Proprio il 13 luglio del 1814 Vittorio Emanuele I

la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014 NUMERO 488
Cult
La copertina. Un libro per l’estate
Straparlando. Franco Rella: “L’esilio e la verità”
La poesia del mondo. Shakespeare in love
Proprio il 13 luglio del 1814
Vittorio Emanuele I fondò
il Corpo dei carabinieri reali
Temuti, derisi e rispettati
l’Italia è cresciuta con loro
MI CHE L E SMA RGI A SSI
IBERI DI NON CREDERCI, ma per i primi quarant’anni ai carabinieri fu proibito portare i
baffi. Sì, anche quei baffi a manubrio, imperiosi come l’ordine costituito, che nel nostro album di figurine mentali appartengono all’uniforme del carabiniere tanto quanto le bande scarlatte ai pantaloni. Per dire questo: che la storia dell’Arma è
una cosa, ma la figura del carabiniere, icona del nostro
immaginario nazionalpopolare, è un’altra; e provate
voi a capire quale delle due è la più vera e operativa.
Due secoli fedele. Il 13 luglio 1814, firmando di suo pugno le Regie Patenti, Vittorio Emanuele I istituì il Corpo
dei Carabinieri Reali onde «assicurare viemaggiormente il buon ordine» al restaurato Regno di Sardegna, che
pure non sembrava aver bisogno dell’ennesimo corpo di
polizia, la creatività repressiva dei suoi sovrani avendone già prodotti una decina. Ma serviva qualcosa, un segno che marcasse lo stacco con le «passate disgustose vicende» rivoluzionarie. Poco conta che il modello organizzativo fosse la Gendarmerie francese, o che i primi reclutati avessero già militato nelle polizie napoleoniche.
I carabinieri furono il primissimo parto della Restaurazione, un parto simbolico.
L
SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
Nei due
secoli
fedele
A NDRE A CA MI L L E RI
Antonio Brancato,
comandante la Stazione dei Carabinieri di Belcolle, cangiando il foglio del calendario, come faciva
ogni matina appena trasuto nel
suo ufficio, vitti che era il ventisei di
maggio, vale a dire che mancavano quattro giorni al compleanno
di Giacomina, la sua unica sorella, maritata a Genova e matre di tre figli. Doviva provvidire subito, prima che qualche facenna improvisa gli faciva passare la cosa di mente.
Avvertì il piantone che nisciva e che sarebbe tornato passata una mezzorata. Andò da
Cosimo, il tabaccaro e sciglì una
delle cinco cartoline postali, leggermente ingiallute, che da anni raffiguravano
il paisi da diverse angolature.
I
L MARESCIALLO
SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
Il reportage. L’isola senza il mostro, cosa resterà della Concordia? L’immagine. Jeannette Montgomery e la fine della Factory
di Warhol. Spettacoli. Pete Doherty: io, Kate Moss, Amy Winehouse e la droga. Next. I videogame rottameranno la console
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
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La copertina. 1814-2014
Intreccio unico tra un’istituzione e la società,
da Pinocchio a De Sica, da De André ai Ris,
così l’icona del carabiniere
ha attraversato duecento anni di storia
nel nostro immaginario. Indenne
<SEGUE DALLA COPERTINA
M ICHELE SMARGI ASSI
N’ICONADINASTICA.Un manifesto dell’autorità. «Lo Stato è il carabiniere», declamò Silvio Spaventa. Eppure, i carabinieri sono stati molto di più di questo. Ben presto uscirono dalle caserme del potere per traslocare nelle baracche della fantasia
popolare. Dove si trovarono a svolgere «incumbenze» immateriali che nessun Re poteva prevedere. Dove sono stati
amati, detestati, sfottuti e idolatrati. Dove hanno vissuto
un’avventura antropologica. Il carabiniere dell’immaginario nazionale, anzitutto, non esiste come entità singola. La
sua unità minima è la coppia. I carabinieri vanno due a due
come le ciliegie, sono la legge in versione duale, in formula
binaria, in assetto speculare. Lo spazio fra due carabinieri,
dove il padron ‘Ntoni di Verga si sentì «legato come un Cristo», è una prigione ambulante,
è lo spazio foucaultiano del sorvegliare e punire, circoscrive ed esibisce “lo splendore della
pena”. Ed è propizio al pentimento: «Una spina acutissima» bucò il cuore di Pinocchio tratto in arresto, ossia «il pensiero di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata in mezzo ai carabinieri. Avrebbe preferito piuttosto di morire». Nelle incisioni di Carlo
Chiostri o di Attilio Mussino per il libro di Collodi, i carabinieri sono dioscuri enormi e neri,
gemelli perfino nel volto. Per forza: i regolamenti dell’Arma non prescrivevano uniformità
solo alle bandoliere e alle mostrine, ma anche alle espressioni facciali, che dovevano essere
«composte e severe», sorrisi pochi, perché dovendo scegliere tra farsi amare o temere, valeva la seconda. Il portamento, l’espressione, l’andatura, tutto era sotto controllo. Prima di
interpretare il maresciallo Carotenuto in Pane amore e fantasia, Vittorio De Sica frequentò
ufficiali dell’Arma per imitarne la mimica
d’ordinanza, la modulazione della voce, il volentieri» Bocca di Rosa al primo treno, e
modo di infilare il tovagliolo fra i bottoni del- nella versione censurata della canzone se
la camicia.
