x 2 febbraio 2014 - Diocesi di Anagni

IL MONDO
CAPOVOLTO
L’inasprimento della politica israeliana sull’immigrazione
Figli di un Dio Minore
Il dramma dei Falasha, ebrei d’Etiopia
di Giulio ALBANESE
T
ratti gentili che rispecchiano
un temperamento affabile:
pelle dorata, occhi dolcissimi e
lineamenti nobili. Professano la fede di Abramo, dunque sono ebrei,
anche se vengono dall’Etiopia.
Chiamati, comunemente, falasha,
disdegnano questo appellativo perché in aramaico, la lingua di Gesù,
ha un’accezione fortemente negativa, significando “esiliato” o “straniero”. Preferiscono invece sentirsi
dire che sono “Beta Israel” (Bïta
‘IsrÇ’ïl in lingua ge’ez; ???? ????? in
ebraico). Letteralmente, significa
Casa di Israele, un’espressione
che la dice lunga sul forte senso di
appartenenza al popolo ebraico.
Alcuni rabbini ritengono che essi
siano discendenti della tribù perduta di Dan, quinto figlio di Giacobbe
che ebbe da Bila, ancella di Rachele. Secondo alcuni studiosi, questa
peculiare etnia deriverebbe, storicamente, dalla fusione tra le popolazioni africane e quegli ebrei fuggiti dal proprio Paese in Egitto ai
tempi della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. o in successive
migrazioni della diaspora ebraica.
La tradizione ufficiale, invece, fa risalire la loro primogenitura all’unione tra il re Salomone e la regina
di Saba che diede alla luce Menelik.
Sta di fatto che, proprio per questa
ragione, i falasha sono sempre stati
visti con sospetto dai fautori dell’ortodossia ebraica, in quanto l’appartenenza al popolo eletto avviene in forma matrilineare, essendo
la donna colei che trasmette il sangue dei padri. Ma leggendo la Bibbia, è evidente che la Regina di Saba non fosse ebrea, pertanto, in
teoria, sostengono i rigoristi, neanche i discendenti africani dovrebbero esserlo. Dunque, da questo punto di vista, vi sarebbe stata una forzatura, da parte dei falasha, nel rivendicare la purezza delle loro origini, in contrasto con il pensiero inflessibile di certe scuole rabbiniche.
Una cosa è certa: al di là di tutte
queste disquisizioni, siamo di fronte ad un classico esempio di diaspora. Il dato religioso che rende peculiare la loro identità, infatti, è, rappresentato dal fatto che i falasha
siano sempre riusciti a mantenere
la fede ebraica, anche dopo la cristianizzazione del regno di Aksum,
nel quarto secolo d.C., mantenendo a lungo la loro autonomia sociopolitica. In seguito, purtroppo, subirono non poche persecuzioni e
furono addirittura costretti a trovare riparo nei pressi del Lago Tana,
nell’Etiopia settentrionale e lì riuscirono a resistere a diversi tentativi di
sterminio tra il 15° e il17°. Il loro canone biblico è nella lingua etiope
ge’ez, dunque non in ebraico. Inoltre, anche se non seguono rigorosamente le prescrizioni talmudiche
(quelle legate alla trasmissione e discussione orale della Torah), aderiscono a tutte le consuetudini legate alla tradizione ebraica, che sono
peraltro seguite in Etiopia anche
dai cristiani copti, che praticano gli
stessi loro digiuni e hanno abitudini
alimentari simili a quelle dei falasha. Per fuggire dalle difficoltà economiche e politiche, nel corso della
seconda metà del Novecento, ai
tempi della “guerra fredda” il governo di Tel aviv li fece trasferire in
massa (a metà degli anni Ottanta)
dall’Africa, quando gli ebrei russi
erano ancora costretti a stare al di
là della Cortina di Ferro. Comunque, sebbene fossero ebrei della
diaspora, con le carte in regola per
essere integrati nel giovane Stato
d’Israele, già a partire dagli anni
Novanta vennero alla ribalta della
cronaca internazionale. La ragione
è da ricercare in una serie di episodi
di razzismo da parte proprio di
quella società che più di tutte, a seguito della nascita dello Stato coll’effige della stella di Davide, si
qualifica tuttora per la sua multi
nazionalità. In effetti, da allora sono state numerosissime le discriminazioni a cui questo “resto africano
d’Israele” è stato sottoposto: a
scuola, nel lavoro, addirittura ghettizzati nelle città di Rehovot, Kiryat
Malachi, Beer Sheva e Haifa. La
realtà è allucinante se si pensa che
50 mila su 130 mila falasha oggi vivono di assistenza sociale, in gravi
condizioni d’indigenza. Come se
non bastasse, sono molti i casi di
proprietari di immobili che si rifiutano di affittare a questi ebrei dalla
pelle nera perché considerati male-
ducati troppo rumorosi e poco attenti all’igiene personale e domestica. Uno dei più recenti episodi di
esclusione sociale, che ha fatto davvero clamore, riguarda Pnina Tamano-Shata, primo membro della
Knesset di origine etiope, a cui è
stato rifiutato di donare il sangue
in un’autoemoteca del Magen David Adom, la Croce Rossa israeliana.
La motivazione ufficiale, stando a
quanto riferito dagli stessi infermieri, con una certa altezzosità, alla Tamano-Shata, è che “la signora
in questione avrebbe un tipo molto
particolare di sangue: ebreo-etiope”. Dunque, vi sarebbe una sorta
di rocambolesca incompatibilità
con quei pazienti, anch’essi ebrei,
che provengono da altre aree geografiche. Naturalmente, le proteste
dei falasha non si sono lasciate attendere e molti parlamentari della
Knesset hanno espresso solidarietà
nei confronti della deputata, scioccati dalle menzogne messe in giro
da una propaganda segregazionista studiata a tavolino. Tutto sarebbe da attribuire ad un quanto mai
controverso regolamento del ministero della Salute secondo cui sono
tassativamente proibite donazioni
di sangue da persone a presunto rischio di virus Hiv. Oltre agli israeliani residenti in Inghilterra, Irlanda o
Portogallo per lunghi periodi durante l’epidemia della Mucca Pazza, chiunque sia appena rientrato
da viaggi nell’Africa centrale, nel
sud-est asiatico e nei Caraibi e gli
omosessuali, vi sarebbero nella lista
anche i nativi dell’Africa, dunque i
falasha. Secondo il Professor Steven
Kaplan, docente di religione comparata e studi sull’Africa presso la
Hebrew University di Gerusalemme, “i falasha vivono un atipico status di rifugiati nel proprio Paese,
come in un limbo”. Comunque, la
questione dei falasha non fa onore
allo Stato ebraico, soprattutto se si
considera che ha messo fine, lo
scorso 28 agosto, all’ultima campagna di rimpatrio degli ebrei d’Etiopia avviata nel 2010. Un provvedimento da cui si evince l’inasprimento della politica israeliana sull’immigrazione. Per quarant’anni, grazie
soprattutto alle generose donazioni delle comunità ebraiche statunitensi, i campi di transito raggruppati nella città di Gondar, nell’Etiopia
Settentrionale, hanno rappresentato il canale di accesso per tornare
alla terra dei Patriarchi. Si chiude
dunque un’epoca, quella della migrazione di massa dei falasha. L’ufficio del primo ministro ha fatto sapere che altre possibili candidature
saranno esaminate, da ora in poi,
caso per caso e che “il ricongiungimento delle famiglie e le specifiche
questioni umanitarie” saranno valutate in sede di commissione. Il governo di Tel aviv vorrebbe così riorientare le proprie risorse finanziarie per migliorare le condizioni di
vita dei falasha che già si trovano in
Israele. Una spiegazione poco convincente che nasconde la discriminazione razziale di alcune frange
della società israeliana, nei confronti di uomini e donne, figli di un
Dio minore.
