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Storia ed altre storie …..
…. dei Banchi dinamometrici, appunti sulla simulazione di
Inerzia con particolare riguardo alle applicazioni inerenti ai:
Banchi prova Freni
per uso automobilistico e ferroviario,
Il mio profilo su:
https://plus.google.com/118097787141960740864#118097787141960740864/about
Il mio paese:
Serre di Maniglia PERRERO
La mia @mail:
[email protected]
Prime stesure:
anni 19??-1992
Luglio 2012
A sinistra una mia immagine in versione
“professionale”, quindi giacca e cravatta. Al centro
una mia tipica espressione sul lavoro. A destra la mia
versione più nota: la più consona alla mia personalità,
quella “mondana”, quindi Bar, birra e sigaretta,
purtroppo non compare la ragazza che scattò la
fotografia.
Marsiglia (FR) Agosto 1994
1
Indice:
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Ma Quando e Perché hanno avuto inizio queste storie? Pag. 4
Sul contenuto. Pag. 10
Ciò premesso. Pag. 11
Ma in cosa consiste e come è composto un Banco prova Freni o Banco Dinamometrico?
Pag. 12
Note Storiche. Pag. 15
Banchi Prova Freno tradizionali, fino a Fine Anni 1980. Pag. 19
Il film “2001 Odissea nello Spazio” - Homo Faber e Animal lavorans. Pag. 23
Alcuni disegni di banchi prova freno per… Pag. 24
Controllo e Visualizzazione dei parametri – AUTOMAZIONE. Pag. 26
Il registratore su carta (poligrafo) Hewlett-Packard Modello 7414. Pag. 28
Il Personal Computer APPLE II, P.C. DIGITAL PDP11, PC IBM Modello XP. PC IBM
Modello AT. Pagg. 29, 30, 31
Il film della Disney “TRON” Pag. 32
Un rapporto tipo (1984) per la valutazione del materiale d’attrito testato al banco. Pag. 33
Le Prove sui materiali d’attrito. Pag. 39
Energia dei Corpi in Regime di Moto Traslatorio e Rotatorio. Pag. 47
Calcolo dei Volani. Pag. 52
Gli scartafacci di Elettrotecnica (1968). Pag. 54
Note Generali sugli Azionamenti. Pag. 57
Confronto tra motori D.C. e A.C. Pag. 59
Dagli anni ’30 fino agli anni ’70 Pag. 62
I gruppi Ward – Leonard Pag. 62
Il Motore in Corrente Continua C.C. Pag. 65
Dagli anni ’80 ai giorni nostri. Pag. 69
Principi di Funzionamento del Motore in C.C. Pag. 71
Cenni Costruttivi sui motori in C.C. Pag. 74
Come leggere la targhetta identificativa di un motore elettrico. Pag. 77
Calcolo dei tempi di avviamento per un motore in C.C. cui sia collegato un carico inerziale.
Pag. 78
Banco Prova Freni con Simulazione di Inerzia. Pag. 81
Descrizione del Processo di Simulazione. Pag. 82
Una nuova concezione di Banchi Prova (Anno 1989 e successivi) Pag. 86
Rendimento del Motore Elettrico. Pag. 92
Calcoli e Grafico della Zona di utilizzo del Banco. Pag. 93
Caso in cui lo pneumatico è montato e preme sulla periferia della ruota folle…. Pag. 96
Il controllo e l’Azionamento della Macchina per Velocità nella zona di interdizione…..
Pag. 98
Il cavo BOWDEN Pag. 101
Azionamento da Motore Secondario…. Pag. 103
Gli attuatori (Motori) idraulici Pag.104
Motoriduttori ad ingranaggi. Pag. 107
Un caso reale. Pag. 109
Innesto frontale (giunto) a Denti. Pag. 112
Innesto frontale (giunto) a Perni (Pioli). Pag. 116
Un grafico relativo ad una prova di µ statico al Banco. Pag. 117
2
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Metodi per l’applicazione della pressione al freno in prova. Pag. 120
Il Moltiplicatore di Pressione (Aria – Olio). Pag. 120
Il circuito idraulico. Pag. 125
La servo valvola. Pag. 125
Confronto Aria-Olio e Olio-Olio. Pag. 129
Soluzione alternativa ai precedenti: Sistema Elettro-Meccanico. Pag. 132
Il Banco Prova Freni per le Ferrovie (F.F.S.S) Pag. 135
Il freno a ceppi F.F.S.S Pag. 137
Complessivo Ruota monoblocco B 46 UR/m - Rotaia 50 UNI Pag. 139
Il freno a disco F.F.S.S Pag. 141
Riferimenti e siti utili Pag. 148
CONCLUDENDO Pag. 149
3
Ma Quando e Perché hanno avuto inizio queste storie?
Quando …
… fin dalla mia infanzia
Perché …
… sono convinto che il trascorrere degli anni non giovi al fisico umano, non lo migliora, ma ancor
più degrada inesorabilmente la capacità di memoria del cervello che lo comanda.
Siamo
tutti
consapevoli,
talvolta per sentito dire dalle
persone più anziane, oppure, ed
è il mio caso, per esperienza
diretta che:
la perdita progressiva della
facoltà di ricordare è uno dei
sintomi più manifesti della
malattia scoperta da quel
Medico tedesco, pare si
chiamasse Dr. Alzh….., il
nome completo, ovviamente
non lo ricordo.
Morbo che, a volte, fa
dimenticare cosa hai mangiato
a pranzo, ma, paradossalmente
a me ricorda alla perfezione, il
volto della maestra di cui 53
anni prima ero perdutamente
innamorato.
In questa foto risalente al 1959,
ripresa dal bravo Geometra
PRIANO, dipendente della
S.V.C. (Società Val Chisone),
che ritrae la classe IV della
piccola scolaresca della mia
borgata (Miniere Gianna) in Val Germanasca riconoscerete con facilità la Maestra Rossella, ed io
da bambino.
Se non siete subito riusciti in tale intento, vi aiuto: io sono il primo in alto a DX.
4
Chi mi conosce, saprà cogliere sul mio volto quell’espressione un po’ trasognata e disincantata che
mi accompagnerà poi per gli anni a venire, manifestazione tipica delle persone che riferiscono avere
visto la Madonna apparire fugacemente in un particolare momento della loro esistenza.
“Folgorato” sarebbe forse il termine più appropriato, evento già accaduto parecchi secoli prima, e
per ben altre ragioni a San Paolo sulla via di Damasco, ma non mi pare opportuno, almeno in questo
contesto, chiamare in causa i Santi.

Ancora una foto che ritrae le scolaresche della Val Germanasca, sempre negli anni 1958 –
1960, non ricordo con precisione il periodo, ma certamente in occasione dell’annuale Festa
degli Alberi.
L’autorevole e mai autoritario, Maestro Enzo TRON (Sergente degli Alpini 1944-1945 poi
Maestro elementare per decenni ed infine Direttore delle Scuole della Valle), a DX nella foto ci
illustrava l’importanza della Festa che ci vedeva partecipi.
Ho cerchiato in rosso la Maestra Rossella, il Maestro TRON ed io.
5
Noterete dalla foto che alcuni di noi bambini, presentano una bretella che passa sul davanti del
torace dalla spalla verso la vita.
Di cosa si tratta?
Per taluni era un tascapane, il mio di origine militare, ereditato da mio padre, quindi già da lui usato
circa 20 anni prima in Yugoslavia, in ben altri scenari, durante il servizio militare (1942-1943).
Per noi era la cartella
conteneva quindi i quaderni, il
diario, il sussidiario unico libro
di testo, che spesso avevamo
ricevuto dai fratelli o sorelle
maggiori.
In dotazione avevamo anche il portapenne, rigorosamente in legno, con coperchio
scorrevole, al suo interno: penna, pennini, la gomma per cancellare, matite e temperino.
6
Il componente più voluminoso contenuto nel tascapane, che trasportavamo con piacere, era la
pietanziera, contenitore in rame stagnato per il cibo che all’ora di pranzo consumavamo dopo averla
lasciata qualche minuto sulla stufa della scuola per scaldarne il contenuto.
Nella pietanziera o gavetta, le nostre mamme mettevano nella parte inferiore, la più capiente, il
minestrone, talvolta la pasta asciutta.
Nella parte superiore a sorpresa potevamo trovare: un pezzo di bollito, pollo, due uova sode,
formaggio, una fetta di rolata, patate, polenta, un pomodoro oppure della verdura lessa.
Questa è la mia che conservo gelosamente.
Compariva talvolta nel menù la carne in scatola EXETER di produzione Argentina, carne di manzo
salmistrata (Corned Beef), quindi senza gelatina.
I miei genitori raccontavano che la conoscevano ed apprezzavano fin dagli anni ’40.
7
La memoria umana sembra anche avere i suoi lati reconditi, ma talvolta il contenuto che pensavamo
rimosso, emerge prepotentemente e fa rivivere il passato:
l’esistenza che abbiamo condotto, le gioie, i sentimenti, le speranze, gli amori, le delusioni, le
frustrazioni, le incomprensioni, quanto avremmo desiderato, quel poco che a volte ci era stato
chiesto e talvolta non abbiamo saputo o voluto dare, quel tanto che egoisticamente spesso
avevamo preteso, è inesorabilmente componente dei nostri ricordi: non vi è morbo o malattia che
potrà farcelo scordare.
E’ anche risaputo che:
L’esperienza viaggia e si sviluppa parallelamente al trascorrere degli anni, quindi:
più si invecchia, più ci si sente in diritto di emettere sentenze, quasi sempre di condanna nei
confronti delle persone più giovani, ritenute inesperte, sprovviste delle conoscenze che solo il
passare del tempo potrà loro dare, quindi, a nostro avviso, paiono più bisognose di consigli e
dettami.
Questa è una delle mie consapevolezze: sono fermamente convinto che talvolta tale deduzione
non corrisponda al vero.
Spesso sono i giovani, ai quali dovremmo dare più ascolto e, dopo
averne sentite le ragioni, contrapporle in modo costruttivo alle
nostre, trarne quindi gli spunti per una diversa linea
comportamentale.
Mi rifaccio ad un pensiero del grande Filosofo Cinese Confucio (551
a.c.).
L'esperienza è come una lanterna appesa alle
spalle, rischiara il cammino percorso ma non
quello da percorrere.
Aggiungo:
Comportiamoci in modo che la luce della nostra lanterna illumini i passi di chi ci
segue!
Queste parole, mi furono lette e spiegate, tanti decenni fa, ed insieme ad altri suggerimenti hanno da
sempre segnato e disciplinato il mio modo di essere e di agire.

La missione di noi adulti, per così dire: maestri di vita, deve essere fondamentalmente
quella di accompagnare i più giovani in quello che è il loro percorso di sviluppo.

