N° 4 del 2013 - Collegio IPASVI Pavia

Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Sped. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA - REINVIARE ALL’UFFICIO PAVIA-FERROVIA
4/2013
Infermiere
P A V I A
ISSN 1722-2214
a
La neve sull’acqua:
il silenzio sul silenzio
J. Renard
DITORIALE
E
Infermiere a Pavia
Una Donna per Amico
Duilio Loi
Infermiere a Pavia
Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia
Anno XXV n. 4/2013 ottobre-dicembre 2013
Editore Collegio Infermiere professionali,
Assiatenti Sanitarie, Vigilatrici d’Infanzia
della Provincia di Pavia
Direttore Responsabile Enrico Frisone
Direttore Editoriale Duilio Loi
Segretaria di Redazione Emanuela Cattaneo
Responsabili settori
Sociale: Ruggero Rizzini
Formazione, Ricerca e
Aggiornamento: Paola Ripa
Etico Deontologico: Annamaira Tanzi
Vita di Collegio: Giuseppe Braga e Gabriele Ciancio
Redattori: Cinzia Ancarani, Giovanni Baccalini,
Mauretta Cattanei, Gabriele Ciancio,
Gianfranco Cucurachi, Davide Donatello,
Claudia Fiore, Silvia Giudici, Nadia Granata,
Rosangela Nicoletti, Emanuela Sacchi,
Antonio Stallone, Maria Teresa Visconti Tosco
Hanno collaborato Tiziana Bacchetta (per le traduzioni in inglese),
a questo numero: Martina Cerri, Denise Gemello
Francesca Alexandra Monachesi,
Daniela Scherrer
Immagine di copertina Giuseppe Calsamiglia
Fondazione Salvatore Maugeri - Pavia
Impianti e stampa Gemini Grafica sas - Melegnano (MI)
Direzione, Redazione, Via A. Volta, 25 - 27100 Pavia
Amministrazione Tel. 0382/525609, Fax 0382/528589
CCP n. 10816270
I punti di vista e le opinioni espressi negli articoli sono degli
autori e non rispettano necessariamente quelli dell’Editore.
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati,
non saranno restituiti.
Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989.
Spedizione. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia.
La rivista è inviata gratuitamente agli iscritti al Collegio IP.AS.VI.
di Pavia. Finito di stampare nel mese di gennaio 2014 presso
Gemini Grafica sas. Melegnano (MI) - www.geminigrafica.it
Questo 2013 che si chiude, verrà probabilmente ricordato
per i suoi aspetti tristi e negativi. Per citare quelli più rappresentativi: crisi economica, esponenziale disoccupazione giovanile, alluvione in sardegna, femminicidi.
Con il dovuto rispetto per tutte le disgrazie (citate e non),
proprio di questi ultimi una cosa mi ha colpito particolarmente, il numero: 114!!
Una quantità impressionante e inversamente proporzionale al grado di civiltà che si sarebbe dovuto raggiungere con
il 21° secolo.
Premesso che basterebbe una sola vita sottratta, a far scattare
qualunque disgusto e indignazione, pensate a quale effetto moltiplicatore possono avere numeri così imponenti e quanto reclamino riflessioni e interventi.
Cosa c’entrano gli Infermieri?
A mio parere c’entrano almeno per 2 buone ragioni:
– In virtù della sua collocazione operativa, ha una miriade di occasioni per incontrare le diverse sfaccettature del fenomeno.
Penso ai Colleghi dei PS traumatologici che accolgono Donne
con tumefazioni o lesioni varie, che alla domanda: “come è accaduto?”, ricevono in risposta il tipico: “sono caduta dalle scale”. Penso ai Colleghi impegnati nelle vaccinazioni che incontrano giovani Donne che “dicono e non dicono”, lasciando intuire una qualche forma di disagio domestico. Penso ai Colleghi dei PS ginecologici, ai libero professionisti in Assistenza
Domiciliare e a tutti coloro che ignoro e che potrebbero in questa lista, comodamente aggiungersi e identificare la propria
esperienza.
Esperienze meritevoli di approfondimento, conoscenza, supporto formativo e informativo, sia per evitare errori interpretativi, sia
per promuovere la conoscenza su strumenti, sulla risorse presenti nel territorio e le possibili sinergie.
– L’altra buona ragione risiede nel fatto che di oltre 4000 iscritti
nella nostra Provincia, l’85% è rappresentata da Donne.
Una popolazione ampia, esposta genericamente come altre, che
potrebbe però trovare conforto nel sapere che il proprio Collegio,
ha a cuore il problema ed è sensibile e orientato a tener alta e viva l’attenzione.
Pur nel rispetto profondo di vicende che possono essere strettamente personali, credo che il volerne e poterne parlare, possa rappresentare il primo passo verso l’abbattimento del senso di solitu-
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dine e della cultura omertosa che accompagna
socialmente il fenomeno.
dico, scegliendo te -una donna- per amico, ma il
mio mestiere è vivere la vita, che sia di tutti i giorni o sconosciuta; ti amo, forte, debole compagna
che qualche volta impara e a volte insegna.”
Riconoscendo alla Donna il suo reale valore in
quanto Persona, sia essa single, moglie, madre,
professionista.
In un clima così chiassoso e iracondo, dove
individualismo e qualunquismo sembrano prendere il sopravvento, dovremmo un po’ tutti, riattivare la “pedagogia dei sentimenti” aumentando la disponibilità verso chi ci è vicino e sarebbe
bello poter tornare a canticchiare con un po’ di
leggerezza: “…può darsi ch’io non sappia cosa
Duilio Loi
Direttore Editoriale
I
n
d
i
c
e
Martina Cerri - Lo svezzamento dallanutrizione artificiale nel paziente con disfagia neurogena . . . . . . . . . . . 4
Emanuela Cattaneo, Silvia Giudici - Donare un sorriso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Francesca Alexandra Monachesi - Prevenzione degli incidenti stradali: competenza infermieristica . . . . . . 13
Denise Gemello - Cateterismo vescicale a breve permanenza sterile VS pulito no-touch:
progetto di ricerca infermieristica randomizzata e controllatai. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
INSERTO: CALENDARIO PLANNING 2014
Paola Ripa - Educare ai valori La cinematografia come strumento didattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Daniela Scherrer (a cura di) - Da infermiera a paziente, vi racconto la mia seconda vita . . . . . . . . . . . . . . . 29
Piera Bergomi - VI Conferenza Nazionale delle politiche della professione Infermieristica.
La mappa di un percorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
Duilio Loi - Atto Medico, atto Infermieristico, atto Sanitario:
è tempo di chiarezza!! Un contributo epistemologico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Tabella presenza Consiglieri anno 2013. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
Un calendario per sostenere i diritti delle donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
Ti piacerebbe fare un’esperienza in Italia o in qualche paese nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
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Infermiere a Pavia
Lo svezzamento dalla
nutrizione artificiale
nel paziente con disfagia
neurogena
* Martina Cerri
RIASSUNTO
La disfagia e le sue conseguenze non
sono mai state così attuali se si considera l’alto livello di morbidità, mortalità
e costi che comporta. Sebbene sia
quasi fisiologica nel processo di invecchiamento, colpisce, in particolare e
con una notevole frequenza, i soggetti
portatori di patologie neurologiche.
Una valutazione superficiale o ritardata
e quindi il mancato intervento riabilitativo incidono gravemente sulla qualità
di vita del paziente, nonché sulla qualità assistenziale. A tal proposito, l’infermiere gioca un ruolo chiave nel programma riabilitativo.
SUMMARY
If you consider costs and the high rate
of morbidity and deaths, dysphagia
and its consequences have never
been so present. Though during the
ageing, the swallowing disease is
physiological, it mostly affects neurological patients. A late or superficial evaluation and, consequently, the lack
of rehabilitation process, seriously influence the life quality of patients and
the quality of assistance. Therefore,
nurses have a key role in the rehabilitation process.
LA DISfAGIA NEUROGENA
La deglutizione e le sue alterazioni hanno avuto una particolare attenzione solo
da poco più di un decennio, cioè da quando grazie a nuovi strumenti diagnostici, in
particolare la videofluoroscopia e la fibroendoscopia, si è riusciti a documentare
funzionamenti, alterazioni e danni. In particolare, si è potuto evidenziare come le turbe della deglutizione, con il meccanismo
delle aspirazioni bronchiali e le broncopolmoniti conducano a morte un numero
consistente di pazienti.
La disfagia è un disturbo della deglutizione; è presente nella normale evoluzione
del processo di invecchiamento in circa il
20% della popolazione dopo i 50 anni, ma
aumenta sensibilmente nei portatori di patologie neurologiche quali: trauma cranico, ictus, sclerosi laterale amiotrofica, malattia di Parkinson, demenza, miastenia
grave, sclerosi multipla e malattie del motoneurone. È stimata esserci un frequenza
del 20%-40% nella popolazione con ictus
cerebrale e malattia di Parkinson. Le disfagie non riguardano solo l’ingestione di cibi, bevande, saliva, flora batterica della
bocca e del naso, ma possono determinarsi anche mediante il meccanismo del
reflusso duodenogastroesofageo, quindi
anche nei pazienti portatori di sondino naso gastrico e PEG.
La complessità del meccanismo, il coinvolgimento funzionale e strutturale del
gran numero di organi e apparati interessati, inducono a ritenere che la disfagia
non possa rientrare nelle competenze di
un unico specialista ma in quanto sindrome multidimensionale, riguarda molteplici
specificità professionali: radiologi, logopedisti, infermieri, neurologi, ORL, oncologi,
gastroenterologi, fisiatri, foniatri, ecc.
La disfagia ha alta morbidità, mortalità e
costi. La sua conseguenza più importante
è la possibilità di inalazione di ingesti, per
inadeguata chiusura del vestibolo laringeo
o debolezza/mancanza dei meccanismi di
difesa che favoriscono un’aspirazione silente. Si stima che la percentuale degli ictus che sviluppa una complicanza bronco-
polmonare in seguito ad aspirazione si aggiri intorno al 10%. Conseguenze altrettanto importanti sono:
• Polmonite ab ingestis
• Malnutrizione e disidratazione
• Dipendenza da nutrizione enterale
Studi hanno rilevato che i pazienti neurologici disfagici sono maggiormente
esposti a processi neuroinfiammatori anche con terapia nutrizionale in corso; in un
paziente disfagico con ictus il rischio di
contrarre infezioni nosocomiali aumenta
dal 37,9% al 66,6%.
L’attuale stato dell’arte per la gestione
della disfagia orofaringea mira ad indagare, quantificare e tentare di correggere le
sue manifestazioni funzionali quali:
• inabilità o eccessivo ritardo nell’inizio
della deglutizione faringea
• aspirazione di cibo ingerito
• rigurgito nasofaringeo
• residuo di cibo ingerito all’interno della
cavità faringea dopo la deglutizione.
L’identificazione precoce e la richiesta di
consulenza sono essenziali. Per evitare i rischi di aspirazione, l’assunzione orale deve essere negata fino a che un appropriato professionista sanitario abbia intrapreso
la valutazione.
IL RUOLO DELL’INfERMIERE
NEL TIMING RIAbILITATIvO
Nella pratica clinica è utile attuare protocolli di screening al fine di identificare pazienti che potrebbero richiedere valutazioni
e trattamenti da parte di operatori specializzati nella gestione della disfagia. Uno screening corretto si basa sull’identificazione dei
fattori di rischio di aspirazione, quali:
• alterato livello di coscienza
• diminuzione delle abilità cognitive
• diminuzione del livello di vigilanza e attenzione
• incremento dell’impulsività o agitazione
• uso di farmaci neurolettici
• iperestensione del collo
• alterato grado di controllo posturale
• problemi di linguaggio
• tracheostomia
• età avanzata.
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Una presa in carico che consideri, da
subito, tale problematica, può contribuire
a ridurre la durata della degenza ospedaliera, abbassare il costo relativo all’utilizzo
della terapia farmacologica necessaria nel
caso di complicanze polmonari, migliorare
la qualità di vita del soggetto.
Prima di consentire l’assunzione per via
orale di farmaci e alimenti potrebbe essere utile, qualora il paziente fosse in grado
di collaborare e mantenere una postura
corretta, eseguire il water swallow test:
somministrare al paziente prima un cucchiaino di acqua per poi aumentare progressivamente la quantità di liquido, avendo cura di valutare ad ogni atto deglutitorio la comparsa di segni quali tosse e/o voce gorgogliante.
Durante tutto il programma riabilitativo,
l’infermiere si attiene alle indicazioni date
da medico e logopedista e condivise con il
team rispetto a:
• scelta degli alimenti che presentino particolari caratteristiche fisiche
• impostazione di un programma alimentare che consenta adeguato apporto calorico e idrico (peso, bilancio idrico e nutrizionale, consulenza dietologica)
• adozione di comportamenti facilitanti e
compensi posturali
• riconoscimento dei segni clinici associati ad aspirazione
GESTIONE INfERMIERISTICA
Tutte le linee guida raccomandano la valutazione precoce (entro 24/48 ore dal ricovero) della capacità di deglutire del paziente. Dopo l’inquadramento del paziente
disfagico, stabilito il grado di disfagia attraverso valutazioni strumentali o al letto
del paziente, viene prescritto lo schema
dietetico per fornire un supporto nutrizionale adeguato.
Nei pazienti con disfagia grave e rischio
di aspirazione silente la scelta della via di
somministrazione è orientata verso: il
SNG, la PEG o la NPT. Tuttavia, studi
scientifici hanno evidenziato che la NPT
non trova molte indicazioni nella maggior
parte dei pazienti disfagici; la scelta preferenziale è data dalla nutrizione enterale, in
quanto consente il mantenimento della
mucosa intestinale e della sua funzione
immunitaria e di barriera riducendo la traslocazione batterica. Inoltre, ha minori
complicanze infettive e metaboliche e, infine, è meno costosa.
In particolare, per quanto riguarda il
soggetto affetto da ictus in fase acuta, le linee guida SPREAD raccomandano:
Nel soggetto affetto da ictus in fase acuta la terapia nutrizionale artificiale di scelta
è rappresentata dalla nutrizione enterale.
È indicato iniziare il trattamento di nutrizione enterale precocemente e comunque
non oltre 5-7 giorni nei pazienti normonutriti e non oltre le 24-72 ore nei pazienti
malnutriti. (Raccomandazione 11.17a,
grado b, da SPREAD 2007)
La nutrizione parenterale è indicata
esclusivamente laddove la via enterale
non sia realizzabile o sia controindicata o,
quale supplementazione alla nutrizione
enterale, qualora quest’ultima non consenta di ottenere un’adeguata somministrazione di nutrienti. (Raccomandazione
11.17b, grado D, da SPREAD 2007)
La nutrizione enterale tramite sondino
nasogastrico e con l’ausilio di pompe peristaltiche è ritenuta più appropriata rispetto
alla nutrizione parenterale per il supporto
nutrizionale a breve termine in pazienti con
grave disfagia da ictus; tuttavia, l’uso del
sondino nasogastrico può essere problematico, specialmente nei pazienti anziani.
(Sintesi 11.11, da SPREAD 2007)
Nei soggetti con disfagia persistente
post ictus, e se è ipotizzabile una durata
superiore a due mesi, è indicato prendere
in considerazione entro 30 giorni il ricorso
alla PEG (gastrostomia percutanea endoscopica), da praticarsi non prima di 4 settimane dall’evento. (Raccomandazione
11.18, grado b, da SPREAD 2007)
La disfagia è una conseguenza frequente dell’ictus con ricadute negative sull’esito clinico e funzionale, sulla mortalità e sui
tempi di degenza. Oltre alla malnutrizione,
possibili complicanze determinate dalla disfagia sono: l’aspirazione di materiale
estraneo con conseguente bronco- pneumopatia ab ingestis, la disidratazione e
l’emoconcentrazione con effetti secondari
negativi sulla perfusione cerebrale e sulla
funzione renale. (Sintesi 11.13, da SPREAD 2007)
È indicato prevenire la condizione di
malnutrizione che può conseguire alla disfagia mediante misure di nutrizione entrale per sondino naso-gastrico o gastrostomia percutanea. (Raccomandazione
15.42 b Grado D, da SPREAD 2012)
SvEzzAMENTO DALLA NUTRIzIONE
ENTERALE
Nonostante l’entusiasmo suscitato dall’efficacia di tale metodica, molti clinici, attualmente, considerano come valida alternativa la possibilità di valutazione e riabilitazione della disfagia, in quanto la gestione della NE presenta comunque una serie
di problematiche di rilevanza clinica:
• è una tecnica invasiva;
• comporta una modalità non fisiologica
di alimentazione, in quanto viene bypassato parte del tratto gastrointestinale implicato nella regolazione dell’appetito e
del food-intake; gli alimenti, inoltre, sono
somministrati in forma liquida e in tempi
diversi da quelli abituali;
• espone il paziente all’insorgenza di diverse complicanze in relazione alla tecnica uilizzata:
1. SNG: dislocazione, occlusione, decubiti, diarrea, vomito, aspirazione;
2. PEG: reflusso gastroesofageo con
conseguente rischio di esofagite e/o
aspirazione, gastrite, emorragie gastriche, infezioni nella sede di inserzione, buried bumber syndrome;
• può essere mal tollerata durante la riabilitazione, infatti il training della deglutizione è meno efficace in presenza di SNG;
• condiziona la qualità di vita e pone una
serie di domande su base etica.
Lo svezzamento dalla NE può avvenire
in qualsiasi momento del percorso riabilitativo. Il processo di recupero della disfagia post-stroke, infatti, pur se di dimensioni rilevanti nelle prime settimane (fino
all’86% nei primi 14 giorni), ha un impatto
significativo anche nel lungo termine.
Raccomandazione 15.42 a Grado b
Nei primi giorni dopo l’ictus è indicata
una tempestiva valutazione del rischio di
aspirazione, da parte di personale addestrato. In presenza di un disturbo della deglutizione è indicato l’intervento di un logopedista e l’adozione di misure idonee
da parte del team assistenziale.
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Raccomandazione 15.42 c Grado D
È indicato valutare attentamente la tempistica dello svezzamento dalla nutrizione
enterale nei soggetti con indici prognostici
favorevoli ed eseguirlo con modalità standardizzata e con monitoraggio clinico, videofluoroscopico e/o endoscopico, eseguito da personale specializzato, meglio
se congiuntamente al logopedista.
Raccomandazione 15.42 d Grado D
In tutte le fasi dello svezzamento dalla
nutrizione parenterale, è indicato mantenere costante, un adeguato apporto calorico nutrizionale (soprattutto proteico) ed
idrico.
Raccomandazione 15.42 e Grado C
Nei soggetti con disfagia è indicato un
programma riabilitativo che include esercizi per l’incremento della funzione motoria
orofaringea in associazione alle tecniche
specifiche (manovre di compenso, posturali e di modificazioni reologiche del cibo).
Gli elementi da prendere in considerazione per la selezione del paziente sono:
• stabilità medica e nutrizionale;
• bilancio delle attività cognitive: per il
passaggio all’alimentazione orale sono
necessarie la capacità di apprendimento
di nuovi pattern di deglutizione o di strategie di compenso e adeguate capacità
di automonitoraggio;
• valutazione degli indicatori di recupero,
considerando che indicatori negativi ai
fini di un recupero funzionale nel lungo
termine sono severità dello stroke, afasia, lesioni a carico della corteccia frontale, lesioni corticali bilaterali;
• bilancio clinico funzionale della disfagia
e/o videofluoroscopia.
Nel paziente affetto da disfagia il passaggio dalla nutrizione artificiale a quella
orale deve avvenire in modo graduale e
personalizzato tenendo conto delle difficoltà del paziente stesso; di fronte a un paziente malnutrito la nutrizione artificiale affiancherà quella orale per evitare un peggioramento dello stato nutrizionale. Importante, in tale passaggio, è lo stato nutrizionale del paziente dal quale dipenderà la
durata dell’associazione tra nutrizione artificiale e dieta orale.
La fase di svezzamento vera e propria
prevede il passaggio dai cibi di stimolazione alla nutrizione orale fino allo svezzamento definitivo dalla NE.
I cibi di stimolazione sono costituiti da
alimenti di consistenza molle, somministrati inizialmente una volta al giorno, per
poi passare a tre volte al giorno.
All’inizio dello svezzamento la NE dovrebbe essere organizzata in modo da fornire solo il 75% delle richieste energetiche
in modo da mantenere la sensazione di fame, ponendo attenzione che il paziente sia
Infermiere a Pavia
in grado di integrare il deficit calorico e di
mantenere il peso.
L’elemento chiave per il completo passaggio alla NO è la capacità del paziente
di raggiungere e mantenere un’adeguata
idratazione, considerando che pazienti disfagici alimentati oralmente con integrazione di addensanti per i liquidi non raggiungono livelli ottimali di idratazione rispetto ai pazienti con NE e supplemento
per via endovenosa di liquidi.
In relazione ai dati forniti dalla semeiotica clinica e dalle indagini strumentali,
quando viene stabilito che il paziente affetto da disfagia può riprendere ad alimentarsi per via orale è fondamentale che ciò avvenga in modo progressivo con monitoraggio costante, attuando quindi un percorso personalizzato.
CARATTERISTIChE DEL bOLO
ALIMENTARE
La finalità della rialimentazione è quella
di prevenire eventuali ristagni di alimenti
nella cavità orale, nella faringe o nell’esofago e, soprattutto, di evitare possibili fenomeni ab ingestis.
A tale proposito, in relazione alle cause
che hanno determinato la disfagia, assumono molta importanza le caratteristiche
fisiche del bolo alimentare: la capacità di
deformarsi per compressione o di allungarsi per trazione, la tendenza ad aderire
alle superfici esterne, la propensione alla
rottura in pezzi più piccoli.
La classificazione più completa dell’American Dietetic Associaton distingue 5
livelli che a loro volta si differenziano in 5
parametri prioritari: la consistenza, la coesività, la necessità di
masticazione, il mantenimento
di forma autonoma da parte del
cibo e la possibilità di assumere
liquidi. Questi parametri sono
essenziali nella scelta della dieta da adottare a seconda delle
difficoltà deglutitorie del paziente.