Anno XV, n. 2 - Febbraio 2014
mensile della comunità Ecclesiale
N. di registrazione 276 del 7.2.2000
presso il Tribunale di Frosinone.
DIRETTORE RESPONSABILE:
Domenico Pompili
DIRETTORE:
Raffaele Tarice
IN REDAZIONE:
Claudia Fantini
Per inviare articoli:
Claudia Fantini Via Sanità, 22 03011
Alatri - Tel. 348.3002082
e-mail: [email protected]
RESPONSABILE DISTRIBUZIONE
Bruno Calicchia
AMMINISTRATORE
Giovanni Straccamore
HANNO COLLABORATO:
Giulio Albanese, Elio Ambrosetti
Augusto Cinelli, Carlo Costantini,
Maria Grazia Costantini,
Roberto Martufi,
Giorgio Alessandro Pacetti,
Sabrina Quatrana
EDITORE
Diocesi di Anagni-Alatri
FOTOCOMPOSIZIONE E STAMPA
Tipografia Editrice Frusinate srl
Frosinone
ANNO XV N.
2
FEBBRAIO 2014
Spedizione in a.p. art. 2 comma 20c legge 662/96 filiale Frosinone - Spedito il 22 Gennaio 2014 - www.diocesianagnialatri.it
a l l ’ii n t e r n o . . .
FOTO
NOTIZIA
Fraternità,
fondamento e
via per la pace
Pag. 3
Speciale
Verso un mondo
migliore
Pagg. 6-7
Progetto Policoro
ad Assisi
Pag. 8
M
ettere mano ai confino delle parrocchie di una grande
parte della Diocesi può essere vista come una scelta azzardata. Di fronte alla riduzione del numero dei presbiteri e alla necessità di dare al Comune di Alatri, in
particolare nel centro storico, un servizio pastorale più
organizzato e organico, si è
sentita l’esigenza di mettere mano ai confini delle parrocchie. In questa ottica il
Vescovo S. Ecc. Mons. Lorenzo Loppa ha reso ufficiale,
durante la celebrazione in
onore di San Sisto I papa e
martire, il nuovo assetto pastorale della città di Alatri.
Parrocchie che fino ad ora si
erano estese fino alle periferie più estreme si ridimensionano lasciando parte del
territorio a comunità che
geograficamente risultano
più vicine e più conformi alla mentalità delle persone.
Il nuovo assetto pastorale,
che interessa la città di Ala-
PRIMO PIANO
NUOVO ASSETTO PASTORALE
Mons. Loppa ridisegna le parrocchie di Alatri
tri, non andrà sicuramente
ad invadere il campo di
qualcuno o a stravolgere e
sconvolgere le varie strutture ma, nella misura in cui è
stato pensato, andrà a favorire e garantire l’intervento
sulla popolazione da parte
delle comunità parrocchiali.
Il ridimensionamento prevederà la formazione di
quattro zone pastorali: il
centro di Alatri, la zona che
interessa la comunità della
Santa Famiglia, la zona che
coinvolgerà la parrocchia
Santa Maria della Mercede
in località La Fiura e la zona
che comprende la parrocchia Immacolata Concezio-
ne in località Collelavena.
Questa divisione in zone
permetterà di ridefinire i
confini parrocchiali e garantirà un lavoro di insieme su
alcune tematiche particolari
atte a formare: un consiglio
pastorale interparrocchiale,
così da pensare in sintonia il
lavoro da compiere; una pastorale famigliare, una pastorale giovanile, una caritas comune, pensate e organizzate dal comune accordo
delle varie zone. Elemento
di insieme sarà ancora la
formazione degli animatori,
comune per tutti e, per garantire un servizio liturgico
funzionale, una riorganiz-
zazione delle messe. Questo
non sta a dire che quanto
fatto fino ad ora sia stato
poco utile o poco fruttuoso
ma sta a significare che, dati
i tempi in cui viviamo, un lavoro di insieme risulta più
proficuo e riesce a diventare
più a misura di uomo. Sicuramente questo lavoro porterà i suoi frutti anche se all’inizio potrà incontrare le
sue naturali difficoltà, entrare in una nuova dinamica
richiede sempre il suo tempo, ma dalla collaborazione
e dalla disponibilità di tutti
si riuscirà a dare un nuovo
volto alla città di Alatri.
Roberto MARTUFI
100 NOTIZIE
2
“Educatori nella fede, capolavori di speranza”
N
elle comunità parrocchiali sono in corso itinerari
di iniziazione cristiana i cui destinatari sono
bambini, preadolescenti e adolescenti, di età
compresa tra i 7 e i 14 anni, che si preparano a ricevere
il Sacramento dell’Eucaristia e il Sacramento della Confermazione. Il Vescovo Lorenzo ha più volte manifestato ai parroci l’esigenza di programmare un percorso di
formazione specifica dei catechisti che “è straordinariamente importante e merita un’attenzione più decisa e puntuale”.
Per questo
l’Ufficio Catechistico Diocesano propone un percorso formativo per catechisti di base
e animatori della catechesi, dal titolo “Educatori nella
fede, capolavori di speranza” e che si volgerà presso il
Centro Pastorale di Fiuggi il 15 e 16 marzo 2014. Questo itinerario vuole essere un piccolo passo nella direzione indicata dal Vescovo e si propone di aiutare i catechisti a riscoprire la motivazione del proprio servizio
nella Chiesa e, in particolare, nella comunità locale di
appartenenza, e favorire una maggiore conoscenza reciproca attraverso il dialogo e il confronto in vista di
una prassi catechistica condivisa a livello diocesano.
Una condizione favorevole è costituita dalla presenza
di catechisti che mostrano una forte motivazione nel
percorrere un itinerario per il raggiungimento della situazione desiderata. La sfida è passare da catechisti
isolati e affannati per la ricerca di sussidi e metodologie, ad un’équipe di catechisti che vivano un’esperienza personale di riscoperta della propria fede e di una
comunione fra loro e con la Chiesa locale.