E’ quindi nostro dovere essere per loro un modello cui fare riferimento, un supporto, in
prima istanza essere loro amici, ma la locuzione da me preferita è: comportarsi con loro da
fratelli maggiori.
8
Sottolineo che lo scopo di queste pagine, non è quello di “farmi ricordare, ma di ricordare”.
A ragione, alcuni di voi si chiederanno:
“ … ma, il TRON, con cui abbiamo avuto a che fare tanti anni fa, cosa vuole o cosa pretende farci
ricordare?
Già ci aveva rotto le p@lle a sufficienza con i suoi volani, le termocoppie, talvolta a suo dire, mal
posizionate, i suoi calcoli, le formule che forse neanche lui capiva, i decibel, i continui richiami a
quel matematico francese: Fourier!
Ma erano poi così importanti quelle unità di misura o il teorema di Fourier?
Tra l’altro, da quando lui è non è più qui, di quegli argomenti non se ne discute quasi più, quindi
……
No, non abbiamo certo dimenticato le sue manie per le unità di misura, l’ordine e la pulizia del
reparto,…. ma non è in pensione?
Cosa vuole ancora? Che stress ….“
Avete ragione, ma, se vi state ponendo queste domande, presumo sarete anche curiosi di leggere il
contenuto di queste pagine e continuerete, se non altro, a sfogliarle.
La risposta alla vostra domanda, oltre che nel titolo, la troverete nelle righe e nelle immagini
che seguono:
Proseguo con la speranza che la semplicità di questo scritto, possa appagare il vostro interesse e
essere di aiuto, qualora ne foste richiesti, da persone, colleghi o collaboratori ignari o più
semplicemente desiderosi di informazioni sugli argomenti qui trattati.
Sono consapevole che questo documento non tratta tutti gli argomenti correlati a quanto riferito nel
titolo.
Sono stati tralasciati per esempio:
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Descrizioni dei principi fisico / meccanici su cui si basano i freni o meccanismi di arrestorallentamento o stazionamento di corpi in movimento.
Attrito tra corpi a contatto ed in moto relativo.
Fenomeni coinvolti in fase di transizione da attrito statico a dinamico. (Stick-Slip)
Principi di funzionamento delle pinze (Caliper)
Tipologia di frenate.
Trasduttori e catene di misura. (Sarebbero decine ..)
Vibrazioni e rumorosità che traggono origine dall’instabilità del coefficiente d’attrito,
comunemente conosciuto e indicato col simbolo: µ
E tanto, tanto altro, ….
Mi propongo di affrontare, sempre con lo stesso stile e modo di esporre, anche questi argomenti per
ora volutamente tralasciati.
9
Sul contenuto:
Nonostante i concetti enunciati, abbiano validità generale, queste pagine sono dedicate al descrivere
l’utilizzo dei motori in C.C. e C.A. (Corrente Continua e Alternata) per un impiego specifico nel
senso più originale del significato, si intende così descrivere l’impiego di tali macchine come mezzo
atto non solo a produrre lavoro grazie alla coppia motrice disponibile all’albero quando
opportunamente alimentate, ma anche come macchine in grado di dissipare energia in maniera
controllata, quando esse vengano poste nelle condizioni di passività, quindi subire, ed in tal caso
reagire ad un carico che contrasti la loro funzione primaria, quella cioè di sviluppare coppia motrice
all’albero e quindi lavoro.
Si dovrà quindi inevitabilmente, dare vita ad un excursus su tali macchine elettriche ed i controlli
per il loro azionamento, che, come sarà poi descritto, hanno avuto e hanno oggigiorno, nello
svolgersi dell’attività umana, sia essa in laboratorio, nell’automazione, nella produzione industriale
che costantemente, spesso a nostra insaputa, ci coinvolge, condizionando e frequentemente
facilitano la vita nel suo svolgersi quotidiano.
Non vi è opificio, macchina utensile o laboratorio, autoveicolo, aeromobile, battello, transatlantico,
treno, mezzo militare, che non faccia uso di tali apparati siano essi destinati a mero uso volto alla
produzione industriale, sia nelle attrezzature di ricerca, la versatilità di impiego che essi offrono, è
universalmente riconosciuta e pienamente sfruttata.
In particolare si farà qui cenno all’impiego a tali motori nella loro versione cosiddetta a: Coppia /
Potenza costante.
E’ l’applicazione correntemente impiegata per l’azionamento assi (macchine utensili a controllo
numerico), lavorazioni al tornio, impianti di sollevamento, di laminazione, applicazioni con pompe,
compressori.
Ovviamente, e intendo rimarcare, non ho la pretesa, né l’autorevolezza, per enunciare tesi o
nozioni presumibilmente già note al lettore che per studi o conoscenze personali dovrebbe essere
in possesso di quelle padronanze fondamentali della Fisica e dell’Analisi Matematica, discipline
entrambe ampiamente svolte e verosimilmente acquisite fin dal corso di studio svolti nelle scuole
superiori.
Si potrà qui trovare un sunto, agevolmente consultabile, di quei concetti da me sempre reputati
fattibili ed innovatori che, col trascorrere del tempo, mesi, anni …, furono realizzati nel corso della
mia attività professionale, contribuendo così al progetto e alla concretizzazione poi di una nuova
generazione di macchine di prova.
Innovazioni, per certi versi rivoluzionarie, a suo tempo non comprese, spesso sottovalutate e
talvolta oggetto di incredulità.
Pazienza, questo è purtroppo, secondo me, il destino riservato a coloro che propongono un qualcosa
che proprio per il carattere riformista associato alla semplicità concettuale che la contraddistingue,
urta contro l’iceberg dell’immobilismo culturale, talvolta intimamente connesso alla pretestuosa ed
arrogante mentalità di certa classe dirigente che per altro dovrebbe esserne fiera propugnatrice.
10
Ciò premesso:
Mi rimane la soddisfazione che il concetto di “simulazione di inerzia”, abbinato ad altre soluzioni
innovatrici, trova a tutt’oggi largo impiego da parte dei maggiori costruttori di Banchi prova Freni,
per uso automobilistico e ferroviario.
Ho quindi deciso, prima che la malattia, scoperta da quel Medico tedesco di cui ancora mi sfugge il
nome, prenda il sopravvento, riscrivere e proporre in forma più moderna questa riedizione dei miei
appunti, per la maggior parte a suo tempo manoscritti e risalenti talvolta a più di quattro decenni or
sono.
Affido dunque a questo documento l’incombenza di svolgere tale ufficio.
A tutte le persone amanti del conoscere, desiderose di avere maggior competenza sul mondo che
quotidianamente le circonda e coinvolge, spesso in ambito lavorativo, sono quindi dedicate queste
pagine.
Mi rifaccio alla frase che Ulisse rivolge ai compagni con i quali s'imbarca, riportata da Dante
ALIGHIERI nel XXVI canto dell'Inferno della “Divina Commedia”:
“ Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e
conoscenza.”
11
Ma in cosa consiste e come è composto un Banco prova Freni o Banco
Dinamometrico?
Come la denominazione riferisce, il loro scopo primario è quello della misura delle forze, (dal greco
δυναμις dynamis, cioè "forza", "potenza") e, sempre dal greco, mè-tron: misura, quindi anche di
quelle forze che traggono origine da un freno in fase operativa.
Tali macchine di prova sono essenzialmente costituite da un robusto basamento in acciaio elettrosaldato sul quale sono ospitati una serie di volani che, opportunamente combinati, simulano
l’inerzia del veicolo, un motore di potenza adeguata per portare tali masse inerziali alle velocità
richieste durante i cicli di prova oltre, naturalmente, a tutti gli altri dispositivi accessori e gli
impianti necessari per l’automazione e il funzionamento.
Il motore è generalmente del tipo a corrente continua (C.C.), quindi regolabile sia in velocità sia in
coppia.
Grazie a questa caratteristica, gli si può anche devolvere la parziale (In teoria totale) funzione di
simulatore d’inerzia, che comporta, tra l’altro, una maggior semplicità costruttiva e compattezza del
banco stesso.
Sul lato opposto dell’albero che collega il motore ai volani, sono montate, tramite flange di
adattamento, le parti meccaniche e idrauliche che costituiscono il freno in prova, quindi:
 Disco freno,
 Pinza,
 Pastiglie in materiale d’attrito,
 Particolari quali: Mozzi, cuscinetti, braccetti, ammortizzatore, cerchione con pneumatico,
ecc…
Il sistema frenante è infine sostenuto da un telaio con annesso torsiometro per la misura della coppia
al freno e delle forze d’attrito.
Eccone uno schema:
Basamento
12
Tale macchina di prova convenzionale è caratterizzata da:
1. Lunghezza relativamente elevata tale comunque da poter ospitare i volani inseriti, le
loro flange di attacco ed i volani non inseriti quindi anch’essi partecipanti all’inerzia
totale del sistema.
2. Elevata rigidità strutturale abbinata a notevoli difficoltà di trasporto, dovute alla
costruzione monoblocco, con basamento talvolta ottenuto per fusione in ghisa o
forme in terra.
3. Pesi complessivamente elevati dalle 2 alle 40 tonnellate.
4. Tempi passivi notevoli per il calettamento delle masse volaniche.
Due immagini relative a Banchi prova freno di attuale concezione: Anni 2000.
Banco Prova Freni (Con simulazione di inerzia) di grossa taglia. - Veicoli Commerciali.
13
Banco Prova Freni (Con simulazione di inerzia) dotato di Camera Climatica semi-anecoica.
Alla SX si trova il freno in prova con annesso torsiometro, nella parte DX invece sono sistemati:
i volani ed il motore. Notare in alto, il sistema di condizionamento della camera per il freno in prova.
La potenza di tale apparato è di ~ 400 [kW], sufficienti per portare la camera stessa a temperature
variabili da: -5 a 50 [°C] con Umidità Relativa da: 0 al 100 %
14
Note Storiche:
I banchi prova freni, concepiti verso gli inizi del 1890 dalla Southern Pacific Railroad, erano
progettati con un numero di masse inerziali di grandezza crescente con un numero di volani tale da
coprire la gamma dei mezzi di trasporto all’epoca circolante.
Tali macchine furono inizialmente realizzate ed impiegate negli Stati Uniti d’America per il testing
dell’accoppiamento Cerchione/Rotaia montati sulle motrici e carrozze per uso ferroviario.
15
Si era quindi agli albori del secolo XX, secolo doverosamente conosciuto come periodo di sviluppo
demografico e industriale dando così inizio ai trasporti di massa, movimentazione su strada o
rotabili di persone, merci, truppe, armamenti pesanti, che vedranno sempre maggiormente coinvolti
treni, trattori, veicoli, mezzi pubblici, natanti, battelli, transatlantici, autocarri, dirigibili, aeromobili,
fino a giungere ai giorni nostri con le utilitarie, vetture di lusso, quindi anche alle così spesso
contestate fuoristrada di lusso (I cosiddetti S.U.V.).
16
Alcune Pagine tratte da un Testo della:
PENNSYLVANIA RAILROAD COMPANY (1913) :
17
The Brake Pressure
Indicator & Recorder.
Pagina tratta da un:
Test Report.
18
Banchi Prova Freno tradizionali, fino a Fine Anni 1980 c.a.
Fino a quella data, i banchi prova freni, erano, dotati di masse volaniche di taglie diverse,
combinando le quali, era possibile avvicinarsi al valore di inerzia teorico, corrispondente con
sufficiente approssimazione a quella del veicolo in prova.

Si può avere a che fare con una pluralità di dimensioni e/o taglie di tali macchine:

I loro pesi possono oscillare da 1 ÷ 2 ad oltre 40 tonnellate.
La potenza del motore di azionamento deve essere tale da permettere di portare in velocità i volani
con tempistiche pari al motore montato sul veicolo stesso.
A titolo di esempio, si calcola ora l’energia cinetica che compete ad un veicolo di peso: 1200 [kgf],
alla velocità di 120 [km/hr]:
Supponendo che si debbano testare al banco le caratteristiche frenanti di una delle ruote anteriori
con raggio:
Rruota = 0.275 [m ], ruota che si presuppone sopportante un carico dinamico pari alla metà del 75 %
del peso globale del veicolo in fase di frenata:
L’inerzia dei volani calettati sull’albero del banco dovrà quindi essere pari o prossima a:
19
Una Foto storica ripresa sul finire degli anni ‘60.
Per dovere storiografico, allego questa immagine, nella sua viva quanto melanconica raffigurazione
in bianco e nero.
Illustra un banco prova freni per auto, all’epoca considerato il top nella sua categoria.
Immagine legata indissolubilmente al ricordo nostalgico di chi a suo tempo lo aveva utilizzato.
Dalla SX, si osserva il gruppo dei volani a cui fa seguito il freno in prova, quindi la slitta dotata di
torsiometro per il rilevamento della coppia frenante.
Nella foto non compare il motore in C.C. purtroppo nascosto dai volani.
20
A DX dell’insieme si nota il cosiddetto: pulpito di comando, in esso alloggiano le manopole di
attivazione, gli strumenti per lo più analogici per il controllo dei parametri della macchina.
Al registratore (Più propriamente poligrafo) a carta termica ben visibile di fronte al pulpito, era
affidato il compito di graficare su base tempi, le quattro grandezze rilevate sul campo:




Pressione
Coppia
Velocità
Temperatura
-
(Trasduttore di pressione)
(Barra di torsione e/o Cella di carico)
(Dinamo tachimetrica)
(Termocoppia)
Schema di poligrafo a cinque canali:
Notare a monte delle penne traccianti i potenziometri per la regolazione della posizione delle stesse,
il guadagno (Amplificazione) e lo spessore della traccia lasciata sulla carta che automaticamente
scorreva ad ogni start frenata.
21
Fino a fine degli anni ’80 era facile imbattersi in sale prove dotate di pulpiti di comando simili a
quelli raffigurati nell’immagine seguente:
Situazione completamente diversa si presenta oggigiorno, ecco, infatti, una tipica immagine di una
moderna sala comando/controllo, struttura comprensiva di armadi contenenti per l’elettronica di
controllo, amplificazione dei segnali provenienti dal campo, segnali di comando e attuazione, e non
ultima la gestione degli allarmi in caso di malfunzionamento o superamento dei valori di guardia.
Ù
22
In tale scenario, sembrerebbero essere i computers a farla da padrone, infatti, spesso l’uomo pare
occupare una parte di secondo piano, talvolta abbastanza marginale.
L’intelligenza artificiale sembra aver preso il sopravvento sulle capacità intellettuali del cervello
umano.
Per ora, possiamo dormire sogni tranquilli, le situazioni prospettate dal geniale regista Stanley
KUBRICK (1968), nel suo fantascientifico film:
2001 - Odissea nello spazio …
…. sono, per ora, opera di fantasia.
E’ sempre l’uomo, il latino “homo faber” e non l’“animal laborans” ad
avere la padronanza del proprio operato.
.
23
Alcuni disegni di banchi prova freno per…




… autoveicoli:
Lunghezza c.a. - 6.0 m
Potenza motore c.a. - 200 kW
Inerzia MAX c.a. - 200 kg*m^2
Antivibrante




… veicoli commerciali:
Lunghezza c.a. – 10.0 m
Potenza motore c.a. - 350 kW
Inerzia MAX c.a. - 2200 kg*m^2
Basamento antivibrante.
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
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
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… in versione bi-testa per veicoli ferroviari e veicoli commerciali:
Lunghezza c.a. – 15.0 m
Potenza motore - (Vedere disegno)
Inerzia. - (Vedere disegno)
Peso c.a.: 30 ton
25
Controllo e Visualizzazione dei parametri - AUTOMAZIONE.
L’automazione, intesa come tecnica che prevede la
sostituzione della macchina all’uomo, identifica la
tecnologia che usa sistemi di controllo (come circuiti
logici o calcolatori) si è estesa a partire dalla fine degli
anni ‘40 per gestire macchine o processi riducendo la
necessità dell'intervento umano. Automazione significa
anche l’esecuzione di operazioni ripetitive o complesse,
ma anche ove si richieda sicurezza o certezza
dell'azione o semplicemente per maggiore comodità.
Nell’utilizzo con Banchi tradizionali, il valore delle inerzie impegnate è visivamente verificabile dal
numero di volani fisicamente calettati sull’albero del banco e quindi con esso posti in rotazione
obbligata.
Nel caso invece di un Banco Prova utilizzante il sistema di simulazione, le inerzie in gioco sono
impostabili da tastiera del P.C. verificabili tramite visualizzatori di vario tipo: su un display facente
capo via Soft Ware (SW) al sistema di controllo o mediante gli oramai obsoleti D.V.M. (Digital
Volt Meter).
Si allega un’immagine tipo di tali visualizzatori digitali (D.V.M.):
Uno strumento di misura digitale è uno strumento nel quale il valore misurato si presenta
direttamente sotto forma di numero, tali indicatori erano ampiamente in uso sempre fino a qualche
decennio fa.
26
Parecchi decenni prima ci si avvaleva esclusivamente di strumenti visualizzatori per le grandezze di
controllo o dei valori misurati del tipo cosiddetto analogico, strumenti di misura per i quali il
segnale d'uscita e/o visualizzazione sono una funzione continua del misurando.
Visualizzatore analogico
Pirometro per la misura delle
temperature disco freno FF.SS.
Anche i registratori su carta (noti anche come poligrafi) furono largamente impiegati: era loro
devoluto il compito di rappresentare graficamente lo svolgersi temporale dei segnali provenienti dai
trasduttori delle principali grandezze presenti fisiche sul campo misura:

Input al freno
:
Pressione, Velocità

Output dal freno
:
Coppia, Temperatura
Dagli albori fino a tutto il 1980, seppur con modalità e tecnologie diverse, il loro tracciato era
affidato alla valutazione dell’operatore, il quale avvalendosi di matite, righelli, leggeva, mediava,
integrava graficamente, valutava i valori su base temporale dal tracciato, li interpretava, stimandone
i picchi ed il valor medio ad essi associato, ed in fine con l’ausilio di formule quasi sempre
approssimate se ne estrapolavano i valori che poi, sempre manualmente, davano origine ai grafici
per la valutazione delle caratteristiche del materiale testato.
27
Ecco un’immagine del mitico poligrafo Hewlett-Packard Modello 7414A - Registratore su carta
termica largamente impiegato anche in ambito Ospedaliero per la sua sensibilità e la buona risposta
in frequenza.
Per risposta in frequenza si intende la capacità di annotare fenomeni fisici rapidamente variabili nel
tempo, questa caratteristica fondamentale nello stilare elettrocardiogrammi o per analizzare le
capacità respiratorie dei pazienti negli Ospedali, tornava utile anche quando impiegata per scopi
meno nobili quali registrare i parametri di:
Coppia, Pressione, Velocità e Temperatura di un freno in prova al banco.
I quattro cassetti
preamplificatori
dei segnali erano
forniti nella
parte inferiore di
una boccola atta
al prelievo del
segnale con
uscita:
0 ÷ 10 volt c.c.
Nel 1982, sorse l’idea di sfruttare questa tensione, per giunta proporzionale alla grandezza fisica di
ingresso, fino ad allora unicamente rappresentata sulla carta che automaticamente scorreva nel
corso delle frenate.
Tali segnali prelevati con uno spinotto ed inviati ad una scheda esterna collegata ad un Computer,
davano origine ad una prima seppur embrionale forma di automazione.
In effetti, da allora, l’operatore avrebbe avuto solo più il compito di eseguire il ciclo di prova senza
dover eseguire calcoli e prestare troppa attenzione ai tracciati dei grafici, comunque sempre visibili
e controllabili.
Alla porta parallela del P.C. era collegata una stampante che, grazie ad un programma scritto in
linguaggio BASIC (acronimo dell’inglese "Beginner's All purpose Symbolic Instruction Code),
stampava i parametri relativi alla frenata appena effettuata, compresi i calcoli che, prima di allora,
erano eseguiti manualmente.
28
Il Personal Computer APPLE II
Introduced: 1977
Terminated: 1980
Logic Board
Processor: 6502
Processor Speed: 1 MHz
PMMU: none
FPU: none
Bus Speed: 1 MHz
Data Path: 8-bit
ROM Size: 12K (Monitor + Integer Basic +
"sweet 16" mini-assembler)
Expansion Slots: 8 Apple II Proprietary Slots
Battery: none
E’ stata una fase che oserei definire pionieristica in campo informatico: coinvolse sia i produttori di
P.C. che gli utilizzatori finali, questi ultimi, furono spesso furiosamente osteggiati, almeno questa è
stata la mia esperienza, quando proposi l’impiego di un P.C. da usarsi in laboratorio.
Le ragioni erano che i primi P.C. furono introdotti sul mercato ed indirizzati al pubblico
principalmente come strumenti atti al videogioco. (Vedasi: COMMODORE VIC 20 e C64)
A quei tempi (1982), dopo un lungo periodo di assenza forzata, acquistai un COMMODORE 64, e
successivamente un P.C. APPLE, quindi, nei ritagli di tempo, scrissi di mia iniziativa, un abbozzo
di programma in BASIC mirato a sfruttare le tensioni: 0 ÷ 10 [volt] provenienti dal sopracitato
Hewlett-Packard Modello 7414A:
Allora, e solo dopo avere dimostrato con i miei mezzi la fattibilità di quanto proponevo, la
Direzione si orientò all’acquisto di un sistema basato sull’uso di un P.C. APPLE II.

