impianti eolici che lo compromettono, allontanando un
turismo che produrrebbe ricchezza al territorio! Un danno procurato ai cittadini, con le risorse prelevate dalle loro tasche attraverso l’eccessiva sovrafatturazione sulle bollette energetiche, destinata a tali incentivi.
Tutto ciò, come detto, deve collocarsi in una strategia politica che metta la
cultura, e quanto da questa deriva, in un ruolo centrale. La politica economica, gli investimenti mirati e la strategia di sviluppo dovrebbero informarsi a
tale indirizzo investendo negli asset più importanti del Paese.
La tutela e la valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio costituiscono la punta di diamante del processo di creazione di un nuovo modello di
sviluppo del nostro Paese.
La tutela è garantita da un quadro normativo complesso ma sostanzialmente solido. Dopo la legge n. 185 del 12 giugno 1902, che “conciliava gli interessi privati con quelli dello Stato in materia di patrimonio storico-artistico”,
venne la legge n. 364 del 20 giugno 1909, prima norma-quadro di tutela corredata dal regolamento d’esecuzione n. 232 del 15 agosto 1913. Questo testo
sopravviverà per oltre un secolo, divenendo norma esecutiva anche della nota
legge Bottai, la n. 1089 del 1° giugno 1939; una legge validissima che, insieme alla n. 1497 del medesimo, resterà vigente sino al Testo Unico del 1999.
La modifica del titolo V della Costituzione renderà necessario un rimodellamento della norma di vasta portata, così con il decreto legislativo n. 42 del
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22 gennaio 2004 verrà promulgato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio,
un complesso organico di norme, che di seguito definiremo “Codice”. La tutela era rafforzata da trattati internazionali, quali quello dell’Aja, dalla Convenzione unesco di Parigi del 1970, dal trattato Unidroit, adottato dall’Italia
nel 1995, dal Regolamento del Consiglio della Comunità Europea n. 3911
del 9 dicembre 1992, relativo all’esportazione dei beni culturali fuori dall’area
comunitaria, e dal n. 97 del 1993, che disciplina la restituzione dei beni usciti
illecitamente dal territorio di uno Stato comunitario.
Come si vede, un corpus di norme articolato, sicuramente suscettibile di
miglioramenti, ma sostanzialmente solido e non in contraddizione con il quadro comunitario in cui opera e del quale il Trattato di Roma del 1957 sanciva
autonomia di scelta e piena operatività.
Tuttavia la norma, con risorse ridotte al lumicino, è difficile da attuare. Il
bilancio del Ministero dal 2000 si è ridotto inesorabilmente, con un processo
di accelerazione nell’ultimo biennio. Oggi lo stanziamento per la cultura rappresenta lo 0,25 del bilancio dello Stato e lo 0,11% del pil. Il disaggregato e
i rispettivi importi sono già stati ampiamente riportati dal Rapporto Annuale Federculture. Il blocco del turn-over, i pensionamenti, gli esodi e il blocco
dei concorsi hanno ridotto il personale del Ministero in misura preoccupante.
L’azione di tutela assorbe le poche forze e l’attività di valorizzazione non riesce a decollare a livello d’indirizzo centrale, lasciando alle Regioni una produzione normativa concorrente disomogenea.
Il Governo deve ricominciare a considerare le competenze del Ministero
di primario interesse per lo sviluppo del Paese, destinando a questo le necessarie risorse. Quanto apporta la cultura al pil? Certamente più del 5%, con
ciò intendendo la sfera dei beni culturali e paesaggistici, il turismo e il suo
indotto; si potrebbe ottenere molto di più con una strategia di governo improntata alla valorizzazione di quel patrimonio che tutto il mondo ci invidia.
Individuare la copertura finanziaria per risorse aggiuntive al Ministero è
arduo, tenuto conto dei parametri comunitari di bilancio e del debito pubblico, ma lo spostamento di risorse all’interno della spesa pubblica è possibile
laddove la strategia d’azione di un governo lo ritenga. Quante risorse comunitarie perdiamo ogni anno per l’inattività della pubblica amministrazione e
quante iniziative si potrebbero liberare con un piano di defiscalizzazione che
sarebbe ampiamente compensato dall’aumento dell’imponibile dato dalla
conseguente crescita…
Si potrebbe poi suggerire che una parte dei beni confiscati alla mafia sia
devoluta al bilancio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del
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Turismo per offrire, con la valorizzazione della cultura, una risposta economica e occupazionale alle sottoculture delinquenziali. Con la legge n. 109 del
7 marzo 1996 si destinarono tali beni a fini sociali. In seguito, nel 1999, fu
istituito un Ufficio di Commissariato straordinario presso il Governo per tali devoluzioni e, nel 2010, con la legge n. 50 del 31 marzo, fu istituita un’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. L’Agenzia svolge una funzione di
supporto all’autorità giudiziaria nelle fasi di custodia e amministrazione dei
beni, dal sequestro preventivo fino alla destinazione.
Con il decreto legislativo n. 159 del 6 settembre 2011 si sanciva che per i
beni immobili, ove se ne deliberi la vendita, i ricavi andranno al Ministero
dell’Interno per la metà e per la residua parte al Ministero della Giustizia. Qui
si potrebbe proporre che una parte di tali ricavi sia destinata al Ministero dei
Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Per i beni aziendali confiscati si
prospetta un’analoga devoluzione. I beni mobili, denaro, titoli, crediti personali ecc., confluiscono in un Fondo Unico Giustizia (fug).
Con la legge di stabilità n. 228 del 2013, si sanciva la parziale devoluzione
dei ricavi ai fini istituzionali dello Stato, degli enti territoriali o associazioni di
volontariato che operano nel sociale. Un contesto nebuloso, su cui si dovrebbe
far chiarezza. Per dare un quadro della situazione, basterebbe tener conto che
al 31 dicembre 2011 i beni immobili confiscati sono 10.438 di cui solo 7.074
usciti dalla gestione (67,77%). Le aziende confiscate risultano, al 2011, 1.516
e di queste il 70% permane ancora in gestione. Per quanto attiene il denaro al
fug, al 31 dicembre 2009 risultavano confluiti oltre 1.592 milioni di euro. Il
ministro Severino, nel 2011, riferiva che il fug disponeva di circa 1,8 miliardi.
Somme importanti, utilissime per la gestione del Ministero e per la valorizzazione dei beni culturali. Una valorizzazione attenta, con usi e destinazioni
compatibili ai sensi dell’articolo 20 del Codice. Al Ministero spetta un’azione di tutela e pertanto si rende necessaria una congrua dotazione di mezzi e
personale. In assenza di ciò, non solo non si riesce ad assolvere l’imprescindibile compito di tutela ma nemmeno a organizzare gli interventi di messa
in sicurezza, restauro e manutenzione programmata necessari. Si perdono di
conseguenza finanziamenti comunitari, creando resti di gestione inutilizzati e con ciò perenti, si pregiudicano la conservazione dei monumenti e vanificano le opportunità di lavoro per le imprese e l’occupazione per i cittadini.
Per quanto attiene la valorizzazione, pur richiamando il disposto dell’articolo 117 della Costituzione in materia di legislazione concorrente, dobbiamo costatare che lo Stato, le Regioni e gli enti pubblici territoriali non rie-
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scono ad assolvere compiutamente la gestione dei propri immobili d’interesse
storico-artistico né, tantomeno, a conservarli, attuando quella manutenzione
programmata che la legge prevede. La loro vendita, quale soluzione del problema, appare errata. Il Codice agli articoli 57 e 57bis ne declina contenuti e
modalità ma trattasi sempre di casi eccezionali, non di una prassi né, tantomeno, di una via per far cassa. Non è vendendo i cespiti d’interesse culturale
e potenziale valore economico che si salva un bilancio ma bensì valorizzandoli e creando economia e occupazione attorno ad essi.
L’Italia non è un Paese disperato come la Spagna degli inizi del Novecento,
quando vendette, smontandoli, alcuni monasteri dell’Estremadura per vederli
ricostruiti a Miami e New York. Si tratta di operare con gli strumenti che il
Codice prevede attraverso gli articoli 112 (valorizzazione dei beni culturali
di appartenenza pubblica) e 115 (forme di gestione) ove si declinano i concetti di gestione diretta e indiretta; alcuni correttivi a tali disposti andrebbero però introdotti.
La conservazione del nostro patrimonio storico passa anche per la salvaguardia dei centri storici per i quali le norme urbanistiche, dal dettato della
Legge Ponte, non si sono rivelate sufficienti. Lavoreremo quindi per introdurre questi contesti nel Codice sia nella parte prima dedicata ai beni culturali sia in quella dedicata al paesaggio.
Nella gestione indiretta possiamo trovare soluzioni che nel pieno rispetto
della tutela, agita in via esclusiva dallo Stato, individuino soggetti giuridici
autonomi e regole gestionali che mantengano all’ente pubblico socio un potere di scelta e indirizzo (attraverso clausole statutarie di governance) e, nel
contempo, compartecipino altri soggetti, pubblici e privati, soci nei contenuti
e nei risultati. Dalla valorizzazione deriverà un futuro per il bene, opportunamente conservato, e un indotto sul territorio.
L’analisi del territorio è fondamentale. Difficilmente un bene storico potrà
valorizzarsi isolato dal contesto. La creazione di un sistema d’area, di un polo
culturale o di un distretto culturale, servirà a tracciare un ambiente storico e
stilistico, a creare un percorso e un indotto destinato a un flusso turistico organizzato. Un sistema integrato di musei, luoghi di ricerca, biblioteche, giardini storici, negozi, ristoranti e alberghi promosso dall’ente pubblico, aiutato
da incentivi economici, fiscali e da servizi, potrà costituire un motore formidabile per il rilancio di un territorio.
La recente esperienza di Carditello, la piccola reggia borbonica all’interno di un’azienda agricola voluta da Ferdinando IV di Borbone, acquistata dal
Ministero dopo una battaglia d’Italia Nostra, è paradigmatica. Si è studiato
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un modello di gestione ipotizzando per la sua governance una fondazione di
partecipazione e intervenendo sui contenuti, con la proposta della localizzazione della Facoltà di Agraria con cooperative per la gestione sperimentale
del fondo agricolo, un presidio delle forze dell’ordine, un ufficio della Camera di Commercio per lo sviluppo dei prodotti alimentari di qualità e spazi
espositivi. Tutto ciò nell’ambito di un polo culturale che ricomprenda i siti
unesco collegati, quali la Reggia di Caserta, l’Acquedotto Carolino e l’Opificio di San Leucio con Caserta Vecchia, Capua e i suoi Musei, Santa Maria
Capua Vetere e un complesso di beni del territorio. Si è proposto un sistema
che incoraggi un turismo che voglia conoscere il territorio fermandosi una,
due, tre notti, dando lavoro e costituendo una alternativa economica a un’area depressa e socialmente in difficoltà. Da un sistema potranno nascere iniziative private, aziende di servizi, cooperative di guida, laboratori di restauro,
alberghi e ristoranti e, inoltre, troverà sviluppo il prodotto enogastronomico
del territorio. Nella proposta si è dovuto ricomprendere il rilancio locale dei
collegamenti bus e dell’antica ferrovia di Capua.
Si tratta di un esempio che potrà trovare specifica attuazione in ogni parte
del Paese, dal Porto Vecchio di Trieste a Noto. Il rapporto pubblico-privato
è fondamentale e la costituzione di fondazioni o di altri soggetti giuridici di
gestione risulterà utile.
Sarebbe altresì importante l’apporto del privato attraverso la gestione di
beni in concessione; si pensi ai siti archeologici gestiti da cooperative, a chiese e monasteri aperti da servizi privati di guardiania, a musei locali, a ville
e giardini. Lo Stato non può gestire tutto ciò ma può esercitare una attenta
tutela e una sorveglianza sulla conservazione del bene, sulla gestione e sulla
qualità del servizio offerto. Dall’estensione del regime di concessione di beni
culturali a soggetti privati si contribuirà alla loro conservazione, si svilupperà il turismo, nasceranno imprese per la gestione di servizi e posti di lavoro.
I dati sui flussi turistici alle città d’arte, nei musei e alle mostre sono, nell’attuale situazione di crisi economica, comunque positivi e incoraggianti. La
strada è giusta e quindi perseguiamola.
L’Italia non è però solo il circuito delle città d’arte: Roma, Firenze, Venezia, Napoli, Milano, Torino, Palermo; è il territorio diffuso, è anche l’Italia
minore, sono le città di provincia. Sarà però necessario ricercare un supporto
negli operatori turistici italiani e stranieri. Da sempre i primi operano, riduttivamente, per un turismo outgoing, portando gli italiani all’estero e non investendo sulle potenzialità del turismo incoming, ovvero degli stranieri in Italia,
con capitali che restano e persone che visitano il nostro Paese. Quale cono-
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scenza può avere un tour operator orientale, australiano o americano nell’organizzare viaggi per l’Italia se non quella del tradizionale circuito delle città
d’arte? Potrebbero aprirsi interessanti opportunità per imprese della cultura
che si specializzino nell’offerta culturale rivolta all’estero.
Queste considerazioni non possono che ritrovare sintesi e operatività in
una strategia di sviluppo del Paese, attraverso un progetto politico, cui far seguire la norma e la conseguente operatività. I programmi dei governi che si
sono succeduti dalla costituzione del Ministero per i Beni Culturali a oggi
non fanno ben sperare, ma noi continueremo a lavorare e a essere fiduciosi!
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verso un’alleanza tra finanziamento pubblico e privato
Carlo Fontana*
Questo contributo altro non è, e non può essere che una breve testimonianza di un operatore culturale che, in quasi quarant’anni di attività, non ha mai
cessato di ricercare con tenacia e costanza l’intervento dell’iniziativa privata
nelle attività culturali.
Ricordo che nell’ormai lontano 1980, quale amministratore delegato della
storica casa discografica della rai, la Fonit-Cetra, pubblicai una collana per la
prima volta sponsorizzata da un’azienda: la Martini & Rossi che, sostenendo
economicamente la pubblicazione, documentò i leggendari concerti vocali e
strumentali che andavano sotto il suo nome.
Come sovrintendente di Bologna, uno dei miei impegni prioritari all’indomani della mia nomina fu quello di costituire un gruppo di sostenitori del
Teatro, radunando insieme tutte le forze imprenditoriali più significative della città.
Lo stesso avvenne alla Scala: a pochi mesi dall’assunzione della massima responsabilità, quando promossi la nascita della Fondazione Milano per la Scala, con cui si diede l’avvio al processo che portò alla trasformazione dell’Ente
in Fondazione di diritto privato.
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Il progetto, elaborato dall’Università Bocconi per l’impulso dell’allora rettore Mario Monti, si fondava su un’osservazione decisiva: il territorio cittadino
(e regionale) disponeva potenzialmente di una grande platea di finanziatori
– grandi banche, imprese, singoli cittadini – interessati a dare al Teatro lirico
un sostegno non occasionale e tale da continuare a garantirne l’equilibrio dei
bilanci, nella concreta prospettiva di una riduzione dei contributi pubblici.
L’opportunità rimaneva comunque largamente virtuale, nonostante la manifesta disponibilità di alcuni possibili sovvenzionatori. Fu, infatti, subito chiaro
che l’auspicato flusso di risorse private si sarebbe potuto trasformare in realtà
solo a una condizione: consolidare la volontà contributiva privata con un formale coinvolgimento dei soggetti erogatori nella gestione, senza per questo
cedere loro il controllo strategico e operativo di un ente culturale che doveva
continuare a perseguire finalità di servizio pubblico.
Il meccanismo istituzionale che meglio parve poter garantire la presenza
dei privati, organica benché a “sovranità limitata”, fu la fondazione cosiddetta di “partecipazione”: un ente ibrido, che combina aspetti della forma associativa con quelli della fondazione di patrimonio. La trasformazione avrebbe
garantito alla nuova fondazione lirica ampia autonomia, marcando una sua
maggiore distanza dalla politica o, per meglio dire, dal rischio che i partiti
potessero incidere negativamente sulla sua operatività, rallentandone l’attività e condizionandone le scelte.
Siamo nella seconda metà degli anni Novanta e nel nostro Paese si era ormai affermato il pensiero dominante che vedeva nello Stato un ostacolo alla vitalità degli agenti economici. Ebbene: la mistica del mercato condusse
in quel periodo alcuni fondamentalisti a intravedere sconsideratamente per
tutti i comparti culturali, la sostituibilità del mercato allo Stato, a modello di
altri Paesi.
Come spesso avviene in questi casi, le “fughe in avanti” non portarono a
nulla. Siamo così, ancora oggi, a invocare l’intervento di finanziamenti privati,
senza avere creato i presupposti perché questo possa concretamente avvenire.
I nostrani apprendisti stregoni del pensiero liberale angloamericano non
tennero nel dovuto conto, e continuano ancora oggi a non tenerlo, che il loro
modello di riferimento era, in realtà, un sostanziale contributo pubblico “mascherato” grazie alla detassazione, praticata negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Infatti, pur scontando il differente imprinting culturale di stampo calvinista
che vuole che tutti i cittadini, in particolare quelli che hanno “fatto fortuna”,
restituiscano qualcosa in opere e azioni alla collettività, neppure in questi Paesi
l’intervento privato sarebbe possibile senza la detassazione.
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verso un’alleanza tra finanziamento pubblico e privato | 161
È ormai sotto gli occhi di tutti che nel nostro Paese le risorse dello Stato,
in progressiva diminuzione negli anni, non sono più sufficienti a tenere dignitosamente in vita il sistema dello spettacolo.
Il rimedio possibile, probabilmente l’unico, non può che essere quello di
stimolare, attraverso il tax credit, il sostegno dell’iniziativa privata sia dei singoli individui sia delle imprese.
Posso ben dire di avere speso gran parte della mia vita professionale per
costruire questo rapporto, nella convinzione che solo un’alleanza tra finanziamento pubblico e finanziamento privato a “fini pubblici” potesse ridar vita a
un settore che, altrimenti, è destinato a una lenta e lunga agonia.
Tuttavia, nonostante le numerose dichiarazioni di principi, non si sono fatti
molti passi avanti in questa direzione. Ma, come diceva il mio antico Maestro,
Paolo Grassi (citando a sua volta Antonio Gramsci), bisogna sempre contrapporre al “pessimismo dell’intelligenza l’ottimismo della volontà” e, dunque,
mi sforzo di continuare a credere che le attività culturali possano finalmente
uscire, un giorno o l’altro, dal loro stato di costante precarietà.
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le sponsorizzazioni private per la cultura:
strumenti e progetti di successo
Francesco Moneta*
Mentre l’industria culturale e creativa si afferma nel mondo come uno dei settori determinanti per lo sviluppo sociale ed economico, impegnando insieme
le istituzioni e i privati, in Italia ancora si discute in modo teorico e spesso
inconcludente del rapporto tra Cultura e Impresa.
Diverse le opinioni in campo: agli oltranzisti del “Tutta la Cultura allo Stato”, si contrappongono i fautori della Cultura come mera area di business e
di mercato. In mezzo, posizioni più sfumate, dove il leitmotiv è comune: quali
modalità trovare per stimolare e al tempo stesso governare, nell’interesse dei
cittadini, il rapporto tra “Sistema Cultura” e “Sistema Impresa”?
È comunque opinione diffusa e maggioritaria che l’Impresa oggi possa e
debba giocare un ruolo di rilievo per la diffusione della Cultura, per generare valore sociale ed economico. A questo scopo è nato il Progetto cultura +
impresa, che nel mese di luglio 2013 ha dato vita all’omonimo Comitato non
profit promosso intanto da Federculture e The Round Table, con l’obiettivo
di coinvolgere altri partner promotori e sostenitori.
Si è progettato e si vuole sviluppare in Italia – a livello nazionale e con moduli di carattere regionale – un market place on- e offline di nuova generazione,
finalizzato a rendere maggiormente efficace l’incontro tra operatori culturali
* Presidente del Comitato cultura + impresa
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e imprese attraverso le sponsorizzazioni e le partnership culturali. Il progetto
prevede la realizzazione della piattaforma web Borsacultura integrata a ricerche,
attività informative e formative, iniziative di marketing relazionale e occasioni di benchmarking, come il Premio cultura + impresa. La finalità ultima è
intensificare e incrementare i contributi delle imprese a favore degli operatori
culturali italiani, pubblici e privati, attraverso investimenti non solo economici
ma anche in servizi, professionalità, tecnologie.
il percorso del progetto cultura + impresa
Il percorso di cultura + impresa nasce nel 2003, quando, per conto di cantieri – Dipartimento della Funzione Pubblica per l’efficienza delle amministrazioni e Presidenza del Consiglio dei Ministri – fu realizzata la prima
Guida operativa alle sponsorizzazioni nelle amministrazioni pubbliche.
Questa iniziativa ispirò la prima di una serie di ricerche sul tema delle
sponsorizzazioni culturali, realizzata nel 2006 per conto dell’Assessorato alla
Cultura della Provincia di Milano, con cui si sperimentò anche un primo incontro diretto e collettivo tra l’istituzione culturale e i suoi potenziali sponsor: alla presentazione della ricerca, in occasione di un inedito business lunch,
parteciparono l’assessore Daniela Benelli e il suo team da una parte, e 14 top
manager della comunicazione e del marketing di alcune grandi aziende italiane dall’altra: tra queste c’erano Accenture, American Express, fiat, Vodafone, che poi decisero in vari modi di avviare iniziative di comunicazione con
la cultura, in territorio milanese.
A quella prima ricerca ne seguirono altre, nel 2008, nel 2010 e nel 2012,
quest’ultima pubblicata nel Rapporto Federculture dello stesso anno. Grazie
a questo continuo monitoraggio si sono recepite le richieste delle aziende, e
quindi le modalità più efficaci per rapportarsi con loro da parte degli operatori culturali, ispirando quindi la missione e la nascita del Comitato cultura + impresa.
il premio cultura + impresa
La prima iniziativa avviata dal Comitato è stata il Premio cultura + impresa – dedicato alle migliori sponsorizzazioni e partnership culturali in Italia – che ha finalità non tanto di gratificazione dei premiati, ma soprattutto
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di benchmarking, conoscenza e confronto tra le “buone pratiche” in questo
settore, fornendo strumenti informativi di cui operatori culturali e aziende
hanno confermato la necessità.
Il Premio è stato lanciato nel settembre 2013 con un’edizione “zero”, sperimentale, i cui risultati sono stati assai confortanti, per la qualità e la diversificazione dei progetti ricevuti.
I progetti finalisti sono stati analizzati da una giuria che rappresentava le
diverse anime professionali che compongono il comparto delle sponsorizzazioni e partnership culturali (operatori culturali, aziende, agenzie di comunicazione, editori) oltre che le associazioni co-promotrici del Premio:
Bernardino Casadei, segretario generale di Assifero (Associazione Italiana
Fondazioni ed Enti di Erogazione); Fabrizio Grifasi, direttore della Fondazione Romaeuropa, per Federculture; Giovanna Maggioni, direttore generale
upa (Utenti Pubblicità Associati); Francesco Moneta, presidente di cultura + impresa; Francesca Peliti, Peliti Associati, per Assorel (Associazione
Italiana delle Agenzie di Relazioni Pubbliche a servizio completo); Patrizia Rutigliano, presidente Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana);
Catterina Seia, direttore del Giornale delle Fondazioni – Giornale dell’Arte; Massimiliano Tarantino, segretario generale della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e responsabile della comunicazione del Gruppo Feltrinelli.
l’indagine upa sulle sponsorizzazioni e partnership
culturali delle proprie aziende
Proprio in occasione dei lavori della giuria del Premio, la varietà e la qualità
dei progetti finalisti ha indotto il direttore generale dell’upa ad approfondire il tema delle sponsorizzazioni e delle partnership culturali all’interno dei
propri associati: in finale c’erano non solo progetti “corporate” di aziende di
servizi (banche e assicurazioni, energia, telecomunicazioni sono tradizionalmente i principali alleati della cultura), ma anche partnership all’insegna della
comunicazione di marketing, che hanno visto protagoniste aziende che producono beni durevoli e di largo consumo (cosmesi, automobili, abbigliamento e accessori)
I risultati di questa ricerca, ospitata in questo Rapporto Annuale Federculture 2014, sono inediti e significativi, in quanto è la prima a essere stata realizzata
sul tema delle sponsorizzazioni culturali dall’upa, associazione di riferimento
di oltre 400 aziende che investono in pubblicità e comunicazione: la significa-
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tività di questo osservatorio è data dal fatto che i suoi associati rappresentano
oltre l’80% degli investimenti pubblicitari nazionali.
Alle domande poste nel mese di febbraio 2014 hanno risposto ben 102
aziende, di cui 81 che operano anche o esclusivamente in ambito culturale.
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tra sponsorship e partnership
Da sottolineare innanzitutto le definizioni con le quali upa ha voluto introdurre la questione: un breve ripasso sul termine sponsorizzazione (gli investimenti/iniziative di finanziamento dell’impresa in attività di carattere culturale, sportivo, sociale, ambientale, educativo o altro predisposte/organizzate
da altri soggetti/operatori), introducendo quindi il termine di partnership (gli
investimenti/iniziative di finanziamento dell’impresa in iniziative di carattere
culturale, sportivo, sociale, ambientale, educativo o altro in cui però l’impresa
collabora nella ideazione/organizzazione dell’iniziativa stessa).
Dalla sponsorizzazione alla partnership è peraltro il leitmotiv già emerso
nelle ultime ricerche cultura + impresa, e ormai acquisito diffusamente
tra i nostri addetti ai lavori. Quali sono le principali evidenze emerse dalla ricerca upa?
il rilievo della cultura nella comunicazione d’impresa
Innanzitutto la pratica della “sponsorizzazione o partnership” è piuttosto diffusa: l’82% delle aziende intervistate vi ha investito negli ultimi 5 anni. In quale
comparto? Qui i dati qualitativi (scelta del settore) modificano le statistiche
quantitative (rilievo degli investimenti) e la Cultura risulta essere l’ambito più
frequentato (80% contro il 72% dello Sport, che sappiamo però drenare maggiori risorse economiche).
Educazione, Scienza e Cause/Emergenze sociali sono piuttosto omogenee, tra
il 35% e il 40%. L’Ambiente chiude al 20%. Numerose aziende scelgono più
ambiti d’intervento, dove la combinazione Cultura + Sport riguarda il 55%
delle aziende.
Quali interventi sono privilegiati dalle aziende che scelgono la Cultura?
Mostre (60%) e Musica (55%) sono quelli prevalenti, e interessante è anche il
peso dei Festival (45%). Ovvero, gli sponsor privilegiano la cultura che si fa
“evento”, che si tratti di esposizioni o di arti performative, oltre quel mix mul-
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tidisciplinare che sono diventati i festival culturali. Siamo sempre alla presenza
di un periodo relativamente breve, con un quantitativo elevato di contatti diretti (i pubblici delle mostre e dei festival sono quantificabili in decine se non
centinaia di migliaia di persone), e non è trascurabile l’opportunità mediatica data dai lanci e dalle inaugurazioni con ospiti di riguardo tra gli invitati.
Musei e Restauri presentano a quanto pare un minor appeal (35% e 25%
delle scelte).
L’Arte contemporanea – se pur di nicchia (17%) – merita una citazione a parte,
e sappiamo essere particolarmente ricercata dal mondo bancario e finanziario
per le proprie attività di marketing relazionale (vedi la rubrica mensile cultura + impresa sul magazine «adv strategie di comunicazione», gennaio 2014).
Il Teatro è a metà classifica (35%), e sopravanza Fotografia (25%) e Danza (20%).
i motivi della scelta di sponsorizzare la cultura
Quali sono i motivi che portano le aziende a scegliere le sponsorizzazioni e
le partnership come soluzioni per la propria comunicazione?
Si afferma decisamente la volontà di stabilire e coltivare Relazioni con la
Comunità territoriale (55%, che nel 37% dei casi è l’unico motivo della scelta),
e – immagino complice il ruolo dello Sport – è frequente la declinazione pro
Brand e Product Communication (48%). CSR (40%) e Corporate Communication
BtoB e BtoC (35%) rappresentano una scelta più istituzionale. Sorprendentemente l’obiettivo di avere “hooks di comunicazione e notiziabilità” per l’attività
di Media Relations raccoglie solo il 25% delle risposte, mentre sappiamo che
questa può essere un’opzione di successo per la comunicazione dello sponsor.
La sponsorizzazione, o la partnership, è una scelta che in circa la metà dei casi
è di tipo continuativo (55% in Cultura, Ambiente, Scienza; 45% nello Sport),
e nel 72% dei casi si integra con le altre iniziative di comunicazione dell’azienda.
una buona soddisfazione: il 100% del “riacquisto”,
nonostante le difficoltà
Quale il livello di soddisfazione tra chi sceglie le sponsorizzazioni e le partnership? Possiamo dire buono (55% molto soddisfatto, 45% abbastanza soddisfatto, non vi sono tracce d’insoddisfazione), ma non sono tutte rose e fiori;
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nel 63% dei casi vengono anche evidenziate difficoltà nella organizzazione e
gestione delle iniziative sponsorizzate.
Per quali motivi? Si riafferma la cronica difficoltà nel quantificare, misurare,
valutare i risultati (50%), ma emergono anche difficoltà nell’allineare obiettivi di lavoro con i partner (45%) e nel coniugare il reciproco stile di lavoro (45%).
Non indifferenti sono anche la gestione del rapporto con gli enti pubblici o con
i partner (35%, variante di quanto visto sopra) e la difficolta di integrare questi
investimenti con le altre iniziative di comunicazione (35%).
Nonostante queste difficoltà, il 100% degli intervistati che hanno investito
in sponsorizzazioni e partnership dichiara di voler ripetere l’esperienza, favorendo ancora Cultura (65%) e Sport (60%)
Quindi: buone notizie per gli operatori culturali, essendo confermato l’interesse delle aziende per le partnership culturali (attenzione a questo punto a
non presentarsi come propositori di “sponsorizzazioni” nel senso convenzionale del termine, all’italiana!), a patto che si compiano gli sforzi necessari per
trovare reciproche sintonie.
Per quanto riguarda invece i “comunicatori d’impresa” si evidenzia come
dietro ai risultati della ricerca upa ci sia la conferma di un dato che prima non
era così noto, o quantomeno condiviso: le sponsorizzazioni culturali funzionano, e talvolta sono il miglior strumento per raggiungere obiettivi strategici,
a partire dalla comunicazione con il territorio o la moderna declinazione di
programmi di CSR.
Anche le aziende devono attrezzarsi professionalmente per superare le difficoltà di relazione con gli operatori culturali. Ma l’incontro, il confronto e la
contaminazione con queste realtà e culture professionali “altre” possono consentire successi sorprendenti, portando in dotazione quegli elementi di straordinarietà, unicità, non convenzionalità che oggi rappresentano spesso il goal
di qualsiasi percorso di comunicazione d’impresa.
una fotografia delle sponsorizzazioni culturali odierne
Le preziose indicazioni fornite dalla ricerca upa trovano riscontro concreto nei
progetti premiati al Premio cultura + impresa, ma l’ambito di osservazione
potrebbe essere ampliato a tutti e 15 i finalisti, che rappresentano una emblematica fotografia del settore: sono presenti 7 diverse tipologie di progetti ed
eventi culturali, dove i festival (cinematografici, musicali, letterari, del design)
e i restauri con la valorizzazione dei beni culturali prevalgono numericamente
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ma si accompagnano ai concerti, alle mostre, alle performance artistiche, alle
installazioni multidisciplinari, ai progetti educativi di arte e scienza.
Protagonisti sono operatori culturali pubblici e privati di diverse città italiane, da Napoli a Venezia, con un buon margine di miglioramento nel coinvolgimento del Sud Italia. Sono presenti numerose fondazioni, a testimoniare come questa forma giuridica e organizzativa sia oggi protagonista dei più
avanzati progetti “di sistema” nella nostra Economia della Cultura.
Come accennato, le aziende partecipanti non appartengono solo ai settori tradizionalmente vicini alla cultura per motivazioni “corporate”, ma si sono distinte diverse realtà industriali e addirittura di largo consumo: le stesse
Mavive e Telecom, Renault e Peugeot, Conad, Eli Lilly Italia e l’imprenditore
calzaturiero Giovanni Fabiani ne sono un esempio.
Significativa la presenza della Camera della Moda, a confermare come oggi gli stilisti mostrino una nuova e diffusa sensibilità verso la cultura, a partire
dai casi di Della Valle (Tod’s), Rosso (Diesel), Fendi, Zegna.
Interessanti infine le aggregazioni di istituzioni culturali e di imprese che collettivamente hanno dato vita ai progetti di Forlì, Imola e Napoli: la cultura
è anche questo, un catalizzatore di energie e risorse del territorio, che dialogando creano progetti di utilità sociale, destinati a rimanere un patrimonio
duraturo per tutti i suoi abitanti.
Infine una vera novità, con buona pace di alcuni difensori della “cultura
incontaminata” dall’associazione a imprese e iniziative di marketing. Due dei
progetti premiati, tra cui uno dei vincitori, hanno mostrato come le Arti e la
Cultura possono rappresentare un formidabile driver anche per azioni di marketing
e commerciali. Mavive ha realizzato una linea di prodotti cosmetici fondati sul
sistema valoriale assicurato dalla Fondazione muve (Musei Civici Venezia),
interprete della storia antica che associa Venezia al profumo. Giovanni Fabiani
ha aggiunto ulteriore appeal al proprio posizionamento nel fondamentale
mercato russo grazie all’associazione di immagine con la principale realtà
culturale del proprio territorio, lo Sferisterio di Macerata. È una formula
replicabile con successo: l’identità dell’impresa e dei suoi prodotti, valorizzata
dalle realtà culturali dei propri territori, che a loro volta da questa associazione
traggono sostegno e opportunità di sviluppo.
I due primi premi ex aequo sono andati a un progetto di divulgazione della musica classica attraverso la rete – interpretato dai partner Accademia di
Santa Cecilia di Roma + Telecom Italia – e al recupero di un museo di tradizione inserendo nuovi percorsi tematici multisensoriali – interpretato dai
partner Fondazione muve + Mavive Spa. Qui l’impresa partecipa non solo
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con contributi economici, ma anche, e forse soprattutto, mettendo in comune con l’operatore culturale le proprie competenze, le proprie tecnologie, fino
ai propri canali di marketing e comunicazione.
il seguito del premio cultura + impresa
I progetti vincitori e i primi cinque progetti classificati sono stati protagonisti a Milano di un workshop per operatori culturali e comunicatori d’impresa
tenutosi il 27 febbraio alla Fondazione Stelline, e i due vincitori hanno avuto
anche la ribalta del Premio cultura di gestione, in occasione della serata
di premiazione del 17 maggio.
Il Premio cultura + impresa nel 2013 è stato promosso dal Comitato
cultura + impresa in collaborazione con Assorel, Ferpi, upa, esa (European
Sponsorship Association), Richmond Italia, tvn Media Group, adc Group.
Ora si sta predisponendo l’Edizione 2014, che sarà arricchita e strutturata sulla base dell’esperienza e delle indicazioni ricevute da giurati, operatori
culturali e imprese.
I progetti vincitori del Premio
cultura + impresa 2013
Pappanoinweb
Pappanoinweb è un progetto
sviluppato da Telecom Italia, in
partnership con la Fondazione
Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
per la promozione della cultura in
rete. Ha permesso alla grande musica
classica di varcare i confini circoscritti
alla cerchia di appassionati del genere
per proporsi a una platea mondiale
grazie alle potenzialità offerte dal
web. L’iniziativa, che si avvale della
straordinaria partecipazione del
Maestro Antonio Pappano, dal 2011 ha
trasmesso (su www.telecomitalia.com/
pappanoinweb) 11 concerti, seguiti
complessivamente da circa 900mila
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persone, con oltre 5 milioni di contatti
al sito di progetto, dalla Sala Santa
Cecilia dell’Auditorium Parco della
Musica di Roma. Un risultato che ha
permesso di allargare notevolmente
il bacino di fruitori di un prodotto
culturale spesso considerato di nicchia.
Riapertura del Museo
di Palazzo Mocenigo
con i nuovi percorsi
del profumo
Il Museo di Palazzo Mocenigo, casa
nobiliare veneziana del Settecento
e sede del Centro Studi di Storia del
Tessuto e del Costume, è stato oggetto
di restauro e di un completo riassetto
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le sponsorizzazioni private per la cultura: strumenti e progetti di successo | 171
da parte del muve – Fondazione
Musei Civici di Venezia – con l’obiettivo
di restituire alla città un museo
completamente ripensato dal punto di
vista museografico ed esperienziale.
Grazie alla partnership con Mavive Spa,
azienda profumiera veneziana leader
nel settore, si è inserita nel percorso
museale una nuova sezione dedicata al
profumo, valorizzando la ricerca storica
e la riscoperta delle tecniche artigianali
del passato che collocano l’Italia tra le
eccellenze della tradizione profumiera
mondiale. Dalla partnership è nata
un’operazione di co-marketing:
l’azienda veneziana ha creato “The
Merchant of Venice”, una linea di
prodotti ad hoc brandizzati anche
con il logo della Fondazione muve.
Partecipano come partner secondari
al progetto: Drom, casa essenziera
tedesca; il corso di Cosmetologia
dell’Università di Ferrara; la Sezione
Moda di Confindustria del Veneto e
l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
ali nuove per la città. Restauro
conservativo del Monumento a
Icaro
Il Progetto ali nuove per la città
è stato ideato, promosso e coordinato
dal Fondo per la Cultura del Comune
di Forlì in partnership con le sezioni
cittadine Italiana Assicurazioni, Cassa
dei Risparmi, Lions Club e Unindustria
e la collaborazione scientifica del cnr
di Milano. L’obiettivo era raccogliere
intorno a uno dei suoi principali
monumenti l’insieme delle forze della
città, coinvolgendo, nella raccolta,
fondi cittadini privati, imprese locali
e realtà professionali, regionali e
nazionali.
ali nuove per la città è un progetto
di restauro innovativo, partecipativo
e didattico-formativo, che ha visto la
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partecipazione anche degli studenti
del Liceo artistico di Forlì. Il cantiere è
stato aperto e reso visitabile grazie a
un ponteggio particolare e i progressi
di lavoro sono stati documentati con
video e foto e condivisi sul sito internet
e sui social media.
I pro
impr
a più voci
Il progetto dal forte carattere sociale a
più voci, realizzato dalla Fondazione
Palazzo Strozzi in partnership con
l’azienda farmaceutica internazionale
Eli Lilly Italia Spa, è dedicato alle
persone affette da Alzheimer con
l’obiettivo di rendere loro fruibili le
mostre della Fondazione. Grazie alla
collaborazione e al sostegno di Eli
Lilly Italia, è stato possibile realizzare
attività con i malati e un convegno
internazionale sulle proposte museali
per persone con demenza. Il progetto
ha ottenuto una grande risonanza
internazionale: ha partecipato a un
meeting internazionale al moma
a NewYork ed è stato presentato
all’American Alliance of Museum
a Baltimora. a più voci ha dato la
possibilità ai malati di esprimersi
attraverso l’arte proponendo anche
ai caregiver un modello possibile di
comunicazione, facendo ricorso alla
fantasia e all’immaginazione, e non
alla memoria.
Luxury Experience
al Macerata Opera Festival
Il Macerata Opera Festival e
Giovanni Fabiani hanno scelto di
fare co‑marketing, associando le
proprie strategie di comunicazione
e commerciali per ampliare i propri
pubblici. La manifestazione lirica, che
nel 2014 festeggia la sua 50ª edizione,
è un’eccellenza europea tra i festival
operistici estivi e vanta un pubblico
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eterogeneo (trentamila paganti ogni
anno, oltre centomila presenze agli
eventi Off Festival nel 2013), mentre
l’azienda Giovanni Fabiani è da anni
leader del settore calzaturiero nel
mercato russo. Il progetto ha permesso
al pubblico russo di conoscere,
attraverso Giovanni Fabiani, lo
Sferisterio, e a Giovanni Fabiani di
accrescere il proprio brand value sia in
Italia che in Russia. Il Macerata Opera
Festival ha partecipato a importanti
fiere del turismo in tutto il mondo,
presentando pacchetti turistici di
lusso, mentre l’azienda ha beneficiato
dell’affluenza di turisti russi che
venivano accompagnati nel proprio
outlet prima di arrivare allo Sferisterio.
La collaborazione tra il Macerata
Opera Festival e Giovanni Fabiani
proseguirà fino al 2015.
piano city Milano 2013
piano city, evento culturale rivolto
ai cittadini milanesi, organizzato da
Accapiù (h+) e Ponderosa Music&Art in
partnership con il Comune di Milano,
ha come protagonisti la musica e il
pianoforte, che “occupano” la città
per un week-end, dai musei agli edifici
storici, dalle biblioteche ai parchi
fino alle case dei musicisti stessi: una
grande manifestazione gratuita e
diffusa, grazie al sostegno di Edison
e di Intesa Sanpaolo. Durante i tre
giorni della sua seconda edizione si
sono svolti oltre 220 concerti, di cui 92
house concerts e più di 100 esibizioni
diffuse in luoghi simbolici della città
(il Comune di Milano ha aperto e
messo a disposizione oltre 35 luoghi,
come la Rotonda della Besana, la Villa
Reale con i suoi giardini e il Museo
del Novecento) a opera di pianisti
noti, giovani talenti o appassionati,
selezionati da una commissione
artistica che ha dato un palcoscenico
prestigioso a coloro che, usualmente,
non ne hanno la possibilità.
relational
Il progetto relational, di Giovanna
Bianco e Pino Valente, svoltosi dal
15 maggio al 30 giugno 2013, è
stato realizzato alla stazione di
Napoli Margellina, in occasione
della manifestazione “Maggio dei
Monumenti” programmata dal
Comune di Napoli e dal network
“Centostazioni” (Gruppo fs Italiane)
con il “matronato” del madre (Museo
d’Arte contemporanea Donnaregina) e
ha beneficiato di numerose partnership
pubbliche e private.
L’evento si è inserito nell’ambito
del percorso culturale Stazioni
dell’Arte che ha visto l’edificio
ferroviario trasformarsi da spazio
di transito a “museo obbligatorio”,
teatro e terreno di sperimentazione
artistica contemporanea per
giovani talenti. La stazione è stata
materialmente e metaforicamente
abbracciata dall’intreccio di cavi blu
elettroluminescenti dell’installazione
relational a simboleggiare non
soltanto la vitalità dell’edificio
monumentale di Napoli Margellina,
ma soprattutto la sua capacità di
accogliere e aggregare cittadini e
viaggiatori, costituendo un suggestivo
punto di riferimento culturale.