Nel paziente affetto de disfagia vanno evitati la pastina in
brodo, il minestrone con verdure a pezzi, i legumi e qualsiasi
altro cibo che presenti le due
componenti (liquida e solida)
nettamente separate e, pertanto, difficilmente gestibili contemporaneamente.
Nei pazienti con disfagia neuromotoria grave che non sono
in grado di preparare il bolo alimentare nella cavità orale e/o
presentano una fase della deglutizione compromessa (per
esempio, ridotta capacità di masticazione, perdita della funzione della lingua e delle labbra, riflesso della deglutizione compromesso, ridotta peristalsi esofagea), è bene iniziare l’alimentazione con una dieta in cui gli alimenti abbiano una consistenza semisolida, densa
e compatta (purea); il bolo alimentare deve essere coesivo, omogeneo, con superficie liscia e umida e deve mantenere la
propria consistenza nella cavità orale.
Pericolosi e pertanto da evitare sono
quei cibi che richiedono di essere masticati, che si sbriciolano (cracker, pane), che
sono liquidi o che diventano liquidi nel cavo orale, quindi a doppia consistenza
(zuppe di vegetali con crostini, latte e cereali), che non formano un bolo coesivo
(carne tritata, riso, ecc.). Non sono permesse bevande fluide ma solo quelle con
addensanti.
Quando il paziente è in grado di seguire
questa dieta senza problemi, è possibile
aggiungere alcuni alimenti che richiedono
un minimo di masticazione (aumentando
in tal modo la varietà di sapori).
Ulteriore progresso (ma che nei pazienti
con disfagia meno grave può rappresentare un punto di partenza) è la dieta morbida, in cui il bolo non è particolarmente
coesivo.
Gli alimenti devono avere consistenza
morbida ed essere tritati o tagliati in piccoli pezzi (vanno rimossi semi, buccia, parti
fibrose); l’uso degli addensanti deve essere occasionale. Inoltre, l’assunzione dei liquidi dipende dalla tolleranza individuale.
Successivamente si passa a una dieta in
cui gli alimenti sono sempre morbidi, ma i
pezzi di maggiori dimensioni.
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COMPORTAMENTI fACILITANTI L’ALIMENTAzIONE DEL PAzIENTE DISfAGICO
• Il paziente deve mangiare seduto in posizione eretta con la flessione di anca e
ginocchio ad angolo di 90° e testa leggermente flessa con mento in giù;
• possono essere necessari dei sostegni
per la testa ed il tronco;
• il paziente non deve parlare mentre
mangia;
• l’alimentazione deve procedere lentamente rispettando i tempi esecutivi e di
attenzione del paziente;
• il paziente a intervalli regolari deve controllare la presenza di residuo faringeo
eseguendo colpi di tosse; la ripresa dell’alimentazione può avvenire soltanto
dopo completa detersione;
• in caso di tosse riflessa il paziente deve
ricondurre l’atto sotto il controllo volontario coordinando la respirazione e la
spinta diaframmatica;
• la somministrazione di acqua, quando
consentita, deve avvenire con l’ausilio
del bicchiere, previa detersione da residui faringei, secondo le modalità sopra
descritte;
• quando il paziente ha finito, deve restare seduto per 20 minuti;
• prestare attenzione in caso di aggiunta
di addensanti agli alimenti. Procedere
sempre gradualmente, evitando di ag-
giungere grandi quantità in una sola volta: alcuni agenti hanno un effetto addensante quasi istantaneo, altri possono
avere un effetto graduale che dura vari
minuti, nel qual caso il cibo rischia di diventare troppo denso;
• per stimolare l’appetito il cibo deve avere un aspetto invitante.
fARMACI
Per i pazienti affetti da Malattia di Parkinson, in cui sono gradualmente compromesse tutte le fasi della deglutizione, è importante che i farmaci siano loro somministrati in orari tali da raggiungere il picco
d’azione durante i pasti. La somministrazione sicura dei farmaci è essenziale, in
quanto è da tenere conto che non tutte le
compresse possono essere schiacciate
(ad esempio quelle a rilascio prolungato/modificato).
INTERvENTI EDUCATIvI
AI CAREGIvERS
La letteratura suggerisce il coinvolgimento della famiglia e dei caregivers nella
pianificazione assistenziale del team al fine di informarli ed educarli circa la gravità
della disfagia e delle conseguenze ad essa correlate, le diverse modalità di alimentazione e i compensi posturali adeguati,
per garantire un’alimentazione corretta e
sicura anche al domicilio.
bibliografia
– Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion, Ictus cerebrale: Linee
guida di prevenzione e trattamento, 2012
– Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion, Ictus cerebrale: Linee
guida di prevenzione e trattamento, 2007
– Bartolone, Prosiegel, Schrter-Morasch,
Leitlinien fr Diagnostik und Therapie in
der Neurologie Suttgart, 2005
– The Joanna Briggs Institute for Evidence
Based Nursing and Midwifery, Identification and nursing management of dysphagia in adult with neurological impairment,
volume 4, issue 2, page 6, 2000
– SIGN National Clinical Guideline by the
Scottish Intercollagiate Guidelines Network, Management of patients with stroke: identification and management of
dysphagia, giugno 2010
– Pizzuto, Conte, D’Anna, Svezzamento
dalla nutrizione enterale, Il giornale dello Stroke, numero 1, settembre 2006
L’autore
* Infermiera
U.O. Neuroriabilitazione
Istituto Neurologico Fondazione “C. Mondino”
Pavia
RIPA Paola, bERGOMI Piera, fRISONE Enrico, LOI Duilio
I principi dell’organizzazione professionale dell’infermiere:
viaggio nella professione infermieristica
Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2013. 234 p.; 24 cm. ISbN: 8838783555
I molteplici aspetti della Professione sono racchiusi in questo volume, concepito come una mappa, il
cui fine è visitare la città dell’Assistenza Infermieristica. Essa appare come un luogo reale, incredibilmente ricco di conoscenze e di competenze ma anche di vissuti e immagini personali. Si ha l’impressione di visitare una metropoli il cui tracciato urbano è noto per essere stato appreso attraverso i libri, i
racconti e i documenti di chi l’ha visitata. Nel momento in cui ci si immerge, si è attratti dai colori e dai
sapori e non vi è angolo che non si vorrebbe percorrere. Il rischio però è quello di perdersi: si acquista
così una mappa, una cartina che ci guidi nel viaggio che ci permetterà di esplorare sia le zone più caratteristiche che gli angoli più remoti. Il team di Autori ci consente di inoltrarci in tutti gli argomenti relativi ai principi dell’organizzazione infermieristica con competenza e precisione: Paola Ripa, Piera Bergomi, Enrico Frisone e Duilio Loi (con la collaborazione di Michele Chieppi, Salvatore Quattrocchi e Antonella Ligorio) sono delle guide preziose che ci illustrano le certezze e gli interrogativi dell’Essere infermiere, la complessità della salute, i luoghi dell’agire, le competenze e le conoscenze professionali, la formazione e la ricerca, la strategia organizzativa, le figure professionali, il mondo del lavoro. La bibliografia in coda ai capitoli è ricca di riferimenti e anch’essa guida il lettore verso una scelta precisa nel momento in cui debba consultare, senza perdersi nei meandri della letteratura, dei documenti specifici: degni di nota sono i numerosissimi riferimenti normativi elencati che permettono di
avere un quadro cronologico chiaro ed esaustivo.
La prefazione al testo di questo “intenso lavoro letterario professionale itinerante” è affidata al Presidente nazionale IPASVI Annalisa Silvestro, la quale, in perfetta linea con i colleghi scrittori, sottolinea la necessità di avere una visione più ampia delle organizzazioni, del cittadino, della salute e dell’essere infermiere oggi. Non a un caso, conclude dicendo: “Gli autori lo definiscono un diario di viaggio che hanno deciso di scrivere per presentarsi alla comunità scientifica con l’ardire di essere originali; e lo sono stati”.
Le royalties saranno interamente devolute al sostegno del progetto “Insieme per Luisa”, una collega che a seguito di un incidente
sta cercando di recuperare la propria autonomia.
Dopo molti libri di sapere infermieristico, “Viaggio nella professione infermieristica” si propone di indagare sull’assistenza infermieristica; al lettore non resta che viaggiare…
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Infermiere a Pavia
Donare un sorriso
Keyword: risata e ben-essere,
educazione alla gioia, risata e relazioni
con gli altri, risata e teoria della stupidità
e assurdità, ridere e malattia, ambiti di
applicazione della risata, esercizi per
ridere di cuore, Club della risata
* Emanuela Cattaneo
** Silvia Giudici
Gli individui che capiscono a fondo la filosofia della risata “senza motivo” ridono
di cuore senza farsi problemi. Ma come ridere se non vi sono i presupposti per farlo? Ci sono diversi metodi per trasformare
una risata “stimolata” in piacere spontaneo. In una sessione tipo, la risposta risiede nel buon contatto oculare, nella Teoria
della stupidità e assurdità, nelle azioni
RIASSUNTO
Oggi la vita è molto più logorante rispetto al passato e gran parte delle malattie sono in qualche modo riconducibili allo stress.
Tuttavia la ricerca scientifica ha dimostrato che ridere può aiutare
a risolvere molti problemi, sia personali, sia lavorativi che sociali.
Se fino a qualche tempo fa si parlava di “umorismo” come unica
risposta allo stress e alla depressione, è poi apparso chiaro che
questo non bastava a rendere l’uomo felice e gioioso, in quanto
raramente portava ad una risata duratura e profonda. Oggi la Risata Yoga, o Hasya Yoga, è forse uno dei metodi più rivoluzionari
e semplici per combattere e prevenire il malessere psico-fisico. In
realtà lo stress è generato dall’uomo stesso e dalla sua collusione con i modelli e gli stili di vita odierni a causa dei livelli di tensione personale e sociale, dall’incapacità di contrastare il consumismo e dall’iperproduttività infinita, tutti fattori che non tengono
conto né delle risorse né dei bisogni della persona. Ridere di più
in questa società e ridere di questa società è un significativo segnale di ribellione rispetto ad un modello di sviluppo che corre ad
una velocità non più sostenibile. Fortunatamente il mondo del business e quello aziendale in generale stanno cominciando a prendere in considerazione lo Yoga della risata come uno strumento
utile a migliorare le prestazioni di lavoro. Così avviene anche in diversi ospedali del mondo, dove i dirigenti più sensibili ed attenti
sia alle dinamiche di rendimento dei propri dipendenti che all’efficacia dell’intervento terapeutico sull’utente, hanno dato il via a
sessioni permanenti di Yoga della risata per operatori sanitari e
pazienti. In questo ultimo capitolo dedicato alla risata tratteremo:
a) della Teoria della stupidità e assurdità come metodo in grado di
favorire la percezione di sé e degli altri, e capace di scatenare la
risata; b) degli studi scientifici sulla risata secondo i più noti ricercatori; dei contesti di applicazione; c) di alcuni esercizi utili per
diffondere l’umorismo e l’autoironia, la fiducia, la capacità d’intesa, la comunicazione empatica, la creatività e spirito di gruppo, le
emozioni.
Buona lettura e…se vuoi cambiare - in meglio - te stesso e il mondo…ama e ridi.
bambinesche, nella parlata Gibberish e in
diversi altri accorgimenti. Vediamo un po’
di che si tratta!
Partiamo dal concetto che si inizia a ridere nel guardare qualcuno che sta ridendo prima di noi. Lo facciamo senza conoscere la motivazione che ha portato la persona scrutata a ridere. A parte il giro di parole, basta poco per entrare nella parte del
SUMMARY
Today life is much more stressful than before and most of the
diseases are somehow relatable to stress. However, scientific
research has shown that laughter can help solve many personal, labor, social problems, and if until some time ago there
was talk of “ humor “ as the only answer to stress and depression, over the years it became clear that this was not enough
to make happy and joyful man as rarely leads to a laugh deep
and lasting. Today, Laughter Yoga, or Hasya Yoga, is perhaps
one of the most revolutionary and simple methods to combat
and prevent the psychological and physical discomfort. In
fact, stress is created by man himself and by his collusion
with respect to patterns and today’s lifestyles because of the
levels of personal and social tension, by inability to counter
endless consumerism and by productivity without measure
that do not take account of the resources nor the needs of the
person. Laugh more in this society and laugh of this society
is a significant sign of rebellion than a development model
which runs at a speed no longer sustainable.
Luckily the business world is beginning to take into account
Laughter Yoga as a tool to improve performance in workplace. This also happens in different world hospitals where
managers more sensitive and attentive to dynamics and performances of its employees and to effectiveness of therapeutic intervention on the user, have given way to permanent
Laughter Yoga sessions for health workers and patients. In
this last chapter we will discuss of the Stupidity and absurdity theory as a method capable of favoring the perception of
themselves and others, and able to trigger laughter, about
laughter of scientific studies according to the most wellknown researchers, about application contexts, about some
exercises to spread humor and irony, confidence, ability of
understanding, empathic communication, creativity and team
spirit, emotions. Happy reading...and if you want to change
(yourself and the world in better)...love and laugh.
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Numero 4/2013
“ridente”. Provare per credere!
Chi ride per esercizio, lo fa per aumentare il proprio senso di benessere psico-fisico. E’ molto semplice, essendo la risata
contagiosa ed andandosi a creare una situazione assurda. Basta guardare negli
occhi una persona sorridendo, dapprima
con un mezzo sorriso e poi con una risata
rigorosa. La persona osservata inizierà a
ridere senza saperne il motivo. E’ l’assurdità della stupidità che ci fa ridere. Le persone che non riescono a mantenere un contatto oculare con l’interlocutore, ad esempio per timidezza, sono deficitarie in autostima. Pertanto, imparare a mantenere il
contatto oculare durante una sessione della risata, aiuta ad apprezzarsi di più.
La Teoria della stupidità ed assurdità
parte dal concetto che i partecipanti alle
“prime armi” ridono della stupidità espressa dai sessionisti e della situazione ridicola creatasi. Solo con l’apprendimento stoltezza e grottesco aprono alla percezione
di sé stessi e degli altri e diventano elementi cardine per un’appagante e terapeutica risata.
Questa teoria può aiutarci a ridere delle
situazioni asettiche che solitamente non
producono buon umore o per favorire la
stessa gioia vissuta in passato dinnanzi ad
un déjà vu.
Un’altra applicazione di questa teoria
consiste nel posizionarsi di fronte ad uno
specchio imitando la risata di qualcuno
che conosciamo. Se ci sentiremo sciocchi
del risultato ottenuto significa che abbiamo fatto centro. Essere “stupidi” è il primo
passo verso la creatività e la libertà, le invenzioni e le innovazioni.
C’è molto da imparare dalla sciocchezza. Una persona autoironica che ride di sé
stessa, senza preoccuparsi delle persone
che la circondano, è una persona che può
rendere la sua risata reale, mentre gli individui timidi o rigidi, impegnati a difendere
la loro seriosità e a tenere a freno le proprie inibizioni, non riusciranno a ridere della loro vita. La persona eccessivamente
ponderata non si arrischierà mai di tentare
qualcosa di nuovo e di sperimentare nuove possibilità in quanto ha paura di essere
giudicata o presa in giro. Inoltre, la sciocchezza aiuta le persone a ridimensionare il
loro ego; una persona che ride di sé stessa non avrà sicuramente un super-ego e
non conoscerà rabbia, gelosia ed avidità.
Le sessioni della risata si propongono di
allentare i freni dei seriosi insegnando loro
come diventare bambini spontanei e liberi,
attraverso comportamenti fanciulleschi come ad esempio tirare fuori la lingua, ballare in modo divertente e parlare il linguaggio Gibberish (lingua inventata che esiste
solo nella nostra fantasia e che nessuno
può comprendere; secondo Osho è “uno
dei metodi più scientifici per ripulire la
mente”). Curiosità: la parola “sciocco” in
inglese silly, significa persona benedetta,
felice e giocosa.
Generalmente l’umorismo e il ridere
hanno una relazione di causa-effetto, ovvero l’umorismo è la causa e la risata è
l’effetto che apporta nel nostro corpo cambiamenti biochimici e psicologici. Nei Club
della risata, invece, non si considera nessun tipo di umorismo-causa, ma il concetto è invertito: il ridere diventa la causa in
grado di superare inibizioni e timidezze
personali permettendo agli individui di diventare più aperti al cambiamento e a vedere la vita in modo più divertente.
A partire dagli Anni Ottanta-Novanta si è
sviluppata una notevole ricerca scientifica
tesa a dimostrare l’efficacia del ridere sulla salute.
STUDI SCIENTIfICI SULLA RISATA
Lo stress è presente nella vita di ognuno
di noi, a vari livelli, e la sua gestione è importante al fine di promuovere la salute e
curare le malattie. Ricercatori di fama
mondiale quali Selye, Herth e Fry, hanno
confermato che la risata provoca uno
stress positivo chiamato eustress in grado
di sostenere la vitalità dinnanzi ad agenti
stressanti negativi (distress); in altre parole, la risata sarebbe in grado di diminuire
l’adrenalina ed aumentare le cellule Natural Killer responsabili della produzione di
anticorpi. Dunque ridere ridurrebbe l’ansia, la tensione, la depressione e quindi
tutte quelle patologie che riconoscono nell’ansia, tensione e depressione i fattori
predisponenti. Interessante è il contributo
scientifico di Vagnoli che ha dimostrato
che, mediante la clow-terapia, è possibile
ridurre l’ansia pre-operatoria e le complicanze post-operatorie dei bambini sottoposti ad interventi chirurgici.
Per gli esperi di PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmulogia), l’efficacia dell’intervento
terapeutico e la prospettiva di successo
medico-infermieristica sarebbero favoriti,
oltre che dalle capacità dei singoli professionisti sanitari, dalla fiducia che si instaura tra le parti (paziente-operatore), dalle
potenzialità dell’organismo e dalle sue ca-
pacità di autoguarigione, dall’assenza di
panico, dalla condivisione delle cure
(compliance), dal divenire attori protagonisti di una determinata situazione e dalla
capacità di concentrare i propri interessi
sulla creatività e sui progetti personali.
Berk, Labott e Dillon, hanno documentato che l’azione del ridere aumenta significativamente il livello di Immunoglobulina
IgA e IgG, e quindi le difese immunitarie
contro le infezioni respiratorie-polmonari.
In questo ambito, la risata può essere applicata come esercizio respiratorio in
pneumologia poiché aumenta la ventilazione e aiuta lo scioglimento del muco, oltre ad accelerare gli scambi di ossigeno
ed incrementare così i livelli di ossigeno
nel sangue.
I ricercatori Berk e Tan, nello studiare la
correlazione tra l’azione del ridere e l’immunità, hanno notato che, dopo una risata
di cuore, i livelli dell’attività gamma interferomonica (IFN) aumentavano e si mantenevano stabili a distanza di ore (sino al
giorno dopo). Grazie alle IFN si determina,
infatti, l’attivazione delle cellule CT, delle
cellule B, delle Immunoglobuline e delle
Cellule NK. Queste scoperte si sono dimostrare molto significative non solo nella ricerca sul cancro, ma anche negli studi sull’HIV.
Provocando inoltre la secrezione di beta-endorfine e catecolamine, la risata è il
grado di svolgere un’azione analgesica
naturale. Questa azione è stata comprovata dalla ricercatrice italiana Giordani nei
suoi studi su artriti e spondiliti (si ricorda la
guarigione di Norman Cousins dalla spondilite anchilosante dopo trattamenti specifici incentrati sulla risata).
Sulla risata indotta, tuttavia, esistono
delle perplessità riguardo i cosiddetti effetti collaterali poiché la risata pilotata svilup-
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pa una forzata pressione intra-addominale
mettendo l’organismo in una condizione di
sforzo fisico eccessivo. Per arginare gli
eventuali effetti collaterali, il suo ideatore, il
dr. Midan Kataria, insieme ad altri specialisti, ha stilato un elenco di disturbi fisici
che, se presenti, non favorirebbero la partecipazione alla sessione della risata, a
meno che non ci sia un consenso e uno
stretto controllo medico sul partecipante,
soggetto a limitazioni. Prima di iniziare una
sessione della risata, la cosa migliore da
farsi, per chi soffre ad esempio di ernia addominale o inguinale, o per chi ha subito
recentemente un intervento chirurgico correttivo addominale, sarebbe quella di seguire le indicazioni del proprio medico, ovvero fare terapia fisica. Lo stesso divieto
vale per chi soffre di emorroidi in fase di
recrudescenza, in quanto la pressione addominale sviluppata durante una forte risata potrebbe compromettere ulteriormente
la prognosi. Le persone che soffrono d’angina o che hanno subito recentemente interventi al cuore non dovrebbero partecipare alla sessione della risata a meno che
sussista un esplicito consenso medico.
Possono invece parteciparvi i soggetti in
trattamento farmacologico, operati e non,
che hanno superato il test da sforzo senza
presentare problemi. La risata fragorosa
potrebbe anche provocare, in una piccola
percentuale di donne in gravidanza,
l’aborto. Pertanto, sin quando non vengono raccolti dati confortanti a questo riguardo, gli esperti suggeriscono di non partecipare alla sessione della risata. Durante
l’influenza stagionale e il raffreddore, sarebbe meglio non partecipare alla sessione della risata in quanto è molto probabile, essendo sindromi contagiose, che vengano trasmesse ai partecipanti. Al riguardo però c’è una buona notizia: la frequenza regolare alle sessioni, come già detto,
rinforza il nostro sistema immunitario attraverso l’aumentata resistenza della membrana delle mucose respiratorie. I dati raccolti tra i membri delle varie sessioni hanno dimostrato infatti che il numero delle
persone soggette a riscontrare influenza e
raffreddore è significativamente diminuito.
Anche chi soffre di glaucoma non potrebbe partecipare alle sessioni, salvo consenso medico, per il rischio di far aumentare
troppo la pressione endoculare. Infine,
chiunque abbia avuto una sensazione di
Infermiere a Pavia
disturbo fisico durante gli esercizi, nonostante non abbia mai presentato problematiche fisiche, dovrebbe interrompere la
partecipazione alla sessione e consultare
un medico. Solitamente non esiste un problema specifico di salute, ma si tratta semplicemente della realizzazione sbagliata
dell’esercizio a procurare il fastidio. Una
volta individuato e corretto il movimento
sbagliato, il discente può riprendere la
sessione.