Spesa complessiva sostenuta:
6.0 £.MIO. (L’equivalente di 3.000 Euro odierni)
- Il solo P.C. della Apple costava 3.0 MIO £. (L’equivalente di 1.500 Euro odierni).
- Oggi con 800.00 Euro si acquista una macchina 1000 o più volte potente e capace.
(Incredibile !)
29
Nello stesso periodo (1982), una rinomata casa produttrice di autoveicoli aveva sostenuto una spesa
circa 5 volte maggiore per ognuno dei suoi banchi prova, tra l’altro utilizzando due P.C. DIGITAL
PDP11 per ogni automazione.
Il DIGITAL PDP 11
Oltre al costo notevolmente inferiore, metto in risalto la flessibilità offerta dal sistema APPLE: le
modifiche al programma, correzioni, tarature erano effettuate a costo zero e con tempistica di
realizzazione pari nuovamente a zero.
REGISTRATORI A CARTA ECONOMICI. In uso da inizio 1980.
A fianco modello di registratore su carta non più termica, ma
con scrittura a pennino intercambiabile, i canali a questo
punto potevano anche essere 6 o più.
A DX un estratto di un record proveniente da
un registratore su carta termica.
30
Da allora, inizio anni ’80, l’automazione fu largamente sviluppata e introdotta, scomparvero così i
pulpiti per il comando manuale della macchina.
La IBM presentò (1983) la sua prima versione di PC Modello XP:
Cui fece seguito (1984) il più moderno PC Modello AT.
Velocità del processore elevatissima, capacità di memoria enorme (Per quei tempi).
31
Il linguaggio di programmazione BASIC lasciò (Onorevolmente !) il passo al C e successivamente
al C++, derivanti dal PASCAL, decisamente più flessibile e potente.
Il Computer APPLE fu abbandonato per rimanere un ricordo e con lui le origini, e gli autori di
questi arditi primi passi in un terreno pressoché sconosciuto, le ore da loro spese per apprendere e
familiarizzarsi con il significato di termini quali:

STRING, IF, GOTO, GOSUB, IF THEN, SAVE, TRON, TROFF, ecc, ecc….
P.S.: I comandi: TRON e TROFF, non vogliono essere un subdolo, quanto maldestro messaggio
subliminale teso a rievocare il mio cognome, infatti:

TRON = TRace ON era usato nelle operazioni di debugging di un programma, mentre:

TROFF = TRace OFF disattivava tale operazione.
Tra l’altro, TRON è un film di fantascienza del 1982 prodotto dalla Disney, ed è anche il primo film
ad argomentare sulla cosiddetta realtà virtuale con uno stile di animazione grafica assolutamente
innovativo per l'epoca. Il titolo fa riferimento appunto al comando BASIC sopracitato e non quindi
al mio cognome che all’epoca e, presumo a tutt’oggi, poco diffuso negli U.S.A.
La locandina:
32
Un rapporto tipo (1984) per la valutazione del materiale d’attrito testato al banco.
Se ne osservi la grafia e l’approssimazione dei punti riportati. (All’epoca, come già menzionato, i
mezzi a disposizione per redigere i suddetti, erano: righelli, pennarelli, calcolatori tascabili, spesso
di proprietà personale, e tanta iniziativa e passione.)
33
Lo sviluppo dei Soft-Ware (SW) dedicati all’analisi dei dati provenienti dai trasduttori atti a rilevare
le grandezze fisico/meccaniche ha fatto progressi strabilianti: sono così scomparsi i registratori a
carta, i visualizzatori sopra descritti, i pannelli che li ospitavano, i pulpiti di comando e controllo, le
valutazioni e le stime delle grandezze, affidate all’operatore che di tali misurazioni aveva grande
esperienza dovuta unicamente alla pratica, senza però possedere quelle caratteristiche di precisione
e ripetitività che oggigiorno vengono richieste ad un qualsivoglia tipo di misura.
Nelle due immagini seguenti, ecco come si presenta attualmente sul display di un calcolatore il
pannello atto al controllo di una macchina destinata alla produzione oppure al rilevamento di
parametri fisici provenienti dal campo di misura.
34
In queste immagini invece un odierno quadro di controllo, sempre su display, relativo a un Banco
prova Freni.
35
Seguono due esempi di grafici per la rappresentazione di prove al Banco ottenute in automatico
come output dalla stampante, sembrano passati anni luce rispetto a quanto mostrato a Pag. 33.
Esempio di Rapporto di Prova
36
37
Un altro esempio di rapporto con le valutazioni per un generico materiale d’attrito.
N.B.: Grafico originato da un Banco prova Tipo KRAUSS
Una foto della “KRAUSS Maschine” nella sua versione originale.
38
Le Prove sui materiali d’attrito:
Le prove si possono eseguire:



Su strada (prova del materiale frenante, giudicato nel complesso dell’autoveicolo).
Su banco, in vera scala, (prova del materiale frenante, montato sul dispositivo
frenante.)
Su macchine di prova elementari. (Prova del materiale isolato)
PROVE SU STRADA.
Le prove su strada si eseguono su un veicolo provvisto di manometro sul circuito idraulico del
freno, di cella di carico posizionata sul pedale freno per il rilievo dello sforzo sul pedale, trasduttore
corsa pedale, ecc..
Deve essere pure montato sul veicolo in posizione ad esso bari-centrale un decelero-metro, due o
più termocoppie per il rilievo delle temperature: dischi, materiale d’attrito, liquidi freni, temperatura
ambiente, fonometri sulle ruote per il rilievo del rumore provenienti dai freni, ecc.
Nel corso di tali prove, è utile eseguire una serie di programmi di manovre che la pratica abbia
dimostrato corrispondente ad un certo tipo di esercizio.
Se ne riassume uno schema di prova, con validità del tutto generica:

Assestamento.
Serie di frenate di severità media, ad intervalli di 2 o 3 km, sino ad assumere un’area di contatto
pari all’80 % delle superfici attive.

Effetto della pressione.
Frenate intervallate in modo da non superare la temperatura iniziale dei 50 °C.
Le frenate si susseguono dalla velocità di 40 km/h fino all’arresto, con pressioni crescenti sul
circuito idraulico e si ricava la curva delle decelerazioni, in funzione dello sforzo, corsa sul pedale.
In genere si ha una buona proporzionalità tra azione frenante e decelerazione.

Effetto della velocità.
Ripetere le prove sopraindicate, partendo da velocità diverse in ordine crescente, come ad esempio:
60, 80, 100, 120, 140, 160, ecc. km/h,
Ricavare le curve delle decelerazioni in funzione della velocità.
Generalmente si ha una decelerazione quasi costante, almeno fin quando non si entra nel campo di
temperature capaci di mettere in crisi il materiale d’attrito.
 Valutazione a temperatura elevata.
Ripetere le prove precedenti, iniziando le frenate a: 100, 150, 200, 250, 300, 350, 400, ecc. °C.
L’ideale sarebbe una curva con decelerazioni costanti alle varie temperature.
39

Prove di affievolimento (Fade, fading)
Si eseguono serie di frenate, ad intervalli di tempo prestabiliti, durante le quali si tende a ricercare
una decelerazione prestabilita, variando la forza sul pedale freno.
Si ricava il grafico della forza applicata al pedale.
Il fatto che in presenza di una caduta del coefficiente d’attrito debba crescere la forza sul pedale ai
fini di mantenere la prescritta decelerazione, corrisponde esattamente all’azione frenante lungo una
prolungata discesa per una strada di montagna, con frenata ad ogni curva ed accelerazione nei tratti
rettilinei.

Prove di recupero.
Dopo le prove precedenti, sosta per il tempo necessario per riportare le temperature del materiale
d’attrito a 50 °C.
Quindi:
Frenate intervallate in modo da non superare la temperatura iniziale dei 50 °C.
Le frenate si susseguono dalla velocità di 40 km/h fino all’arresto, con pressioni crescenti sul
circuito idraulico e si ricava la curva delle decelerazioni, in funzione dello sforzo, corsa sul pedale.
Si osserva se la caduta del coefficiente d’attrito comparsa nella prova di fade è transitoria o
permanente.
PROVE AL BANCO (Macchine in Vera Scala).
Le modalità indicate per le prove su strada, si possono adottare tali e quali per le prove al banco,
ovviamente con talune e talvolta sostanziali diversità, specie per la tipologia di trasduttori usati.
PROVE SU MACCHINE ELEMENTARI. (Ranzi – Trottolina – Link)
Sono macchine, riconosciute come standard, atte quindi anche alla certificazione dei materiali
d’attrito, erano in uso presso i reparti Controllo Qualità delle case produttrici, dalle case
automobilistiche e dagli Enti di Omologazione, a partire dagli anni ‘30 e talvolta ancora ai giorni
nostri.
Il loro utilizzo, ebbe il culmine quando, l’approvvigionarsi di un Banco prova Freni cosiddetto in
Vera Scala, avrebbe comportato una spesa eccessiva, talvolta non giustificabile.
Con esse si valutavano i campioni prelevati dai lotti di produzione.
Il metodo era semplice, veloce, ma sufficientemente preciso per valutare: il coefficiente d’attrito, la
resistenza all’usura ed allo sgretolamento del materiale d’attrito.
Tali prove prevedevano il prelievo di un campione di materiale, in ben determinate zone della
pastiglia freno a disco, o dal ceppo per freno a tamburo.
Il provino generalmente con superficie di circa 1 inch2 veniva poi fissato ad un porta campioni,
premuto contro la controparte rotante in ghisa.
Si aveva quindi da parte dello stesso uno smaltimento di energia con conseguente innalzamento
termico ed ad un’inevitabile usura.
40
Le grandezze: forza premente, coppia generata, lavoro prodotto, coefficiente d’attrito, usura,
temperatura erano poi rilevate e misurate, quindi avrebbero dovuto, a cura del ricercatoreformulatore (R&D compounder per dirla all’americana), essere valutate, analizzate per trarne poi le
conclusioni, o comunque un indirizzo alla ricerca di nuove materie prime o processi produttivi
alternativi.
PS: Questo caso, ed è uno dei pochi, per i quali la memoria non mi inganna:
non ho mai visto attuare tali intenti, salvo il perdere tempo e denaro dedicati ad una sterile ricerca
vagamente accademica, dimostratasi poi sempre inutile, fuorviante ed inconcludente.
Qui di seguito due immagini di una macchina prodotta dalla LINK – U.S.A.
La universalmente conosciuta F.A.S.T Machine,:




Friction
Assessment
Screening
Test
41
Quello che segue è il grafico reale di una prova eseguita su F.A.S.T. Machine.
Si osserva dal grafico che la durata del test è di 5400 [sec] ed il coefficiente d’attrito che poi era il
parametro di maggior interesse, oscillava, in questo caso, da un valore min di 0,24 a un MAX di
0.69 e la temperatura raggiunta al termine della prova si aggirava intorno ai 215 [°C].
42
La macchina RANZI-CUNA.
Realizzata intorno al 1950, su ispirazione della C.U.N.A (Commissione Tecnica di Unificazione
nell’Autoveicolo) che aveva riconosciuto la necessità di una prova unificata si proponeva di
valutare il comportamento di un materiale d’attrito, impegnato in una discesa prolungata, quindi in
condizioni molto gravose di temperatura e medie velocità di strisciamento.
Il criterio di prova si basava sulla variazione della pressione nel corso della discesa stessa in modo
da mantenere costante la coppia (Momento) frenante.
Se il coefficiente d’attrito di riduce, il carico aumenta analogamente a quanto fa il guidatore, che si
preoccupa di mantenere la velocità del suo veicolo in limiti ragionevoli.
Sulla macchina RANZI, la regolazione della coppia frenante, avveniva per via meccanica, con
l’opportuno spostamento del fulcro di una leva di carico.
La misura della coppia era attuata da un pendolo dinamometrico che veniva mantenuto in posizione
di equilibrio mediante due contatti elettrici che mettevano in moto in un verso o nell’altro, un
piccolo motore elettrico che, collegato ad una coppia vite-madrevite, spostava in un senso o
nell’altro il leveraggio del carico.
La macchina era dunque un dispositivo che sottoponeva il materiale d’attrito a una sollecitazione a
momento (Coppia costante): 1000 [newton*cm] cioè: 1.02 [kgf*m].
Il principale vantaggio offerto da questo criterio di prova era che il regime di temperatura rimaneva
costante per tutte le guarnizioni provate, indipendentemente dal loro coefficiente d’attrito.
Nella macchina descritta ed illustrata in seguito, si poteva operare a diversi regimi di severità (cioè
a diverse temperature) ottenuti agendo sulla velocità di strisciamento.
Le modalità di prova furono unificate nelle tabelle:
CUNA 169 /2
I materiali d’attrito si potevano provare per tre diversi livelli di velocità:
2.5, 3.5, 5.0 [m/sec]
alle quali corrispondono tre diversi gradi di severità termica.
Le temperature raggiunte dopo circa ¼ della durata della prova erano all’incirca:
250, 325, 365 [°C]
43
Alcune fotografie (Giugno 2012) di una Macchina RANZI-CUNA riprese in Barcellona SPAGNA nell’atrio della Ditta:
GALFER E.S.
Un dettaglio del tamburo in ghisa sferoidale su cui era premuto dalla leva traforata il campioncino
in materiale d’attrito, non presente nella foto.
Tale campione veniva preparato a mano con lavorazione di lima e incastro a coda di rondine.
:
44
Il quadro frontale con i comandi e il rotolo di carta su cui era registrato l’evolversi della
prova:
La leva di azionamento del: variatore di velocità:
Un disegno
schematico:
45
Oggigiorno sono macchine raramente usate, abbandonate e relegate in qualche museo, ad eccezione
di taluni laboratori, ove qualche anacoreta, autoproclamatosi sapiente, le ha riesumate pretendendo
con cocciutaggine di trarne la panacea risolutrice agli innumerevoli problemi che solo, e non
sempre, un Banco prova freni in cosiddetta Vera Scala, potrebbe evidenziare.
Non approfondisco la trattazione di tali macchine, pur apprezzandone il valore storico.
46
Energia dei Corpi in Regime di Moto Traslatorio e Rotatorio.
A Pag. 19, si era calcolata l’energia cinetica che compete ad un ipotetico veicolo del peso di:
1200 [kgf], alla velocità di 120 [km/hr]:
Nota: Tale valore di energia: 67981 [kgf·m] permetterebbe in linea teorica di spostare 1 [kgf]
per una distanza di circa 68 [km], oppure un peso di circa 68 [ton] per un metro!