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la cultura che vince. viaggio nell’italia della buona gestione
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La cultura che vince, o meglio, l’Italia che vince con la cultura. Potrebbe essere questo uno slogan e al tempo stesso un obiettivo realistico e raggiungibile per superare finalmente la crisi nella quale il Paese è precipitato ormai da
troppo tempo. Le condizioni per renderlo concreto ci sono: oltre il degrado
e l’immagine decadente che sempre più spesso ci raffigura, esiste una larga
parte d’Italia che, proprio attraverso la cultura, rappresenta una speranza, libera energie, crea ricchezza. Una porzione di Paese fatta di donne e uomini,
amministratori e operatori, calata nella realtà concreta, un antidoto efficacissimo alla retorica sulla ricchezza culturale diffusa nel Paese, ricorrente in ogni
dibattito sulle nostre politiche culturali, che è un pericolo prima di tutto per
la cultura stessa.
L’esercizio retorico sulla nostra presunta leadership in questo settore concentra, infatti, l’attenzione sulla quantità del nostro patrimonio materiale
piuttosto che sulle azioni necessarie a mantenerlo, renderlo fruibile e vivo nel
presente, o sugli interventi volti a incentivare la nuova produzione artistica
e sviluppare le industrie della creatività, che danno un contributo importan-
* Ufficio Comunicazione Federculture
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te all’occupazione e alla nostra economia. Bisogna uscire una volta per tutte
dall’equivoco: non è più sufficiente possedere il più alto numero di beni iscritti
nella Lista del Patrimonio unesco, o avere le opere d’arte più note al mondo, per essere oggi un Paese produttore di cultura, attrattivo e competitivo a
livello internazionale.
Dunque, se è innegabile che l’Italia sia il sistema delle sue città, dei suoi
centri storici e dei suoi monumenti, delle tante produzioni tipiche, delle innumerevoli manifestazioni culturali, è altrettanto vero che un territorio come
quello italiano, dotato di un così ampio e articolato complesso di beni storico-artistici, di paesaggi culturali, di tradizioni popolari, richiede politiche e
investimenti adeguati sia alla conservazione sia allo sviluppo dei propri asset
culturali, materiali e immateriali. Ciò significa, da una parte rendere accessibili
musei o aree archeologiche, biblioteche o parchi ambientali, qualificando la
rete dei servizi primari per favorirne la corretta fruizione da parte di cittadini
e turisti e farne un fattore di miglioramento della qualità della vita e di crescita dei territori. Dall’altra, vuol dire anche valorizzare in chiave produttiva
la cultura, una risorsa che ci rende unici nel panorama internazionale e che
rappresenta il nostro passato e il presente, ma soprattutto il futuro del Paese.
Si tratta innanzitutto di puntare sul tessuto culturale diffuso nei nostri territori, valorizzando in una logica integrata anche le tante realtà spesso, a torto,
considerate “minori”, incentivandone l’offerta e l’attrattività per contribuire
allo sviluppo locale. La competitività, soprattutto turistica, del nostro Paese
non può più, infatti, essere legata solo ai grandi attrattori culturali, oggetto di
un turismo superficiale e poco sostenibile, ma deve saper orientare domanda
e flussi verso un’offerta diffusa, di qualità, “unica” proprio perché locale e tipica. Per far ciò è necessario determinare le condizioni per sviluppare il Paese
in una logica territoriale omogenea, creare reti, abbandonando ogni atteggiamento in cui localismo faccia rima con campanilismo.
Su questo terreno, negli ultimi anni, si sono maggiormente misurate le autonomie locali che si sono mosse, da una parte, facendo leva su progetti integrati, fortemente connessi con il contesto territoriale e, dall’altra – per meglio assolvere al compito di potenziare la loro offerta culturale, – hanno fatto
ricorso a forme esternalizzate di gestione di musei, teatri, biblioteche, con la
creazione di vere e proprie imprese che hanno rappresentato negli ultimi venti
anni la punta di diamante della produzione e dell’offerta culturale del Paese.
Ovunque siano state realizzate, le esternalizzazioni si sono rivelate scelte vincenti, nelle quali l’efficacia gestionale si è coniugata con la qualità dei servizi e
della produzione e dove ha potuto svilupparsi in forme nuove il rapporto tra
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soggetti pubblici e privati, andando oltre il mero finanziamento delle attività.
In queste aziende pubblico e privato si trovano, infatti, quotidianamente l’uno al fianco dell’altro nella condivisione di progettualità, obiettivi e risultati,
mettendo in campo professionalità e innovazione.
In questo percorso le amministrazioni locali, e principalmente i Comuni, hanno dimostrato una marcia in più rispetto a quanto invece avvenuto
nell’ambito dei beni e delle attività culturali a titolarità statale che con difficoltà riescono a stabilire contatti fecondi con il territorio circostante e con
partner privati.
Ma non si può dimenticare quanto a livello statale le politiche per la cultura siano state penalizzate in termini di programmazione e di investimenti,
con gravi ripercussioni sia sulla capacità di salvaguardia del patrimonio sia su
quella di progettare interventi di sviluppo e gestione di lungo respiro. Al di
là delle stime, dei numeri e delle dichiarazioni sull’entità del nostro patrimonio materiale e immateriale, infatti, la cultura non è ancora, nonostante tutto,
considerata una priorità nelle scelte politiche per lo sviluppo del Paese. Da
diversi anni il settore culturale soffre per una gravissima sottrazione di risorse,
specchio di una sostanziale assenza di politiche attive di investimento nello
sviluppo delle attività culturali, creative, artistiche e della rinuncia a un’efficace tutela e valorizzazione dei nostri beni.
Un processo di declino che si ripercuote inevitabilmente anche sugli enti locali e le aziende culturali pubbliche che, pure a fronte di una domanda
sempre più esigente da parte dei cittadini, si misurano quotidianamente con
continue riduzioni di trasferimenti pubblici e, quindi, con una estrema difficoltà a programmare e sostenere i servizi, anche culturali.
Eppure, anche se potrebbe sembrare paradossale per un settore così duramente colpito dall’assenza di una politica nazionale di rilancio e da misure
restrittive, proprio nel campo dell’arte e della cultura prende forza l’opportunità strategica di coniugare il benessere sociale con lo sviluppo economico,
garantendo una crescita sostenibile e territori attrattivi e competitivi.
È quanto accade nelle esperienze che presentiamo in questo contributo:
non una semplice raccolta di casi di eccellenza ma il frutto di una visione di
programmazione pubblica lungimirante e di una capacità di gestione manageriale che rappresenta un pezzo di Italia che funziona.
Creatività e competenze gestionali sono gli ingredienti fondamentali di
queste esperienze, misurate sul campo, che dimostrano, ancora una volta, la
vitalità di un settore che genera sviluppo sociale ed economico nonostante
non rientri nelle priorità delle politiche del Paese.
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il premio cultura di gestione: fotografia del paese che funziona
Il tema dell’efficienza e dell’efficacia della gestione è, da sempre, la questione centrale su cui è impegnata Federculture, che ha costantemente cercato in
questi anni di far emergere e valorizzare le best practices del settore attraverso
iniziative come il Premio Cultura di Gestione, con il quale dà spazio ai migliori progetti culturali presenti nel territorio.
Negli ultimi dieci anni Federculture, insieme a Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Conferenza delle Regioni, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, Unione delle Province Italiane, Legautonomie, Legambiente e cts – Centro Turistico Studentesco e Giovanile,
con questa iniziativa ha raccolto circa 750 candidature e premiato decine di
progetti, che rappresentano la parte più dinamica e innovativa del sistema
culturale italiano.
Tra gli oltre cento partecipanti alla VII edizione del Premio Cultura di Gestio1
ne , conclusasi a maggio 2014, sono stati individuati i cinque progetti vincitori, dei quali tre per l’ambito politiche di gestione, valorizzazione e promozione dei beni e delle attività culturali, uno per il Premio speciale Legambiente
“PiccolaGrandeItalia”, dedicato ai Comuni con meno di 5.000 abitanti, e uno
per il Premio speciale cts per le politiche giovanili.
I tre progetti vincitori del Premio Cultura di Gestione per le politiche di gestione, valorizzazione e promozione dei beni e delle attività culturali, seppure
con caratteristiche diverse, testimoniano che gli investimenti e le scelte strategiche dell’ente pubblico di riferimento (in questo caso due Comuni e una
Provincia) sono determinanti per attuare grandi progetti di riqualificazione e
riorganizzazione di servizi e spazi culturali pubblici.
Il primo dei progetti a cui facciamo riferimento è Maceratamusei: i musei
nella rete, attuato dall’Istituzione Macerata Cultura, Biblioteca e Musei del
Comune di Macerata, con il quale i musei civici della città sono stati fatti oggetto di un imponente lavoro di ristrutturazione, riallocati in nuove sedi restaurate e dotati di un nuovo assetto gestionale.
Dopo un primo periodo di gestione in economia e di sperimentazione tramite l’affidamento diretto dei servizi di biglietteria a locali cooperative operanti nei beni culturali e nel sociale, il Comune ha ritenuto di attuare un più
Al bando della VII edizione del Premio Cultura di Gestione hanno risposto associazioni, aziende,
comuni, cooperative, consorzi, province, regioni, fondazioni, enti pubblici su tutto il territorio nazionale. Sono stati candidati complessivamente 107 progetti dei quali il 22% da Sud e Isole, il 40% dal
Centro e il 38% dal Nord.
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ampio approccio ai servizi culturali, fornendo in un’unica rete civica i servizi di accoglienza, informazione, promozione e valorizzazione dei luoghi di
interesse turistico e culturale. Con una gara di appalto, la gestione dei servizi museali è stata affidata, in esclusiva dal giugno 2012, a un’associazione
temporanea di imprese. L’innovatività introdotta con questa nuova formula
di gestione è rappresentata dalla messa in rete di tutti i siti culturali e monumentali del Comune, in precedenza accessibili soltanto su richiesta e senza
alcuna regolamentazione univoca. L’introduzione di un biglietto unico per
tutte le strutture a pagamento, infatti, ha segnato l’avvio di una gestione integrata, che l’amministrazione comunale sta cercando di estendere anche alle
altre realtà cittadine, che sono pertinenza di altri soggetti pubblici, come la
Provincia o l’Università.
Questa logica di gestione, allargata a soggetti a diverso titolo impegnati nei
servizi culturali e turistici della città, ha fatto sì da un lato che i musei civici
intraprendessero un cammino di qualificazione dell’offerta museale e dall’altro
che attivassero pratiche di reciproco beneficio anche con le realtà commerciali della città, come i soggetti ristoratori e le strutture recettive, in un’ottica
di promozione turistica della città stessa.
Il patrimonio museale pubblico civico, precedentemente fruibile dagli
utenti in modo frammentato e occasionale, grazie al nuovo modello gestionale oggi può essere visitato in ogni suo sito con un biglietto unico e con
servizi integrati e organici tra le diverse strutture. L’esibizione del biglietto
in esercizi di ristoro della città, convenzionati con la rete Maceratamusei,
consente promozioni sulle consumazioni; viceversa, l’esibizione della ricevuta di degustazione di locali convenzionati con la suddetta rete consente
una riduzione nell’importo di ingresso ai musei. Risulta evidente, dunque,
l’intento di integrare in modo sinergico la valorizzazione dei beni culturali al circuito turistico della città, presentando un’offerta in rete delle varie
proposte di fruizione.
Il percorso compiuto ad oggi ha determinato un notevole miglioramento e
ampliamento dell’offerta culturale cittadina, con un conseguente incremento
complessivo dei visitatori in tutti luoghi della rete civica. Nel 2013 nelle strutture di Maceratamusei sono entrati oltre 31.000 visitatori, con un incremento del 48% rispetto al 2012. Il progetto è arrivato a compimento il 21 marzo
2014 con la riapertura delle sale dedicate all’arte antica nel piano nobile di
Palazzo Buonaccorsi, sede principale dei musei civici, punto di arrivo di un
più ampio percorso di riqualificazione del patrimonio storico-artistico in una
logica d’innovazione e di gestione aperta al grande pubblico.
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Con quello maceratese condivide alcuni aspetti gestionali, pur muovendosi
su un piano molto diverso, il progetto Le torri dell’acqua: luogo del contemporaneo realizzato dal Comune di Budrio (BO).
Le Torri dell’Acqua, struttura dell’ex acquedotto costruito nel 1912 nel
cuore di Budrio, sono state individuate dall’amministrazione comunale come
luogo in cui destinare attività connesse all’arte contemporanea con funzione
di aggregazione culturale e giovanile. La ristrutturazione dello spazio, avvenuta tra il 2006 e il 2009, rappresenta un notevole esempio di valorizzazione di un monumento di architettura industriale che ha reso lo stabile fruibile a tutta la cittadinanza, sottraendolo al progressivo degrado e destinandolo
a centro polifunzionale. Grazie anche a un progetto di recupero dell’edificio
che ha dato vita ad ambienti di volumetria variabile e per questo adatti alle
più diverse esigenze, le Torri dell’Acqua sono diventate non solo il luogo dove
eventi musicali, teatrali, artistici in genere hanno trovato una nuova dimensione, ma anche dove si sono espressi attività professionali, sessioni formative,
eventi congressuali, conferenze stampa e altri momenti pubblici, che hanno
potuto esprimersi in tutta la loro complessità. In questo senso il progetto ha
coniugato il recupero fisico con la creazione di un vero e proprio luogo del
contemporaneo, inteso come spazio di espressione moderna dell’arte e dello
stare insieme, dove diverse forme culturali contemporanee possono dialogare
con il proprio pubblico.
Inoltre, insieme al progetto architettonico, l’ente comunale ha attuato per
le Torri un coerente progetto di gestione, affidando lo spazio alla Fondazione
Cocchi, che sviluppa importanti attività di tipo culturale e sociale, mantenendo una stretta collaborazione con il Comune e con le associazioni del territorio. La gestione delle Torri, dunque, risulta condivisa da più soggetti che in
sinergia propongono un progetto culturale fruibile da tutta la cittadinanza.
Questa efficace formula gestionale permette una sostenibilità economica del
progetto che, per la parte delle spese correnti, riesce a coprire i costi al 49%
con entrate auto-generate. La positiva integrazione tra soggetti pubblici e
privati riesce a garantire una programmazione coerente nei suoi intenti e una
promozione dei singoli eventi che spazia oltre il semplice territorio comunale.
In una dimensione ben oltre il locale, anzi, di livello internazionale, si colloca
il progetto Attività e modelli di gestione per il muse, il nuovo Museo delle Scienze
di Trento, con cui è stato completamente trasformato il Museo Tridentino di
Scienze Naturali, ente strumentale della Provincia autonoma di Trento, che
già dagli anni Novanta aveva iniziato l’esplorazione di nuove possibilità culturali e di attività museale, affermandosi come istituzione scientifica in gra-
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do di rapportarsi con un numero sempre più ampio di interlocutori locali e
internazionali nell’ambito della ricerca e della museografia, della didattica e
della comunicazione della scienza. Questo processo si è poi coniugato con
il progetto con il quale l’amministrazione provinciale ha dato il via alla trasformazione urbana di una parte della città di Trento attraverso la riqualificazione e ridefinizione di uno spazio industriale dismesso, noto come area
ex Michelin, centrata sull’idea di realizzare una funzione culturale di qualità.
Il progetto del nuovo museo si sviluppa in un processo ideativo articolato
e partecipato. Hanno contribuito, infatti, alla definizione finale del progetto museale, da una parte, lo studio di fattibilità per un “Nuovo Museo delle Scienze in Trentino” realizzato su incarico del Servizio attività culturali
della Provincia autonoma di Trento e il Piano culturale della città di Trento,
dall’altra, decine di qualificati esperti nazionali e internazionali, advisory board costituiti da personale accademico, esperti in comunicazione ed educatori, nonché cittadini coinvolti direttamente con numerosi focus group e azioni partecipative. Il risultato di questo sforzo collettivo è il muse, un museo
delle scienze di nuova generazione, all’avanguardia dal punto di vista degli
obiettivi, delle soluzioni adottate e delle relazioni disegnate sul territorio e
con il pubblico.
Inaugurato il 27 luglio 2013, nei primi mesi di apertura (agosto 2013 –
gennaio 2014) è stato visitato da 252.037 persone e ha mobilitato con i suoi
eventi e attività associazioni del territorio, scuole, aziende private, istituzioni. Risultati che, fin dall’esordio, collocano il museo tra le principali strutture
analoghe a livello nazionale, come il Museo Nazionale della Scienza e della
Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, che è visitato da 420.000 persone
ogni anno e propone una ricchissima offerta di attività espositive, didattiche,
di ricerca, o come la Città della Scienza di Napoli che, prima dell’incendio doloso che la distrusse parzialmente nel 2013, accoglieva oltre 350.000 visitatori
l’anno. La dimensione innovativa e internazionale del muse, inoltre, potrebbe
renderlo competitivo rispetto ad altre realtà museali di prim’ordine come il
Deutsches Museum di Monaco di Baviera, il più grande museo scientifico al
mondo, che con il suo milione di visitatori è tra i più popolari della Germania.
Il muse, dunque, oltre a essere una struttura scientifico-culturale innovativa
e di livello internazionale per qualità del progetto architettonico e museologico, per standard di gestione e di funzionamento, per qualificazione dell’offerta e ampiezza del coinvolgimento della comunità locale, rappresenta una
leva per la generazione di impatti economici diretti e indiretti sul territorio,
in grado di attrarre risorse umane e finanziarie, di aumentare i flussi turisti-
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ci e di costituire un punto di riferimento per il mondo scientifico e per il più
ampio pubblico nazionale e internazionale.
Il Museo è ad oggi sicuramente una scelta vincente di un’amministrazione
lungimirante che ha scelto di arricchire il proprio territorio investendo nella
valorizzazione di elementi immateriali quali la cultura e la conoscenza.
Alla cultura immateriale, in particolare quella teatrale, è dedicato il progetto Ri_Nascite_residenza artistica della Compagnia Teatrale Universitaria2
promosso dall’Associazione culturale “Binario di Scambio” che ha vinto nella
categoria delle politiche giovanili.
Il progetto, infatti, nasce nell’ambito delle attività dell’Università degli Studi
di Firenze e in particolare dei corsi in Scienze dello Spettacolo, che sviluppano una specifica azione formativa e scientifica di carattere sperimentale rivolta
alla diffusione e alla valorizzazione dei saperi artistici tra le nuove generazioni.
Il progetto Ri_Nascite, coordinato dal Comune di Prato nell’ambito dei
Servizi agli studenti nei Comuni sedi di Università, sostenuto dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani, ha reso possibile una residenza artistica a Officina Giovani, centro pratese polivalente dedicato alla cultura e al
mondo giovanile. Questa esperienza, originale e insolita per una formazione
universitaria, ha portato in uno spazio nodale per la creatività giovanile un
programma articolato in diverse attività, per riflettere sulla pluralità dei punti
di vista, sulle aree d’intervento e sugli obiettivi intorno ai quali si sviluppano
le possibilità del linguaggio teatrale contemporaneo. Il calendario della residenza, esteso tra ottobre 2012 e marzo 2013, ha compreso cinque spettacoli, di cui quattro debutti della Compagnia, un cartellone d’incontri con professionisti del settore e di laboratori di carattere più strettamente formativo,
dai quali sono scaturite occasioni di crescita e di consapevolezza collettiva.
La ragione unificante del progetto è consistita, infatti, nella volontà di fornire a un pubblico di giovani la visione di un panorama quanto più possibile
variegato, dove convivessero pratiche teatrali già affermate con la ricerca di
un teatro d’impegno civile, come quello che coinvolge la comunità cinese di
Prato, volto alla soluzione dei conflitti interculturali tramite l’interazione teatrale. Ogni realizzazione pratica, ogni esito performativo, è stato aperto alla
partecipazione gratuita dell’intera città e sono stati ospitati spettacoli di giovani compagnie emergenti al fine di favorire lo scambio tra giovani artisti. In
questo modo il progetto Ri-Nascite ha rinsaldato il rapporto tra l’istituzione
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universitaria fiorentina e la città di Prato e ha fatto riscoprire l’importanza di
un’arte antica, il teatro, e le sue potenti capacità artistiche, di socializzazione
e di benessere di gruppo, di trasmissione dei saperi artigianali.
Anche il progetto TraMonti, itinerari tra generazioni lungo i crinali della Val
di Vara3 ha una forte connotazione intergenerazionale, essendo pensato proprio per favorire la condivisione della memoria storica locale tra generazioni.
Il progetto, attuato dal Comune di Rocchetta di Vara (sp), piccolissimo centro ligure di soli 819 abitanti, che si è fatto capofila di 9 comuni della valle, si
è sviluppato in diverse fasi che hanno portato alla realizzazione di un atlante
web del territorio nel quale sono state raccolte le emergenze culturali, materiali e immateriali, vale a dire siti e aree di maggior rilevanza archeologica,
testimonianze orali sulla cultura storica locale (raccolte in forma di interviste
video agli anziani della zona), feste e tradizioni enogastronomiche, itinerari
e sentieri paesaggistici-culturali. L’iniziativa ha assunto un ulteriore significato di conservazione e trasmissione della memoria storica e culturale della
zona a seguito dell’alluvione che colpì il territorio spezzino nell’ottobre 2011,
sconvolgendone i connotati. Grazie al progetto, infatti, si è potuto creare un
fermo immagine di una situazione pregressa che rischiava di andare perduta sia dal punto di vista dell’assetto territoriale e paesaggistico che culturale.
TraMonti si è avvalso anche di importanti strumenti tecnologici; in particolare, grazie alla collaborazione di un team specializzato dell’Università
di Pisa e del cnr, il territorio è stato censito in modalità 2.0, vale a dire che
tutte le emergenze culturali sono state georeferenziate su mappe interattive.
Tutti i dati raccolti sono stati inseriti nella Mappa interattiva dei beni culturali che presenta una cartografia aggiornata della Val di Vara, cui si possono sovrapporre cartografie tematiche (storiche, insediative, produttive). Dai
toponimi o punti d’interesse è possibile fare zoom tematici, che richiamano
e visualizzano per quell’oggetto schede storiche e archeologiche, documenti
testuali, immagini.
Dopo il progetto TraMonti molte azioni del programma di sviluppo rurale hanno puntato alla promozione del territorio attraverso il recupero della segnaletica monumentale, il ripristino dei sentieri e la valorizzazione delle
antiche produzioni e coltivazioni. Ad esempio, grazie all’azione del Comune
è stata ripresa la coltivazione di un grano bianco antico autoctono della zona
la cui produzione oggi ha sostituito le terre incolte in ben 18 aziende, da cui
Premio speciale Legambiente “PiccolaGrandeItalia” per le politiche culturali dei comuni al di sotto
dei 5.000 abitanti.
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la comparsa e la vendita della prima farina bianca delle antiche valli di Suvero. Inoltre, è nata la comunità del cibo Slow Food proprio del grano bianco
di queste valli.
Dunque, il progetto si è affermato come uno strumento cardine della promozione del territorio, e dello sviluppo turistico e culturale della Val di Vara.
tra pubblico e privato, sinergie e alleanze possibili
I progetti presentati nel paragrafo precedente condividono, oltre a un’elevata qualità nella realizzazione e nei risultati raggiunti, una forte impronta
pubblica, nel senso che sono nati sotto la spinta di enti e amministrazioni
che ne hanno fatto il fulcro delle loro politiche culturali e di sviluppo locale. Alcuni di essi hanno poi anche il plus di un proficuo rapporto con i
privati in veste di sponsor, come nel caso del muse di Trento, che ha saputo attivare decine di imprese sostenitrici del progetto museale, oppure di
soggetti gestori dei servizi affidati dall’ente pubblico, ed è questo il caso di
Budrio e Macerata.
Di seguito, invece, sono illustrate altre esperienze in cui il rapporto tra ente pubblico e soggetto privato è ancor più sinergico e sostanziale rispetto alle finalità di gestione, valorizzazione o conservazione di un bene culturale.
Con formule diverse – soggetti gestori di natura privatistica compartecipati
da enti pubblici e privati, mecenatismo, sponsor – sono casi che dimostrano
chiaramente come l’apertura verso i privati nell’ambito delle politiche culturali e della gestione del patrimonio, se attuata secondo regole chiare e risultati misurabili, non significhi “svendere” i nostri beni, né privatizzarli, bensì
determinare nuove opportunità di sviluppo dei servizi, di fruizione, di produzione culturale.
Ne è un esempio eccellente l’Herculaneum Conservation Project avviato nel
2000 per volontà del filantropo americano David W. Packard, presidente del
Packard Humanities Institute, e di Andrew Wallace-Hadrill, all’epoca direttore della British School at Rome, con lo scopo di sostenere l’azione pubblica
di salvaguardia del sito archeologico campano. Packard concordò con Pietro
Giovanni Guzzo, allora soprintendente archeologo della Soprintendenza Archeologica di Pompei, di realizzare un importante progetto di collaborazione
per la salvaguardia del sito di Ercolano, formalizzato con la stipula di un protocollo d’intesa nel maggio del 2001, con l’obiettivo primario di conservare e
valorizzare l’antica città.
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Il contratto di sponsorizzazione dell’Herculaneum Conservation Project,
ratificato nel 2004, prevedeva che la British School at Rome, con il sostegno
del Packard Humanities Institute, avesse mandato per intraprendere in regime
di autonomia gestionale, amministrativa e finanziaria una serie di interventi
sul sito volti a preservarne il patrimonio archeologico, sotto l’alta sorveglianza
della Soprintendenza competente. Ha preso forma in questo modo un progetto
di partenariato pubblico-privato particolare, in quanto costruito in modo
da rafforzare l’istituzione di tutela senza mai sostituirla nelle sue funzioni
e attraverso un meccanismo di sponsorizzazione che non prevede ritorno
commerciale per il partner privato.
Dal 2001 il progetto si è impegnato a contrastare le minacce più immediate
per la sopravvivenza del sito. Dal 2002 ad oggi, il Packard Humanities Institute ha stanziato per la conservazione e la valorizzazione di Ercolano più di
20 milioni di euro, oltre a sostenere un intero sistema gestionale parallelo alla
Soprintendenza, con le relative professionalità di supporto.
Se a Ercolano l’innesto di un soggetto privato nella gestione di un bene
pubblico riguarda in particolare l’attività di tutela e conservazione del patrimonio pubblico, nei casi seguenti la partnership pubblico-privato si esplica a
più ampio raggio nella governance complessiva di istituzioni culturali.
La Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, fondata ufficialmente
il 6 ottobre 2004, rappresenta il primo esperimento di costituzione, da parte
dello Stato, di uno strumento di gestione museale a partecipazione privata.
Sono soggetti promotori della Fondazione oltre al mibact, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, la Compagnia di San Paolo, la Fondazione crt. La partnership intende realizzare una gestione più efficiente e dinamica in grado di attrarre risorse finanziarie dallo Stato, dalle
amministrazioni locali e dai privati. I nuovi soggetti vengono direttamente
coinvolti in un progetto di valorizzazione che mette in primo piano la fruizione dell’immensa collezione, mantenendo la sua tutela statale controllata
dalla Soprintendenza.
Dopo quello del Cairo, il Museo Egizio di Torino è il più importante museo al mondo sulla civiltà egizia e può vantare anche di essere il primo museo egizio della storia, con circa 6.500 oggetti esposti e più di 26.000 reperti
depositati nei magazzini. La collezione del museo allestita dallo scenografo
Dante Ferretti è di eccezionale valore per bellezza, integrità e soprattutto per
il suo valore culturale. Il Museo è stabilmente, da diversi anni, tra i primi dieci musei più visitati in Italia, con circa 600.000 visitatori ogni anno. I dati del
2013 registrano oltre 540.000 visitatori.
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Più che mecenati, veri e propri partner che condividono le linee di gestione manageriale di un ente produttore ed erogatore di cultura. Queste sono le
caratteristiche della fondazione torinese, ma anche della fondazione istituita
nel 2006 da Comune di Firenze, Provincia di Firenze, Camera di Commercio di Firenze e da un’Associazione di Partner Privati (apps): la Fondazione
Palazzo Strozzi. Nata con l’obiettivo principale di portare a Firenze un approccio internazionale nell’organizzazione di eventi culturali, per fornire una
piattaforma per la sperimentazione e un luogo per il dibattito e la discussione, creare nuove sinergie con altri soggetti e diventare un catalizzatore per
la cultura in senso lato, rappresenta un’esperienza innovativa sicuramente sul
piano della governance per l’autonomia formale del suo Consiglio, costituito
da membri nominati da soggetti sia pubblici sia privati, per il modello di business che riesce a originare la confluenza di canali di finanziamento pubblici
e privati, ma anche per l’alta percentuale di autofinanziamento.
La Fondazione Palazzo Strozzi non rappresenta solo un esperimento di gestione, ma anche d’innovazione sostenibile. In questi anni la Fondazione ha articolato la propria vocazione a promuovere eventi culturali di livello internazionale e di restituire Palazzo Strozzi a Firenze. Obiettivo fondamentale è quello
di allestire esposizioni pensando anzitutto alla soddisfazione dei visitatori cui
è riservata un’attenzione speciale: dalle apposite didascalie per famiglie e bambini, ai percorsi per ipovedenti, alle informazioni video nel cortile. Le attività
culturali organizzate da Palazzo Strozzi hanno coinvolto circa 59mila persone. Nel corso del 2012 la Fondazione si è focalizzata sull’offerta verso giovani e
famiglie, riuscendo ad aumentare la partecipazione di questi gruppi da 11mila
presenze del 2011 (20% del totale) a 19mila presenze del 2012 (37%), oltre che
rafforzare le conferenze e le attività culturali, passate da 17 a 20mila partecipanti.
Un’attività che, secondo il rapporto che la Fondazione annualmente redige, genera nel tessuto economico della città di Firenze, e quindi anche per le
casse del Comune, un indotto di circa 30 milioni di euro l’anno a fronte di
un’erogazione di contributi pubblici di solo 2 milioni di euro.
grandi progetti d’area: dall’estero esempi di recupero
e riconversione di aree dismesse
Allargando lo sguardo oltre i confini nazionali incontriamo alcuni progetti
nei quali è possibile misurare i risultati di politiche pubbliche focalizzate sul
rapporto tra cultura, industrie creative e sviluppo dei territori.
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Sono progetti strettamente connessi a processi di rigenerazione urbana –
com’è evidente ad esempio nell’esperienza delle Capitali Europee della Cultura – nei quali viene colta l’opportunità di coniugare la cultura con piani di
riconversione urbanistica ed economico-produttiva di città ex industriali, attraverso la riqualificazione di grandi aree dismesse e l’innesto in esse di attività culturali.
In Francia ne è un esempio la trasformazione del quartiere Friche La Belle
de Mai. La Friche, inaugurata nel 1848 e sviluppatasi poi nel corso del Novecento nell’area di Belle de Mai, era un’ex fabbrica di fiammiferi, tabacco e
zucchero, situata tra la gare Saint-Charles e il porto commerciale di Marsiglia. Nel 1992, dopo la dismissione della fabbrica, un gruppo di artisti si è attivato per il recupero di una parte della struttura promuovendo un progetto
culturale per il quartiere.
Tra il 1992 e il 1997 il Comune ha nominato una Commissione, guidata
da Jean Nouvel, allo scopo di elaborare un progetto di riqualificazione dell’area multifunzionale, inserendo il progetto Friche in un piano complessivo di
recupero dell’intera zona. Quasi 19 miliardi di franchi sono stati spesi per la
ristrutturazione attingendo a fondi europei, in massima parte con il progetto
Euroméditerranée. Oggi è uno spazio di 45.000 mq tutto dedicato alla creazione contemporanea, strumento della città per far interagire l’arte e gli artisti con la vita cittadina, stimolando la curiosità e gli scambi tra generi artistici
diversi. L’organizzazione è composta di 45 lavoratori culturali – compagnie
artistiche, artisti indipendenti, organizzazioni di servizio e di formazione –
che lavorano nel campo delle arti contemporanee: teatro, musica, cinema e
video, informazione e comunicazione tecnologica.
La presenza delle attività artistiche nel cuore della città si è rivelata determinante anche per lo sviluppo sociale ed economico del quartiere, grazie al
successivo insediamento nell’area di imprese e incubatori multimediali. Dietro
questo successo anche economico – nel 2003 la Friche ha raggiunto un giro
d’affari stimato intorno ai 10,6 milioni di euro – vi è stata la volontà politica
di fare di Marsiglia una metropoli di primo piano sulla scena culturale nazionale e mediterranea, driver di sviluppo e attrattore di finanziamenti. Uno
degli elementi più rilevanti del progetto consiste nella relazione tra l'attività dell’associazione Friche e il lavoro svolto dalla Commissione. Il progetto
elaborato dalla Commissione ha svolto un ruolo di facilitatore e di intermediario tra il progetto Friche e l’Amministrazione Pubblica. La maggior parte del patrimonio appartiene al Comune di Marsiglia che ha concordato con
l’associazione un contratto di affitto gratuito degli spazi a condizione che ve-
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nissero portate avanti attività per il quartiere. Le attività sono finanziate dal
Comune di Marsiglia, dal Ministero dell’Educazione della Provenza, da Alpes Côte d’Azur della Regione Bouches du Rhônes. Alcuni spazi vengono
concessi gratuitamente dalla città di Marsiglia e ai produttori viene chiesto
solamente di sostenere le spese correnti. I costi di gestione della Friche sono
coperti al 70% da finanziamenti pubblici, al 20% da finanziamenti privati e
al 10% dai ricavi delle attività a pagamento che vi si svolgono.
Qualcosa di molto simile è avvenuto in Germania in quello che si è ormai
affermato come uno dei luoghi artistici più vitali della Sassonia: lo Spinnerei,
un’ex fabbrica di cotone sopravvissuta ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, da qualche anno trasformata in comune artistica. Al suo interno
si respira il fermento inarrestabile, motore delle menti creative provenienti da
tutto il mondo e che albergano nella struttura, tanto grande da occupare un
intero quartiere di Lipsia. Si tratta, infatti, di un’area di circa 12 ettari, compresi i giardini, le case per i lavoratori e gli spazi per l’asilo dei bambini dei
dipendenti. I 23 edifici, realizzati in successione a partire dal 1885, garantiscono una superficie coperta di 70.000 metri quadrati articolata su diversi livelli.
Il progetto dello Spinnerei ha svolto per il contesto locale un duplice ruolo:
in modo diretto ha creato una risorsa enorme per i giovani artisti emergenti
che trovano in questo ambito uno spazio di grande visibilità a costi contenuti; in modo indiretto ha innescato un processo di riqualificazione di una parte di territorio marginale e periferico caratterizzato da una massiccia presenza di industrie dismesse. Il riutilizzo dello Spinnerei ha rapidamente portato
alla ribalta l’area, rendendo evidente le potenzialità d’innesco, all’interno dei
processi di valorizzazione e reinvenzione dei territori, associati alla creazione
di distretti specializzati e di alto profilo. Nel centro lavorano 100 artisti professionisti e 13 importanti gallerie d’arte.
L’innovazione del progetto Spinnerei riguarda principalmente tre aspetti:
il primo consiste nella politica di sviluppo messa in atto dalla società che gestisce lo spazio, che ha previsto un lavoro temporalmente e strategicamente
complesso di attivazione di risorse, ricerca e gestione; il secondo, nel meccanismo economico utilizzato che ha consentito l’attivazione di un polo internazionale dell’arte contemporanea senza l’utilizzo diretto di denaro pubblico
grazie al Programma Speciale per l’impiego; il terzo, nella commistione di usi
e funzioni destinate agli spazi che hanno garantito un uso continuativo e una
diversificazione di risorse per la realizzazione del progetto.
È stata invece affidata a un’associazione senza scopo di lucro la gestione dell’ex sito minerario di Le Bois du Cazier – Marcinelle, trasformato in un
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complesso museale a cielo aperto. La miniera si era sviluppata dal 1822 fino
a diventare uno dei più importanti siti minerari d’Europa. Simbolo dell’emigrazione d’inizio secolo, il sito è conosciuto per l’incendio divampato nel
1956 che causò la morte di 262 persone provenienti da 12 Paesi. Il fatto segnò
la fine dell’emigrazione italiana in Belgio e l’inizio di una regolamentazione
più severa per la sicurezza sul posto di lavoro. Fino a tale data, la produzione
della miniera ammontava a 170.557 tonnellate di carbone, impiegando 779
minatori. Nel 1967 il sito fu completamente abbandonato.
Risalente all’inizio del secolo scorso, l’insieme architettonico, classificato
come monumento nel 1990, è scandito da tre gruppi paralleli di edifici e due
castelletti a molette, oggetto di un minuzioso restauro, insieme alle installazioni di superficie che permettono di comprendere il funzionamento di una
miniera di carbone e di seguire passo passo le tracce dei minatori che vi lavoravano. Un’evocazione storica delle funzioni degli edifici si svolge sul filo
di un percorso didattico nelle diverse lingue nazionali dei lavoratori che vi
hanno perso la vita.
Lasciata nel degrado più completo, nel 2002 la miniera, proprietà della Regione Vallonia e gestita dall’asbl (associazione senza scopo di lucro) “Le Bois
du Cazier”, venne riqualificata grazie alle sovvenzioni europee dell’Obiettivo
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cultura, città e cittadini. riflessioni intorno
ai bilanci dei comuni e delle aziende culturali
Ludovico Solima*
Giunta alla terza edizione, la ricerca che si presenta in queste pagine costituisce
ormai una sorta di barometro del settore culturale dei Comuni del nostro Paese.
Le tendenze già evidenziate negli scorsi anni permangono, trovando la loro
origine nella persistente situazione di crisi finanziaria ed economica internazionale e nei correlati problemi di bilancio del nostro Paese. Ne discendono
difficoltà non secondarie per le politiche di sviluppo locale, in particolare per
quelle centrate sulla cultura, che negli anni precedenti avevano contribuito a
cambiare il volto e l’identità di molte città, restituendo vitalità a interi territori,
modificandone la capacità di attrazione nei confronti dei flussi turistici e degli
investimenti privati, con ricadute concrete e positive sulla vita dei cittadini.
Ciò che emerge, anche dalla ricerca condotta quest’anno, è che, nonostante
tutte le difficoltà, molte amministrazioni locali stanno cercando in ogni modo
di limitare la riduzione delle spese destinate al settore culturale, e laddove ciò
non è attuabile, si fa il possibile per impiegare le poche risorse su progetti qualitativamente importanti per la comunità locale ancor più che per i turisti, in
una prospettiva di nuova legittimazione del patrimonio e delle attività culturali
presso i cittadini.
Nel contempo, si assiste al rafforzamento del sistema delle aziende partecipate,
che ha consentito l’introduzione di criteri gestionali maggiormente orientati a un
* Professore associato di Gestione delle istituzioni culturali, Dipartimento di Economia, Seconda
Università di Napoli
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uso attento e consapevole delle risorse disponibili nonché alla qualità dei servizi
erogati. Pertanto, nella linea di una continuità di ricerca e indagine che renda possibile individuare e analizzare gli eventuali segnali di cambiamento intervenuti,
anche nella presente edizione per i Comuni si è cercato:
–– di ricostruire l’andamento della domanda culturale attraverso la rilevazione
del numero di ingressi ai luoghi della cultura civici;
–– di ricostruire il peso della “funzione cultura” sul bilancio complessivo comunale, distinguendo fra spesa corrente e spesa in conto capitale.
I Comuni che hanno aderito alla rilevazione sono stati complessivamente ventitré: Asti, Barumini, Bologna, Cagliari, Cles, Como, Fiesole, Firenze,
Genova, L’Aquila, Lainate, Gesturi, Macerata, Mantova, Milano, Monfalcone, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Rosignano Marittimo, Siena, Torino.
Con riferimento alle aziende culturali, analogamente alle precedenti edizioni della ricerca, gli obiettivi sono stati molteplici:
–– valutare l’andamento dell’offerta culturale;
–– verificare la tendenza dei prezzi per l’accesso a tali servizi;
–– analizzare la struttura dei bilanci di tali aziende, con particolare attenzione
alla quota di autofinanziamento;
–– analizzare la composizione del personale, distinguendo fra dipendenti e
collaboratori.
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Le aziende che hanno partecipato alla rilevazione sono state complessivamente quattordici: Fondazione Barumini Sistema Cultura, Fondazione Musei Senesi,
Fondazione Museo delle antichità egizie di Torino, Fondazione Triennale di Milano, Fondazione Torino Musei, Fondazione Musei Civici di Venezia, Fondazione
Donnaregina per le arti contemporanee, Fondazione maxxi, Fondazione Maga,
Azienda Speciale Palaexpo, Parchi Val di Cornia s.p.a., Fondazione Piccolo Teatro di Milano, Consorzio Teatro Pubblico Pugliese, Zetema Progetto Cultura.
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Sia in caso dei Comuni, sia in quello delle aziende, si tratta di realtà che, anche
se non costituiscono un campione significativo sotto il profilo statistico, appaiono in ogni caso estremamente indicative ed emblematiche del panorama nazionale; pertanto, i dati da esse fornite vanno considerati con molta attenzione.
Di seguito, alcune riflessioni tratte dall’analisi delle dinamiche maggiormente significative nell’arco di tempo considerato, che va dal 2008 al 2013
ovvero al 2014 secondo le variabili analizzate. Per rendere più chiare e immediatamente comprensibili tali dinamiche, si è fatto ricorso a valori indice
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anziché ai valori assoluti propriamente calcolati; l’obiettivo del presente lavoro è, infatti, quello di enfatizzare tendenze ed evoluzioni/involuzioni piuttosto che la dimensione quantitativa analitica di un determinato fenomeno.
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Le visite ai luoghi della cultura comunali, dopo una battuta d’arresto nel 2012,
tornano a crescere
Nel periodo in esame – che va dal 2008 al 2013 – il numero medio di visite ai
luoghi della cultura comunali mostra una tendenza alla crescita di poco inferiore
al 30%. Se si osservano con attenzione le dinamiche anno per anno, come peraltro
già segnalato nell’edizione precedente della presente ricerca, a incrementi annui
fra il 2008 e il 2011 era seguito un calo importante del numero di visite nel 2012,
pari a circa il 9%. Tale segnale di attenzione, nel corso dell’ultimo anno, sembra
essere stato superato grazie a un incremento annuo nel 2013 di circa il 18%, che
ha riportato il numero di visite a livelli addirittura superiori a quelli del 2011.