L ’AA G E N D A
Domenica 2 febbraio
Anagni, Cattedrale,
ore 17.00
FESTA DELLA VITA
RELIGIOSA
Celebrazione Eucaristica
presieduta dal Vescovo
FEBBRAIO
Giovedì 20 febbraio
Anagni, Seminario
Vescovile, ore 9.00
TERZO GIOVEDI’
DEL CLERO
Con Don Salvatore
Soreca, aiutante di
studio dell’U.C.N.
100 NOTIZIE
Febbraio
2014
PIGLIO: Cinquanta anni di professione
di padre Angelo Di Giorgio O.F.M.
F
esta grande nel convento di San Lorenzo per padre
Angelo di Giorgio, Rettore del Convento, che ha festeggiato i cinquanta anni di professione con i bambini della scuola materna “Giuseppe ed Elvira Corbi”
dell’Istituto Comprensivo “Ottaviano Bottini” di Piglio,
che hanno fatto visita ai due presepi presenti nel complesso francescano: uno nella chiesa di San Lorenzo e
l’altro quello storico, realizzato negli anni ’50 dal Servo
di Dio padre Quirico Pignalberi in un locale del convento. Un “ad majora” a Padre Angelo da parte della comunità francescana di San Lorenzo e della Redazione.
Giorgio Alessandro Pacetti
Anno XV
Numero 2
A
LA CATTEDRA
ll’inizio di ogni anno un trittico di celebrazioni liturgiche si incarica di rendere
più grata e solida la nostra fede in un non facile
e tranquillo cammino di
vita. Mi riferisco alle solennità di Maria SS. Madre
di Dio (1 gennaio) e dell’Epifania (6 gennaio), come
alla festa del Battesimo
del Signore (quest’anno il
12 gennaio). Sono quasi
tre squilli di tromba che ci
accolgono nel nuovo anno e ci regalano un cuore
e uno sguardo da figli,
pronti a misurare e valutare il tempo con la sapienza che viene dall’alto e,
soprattutto, a nutrire i
giorni che ci vengono donati con scelte e comportamenti evangelici. La
gioia di una salvezza offerta a tutti, uno sguardo
luminoso per riconoscere
continuamente una Presenza nella vita di tutti i
giorni e nelle persone meno fortunate, la certezza
di condividere con tutti la
vocazione e il cammino
verso lo stesso adempimento che è il Regno di
Dio, sono alcuni importanti elementi che possono e
devono preparare un’umanità più filiale e fraterna. Soprattutto è importante la coscienza di far
parte di un’unica stessa
famiglia …
“In questo mio primo
Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace, desidero rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di
un’esistenza colma di
gioia e di speranza. Nel
cuore di ogni uomo e di
ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita
piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali
DEL VESCOVO
47a Giornata Mondiale della Pace
FRATERNITÀ,
FONDAMENTO E
VIA PER LA PACE
1 gennaio 2014
troviamo non nemici o
concorrenti, ma fratelli da
accogliere ed abbracciare.”
Sono le prime parole del
Messaggio di Papa Francesco per la 47^ Giornata
mondiale della pace.
Da quasi cinquant’anni il
Messaggio pontificio per il
della Liturgia della Chiesa)
con cui entriamo nel nuovo fascio di giorni che ci
vengono donati.
Quest’anno il Messaggio
del S. Padre è particolarmente significativo: nel
cuore di ogni essere umano c’è il sogno alimentato
Primo gennaio assume un
rilievo di primissimo piano
nella dote di luci, nel bagaglio di suggestioni ed
indicazioni (come quelle
dalla speranza di una vita
piena nella comunione
senza ombre con gli altri;
a sostegno e come anima
di questo sogno c’è l’ane-
3
lito insopprimibile alla fraternità che ci mette in relazione con gli altri come
fratelli da accogliere e
amare; alla radice di questa fraternità c’è la paternità di Dio: “Non si tratta
di una paternità generica,
indistinta e storicamente
inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e
straordinariamente concreto di Dio per ciascun
uomo (cfr Mt 6,25-30)” (n.
3). Tale fraternità umana
è stata ed è continuamente rigenerata in e da Gesù
Cristo con la sua Pasqua di
morte e di risurrezione.
Gesù riprende dal principio il progetto del Padre,
ristabilisce l’Alleanza tra
Dio e l’umanità, abbatte
ogni muro di separazione
e di inimicizia tra gli uomini (cfr Ef 2,14-16). Si
pone come sorgente e
principio di comunione
con Lui e tra di noi, offrendoci la forza straordinaria della Sua Pasqua che
non cura solo le nostre ferite, ma ci fa partecipi della vita trinitaria, figli nel
Figlio attraverso il dono
dello Spirito.
“Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce
Dio come Padre … e vede
in Dio il Padre di tutti …
In Cristo, l’altro è accolto
e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello
o sorella, non come un
estraneo, tantomeno come un antagonista o addirittura un nemico”: così
puntualizza Papa Francesco sempre al n. 3 e poi
continua: “Nella famiglia
di Dio, dove tutti sono figli di uno stesso Padre, e
perché innestati in Cristo,
figli nel Figlio, non vi sono «vite di scarto». Tutti
godono di un’eguale e intangibile dignità”. È una
delle affermazioni più forcontinua a pag. 4
4
LA CATTEDRA
DEL VESCOVO
Febbraio
2014
continua da pag. 3
ti e centrali del Messaggio, è come l’architrave di
tutto ciò che il S. Padre
propone. Di conseguenza
abbiamo chiari e inequivocabili il punto di partenza e la strada per arrivare alla pace.
La globalizzazione – come
ci ricorda Benedetto XVI
in “Caritas in veritate” (n.
13) – ci rende vicini, ma
drammatica del suo tradimento. La coscienza di essere figli nel Figlio, figli
dello stesso Padre per il
dono dello Spirito, ci porta a invertire la scelta di
Caino, ad amare gli altri
non solo come esseri umani titolari di diritti, ma anche come viva immagine
di Dio Padre redenta dalla
Pasqua di Gesù Cristo. Al-
more donato da Dio che ci
consente di accogliere e
vivere pienamente la fraternità” (n. 10). E’ inutile
quasi aggiungere che
ogni discorso, ogni progetto, ogni ideale che ci
proponiamo deve essere
vissuto “a corto raggio”,
nella normalità della vita
quotidiana, all’interno del
tempo del nostro orolo-
re in questo primo scorcio
del 2014: ritrovare il volto
degli altri come quello di
fratelli o sorelle, figli di
uno stesso Padre, figli nel
Figlio. È il modo più bello
anche di rendere grazie
per la vita, per la fede, per
l’affetto di cui siamo fatti
segno, per le cose da
niente, per quello che ci
fa soffrire, per ciò che ci
non ci rende fratelli. Alla
grave lesione dei diritti
umani fondamentali, alle
tante guerre fatte di scontri armati e di mezzi non
meno distruttivi per persone, famiglie e imprese,
bisogna aggiungere molte
situazioni di povertà e ingiustizia che denotano
l’assenza di una cultura
della solidarietà che alimenta la mentalità dello
“scarto” e induce al disprezzo e all’abbandono
dei più deboli … Il racconto di Caino e Abele (cfr
Gen 4,1-16), commentato
da Papa Francesco al n. 2,
insegna che l’umanità
porta inscritta in sé una
vocazione alla fraternità,
ma anche la possibilità
lora la coscienza filiale e
fraterna conferisce al nostro sguardo sul mondo
un nuovo criterio per interpretarlo e trasformarlo.