Avevamo anche supposto che la ruota avesse un raggio di rotolamento: Rruota = 0.275 [m]
per cui se alla stessa fosse devoluto, in frenata, un carico dinamico pari alla metà del 75 %
del peso globale del veicolo, ottenendo:
Il momento di inerzia che le compete sarebbe pari a:
Il volano calettato sull’albero del banco dovrà quindi avere lo stesso valore o comunque a lui
vicino!
47
A questo punto, qualche richiamo alle leggi della Fisica è inevitabile!
SI DEFINISCE ENERGIA DI UN CORPO DOTATO DI MOTO TRASLATORIO e/o
ROTATORIO L’ATTITUDINE DELLO STESSO A COMPIERE LAVORO
Caso del MOTO TRASLATORIO:
Ma perché un punto materiale, un corpo, un oggetto, una massa, un veicolo, posseggono un’energia
di movimento di traslazione pari a:
“Ad un punto materiale libero di massa m sia applicata una forza F, che, per semplicità supponiamo
costante in grandezza, direzione e verso: sotto l’azione di F, il punto si sposti, in un intervallo di
tempo t, per un tratto s; il moto che ne consegue, sarà uniformemente vario, con accelerazione a
legata alla forza F ed alla massa m, la forza F compie un lavoro L = F * s: nelle ipotesi fatte, da:
e:
(supposto il punto inizialmente fermo), ne consegue, che essendo il lavoro uguale ad una forza per
lo spostamento, quindi:
Ma:
dunque:
48
Questa relazione ci dice che il lavoro che si deve compiere su un punto di massa m, inizialmente
fermo, per fargli acquistare la velocità v, è direttamente proporzionale alla massa m del corpo, ed al
quadrato della velocità raggiunta v.
L’espressione testé calcolata, misura non solo il lavoro che si deve compiere per fare acquisire al
corpo di massa m la velocità v, ma anche l’energia che lo stesso può sviluppare nel fermarsi.
Caso del MOTO ROTATORIO:
Pocanzi, si è visto che l’espressione dell’energia cinetica per un punto materiale dotato di moto
traslatorio, si scrive:
Si definisce poi energia cinetica di un corpo, la somma (aritmetica) delle energie cinetiche della
somma dei suoi punti; se il corpo è animato da un moto di traslazione, ossia se tutti i punti del corpo
hanno nello stesso istante la stessa velocità (Vettore), l’energia cinetica è ancora data dall’equazione
precedente.
Nel caso invece di un corpo che ruoti attorno ad un asse, la precedente perde di validità.
Per calcolare l’energia cinetica in questo caso, si supponga di dividere il corpo in tanti elementi di
volume elementari di uguale massa: Δm.
(Porzioni talmente piccole da poter ritenere che tutti i punti di ciascuna di esse abbiano, nello stesso
istante, la stessa velocità angolare e la stessa velocità periferica quando giacenti sullo stesso raggio.)
Calcoliamo l’energia cinetica per ciascuno di questi sempre con l’espressione:

La velocità angolare di un punto che percorra un’orbita circolare di raggio r, quando lo
stesso compia n giri al minuto vale:
in cui:
 è espressa in: radianti/secondo ed è costante per tutte le particelle di massa elementare che
costituiscono il corpo in oggetto.
49
Facciamone ora la somma, ricordando che:
m1 = m2 = m3 =….. mn = Δm
Questo risultato ci dice che l’energia cinetica di un corpo che ruota, dipende oltre che dalla velocità
di rotazione e dalle masse dei suoi punti:
dalla distribuzione di queste rispetto all’asse di rotazione.
All’espressione fra parentesi (somma dei prodotti delle masse elementari di volume per i quadrati
delle rispettive distanze dall’asse di rotazione), si dà il nome di:
Momento di inerzia rispetto all’asse considerato, in questo caso O, ciò significa che, cambiando
l’asse di rotazione, cambia il momento di inerzia.
Se lo si indica con J, l’espressione precedente si traduce in:
si osservi che questa espressione corrisponde formalmente a quella dell’energia cinetica di un
punto, e si ottiene da questa sostituendo alla massa il momento di inerzia e alla velocità lineare
quella di rotazione.
50
Nell’immagine seguente le formule per il calcolo del momento di inerzia per i più usuali corpi
rotanti attorno ad un asse passante per il loro baricentro:
51
Calcolo dei Volani.
I richiami fatti nelle pagine precedenti, saranno ora utili per il calcolo dei volani normalmente
montati sui banchi prova freni:
Si dimostra che per un disco con diametro esterno: De, un diametro interno: Di e uno spessore: Sp
costituito da un materiale il cui peso specifico sia: γ
In cui:
Esempio di calcolo (Vedi 87):
52
Nella progettazione di un Banco prova freni, si dovrà innanzitutto definire il valore di inerzia del
volano più piccolo, i valori del successivo, saranno, salvo necessità particolari, il doppio di quello
che lo precede:
A titolo di esempio:
Quindi:
Le masse volaniche, in questo caso, saranno quindi sette con valori progressivamente crescenti:
Con tutti i volani calettati sull’albero, si disporrà di un’inerzia complessiva pari a:
311.15 [kg*m2]
Il numero di possibili combinazioni di montaggio sarà:
In questi calcoli non si è fatto cenno alla verifica alle alte velocità di rotazione, in quanto il numero
di giri a loro devoluto, almeno in queste applicazioni, è ben lungi dall’essere nelle vicinanze della
criticità.
Per chi fosse maggiormente interessato al:
“ Calcolo dei dischi rotanti a forte velocità”
si consulti:

R. GIOVANNOZZI
COSTRUZIONE di MACCHINE – Vol. II – Cap X
Edizioni: PATRON – BOLOGNA - 1965
53
Fortunatamente ho ritrovato in un baule in soffitta i miei scartafacci di Elettrotecnica (1968) dei
quali allego le miniature per alcune pagine oramai ingiallite dal tempo, li devo rileggere, non ne
ricordavo il contenuto, maledetta malattia….……
54
55
56
Note Generali sugli Azionamenti:
Gli equipaggiamenti motori delle macchine operatrici vengono chiamati col termine generico di
“azionamenti” essi comprendono: l’apparecchiatura, i circuiti di regolazione e le macchine rotanti.
Gli azionamenti in poche parole includono i motori che muovono le macchine e tutto quanto
occorre per alimentare e controllare questi motori, a partire dalla rete (generalmente trifase) dello
stabilimento.
Descrizione sommaria dell’Elettronica degli Azionamenti per motori in C.A. e in C.C.
 Dagli albori fino agli anni ‘50
L’azionamento è inteso come fase che comporta il portare le masse volaniche alla velocità di inizio
frenata, era affidata ad un motore in corrente alternata C.A. di adeguata potenza.
 A SX uno schema elettrico
di principio:
Con Ks sono indicati i
commutatori
per
il
collegamento a stella usato
durante la fase di avviamento.
Con Kt i commutatori per il
collegamento a triangolo per la
fase di utilizzo.
Per l’avviamento di un motore asincrono trifase di medie-grosse potenze, si usa il collegamento
degli avvolgimenti statorici a stella e poi a triangolo, in modo tale che: nel collegamento a stella si
ha una limitazione della corrente di spunto di 3 , mentre con il collegamento a triangolo il motore
funziona assorbendo la corrente nominale.
57
La lettura del numero di giri voluto era affidata ad una dinamo tachimetrica oppure a una ruota
fonica: in quel preciso istante il motore veniva disaccoppiato dalle masse volaniche mediante
l’apertura di un innesto di frizione elettromagnetica fra loro interposto, immediatamente aveva
luogo lo start frenata da parte del freno in prova.
Segue un disegno schematico raffigurante tale innesto di frizione elettromagnetica
(Alimentazione tipica 24 volt C.C.)
Contatto strisciante (Spazzole)
VOLANI
MOTORE
La pecca del sistema era che in quell’istante, l’albero ed i volani erano ancora in fase di
accelerazione, quindi anche l’energia ad essi associata, si penalizzava così il materiale d’attrito cui
era devoluta la frenatura del carico stesso.
58
Oggi le cose sono diverse, infatti:
Confronto tra motori D.C. e A.C.
I motori in corrente continua, D.C., hanno due grandi punti deboli: il collettore e le spazzole che
non esistono nei motori ad induzione a gabbia di scoiattolo, A.C. L’assenza del collettore permette
al motore A.C. di raggiungere velocità maggiori di quelle del motore D.C.; inoltre, di essere
alimentato con tensioni elevate che, nel motore DC, non sono possibili per la vicinanza delle
lamelle del collettore.
Il motore A.C. ha intrinsecamente una maggior rapidità di risposta elettrica, cioè una costante di
tempo elettrica minore, in quanto la variazione di corrente, quindi di coppia, è limitata dalla sola
induttanza di dispersione degli avvolgimenti, mentre nel motore DC c’è il problema della
commutazione.
Per potenze e velocità elevate, i motori D.C. hanno dei limiti costruttivi. Ad esempio il prodotto
potenza per velocità nei motori in commercio normalmente, non supera il valore 2,6*106
[kW*rpm], un limite inesistente per gli A.C. E’ pertanto praticamente impossibile trovare un
motore DC da 1350 [kW] a 1500 R.P.M., una difficoltà che non esiste per gli AC.
Un vantaggio del motore D.C. potrebbe essere la sua maggior efficienza nell’azionamento a
velocità variabile: la gabbia del motore A.C. è infatti, una fonte di perdite che non esiste nel motore
DC. Però l’alimentazione elettronica, elimina la necessità di avere gabbie di resistenza elevata per
ottenere coppie di spunto alte, e la gabbia può essere progettata solo con il criterio di ottimizzare le
perdite.
Il fattore di potenza dei convertitori elettronici per motori D.C. cresce con la velocità ed è compreso
tra 0 e 0,9. Invece il fattore di potenza di motori AC alimentati con tecnica PWM è tipicamente di
0,95, indipendentemente dalla velocità.
Il momento di inerzia di un motore A.C., a parità di altre caratteristiche, è minore di quello dei
motori D.C., perché questi ultimi, per problemi legati alla commutazione, devono avere un diametro
maggiore ed una lunghezza minore. Un minor momento di inerzia significa una maggior
accelerazione a parità di coppia, quindi una maggior prontezza.
Per proteggere il motore ad induzione dai sovraccarichi termici, è sufficiente controllare la
temperatura degli avvolgimenti di statore in quanto la gabbia di rotore può raggiungere temperature
superiori. Nei motori a corrente continua occorre controllare l’avvolgimento d’armatura e, per
grandi potenze, è necessario un interruttore per corrente continua molto costoso e che necessita di
manutenzione.
Le operazioni di manutenzione dei due motori non sono nemmeno paragonabili. Se si esclude il
controllo dei cuscinetti, il motore ad induzione non necessita in pratica di alcun intervento di
manutenzione, mentre per il motore a corrente continua, occorre una regolare sostituzione delle
spazzole ed una rettifica del collettore.
Non c’è paragone tra la robustezza del motore asincrono e quella del motore D.C., pregiudicata
dagli avvolgimenti di rotore il cui isolamento si deteriora per le continue sollecitazioni termiche e
meccaniche.
Il motore a corrente continua non è in grado di sopportare coppie di arresto per lunghi periodi: ci
sono dei limiti alle correnti di stazionamento, assenti nel motore ad induzione.
Le dimensioni di un motore D.C. sono superiori a quelle di un motore A.C. di pari potenza.
Concludendo: il motore ad induzione vince su tutti i fronti, ora che l’elettronica gli ha fatto
superare l’handicap originario dell’impossibilità di variare la velocità con la tensione. Nelle
applicazioni di potenza sembra destinato a limitare sempre più la necessità di ricorrere al motore
D.C.
59
Sono di seguito elencate, seppure in modo sommario, alcune fra le innumerevoli
tipologie di azionamenti:
Esempi di circuiti per avviamento di motori in C.A.
Usando un motore asincrono a poli commutabili (Sistema Dahlander) in cui, tramite contattori,
vengono inseriti gli avvolgimenti, ad esempio a Triangolo o a Doppia Stella a cui corrispondono
due velocità diverse ma fisse, (il rapporto è sempre 1: 2).
In altri termini, non è possibile con questo metodo, ottenere una variazione di velocità di tipo
continuo, inoltre, la potenza non è costante nelle due velocità.
Lo schema di principio illustra la disposizione schematica della morsettiera e dei collegamenti delle
fasi nel motore Dahlander.
1. Variando la tensione di alimentazione tramite reattori saturabili, era una tecnologia in voga
prima dell’avvento dell’elettronica di potenza, per controllare la corrente di grossi carichi
senza avere le perdite in calore che davano le resistenze in serie (reostati).
2. Oppure si può ricorrere a convertitori di frequenza estremamente complessi e costosi.
Infatti, il numero di giri di un motore in C.A. è espresso dalla:
60
In cui f è la frequenza di rete di alimentazione, normalmente 50 [Hz] e p è il numero delle coppie
polari, quindi se per esempio il motore è costruito con p = 2 si avrà: n = 1500 [RPM].
61
Dagli anni ’30 fino agli anni ‘70
Largamente si adottò il sistema Ward Leonard.
(Mr. Harry Ward Leonard (Febbraio 1861 – Febbraio 1915)
Non mi è stato possibile trovare un’immagine del grande Ing. Ward Leonard, né sui miei libri di
testo, tantomeno sul Web, allego quindi una fotografia risalente agli anni ’30, nella quale compare
un tecnico alle prese con un azionamento Ward Leonard impiegato, in questo caso, per
movimentare un ascensore.
Il sistema fu introdotto già 1891, e presto fu largamente impiegato per:
Il controllo in coppia e velocità dei motori in C.C.
62
Seguono in forma schematica due classiche tipologie di circuiti Ward Leonard.
Gruppo Ward Leonard ad alimentazione rotante.
Il gruppo Ward Leonard può quindi comprendere fino a 4 macchine:

Un motore M asincrono (o sincrono) di trascinamento trifase aziona un piccolo generatore a
Corrente Continua E e un generatore a Corrente Continua più grande G per la generazione
della C.C. per alimentare il motore principale M.
La dinamo G alimenta l’avvolgimento dell’indotto del motore a Corrente Continua M ad
eccitazione indipendente.
La grandezza e la direzione della corrente del generatore G viene regolata con il reostato di campo
Rp.
In sostituzione del generatore di eccitazione E, si usa spesso anche un raddrizzatore a
semiconduttori, vedi circuito seguente.
63
Gruppo Ward Leonard statico
La differenza sostanziale di questo schema rispetto al precedente è la sostituzione della dinamo di
eccitazione E con un ponte raddrizzatore a secco a materiali semiconduttori, ne consegue una
notevole semplificazione costruttiva.
Qui a SX, una
foto raffigurante
un classico
gruppo Ward
Leonard ad
alimentazione
rotante.
Notare l’ingombro ed il numero di macchine elettriche utilizzate!
64
Il Motore in Corrente Continua C.C.
Seppure sommariamente, ecco di cosa si parla, quando si tratta su cosa sia un motore elettrico
alimentato in C.C., che, come abbiamo visto, è la macchina elettrica generalmente impiegata nei
Banchi prova di cui ci stiamo occupando.
I MOTORI elettrici sono macchine rotanti che …
… trasformano l’energia elettrica in energia meccanica.
1) Per queste macchine:
le grandezze di ingresso sono:
 La tensione V e la corrente I,
e quelle di uscita:
 La velocità angolare dell’albero motore ωm e la coppia motrice Cem sviluppata.
Hanno quindi una funzione opposta ai generatori, e da questi derivano semplicemente invertendo il
flusso delle energie.
In entrambe i casi tali macchine sono costituite da una parte fissa detta statore, e da una mobile
detta rotore, quest’ultima generalmente ruota sull’asse principale.
Su tali parti, fissa e mobile, sono alloggiati dei dispositivi: avvolgimenti o magneti permanenti che
hanno il compito di generare i flussi magnetici.
65
ALCUNE IMMAGINI ILLUSTRATIVE:
AVVOLGIMENT
COPPIE POLARI
ROTORE
CARCASSA
CUSCINETTI
ALBERO
COLLETTORE
SPAZZOLE in CARBONE
66
Una foto di gruppo di collettori di varie dimensioni.
Il commutatore a lamelle, insieme alle spazzole, rappresenta il sistema di adduzione della corrente
all’avvolgimento di armatura.
67
L’equazione che governa il moto del rotore è come al solito la II legge della dinamica, applicata al
caso del moto rotatorio:
In cui:
ωm
J
Cm
Cr
=
=
=
=
Velocità angolare del rotore.
Momento di inerzia
Coppia motrice, ossia la coppia elettromagnetica sviluppata dal motore – Cem
Coppia resistente applicata dal carico all’albero motore.