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-9,0%
18,1%
Dall’analisi dei dati, sembra indubbio che la capacità di attrazione di questo ampio sistema culturale sia in una fase di solida crescita, come si rileva
anche dal confronto con la dinamica degli ingressi ai luoghi della cultura statali, esposti nella tabella che segue.
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Variazione
2008-2013
Totale ingressi luoghi della cultura
statali (valore indice 2008 = 100)
100,0
97,2
103,1
111,6
105,0
108,3
8,3%
-2,8%
6,1%
8,2%
-6,0%
3,1%
Variazione anno precedente
Fonte: elaborazione su dati MiBACT, Statistiche culturali, 2014
Si osserva, infatti – come reso evidente dal grafico che segue – come la
performance dei siti comunali sia risultata decisamente migliore: tra il 2008
e il 2013, i siti statali hanno fatto registrare un incremento dell’8,3%, largamente inferiore – dunque – rispetto a quello registrato per i siti comunali
considerati.
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194 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Sp
20
20
20
20
20
20
Per quanto attiene all’analisi dei bilanci comunali, è preliminarmente necessario osservare che i dati raccolti presso i ventitré Comuni devono essere
considerati soltanto indicativi per quel che riguarda il bilancio previsionale
2014, in quanto tale dato è stato fornito solo da nove di essi. Per l’anno 2013
(bilancio provvisorio), tale dato risulta invece disponibile per diciotto dei ventitré Comuni analizzati.
Spesa corrente
Tot. Bilancio Comune
Funzione Cultura
Spesa Cultura
2008 (media 23 Comuni)
100,00
3,87
3,87%
2009 (media 23 Comuni)
117,41
4,35
3,70%
2010 (media 23 Comuni)
118,41
4,29
3,62%
2011 (media 23 Comuni)
126,84
4,31
3,40%
2012 (media 23 Comuni)
133,73
4,03
3,02%
2013 (provvisorio; media 18 Comuni)
155,60
4,62
2,97%
2014 (previsionale; media 9 Comuni)
186,43
4,62
2,48%
Tot. Bilancio Comune
Funzione Cultura
Spesa Cultura
2008 (media 23 Comuni)
73,76
1,52
2,07%
2009 (media 23 Comuni)
42,23
1,06
2,52%
2010 (media 23 Comuni)
50,33
1,37
2,73%
2011 (media 23 Comuni)
49,05
0,95
1,94%
2012 (media 23 Comuni)
38,22
0,48
1,25%
2013 (provvisorio; media 18 Comuni)
91,47
2,41
2,64%
2014 (previsionale; media 9 Comuni)
116,78
3,07
2,63%
Valo
To
per
Co
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2,9
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cio
Spesa conto capitale
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20
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04/06/14 19:31
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13
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%
%
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%
%
%
ura
7%
2%
3%
4%
5%
4%
3%
cultura, città e cittadini. bilanci dei comuni e delle aziende culturali | 195
Spesa Totale
Tot. Bilancio Comune
Funzione Cultura
Spesa Cultura
2008 (media 23 Comuni)
173,76
5,40
3,11%
2009 (media 23 Comuni)
159,64
5,41
3,39%
2010 (media 23 Comuni)
168,74
5,66
3,36%
2011 (media 23 Comuni)
175,90
5,26
2,99%
2012 (media 23 Comuni)
171,95
4,51
2,62%
2013 (provvisorio; media 18 Comuni)
247,06
7,03
2,84%
2014 (previsionale; media 9 Comuni)
303,21
7,70
2,54%
Valore indice: spesa corrente, totale Bilancio Comune = 100,00
Sulla base di tali informazioni, è possibile rilevare quanto segue:
Torna a crescere la voce “cultura” nella spesa corrente dei Comuni; diminuisce
però la sua incidenza
Con riferimento alla spesa corrente per la cultura, se da un lato si osserva come nei bilanci provvisori del 2013 e in quelli previsionali del 2014 tale spesa
presenti segnali di crescita in termini assoluti, è pur vero che l’incidenza di
questa voce sui bilanci comunali tende a diminuire gradualmente e costantemente a partire dal 2008, quando era pari al 3,87%, fino a raggiungere il
2,97% nel 2013 e il 2,48% nel 2014.
Tendono a crescere le spese in conto capitale per la cultura
Una tendenza diversa si registra invece a proposito della spesa in conto capitale per la cultura che, tra il 2013 e il 2014 (dando fede ai bilanci previsionali),
aumenta in misura significativa sia in termini assoluti sia in termini relativi.
L’incidenza di tale voce di spesa è, attualmente, pari a circa il 2,6% del bilancio comunale, in crescita rispetto agli anni precedenti.
Luci e ombre: aumenta la spesa complessiva per la cultura ma non la sua
incidenza sui bilanci comunali
La spesa complessiva – composta da spesa corrente e spesa in conto capitale – per la cultura ha mostrato un andamento altalenante a partire dal 2008,
con il livello minimo raggiunto nel 2012 cui segue, fra 2013 e 2014, un netto incremento.
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196 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Da un altro punto di vista, tuttavia, si rileva come l’incidenza delle spese totali per la cultura sul bilancio generale dei Comuni tenda a diminuire nel corso
degli anni, passando dal 3,11% del 2008 al 2,84% del 2013 e al 2,54% del 2014.
Aumentano le entrate autogenerate, continua la diminuzione dei contributi
pubblici e privati
Per quel che attiene alle entrate delle aziende culturali, si registra un’importante contrazione del valore medio delle entrate complessive, passate da un
valore indice convenzionale del 2008 pari a 100 a un valore indice di 84,2
del 2013 (-15,8% circa); tale contrazione generale si spiega alla luce della diminuzione (già in atto e rilevata nelle edizioni precedenti della ricerca) dei
contributi pubblici, la cui incidenza nel 2008 valeva il 57,4% del totale delle
entrate, a fronte del 46,1% del 2013; in termini assoluti, i finanziamenti pubblici sono passati quindi da un valore indice di 57,4 del 2008 a un valore indice di 38,8 dell’ultimo anno.
Analogamente, è diminuita dal 15% al 9,3% l’incidenza dei contributi privati, che sono così passati da un valore indice pari a 15 nel 2008 all’attuale 7,8.
Conseguentemente, i ricavi da biglietteria, affitti, bookshop ecc. sono aumentati dalla quota del 27,6% del 2008 al 44,7% del 2013, passando così da
un valore indice di 27,6 a un valore indice pari a 37,6, come evidenziato nel
grafico che segue, che mostra l’andamento dei valori indice delle tre categorie di entrate qui considerate.
60
50
Contributi pubblici
Altri ricavi (biglietteria, affitti, bookshop ecc.)
20
10
0
Contributi da privati / sponsorizzazioni
2008
2009
2010
2011
2012
2013
L’effetto combinato di queste dinamiche determina un aumento complessivo della capacità delle aziende culturali di autofinanziarsi: infatti, l’incidenza
complessiva di contributi privati e di ricavi autogenerati (biglietteria, affitti ecc.) mostra una tendenza all’incremento (+26,6% rispetto al 2008), attestandosi ben oltre il 50%, a fronte di circa il 42% che si registrava nel 2008.
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30
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cultura, città e cittadini. bilanci dei comuni e delle aziende culturali | 197
Anni
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Variazione
2008-2013
Contributi pubblici
57,40
46,55
45,57
43,37
43,87
38,79
-32,4%
Contributi da privati /
sponsorizzazioni
14,96
11,99
14,15
13,01
11,06
7,81
-47,8%
Altri ricavi (biglietteria, affitti,
bookshop ecc.)
27,64
34,22
36,94
37,58
33,29
37,62
36,1%
TOTALE
100,00
92,76
96,66
93,96
88,21
84,21
-15,8%
Contributi pubblici (a)
57,4%
50,2%
47,1%
46,2%
49,7%
46,1%
Contributi da privati /
sponsorizzazioni (b)
15,0%
12,9%
14,6%
13,8%
12,5%
9,3%
Altri ricavi (biglietteria, affitti,
bookshop ecc.) (C)
27,6%
36,9%
38,2%
40,0%
37,7%
44,7%
TOTALE
100%
100%
100%
100%
100%
100%
% di auto-finanziamento (B+C/totale)
42,6%
49,8%
52,9%
53,8%
50,3%
53,9%
26,6%
Valore indice: totale Bilancio 2008 = 100,00
Qualche segnale positivo in termini di quantità dell’offerta
Come già rilevato nelle edizioni precedenti della ricerca, permane una tendenza alla contrazione dell’offerta proposta dalle aziende culturali, sebbene
nel 2013 si registri un segnale di inversione di tale orientamento, con un deciso incremento del numero di eventi realizzati rispetto all’anno precedente
(valore indice 82 a fronte di un valore indice di 65).
La diminuzione dei finanziamenti pubblici e privati ha provocato l’aumento dei
prezzi dei biglietti
Come già rilevato nella precedente edizione della ricerca, si conferma che –
per far fronte alla diminuzione dei finanziamenti pubblici e privati – il prezzo
medio dei biglietti d’ingresso tende a crescere in misura significativa, compresa fra il 10% circa del prezzo massimo e il 23% circa del prezzo minimo
rispetto al 2008.
E nonostante tutto… la domanda continua a crescere
Un fenomeno interessante, già riscontrato in entrambe le edizioni precedenti della ricerca, attiene alla dinamica quantitativa della domanda, la quale, rispetto al 2008, è aumentata in misura significativa, nonostante una lieve flessione nel 2012.
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198 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Anni
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Variazione
2008-2013
Numero medio eventi realizzati
(valore indice 2008 = 100)
100
84
81
67
65
82
-18,1%
Numero medio degli ingressi1
(Valore indice 2008 = 100)
100
96
100
96
97
108
7,8%
Numero medio delle presenze2
(valore indice 2008 = 100)
100
92
112
116
107
116
16,0%
Prezzo minimo d’ingresso
(valore indice 2008 = 100)
100,00
100,00
116,00
118,73
118,73
122,72
22,7%
Prezzo massimo di ingresso
(valore indice 2008 = 100)
100,00
100,55
97,56
97,56
102,88
109,95
9,9%
1 Numero
2 Numero
Il s
col
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rile
com
fle
spe
fin
ini
di biglietti rilasciati e ingressi in abbonamento
di visitatori/spettatori totali, anche in eventi gratuiti
Aumentano i dipendenti, diminuiscono i precari
Per quel che riguarda la struttura del personale, si conferma quanto già osservato nell’ultima edizione della ricerca: il personale dipendente tende ad aumentare nel periodo considerato, sebbene tra il 2012 e il 2013 si sia registrata
una lieve contrazione; diversamente, il numero di collaboratori è in decisa diminuzione sia in termini assoluti (-50% circa rispetto al 2008), sia in termini
relativi, considerato che la loro incidenza sul totale del personale è passata dal
19,5% del 2008 al 9,1% del 2013.
L’ultimo dato, di estremo interesse, e già rilevato nelle precedenti edizioni
della ricerca, riguarda l’età media del personale, che risulta estremamente giovane, non superando i 40 anni, a fronte di un’età media dei dipendenti del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che supera i 50 anni.
Anni
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Variazione
2008-2013
Numero personale
dipendente (totale)
(valore indice 2008 = 100)
100,0
101,6
108,7
109,0
112,6
107,4
7,4%
19,5
15,4
19,6
19,6
15,4
9,8
-49,7%
19,5%
15,1%
18,0%
18,0%
13,7%
9,1%
40,5
39,5
39,3
39,0
38,9
39,8
Numero collaboratori (totale)
Collaboratori (% su totale)
Età media personale
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cultura, città e cittadini. bilanci dei comuni e delle aziende culturali | 199
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alcune conclusioni
Il settore culturale, come e più di altri settori, sta vivendo un periodo particolarmente turbolento, fatto di luci e ombre. Apparentemente, le spese per la
cultura dei Comuni sembrano mostrare una tendenza alla crescita, ma il dato
rilevante e non incoraggiante è che il loro peso in termini relativi sui bilanci
comunali tende invece a diminuire; e tale diminuzione è evidentemente il riflesso di una ridotta importanza attribuita al settore.
Diversamente, il settore rimane vivacissimo e sempre più centrale nella prospettiva degli utenti, che continuano a crescere, sebbene la contrazione dei
finanziamenti abbia generato una certa diminuzione del numero di eventi e
iniziative proposte.
La contrazione dei contributi pubblici e di quelli privati ha dovuto peraltro essere compensata da un forte incremento delle entrate autogenerate che,
forzatamente, è stato raggiunto attraverso un sensibile incremento dei prezzi dei biglietti.
La struttura del personale, mediamente giovane, sta sensibilmente cambiando, perdendo quella connotazione di precarietà che aveva assunto nel
corso degli anni.
Va anche detto che la dimensione quantitativa dei fenomeni analizzati non
riesce a intercettare tutte le dinamiche in atto all’interno del settore. Per tale
motivo, in via sperimentale, nella presente edizione della ricerca si è cercato
di raccogliere anche informazioni di tipo qualitativo.
Ne è emerso un quadro che – ancorché provvisorio e bisognoso di ulteriori
approfondimenti – vede amministrazioni comunali di piccoli e grandi Comuni
sviluppare, con le ridotte risorse disponibili, iniziative culturali specificamente rivolte a categorie di cittadini svantaggiate (persone con disabilità, persone
caratterizzate da disagio sociale, anziani ecc.), attraverso, ad esempio, il loro
coinvolgimento in attività di accoglienza, mediante percorsi a loro dedicati,
talvolta con l’ausilio delle moderne tecnologie, grazie a ingressi concessi gratuitamente, attraverso la promozione di festival tematici ecc.
Sotto un altro profilo, non meno interessante, è stato registrato l’impegno
delle amministrazioni comunali a impiegare il patrimonio culturale (artistico e librario, in particolare) per realizzare progetti volti a favorire l’integrazione delle minoranze etniche presenti sul territorio. Esempi in tale direzione vanno dalla creazione di sezioni bibliografiche multiculturali (includendo
libri, film, musica ecc.), alla promozione di festival centrati su culture “altre”
da quella italiana, alla produzione di film sul tema dell’emigrazione, fino alla
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200 | 10° rapporto annuale federculture 2014
visita ai musei realizzata con l’intento di creare un ponte e un dialogo con le
altre culture presenti nella cittadinanza.
Un altro aspetto qualificante, per il momento rilevato solo presso i Comuni
di maggiori dimensioni, attiene alla partecipazione dei cittadini nella fase di
progettazione delle iniziative culturali. Si tratta di una tendenza ancora embrionale in Italia ma già ampiamente diffusa all’estero; sintomo di una grande attenzione verso i cittadini-fruitori, questo approccio innovativo prevede
l’ascolto di gruppi di cittadini per meglio orientare la realizzazione delle attività culturali a loro destinate.
Il quadro delineato, ampio e complesso, ci pone di fronte a una situazione
che, da un lato, vede chi è impegnato direttamente in ruoli di responsabilità
del patrimonio culturale dei Comuni fare il massimo con le risorse disponibili, per mantenere standard di offerta apprezzati dal pubblico; dall’altro lato,
si osserva un crescente numero di persone partecipare alle attività culturali e
ricordare a tutti come, almeno per loro, il patrimonio culturale sia ancora un
elemento importante. E questa precisa volontà occorre sia tenuta in adeguata considerazione.
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dati e analisi sulle dinamiche
del settore cultura-turismo 2012-2013
a cura di Emanuela Berna Berionni*
la penisola del tesoro
L’ultimo aggiornamento dell’Indice di Competività Globale (gci) del World
Economic Forum per il 2013-2014 vede l’Italia al 49° posto su 148 economie
mondiali valutate. Siamo dietro alla Lituania e davanti al Kazakistan. Guidano stabilmente la classifica Svizzera, Singapore e Finlandia. La Germania è al
4° posto, la Francia al 23° e la Spagna al 35°. La Grecia al 91°. Dopo un lieve
miglioramento nel 2012, nel 2013 l’Italia perde sette posizioni, peggiorando
in tutti gli indicatori. L’Italia, comunque, continua a fare bene in alcune delle aree più complesse misurate dall’Indice, in particolare nella qualità delle
imprese, dove si è classificata al 27° posto, e dei beni prodotti, con uno dei
migliori gruppi di imprese di tutto il mondo (2° posto). Tuttavia, la competitività complessiva del Paese continua a essere ostacolata da alcune debolezze
strutturali, tra le quali quelle istituzionali che includono elevati livelli di corruzione, la criminalità organizzata e una percepita mancanza di indipendenza
all’interno del sistema giudiziario, che aumentano i costi aziendali e minano
la fiducia degli investitori. L’Italia si classifica, infatti, al 102° posto per il suo
ambiente istituzionale. Una maggiore stabilità politica nel Paese e maggiori
* Ufficio Studi di Federculture
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202 | 10° rapporto annuale federculture 2014
sforzi per affrontare le rigidità strutturali sono indispensabili per incrementarne la competitività, che può contare anche su una delle offerte culturali
più ampia al mondo.
L’Italia è un paese con un patrimonio artistico articolato e diffuso. Siamo primi al mondo per numero di siti unesco detenuti (49), seguiti da Cina (45) e Spagna (44). Inoltre, il Bel Paese conta 46.025 edifici storici, 3.847
musei, 1.200 teatri. Ma l’Italia è un paese ricco di storia e tradizioni visibili non solo nei monumenti spettacolari e nel patrimonio artistico e culturale
che conserva e mostra con orgoglio al resto del mondo. Le sagre, le feste popolari, le fiere e i festival enogastronomici sono esempi di conservazione
vitale delle tradizioni del nostro Paese. Eventi popolari legati soprattutto
a prodotti dell’enogastronomia locale e a ricorrenze religiose e storiche che
contribuiscono ad alimentare il turismo: quello enogastronomico vale 5
miliardi. In media 6 italiani su 10 sono assidui frequentatori di tali eventi.
L’Italia è l’unico paese al mondo che può contare anche sulla leadership europea nella produzione biologica e nell’offerta di prodotti tipici con ben 229
denominazioni di origine riconosciute a livello comunitario e 4.606 specialità tradizionali censite dalle regioni, mentre sono 509 i vini a Denominazione di Origine Controllata (doc), Controllata e Garantita (docg) e a
Indicazione Geografica Tipica (331 vini doc, 59 docg e 119 igt).
Questo ricchissimo sistema produttivo culturale, insieme a quello delle industrie creative, genera un fatturato annuo di 78,8 miliardi di euro, contro i
108,8 del Regno Unito, gli 86,6 della Francia e i 121 della Germania. L’Italia
detiene il 6% delle esportazioni di beni culturali e creativi a livello mondiale, ovvero il 19% a livello europeo, posizionandosi al 5° posto tra i maggiori esportatori di beni culturali al mondo, preceduta da Cina, Stati Uniti
e Germania e Hong Kong.
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N.
1
2
3
4
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enali
Indice di Competitività Globale (GCI)
Punteggio
Posizione
Variazione
Paese
Svizzera
Singapore
Finlandia
Germania
Stati Uniti
Svezia
Honk Kong SAR
Paesi Bassi
Giappone
Regno Unito
Norvegia
Taiwan, Cina
Qatar
Canada
Danimarca
Austria
Belgio
Nuova Zelanda
Emirati Arabi
Arabia Saudita
Australia
Lussemburgo
Francia
Malesia
Corea
Brunei
Israele
Irlanda
Cina
Puerto Rico
Italia
Kazakistan
GCI
2012-2013
N.
1
2
3
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5
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Posizione
inoi
lia
nagniti
la competitività globale: la posizione dell’italia
GCI
2013-2014
iaCi47
biale
pone
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nti.
eu29
pemiea
dati e analisi | 203
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2
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5,11
5,10
5,09
5,09
5,05
5,03
5,01
4,95
4,94
4,92
4,84
4,67
4,41
4,41
1
2
3
6
7
4
9
5
10
8
15
13
11
14
12
16
17
23
24
18
20
22
21
25
19
28
26
27
29
31
42
51
0
0
0
2
2
-2
2
-3
1
-2
4
1
-2
0
-3
0
0
5
5
-2
-1
0
-2
1
-6
2
L’ambiente istituzionale
dell’Italia nella
competitività globale
102
3,5
0
1
-7
1
Posizione
Punteggio
*Le istituzioni sono una dimensione
dell’indice “caratteristiche strutturali”
Posizione dell’Italia per sottoindici
di competitività globale
Caratteristiche strutturali
Efficienza
Innovazione
Posizione
Punteggio
Posizione
Punteggio
Posizione
Punteggio
50
4,85
48
4,34
30
4,22
Fonte: WEF
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 203
10/06/14 12:55
Sicilia
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 204
0
500
1.000
1.500
2.000
Museo
2.500
3.000
Area o parco archeologico
3.500
Centro
1.103
Sud
579
Isole
320
Nord-Est
957
Nord-Ovest
888
La distribuzione geografica – Musei
Nord-Ovest
29
Centro
70
Nord-Est
16
Centro
159
Sud
70
Isole
56
Nord-Est
93
Nord-Ovest
123
Fonte: MiBACT
La distribuzione geografica – Monumenti
Sud
58
Isole
67
La distribuzione geografica – Aree e parchi archeologici
4.000
Monumento, complesso monumentale o altro
italia: prima per patrimonio culturale?
ITALIA
Piemonte
Liguria
Valle d'Aosta
Lombardia
Friuli-Venezia Giulia
Trentino-Alto Adige
Emilia-Romagna
Veneto
Toscana
Lazio
Umbria
Marche
Basilicata
Campania
Calabria
Abruzzo
Puglia
Molise
Sardegna
Il patrimonio culturale nelle Regioni
i beni culturali: un patrimonio diffuso nei territori
204 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
3,9
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 205
21
Fonte: UNESCO
981
Stati Uniti
Mondo
28
25
Regno Unito
Russia
32
30
Messico
India
38
38
Francia
Germania
4,5
44
Spagna
100,0
2,1
2,5
2,9
3,1
3,3
3,9
4,6
45
Cina
%
5,0
49
Italia
Siti
759
8
15
23
24
27
35
34
39
31
45
Culturali
193
12
10
4
6
5
3
3
3
10
4
Naturali
I siti UNESCO: confronti internazionali
italia: prima per patrimonio culturale?
29
1
0
1
0
0
0
1
2
4
0
Misti
Centro
159
93
Fonte: MiBACT
dati e analisi | 205
04/06/14 19:29
25
24
-
9
11
Lombardia
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 206
245
19
19
89
56
62
16
3
3
1
181
10
18
59
51
43
7
3
-
1
5
1
-
11
23
5
6
25
25
19
2
5
10
23
-
10
1922-1946
145
14
22
41
30
38
10
4
-
2
3
4
3
10
13
4
4
20
12
11
5
2
7
18
4
9
1947-1959
181
11
28
48
48
46
8
3
4
3
7
3
4
7
20
12
2
14
10
25
7
6
15
25
1
5
1960-1969
294
15
32
89
79
79
10
5
5
1
9
5
3
9
36
18
9
26
22
32
16
9
31
40
1
7
1970-1979
605
63
82
128
157
175
39
24
6
5
22
14
14
21
60
30
15
23
50
54
27
26
60
64
16
35
1980-1989
1.118
120
199
316
252
231
56
64
12
9
40
38
44
56
132
73
37
74
72
92
53
35
99
73
19
40
1990-1999
04/06/14 19:29
i nostri musei: non tutti vecchi, ma poco digitali /2
*Il totale Italia differisce dal totale rilevato nella classificazione degli istituti per tipologia prevalente a causa del diverso numero di rispondenti
131
5
Isole
ITALIA
9
51
Centro
Sud
23
43
Nord-Ovest
Nord-Est
2
3
Sardegna
2
1
Puglia
Sicilia
6
-
-
1
2
Calabria
Abruzzo
-
6
6
Molise
36
26
Toscana
Campania
Basilicata
10
15
1
14
Umbria
Marche
13
28
14
10
Veneto
7
28
Lazio
2
21
Trentino-Alto Adige
8
Emilia-Romagna
6
Friuli-Venezia Giulia
Piemonte
10
3
Liguria
Valle d’Aosta
3
1861-1921
Prima del
1861
Anni di apertura al pubblico
i nostri musei: non tutti vecchi, ma poco digitali /1
428
4.465
1.565
677
1.296
1.043
1.021
215
213
50
34
142
97
151
203
534
286
167
309
296
428
180
139
386
381
74
180
171
268
475
327
324
66
105
20
11
49
31
80
77
188
115
83
89
78
146
61
42
129
104
30
61
Dal 2000
in poi
Totale
musei
e istituti
similari
Fonte: MiBACT
206 | 10° rapporto annuale federculture 2014
La digitalizzazione dei musei italiani – Servizi attivi per area geografica (%)
i nostri musei: non tutti vecchi, ma poco digitali /2
*Il totale Italia differisce dal totale rilevato nella classificazione degli istituti per tipologia prevalente a causa del diverso numero di rispondenti
Fonte: MiBACT
Fonte: MiBACT
dati e analisi | 207
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 207
10/06/14 12:56
Musei/Istituti
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 208
200
164
45
Privato cittadino
Altro (b)
Non indicato
100
1,0
4,8
9,3
il personale: la dimensione occupazionale dei musei
(a) Comprende: istituto o scuola di ogni ordine e grado, istituto o ente di ricerca, consorzio di diritto
pubblico, altro ente pubblico o soggetto pubblico non altrimenti specificato.
(b) Comprende: fondazione bancaria, consorzio o altra forma di cooperazione tra imprese, ente
pubblico economico, azienda speciale o azienda pubblica di servizi, Impresa o ente privato costituito
all’estero, altro soggetto privato non altrimenti specificato
*Titolare: soggetto che ha la responsabilità giuridico-amministrativa del museo/istituto. Se i beni e/o
le collezioni sono stati conferiti in prestito a lungo termine o in concessione d’uso, si fa riferimento al
detentore (che li ha ricevuti in deposito) e non al proprietario.
4.588
3,6
221
Fondazione non bancaria
Totale
4,4
426
Associazione (riconosciuta e non)
3,3
153
9,9
35,3
Società (di persone, capitali, cooperativa ecc.)
1.618
Istituti privati
6,1
454
282
Altro (a)
2,4
42,3
Ente ecclesiastico o religioso
109
1.939
Università pubblica
Comune e comunità montana o isolana
2,1
1,8
97
84
Regione
Provincia
63,8
%
9,0
2.925
N.
414
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (statali)
Istituti pubblici
Soggetto titolare*
Titolarità di musei e istituti similari
la titolarità dei musei
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud
Isole
ITALIA
893
582
449
660
392
435
463
231
327
111
Pubblica
Privata
1.618
2.925
Fonte: MiBACT
Titolarità di musei e istituti similari
per area geografica
208 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 209
27
5
48
Puglia
45
1.571
92
Isole
ITALIA
419
233
Centro
Sud
460
367
Nord-Ovest
17
30
62
Sicilia
Sardegna
Nord-Est
21
53
71
Campania
Calabria
903
53
119
294
251
186
36
36
8
15
20
Molise
Basilicata
22
55
26
Umbria
Abruzzo
58
111
80
39
71
102
39
69
177
Lazio
Toscana
35
118
Marche
Friuli-Venezia Giulia
141
115
Emilia-Romagna
Veneto
76
Trentino-Alto Adige
15
38
78
47
Liguria
Valle d’Aosta
74
59
131
204
Un solo
addetto
Lombardia
Nessun
addetto
Piemonte
1.304
152
209
405
299
239
77
75
48
60
9
11
44
37
57
103
179
66
48
81
135
35
7
41
80
111
Da 2 a 5
addetti
515
99
80
135
90
111
45
54
10
28
3
3
24
12
13
45
54
23
14
21
36
19
4
17
37
53
Da 6 a 15
addetti
119
12
19
33
31
24
-
12
2
11
3
-
2
1
2
14
16
1
1
8
16
6
1
6
4
13
Da 16 a 25
addetti
Personale addetto (esclusi volontari)
il personale: la dimensione occupazionale dei musei
detentore (che li ha ricevuti in deposito) e non al proprietario.
119
25
29
29
21
15
5
20
2
13
10
-
3
1
2
15
10
2
4
5
8
4
-
2
11
2
Da 26 a 50
addetti
57
10
18
17
7
5
-
10
2
13
-
-
3
-
1
12
3
1
1
1
2
3
-
-
2
3
Più di 50
addetti
Fonte: MiBACT
4.588
443
707
1.332
1.066
1.040
225
218
156
214
53
34
151
99
175
316
550
291
142
302
440
182
74
182
397
387
Totale
musei e
istituti
similari
Fonte: MiBACT
dati e analisi | 209
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 210
54
Molise
1.923
542
26
40
11
12
17
31
1
37
19
17
16
57
23
6
23
44
28
36
8
90
Città
del vino
04/06/14 19:29
220
0
11
2
0
0
140
0
0
20
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
46
Città
della
nocciola
219
3
12
8
5
10
8
2
21
12
20
22
17
11
19
7
4
7
18
2
11
I borghi
più belli
d’Italia
166
2
20
5
1
3
35
3
2
9
5
16
16
6
2
1
1
1
1
0
37
Città
del bio
l’industria della qualità: le produzioni tipiche
333
25
13
14
13
33
32
29
15
15
22
25
46
1
33
5
7
2
3
0
0
Città
dell’olio
Fonte: IFEL su dati MiBACT, Centro Studi Confindustria
Totale
114
Sardegna
63
Calabria
106
41
Basilicata
Sicilia
92
Puglia
260
119
Campania
103
Abruzzo
70
Lazio
63
96
Emilia-Romagna
Marche
68
Liguria
Umbria
51
Friuli-Venezia Giulia
163
76
Veneto
Toscana
41
105
11
227
Trentino-Alto Adige
Lombardia
Valle d’Aosta
Piemonte
N.
comuni
aderenti
I comuni partecipanti a Res Tipica, per Regione – 2013
l’industria della qualità: le produzioni tipiche
Totale
≥ 250.000
333
0
7
24
38
74
105
85
Città
dell’olio
62
15
Paesi Bassi
116
Regno Unito
Germania
177
225
Francia
Spagna
275
Prodotti agricoli
Italia
542
1
17
52
69
98
169
136
Città
del
vino
220
0
1
11
25
32
66
85
Città
della
nocciola
Marchi enogastronomici – 2013
(Denominazioni DOP e IGP)
1.923
5
31
196
143
10.000-19.999
20.000-59.999
60.000-249.999
331
544
673
N. comuni
aderenti
5.000-9.999
2.000-4.999
0-1.999
Classe di
ampiezza
demografica
12
4
39
144
451
605
Vini
219
0
0
1
18
51
63
86
I borghi
più
belli
d’Italia
166
4
8
24
13
36
34
47
Città
del bio
I comuni partecipanti a Res Tipica, per classe demografica – 2013
210 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Cuneo
Siena
Verona
Gorizia
Udine
Bolzano/Bozen
Asti
Alessandria
Brescia
Perugia
Treviso
Ancona
Pavia
Trento
Avellino
Grosseto
Forlì-Cesena
Livorno
Ascoli Piceno
Potenza
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
13
15
16
17
18
19
20
Province
1
Ranking
Le prime 20 province con il
maggior numero di produttori
enogastronomici – 2013
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 211
Asti
Trapani
Foggia
Viterbo
18
18
18
Latina
Pavia
Cosenza
Modena
Ferrara
Ravenna
Alessandria
Perugia
Forlì-Cesena
Grosseto
Vicenza
Bergamo
Verona
Padova
Treviso
Brescia
Trento
Salerno
Cuneo
Province
18
18
18
16
16
12
12
12
12
10
10
9
8
7
4
4
4
3
2
1
Ranking
Le prime 20 province con il
maggior numero di prodotti
tipici (DOP e IGP) – 2013
l’industria della qualità: le produzioni tipiche
Fonte: IFEL su dati MiBACT, Centro Studi Confindustria
Altro fattore
Enogastronomia
Sagre ed eventi
Arte e cultura
Qualità dell'ambiente
Vino
17%
19%
19%
23%
Fonte: Censis Servizi, Confindustria
9%
13%
I fattori di attrazione del
territorio – 2013
dati e analisi | 211
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 212
0,6
0,6
Italia
Paesi Bassi
3,2
2,8
2,8
0,8
1,2
0,5
Francia
Paesi Bassi
Spagna
2,7
3,4
2,3
2,5
4,0
3,4
2,9
Industrie culturali**
04/06/14 19:29
1,1
2,2
1,3
1,4
1,3
1,6
Industrie creative***
2,0
1,5
1,5
2,8
1,4
1,5
2,0
Industrie creative***
il sistema produttivo culturale: le esportazioni di beni creativi
Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati Eurostat
* Patrimonio storico-artistico, arti performative e arti visive
** Film, video, radio-tv, musica, libri e stampa, videogiochi e software
*** Architettura, comunicazione e branding, design, arredamento, produzione di stile
0,9
0,6
Regno Unito
0,8
Germania
Italia
0,8
Nucleo*
UE 27
0,7
Francia
3,1
4,8
3,2
Industrie culturali**
Occupati nella cultura (% sul totale e migliaia)
0,8
0,7
Regno Unito
Germania
0,7
Nucleo*
UE 27
5,2
6,1
4,6
5,9
6,3
5,7
5,7
Totale cultura
4,9
5,5
4,8
5,2
6,9
5,5
Totale cultura
Valore aggiunto della cultura a prezzi correnti (% sul totale)
il sistema produttivo culturale italiano
901
512
1.186
1.360
1.847
2.290
12.230
Totale cultura (migliaia)
26,4
78,8
86,0
121,8
108,8
618,6
Totale cultura (MLD euro)
212 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 213
16.502
Italia
17.695
90.377
97.862
19.946
101.775
110.457
261.729
2004
1,1
0,1
0,3
0,2
0,1
0,1
Regno Unito
Spagna
Francia
Mondo
Germania
Paesi Bassi
0,5
0,8
0,5
0,6
0,4
1,1
0,4
Industrie
culturali**
1,7
2,1
3,1
3,3
3,7
2,5
8,5
Industrie
creative***
2005
20.441
112.553
117.509
290.472
2,3
3,0
3,7
4,1
4,2
4,7
9
Totale
cultura
Paesi ordinati per totale cultura
* Arti visive ** Film, musica, libri e stampe, videogiochi
*** Design, arredamento, artigianato artistico, abbigliamento esterno
e calzature
0,1
Nucleo*
Italia
83.892
226.002
2003
Export culturale su totale Paese – Valore % 2011
86.139
G8
198.240
2002
Unione Europea
Mondo
22.911
122.626
128.155
316.456
2006
26.688
144.313
151.389
370.631
2007
20.947
124.166
132.587
350.798
2009
23.342
131.761
139.486
391.760
2010
27.308
147.209
158.909
454.019
2011
17,0%
11,7%
13,9%
15,9%
Var.
2011/2010
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UNCTAD STAT
65,5%
75,5%
84,5%
129,0%
Var.
2011/2002
Esportazioni di beni creativi –
quota di mercato dell’Italia rispetto
alle altre economie
28.101
152.715
163.725
408.936
2008
Esportazioni di beni creativi – 2002-2011 (dollari USA – milioni)
il sistema produttivo culturale: le esportazioni di beni creativi
Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati Eurostat
dati e analisi | 213
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 214
31.216
27.308
19.694
19.135
7.078
7.006
1.397
Germania
Italia
Regno Unito
Francia
Canada
Giappone
Russia
4.261
2.083
194
Canada
Russia
13.197
Francia
7.978
14.209
Stati Uniti
Giappone
15.874
Germania
Regno Unito
23.557
Italia
Dollari USA (milioni)
L’Italia nel G8 – Design
34.376
Stati Uniti
Dollari USA (milioni)
L’Italia nel G8 – Beni creativi
14.209
13.197
Stati Uniti
Francia
4.261
15.874
Germania
7.978
20.102
India
Giappone
23.557
Italia
Regno Unito
96.672
Dollari USA (milioni)
L’Italia nel G20 – Design
7.078
19.135
19.694
Cina
Canada
Francia
Regno Unito
22.094
27.308
Italia
India
31.216
34.376
125.646
Germania
Stati Uniti
Cina
Dollari USA (milioni)
L’Italia nel G20 – Beni creativi
esportazioni di beni creativi: il posizionamento dell’italia
Italia
India
Regno Unito
Francia
Svizzera
Olanda
Belgio
4
5
6
7
8
9
10
11
20
19
18
17
16
15
14
5.412
5.433
5.933
6.052
6.125
6.428
7.006
7.078
7.282
8.299
8.932
12.680
19.135
19.694
22.094
27.308
31.197
31.216
34.376
125.646
Dollari USA (milioni)
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UNCTAD STAT
Polonia
Repubblica Ceca
Austria
Spagna
Thailandia
Turchia
Giappone
Canada
Cina, Hong Kong SAR
3
Singapore
Germania
2
13
Stati Uniti
1
12
Economie individuali
Cina
I principali Paesi esportatori di beni
creativi al mondo
214 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
In
mo
di b
stra
risp
che
ed
ri d
con
siva
rar
sos
pol
da
zia
mil
201
ter
nis
poc
si p
di l
In
zaz
+6%
41%
zio
dev
si m
al 2
I
ese
nat
lan
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UNCTAD STAT
dati e analisi | 215
investire in cultura: quali risorse per uno sviluppo
sostenibile nel lungo periodo?
In Italia la spesa per la cultura costituisce lo 0,2% del bilancio statale. Eppure, abbiamo la fortuna, oltre che la responsabilità, di disporre di uno
straordinario patrimonio di beni artistici, museali e paesaggistici, di culture e tradizioni che costituiscono la nostra identità e fanno dell’Italia un
paese unico al mondo. Siamo ancora molto indietro rispetto all’assunzione della cultura come un fattore di sviluppo. Ma è un dato di fatto che la
cultura sia sempre più un canale privilegiato di produzione di pensiero
innovativo e di sollecitazione all’innovazione. La creatività difficilmente
può svilupparsi al di fuori di comunità capaci di favorire e promuovere la
cultura. Occorre allora superare una concezione della valorizzazione della
cultura e dei beni culturali legata pressoché esclusivamente al tempo libero
e al turismo: è questa, infatti, la visione che porta a considerare la cultura
come la cenerentola dei bilanci pubblici, come lusso, spesa sempre meno
sostenibile anziché come investimento. Tali osservazioni si innestano in
uno scenario politico che – invece di premiare il settore culturale – lo sta
penalizzando pesantemente da oltre un decennio. Basti pensare a tale riguardo che dal 2004 a oggi le risorse stanziate per il finanziamento del
mibact sono state ridotte del 27,4%, passando da 2.197 milioni di euro del
2004 a 1.595 nel 2014. Nella legge di stabilità per il triennio 2014-2016
si prevede uno stanziamento medio pari a 1.527 milioni di euro, con un
calo ulteriore del 3,1%. Dato che appare ancora più grave se si considera
che dal 2013 al Ministero sono state affidate anche le competenze in tema
di turismo, finanziate però con poche decine di milioni di euro. In controtendenza il fus, rispetto al quale per il 2014 si prevede un incremento
del 4,1%, da 389 a 405 milioni di euro: guardando al trend di lungo periodo, del resto, si registra una variazione negativa del 19% rispetto al 2004.
In tale scenario, anche il contributo dei privati viene meno. Sul fronte delle sponsorizzazioni a favore di cultura e spettacolo, se nel 2013 c’è una
leggera ripresa (159 milioni, +6% rispetto al 2012), nel lungo periodo, tra
il 2008 e il 2013, si evidenzia un calo del 41%. Il trend negativo riguarda
anche il volume delle erogazioni derivanti dalle fondazioni bancarie: dal
2006 al 2011 hanno subito una riduzione del 31,2% alla quale si deve
aggiungere un ulteriore calo del 9% dal 2011 al 2012. Nella medesima
direzione si muovono le risorse statali derivanti dal Gioco del Lotto, con
una riduzione rispetto al 2013 del 39,4%.
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 215
10/06/14 12:57
216 | 10° rapporto annuale federculture 2014
le risorse pubbliche per la cultura
I tagli alle risorse inevitabilmente si ripercuotono al livello degli enti locali.
A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, le grandi città d’arte hanno decurtato le risorse destinate al finanziamento della cultura: Torino è passata dal
4,2%, rispetto al totale del bilancio comunale, di risorse impiegate per il finanziamento alla cultura nel 2012 al 3,8% nel 2013, Bologna dal 4% al 3,9%,
Genova dal 3,3% al 2,9%. Per Milano e Firenze si registrano, invece, variazioni in aumento, addirittura un +103% di Firenze rispetto al 2012.
In tale contesto è necessario promuovere azioni di raccolta fondi alternative. In Europa sta prendendo sempre più piede il crowdfunding, la raccolta
fondi tramite microfinanziamenti su internet: per il «Wall Street Journal» e
l’«Economist» è un’alternativa possibile al venture capital. Sono decine le piattaforme attive, e quelle di natura “generalista”, come RocketHub e Kickstarter, ospitano i progetti più diversi: dalla realizzazione di una telecamera panoramica per iPhone alla messa in scena a teatro di Terminator 2. Nato come
strumento “dal basso”, il “finanziamento della folla” – che sfrutta la velocità
della rete e la condivisione dei social network – sta investendo le istituzioni
culturali: al Louvre di Parigi mancavano un milione di euro per acquisire Le
tre Grazie di Lucas: per raggiungere tale somma il Museo ha chiesto aiuto on
line e ora l’opera è della Francia.
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 216
10/06/14 12:57
Previsionale
2.102.267.762
2.240.982.404
2.114.531.106
2.116.173.301
2.196.711.000
2.200.625.507
1.859.838.752
1.987.001.163
2.037.446.020
1.718.595.000
1.710.407.803
1.425.036.650
1.687.429.482
1.546.779.172
1.595.345.278
1.485.446.276
1.466.676.569
Anno
2000
2001
2002
2003
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 217
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
n.d.
n.d.
0,19%
0,20%
0,22%
0,19%
0,21%
0,23%
0,28%
0,29%
0,29%
0,34%
0,34%
0,32%
0,35%
0,37%
0,39%
Bilancio
Stato
PIL
n.d.
n.d.
n.d.