La fraternità è premessa
per sconfiggere la povertà
(cfr. n. 5), per uscire dalla
crisi finanziaria ed economica (cfr. n. 6), per superare i conflitti (cfr. n. 7), per
sconfiggere la corruzione
e il crimine (cfr. n. 8), per
custodire e coltivare la natura, amministrandola responsabilmente e mettendola a servizio dei fratelli,
comprese le generazioni
future (cfr. n. 9). “La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’a-
gio. A conforto di ciò vada un’affermazione chiara
e decisa di Papa Francesco
nelle battute finali dell’esortazione apostolica
“Evangelii Gaudium”. Il
Pontefice, parlando dello
stile mariano dell’evangelizzazione e della forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto, guardando a Maria come modello esemplare, così si
esprime: “In lei vediamo
che l’umiltà e la tenerezza
non sono virtù dei deboli
ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare
gli altri per sentirsi importanti” (n. 288). La “grande” pace è frutto di tante
piccole scelte quotidiane.
È un impegno da prende-
consola, per tutto ciò che
– nonostante le ombre –
rende bella la nostra vicenda di cristiani e di uomini.
“Dona a chi ami ali per
volare, radici per ritornare, motivi per rimanere”:
è una frase attribuita al
Dalai Lama che mi ha molto colpito. Può essere applicata all’amicizia. Mi piace attribuirla a Dio e al
suo amore per noi. Mi piace soprattutto riferirla al
nostro servizio agli altri,
qualunque sia il nostro
ruolo e la nostra responsabilità: “Il servizio è l’anima di quella fraternità
che edifica la pace” (n.
10).
+ Lorenzo Loppa
Anno XV
Numero 2
VITA DI
COMUNITA
,
5
L’articolo di Avvenire del 9 gennaio 2014
L’abbraccio a don
De Sanctis: i 95 anni
dove li hai nascosti?
Da sessantacinque anni nella chiesa di Santa Maria Assunta
di Augusto CINELLI
«N
ovantacinque
anni? E dove li
ha nascosti?».
Tra lo stupore e l’ammirazione, si è rivolto proprio
così il 9 gennaio papa Francesco a monsignor Alessandro De Sanctis, sacerdote
con il più longevo servizio
pastorale svolto nella stessa
parrocchia in Italia, dal momento che ha speso i suoi
ben 72 anni da prete tutti
nella comunità di Santa Maria Assunta di Filettino, il comune più alto del Lazio,
diocesi di Anagni-Alatri e
provincia di Frosinone. Bergoglio ha incontrato l’anziano sacerdote, accompagnato da alcuni collaboratori della parrocchia, al termine dell’udienza generale
in piazza San Pietro e, cono-
sciuta la bella età di don
Alessandro, 95 anni compiuti lo scorso 26 dicembre, si è
lasciato andare alla battuta
sopra riportata, vista l’invidiabile forma fisica del sacerdote. Il quale ha brevemente parlato del suo lungo ministero al Papa argentino, invitandolo a far visita
al piccolo paese tra i monti
Simbruini in cui dice Messa
da una vita. «Speriamo un
giorno», ha sussurrato il
Pontefice, aggiungendo:
«Santo uomo, preghi per
me!». Per monsignor De
Sanctis è stata un’emozione
particolare. «Un incontro
bellissimo - racconta - sono
davvero grato al Signore
per il lunghissimo tempo al
suo servizio come sacerdote
e per avermi donato la
gioia di conoscere ben sette
Pontefici». Un record anche
questo, molto probabilmente, per il parroco di Filettino, il cui arco di vita per la
precisione è coinciso con otto pontificati, visto che
quando nasceva, nel 1918,
sul soglio di Pietro c’era Benedetto XV. «Ovviamente
non lo ricordo - puntualizza
don Alessandro - mentre da
Pio XI a Francesco ho avuto
la grazia di vederli tutti. Ricordo soprattutto la carezza
che mi diede Pio XI, quando
ricevette nel 1931 noi alunni del Seminario minore di
Anagni». Prima di ieri, l’ultimo incontro con un Papa
era stato quello a Castel
Gandolfo con Benedetto
XVI, il 23 settembre 2012,
nell’anno in cui il prete di
Filettino festeggiava il 70°
di sacerdozio. Ad ogni anniversario di ordinazione tut-
ta la comunità cristiana e civile del comune del Frusinate si stringe intorno al suo
storico parroco per una festa speciale. Ogni volta è un
riannodare il filo della memoria fino a quel 12 luglio
1942, quando don Alessandro veniva ordinato presbitero nella chiesa parrocchiale di Vallepietra, suo paese
di origine, dall’allora vescovo di Anagni Attilio Adinolfi. Fu subito mandato come
vice parroco a Filettino, dove da ragazzo aveva finito
la scuola elementare. Il 27
marzo 1949 divenne parroco di Santa Maria Assunta,
dove ancora oggi, a 65 anni
di distanza, continua a celebrare messe, amministrare
sacramenti e promuovere
attività, senza alcun coadiutore.
Trivigliano, 15 Dicembre 2013
LA COMUNITÀ INAUGURA I LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE NELLA
CHIESA DI SANT’ANNA ALLA PRESENZA DEL VESCOVO
L’
esultanza è stata la nota della terza domenica di Avvento, chiamata “Gaudete”, sia per il Natale del Signore, ormai vicino,
sia per la presenza del nostro amato Vescovo Lorenzo, accorso per festeggiare con noi e con il nostro Parroco Don
Francesco Guagliani, la nuova disposizione del Tabernacolo, all’interno di questa chiesa a cui la comunità è molto legata.