non fossero stati in alta uniforme sarebbero
Messaggio: sotto la divisa (cioè sempre, addirittura «venuti meno al loro dovere». Gli
perché il carabiniere è sempre in servizio) Skiantos di Roberto Freak Antoni, rocker rinon c’è un individuo, ma un’istituzione. In belle del ‘77 bolognese, swingavano un Kaun’epoca senza mass media, il profilo man- rabignere blues beffardo ma venato di vaga
tellato e pennacchiato del carabiniere fu l’u- simpatia: «Quando poi arrivo a Pisa / io mi gonica immagine dello Stato che raggiunges- do la Luisa / vado fuori a far la spesa / poi mi
se i borghi più sperduti. Accasermati, radi- tolgo la divisa che mi pesa». Ed è un carabicati: ma non integrati. L’accento meridiona- niere l’umanissimo “ladro di bambini” del
le di tante macchiette da film (quanti film film di Gianni Amelio.
sui carabinieri, fin dai tempi del muto) più
Sono stati, certo, “guardiani del potere”,
che sfottò razzista era intuizione di una vo- come li classifica il generale Fabio Mini, stoluta alterità. Il maresciallo, notabile del pae- rico militare. Un caso pressoché unico al
se come il parroco e il farmacista, era cono- mondo di intreccio strettissimo fra un’istisciuto da tutti e amico di nessuno: sconsi- tuzione militare e la società civile. Possente
gliato fraternizzare con il compaesano che la mitografia, gli eroi giusti al momento giumagari, un giorno, avrebbe dovuto “tradur- sto, il martire Salvo D’Acquisto nella transire in ceppi”. Tuttavia, niente da fare: se il ca- zione fra regime e democrazia, il martire
rabiniere è chiuso nella sua araldica, il fol- Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta al terclore se lo prende lo stesso. Caruba, caram- rorismo e alla mafia. I carabinieri sono pasba, griba, piumàss: nella sua storia dell’Ar- sati attraverso i cerchi di fuoco della storia di
ma, Gianni Oliva fa la conta dei nomignoli questi due secoli italiani, scottandosi il medialettali. Quel girovagare incessante, per no possibile, sopravvivendo a poteri più fordovere regolamentare di «far marce, giri, ti di loro, al crollo vergognoso dei loro stessi
corse e pattuglie», primo vero esperimento creatori (la monarchia sabauda) e dei loro
di controllo capillare del territorio, li rende- sospettosi antagonisti (il fascismo e le sue
va elementi del paesaggio, profili così fami- milizie), a pagine sanguinose della storia naliari da finire ossessivamente nei dipinti del zionale come la repressione del brigantagFattori, il tricorno in testa, riconoscibile co- gio meridionale o l’impresa coloniale, ma anme la silhouette del campanile del paese.
che a epopee da romanzo popolare come la
C’è stato, fra l’Italia e la Benemerita, come lunga, sanguinosa caccia al bandito Giuliaun gioco a rimpiattino tra affetto e timore, no (ottanta carabinieri uccisi dalla sua banammirazione e derisione, quale forse non è da). Sfiorati ma mai travolti dalle trame e
toccato a nessun’altra istituzione. In cima al- dalle strategie della tensione della fragile
le classifiche di rispetto e fiducia, bersaglia- Repubblica. Messi da parte dal potere che
ti di sarcasmo: non c’è contraddizione. Le per un po’ preferì i “cugini” eterni rivali, i pobarzellette sui carabinieri se le raccontano i liziotti (l’Italia di Scelba esiliò i carabinieri in
carabinieri stessi, forse ci riconoscono un provincia, per la repressione antioperaia
confuso omaggio a radici sociali profonde. preferì i celerini), tornarono in scena con deFigli del popolo — un figlio prete e uno cara- terminazione e una certa abilità mediatica
biniere — dovevano saper «almeno leggere (i reparti speciali come i Ris di Parma, vere scrivere» ed era già tanto. In qualche modo sione nostrana di Csi, o quelli che ritrovano i
questo paese ha intuito nel carabiniere una dipinti rubati e controllano le sofisticazioni
struttura della propria identità nazionale. alimentari sono amati dai telegiornali).
La banda dei carabinieri portava festa, e il
“Nei secoli fedele”, dice il motto ufficiale
grido «chiamo i carabinieri!» funzionava co- coniato dall’oscuro capitano Cenisio Fusi
me le invocazioni ai santi. Il carabiniere ha che nel 1933 sostituì “usi a obbedir tacendo
“bucato” la crosta dell’inconscio collettivo, e tacendo morir”, firmato dal poeta Costannel bene e nel male, diventando un’icona tino Nigra ma ritenuto un tantino menagrapop multiforme, dalle cartoline ai calendari mo. Fedele a chi? Ai poteri costituiti, ma soalle canzoni alle tavole di Beltrame ai fu- prattutto, più coerentemente, alla propria
metti ai videogame ai serial tv, dove il Mare- immagine, sospesa in precario miracoloso
sciallo Rocca ebbe il volto sornione di Gigi equilibrio storico e ideologico come il paese
Proietti. Tra tutti i volti dello Stato represso- che rappresenta. I Carabinieri arrestarono
re, solo quello del carabiniere ha saputo ispi- Garibaldi, i Carabinieri arrestarono Mussorare sensazioni di umanità anche nei suoi lini: la nostra Italia faticosa e controversa, a
antipatizzanti. «Il cuore tenero non è una do- ben guardare, deve avere i baffi e la riga roste di cui sian colmi i carabinieri», ma quelli di sa ai pantaloni.