0,10%
0,12%
0,11%
0,11%
0,11%
0,13%
0,13%
0,13%
0,15%
0,16%
0,16%
0,16%
0,18%
0,18%
Consuntivo
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
1.808.327.129
1.807.888.266
1.795.542.456
1.937.309.228
2.116.328.608
2.230.275.797
2.226.883.335
2.408.291.149
2.405.206.549
2.583.527.910
2.478.989.157
2.707.783.742
2.398.719.341
6,2%
2,5%
2,5%
1,6%
1,2%
0,9%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,1%
14,2%
70,1%
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MiBACT, Ragioneria Generale dello Stato
Lavoro e politiche sociali
Istruzione, università, ricerca
Difesa
Interno
Infrastrutture e trasporti
Sviluppo economico
Giustizia
Affari esteri
Beni e attività culturali e turismo
Salute
Politiche agricole e forestali
Ambiente e tutela del territorio
Incidenza % dello stanziamento dei singoli Ministeri
sul bilancio dello Stato – 2014
Il bilancio del MiBACT (milioni di euro)
re12.
Euroiva
raone
r 2.
cità
: al
per
ia.
Stato di previsione di spesa
e consuntivo MiBACT
le risorse pubbliche per la cultura
dati e analisi | 217
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 218
2007
441
456
2008
€ 62.523.920,00
€ 5.446.000,00
Attività teatrali
Attività circensi
€ 389.846.936,60
100
0,19
0,01
0,16
0,03
2011
408
Importo
€ 405.339.000,00
€ 82.060.000,00
€ 5.281.000,00
€ 64.306.000,00
€ 10.562.000,00
€ 56.465.000,00
411
389
2012
100
0,20
0,01
0,16
0,03
0,14
0,46
% sul
totale
2014
405
4,0%
11,8%
-3,0%
2,9%
2,6%
2,7%
1,9%
Importo
Var. 2014/2013
2013
Var. 2014/2004
- 19%
Riparto FUS 2014
2010
409
€ 186.665.000,00
2009
398
04/06/14 19:29
le risorse pubbliche – gioco del lotto e cultura
*Nel totale delle attività cinematografiche sono compresi gli stanziamenti per l’Osservatorio dello Spettacolo e le
Spese funzionali Comitati e Commissione
Totale
Attività cinematografiche*
€ 73.387.792,60
€ 10.290.720,00
Attività di danza
0,14
€ 54.969.424,00
Settore
Attività musicali
Riparto FUS 2013
2006
377
47,00
2005
465
Importo
2004
500
€ 183.229.080,00
2003
507
Fondazioni liriche
2002
501
% sul
totale
0
100
200
300
400
500
600
Il fondo Unico per lo Spettacolo 2002-2014
(milioni di euro)
il finanziamento pubblico allo spettacolo
Fonte: MiBACT
218 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 219
14,4%
2.002.654
Antichità
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MiBACT
2005/2004
2006/2005
0,0%
48.480.233
2.093.517
Sisma 2012
Totale
6.046.390
Affari generali e innovazione
18.857.330
1.350.000
Valorizzazione
Regioni/Province Autonome
300.000
3.400.000
Spettacolo dal vivo
Cinema
10.038.510
2.891.832
Arti
1.500.000
Archivistici
2012
Librari
Settore
29.387.087
0
0
990.425
871.380
3.455.588
493.656
13.429.916
5.429.737
2.924.241
1.792.144
2013
100,00%
0,00%
0,00%
3,37%
2,97%
11,76%
1,68%
45,70%
18,48%
9,95%
6,10%
%
-31,2%
2007/2006
-15,8%
2008/2007
-11,8%
2009/2008
-22,6%
2010/2009
-21,5%
2011/2010
903.285.801
29.387.087
48.480.233
47.761.541
60.860.584
78.669.103
89.228.322
106.028.882
154.078.569
154.078.569
134.712.911
Importo
1,5%
-39,4%
2013/2012
Var. 2013/2004
- 78%
2012/2011
Totale
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
Anno
Risorse Lotto –
Serie storica 2004/2013
Fondi Gioco del Lotto – Andamento 2004/2013
100,00%
4,32%
12,47%
38,90%
2,78%
7,01%
0,62%
20,71%
4,13%
5,96%
3,09%
%
Ripartizione dei fondi Lotto per settore – 2012 e 2013
le risorse pubbliche – gioco del lotto e cultura
*Nel totale delle attività cinematografiche sono compresi gli stanziamenti per l’Osservatorio dello Spettacolo e le
Spese funzionali Comitati e Commissione
Fonte: MiBACT
dati e analisi | 219
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 220
Totale
71.960
577
364
Turismo
Giustizia
70.031
336
481
736
9.410
870
9.960
14.671
807
Sviluppo economico
Settore sociale
1.354
10.264
825
14.552
Servizi produttivi
Gestione del territorio
1.472
10.476
Sport e tempo libero
Trasporti
2.135
3.194
3.249
2.399
Polizia locale
6.371
20.272
2011
6.655
20.561
2010
Cultura e beni culturali
Istruzione pubblica
Amministrazione, gestione e controllo
Funzioni
Milioni di euro
04/06/14 19:29
Incidenza % della spesa in cultura sul bilancio totale – Serie storica 1998/2013
la spesa in cultura delle amministrazioni locali – le grandi città d’arte
-3,9%
3,0%
-3,7%
-6,1%
-4,5%
-3,7%
1,5%
-11,7%
-11,0%
-9,4%
-1,6%
-4,5%
-2,7%
Var.
2012/2011
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ISTAT
67.304
346
463
691
8.984
777
14.893
9.063
1.205
1.935
3.143
6.086
19.718
2012
Spesa delle amministrazioni comunali per funzione – Impegni (milioni di euro)
Spesa delle amministrazioni comunali per funzione – Impegni (incidenza % su totale impegni)
Spesa dei Comuni per la Cultura –
serie storica 2005-2012 (milioni di euro)
la spesa in cultura delle amministrazioni locali – i comuni
220 | 10° rapporto annuale federculture 2014
4,60%
6,71%
2,25%
6,41%
5,96%
1,27%
3,87%
Firenze
Bologna
Milano
Palermo
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 221
0,06
0,04
44,15
48,15
277,24
76,38
134,89
13,95
Genova
Torino
Firenze*
Bologna
Milano
Palermo
* Il picco che si registra per il
Comune di Firenze è dovuto a un
incremento delle spese in conto
capitale, che passano dai 9 milioni di
euro del 2012 ai 64 del 2013
0
2002
3,01%
2000
Bologna
1999
2003
3,23%
0,98%
4,15%
6,28%
4,61%
2,83%
3,97%
2001
Milano
Genova
1,20%
5,13%
7,02%
4,26%
3,51%
4,33%
Roma
2,97%
1,77%
4,58%
4,38%
3,95%
5,23%
2,68%
1998
0,02
0,08
0,1
0,12
61,76
0,14
3,24%
1,24%
5,73%
5,00%
3,12%
3,84%
2,69%
2001
2,53%
1,98%
0,86%
5,02%
2,27%
5,40%
2002
2003
Firenze
Palermo
Torino
2005
3,39%
2006
1,98%
0,86%
5,02%
2,27%
5,40%
2,53%
3,39%
2007
3,30%
0,61%
4,53%
3,67%
2,59%
3,58%
3,12%
2008
1,23%
2,48%
5,69%
2,72%
4,06%
3,81%
3,95%
2009
0,99%
2,92%
5,09%
3,49%
5,55%
4,04%
3,55%
2004
2005
2006
2007
2008
Andamento spesa in cultura per 1998-2013
2,84%
1,22%
4,48%
3,96%
7,09%
2,48%
2,93%
2004
2009
1,35%
2,27%
5,06%
9,70%
4,99%
3,25%
4,47%
2010
Incidenza % della spesa in cultura sul bilancio totale – Serie storica 1998/2013
2000
Roma
Spesa in cultura
per abitante
2,85%
3,22%
3,36%
4,76%
3,15%
Genova
Torino
3,18%
1999
2,61%
1998
Roma
la spesa in cultura delle amministrazioni locali – le grandi città d’arte
2010
1,65%
2,05%
5,70%
4,66%
4,90%
4,03%
3,10%
2011
2013
2012
2013
n.d.
2,92%
3,93%
12,41%
3,84%
2,97%
2,50%
Fonte: dati Federculture
2011
1,05%
2,88%
4,08%
6,10%
4,20%
3,30%
2,23%
2012
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ISTAT
dati e analisi | 221
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 222
1.128
269
Tutela ambiente
Settore sociale
12.678
9.824
910
225
942
1.714
1.413
145
160
1.827
-10,4%
-12,8%
-12,8%
-13,0%
-10,8%
0,7%
-24,5%
-24,9%
-12,8%
-9,7%
2006
275
2007
279
213
2011
Var. 2012/2006
-42%
2010
238
2012
160
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ISTAT
2008
295
Spesa delle Province per la cultura –
Serie storica 2006-2012
(milioni di euro)
Spesa delle amministrazioni provinciali per funzione –
Impegni (incidenza % su totale impegni)
10.964
1.043
258
1.083
1.922
1.403
192
2012
2.488
Var. 2012/2011
il contributo dei privati – il mercato delle sponsorizzazioni
Totale
1.225
2.600
Gestione del territorio
Sviluppo economico
1.766
Trasporti
260
Turismo, sport e tempo libero
213
2.094
238
2.230
2011
2.756
2.962
2010
milioni di euro
Cultura e beni culturali
Istruzione pubblica
Amministrazione, gestione e controllo
Funzioni
Spesa delle amministrazioni provinciali – Impegni (milioni di euro)
la spesa in cultura delle amministrazioni locali – le province
222 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 223
410
Utilità sociale e solidarietà
388
221
999
2009
Fonte: elaborazioni Federculture su dati Stageup
269
1147
Sport
Cultura e Spettacolo
2008
389
181
884
2010
381
166
856
2011
356
150
782
2012
321
159
715
2013
Le sponsorizzazioni nei diversi comparti (milioni di euro)
* I dati per il 2014 sono previsionali
Le dimensioni del mercato delle sponsorizzazioni –
Serie storica 2002-2014* (milioni di euro)
2009/2010
-18,1%
2008/2009
-17,8%
-8,3%
2010/2011
-9,6%
2011/2012
Le sponsorizzazioni nella cultura –
Var. annuali 2013-2008
2012/2013
6,0%
-38%
Sport
-41%
Cultura e
Spettacolo
-22%
Utilità sociale e
solidarietà
Le sponsorizzazioni nei diversi comparti – Var. 2013/2008
il contributo dei privati – il mercato delle sponsorizzazioni
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ISTAT
dati e analisi | 223
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 224
-
-
16.053.602,14
-
Privati ed enti non commerciali
Var. %
Totale
Var. %
20,6%
16.933.693,57
-
-
20,6%
16.933.693,57
2003
11,3%
18.852.582,23
-
-
11,3%
18.852.582,23
2004
83,8%
34.662.039,64
-
2.379.014,17
71,2%
32.283.025,47
2005
20,6%
41.802.927,09
390,4%
11.665.591,09
-6,6%
30.137.336,00
2006
23,4%
51.604.594,13
70,1%
19.846.902,04
5,4%
31.757.692,09
2007
18,1%
60.954.677,67
47,7%
29.308.384,27
-0,4%
31.646.293,40
2008
-14,7%
51.993.701,47
-23,0%
22.554.248,57
-7,0%
29.439.452,90
2009
2003
20,6%
2004
11,3%
2005
83,8%
2006
20,6%
2007
23,4%
2008
18,1%
2009
-14,7%
2011
-5,2%
12,2%
58.349.616,60
15,9%
26.149.616,60
9,4%
-18,1%
2012
-5,2%
55.328.472,89
1,9%
26.658.122,89
-11,0%
28.670.350,00
2011
-18,1%
45.322.272,84
-36,9%
16.808.767,84
-0,5%
28.513.505,00
2012
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MIBACT
2010
12,2%
2010
32.200.000,00
Erogazioni liberali nel settore dei beni culturali e dello spettacolo – Var. 2002/2012
-12,5%
14.044.601,85
-
-
-12,5%
14.044.601,85
2002
le erogazioni delle fondazioni bancarie / 1
-12,5%
2002
-
16.053.602,14
2001
Var. %
Imprese ed enti commerciali
Erogazioni liberali nel settore dei beni culturali e dello spettacolo (art. 100 e art. 15 TUIR) – Serie storica 2001-2012
l’investimento dei privati in cultura: le erogazioni liberali
224 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 225
171,1
184,9
267,5
Ricerca scientifica e tecnologica
Educazione, istruzione e formazione
Volontariato, filantropia e beneficenza
1.588,10
0,3
Prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica
Totale
2,6
Religione e sviluppo spirituale
10,7
Famiglia e valori connessi
1,2
33,7
Diritti civili
25,2
Sport e ricreazione
157,7
Salute pubblica
Protezione e qualità ambientale
146,5
Assistenza sociale
98,9
487,8
Arte, attività e beni culturali
Sviluppo locale
2006
1.715,10
1,7
3,2
3,9
14,8
23,2
32,4
133,9
167,9
177,6
178,7
206,6
247,0
524,2
2007
1.676,10
0,1
1,4
3,2
15,3
28,4
41,3
122,2
151,1
161,1
170,4
216,9
251,6
513,1
2008
1.386,40
0,3
2,1
2,2
14,6
19,9
23,2
100,6
140,5
175,6
140,7
162,0
196,7
408,0
2009
1.366,40
0,1
0,7
1,1
32,3
21,4
33,8
114,2
174,8
124,5
130,7
148,2
171,6
413,0
2010
Distribuzione delle erogazioni bancarie per settore beneficiario (milioni di euro)
le erogazioni delle fondazioni bancarie / 1
1.092,60
0,2
0,5
0,3
27,0
12,7
27,7
103,6
152,7
50,0
99,2
127,0
156,3
335,4
2011
Fonte: ACRI
965,70
0,4
0,2
0,3
17,4
8,6
18,4
54,6
124,5
55,4
117,3
144,8
118,5
305,3
2012
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MIBACT
dati e analisi | 225
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 226
100
0,1
0,19
2008
100
0,01
0,08
0,19
0,91
1,69
2,46
7,29
9,01
9,61
10,17
12,94
15,01
30,61
Le erogazioni delle fondazioni bancarie
alla cultura – Var. annuali 2006-2012
100
Totale
0,23
0,02
1,35
0,86
2,12
0,67
Sport e ricreazione
Famiglia e valori connessi
Prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica
7,81
1,89
9,93
1,59
Salute pubblica
Protezione e qualità ambientale
0,08
9,79
0,16
10,36
6,23
9,22
Sviluppo locale
Assistenza sociale
Diritti civili
12,05
10,42
11,64
16,84
Educazione, istruzione e formazione
Volontariato, filantropia e beneficenza
Religione e sviluppo spirituale
14,4
10,77
Ricerca scientifica e tecnologica
2007
Arte, attività e beni culturali
30,56
2006
30,72
100
0,02
0,15
0,16
1,05
1,44
1,67
7,26
10,13
12,67
10,15
11,68
14,19
29,43
2009
2010
2011
100
0,02
0,05
0,03
2,47
1,16
2,54
9,48
13,98
4,58
9,08
11,62
14,31
30,70
2012
100
0,04
0,02
0,03
1,80
0,89
1,91
5,65
12,89
5,74
12,15
14,99
12,27
31,61
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ACRI
100
0,01
0,05
0,08
2,36
1,57
2,47
8,36
12,79
9,11
9,57
10,85
12,56
30,23
Distribuzione delle erogazioni bancarie per settore beneficiario (valori %)
le erogazioni delle fondazioni bancarie / 2
226 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Il 2
cri
ric
200
Ris
Sul
reg
con
al 2
Ne
me
olt
dim
Il c
am
vi s
dei
rig
U
ro
al c
par
i pr
spi
log
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ACRI
dati e analisi | 227
il trend dei consumi culturali in italia
Il 2013, in linea con la crisi economica mondiale, si chiude con il perdurare
della crisi anche nel settore dei consumi culturali. La spesa delle famiglie in
cultura e ricreazione scende a 66,5 miliardi di euro, facendo un balzo indietro
ai valori del 2009, quando era pari a 66,3 miliardi, con una contrazione del 3%
rispetto al 2012. Rispetto alla spesa familiare complessiva, si attesta al 7% (era
il 7,4% dieci anni fa). Sul fronte della fruizione, a esclusione dei concerti di
musica classica per i quali si registra un incremento del 16,7%, gli altri settori
vedono la partecipazione in discesa, con un picco per il teatro che registra
ben 8 punti percentuali in meno rispetto al 2012. Seguono le visite a musei e
mostre con una variazione negativa del 7,5%. Nemmeno il cinema, con -5,6%,
riesce a risollevare un bilancio tanto negativo. La medesima sindrome sembra
colpire anche la voglia di leggere degli italiani: le persone oltre i 6 anni che
nel 2013 si sono dedicate alla lettura di almeno un libro sono diminuite
del 6,5% rispetto al 2012 (57% degli italiani contro il 68% degli europei).
Il confronto a livello europeo ci vede purtroppo in posizioni di retroguardia
in tutti gli ambiti della partecipazione culturale. Rispetto, ad esempio, alla
frequentazione dei musei, vi si reca almeno una volta l’anno il 30% degli
italiani contro il 52% degli inglesi, il 44% dei tedeschi e il 39% dei francesi.
Ma siamo al di sotto delle medie ue anche per quanto riguarda la fruizione
di teatro, concerti, cinema.
Un segnale positivo arriva dai musei statali che nel 2013 vedono crescere
il numero dei visitatori del 2,9%. Ma, se il dato statale fa registrare una tendenza in crescita, al contrario, analizzando le singole città d’arte, il panorama
relativo ai musei civici appare meno confortante: a parte Firenze (+65,9%),
Genova (+18,2%) e Torino (+7,3%), i principali poli di attrazione culturale
segnano una flessione di non poco conto in cui spiccano Roma con un calo del 5,7% seguita da Palermo (-5,3%), Milano (-4,1%), Bologna (-4,1%) e
Venezia (-2%).
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 227
10/06/14 12:57
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7,3%
801.946
58.261
2003
2005
0
10.000
20.000
30.000
40.000
50.000
60.000
70.000
2003
63.562
2006
7,2%
920.948
66.168
2007
7,0%
940.666
66.220
2008
7,2%
923.270
66.382
2009
7,4%
950.502
70.208
2010
7,3%
975.957
71.516
2011
7,1%
964.052
68.548
2012
7,0%
952.379
66.589
2013
2004
61.726
2005
60.718
2006
63.562
2007
66.168
2008
66.220
2009
66.382
2011
71.516
2012
2013
66.589
19%
14%
Var.
2013/2003
Fonte: elaborazioni Federculture su dati SIAE
2010
70.208
68.548
-1%
-3%
Var.
2013/2012
Andamento della spesa delle famiglie italiane per ricreazione e cultura –
2002/2012 (milioni di euro)
7,1%
891.925
58.261
7,1%
857.010
60.718
80.000
7,4%
830.303
61.726
2004
gli italiani e la fruizione culturale
*Per le voci di dettaglio della spesa
culturale non sono disponibili i dati 2013
La spesa delle famiglie
italiane – Var. 2012/2002
Incidenza della spesa in
cultura sulla spesa totale
Totale spesa famiglie
Totale spesa in ricreazione
e cultura
Spesa delle famiglie italiane – Valori a prezzi correnti (milioni di euro)
i cittadini e la cultura: la spesa delle famiglie
228 | 10° rapporto annuale federculture 2014
10/06/14 12:57
50
Cinema
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 229
27,3
25,2
21,4
Altri concerti di musica*
Spettacoli sportivi
Discoteche, balere ecc.
Siti archeologici e monumenti
22,7
26,3
29
20,5
8,8
28,5
48,1
17,9
2003
20,8
23,1
16,4
18,3
9,2
27,7
48,2
21,8
2004
21,2
25,3
28
19,6
8,9
27,6
50,7
19,9
2005
21,1
24,8
27,3
19,5
9,4
27,7
48,9
20
2006
21,6
23,6
26,5
19,2
9,3
27,9
48,8
21
2007
21,4
22,7
26,8
19,9
9,9
28,5
50,2
20,7
2008
21,9
22,6
26,7
20,5
10,1
28,8
49,6
21,5
2009
23,2
22,4
26,4
21,4
10,5
30,1
52,3
22,5
2010
-8,0%
Teatro
-5,6%
Cinema
-7,5%
Musei, mostre
Concerti di
musica classica
16,7%
-6,3%
Altri concerti di
musica*
-3,9%
Spettacoli
sportivi
-4,9%
Discoteche,
balere, ecc.
Fruizione di intrattenimenti culturali e ricreativi in Italia – Var. 2013/2012
22,9
22,6
28,4
20,8
10,1
29,7
53,7
21,9
2011
21,1
20,6
25,4
19
7,8
28
49,8
20,1
2012
20,7
19,6
24,4
17,8
9,1
25,9
47,0
18,5
-8,8%
-25,5%
-15,9%
-13,2%
3,4%
-9,1%
-2,3%
3,4%
Variazione
2013/2003
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ISTAT
-1,9%
Siti archeologici
e monumenti
* Concerti di musica leggera ecc.
Indagini Multiscopo, persone di 6 anni e più per fruizione di vari tipi di spettacolo e/o intrattenimento fuori casa almeno una volta l’anno
9
19,4
Concerti di musica classica
28,1
18,7
Teatro
Musei, mostre
2002
2013
Fonte: elaborazioni Federculture su dati SIAE
Fruizione di intrattenimenti culturali e ricreativi in Italia – Serie storica 2002-2013 (valori percentuali)
gli italiani e la fruizione culturale
culturale non sono disponibili i dati 2013
dati e analisi | 229
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 230
49,4
49,1
49,4
50,2
50,1
51,6
46,3
47,2
37,4
39,7
43,5
38,3
31,2
28,5
27,5
33,6
28,5
28,7
43,2
48,9
48,8
43,7
47,3
30,3
41,3
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Centro-Nord
Mezzogiorno
Italia
42,3
30,4
48,9
45,3
49,7
50,9
40,2
28,4
29,5
31,1
28,6
28,4
31,2
40,5
47,1
39,6
41,6
46,1
47,7
54,3
49,5
53,5
48,6
52,0
50,8
49,4
2005
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
56,4
51,9
54,0
51,7
48,9
2006
43,1
31,6
49,4
44,6
50,3
52,2
45,4
30,1
29,1
31,9
28,9
30,2
34,6
37,8
44,6
39,4
40,9
47,8
49,2
53,9
49,3
55,0
48,9
53,3
51,6
51,1
2007
44,0
31,6
50,7
47,4
51,7
52,5
43,7
29,1
31,4
34,3
29,9
29,4
36,8
38,5
48,3
41,6
45,4
48,9
50,3
56,5
50,6
57,5
51,3
53,5
53,8
50,6
2008
45,1
34,6
50,7
48,0
51,8
51,9
46,9
31,5
34,3
35,8
33,1
32,9
38,8
41,3
48,5
44,2
42,9
50,0
51,0
56,7
49,6
60,0
51,3
51,8
49,5
52,3
2009
46,8
35,2
52,9
50,6
53,5
54,3
49,1
32,8
35,8
31,4
33,6
33,3
37,8
40,8
51,4
43,0
44,6
53,9
51,5
56,3
53,7
57,9
52,6
55,1
55,7
53,1
2010
45,3
32,7
51,9
48,1
53,2
53,8
46,7
30,5
31,6
32,8
31,5
29,8
36,7
40,3
49,1
43,4
40,0
50,5
49,5
58,0
54,2
58,3
55,8
54,0
53,0
52,4
2011
le attività di spettacolo: una panoramica
* Il 2004 non è presente poiché l’indagine ha subito un cambiamento del periodo di rilevazione da novembre 2004 a febbraio 2005.
48,4
Piemonte
2003
46,0
34,2
52,2
47,9
55,2
53,1
45,8
32,8
34,6
33,5
31,7
32,2
36,0
40,2
49,0
44,2
43,9
48,9
53,4
54,3
56,4
58,4
52,4
53,9
56,3
51,6
2012
43,0
32,0
30,0
46,8
51,3
50,1
45,3
27,6
29,3
30,9
29,4
28,9
32,4
37,2
48,7
41,4
41,0
47,5
49,5
56,4
50,6
56,4
48,0
51,5
55,2
47,6
2013
4,1%
5,6%
-36,6%
7,1%
5,1%
2,5%
4,86%
-3,83%
2,81%
-8,04%
6,91%
1,40%
3,85%
-2,87%
11,95%
4,28%
9,63%
0,64%
6,91%
9,30%
1,00%
12,35%
-2,83%
4,89%
11,74%
-1,65%
Var.
2013/2003
Fonte: ISTAT
-6,52%
-6,43%
-42,53%
-2,30%
-7,07%
-5,65%
-1,09%
-15,85%
-15,32%
-7,76%
-7,26%
-10,25%
-10,00%
-7,46%
-0,61%
-6,33%
-6,61%
-2,86%
-7,30%
3,87%
-10,28%
-3,42%
-8,40%
-4,45%
-1,95%
-7,75%
Var.
2013/2012
Persone di 6 anni e più che hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi per Regione – 2003-2013 ( valori percentuali)
(per 100 persone con le stesse caratteristiche)*
da nord a sud gli italiani che (non) leggono
230 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
14.060.033
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 231
5.234.842
114.204.230
709.294
9.883.274
€ 974.655.659,06
€ 5.207.434,36
€ 62.264.183,69
€ 61.366.224,44
€ 130.742.935,83
€ 127.583.226,03
€ 126.991.751,21
€ 148.598.665,43
€ 311.901.238,07
Spesa al botteghino
9,41%
8,00%
1,38%
Mostre ed esposizioni
Attività con pluralità di generi
Totale
0,69%
11,03%
2,97%
1,78%
-5,75%
-4,94%
9,70%
-4,08%
3,95%
-2,15%
-4,27%
0,43%
-15,06%
-9,61%
-5,08%
23,84%
-7,22%
-0,86%
Spesa al botteghino
5,01%
17,32%
20,70%
-13,29%
2,71%
-2,69%
28,93%
-3,86%
5,06%
Spesa del pubblico
€ 1.720.207.074,87
€ 32.699.328,48
€ 245.595.374,83
€ 90.163.656,46
€ 454.252.797,04
€ 222.616.910,27
€ 149.232.696,31
€ 178.364.882,27
€ 347.281.429,21
Spesa del pubblico
Volume d’affari
-3,08%
-2,96%
-18,50%
-17,77%
-8,82%
-6,57%
19,81%
-7,02%
-0,93%
Volume d’affari
€ 2.245.989.589,66
€ 36.938.809,56
€ 249.258.566,40
€ 90.539.576,33
€ 461.837.670,26
€ 719.751.758,96
€ 155.504.289,20
€ 184.293.762,09
€ 347.865.156,86
Numero spettacoli = riepiloga gli eventi censiti nel periodo
Ingressi = numero di biglietti rilasciati e ingressi in abbonamento
Spesa al botteghino = somme che gli spettatori destinano all’acquisto di biglietti e abbonamenti
Spesa del pubblico = comprende, oltre alla spesa al botteghino, tutte le altre somme che il pubblico paga per assistere allo spettacolo: consumazioni al bar, diritti di prevendita,
servizio di guardaroba ecc.
Volume d’affari = valore complessivo degli introiti realizzati dall’organizzatore e comprende, oltre alla spesa del pubblico, le somme erogate da non partecipanti per
l’allestimento dello spettacolo (introiti per prestazioni pubblicitarie, proventi da sponsorizzazioni e riprese televisive ecc.)
-7,66%
14,54%
Attività sportiva
Attrazioni dello spettacolo viaggiante
-2,58%
Attività concertistica
4,48%
0,55%
Attività teatrale
Attività di ballo e concertini
0,22%
Ingressi
Var. 2013/2012 (1° semestre)
Numero spettacoli
Attività cinematografica
Area
2.097.415
12.168
Totale
Attività con pluralità di generi
7.279
22.229
Attrazioni dello spettacolo viaggiante
Mostre ed esposizioni
14.352.824
64.991
Attività di ballo e concertini
345.036
5.368.692
Attività sportiva
12.295.781
72.077
17.111
Attività teatrale
Attività concertistica
Ingressi
52.299.490
Numero spettacoli
1.556.524
Area
Attività cinematografica
Valori assoluti – 1° semestre anno 2013
le attività di spettacolo: una panoramica
* Il 2004 non è presente poiché l’indagine ha subito un cambiamento del periodo di rilevazione da novembre 2004 a febbraio 2005.
Fonte: SIAE
Fonte: ISTAT
dati e analisi | 231
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 232
04/06/14 19:29
i musei statali: il flusso dei visitatori
Fonte: elaborazione Federculture su dati SIAE
La spesa del pubblico per lo spettacolo:
andamento regionale – Var. 1° semestre 2013/2012
10,44%
21,28%
4,34%
7,7%
12,87%
le attività di spettacolo a livello regionale
-0,91%
6,24%
15,5%
3,74%
-1,16%
2,91%
8,17%
-6,64%
+9,48%
6,52%
15,03%
-7,43%
0,95%
-22,41%
-5,75%
232 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 233
43.411
16.165
Basilicata
Calabria
161.294
187.382
175.541
3.975.511
106.853
646.103
17.640.669
Puglia
Sardegna
Toscana
Umbria
Veneto
Totali
9.168
Molise
979.335
183.396
Piemonte
852.967
Marche
35.197
Lombardia
Liguria
6.741.313
Friuli-Venezia Giulia
Lazio
328.060
Emilia-Romagna
3.177.658
21.315
Abruzzo
Campania
Paganti
Regione
20.581.109
273.569
110.583
2.160.284
162.507
328.724
671.489
68.568
252.467
587.322
60.070
10.907.643
1.057.890
509.806
2.958.100
178.642
155.072
138.373
Non paganti
38.221.778
919.672
217.436
6.135.795
338.048
516.106
1.650.824
77.736
435.863
1.440.289
95.267
17.648.956
1.219.184
837.866
6.135.758
194.807
198.483
159.688
Totale visitatori
2013
126.092.820,38
2.706.390,39
354.257,62
23.971.396,00
876.218,50
728.311,50
6.071.803,10
17.669,00
737.434,50
4.561.523,25
115.062,20
54.709.178,00
600.185,00
1.396.932,00
29.049.320,32
45.583,00
103.008,00
48.548,00
Introiti lordi (Euro)
104.583.207,23
2.036.004,01
324.444,92
20.536.988,29
288.158,53
727.375,95
1.224.626,00
17.669,00
640.816,30
4.113.289,94
115.062,20
47.491.556,04
527.343,28
797.619,92
25.551.038,31
43.472,55
99.194,00
48.548,00
Introiti netti (Euro)
Visitatori e introiti dei siti culturali statali
Visitatori dei siti culturali statali – Serie storica 1996/2013
i musei statali: il flusso dei visitatori
Fonte: elaborazione Federculture su dati SIAE
6,91
7,21
-2,56
8,21
6,14
8,85
-8,49
4,35
10,64
5,05
16,96
7,93
12,44
5,51
7,83
68,54
9,73
12,88
Introiti lordi
Var. % 2013/2012
8,19
6,87
-2,43
7,50
2,89
8,71
28,55
4,35
10,52
4,87
16,96
8,03
12,99
15,15
8,60
75,13
10,22
12,88
Introiti netti
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MiBACT
2,92
-2,06
-0,06
11,37
-4,06
1,01
-3,20
26,19
-0,08
5,00
2,82
3,93
-18,08
0,21
1,27
-3,56
1,98
-11,76
Visitatori
dati e analisi | 233
10/06/14 12:58
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 234
46.445
38.906
105.002
45.022
40.724
37.596
42.376
43.599
55.309
54.089
57.851
68.023
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
69,2%
749.915
675.749
771.884
698.118
713.476
750.697
745.870
729.062
770.557
751.274
451.465
442.706
467.199
443.151
Venezia
Milano
29,0%
663.329
676.272
679.294
629.957
673.206
545.355
542.145
542.399
537.931
527.027
500.196
496.550
505.503
514.078
12,7%
37.934
31.078
33.708
32.761
46.406
46.236
30.963
32.508
30.864
30.323
33.655
34.179
31.817
33.650
Bologna
Visitatori degli istituti statali – Var. 2013/2012
40,0%
839.520
868.349
1.113.131
889.532
784.310
735.332
870.203
821.039
456.461
497.613
463.349
493.077
498.138
599.571
Torino
Visitatori degli istituti statali – Serie storica
04/06/14 19:29
Visitatori dei musei civici – Serie storica
cosa accade nelle città: i musei dei comuni
5,0%
46.882
2001
Var. 2013/2000
64.768
Genova
2000
cosa accade nelle città: i siti statali
Firenze
Roma
106,2%
14.962.918
14.442.786
14.761.316
12.699.443
9.877.773
9.189.066
8.702.969
8.436.056
8.190.686
8.035.348
7.547.080
7.252.207
7.447.914
7.257.644
Fonte: elaborazioni Federculture su dati diversi MiBACT
5,4%
5.630.613
5.043.946
5.184.941
4.914.170
4.691.254
4.943.123
5.299.983
5.238.295
4.864.821
4.827.604
4.701.381
5.025.930
5.412.103
5.343.100
234 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 235
1.089.475
1.169.110
544.223
539.316
637.637
181,7%
2011
2012
2013
Var. 2013/2000
358.948
65,7%
2.266.256
2.314.048
2.208.320
2.005.861
1.874.126
2.025.302
2.099.940
2.125.186
2.037.574
1.910.515
1.702.007
1.667.881
1.688.732
1.367.387
-10,5%
1.243.290
1.297.473
1.375.982
970.145
753.542
759.561
nd
nd
946.000
1.130.315
1.052.820
1.585.203
1.389.224
nd
Milano
-23,4%
274.847
286.781
348.594
429.937
431.511
377.181
344.455
379.008
245.870
292.596
221.507
249.161
361.543
358.812
Bologna
Visitatori dei musei civici – Var. 2013/2012
* Per la città di Milano la variazione è calcolata sul 2001
465,1%
1.276.891
1.171.412
456.596
551.472
2009
367.509
456.116
380.411
274.628
303.734
178.773
238.919
222.632
206.872
Venezia
Visitatori dei musei civici – Serie storica
Torino
2010
461.368
400.799
2007
402.916
2006
2008
410.793
382.036
2004
2005
266.216
201.242
228.528
2001
2002
226.334
2000
2003
Genova
cosa accade nelle città: i musei dei comuni
114,5%
1.223.488
737.139
680.929
624.220
532.866
500.117
570.839
580.014
604.002
582.124
537.677
609.360
588.377
570.305
Firenze
106,1%
1.443.483
1.531.681
1.635.529
1.574.901
1.447.922
1.289.768
1.350.421
1.243.935
851.493
847.142
857.870
873.085
813.669
700.308
Roma
Fonte: dati Federculture
-59,2%
19.664
20.772
23.824
17.518
31.176
35.139
nd
nd
nd
64.525
51.070
50.182
68.930
48.170
Palermo
Fonte: elaborazioni Federculture su dati diversi MiBACT
dati e analisi | 235
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 236
56%
53%
41%
30%
26%
24%
24%
17%
Letto un libro
Stato al cinema
Visitato un monumento o sito storico (castelli, chiese ecc)
Visitato un museo o galleria
Andato a un concerto
Visitato una libreria
Stato a teatro
Visto un balletto, una performance di danza o un’opera
le mostre d’arte / 1
60%
Guardato o ascoltato un programma culturale in TV o radio
52%
37%
35%
31%
28%
18%
Visitato un monumento o sito storico (castelli, chiese ecc.)
Visitato un museo o galleria
Andato a un concerto
Visitato una libreria pubblica
Stato a teatro
Visto un balletto, una performance di danza o un’opera
04/06/14 19:29
48%
34%
Media
Bassa
Le mostre italiane più visitate del 2013 (per vistatori giornalieri)
13%
Alta
UE
52%
Andato al cinema
Indice generale di pratica culturale
68%
Letto un libro
UE
23%
53%
45%
51%
60%
71%
70%
86%
84%
Paesi Bassi
72%
25%
21%
33%
33%
39%
54%
63%
73%
85%
Francia
Guardato o ascoltato un programma culturale in TV o radio
22%
39%
17%
37%
52%
65%
61%
80%
77%
Regno Unito
Almeno una volta negli ultimi 12 mesi hai/sei…
Italia
Almeno una volta negli ultimi 12 mesi hai/sei…
la fruizione culturale: italia ed europa a confronto
49%
43%
5%
IT
17%
24%
24%
26%
30%
41%
53%
56%
60%
IT
19%
30%
23%
45%
44%
63%
54%
79%
74%
Germania
22%
32%
37%
36%
40%
51%
54%
65%
72%
Belgio
Fonte: Eurobarometro
15%
21%
33%
31%
29%
48%
49%
60%
74%
Spagna
236 | 10° rapporto annuale federculture 2014
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 237
245.979
140.000
107.405
217.908
94.665
157.097
180.236
160.758
146.791
2.365
2.059
1.820
1.626
1.604
1.403
1.376
1.362
1.244
34%
Sulla via della seta
Robert Doisneau. Paris en liberté
Manet. Ritorno a Venezia
Giuseppe De Nittis
Da Botticelli a Matisse. Volti e figure
Cacce principesche
Tiffany & Gallé e i maestri dell’Art Nouveau
Tomàs Saraceno. On Space Time Foam
Tiziano
Espos. Int. D’Arte Biennale di Venezia
Titolo della mostra
Espos. Int. D’Arte Biennale di Venezia
Tiziano
Cacce principesche
Modigliani
Manet. Ritorno a Venezia
VI Triennale Design Museum
Emilio Isgrò: l’ora italiana
Robert Doisneau. Paris en liberté
Il colore come forma plastica
Giuseppe De Nittis
475.000
245.979
217.908
189.319
180.236
163.776
161.269
160.758
158.858
157.097
Titolo della mostra
Palazzo Zabarella
Gallerie d’Italia - Piazza Scola
Palazzo delle Esposizioni
Gallerie d’Italia - Piazza Scola
Triennale Design Museum
Palazzo Ducale
Palazzo Reale
Villa D’Este
Scuderie del Quirinale
Arsenale e Giardini
Sede
Padova
Milano
Roma
Milano
Milano
Venezia
Milano
Tivoli (RM)
Roma
Venezia
Città
Palazzo delle Esposizioni
Palazzo delle Esposizioni
Palazzo Ducale
Palazzo Zabarella
Palazzo della Gran Guardia
Villa D’Este
Musei Capitolini - Palazzo Caffarelli
Hangar Bicocca
Scuderie del Quirinale
Arsenale e Giardini
Sede
Roma
Roma
Venezia
Padova
Verona
Tivoli (RM)
Roma
Milano
Roma
Venezia
Città
49%
27 ott.’12 - 10 mar.
29 set.- ‘12 - 3 feb.
24 apr. - 1 set.
19 gen. - 26 mag.
2 feb. - 1 apr.
17 mag. - 20 ott.
20 feb. - 28 apr.
25 ott.’12 - 17 feb.
5 mar. - 16 giu.
1 giu. - 24 nov.
Date
Fonte: Eurobarometro
Fonte: elaborazioni Federculture su dati “Il Giornale dell’Arte”
Le mostre italiane più visitate del 2013 (per vistatori giornalieri)
Le mostre italiane più visitate del 2013 (per vistatori totali)
475.000
3.048
Visitatori totali
Visitatori totali
Visitatori al giorno
le mostre d’arte / 1
Bassa
dati e analisi | 237
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 238
247.290
5.657
Titolo della mostra
Elles: donne artiste nella coll. del Pompidou
Move Yourself throught Movies
Kyoto from inside and outside
Raffaello
Cai Guo-Qjang: Peasant da Vincis
Dalí
Dalí
Impressionismo: Parigi e la modernità
La scuola di pittura di Lignan
La dinastia Zhou occidentale
Sede
Titolo della mostra
Edward Munch: l’urlo
La dinastia Zhou occidentale
New order: arte inglese oggi
Il cilindro di Ciro e la Persia antica
La scuola di pittura di Lignan
La collezione Guggenheim III
La gaiezza è la miglior qualità…
Dalí
Nam June Paik: Global Visionary
Dalí
Visitatori totali
1.017.146
1.007.026
978.358
939.547
921.130
895.367
821.587
790.090
758.000
732.339
Reina Sofia
Smithsonian American Art Museum
Centre Pompidou
Saatchi Gallery
Guggenheim
National Palace Museum
Freer and Sackler Galleries
Saatchi Gallery
National Palace Museum
MoMa
Sede
Madrid
Washington
Parigi
Londra
Bilbao
Taipei
Washington
Londra
Taipei
New York
Città
Città
Rio de Janeiro
Rio de Janeiro
Tokyo
Tokyo
Rio de Janeiro
Madrid
Parigi
Rio de Janeiro
Taipei
Taipei
Date
24 mag. - 14 lug.
5 feb. - 7 apr.
8 ott. - 1 dic.
2 mar. - 2 giu.
6 ago. - 23 set.
27 apr. - 2 set.
21 nov. 2012 - 25 mar.
23 ott. 2012 - 13 gen.
1 giu. - 25 ago
8 ott. 2012 - 17 gen.
5.098.868
4.425.505
1.190.335
New York
Parigi
Roma
Fonte: elaborazioni Federculture su dati “Il Giornale dell’Arte”
5.377.826
Londra
Le mostre d’arte, confronto fra capitali
(totale visitatori prime 10 moste della città)
Centro Cultural Banco do Brasil
Centro Cultural Banco do Brasil
Tokyo National Museum
National Museum of Western Art
Centro Cultural Banco do Brasil
Reina Sofia
Centre Pompidou
Centro Cultural Banco do Brasil
National Palace Museum
National Palace Museum
Le mostre internazionali più visitate del 2013 (per vistatori totali)
278.801
306.999
5.896
5.761
264.584
505.246
6.431
732.339
6.615
6.172
561.142
790.090
921.130
10.711
8.099
1.007.026
7.364
Visitatori totali
10.946
Le mostre internazionali più visitate del 2013 (per vistatori giornalieri)
Visitatori al giorno
le mostre d’arte / 2
238 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Il s
sur
ci a
vi i
L’E
spe
fric
+6,
zio
glio
Por
num
ro i
del
Pae
del
La
anc
dal
In
risp
32.
ti n
l’It
lo p
nie
anche il turista è in crisi?