Alcuni giovani del paese si sono adoperati per dare una nuova visione del Santissimo, inserendolo in un bassorilievo che
mette in risalto la semplicità della struttura stessa, la statua di S. Anna, che prima era soltanto appoggiata ad un lato
dell’altare, è stata collocata in una nicchia; una grande croce in legno, donata dal coro della parrocchia, è stata sospesa
sull’altare. In questa splendida cornice e di fronte a un’assemblea colma di emozione, il Vescovo, sulle parole di San Giacomo,
ha esortato i partecipanti ad operare con pazienza, sincerità e costanza fino alla venuta del Signore, intendendo non solo
la parusia, la venuta finale, ma il Signore che irrompe, che viene nella nostra vita e ha pregato dunque affinché anche noi,
come Giovanni Battista, possiamo renderci umili messaggeri della sua venuta e possiamo preparare la “sua via” con fede
sincera sulle strade che percorriamo quotidianamente. Gesù crea una nuova umanità. È una palingenesi, un rinnovamento,
una nuova creazione, ma è necessario accoglierlo con animo povero e ben disposto. E quale momento migliore per farlo di
quello che stiamo vivendo. “Se ci diamo la mano i miracoli accadranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno”. Giovanni
Rodari. Al termine della Messa molte famiglie, insieme a don Francesco, hanno condiviso il pranzo e momenti ricreativi,
facendo esperienza della “Domenica insieme”, come su invito del Vescovo, nella Lettera Pastorale, di vivere la Domenica
come giorno del Signore, giorno della Chiesa e giorno dell’uomo.
Sabrina Quatrana
i
t
n
a
r
g
i
M
e
Special
Il messaggio di Papa Francesco
Verso un mondo
migliore
La 100esima Giornata Mondiale del Migrante
e del Rifugiato
È
passato un secolo da quando, nel 1914, allo scoppio della
Prima Guerra mondiale, commosso dalla drammatica situazione di migliaia di rifugiati e profughi e di persone e famiglie espulse dai Paesi europei tra loro belligeranti, Benedetto XV
scrisse a tutti i Vescovi italiani invitandoli a celebrare in ogni parrocchia una Giornata di preghiera e di solidarietà per i migranti.
Da allora, ogni anno, in Italia prima e poi in tutto il mondo, questa Giornata è diventata una tappa fondamentale del Magistero della Chiesa sulle migrazioni. Quest’anno, Papa Francesco ci
invita a leggere le migrazioni come una risorsa per costruire un
mondo migliore. Di fronte alla paura e ai pregiudizi, alle crescenti discriminazioni nei confronti dei migranti, allo sfruttamento che scade in una rinnovata tratta degli schiavi, Papa Francesco invita anzitutto le nostre comunità cristiane a costruire un
alfabeto e uno stile di vita diverso, che aiuti a passare nelle nostre città “da una cultura dello scarto a una cultura dell’incontro”. Lo sviluppo integrale della persona e dei popoli chiede di
impegnarsi oggi, anche in Italia, in due direzioni. Anzitutto
rafforzare e non indebolire – come sta avvenendo nel nostro
Paese e in Europa – le risorse della cooperazione internazionale,
che aiutano persone e famiglie a non lasciare il proprio Paese.
Inoltre, superare situazioni vergognose in cui vengono accolti o
vivono i migranti anche in Italia.
Cari fratelli e sorelle!
Le nostre società stanno sperimentando, come mai è avvenuto
prima nella storia, processi di mutua interdipendenza e interazione a livello globale, che, se comprendono anche elementi
problematici o negativi, hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia umana, non solo negli aspetti economici, ma anche in quelli politici e culturali. Ogni persona, del resto, appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro
migliore con l’intera famiglia dei popoli. Da questa constatazione nasce il tema che ho scelto per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno: “Migranti e rifugiati: verso
un mondo migliore”.
Tra i risultati dei mutamenti moderni, il crescente fenomeno della mobilità umana emerge come un “segno dei tempi”; così l’ha
definito il Papa Benedetto XVI (cfr Messaggio per la Giornata
Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006). Se da una parte,
infatti, le migrazioni denunciano spesso carenze e lacune degli
Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche
l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della terra, la tutela e la promozione della dignità
e della centralità di ogni essere umano.
Dal punto di vista cristiano, anche nei fenomeni migratori, come
in altre realtà umane, si verifica la tensione tra la bellezza della
creazione, segnata dalla Grazia e dalla Redenzione, e il mistero
del peccato. Alla solidarietà e all’accoglienza, ai gesti fraterni e
di comprensione, si contrappongono il rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfruttamento, del dolore e della morte. A destare preoccupazione sono soprattutto le situazioni in cui la migrazione non è solo forzata, ma addirittura realizzata attraverso
varie modalità di tratta delle persone e di riduzione in schiavitù.
Il “lavoro schiavo” oggi è moneta corrente! Tuttavia, nonostante i problemi, i rischi e le difficoltà da affrontare, ciò che anima
tanti migranti e rifugiati è il binomio fiducia e speranza; essi
portano nel cuore il desiderio di un futuro migliore non solo per
se stessi, ma anche per le proprie famiglie e per le persone care.
Che cosa comporta la creazione di un “mondo migliore”? Questa espressione non allude ingenuamente a concezioni astratte
o a realtà irraggiungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca di uno
sviluppo autentico e integrale, a operare perché vi siano condizioni di vita dignitose per tutti, perché trovino giuste risposte le
esigenze delle persone e delle famiglie, perché sia rispettata, custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha donato. Il Venerabile Paolo VI descriveva con queste parole le aspirazioni degli uomini di oggi: «essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori
da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la dignità umana; godere di una maggiore istruzione; in una parola,
fare conoscere e avere di più, per essere di più» (Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 6).
Il nostro cuore desidera un “di più” che non è semplicemente un
conoscere di più o un avere di più, ma è soprattutto un essere di
più. Non si può ridurre lo sviluppo alla mera crescita economica,
conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria
è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri (cfr Mt 25,31-46); se si è capaci di passare da
una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza.
Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o
sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che
condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere,
ma soprattutto di essere di più. È impressionante il numero di
persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie
aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono
il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i
tempi. In cammino con migranti e rifugiati, la Chiesa si impegna
a comprendere le cause che sono alle origini delle migrazioni,
ma anche a lavorare per superare gli effetti negativi e a valorizzare le ricadute positive sulle comunità di origine, di transito e di
destinazione dei movimenti migratori.
... La realtà delle migrazioni, con le dimensioni che assume nella
nostra epoca della globalizzazione, chiede di essere affrontata e
gestita in modo nuovo, equo ed efficace, che esige anzitutto
una cooperazione internazionale e uno spirito di profonda solidarietà e compassione.
È importante la collaborazione ai vari livelli, con l’adozione corale degli strumenti normativi che tutelino e promuovano la persona umana. ... È importante poi sottolineare come questa collaborazione inizi già con lo sforzo che ogni Paese dovrebbe fare
per creare migliori condizioni economiche e sociali in patria, di
modo che l’emigrazione non sia l’unica opzione per chi cerca pace, giustizia, sicurezza e pieno rispetto della dignità umana.
Creare opportunità di lavoro nelle economie locali, eviterà inoltre la separazione delle famiglie e garantirà condizioni di stabilità e di serenità ai singoli e alle collettività.
Infine, guardando alla realtà dei migranti e rifugiati, vi è un terzo elemento che vorrei evidenziare nel cammino di costruzione
di un mondo migliore, ed è quello del superamento di pregiudizi e precomprensioni nel considerare le migrazioni. Non di rado,
infatti, l’arrivo di migranti, profughi, richiedenti asilo e rifugiati
suscita nelle popolazioni locali sospetti e ostilità.