La parte fissa, già definita come statore, costituisce il circuito magnetico corredato degli
avvolgimenti di eccitazione, che costituisce l’induttore, parleremo quindi di tensione e
corrente di eccitazione.

La parte mobile o rotore, costituisce l’indotto, parleremo quindi di tensione e corrente di
armatura.

La terza parte fondamentale in un qualunque motore elettrico, ad eccezione dei cosiddetti
“brushless”, cioè senza spazzole, i quali non abbisognano di contatti striscianti per la
commutazione della corrente circolante, è rappresentata dal collettore e dalle spazzole che
servono per connettere il circuito con la linea di alimentazione esterna.
68
Dagli anni ’80 ai giorni nostri.
Allo scopo di sviluppare la coppia Ma di simulazione, il motore dovrà necessariamente lavorare in
controllo di coppia.
La soluzione ottimale, prevede l’impiego di un motore in corrente continua, ad avvolgimenti
compensati, un azionamento trifase bidirezionale a 12 diodi S.C.R. (Silicon Controlled Rectifier)
controllati, un circuito per il controllo della corrente di armatura, e di un loop per il controllo della
coppia.
Con le attuali possibilità offerte dall’elettronica, si può garantire un controllo di coppia motrice con
minimi ritardi temporali nella sua regolazione.
Ecco uno schema didattico, che ne illustra il principio di funzionamento:
Rappresentazione Simbolica.
Il Diodo S.C.R.
Foto di gruppo
69
Qui di seguito un disegno non quotato di un motore in C.C.
Si noti alla DX, la dinamo tachimetrica calettata all’estremità dell’asse con funzione di generatore
del segnale in C.C. di retroazione per il controllo
in velocità del motore stesso.
Dalla D.T. generalmente si hanno in uscita:
60 volt / 1000 giri, cioè 0.06 [volt / giro]
Una foto di un motore in C.C. di attuale produzione a forma cosiddetta
“poligonale”
70
Principi di Funzionamento del Motore in C.C.
La maggior parte delle macchine elettriche funziona per interazione tra conduttori percorsi dalla
corrente ed i campi elettromagnetici.
In particolare il funzionamento del motore e/o generatore si basa sulla legge di Michael Faraday,
dell’induzione elettromagnetica, vale a dire una tensione (f.e.m.) viene indotta nel conduttore che
“taglia” le linee di flusso magnetico.
“tagliare” in questo contesto vuol dire che il moto del conduttore è perpendicolare alle linee di
flusso: in caso diverso, solo la componente ortogonale sarà efficace per la tensione indotta.
Il motore a corrente continua è una macchina elettrica rotante capace di trasformare l'energia
elettrica (con cui viene alimentato) in energia meccanica; che si ritrova sull’albero motore
stesso sotto forma di coppia (coppia motrice).
Esso è costituito da:
1) Il circuito magnetico corredato degli avvolgimenti di eccitazione che costituisce l’Induttore
rappresenta lo statore della macchina; parleremo quindi di tensione e corrente di eccitazione.
2) Il circuito di armatura che costituisce l’Indotto e rappresenta il rotore della macchina;
parleremo quindi di tensione e corrente di armatura.
3) Il collettore e le spazzole che servono per connettere il circuito di armatura con la linea di
alimentazione esterna.

Tralascio le descrizioni dei circuiti per il pilotaggio dei motori in C.C., nelle diverse
versioni disponibili:
o
o
o
o
Magneti permanenti.
Eccitazione in serie.
Eccitazione in derivazione.
Altro …
Mi limiterò, senza avventurarmi in settori non di mia competenza, nel descrivere solo quanto
ritengo utile in questa trattazione.

Le regolazioni che possono essere effettuate sulle grandezze elettriche di ingresso e
meccaniche di uscita per un motore in C.C. sono:

Regolazione di velocità (o del numero di giri)
 Regolazione della coppia resa sull’albero.
 Limitazione della corrente allo spunto.
 Inversione del senso di marcia.
 Frenatura.
71
Funzionamento di un motore C.C. a coppia disponibile costante:


Si modifica la tensione del circuito di armatura e si mantiene costante la corrente di
eccitazione e quindi il flusso.
Si utilizza la coppia nominale a tutte le velocità. La variazione di velocità ottenuta agendo
sulla variazione di tensione, ma con flusso costante, porta al funzionamento a coppia
costante, che è il modo più gravoso di funzionamento del motore. In questo tipo di
regolazione il motore ha la possibilità di fornire la stessa coppia, in particolare anche quella
di pieno carico, per qualunque velocità ottenibile.
Funzionamento di un motore C.C. a potenza disponibile costante:


Si modifica la corrente di eccitazione e quindi il flusso e si mantiene costante la tensione di
Armatura.
La potenza disponibile rimane costante a tutte le velocità. La variazione di velocità ottenuta
mediante la variazione del flusso induttore, a tensione d’armatura costante, è quella che
consente la disponibilità della piena potenza della macchina: all’aumento della velocità
occorre diminuire la richiesta della coppia di carico, perché in questa situazione le due
grandezze sono inversamente proporzionali.
Funzionamento di un motore C.C. a Regolazione mista


Si avvia la macchina con il massimo flusso di eccitazione e tensione gradualmente crescente
fino al valore nominale.
Raggiunta la velocità nominale, si diminuisce il flusso del circuito di eccitazione.
Il grafico qualitativo del funzionamento:
72
Si osservi che, mantenendo nel tratto da 0 fino a nnom (Coppia Costante) la corrente e variando la
tensione di armatura, la coppia rimane costante fino al numero di giri nnom fissati dal costruttore per
questa regolazione, mentre la potenza cresce linearmente fino al valore nominale della potenza
nominale Pn .
Nel tratto nnom fino a nMAX (Tratto a potenza costante pari a Pn) l’aumento del numero di giro viene
ottenuto riducendo il flusso di eccitazione (de flussaggio) la coppia decresce in questo tratto con
legge iperbolica.
Esiste però una zona di interdizione per la regolazione, definita dal seguente rapporto:
Nel tratto da:
con:
Infatti, a velocità nulla, il motore è chiamato a fornire coppia massima ed il rotore è percorso da una
corrente molto alta che provoca problemi di dissipazione termica con conseguente necessità di
ventilazione forzata per facilitare lo smaltimento dell’eccesivo calore che si sviluppa nel circuito di
armatura, ecco perché n0 nella maggior parte dei casi non corrisponde a velocità nulla.
73
Cenni Costruttivi sui motori in C.C.
Il rotore di una macchina C.C. è costituito da un cilindro laminato in materiale ferromagnetico, nella
cui periferia sono ricavate le scanalature (cave) che accolgono le spire dell’avvolgimento di indotto.
I poli sono composti da un nucleo attorno al quale vengono sistemati gli avvolgimenti di
eccitazione, e da una espansione polare avviluppante, sagomata a ventaglio con profilo concentrico
a quello del rotore.
La maggiore sezione dell’espansione polare ha lo scopo di diminuire la riluttanza, valore che misura
l’opposizione di un materiale al transito di un flusso magnetico, quindi della distanza tra rotore e
statore, il cosiddetto: traferro, per la stessa ragione si limita quanto più possibile lo spessore dello
stesso.
A causa dello spostamento dei denti rotorici, si hanno sensibili variazioni di flusso sull’espansione
polare.
Per limitare l’effetto delle correnti parassite dovute a tali variazioni, le espansioni polari sono
costruite con lamierini fra loro isolati con vernici.
74
Gli avvolgimenti di indotto sono fatti in modo che il lato attivo sotto un polo sia sempre connesso
con un lato attivo di un polo di nome opposto.
I due lati attivi sono anche connessi a due lamelle del collettore (su cui scorrono le spazzole), a
formare una spira.
Gli avvolgimenti, formati dalle spire collegate fra loro, possono essere di due tipi:
1. Serie o Ondulato:
Un conduttore del primo polo N è collegato a uno del primo polo S, dopo il collegamento al
collettore, si ha una connessione ad un conduttore del secondo polo N, poi a un conduttore del
secondo polo S ecc..,
75
Embricato (Sovrapposto)
Dopo il collegamento dei due primi conduttori, si
collega un altro conduttore del primo polo N, poi
un del primo polo S, ecc., terminati i conduttori
sotto una coppia di poli, si passa a quelli della
seconda coppia di poli.
L’avvolgimento viene disposto nell’indotto inserendo i fasci indotti nei canali che la superficie
esterna che l’indotto presenta.
I collegamenti vengono a trovarsi frontalmente, sulla faccia anteriore o su quella posteriore
dell’indotto.
La faccia anteriore è quella ove si trova il collettore.
Collettore.
76
Come leggere la targhetta identificativa di un motore elettrico.
Tali targhette sono in acciaio INOX, generalmente rivettate su un fianco o nella parte alta del
motore stesso, riportano i dati identificativi della macchina, si tratta quindi di una sorta di Carta di
Identità che il produttore deve obbligatoriamente fornire per ognuno dei suoi manufatti, eccone un
esempio:
Le descrizioni ed il loro significato, sono chiaramente indicate nella norma: IEC 60034-8.
Eccole in lingua Inglese:
77
Calcolo dei tempi di avviamento per un motore in C.C. cui sia collegato un
carico inerziale.
Abbiamo visto a Pag. 67, un grafico qualitativo sul funzionamento di un motore in C.C. ad
avvolgimenti compensati:
Caratteristiche che lo pongono in grado di
fornire una coppia costante Cn fino ad un
numero di giri nominale nnom dopo di che la
coppia viene ridotta fino a nMAX in modo da
mantenere costante la potenza.
Lo studio implica il richiamo ad alcune equazioni fondamentali:
In cui:
C = Coppia
P = Potenza
 = Velocità angolare
[newton*m],
[kW]
[rad*sec-1]
Ma, per il principio di conservazione dell’energia:
Ed essendo:
Si ha:
Oppure:
Dalla precedente si ottiene:
da cui per integrazione:
78
Fino a nnom la coppia è costante, per cui:
Oltre nnom la potenza è costante e la coppia è funzione di ω, per cui:
Il tempo totale per raggiungere il numero di giri: n  nnom, sarà la somma dei tempi parziali appena
determinati:
ttot = t1 + t2

Ecco un esempio per il quale si è preso in considerazione un motore C.C. (CoppiaPotenza Costante) con le seguenti caratteristiche:
P
=
nnom =
nMAX =
=
Jtot
250
1000
2000
70
[kW]
[RPM]
[RPM]
[kg*m2]
I calcoli conducono a:
79
Ttot = 3.1 + 4.6 = 7.7 [sec]
E’ bene sottolineare che nelle formule precedenti non si è tenuto conto dei rendimenti presenti nel
sistema, la scelta è fatta per non complicare ulteriormente il lavoro, il cui scopo è, e deve rimanere,
solo di carattere informativo. (Sul rendimento dei motori elettrici, si farà cenno alla Pag. 87)
80
Banco Prova Freni con Simulazione di Inerzia.

Rispetto alla versione tradizionale descritta a Pag. 12, presenta i seguenti vantaggi:
1. L’unità di prova (Banco) si può ridurre in lunghezza e si possono ridurre praticamente a zero
i tempi di cui al punto 4. in quanto l’energia equivalente a quella delle masse in rotazione
viene fornita dal motore.
2. Ciò significa che tutto il momento di inerzia o parte di esso, potrà ora essere simulato dal
motore stesso durante la frenata.
3. Minor numero di volani. (Per inerzie fino a 100 [kg*m2]) potrebbe anche essere nullo.
4. Tempi per il cambio delle masse volaniche, sono azzerati, in quanto la simulazione avviene
in tempo reale e controllata dal calcolatore.
5. L’inerzia del veicolo, può essere variata durante la frenata, ciò equivale alla variazione
dinamica di carico sull’assale.
6. La lunghezza ridotta e la simmetria della macchina rendono la stessa particolarmente idonea
alla costruzione nella versione cosiddetta “Bitesta”.
7. In questa versione si potranno quindi testare contemporaneamente freni diversi. (Time
Sharing)
8. Due freni uguali, oppure un freno anteriore accoppiato al corrispondente posteriore del
veicolo.
81
Descrizione del Processo di Simulazione.
Durante la frenata, fase finalizzata al rallentamento o all’arresto del/i volano/i, il freno in prova
dissipa, (smaltisce) l’energia cinetica del veicolo in accordo con la formula seguente:
Dove:
Ec
Mf
ω
t1, t2
=
=
=
=
Energia cinetica
Momento frenante
Velocità angolare
Istanti di inizio e fine frenata
Il momento frenante Mf vale:
Nella quale:
Jv = Inerzia equivalente del veicolo
Integrando e combinando le due equazioni precedenti, si può scrivere:
Avendo definito con ω la velocità angolare:
ω1 = Velocità angolare iniziale,
ω2 = Velocità angolare finale
Velocità angolare che per definizione vale in [rad/sec] :
Ove con n si indichi, come consuetudine, il numero di giri al secondo.
Nel caso di un banco convenzionale, Jv è simulata combinando un numero di volani tali da
soddisfare le equazioni scritte in precedenza.
82
Si determinerà in sede di progetto l’inerzia base, cioè quella dell’albero, delle flange ad esso
permanentemente vincolate, dei giunti e sommando al tutto l’inerzia della parte rotorica del motore
in C.C.
A tal riguardo, richiamo un mio documento vintage liberamente consultabile e scaricabile da:
http://www.scribd.com/doc/76307818/Calcolo-Di-Massima-Per-Un-Banco-Prova-Freni
I valori delle inerzie delle masse volaniche sono solitamente determinati (Vedere Pag. 48) con lo
sviluppo di una progressione geometrica di ragione 2, sottolineo però come la scelta, fosse affidata
generalmente all’estro del progettista oppure alle esigenze che le prove a tale macchina sarebbero
state devolute.
Nel caso invece ci si orienti, ed è questa la tecnica di progetto attuale, alla costruzione di un Banco
prova dotato di simulazione di inerzia, indicando con: Jm l’inerzia meccanicamente presente
sull’albero, comprensiva del rotore motore, mozzi, flange, volano/i inserito/i ne consegue che per
soddisfare l’equazione:
Il motore dovrà compartecipare con la coppia sua disposizione per un valore tale da creare
un’inerzia simulata l’aliquota mancante pari a:
Il motore dovrà quindi fornire una coppia addizionale Ma, ciò implica che in questo tipo di banco il
motore non verrà diseccitato allo start della frenata, ma parteciperà attivamente all’evento.
La coppia addizionale dal motore Ma dovrà:

Fornire insieme a Jm la giusta quantità di energia al freno in prova. Rispettare durante la
frenata l’equazione già enunciata:

In accordo con la:
83
Il motore dovrà sviluppare durante la frenata una coppia pari a:
L’impiego della formula precedente implica per sua natura alcune complessità:

Il segnale di velocità deve essere derivato rispetto al tempo onde ottenere:
.
ω

dω
dt
L’uso della precedente richiede l’impiego di un segnale retro azionato (Feed-Back)
I due punti enunciati, comportano notevoli limitazioni alla dinamica del processo, rendendolo
applicabile solo in casi di accelerazioni o decelerazioni con incrementi temporali di limitata entità.
Nei banchi dinamometrici però, si può misurare con elevata precisione il momento generato dal
freno in prova (Coppia) Mf, ciò avviene normalmente con l’uso di celle di carico o torsiometri ad
elevata sensibilità, questo comporta che la misura della coppia frenate sul freno, può essere usata
per dare origine al calcolo del momento generato sull’albero del motore Ma, infatti, ricordando che:
e:
Si ottiene la seguente:
L’uso di quest’ultima equazione, facilita enormemente il controllo del motore quando ad esso sia
devoluta la funzione di simulazione di inerzia, questo perché la lettura di Mf avviene in tempo reale
senza necessità di operazioni di derivazione come nel caso della situazione in cui si facesse uso
della:
84
Per la simulazione durante la frenata, il motore in C.C. dovrà quindi sviluppare all’albero una
coppia come dall’equazione di cui sopra.
Ciò significa che se…:

… il valore del momento di inerzia meccanica Jm disponibile all’albero del banco è
superiore al valore teorico Jv, il motore agisce come freno, lavorerà in controcorrente,
quindi dissiperà l’energia in eccesso dei volani, cosicché al freno sarà affidata correttamente
la sola energia che compete a Jv.