Fabrizio De André accompagnarono «mal© RIPRODUZIONE RISERVATA
U
VITTORIO EMANUELE I
LA CARICA DI PASTRENGO
CONTRO I BRIGANTI
IL 13 LUGLIO 1814 VITTORIO
EMANUELE I ISTITUISCE
A TORINO IL CORPO
DEI CARABINIERI REALI
FIRMANDO LE REGIE PATENTI
ALESSANDRO NEGRI
DI SAFRONT IL 30 APRILE 1848
GUIDA LA CARICA A CAVALLO
DEI CARABINIERI
CONTRO GLI AUSTRIACI
NEL 1870 IL CAPITANO
CHIAFFREDO BERGIA
RICEVE LA MEDAGLIA D’ORO
PER L’EROICA LOTTA
AL BRIGANTAGGIO
la Repubblica
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Il paese chiama
“Marescià, venissi
a mettiri ‘u bonu...”
<SEGUE DALLA COPERTINA
A N D R EA CA MI L L E RI
TALIARLO in cartolina e dall’alto, come aviva fatto il fotografo, Belcolle
pariva un paìsi grazioso, da vacanza estiva: la disposizione delle case,
che non arrivavano a duecento, dava all’abitato una forma di barca, con
la prua stritta e fina verso i quasi duemila metri di Pizzo Carbonara e la
poppa chiatta e larga verso il lontanissimo mare di Cefalù, una barca
assurdamente arenata supra una montagna verde di boschi e di pascoli. D’inverno
però la situazione cangiava, la nivi ci mittiva nenti a cummigliare, a seppellire case,
arboli, strate sutta a un bianco uniforme, mentre un vento gelido e crudele
impoppava dalle Madonie per giorni e giorni. Ma il paisi non si racchiudeva tutto in
quelle casuzze fotografate nella cartolina, si espandeva per chilometri attraverso
rade abitazioni di viddrani, pastori, boscaioli, sperse al limite dei boschi, sui costoni
della montagna, in qualche tratto di valle.
Una volta era stato costretto, per effettuare un arresto, ad acchianare fino a una
casupola a Pizzo Stella e ancora arricordava la jeep che non andava più né avanti né
narrè, bloccata da un mare di nivi, la lunga marcia tutta in salita, il friddo che
spurtusava le ossa a malgrado che il corpo era in movimento e faticava. Fortuna che i
paisani erano pirsone a posto, quiete, forse nanticchia troppo mutanghere tra di loro,
ma si sa che la genti di montagna è di scarsa parola, non ama dare cunfidenza agli
stranei. Curiosamente però con lui, che straneo lo era di certo, i belcollesi parlavano, e
come! E quella confidenza, della quale giustamente tra sé si gloriava, se l’era
guadagnata, come dire, sul campo. In cinco anni che si trovava lì era arrinisciuto a
sapiri quasi tutto di tutti, intervenendo in questioni, liti, dispute che gli vinivano
presentate in forma non ufficiale per aviri un parere, un giudizio, un orientamento.
“Marescià, vinissi a mettiri ‘u bonu”… Mettere il buono: ossia dire la parola giusta,
pacificare, risolvere, appianare, fare in modo che la bilancia non penda troppo da una
parte o dall’altra.
“Ecco perché si chiama Stazione!”, si disse un giorno che nel suo ufficio erano trasute e
nisciute, proprio come in una stazione ferroviaria, una decina di persone per
domandargli consigli, pareri, istruzioni su come comportarsi.