CONTESTI DI APPLICAzIONE DELLA
RISATA NEI POSTI DI LAvORO
Molte delle malattie di cui soffriamo, come ad esempio l’ipertensione, l’ulcera peptica, l’insonnia e le allergie, hanno un rapporto sempre più stretto con lo stress e la
conseguenza più evidente la possiamo riscontrare nei posti di lavoro dove la percentuale di assenteismo, il rendimento e le performance al di sotto della media (come
spesso il ricorso all’uso di droghe), sono il
segnale che qualcosa non va nella gestione
delle risorse umane. A peggiorare la situazione, la crisi economica che ha messo in
declino i profitti mondiali, e di conseguenza
la produttività di piccoli e grandi imprenditori, i bilanci familiari dei lavoratori, pressati
dall’aumento del costo della vita, l’incertezza nel futuro per neo-laureati, precari e disoccupati. Fortunatamente, dopo le prime
resistenze manageriali, molte aziende hanno capito che le sessioni della risata, introdotte sul posto di lavoro, possono diventare
l’ancora di salvataggio per l’intero sistema.
Pensate che bello: ridere nei posti di lavoro,
sempre, come unico modo per garantire la
sessione della risata tutti i giorni o almeno
cinque giorni su sette, beneficiando del suo
atto terapeutico sulle persone!
Sfruttare le potenzialità dello Yoga della
risata nei servizi sociali e nelle scuole, tra i
disabili fisici e mentali, significa favorire la
socializzazione e la convivialità, il miglioramento della qualità relazionale e del clima
di classe, benessere psico-fisico, diminuzione dello stress di studenti, insegnanti
ed operatori, cura olistica integrata, riduzione dell’uso di farmaci, più allegria, ragazzi più collaborativi, frenare i suicidi degli adolescenti. Diversi fisioterapisti ed
operatori che hanno sperimentato il metodo di Midan Kataria, hanno dichiarato
maggiore compliance ed entusiasmo da
parte dei loro assistiti, e di conseguenza
anche il miglioramento dell’esito del programma terapeutico. Particolarmente significativa è l’esperienza del dr. Kataria
con un gruppo di non vedenti, una bella
sfida per una tecnica che fonda la sua pratica sul “contagio” e che vede nel contatto
oculare uno dei suoi punti cardine. Frequentando i non vedenti, il “maestro” scoprì che parlavano sempre mantenendo il
sorriso sulle labbra, senza nessun motivo
apparente, e che il suono della risata risultava per loro molto contagioso. Alla fine
delle sessioni, riscontrò che i ragazzi erano diventati meno timidi e parlavano con
più disinvoltura ed entusiasmo.
Un’altra esperienza è stata quella tenutasi all’interno del carcere Arthur Road a
Mumbai. Midan Kataria non era molto sicuro che i detenuti avrebbero riso sia perché l’ambiente era tutt’altro che divertente,
sia perché i partecipanti sembravano depressi ed arrabbiati. Dopo i primi esercizi e
i primi attimi di esitazione, i prigionieri (e le
guardie) scoppiarono a ridere a crepa pelle, quasi che la loro rabbia si fosse trasformata improvvisamente in risata. Queste
esperienze ci insegnano come la risata
possa aiutare anche nelle situazioni difficili. In questo specifico caso, ridere ha contribuito certamente a risolvere emozioni
negative presenti nei criminali aiutandoli a
trovare una prospettiva costruttiva e positiva per un futuro migliore.
Gli esercizi della risata possono aiutare
gli anziani a mantenere alto l’umore e ad
uscire dalla depressione che molto spesso
li investe soprattutto se lasciati soli o abbandonati. Nelle RSA si è riscontrato ad
esempio che non solo non si ride abbastanza, ma si parla anche poco e c’è poca
condivisione. Nonostante vivano con i loro
coetanei, gli anziani sentono la mancanza
degli affetti familiari per cui è importante
farli sentire parte integrante di un gruppo,
meglio ancora se lo si fa con una buona
parola e con il sorriso sulle labbra. Infine,
come già sottolineato, ridere porta effetti
positivi anche a livello fisico e per gli anziani che soffrono ad esempio di dolori alle
giunture, la risata è un tocca sano in quanto aiuta il rilascio di endorfine, antidolorifici naturali, e migliora la qualità del sonno
limitando di conseguenza l’utilizzo di benzodiazepine o similari. Obiettivi dello Yoga
della risata sugli anziani: aggiungere risate
alla vita; favorire la salute fisica; sostenere
una buona salute mentale; aumentare la
connessione sociale; favorire la longevità.
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ESERCIzI PER RIDERE DI CUORE,
ALCUNI ESEMPI
Sono giochi che vengono proposti nei
Club della risata e servono per rallegrare
l’umore di qualsiasi gruppo sociale, dai
bambini sino agli anziani. Ne proponiamo
solo alcuni per ragioni tecniche tipografiche. Per maggiori approfondimenti potrete
invece consultare il sito ufficiale web della
Laughter Yoga Fondation di Midan e Madhuri Kataria alla pagina www.laughteryoga.org.
Tutto quello che segue può apparire stupido, assurdo e “da bambini” se letto con
asetticità ed insufficienza. Ricordiamoci
però che è dalla Teoria della stupidità e assurdità che la risata ha inizio ed è grazie a
questi esercizi che la possiamo coltivare
giorno per giorno, sino a far cambiare in
meglio noi stessi, gli altri, la visione del
mondo e gli eventi ad esso correlati.
Il Ghibberish. Definito come il più scientifico metodo per ripulire la mente, il Ghibberish consiste nel parlare una lingua inventata che esiste solo nella nostra fantasia e che nessuno può comprendere, ma
solo intuire grazie alla nostra parlata strana e mimica corporea. Chi fa Ghibberish
interpreta il suo discorso con molta enfasi
come se dovesse buttare all’esterno della
propria mente tutta l’immondizia accumulata e che non gli permette di respirare.
Così facendo si favorisce la leggerezza
mentale, ci si libera per un certo periodo di
alcune inibizioni, si diventa autoironici, la
rabbia accumulata si trasforma in risata. Il
compito di chi ascolta è quello di tradurre
la parlata, interpretando soggettivamente
in modo spontaneo ed umoristico la situazione tipo.
Il linguaggio degli animali. Per fare questo gioco sono necessari due mazzi di carte uguali. Ogni partecipante deve scegliere un animale ed interpretare il suo verso.
Ciascun concorrente deve poi memorizzare l’animale scelto dagli altri partecipanti. In seguito il conduttore distribuisce le
carte scoperte in senso orario sino a che
due giocatori risultano avere la stessa carta. Prende il mazzo di carte dell’altro giocatore e vince chi riesce ad imitare per prima il verso dell’animale dell’altro concorrente. Obiettivi: svuotare la mente e favorire la concentrazione, farsi delle belle e sane risate.
Pizza, pasta. I partecipanti sono in cerchio ed iniziano a nominare a voce alta e
in sequenza i numeri da 1 a 10 (se i partecipanti sono più di 10 si ricomincia da 1).
Dopo alcuni giri, si chiede al gruppo di dire “pizza” al posto del 6 e “pasta” al posto
del 7. Il risultato è il seguente: “1, 2, 3, 4,
5, pizza, pasta, 8, 9, 10”. Chi sbaglia va al
centro del cerchio e gli altri lo apprezzano
ridendo e battendogli le mani con le frasi
“Molto bene, molto ben, yeahhh!”. Le
combinazioni “pizza e pasta” possono essere sostituite con altre parole come “cane e gatto”, “mari e monti” e così via.
Quando il gruppo dei perdenti al centro
del cerchio è corposo, si sostituiscono alle due parole scelte due espressioni mimiche come “tirare un bacio” o “fare una
pernacchia”. Essendo ormai esiguo il numero dei partecipanti in gara, il ripetersi di
baci o di pernacchie sarà predominante
sui numeri. La risata è assicurata! Obiettivi del gioco sono: favorire l’ascolto, la comunicazione, la relazione, il contagio
umoristico e l’autoironia.
Biscotti della fortuna. Rifacendosi all’usanza cinese di donare biscotti con un
messaggio augurale incorporato, il gioco
prevede che i partecipanti scrivano dei
messaggi di buon auspicio da indirizzarsi
a qualcun altro. Le frasi inventate saranno
seguite da espressioni di questo tipo: “in
ufficio”, “in reparto”, “in bagno”, “in camera da letto” e prenderanno significati diversi per i doppi sensi che si andranno a creare. Le frasi vengono lette a voce alta ed inducono ilarità collettiva. Obiettivi: creare
un clima di fiducia, favorire l’improvvisazione e la creatività di gruppo.
Associazioni ridenti. Il conduttore del
gioco piega dei biglietti su cui avrà scritto
nomi di oggetti, animali o personaggi. Poi
invita i partecipanti a sceglierne uno, a mimarne il contenuto, senza emettere suoni,
precisando che ogni soggetto è associato
ad un altro (per esempio cavallo-cavaliere). Quindi inviterà le persone ad individuare il personaggio/oggetto a cui associarsi. Una volta trovata l’associazione, la
coppia continua a ridere abbracciandosi e
tenendosi per mano (risata cuore a cuore).
Così via sino a quando tutte le coppie saranno formate. A questo punto il conduttore inviterà tutti a mettersi in cerchio prendendosi per mano e, facendo una risata
collettiva, si alzeranno le braccia al cielo
(risata di cuore). Obiettivi: favorire la relazione, la comunicazione empatica e corporea, la capacità d’intesa e il contagio
umoristico.
Lo specchio ridente. I partecipanti si devono disporre su due file parallele, ognuno
di fronte all’altro. Una fila funge da specchio, mentre l’altra si riflette nella prima. I
partecipanti si devono guardare negli occhi. Chi interpreta lo specchio inizia a
muoversi, mentre chi si riflette deve riprodurre esattamente, in sincronia, i movimenti e i gesti proposti. Ciò alimenta risate contagiose. Si continua così alternando
i ruoli tra specchio e specchiato. Obiettivi:
favorire la reciproca conoscenza, l’improvvisazione e il contagio umoristico.
Ruba risata. Questo gioco si rifà al “ruba
bandiera” e porta in sé qualche variante. Il
conduttore, dopo aver assegnato ad ogni
componente un numero, dà il via al gioco
chiamando le coppie formate verso il “fattoletto-risata” (bandiera). A questo punto il
conduttore vocalizza Ho-Ho, Ha-Ha-Ha.
Chi afferra per primo, correndo, il “fazzoletto-risata” ritorna, ridendo, al suo posto
senza farsi prendere dall’avversario. Guadagna un punto per la propria squadra chi
riesce a rientrare al proprio posto con il
“fazzoletto-risata” in mano, oppure l’avversario se riesce a strappare il “ruba risata”.
Intanto gli altri partecipanti, in attesa di essere chiamati, ridono incitando i loro compagni di gioco. Obiettivi: riscaldare l’ambiente, favorire il lavoro di gruppo e la con-
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sapevolezza della relazione tra emozioni e
umorismo.
Concerto della risata. Occorre silenzio,
concentrazione e lunghi respiri profondi
iniziali, utili per uno sforzo importante successivo. I partecipanti vengono divisi in
gruppi omogenei e ad ogni gruppo viene
assegnata una vocale. Inizialmente ogni
gruppo, uno alla volta, deve ridere appassionatamente usando la propria vocale. Al
termine delle singole esibizioni di gruppo,
si inizia il “concerto” dove il conduttore sarà il direttore d’orchestra. Obiettivi: riflettere sulla respirazione e sulla percezione del
proprio respiro, creare spirito di gruppo e
scoprire che si può ridere sia a comando
che per contagio.
Ballo incollato. Si tratta di un ballo a coppie su musica molto ritmata. I partecipanti
si esibiscono restando incollati per una
parte del corpo, ad esempio spalla-spalla,
schiena-schiena. Chi si stacca dal compagno durante l’esibizione fa sì che la coppia
venga eliminata. Obiettivi: creare complicità tra i partecipanti, stimolare la creatività,
tonificare la muscolatura.
Il semaforo ridente. I partecipanti si dispongono in due file, una di fronte all’altra,
mentre il conduttore, in testa e al centro delle due file, pronuncerà i colori “verde”, “rosso”, “giallo”. Al verde i partecipanti dovranno avanzare; al rosso dovranno immobilizzarsi e al giallo dovranno ridere ed imitare le
movenze e il verso di un animale scelto dal
conduttore. Obiettivi: creare armonia di
gruppo, favorire la consapevolezza dello
spazio, stimolare l’improvvisazione.
Ridi colore. Mentre i partecipanti si muovono liberamente nello spazio a disposizione, il conduttore menziona un colore.
Tutti i giocatori devono toccare chi indossa
quel colore specifico. I prescelti devono
iniziare a ridere. Colui che non riesce a trovare il colore prescelto, diviene il condutto-
Infermiere a Pavia
re e il gioco prosegue. Obiettivi: creare armonia di gruppo, stimolare l’osservazione
e la prontezza dei riflessi.
Risate rotolanti. I partecipanti si mettono
proni, uno accanto all’altro. Il primo della
fila inizia a rotolare sul corpo degli altri partecipanti, seguito a ruota dal secondo, terzo e così via. Le risate sono scontate.
Obiettivi: creare un clima giocoso, incoraggiare il contatto corporeo.
Ad oggi sono oltre 7000 i Club della risata presenti in più di 72 Paesi nel mondo. A
livello internazionale, i volontari che ne fanno parte sono esperti che operano a sostegno della salute e dei benefici sociali ottenibili ridendo. Questo movimento globale
sostiene il ritorno ad un sistema di valori
sociali positivi attraverso il senso di fratellanza, amicizia e rispetto che si sviluppano
fra i membri. In un’unica parola al ritorno
della PACE in noi stessi e negli altri, potenziale necessario per unire il mondo senza
tener conto delle razze, sesso, classi sociali, affiliazione politica o credo religioso, in
quanto si ride tutti allo stesso modo.
Vi sono alcune differenze di conduzione
dei club, generalmente di carattere geografico. In Oriente le lezioni si tengono
preferibilmente la mattina presto e generalmente tutti i giorni, mentre in Occidente
le sessioni sono a cadenza settimanaleserale e al termine di ogni seduta si organizzano attività ludiche, balli, ecc. L’idea di
promuovere in Italia lo Yoga della risata arriva da illustri esponenti della disciplina, tra
cui la dr.ssa Laura Toffolo, Presidente dell’Associazione Nazionale Yoga della Risata, e Richard Romagnoli, ambasciatore
della risata nel mondo.
Qui di seguito elenchiamo alcune sedi
dove poter praticare lo Yoga della risata:
Associazione Kultrun un mundo de buenasvibras, Trento, tel. 3478859756; Club
della Risata Fra Cristoforo c/o Biblioteca
Comunale Fra Cristoforo, Milano, tel.
3493173714; Club della Risata Genova c/o
Centro Civico Remigio Zenna, Genova, tel.
3933226436; Club Cascina Roccafranca
c/o via Rubino 45, Torino, tel. 3381256638;
Associazione Namastre c/o via Oxila 5,
Novara, tel. 3924390119; Club Ridere di
Cuore c/o Palestra Polisportiva Venexiana,
Venezia, tel. 0415295506-3381041873;
Club della Risata TOTEM, Rimini, tel.
3311203159; Parchi e Centri Yoga, Firen-
ze, tel. 3388661689; Club Yoga della Risata, Pisa, tel. 3382132378; Centro Yoga
Vento d’Oriente, Roma, tel. 3807512713;
Arcipelago della Solidarietà, Napoli, tel.
3497626325; Club della Risata c/o parrocchia Madonna della Strada, Cagliari, tel.
3406483500.
E per finire vi ricordiamo che non si è
mai così vecchi per smettere di ridere e
giocare, in quanto lo spirito del gioco vive
sempre col bambino che c’è in noi! Forza
dunque non esitate... ridete, ridete, ridete!
Si ringraziano per la traduzione in inglese: Maria Teresa Visconti Tosco, Coordinatore AFD; Roberto Callieco, EP, Università
degli Studi di Pavia
bibliografia, sitografia, riferimenti
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www.yogadellarisata.it
www.laughteryoga.org
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Gli autori
* Infermiera
IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri
Ambulatorio Cardiologia
Centro Medico di Pavia
** Infermiera
IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri
Neuroriabilitazione
Pavia - sede di via Boezio
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Numero 4/2013
Prevenzione degli incidenti
stradali:
competenza
infermieristica
* francesca Alexandra
Monachesi
INTRODUzIONE
Nella realtà del nursing ci si concentra
maggiormente sul paziente in fase acuta o
comunque a posteriori dall’evento traumatico tralasciando e trascurando una fase fondamentale di sua competenza: la prevenzione e l’educazione sanitaria, prestazioni
infermieristiche fondamentali per poter evitare l’evento traumatico e promuovere dunque la salute del cittadino.
Obiettivo di questo documento è di avere
innanzitutto un quadro chiaro rispetto il problema attuale degli incidenti stradali con il
relativo stato dell’arte documentato.
SUMMARY
Traditionally, nursing care is focused
on acute or post-traumatic patients, ignoring and neglecting a crucial phase
of its competence: health education
and disease prevention. Such basic
nursing care elements are instrumental to prevent traumas and promote
public health. Thus, the aim of this paper was to analyse the potential risks
leading to road accidents and to draw
a state of the art report on injury prevention.
La salute: La definizione di salute correntemente accettata è quella elaborata nel
1948 dall’OMS all’atto della sua costituzione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”
(Bellieri, 2005). Secondo la Carta di Ottawa,
la salute è una risorsa per la vita quotidiana,
non l’obiettivo del vivere; è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche (WHO,
1986). Essa si raggiunge nel momento in
cui gli individui sviluppano e mobilitano al
meglio le proprie risorse in modo da soddisfare prerogative sia interne (fisiche e mentali) che esterne (sociali e materiali). In Italia,
“La Repubblica tutela la salute, come fondamentale diritto dell’individuo, così come
interesse per la collettività, garantendo cure
per gli indigenti” (Art. 32 Cost.) per cui lo
Stato ha l’obbligo di cercare e modificare
quei fattori che influiscono negativamente
sulla salute collettiva e al contempo favorire
quelli positivi.
Di fondamentale importanza sono i settings, “Il luogo o il contesto sociale nel quale le persone si impegnano nelle attività
quotidiane nelle quali i fattori ambientali, organizzativi e personali interagiscono per ripercuotersi sulla salute e sul benessere”
(OMS, 1998). Cos’è la promozione della salute? “E’ un processo che l’individuo mette
in atto per aumentare il controllo sulla propria salute e migliorarla” (WHO, 1986); di
conseguenza la persona dovrà realizzarsi,
soddisfare i propri bisogni fisici mentali e
sociali (Bellieri, 2005).
Educazione sanitaria: Seppilli scrisse nel
1958 che “L’educazione sanitaria è un intervento sociale che tende a modificare consapevolmente e durevolmente il comportamento nei confronti della salute” e nel 1970 aggiunse che “L’educazione sanitaria è un processo di comunicazione interpersonale, diretto a fornire le informazioni necessarie per
un esame critico dei problemi della salute ed
a responsabilizzare gli individui ed i gruppi
sociali nelle scelte che hanno effetti diretti ed
indiretti sulla salute fisica e psichica dei singoli e della collettività” (Arpesella, 2012).
Gli incidenti stradali: L’incidente stradale è
definito dalla Convenzione di Vienna sul traffico stradale del 1968 come “un evento in
cui rimangano coinvolti veicoli, esseri umani
o animali, fermi o in movimento, e dal quale
derivino lesioni a cose, animali, o persone”
(Follieri, 2010). L’Unione Europea (UE) prevedeva la riduzione della mortalità del 50%
tra il 2002-2019 ma in Italia, per ora, è stata
raggiunta una diminuzione del 42,4% del
numero dei morti, valore inferiore rispetto al
traguardo prefissato ma in linea con la media europea UE27 (pari al 42,8%). Tuttavia si
registra un netto miglioramento rispetto gli
anni passati: ciò induce a sperare nel conseguimento dell’obiettivo prefissato. Rimane importante proseguire gli interventi di
sorveglianza, sensibilizzazione, prevenzione
e educazione sanitaria e stradale mirati, in
associazione con l’attività sanzionatoria delle forze dell’ordine. Ogni anno, 1.300.000 incidenti provocano più di 40.000 morti e
1.700.000 lesioni. Il costo diretto o indiretto,
è stato stimato a 160 miliardi di euro, che
corrispondono al 2% del PNL dell’UE. Alcune categorie di utenti sono particolarmente
colpite: i giovani di età compresa fra 15 e 24
anni (10.000 morti l’anno), i pedoni (7.000
morti) e i ciclisti (1.800 morti) (G.U. UE, 17
de Abril de 2004, L. 111).
I dati dell’ISTAT rilevano che nel corso della giornata (durante la settimana lavorativa)
si registrano due picchi di incidentalità: dalle ore 8 alle 12 e dalle 13 alle 18 in corrispondenza dei volumi di traffico più elevati
in concomitanza con gli spostamenti casascuola e casa-lavoro. Il week-end rappresenta un momento ad alto rischio poiché è
stato calcolato che il venerdì si verifica il più
alto numero di incidenti e di feriti; la notte
del sabato in particolare, è il momento in cui
la mortalità è più elevata. Le cosiddette stragi del sabato sera vede coinvolto almeno un
conducente di età compresa tra i 18 e 32
anni; le ore notturne comprese tra le 22.00 e
le 06.00 della domenica sono le più a rischio. Gli incidenti stradali, di cui i giovani
sono fra le vittime più frequenti con una percentuale che si aggira intorno all’80%, rappresentano la causa di morte principale per
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Infermiere a Pavia
le persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni (ISTAT, 2013).
Fattori di rischio: Il Fattore di Rischio è una
determinata caratteristica individuale misurabile, i cui livelli sono associati in forma
probabilistica a quote diverse di rischio di
andare incontro, entro tempi determinati, a
un evento (Menotti, in: Treccani, 2000). Nella popolazione generale il grado di attitudine al rischio è massimo nel periodo adolescenziale e tende a ridursi con l’avanzare
dell’età (ISS, 2010).