… , nel caso opposto, il momento di inerzia meccanico Jm disponibile è inferiore al valore
teorico Jv, il motore dovrà agire come tale, fornire cioè un supplemento di energia sotto
forma di coppia, che sommata a quella della Jm fisicamente presente, farà si che al freno sia
conferita la dissipazione di energia che competerebbe al valore teorico Jv.
Torniamo ora all’equazione:
Dalla stessa si ottiene:
Da cui, integrando:
tt22
tt22
tt11
tt11


JJvv  dd
  M
M ff dt
dt
Quindi:
Ed infine:
Dalla formula precedente, si evince che la coppia frenante Mf, è integrata rispetto al tempo, quindi
divisa per la variazione di velocità angolare, questo è il metodo proposto, dimostratosi poi di
notevole precisione, per il calcolo e quindi per la visualizzazione dell’aliquota di inerzia simulata.
Altre vie per addivenire allo stesso scopo sono basate su:


Misura del tempo di frenata Δt
Spazio di frenata Δs
Di queste ultime, se ne tralascia l’esposizione in quanto non comunemente adottate.
85
Una nuova concezione di Banchi Prova (Anno 1989 e successivi)
Nel 1989, fu avviato, nella ditta presso la quale lavoravo, un programma volto allo sviluppo di un
laboratorio, dotato di strumenti e macchine di prova per la misura, analisi, dei fenomeni connessi al
rumore, alle vibrazioni fenomeni negativi, tipici per un sistema instabile sotto quell’aspetto, quale il
freno sia a disco che tamburo per autoveicoli.
Il primo passo fu quello di equipaggiarsi di microfoni, registratori digitali, accelerometri,
strumentazione da montare su veicolo: in poche parole tutto il necessario per iniziare, partendo da
zero e con poche risorse, affrontando le incognite e i rischi derivanti da un eventuale fallimento, un
settore completamente sconosciuto, almeno in casa nostra.
Nacque quindi l’idea di banco prova dedicato alle prove freni, che avesse caratteristiche
particolarmente idonee a tale tipo di misure.
I concetti descritti nelle pagine precedenti, furono la traccia guida che portò ad una nuova
concezione per la realizzazione di Banchi prova freni, questi i punti principali:
Compattezza.
Flessibilità nei comandi e nella gestione dei programmi di prova.
Soft-Ware adeguato per l’analisi del rumore e vibrazioni.
Schede di acquisizione segnali a più ingressi e uscite, con almeno 2 canali atti al
campionamento fino a: 40 [kHz]
5) Soluzione alternativa migliorativa per l’applicazione della pressione idraulica alla pompa
freno.
6) Possibilità di rilevare il coefficiente d’attrito µ nella fase di transizione statico-dinamico,
quindi nella zona di interdizione definita a Pag. 68 nel tratto da: 0….nnom
7) Riduzione delle vibrazioni strutturali. (Flessionali, ma in particolar modo torsionali) della
macchina stessa, ciò fu ottenuto con un progetto a struttura modulare, in modo da separare
le parti della macchina, a secondo le funzioni loro assegnate.
8) Possibilità di montare oltre al freno a disco tradizionalmente usato nelle prove, tutti i
componenti a lui vicini, estendendo il montaggio fino al primo attacco in gomma, quindi:
mozzo, cuscinetti ammortizzatore, braccetti, trapezio, ecc…
9) Possibilità di montare oltre a quanto indicato al punto 6) lo pneumatico con cerchione su
ruota folle simulante il suolo stradale. La ruota folle sarebbe poi rivestita sulla corona
periferica con una miscela di resina epossidica e corindone Al2O3, per garantire un
coefficiente d’attrito simile al contatto con l’asfalto: µ = 0.6
10) Possibilità di regolare la posizione in direzione verticale della ruota folle di cui al punto 7),
in modo da coprire tutta la gamma dei raggi di rotolamento delle ruote in commercio.
11) Capacità della ruota folle di cui ai punti 7) e 8) di simulare il carico gravante sullo
pneumatico e conseguentemente comprimere il mollone dell’ammortizzatore.
12) Basamento isolato con supporti antivibranti o in materiale elastico di durezza SHORE
adeguata.
13) Isolamento acustico mediante camera semianecoica, specie della zona delimitante il freno
in prova.
1)
2)
3)
4)
86
Ecco (1989) il primo brogliaccio di tale progetto, (Matita, squadrette e spesso la gomma per
cancellare e modificare):
87
A quei tempi i programmi tipo AutoCAD ®, o similari, non erano molto diffusi, il prezzo era
proibitivo, (Per una licenza si aggirava intorno ai 4.0 £.MIO, circa 2000 Euro odierni).
Da parte mia, lo scoglio fu presto superato: ottenni, non ricordo come e da chi, il programma e a
casa mia, come consuetudine, nacque una versione del progetto con veste pressoché definitiva,
eccola (1990):
Sezione secondo: A – A:
Vista secondo la freccia: B
88
Si giunse così alla costruzione, montaggio, collaudo e prove iniziali.
Foto risalente al giorno
dell’inaugurazione
(Giugno 1991 ?).
Sotto, un’immagine più recente:
Non è visibile il modulo di supporto con i motori: l’albero a SX nella foto attraversando la parete
della camera semianecoica è collegato mediante un giunto ai motori situati esternamente alla stessa.
89
Riassumendo:
- Queste le caratteristiche del Banco:






JMAX
per il veicolo da testare)
Jvolano
Jmotore
Jparti_rotanti_alberi_giunti_ecc.
nMAX
Jruota_folle (valore stimato dai disegni)
=
100
[kg*m2] (Valore MAX previsto
=
=
=
=
=
30
3.9
1.5
2000
30
[kg*m2]
[kg*m2]
[kg*m2]
[RPM]
[kg*m2] (Quando utilizzata)
- Queste invece le caratteristiche del motore in C.C. per l’azionamento:
NP250KM-PVA/B3
S1
250
1000
2000
400
700
40
330
15
1275
3.9
90
Note informative sui dati di targa: (Secondo la già citata norma IEC 60034-8)
Consultare anche il catalogo scaricabile da: SICME Motori ITALIA
.
 TIPO / TYPE
- 250 indica l’altezza in [mm]dell’asse motore rispetto al piano di appoggio.
 SERV. / DUTY
- S1 Indica il funzionamento con carico costante.
 P
- Indica la potenza in [kW] del motore da: nnom a nMAX
 VEL. / SPEED
- Sono le velocità in RPM, rispettivamente : nnom e nMAX
 ARM / ARM
- Tensione e corrente d’armatura in [volt] e [ampere]
 CAMPO / FIELD
- Tensione e corrente di campo o eccitazione in [volt] e [ampere]
 MASSA / MASS
- Peso del motore in [kg]
 J
- Momento di inerzia dell’albero e del rotore in [kg*m2]
 TEMP. AMB. / AMB. TEMP.
- Temperatura d’esercizio del motore (Ambiente) [°C]
91
Rendimento del Motore Elettrico.
Rileggiamo quanto scritto a Pag. 60
I MOTORI elettrici sono macchine rotanti che …
… trasformano l’energia elettrica in energia meccanica.
Fin qui tutto è chiaro, ma se osserviamo la targhetta del motore a Pag.85, notiamo che la macchina
in questione ha una potenza all’albero di:
Palbero = 250 [kW]
mentre la abbiamo alimentata con una tensione di:
400 [volt]
e con una corrente di ben:
700 [ampere]
Dunque la potenza in ingresso (Fornita) è:
Pingresso = V * I = 400 [volt] * 700 [ampere] = 280 [kW]
Al conteggio finale mancano ben 30 [kW], dove sono finiti?
Bisogna ricordare che:


Il processo di conversione elettro-meccanica vie realizzato con inevitabili perdite di potenza.
L’energia associata alle perdite di potenza viene dispersa sotto forma di calore.
Le perdite di una macchina in C.C. sono di vario tipo:




Perdite Joule di armatura.
Perdite Joule di eccitazione.
Perdite nel ferro.
Perdite meccaniche. (Attrito e Ventilazione)
Quindi il rendimento elettrico del motore considerato vale:
92
Calcoli e Grafico della Zona di utilizzo del Banco.
Dai dati di targa Pag. 85, si ha:
 Inerzia meccanica fissa Jmecc:
 Volano
=
30.0
[kg*m2]
 Motore
=
3.9
[kg*m2]
 Albero, giunti
=
1.5
[kg*m2]
35.4 [kg * m2]
Dalle considerazioni fatte a Pag.72, si può scrivere:
ipotizzando di dovere simulare al Banco una gamma di veicoli con inerzie variabili da:
e rappresentando graficamente:
93
E’ stato riportato sulle ordinate il valore della coppia limite pari a:
350 [kgf * m], da non superare in fase di frenata, pena la rottura della cella di carico su cui agisce la
barra di torsione:
94
Come si legge e si interpreta il grafico:
La zona ottimale di utilizzo è quella ombreggiata.
Si può simulare un qualsivoglia di inerzia nel range 10 ÷ 100 [kg * m2], a qualsivoglia velocità,
purché compresa in un range ~ 20 ÷ 2000 [RPM], considerando il limite MAX di coppia
sopportabile dalla cella di carico, in questo caso: 350 [kgf * m]
95
Caso in cui lo pneumatico è montato e preme sulla periferia della ruota folle….
--- in tale situazione, il computo inerziale dovrà anche tener conto di tale massa volanica aggiunta al
sistema e ridurla all’albero del motore.
rdyn
RRuota_simulazione
JRuota_simulazione
Per il calcolo, ci si avvale del teorema del Fisico Huygens:
Teorema di Huygens
Tale teorema asserisce che:
La riduzione delle masse è fatta in base all'eguaglianza delle energie in gioco.
Nel nostro caso, definiti come:

JRuota_simulazione = 30 [kg*m2] Inerzia della ruota folle simulatrice del suolo stradale

RRuota_simulazione = 600 [mm] Raggio della ruota folle simulatrice del suolo stradale

Rdyn= 275 [mm] Raggio pneumatico poggiante sulla ruota di simulazione del suolo stradale
96
Si avrà:
Da cui:
Al valore di inerzia del Banco prova freni, comprensiva di: volano, albero, giunti di trasmissione e
quant’altro in rotazione, si dovrà sommare, ma solo nel caso venga montato lo pneumatico, anche
l’inerzia Jridotta poc'anzi calcolata.
97
Il controllo e l’Azionamento della Macchina per Velocità nella zona di
Interdizione vedi Pagg. 65 e 66 definita dal rapporto:
Le prove sui freni per velocità comprese nell’intorno della zona di transizione quella cioè compresa
tra la velocità nulla (veicolo in quiete) e quella per cui:
Velocità  0
fanno parte dei normali programmi di testing, sono quindi richieste da tutti i costruttori di
autoveicoli.
La condizione di transizione da attrito statico a dinamico, riveste particolare importanza, e tutti ne
siamo testimoni:

Quante volte, col piede leggermente posato sul pedale freno, in discesa, in prossimità dei
semafori, all’ingresso dell’autorimessa, a passo d’uomo, non abbiamo udito un gracchiare
proveniente dalla parte anteriore del veicolo?

Quante volte in vacanza al mare, dopo aver lasciato il veicolo parcheggiato per una notte,
situazione che si presenta anche in condizioni di freddo intenso, non abbiamo sentito un
clack, sintomo inequivocabile che qualcosa si era sbloccato all’atto della partenza?
Orbene la spiegazione di tutti questi fenomeni è riconducibile spesso alla rilevante diversità tra il
coefficiente di attrito statico e quello dinamico degli organi in contatto e dotati di moto relativo,
quindi le pastiglie freno e i dischi fra loro intimamente connessi.
Si deve quindi analizzare il comportamento del/i freno/i nelle seguenti condizioni:


Bassa pressione nel circuito idraulico: 1 ÷ 5 [bar] e Velocità comprese tra: 0 ÷ 5 [km/h]
Freno di parcheggio appena sbloccato dopo le soste notturne.
I motori elettrici tradizionali, ed è stato più volte rimarcato, non sono facilmente controllabili in
velocità ed in coppia nei range richiesti per tali prove.
Occorre quindi azionare l’albero del banco con un meccanismo diverso da quello finora
considerato.
La soluzione comunemente adottata, è quella proposta negli schizzi alla pagina seguente.
Il fuori scala è evidente, ne chiedo venia!
98
Motoriduttore
secondario
Quando il Motoriduttore secondario, entra in funzione, sostituisce il
motore principale del banco, del quale tuttavia sfrutta l’albero come
veicolo per applicare il momento torcente al freno in prova.
99
Alcuni schemi semplificativi:
Motore Idraulico
Motoriduttore
100
NOTA: I due schizzi della pagina precedente fanno riferimento a prove su freni di parcheggio a
ceppi, lo si evince dalla presenza del cavo BOWDEN:
Riferimenti utili per il Cavo BOWDEN
-Sir Frank Bowden 1st Baronet http://en.wikipedia.org/wiki/Sir_Frank_Bowden,_1st_Baronet
-Sul cavo BOWDEN http://en.wikipedia.org/wiki/Bowden_cable
-Ancora sul cavo BOWDEN http://en.wikipedia.org/wiki/File:Bowden_cable.JPG
Il cavo BOWDEN è destinato all’azionamento delle ganasce del freno a tamburo ma nulla cambia
se si sostituisce al freno a ceppi una pinza freno idraulica fornita però di leva per l’azionamento del
freno di parcheggio, leva, attivata con il predetto cavo, oppure pinza freno attivata con la pressione
del fluido generata dalla pompa. (Master Cylinder).
Pinza Freno
Spezzone di Cavo
BOWDEN
Cella di Carico
Cilindro
Idraulico
101
Diverse tipologie di meccanismi, leveraggi, motori e azionamenti, sono state ipotizzate, realizzate
talvolta con successo, altre ancora sono state migliorate e oggigiorno frequentemente utilizzate.
Se ne traccia sommariamente la storia:
Anni ‘80
Ecco uno schizzo illustrante un dispositivo (1989) atto al rilevamento del µ statico.
Azionato da una leva spinta da un cilindro pneumatico, a macchina ferma, con pressione dell’aria di
linea: c.a. 5 [bar], la fase della transizione: µstat  µdyn veniva graficata su carta con registratori del
tipo illustrato a Pag. 30.
102
Azionamento da Motore Secondario:
 MOTORI IDRAULICI
Caratteristiche generali su tali attuatori:
In un circuito idraulico di trasmissione dell’energia, la potenza meccanica
impressa alla pompa di comando, si trasforma in potenza idraulica che mette
in movimento il liquido conferendogli portata e pressione.
Giunto all’utilizzatore, il liquido trasforma la pressione in forza di spinta, e
la portata in velocità di spostamento.
La stessa conversione avviene se il motore idraulico sia di tipo rotativo: cioè
la potenza idraulica della pompa si riconverte in potenza meccanica utile al
moto lineare o rotante.
103
Attuatori Oleodinamici rotanti