(tratto da Il Medaglione © 2005 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano)
A
L’ILLUSTRAZIONE
UN DISEGNO
DI ATTILIO MUSSINO
PER “LE AVVENTURE
DI PINOCCHIO”
DI CARLO COLLODI
NELL’EDIZIONE DEL 1911
DI R.BEMPORAD E FIGLIO
(RIPUBBLICATA
DA GIUNTI MARZOCCO)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Arma
degli
italiani
L’ARRESTO DI MUSSOLINI
SALVO D’ACQUISTO
SALVATORE GIULIANO
DALLA CHIESA
LE DONNE
IL 25 LUGLIO DEL 1943
I CARABINIERI ARRESTANO
BENITO MUSSOLINI
NEL CORTILE
DI VILLA SAVOIA
IL 23 SETTEMBRE 1943
IL VICE BRIGADIERE SALVO
D’ACQUISTO SI FA FUCILARE
DAI NAZISTI PER SALVARE
LA VITA A VENTI CIVILI
IL GENERALE UGO LUCA
GUIDA LA LUNGA CACCIA
AL BANDITO SALVATORE
GIULIANO, AMMAZZATO
IL 3 LUGLIO DEL 1950
IL 3 SETTEMBRE 1982
IL GENERALE CARLO ALBERTO
DALLA CHIESA VIENE UCCISO
A PALERMO DOVE
ERA PREFETTO DA POCHI MESI
IL 2 DICEMBRE DEL 2000
PRESTANO GIURAMENTO
LE PRIME DUE DONNE
CARABINIERE DELLA STORIA
DELL’ARMA
la Repubblica
LA DOMENICA
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Il reportage.Onde del destino
Un giubbotto salvagente, una Madonna, due lapidi e la stanza
di Schettino: ecco cosa il relitto lascerà fra una settimana,
dopo un incubo di trenta mesi. Oltre a una cicatrice
Viaggio su un’isola che adesso vuole solo tornare normale
Senza Concordia
Addio Mostro, ma l’anima del Giglio resterà spaccata in due
JENNER MELETTI
ISOLA DEL GIGLIO
R
due lapidi, una
bacheca con qualche oggetto “di quella notte” e
una Madonna alta un metro, che era nella cappella
della Concordia. Ad Sempiternam Memoriam, c’è
scritto sul marmo con i nomi delle trentadue
vittime al molo rosso. «A memoria del salvataggio di oltre 4.000 naufraghi — recita l’altra lapide — quando la notte del 13 gennaio
2012 la popolazione gigliese tutta… fece di
quest’isola esempio di società civile e solidale». «Memoria», scritta in italiano e latino.
Hanno fatto bene a inciderla nelle pietre perché rischia di scomparire, assieme alla Concordia che fra pochi giorni, non più nave ma
relitto, verrà trainata nel porto di Genova.
Da domani, meteo permettendo, inizieranno le operazioni di galleggiamento per veder
poi allontanarsi il Mostro lunedì 21 luglio. «E
noi quel giorno — dice Mauro Pretti, di mestiere barcaiolo e responsabile della Protezione civile e soccorso in mare dell’isola —
metteremo fuori un cartello con la scritta
“Chiuso per ubriacatura”. Non ne possiamo
più, di quel tracane, che in dialetto gigliese
vuol dire: grosso oggetto ingombrante. Da
due anni e mezzo ci impedisce di vedere il
mare e di lavorare con i turisti».
L’hanno chiamata in tanti modi, la grande nave spezzata da un piccolo scoglio. La Balena morta, il Relitto, la Tomba, l’Astronave.
Ora che va in discarica non lascia un Giglio
unito come quella notte, quando tutte le luci delle case si accesero e tutti offrirono una
coperta e un pezzo di pane ai naufraghi. «Sono in tanti — dice il barcaiolo Pretti — quelli
che si sentiranno orfani, perché con la Concordia spiaggiata hanno fatto i soldi. Hotel,
ristoranti e proprietari di appartamenti in
questi due anni e sei mesi hanno fatto dieci
stagioni in una. Lavoravano solo d’estate e
invece con i tecnici, i subacquei, gli operai
stranieri e italiani sono stati al completo da
gennaio a dicembre. Ci sono ditte — niente
nomi, tanto qui al Giglio li conosciamo tutti
— che in qualche modo si sono agganciate ai
lavori di recupero e sono passate da un fatESTERANNO
BAMBINI
TUTTI IN ACQUA: ALCUNI BAMBINI GIOCANO IMITANDO IL NAUFRAGIO DELLA NAVE.
A DESTRA, FANNO IL BAGNO SUI GONFIABILI CON LA CONCORDIA SULLO SFONDO
TESTIMONI
IL BARCAIOLO MAURO PRETTI, GUIDA TURISTICA E RESPONSABILE DELLA PROTEZIONE CIVILE SULL’ISOLA
E DON LORENZO PASQUOTTI ACCANTO AL MUSEO DI REPERTI DELLA NAVE NELLA CHIESA AL PORTO
ESPORREMO UN CARTELLO:
CHIUSO PER UBRIACATURA.
NON NE POSSIAMO PIÙ,
ANCHE SE QUALCUNO
AVRÀ NOSTALGIA. IL CIRCO
È FINITO E AI TANTI
CHE SI SONO ARRICCHITI
ARRIVERÀ UNA LEGNATA
MAURO PRETTI
RESPONSABILE PROTEZIONE CIVILE
GUARDO LE PANCHE
DELLA MIA CHIESA
E LE VEDO COME QUELLA
NOTTE, UN ALVEARE
DI PERSONE IN SILENZIO
PIENE DI FREDDO
NON POTREMO
MAI DIMENTICARE
DON LORENZO PASQUOTTI
PARROCO
turato di trentamila euro all’anno a mezzo
milione. Certo, guadagnare non è peccato,
ma questa della Concordia è innanzitutto
una disgrazia e non si può guadagnare con le
disgrazie».
Anche in queste sere di luglio, dopo la partenza dell’ultimo traghetto delle 19, a passeggio nel porto ci sono i pochi abitanti e tanti uomini con tute, imbracature e mute. «Tutte brave persone, ma il Giglio è un’altra cosa.