Il settore turistico nel 2013 mostra di risentire della crisi economica mondiale in misura più contenuta rispetto al settore dei consumi culturali. In effetti
i flussi turistici a livello mondiale continuano a crescere: superata la soglia
del miliardo di arrivi internazionali nel 2012, nel 2013 si registra una variazione complessiva del 5%.
L’Europa, però, pur essendo raggiunta da 563 milioni di visitatori, il 5,2%
in più rispetto al 2012, è tra i continenti che crescono meno, mentre sono in
grande ascesa l’Africa, che registra un incremento di visitatori del 7,7%, e
l’area di Asia e Pacifico, +6,4%. Le previsioni mostrano l’Italia in ripresa come destinazione turistica internazionale nel biennio 2013-2014, con un posizionamento competitivo in notevole miglioramento sui mercati d’origine
extraeuropei. Secondo le proiezioni, Grecia (+5,3%), Portogallo (+5,1%) e
Francia (+4,5%) si distingueranno per i maggiori incrementi nel numero di
arrivi da turismo internazionale; Austria (+2,4%) e Italia (+2,2%) dovrebbero
invece registrare gli aumenti più contenuti. Per il 2014, si prevede un consolidamento della crescita per tutti gli otto Paesi considerati, escluso il Portogallo (+4,6%); il nostro Paese dovrebbe registrare un incremento dell’incoming
pari al +3,1%, superiore a quello dell’anno in corso, ma sempre al di sotto dei
tassi segnati dalle destinazioni concorrenti. La ridotta propensione ai viaggi
internazionali dei cittadini europei, i cui consumi sono ancora frenati dalla
crisi, sarà dunque compensata dalla crescita dei flussi provenienti dall’Asia e
dal Nord America, aree caratterizzate da un maggior dinamismo economico.
In questo quadro, nel 2013 il Bel Paese registra un incremento di visitatori
del 2,3% rispetto al 2012, con un riflesso positivo anche sulla spesa dei turisti che raggiunge i 32.989 milioni di euro, contro i 32.056 milioni del 2012
(+3,1%). Nonostante i risultati non troppo negativi, considerata la pesante
recessione in corso, è evidente però come l’Italia sia sempre meno competitiva a livello internazionale, riuscendo a intercettare solo parzialmente i flussi turistici internazionali in espansione, in particolare quelli provenienti dai
Paesi emergenti.
732.339
Dalí
Reina Sofia
Madrid
Fonte: elaborazioni Federculture su dati “Il Giornale dell’Arte”
dati e analisi | 239
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 239
10/06/14 12:59
882
940
61
50
150
204
476
2010
980
55
50
156
216
503
2011
i flussi turistici dei paesi emergenti
Mondo
53
Medio-Oriente
141
America
47
181
Asia e Pacifico
Africa
461
2009
Europa
Arrivi internazionali (valori in milioni)
Arrivi del turismo internazionale –
Serie storica 1995/2013
1.035
53
52
162
233
535
2012
1.087
51
56
169
248
563
2013
6,4%
-3,80%
3,80%
5,02%
2010/2009 2011/2010 2012/2011 2013/2012
4,70%
5,2%
6,4%
Asia e Pacifico
7,9%
Africa
4,0%
-3,6%-3,8%
Medio-Oriente
5,0%
Mondo
5,6%
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UNWTO
America
3,8% 4,3%
7,7%
Arrivi internazionali per area geografica –
Var. percentuali
2008/2007
2009/2008
6,50%
Arrivi del turismo internazionale –
Var. annuali 2008/2013
2,10%
Europa
2012/2011
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 240
2013/2012
i flussi turistici internazionali
240 | 10° rapporto annuale federculture 2014
10/06/14 12:59
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 241
43,52
21,59
12,94
7,79
85,84
Cina
Russia
Brasile
India
Totale
96,40
7,79
14,91
24,31
49,39
2011
Russia
India
Cina
Brasile
106,87
7,79
17,35
26,74
54,99
2012
3. Kazakistan
2. Finlandia
1. Ucraina
3. UAE
2. Thailandia
1. Singapore
3. Corea del Sud
2. Macao
1. Hong Kong
3. Uruguay
2. Argentina
1. USA
115,96
8,46
17,47
29,06
60,97
2013
138,85
9,83
18,91
33,69
76,42
2015
152,45
10,49
19,70
36,02
86,24
2016
Russia
India
Cina
Brasile
4. Francia
3. Italia
2. Spagna
1. Germania
4. Svizzera
3. Germania
2. Francia
1. Regno Unito
4. Italia
3. Austria
2. Francia
1. Germania
4. Italia
3. Portogallo
2. Spagna
1. Francia
Top 4 destinazioni dei BRICS nel
2012 per Europa Occidentale
126,76
9,14
18,17
31,41
68,04
2014
Fatturato turistico dei BRICS* (miliardi di euro)
Top 3 destinazioni
dei BRICS 2012
*Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa
2010
i flussi turistici dei paesi emergenti
167,40
11,14
20,55
37,94
97,77
2017
Fonte: Euromonitor
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UNWTO
dati e analisi | 241
04/06/14 19:29
Valle d’Aosta
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 242
5.137
1.145
9.515
Marche
Lazio
88.335
6.528
620
1.830
2009
89.395
6.613
955
1.736
272
84
1.232
2.430
69
410
9.198
1.150
567
7.173
3.685
8.554
11.440
5.194
6.224
18.394
1.077
2.940
2010
90.788
6.129
842
1.518
245
99
1.212
2.447
64
390
9.755
1.124
561
7.066
3.774
10.076
11.702
3.931
6.715
18.714
968
3.455
2011
984
3.263
95.596
6.958
871
1.744
292
92
1.168
2.414
82
467
10.508
1.013
656
8.002
3.991
8.520
12.587
4.573
7.017
20.396
il turismo internazionale: gli stranieri in italia /2
Totale
Dati non ripartibili
Sardegna
Sicilia
75
248
Calabria
1.170
Puglia
Basilicata
2.286
Campania
65
597
Umbria
Molise
7.500
Toscana
451
3.576
Emilia-Romagna
Abruzzo
7.910
Friuli-Venezia Giulia
11.458
Trentino-Alto Adige
Veneto
5.853
Liguria
18.475
1.137
Piemonte
Lombardia
2008
2.758
97.602
7.084
884
1.870
218
94
1.191
2.578
40
334
10.574
959
664
7.817
4.082
8.679
12.991
5.428
6.695
20.647
902
3.871
2012
Viaggiatori stranieri per Regione visitata – serie 2008-2013 (migliaia)
il turismo internazionale: gli stranieri in italia /1
2013
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UIC Banca d’Italia
100.110
7.089
962
2.039
202
95
1.293
2.771
55
335
11.415
855
625
8.340
4.471
8.167
12.732
5.818
7.624
20.389
848
3.983
242 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Viaggiatori stranieri –
Var. 2013/2012
il turismo internazionale: gli stranieri in italia /2
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 243
Nord-est
31,2%
Nord-ovest
32,8%
Viaggiatori stranieri per macroarea
geografica – Var. 2013/2012
Centro
21,2%
Sud e isole
7,7%
Dati non
Ripartibili
7,1%
Incidenza viaggiatori stranieri per
macroarea geografica – 2013
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UIC Banca d’Italia
dati e analisi | 243
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 244
1.408
4.648
1.001
1.553
3.815
296
366
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
177
28.856
647
588
901
167
37
575
1.211
39
198
4.859
366
314
3.206
1.514
968
4.327
1.314
1.269
5.031
353
974
2009
2010
29.257
717
577
810
162
49
585
1.231
33
200
5.184
355
259
3.355
1.662
1.023
4.311
1.254
1.228
4.822
316
1.126
il turismo internazionale: la spesa in italia / 2
31.090
732
Dati non ripartibili
Totale
478
Sardegna
1.032
Calabria
Sicilia
37
548
Basilicata
Puglia
1.416
35
Molise
Campania
276
Abruzzi
5.277
1.239
Liguria
Lazio
5.318
Lombardia
303
Piemonte
Valle d’Aosta
2008
1.134
30.891
878
640
855
178
40
616
1.264
41
238
5.452
362
308
3.549
1.713
902
4.748
1.246
1.364
5.084
320
1.091
2011
32.056
906
606
1.041
145
63
580
1.419
18
205
5.386
352
290
3.608
1.710
962
5.000
1.555
1.339
5.304
317
1.250
2012
Spesa turisti stranieri per Regione visitata, serie 2008-2013 (milioni di euro)
il turismo internazionale: la spesa in italia / 1
2013
32.989
1.099
584
1.098
138
40
617
1.429
27
201
5.769
326
253
3.807
1.857
829
4.701
1.614
1.489
5.525
277
1.310
244 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
31.090
28.856
29.257
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 245
Incidenza spesa viaggiatori stranieri
per macroarea geografica – 2013
Spesa viaggiatori stranieri per macroarea
geografica – var. 2013/2012
il turismo internazionale: la spesa in italia / 2
Totale
30.891
32.989
Fonte: elaborazioni Federculture su dati UIC Banca d’Italia
Spesa dei viaggiatori stranieri –
var. 2013/2012
32.056
dati e analisi | 245
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 246
18,2
20,7
19,5
23,8
29,2
2009
2010
2011
2012
2013*
0
2008
29,6
2009
28,2
2010
28,2
*I dati 2013 si riferiscono al I semestre
10
20
30
40
50
39,6
29,9
25,5
28,2
28,2
29,6
Totale
2011
25,5
2012
29,9
2013*
39,6
Il peso del turismo nelle città/città d’arte (%)
67,8
36,7
32,8
37,0
40,8
38,2
Stranieri
* I dati 2013 si riferiscono al I semestre
22,3
2008
Italiani
Il peso del turismo nelle città/città d’arte (%)
Confronto 2008/2013
il turismo nelle città d’arte
17,5
13,7
Prezzi convenienti
2,6
7,1
n.d.
0,2
24,2
3,2
8,8
2003
43,0
156,3
n.d.
97,30
-2,10
81,30
68,20
Variazione
2013/2003
13,7
18,2
5,6
7,4
23,7
5,8
14,8
Totale
Fonte: Isnart, Unioncamere, ONT
18,2
Il desiderio di vedere un posto mai visto
5,6
7,4
Interessi enogastronomici
Per conoscere usi e costumi della popolazione locale
23,7
5,8
14,8
2013
Bellezze naturali del luogo
Per assistere a eventi culturali
Ricchezza del patrimonio artistico/monumentale
12,1
Prezzi convenienti
36,6
14,9
6,2
23,6
5,9
22,2
Stranieri
Città/città d’arte: alcune motivazioni principali del soggiorno (%)
I semestre 2013 e 2003 a confronto (possibili più risposte)
10,9
1,8
Per conoscere usi e costumi della popolazione locale
Il desiderio di vedere un posto mai visto
7,8
23,7
5,8
11,8
Italiani
Interessi enogastronomici
Bellezze naturali del luogo
Per assistere a eventi culturali
Ricchezza del patrimonio artistico/monumentale
Città/città d’arte: alcune motivazioni principali del soggiorno (%)
I semestre 2013 (possibili più risposte)
246 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
Il M
gis
vale
Qu
gen
se
Ad
app
An
stra
me
non
A
Ne
sta
la
Per
libr
un’
zio
No
È
spe
(-7
al c
inc
sta
tur
Fonte: Isnart, Unioncamere, ONT
dati e analisi | 247
mezzogiorno e cultura, una strada ancora in salita
Il Mezzogiorno, come il resto della nostra penisola, ha nel patrimonio culturale e paesaggistico un asset di enorme valore: il 23,3% dei musei italiani è
ubicato nel Sud, lo stesso vale per il 52% dei parchi e delle aree archeologiche, nonché per il 25,1% dei monumenti.
Questa grande ricchezza però non è sempre adeguatamente valorizzata e non
genera sviluppo sociale ed economico, come invece potrebbe accadere se fosse
oggetto di politiche e investimenti commisurati al suo potenziale di attrattività.
Ad esempio, sul versante della digitalizzazione gli istituti delle regioni del Sud
appaiono in ritardo rispetto alle altre aree del Paese e alle medie nazionali.
Anche con riferimento alle dimensioni occupazionali, nel Mezzogiorno gli
istituti mostrano grandezze modeste. Il 33,5% dei musei e degli istituti similari occupa un numero di addetti compreso tra 2 e 5, il 28,9% ne occupa un
numero tra 6 e 15, il 28,3% non si avvale di alcun addetto, mentre il 24,9%
annovera una sola unità di personale.
A un’offerta poco valorizzata corrisponde una domanda inferiore al resto del
Paese. Nel Sud, infatti, la spesa in cultura e ricreazione delle famiglie (5,7%
del totale) è stabilmente al di sotto della media nazionale (7,3%; dati 2011).
Dal 2001 al 2011 la spesa per consumi culturali nel Mezzogiorno ha subito
una contrazione del 9%.
Per quanto riguarda la fruizione, nel 2013 i residenti al Sud che hanno letto
almeno un libro sono diminuiti del 6,4% rispetto al 2012. Il resto della penisola vede in ogni caso un’inversione di rotta rispetto all’anno precedente:
al Nord-Ovest si registra una riduzione del 5,6%, il Nord-Est segna un -7%.
Il peggior risultato è detenuto dal Centro-Nord, in cui la contrazione si attesta al 42,5%.
È migliore, invece, il quadro che emerge dalla frequentazione di attività
legate allo spettacolo dal vivo: a parte i valori negativi registrati per lo sport
(-3%) o i concerti (-7,2%), gli abitanti delle regioni meridionali nel 2013
vanno di più a teatro (+8,2%) e al cinema (+9,3%) e addiritttura è boom
di partecipanti alle mostre che registrano un incremento di ingressi pari al
155,8%. La spesa dei turisti stranieri nel Meridione si attesta a poco più di 4
milioni di euro nel 2013, con un peso del 12,5% sul totale della spesa turistica internazionale in Italia, pressoché stabile rispetto al 2012.
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 247
10/06/14 13:00
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 248
04/06/14 19:29
22,1%
19,9%
24,5%
23,9%
23,4%
6,6%
8,5%
3,7%
5,1%
10,4%
14,1%
19,8%
19,9%
MEZZOGIORNO
ITALIA
13,7%
13,9%
33,6%
54,3%
63,0%
72,4%
75,4%
focus mezzogiorno: i consumi culturali nel sud italia
Sito web dedicato
Applicazioni per smartphone e
tablet
Catalogo
scientifico
Catalogo accessibile on line per i
visitatori
Servizio di biglietteria on line
Calendario on line delle iniziative
e degli eventi
Possibilità di visita virtuale tramite
internet
Newsletter per i visitatori
Collegamento
Wi-Fi gratuito
Community (forum, blog,
Facebook, Twitter)
La digitalizzazione dei musei italiani
nel Mezzogiorno e in Italia
Il patrimonio storico-artistico
del Mezzogiorno
focus mezzogiorno: il patrimonio materiale nel sud italia
Area o parco
archeologico
Monumento, complesso
monumentale o altro
25,15%
325
385
332
286
245
258
243
Persone di 6 anni e più che hanno fruito di alcuni spettacoli
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MIBACT
Nessun addetto
Un solo addetto
da 2 a 5 addetti
da 6 a 15 addetti
da 16 a 25 addetti
da 26 a 50 addetti
Più di 50 addetti
Personale addetto in musei e istituti similari
del Mezzogiorno (esclusi volontari)
Musei
23,37%
52,08%
Incidenza del patrimonio del Mezzogiorno
sul patrimonio nazionale
248 | 10° rapporto annuale federculture 2014
72,4%
75,4%
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 249
53,1
55,2
47,9
52,2
34,2
46,0
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Centro-Nord
Mezzogiorno
Italia
43,0
32,0
30,0
46,8
51,3
50,1
2013
-6,5%
-6,4%
-42,5%
-2,3%
-7,1%
-5,7%
Var. 2013/2012
Fonte: elaborazioni Federculture su dati MIBACT
Cinema
Musei e mostre
Spettacoli sportivi
Monumenti
Teatro
Concerti di musica classica
Altri concerti
17,8
25,9
22,2
24,4
20,7
18,5
16,4
13,8
14,0
16,3
47,0
43,8
Fonte: elaborazioni Federculture su dati ISTAT
6,8
9,1
MEZZOGIORNO
ITALIA
Persone di 6 anni e più che hanno fruito di alcuni spettacoli
o intrattenimenti fuori casa negli ultimi 12 mesi – 2013
Spesa delle famiglie per ricreazione e cultura nel Mezzogiorno –
Incidenza % sulla spesa totale
2012
Persone di 6 anni e più che hanno letto almeno un libro
negli ultimi 12 mesi per regione (valori percentuali)
(per 100 persone con le stesse caratteristiche)
focus mezzogiorno: i consumi culturali nel sud italia
Sito web dedicato
dati e analisi | 249
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 250
2.812
3.476
67.610
1.885
2.657
Attività concertistica
Attività sportiva
Attività di ballo e concertini
Attrazioni dello spettacolo viaggiante
Mostre ed esposizioni
536.952
10,00%
17,90%
127,87%
-22,00%
22,31%
-1,67%
0,41%
3,56%
8,37%
Var.%
20.482.960
9.018
884.489
450.679
1.717.243
2.236.907
703.917
1.750.410
12.730.297
Valore assoluto
Ingressi
0,10%
10,84%
155,88%
-36,25%
-28,20%
-31,98%
-7,23%
8,23%
9,36%
Var.%
€ 146.906.460,31
€ 128.371,00
€ 2.908.872,14
€ 4.513.676,67
€ 15.831.575,46
€ 15.602.254,24
€ 9.641.222,93
€ 28.139.213,47
€ 70.141.274,40
Valore assoluto
-5,60%
-97,19%
104,19%
173,45%
-18,97%
-39,70%
-33,29%
-4,85%
7,63%
Var.%
Spesa al botteghino
€ 248.784.511,79
€ 484.121,51
€ 5.538.354,29
€ 5.956.267,99
€ 84.518.542,82
€ 32.953.536,82
€ 11.275.359,76
€ 31.360.956,02
€ 76.697.372,58
Valore assoluto
Var.%
11,95%
-50,43%
88,65%
114,46%
30,82%
-35,12%
-26,84%
6,27%
18,13%
Spesa del pubblico
€ 310.689.985,63
€ 594.224,61
€ 5.705.610,47
€ 5.986.413,99
€ 85.473.650,57
€ 92.059.183,10
€ 11.641.739,24
€ 32.368.336,62
€ 76.860.827,03
Valore assoluto
Volume d’affari
-6,00%
-95,10%
34,26%
73,68%
0,59%
-27,57%
-40,58%
4,62%
9,07%
Var.%
focus sul mezzogiorno: il turismo
Fonte: SIAE
Numero spettacoli = riepiloga gli eventi censiti nel periodo
Ingressi = numero di biglietti rilasciati e ingressi in abbonamento
Spesa al botteghino = somme che gli spettatori destinano all’acquisto di biglietti e abbonamenti Spesa del pubblico = comprende, oltre alla spesa al botteghino, tutte le altre somme che il pubblico paga per assistere allo spettacolo: consumazioni al bar, diritti di prevendita, servizio di
guardaroba ecc.
Volume d’affari = valore complessivo degli introiti realizzati dall’organizzatore e comprende, oltre alla spesa del pubblico, le somme erogate da non partecipanti per l’allestimento dello
spettacolo (introiti per prestazioni pubblicitarie, proventi da sponsorizzazioni e riprese televisive ecc.)
Totale
452
16.835
Attività teatrale
Attività con pluralità di generi
441.225
Valore assoluto
Numero spettacoli
Attività cinematografica
Area
Le attività di spettacolo nel Mezzogiorno – I semestre 2013/2012
focus mezzogiorno: i consumi culturali nel sud italia
250 | 10° rapporto annuale federculture 2014
04/06/14 19:29
focus sul mezzogiorno: il turismo
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 251
Numero di pernottamenti nel Mezzogiorno
per motivo principale del viaggio – 2013 (migliaia)
Il turismo nel Mezzogiorno e in Italia – 2013
Fonte: UIC
Fonte: SIAE
dati e analisi | 251
04/06/14 19:29
ELENCO
ASSOCIATI
FEDERCULTURE
(2014 )
A.M.A. Calabria
Comune di Firenze
Eur
Accademia di Belle Arti
di Roma
Comune di Fontecchio (AQ)
Farm
Comune di Frascati (RM)
F.I.G
Gioc
Accademia Nazionale
d’Arte Drammatica Silvio
d’Amico (RM)
AIB – Associazione Italiana
Biblioteche
APT – Azienda di Promozione
Turistica della Provincia di Venezia
ARCHIPPE Srl Progetti e servizi
per i Beni Culturali (CH)
Art Hotel Gran Paradiso
Sorrento (NA)
Associazione 123 ART (FI)
FED
Asso
Comune di L’Aquila
Comune di Lainate (MI)
Fede
Parc
Comune di Macerata
Fond
Mes
alla
Comune di Mantova
Comune di Marciana (LI)
Comune di Milano
Fond
Bibl
Con
Comune di Monfalcone (GO)
Comune di Muravera (CA)
Comune di Noto (SR)
Fond
Onlu
Comune di Oratino (CB)
Fond
Associazione MUS.E (FI)
Comune di Padova
Fond
Associazione Teatro di Roma
Comune di Palermo
ATAM – Associazione Teatrale
Abruzzese e Molisana (AQ)
Comune di Perugia
ATER – Associazione Teatrale
Emilia Romagna (MO)
Comune di Ravello (SA)
Azienda Municipalizzata
Cultura e Spettacolo Comune
di Civitanova Marche (MC)
Comune di Roma
Fond
di A
Comune di Rosignano
Marittimo (LI)
Fond
di C
Azienda Speciale Multiservizi –
Venaria Reale (TO)
Comune di Russi (RA)
Fond
Comune di Setzu (VS)
Borghi Srl (RM)
Fond
Comune di Siena
CEMAT Federazione (RM)
Comune di Sinnai (CA)
Fond
Arti
Centro di Musica Antica Pietà
de’ Turchini (NA)
Comune di Stroncone (TR)
Centro Universitario Europeo
per i Beni Culturali – Ravello (SA)
Comune di Tortolì (OG)
Associazione Città e Siti italiani
Patrimonio Mondiale Unesco
Comitato Sistema delle
Orchestre e dei Cori giovanili
e infantili in Italia Onlus
Fond
Bres
Fond
Fest
Comune di Portoferraio (LI)
Fond
Rom
Comune di Torino
Fond
Fond
Comune di Tuili (VS)
Fond
delle
Comune di Ugento (LE)
Comune di Alghero (SS)
Comunità Montana di Valle
Trompia (BS)
Comune di Barletta (BT)
Consorzio Culturalia (RM)
Fond
Mod
“Silv
Comune di Barumini (VS)
Consorzio Marche Spettacolo
Fond
Comune di Brescia
Consorzio Sistema Bibliotecario
Castelli Romani (RM)
Fond
Comune di Brindisi
Comune di Cagliari
Comune di Calvizzano (NA)
Comune di Campiglia
Marittima (LI)
Comune di Capaccio (SA)
Consorzio Sistema Bibliotecario
Nord-Ovest (MI)
Cultura Capri - Istituzione
del Comune di Capri (NA)
Comune di Capri (NA)
Comune di Cles (TN)
DNA.italia (TO)
Comune di Como
Ente Parco Nazionale
Appennino Lucano
Comune di Faenza (RA)
Comune di Fiesole (FI)
Fond
Mul
Fond
Fond
Civic
DfA – Design for All Italia (PE)
Doccia Service Srl – Istituzione del
Comune di Sesto Fiorentino (FI)
Comune di Cosenza
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 252
Comune di Gesturi (CA)
Fond
Fond
Fond
Con
Fond
Egiz
EUPOLIS Lombardia – Istituto
Superiore per la Ricerca,
la Statistica e la Formazione
Fond
Fond
04/06/14 19:29
Eur Spa – (RM)
Fondazione Novalia (VB)
Farm Cultural Park (AG)
Fondazione Nuovo Teatro
Verdi (BR)
F.I.G.S. – Federazione Italiana
Giochi Storici (FI)
FED.A.C. – Federazione delle
Associazioni per la Cultura (BA)
Federparchi – Federazione Italiana
Parchi e Riserve Naturali (RM)
Fondazione Accademia d’Arti e
Mestieri dello Spettacolo Teatro
alla Scala (MI)
Fondazione “Casa Oriani”
Biblioteca di Storia
Contemporanea (RA)
Fondazione Alario per Elea-Velia
Onlus (SA)
Fondazione Augusto Rancilio (MI)
Fondazione Brescia Musei
Fondazione CAB – Credito Agrario
Bresciano (BS)
Fondazione Campania dei
Festival (NA)
Fondazione Cassa di Risparmio
di Asti
Fondazione Centro Sperimentale
di Cinematografia (RM)
Fondazione Dalmine (BG)
Fondazione Devlata (SP)
Fondazione Donnaregina per le
Arti Contemporanee (NA)
Fondazione Film Commission di
Roma, delle Province e del Lazio
Fondazione Federico II (PA)
Fondazione Per Leggere –
Biblioteche Sud Ovest Milano (MI)
Fondazione Piccolo Teatro
di Milano – Teatro d’Europa
Fondazione Pistoletto – Città
dell’Arte (BI)
Fondazione Romaeuropa Arte
e Cultura
Fondazione Scuola di Musica
di Fiesole Onlus
Palaexpò – Azienda speciale (RM)
Pluriservizi Camaiore Spa (LU)
Parchi Val di Cornia Spa –
Piombino (LI)
Perypezye Urbane – Associazione
Culturale (MI)
Promo P.A. Fondazione (LU)
Promoroma Azienda Speciale
CCIAA Roma
Provincia Autonoma di Trento
Fondazione Torino Musei (TO)
Provincia di Lecce
Fondazione UniVerde (RM)
Provincia di Napoli
Fondazione Valore Italia (RM)
Provincia di Roma
Fondazione Zétema – Centro
Valorizzazione Gestione Risorse
Storico-Ambientali (MT)
Provincia di Salerno
FUIS – Federazione Unitaria Italiana
Scrittori
G.E.I.E. – I Cammini d’Europa (PR)
Giffoni Film Festival
Grandi Giardini Italiani Srl (CO)
Guido Botta Pittore delle Langhe –
Associazione Culturale (AL)
IPAZIA Preveggenza
Tecnologica (RM)
IsiCult – Istituto Italiano per
l’Industria Culturale (RM)
RAVENNANTICA – Fondazione
Parco Archeologico di Classe
Regione Calabria
Regione Campania
Regione Lazio
Regione Marche
Regione Molise
Regione Puglia
Regione Toscana
Regione Veneto
Fondazione Florens (FI)
Istituto Nazionale Tostiano –
Ortona (CH)
Fondazione Forum Universale
delle Culture – Napoli 2013
Istituzione Biblioteche del
Comune di Parma
Fondazione Galleria d’Arte
Moderna e Contemporanea
“Silvio Zanella” – Gallarate (VA)
Istituzione “San Michele” – Città
di Ozieri (SS)
SCABEC Spa – Società Campana
Beni Culturali (NA)
Istituzione Sinfonica Abruzzese
Scandicci Cultura – Istituzione del
Comune di Scandicci (FI)
o
Fondazione Grosseto Cultura
ario
Fondazione La Triennale di Milano
ario
Fondazione Marche Cinema
Multimedia (AN)
del
Fondazione Palazzo Ducale
di Genova
Officine Culturali – Associazione
per la valorizzazione del Patrimonio
Culturale (CT)
Fondazione MAXXI (RM)
Fondazione Milano – Scuole
Civiche di Milano
Fondazione Molise Cultura
Fondazione Musei Civici di Venezia
Fondazione Museo di Fotografia
Contemporanea (MI)
Fondazione Museo delle Antichità
Egizie di Torino
Fondazione Musei Senesi
Fondazione Musica per Roma
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 253
Istituzione Sistema delle
Biblioteche Centri Culturali –
Comune di Roma
IULM – Libera Università di Lingue e
Comunicazione
IVAT – Institut Valdotain de
l’Artisanat de Tradition – Ente
strumentale Regione Valle d’Aosta
La Caprillina – Associazione
Culturale (LI)
Lazio Service Spa (RM)
Mostra D’Oltremare Spa (NA)
Musei di Maremma – Rete museale
della Provincia di Grosseto
Musicaimmagine – Associazione
Culturale (RM)
Roma Caput Mundi Onlus
S3.Studium Srl (RM)
Saint Louis Music Center Srl (RM)
Sesto Idee – Istituzione del Comune
di Sesto Fiorentino (FI)
Società Geografica Italiana
Onlus (RM)
Studio e Progetto 2 – Cooperativa
Sociale Onlus (OR)
Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio
(BA)
Teatro Stabile del Veneto Carlo
Goldoni
The Round Table – Progetti
di Comunicazione (MI)
Zetema Progetto Cultura Srl (RM)
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 254
04/06/14 19:29
partner federculture
per il rapporto annuale 2014
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 255
04/06/14 19:29
Federculture_2014-grafici_grandi.indd 256
04/06/14 19:29
CENTRO-PERIFERIA
1
CENTRO - PERIFERIA
Concorso Internazionale Federculture per Giovani Artisti
MOSTRA COLLETTIVA DEI FINALISTI
17 maggio / 8 giugno 2014
Museo Nazionale Romano
Terme di Diocleziano
Roma
Copertina:
particolare dell’opera di Vanessa Alessi
Sigillati i sensi incandescenti la rabbia fissa dall’alto la serenità del sogno
2012, carta, 11111 fori da ago, vetro, luce strobo,
100x66x0.7 cm _ Ed 1/7
È UN PROGETTO
PRESIDENTE
ROBERTO GROSSI
VICEPRESIDENTE
GABRIELLA BELLI
PRESIDENTE ONORARIO
MAURIZIO BARRACCO
CON IL PATROCINIO DI
CON IL SOSTEGNO DI
L’Italia vanta un patrimonio storico e culturale indiscusso, una risorsa
di inestimabile valore da preservare nel presente e per le generazioni
future. Ma questo non è più sufficiente. Per riconquistare il primato
culturale che tutto il mondo ci riconosce, dobbiamo dare priorità e valore
anche al contemporaneo, investendo maggiormente sulla produzione
artistica.
Un paese che vive solo nel passato, non è in grado di pensare il futuro.
Pertanto, per ritrovare la nostra contemporaneità abbiamo bisogno
di affidarci ai giovani, trasmettere loro i saperi e le competenze che
hanno fatto grande il nostro paese, dare loro gli strumenti per pensare in
modo critico ed interpretare il presente. Saranno le nuove generazioni a
guidarci nel nostro quotidiano, a raccontarci i cambiamenti già in atto,
ma non ancora percepibili, che solo lo sguardo indagatore dell’arte è in
grado di cogliere e trasformare in energia creativa.
Con questa prospettiva Federculture con il concorso Centro/Periferia
si impegna a far emergere le migliori espressioni artistiche giovanili,
coinvolgendo la rete dei propri associati e partner. Gli enti territoriali e le
grandi istituzioni di arte contemporanea, che partecipano al progetto, si
attivano sui territori rivelandone il potenziale creativo. La sinergia creata
da questa rete ha dato dal 2006 ad oggi l’opportunità a molti giovani
artisti di affermarsi con successo nel panorama, spesso inaccessibile,
dell’arte contemporanea.
Occorre ripartire dalle numerose esperienze che vanno in questa
direzione ed il presente catalogo illustra le realtà già esistenti, in Italia
e all’estero, che lavorano per produrre cultura, investono sui giovani,
prospettano nuovi scenari possibili. È la Cultura che vince!
Roberto Grossi
5
Centro-Periferia è un concorso rivolto ad artisti
sotto i 35 anni di età. Un Comitato Promotore
diffonde il bando su territori centrali e periferici
che promuovono l’arte contemporanea. La
prima parte di questo catalogo racconta gli
enti che compongono tale comitato e che con
Federculture hanno voluto dare la chance
concreta ai nuovi talenti di esporre a Roma alle
Terme di Diocleziano e venire a contatto diretto
con importanti centri di produzione culturale.
In particolare Creativirus, il Consolato della
Federazione Russa e Mondinsieme Intercultural
Center sono stati premiati con una menzione
speciale per la diffusione capillare del bando e
la qualità delle opere proposte. Tra le centinaia
di candidature pervenute un prestigioso
Comitato Scientifico ha individuato i finalisti che
compongono la prima mostra collettiva della
rassegna.
Il bando non pone limitazioni a linguaggi
e tematiche. Video installazioni, found
photography, collage, macchine, performance
sono, quest’anno, alcune tra le diverse tecniche
impiegate su temi comuni di ricerca. Primo
fra tutti - e ricorrente nelle passate edizioni
del concorso – le città, scenari di protesta per
Sergey Prokofiev e luoghi a cui la macchina
di Michele D’Agostino restituisce un respiro
naturale. Annalisa D’Annibale e Nicoletta
Boraso abbracciano gli sguardi opposti di chi
le vive e di chi le visita. Le periferie dimenticate
possono essere animate dalle azioni degli
artisti, come in Sergio Racanati e le architetture
abbandonate si trasformano in promesse di uno
sviluppo futuro nel lavoro di Esteban Ayala. Le
città di Mary Cinque sono tutte da ipotizzare
mentre la Karachi di Valentino Bellini e la
Torino di Francesca Cirilli e Irene Dionisio sono
documentate nelle loro trasformazioni urbane e
sociali.
Un tema nuovo emerso spontaneamente in
questa edizione è l’integrazione. Il racconto
dell’esperienza dell’immigrazione di Oumar
Mane Voumadou diventa memoria collettiva e
personale nel lavoro di Ovidiu Leuce. L’apertura
della frontiera evocata da Emmanuele Panzarini
si incontra con la bandiera mutevole di Vanessa
Alessi e, come suggerisce Enrico Boccioletti,
ogni identità sembra possibile: Marco
Bernacchia depersonalizza se stesso in un alter
ego, Claudia Shkurti propone un cambio di
prospettiva, Alexandra Kotlova, invece, invita
a mostrarsi senza trucchi anche nei momenti di
disagio.
Con i confini e le identità in perenne
transizione, la memoria torna ad essere un
punto di riferimento, seppur sotto forma di
scarti del ‘900 o di estratti da un romanzo
come in Marco Strappato e Riccardo Giacconi.
Simona Di Meo affida la memoria del
presente al ghiacciaio dell’Adamello affinché
la custodisca fino a quando non emergerà
in superficie, come desiderano fare le figure
nello studio archeologico di Theo Firmo.
L’intreccio tra passato e presente in Eleonora
Mariotti viene rielaborato in un linguaggio
personale mentre nel video di Roman Huk
crea spaesamento. Disorientati dal presente
sono pure i pescatori di Ekaterina Maximova
che scelgono di isolarsi nella religione. Il
sentimento religioso è affrontato anche da Yael
Duval che lo descrive, però, come rito collettivo
gioioso.
La sorpresa e la partecipazione dello spettatore
sono elementi tipici dell’arte contemporanea,
così Alexey Tregubov ci invita a fare centro
in un tirassegno improbabile mentre l’ironia
amara di Isotta Bellomunno arriva persino
a farci giocare con la morte. E sempre per
gioco è nata la serie di ritratti pop di Rodolfo
Schmidt.
La confluenza spontanea in direttrici comuni
testimonia la capacità delle nuove generazioni
di sentire e dar voce alle emergenze del nostro
tempo. La parte centrale di questo volume
è, pertanto, dedicata ai finalisti tra i quali
saranno individuati i quattro vincitori, due
italiani e due stranieri. Il catalogo, in linea
con gli obiettivi di Federculture, si chiude con
una breve finestra sui vincitori della passata
edizione per continuare a seguirne il percorso
di crescita e valorizzare i loro più recenti
successi.
Silvia Rossi
Geraldina Cipolla
7
COMITATO D’ONORE
Alfonso Andria
Presidente
Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello
Flavia Barca
Assessore alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica
Roma Capitale
Maurizio Braccialarghe
Assessore alla Cultura
Comune di Torino
Deborah Carè
Direttrice
Fondazione Armando Casoli
Filippo Del Corno
Assessore alla Cultura,
Comune di Milano
Francesco Giambrone
Assessore alla Cultura, Spazi Culturali, Toponomastica, Turismo
Comune di Palermo
Armando Ginesi
Console Onorario della Federazione Russa delle Marche
Silvia Godelli
Assessore al Mediterraneo, Cultura, Turismo
Regione Puglia
Tiziano Mellarini
Assessore alla Cultura, Cooperazione, Sport e Protezione Civile
Provincia Autonoma di Trento
Ricardo Neiva Tavares
Ambasciatore,
Ambasciata del Brasile a Roma
Marino Zorzato
Vicepresidente e Assessore alla Cultura
Regione Veneto
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COMITATO SCIENTIFICO
Maria Grazia Bellisario
Direttrice del Servizio architettura e arte contemporanee
MIBACT
Zhang Hongbin
Direttore Zhengmou Art Museum
Qingdao, Cina
Matteo Lafranconi
Responsabile Programmazione Attività Culturali Palaexpo’
Anna Mattirolo
Direttrice MAXXI Arte
Ivan Novelli
Responsabile Archivio “Gastone Novelli”
Michelangelo Pistoletto
Artista
Ludovico Pratesi
Curatore e Critico d’arte
Luigi Ratclif
Segretario Generale GAI – Giovani Artisti Italiani
Oliviero Toscani
Fotografo
Maurizio Vanni
Direttore LU.C.C.A. Centre of Contemporary Art
Marcello Smarrelli
Direttore Artistico Fondazione Ermanno Casoli
Andrea Viliani
Direttore Museo MADRE
Napoli
Emma Zanella
Direttrice MA*GA-Fondazione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
“Silvio Zanella”
9
COMITATO DI PRESELEZIONE
Silvia Rossi
relazioni esterne
Federculture
Geraldina Cipolla
storica dell’arte
Micol Di Veroli
curatrice e docente di fenomenologia delle arti contemporanee
Accademia La R.U.F.A.
Alessandro Scarabello
artista
Naida Samonà
storica dell’arte
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COMITATO PROMOTORE
Enti Locali
Comune di Milano
Comune di Palermo
Comune di Roma
Comune di Torino
Provincia Autonoma di Trento
Regione Puglia
Regione Veneto
Enti Internazionali
Ambasciata del Brasile a Roma
Consolato Onorario della Federazione Russa delle Marche*
Fondazione Tres Pinos, Buenos Aires
Réseau Culturel Européen De Coopération au Développement
Museo de Arte Moderno, Santo Domingo
Qingdao Zhengmou Art Museum, Cina
Istituzioni Culturali
LU.C.C.A. Centre of Contemporary Art
Centro Interculturale Mondinsieme. Intercultural Center*
Fondazione Ermanno Casoli
Farm Cultural Park, Favara
Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento
Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello
Creativirus* - Russia
* menzioni speciali assegnate dal Comitato Scientifico
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Van Gogh Alive – Visioni danzanti
COMUNE DI
MILANO
L’Ufficio Creatività Giovanile e Fabbrica
del Vapore – Direzione Centrale Sport Benessere e Qualità della Vita del Comune di
Milano realizza attività di promozione, di
documentazione e di formazione a sostegno
delle varie forme espressive giovanili, cercando di avviare uno scambio proficuo tra la
produzione artistica giovanile e il mercato.
Opera a contatto con reti nazionali e internazionali che offrono possibilità di mobilità e sostegno dei giovani artisti, quali
il network europeo Pépinières européennes
pour jeunes artistes o il progetto Movin’Up,
promosso nell’ambito dell’Associazione per
il Circuito dei Giovani Artisti Italiani – GAI,
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associazione che vede il Comune di Milano
tra i membri fondatori e tra i componenti il
Consiglio di Presidenza.
Rappresenta il Comune di Milano nell’Associazione per la Biennale dei Giovani Artisti
dell’Europa e del Mediterraneo – BJCEM,
rete internazionale che dal 1985 organizza
e promuove la più importante manifestazione interdisciplinare che coinvolge migliaia
di giovani artisti dell’area mediterranea e
che con l’appuntamento di Thessaloniki e
Roma nel corso del 2011 è giunta alla sua
quindicesima edizione.
L’Ufficio gestisce la Fabbrica del Vapore, uno
spazio aperto alla creatività dei giovani, ma
anche saldamente collegato ai poli produttivi culturali della realtà milanese.
Un laboratorio di esperienze dove è possibile sviluppare nuovi linguaggi, tecniche e
saperi nel campo del design, delle arti visive, della musica, della fotografia, dei new
media, del teatro, della danza, del cinema
e della scrittura.
La Fabbrica del Vapore, quale centro della produzione culturale giovanile del Comune di Milano, è sede di associazioni ed
imprese che realizzano attività particolarmente rivolte ai giovani. Mostre, eventi, iniziative culturali si susseguono per tutto l’arco
dell’anno.
COMUNE DI
PALERMO
Laboratori didattici alla GAM
Galleria d’Arte Moderna
La passione vince le sfide, dice un felice spot
del concept video della V edizione del Concorso Centro-Periferia 2012 che mi è rimasto
impresso nella mente. Guardare le opere di
questi giovani artisti è anche un modo per chiederci nuovamente quale sia il centro e quale la
periferia di questo nostro mondo globalizzato,
dove non esiste un unico omphalos a ricollegarci al divino. Guardare Palermo è un’opportunità di riflettere sulla soggettività dell’idea che i
palermitani stessi hanno del centro e della periferia della propria città. La sede originaria della Galleria d’arte moderna, il ridotto del Teatro
Politeama, non era certamente il centro della
Palermo che si affacciava al 900, ma quella
periferia, ammesso che tale fosse considerata,
non aveva alcuna connotazione di marginalità, dato che vi si concentravano importantissimi eventi culturali. E il centro storico della
Palermo degli anni ’80, come il centro storico
di altre città martoriate del nostro Paese, non
aveva le virtù che si addicono al cuore pulsante
di una metropoli. Un centro che ancora oggi
fatica ad essere cuore della vita economica e
demografica palermitana e una periferia che
accoglie fermento abitativo senza proiettarsi
verso il centro, così da fare credere a molti di
noi di poterne fare a meno: con questa realtà a
Palermo, ogni giorno ci confrontiamo.