Nasce la paura che si producano sconvolgimenti nella sicurezza
sociale, che si corra il rischio di perdere identità e cultura, che si
alimenti la concorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, che
si introducano nuovi fattori di criminalità. I mezzi di comunicazione sociale, in questo campo, hanno un ruolo di grande responsabilità: tocca a loro, infatti, smascherare stereotipi e offrire
corrette informazioni, dove capiterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animo dei più. In questo, è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di
emarginazione - che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura
dello scarto” - ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più
giusto e fraterno, un mondo migliore.
... La Chiesa, rispondendo al mandato di Cristo “Andate e fate
discepoli tutti i popoli”, è chiamata ad essere il Popolo di Dio
che abbraccia tutti i popoli, e porta a tutti i popoli l’annuncio
del Vangelo, poiché nel volto di ogni persona è impresso il volto
di Cristo! Qui si trova la radice più profonda della dignità dell’essere umano, da rispettare e tutelare sempre. Non sono
tanto i criteri di efficienza, di produttività, di ceto sociale, di
appartenenza etnica o religiosa quelli che fondano la dignità
della persona, ma l’essere creati a immagine e somiglianza di
Dio (cfr Gen 1,26-27) e, ancora di più, l’essere figli di Dio; ogni
essere umano è figlio di Dio! In lui è impressa l’immagine di Cristo! Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a
vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e
amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire
alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più
compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una
comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo. Le migrazioni
possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione, aprire
spazi alla crescita di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria
e ogni patria è terra straniera.
Cari migranti e rifugiati! Non perdete la speranza che anche a
voi sia riservato un futuro più sicuro, che sui vostri sentieri possiate incontrare una mano tesa, che vi sia dato di sperimentare
la solidarietà fraterna e il calore dell’amicizia! A tutti voi e a coloro che dedicano la loro vita e le loro energie al vostro fianco
assicuro la mia preghiera e imparto di cuore la Benedizione
Apostolica.
Dal Vaticano, 5 agosto 2013
FRANCESCO
8
VITA DI
COMUNITA
,
Febbraio
2014
28° Corso di Formazione Nazionale
Progetto
Policoro
ad Assisi
Affrontiamo insieme la disoccupazione giovanile
S
i è appena concluso il
28° corso nazionale
del progetto Policoro
ad Assisi; molte sono oggi
le regioni coinvolte che
comprendono 161 animatori di comunità rappresentanti le diverse diocesi
d’Italia.
Voi vi domanderete: cos’è
il Progetto Policoro?
La chiesa, di fronte alla
grave crisi del lavoro in
particolare giovanile, vuole
farsi vicina ai giovani, donando il segno di speranza
testimoniato dal vangelo e
reso concreto nella persona di Cristo che vuole entrare a far parte della vita
di ognuno di noi.
Il progetto dona lavoro ai
giovani?
No, non è esattamente così. Purtroppo conosciamo
tutti la grande crisi economica che stiamo vivendo e,
in questo periodo, avere
delle sicurezze lavorative
sembra quasi un sogno.
Noi, animatori di comunità
del progetto Policoro, cerchiamo di dare speranza e
di sconfiggere il senso di
scoraggiamento. Ogni persona ha dei talenti che non
può tenere nascosti ma che
deve far fruttare. Ogni giovane ha il diritto e dovere
di scoprire i propri talenti e
le proprie capacità. Nei
giovani cerchiamo di sviluppare la volontà di mettersi in gioco, anche e soprattutto insieme ad altri,
perché è proprio la sinergia di persone diverse che
fa crescere e realizzare cose che da soli non potremmo fare.
Nel concreto cosa facciamo?
Cerchiamo di offrire alla
comunità diocesana un’opportunità per affrontare il
problema della disoccupazione giovanile in una prospettiva di evangelizzazione e di promozione umana, stimolando le varie pastorali e le aggregazioni
laicali a lavorare “a rete”
in un’ottica di sinergia e di
collaborazione reciproca;
aiutare le Chiese locali ad
interagire con rapporti di
reciprocità, in spirito di solidarietà e di vicendevole
integrazione, diffondendo
una nuova cultura del lavoro basata sull’autoimprenditorialità e sulla cooperazione, uno studio approfondito del territorio
per evidenziarne i punti di
forza e di debolezza, animazione territoriale nelle
scuole, nelle parrocchie e
in diocesi, accompagnamento dei giovani all’orientamento, alla formulazione de CV, alla ricerca attiva del lavoro, alla realizzazione di gesti concreti…
insomma, diffondiamo la
cultura d’impresa e l’idea
che il lavoro non è solo un
mezzo per “fare soldi”, ma
un luogo di edificazione
personale e sociale attraverso il quale continuiamo
la creazione che Dio ha
iniziato e ci ha poi affidato!
Dobbiamo aiutare i nostri
giovani a credere e lottare
per questo paese; probabilmente il particolare momento storico ci invita ad
andare via dalla nostra terra, dall’Italia ma se non siamo noi giovani a lottare
per questo paese chi lo
farà al nostro posto? Che
futuro lasciamo ai nostri figli? A volte sembra che
tutto ciò che facciamo non
serva a niente ma in realtà
non è così, ogni seme seminato bene alla fine porta
frutto.
Mi piace concludere con la
frase di Don Mario Operti,
direttore della pastorale
sociale e del lavoro, che insieme alla pastorale giovanile e la Caritas ha dato
animo alla realizzazione di
questo progetto, “non
esistono formule magiche per creare lavoro
ma occorre investire nel
cuore e nelle menti delle persone. Oggi, dal
1995, il progetto Policoro
(Policoro deriva dalla città
di Policoro in provincia di
Matera) continua ad esistere, grazie alle molte imprese sorte che hanno dato lavoro a molti, molti giovani,
consentendo loro una realizzazione professionale e
personale.
Anno XV
Numero 2
VITA DI
COMUNITA
,
9
Giornata Nazionale della Colletta Alimentare
La carità non
deve mai finire
135.000 volontari e 9.000 tonnellate di cibo
di Elio AMBROSETTI
C
hiedete e vi sarà dato.
Bussate e vi sarà aperto. È proprio vero!
Quando ci si affida a queste
parole succede sempre
qualcosa! È accaduto sabato 30 novembre: 17°
giornata nazionale della
Colletta
Alimentare
2013, indetta annualmente
su iniziativa del Banco Alimentare quale diretta emanazione del movimento ecclesiale Comunione e Liberazione. Questo gesto vuole
richiamarci a rispettare e
tutelare la povertà e a sentire come valore primario la
necessità di andare incontro ai bisogni degli altri.