Vuole turisti veri, alla ricerca di un luogo speciale. Ma adesso il circo è finito e anche chi ha
messo da parte tanti soldi prenderà una legnata. Questa è la terza estate nella quale diciamo ai clienti: non venite, non c’è posto. E
questi avranno già scelto altri luoghi. Il cantiere della Concordia è costato un milione al
giorno e per tanti è stata una pacchia. In fondo un po’ mi dispiace, che se ne vada questo
tracane, perché con tanti operai e tecnici forestieri ho fatto amicizia. Ma il mio portafoglio, e quello di chi vive di vero turismo, è stato colpito e affondato».
Ci sono anche pezzi di pane, nella bacheca
dei ricordi della chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano. «Pane avanzato sul pavimento della
chiesa», annuncia una scritta. «L’abbiamo
messo qui — dice don Lorenzo Pasquotti, prete operaio milanese trapiantato sull’isola tre
mesi prima del naufragio — assieme a un
giubbotto di salvataggio, un Gesù Bambino,
un Crocefisso e un tabernacolo presi nella cappella della nave. C’è anche una cima ritrovata fra le panche della Chiesa. Qualche fedele
mi ha detto: “Non ce n’era bisogno, ricordiamo tutti cos’è successo quella notte. Abbiamo
fatto una cosa bella e buona, aiutando i naufraghi e sappiamo anche che tutto il mondo se
n’è accorto. Perché questo piccolo museo?”.
Anch’io non avrei bisogno di oggetti. Guardo
le panche della chiesa e le vedo come quella
notte, un alveare di persone, in silenzio, piene di freddo. Dicevano grazie con un sorriso.
Allora il Giglio quasi non lo conoscevo, ma poi
ho capito perché tutta l’isola è corsa al porto.
Qui sono tutti figli o nipoti di marinai che
hanno girato il mondo su navi da crociera o
mercantili. Stavolta il naufragio non è avvenuto a Capo Horn, ma sotto le loro case. E allora si va, si aiuta, è naturale. Io comunque,
per ogni Messa, uso la pisside trovata sulla
Concordia. Ne ho altre, ma voglio sempre
la Repubblica
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
IL NAUFRAGIO
I MORTI
IL PROCESSO
IL RECUPERO
LA RIMOZIONE
LA DEMOLIZIONE
IL 13 GENNAIO 2012
LA CONCORDIA
URTA GLI SCOGLI
DELLE SCOLE :
SULLA FIANCATA
SINISTRA SI APRE
UNA FALLA
DI 70 METRI
NEL NAUFRAGIO
PERDONO LA VITA
32 PERSONE:
LA VITTIMA
PIÙ PICCOLA
È UNA BIMBA
DI CINQUE ANNI,
DAYANA
IL COMANDANTE
SCHETTINO
VIENE RINVIATO
A GIUDIZIO:
NAUFRAGIO
OMICIDIO COLPOSO
E ABBANDONO
DI NAVE
A SETTEMBRE 2013
INIZIA IL RECUPERO
DEL RELITTO
SOLLEVATO
E RUOTATO
PER RIMETTERLO
IN POSIZIONE
VERTICALE
A MARZO 2014
VENGONO MONTATI
I CASSONI DI
GALLEGGIAMENTO:
È LA PRIMA FASE
DEL PROCESSO
DI RIMOZIONE
DELLA NAVE
IL 30 GIUGNO
LA DECISIONE
DEL GOVERNO:
LA CONCORDIA
VERRÀ PORTATA
A GENOVA
PER ESSERE
SMANTELLATA
29
LA CONCORDIA INCAGLIATA DAVANTI ALL’ISOLA DEL GIGLIO NOVE GIORNI DOPO IL NAUFRAGIO
quella. Così ogni mattina ricordo i volti di chi
fu accolto in chiesa e prego per coloro che hanno perso la vita. C’era anche una bimba, Dayana. La Concordia adesso se ne va. È un bene.
Sulla bacheca abbiamo scritto: “Noi non potremo mai dimenticare”. Il ricordo resterà
dentro, ma l’isola deve tornare com’era prima».
Un letto matrimoniale, un altro singolo.
Coperte giallo blu, tv al plasma, aria condizionata. «Le va bene la camera numero 10?
È un po’ particolare: è quella di Francesco
Schettino». Hotel Bahamas, due stelle. Era
l’unico aperto, quella notte. In ventisette camere, nell’atrio, nel bar, nella sala colazioni
trovarono rifugio quattrocento naufraghi.
«Per fortuna — racconta Paolo Fanciulli, il
proprietario — avevo il riscaldamento acceso. Quei poveretti presero coperte e lenzuola prima di salire sui traghetti. Svuotarono il
bar, ma io ero d’accordo. Prendete quello che
vi serve, avete carta bianca. Non voglio soldi. Usateli per tornare a casa». Al mattino
verso le dieci si presentò il comandante, in
borghese (si era tolto la divisa prima di scendere dalla nave) con giacchetta e pantaloni
blu. Aveva girato tutta la notte nel porto,
senza farsi riconoscere. «Vorrei una camera». «Chiese un caffè con molto zucchero. Gli
diedi la numero dieci, anche se era in disordine». Un’ora e mezza in tutto, per farsi la
barba e riassettarsi. Sulla rampa di scale verso la hall la prima bugia: «Quello scoglio non
era segnato nelle mappe». All’attracco dei
traghetti lo aspettavano i carabinieri.
