Anteprima libro 2 – Sanremo e dintorni

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Ernesto Taggiasco
Sanremo e
dintorni
STORIE VERE di PERSONE e ANIMALI,
ANEDDOTI, CONSIGLI, RICETTE,
RIMEDI, FARNETICAZIONI, E..
temporalmente prima del libro:
I RAGAZZI DELLA VIA PALMA
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Questo libro narra semplici storie, rigorosamente autentiche, in prevalenza vissute nel nostro entroterra, dai nostri padri, e antenati, quindi
riferisce dal primo ottocento a metà novecento cioè temporalmente
arriva fin dove inizia il mio primo libro:“I ragazzi della via Palma”.
In questo scritto ho cercato di narrare i risvolti più salienti della mia
memoria, (vissuti di persona o raccontati da parenti e vecchi liguri),
riferendo aneddoti sulla vita di personaggi nostrani, con brevi
escursioni sulla storia dei paesi, dato che esistono già centinaia di
magnifici e curatissimi libri che lo fanno, oltretutto con date precise e
puntualizzazioni estreme. Ho anche raccontato una sorta di saga dei
Taggiasco, e alcuni di questi aneddoti che ho scritto, (vissuti da miei
avi e parenti), da anni si raccontano da queste parti, senza conoscerne
i nomi o le circostanze in cui si sono verificati; però faccio ammenda
fin d’ora, perché spesso sono saltato di “palo in frasca”ma non
essendo questo un romanzo,e non essendo io uno scrittore, i miei
ricordi si sono susseguiti senza un ordine cronologico, per cui li ho
scritti comunque…
1920 – Sanremo, Corso A. Mombello.
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(coll. E. Taggiasco)
Prologo :
La Genetica è scienza seria, precisa, e l’ereditarietà che ne fa parte, ci
insegna che siccome ci tramandiamo delle tare ereditarie (appunto),
così fortunatamente, ereditiamo anche doti, in special modo manuali,
dai nostri avi.
In questo caso parliamo dei liguri, un popolo le cui origini risalgono
quasi agli albori della vita umana sulla terra. Qui hanno radicato per
la vicinanza del mare -loro fonte di vita e di risorse- e per i numerosi
anfratti che li preservavano dalle intemperie meglio che in altri luoghi,
come si evince dai tanti ritrovamenti archeologici in grotte etc.
Però, qui in Liguria, come è già stato evidenziato tante volte, la mitezza
del clima è quasi in contrasto con l’asprezza del territorio, che spesso
mostra terre e rocce a strapiombo sul mare, per cui ha sempre
obbligato i suoi abitatori a faticare ed aguzzare l’ingegno molto più
che in altre regioni, e solo per sopravvivere.
Infatti -ad esempio- qui, come in molte altre zone della nostra regione,
ancora oggi esistono muri a secco, alti 3 o 4 metri, costruiti per
recuperare una fascia, una striscia di terreno coltivabile, di un solo
metro di larghezza !
Queste fatiche e adattamenti al territorio in atto da millenni, hanno
lasciato in eredità all’uomo ligure un ingegno, una manualità e una
forza fisica leggermente superiori a gente di altre regioni, è un dato di
fatto, lasciatemelo dire… Ed è di queste persone che Vi racconterò,
quindi non stupiteVi se in alcuni personaggi fuori dal comune ci
riconoscerete Vostri parenti o avi, siamo liguri e un pò di “giusta”
immodestia non ci manca…(almeno a me...)
Come ben sapete, oggigiorno per individuare precisamente una
persona, occorre un cognome, un nome, una data di nascita, un
indirizzo, cioè un documento di riconoscimento, il codice fiscale, e a
volte tutto questo non basta...
Così, neanche tantissimi anni addietro, quando queste precisazioni non
dovevano essere fatte (o dovevano ancora essere inventate)
accadevano casi di omonimìa, scambi di persona, appropriazioni
arbitrarie di identità etc. etc.