Alcool: Secondo l’OMS l’alcool è uno dei
principali fattori di rischio che provoca incidenti stradali mortali o molto gravi determinando invalidità permanenti o temporanee
con pesanti conseguenze psico-fisiche. Ne
derivano inoltre conseguenze psicologiche
che potenzialmente potrebbero modificare
drasticamente la qualità della vita. Dal punto di vista epidemiologico, il rischio di incidente stradale aumenta in maniera esponenziale con l’aumentare dell’alcolemia (ovvero della concentrazione di alcool nel sangue del conducente) già a partire da 50 mg
di etanolo ogni 100ml di sangue. A parità di
alcolemia il rischio aumenta molto rapidamente quanto è minore l’età del conducente; a parità di alcolemia il rischio aumenta
molto rapidamente quanto è minore la frequenza con cui si consumano usualmente
bevande alcooliche. L’alcool deve essere
innanzitutto metabolizzato affinché possa
esercitare un qualche effetto sul nostro organismo e viene assorbito in percentuale
superiore nell’apparato digerente (stomaco,
duodeno). Solo il 90% circa dell’alcool ingerito viene assorbito, mentre il rimanente 10%
è prontamente eliminato dall’organismo attraverso saliva, sudore, urina e aria espirata.
Sappiamo che l’assimilazione dell’alcool può
essere influenzato da vari fattori, ad esempio, i cibi grassi tendono a rallentare l’assorbimento mentre l’acqua ed il digiuno lo favoriscono. La concentrazione massima dell’alcoolemia (BAC, Blood Alcohol Concentration) viene raggiunta a digiuno in circa 40-45
minuti ed inizia ben presto a declinare scomparendo progressivamente in circa 8-10 ore.
Sostanze stupefacenti: E’ considerata stupefacente o psicotropa qualsiasi sostanza,
di origine naturale o sintetica che introdotta
nell’organismo altera inevitabilmente le condizioni psichiche del soggetto producendo
effetti di intontimento, di eccitazione o di allucinazione e che inducono ad assuefazione, a dipendenza e a disturbi da astinenza.
Gli effetti dell’assunzione di sostanze stupefacenti sull’organismo variano a seconda
della qualità delle sostanze, della quantità di
principio attivo contenuto in ogni dose, della concentrazione e delle condizioni individuali di chi ne fa uso.
MATERIALI E METODI
Strategie di ricerca: L’indagine si è svolta
presso la Biblioteca di Infermieristica della
Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo di Pavia ed è stato utilizzato principalmente il database bibliografico PubMed.
L’ultima consultazione di verifica della validità quantitativa della strategia (Ul. Cons.), è
stata effettuata l’11 ottobre 2013. Le parole
chiave utilizzate sono state ripetutamente
proposte ed associate con il fine di compilare un quadro esaustivo sui maggiori fattori di rischio correlati agli incidenti stradali:
“alcohol abuse”, “drugs”, “narcotic abuse”
sono le keywords che hanno costituito la
base dell’indagine bibliografica e sono state
inserite nel sistema di ricerca anche come
“Ethanol”, “Opioid-Related Disorders”, “Prescription Drugs” nel momento in cui il dizionario controllato di termini MeSH le ha adattate automaticamente per interagire nelle
strategie. “Accidents, Traffic/mortality”, “Traffic/injury”, “road traffic injury prevention”,
“Crash”, “driver behavior” associati dall’operatore booleano AND, sono le keywords intervenute a definire il campo di ricerca. Con il fine di restringere ulteriormente il campo, si è imposto che le parole chiave fossero contemplate o nel titolo e/o nell’abstract dell’articolo. Ulteriori limiti imposti,
si sono resi necessari successivamente onde focalizzare l’attenzione su uno specifico
fattore. In seguito si è consultato il database
Cinahl nella modalità Plus with full text (Ul.
Cons. in data 11 ottobre 2013).
RISULTATI
In letteratura i fattori più riscontrati e ritenuti causa di incidenti stradali risultano essere l’uso e/o l’abuso di: alcool, sostanze
stupefacenti (Hou, 2012) e farmaci, in particolar modo antidepressivi, oppioidi e benzodiazepine (McDeavitt, 2013).
Incidenti stradali Alcool-correlati: interventi
infermieristici: E’ ben noto che all’alcool
(etanolo) è associato un aumento di probabilità di lesioni traumatiche. Questa relazione è stata attribuita al deterioramento causato dall’alcool sul giudizio e la performance psicomotoria dell’individuo, con conseguente aumento della probabilità di un incidente e/o di un infortunio (Waller, 1986). Su
un totale si 40.000 decessi a causa di incidenti stradali negli Stati Uniti, circa il 40% di
questi sono infatti associati all’uso di alcool
(Sommers, 2002). Il ricovero in ospedale per
gravi lesioni dopo un incidente automobilistico, correlata all’uso di alcool, può essere
l’occasione per cambiare i comportamenti
di coloro che usano abitualmente o abusano della sostanza, riducendo così il rischio
per il futuro di invalidità e/o di morte. Uno
studio ha intervistato durante l’ospedalizzazione 132 soggetti coinvolti in incidenti stradali alcol-correlati. Le interviste hanno incluso la domanda: “In che misura ritiene il consumo di alcol è responsabile di questo danno?”. Le risposte sono state misurate su
una scala a 7 punti che va da 1 (per niente)
a 7 (totalmente). In risposta alla domanda
circa l’attribuzione di lesioni per l’alcool, il
37,8% dei soggetti ha risposto “per niente”,
24.3% risposto “abbastanza” e il 37,9% ha
risposto “per lo più” o “del tutto”. Quindi più
del 60% dei pazienti feriti, in questo caso,
attribuiscono le loro lesioni in parte o totalmente causata dall’utilizzo di alcool (Sommers, 2000). Esso è un importante causa
del trauma nell’individuo adulto e può influenzare negativamente il processo decisionale in altri ambiti di sicurezza stradale,
come inibire l’uso delle cinture di sicurezza
e caschi da moto. Il Dipartimento di Chirurgia dell’Università di Lousville in Kentucky
(U.S.A.) ha studiato il comportamento scorretto relativo ai possibili danni per incidenti
alcool-correlati nei giovani al di sotto dei
vent’anni. Il 15% di tutti i ricoveri nel centro
traumatologico statunitense erano adole-
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Numero 4/2013
scenti (648 su 4.291). Il 21% di questi sono
risultati positivi per la presenza di alcool nel
sangue al momento del ricovero. Le cinture
di sicurezza sono state indossate da solo il
19%. Se ne deduce in conclusione che l’alcool è un elemento presente alla base degli incidenti stradali sia negli adulti che negli
adolescenti (Spain, 1997). Ciò è anche confermato da uno studio australiano il quale
ha rilevato che, mentre l’alcool non è alla
base di incidenti stradali che coinvolgono la
popolazione anziana, lo è invece sia nella
popolazione adulta che in quella adolescente (Holubowycz, 1994). Sempre dall’Australia, uno studio di coorte effettuato presso
l’Università di Western, ha constatato l’associazione tra il ricovero a causa di un incedente alcool-correlato con una futura ammissione in ospedale delle persone coinvolte a causa di patologie legate all’alcool.
Inoltre ha valutato la possibilità che i conducenti coinvolti in questi incidenti possano
essere i candidati per programmi di prevenzione. E’ evidente infatti che il singolo episodio di incedente alcool-correlato sia l’indicatore di una possibile dipendenza del soggetto (Stevenson, 2003). Anche se ci potrebbe essere un ruolo potenziale per l’infermiere nella crescente consapevolezza dei
problemi relativi all’abuso di alcool, vi è una
mancanza di chiarezza su cosa esattamente gli infermieri potrebbero fare per ridurre in
modo significativo tali problemi alcool-correlati (Govier, 2013). La mancanza di chiarezza sul ruolo dell’infermiere in questo settore, ha portato ad una situazione confusa e
controversa per gli infermieri e per i pazienti
in termini di prestazioni (Glasper, 2012). Gli
infermieri in tutti i contesti clinici dovrebbero
essere consapevoli delle conseguenze relative all’abuso di alcool, anche per garantire
informazioni chiare e precise atte a motivare
e supportare i pazienti e a proteggerli dagli
eccessi (Kiernan, 2012). I soggetti coinvolti
nel problema dovrebbero prendere in considerazione i cambiamenti di stile di vita per ridurre al minimo la dannosità dell’alcool: il
potenziale compito per gli infermieri sarebbe quello di essere più attivi nel fornire motivazioni, valutare ed educare i pazienti con
problemi alcool-correlati (Phillips, 2011). La
sanità pubblica inglese, ad esempio, promuove la formazione degli infermieri riconoscendo che essi possano svolgere un ruolo
importante nel miglioramento della salute e
del benessere del pubblico, rendendo fondamentale il singolo contatto con il paziente
(Ford, 2013). Uno dei compiti primari sarebbe, per l’infermiere, valutare i livelli di
consumo di alcool spesso lasciati all’interpretazione dell’individuo che li sottostima.
Uno studio ha inoltre rilevato, tenendo conto delle dosi giornaliere consigliate, che
l’autogestione del dosaggio nell’individuo
adulto è impraticabile, in quanto i soggetti
presi in considerazione tendono all’unanimità ad eccedere anche del doppio (Boniface,
2013). Lavorare con gli individui per calcolare il consumo di alcool è per l’infermiere uno
dei sistemi consigliati: ad esempio è da citare l’utilizzo di strumenti online come la
Drinkaware Unit Calculator, un calcolatore di
unità, liberamente consultabile in rete per
scoprire se si sta bevendo troppo e se il modo di bere in oggetto sta mettendo a rischio
la salute. L’infermiere o il paziente può scegliere il tipo, il marchio, il volume di alcool e
la quantità di bevande alcoliche consumate
in un giorno o una settimana. La calcolatrice
visualizza il numero di unità e calorie consumate e minuti di esercizio necessari per utilizzare le calorie. Essa visualizza anche il livello di rischio di consumo oltre il quale si
andrebbe a danneggiare la salute. Sono
consigliati anche momenti di educazione all’utente da parte dell’infermiere nel momento in cui l’individuo è predisposto ad accettare suggerimenti sul miglioramento del suo
stato di salute, della qualità di vita con la
convinzione che queste deriverebbero dal
cambiamento comportamentale. In questo
caso, l’infermiere deve essere in grado di
fornire consigli attuabili in tempo reale basati sulle evidenze scientifiche, inoltre deve
promuovere una discussione strutturata che
si concentra sul consumo di alcool, motivando e aiutando le persone a prendere in
considerazione le proprie abitudini correlate
alla sostanza, e nel caso, ridurne il consumo
onde evitare danni per la salute. La chiave
per tale discussioni è quella di garantire e
promuovere una riflessione critica invitando
a pensare con attenzione al problema che li
coinvolge. Anche se vi sono incertezze circa
un’appropriata preparazione dell’infermiere
per gestire questi colloqui, è disponibile online un percorso di formazione (accreditato
dal Royal College of Nursing), il quale offrendo un apprendimento in merito, propone lezioni di 20 minuti ciascuna e test di valutazione finale. In conclusione, dato che al
consumo nocivo di alcool è associato un significativo onere per la sanità, ed intervengono ad aggravare la situazione conseguenze sociali e finanziarie, gli infermieri
hanno la responsabilità di sostenere le persone a consapevolizzarsi sulle scelte relative alla propria salute. È essenziale che gli
infermieri supportino i pazienti e li stimolino
a cambiare stile di vita incoraggiandoli e fornendo loro consigli appropriati in modo non
giudicante (Govier, 2013). Uno studio effettuato in seno al Department of Intensive Care Medicine di Taiwan ha evidenziato che le
benzodiazepine in associazione all’uso di
alcool ha giocato un ruolo decisamente importante in correlazione con le lesioni conseguenti ad incidenti stradali; infatti è stato
calcolato il rapporto tra incidenti in cui erano
coinvolte persone a cui è stato riscontrato
l’uso delle due sostanze associate e persone che non ne hanno fatto uso. Tale rapporto è di 5 a 1 (Hou, 2012). Tali lesioni sono un
problema fondamentale per la sanità pubblica, in particolare esso è sensibilmente rilevato nei paesi con livelli medio-bassi di
reddito (Aygencel, 2008). Sia l’alcool che le
benzodiazepine agiscono sul sistema nervoso centrale ed inibiscono diverse abilità
psicomotorie e cognitive che sono necessarie per garantire la sicurezza stradale (Hindmarch, 1988): infatti se le benzodiazepine
producono un tempo di reazione dose-correlato con effetto sedativo associata ad una
compromissione delle funzioni psicomotorie
(Hemmelgarn,1997), l’uso di anfetamine,
cocaina e antidepressivi triciclici è in stretta
connessione con il deterioramento della
guida (Dussault, 2001; Logan, 2001; Ray,
1992). Se ne deduce quindi che le persone
che assumono questi farmaci-droghe non
devono guidare un autoveicolo, in particolar
modo se associate all’alcool. Per tamponare questa situazione con il fine di ridurre la
percentuale degli incidenti stradali, è consigliabile un percorso formativo con un’analisi approfondita dei rischi (Hou, 2012).
Incidenti stradali droga-correlati: interventi
infermieristici: Per il National Highway Traffic
Safety Administration (FARS) con la condivisione del Centers for Disease Control and
Prevention (CDC), le droghe sono raggruppate idealmente in queste categorie: narcotici, antidepressivi, gli stimolanti, marijuana
e altre droghe lecite (CDC, 2006; FARS,
2006). Rispetto all’uso dell’alcool e della
cannabis, l’effetto combinato di queste sostanze è deleterio per le prestazioni della
guida e alza notevolmente la percentuale di
rischio di incidente (Brady, 2012; Fars,
2000; Drummer, 2009). Alcuni studi hanno
rilevato che l’effetto della cannabis sulla
compromissione in termini di prestazioni di
guida è maggiore in combinazione con anfetamine, benzodiazepine e oppiacei (Brady, 2012; Drummer, 2009; Gjerde, 1991;
Leung SY, 2011). La letteratura, ad esempio, riporta che più della metà (57%) di guidatori feriti fatalmente negli Stati Uniti aveva
assunto almeno una sostanza stupefacente
ed il 20% aveva usato due o più droghe
(Brady, 2012; Brault, 2004; Kaplan, 2006;
Walsh, 2005). Tuttavia l’alcool rimane la sostanza più comunemente rilevata, presente
nel 40% dei conducenti morti entro un’ora
dall’incidente ed è stato rilevato più frequentemente insieme a marijuana e stimolanti
come la cocaina e metanfetamine (Brady,
2013). La guida di un veicolo da parte di un
individuo sotto l’effetto di stupefacenti è un
grave problema per la sicurezza ma il loro
ruolo in incidenti automobilistici non è stato
adeguatamente studiato pur se un casecontrol study del Center for Injury Epidemiology and Prevention, Columbia University
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Medical Center di New York, attesta che
l’uso di droga è associato ad un rischio significativamente aumentato di coinvolgimento in uno schianto fatale, in particolare
quando gli stupefacenti utilizzati sono in
combinazione con alcool (Li, 2013). L’overdose è ad esempio la principale causa di
morte per incidenti in Ohio, così come in altri 16 Stati degli U.S.A. E’ stato per questo
implementato un case-report (caso-studio)
che riferisce su come l’Ohio sta rispondendo al diffondersi dell’uso di stupefacenti. Vi
è infatti una collaborazione tra associazioni
e gruppi infermieristici incaricati dall’ufficio
governativo i quali, partecipando ad equipe
multidisciplinari, hanno promosso campagne educative di prevenzione avviandole su
tutto il territorio dello Stato consistenti in annunci di servizio pubblico via radio e televisione e attraverso la compilazione di schede conoscitive distribuite nelle varie comunità (Winstanley, 2012). In letteratura emerge
che sarebbe più opportuno agire sulle fondamenta educative della società piuttosto
che intervenire con una prevenzione primaria e/o secondaria, a problema droga-correlato già evidente. L’identificazione dei fattori
di rischio per incidenti stradali è sì la base
della prevenzione ma pochi studi sono stati
pubblicati su fattori predittivi di recidiva
(Fabbri, 2005). Infatti da Taiwan, dove uno
studio ha ben evidenziato il ruolo della
scuola in veste formativa più che preventiva
(Huang, 2012) all’Ecuador, dove in prima
persona sono stati coinvolti gli studenti del
primo anno di corso della Escuela de Enfermería de la Universidad de Guayaquil, è evidente che le percezioni degli alunni siano il
fondamento sul quale è possibile costruire
concretamente programmi di promozione
della salute. Tra le cause che portano all’uso
degli stupefacenti è stato rilevato che le
maggiori responsabili sono: la disgregazione della famiglia, la violenza domestica e
problemi legati allo stato socio-economico
in cui imperversa un Paese. Ciò si traduce in
mancanza di affetto e amore, con conseguente instabilità emotiva, situazioni di ansia, frustrazioni e paure vanno a favorire il
consumo di droghe (Bermúdez-Herrera,
2011). Un’altra importante esperienza è
emersa in Brasile dove è stato implementato uno studio con lo scopo di verificare la
conoscenza degli adolescenti, residenti in
una comunità di Rio de Janeiro, a proposito
delle droghe lecite e illecite, analizzando la
rilevanza e la conoscenza della prevenzione
su questo fenomeno. I ragazzi hanno saputo distinguere le droghe lecite dalle illecite,
citando le più utilizzate. Si è concluso che la
politica di prevenzione in cui l’infermiere può
sviluppare attività educative con gli adolescenti e i parenti (con l’obiettivo di orientare
entrambe le parti verso una completa conoscenza del problema e con il fine di elimina-
Infermiere a Pavia
re o ridurre il consumo di queste droghe)
deve essere una assoluta priorità (Gollner,
2012).
Incidenti stradali Farmaco-correlati: interventi infermieristici: La letteratura registra
una crescente evidenza epidemiologica che
collega l’uso terapeutico delle benzodiazepine e oppioidi ad un aumento del rischio di
incidenti. Tuttavia esiste una scarsa quantità
sia di studi sperimentali che di linee guida in
materia di idoneità alla guida per i pazienti
che assumono tali farmaci (Leung, 2011). Il
Diazepam, tradizionalmente una delle benzodiazepine più popolari, ad esempio, ha la
caratteristica di essere rapidamente assorbito dal tratto gastrointestinale raggiungendo concentrazioni di picco dopo 30-90 minuti e ha una durata d’azione molto prolungata nel tempo. Già da tempo si è riscontrato l’effetto del diazepam come influente sull’abilità di guida (Willumeit, 1984; Mattila,
1998) e altri studi di simulazione hanno dimostrato la compromissione diretta delle
prestazioni di guida (ovvero deviazione nella corsia laterale, collisioni più frequenti e
tempi di reazione rallentati) dopo la somministrazione di 5-10 mg diazepam (O’Hanlon,
1982; de Gier, 1981). Questo effetto è ulteriormente aggravato quando il diazepam
(10 mg) è stato combinato con alcool (Vanakoski, 2000). Per quanto riguarda gli oppiacei, la ricerca sulla psicomotricità e gli effetti fisiologici della morfina in volontari sani,
ha individuato che la depressione respiratoria, la difficoltà di concentrazione e un rallentamento di elaborazione delle informazioni sono effetti comuni dopo l’assunzione
(Chesher, 1985; Walker, 2001). L’uso e peggio l’abuso di farmaci fra gli adolescenti è
un crescente e presente problema negli
Stati Uniti. Il riconoscerlo tempestivamente è
essenziale per controllarlo, ad esempio riducendo sensibilmente i rischi di dipendenza, dipendenza effettiva, danni permanenti
o la morte. Uno studio statunitense si è occupato del fenomeno in relazione a quei farmaci regolarmente in commercio e/o prescritti da un medico con fine terapeutico
(oppiodi, antidepressivi, benzodiazepine,
antistaminici). Ne conclude che l’educazione è la chiave per prevenire le conseguenze
potenzialmente disastrose date con l’uso
improprio di farmaci. Le Scuole per infer-
mieri sono in grado di svolgere ruoli fondamentali nel controllo e prevenire l’abuso di
farmaci negli adolescenti. Essi possono essere i primi a riconoscere l’evidenza del problema ed hanno inoltre il vantaggio di rappresentare delle figure fondamentali a cui gli
adolescenti possono far riferimento sentendosi liberi di confidarsi. Soprattutto, gli allievi infermieri possono essere la migliore fonte di informazioni e di formazione per studenti, genitori, insegnanti e altri componenti
del personale scolastico. I risultati di questo
sondaggio rendono chiaro che la maggior
parte delle scuole per infermieri è in grado
di capire se esiste un problema e come poterlo gestire: per fare questo, hanno bisogno di informazioni per se stessi e strumenti per aiutarli ad educare gli altri. Tra gli strumenti è importante ricordare quelli on-line, i
quali contribuiscono ad educare gli studenti delle scuole infermieri con il fine di trasmettere le loro conoscenze e prevenire in
tal modo l’uso improprio dei farmaci da prescrizione (Apa-Hall, 2008).
CONCLUSIONI
Non è stato riscontrato in letteratura un
progetto di prevenzione relativo agli incidenti stradali con condivisione unanime delle
metodologie e delle strategie a livello mondiale in area infermieristica. Le evidenze
scientifiche invece confermano la correlazione stretta tra i maggiori fattori di rischio
(alcool, sostanze stupefacenti, farmaci) e gli
incidenti stradali ma le prestazioni di prevenzione implementate ad opera degli infermieri sono decisamente sporadiche e geograficamente disomogenee. I progetti e gli
studi più significativi si sono registrati in: Taiwan, Ecuador, U.S.A (Stato dell’Ohio) e Inghilterra. In questi è stata attestata l’efficacia
dell’educazione sanitaria infermieristica con
la finalità di sensibilizzare e di portare a conoscenza l’argomento, mentre è affiorata la
scarsità di iniziative in merito all’implementazione di strategie concrete. Vista e rilevata
la datazione dei progetti di cui sopra (20122013) è evidente che la sensibilizzazione
dell’area infermieristica nel campo d’azione
analizzato è relativamente stimabile a livello
embrionale se pur se ne è già notata l’efficacia. Ricerche successive e proposte educative sono necessarie nel prossimo futuro
con il fine di ancorare la figura dell’infermiere quale parte attiva indipendente o componente di un’equipe multidisciplinare con fini
educativi e/o promozionali sulla prevenzione degli incidenti stradali.