«Certo — dice l’albergatore — la Concordia ci ha cambiato la vita. Da ottobre in avanti, al Giglio, si vive in letargo. I figli, dopo le
scuole medie, vanno a scuola a Grosseto,
stanno via tutta la settimana. Il mio era l’unico hotel aperto, dopo si sono accese le luci
di tutti gli alberghi e anche ristoranti e bar
hanno tirato su le serrande, come se fosse
stagione piena. Non mi posso lamentare, in
questi trenta mesi tutte le camere sono state occupate e sono stato ripagato molto bene dei “danni” di quella notte. Dalle persone
aiutate ho ricevuto molta riconoscenza: c’è
un signore tedesco che mi telefona perché
vuole pagare la camera usata dopo il naufragio, ci sono persone che mi riportano le lenzuola e le coperte, lavate e stirate».
CANTIERE
DUE PANORAMICHE DEL RELITTO DURANTE LA LUNGA FASE DI RECUPERO DI QUESTI ANNI
AL TRAMONTO DAL PORTO E DA UN TERRENO COLTIVATO SULLA CIMA DELL’ISOLA
MEMORIA
LA STANZA DELL’HOTEL BAHAMAS DOVE SI FERMÒ SCHETTINO LA MATTINA DOPO IL NAUFRAGIO
A DESTRA, UN SALVAGENTE, UNA CERATA ANTIVENTO, UN CASCO, FRAMMENTI DI ROCCIA, OLIO DEI SERBATOI
IN QUESTO PERIODO TUTTE
LE CAMERE SONO STATE
OCCUPATE E SONO STATO
RIPAGATO MOLTO BENE
DEI DANNI. DAI NAUFRAGHI
PERÒ NON HO VOLUTO
UN SOLDO, MI BASTA
LA LORO RICONOSCENZA
PAOLO FANCIULLI
ALBERGATORE
IL TURISMO È DIMEZZATO
DOBBIAMO RICOSTRUIRCI
UN’IMMAGINE, LA NOSTRA
INVALIDITÀ È PERMANENTE
ORA PER IL MONDO SIAMO
L’ISOLA DEL DISASTRO,
CHI CI AMAVA
NON CI RICONOSCE PIÙ
SERGIO ORTELLI
SINDACO
Non finirà presto, la polemica fra chi dice
di essere stato rovinato e chi sostiene che «la
mucca va munta fin che dà il latte» e magari
spera in altri lavori dopo la partenza della
Concordia, per sistemare il fondale e mantenere così aperto un altro piccolo cantiere.
«Nel nostro Comune — racconta il sindaco,
Sergio Ortelli — ci sono tre paesi: Porto, Castello e Campese. Al Porto ci sono una quindicina di attività che hanno guadagnato bene ma per l’intera isola i numeri ufficiali —
quelli dell’Osservatorio per il turismo della
Costa d’Argento — dicono che il relitto della
Concordia ha fatto danni. Presenze a meno
28% nello stesso 2012, meno 13% nel 2013
rispetto al 2012, e quest’anno 40-50 mila biglietti in meno, rispetto all’anno scorso, sui
traghetti. Quattrocento operai non sostituiscono i quattromila turisti, presenti in media nella nostra estate». L’”Imposta comunale sbarco”, messa dal Comune per fare pagare qualcosa a chi arriva al Giglio solo per
farsi fotografare davanti alla nave naufragata, è stata aumentata da un euro a uno e
mezzo. «Ma gli arrivi sono in calo e incassiamo meno del previsto». Il Comune, parte civile al processo, ha chiesto alla Costa Crociere 80 milioni di danni. «Li useremo — dice Ortelli — per infrastrutture e per ricostruire la
nostra immagine. Il naufragio ci ha provocato un danno di invalidità permanente.
Non siamo più l’isola più bella del mondo ma
quella del disastro. Non sarà facile uscirne. Il
nostro borgo con i suoi silenzi invernali è stato travolto. Nel porto non si vedono panfili e
vele ma gru, cassoni, piattaforme, rimorchiatori. Contro questo nostro piccolo e
splendido mondo è stata compiuta una violenza inaudita. Chi ci amava non ci riconosce
più: abbiamo impiegato anni per “fidelizzare” i nostri turisti e ora sappiamo che già hanno scelto altri borghi e altre spiagge».
I bambini, nella spiaggia del porto, giocano a calcio poi fanno il bagno cercando di non
alzare la testa. La Concordia è lì a pochi metri,
oltre le barriere anti-inquinamento. Parte un
traghetto verso la terraferma. Soliti flash, soliti commenti. «È proprio un balenone». Una
ragazza straniera si fa il segno della croce e
prega. La grande nave è stata una tomba, non
uno spettacolo.
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
30
L’immagine.Pop heart
Kathryn Bigelow fuma con la testa sul cuscino, Julian Schnabel
sta in vestaglia, Basquiat nell’ombra, William Burroughs
in poltrona, Boy George e Keith Haring a tavola...