Del resto la nascita, ai primi del 900, di musei
che, come il nostro, raccoglievano collezioni
d’arte moderna, periferici rispetto alla Galle-
ria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, perseguiva proprio l’obiettivo di restituire al territorio nazionale le proprie ricchezze artistiche,
invertendo la logica accentratrice delle grandi
e totalizzanti collezioni ottocentesche dei Musei Nazionali. Oggi nessun pensiero scientifico può legittimare l’idea che la Terra sia al
centro dell’Universo, che l’Europa sia il perno
del globo, che l’uomo si possa identificare con
il punto di vista di una prospettiva rinascimentale: eppure debellare, nel sistema economico,
sociale e politico, questi falsi assunti è una
sfida, che solo giovani appassionati possono
vincere, con gli strumenti pacifici della cultura
e dell’arte. Per questo guardo con enorme fiducia agli artisti di cui questo catalogo ci mostra le personalissime sfide, perché nella loro
passione vedo la costruzione di un futuro da
guardare senza prospettive centralizzanti e
ingannevoli, punteggiato da tanti centri, delimitati da confini liquidi, fertili e permeabili.
- Antonella Purpura, Direttrice Galleria d’Arte
Moderna, Palermo
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Sopra e a sinistra:
Immagini delle mostre su Pier Paolo Pasolini
e Frida Kahlo al Palaexpò
Sotto: la Pelanda
COMUNE DI
ROMA
L’edizione 2013-2014 di “Centro-Periferia” è un appuntamento di riferimento per
i giovani artisti e rappresenta una grande
occasione per la valorizzazione dei talenti
sul territorio.
Scorrendo i nomi, le storie e i percorsi culturali dei finalisti, di questa come della precedente edizione, si coglie perfettamente il
significato di universalità trasversale dell’arte contemporanea, la voglia di rompere le
barriere e le frontiere, la capacità di intercettare bisogni e aspettative e di mettersi continuamente in gioco, confrontandosi con “l’altro” artistico e creativo. Una sfida continua e
un’attenzione straordinaria alla realtà che ci
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circonda per costruire quel profondo legame
che fa dell’arte uno dei principali strumenti
di coesione sociale.
Il Concorso, promosso da Federculture, va
nella direzione giusta, quella di costruire
una rete virtuosa tra pubblico e privato:
tante le amministrazione che partecipano
a questa iniziativa, non solo italiane e già
questo fa comprendere come il linguaggio
della cultura e dell’arte è planetario, unisce
le intelligenze e fa condividere le passioni.
Perché una cosa è certa: l’entusiasmo dei
questi giovani artisti merita, di per sé, un premio speciale, per l’ottimismo che riescono a
trasmetterci.
Il successo di pubblico di questo concorso lo
testimonia e quest’anno più che mai ne abbiamo bisogno: per affrontare le sfide del presente la migliore risposta, positiva, è quella
della creatività, della fantasia, della visione.
Ed è molto importante che sia proprio la città
di Roma ad ospitare, nei suoi luoghi così pieni di storia e di passato, questo vero e proprio festival della contemporaneità. Si crea
così un flusso fuori dal tempo, che unisce
passato e presente.
E fa diventare Roma sempre di più una capitale europea, al passo con le più innovative
tendenze della sperimentazione artistica: è il
miglior modo per far rivivere le “pietre”, che
sono le fondamenta della nostra tradizione
culturale. C’è, poi, un ultimo ma fondamen-
tale aspetto: quello della competizione, del
merito. Un concorso di idee e di progetti è
sempre una bella notizia.
Stimola la fiducia e spinge a mettersi in gioco, a proporre strade nuove, a confrontarsi
con le proprie esperienze passate con un
punto di vista diverso: in poche parole a trovare la propria strada di artista, a seguire
la vocazione alla creatività che deve essere
l’unico punto di riferimento di un talento.
Nostro, insieme a tutti gli altri attori di questa filiera culturale, il compito di scoprirlo e
valorizzarlo nel modo migliore. - Flavia Barca, Assessore alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica, Roma Capitale
Festa della Musica Torino 2012
Piazza Palazzo di Città
COMUNE DI
TORINO
Negli ultimi anni, Torino e il Piemonte sono considerati a livello nazionale e internazionale luoghi
strategici per le arti contemporanee. La città ha
conquistato questo ruolo di primo piano per l’impegno di numerose strutture pubbliche e private
in questi settori, ma anche grazie a progetti gestiti
direttamente dall’Ente e destinati al sostegno dei
giovani talenti. Ciò avviene soprattutto offrendo
opportunità a chi opera con obiettivi professionali nei diversi ambiti artistici attraverso iniziative
di formazione, documentazione, promozione
e ricerca. Il Servizio Arti Contemporanee della
Direzione Cultura della Città, tramite l’Ufficio Creatività e Innovazione, finalizza la propria attività
alla realizzazione di un piano di lavoro destinato
ad azioni culturali per far emergere situazioni di
qualità. Numerosi gli strumenti messi in campo
con modalità di intervento che possono essere
genericamente riassunte nell’informazione e consulenza ai giovani creativi; nella creazione e gestione di una banca dati digitalizzata degli artisti
e delle componenti dell’indotto culturale (Piemonte
Creativo www.piemontecreativo.it); nella realizzazione di seminari e workshop finalizzati allo
sviluppo delle capacità artistiche, tecniche con
una speciale attenzione alle nuove professioni;
nel sostegno alle produzioni e alla mobilità degli artisti nell’attività di promozione quali mostre,
concerti, performance, ecc. e nella comunicazione mirata. La Città di Torino è alla Presidenza
della Rete GAI – Associazione Circuito Giovani
Artisti Italiani, gestendone la Segreteria nazionale
ed è socio fondatore della BJCEM – Associazione Internazionale Biennale dei Giovani Artisti
dell’Europa e del Mediterraneo oltre a partecipare attivamente a numerosi altri network nazionali
e internazionali. Tutto ciò nella convinzione che
fare sistema vuol dire mettere in relazione idee,
progetti, persone, comunità, istituzioni, ma anche
territori, esperienze, professionalità, buone pratiche, capacità, specifiche vocazioni. Una serie di
attività, dunque, che hanno l’obiettivo di porre al
centro la ricerca artistica riconoscendo ai linguaggi contemporanei l’importante ruolo di essere
espressione del nostro tempo: il codice di lettura
della nostre ambizioni di luogo del presente e
scelta strategica per guardare al futuro.
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PROVINCIA
AUTONOMA
DI TRENTO
Le Linee Guida provinciali per le politiche culturali
sottolineano come “investire nella creatività equivale a investire nella ricerca e nella sperimentazione, nell’utilizzo di nuovi linguaggi e tecnologie,
nell’acquisizione di nuove e più articolate competenze”. Alle parole, però, debbono corrispondere
i fatti, e i fatti non mancheranno nemmeno per il
2014. Il Museo delle Scienze di Trento, MUSE,
dedica ai giovani numerosi progetti: Fuori Orario,
Nature and Food, FameLab, Incroci di Pagine e format più strettamente legati alle attività della ricerca come Ask the Scientist, Open Lab, MUSE Live
e FabLab, laboratorio di fabbricazione digitale.
Anche il MART, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, punta con forza sul
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coinvolgimento di giovani artisti. Nella sede della
rinnovata Galleria Civica il progetto architettonico
e la curatela della mostra di fine 2014 sono stati affidati a under 35, rispettivamente a Stefano Grigoletto/Atelier 0 e al collettivo Afterimage (Chiara
Nuzzi, Valeria Mancinelli e Stefania Rispoli), mentre nell’ambito della grande mostra “La magnifica
ossessione” presso la sede del museo, sono state
inserite opere di giovani artisti (Christian Fogarolli,
Michele Spanghero e Agnes Raceviciute).
Nel settore dello spettacolo dal vivo, il Centro
Servizi Culturali S. Chiara coinvolge i giovani mediante le rassegne “Scappo a Teatro” e “Scappo
a Danza”, affiancate da stage di approfondimento. Interessano soprattutto agli studenti gli incontri
“Foyer della Prosa”, organizzati con l’Università e
il progetto di formazione lirica “Opera Domani”.
Nel settore della musica giovane, ricordiamo il
concorso “CMA – Centro Musica Awards” e le
rassegne “I martedì della Band” e “Teatrock”.
Torna anche nel 2014 Euregio-Uploadsounds, un
progetto che utilizza la musica come veicolo per
favorire lo scambio tra giovani di diversi gruppi
linguistici dell’Euroregione Trentino, Alto-Adige,
Tirolo. Per le celebrazioni del Centenario della Grande Guerra, la Provincia ha affrontato il
tema del recupero e della valorizzazione del
patrimonio storico della prima guerra mondiale.
Qualificanti a tal proposito sono le iniziative di
formazione dirette alle scuole al fine di educare
ad una cittadinanza responsabile e tollerante e
ai valori della pace e della convivenza europea.
Foto grande
MUSE – Museo delle Scienze di Trento
Foto: Hufton & Crow
www.muse.it
Sopra:
Mostra “I Trentini e la Grande Guerra”
Fondazione Museo storico del Trentino - Trento
Foto: P. Cattani Faggion
www.museostorico.it
REGIONE
PUGLIA
INTRAMOENIA EXTRA ART
Ed. 2010 “Miraggi”
Foto sopra:
Volver sin Volver
Guillermina De Gennaro
Forte a Mare di Brindisi
installazione ambientale galleggiante
dimensioni variabili
sound ambient by Giovanni Sollima
Foto a destra:
Dark matter, 2012
NIO architecten
Castello di Barletta (sotterranei)
scultura in poliestere verniciata nera
cm. 1700 x 180
Arte contemporanea alla ricerca della contaminazione e di nuovi linguaggi. Queste le caratteristiche
salienti della esperienza pugliese, una esperienza
che la Regione Puglia conduce da oltre nove
anni e che ha permesso ad artisti pugliesi così come
a grandi artisti internazionali, a giovani talenti così
come a collaudati e famosi maestri, e con essi a
curatori, critici, esperti, di misurarsi con le potenzialità di un territorio che pare fatto apposta per
incamminarsi su inedite chine. La nostra principale
progettazione, Intramoenia ExtrArt, condotta dalla associazione pugliese Eclettica, si è sviluppata
innestando su una idea di museo diffuso la ricerca artistica ed espressiva di artisti contemporanei
giovani e di grandi nomi internazionali nei fascinosi castelli di Puglia e nei palazzi storici. Giunto lo
scorso anno anche nel cuore d’Europa attraverso il
sostegno del programma Cultura della Commissione Europea, lo stesso gruppo di curatori coltiva in
queste settimane l’idea di grande basilica dell’arte
attraverso una mostra di “Santi fuori dagli schemi”
reinterpretata da Paolo Consorti nel già teatro Margherita di Bari, un suggestivo luogo incompiutamente ristrutturato che dal lungomare di Bari guarda al futuro. E poi, le importanti esperienze di un
grande evento dedicato al fuoco, la Focara di Novoli, che in pieno inverno, in cima a una gigantesca
pira conica dedicata a un Sant’Antonio Abate della
tradizione popolare, brucia installazioni di Mimmo
Palladino o di Hidetoshi Nagasawa, per citare solo
due delle ultime edizioni, e lancia attraverso il riflesso arcaico del fuoco messaggi che intrecciano
alla contemporaneità dell’arte le più antiche memorie dei contadini pugliesi. E infine, oltre a Torrione
Passeri di Molfetta con le sue mostre annuali, e a
tante altre esperienze diffuse sul territorio, la ormai
consolidata storia del Museo Pino Pascali di Polignano che, con il suo Premio annuale e la bellezza
di un bianco luogo affacciato sul fiabesco mare
di Polignano, sviluppa uno sguardo che si spinge
più in là, travalicando il mare, e contaminando la
propria storia e la propria esperienza con quella
dei giovani artisti dei Paesi dei Balcani, col Museo
di Tirana, con altre cooperazioni che si irradiano,
coraggiose e originali, dal cuore dell’Adriatico verso gli orizzonti internazionali dell’arte contemporanea. -Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo,
Cultura, Turismo, Regione Puglia
17
REGIONE
VENETO
A partire dal 2003, anno in cui la VII Conferenza Regionale dei Musei del Veneto venne
dedicata al tema “Novecento ed oltre. L’Italia
dei musei e la produzione artistica contemporanea”, la Regione del Veneto ha riservato una particolare attenzione alla promozione
della conoscenza delle espressioni dell’arte
contemporanea in relazione ai luoghi di cultura maggiormente frequentati dal grande
pubblico.
Accanto al tradizionale sostegno alle principali istituzioni del Veneto che producono e
ospitano esposizioni contemporanee ma che
operano prevalentemente a Venezia – quali
la Biennale, la Fondazione Querini Stampa-
18
lia e la Fondazione Bevilacqua La Masa – la
Regione ha inteso interagire con il territorio
proponendo interventi specifici in realtà periferiche rispetto ai grandi centri urbani.
In quest’ottica, la Regione è stata partner istituzionale di progetti che, grazie a installazioni site specific di giovani artisti, hanno
consentito di far scoprire con occhi diversi il
centro storico di Castelfranco Veneto (TV) con
“Castelfranco Veneto, città d’arte. Contemporanea”, la periferia di Mestre con il “Parco del
Contemporaneo – Forte Marghera” e spazi
dismessi un tempo occupati da aziende locali
del bellunese con “Dolomiti Contemporanee”.
Anche per il 2013 la Regione del Veneto ha
sostenuto iniziative con l’obiettivo di raggiungere un pubblico ampio offrendo una visione
relazionale dei fatti artistici.
Presentando sotto una prospettiva diversa
una pietra miliare della storia dell’arte quale
il pittore Jacopo Robusti detto il Tintoretto è
stato, pertanto, avviato il progetto “San Rocco
contemporaneo”, ideato da Germano Célant
e Stefano Cecchetto e promosso dalla Scuola
Grande Arciconfraternita di San Rocco, che,
a partire da Emilio Vedova, mette in relazione
con il grande manierista autori del Novecento
e contemporanei.
In un luogo di particolare fascino ambientale
quanto poco conosciuto e poco battuto dalle
rotte turistiche, quale il Museo del Paesaggio
di Torre di Mosto (VE), la Regione ha con-
Venezia, Scuola Grande di San Rocco,
“S. Rocco contemporaneo”, E. Vedova, “Oltre”, 1985
tribuito a realizzare la mostra “Tabula Rasa.
Metamorfosi per una Rinascita” con la quale
gli spazi, sia naturali sia urbani, sono stati visti come luoghi che si ri-formano dalla propria
dissoluzione grazie anche al ruolo dell’artista, sempre meno marginale in quanto interviene quale artefice di una modifica strutturale
e concettuale che rilancia il pensiero e l’azione come unica via d’uscita dalla decadenza
civile e morale dell’uomo.
Con questa iniziativa sono stati messi in dialogo, comprendendo tutti i linguaggi espressivi,
autori celebri del Novecento quali Mario Schifano, Luigi Fontana, Giulio Turcato e altri, con
artisti contemporanei.
AMBASCIATA
DEL BRASILE
A ROMA
Palazzo Pamphilj
e mostra nella Galleria Portinari
Il Palazzo Pamphilj, situato su Piazza
Navona, è oggi una delle più belle ambasciate brasiliane all’estero e una delle
più importanti rappresentanze straniere
a Roma. È da questo splendido edificio
che viene promossa la cultura brasiliana
in Italia. Sono state realizzate importanti
mostre di arte contemporanea brasiliana,
con artisti come Vik Muniz, i fratelli Campana ed Ernesto Neto. La mostra personale
di quest’ultimo, intitolata “Olhando o céu”
(Guardando il cielo) si è tenuta nel 2013
ed è stata visitata da più di 5000 persone
nella prestigiosa Galleria Cortona.
Recentemente, la scrittrice Ana Maria
Machado ha lanciato la traduzione in
italiano del suo libro “Infamia” proprio
all’Ambasciata del Brasile a Roma e il professor Domenico De Masi vi ha presentato l’edizione italiana del suo ultimo libro
“Mappa Mundi”, in cui un capitolo è dedicato al Brasile. Attualmente, la Galleria
Portinari è aperta con una mostra del celebre fotografo italiano Massimo Listri con
le fotografie degli interni di chiese, musei e
palazzi di quattro città brasiliane.
Il Palazzo Pamphilj è aperto a visite guidate in portoghese e in italiano due volte a
settimana. L’Ambasciata partecipa anche
a diverse iniziative che consentono l’accesso del pubblico al suo interno. La prossima
si svolgerà il 10 maggio, durante la set-
timana “ Open House Roma”, che prevede che gli edifici più importanti della città
aprano le porte al pubblico gratuitamente.
Inoltre, Palazzo Pamphili partecipa per la
prima volta alla “Notte dei Musei” e alla
manifestazione “Cortili Aperti”, rimanendo
aperto al pubblico, rispettivamente, il 17 e
il 24 maggio.
Il Palazzo è sede anche del Centro Cultural Brasil-Itália (CCBI), che ospita ogni
semestre, circa 300 studenti nel corso di
portoghese. Il Centro promuove inoltre
lezioni di samba e nel suo auditorium vengono proiettati film brasiliani ogni settimana, con ingresso libero. Oltre al CCBI, il
Palazzo ha una biblioteca accessibile al
pubblico.
Le attività culturali dell’Ambasciata del Brasile, tuttavia, non si limitano ai confini del
Palazzo Pamphilj. Nel settembre 2013, ad
esempio, si è tenuto presso l’Auditorium
Parco della Musica, il “Festival Brasil!”,
otto giorni di concerti, spettacoli per bambini, presentazioni di capoeira, mostre di
fotografia e filmati, in cui il pubblico italiano ha potuto apprezzare da vicino la cultura brasiliana.
Nel mese di maggio, il programma prevede la “Brazilian Food Week” che si terrà
nei locali dell’Hotel Radisson Blu di Roma
per portare in Italia i sapori del Brasile secondo il famoso chef Paulo Machado.
19
A sinistra: Inaugurazione della scultura “Il clown”,
omaggio a Umberto Boccioni, marzo 2014 a
Morciano di Romagna. Da sinistra nella foto:
l’Ambasciatore Russo presso la Santa Sede Alexandr
Avdeev; l’autore dell’opera Zurab Tsereteli; Il Console
Armando Ginesi; il Sindaco di Morciano Claudio
Battazza.
Sotto: Curia Generalizia dell’Ordine dei Francescani
Minori. Firma degli accordi per il ripristino della
Chiesa Nuova di Assisi con fondi privati russi. A
partire dal quarto da sinistra: il Sindaco di Assisi
Claudio Ricci; il Console Ginesi; l’Ambasciatore Russo
in Italia Sergey Razov; il Padre Generale dell’Ordine
Frati Minori Michael Perry; lo sponsor russo Sergey
Matvienko.
CONSOLATO
ONORARIO DELLA
FEDERAZIONE RUSSA
DELLE MARCHE
Il Consolato Onorario della Federazione
Russa di Ancona è stato istituito nel 2006. Ha
come circoscrizione Le Marche ma si occupa anche, in casi specifici, della Romagna, dell’Umbria
e dell’Abruzzo. Il suo primo compito è di tutelare
ed assistere tutti i cittadini russi residenti o in
transito. Rappresenta lo Stato e il Governo russo
nel territorio e quindi mantiene costanti rapporti
con le istituzioni locali e promuove e sviluppa le
relazioni tra il territorio e la Russia sotto il profilo
economico-commerciale, culturale e turistico. La
cultura costituisce un punto fermo nell’attività del
Consolato di Ancona, sono numerose le iniziative
promosse, molte delle quali in collaborazione con
istituzioni di studio quali ad esempio, Università,
20
Licei, Conservatori musicali ed Accademie di
Belle Arti. L’obbiettivo è di fare sì che la cultura
italiana e quella russa – molto simili e con punti
di tangenza incredibilmente frequenti negli ambiti
musicale, letterario, poetico, teatrale, artistico-visivo, cinematografico – si rafforzino sempre di
più. “Conoscersi” è la parola d’ordine che il Consolato si è dato nei reciproci rapporti tra Russia ed
il territorio italiano in cui opera. Molta attenzione
viene anche riservata alle relazioni di natura spirituale ed il Consolato si distingue per varie iniziative atte a favorire il dialogo tra le due visioni
del Cristianesimo, rappresentate dalla Chiesa
Ortodossa Russa e da quella Cattolica. In particolare questa relazione viene esercitata nei centri
cattolici di Loreto, dove è ospitata la Santa Casa
di Nazareth, e di Assisi, città di San Francesco e
di Santa Chiara ed in quello ortodosso di Istra,
dove ha sede il complesso monastico “La Nuova
Gerusalemme”. Nella città umbra, grazie all’interessamento personale del Console Armando Ginesi e alla munificenza di Sergey Matvienko, uomo
d’affari russo, si stanno recuperando gli affreschi
interni della Chiesa Nuova, fatta edificare nel XVII
secolo dal re di Spagna Filippo III, sui resti della
casa paterna del “Santo Poverello”. Gli affreschi,
che risalgono agli inizi del 1600, furono ricoperti
nel 1925 per decisione dell’amministrazione comunale del tempo. Recentemente, in ambito artistico-visivo, è da segnalare l’installazione avvenuta
a Morciano di Romagna, città natale del futurista
Umberto Boccioni, di una scultura bronzea alta 4
metri, intitolata “Il Clown”, del noto artista georgiano Zurab Tsereteli, Presidente dell’Accademia
dell’Arte Russa, che l’ha donata, su proposta
del Consolato Russo di Ancona, proprio come
omaggio a Boccioni. Scultura che si affianca ad
altre due installate in città: una copia bronzea di
“Sviluppo di una bottiglia nello spazio”, tratta
dall’originale in gesso dello stesso Boccioni, eseguito nel 1913, e a “Colpo d’Ala” di Arnaldo Pomodoro, anche lui nato a Morciano di Romagna
nel 1926. Stretta è, infine, la collaborazione che
il Consolato della Federazione Russa di Ancona
intrattiene con Federculture ed in particolare con
le edizioni di “Centro Periferia, Concorso Internazionale per giovani artisti”.
Rendering nuova sede Fondazione Tres Pinos
CIAC – Centro Internazionale Arte Contemporanea
FONDAZIONE
TRES PINOS
Fondazione Tres Pinos, attiva da vari anni,
ha sede a Buenos Aires, è stata istituita dai
suoi fondatori con l’idea di promuovere lo sviluppo sociale ed educativo in particolare nelle
scuole, attraverso lo sviluppo di numerose iniziative di sostegno a varie discipline culturali tra
cui il teatro, la letteratura, attraverso la rivista
Crepuscolo e un Premio annuale internazionale e l’arte contemporanea.
In particolare nel campo dell’arte contemporanea la Fondazione Tres Pinos promuove eventi,
particolarmente legati alla produzione creativa
emergente, sia con artisti locali che con artisti
provenienti da vari paesi.
Oltre a promuovere molteplici mostre a tema,
accompagnate da un’attiva produzione editoriale, la Fondazione, ogni anno pubblica un
bando internazionale per due borse di studio,
della durata di quattro mesi e aperto agli artisti
sotto i 35 anni.
Le Borse di studio offrono la possibilità di una
residenza nella città di Buenos Aires, culturalmente una delle più vive del Sud America, e
permettono ai giovani selezionati di nutrirsi di
un intercambio importante con il mondo della
creatività locale e sviluppare nuovi esiti artistici.
La Fondazione inoltre porta avanti iniziative in
collaborazione o in co-produzione con molteplici istituzioni pubbliche e private dell’Argentina
e Istituzioni Internazionali, per la produzione
di progetti espositivi di alto livello culturale e
per una maggiore diffusione della cultura. Tra
le varie iniziative si segnala la mostra “Il giardino delle Meraviglie” di Juan Miro’ e “l’Arte
Cinetica italiana anni 50-70”.
A fine 2014 la Fondazione Tres Pinos avrà a
disposizione, non appena saranno finiti i lavori
di ristrutturazione, per le sue molteplici attività
culturali la sede del CIAC – Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea, uno spazio di
oltre 1000 mq, nel singolare quartiere della
Boca e in quello che sarà il Distretto dell’arte
della città di Buenos Aires.
21
Immagini tratte dal profilo Facebook
del Réseau Culturel Européen
de Coopération au Developpement
RÉSEAU CULTUREL
EUROPÉEN
DE COOPÉRATION
AU DÉVELOPPEMENT
Il Réseau
Culturel
Européen
de
Coopération au Développement è una
organizzazione non governativa francese.
E ‘riconosciuta come ONG internazionale e
intrattiene relazioni ufficiali con l’UNESCO.
E’ accreditata dal Comitato intergovernativo
per la salvaguardia del patrimonio culturale
immateriale. Il Réseau Culturel Européen de
Coopération au Développement è un’associazione di interesse generale.
Nasce dalla messa in comune delle competenze della Camera di Belle Arti del Mediterraneo
(associazione francese di solidarietà internazionale), di Culturepolis (associazione greca) e
Artkod (associazione turca). Le tre strutture han-
22
no voluto lavorare in sinergia per dare maggiore impatto alla azione congiunta. Il lavoro
del Réseau mira a rafforzare la dimensione
culturale dello sviluppo, preservare la diversità
culturale e migliorare l’interazione creativa tra
artisti e artigiani.
Si impegna per l’istituzione di una regolamentazione favorevole al riconoscimento dello status di artisti e artigiani e l’adozione di politiche
culturali per lo sviluppo. I progetti sono sempre
svolti in stretta collaborazione con una rete di
partner locali che rappresentano le istituzioni
e la società civile, che conoscono l’ambiente
socio-culturale dei paesi e delle regioni in cui
opera.
Per promuovere l’arte e l’artigianato e per
sostenere le imprese creative, sono svolte una
serie di attività: laboratori di discussione e di
scambio culturale tra gli operatori, istituzioni
e rappresentanti della società civile; corsi di
formazione che permettono agli artigiani di
stimolare la loro creatività, migliorare la qualità dei loro prodotti e il loro impatto socio-economico; mostre che mettono in risalto le arti e
i mestieri creativi; azioni di sensibilizzazione
per aumentare la consapevolezza del valore
del patrimonio d’arte e di artigianato, condotte con l’opinione pubblica nei paesi partner; strumenti didattici per sostenere le azioni
rivolte al pubblico.
Immagini del Museo de Arte Moderno
di Santo Domingo e sue esposizioni
MUSEO
DE ARTE MODERNO,
SANTO DOMINGO
Il Museo de Arte Moderno di Santo Domingo, progettato e costruito dall’architetto
dominicano Jose Minino, è stato inaugurato il
15 dicembre 1976 come Galleria d’Arte Moderna, nel complesso della Plaza de la Cultura
Juan Pablo Duarte, spazio urbano di giardini
e palazzi che costituiscono un insieme eccezionale nella zona dei Caraibi poiché costruiti
esclusivamente per fini culturali. Nel 1992, a
seguito della conclusione del V Centenario della
Scoperta dell’America, durante l’amministrazione del presidente Joaquin Balaguer, ha cambiato il suo nome in Museo di Arte Moderna,
tenendo conto dell’importanza e somiglianza
del lavoro svolto dalle altre istituzioni museali in-
ternazionali, ottenendo una collezione di rilievo.
Nel 2000 sotto il governo del presidente Leonel
Fernandez con la creazione del Ministero della
Cultura il Museo ne entrò a far parte. È stato
diretto da Antonio Fernández Spencer (1976),
Rosa Meléndez (1978), Porfirio Herrera Franco
(1986), Alberto Bassi (1996) e Sara Hermman
Zsabo (2000). Attualmente è Maria Elena Ditrén l’effettivo direttore (2010). Il Museo de Arte
Moderno di Santo Domingo è la principale istituzione dello Stato Dominicano ed è dedicato
alla conservazione, valorizzazione e divulgazione dell’arte moderna e contemporanea dominicana, nazionale e internazionale. Fin dalla
sua creazione ha avuto alcune delle opere più
importanti dei precursori dell’arte dominicana,
dall’indipendenza nazionale nel 1844 all’arte
contemporanea. Oggi possiede la proprietà
pubblica delle grandi arti visive del paese, e
copre più di un secolo di scultura, pittura, disegno, incisione e fotografia. I suoi obiettivi sono
la salvaguardia e la diffusione del patrimonio
artistico, prestando particolare attenzione alla
riconcettualizzazione museologica e museografica della collezione permanente del museo, al
fine di ottenere una migliore lettura delle opere.
Il Museo organizza progetti interistituzionali che
garantiscono la qualità delle mostre ed eventi
culturali, aumentando la probabilità di sviluppo
umano e culturale della società dominicana.
23
QINGDAO
ZHENGMOU
ART MUSEUM,
CINA
24
Fondato nel 1965, il Museo d’Arte di Qingdao è un museo locale integrato di storia e
arte. Ha una collezione articolata in oltre 30
categorie e costituita da 160.000 opere, tra
le quali calligrafie e dipinti, ceramiche, porcellane, articoli di giada e monete antiche. Molti
tra questi sono rari tesori mondiali.
Attualmente, ospita una mostra permanente su
“La storia di Qingdao” e cinque mostre speciali su monete antiche, arti in porcellana delle
dinastie Ming e Qing, xilografie di Capodanno, arti e mestieri antichi, calligrafie e dipinti.
Queste esposizioni hanno lo scopo di mostrare
la storia di Qingdao e la vasta collezione di
opere del museo. Inoltre, ci sono mostre tempo-
ranee di opere d’arte moderna e contemporanea anche estera.
Il Museo di Qingdao è diventato un importante
centro culturale della città, una finestra sulla
cultura cinese e la storia di Qingdao, un ponte
che collega le culture cinese e straniere.
Veduta esterna
del Qingdao Zhengmou Art Museum
e, sotto, sale espositive
LU.C.C.A. CENTRE
OF CONTEMPORARY
ART
Allestito all’interno di Palazzo Boccella, nel
centro storico di Lucca, il Museo di Arte
Contemporanea Lu.C.C.A. - Lucca
Center of Contemporary Art (www.
luccamuseum.com) rappresenta un progetto
museologico innovativo, una struttura polivalente dall’appeal internazionale sviluppata su
cinque piani che è allo stesso tempo contenitore di opere d’arte, spazio educativo, ma anche il posto ideale dove fermarsi a leggere un
libro, fissare un meeting di lavoro o concedersi un lunch o una cena immersi nell’atmosfera
delle opere d’arte.
Un museo pensato per le persone e con le
persone, in cui il coinvolgimento emotivo, il
divertimento e la socializzazione sono tanto
importanti quanto il progetto artistico, basato
su un piano di marketing emozionale ed esperienziale concepito per tutti i target di pubblico, per avere una visibilità internazionale
e per trovare un legame continuativo con il
territorio.
Ogni anno vengono realizzate quattro grandi
mostre legate all’arte moderna e contemporanea. Dall’apertura, nel maggio 2009 a oggi,
si sono susseguite numerose esposizioni di rilevante importanza, dalla Collezione Peggy
Guggenheim a Jean Dubuffet, dalla Minimal
Art della Collezione Panza di Biumo a Man
Ray, fino a quelle più recenti dedicate ad Antonio Ligabue e Henri Cartier-Bresson.
Per il 2014 il calendario di mostre cerca un
incontro-confronto tra l’arte del passato e le
proposte visive più contemporanee: “Inquieto
Novecento. Vedova, Vasarely, Christo, Cattelan, Hirst e la genesi del terzo millennio”,
“Robert Capa. Retrospective” in collaborazione con Magnum Photos di Parigi, e “I Macchiaioli. Fattori, Signorini, Lega e i capolavori
della Collezione Mario Taragoni”.
Il museo è anche dotato di spazi espositivi
per mostre collaterali, eventi site-specific,
performance, installazioni, e produce o ospita rassegne di videoarte. Il Lu.C.C.A. porta
avanti progetti in collaborazione o in co-produzione con altre istituzioni locali ed è attivo
sia a livello nazionale che internazionale.
Una delle sale espositive del Lu.C.C.A. Centre
of Contemporary Art e ingresso principale
Viene animato da numerose attività culturali
interdisciplinari durante tutto l’anno, alternando workshop a presentazioni di libri, concerti
di musica, performance teatrali, cene a tema,
conferenze, talk show. La sezione didattica,
curata da Artebambini, ente pedagogico riconosciuto dal Miur, è l’area che si pone come
luogo di sperimentazione e scoperta per bimbi e ragazzi.
Non ultimo il ristorante gourmet “L’Imbuto”,
dello chef internazionale Cristiano Tomei,
concepito all’interno di alcune sale espositive,
che stupisce i visitatori con sollecitazioni enogastronomiche, ispirate anche alle mostre in
corso.
25
CENTRO
INTERCULTURALE
MONDINSIEME
INTERCULTURAL
CENTER
Il Centro Interculturale Mondinsieme nasce a Reggio Emilia, città scelta dal Consiglio
d’Europa per il Programma Intercultural Cities,
viste le sue politiche interculturali e la presenza
di immigrati che sfiora il 18% della popolazione.
Promuove il confronto e la partecipazione di ogni
persona in un percorso di inclusione reciproca:
la conoscenza e il contatto incoraggiano una cittadinanza interculturale e prevengono emarginazione culturale e la formazione di radicalismi
identitari. Una grande sfida è quella rappresentata dalla nuova generazione interculturale. Mondinsieme coinvolge giovani di origine sia italiana
sia straniera nelle sue attività, perché ritiene che
la diversità culturale sia insita in ogni essere uma-
26
no e per scongiurare la sindrome delle banlieue
come unica espressione di chi si sente escluso.
È una risorsa per favorire l’ingresso di giovani
creativi italiani di origine straniera nella rete della
produzione artistica e una visione dell’arte che
non cada nella retorica dell’intercultura.
Collaboriamo con i Musei Civici di Reggio Emilia: abbiamo contribuito all’esposizione “Gli oggetti ci parlano” curata da Italo Rota e dato vita
alle mostre “L’Africa delle Donne” e “Messaggi di
tes(su)to: intercultural textures”, nate da giovani e
adulti delle associazioni di Burkina Faso, Costa
d’Avorio, Egitto, Eritrea, Marocco, Senegal.
Nel 2012 abbiamo lavorato con JR per il progetto
Inside/Out, dove fotografia e street-art sono unite
per la campagna sulla riforma dei diritti di cittadinanza “L’Italia sono anch’io”. Con il supporto
di European Cultural Foundation e Arts Council
England, insieme a Motiroti e Oslo Museum nel
2013 abbiamo realizzato la app MultiWalks
per smartphone iOS e Android, dove si possono percorrere tour urbani creati da artisti nelle
città europee, tra cui Londra e Oslo. Il concorso
Centro/Periferia è un nodo importante di questa
rete, un’occasione di coinvolgimento che mostra
quanto il mondo sia già in Italia, a partire dalle
origini e dalle esperienze di chi vive un paese da
sempre al centro, nella storia umana, di viaggi
e passaggi che rimandano sempre a un altrove.
L’arte è veicolo straordinario per raccontare la
contaminazione tra linguaggi, storie e culture:
il Centro diventa così spazio per la produzione
artistica, dove si punta a creare sistemi di relazioni e opportunità. Per i giovani creativi, è importante ricercare i tratti costitutivi dell’identità di chi
ha radici straniere, per misurarsi con orizzonti
nuovi fatti di dinamicità e vitalità, senza enfasi
sulla cultura di appartenenza o su una presunta
etnia. L’arte non ha confini, ma schemi e scelte
compositive che aiutano a superarli laddove essi
persistono ancora.
In alto: L’installazione per “Inside/Out-L’Italia sono
anch’io” ai Musei Civici, prima della ristrutturazione.
Sopra: Momenti della mostra “L’Africa delle donne”,
con l’associazione del Burkina Faso.
DA COMPLETARE
FONDAZIONE
ERMANNO CASOLI
La Fondazione Ermanno Casoli nasce
nel 2007 a Fabriano (AN), in memoria del
fondatore dell’azienda Elica. La Fondazione
è da sempre impegnata nell’ideazione e promozione di progetti grazie ai quali l’arte contemporanea incontra il mondo dell’impresa.
Gli artisti contemporanei entrano direttamente
nel cuore delle aziende, dialogando coi dipendenti nel contesto di workshop e laboratori che
stimolano creatività, innovazione, spostamento
dei punti di vista, contribuendo a migliorare gli
ambienti di lavoro. Attualmente la Fondazione
è diretta da Deborah Carè, con la direzione
artistica di Marcello Smarrelli e l’assistenza
curatoriale di Saverio Verini. Tra le aziende e
istituzioni che hanno collaborato con la Fondazione, oltre a Elica, si segnalano ACRAF Aziende Chimiche Riunite Angelini Francesco,
Confindustria Ancona, Gruppo Sole 24 ORE,
Bricocenter, MSD, Biotronik, Regione Marche,
Federculture. Numerosi anche gli artisti coinvolti
dal 2007 a oggi, tra cui Mario Airò, Francesco Arena, Francesco Barocco, Danilo Correale,
Enzo Cucchi, Ettore Favini, Anna Franceschini,
Adelita Hsni-Bey, Margherita Moscardini, Diego
Perrone, Cesare Pietroiusti, Marinella Senatore,
Sissi, Nico Vascellari.
L’attività della Fondazione Ermanno Casoli si
declina principalmente in tre diversi programmi:
• Premio Ermanno Casoli. Intende promuovere
il lavoro di giovani artisti che nel corso della
loro carriera abbiano sviluppato una ricerca in
linea con i principi sostenuti dalla Fondazione:
innovazione, sperimentazione, contaminazione di codici differenti, coinvolgimento attivo
dello spettatore. La partecipazione avviene su
invito e il vincitore è chiamato a progettare
un’opera nella cui realizzazione sia coinvolto
il territorio ospitante.
collaborazione con un trainer specializzato
in formazione manageriale. Per E-STRAORDINARIO la Fondazione Ermanno Casoli ha
ottenuto il patrocinio del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali.
• FEC for Factories. Nuova modalità di interazione tra arte e industria che introduce l’arte
contemporanea nel vivo dei sistemi produttivi.
Gli artisti vengono invitati a confrontarsi con i
processi creativi che precedono la realizzazione di un oggetto industriale, condividendo
con designer, ingegneri e operai specializzati
un percorso progettuale rivolto a scoprire nuovi
linguaggi e inesplorate metodologie di lavoro.
In alto Sissi al lavoro nel laboratorio prototipi di Elica
per il progetto Aspiranti Aspiratori, 2012. Photo
credit Ramiro Castro Xiques
Sotto E-Straordinario per Bricocenter, condividere è
connettere, con Ettore Favini, 2012
• E-STRAORDINARIO. Progetto di formazione
che porta l’arte contemporanea nel mondo industriale: attraverso un ciclo di incontri teorici
e di workshop, artisti di fama internazionale lavorano a un progetto artistico con i dipendenti
di un’azienda. L’iniziativa viene realizzata in
27
FARM
CULTURAL
PARK
con giovani e bambini, presentazioni di libri,
concorsi di Architettura, lettura portfolio di Artisti e numerosissime presentazioni in Italia e
all’Estero ci hanno fatto guadagnare nel 2011
il Premio Cultura di Gestione di Federculture e
nel 2012 l’invito alla XIII Biennale di Architettura di Venezia.
Farm Cultural Park è un Centro Culturale
e Turistico Contemporaneo diffuso, insediato
nella parte più antica del Centro Storico di Favara, paese Siciliano a 6 km dalla Valle dei
Templi di Agrigento.
I Sette Cortili, una sorta di Kasba Siciliana, già
dal mese di giugno del 2010, sono il cuore
pulsante delle attività culturali di FKP. Arte per
tutti e non solo per gli addetti ai lavori e a tutte
le ore del giorno e della notte, in mezzo alla
strada e tra la gente comune.
Una programmazione culturale dirompente
ha caratterizzato i primi quattro anni di vita
di FKP: Mostre temporanee ed installazioni
permanenti, residenze per artisti, workshop
FKP nasce dalla follia di Florinda ed Andrea
una giovane coppia di professionisti che ha
deciso di non trasferirsi all’estero, di restare
in Sicilia, di non lamentarsi di quello che non
accade, di diventare protagonisti di un piccolo
ma significativo cambiamento, di restituire ai
loro cuccioli Carla e Viola un piccolo pezzo di
mondo migliore di quello che hanno ricevuto.
I Sette Cortili si sono rivelati per la dimensione
contenuta degli interventi di riqualificazione
necessari, il punto di partenza strategico del
progetto FKP.
Le casette su due o al massimo tre livelli, denominate “camera e dammuso” sono state
ristrutturate nel rispetto della loro architettura
originaria; sono stati solamente sostituiti gli infissi originari in legno con degli infissi in ferro
e si è scelto il bianco nucleare del latte di calce
antica per le facciate. Le facciate ospitano installazioni permanenti ed interventi temporanei
di Artisti nazionali ed internazionali e diverse
casette sono destinate ad attività culturali e
project room che ogni quattro mesi cambiano
pelle per ospitare nuovi artisti e nuove idee.
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Bookshop Farm Cultural Park
Cortile Bentivegna - Sette Cortili - Favara (AG)
Foto di Fabio Florio
FKP affianca all’attività di produzione culturale
tutta una serie di servizi ricettivo-turistici anche
in funzione della sua posizione strategica di
vicinanza alla valle dei Templi di Agrigento: un
bookshop con opere multiple di giovani artisti
ed oggetti di design, un Corner Moet Chandon, una Sandwicceria, una project room per
cuochi o aspiranti tali ed un meraviglioso barbecue-garden, spazio molto apprezzato per la
socializzazione.
E non finisce qui: nel 2015 è prevista l’apertura di Farm Children’s Museum, un luogo
per il futuro, un intero palazzo del Settecento
dedicato ai bambini, per giocare, imparare e
sognare.
ART HOTEL
GRAN PARADISO
SORRENTO
L’Art Hotel Gran Paradiso si trova in una
zona panoramica unica, al centro del golfo di
Napoli, circondato da verdi e profumati giardini di ulivi, arance e limoni, dove è possibile
ammirare la più bella vista su tutta la costa Sorrentina fino al Vesuvio, perenne protagonista di
questo scenario unico insieme alle Isole di Ischia
e Procida. Gli interni arredati con gusto ed in
stile moderno ospitano l’esposizione perenne di
opere d’arte autentiche di artisti contemporanei
che rendono le aree pubbliche dell’hotel molto
gradevoli ed accoglienti. Ogni camera espone
un’opera d’arte originale di un artista contemporaneo, partecipante al progetto dell’Art Hotel.