“Il consumismo ci ha indotti ad abituarci allo
spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non
siamo più in grado di dare il giusto valore…
Quando il cibo viene
condiviso in modo equo,
con solidarietà, nessuno
è privo del necessario,
ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei
più poveri” (Papa Francesco, Udienza Generale del 5
giugno 2013). Questo appello è stato raccolto e la
sfida si può dire vinta. Le cifre sono impressionanti: in
Italia oltre 135.000 volontari hanno raccolto nella giornata circa 9.000 tonnellate
di cibo che verranno distribuite alle oltre 8.800 strutture caritative, convenzionate con la Rete Banco Alimentare, che assistono ogni
giorno oltre 1.800.000 poveri.
Nella sola nostra città di
Anagni l’iniziativa ha interessato 7 strutture
commerciali nelle quali
sono state raccolte quasi
5 tonnellate di cibo successivamente distribuito
sia alla Caritas interpar-
rocchiale di Anagni, sia
ad altre cinque strutture
caritative indicate dal
Banco Alimentare stesso.
Queste le cifre e le considerazioni generali! La parte
più interessante è, come
sempre, il vissuto della giornata. Ad Anagni, a dar
man forte agli impegnati
di Comunione e Liberazione, hanno contribuito,
di comune accordo, oltre
100 “volontari” di altre
realtà ecclesiali della
città (Azione Cattolica,
Cammino Neocatecumenale, Movimento dei Focolari, ecc.). Sì, si può dire che tutta la Chiesa
Anagnina ha profuso in
questa operazione entusiasmo e generosità. Un
solo corpo con molte membra, ciascuna con le sue peculiarità; unità nella diversità: è la Chiesa di Cristo. E
nella Chiesa di Cristo qualcosa succede sempre! La generosità, infatti, è stata ampiamente ricambiata dalla
popolazione che, nonostante la crisi economica e le
difficoltà quotidiane di tante famiglie, ha voluto dimostrare ancora una volta che
è possibile fare e dare sempre qualcosa per chi è ancora di più nel bisogno.
E dagli adulti e ragazzi che
hanno partecipato si è potuto raccogliere testimonianze, a volte anche toccanti, di quanto sopra riferito. Sono state vinte tante
perplessità, spiegati tanti
dubbi e curiosità, constatati
tanti ripensamenti su iniziali rifiuti. Siamo convinti che
un seme sia stato gettato!
Affidiamolo alle cure della
Provvidenza. E molto bello
è stato il ritrovarsi insieme,
nei giorni seguenti, in Chiesa per la celebrazione di
una S. Messa quale momento di ringraziamento e di
unità.
Sarà quindi necessario continuare questa opera prevedendo, nei tempi e modi
opportuni, altri richiami alla
generosità altrui.
Il Calendario 2014 “Alatri in miniatura” è stato
realizzato a scopo benefico e il ricavato è stato devoluto ai Banchi Alimentari presenti sul territorio
comunale. Patrocinato dal Comune di Alatri, il calendario mostra i plastici realizzati in più di dieci
anni di Maurizio Cianfrocca. Essi riproducono i monumenti più importanti e gli scorci più suggestivi di
Alatri: dalla chiesa di San Silvestro a quella della
Maddalena, dalla Porta Maggiore a Porta Portati e
porta san Benedetto e tanti altri fino ad arrivare alla suggestiva Collegiata di Santa Maria Maggiore.
Ben 34 associazioni di Alatri si sono date da fare per pubblicizzare e vendere il
calendario alla cui realizzazione hanno contribuito dieci fotografi.
Febbraio
10
2014
Cult
Attualità
E U R O P A
S
RIGA, CAPITALE EUROPEA
DELLA CULTURA
18ESIMO PAESE
CON EURO
apre un 2014 intenso per
SpitaleiRiga,
la perla del Baltico cadella Lettonia. Da gennaio addio lats, benvenuto euro. Dal 1/1/2014 la Lettonia è il
18esimo paese del Vecchio
Continente ad adottare la moneta unica. Stretta tra Lituania
ed Estonia, la Lettonia è una repubblica parlamentare da 2,3
milioni di abitanti dell’Europa
nord-occidentale. Ma non solo:
la città sarà per tutto l’anno anche capitale europea della cultura, insieme alla svedese
Umea. Riga, “gemma del Baltico” fondata nel 1201 si è svincolata dall’occupazione russa
nel 1990 e siglando l’adesione
all’Ue dal primo gennaio 2004.
La popolazione è divisa tra la
maggioranza lettone (oltre il
59%) e una nutrita minoranza
russa. La poltrona del premier è
vacante, dopo le dimissioni di
novembre di Valdis Dombrovskis. L’avvio ufficiale del programma dei festeggiamenti culturali è stato il 18 gennaio: in
commemorazione della storica
catena umana che proprio il 18
gennaio 1989 attraversò le tre
repubbliche baltiche di Estonia,
Lettonia e Lituania per chiedere
pacificamente l’indipendenza
dall’Urss al collasso, è stata ricostruita un’altra catena umana, questa volta per i libri. Deputati, personaggi pubblici e
comuni cittadini si sono passati
gli uni con gli altri i volumi dando vita a una ‘catena per la cultura’.
CONVEGNO E MOSTRA
ALL’ISTITUTO
“A.G. BRAGAGLIA”
DI FROSINONE SULL’EX
CAMPO “LE FRASCHETTE”
di Carlo COSTANTINI
i è svolto presso l’Istituto di Istruzione Superiore “A.G. Bragaglia” di Frosinone, un Convegno per illustrare le vicende del
Campo di concentrazione “Le Fraschette” di Alatri, divenuto, dopo la guerra, Centro Raccolta Profughi. Nell’Aula Magna dell’Istituto, era stata allestita una Mostra Documentaria dal titolo “LE
FRASCHETTE - DA CAMPO DI CONCENTRAMENTO A LUOGO DELLA MEMORIA”, realizzata con il contributo della Regione Lazio. La
Mostra comprendeva 33 pannelli curati dalla Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, dall’Archivio di Stato di Frosinone, da studenti del Liceo “Pietrobono” di Alatri e dall’artista Luigi Centra.
Carlo Costantini, Presidente Provinciale di Frosinone dell’Associazione Partigiani Cristiani, nel ripercorrere le tragiche vicende del
campo durante la 2a guerra mondiale, ha messo soprattutto in luce l’arrivo e la permanenza al campo di centinaia di slavi, in maggioranza donne, bambini e anziani, familiari dei partigiani jugoslavi, strappati alle loro case; ha illustrato l’efficace intervento in loro
favore dei Vescovi di Trieste, Gorizia e Alatri e delle Suore Giuseppine di Veroli, chiamate da mons. Facchini per assistere specialmente le donne e i bambini rinchiusi nel Campo. Nella sua ampia
relazione, relativa all’utilizzo dell’ex Campo, trasformato in Centro
Raccolta Profughi, Marilinda Figliozzi autrice della seconda parte
del Libro sul Campo, ha parlato delle vicende degli italiani cacciati
dagli Stati dell’Africa mediterranea, Tunisia ed Egitto, e ospitati nel
Campo stesso. Nel corso della manifestazione, cui hanno assistito
numerosi insegnanti e alunni dell’Istituto, alcune allieve hanno letto poesie dell’artista Luigi Centra, tratte dal suo libro “I DEPORTATI” sul Campo “Le Fraschette”. È stato inoltre proiettato un documentario curato dal prof. Tiberi. Ha portato il suo saluto il Dirigente Scolastico dell’IIS prof. Fabio Giona; tra gli insegnanti presenti la
vicepreside prof.ssa Maria Rosaria Villani e il prof. Mario Ritarossi.