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La prosecuzione del proprio Casato era solo per i nobili, o su di lì; col
passare dei secoli e in seguito l’adozione del censimento, il cognome
(con la data di nascita) distinse ogni persona, a qualsiasi ceto sociale
appartenesse, ma avvicinandosi ai giorni nostri, diventò quasi
obbligatorio imporre anche il nome dei nonni ai nascituri, poiché in
caso contrario, spesso gli anziani si offendevano, e alcune volte
nascevano dei rancori che duravano una vita, (in alcune regioni si
arrivava fino alla faida per questo!..) Quindi se al giorno d’oggi, in
qualche conservatorìa di atti -o simile- Vi capita di leggere un elenco,
(partendo dal capostipite di una famiglia) spesso vedrete dopo il
cognome, anche lo stesso nome scritto all’infinito…. Perciò l’unica
distinzione possibile veniva fatta con le numerate (i nomignoli).
Di questi devo dire che alcuni erano perlomeno.. curiosi, ma che
rispecchiavano comunque un lato bello o brutto dell’individuo e della
sua famiglia (inteso come avi). Ad esempio il primo della lista,
sottoelencata, era una persona molto precisa…
nomignoli di persone di Sanremo e dintorni:
Cicin pesafümu, Bacicin pistola, Giuanin U ciciö’ Giuà u bersajè,
Batò giasciagè,Censin flate du diavu, Gin de lireta, Bertu-melin,
Fransè u zicu, Chechin u russu, Giuanin u verdu, Pre cagastecchi,
U Bertin, U Gambin, Giuà u mufìu, Batifibia, Presin dePantajina,
Bacì u curnaiun, Miliu u bruiusu, Dariu u brütin, Già di barì,
Petrin u matu, Gin carabraghe, Tumau-ballan, Vustin, Marseia,
Bacìbelu, Bacì mescìa, Tunin ursottu, Gin u patacun, Felì u lerna,
Bertumè u culantin, Bacì u jèn, Bertumelin u brenusu, Fransè
cagasome, Girö’gambun, Gin ssciapaporte, Mariu bagiotu, Gin
pansad’öriu, Checu u pantan, Bramè u palineta, Suntina a
bagiàira, Angiulina a sgurada, Bedò de Peiru,
Madalin
stirassapaiassi, Marì a buéia, Tatì stirassapapei, Catè a beghina,
Giuanina a Cintòla, Manin a sereija, Manin de turte (Sacco), A
Tambüia, Maleta a gatina, a Bertina, Pina a pecenoira, Giusepina
ranzusa, Lina a pegiuna, Catè du scöju, Catarì brundurassu, Anna
a büssanela, ,
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nomignoli di famiglie sanremasche:
I Scimia, I Merui, I Cugömeri, I Peverùi, I Puveroti, I Brenusi, I
Rumpidùi, I Dragùi, I Mangiamerda, I Pegiùi, I Persegheti, I
Pignatui I Mazei e I Barabia (tre famiglie di pescatori di p.Bresca) I
Cü bassu, I Caregheti (Semiglia, Mandy.), I Braculin (Bracco,
Asplanato...) I Cianela (Grossi, Bianchi…) I Berasci (Moreno..) I
Rübatabüse (Carbonetto) I Strassa (droghieri) I Bersajeri (Bottini) I
Beghin (Ormea -barbieri di via Carli) I Gioi (Ormea da marina) I
Petachin (Gismondi) I Puleta (Gavino)I Micheta(Emili) Ssciapaporte
(Embriaco) Bacì di nausi (Rambaldi) I Verdi, I Balan (Taggiasco) I
Sguradi (Corradi) I Suarin (Bestagno)I Batareli (Carbone)I Belìn
[Belli(?)] I Avucati de cause perse (Scarella) I Basuretta, I Tabajin,
I Beghinotti: (Ormea) I Giacumela (Orlando) I Sgardin (Calvini) I
Pantan, I Cuveli (Asquasciati). I Pizzi, I Ci i e I Magnin (Semeria).