Gli ospiti dormono letteralmente con la cultura.
Con l’iniziativa 100³: 100 anni, 100 stanze,
100 artisti l’Art Hotel Gran Paradiso di Sorrento
giunge a definire la propria identità per offrire lo
spazio dell’albergo di famiglia ad una riflessione
più ampia sul ruolo svolto dalle collezioni private
e sulle loro potenzialità di sviluppo in relazione
al pubblico ed al proprio contesto.
100³: 100 anni, 100 stanze, 100 artisti racchiude nel titolo la lungimirante ambizione di
costituire un punto di riferimento per il territorio
campano, rinnovando annualmente l’appuntamento con un programma di attività espositive e
dialogo diretto tra i visitatori e i protagonisti della
scena artistica internazionale con mostre personali allestite in ogni stanza. E se sei un artista puoi
scambiare il tuo lavoro con un soggiorno presso
l’ArtH otel Gran Paradiso!
In alto:
Peppe Perone, Senza titolo,
scultura in vetro resina sabbiate,
125x140 cm
29
Panoramica da Villa Rufolo
e sessione di apertura
di Ravello Lab – International Forum
CENTRO
UNIVERSITARIO
EUROPEO PER
I BENI CULTURALI
DI RAVELLO
Il Centro Universitario Europeo per i
Beni Culturali è stato costituito il 10 febbraio
1983, per iniziativa della Delegazione parlamentare italiana al Consiglio d’Europa, con gli
auspici del Segretario generale dello stesso,
nonché del Governo italiano e con il sostegno di illustri esponenti del mondo scientifico
europeo. Organizzato in forma associativa tra
Enti istituzionali, centri di cultura ed enti formativi, ha sede nella prestigiosa Villa Rufolo. E’
riconosciuto giuridicamente con decreto del
Presidente della Repubblica Italiana, ed opera
in rapporto con il Consiglio d’Europa, la Commissione Europea, l’UNESCO, l’ICCROM ed
altre prestigiose Organizzazioni internazionali.
La mission del Centro è quella di:
•
•
•
•
30
Offrire una struttura di riferimento agile ed
avanzata a tutti gli studiosi e gli operatori
interessati alla promozione della cultura;
Promuovere la conoscenza, la gestione
e la fruizione del patrimonio culturale attraverso un approccio interdisciplinare,
anche grazie ad un’intensa attività di pubblicazione, su carta e on-line;
Realizzare attività di ricerca e formazione
utili a fornire supporto scientifico, metodologico e operativo di alto livello ai decisori responsabili del patrimonio e delle
attività culturali;
Cooperare con le Università, integrandone
l’offerta per rispondere alla domanda di
formazione interdisciplinare, che, per loro
natura le università, tendenzialmente specialistiche, non sono in grado di soddisfare.
Tra le sue più recenti iniziative:
1. Ravello LAB: un osservatorio promosso insieme a Federculture e FormezItalia, che
punta a stimolare riflessioni e proposte per
le politiche culturali come azione di sviluppo;
2. Progetto FOP – Future of our past, nel
quadro del programma ENPI;
3. Progetto GestART, Artistic Gestures revisiting European Artistic diversity and convergence, nel quadro del programma Cultura;
4. Master MaCLands “Management of Cultural Landscapes”, un master Erasmus
Mundus, in collaborazione con le Università di Napoli “Federico II”, “Jean Monnet”
di Saint-Etienne e di Stoccarda, che punta
a formare specialisti nella gestione dei siti
UNESCO e, più in generale, dei territori a
forte valenza culturale;
5. Piano di Gestione del sito UNESCO “Costa di Amalfi”;
6. Rivista on-line “Territori della Cultura”, con
cadenza trimestrale, strumento di studio,
ricerca, confronto e promozione delle azioni a favore del patrimonio culturale, in
Italia e all’estero.
Sotto: Anastasia Krylova, Direttrice Creativirus.
A lato: Russian Design Pavillon Milano, 2014
CREATIVIRUS
RUSSIA
Creativirus - www.creativirus.it - è una
piattaforma indipendente per la promozione culturale e commerciale di progetti di arte e design
tra Russia ed Europa. Si occupa in particolare di:
• ideazione, progettazione e direzione artistica
degli eventi
• coordinamento della logistica evento e gestione organizzativa di risorse umane
• pianificazione, comunicazione, promozione
& PR in russo, italiano ed inglese
• sviluppo e coordinamento di progetti editoriali
di design
• consulenza ed organizzazione di progetti internazionali di marketing per industrie creative.
Creativirus nasce nel 2010 su iniziativa della
sua direttrice Anastasia Krylova, storica dell’arte
e critica del design, vincitrice del premio Silver A’
Design Award Winner in Event and Happening
Design Category (2013 – 2014). Dopo la laurea
in Storia dell’Arte all’Università Statale di Scienze Umanistiche di Mosca, si trasferisce in Italia
nel 2007 per seguire i corsi di Industrial e Interior
Design presso l’Istituto Italiano del Design (IID) di
Perugia. Durante lo studio sviluppa interessi particolari per Exhibit e Food Design. Ha collaborato
con la sede umbra dell’Associazione per il Disegno Industriale ed ha contribuito alla stesura di diversi articoli riguardanti il design, ricevendo nel
2011 il premio per la miglior pubblicazione nel
“Secondo Forum Scentifico di Design a Mosca.”
Nel corso degli anni Creativirus ha presentato in
Italia diversi progetti legati alla creatività russa,
sia essa fotografica che di progettazione. In particolare, l’organizzaione della prima mostra del
design russo a Terni durante il Festival di Architettura in Umbria e l’apertura di una collaborazione tra l’Associazione Nazionale dei Fotografi
Russi e il Festival Marsciano Arte Giovani. Da
questa collaborazione è nato in Umbria un ciclo
di mostre sulla fotografia russa contemporanea.
Dal 2012 Creativirus collabora con Federculture
al concorso Centro/Periferia ed ha permesso a
molti giovani artisti russi di essere apprezzati in
Italia. Dal 2012 “Creativirus” è organizzatore
in collaborazione con l’agenzia “Profi2profit” di
Maria Tvardovskaya del progetto internazionale
“RDP - Russian Design Pavilion” che ha obbiettivo di promuovere il design nazionale e di farlo
conoscere alle realtà imprenditoriali europee e
di “RUB Design Book”, libro – catalogo pubblicato in inglese che raccoglie le migliori nuove
tendenze ei migliori progetti innovativi di designer russi, ucraini e bielorussi, distribuito a tutte le
aziende protagoniste del settore in Europa. Gli
eventi di RDP si sono svolti per due anni presso i
spazi di Lungarno Collection (Salvatore Ferragamo Group) durante Florence Design Week 20122013, a Londra presso Earls Court del Festival
“100% Design London” ed a Milano in occasione del “Salone del Mobile 2014”.
www.russiandesignpavilion.com
www.rubdesigners.com
31
VANESSA ALESSI
ESTEBAN AYALA
VALENTINO BELLINI
ISOTTA BELLOMUNNO
MARCO BERNACCHIA
ENRICO BOCCIOLETTI
NICOLETTA BORASO
MARY CINQUE
FRANCESCA CIRILLI E IRENE DIONISIO
MICHELE D’AGOSTINO
ANNALISA D’ANNIBALE
SIMONA DI MEO
YAEL DUVAL
THEO FIRMO
RICCARDO GIACCONI
ROMAN HUK
ALEXANDRA KOTLOVA
OVIDIU LEUCE
ELEONORA MARIOTTI
EKATERINA MAXIMOVA
MANE OUMAR VOUMADOU
EMMANUELE PANZARINI
SERGEI PROKOFIEV
SERGIO RACANATI
KLAUDIA SHKURTI
RODOLFO SCHMIDT
MARCO STRAPPATO
ALEXEY TREGUBOV
I FINALISTI
Vanessa Alessi
nasce a Palermo nel 1979, vive e lavora a
Berlino. Si laurea nel 2005 in Architettura al
Politecnico di Milano e nel 2008 consegue
la laurea Specialistica in scenografia
teatrale all’AMU- Academy of Performing
Arts di Praga.
Il progetto di tesi Monsters of Grace
vince “l’AMU Dean’s Award 08” e viene
pubblicato in “Young Blood 08, Annuale
dei talenti italiani premiati nel mondo”.
Nel 2010 espone – per la prima volta
come visual artist - la serie Lambs, opera
di denuncia dei crolli di case avvenuti a
Favara, paese dell’artista, in cui persero
la vita due bambine. Nel 2013 vince il
secondo posto al premio “Terna 054”,
con W-Hole Sicilia, l’opera fa parte di
un progetto itinerante che riflette sul tema
dell’identità.
Spaziando all’interno di diversi media e
coinvolgendo professionisti di settore quali
sociologi, psicologi, musicisti, farmacisti
– l’artista esplora il concetto di limite e
di transizione all’interno delle dinamiche
sociali. La sua ricerca si colloca proprio
sulle linee che tracciano i tratti di una
società e definiscono al contempo ciò che è
l’Altro rispetto ad essa. Le opere e i relativi
testi critici sono piccoli Manifesti sulle
contraddizioni interne ad un’identità in crisi.
Recentemente ha lavorato alla realizzazione
di un’istallazione per la collettiva Sub Divo
/ Sotto il Cielo nella Valle dei Templi di
Agrigento. In generale al momento l’artista
sta unendo i puntini del suo percorso in una
ricerca in cui confluiscono il suo interesse
per il paesaggio e l’urbanistica, e il
pensiero anarchico e critico dell’arte.
VANESSA ALESSI
Sigillati i sensi incandescenti la rabbia fissa
dall’alto la serenità del sogno, 2012
34
Le sacre du printemps, 2013
L’OPERA
W-HOLE in inglese “intero”, “privato della “W” diventa “Hole”
“buco” ovvero assenza. W-HOLE #0 è una bandiera trasparente
che l’artista pianta nei diversi luoghi in cui ha vissuto. Una volta
piantata, scatta una foto e riprende la bandiera. “W-HOLE è il
bisogno di appartenenza ad un luogo unito al senso di smarrimento
dell’individuo nella società contemporanea.[…]Una bandiera
privata dei suoi colori vaga nel vento, indossando di volta in volta le
sembianze del paesaggio circostante.[…]Il bisogno di appartenenza
non è più soddisfatto se non a condizione di uno scenario in perpetuo
mutamento che richiede un costante rinnovo di identità”. Il testo
critico, scritto dalla sociologa Carolin Deuflhard, è una sorta di piccolo
Manifesto sull’identità Postmoderna.
W-HOLE #0
2013, stampa lambda supporto:
montaggio plexiglass da 3 mm al silicone su dibond
con distanziatori in alluminio da 2 cm
75 x 50 cm Ed.1/6
35
Esteban Ayala
nasce nel 1978 a Quito, in Ecuador. La
sua formazione artistica avviene nelle
Accademie di Belle Arti di Bologna e di
Monaco, che frequenta dal 2006 al 2013.
E’ in queste due città che espone i suo lavori
più frequentemente. Partecipa per due anni
consecutivi, nel 2008 e nel 2009, alla
collettiva “Foro de arte joven para artistas
hispanohablantes”, un focus sulla giovane
arte ispanica, organizzato dall’Istituto
Cervantes di Monaco. Sempre a Monaco
espone in un’altra collettiva, “Talente”,
promossa dalla Camera dell’artigianato
di Monaco e di Oberbayern. A Bologna
l’Associazione culturale “La Pillola”
organizza nel 2010 una personale
dell’artista dal titolo “Idolatrias” e l’anno
successivo il Museo de la Ciudad de
Riobamba, in Ecuador, espone le sue opere
nella personale “Si la envidia fuera oro, tu
ya serías millonario”.
ESTEBAN AYALA
Idolatrias series, 2010
Tu envidia es mi progreso, 2013
36
Negli ultimi anni l’artista si è dedicato
prevalentemente alla scultura e
all’impiego di materiali poveri, di riuso,
come il cemento, il metallo e le forniture
meccaniche.
E’ attratto dalle forme semplici, essenziali,
espressioni di una bellezza atipica e
di un’arte che deve essere in grado
di attivare riflessioni istantanee, senza
intermediazione, su concetti universali quali
il senso del tempo e la spiritualità.
L’OPERA
Infra (Infraescultura) è una scultura realizzata in cemento e metallo,
facente parte della serie scultorea Idolatrias. Attraverso la creazione
di una forma essenziale, l’artista propone una riflessione estetica sul
non finito, sulle architetture abbandonate, elementi ormai familiari
del nostro paesaggio. Infra è un principio di colonna, eretto come
promessa di uno sviluppo futuro ed espressione di una bellezza
totemica ed atipica.
Nell’immaginario estetico dell’artista: “Una semplice colonna è già
di per sé un’opera d’arte, allo stesso modo altre parti strutturali
possono essere apprezzate nella propria bellezza”.
Infra (Idolatrias series)
2010, cemento e materiale metallico,
45x60x45 cm
37
Valentino Bellini
nasce nel 1984 a Palermo. Si diploma in
fotografia presso il CFP R. Bauer nel 2010.
Dal 2011 al 2013, parallelamente alla sua
attività di fotografo documentarista freelance,
lavora per LINKE.lab, laboratorio di stampa,
emeroteca e luogo di produzione di mostre
fotografiche, dove ha l’opportunità di specializzarsi in postproduzione e stampa fine art.
I
suoi lavori sono stati esposti al “Delhi Photo
Festival” e all’“Ivrea Foto Festival” nel 2011;
l’anno successivo la Rizhoma House Gallery
di Palermo presenta i suoi lavori in una personale dal titolo “Working souls” e sempre
nello stesso anno, è in mostra ad Alcamo nella collettiva “Nuove Impressioni”. Nel 2013
viene selezionato nella short list del premio
“APA / Lucie Foundation Scholarship” con
il BIT ROT Project, un progetto in corso sul
tema dei rifiuti tecnologici iniziato nel 2012,
che documenta la realtà di Ghana, Pakistan,
India, Cina e Hong Kong.
VALENTINO BELLINI
Karachi: city of eagles_20, 2013
Karachi: city of eagles_18, 2013
38
L’OPERA
Karachi: city of eagles _ 14 fa parte di un progetto fotografico realizzato con
una macchina fotografica analogica di medio formato ed ambientato in Pakistan,
nella città di Karachi, una delle città più popolate e in crescita del pianeta,
nota soprattutto per gli atti di violenza e gli attacchi terroristici. L’artista intende
raccontare un’altra faccia di Karachi, mai mostrata perché non fa notizia, perché
non sconvolge. La denominazione di City of eagles richiama le migliaia di aquile
che ogni giorno sorvolano il cielo di Karachi come metafora di un cambiamento
che sta coinvolgendo in particolare le nuove generazioni. Lo sviluppo economico
degli ultimi anni ha fatto emergere una nuova classe sociale, giovani e adulti
che non vogliono farsi condizionare dalla violenza e dal timore, ma lottano ogni
giorno per conquistare la loro vita.
Karachi: city of eagles_14
2013, stampa inkjet su carta hahnemuhle/dibond 3mm,
100x125 cm
39
Isotta Bellomunno
nasce a Napoli nel 1987. Nel 2005, si
trasferisce a Milano per studiare scultura
all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove
si diploma nel 2011. Durante gli anni
milanesi l’artista partecipa a numerose
esposizioni che le consentono di presentarsi
ad un pubblico sempre più vasto. Espone
nell’Ex Macello di Verona in occasione di
“Start up”, rassegna dedicata ai giovani
artisti emergenti e nel 2012 è in mostra alle
Nappe dell’Arsenale di Venezia per il 6°
Premio Arte Laguna”.
Nel lavoro della Bellomunno sono
riscontrabili due matrici costanti e ricorrenti,
da un lato un’amara ironia, a tratti beffarda
e perennemente provocatoria, dall’altro
le origini familiari, perno gravitazionale
esistenziale ed artistico. Le soluzioni formali
sono invece più variabili e molteplici: dal
disegno alla fotografia, dalle soluzioni
scultoree all’azione performativa. L’artista
indaga anche il linguaggio della videoarte e
recentemente ha presentato al Pan – Palazzo
delle Arti di Napoli il video Non Retribuito,
sul mondo dell’arte e del lavoro.
ISOTTA BELLOMUNNO
Oh mia bella Madunina, 2009
40
L’OPERA
Nella serie fotografica “Io baro” l’artista interpreta tre diverse
situazioni in cui il soggetto prescelto, un cofano funebre, è
adoperato in contesti e con funzioni inusuali. Le scene sono senza
ambientazione we l’utilizzo dello sfondo bianco ne accentua
l’effetto straniante e di sospensione. Il cofano, ad esempio,
può fungere da divano sul quale una coppia di mezza età si
abbandona ad una vita senza stimoli. I soggetti si mostrano
stanchi, “morti dentro”, indifferenti l’uno all’altro. Ma il cofano
può anche veicolare messaggi diversi e divenire una madia
su cui impastare il pane. Il lavorare il pane su una bara crea
una contrapposizione tra la morte e la creazione, ripropone il
ciclo della vita. La morte può essere ironizzata, ridimensionata,
al punto da essere inclusa nel nostro quotidiano domestico e
comparire come un elemento di arredo, una “bara da bagno” in
cui una donna placidamente è intenta a lavarsi.
Io baro
2013, Trittico – fotografie,
35x50 cm ciascuna
41
Marco Bernacchia
nasce nel 1979 a Senigallia in provincia di
Ancona. Si diploma nel 2005 all’Accademia di belle arti di Urbino, dove nel 2007
consegue la laurea specialistica in pittura.
Nel percorso artistico di Marco Bernacchia
si incontrano le arti figurative, la musica
ed i video. Le sue partecipazioni a mostre
sono numerose, tra le personali si segnalano
“Wrong version” allestita nel 2008 nella
Galleria Fuori Zona di Macerata, “The
Veritate Fortune” nel 2012 presso la Galleria 400mq di Ancona e nel 2013 “Recycle
racing fase finale” presso lo Spazio Alviani
di Pescara. Nel 2008 espone a Praga, nella
rassegna “Italian artist” presso la galleria
Nova Sin e a Dresda in “Club/DEBIL”
presso lo spazio Alte Feurwache Lpschwitw. Nel 2011 è in mostra tra gli artisti del
Padiglione Marche della “57 Esposizione
Internazionale d’Arte Biennale di Venezia”
presso la Mole Vanvitelliana di Ancona. Nel
MARCO BERNACCHIA
Infinite loop of death, 2013
42
+Spazio alla natura, 2013
campo della produzione musicale, Marco
Bernacchia fonda nel 1998 M.A.Z.C.A. movimento attraverso zone comunemente
atipiche – e insieme ad altri artisti instaura
collaborazioni dalle quali prendono vita
nel 2004 il progetto AL:ARM! e nel 2006 il
progetto GALLINA. Dal 2006 porta avanti il
progetto solista Above the tree, con il quale
partecipa a tour in Spagna, Francia, Germania, Austria, Svizzera e Repubblica Ceca,
Ukraina, Ungheria, Svezia, Portogallo.
L’OPERA
Above the tree nasce nel 2006 come progetto musicale solista di Marco
Bernacchia. Fin dai primi concerti si presenta come una complessa performance
in cui l’artista, travestito da figura mitologica metà uomo e metà pollo, impersona
un personaggio, suo alter ego. L’intento del progetto è quello di creare uno
sdoppiamento del percorso artistico personale, Above the tree, infatti, è un
personaggio/musicista che de-personalizza Marco Bernacchia, trasformandolo in
una scultura vivente. L’alter ego Above the tree nel suo percorso musicale produce
immagini e documenti che Marco Bernacchia, il suo creatore e attore, ri-usa. Il
materiale prodotto in questo caso è un video-clip del brano dal titolo “People from
the cave” che Bernacchia realizza e trasforma successivamente in opera d’arte.
People from the cave
2013, Video clip, 5’30’’
43
Enrico Boccioletti
nasce nel 1984 a Pesaro, vive e lavora a
Milano. Nel 2010 si laurea in Lingue all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e
nel 2013 si diploma all’Accademia di Brera. Enrico Boccioletti è un artista e musicista
internet­aware in attività sotto diversi nomi:
Death in Plains, 4SICSX, spcnvdr o Enrico
B. La sua attività si sviluppa sia in Italia sia
all’estero; ha esposto e performato alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma, alla 319
Scholes di New York, all’Istituto Svizzero di
Roma e di Milano, al MAMbo di Bologna,
a Viafarini di Milano, al MADRE di Napoli,
all’Offset Festival di Londra, a Mediterranea
16 di Ancona, al Fabio Paris/Link Center
for the Arts of the Information Age di Brescia e presso Interno 4 di Bologna. L’artista
lavora con Mousse Magazine e Vdrome a
Milano.
Nel suo lavoro la coesistenza di possibilità
multiple si disperde per emanazioni: come
un insieme di ‘gesti’ non sistematici, in cui
lo sforzo centrale è il tentativo di infondere
un residuo di non­sense all’interno di rigide
strutture formali.
ENRICO BOCCIOLETTI
Katherine J. Sanchez 1500 Ryder Avenue Everett,
WA 98201
2013, serie Content Aware
44
Cao Hong Sâm Vicolo Tre Marchetti, 131
31014 Colle Umberto TV,
2013, serie Content Aware
L’OPERA
La serie “Content Aware” (2011–
ongoing) è una collezione di immagini
scaricate, in cui il soggetto è assorbito
e assimilato al piano del fondale,
sfruttando in modo esagerato la
funzionalità di Photoshop Content­Aware
Fill (riempimento in base al contenuto).
L’algoritmo del software genera
automaticamente all’interno dell’area
selezionata un pattern calcolato,
coerentemente ai pixel circostanti. Le
identità inflazionate e iper­accelerate dei
modelli di partenza, negate della propria
singolarità, sono reinserite in un flusso di
ricorsività, un momento fermo, nessuna
forma in particolare: ogni identità
possibile. È la reiterazione ad infinitum
di un gesto preciso, che è sempre lo
stesso. È un lavoro “veloce” che viene dal
flusso e si reinserisce nel flusso in cui le
immagini circolano in rete.
82, avenue Voltaire 06520
MAGAGNOSC
2012, serie Content Aware
45
Nicoletta Boraso
nasce nel 1981 in provincia di Treviso.
Nel 2006 consegue la laurea in architettura
allo IUAV di Venezia con una tesi di tipo
urbano paesaggistico. La passione per la
fotografia si manifesta durante gli studi di
architettura ed inizia ad usare il mezzo
fotografico come strumento di analisi per
indagini di tipo documentarie e antropologiche, sugli spazi e le architetture contemporanee. L’obiettivo dell’artista non è immortalare le forme dei luoghi, ma analizzare in
profondità i cambiamenti morfologici delle
nostre città. Nel suo percorso risultano,
quindi, determinanti le influenze di fotografi
di paesaggio come Guido Guidi e Marco
Zanta. Nel 2005 partecipa ad un corso di
fotografia all’IUAV diretto da Guido Guidi
ed espone nel 2008 nella collettiva “Water
Tower” da lui supervisionata. Nel 2009,
in occasione del “SI FEST” partecipa alla
campagna fotografica condotta da Marco
Zanta a Savignano sul Rubicone. I lavori
realizzati durante la campagna sono in mo-
stra nella collettiva “SIN_TESIS, paesaggio,
industria, società”. Sempre di Marco Zanta
segue nel 2010 il laboratorio di fotografia
condotto sull’Ex area Appiani a Treviso,
firmata dall’architetto Mario Botta. Collabora anche con la Fondazione Benetton e
Fabrica Spa per le quali recentemente ha
seguito un progetto di ricerca sul territorio
di Treviso, sfociato nella mostra “Il mestiere
di Sindaco - microcosmi del gusto e del
consenso” in cui oltre ad esporre le sue
fotografie ne cura l’allestimento.
NICOLETTA BORASO
Doppio sguardo
2012, Stampa fotografica, 6 dittici
100x34 cm ciascuno
46
L’OPERA
Doppio sguardo si compone di sei dittici in cui l’artista ha colto lo
sguardo di chi vede Venezia da turista per la prima volta e quello
di chi invece la vede nel suo quotidiano. E’ la contaminazione tra
l’interno e l’esterno, tra la Venezia spettacolare che si mostra al
turista camminando nelle calli Veneziane e la città che si mostra
al commesso con il suo flusso di visitatori oltre la vetrata. Classici,
moderni ma allo stesso tempo contemporanei i negozi di souvenirs
veneziani mostrano una città che vive di turismo, ma anche di lavoro
quotidiano. E’ nata una serie di doppi sguardi: quello del turista e
quello del commerciante, che si fondono in una nuova visione di una
Venezia contemporanea.
47
Mary Cinque
nasce nel 1979. Nel 2001 si diploma in
pittura presso l’Accademia di Belle Arti di
Napoli e nel 2008 consegue il diploma di
secondo livello in Area del contemporaneo
all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Tra queste due tappe formative si sviluppa
un percorso di crescita profondamente condizionato dalla dimensione del viaggio.
L’artista, infatti, sin dall’infanzia è abituata
a viaggiare e a vivere in posti differenti.
Nel 2006 trascorre alcuni mesi tra New
York e Philadelphia dove lavora come art
assistant di Jennifer Blazina, docente alla
Drexel University e Giramondo, è il titolo
non casuale, di una sua personale del
2009 presso la Foundry Gallery di Londra.
L’anno dopo espone in Italia nella personale Cover, al caffè del museo Madre di
Napoli.
Ha partecipato a numerose importanti
collettive: nel 2011 “Lo stato dell’Arte –
Campania” al Padiglione Italia della “54
Biennale di Venezia”, nel 2012 i suoi lavori sono in mostra al PAN – Palazzo delle
Arti di Napoli per “Nina – Nuova imma-
MARY CINQUE
013 TITLED #07,
2013
013 TITLED #05,
2013
48
gine Napoletana” e nel 2013 a “TRAMES
TRAMITES”, promossa dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e dall’Anci.
Il punto di partenza della ricerca di Mary
Cinque è la realtà circostante e le città, in
particolare, divengono un punto di osservazione privilegiato. Le suggestioni raccolte, anche dai linguaggi contemporanei
della pubblicità, dei fumetti e della fotografia, trovano poi espressione in lavori dai
contrasti forti e segni essenziali, nell’uso
di colori acrilici e pennelli, per avere un
controllo diretto sulla materia pittorica.
L’OPERA
013 Titled #06 fa parte di una serie
di lavori incentrati sul tema delle città.
L’opera in particolare è frutto della
partecipazione dell’artista al workshop
“Capturing the elusive here” organizzato
dall’Areaodeon di Monza e condotto
dall’artista Isidro Blasco. I luoghi da cui
ha tratto ispirazione per il disegno, sono
stati fotografati prima di essere trasferiti
su tela, ma mai resi noti dall’artista che
desidera invitare lo spettatore a definire
i lavori autonomamente. Partendo
dall’osservazione delle linee con le quali le
persone costruiscono le loro case e le loro
relazioni, l’artista riflette sulle differenze
e somiglianze degli stili di vita, sull’essere
umano e sul suo ruolo nell’assetto urbano
in una dimensione globale.
013 TITLED #06
2013, acrilico su tela,
80 cm x 40 cm
49
Irene Dionisio (Torino, 1986)
e Francesca Cirilli (Viareggio, 1982)
co-autrici della video installazione
La fabbrica è piena, collaborano a
diversi progetti e sono socie fondatrici
dell’associazione Fluxlab, con la quale
hanno realizzato il documentario Salute,
Donne! Entrambe portano avanti indagini
documentaristiche sul sistema socio-politico
e sulla trasformazione dei luoghi e delle
identità, impiegando in un caso il video,
nell’altro la fotografia. Irene Dionisio
si laurea in filosofia estetica e sociale
all’università di Torino ed ottiene il M1
in Cinema e Filosofia all’Upjv d’Amiens.
Frequenta master diretti da importanti
registi come Marco Bellocchio e da
affermati documentaristi come Daniele
Segre e Alina Marazzi. Tra i premi ottenuti
si segnala il “Premio alla sceneggiatura
Solinas 2012” e tra le borse di ricerca
“Movin’ Up 2012” promossa dal MIBACT
e dal GAI. Attualmente, sta sviluppando la
sua prima opera di fiction Le ultime cose.
Francesca Cirilli si laurea nel 2006
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Pisa e nel 2009 si diploma
in fotografia allo IED di Torino. Nel 2012
a Berlino partecipa alla residenza d’artista
“GlogauAir - Artist in Residence Program”.
Tra i workshops si segnalano quelli diretti
da Luca Bigazzi e Francesco Jodice. Espone
in numerose mostre in Italia e all’estero,
ricevendo diversi riconoscimenti, tra tutti
nel 2010 è finalista nella sezione “Luoghi”
del “National Geographic-Concorso
Internazionale di fotografia”. Attualmente,
sta sviluppando progetti sul tema della casa
e dell’emergenza abitativa.
FRANCESCA CIRILLI E IRENE DIONISIO
50
L’OPERA
La fabbrica è piena racconta in due narrazioni parallele
la trasformazione avvenuta nel volto della città di
Torino. Dal 2010 le officine Grandi Motori sono in
fase di demolizione e a vivere il vuoto dell’archeologia
industriale sono adesso i migranti, nuovi orfani della
società. Le due narrazioni si concentrano l’una,
sull’apparente vuoto dello spazio-fabbrica e l’altra, sulle
vite dei migranti che abitano le ex-Officine. Chiude
la narrazione la testimonianza di un ex operaio e
sindacalista della Grandi Motori, quasi un simbolico
passaggio di staffetta alle nuove generazioni ed un
timido atto di speranza.
La fabbrica è piena
2011, Video, 17’30’’.
Still da video e fotografie
51
Michele D’Agostino
nasce nel 1988. Vive e lavora tra
Benevento, sua città natale e Milano dove
dal 2007 al 2013 si diploma e specializza
in scultura all’Accademia di Belle Arti di
Brera. Il suo percorso si definisce anche
grazie alle partecipazioni a mostre, premi
e residenze d’artista. Nel 2006 è in mostra
a Benevento con la personale “Fantasmi
nel verde” e nel 2009 in Abbruzzo, a
Castelbasso, nella collettiva “Qui e Altrove”.
Nel 2011 partecipa al Programma
Internazionale di residenze d’artista di
Daegu, nella Corea del Sud ed espone
nella collettiva “Young Artists Progect 2011:
Future Lab (TBD)”. Sempre nello stesso anno
vince il “Premio delle Arti” promosso dal
Ministero della Pubblica Istruzione.
Nel 2012 è tra i finalisti del “Premio
Terna 04” e prende parte al “Simposio di
scultura” in Ptolemaide, in Grecia. Fin dai
primi lavori si ispira alle problematiche
della realtà sociale contemporanea,
focalizzandosi sul tema delle macchine,
MICHELE D’AGOSTINO
Ape, 2009
Il processo, 2011
52
che l’artista realizza a grandezza naturale.
I lavori più recenti vanno nella direzione
di installazioni che coinvolgono più o
meno attivamente lo spettatore. L’opera
la Conoscenza dell’ascolto, ad esempio,
traccia, tramite un registratore inserito al
suo interno, il viaggio di un pacco dall’Italia
all’Inghilterra e viceversa.
Grazie ad una postazione comprendente
due calotte con impianto audio è possibile
ascoltare i suoni e le voci del viaggio
compiuto dal pacco.
L’OPERA
Respiro è un’installazione che simula l’atto respiratorio di una
città riprodotta in scala. Al passaggio dello spettatore si attiva
un compressore che caricandosi e scaricandosi d’aria a brevi
intervalli di tempo, fornisce aria alla città. In modo paradossale
la simulazione del respiro umano avviene attraverso i materiali
più moderni, usati anche nelle costruzioni di edifici. L’artista
riflette sulla tendenza della società di organizzare in modo
frenetico l’ambiente in strutture abitative dalle linee rigide. Di
contro in Respiro la città acquista un nuovo movimento, quasi
organico, un impulso vitale fatto delle traspirazioni proprie del
mondo naturale.
Respiro
2012,
compressore, componenti elettronici, ferro, gommasiliconica, aria compressa,
240x100x30 cm variabili
53
Annalisa D’Annibale
nasce nel 1983 a Cattolica, dove vive e
lavora. Nel 2006 si laurea in Relazioni
pubbliche e pubblicità alla I.U.L.M. di
Milano e nel 2011 si diploma in pittura
presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino
dove successivamente frequenta il corso
di specializzazione in Pittura. Nel 2010
vince il “Premio Benelli” ed è in mostra in
Polonia presso la Galleria Patio di Lòdz per
“R.I.V.E.R. Poject”. L’anno dopo riceve una
menzione speciale ed espone alla mostra
“Premio Pescheria” del Centro Arti Visive
Pescheria di Pesaro. Nel 2012 partecipa
alla mostra “Tutto” presso lo Spazio 26cc
di Roma. La sua ricerca al momento segue
due direzioni. La prima riguarda lo studio
del suono inteso come immagine puntuale
e si fonda sul presupposto che il suono
esiste oltre il modo in cui noi decidiamo
ANNALISA D’ANNIBALE
Eleonora, 2012
54
Senza titolo, 2013
di usufruirne, come gli oggetti esistono
alla vista oltre l’uso che decidiamo di
farne. Nella pratica l’esercizio si finalizza
nel cercare di vedere, intuire, la realtà
attraverso l’ascolto. Il secondo ambito
di ricerca è la fotografia. In questo caso
i lavori prendono spunto da oggetti sui
quali l’artista costruisce un’immagine, che
si discosta dal pretesto iniziale ed assume
contenuti e caratteristiche proprie.
L’OPERA
Dre Marena è una serie di sei fotografie in cui sono ritratti sei piccoli alberghi sulla costa
adriatica. Questi alberghi con orgoglio espongono delle insegne in cui è presente un
errore nel nome. Nel loro desiderio di internazionalità svelano la loro dimensione umana,
casalinga. Questa osservazione diviene lo spunto per una riflessione più generale sul
carattere degli italiani, da sempre grandi sognatori, fedeli fino in fondo ad una visione, al
punto che anche l’errore può diventare secondario. Il titolo del lavoro fa riferimento a un
modo di dire dialettale, “Andare drè marena” per la gente del posto significa andare al
mare, prendersi del tempo per sé, staccare dalle fatiche quotidiane e rifugiarsi in un luogo
di appartenenza.
Dre Marena
2013, fotografia digitale, 44x32 cm
55
Simona Di Meo
nasce a Genzano di Roma nel 1986, si
diploma nel 2011 in Fotografia presso
lo IED - Istituto Europeo del Design di
Roma.
La sua formazione è integrata
dalla partecipazione a diverse residenze
d’artista, nel 2011 “Immagini per lo
Spazio Pubblico - Studio visit con l’artista
Beat Streuli” promossa dal Careof di
Milano, nel 2013 “Aperto2013 - Studio
visit con Stefano Boccalini ed Ettore
Favini” nella Valle Camonica ed infine a
Firenze “Decompression Camp - Visiting
artist Karl Seiringer”. La sua ricerca
parte da un’indagine del territorio, dalla
raccolta di testimonianze che, attraverso
la realizzazione di nuovi materiali e la
costruzione di percorsi narrativi, sono
connesse con i loro sviluppi nel presente.
Ne è un esempio “Art Around - immagini
per lo spazio pubblico 2012”, un progetto
di arte pubblica che ha coinvolto l’artista
per oltre un anno. Simona di Meo,
infatti, ha lavorato nel quartiere in forte
SIMONA DI MEO
56
cambiamento della Bicocca, instaurando
un lungo dialogo con i suoi abitanti. Il
lavoro si è sviluppato attraverso la raccolta
di materiale documentario, fotografie
di famiglia, testimonianze ed immagini
appositamente realizzate. Il progetto è
stato presentato in due personali dal titolo
“La collina dei ciliegi”, realizzate prima
nel quartiere Bicocca come campagna di
affissione pubblica del materiale raccolto e
l’anno dopo, presso il Museo di Fotografia
Contemporanea di Milano.
L’OPERA
Some kinds of archive nasce nell’ambito del progetto di arte pubblica “Aperto
2013” e con la collaborazione della facoltà di glaciologia dell’Università degli
Studi di Milano. Consiste nell’inserimento, nell’estate del 2014, di una capsula
di acciaio nel ghiacciaio dell’Adamello ad una profondità di circa 20 m.
Questa capsula contiene a sua volta un altro oggetto, non percepibile, in cui vi
è la sintesi di alcuni aspetti relazionali, maturati durante la fase di indagine del
territorio. La sottrazione di tali contenuti ha lo scopo di alterare la percezione
dello spettatore, evocando un senso di spaesamento generato anche dalla
peculiarità del paesaggio. L’eventuale rinvenimento dell’oggetto è così affidato
ai meccanismi imprevedibili della natura e al relativo impatto che l’attività
umana esercita su di essa.
Some kinds of archive
2013-14, incisione plexiglass con illuminazione a LED,
30x40 cm
57
Yael Duval
nasce nel 1983 nella Repubblica
Dominicana. Vive e lavora tra Santo
Domingo e Torino, dove compie la sua
formazione artistica frequentando i corsi di
pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti
e fotografia allo IED – Istituto Europeo di
Design. Partecipa a numerose esposizioni
ed ottiene importanti riconoscimenti sia in
Italia sia all’estero.
Nel 2010 è in mostra a Roma all’interno
dell’iniziativa “Contemporaneo.doc/
DOCVA” promosso dal MAXXI - Museo
Nazionale delle Arti del XXI Secolo, nel
2012 vince il “Concurso Internacional de
Fotografia: Wifredo Garcia” ed i suoi lavori
sono esposti in due mostre: a Santiago
presso il Ministero della Cultura e a Santo
Domingo presso la Casa de Teatro.
Vince il primo premio del “Concurso de
Fotografía: Calendario Qatar 2013” ed
espone alla “Galleria Nazionale di Belle
Arti” di Santo Domingo. Il suo percorso
artistico è influenzato dall’intreccio delle
YAEL DUVAL
Fabrica del cabello Amina en Togo Africa, 2010
Togo, 2010
58
culture latino-americana, europea ed
africana, la sua visione si nutre di diverse
identità, della giustapposizione di realismo
e immaginario.
Le sue fonti di ispirazione, estremamente
varie - Haris Kakarouhas, Luigi Ghirri,
Marina Abramovic, Umberto Eco, Matisse,
Picasso e Michael Jackson - riflettono questo
innato eclettismo, riscontrabile anche nella
varietà dei linguaggi impiegati, dalla
fotografia in pellicola e digitale, ai collages,
alla pittura.
L’OPERA
Senora ensacada fa parte di una serie di fotografie
in digitale dedicate al modo tradizionale di vestirsi
per andare in chiesa, in occasione della ricorrenza
del giorno della Vergine dell’Altagrazia, alla Basilica
di Higuey. È una festività molto sentita, fedeli da ogni
parte del territorio dominicano si recano ogni 21
gennaio presso la Basilica per pregare e fare importanti
promesse. Per manifestare ed esprimere la loro fede
sono soliti indossare vesti particolari, come l’abito di iuta
cucito a mano ed indossato con fierezza dalla donna
della foto.
Señora ensacada (Bagged lady)
2013, fotografia digitale su carta fotografica,
70x100 cm
59
Theo Firmo
nasce a San Paolo nel 1983. Si laurea
nel 2003 in Linguistica presso l’Università
di Sao Judas Tadeu ed attualmente
frequenta il Master in Visual Culture
presso il Museo Reina Sofia di Madrid.
Ha all’attivo numerose mostre, tra le
personali si segnalano “Fuga n°2” presso
la Galleria Javier Silva di Valladolid, “Eles
e nós” e “Outros Contos” nella Galleria
Emma Thomas di San Paolo e a Madrid
THEO FIRMO
60
espone in “A Estoria Hilustrada” presso
il Centro de Arte Joven de la Comunidad
e in “Suma Cero” alla Fresh Gallery. Nel
2011 è stato selezionato per il premio
spagnolo “INJUVE” ed ha preso parte a
diverse residenze d’artista, nel 2010 “Casa
Falconieri” a Cagliari e nel 2013 “Here
Together Now” presso il centro culturale di
Madrid En Matadero.
Gli studi universitari in linguistica e
l’interesse per la semiotica ritornano
nella sua produzione artistica. Realizza,
infatti, opere sui temi del linguaggio e dei
processi di comunicazione, di cui indaga
in particolare le carenze ed i cortocircuiti.
Il suo lavoro è spesso supportato dalla
pratica del disegno e cerca una materialità
tattile. Per il futuro l’artista ha in programma
due personali, entrambe per il 2015, nelle
gallerie Emma Thomas di San Paolo e nello
spazio espositivo Javier Silva a Valladolid,
Spagna.
L’OPERA
Estudio Arqueológico è una serie di disegni su carta logaritmica, centrata
sull’idea che ogni costruzione tende alla rovina. Il concetto è sviluppato
chiamando in causa le scienze dell’archeologia e della topografia, in una ciò che
si trova sotterrato desidera emergere in superficie, nell’altra la superficie visibile
cerca la profondità. A metà strada tra queste due prospettive ci sono le figure
dei disegni, che sono allo stesso tempo organiche e costruite, umane e inventate.
Nelle opere sono presenti sia immagini di archivio, associate all’archeologia, al
procedimento deduttivo, sia l’osservazione speculativa, associata alla topografia
e al sensibile. Il corpo risalta come figura centrale e agente dei processi di
costruzione e di decostruzione.
Estudio Arqueológico nº1, nº2, nº3, nº5
2013, inchiostro su carta logaritmica,
40X30 cm
61
Riccardo Giacconi
nasce nel 1985
nelle Marche, a San Severino.
Ha studiato Storia dell’Arte all’Università
IUAV di Venezia, alla Bristol UWE ed alla
New York University.
Nel 2011 ha esposto alla Biennale di
Lione ed è stato selezionato tra i finalisti
del premio “Ariane de Rothschild”. Ha
partecipato a diversi programmi di
residenze d’artista tra cui “Viafarini”
a Milano, “Lugar a dudas” a Cali, in
Colombia, al “MACRO – Museo d’arte
contemporanea di Roma” e a La Box a
Bourges. I suoi video sono stati selezionati
in importanti festival quali il “Roma Fim
Festival”, il “Torino Film Festival” e il “FID
Marseille International Film Festival”.