Per anni fotografa “ufficiale” alla corte di Warhol,
Jeannette Montgomery Barron (con un libro e una mostra)
racconta come si spensero le mille luci di New York
L’ultima
cena
della Factory
D AR I O PAPPAL AR D O
ROMA
A FACTORY consumava il suo atto
FOTO DI GRUPPO
NEI PROVINI IN ALTO,
ANDY WARHOL
E I “SUOI”
IN UNA DELLE ULTIME CENE
ALLA FACTORY NEL 1984.
TRA GLI OSPITI:
BOY GEORGE,
BIANCA JAGGER,
KEITH HARING
E QUENTIN CRISP.
QUI SOPRA,
KEITH HARING
IN UNA SERIE DI SCATTI
L
finale e lei era lì, testimone in
un angolo con la macchina fotografica in mano. Jeannette
Montgomery Barron sedeva al
tavolo di quelle lunghe, ultime
cene con Andy Warhol e la sua
“famiglia”. La Pop Art era ormai diventata un’industria con
tanto di fatturato. E di quella
scena artistica anni Ottanta lei
diventò, poco più che ventenne, la ritrattista “ufficiale”, come dimostra ora il libro
My Years in the 1980s — New York Art Scene (in uscita in contemporanea con la mostra alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, aperta fino al 28 settembre).
La prima volta, in realtà, Andy Warhol le concesse a
stento cinque minuti. Altro che quarto d’ora di celebrità. «Ero lì, in una sorta di sala d’attesa: caos, roba e
foto sparse ovunque, e lui arrivò. Il tempo di scattare e
mi mise alla porta. Il risultato non fu un granché» rac-
conta lei. Ma alla Factory sarebbe tornata altre volte.
«Prima a quella in Union Square e poi sulla East 33rd
Street, che aveva ormai assunto l’aspetto di una serie
di uffici. Ognuno con scrivania e telefono». Quello di
Montgomery Barron è un diario per immagini delle mille luci di New York. Una carrellata di star e di sconosciuti che non sarebbero stati più tali. Kathryn Bigelow, trent’anni prima di diventare l’unica regista donna a vincere l’Oscar, è una ragazza sicura di sé che fuma una sigaretta con la testa comodamente adagiata
su un cuscino. Willem Dafoe è solo un attore di belle speranze e senza maglietta. Francesco Clemente e Cindy
Sherman sembrano appena usciti dal liceo. E poi ci sono i party: le tavolate dove trovi Warhol e Keith Haring;
Bianca Jagger e Boy George; Julian Schnabel, già allora in vestaglia, e Jean-Michel Basquiat. William S. Burroughs siede in poltrona con sguardo da sfinge. In quei
bianco e nero c’è anche un’aria di decadenza, da fine
dell’impero pop. «Sì, Warhol in qualche modo celebrava la sua decadenza», precisa Montgomery Barron, «e
per me non c’era niente di più interessante che guardare quella decadenza da lontano. Anche se non mi rendevo veramente conto di quello che stessi facendo».
Jeannette Montgomery Barron lo spiega sorridendo
nel suo appartamento romano, a pochi passi dal
Pantheon, dove vive per buona parte dell’anno con il
marito mercante d’arte. Ci sono opere di Daniel Buren
appoggiate alle pareti. Luigi Ontani in uno scatto del
1984, alla fontana delle tartarughe, nel ghetto di Roma. New York è decisamente lontana. «Oggi non potrei
più viverci», dice «è diventata troppo nervosa».
Nell’era Reagan, invece, era un baluardo della cultura alternativa. Un Eldorado per i fratelli Monty e Jeannette Montgomery, arrivati da Atlanta, Georgia, con in
testa l’estetica di Interview, la rivista di Warhol dove
pubblicano i primi scatti Herb Ritts, Bruce Weber, David LaChapelle. «Eravamo abbonati al magazine: subivamo il fascino di quella scena culturale e artistica che
stava nascendo. Soho era ancora una novità. C’erano le
gallerie di Leo Castelli e Mary Boone. Lì persi il mio accento del sud e diventai fotografa». Sembra un film di
Cameron Crowe: i Montgomery, da fan, entrano a far
parte del mondo pop. Monty, nel 1981, dirige il primo
film in coppia con la Bigelow, The Loveless; sarà poi produttore e attore, fino a interpretare il cowboy del
Mulholland Drive di David Lynch. Grazie al gallerista
amico Thomas Ammann, Jeannette, intanto, viene introdotta alla Factory e alla corte di re Warhol.
la Repubblica
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
31
Intorno ad Andy tutti diventavano creativi
Sapeva prendere l’energia degli altri e ricaricarla
Ti faceva credere di aver avuto una grande idea
anche se era una sciocchezza
Vivevamo
come non ci fosse
un domani
WILLEM DAFOE
O CONOSCIUTO Jeannette sul set
di The Loveless, il film che suo
fratello Monty stava girando
con Kathryn Bigelow. Lei era lì che
scattava fotografie. Riservate, gentili,
raffinate come sanno essere certe persone
del profondo Sud, i Montgomery erano diversi
da tutta l’altra gente che frequentavo in quella New
York degli anni Ottanta. Jeannette mi fece
dei ritratti. Se li rivedo oggi, penso a quanto sono
belli nella loro semplicità. Ero così giovane!