Si potrebbe continuare quasi all’infinito... Infatti chi mi leggerà
lamenterà l’omissione di almeno due o tre-nta cognomi e relativi
nomignoli.. beh…
In molte zone della Liguria si usano le parole :Frai e Sö (fratello e
sorella) al posto di zio e zia (d’altronde il grado parenterale è prima di
tutto quello), si usa/va anche Barba per nonno.
Quindi: frai Censin, frai Culin, sö Bedin, sö Bedò, sö Catainin, etc.
sono zii e zie.
Località nominate e loro abitanti in dialetto:
Burelu: burelenchi (Borello), Büssana: büssaneli (Bussana),
Baiardu: baiocchi (Bajardo), Cola o Colla: culantin (Coldirodi), San
Romulu o San Romilu: sanromilenchi (San Romolo), Prignaudu:
prignaudenchi
(Perinaldo), Sanremu: sanremaschi (Sanremo)
Seriana: serianaschi (Ceriana), Spiareti: spiaretin (Ospedaletti),
Taggia: taggiaschi (Taggia), Ventimìa: ventimìusi (Ventimiglia),
Burdighéa:
burdigoti
(Bordighera),
Dussaiga:
dussaighin
(Dolceacqua), Vrigà: vrigareli (Apricale).
Giögu da brila (gioco della lippa, o pimpirinella) località sul piano del
monte Caggio, munte Cagiu (monte Caggio), Costa di curumbi (costa
dei colombi) cian bandìu (piano bandito) munte Bignun (monte
Bignone), munte Seppu (monte Ceppo), Scöiu de (di) Caranta
(scoglio dei Caranta,o Quaranta) munte Negru (monte Nero).
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1697 – Le Alpi Marittime- Carta di Giuseppe Chafrion, da “Terre di
Liguria”.
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Per non annoiarVi con spiegazioni, a volte tecniche, o di semplice
attinenza con gli argomenti trattati, li ho ‘leggermente’ approfonditi,
aggiunto informazioni, e quindi li ho “accatastati” in fondo con
riferimento: ** così che possiate saltarli se non sono di Vostro
gradimento, o semplicemente Vi annoiano, data la mia paranoia, (o la
Vostra conoscenza dell’argomento) ma anche se non avete il tempo
di leggerli -dato che la vita oggigiorno è molto più concitata-.
CAPITOLO 1
San Romulu, e camale, l’usteria, i cai du nonu.
(San Romolo, le facchine, l’osteria, i cani del nonno).
Per percorrere la vallata a ovest di Sanremo, verso San Romolo e i
monti, esisteva solo una strada, pavimentata di mattoni al centro, con
scalini di pietra, passava nella città vecchia (la Pigna) e attraverso la via
Palma saliva su verso il Santuario della Madonna della Costa, poi
giunti in località San Giacomo, diventava mulattiera vera e propria,
finiva la pavimentazione centrale di mattoni, e allorché iniziava
l’attraversamento del bosco, diventava tutta di pietra, oltre agli scalini
anche il fondo, fatto a selciato. Quindi inerpicandosi nel bosco misto,
-per circa 12 chilometri- attraverso castagni, pini, acacie ed eriche,
portava prima alla frazione di Borello, dove esistevano quasi tutti gli
orti e il coltivato del paese, e giungeva a Castrum Sancti Romuli (San
Romolo), dove si ramificava in sei stradine mulattiere, una delle quali
passava davanti alla Chiesetta del Vescovo Santo, però tutte si
riunivano comunque davanti al grande prato. Essendo l’unica via veniva
curata da tutti; anche se in buona parte le stradine e i boschi -alloravenivano costantemente frequentati da decine di animali, quali bovini,
ovini etc. che brucando e calpestando il sottobosco contrastavano
abbastanza efficacemente il proliferare degli incendi.
Ogni due o tre chilometri esisteva una fontanella o una vena d’acqua
freschissima, che aiutava a sopportare meglio il disagio della salita.