L’autore
* Infermiera neolaureata
c/o Università degli Studi di Pavia
Numero 4/2013
17
PAGINA
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PAGINA
* Denise Gemello
Infermiere a Pavia
Cateterismo vescicale
a breve permanenza sterile
VS pulito no-touch:
progetto di ricerca
infermieristica randomizzata
e controllata
INTRODUzIONE
SUMMARY
Today, the autonomy of nursing has a
much broader scope than in the past
and inevitably also professional liability has increased. In particular, the
nurse plays an important preventive
role in the management of bladder
catheter, possibly limiting its impact on
the incidence of nosocomial infections. However, current literature suggests that the lack of standardization
of the technique results in non-uniform
procedures of catheterization being
performed in different hospital settings, though they are carried out according to the recommendations of international guidelines. Main issues
concern the medical devices and the
solutions used for the care of the meatus, prior to insertion of the catheter
and after placement of the drainage
bag. This study focuses on the comparison, in terms of the incidence of
urinary tract infections, between shortterm bladder catheterization (from 1 to
14 days) performed with sterile techniques currently in use and a clean notouch technique – called ‘ad hoc’ –
performed in keeping with the principles of asepsis and supported by scientific evidence.
L’autonomia infermieristica risulta avere
un campo di azione molto più esteso rispetto al passato e inevitabilmente con essa è aumentata anche la responsabilità
professionale. Nello specifico, la gestione
del catetere vescicale assume particolare
importanza per l’impatto che possiede sull’incidenza delle infezioni nosocomiali e
sul ruolo che riveste l’infermiere dal punto
di vista della prevenzione. La mancata
standardizzazione della tecnica, riscontrata in letteratura, fa si che la procedura del
cateterismo sia presente in modo non uniforme nelle varie realtà sanitarie, pur attenendosi alle raccomandazioni dettate da
linee guida internazionali. Le controversie
che si evidenziano, riguardano per lo più i
presidi utilizzati e le soluzioni per la cura
del meato prima dell’inserzione del catetere e dopo il posizionamento della sacca di
drenaggio. Questo studio è incentrato sul
confronto, in termini di incidenza di infezioni delle vie urinarie, tra cateterismo vescicale a breve permanenza (da 1 a 14 giorni) eseguito con la tecnica sterile attualmente in uso vs una tecnica pulita notouch definita ad hoc, mantenendo i principi di asepsi sostenuti dalle evidenze
scientifiche.
Indicazioni: Le principali, relative all’appropriatezza del cateterismo vescicale, sono:
1. ostruzione acuta e cronica delle vie urinarie
2. monitoraggio della diuresi nei pazienti
critici (stato di shock, coma, alterazione
dello stato di coscienza);
3. assistenza perioperatoria per determinati interventi chirurgici: interventi urologici/tratto genitourinari
4. aiuto nella guarigione delle ferite aperte
sacrali o perineali di III° e IV° grado in
pazienti incontinenti
5. immobilizzazione prolungata del paziente (ad esempio, potenzialmente instabili, toracica o lombare, più lesioni
traumatiche come fratture pelviche)
6. miglioramento del comfort per cure di
fine vita in caso di necessità
7. gravi casi di macroematuria e piuria per
evitare il tamponamento vescicale
(Gould et al., 2009; Mastrangelo et
al., 2013).
Procedura: La procedura del cateterismo vescicale deve essere avviata solo in
presenza di una precisa indicazione clinica e medica, inoltre il catetere deve essere rimosso il più presto possibile e non appena l’indicazione all’uso cessi di esistere.
Tale procedura risulta più difficoltosa nell’uomo per la maggior lunghezza dell’uretra. Occorre porre la massima attenzione
nello svolgimento della manovra per il rischio di lesione dell’uretra che può favorire infezioni e può portare alla creazione di
false strade. Per prevenire le infezioni urinarie da cateterismo vescicale sono state
divulgate raccomandazioni supportate da
evidenze epidemiologiche che puntano
l’attenzione su determinati setting (Gould
et al., 2009). In Europa non è una pratica
comune e non è previsto dalla normativa
presentare e fornire ai pazienti il consenso
scritto per tale procedura ma è comunque
necessario il consenso verbale e l’adesione. Tutte le informazioni devono essere registrate in cartella clinica (Geng et al.,
2012). Non esiste un elenco standard di
materiali per una confezione da cateterismo vescicale, le varie strutture sanitarie
utilizzano set diversi. Il materiale all’interno
dei set per cateterismo è variabile e ne andrebbe verificato il contenuto prima dell’uso. Il catetere e la sacca di drenaggio
solitamente non sono inclusi nel set. Non
esiste letteratura in merito ai vantaggi o
svantaggi derivanti dall’uso dei kit, sostanzialmente vi è l’immediata disponibilità del
I diritti delle
donne sono una
responsabilità di
tutto il genere
umano.
UN uomo
violento non
merita amore
VIOLENZE SULLE DONNE
In Italia e nel mondo stanno succedendo
troppe cose brutte verso le donne che
vengono violentate dai maniaci che
secondo me sono malati e meriterebbero
l’ergastolo.
Le donne subiscono dei traumi
senza avere colpe.
Autore: Luigino Guazzora
#
!"
""
""
Per tutte le violenze consumate su di lei
Per tutte le umiliazioni che ha subito
Per il suo corpo che avete sfruttato
Per la sua intelligenza che avete calpestato
Per l’ignoranza in cui l’avete lasciata
Per la libertà che le avete negato
Per la bocca che le avete tappato
$
Per le ali che le avete tagliato
Per tutto questo
In piedi, Signori davanti ad una DONNA
27 Novembre 2013
Virginia Raspone - 3° Liceo Scienze Umane
(questo lo ha scritto mia figlia)
La violenza è l'ultimo rifugio
degli incapaci.
Isaac Asimov
%
Questo è un acrostico
FOLLIA
EFFERATA
MESCHINA
MASCHILE
INCIVILE
NOCIVA
IRRESPONSABILE
CRUDELE
INSPIEGABILE
DOLOROSA
INACCETTABILE
ODIOSA
Autore: Vincenzo Caruso
#
Quando si violentano, picchiano, storpiano, mutilano,
bruciano, seppelliscono, terrorizzano le donne, si distrugge
l'energia essenziale della vita su questo pianeta.
Si forza quanto è nato per essere aperto, fiducioso,
caloroso, creativo e vivo a essere piegato, sterile e domato.
Eve Ensler
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PAGINA
Numero 4/2013
materiale il quale si trova in un’unica confezione garantendo così la rapida reperibilità ad esempio in situazioni di urgenza.
Obiettivi: L’obiettivo primario è valutare
se l’incidenza delle infezioni in caso di inserzione con tecnica pulita no-touch sia
superiore rispetto all’incidenza ottenuta
con tecnica sterile, nei pazienti portatori di
catetere vescicale a breve permanenza
(≤15 giorni previsti).
Nello specifico verranno confrontati i
due gruppi in termini di:
1. Incidenza di infezioni delle vie urinarie
nelle seguenti categorie di pazienti:
– maschi vs femmine
– classi di età
– inserimento d’elezione vs urgenza
– capacità di collaborazione della persona assistita
– reparto di degenza della persona assistita
2. Incidenza di batteriuria asintomatica
3. Costi diretti e tangibili: costo del materiale, tempo-operatore nelle due modalità di inserzione, numero di operatori.
Disegno dello studio: Lo studio selezionato è multicentrico, coordinato dal proponente. Studio clinico controllato randomizzato a gruppi (cluster RCT), in aperto, a
gruppi paralleli.
Criteri di eleggibilità: Gli ospedali selezionati devono disporre di laboratorio analisi con microbiologia, disporre di stick urine, materiale sterile per il cateterismo vescicale, cateteri vescicali a due vie, sacche di drenaggio a circuito chiuso con
membrana per prelievo di campioni urine.
I reparti che rientrano nello studio sono:
medicina, medicina riabilitativa, geriatria,
cardiologia, malattie apparato respiratorio,
reumatologia, chirurgia vascolare, ortopedia, traumatologia, ginecologia, cardiochirurgia, neurochirurgia e hospice per un totale di 42 reparti fra quelli indicati.
Criteri di inclusione: Saranno inclusi
nello studio soggetti di sesso maschile e
femminile con età superiore ai 18 anni, collaboranti e in grado di dare il consenso alla procedura. Per essere inclusi nello studio inoltre il catetere dovrà rimanere in situ
per un tempo minimo di 48 ore e un massimo di 15 giorni.
Criteri di esclusione: Verranno escluse
le seguenti categorie di pazienti:
– Pazienti con infezione delle vie urinarie
(complicata o meno) in atto oppure in
trattamento per infezione delle vie urinarie entro i tre giorni antecedenti la cateterizzazione
– Pazienti in terapia antibiotica in corso al
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
momento del cateterismo o effettuata 72
ore antecedenti la cateterizzazione
Pazienti ai quali è stata somministrata
antibiotico profilassi.
Pazienti non collaboranti, comatosi, agitati, disorientati.
Pazienti con malformazioni genitourinarie note (estrofia vescicale, altro)
Pazienti con urinocultura positiva al momento della cateterizzazione.
Pazienti ad alto rischio di infezioni delle
vie urinarie catetere correlate (CAUTI) ad
esempio allettati con incontinenza fecale
Pazienti a rischio di mortalità provocata
da cateterizzazione (pazienti immunodepressi : granulociti neutrofili inferiore a
1400 microlitro).
Pazienti ri-cateterizzati durante il periodo
di osservazione (15 gg.).
Pazienti sottoposti a irrigazioni vescicali
o instillazione nella sacca di drenaggio
di antimicrobici.
Pazienti che giungono in reparto già cateterizzati
Pazienti oncologici in trattamento chemioterapico o con patologie oncologiche sull’apparato urinario
Randomizzazione: Verrà effettuata una
randomizzazione “a cluster”, in cui verranno assegnati a ciascun braccio interi reparti. La lista di randomizzazione verrà
creata dallo statistico partecipante, mediante il software statistico Stata® (Stata
Corporation, 4905 Lakeway Drive, College
Station, Texas 77845, USA) e mantenuta
sconosciuta anche al responsabile dello
studio. Al momento dell’inizio dello studio,
ciascun reparto verrà informato del braccio di assegnazione.
Controlli: Le definizioni aggiornate del
Center for Disease Control, Atlanta del
2009 (CDC) dichiarano che l’infezione sintomatica può essere considerata associata al catetere solo se un catetere urinario a
permanenza era presente nelle 48 ore precedenti la diagnosi. Per questo si sono impostati controlli colturali al giorno 0, 3 e 15.
Se il catetere verrà rimosso prima del termine del follow-up dello studio (15 giorni)
il controllo sarà effettuato il giorno della rimozione. Inoltre giornalmente verrà effettuato uno stick urine e compilata una tabella di raccolta dati in cui verrà valutata la
presenza di segni e sintomi che possono
ricondurre ad una infezione delle vie urinarie.
Effettuare un esame colturale delle urine
dopo la procedura. Inoltre sarà compilato
il modulo di controllo per identificare la
persona come facente parte dello studio e
per verificare se la procedura del braccio
di studio assegnato è stata eseguita correttamente.
Eseguire giornalmente uno stick urine
con particolare attenzione alla presenza
di: leucociti, nitriti, chetoni, proteine; all’aumento del ph (>5.0) e del peso specifico
(>1000).
Sono previste rilevazioni quotidiane di
segni e sintomi di infezione delle vie urinarie in particolare:
– temperatura corporea esterna
– dolorabilità sovrapubica
– ematuria
– nausea/vomito
– letargia/confusione
– brivido
– quantità e qualità delle urine
È previsto un controllo colturale delle
urine il 3° giorno dalla cateterizzazione e al
15° giorno dall’inserimento del catetere o
in caso di rimozione del presidio, indipendentemente dalla causa.
Personale coinvolto: Il personale che
verrà informato sullo studio è rappresentato da: medici, coordinatori infermieristici,
infermieri e figure di supporto. La formazione avverrà attraverso incontri in cui verranno illustrate le due tecniche, le istruzioni operative e la modalità di raccolta dati e
sarà rivolta a: infermieri, personale di supporto, coordinatori infermieristici. Al termine degli incontri formativi/informativi e comunque prima dell’inizio dello studio si valuterà l’apprendimento del personale
coinvolto tramite la somministrazione di un
questionario per verificare l’acquisizione
degli elementi cardine del progetto ai fini
della sua realizzazione.
Tecnica sterile: La tecnica sterile e l’utilizzo di materiale sterile vengono indicate
da tutte le linee guida (Lazzari, 2010). In
particolare le CDC (2009) raccomandano
l’uso di tecnica asettica e materiale sterile
specificando come ambito di applicazione
quello ospedaliero (Categoria IB).
Provvedere alla riservatezza della persona, spiegare alla persona in modo dettagliato i vari passaggi della procedura per
ottenere una maggiore compliance e ridurre lo stato di ansia che la procedura
può generare.
• Eseguire un lavaggio appropriato delle
mani.
• Indossare guanti monouso ed seguire
l’igiene perineale e genitale, se il paziente non è autosufficiente.
• Eseguire nuovamente un lavaggio appropriato delle mani al termine della procedura.
• Coprire tutte le zone tranne il perineo,
far assumere alla persona la posizione
supina con gli arti inferiori divaricati e
gambe flesse ruotate esternamente per
la donna mentre nell’uomo far divaricare
24
PAGINA
gli arti inferiori.
• Posizionarsi a destra del paziente se l’infermiere è destrimane, a sinistra se è
mancino.
• Provvedere ad un’adeguata illuminazione.
• Preparare il carrello senza contaminare
il materiale.
• Prendere il catetere, rimuovere la confezione dal lato opposto alla punta e collegare il cono della siringa pre-riempita
con acqua distillata o fisiologica alla
parte terminale del catetere,quindi iniettare la soluzione per provare la funzionalità del palloncino.
• Collegare la parte terminale del catetere
alla sacca di raccolta.
• Bagnare le garze di soluzione antisettica.
• Indossare guanti sterili.
• Detergere il meato (la mano non dominante è da considerarsi contaminata nel
momento in cui tocca la cute del paziente).
a. Donna: Utilizzare la mano non dominante per divaricare le grandi labbra. Assumere una posizione ferma ma delicata.
Prendere le pinze anatomiche con la mano dominante e afferrare una garza imbevuta di disinfettante per detergere un lato
delle grandi labbra, dall’alto verso il basso.
Ripetere la procedura per le piccole labbra. Usare un’altra garza per detergere il
meato. L’antisettico può rendere i tessuti
scivolosi ma non bisogna consentire alle
grandi labbra di ricoprire il meato urinario.
b. Uomo: Utilizzare la mano non dominante per mantenere il pene fermo e perpendicolare all’addome (mantenendo il
pene diritto si allinea anche l’uretra). Con
la mano dominante, afferrare una garza
imbevuta di disinfettante e detergere dal
centro del meato con un movimento circolare intorno al glande. Fare attenzione a
non contaminare la mano sterile mentre si
detergono i genitali del paziente. Prendere
una nuova garza e ripetere la procedura
per tre volte.
• Afferrare il catetere con fermezza e applicare alla punta del catetere il gel lubrificante.
• Chiedere alla persona di inspirare profondamente e lentamente e inserire il catetere mentre espira. Una leggera resistenza mentre il catetere attraversa gli
sfinteri è normale. Se necessario, ruotare il catetere e applicare una leggera
pressione mentre lo sfintere si rilassa
• Far avanzare il catetere fino a quando
l’urina inizia a defluire per essere sicuri
che sia entrato tutto in vescica.
Utilizzare un nuovo catetere sterile se il
presidio si è contaminato accidentalmente. Il catetere contaminato nel caso della
Infermiere a Pavia
donna può essere lasciato in vagina finché
non viene inserito quello nuovo per distinguere l’apertura vaginale dal meato urinario.
• Gonfiare il palloncino con il volume di liquido indicato, in caso di catetere a permanenza
• Senza lasciare il catetere, tenere la valvola di riempimento tra le dita della mano non dominante mentre si collega la
siringa e si gonfia il palloncino con la
mano dominante. Se la persona lamenta fastidio aspirare il liquido, far avanzare il catetere in avanti e gonfiare nuovamente il palloncino
• Tirare delicatamente il catetere finché
non si avverte una resistenza, per assicurarsi che il palloncino sia gonfiato e
posizionato sul trigono vescicale
• Assicurare il tubo all’interno della coscia
nelle donne, o alla parte superiore della
coscia negli uomini senza tirare, per favorire la mobilizzazione. Inoltre assicurare il tubo di raccolta alle coperte del letto e appendere la sacca sotto il livello
della vescica (Kozier et al., 2011).
Tecnica pulita no touch: Nella tecnica
pulita no-touch verranno utilizzati guanti
puliti (Mongardi et al., 2011), acqua e sapone per la pulizia del meato prima dell’inserimento del presidio, gel lubrificante, catetere e sacca di drenaggio sterile e acqua
del rubinetto per il gonfiaggio del palloncino (Dunn et al., 2000). L’alternativa di utilizzare acqua e sapone per la pulizia del
meato urinario, invece del disinfettante, è
supportata da diversi studi presenti in letteratura: sono state messe a confronto le
principali soluzioni di pulizia periuretrale
(acqua sterile VS iodio-povidone al 10%
(PVP-I), acqua non sterile VS PVP-I, acqua
sterile VS clorexidina 0,05%, acqua non
sterile VS clorexidina 0,1%) senza che fossero evidenziate differenze statisticamente
significative nell’incidenza delle infezioni
delle vie urinarie (Ercole et al., 2013).
L’utilizzo di acqua di rubinetto per gonfiare il palloncino di ancoraggio del catetere vescicale non è associato ad una maggiore incidenza di CAUTI in studi che confrontano la tecnica pulita non sterile e la
tecnica sterile (Carapeti et. al., 1994; Loockwood et al., 2011).
La procedura di inserimento è la stessa
usata per il cateterismo sterile, con l’utilizzo del metodo no-touch per i presidi sterili (catetere vescicale e sacca di drenaggio). Tale metodo è da considerarsi una
tecnica asettica in quanto prevede l’astensione da qualunque contatto tra materiale
pulito e le parti essenziali dei presidi sterili
(Carapeti et al., 1996; Trigg et al., 2006).
Infatti l’utilizzo di tecniche asettiche con
materiale sterile rimane il caposaldo rac-
comandato nelle principali linee guida sulla prevenzione delle infezioni delle vie urinarie nell’ambito delle strutture sanitarie.
MATERIALI E METODI
Il percorso si è svolto dapprima implementando la ricerca bibliografica consultando le banche dati biomediche ed infermieristiche PubMed, Cinahl e Cochrane Library presso la Biblioteca di Infermieristica
della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico
San Matteo di Pavia. Le parole chiave utilizzate sono state indwelling catheter, urinary tract infection, sterile technique, cost.
L’analisi statistica è stata curata della
Dr.ssa Luigia Scudeller afferrente la Direzione Scientifica I.R.C.C.S. Policlinico San
Matteo di Pavia.
Cateterismo sterile VS pulito no
touch: Principalmente si identificano tecnica sterile e tecnica pulita. Per la prima è
previsto l’utilizzo di materiale sterile, viene
eseguita nel teatro operatorio e praticata
nei reparti di degenza utilizzando i principi
vigenti nelle linee guida internazionali. La
seconda, la tecnica pulita, prevede l’uso di
materiale non sterile, viene praticata dall’operatore con guanti non sterili ed è utilizzata nel cateterismo ad intermittenza in
ambito domiciliare (vahr R. et al.,2013;
Matteucci, 2013). Entrambe le tecniche
sono touch, quindi il catetere viene toccato durante l’inserimento in uretra. Resta
invece irrisolta la questione sull’uso della
tecnica no-touch per il cateterismo a breve
permanenza che necessita di ulteriori ricerche (Geng et al., 2012; Ercole et al.,
2013).
RISULTATI
Il progetto di ricerca prevede il confronto tra la tecnica sterile touch sopra citata e
la tecnica pulita no-touch con materiale
monouso non sterile ad eccezione di catetere vescicale e sacca di drenaggio, entrambi necessariamente sterili nel cateterismo a breve permanenza (Lazzari et al.,
2010; Tambyah and Oon, 2012). Il presupposto razionale del progetto risiede
nell’evidenza che non è dimostrata una riduzione dell’incidenza di CAUTI (infezione
vie urinarie associate a catetere vescicale)
utilizzando la tecnica sterile (Dunn et al.,
2001) e che non si rilevano differenze statisticamente significative nell’incidenza
delle CAUTI utilizzando la tecnica pulita
(non-sterile) o quella sterile. I risultati del
progetto potrebbero garantire vantaggi
economici in termini di tempo-operatore e
di spesa; infatti il costo complessivo della
procedura sterile risulta superiore al doppio del costo della procedura pulita (Carapeti et al., 1994). È necessario considerare che gli studi su cui si basano i presup-
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Numero 4/2013
Fig.1 MATERIALE: telo, garze sterili, catetere, sacca di drenaggio, siringa 10 ml acqua, gel lubrificante.
Fig.2 CIRCUITO CHIUSO E PROVA DI FUNZIONALITA’ DEL PALLONCINO
Fig.3 APPOSIZIONE DEL GEL SU GARZA STERILE
Fig.4 LUBRIFICAZIONE URETRA MASCHILE
Fig.5 MANIPOLAZIONE DELLA GARZA: il guanto
pulito tocca solo la superficie della garza a contatto con il telo, la superficie con il gel lubrificante rimane sterile
Fig.6 LUBRIFICAZIONE DEL CATETERE
Fig.7 Trattenendo il catetere dalla punta tramite la
garza, scoprire il catetere dall’involucro, arricciandolo verso la coda.
Fig.8 INTRODUZIONE DEL CATETERE
Fig.9 A livello dell’uretra bulbare, abbassare il pene orizzontalmente e proseguire l’introduzione retraendo l’involucro.
Fig. 10 GONFIAGGIO DEL PALLONCINO
Fig. 11 VERIFICA ANCORAGGIO
Fig. 12 RIMOZIONE DELL’INVOLUCRO ESTERNO
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posti razionali del progetto contengono alcune limitazioni strutturali.