Motore Idraulico Semi-Rotativo (Oscillante) a paletta conosciuto anche come:
PALMOLA.
Il motore di cui alla Pag.95 in alto, è un motore idraulico.
Questi attuatori fanno ruotare un albero in uscita per un limitato angolo giro, sono in grado di
generare un’elevata coppia torsionale, in entrambi i versi di rotazione.
Il suo nome alternativo è: “Generatore di Coppia” oppure “Torque-motor” per dirla
all’americana.
Questi attuatori consistono in una o più camere che contengono il fluido motore (inviato dalla
pompa della centralina) e in una superficie mobile contro la quale il fluido stesso si trova ad agire.
La superficie mobile è collegata con un albero in uscita che trasmette il movimento.
Le unità a palette si limitano ad una rotazione inferiore a 360 °, generalmente dai 270 ° ai 300 °.
La potenza può raddoppiarsi con l’impiego di due palette anziché una, però la rotazione si riduce a
circa 100 °.
Sezione schematica e relativo simbolo UNI.
104
Un altro modello, da un Catalogo della: HKS GmbH - Germany.
La pressione dell’olio sulle bocche P1 e P2, produce indirettamente la rotazione dell’albero.
Il movimento lineare del pistone K, viene convertito in movimento rotatorio da una serie di
scanalature elicoidali presenti nell’albero, nel pistone e nel corpo.
Con pressione sulla bocca P1, l’albero G ruota verso SX (Rotazione antioraria CCW ), viceversa
con pressione sulla bocca P2, l’albero ruota verso DX (Rotazione oraria CW )
Una vista in sezione:
K
G
P1
P2
105
Le caratteristiche dei modelli di interesse:
Un montaggio:
106
 MOTORIDUTTORI A INGRANAGGI.
Alla Pag.95 in basso a DX, si osserva un motoriduttore.
Le soluzioni che i costruttori propongono sono molteplici sia come forma, dimensioni,
ancoraggi, coppie trasmissibili, ma il tutto con un unico fine:
Forte riduzione del numero di giri: ingresso / uscita.
Ecco uno schema di principio che ne illustra il funzionamento:
Cingresso
ningresso
nuscita
Cuscita
La riduzione del numero di giri si ottiene con due coppie di ingranaggi: la prima conica e la seconda
a denti diritti.
Parallelamente alla riduzione del numero di giri si ha un incremento della coppia trasmessa dagli
alberi, le frecce rosse e blu, con le loro dimensioni, illustrano qualitativamente tale
trasformazione.
107
Qui di seguito uno di questi riduttori montato in coda all’albero del motore principale di un banco
prova, nella parte alta il motore elettrico per il suo azionamento.
108
UN CASO REALE:
Il disegno che segue rappresenta un montaggio come quelli appena descritti, uno fra i tanti realizzati
e messi in funzione da: TecSA S.r.l. Torino (ITALIA)
Motore Vettoriale SICME – BQCp 132 X
n
=
580 [RPM] @ 19.3 [Hz]
P
=
13.2 [kW]
C
=
217 [newton*m]
Campana di adattamento “SEW”
Riduttore “SEW” – Tipo KAF97
Rapporto di riduzione i = 24.75
109
Alcune considerazioni:
Il numero di giri del motore SICME è 580 [RPM], all’uscita del riduttore che come visto ha un
rapporto di riduzione:
i = 24.75
si avranno:
Cioè:
La coppia sull’albero del motore vale:
217 [newton*m]
Sull’albero di uscita del riduttore ci si dovrà aspettare una coppia di:
Non si è tenuto conto dei rendimenti che inevitabilmente presenti, ridurranno le aspettative teoriche.
110
Tratto dal catalogo SICME:
Il motore è della tipologia “brush-less” (senza spazzole) alimentato in C.A. in grado di generare,
senza danneggiarsi, una coppia anche per velocità prossime allo zero, ed è questo il caso nostro.
111
Innesto (giunto) frontale a denti.
Per concludere l’argomento sugli attuatori idraulici e dei motoriduttori, si illustrano le modalità per
renderli solidali all’albero del banco su cui sono montati.
In effetti, quando non è richiesta la coppia da loro generata, debbono tassativamente essere
svincolati e non alimentati.
Il metodo classico prevede l’utilizzo di un innesto (giunto) a denti frontali, talvolta impropriamente
denominato: frizione a denti.
Vedere il disegno a Pag.24 in alto.
In basso un dettaglio dell’immagine della Pag. 103: si tratta dell’innesto a denti frontali.
112
Ecco un modello di tali innesti frontali a denti.
113
L’innesto a denti frontali è per molti aspetti simile alla frizione elettromagnetica descritta a Pag. 53,
identica la struttura, come pure l’alimentazione a 24 [volt] C.C.
diversa è la funzione:
nel caso della frizione si tratta di disaccoppiare il motore di trascinamento dalle masse volaniche
prima dello start frenata da parte del freno in prova, motore e volani precedentemente posti in
rotazione dal motore stesso e quindi alla stessa velocità.
Nel caso dell’innesto a denti frontali si tratta di accoppiare e rendere solidali l’albero di uscita del
motore idraulico o del riduttore a ingranaggi con l’albero principale del banco cui sono vincolati i
volani.
In questa seconda situazione, la condizione iniziale di velocità nulla per i due organi, cioè:
è perentoria!
Le facce attive della frizione elettromagnetica sono rivestite con materiale d’attrito, è quindi è facile
immaginare che l’accoppiamento o il disaccoppiamento di esse avvenga in modo dolce, senza
vibrazioni, sobbalzi, insomma una sorta di pattinamento che precede il raggiungere una velocità
angolare uguale per entrambe le parti.
Caso diverso si presenta con l’impiego dell’innesto a denti frontali.
Ci si può trovare in una situazione del tutto casuale peraltro ottimale, per la quale i denti si trovano
in una posizione tale che il pieno di una parte corrisponde al vuoto dell’altra.
L’avvicinamento avverrà senza traumi e la messa in rotazione senza sobbalzi o quasi.
Innesto aperto.
Innesto chiuso.
114
Nella situazione altrettanta casuale quella quale per cui i denti trovansi in posizione sfalsata,
l’avvicinamento e la chiusura sono preceduti da una serie di urti (uno per ogni dente), strisciamenti
tra le sommità dei denti stessi, cui farà seguito la chiusura completa dell’innesto.
Tali urti, generano una pluralità di forze impulsive, che, seppure di minima intensità e durata, sono
trasmesse dall’albero e si ripercuoteranno al freno in prova, falsando in modo più o meno
importante i risultati del test in corso.
Avvicinamento.
Impatto.
Ingranamento.
Innesto chiuso.
Innesto Chiuso.
115
Innesto - Giunto a Perni (Pioli) Frontali.
L’impasse dovuta a questo inconveniente casuale sì, ma troppo frequente per essere tollerata, è stata
superata in modo semplice e geniale da: TecSA S.r.l. Torino (ITALIA).
Riprendiamo in esame il disegno riportato a Pag.104, in particolare la zona precedentemente
lasciata in colore grigio.
Si è sostituito l’innesto a denti frontali, con un Mozzo dotato di sedi dove alloggiano due pioli
(perni) fissati su una controparte (mozzo) scorrevole sull’albero principale.
Allo spostamento verso DX fase di inserimento e/o verso SX fase di disinnesto, provvede un
Leveraggio pivotante nel punto O, tale leveraggio agisce con due ulteriori Perni ad essa solidali
all’interno di due scanalature contrapposte ricavate nel manicotto scorrevole.
La rotazione del Leveraggio (c.a. 8 °) è attuata tramite la spinta dello stelo fuoriuscente da un
Cilindro pneumatico.
Occorreranno parecchi sensori per verificare e garantire la corretta posizione del manicotto,
prima di procedere alla movimentazione del leveraggio azionato dal cilindro pneumatico.
O
Perno
Leveraggio
Mozzo
MOTORE
PRINCIPALE
Manicotto
INSERITO
Cilindro
pneumatico
116
Un grafico relativo ad una prova di µ statico al Banco
eseguita con Attuatore Oleodinamico rotante.
Il grafico rappresenta con estrema chiarezza una valutazione di µ statico per un freno di parcheggio,
mantenuto in condizioni di blocco mediante l’applicazione di un carico sul cavo del freno a mano.
Nulla cambierebbe se la chiusura del freno fosse attuata con l’invio di pressione idraulica al freno
stesso.
Breve descrizione:






Il freno in prova è montato sul Banco (Vedi immagine a Pag. 95 in alto).
Si procede all’assestamento.
Si applica lo sforzo voluto sul Cavo del freno a mano e se ne rileva la Corsa.
Si aziona l’innesto a denti.
Si invia attiva il motore idraulico a DX della macchina.
La prova ha quindi inizio, come pure l’acquisizione dei parametri provenienti dai trasduttori.
Il grafico risultante:
µ Dinamico
µ Statico
1.575 [°]
5.25 [sec]
117

Considerazioni:
La Rotazione dell’Albero misurata in [°] ha inizio contemporaneamente alla generazione di
Coppia da parte del motore idraulico che obbliga l’albero ad entrare in rotazione quindi
trasmetterla al freno in prova, quest’ultimo reagisce con la Coppia di cui è capace, grazie alla sua
geometria, nonché, ed è quanto desideriamo conoscere, in virtù del coefficiente d’attrito µ
esistente tra materiale d’attrito e controparte (Disco e/o tamburo) sottoposti a momento torcente.
Si osservi la buona linearità della coppia di: Attuazione da Motore Idraulico e la brusca
transizione della Coppia dal Freno all’istante: 5.25 [sec].
Fino a quel momento la Coppia dal Freno aveva seguito in modo pressoché gemellato la coppia di
trascinamento per poi collassare passando ad un valore decisamente più basso.
E’ questo il momento più importante: corrisponde alla fase di transizione dell’ attrito da: statico a
dinamico, quindi dalla condizione da: fermo alla rotazione.
L’angolo è misurato tramite un encoder, posizionato in prossimità del freno in prova, la
disposizione è ovviamente la più corretta, per non falsare la misura, fenomeno negativo che
avverrebbe se il sensore fosse posizionato in zone più lontane dell’albero della macchina di prova.
Ancora si fa riferimento alla Pag. 95, eccone un dettaglio:
118

Sulla velocità:
Sono trascorsi: 5.25 [sec] prima dell’incipiente rotazione corrispondente ad una rotazione di: 1.57
[°], quindi per percorrere un angolo giro occorrerebbero:
Per un veicolo medio con: RaggioRuota = 0.300 [m] questo comporta una velocità di avanzamento
pari a:
Possiamo affermare la piena validità della misura così eseguita!
119
Tecniche per l’applicazione della pressione al freno in prova.
Il Moltiplicatore di Pressione (Aria – Olio).
Fino agli inizi anni ‘80, il sistema era generalmente composto da due attuatori:

Un cilindro pneumatico, generalmente si trattava di un componente per impianti frenanti per
autocarri, alimentato dalla pressione proveniente da un compressore: c.a. 9 [bar].

Una pompa freno di tipo commerciale montata in serie al cilindro pneumatico e da lui
comandata con il suo stelo tuffante.
Nel cilindro ad aria (Primario), si immetteva l’aria ad una pressione preventivamente regolata
manualmente, nel secondario l’olio risultava sottoposto ad una pressione tanto maggiore quanto più
elevato era il rapporto tra le sezioni dei due pistoni.
Esempio di calcolo.
Dati di progetto:
Ovviamente un Cilindro pneumatico con diametro 117,9 [mm] non si sarebbe trovato in
commercio, si sceglieva quindi quello di diametro immediatamente superiore es. 120 o 125 [mm]
120
Uno schema dell’impianto, come al solito semplificato:
Sorgente Pressione Aria. >
Contenitore DOT 4
Regolazione
Pressione Aria. 
Manometro Press. Freno
Manometro Press. Aria. >
Scarico
Pompa Freno.
Cilindro
Primario.
Trasduttore di
Pressione
GRUPPO FRENO in
PROVA.
La molla all’interno del Cilindro Primario, assicurava il ritorno veloce del pistone quando la frenata
aveva termine.
Che tipo di rampe di salita in pressione si ottenevano all’uscita della pompa freno, pressione che
conseguentemente agiva sulle pastiglie freno all’interno della pinza?
La risposta proveniva ed era registrata dal segnale dal trasduttore posto a valle della pompa stessa e
convenientemente amplificato.
Il grafico nella pagina seguente, seppur ricostruito, ne è una chiara rappresentazione.
121
Per un valore richiesto della pressione idraulica: 100 [bar], previa impostazione della pressione di
immissione dell’aria ad un valore di c.a. 4.5 [bar], la somma dei tempi parziali dovuti a:

Riempimento del Cilindro Primario,

Movimentazione del suo stelo.