Oggi, se si percorre in macchina la strada che porta a San Romolo, tra la
vegetazione -ormai padrona della mulattiera- se ne intravedono ancora
molti tratti, tagliati dalla strada carrozzabile, tutti integri come appena
fatti, (seppure qualche erbaccia ha preso il sopravento) ma l’acqua,
-specialmente le vene- sono sparite.
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Su queste mulattiere sono transitati centinaia di stranieri, in prevalenza
inglesi, quando adoravano le nostre vallate; tutti portati a dorso di mulo,
o a volte su qualche cavallo ‘meticcio’ più tozzo e più adatto dei purarazza al carico da soma.
Queste macchine a quattro zampe costavano pochissimo, non
inquinavano, funzionavano a erba e acqua, al massimo a volte qualche
frutto o verdura dell’orto o qualche pezzo di pane secco, ma sempre
fornivano un servizio, (e anche un concime..) insuperabili. Gli animali,
allora venivano tenuti in grande considerazione, soprattutto per
l’importanza dei ruoli che ricoprivano; così cani, gatti, bestie da soma,
ovini, bovini etc. venivano accuditi quasi come bambini, e loro di
rimando, per istinto -ma anche per gratitudine- davano il meglio di se
stessi in rapporto all‘intelligenza’ della loro specie. Certo in quei tempi
i sistemi di accudimento o di cura erano abbastanza empirici, ma vi
assicuro che funzionavano!Così quando alcune galline non ‘sfornavano’
più uova, ma erano ancora in età produttiva, venivano rebissàe
(ringalluzzite) impastando pane raffermo con buon vino nero; questo
pastone aveva il potere di farle dapprima cantare con una vigorìa da
gallo -forse per la ciucca- ma qualche giorno dopo ricominciavano la
loro deposizione-uova come niente fosse accaduto.
Il pane bagnato nel vino veniva dato anche alle bestie da soma, come
aiuto durante le giornate più faticose; allora esistevano anche ‘cure’
molto più empiriche; ad esempio una volta alle mucche del nonno era
venuta una malattia per la quale un veterinario di allora (salito
appositamente da Sanremo) sentenziò: incurabile! (cioè non sapeva
cosa fare..) Ma appena se ne andò, il nonno ricordò una vecchia pratica
insegnatagli da suo nonno, e la mise in atto. Siccome alle due mucche
malate, erano nate anche delle escrescenze di carne sulla lingua, (una
sorta di porri) mio nonno con una specie di pinza, gli tirò fuori la
lingua, gli tagliò i porri con le forbici, poi disinfettò, fregandoci sopra
mezzo limone, quindi in mezzo ad alcune foglie di bietola, mise dello
zolfo, confezionando una sorta di cachet, (di capsula) che diede ad
ognuna delle bestie malate per alcune volte, e quelle dopo pochi giorni
guarirono! e ripresero la produzione del latte, che venne definito più
buono e burroso di prima. Lo zolfo era una delle sostanze naturali, usate
allora anche per cure (se pur empiriche) ad esempio per guarire
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problemi a cani, gatti e conigli, come piaghe, malattie degli occhi, etc,
etc. Se ne mischiava un cucchiaio ad ogni loro pasto per alcuni giorni..
e passava tutto!.. Lo zolfo veniva, (e viene usato ancora) anche dagli
umani ad esempio come disintossicante.
Ai cambi di stagione, specialmente in Primavera; si mischiano due o tre
cucchiai di ‘fiore di zolfo’ (in Farmacia) con ¼ di kg. di miele, e questo
miscuglio, lo si consuma un cucchiaio per mattino; vi assicuro
certamente l’efficacia tutt’ora, salvo il ‘piccolo’ inconveniente che se
(molto umanamente) doveste lasciar uscire dell’aria dal vostro corpo…
fatelo all’aperto! non avete idea!!. (tipo esorcista!..)
(sotto) -1880- Le “Camalle” (portatrici) vestite con le tipiche vesti
“sanremasche” impegnate nel trasporto di un pesante pianoforte, in
una vecchia (e sfruttatissima) fotografia.