Carapeti
(1994) da una parte riporta risultati di confronto tra cateterismo sterile e cateterismo
pulito condotti in sede preoperatoria e protratti al terzo giorno post-operatorio, dall’altra non fornisce adeguati dettagli sulle
caratteristiche della popolazione e dell’eventuale associazione di antibiotico profilassi.
Adeguate misure sono state adottate al
fine di superare le suddette limitazioni e
migliorare la qualità e la solidità del progetto.
CONCLUSIONI
Le infezioni nosocomiali hanno una ricaduta in morbilità e mortalità e rappresentano un peso economico considerevole sul
settore sanitario, sui pazienti e su coloro
che se ne prendono cura (Plowman et al.,
2001). Studi di prevalenza rilevano che in
generale le infezioni delle vie urinarie (UTI)
sono il tipo di infezione nosocomiale più
comune e rappresentano tra il 21-45% di
tutte le infezioni ospedaliere. Studi relativi
ad UTI suggeriscono che tali infezioni insorgono tra l’1-3% dei pazienti ricoverati
sia in reparti di medicina che di chirurgia,
mentre un altro studio riferito specificamente ad infezioni che si verificano in pazienti ricoverati ed operati in chirurgia, urologia, ginecologia e ortopedia ha rilevato
che il 6,3% dei pazienti ricoverati ha contratto una UTI. Il catetere urinario è un fattore di rischio chiave in queste infezioni ed
è direttamente correlato all’80% dei casi di
UTI nosocomiali. Questo fa capire come le
infezioni ospedaliere impongono significative conseguenze economiche sul sistema sanitario di un Paese (Douglas Scott
II, 2009). Oltre agli oneri legati alla cura
delle infezioni si aggiungono quelli relativi
ai materiali utilizzati per la procedura e la
gestione dei presidi. Per minimizzare tale
dispendio di risorse economiche occorrerebbe sia prevenire il numero delle infezioni sia poter ridurre gli oneri legati alle procedure. In particolare, per la prevenzione
delle CAUTI, rimangono fondamentali le
raccomandazioni riguardanti l’uso appropriato del catetere che prevedono la valutazione della effettiva necessità di introdurre il presidio, la sua corretta gestione e la
rimozione dello stesso il prima possibile
(Gould et al.,2009); per i costi relativi alla
procedura se si potesse utilizzare la tecnica pulita no-touch, probabilmente sia il costo in termini di tempo-operatore che di
materiali, verrebbero dimezzati. Nello studio di Carapeti (1994) la differenza di costo tra le due tecniche di inserzione del catetere era notevole, infatti la tecnica sterile
costava ben più di due volte della tecnica
non sterile pulita. Questo dato, rapportato
Infermiere a Pavia
al gran numero delle procedure eseguite
nei teatri quotidiani, si traduce in un risparmio significativo sul lungo. Tali risparmi sono chiaramente auspicabili nel clima attuale di restrizioni finanziarie. Se il seguente
studio, quindi, dovesse riportare differenze
non statisticamente significative nell’incidenza delle infezioni delle vie urinarie, permettendo così l’utilizzo della tecnica pulita
no-touch, si potrebbero trarre vantaggi
economici immediati riguardanti materiali
e tempo impiegato per il compimento della procedura, aggiungendo inoltre l’oppor-
tunità di affrontare nuovi studi sulle infezioni delle vie urinarie partendo da presupposti differenti da quelli fino ad oggi considerati.
L’autore
* Infermiera neolaureata
c/o Università degli Studi di Pavia
bibliografia
– Carapeti EA., Andrews SM., Bentley PG., “Randomised study of sterile versus non-sterile urethral catheterisation”,
Ann R Coll Surg Engl., 1996 Jan;78(1):59-60.
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Infections, Division of Healthcare Quality Promotion Centers for Disease Control and Prevention Atlanta, GA; Center for Evidence-based Practice University of Pennsylvania Health System Philadelphia, PA; Division of Infectious
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<http://www.cdc.gov/hicpac/pdf/CAUTI/CAUTIguideline2009final.pdf>, (Ultima Consultazione 08/10/2013).
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– Mongardi M., Melotti R., Cappellini V., Ballini L., De Palma A., Mosci D., Paghetti A., Venturelli C., Sarti M., Tucci
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– Trigg Ethel, Mohammed Toby A., Practices in children nursing: Guidelines for hospital and community, Edinburgh;
New York: Elsevier Churchill Livingstone, 2006.
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Consultazione 10\10\2013).
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Numero 4/2013
Educare ai valori
La cinematografia come
strumento didattico
Key words: regole metafore valori
* Paola Ripa
“Se vuoi costruire una barca,
non radunare uomini per tagliare
la legna, dividere i compiti
e impartire ordini, ma insegna loro
la nostalgia per il mare
vasto e infinito.”
De Saint-Exupery
RIASSUNTO
La cinematografia come metodologia
didattica per produrre e sperimentare
processi d’individuazione di valori e regole della professione infermieristica.
SUMMARY
The film as a teaching method to produce and test processes of identification of values and rules of the nursing
profession.
Mi sono sempre chiesta come mai, in
un’epoca nella quale la tecnologia imperversa, non si potesse pensare di poterla
sfruttare come strumento di risorsa anziché
come ostacolo. Trovo tutto estremamente
faticoso ma affascinante, un po’ come se
ogni episodio della vita fosse così paradossale da essere ogni qual volta un ossimoro.
Sono le tre di notte; l’afa si è impossessata del buio, delle ombre, dei pensieri.
Tutto è immobile. Troppo dispendio
d’energia muoversi. Non dormo, spesso
non riesco a prendere sonno ma questa
notte è peggio del solito.
Il silenzio, le tenebre e il caldo mi annebbiano la mente. Il tarlo del mio ruolo è assordante.
Lavora, corrode, non mi lascia quietare. Il
groviglio della mia mente è dettato dal ruolo che occupo. Essere un formatore o fare
formazione? Sono la stessa cosa? È davvero importante arrivare ad una definizione
che possa discriminarle oppure integrarle?
Troppi interrogativi e poche risposte se
non quella che essere un formatore non
sia fare formazione. È qualcosa in più, è
complicato e complesso. Un processo dinamico che ti costringe ogni volta a metterti in gioco, a misurare le tue conoscenze con le tue capacità con le conoscenze
e le capacità dei componenti dell’aula. Un
incontro di saperi, di relazioni di aspettative per “andare oltre”; non sempre importa
dove ma “un po’ più in là”.
Ed è così che nasce questo racconto. La
voglia è di spingersi, di sperimentare, di
azzardare un approccio fuori dagli schemi
comuni normalmente adottati con l’utilizzo
di cinematografia e metodologia didattica
audiovisiva, fuori dai classici temi sanitari.
SCENARIO
Prendiamo un libro, meglio il film che
s’ispira ad un libro e con l’aiuto di un lettore
che faciliti l’individuazione di metafore si propone una riflessione sulle principali tematiche correlate alla professione infermieristica.
ObIETTIvO
Sensibilizzazione e sperimentazione alla
comprensione e alla valorizzazione dell’uomo, dei suoi aspetti sociali in particolar
modo delle regole.
LA STORIA
Il film che andremo ad utilizzare in questa sperimentazione è tratto dal romanzo
del 2009“Educazione siberiana” dello scrittore russo Nicolai Lilin. Lo scrittore del libro è autore e protagonista della vicenda
che narra il modus vivendi della popolazione criminale siberiana dopo la deportazione subita ad opera del regime Stalinista.
vERSIONE LETTERARIA
Questa comunità si caratterizza da leggi
interne non scritte ma rigidamente osservate pena l’espulsione della comunità
stessa. Tutti coloro che ne fanno parte sono tenuti ad osservarle. Esistono i divieti
assoluti di stupro e strozzinaggio; lo spaccio di stupefacenti, i furti e le rapine sono
consentiti se compiuti nei confronti dello
stato e dei ricchi; l’omicidio è autorizzato
se giustificato da una giusta causa. L’omosessualità attiva e passiva in carcere è
proibita. Lilin descrive inoltre la complessa
simbologia dei tatuaggi siberiani. I membri
della comunità siberiana si autodefiniscono ‘criminali onesti’ e sono molto temuti in
tutta la Russia, rivaleggiando con gli appartenenti a “Seme nero”, organizzazione
criminale potente e capillare considerata
in linea di massima come la mafia russa.
vERSIONE CINEMATOGRAfICA
Nella comunità siberiana, in un povero
villaggio, il protagonista Kolima vive
un’amicizia adolescenziale fraterna con il
coetaneo Gagarin sotto l’attenta supervisione del nonno e capo della comunità siberiana. Personaggio istrionico e carismatico, riconosciuto e riverito da molti, insegna ai ragazzi come la vita debba essere
affrontata nel rispetto di rigide regole e di
valori indiscutibili. I due giovani, insieme
ad altri due ragazzi facenti parte della
compagnia, apprendono così l’importanza
dei tatuaggi, del rispetto nei confronti dei
deboli, imparano che i “matti” non sono
pazzi ma “voluti da Dio” e quindi protetti e
tutelati come bene prezioso. Nutrono il disprezzo di alcune categorie sociali come
polizia, banchieri, spacciatori ed usurai. La
vita sembra procedere “tranquilla” ma un
giorno, durante un furto organizzato dai
ragazzini ai danni dell’esercito russo, Ga-
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Infermiere a Pavia
Gagarin, nel perfetto stile siberiano, accetta la sua sorte senza opporvisi.
IL PROGETTO DIDATTICO
Il laboratorio didattico pensato su un arco di tempo di 4 ore d’aula ha l’obiettivo di
condurre alla riflessione e al riconoscimento di aspetti etici, organizzativi, relazionali
ed emotivi che possano essere individuati
nel film al fine di migliorare un pensiero
flessibile e una capacità di assessment.
L’attività prevede un’introduzione con
condivisione degli obiettivi d’apprendimento e del mandato del testo filmico da analizzare con l’aiuto di una griglia di lettura.
Il discente deve, con l’aiuto del docente,
lasciarsi trascinare e farsi catturare dalla
storia per vivere le emozioni e riconoscere
e comprendere passaggi significativi della
pellicola che possano essere discussi in
plenaria dopo un’elaborazione personale.
garin viene catturato e condannato a sette
anni di galera. Questa esperienza gli farà
incontrare il “seme nero” che cambierà il
decorso della sua storia, rendendola sempre più violenta come anche di quella delle persone che conosce. Quando torna al
paese di confino dai vecchi amici nella comunità siberiana per qualche anno le cose
sembrano andare bene, tanto che i quattro
ragazzi vivono abbastanza serenamente,
grazie anche alla presenza di Xenya, ragazza dalla mente puerile quasi ritardata,
figlia del nuovo medico del quartiere. Poi
le cose peggiorano; una notte di alluvione,
durante il tentativo di recupero di alcuni
oggetti trascinati dal fiume straripato, uno
dei quattro amici di Gagarin e Kolima muore affogato, Gagarin spinto dal desiderio di
facili guadagni, si perde nel tunnel della
droga e della “nuova criminalità organizzata” della città russa gestita dal seme nero,
arrivando a violentare e percuotere Xenia
che subirà un trauma psichico irreversibile. Anche Kolima nel frattempo conosce il
carcere perché fermato senza documenti,
ma grazie alla sua vena artistica diventa tatuatore scrivendo sui corpi gli episodi della storia degli uomini. Scarcerato dopo
qualche anno grazie ad una intercessione
del nonno capo villaggio, al ritorno a casa
scopre le amare vicende accadute durante la sua assenza e riceve ordini dal nonno
di seguire le regole siberiane che gli sono
riassunte con la seguente frase: “la fame
va e viene, la dignità una volta persa non
torna più… questo è il bene più prezioso”.
Seguendo quindi le istruzioni del nonno,
si arruola nell’esercito russo in modo da
scovare l’amico che nel frattempo aveva
scelto la clandestinità diventando uno spietato contrabbandiere di droga. Dopo un lungo periodo di caccia all’uomo lo trova e seguendo un rituale ben preciso lo affronta gli
spiega perché lo deve uccidere e gli spara.
GUIDA ALLA DISCUSSIONE
Il film rappresenta la sopravvivenza in
una terra di abusi e violenze di un gruppo
di persone che ghettizzate organizzano la
loro comunità mantenendo vive le tradizioni e il rispetto reciproco per l’altro. L’altro
dal canto suo, ad eccezione del debole e
dell’indifeso che devono essere salvaguardati, anche a costo della propria vita, deve
abbracciare le consuetudini, le norme, le
regole, la gerarchia.
La griglia di lettura del testo deve far
emergere, attraverso un’attenta osservazione e una riflessione critica come la metafora raccontata dal nonno sulla vita dei
lupi possa far emergere il concetto di dignità, personale e professionale: «La fame
viene e scompare ma la dignità una volta
persa non torna mai più».
Il significato dei tatuaggi, l’esercizio
estenuante per apprendere l’arte del tatuatore, la lettura della simbologia che immortala gli episodi del soggetto che viene tatuato può essere utilizzata come metafora
della pianificazione che l’infermiere deve
effettuare per ogni paziente.
Il riconoscimento dei ruoli, delle gerarchie, del bene che spesso è alterato, quasi patologico richiama il concetto di organizzazione che vive in armonia con i suoi
componenti in cui il quieto vivere del singolo è sicurezza di benessere collettivo.
È toccante il passaggio in cui Xenia si
avvicina a Kalim con il tipico ardore adolescenziale ed è così delicatamente irruente
la modalità con la quale il ragazzo la respinge. Lui sa che la ragazza non è del tutto consapevole per cui, non la deve toccare ma solo rispettare e proteggere. Sarebbe sensazionale trasferire questo concetto
con tutti i nostri utenti fragili, incompresi,
incapaci di comunicare il loro sé in modo
da farsi capire.
CONCLUSIONI
Comincia ad albeggiare, e l’ipotesi di
usare questo film “sui generis” prende
sempre più corpo.
In una struttura di laurea come quella di
infermieristica dove il nozionismo imperversa, l’idea di utilizzare mondi paralleli come cinema arte letteratura musica, diventa
sempre più una via di fuga e al tempo stesso una presa di coscienza per coinvolgere
lo studente.
E’ essenziale anche per il docente in
quanto consente di pensare e di pensarsi
in una realtà professionale che ha bisogno
d responsabilizzarsi e confrontarsi con
una società che antropologicamente cambia le sue caratteristiche e necessita di revisione delle regole di interazione.
Non si può però dimenticare che questo
genere di sperimentazione richiede una
preparazione alla conduzione da parte del
formatore che, non può improvvisare ma
deve mantenere un costante filo di congiunzione con l’obiettivo proposto evitando di
esporre lo studente ad un collasso emotivo.
bibliografia, cinematografia
– Lilin N. Educazione siberiana. Torino: Einaudi, 2009
– Kaneklin C. Scaratti G. Formazione e
narrazione. Milano: raffaello Cortina Editore. 1998
– Malavasi P. Polenghi S. Rivoltella PC. Cinema, pratiche formative, educazione.
Milano :Vita e Pansiero, 2009
– Del buono M. Rappazzo P. L’altro sguardo. Narrazioni filmiche e formazione, in
Cappa F. Mancino E. (a cura di ), il Mondo, che sta nel cinema, che sta nel mondo, Milano : mimesis, 2005
– Salvatores G. Educazione Siberiana
2013
L’autore
* Coordinatore sezione di corso di laurea in infermieristica
Università degli studi di Milano
Sede Ospedale San Giuseppe
via San vittore 12 Milano
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Numero 4/2013
Da infermiera a paziente,
vi racconto la mia seconda vita
Luisa Pasini, 40 anni, è ora su una sedia a
rotelle e porta la sua testimonianza di coraggio
* Daniela Scherrer
(a cura di)
Pavia. “Al di là della sofferenza che porto dentro di me, questa esperienza mi ha
dato qualcosa di importante, perché mi ha
fatto capire che nel mondo c’è ancora tanta gente disposta a donare affetto in modo
gratuito. Ero una donna molto rigida, quadrata, costantemente alla ricerca della perfezione, ora ho imparato a dare meno valore all’estetica delle cose. Posso dire di
sentirmi più ricca dentro: il mio corpo si
muove poco ma con gli occhi osservo
molto”.
Luisa Pasini, 40 anni, pavese residente a
Ca’ de Vecchi, una piccola frazione di Torre d’Isola, sta cominciando a muovere i
passi della sua seconda vita. La prima si è
interrotta lo scorso 26 marzo, sul raccordo
tra Bereguardo e Pavia, quando la sua
Ford Fiesta si è schiantata con violenza
inaudita contro il guard-rail.
Luisa si è salvata quasi miracolosamente: tre settimane di coma in quella Rianimazione II del Policlinico San Matteo dove
lavorava da undici anni, poi il risveglio circondata dai volti dei colleghi del reparto e
l’amara scoperta di una lesione midollare
per cui riusciva solo a vedere il suo corpo
ma non più a sentirlo.
“Quando ho aperto gli occhi e mi sono
ritrovata in un letto della “mia” Rianimazione non ricordavo nulla di quanto fosse accaduto – spiega Luisa – il fatto di essere infermiera sicuramente mi ha consentito di
realizzare immediatamente la gravità della
situazione: sapevo bene, infatti, che cosa
significasse una lesione midollare e che
conseguenze avesse.
Per il resto, però, mi sono trovata nell’identica situazione di coloro che fino al
giorno prima erano miei pazienti: stesse
paure, stessi momenti di sconforto, stessa
voglia di aggrapparsi a quel filo di speranza anche irrazionale. Sono passata insomma dall’altra parte”.
Chiediamo a Luisa come si sia sentita a
ricevere, nella veste di paziente, le cure
prestate da colleghi con i quali aveva condiviso fino a poco prima l’impegno per salvare le vite degli altri.
“La realtà è che non mi sono mai sentita
paziente, ma una persona accudita con
tanto amore, assistita da amici partendo
dal primario fino al personale ausiliario.
Nella sventura ho avuto il privilegio di non
vivere il distacco professionale tra camice
bianco e degente e questo mi ha fatto ulteriormente capire quanto sia importante
l’approccio umano”.
Luisa, tra l’altro, ha sempre vissuto la
sua professione con una carica umana
particolare. Proprio la voglia di essere al
servizio dei pazienti più critici ha segnato
tutta la sua carriera infermieristica: la terapia intensiva all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano fino al 2000, poi la Neurochirurgia al San Matteo di Pavia e infine la
Rianimazione II.
“Ho sempre avuto a cuore il connubio
tra la gestione professionale e umana del
malato, ma anche dei familiari, che in questo tipo di reparti sono un anello fondamentale della catena di recupero – ammette – e mi piaceva il fatto che queste aree
critiche fossero le uniche dove medici e infermieri lavorano all’unisono, senza rapporti di subordinazione”.
Ora Luisa è tornata nella sua casa di Ca’
de Vecchi, dopo sei mesi di riabilitazione
all’Unità Spinale del Niguarda a Milano. È
sulla sedia a rotelle, ma la sua forza di volontà ha già portato a grandi risultati: riesce a mangiare da sola, nuota, tira con
l’arco, con la carabina, pratica l’hand-bike.
Ammette che la fatica maggiore è quella di
accettare la dipendenza da altre persone.
Lei, sempre così fiera della proprio autonomia.
“Ora sono stata catapultata dall’altra
parte. Ma proprio questo, con grande stupore, mi ha fatto capire di avere molti più
amici di quel che pensassi. Anche colleghi
che ogni giorno rinunciano al loro tempo
libero per me. Grazie a loro ho trovato la
forza di guardare al futuro, imparando a
procedere a piccoli passi.
Ho ancora paura, non immagino neanch’io fin dove potrà arrivare il mio recupero, ma ora so che la mia vita avrà ancora
qualità se nel mio piccolo riuscirò ad essere di aiuto aprendo il cuore a chi si trova
L’autore
* Giornalista Professionista de Il Ticino di Pavia
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Infermiere a Pavia
VI Conferenza Nazionale
delle politiche della
professione Infermieristica
La mappa di un percorso
Il puzzle economico. Il trend di sistema.
Le riflessioni professionali:
gestione, clinica formazione
* Piera bergomi
In data 28 e 29 novembre 2013 a Firenze si è svolta la VI Conferenza Nazionale
delle politiche della Professione Infermieristica organizzata dalla Federazione IPASVI.
L’obiettivo della Conferenza è stato di riflettere sulle possibili strategie della professione infermieristica per affrontare le
criticità determinate dalla crisi economica
e sociale, gestirne gli effetti ed individuare
le opportunità. Gli elementi di razionalizzazione e di innovazione di cui la professione è portatrice sono determinanti per la
sostenibilità dell’intero sistema sanitario: la
valorizzazione della professione infermieristica costituisce un argine alla crisi e una
risorsa per la tenuta del sistema in logica
di equità, solidarietà sociale e qualità assistenziale. L’innovazione gestionale pro-
posta dagli infermieri è uno strumento efficace per contrastare la logica dei tagli e la
sua realizzazione comporta un utilizzo di
risorse più coerente con i bisogni della popolazione.
La valorizzazione delle competenze cliniche dell’infermiere è l’elemento chiave
per ridefinire le risposte in termini di appropriatezza e puntare ad esiti di qualità.
Nelle due giornate si sono succeduti relatori, quali Annalisa Silvestro, Davide Croce, Paola Del Bufalo, Carla Collicelli, Daniela Volpato, Mario Del Vecchio, Emilia
Grazia De Biasi, Luca Coletto.
La Presidente Annalisa Silvestro in conclusione ha posto delle riflessioni sul documento sulle competenze specialistiche
degli infermieri che nonostante debba ancora essere approvato ha comunque alcuni punti fermi che sono stati condivisi anche all’interno del Consiglio Nazionale IPASVI con tutti i Presidenti Provinciali, in particolare:
•
si alla centralità della
persona assistita,
•
si alla pari dignità dei
professionisti che ruotano attorno alla persona e ai suoi bisogni
di cura e di assistenza,
• si all'innovazione dei percorsi
curativi ed assistenziali per la sostenibilità del SSN,
• no a qualunque forma di veto
sullo sviluppo della nostra disciplina,
• no ad ogni mistificazione del
ruolo dell'assistenza infermieristica e della funzione degli infermieri,
• no ad ogni tentativo di tirare
indietro le lancette dello nostro
sviluppo scientifico e del nostro
ulteriore percorso di professionalizzazione.