Compressione del fluido freni.
era c.a. 1.0 [sec].
Tempi lunghi, alla luce di quanto venne in seguito richiesto dalle case costruttrici di impianti freno
ed autoveicoli, ma più ancora: tempi non gestibili, modificabili e controllabili, quindi impossibilità
ad ottenere rampe di pressione a pendenza variabile.
I sistemi di Controllo e Regolazione, i servomeccanismi, la retroazione, i controlli P.I.D., non erano
ancora molto conosciuti e applicati.
Ogni banco era equipaggiato con pompe, cilindri, lunghezza delle tubature, pressione dell’aria di
linea diversi, quindi si aveva a che fare con un gran bailamme, una sorta di fai da te senza regole,
dal quale era difficile districarsi, rendendo così quasi impossibile un confronto tra risultati
provenienti da Banchi Prova diversi, peggio ancora quando le prove dovevano essere proposte e
discusse con il Cliente finale che impiegava le stesse casuali tipologie di montaggi.
122
La gibbosità che si osserva dopo il periodo pressoché lineare della rampa, prima del raggiungimento
del valore a regime, ha una sua spiegazione:
L’aria contenuta nel Cilindro Primario è un fluido elastico, comprimibile, quindi segue nella sua
compressione la legge di:
Boyle-Mariotte
Tale legge asserisce che:
A temperatura costante, pressione e volume di equilibrio di
una massa di gas sono fra loro inversamente proporzionali.
In formula
In forma grafica
>
>:
Si tratta di un ramo di iperbole ed è quello che ritroviamo nella zona cerchiata in rosso nel grafico.
123
I tecnici allora si chiesero come agire per:
1. Eliminare il ramo di iperbole sopra definito.
2. Diminuire i tempi di risposta del sistema.
3. Ottenere delle rampe in pressione con diversa inclinazione temporale.
La risposta al punto 1) per quanto ovvia, fu la seguente: in luogo dell’aria, fluido elastico e
comprimibile, usiamo un fluido non elastico ed incomprimibile, quindi un olio minerale con
viscosità adeguata e variabile da: 32 ÷ 46 [cSt]. Per il significato, vedi: Viscosità.
La risposta al punto 2) fu intimamente correlata a quella per il punto 1)
La risposta parziale per il punto 3) fu una conseguenza dei primi due, occorreva cioè un sistema con
cui si potesse regolare la pressione e la portata del fluido idraulico utilizzato.
A questo riguardo, si fa rimando a Pag. 98 dove si era asserito:
….. Giunto all’utilizzatore, il liquido trasforma la pressione in forza di spinta, e la
portata in velocità di spostamento…….
Ecco quindi comparire le centraline idrauliche che assolvevano e ancora lo fanno egregiamente ai
compiti loro preposti.
Qui di seguito due immagini e uno schizzo che illustra la composizione base di una tipica centralina
idraulica.
124
Poc’anzi si era detto al punto 3) che la riposta era parziale, infatti, l’uscita della centralina, quindi la
pressione e la portata dell’olio dovevano ancora essere regolate in portata e pressione per
movimentare il cilindro primario di Pag. 116 che per l’occorrenza si sarebbe mutato da pneumatico
ad idraulico.
A questo scopo si progettò un circuito idraulico molto più complesso di quello pneumatico visto a
Pag. 116, eccolo, sommariamente illustrato:
125
Senza entrare in dettagli su: descrizione tecnica di questi circuiti, i componenti ed il funzionamento,
tra l’altro non è questo lo scopo per cui queste pagine sono scritte, si fa unicamente cenno al
componente più importante, più delicato e forse il più costoso visto sotto l’aspetto venale espresso
in: €/kg, cioè la servo-valvola.
Si ripete ancora una volta, anche se con altre termini, che:
In un attuatore di un sistema oleodinamico, la potenza P ceduta o ricevuta dal liquido è ricavabile
dalla relazione:
Dove Q è la portata in volume e
componente.
Δp è la differenza di pressione fra ingresso ed uscita del
Dal punto di vista costruttivo una servo-valvola di regolazione della potenza a cassetto, è simile ad
un distributore a cassetto, però, mentre quest’ultimo ha solo alcune definite posizioni di
funzionamento, (due, tre, …, cinque), la servo valvola può assumere qualsiasi posizione intermedia.
Nei circuiti di regolazione elettro-idraulica, la servo-valvola rappresenta il trait d’union fra la
funzione elettronica (che programma, comanda e controlla) e la funzione oleodinamica (che
esegue).
Questo binomio permette di pilotare e modulare, mediante segnali di ingresso di pochi [mW]
potenze idrauliche e quindi meccaniche di parecchi [kW] nell’arco di pochi [msec].
Ecco alcune immagini di servo-valvole della MOOG Italia, servo-valvole impiegate nel corso di
decenni e sempre con successo.
126
Ecco, tratto dalla Pag.120 una sezione schematica della MOOG.
MOTORE
La curva di Guadagno in Portata:
127
Sempre dalla Pag. 120, un dettaglio della servo-valvola addossata al cilindro che comanda la pompa
freno:
Un esempio pratico:
128
Ma cosa ci si può aspettare all’uscita della pompa freno?
Che aspetto avrà il segnale di pressione, quella pressione idraulica da noi desiderata che azionerà la
pinza freno con all’interno le pastiglie destinate a premere sul disco ?
Si ripropone il grafico della rampa di salita in pressione di Pag. 117 (Soluzione Aria-Olio)
Eccolo in versione Olio-Olio, quindi con l’impiego della servo-valvola:
Si osservi la tipica forma a gradino della risposta e la notevole riduzione del tempo di rampa, si è
passati da circa 1 [sec] a 0.1 [sec].
Ma vi è di più, con l’impiego del binomio elettronica
durata variabile a piacimento.
/ servo-valvola, si possono ottenere rampe di
Questa possibilità torna utile in fase di taratura e confronto dei banchi prova (Fornitore-Cliente),
oppure per condurre prove in accordo ai diversi capitolati delle case costruttrici sia di impianti
frenanti che di veicoli.
129
Alcune forme di rampe in pressione con tempi di salita diversi:
Si deve, a questo punto, analizzare da vicino quella che è la sommità del gradino di pressione nel
caso Olio-Olio.
A prima vista, parrebbe pressoché un angolo retto, in realtà le cose sono leggermente diverse:
In effetti, ingrandendo il gradino, si osserverebbe un andamento di questo genere:
130
Questi i significati di quanto indicato nel grafico.
Si tratta di
una tipica
risposta ad un
segnale a
gradino, i cui
controlli sono
affidati al già
menzionato:
P.I.D.
A SX, uno
schema
illustrante gli
effetti delle
regolazioni:
- Proporzionale.
- Integrativa.
- Derivativa.
131
SISTEMA ELETTRO-MECCANICO
Soluzione alternativa al sistema: Centralina idraulica, Servo-Valvola, Cilindretto
Attuatore, Pompa Freno.
Alla fine degli anni ’80, si ipotizzò la sostituzione dell’impianto Idraulico finora utilizzato per
l’applicazione della pressione idraulica al freno in prova, del quale si ricorda la composizione.
Vedi Pag. 125:
- Centralina Idraulica.
- Servo Valvola MOOG.
- Cilindro Idraulico
- Pompa Freno.
I dati di progetto furono concordati e la realizzazione affidata alla Ditta:
Control Sistem - TO
La nuova configurazione prevedeva:
- Un motore elettrico Passo-Passo
- Una cinghia dentata.
- Un Martinetto a vite a ricircolazione di sfere.
- Uno stelo di spinta.
I vantaggi parvero subito interessanti e il tempo dette ragione a chi aveva concepito il sistema:





Scompariva la Centralina Idraulica
Scompariva la Servo Valvola
Scompariva il Cilindro Idraulico.
Venivano ridotti gli ingombri del sistema nel suo complesso.
Non si sarebbero più avute perdite o trafilamenti di olio idraulico.
132
Si dovettero però affrontare lunghi periodi di prove, messe a punto, tarature, incomprensioni, e
tante, tante incazz@ture..... ( Ma queste sarebbero altre storie …..)
Tale sistema venne per anni dimenticato, salvo essere riproposto circa dieci anni dopo, in versione
moderna e aggiornata, dalla già citata TecSA S.r.l. Torino (ITALIA).
Per la descrizione, cito la tesi dell’Ing. Michele Salvai (pagina 10):
Attuatore elettrico per banco prova freni – Politecnico di Torino, anno accademico 2004/2005.
“Il nuovo sistema è composto da un motore elettrico, il quale, tramite una
trasmissione a cinghia dentata, porta in rotazione un sistema vite-madrevite; il
puntalino della vita controlla lo stelo della pompa ad olio: tramite un tubo l’olio in
pressione è collegato alla pinza freno ed aziona i pistoncini che vanno ad agire sul
materiale d’attrito che, a contatto con il disco genera la forza di attrito
necessaria per la frenata.
La retroazione per il controllo del motore, viene effettuata tramite il trasduttore
di pressione posto a valle della pompa freno oppure attraverso il trasduttore di
coppia posto sull’albero dove è montato il disco.”
Una foto ne illustra la realizzazione:
133
In un disegno i componenti principali:
Motore Brush-Less
Pompa Freno.
Cinghia Dentata.
Stelo di Spinta.
Puleggia
Gruppo Vite a Rulli.
134
Il Banco Prova Freni per le Ferrovie (F.F.S.S.)
Già ne abbiamo mostrato un disegno a Pag. 25, indicando le caratteristiche principali del motore e i
valori delle inerzie di volani.
E’ uno dei giganti, un “awesome” nel settore delle macchine di prova, il suo peso è intorno alle 30
[ton], quindi una massa importante che necessita di fondamenta adeguate, ben ricordo che prima
dell’installazione mi fu richiesto di far verificare il carico di resistenza a compressione del suolo
circostante, se non erro, il valore era intorno ai 2.5 [kgf/cm2], quindi un valore più che accettabile.
Di tale macchina allego una fotografia che ne evidenzia la maestosità.
L’omino stilizzato sulla DX, da un’idea approssimata delle dimensioni.
135
Non si vuole in questa sede fare una trattazione completa sulla Frenatura dei Treni, non è lo scopo
di queste pagine e non avrei né il tempo né il materiale sufficiente per fare un’esposizione
esauriente su una così vasta panoramica di argomenti.
Cercherò quindi di affrontare e descrivere a modo mio quali sono i metodi per testare al Banco i
freni per uso ferroviario.
Premessa:
Caratteristiche principali della quasi totalità dei veicoli ferroviari sono la loro modularità e la
loro rispondenza alle prescrizioni internazionali della:
U.I.C. (Union Internationale des Chemins de Fer)
Infatti, gli impianti frenanti dei singoli veicoli, appartenenti anche ad amministrazioni
diverse, devono potersi accoppiare, costituendo un unico impianto perfettamente efficiente, il
che può avvenire solo se i principi di funzionamento e forme degli organi di collegamento
sono rigorosamente unificati.
Per ottenere l’arresto dei treni in uno spazio relativamente breve, e anche per regolarne la velocità
sulle linee in discesa, viene applicata alla periferia delle ruote e in direzione a esse tangente e
contraria al moto, la forza nota come forza frenante.
Questa forza viene ottenuta sotto forma di attrito radente mediante il contatto sulla periferia delle
ruote di uno o più ceppi, pattini, suole oppure ancora zoccoli in materiale d’attrito opportunamente
premuti.
La forza che agisce sui ceppi, è diretta verso il centro della ruota ed assume per ciò il nome di forza
radiale.
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ESEMPIO ELEMENTARE DI FRENO A CEPPI.
Un leveraggio alquanto diffuso sui mezzi di trazione è rappresentato nello schema seguente:
Dalla simmetria del disegno, è facile rilevare che le due forze radiali che agiscono sui ceppi
frenanti, sono uguali fra loro e valgono:
Dove P è la spinta fornita dallo stelo del cilindro, quindi il prodotto della pressione dell’aria inviata
all’interno dello stesso per la sua sezione.
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Ecco uno schema raffigurante il montaggio sul Banco prova di un freno a Ceppi, composto da due
cilindri pneumatici, leveraggi, puntoni e ovviamente la ruota.
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Complessivo Ruota monoblocco B 46 UR/m - Rotaia 50 UNI
Qui di seguito un disegno del complessivo Ruota, Ceppi, Rotaia,
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Il disegno di un ceppo talvolta denominato suola.
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Il FRENO a DISCO F.F.S.S.
Allo scopo di evitare sollecitazioni termiche ai cerchioni, l’azione frenante viene in questo
esercitata su appositi dischi calettati sulla sala mediante pastiglie freno di dimensione e superficie
adeguata.
Invece di fare agire i ceppi sulla superficie di rotolamento dei cerchioni, si può ottenere l’azione
frenante premendo il materiale d’attrito sulle facce di appositi dischi calettati sulla sala ed
opportunamente calettati sulla sala stessa ottenendo così il freno a disco.
Si deve innanzitutto definire cosa sia la sala:
In ambito ferroviario, si definisce ed assume nome di sala un albero con due ruote su di esso
montate e vincolate mediante calettamento a caldo.
Sala Montata F.F.S.S.
Una sala montata completa è composta dalla sala sopradescritta con aggiunti i dischi freno calettati
sul suo albero.
Sala Montata Completa
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A questo punto per avere la possibilità di esercitare l’azione di rallentamento o di arresto, si dovrà
aggiungere l’impianto frenante composta da:



Cilindro pneumatico di spinta.
Leveraggi.
Pastiglie frenanti.
Come si può osservare, la tipologia dell’impianto, specie osservandone i leveraggi, ricorda
vagamente uno schiaccianoci attrezzo che molti usano a tavola o al ristorante per consumare le noci
appunto, le mandorle o quant’altro dotato di un guscio che resisterebbe a qualunque dentatura
umana.
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La geometria dei leveraggi, in un disegno vintage. (1982 ?)
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Sul Banco, ovviamente non si monta nel suo complesso il sistema appena descritto, ci si limita ai
componenti essenziali:
Ecco il disegno costruttivo di quanto si usa per le prove:
I componenti sono quelli montati sui vagoni ferroviari, ma i leveraggi sono sagomati in modo
diverso, è previsto che siano dotati di apposite celle di carico atte alla misura della forza di spinta
generata dal cilindro pneumatico ed amplificata opportunamente grazie al rapporto esistente fra i
leveraggi.
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Un’immagine raffigurante il Banco prova in funzione presso il:
Centro di Dinamica Sperimentale delle F.F.S.S. a Firenze:
Altre riprese presso il Centro F.F.S.S. a Firenze.
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Una bella e suggestiva immagine termografica (Termo-Camera I.R.): temperatura del
disco durante la frenatura al Banco.
Un’altra vista del freno in prova, ma senza pastiglie all’interno dei porta suole:
146
Il disco freno viene utilizzato per più prove, previa tornitura in modo da ripulire la superficie
frenante dagli strati alterati dalle sollecitazioni termo-meccaniche alle quali è stato sottoposto nelle
prove precedenti, nonché dagli inevitabili riporti di materiale d’attrito.
Nella foto, l’operatore intento a tale rilavorazione mediante apposito attrezzo che provvisoriamente
sostituisce il freno in prova, ne sfrutta le guide di scorrimento, garantendo così la precisione nella
lavorazione, per giunta senza dover smontare il disco!
A SX una foto di famiglia di varie Pastiglie Freno a Disco
F.F.S.S.
A DX dischi F.F.S.S. con diversi tipi di
palettatura per la ventilazione
Produzione: Sab-Wabco
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Riferimenti e siti utili:
-
Allemano - Strumenti di Precisione - TO
Brake & Friction Test Systems - Link Engineering Co.
CONTROL SISTEM - Pianezza - TO
FIMET Motori e Motoriduttori
HBM Italia
HKS GmbH - Germany
HORIBA Automotive Test Sytems (GERMANY)
KRAUSS GmbH
MOOG Italia
MWM Freni & Frizioni
NATIONAL INSTRUMENTS
Prüfstände von Krauss
RADIO-ENERGIE
SEW EURODRIVE
SICME Motori ITALIA
STAMPAF MONDOVI'
TecSA S.r.l. Torino (ITALIA)
VSE Flow measurement
Testi consultati:

FISICA Vol. 1 e 2 - ODONE – PALTRINIERI - CEDAM 1962
- Lezioni tenute presso:
I.T.I.S.: Amedeo AVOGADRO – TORINO

CORSO di MECCANICA Vol. I, II e III - Dott. Ing. Luigi ZANDONA’ – DE-COL
1960 - Lezioni tenute presso:
I.T.I.S.: Amedeo AVOGADRO – TORINO

Appunti al corso di Elettrotecnica - IV A Meccanici - (Anno: 1968)
- Lezioni tenute presso:
I.T.I.S.: Amedeo AVOGADRO – TORINO (Ing. PUGLIESE)

Appunti dei Prof.: Attilio BARRA e Antonio SCARPETTA insegnanti presso:
I.T.I.S.: Amedeo AVOGADRO – TORINO

COSTRUZIONE di MACCHINE – Vol. II – Cap. X
R. GIOVANNOZZI Edizioni: PATRON – BOLOGNA – 1965

MACCHINE e TRIBOLOGIA – Cap. 4 – Pag. 77 e seguenti.
L. LOCATI Eris S.p.A. Edizioni – 1980
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CONCLUDENDO:
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