D
APERTA LA
CHIESA DI SAN
SILVESTRO
opo circa un anno la comunità parrocchiale San Silvestro
può nuovamente frequentare l’antica e bellissima chiesa.
Sabato 21 dicembre 2013 la chiesa era stracolma di gente: persone accorse anche da fuori città per rivedere il luogo sacro
nello splendore che merita. La chiesa è stata interessata da diverse tipologie di interventi; dal tetto, agli esterni, al restauro
degli affreschi e soprattutto della meravigliosa cripta, finalmente rivisitabile.
Toccanti le parole del parroco don Mariano Morini che ha ripercorso le vicissitudini del luogo sacro. “I primi interventi ci
furono nel 1934 - argomenta il sacerdote - poi nel 1945 dopo il
bombardamento, ed infine questo intervento che spero sia
l’ultimo. Don Mariano facendo intendere di non essere neofita
delle argomentazioni trattate ha chiesto al sindaco Giuseppe
Morini un intervento sulla strada sovrastante la navata di sinistra. I problemi di infiltrazioni di acqua e di umidità che danneggiano la chiesa sarebbero da addebitare proprio ad infiltrazioni della strada, un problema da risolvere drasticamente
in modo tale da non portare grave nocumento alle strutture”.
C ultura A rte M usica L etteratura S cienza S port C inema T eatro
11
Anno XV
Numero 2
tur@
Attualità
S C U O L A
C
orreva l’anno 1132, Rainolfo, conte di Alife, decise di inviare degli ambasciatori a Roma per ottenere dal Papa Anacleto II le reliquie di qualche santo con lo scopo di liberare la propria città dalla pestilenza. Anacleto concesse l’urna delle reliquie di S. Sisto agli alifani che la caricarono sul dorso di una
mula per far ritorno fiduciosi ad Alife. Giunti ad un trivio, probabilmente nei pressi di Fumone, la mula non volle più saperne di proseguire per Alife e si avviò per un sentiero che conduceva ad Alatri. Nessun tentativo riuscì a far cambiare strada alla mula che si fermò nei pressi della chiesa di S. Matteo in località detta il Colubro, dove fu accolta dal Vescovo, dal clero e
dal popolo alatrino. La mula proseguì il suo cammino dirigendosi senza esitazione verso l’acropoli e davanti alla cattedrale
si inginocchiò aspettando che il Vescovo Crescenzio la liberasse
dal suo prezioso carico. Da quel momento Alatri fu liberata dal
contagio e i cittadini fecero dono agli alifani di un dito del
Santo. S. Sisto aveva scelto la sua dimora: era l’11 gennaio
1132. Le reliquie di S. Sisto sono conservate nella Concattedrale di S. Paolo entro un’urna di piombo antichissima, sul cui coperchio vi è incisa la scritta: “HIC RECONDITUM EST CORPUS
XYSTI PP. PRIMI ET MARTIRIS” La ricorrenza della venuta del
Santo si festeggia ad Alatri l’11 gennaio con una solenne funzione religiosa, mentre, il mercoledì dopo Pasqua, l’imponente
statua è portata in processione per le strade della città. Il motivo del “doppio festeggiamento” è da ricercarsi in un avvenimento storico. Nell’anno 1186, Alatri è assediata dalle truppe
di Arrigo VI, figlio di Federico Barbarossa. Dopo nove giorni di
resistenza i viveri e le forze cominciano a mancare e gli alatrini
vanno a prostrarsi innanzi al loro Patrono San Sisto per invocare aiuto e protezione. Dopo fervide preghiere, si sentono animati da gran forza d’animo. Riunite le forze, si scagliano come
leoni contro il nemico, che si dà a vergognosa fuga verso la vicina Guarcino, non resistendo all’attacco. Tutti attribuirono a
San Sisto l’onore della vittoria, ed essendo il fatto accaduto nel
mercoledì dopo la Santa Pasqua, decretarono che d’allora in
poi quel giorno dovesse essere consacrato al loro Santo Protettore e ritenuto il più importante dell’anno. S. Sisto “gode”
dunque di ben due feste, entrambe avvertite profondamente
dal popolo alatrense. La statua del Santo è in legno ricoperto
d’oro (la testa, il braccio e la
palma sono di argento). Il suo
peso è di circa 7 quintali ed
essa è portata processionalmente in spalla per le vie della città da 20/25 incollatori
appartenenti alla Confraternita. Una curiosità: ogni qualvolta avviene il cambio del
Vescovo di Alatri, il suo primo
ingresso nella città è a dorso
di una mula bianca, in ricordo
dell’episodio della venuta di
S. Sisto. Le città di Alatri e Alife, inoltre, sono unite nella
fede al Santo attraverso un
gemellaggio.
SAN SISTO: TRA STORIA
E LEGGENDA
GRAFICA
E COMUNICAZIONE
TECNOLOGIE
CARTARIE
partire dall’anno scolastico
2014-2015, sarà attivo
A
presso l’Istituto tecnico Sandro
Pertini di Alatri, il nuovo indirizzo di istruzione tecnica “Grafica
e comunicazione opzione tecnologie cartarie”, il primo Istituto cartario del centro sud. Si
tratta di una scuola che crea
una figura professionale polivalente caratterizzata da una buona formazione generale con
competenze specifiche nel campo dell’industria della comunicazione e della carta, con particolare riferimento all’uso delle
tecnologie per produrla. Il tecnico cartario è in grado di utilizzare le metodiche per la preparazione e la caratterizzazione
del settore cartario, risolvere
problemi teorici e sperimentali;
di agire nei processi industriali
dell’ambito cartario; di gestire
progetti e processi dell’ambito
cartario secondo le procedure e
gli standard previsti dai sistemi
aziendali di gestione della qualità e della sicurezza; di analizzare e monitorare le esigenze
del mercato. Il diplomato in Tecnologie Cartarie trova possibile
occupazione nel settore cartario
e cartotecnico, nelle aziende
specializzate in programmazione ed esecuzione delle operazioni di prestampa, stampa e
poststampa e nell’ambito delle
professioni tecniche. Potrà anche proseguire gli studi universitari in particolare nell’ambito
ingegneristico.
C ultura A rte M usica L etteratura S cienza S port C inema T eatro