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Numero 4/2013
Atto Medico,
atto Infermieristico,
atto Sanitario:
è tempo di chiarezza!!
Un contributo epistemologico
Keyword: atto Medico, atto Sanitario,
atto Infermieristico
* Duilio Loi
RIASSUNTO
Come in ogni processo culturale, cambiamenti e modificazioni, avendo bisogno di essere “metabolizzati” provocano fermenti e discussioni tra le parti interessate.
E’ quanto sta accadendo nelle Professioni Sanitarie; un mondo in continua
evoluzione, dove i protagonisti essendo portatori di interessi non sempre
coincidenti, manifestando le proprie
posizioni, rischiano di non esprimerne
i contenuti in forma comprensibile.
Questo articolo vuole e fare chiarezza,
sui termini: atto medico, atto infermieristico e atto sanitario, inglobando e
mettendo in risalto i mutamenti giuridici e professionali che hanno interessato e accompagnato le professioni sanitarie e in particolare, l’infermieristica
negli ultimi 20 anni, sotto il profilo concettuale e contenutistico.
Un contributo epistemologico che si
prefigge di arricchire il panorama esistente e riportare la dialettica verso posizioni equilibrate, gettando un ponte
verso il futuro.
Il dibattito politico professionale di queste ultime settimane, tocca un tema di particolare rilevanza: le competenze degli Infermieri; argomento sollevato da parte
delle maggiori rappresentanze Sindacali
di categoria Medica1 (Anaao Assomed, Cimo-Asmd, Aaroi-Emac, Fvm, Fassid, Cisl
medici, Fesmed, Anpo-Ascoti-Fials medici,
Sds Snabi, Aupi e Sinafo), le quali hanno
manifestato un’aspra reazione, racchiusa
in una “letteraccia” indirizzata al Ministro
della Salute e agli organismi istituzionali
interessati.
In estrema sintesi: medici indignati, che
denunciano uno sconfinamento nelle “loro” competenze, adducendo addirittura un
esercizio abusivo di professione, da parte
degli Infermieri.
Una presa di posizione forte, aggressiva
e poco comprensibile nei contenuti, dal
momento in cui già ampio dibattito era staSUMMARY
Medical Care, Nursing Care, health
Care: time for clarity!
An epistemological contribution
As in any cultural process, changes
and modifications – needing to be metabolized – induce turmoil and discussions between the parties concerned.
This is indeed happening in the Health
Professions, a world in constant evolution where the key actors, bearers of a
range of interests, may risk to not express their views effectively.
This article intends to clarify the terms
‘Medical Care’, ‘Nursing Care’, and
‘Health Care’, and to give an insight into the legal and professional changes
that have affected Health Professionals
in general and Nursing Care in particular over the past 20 years.
We give an epistemological contribution which aims to open new avenues
for future practice by enriching current
surveys and moderating case discussions.
to speso al riguardo, le parti avevano avuto modo di far valere le reciproche posizioni e il tutto era ormai assodato e da tradurre in atti concreti.
Non essendo interessato a raccogliere
provocazioni, tantomeno ad alimentare
una polemica inutile, nell’attesa che nelle
sedi opportune si affronti e si chiuda la vicenda, vorrei invece esprimere in quanto
Infermiere attraverso contenuti oggettivabili, un fattivo contributo sull’attuale significato di: atto medico, atto infermieristico e
atto sanitario, con la sana intenzione di
portare un contributo in termini di chiarezza.
Uno stimolo verso questa direzione, me
lo fornisce il Sociologo Ivan Cavicchi, autorevole osservatore delle professioni sanitarie, il quale, nell’effettuare un’analisi2
sullo scenario appena ricordato, pone alla
questione cinque punti di critica, il primo di
essi, verte proprio sulla necessità (che lo
stesso Cavicchi definisce prioritaria e strategica), nel definire e distinguere le peculiarità delle figure professionali sanitarie, in
specifico Medico e Infermiere: “prima di
parlare di competenze si dovrebbero defi1) Lettera Intersindacale del 20 novembre 2013 indirizzata a: Ministro della Salute, Presidente Conferenza
Stato Regioni, Coordinatore Commissione salute delle Regioni, Presidente Comitato di Settore Comparto
Sanitario.
2) Medici e Infermieri alla “guerra” delle competenze,
Quotidiano Sanità, 3 dicembre 2013
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Infermiere a Pavia
nire i soggetti professionali quindi le loro abilità, le loro autonomie,
le loro responsabilità e le loro relazioni con gli altri.”
Che a seguito di una lettura sociologica si pongano dei punti di
“critica” ad uno scenario così complesso, è sicuramente stimolante in termini di riflessione, soprattutto se pensiamo alla possibile asincronia tra il “previsto” a livello normativo e il “realizzato”,
nei luoghi di lavoro.
Di sicuro le tempistiche che contraddistinguono i cambiamenti
culturali, sono decisamente più lente rispetto all’emanazione di
leggi e dal momento in cui cominciano a riemergere nuovi fermenti, è giusto presidiare e monitorarne le evoluzioni e al tempo
stesso, promuovere chiarezza.
Arrivando
nel
1994 il DM 739 ed
essendo stati regolamentati con medesima modalità altri 21 profili professionali, si apre la
strada per una straordinaria oltre che
epocale, revisione
degli assetti, che si
completerà
nel
1999 con la legge n° 42, attraverso la quale decade il vincolo di
“ausiliarietà”, come visibile nelle figure 2 e 3 .
RD n° 1265 - T.U.L.L.S. 1934
PROFESSIONI SANITARIE PRINCIPALI
Medici- Veterinari - Odontoiatri - Framacisti
PROFESSIONI SANITARIE AUSILIARIE
TDR - Infermieri professionali - Ostetriche
Tecnici di Radiologia - Tecnici di laboratorio
ARTI AUSILIARIE DELLE PROFESSIONI SANITARIE
Infermieri generici - Puericultrici - Odontotecnici
Massoterapisti - Ottici
EffETTO LEGGE 42/99 su T.U.L.L.S. 1934
PROFESSIONI SANITARIE
Medici- Veterinari - Odontoiatri - Framacisti
TRD (Fisioterapisti - Infermieri professionali (Infermieri)
Ostetriche - Tecnici di Radiologia - Tecnici di laboratorio
Tempo di chiarezza
Per comprendere appieno differenze e distinzioni di cui oggi si
parla e anche le resistenze al cambiamento (attuale oggetto del
contendere), è opportuno ricordare che più o meno fino a una
ventina di anni fa, atto medico e atto sanitario, erano praticamente coincidenti e sovrapponibili.
Tale simbiosi, legittimata da normative, oltre che da un consolidato storico, collocava il Medico in posizione “gerarchica” sovrastante rispetto a tutti gli altri “lavoratori” della Sanità.
Infatti nel TULLS3 (testo unico delle leggi sanitarie), gli appartenenti alle categorie sanitarie venivano classificati “gerarchicamente” in: Professioni Sanitarie Principali, Professioni Sanitarie
Ausiliarie e Arti Ausiliarie delle Professioni Sanitarie; nella figura 1
è possibile verificarne gli appartenenti.
AUSILIARIE DELLE PROFESSIONI SANITARIE
Infermieri generici - Puericultrici - Odontotecnici
Massoterapisti - Ottici
fig.2 e 3) effetto della legge 42/99
Ecco che “de jure”, viene superato ciò che “de facto” rappresentava già per molti un implicito ossimoro, ovvero, una professione in quanto tale, non può essere ausiliaria!!
In conseguenza di ciò, anche la “formazione alle competenze”
viene revisionata (ordinamento didattico), cosi come, i “comportamenti operativi” (codice deontologico), determinando gradatamente sia il consolidamento dell’atto infermieristico, sia la trasformazione dell’atto sanitario.
RD n° 1265 - T.U.L.L.S. 1934
PROFESSIONI SANITARIE PRINCIPALI
Medici- Veterinari - Odontoiatri - Framacisti
PROFESSIONI SANITARIE AUSILIARIE
TDR - Infermieri professionali - Ostetriche
Tecnici di Radiologia - Tecnici di laboratorio
ARTI AUSILIARIE DELLE PROFESSIONI SANITARIE
Infermieri generici - Puericultrici - Odontotecnici
Massoterapisti - Ottici
fig.1) appartenenti alle categorie sanitarie secondo il
TULLS del 1934
Atto medico, atto infermieristico, atto sanitario
Nonostante non esista una definizione classificatoria assoluta e
indiscutibile per identificare i tre termini, ci avvarremo a supporto
di normative, identificazioni categoriali e concretezza esperienziale, maturata nelle professioni sanitarie, come già ricordato nel testo “I principi dell’organizzazione professionale dell’Infermiere”4.
Atto Medico
Partiamo dall’atto medico, attorno al quale si sviluppano una
serie di orientamenti:
a) secondo la giurisprudenza
“…l’attività medica consiste nella formulazione di diagnosi, nel3) TULLS - testo unico delle professioni sanitarie, RD n° 1265/1934
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la indicazione di prognosi in relazione a malattie o disfunzioni del
corpo o della mente, in atto o prevedibili, nonché nella prescrizione di terapie e pratiche di prevenzione, con eventuale prescrizione di farmaci, nella manipolazione del corpo umano, sempre a
scopo curativo o preventivo, nella prescrizione o applicazione di
protesi o nella utilizzazione di qualsiasi altro diverso strumento curativo e preventivo, idoneo ad attivare o ad arrestare processi evolutivi o involutivi fisici e psichici”.
(sentenza n. 3403/1996 della Cassazione Sezione Penale sez. IV)
b) secondo i medici legali
“L’atto medico è tale da individuare i caratteri della patologia, le
modalità utili a curarla e/o prevenirla, le differenze fra lo specifico
quadro morboso ed altri che abbiano sintomatologia simile, le caratteristiche del trattamento necessario ed eventualmente le professionalità (diverse da quella medica) preposte e competenti ad
erogarlo, sostanzialmente individuando la nozione di atto medico
con quella di atto diagnostico e segnatamente teso alla diagnosi
differenziale” (G.A. Norelli, C. Buccelli, V. Finschi, Medicina legale e delle assicurazioni - 2009)
c) secondo le Associazioni di categoria Mediche
“L’atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al
fine di promuovere
la salute, prevenire
le malattie, effettuare diagnosi e
prescrivere cure
terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o
comunità,
nel
quadro
delle
norme etiche e deontologiche. L’atto
medico è una responsabilità
del
medico abilitato e
deve essere eseguito dal medico o
sotto la sua diretta
supervisione e/o
prescrizione“.
(Union Europèenne des Mèdicins
Specialist – UEMS
– 2006)
Volendo schematizzare i tre orientamenti, se ne può trarre uno
schema come riprodotto in figura 4.
Esercizio Professionale
“atto medico”
-
Valutazione diagnostica
Orientamento terapeutico
Assetto prognostico
...
fig.4) quadro di sintesi sull’esercizio professionale medico
avente come elemento fondamentale l’atto medico
In base a quanto sopra riportato, appare evidente -e lecito- che
tutte le figure professionali (ex professioni sanitarie ausiliarie), abbiano rivisto al proprio interno gli assetti legati a formazione, esercizio professionale in relazione di un’ottica di interdisciplinarietà.
Ne consegue pertanto la delineazione di atto infermieristico.
Atto Infermieristico
Analizzando i vari riferimenti normativi (DM 739/945; legge n°
42/19996; legge 251/20007 e i codici deontologici 19998 e 20099)
è possibile mettere in evidenza cosa si intende per atto infermieristico.
Secondo Annalisa Silvestro, Presidente della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI, sviluppando alcune riflessioni nel
“commentario” al codice deontologico 200910 definisce atto infermieristico, quel “complesso dei saperi, delle prerogative, delle attività, delle competenze e delle responsabilità dell’infermiere in
tutti gli ambiti professionali e nelle diverse situazioni assistenziali”.
Definizione oltre che condivisibile, fortemente sostenuta e supportata:
a) dalle normative sopra richiamate
b) da un costrutto teorico di riferimento
c) dalla consolidata declinazione operativa nel quotidiano
a) dal momento in cui - attraverso il DM 739/1994 - vengono
definiti ambiti, responsabilità e azioni, ci sono gli estremi normativi per tracciare la cornice di riferimento che assume in forma
chiara e ineludibile i confini operativi delle attuali competenze Infermieristiche; affermare che l’Infermiere:
– è responsabile dell’assistenza generale Infermieristica e che
l’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e
dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria.
– Identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e
della collettività e formula i relativi obiettivi
– pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico
– garantisce la corretta applicazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche;
se aggiungiamo che l’articolato di legge, includeva che:
la formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli Infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro
di fornire specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti
aree:
a) sanità pubblica: Infermiere di sanità pubblica;
b) pediatria: Infermiere pediatrico;
c) salute mentale-psichiatria: Infermiere psichiatrico;
d) geriatria: Infermiere geriatrico;
ribadendolo ulteriormente nell’articolo 6:
In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio Sanitario Nazionale, potranno essere individuate, con decreto del Ministro della Sanità, ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica.
In sintesi, già questo quadro sarebbe sufficiente per identifica4) Loi Duilio (co-autore), I principi dell’organizzazione professionale dell’Infermiere.
Maggioli Editore, 2013, 167-197.
5) D.M. n° 739/1994 – Regolamento concernente l’individuazione della figura e del
relativo profilo professionale dell’Infermiere
6) LEGGE 26 febbraio 1999, n. 42 - Disposizioni in materia di professioni sanitarie
7) LEGGE 10 agosto 2000, n. 251 - Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche,tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione
ostetrica
8) FEDERAZIONE NAZIONALE COLLEGI IPASVI, Codice Deontologico dell’Infermiere, Roma, 1999.
9) FEDERAZIONE NAZIONALE COLLEGI IPASVI, Codice Deontologico dell’Infermiere, Roma, 2009.
10) Silvestro Annalisa, Commentario al Codice Deontologico 2009
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re sotto il profilo normativo l’atto infermieristico, nonché la volontà di prospettiva evidenziata dal legislatore, se aggiungiamo -come prima richiamato- la straordinaria svolta epocale delineata
con la legge 42/99, attraverso la quale decade il vincolo di “ausiliarietà” e l’esercizio professionale viene regolamentato da ordinamento didattico, dal profilo professionale appena citato e dal
codice deontologico, ecco che il quadro si arricchisce e consolida ulteriormente, in quanto viene ribadita la componente autonomista potendo intervenire sui contenuti di esercizio (ordinamento
didattico) e comportamentali (codice deontologico).
Tenendo poi oltremodo sullo sfondo le leggi 251/2000 e
43/2006 l’impianto normativo precedente, viene ancor più confermato, acquisendo ulteriori legittimazioni.
b) il costrutto teorico di riferimento, ci proviene dai fondamentali modelli teorici e dalla loro declinazione nella pratica quotidiana. In particolare possiamo citare due aspetti, a mio parere
importanti:
– il riferimento al modello delle prestazioni infermieristiche11 di
Marisa Cantarelli, che delinea con raffinatezza gli ambiti di specifica risposta ai bisogni di assistenza infermieristica. Modello che
non solo è stato insegnato prima e dopo la riforma, ma anche e
soprattutto declinato nelle unità organizzative da molti professionisti, in specifiche e concrete attività quotidiane;
– il riferimento al paradigma “assistenza infermieristica” elaborato nel 1994 da un gruppo di studio composto da Infermieri dell’ANIN (associazione nazionale infermieri neuroscienze, una delle associazioni infermieristiche storiche, che frequentemente si è
posta come avanguardia, propositiva e innovativa nel panorama
associativo nazionale). Il gruppo di lavoro si dedicò in specifico
alle “Abilità Assistenziali: caratteristiche del ruolo professionale
dell’infermiere nel processo di trasformazione del sistema sanitario”12, contestualizzando al panorama Italiano, i vari orientamenti
dei principali modelli infermieristici di rifermento e proponendo il
concetto di “assistenza infermieristica” di seguito riportato:
“arte, disciplina, scienza è un processo dinamico che mira a
promuovere lo sviluppo, la conservazione ed il ripristino dell’ equilibrio tra gli elementi che compongono l’uomo in tutte le fasi della
sua vita come singolo e inserito nell’ambiente, utilizzando come
strumento il metodo scientifico”
Alla stessa stregua, il Codice Deontologico del 2009, coagulando molti dei concetti espressi, chiarisce ulteriormente cosa sia
“assistenza Infermieristica”:
“l’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia
e alla collettività.
Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.”
c) A conferma della concretezza dei punti a e b, aggiungerei la
consolidata declinazione operativa nel quotidiano, che si avvale delle molteplici e importantissime esperienze che negli anni si
sono succedute e oggi a ragion veduta, rappresentano il solido
substrato di una professione fatta di concretezze, in continua
evoluzione.
Per ricordare alcune tra le principali e rappresentative:
– CIvES, ovvero Coordinamento Infermieri Volontari per
l’Emergenza Sanitaria, una realtà ormai presente e consolidata
nel territorio nazionale, in ben 13 regioni e 32 province. Attraverso il S.A.R.I. (Sistema Avanzato Risposta Infermieristica), persegue la finalità di fornire al Sistema Nazionale di Protezione Civile
e alle popolazioni colpite da calamità, team infermieristici qualificati, immediatamente operativi e pienamente autosufficienti sotto
il profilo logistico, muniti di attrezzature speciali in grado di fornire adeguato supporto alla presenza di medici sul territorio, anche
con riferimento alla rete di medicina generale territoriale. Tali fina-
Infermiere a Pavia
lità si realizzano grazie alle due specifiche articolazioni del SARI,
il MCI (modulo di coordinamento infermieristico e il MIA (modulo
infermieristico avanzato);
– CreG, ovvero Chronic Related Group, importante iniziativa
che vede un radicale cambiamento di prospettiva intrapreso nel
2011 dalla Regione Lombardia parallelamente, nell’ambito del
Programma Regionale di Sviluppo e nel Piano Socio-Sanitario.
Dove si sta lavorando per completare e realizzare 1.145 posti letto per le cure sub acute, attraverso la sperimentazione in 5 Asl;
trattasi di un modello organizzativo per coordinare e integrare i
servizi extraospedalieri a favore dei pazienti cronici; contesto operativo dove viene richiesta oltre alla presenza, la specifica competenza Infermieristica;
– Case Management ed esperienze correlate
Partendo dalla pionieristica esperienza iniziata dal Centro Studi EBN di Bologna, già alla fine degli anni ’90, con il successivo
progetto inclusivo di specifico percorso formativo per Infermiere
Case Manager (ICM), oggi si possono apprezzare molteplici realtà formative e lavorative disseminate sul territorio nazionale, che
gestiscono con elevati livelli di qualità i percorsi assistenziali sia a
livello ospedaliero, sia territoriale, perseguendo l’obiettivo di garantire una totale presa in carico secondo il modello organizzativo fondato sul: “processo collaborativo di accertamento, pianificazione, facilitazione, coordinamento delle cure, valutazione ed
advocacy delle scelte e dei servizi, che agevolino i bisogni sanitari generali dell’ individuo e della famiglia, attraverso la comunicazione e le risorse disponibili, al fine di promuovere outcomes di
qualità, con un buon rapporto costo-efficacia13.
Essendo impossibile elencarle tutte (vuoi per ragioni di spazio,
vuoi per difficoltà di reperimento dati), metto in evidenza le più significative scusandomi fin d’ora per le eventuali esclusioni:
– Policlinico S.Orsola Malpighi di bologna, con una copertura pressoché totale delle unità organizzative, dove è presente in forma stabile e operativa la figura del ICM, nonché
l’estensione verso esperienze territoriali in ambito geriatrico,
ortopedico, psichiatrico, oncologico;
– Case Management internistico e chirurgico in veneto,
dove nella Ulss 6 di Vicenza, è attivo dal 2010 un progetto
sperimentale riguardante il ruolo dell’infermiere case manager in ambito internistico e dell’infermiere stomatoterapista in
ambito chirurgico.
L’obiettivo è sovrapponibile al precedente: promuovere e realizzare un’assistenza centrata sulle reali esigenze del cittadino/utente, in un sistema coordinato e capace di gestire l’intero processo in termini di continuità ospedale/territorio.
Il progetto ha una durata triennale al termine del quale sarà
valutato l’impatto in termini di risultati, fondati su indicatori di
efficienza, efficacia ed economicità.
11) Cantarelli Marisa, Il modello delle prestazioni infermieristiche, Masson, 1993
12) Loi Duilio (co-autore), Ruolo e Funzioni dell’infermiere alle porte del terzo millennio. Gruppo di Studio ANIN su Abilità Assistenziale: caratteristiche del ruolo
professionale dell'infermiere nel processo di trasformazione del sistema sanitario"
13) CMSA (Case Management Society of America), 2010
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Sia nell’esperienza del case management internistico, sia in
quello chirurgico, si possono mettere in evidenza le competenze avanzate dell’infermiere, ottenute attraverso specifica
formazione, arricchita e sostenuta da certificata esperienza
nei settori di riferimento.
Ad esempio, ai colleghi del settore chirurgico vengono richiesti come requisiti: un’esperienza lavorativa di almeno 5 anni in
contesti di chirurgia addominale, specifico percorso formativo
di master in assistenza a pazienti stomizzati e incontinenti (o
titoli equiparabili per contenuti); ai colleghi del settore internistico, oltre che specifica esperienza nel settore, analogo iter
formativo con master in case management. In sintesi: competenza clinica, gestionale e di ricerca;
– Ospedale di Comunità a gestione Infermieristica, iniziativa che si lega profondamente con quella appena descritta,
messa in campo in Emilia Romagna, che s’inserisce nel quadro di una generale riorganizzazione del percorso del paziente fragile, promossa e attivata dall’Ausl di Forlì, con l’obiettivo
di garantire un reale ponte tra ospedale e territorio. La gestione infermieristica si realizza attraverso la totale presa in carico
del paziente, tesa a rispondere in senso olistico ai bisogni di
salute. Basata anch’essa sul modello del case management,
consentendo la reale applicazione di “atto” medico, infermieristico e sanitario (per come appena descritti), in virtù delle necessità cliniche della persona assistita.