Nel 2007 ha cofondato il collettivo
artistico Blauer Hase, con cui cura la
pubblicazione periodica “Paesaggio”
ed il festival di ascolto collettivo
RICCARDO GIACCONI
62
“Helicotrema”. Per suoi ultimi lavori, sia
come artista e sia come scrittore, si sta
indirizzando in particolare, sui contesti
e sulle dinamiche che coinvolgono
l’aspetto performativo intrinseco alle forme
narrative. La ricerca che sta sviluppando,
si propone di investigare le condizioni
politiche e sociali nelle quali operano il
linguaggio e la narrativa ed il loro modo
di agire all’interno di un sistema culturale
di riferimento.
L’OPERA
L’altra faccia della spirale è il titolo italiano di “Second foundation”, romanzo
di fantascienza della trilogia “Foundation series” di Isaac Asimov. Nel video sei
partigiani italiani della seconda guerra mondiale leggono estratti di “Foundation
Series”, che in Italia uscì in traduzione, con il titolo “Ciclo della fondazione”, nel 1963
e nel 1964. Sempre nel 1963 esce il libro “Una quesione Privata” di Beppe Fenoglio,
definito da Italo Calvino “il romanzo della Resistenza italiana”. Sono quindi anni
cruciali per il proliferare della narrativa italiana sulla resistenza. Ciascun episodio del
film ha come sfondo delle location esterne, luoghi simbolo della resistenza nell’Italia
centrale. La colonna sonora contiene estratti da Fantastic Voyage, film del 1966 di cui
Isaac Asimov scrisse, successivamente all’uscita del film, una versione letteraria.
L’altra faccia della spirale
2010, Video, 18’ 49’’.
Still da video
63
Roman Huk
nasce nel 1988 in Ucraina, a Lviv dove
nel 2009 si diploma in Conservazione
dei Beni Culturali presso l’Ivan Trush Art
college, frequenta il corso di designer al
Politecnico di Lviv e nel 2013 si diploma
alla New Media Art School. Per l’artista
le partecipazioni ai workshop rivestono
ruolo centrale nella sua formazione, gli
permettono di entrare in relazione e
ROMAN HUK
64
collaborare con figure provenienti da diversi
ambiti di ricerca: attori, registi, media
artists, performers e curatori. Nel 2013, in
occasione della quarta edizione del festival
“Drama. UA”, ha partecipato al workshop
diretto dal regista inglese Jan Willem
van de Bosh focalizzato sull’impiego dei
nuovi media e le trasformazioni del teatro
tradizionale e contemporaneo. Tra le altre
esperienze più recenti si segnala nel 2013
la partecipazione come visual designer alla
“Fête de la Musique” di Lviv. Gli interessi
dell’artista si focalizzano in particolare
sull’impiego delle nuove tecnologie, sulla
pratica della street art, sulle installazioni,
la grafica ed il design. Negli ultimi cinque
anni ha approfondito prevalentemente il
linguaggio della video arte ed attualmente
sta sviluppando il suo nuovo progetto
Rotations.
L’OPERA
Panopticon, l’ultimo progetto dell’artista, nasce tra gli scaffali della biblioteca universitaria
di Lviv. L’archivio principale dell’edificio, costruito nel 1902-1903 secondo i canoni
dell’architettura costruttivista, è un luogo particolare, che contiene più di un milione e
mezzo di libri e la prima volta che lo si visita trasmette un senso di smarrimento e di
reclusione. Gradualmente la precezione cambia, ci si riconcilia con lo spazio e si ha
accesso alla sua vita nascosta. L’obiettivo dell’opera è di offrire un modo per esplorare,
adattarsi ed immaginare nuovi modi di vivere quello spazio così inusuale. Panopticon
racconta la storia di una repressione o spiazzamento, che cerca di rendere incoscienti
dell’eccessiva illeggibilità dello spazio.
Panopticon
2013, Video, 3’.
Still da video
65
Alexandra Kotlova
nasce nel 1992 a Sarov, in Russia. Frequenta
un corso di fotografia al “Youth Cultural
Center” di Sarov, dove nel 2011 espone
i suoi lavori fotografici in una mostra
personale. Attualmente, studia fotogiornalismo
all’Università di Mosca. Nelle sue opere
predilige le semplici composizioni di scatti,
lavora sugli effetti di luce e di colore, ma
senza apportare modifiche sostanziali al
soggetto scelto, che vuole mostrare allo
spettatore nei suoi aspetti più realistici e
veritieri. Parole chiave della sua recente
ricerca artistica sono “verità” e “sincerità”,
concetti che approfondisce lasciandosi
guidare dalle suggestioni più svariate.
Riflette, nello specifico, sull’accostamento di
bellezza e sofferenza, che può riscontrare
nel cinema, nell’aspetto turbato, ma sincero
del personaggio interpretato da Naomi
Watts nel film “21 grammi”, ma anche nel
Principe Myskin, personaggio dell’Idiota di
Fedor Dostoevsky, capace di apprezzare una
bellezza intrisa di sofferenza.
ALEXANDRA KOTLOVA
66
L’OPERA
You look fine appartiene ad una serie di ritratti
fotografici sulla bellezza e sulla sincerità. Gli scatti
sono volutamente organizzati in composizioni semplici,
ma avvolte da sfondo emotivo complesso che invade lo
spazio personale della modella. Una giovane donna
è mostrata non solo senza trucco o capelli fatti, ma
anche senza difese psicologiche, senza maschera. E’
esposta nel momento in cui si sente a disagio, stressata,
probabilmente infelice. Eppure è ancora bella, è come
se dicesse: «Non devi apparire elegante nei momenti
difficili. Va tutto bene. Sei sempre tu».
You look fine
2012, fotografia - colour film, trittico
30x45 cm ciascuna
67
Ovidiu Leuce
nasce nel 1981 a Zalau in Romania, vive
e lavora a Roma dove ha compiuto gran
parte della sua formazione artistica. Dopo
aver concluso nel 2000 il quadriennio in
Ceramic Design presso l’Università di Arte
e Design di Cluj Napoca, si trasferisce in
Italia e si diploma e specializza in pittura
all’Accademia di Belle Arti di Roma,
dove è cultore della materia “Tecniche
di procedimenti a stampa”. Si dedica
OVIDIU LEUCE
68
con costanza all’attività di pittore ed
espone in numerose mostre collettive e
personali. Si segnalano in particolare la
partecipazione nel 2009 alla selezione
finale del ”Premio Nazionale delle Arti”
presso la galleria d’arte contemporanea Le
ciminiere di Catania, nel 2010 la “Biennale
Arte e Sport (A.O.N.I.)” all’Auditorium
Parco della Musica di Roma e nel 2012
la mostra “Intercultural Painting Camp”
promossa dalla Galleria 6° Senso di Roma
e dall’Università di Pamukkale a Denizli,
in Turchia. Recentemente ha esposto in
Romania nella personale “Postcards” presso
lo StudioBruck di Sibiu e a Roma nel 2014
nella personale “Ovidiu Leuce” presso lo
Studio Alfredo Pirri. Ha in programma
per l’estate del 2014 la partecipazione
alla residenza d’artista e al workshop
del progetto “Art in Progress. Cantieri del
contemporaneo” presso il Centro Visita
Cupone, nel Parco Nazionale della Sila.
L’OPERA
Postcards è un progetto in fieri iniziato nel 2012 per il ciclo di eventi “Idee
migranti” al Museo Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma. Alla base di queste
opere su carta c’è un vasto archivio di immagini attinte dai media o da foto di
famiglia, legate all’esperienza dell’immigrazione. Le immagini sono ritagliate,
dipinte ed incollate su fogli di carta con spessore e qualità diverse. Il risultato
sono piccole composizioni, pagine di un diario al tempo stesso personale
e collettivo. Nulla viene spiegato o documentato, i personaggi, gli oggetti,
galleggiano in spazi indefiniti, costruiti solo da pennellate veloci di colore. Per
questo progetto di ricerca l’artista ha concepito anche libri d’artista ed una
serie di lavori su carta di grandi dimensioni.
Postcards
2012-13, acrilico e collage, serie,
dimensioni variabili
69
Eleonora Mariotti
nasce nel 1983 a Borgo a Mozzano, in
provincia di Lucca. Nel 2008 consegue la
laurea in Interior Design presso l’Università
di Firenze e nel 2010 si specializza
in Yacht Design nel corso interfacoltà
dell’università di Genova e del Politecnico
di Milano.
La passione artistica di Eleonora Mariotti
si manifesta in varie discipline, oltre al
design, campo principale della sua ricerca,
l’artista coltiva la passione per il disegno e
la musica e nel 2006 si diploma in Teoria
e Solfeggio all’Istituto Musicale Cherubini
Firenze. Il 2011 è un anno decisivo, inizia,
infatti, a lavorare come designer freelance
e ad esporre i suoi lavori in diverse
manifestazioni: a Torino in occasione di
“ToBE[eco]2011 - il villaggio del design di
Expocasa”; a La Spezia per “Ecocentrica
2011- La casa sensoriale” e a Roma
nell’esposizione “Moa casa 2011 - Spazio
ELEONORA MARIOTTI
Pagelamp, 2013
70
Ecombo, 2013
Doppio Senso”.
Come sviluppo spontaneo del suo percorso
professionale l’artista da vita a Mariotti
Design, uno studio ed un laboratorio di
idee, di creatività e di sperimentazione
artistica, intesa sia come design che come
artigianato.
L’artista sviluppa le sue ricerche tenendo
in considerazione, da una parte la
funzionalità, l’estetica, lo stile e dall’altra la
ripresa dei mestieri artigianali.
L’OPERA
Sashiko, da cui il nome dell’opera, è una tecnica di ricamo
giapponese, utilizzata anticamente per decorare le parti trapuntate
del kimono. Questo tipo di cucitura è stato reinterpretato e
applicato al design di un tavolino da fumo, rivisitando la tecnica
originaria ed il suo significato. Il filo, che nel ricamo crea semplici
decori blu, si trasforma qui in un laccio di jeans blu e diventa
elemento caratteristico e particolare, ossia l’elemento di giunzione
tra il ripiano superiore e quello inferiore del tavolino. L’oggetto è
completamente pensato ad incastro e presenta sul piano superiore
dei tagli funzionali all’inserimento dei bicchieri.
Sashiko
2013, taglio ad incastro/legno,
70x42x40 cm
71
Ekaterina Maximova
nasce nel 1982 a Mosca. Si laurea nel
2004 in Linguistica all’Università Statale di
Mosca e nel 2006 frequenta il Master in
Business Administration dell’Università di
Magdeburg.
Parallelamente agli studi accademici coltiva
la passione per la fotografia. Nel 2009 è
selezionata tra i finalisti del concorso russo
“Best Photographer”. Dal 2010 intraprende
una collaborazione, ancora attiva, con
la rivista “GEO Russia Magazine” e
perfeziona lo studio della fotografia
indirizzandosi verso una ricerca di tipo
giornalistico e documentaristico. Tra il 2011
e il 2014 segue i corsi dei fotogiornalisti
russi Artem Chernov e Sergey Maximishin.
Nel 2013 presenta i suoi lavori a Mosca
nella collettiva “The Best of Russia” e vince
il terzo premio al “Uglich Photo Festival”.
Sempre lo stesso anno partecipa a Mosca
alla collettiva “Without barries” ed a
Yekaterinburg espone nella mostra “The
first after”.
EKATERINA MAXIMOVA
72
L’OPERA
Cloister on the lake Kenozero in Archangelsk region è un progetto
fotografico di indagine e narrazione della storia esistenziale di
Natalia e Wladimir. Natalia e Wladimir lasciarono Mosca cinque
anni fa per vivere lontano dalla civiltà e ritirarsi in preghiera.
L’artista, senza mai mostrare i loro volti per volontà dei soggetti di
non essere riconosciuti, sintetizza in tre scatti la loro quotidianità
e l’essenza della loro scelta di vita. Natalia e Wladimir pescano,
costruiscono con le loro mani una casa moderna, nutrono le
pecore e i polli. Credono in Dio e vogliono essere lasciati in pace.
Le foto sono state scattate nel 2013 e presentate in Russia al
“Photo Festival” di Perm.
Cloister on the lake Kenozero in Archengelsk Region
2013, fotografia, Pentax Km, Pentax SMC-FA 50 mm f/1.4, trittico
30x40 cm ciascuna
73
Mane Oumar Voumadou
nasce nel 1981 in Senegal. Nel 2010
parte verso l’Europa in cerca di condizioni
migliori, arriva a Bergamo dove attualmente
vive e lavora. Ha una formazione nel
campo della grafica e dell’informatica,
nel 2004 ottiene il brevetto di “Tecnico in
elettronica e manutenzione informatica”.
In Senegal frequenta l’Istituto Superiore
di Tecnologie “Suptech”, dove nel 2006
consegue il diploma di “Tecnico Superiore
in grafico designer” ed inizia a collaborare
come grafico freelance per diverse
agenzie, quali “Web 4 all”, “Golden eyes”,
“Lookhy”.
La sua formazione artistica e personale
è segnata dall’esperienza determinante
della migrazione, che l’artista racconta
attraverso fotografie ritoccate e montate con
programmi di grafica.
MANE OUMAR VOUMADOU
74
L’OPERA
Omar è la storia di un viaggio di andata senza ritorno. Omar, un giovane
pescatore senegalese di 30 anni, senza speranze, decide di partire per
l’Europa in cerca di una vita migliore. Il viaggio verso l’Europa è la sola
speranza per l’unico uomo maggiorenne del suo villaggio natale Sing
Sing. Le donne e i bambini del villaggio hanno venduto tutti i loro beni per
comprargli il biglietto che gli permetterà di partire. Omar consapevole dei
rischi il 13 giugno del 2010 partì con altre tre persone. Il mezzo di trasporto
era una piroga. Non avendo avuto sue notizie donne e bambini ritornano
ogni giorno nel luogo di partenza.
Omar
2013, stampa digitale con lavorazione e montaggio photoshop, trittico
120x76,13 cm ciascuna
75
Emmanuele Panzarini
nasce a Padova nel 1984. Fin dai primi
anni della sua formazione si manifestano i
due aspetti centrali della sua personalità, la
propensione ad abbracciare le discipline
artistiche e la tendenza ad intraprendere
periodi di studio e di ricerca all’estero.
Nel 2006 si laurea al Dams di Padova
e l’anno dopo frequenta a Bilbao, con
una borsa di studio Erasmus, il corso di
laurea in “Licenciatura en Comunicación
Audiovisual” presso l’Universidad del País
Vasco. Nel 2009 si laurea in Scienze dello
Spettacolo e della Produzione Multimediale,
con una tesi in cinema. Collabora con
riviste specializzate italiane e straniere,
come “Fotografare” e “FotoDNG”. Le sue
foto sono pubblicate anche su riviste di
architettura tra cui: “Inside Quality Design”
(Italia), “Summa+” (Argentina), “Novum”
(Germania), “Trama” (Ecuador), “eVolo”
(USA), “Architecture+Design” (India),
“Architektur” (Austria), “Architetti” (Italia),
“NAN” (Spagna).
EMMANUELE PANZARINI
In alto: Like a stone, 2013
In basso: Life in square, 2013
76
L’OPERA
Crossing over è un progetto fotografico sul flusso migratorio tra il Messico
e gli Stati Uniti d’America, la frontiera internazionale più attraversata al
mondo, dove ogni anno 300 milioni di persone si spostano legalmente.
Nel 1994 entra in vigore il NAFTA, l’accordo nordamericano per il
libero scambio, che si prefigge tra i suoi obbiettivi di eliminare le barriere
alle importazioni, promuovere le condizioni di leale concorrenza ed
incrementare le opportunità di investimento. Un accordo fortemente
criticato negli USA, per la possibile diminuzione dei salari interni a
causa dell’immigrazione ed osteggiato in Messico, per la difficoltà degli
agricoltori locali di poter competere contro i forti sussidi statunitensi al
mondo agricolo.
Crossing over
2013, stampa lambda, dittico
50x200 cm ciascuna
77
Sergei Prokofiev
nasce nel 1983 a Mosca, dove frequenta e
si diploma nel 2011 presso la scuola d’arte
moderna “Free workshop”, organizzata
dal MMOMA - Museo di Arte Moderna di
Mosca, e nel 2013 si diploma all’ ICA Istituto d’arte contemporanea. Ha esposto
i suoi lavori sia in Russia sia in Italia,
nel 2011 partecipa ad “House of Artists
South Butovo”, progetto speciale interno
alla 4° Biennale di arte contemporanea di
Mosca ed espone a Treviso nella rassegna
“Looking Eastward - Artisti di oggi dalla
Russia, Ucraina, Moldavia, Armenia e
Uzbekistan”, promossa dalla Fondazione
Benetton. Nel 2013 partecipa ancora
alla Biennale d’arte contemporanea di
Mosca nella sezione “Nothing of the sort”,
in mostra al “Moscow Museum”. L’artista
concepisce le sue opere come mezzi
poetici per la trasmissione di emozioni ed
esperienze, con l’intento di comunicare
senza ricorrere a definizioni o note
esplicative.
SERGEI PROKOFIEV
Suffering self, 2011
Place, 2011
78
La sua ricerca artistica si esprime in video,
installazioni ed oggetti d’arte attraverso i
quali esplora le aree periferiche dell’arte e
della percezione umana.
Di recente ha iniziato a lavorare a Cross
for suntan per il quale impiega lampade
solari e parallelamente sta sviluppando un
progetto collettivo per la biennale europea
d’arte contemporanea “Manifesta 10”
e con gli artisti Andrey Mitenev e Leha
Garikovich collabora al progetto Four days
without war.
L’OPERA
Block è un’istallazione composta
da lampade fluorescenti ideata
prendendo spunto dalle manifestazioni di protesta avvenute in
Russia nell’inverno del 2011, le sue
dimensioni ricalcano in scala 1:1
i blocchi di transenne utilizzati in
quella circostanza. L’opera invita
ad una riflessione sul potere dello
stato e sui numerosi muri che agiscono dentro e fuori di noi.
Block
2011, installazione: mixed media/fluorescent
lamps, 270x60x120 cm
79
Sergio Racanati
nasce in Puglia, a Bisceglie nel 1982,
attualmente vive e lavora tra Milano, Bari
e Berlino. Dopo il diploma nel 2004 in
Fashion Design presso lo IED di Milano,
l’artista intraprende un percorso di
formazione prevalentemente all’estero,
partecipa a residenze d’artista, workshop
ed espone in Italia, Europa e America.
Nel 2012 è in Belgio per il programma di
residenze promosso dal Z33 Contemporary
Museum di Hasselt e a Londra per la
residenza “Performance Space”. Nel 2013
è negli USA, a Boston, per il programma
“Harvard Univercity visiting” ed espone
alla “New York Biennale Art” dove riceve il
premio “performance art”.
Tra i progetti futuri in estate parteciperà ad
un progetto di rigenerazione urbana nei
luoghi abbandonati delle zone periferiche
della Puglia.
Centro del suo lavoro è, infatti, l’interesse
per la storia sociale dell’uomo in relazione
al suo ambiente urbano, politico ed
SERGIO RACANATI
Performance, 2013
80
Performance, 2013
architettonico.
Attraverso la lettura critica dei sistemi di
potere e della realtà globalizzata, l’artista
si interroga sulla possibilità dell’arte di
operare trasformazioni nei contesti sociali.
La sua pratica artistica punta ad innescare
processi di partecipazione, per realizzare
delle opere-azioni collettive che abbiano
ripercussioni sulla comunità locale.
L’obiettivo è innescare riflessioni sulle
pratiche politico-gestionali in materia di
riqualificazione e rigenerazione urbana.
L’OPERA
Krakodek è il risultato di un’opera-azione partecipata e sentita con
gli abitanti di una zona periferica della città di Miami, un quartiere
fantasma, senza segnaletica o indicazioni. Qui non passano
autobus di lusso o turisti, non si vedono grattacieli, ma palme e
lamiere che ricoprono le abitazioni. Dall’imbrunire alla sera un
gruppo di giovani hanno distrutto a colpi di martello un’automobile
abbandonata.
L’artista, dal tetto dell’automobile, ha declamato tre
parole chiave, sentite nelle assemblee di quartiere, lette sui muri e
nei manifesti: economy, power, terrorism. L’opera, mette in evidenza
i simboli del capitalismo e riflette sul ruolo dell’arte in un momento
storico, globalmente attraversato da differenti crisi.
>Krackode<
2013, fotografia stampa lambda,
100x65 cm
81
Klaudia Shkurti
nasce a Durazzo nel 1989 e nel 2012
consegue la laurea triennale in Civiltà
e Lingue Straniere Moderne presso
l’Università degli Studi di Parma. I suoi
interessi sono estremamente vari e così la
sua formazione artistico professionale, che
spazia dall’approfondimento della lingua
e civiltà giapponese fino allo studio della
poesia ed il teatro. Gli ambiti che indaga
con più costanza e sui quali si specializza
sono la scrittura e la fotografia e nel 2013
partecipa alla mostra collettiva “Speciale
18 - 25 – Fotografia Europea”, organizzata
presso i Chiostri di San Pietro a Reggio
Emilia. La sua ricerca artistica si focalizza
principalmente sul tema della percezione
delle identità e sulle problematiche legate
all’integrazione.
Partecipa, infatti, alla mostra/performance
di street art “Inside / Out - L’Italia sono
anch’io” un progetto di arte pubblica
a sostegno della campagna per i diritti
dei cittadini di origine straniera ed alla
“Primavera senza razzismo”, progetto
promosso dalla rete TogethER.
CLAUDIA SHKURTI
Untitled, 2013
82
Untitled, 2013
L’OPERA
(Prospettiva) - Half-man raffigura il punto di
confine tra due identità. Lo scatto della fotografa
fissa il soggetto nell’istante prima che avvenga
un cambiamento di visione e mette in risalto
l’ambiguità insita nella fase di transizione. L’opera
infatti vuole rappresentare un passaggio, un
cambiamento, offrire un esempio della molteplicità
dei punti di vista, delle prospettive che si possono
considerare nelle varie situazioni. Invita lo
spettatore a lasciare che la propria interiorità si
confonda con le molteplici esteriorità. È un gioco
di prospettive.
(Prospettiva) Half-man
2013, Stampa digitale, pentax 110D,
100x70 cm
83
Rodolfo Schmidt
nasce nel 1979 a Buenos Aires, dove
nel 2002 si laurea in comunicazione.
Si avvicina alla fotografia grazie ad una
vecchia fotocamera del padre, una SRL in
pellicola 35 millimetri, che l’artista ripara e
dalla quale non si separa più, alternandone
l’uso con il digitale.
Nel 2002 frequenta la scuola di
fotografia creativa Andy Goldstein,
dopo questa esperienza si trasferisce a
Londra e vi resta per due anni. Tra le sue
esperienze lavorative sono significative
le collaborazioni con riviste, quali Rolling
Stones e Time out. Il contatto con il mondo
della pubblicità insieme alla sua formazione
in comunicazione sono percepibili nei suoi
lavori, così come l’influenza dichiarata dei
fotografi William Eggleston e Martin Parr.
Nel 2010 è tra i finalisti di “Ten best Ten”,
concorso internazionale di fotografia
promosso dalla Sony. Nel 2011 espone
The fridge portrait project alla Galleria
Central de Proyectos di Buenos Aires e nello
RODOLFO SCHMIDT
84
stesso anno l’artista apre a Buenos Aires la
galleria “Fiebre”, attiva nella promozione di
giovani artisti emergenti. Tra i nuovi progetti
Rodolfo Schimdt lavora a Smart People –
street art project, serie che ritrae icone pop,
come Andy Wharool, Kurt Cobain, Charles
Bukowsky con uno smart phone in mano. Il
progetto gioca sul quesito: “Cosa avrebbero
fatto se avessero avuto uno smart phone?”
forse, secondo l’artista, avrebbero limitato
la loro creatività e non avrebbero realizzato
nessuna delle cose che li ha resi celebri.
L’OPERA
Fridge 24 fa parte della serie The Fridge portrait project. In più
di 100 immagini, riprese tra Buenos Aires e Londra, l’artista
ha ritratto dei frigoriferi ed i loro proprietari con l’intento
di indagare chi siamo e cosa mangiamo in un percorso
antropologico. Le foto sono scattate con una SRL digitale,
prediligendo la luce naturale ed in alcuni casi utilizzando un
riflesso. L’idea è nata per caso, da uno scatto che l’artista ha
fatto al suo frigo e sul quale ha poi sovrapposto per gioco un
autoritratto. I soggetti sono amici, familiari o semplicemente
persone con cui l’artista entra in relazione.
Fridge 11, 86, 34, 24
2012, fotografia, serie,
100x120 cm ciascuna
85
Marco Strappato
nasce a Porto San Giorgio nel 1982, vive
e lavora a Londra, dove sta frequentando
il Royal College of Art. In Italia si è formato
in pittura presso l’Accademia di Firenze
ed in seguito ha approfondito gli aspetti
legati al cinema sperimentale e alla video
arte presso l’Academia di Brera. Ha
partecipato a numerose mostre, sia in Italia
sia all’estero,
tra le personali più recenti si
segnalano nel 2013 “FakeLake” a Milano
presso il Crédit Agricole e Corporate &
Investment Bank e nel 2011 “La ripetizione,
qualora sia possibile, rende felici” presso
The Gallery Apart Roma. Tra le collettive
si indicano in particolare nel 2013 “The
Crisis of Confidence” al Victoria Art Center
di Bucarest, nel 2012 il “13° Premio Cairo”
al Palazzo della Permanente di Milano
e sempre lo stesso anno “Videorover:
Season 4” presso la NURTURE art Gallery
di Brooklyn a New York e “Not Afraid
MARCO STRAPPATO
Fake lake n. 4, 2012
86
of Beauty” al Drome Project Space di
Bruxelles. Inoltre, ha preso parte ad
importanti progetti di residenze d’artista, tra
cui il più recente nel 2013 “@VIR-Viafariniin-residence” a Milano. I mezzi espressivi
che predilige sono il video, le installazioni,
i collage e le fotografie, attraverso i quali
porta avanti una riflessione sul significato
delle immagini ed un processo che
attraverso la sottrazione della forma arriva
al potenziamento dell’immagine stessa.
L’OPERA
Scarti del Novecento & Scarti di Scarti del Novecento si compone di due
immagini care all’artista, due immagini che parlano di un passato personale,
familiare. Due immagini che allo stesso tempo raccontano una storia del secolo
scorso. Due immagini irriconoscibili perché trafitte, recise secondo uno schema
simmetrico. I tagli praticati dall’artista, nel primo caso, scompongono le figure
imponendo una progressione cinetica tipica della pittura futurista. Nel secondo
intervento, invece, il bordo frastagliato della fotografia diviene la cornice di
un rilievo costruttivista o di una composizione suprematista. In tal senso la
riflessione su un vissuto individuale è il pretesto per proporre un riverbero del
secolo delle Avanguardie.
Scarti del Novecento & Scarti di Scarti del Novecento
2010, collage, found photography, dittico
40x60 cm ciascuno
87
Alexey Tregubov
Nasce a Mosca nel 1979. Si diploma in
pittura alla State Academic Art College
di Mosca e nel 2009 completa i suoi
studi presso il Surikhov State Academic
Art Institute di Mosca. Già dal 1996
inizia ad esporre i suoi lavori e presenta
una produzione estremamente varia,
che spazia dalla pittura alla grafica,
dai mosaici alle istallazioni. Nel 2011
partecipa alla collettiva “Workshop 20’11.
Today/Tomorrow” presso il Museo di Arte
Moderna di Mosca.
I suoi lavori sono stati esposti nel 2010
in due personali, in Finlandia presso la
“Korjaamo gallery” di Helsinki ed in Francia
presso la galleria “Polisemie” di Marsiglia.
Alexey Tregubov sviluppa la sua ricerca
artistica anche in teatro e nel 2009 realizza
l’allestimento scenografico per il A. A.
Bakhrushin State Theatre Museum di Mosca,
in occasione di tre mostre dedicate a Faina
Ranevskaya, Simon Virsaladse, Nikolai
Gogol. Nonostante abbia conseguito una
formazione classica in grafica, pittura,
mosaico ed affresco, l’artista è affascinato
dalla scenografia e dalla realizzazione
di oggetti d’arte. In particolare è attratto
dalla plasticità, intesa nel senso più ampio
del termine, riferita non solo alla materia,
ma anche alle idee, ai sentimenti e alle
sensazioni.
Così intesa la plasticità concerne i rapporti
con il mondo e quindi per l’artista indagarla
significa entrare nel merito delle relazioni
tra gli oggetti e le persone.
Al momento sta lavorando sulla serie
Order of things ed ha in programma una
personale alla Iragi Gallery di Mosca.
ALEXEY TREGUBOV
The row, 2013
88
Fasten, 2013
L’OPERA
Hit- it è un oggetto d’arte rappresentativo della
serie Order of things, basata sul procedimento
di alterare la funzione concreta, razionale
di un oggetto introducendo un elemento che
ne disturba il significato. Nel caso di Hit - it
l’oggetto si compone di due tirassegni che
sono fusi in uno. Chiunque lo veda può colpirlo
(«Hit it») e può giocare. Il gioco consiste nel
fare centro, ma ci sono due centri e ciò rende
il gioco senza senso. Lo spettatore è posto di
fronte ad un oggetto familiare, noto, ma al
contempo inutilizzabile.
Hit it
2013, metallo, plastica, pittura,
55x43 cm
89
VINCITORI DELLE PASSATE EDIZIONI DI CENTRO PERIFERIA
Alessandro Scarabello - Comune di Roma
Tuomo Rosenlund - Ambasciata di Finlandia a Roma
Paolo Angelosanto - Museo d’Arte Contemporanea di St. Etienne, Francia
Francesco Mernini - Provincia di Roma
Anja Puntari - Comune di Milano
Maria Chiara Calvani - Comune di Roma
Costanza Estefanìa Cipriani - Focal Point, Buenos Aires
Guldane Araz - Istituto Italiano di Cultura, Ankara
Nicola Bettale - Regione Veneto
Germàn Lagna - Museo de Bellas Artes, Buenos Aires
Enrico Tealdi - Comune di Torino
Kaulaka Vineta - Foreign Art Museum, Riga, Lettonia
Tiziano Torroni - Comune di Roma
Michele Parisi - Provincia Autonoma di Trento
Lilve Garcìa - Museo de Arte Moderno Santo Domingo
Lina Hakim - Istituto Italiano di Cultura, Beirut
Andrej Abramov - Consolato Onorario della Federazione Russa delle Marche
Tania Brassesco & Lazlo Passi Norberto - Regione Veneto
Jan Guper - Ambasciata del Brasile a Roma
Rori Palazzo - Comune di Palermo
I VINCITORI DELL’EDIZIONE 2013
Opera vincitrice:
Pot Pourri
2010, fotografia digitale
dalla serie “The Essence of Decadence”,
127 x 95 cm
Daydream, 2012
dalla serie
“The Essence of Decadence”
Fairy book, 2011
dalla serie
“Fairy Tales Now”
TANIA BRASSESCO
& LAZLO PASSI NORBERTO
Grazie al concorso Centro-Periferia abbiamo avuto il piacere di esporre in prestigiose sedi italiane
quali il Tempio di Adriano, Palazzo delle Esposizioni e Palazzo Ziino.
Nell’ultimo anno abbiamo continuato il nostro percorso artistico ed esposto in diverse mostre tra le
quali: “Under Influences” presso La Maison Rouge a Parigi, insieme ad artisti come Damien Hirst,
Jean-Michel Basquiat, e Yayoi Kusama - “Curators at work” e “In Tandem” presso il Muscarelle
Museum of Art In Virginia - USA, dove le nostre opere sono entrate a far parte della collezione permanente ed esposte al fianco di Cindy Sherman e David Hockney. L’ultima nostra mostra personale
“ECHI” è ospitata da Aprile a Luglio 2014 presso Spazio Arte CUBO, Centro Unipol Bologna.
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Opera vincitrice:
Fora da Fila
2012, olio su tela,
100 x 140 cm
Da Janela, 2013
Sinal fechado, 2013
JAN GUPER
La mia partecipazione e seguente vittoria al concorso Centro/Periferia è stata un’utile opportunità
per mostrare il mio lavoro ad un pubblico straniero, ciò mi ha permesso di avere la percezione
delle reazioni che le mie opere suscitano in contesti culturali diversi da quello della mia città, San
Paolo. Nel corso dello scorso anno ho lavorato molto sul paesaggio urbano caotico della mia città,
cercando di re-interpretare questo immaginario comunemente sottovalutato o ritenuto non significativo. Questo esercizio mi ha portato a notare i simboli sottostanti che appartengono alle vite della
gran parte delle persone che vivono nelle megalopoli dei maggiori paesi sottosviluppati. L’anno
scorso ho partecipato alla mostra collettiva “Garimpagem” presso la Galeria de Pintura Brasileira
di San Paolo e sempre a San Paolo ho esposto nella personale “Mercearia Sao Roque”. Inoltre, le
riviste “Il Presidente” ed “Efemero concreto” hanno pubblicato degli articoli sul mio lavoro.
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Opera vincitrice:
Dream 01_ La mia casa
2011, stampa fotografica su carta baritata
dalla serie “Dream”,
140 x 80 cm
Narciso, 2013”
RORI PALAZZO
Il concorso Centro/Periferia mi ha dato la possibilità di esporre in luoghi prestigiosi a Roma e di
confrontarmi con realtà di artisti interessanti. Da Centro/Periferia in poi è iniziato un periodo di
riconoscimenti ed eventi espositivi importanti. Ho partecipato al concorso Arte Laguna a Venezia,
arrivando tra i finalisti ed ho vinto il premio speciale Art Gallery con la Galleria Primo Piano, a
Napoli, dove ho esposto nel dicembre del 2013 nella personale Dream #. Ho vinto il concorso
indetto dalla BNL per il suo centenario e ho partecipato alla mostra “The sea is on my land”, al
Maxxi, curata da Francesco Bonami ed Emanuela Mazzonis. A maggio 2013 ho esposto a Düsseldorf nella mostra “Die Form des Wassers, 7 Künstlerinnen aus Sizilien, Kunst im Hafen” ed in aprile
a Palermo nel progetto “IN-WORK” allo ZAC-Zisa Zona Arte Contemporanea. In programma ho
una mostra a Noto e poi a Milano per la mostra “The sea is my land”, che girerà in alcune città.
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Opera vincitrice:
City landscape
2011, stampa digitale su metallo
dalla serie “Simulatory”,
40 x 60 cm ciascuna
Untitled, 2013
Untitled, 2013
ANDREY ABRAMOV
Vincere il concorso Centro-Periferia è stato un vero regalo. Ho avuto l’opportunità di esporre in una
delle più belle città del mondo. È stato bellissimo. C’erano più di 300 candidature da tutto il mondo
e dalla Russia 70 artisti con stili diversi. Pertanto, vincere e perlopiù essere scelto dal Comitato Scientifico è stato un onore per me. Ho capito che sto andando nella giusta direzione. È stato più facile
trovare un linguaggio comune con gallerie e istituzioni culturali poichè queste vogliono investire
in qualcosa che ha già avuto successo e Federculture ha realmente scoperto nuovi nomi. Recentemente ho esposto in una personale nella Moscow Photobiennale 2014 (MMOMA Ermolaevsky st.).
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I PARTNER
COMPUTARTE
ComputArte è il progetto curato dalla Cybertec Services Srl per proporre il personal computer
come complemento di arredo e pezzo d’Arte da posizionare anche in salotto per fruire di contenuti
e servizi (domotica e teleassistenza), con un interfaccia naturale (a comandi vocali e gestuali) sulla
TV, rispettando la privacy di chi lo utilizza. Il nome stesso è una miscela fra tecnologia e arte, per
donare ad uno strumento antiestetico e solitamente anche ingombrante, una personalità ornamentale che sappia dialogare con la soggettiva sensibilità estetica della persona che lo utilizza.
ComputArte declina il concetto di democrazia tramite forme, colori e materiali, con un’anima
eco-sorridente.
(“Quando la Tecnologia si veste d’Arte, ama la Natura©“: ciclo di vita oltre l’obsolescenza delle
singole componenti, materiali nobili come legno, vetro, ceramica, marmo, tessuti naturali, pelle e
consumi ridotti). Il desiderio di coinvolgere artisti e disegnatori che accettino la sfida di personalizzare un pc, è un elemento portante del progetto.
La Collezione è composta da 137 modelli ornamentali ed un sistema di raffreddamento brevettato
che consente l’integrazione di componenti ad alte prestazioni, in volumi estremamente compatti.
(Schede madri desktop Mini-Itx, cpu Intel i7, 16BG ram, HD SSD, blu-ray)
Dina Pirami è il primo modello realizzato e dedicato agli amanti della geometria, in sezione aurea
(1,618). Il complesso geometrico archetipale scaturisce dall’unione di tre volumi ispirati dalle forme
euclidee pure (quadrato, cerchio e triangolo).
La Piramide è in proporzione perfetta a quella egiziana del Faraone Cheope sulla piana di Giza.
In esso è presente un messaggio esoterico che simboleggia l’evoluzione umana in chiave geometrica. Partendo dal basso verso l’alto, il parallelepipedo che scaturisce dal quadrato, simboleggia la
vita in senso fisico, racchiusa in limiti tangibili e misurabili (lo spazio ed il tempo).
Il cilindro che è generato dal cerchio, rappresenta il pensiero, la capacità di elucubrare e la fantasia che, svincolati dalla materia e dai suoi limiti, elevano la condizione da essere vivente, ad essere
pensante e sognante.
La piramide simboleggia la ricerca del trascendente nella coincidentia oppositorum (sulla base gli
estremi che man mano che si aumenta l’altezza, coincidono nel vertice).
www.computarte.it
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VINO LAURIA
L’azienda VinoLauria nasce nel 2010 con l’obiettivo di selezionare e trasformare le migliori uve
da vigneti siciliani, per ottenere vini tradizionali ed innovativi allo stesso tempo. Attraverso l’unione
di una decennale esperienza enologica con una profonda conoscenza del territorio, la ricerca
qualitativa va avanti anno dopo anno, riportando in etichetta il vigneto d’origine e le caratteristiche
aromatiche dei vini ottenuti. VinoLauria
www.vinolauria.it
[email protected]
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ASIA PROMOTION
ASIAPROMOTION da anni si pone come ponte tra i paesi asiatici e l’Italia per l’organizzazione di
corsi di formazione e servizi di consulenza, con particolare riferimento al mercato Cinese. I corsi di
formazione sono volti alla promozione del made in Italy, riconosciuto, nei paesi asiatici, oltre che
a livello mondiale, come simbolo di qualità, eleganza, cultura, genialità ed innovazione. L’Asia
dimostra grande interesse a conoscere le caratteristiche fondamentali che hanno fatto diventare i
brand italiani tra i più famosi nel mondo. In particolare i settori che destano l’interesse dei paesi
orientali sono la moda, il design, la ricerca, l’innovazione tecnologica e il patrimonio dei beni culturali Italiani. Asiapromotion favorisce e sostiene la creatività Italiana organizzando, inoltre, eventi
culturali, incontri e viaggi studio.
www.asiapromotion.com
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SAINT LUIS
Dal 1976 il Saint Louis è fra le più rinomate Istituzioni didattiche musicali di eccellenza di respiro
europeo, con 1.500 allievi ogni anno provenienti da ogni Paese. Vanta un corpo docente stabile
composto da 120 docenti di fama nazionale, diretto dal M°Stefano Mastruzzi.
E’ la prima e unica Istituzione privata in Italia di Alta Formazione Artistica Musicale autorizzata dal
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a rilasciare diplomi accademici di I livello
(equivalenti a laurea triennale) e di II livello (equivalente a laurea biennale)
Sedi e attività
Ha 3 sedi nel cuore di Roma (nel Rione Monti, tra il Colosseo e Via Nazionale) con 32 aule multifunzione, 3 studi di registrazione per la didattica e per le produzioni discografiche, un’agenzia
artistica (Saint Louis Management), tre collane discografiche (jazzcollection.it, urban49.com, camillarecords.it), un centro di produzione artistica per coltivare e produrre i migliori talenti, un magazine free-press (Music In), una collana editoriale (Saint Louis DOC) e un nuovissimo centro studi e
ricerche sul jazz (archivionazionaledeljazz.com) patrocinato dalle Biblioteche di Roma.
Il Saint Louis offre corsi professionali di jazz e popolar music (basso,batteria, canto, chitarra,
contrabbasso, piano, sax, tromba, trombone, percussioni, violino), composizione musica per film,
musica elettronica, tecnico del suono.
www.slmc.it
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Ringraziamenti
Per la diffusione del bando ed i contatti con gli artisti:
Eugenia Apicella, Maria Bava, Fausta Bressani,
Michela Cicchinè, Mario Colonna, Francesca Daniele,
Maria Teresa De Gregorio, Caio Flavio De Noronha,
Aurora Di Mauro, Claudio Grillone, Lorenza Holler,
Giulia Ingarao, Anna Vita Perrone, Federica Pirani,
Re Federico co-working, Damiano Razzoli,
Patrizia Rossello, Florinda Saieva, Giulia Scalia,
Massimo Scaringella, Lila Skarveli, The Gallery Apart,
Lucrezia Vega Gramunt.
Per la collaborazione ai testi:
Humberto Wagner Duraes de Oliveira, Lucia Ritrovato,
Renato Barchiesi, Fabio Ferrante, Giulia Pirrone,
Saverio Verini.
Si ringraziano inoltre:
Francesca Bianchi, Claudio Bocci, Flavia Camaleonte,
Francesca Chiappetta, Patrizia Clementini,
Paola Giacomini, Daniela La Marca, Valentina Modesti.
CONCORSO CENTRO - PERIFERIA
EDIZIONE 2014
ORGANIZZAZIONE FEDERCULTURE
E CATALOGO
A cura di
Silvia Rossi
Responsabile del progetto
Geraldina Cipolla
Ufficio mostre ed eventi
Ufficio Stampa
Patrizia Morici
Zetema
Allestimento
Alessandra de Angelis
scenografa
Design
Dario Galvagno
Stampa
Tipolitografia Bruni
CON IL SOSTEGNO DI
108
FEDERCULTURE