(coll.Moreschi)
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1887- Le Camalle arrivano stanche in piazza dei Dolori,
nella“Pigna”(città vecchia di Sanremo) da Rivolte San Sebastiano,
(coll. Moreschi)
con un sacco da mina di farina. (100 kg!)
Dato che stiamo parlando di un periodo temporale tra la fine 800 e
l’inizio del 900, allora le strade carrozzabili erano davvero poche in
Liguria, principalmente perché la loro costruzione era ardua e onerosa,
a causa del nostro territorio scosceso e roccioso. Quindi oltre a dorso di
mulo, la maggioranza dei trasporti sulle stradine mulattiere, nelle nostre
ripide vallate, venivano fatti dagli uomini sulle spalle, e dalle donne
sulla testa poggiando il carico sul paiassu (pagliaccio), usando di solito
un grembiule arrotolato a ciambella, a protezione del cranio e in aiuto
all’equilibrio del carico. A Sanromolo -dove ora c’è il bel Ristorante
Dall’ava- di Orlando e Graziella, quando era solo un’Osteria-Trattoria,
apparteneva ai miei nonni materni Siri G.B. e Zunino Maria.
Era nominata “da Marì”(mia nonnina) la quale con le figlie (mia madre
era la primogenita) gestiva la cucina -e il forno per il pane-. Il nonno era
addetto agli approvvigionamenti… (e alla caccia…)
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Il nonno ha sempre posseduto degli ottimi cani per la caccia, che
addestrava amorevolmente, tanto bravi che i cacciatori di Sanremo, ad
ogni battuta lo pregavano di portarli al posto dei loro… In special modo
ne aveva due, uno “da piuma” e uno “da pelo” (cioè un cane adatto
soprattutto alla caccia ai volatili, e uno agli animali a terra) che
venivano sempre nominati come bestie eccezionali, fuori dal comune.
Uno dei due, quello “da piuma” di nome Tosco (dalla “Tosca” di
Puccini) Sob.. aveva un odorato e un’intelligenza spiccatissimi.
Il nonno aveva usato dei sistemi semplicissimi per addestrarlo, -come
per tutti gli altri- ma quel cane aveva dei numeri in più, un’intelligenza
quasi umana! (la quale abbinata ai sensi eccezionali dei canidi lo
rendeva super…) Uno dei sistemi usati spesso dal nonno era questo:
quando andava in boschi -specialmente lontani dal paese-, lasciava
cadere un suo oggetto (di solito il fazzoletto) e tornati a casa, dopo che
il cane aveva mangiato, gli diceva: Toscu! a l’ho persu u mandìu!...
(Tosco! ho perso il fazzoletto!) quello dopo aver addrizzate le orecchie,
e con due colpi di bau -per dimostrare che aveva capito- partiva come
un razzo e tornava dopo poco tempo, anche su distanze notevoli, con il
fazzoletto in bocca. Dato che il nonno vantava sempre, orgogliosamente
e giustamente i suoi cani, un giorno alcuni amici proposero una
scommessa, per vagliare l’anastru (il fiuto) e l’intelligenza di Tosco. La
scommessa era questa: Il cane avrebbe dovuto trovare e riportare il
cappello del nonno, e solo quello!, il quale oltretutto sarebbe stato
portato in località sconosciuta da altre persone! Il nonno prese Tosco da
parte, gli spiegò (come si fa con i bambini) che avrebbe dovuto non solo
ritrovare, ma riportare solo il suo cappello!
Il cane fece cenno di aver capito con il solito abbaio, e partì a razzo; il
nonno sapeva che avevano messo il suo cappello dentro un altro, ma
non sapeva che per vincere la scommessa li avevano cuciti assieme….
Passarono le ore e il cane non arrivava, ma dato che li avevano portati
lontano, si imputava il ritardo alla distanza, e gli scommettitori contro
mio nonno cominciavano a gongolare, poi d’un tratto Tosco tornò di
corsa tutto festante, con solo il cappello del nonno in bocca! Restarono
tutti di sasso, e confessarono le robuste cuciture che avevano fatte…
Ma restarono ancora più sorpresi quando andarono a recuperare l’altro
cappello, del quale ritrovarono solo alcuni brandelli!.