I riflettori sono puntati sugli obiettivi del progetto che pone tra
i suoi indicatori, alcune concretezze misurabili:
– appropriatezza di collocazione dell’utenza
–adeguate risposte in termini di miglioramento della qualità
delle cure
–ottimizzazione e razionalizzazione delle risorse
e dopo idoneo periodo di sperimentazione, se i risultati (come
auspicato) saranno soddisfacenti, sarà destinato a replicarsi.
– Infermiere di famiglia e comunità: la componente formativa
È oggi sempre più una necessità del SSN. Una figura professionale specificamente preparata (come proposto dall’OMS nel
progetto “salute 21”), strategica e fondamentale per colmare
l’attuale vuoto in cui moltissima utenza dimessa dalle strutture
sanitarie per problematiche acute, ma necessitanti di cure domiciliari, spesso si trova in seria difficoltà nel gestire le diverse
situazioni. Allo stesso modo, molte fasce di utenza con vario livello di disabilità e problematiche, derivanti dal progressivo aumento di patologie ad andamento cronico degenerativo che
non troverebbero collocazione adeguata nelle attuali strutture
residenziali. Sono già attivi in molti atenei, percorsi di Master di
1° livello rivolti alla preparazione dei professionisti che intendono perseguire questa esperienza professionale. In questa
esperienza formativa -con una nota di orgoglio per il Collegio
IPASVI che ne è il principale promotore- comprendiamo l’Ateneo Pavese, che ha strutturato il percorso attingendo alla consolidata esperienza teorica, formativa ed esperienziale, maturata nei vari settori dall’ADI alla salute mentale14.
Percorsi formativi quindi, che tendono a offrire competenze
avanzate, quelle competenze che guarda caso, vengono “contestate” dalla lettera intersindacale con la quale abbiamo introdotto l’articolo.
– Continuità infermieristica interaziendale a Trieste, iniziato
in forma sperimentale nel 2002 nei reparti di area medica, il servizio di presa in carico infermieristica; servizio che negli anni successivi si è praticamente esteso a tutte le aree appartenenti al
contesto ospedaliero e, dall’aprile 2010 include tutti i ricoverati
con bisogni clinici e sociali complessi prescindendo dall’età e
14) Loi Duilio (co-autore), Linee guida per il Master di primo livello – Infermieristica
in Salute Mentale
dalla patologia che necessitano di continuità assistenziale. Un
ponte ospedale-territorio, di dimensioni imponenti che si realizza
grazie al sistematico raccordo tra il servizio infermieristico domiciliare dei Distretti territoriali, i Reparti ospedalieri, il PS, le RSA, fino all’Hospice.
– See and Treat, ovvero “guarda e tratta”. Ulteriore esperienza
ad alto contenuto di competenze avanzate portata avanti dai Colleghi della Regione Toscana, grazie a specifica normativa, pensata per snellire le attese sempre più lunghe nei pronto soccorso,
dove si abilita l’infermiere a:
– fare diagnosi per piccoli casi non urgenti (codici bianchi)
– prescrivere farmaci
– indirizzare verso specialisti (fast track)
Il tutto, previo percorso formativo “ad hoc” che prevede 6 mesi di corso, articolato in 350 ore e dove al candidato viene richiesto come requisito principale, almeno tre anni di attività di triage
in pronto soccorso.
Tutti i riferimenti sopracitati, sono soltanto in minima parte rappresentativi delle molte esperienze, che hanno rappresentato nel
tempo e rappresentano tuttora, lo spaccato della capacità manageriale (progettuale e gestionale), nonché elaborativa e pensante degli Infermieri; un pensiero al tempo stesso critico, creativo e
caring, a dimostrazione dello spessore proprio, della avanguardia intellettuale e operativa, presente della professione.
Alla luce di quanto descritto, possiamo riassumere nella figura
5 un quadro di sintesi sull’esercizio professionale dell’infermiere,
avente come elemento fondamentale l’atto infermieristico.
Esercizio Professionale “atto infermieristico
-
Pianifica, gestisce e valuta...
Assessment (scala disabilità e rischio)
ICA (indici di complessità assistenziale)
Indicatori
Standard
Prestazioni
...
fig. 5) quadro di sintesi sull’esercizio professionale infermieristico avente come elemento fondamentale l’atto infermieristico
Per la professione Infermieristica (ma per estensione anche alle altre ex professioni sanitarie ausiliarie, con i debiti adattamenti), è dal 1994 che si è delineata una specifica configurazione, rispetto alla figura del Medico che possiamo schematizzare in sintesi, nella figura 6.
Esercizio Professionale “atto medico e atto infermieristico”
- Valutazione diagnostica
- Orientamento terapeutico
- Assetto prognostico
-...
Me
dic
o
Linee Guida
Protocolli
Procedure
Profili di Cura
...
- Pianifica, gestisce
e valuta...
Assessment
- Indicatori
- Standard
ere
- ICA
rmi
e
f
-...
In
fig. 6) quadro di sintesi sull’esercizio professionale medico e infermieristico
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Questo schema, evidenzia e sintetizza le aree di competenza
del medico e dell’infermiere in una configurazione che rispecchia
le normative, in primis, legge 42/1999.
In virtù della componente collaborativa, fondamentale e necessaria per le due figure professionali, nell’ovale di sovrapposizione delle
due aree, si apre uno spazio comune, nel quale con le reciproche
competenze e in forza delle evidenze scientifiche, si possono collocare strumenti utili all’operatività quali: linee guida, protocolli, procedure e profili di cura, da costruire insieme, finalizzati a garantire una
presa in carico del cittadino-paziente secondo canoni di qualità.
Atto sanitario
Seppur con le debite oscillazioni interpretative, legate ai diversi orientamenti poc’anzi richiamati, abbiamo fatto chiarezza sia su
“atto medico”, sia su “atto infermieristico”
Per deduzione ed esclusione, è possibile definire pertanto, che
con atto sanitario, si intenda “l’insieme di attività poste in essere
dall’operatore sanitario, nell’ambito delle specifiche competenze
e con gli strumenti propri, orientate a sostenere/garantire/potenziare la realizzazione del processo di salute di un individuo o a
trattare le conseguenze derivanti dal processo di malattia”15.
Quanto espresso nel quadro riassuntivo riportato in figura 6, possiamo dire che per estensività concettuale seppur con le debite differenze, può essere riprodotto per tutti e 22 i profili professionali.
Rispetto alla responsabilità giuridica dell’operatore sanitario,
nei confronti dell’utente, nel frattempo si è espressa anche la corte di cassazione, sottolineando e richiamando tutti ad una elevatura sotto il profilo etico: “Gli operatori sanitari sono tutti, ex lege,
portatori di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti, la
posizione che va sotto il nome di “posizione di protezione”, la
quale è contrassegnata dal dovere giuridico incombente al soggetto, di provvedere alla tutela di un certo bene giuridico contro
qualsiasi pericolo atto a minacciarne l’integrità.” (Corte Cassazione, IV sez. pen. – sent. 2/3/2000, n. 447)
Conclusioni
Appare evidente come il
mutamento dei
bisogni di salute
delle persone
(determinati prevalentemente da
fattori socioculturali e clinicoepidemiologici),
abbia influito/condizionato/indotto un conseguente processo di
cambiamento dei sistemi sanitari e dei professionisti.
Le problematiche anche qui dibattute, risiedono probabilmente
nella asincronia esistente tra sistemi (organizzazioni) e professionisti, che evidentemente non sono ancora allineati.
Stessa difficoltà nello sviluppare un rapporto dialogico costruttivo e coerente, che ritroviamo tra i professionisti appartenenti a
categorie diverse e a volte, anche tra gli appartenenti alla stessa
famiglia professionale.
Tentare di far chiarezza su atto medico, atto infermieristico e atto sanitario, non è certo un punto di arrivo, ma può rappresentare un efficace punto di ripartenza nel virtuoso viaggio verso la costruzione di una Sanità migliore.
Nella convinzione che in un quadro così delicato, rifugiarsi nel
corporativismo, oltre che inutile sarebbe anche dannoso, ormai alla soglia dei vent’anni dall’emanazione del profilo professionale,
dei quindici dalla legge 42, delle molteplici esperienze di declina15) Loi Duilio, Atti Corso di aggiornamento “Professione Infermieristica tra
aspetti giuridici e responsabilità professionale”, Pavia, 2011.
Infermiere a Pavia
zione operativa messe in campo e non ultimi: il consolidamento
nella formazione, nella ricerca e la qualità aggregativa espressa
dalle associazioni, si rimane davvero perplessi nel constatare che
qualcuno non si sia ancora reso conto di quanto accaduto. Viene
spontaneo: cosa altro, si dovrebbe ancora dimostrare?
La consapevolezza che l’atto medico non sia più coincidente e
sovrapponibile agli altri due, evidentemente non è ancora patrimonio collettivo, poiché -come già precedentemente richiamatoi cambiamenti culturali viaggiano a velocità più lente rispetto a bisogni e normative.
Anche se le resistenze, fisiologicamente tendono a rallentare i
processi di cambiamento, la situazione e le “urgenze” sanitarie
nel paese reclamano risposte inderogabili fatte di concretezze, alle quali nessuno si può sottrarre.
Per queste motivazioni, gli Infermieri, alle provocazioni di chi
persegue interessi non coincidenti con quelli dei Cittadini, rispondono con la chiarezza dei fatti!!
bibliografia
– BERGOMI Piera, FRISONE Enrico, LOI Duilio. RIPA Paola, I principi dell’organizzazione professionale dell’Infermiere. Viaggio nella Professione Infermieristica, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2013, pp 167-197.
– BIAVATI Catia, Standards per la pratica del Case Management, in AICM Journal, Volume 1 Numero 1, - Settembre 2012, Associazione Italiana Case management, 2012, pp 4-16
– CANTARELLI Marisa, Il modello delle prestazioni infermieristiche, Masson, 1993
– CONFERENZA STATO-REGIONI, Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro
per la solidarietà sociale e le regioni e province autonome di Trento e Bolzano,
per la individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ operatore socio sanitario e per la definizione dell’ordinamento didattico dei corsi
di formazione. (Gazzetta Ufficiale n. 91 del 19-04-2001)
– CONFERENZA STATO-REGIONI, Bozza Tavolo di lavoro “implementazione delle competenze del profilo di Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (aprile 2013)
– DECRETO MINISTERIALE 14 settembre 1994, n. 739 - Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’Infermiere (Gazzetta Ufficiale n. 6 del 09-01-1995)
– FEDERAZIONE NAZIONALE COLLEGI IPASVI, Codice Deontologico dell’Infermiere, Roma, 1999.
– FEDERAZIONE NAZIONALE COLLEGI IPASVI, Codice Deontologico dell’Infermiere, Roma, 2009.
– LEGGE 1 febbraio 2006, n. 43 - Disposizioni in materia di professioni sanitarie
infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e
delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali (Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17-02-2006)
– LEGGE 10 agosto 2000, n. 251 - Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche,tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica (Gazzetta Ufficiale n. 208 del 06-09-2000)
– LEGGE 26 febbraio 1999, n. 42 - Disposizioni in materia di professioni sanitarie (Gazzetta Ufficiale n. 50 del 02-03-1999)
– LOI Duilio (co-autore), Ruolo e Funzioni dell’infermiere alle porte del terzo millennio. Gruppo di Studio ANIN su Abilità Assistenziale: caratteristiche del ruolo professionale dell’infermiere nel processo di trasformazione del sistema sanitario” ANIN, Celleno (VT), 1994
– LOI Duilio, MARIN Meri, Applicabilità delle teorie infermieristiche all’operatività:
elaborazione e proposte di “linee guida” per un modello concettuale nell’assistenza psichiatrica. In atti XX congresso nazionale ANIN, Roma, 1995
– LOI Duilio (co-autore), Linee guida per il Master di primo livello – Infermieristica in Salute Mentale, Federazione Nazionale Collegi IPASVI, Roma, 2002
– LOI Duilio, Atti Corso di aggiornamento “Professione Infermieristica tra aspetti
giuridici e responsabilità professionale”, Collegio IPASVI Pavia, 2011
– SILVESTRO Annalisa, Infermieri: valori, innovazioni e progettualità per l’assistenza alla persona, Relazione della Presidente Nazionale dei Collegi IPASVI al
XV Congresso Nazionale IPASVI, Firenze 26 – 28 febbraio 2009
– SILVESTRO Annalisa, Commentario al codice deontologico 2009, Sito federazione Nazionale Collegi IPASVI, Roma, 2009 – www.ipasvi.it
L’autore
* Infermiere
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PAGINA
Numero 4/2013
Tabella presenze Consiglieri anno 2013

CONSIGLIERI
30 gen
ORD
RIUNIONI CONSIGLIO DIRETTIvO
27 feb 06 mar 27 mar 10 apr 06 mag 19 giu 31 lug
17 set
23 ott
14 nov
12 dic
TOTALE
ORD
STRA
ORD
STRA
ORD
ORD
ORD
ORD
ORD
ORD
ORD
PRESENZE
Frisone Enrico
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P
P
P
A
P
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P
P
P
P
10
Loi Duilio
P
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P
P
P
P
P
A
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9
P
P
A
P
P
A
P
P
P
P
P
9
Braga Giuseppe
P
P
A
P
P
P
P
P
P
P
P
10
Baglioni Elena
A
P
A
P
P
P
A
A
P
P
A
6
Belotti Luigia
P
P
P
P
P
P
A
P
A
P
A
8
Cattaneo Emanuela
P
P
P
P
P
P
P
P
P
P
P
11
Ciancio Gabriele
P
P
A
P
P
A
A
P
A
P
P
7
Costa Rosanna
P
P
P
P
P
P
A
P
P
A
P
9
Maiocchi Enrica
P
P
A
P
P
P
P
P
P
P
P
10
Mazzucco Antonella
A
P
P
P
P
A
P
A
A
7
Mutti Daniele
A
P
P
DIMESSO
Pontello Giuseppina
P
P
Rizzini Ruggero
A
A
Tanzi Annamaria
P
P
SOSPESA
Quattrocchi Salvatore
P
0
P
P
P
A
DIMESSO
P
A
P
A
P
P
A
P
P
A
A
P
8
0
8
RIUNIONI COLLEGIO REvISORI DEI CONTI
REVISORI DEI CONTI
28 gen
7 mar
25 set
28 nov
Bergomi Piera
P
P
P
P
4
Bassi Claudio
P
P
P
P
4
Di Martino Raffaella
P
P
P
P
4
Roversi Paolo (supplente)
P
P
A
P
3
Meleis Afaf Ibrahim
Teoretica Infermieristica: Sviluppo e progresso della filosofia
e delle terorie infermieristiche
Milano: CEA, 2013. XI, 624 p., ill., 27 cm.
ISbN: 9788808182906
Definire in modo unidirezionale questo imponente Volume è pressoché impossibile. Il suo carattere
policromatico immerge il lettore in un lungo ed appassionante viaggio nel quale gli è dato modo di
compenetrare lo scritto in modo maturo e tutt’altro che scolastico: come in tutti i viaggi degni d’essere ricordati (non mancano mappe, destinazioni e intuizioni) coinvolge e offre numerose opportunità d’interazione con le esperienze personali. La domanda di primo acchito lecita al primo approccio
è: perché affrontare un percorso così variegato che si allarga a macchia d’olio sull’intera storia teorica? La risposta è implicita
se il lettore riflette sul proprio personale percorso e lo compara, bipartendolo, con le esperienze dei propri compagni di viaggio oltre che al viaggio stesso. L’obbiettivo del lavoro di Meleis è comunque chiaro e ben evidente: fornire strumenti e strategie per spiegare il processo di pensiero infermieristico. Se la teoretica (lat. theoretĭcus, gr. ϑεωρητικός) in senso statuario filosofico è ciò che appartiene alla teoria, in didattica designa la pertinenza ai fondamenti generali della dottrina scientifica. In tal
modo abbiamo da un lato la filosofia della conoscenza ma dall’altro anche una teoria generale della realtà. Questo libro comunque non promuove prospettive epistemologiche, teoriche, ontologiche prendendo le parti di alcune a discapito di altre,
bensì esplora, analizza, critica e compara i differenti fattori, citati in modo approfondito e imparziale, stimolando la riflessione
e promuovendo un dialogo solido atto a sfidare lo status quo. Fisicamente diviso in sei parti (descrizione del viaggio teoretico
con focus su agenti e produttori di conoscenza; analisi storica del progresso della disciplina; discussione epistemologica sull’infermieristica; analisi di questioni teoriche pionieristiche; una sezione dedicata al futuro della disciplina; amplia bibliografia
sulle meta-teorie e sui paradigmi utilizzati nell’assistenza) ha il pregio di poter essere utilizzato sia sequenzialmente che non,
mentre il linguaggio utilizzato evita di far pensare ad una visione stereotipa degli infermieri, dei pazienti e dei medici.
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PAGINA
Infermiere a Pavia
Un calendario per sostenere
i diritti delle donne
“No more. Rompiamo il silenzio con le
nostre voci”.
La scritta sul retro del calendario finanziato da Ains Onlus in difesa dei diritti e
della dignità delle donne nel mondo è
esplicita e significativa. Va nella direzione
della tutela di una uguaglianza uomo/donna che in troppe zone del mondo è purtroppo ancora discriminazione nel mondo
del lavoro, ma anche sociale e politico.
A realizzare questo calendario sono state Gabriela Giovilli ed Elisa Moretti di Ains
onlus [Associazione Italiana Nursing Sociale]; risulta vincente e di forte impatto la
combinazione tra i testi di legge che inneggiano alla parità, le cifre e le notizie
che la smentiscono e le immagini intense
di volti femminili che incarnano i valori della donna più veri e più puri: dalla maternità, alle arti e mestieri, al coraggio fino alla
fatica del lavoro quotidiano. Pagine veramente emozionanti da sfogliare e da tenere appese alla parete per ricordare, oltre
alle date e ai nostri appuntamenti, anche
l’importanza di un diritto che tutti noi siamo chiamati a tutelare.
Tramite la risoluzione numero 54/134 del
17 dicembre1999, l'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per
l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni
internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica.
La nostra Associazione [AINS onlus Associazione Italiana Nursing Sociale] nata nel 1998 per iniziativa di due infermieri e
impegnata a favore della promozione dei
diritti umani, e, lavorando per la solidarietà
nell’ambito della cooperazione internazionale in Guatemala e il Collegio IPASVI della provincia di Pavia, lavorando in rete,
hanno dato il loro contributo per ricordare
alla professione infermieristica che troppe
donne, di tutte le età, sono quotidianamente sottoposte a violenze e soprusi
troppo spesso commessi in ambito familiare. La violenza sulle donne riguarda tutta la società e non può essere un problema che non ci tocca come cittadini e come
operatori sanitari.
La violenza contro le donne riguarda
tutte e tutti soprattutto in riferimento al fatto che le conseguenze della violenza, sul
piano della salute, portano spesso la donna che ne è vittima a contattare le strutture sanitarie, ospedaliere e del territorio.
Come?
Abbiamo realizzato un manifesto e un
calendario che, regalato agli infermieri degli ospedali di Pavia, abbiamo chiesto di
esporre nei reparti ospedalieri a partire dal
giorno 25 novembre per ricordare a tutti gli
operatori della sanità e in particolar modo
agli Infermieri che la violenza sulle donne
ci riguarda SEMPRE.
Un piccolo ma importante progetto che
abbiamo voluto condividere con il mondo
infermieristico.
Numero 4/2013
39
PAGINA
Ti piacerebbe fare un’esperienza in Italia
o in qualche paese nel mondo
Gentile collega,
ti chiediamo di segnalarci,
inviandoci una e-mail all’indirizzo:
[email protected]
– il tuo impegno nel sociale
a livello locale o in un
progetto di cooperazione
internazionale;
– il nome dell’associazione
con la quale fai volontariato;
– se sei partita/o per una
missione umanitaria in
che paese ti sei recata/o
e per quanto tempo;
– se ti piacerebbe fare
un’esperienza in Italia o
in qualche paese nel
mondo.
Ti chiediamo queste poche informazioni perché vogliamo censire il numero degli infermieri della nostra
provincia che si impegnano
nel sociale.
Ti ringraziamo anticipatamente per la disponibilità.
Convenzione IPASVI - INA ASSITALIA
Dal mese di luglio 2012, il Collegio IPASVI della Provincia di Pavia ha sottoscritto con INA Assitalia,
Agenzia Generale di Pavia, una convenzione per l’adesione al
FONDO PENSIONE APERTO INA A CONTRIBUTI DEFINITI
INA Assitalia è una Compagnia assicurativa nata nel 1912 come compagnia di previdenza
privata. Tutt'ora mantiene una posizione leader in ambito previdenziale grazie a soluzioni innovative
costruite “sulla persona” cioè adattate alle diverse aspettative e all'orizzonte temporale individuale.
Attraverso la Convenzione è possibile aderire, su base volontaria, a un fondo pensione aperto,
usufruendo di condizioni di particolare favore innanzitutto economico. Sconti e agevolazioni si
estendono anche a soluzioni di tutela della persona e della famiglia (salute, infortuni, casa, auto).
L'Agenzia Generale di Pavia mette a disposizione degli iscritti al Collegio il proprio servizio
di consulenza altamente qualificata e personalizzata.
AGENzIA GENERALE INA ASSITALIA DI PAvIA
di SERGIO BALORDI E CLAUDIO MARZIANI
Corso Cavour 59 - Pavia - Tel. 0382/23021 Fax 0382/27642
Per ulteriori informazioni e per fissare appuntamenti,
è possibile contattare la:
Dott.ssa Angelica Fontolan
Consulente Previdenziale
cell. 338 4226941
Accogliamo con piacere ed entusiasmo la notizia che il Senato Accademico
dell’Università degli Studi di Pavia, ha deliberato circa la realizzazione di un
rivolto a:
Master di I livello
“Infermiere di famiglia e di Comunità”
per l’anno accademico 2013-2014
Nelle settimane prossime sarà disponibile presso la
segreteria dell’Università o tramite il sito internet
all’indirizzo:
http://www.unipv.eu/site/home/naviga-per/laureati/master.html
specifico bando, contenente modalità e termini in
dettaglio.