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Il cane Tosco diede molte soddisfazioni al nonno, e quando questi lo
chiamava per andare a caccia, arrivava di corsa felicissimo, poi con
l’età e gli acciacchi quando sentiva qualcuno parlare di caccia, o di cose
che la riguardavano, spariva dalla circolazione e non lo si vedeva più
fino al giorno dopo. Mio nonno comunque lo portò ancora qualche volta
alla caccia, quando questa si svolgeva in località vicine, usando uno
stratagemma per poterlo fare: andava dalla nonna e la pregava di andare
sulla Punta -o Puntetta- (uno spuntone di roccia che dominava la
località) a chiamargli il cane, questi sentendo la voce di lei arrivava di
corsa… e poi si assoggettava con docilità ad andare col nonno… che
gli parlava dolcemente….
L’altro cane, di cui non ricordo il nome, (o non l’ho mai saputo) era
bravissimo anche lui, e molto coraggioso; aveva il muso segnato da
mille battaglie fatte con i tassi, le volpi etc. il suo fiuto era eccezionale,
(certo i cani di allora non dovevano sopportare gli odori
dell’inquinamento di oggi, in qualsiasi posto dove guardiamo!)
Era un meticcio come l’altro, ma seppure di taglia piccola era
velocissimo, sfruttava questa sua dote per rincorrere prede, ma anche
per girare intorno a grossi animali e feroci cinghiali. Accadde un giorno
che nella foga di inseguire un tasso si infilò nella sua tana e vi rimase
incastrato; il nonno cercò di arrivare a prenderlo.. ma la tana era troppo
profonda… dopo molti tentativi si fece buio e a malincuore il nonno
tornò a casa piangendo… Qualche ora dopo s’era sparsa la voce
ovunque, e dato che allora l’amicizia e la collaborazione erano
normalità, il mattino dopo -alle prime luci dell’alba- un gruppo di
giovanotti (e anche alcuni cacciatori, venuti appositamente da Sanremo)
armati di pale e picconi partirono per andare a salvare il piccolo cane.
Arrivati sul posto il nonno lo chiamò, sentì che guaìva, quindi era
ancora vivo!. Cominciarono a scavare, e scesero parecchio seguendo il
tragitto della tana, ma arrivati ad un certo punto, un grosso masso
impediva di proseguire lo scavo, non sapevano più come agire..ma
lasciare quella povera bestiola a fare una morte atroce faceva venire il
cuore piccolo a tutti… Il nonno prese un lungo ramo flessibile, e lo
infilò nella tana per sentire se il cane fosse quasi raggiungibile..
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D’un tratto, quando fece per estrarre il legno, si rese conto che
‘qualcuno’ lo aveva afferrato con i denti; cominciò a tirare con
delicatezza, ma con decisione, e dopo qualche minuto spuntò il muso
del cagnetto! Tremava come una foglia ed era un po’ tutto ammaccato
ed escoriato, ma era salvo! Finalmente! Solo non si capì mai come
aveva fatto la povera bestiola a girarsi in quell’angusto posto.. ma
tanto… Fu portato in braccio a casa, dove la nonna gli diede un bel pò
di pane nel latte tiepido, che la bestiola ingurgitò avidamente, poi
evidentemente spossato, dormì sodo fino al mattino dopo.
Nei giorni successivi, quando si fu ripreso, il cane fece onore al suo
odorato, e alla sua vista -eccezionali- perché ogni volta che incontrava
uno dei partecipanti al suo salvataggio gli faceva mille feste; anche se in
quei momenti parve non avesse preso nota di nessuno di loro, tanto era
debilitato.
Sotto: L’autore con il figlio Andrea, ottimo programmatore, (il quale
come hobby fa il Master di Pathfinder).
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