Accadeva molto prima che la vita l’avesse vinta
su di me. Mentre realizzavamo quegli scatti, lei e io
provavamo a catturare l’atteggiamento
del personaggio che interpretavo nel film, il leader
di una gang di motociclisti.
Quello a New York negli anni Ottanta è stato il
periodo che più mi ha formato. Succedevano tante
cose: gli artisti facevano musica, i ballerini facevano
teatro, i musicisti facevano film, gli attori si davano
alle arti visive. Per tutti c’erano scambi fertili e
trasversali, enormi potenzialità e non una carriera
già avviata. Sexy, socievoli, sballate... le persone
vivevano in quel mondo come se non ci fosse
domani.
Tutto questo mi manca nella misura in cui mi
manca la mia giovinezza, che a dire il vero non
mi manca tanto. È ora che la mia vita mi piace
di più.
(Testo raccolto da Dario Pappalardo)
H
SU RTV - LA EFFE
LUNEDÌ IN RNEWS
(ORE 13.45 E 19.45, CANALE 50
DEL DIGITALE E 139 DI SKY)
IL VIDEOSERVIZIO
CON LE IMMAGINI
DELLA FACTORY
© RIPRODUZIONE RISERVATA
PROVINI
A DESTRA, ANDY WARHOL
E JEAN-MICHEL BASQUIAT
NEL 1985; SOPRA:
KATHRYN BIGELOW NEL 1980
E IL PASS DI JEANNETTE
MONTGOMERY PER IL FESTIVAL
DI CANNES. IN BASSO,
WILLEM DAFOE (1980)
«Andy era un grande osservatore, sapeva prendere
l’energia degli altri e ricaricarla. Si diventava tutti creativi attorno a lui. Dopo la prima volta, a poco a poco, riuscì a posare a suo agio davanti al mio obiettivo. Era abile nel farti credere di avere avuto una grande idea, anche se si trattava di una sciocchezza». Nel bianco e nero
di Montgomery, Warhol siede come un sovrano con
braccia conserte su una pelliccia di tigre. Jean-Michel
Basquiat, invece, ha l’espressione malinconica e mezzo
volto in ombra: «Appariva timido. E non sapevi in realtà
se la sua fosse timidezza, insicurezza o una forma di paranoia provocata dall’abuso di droghe. Per lui gestire un
successo così improvviso era complicatissimo. In più,
negli ultimi tempi, i critici non erano più interessati alla sua carriera. Sono stata spesso nel suo studio, lo vedevo alle feste. Oggi mi pento di non aver comprato nessuna sua opera. È stato sempre carino con me. Ma su di
lui c’era come un’ombra. Poteva risultare anche odioso
e gettare acqua sulla testa di un ospite poco gradito, intimandogli di andare via. Al contrario, Keith Haring gestiva meglio il suo successo. Appariva più sicuro. Era una
persona molto dolce».
Basquiat muore di overdose nell’estate del 1988, nel
loft di Great Jones Street. Haring di Aids, nel 1990. Le
mille luci di New York talvolta si spegnevano all’improvviso. «Sì, c’era la droga. C’era molta paura dell’Aids, non esisteva una cura e mancava ogni speranza.
Tanti non ci sono più. Mi sono salvata perché ho vissuto
in quel mondo da osservatrice. Questo, in fondo, era il
mio lavoro: guardare e fotografare. E poi l’incontro con
mio marito James Barron, in un ascensore, nel 1984, mi
ha fatto vedere tutto da una prospettiva diversa».
A riguardare il libro degli anni Ottanta, Jeannette
non riesce a dire il nome del suo modello perfetto.
«Bianca Jagger mi piaceva molto. Ma, mentre fotografi, vivi sempre come un momento di innamoramento
con la persona che hai davanti. Ti innamori di quel volto. Non ricordo esperienze negative». Una però c’è. «Va
bene, diciamo che Susan Sontag non fu molto gentile
con me. Non so perché, in realtà. La fotografavo mentre rilasciava un’intervista. Forse questo la disturbava.
Ma probabilmente la ragione principale era che non voleva essere fotografata da nessuno che non fosse Annie
(Leibovitz, la fotografa sua compagna, ndr). Per certi
versi era comprensibile. Comunque, riguardando ora
quella New York, capisco solo una cosa: la giovinezza
dura davvero un attimo».
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
Spettacoli. Altri libertini
La fama con la sua band, i Libertines
e poi la discussa relazione con Kate Moss
e l’amore tossico con Amy Winehouse
Il delirante diario di un sopravvissuto
PET E D O H ER T Y
TO CORRENDO A WEST LONDON per l’ultimo degli incontri programmati col mio giudice di sorveglianza. Esigenze superiori. Il mio
prossimo test antidroga a Sainsbury non dovrebbe essere troppo lontano. Mi sto avvicinando ai sobborghi di Parigi e «gaio»
non corrisponde certo alla descrizione (a meno che nuvoloso,
grigio e gelato non sia «gaio» in quest’epoca di rapida evoluzione della lingua). Dopo una lunga e dura sfacchinata, la macchina degli Shambles ha girato l’ultima rotella e io ritorno a Sturmey via libertà vigilata in questa scura e serena notte del Wiltshire. I gatti sono insolitamente interessati ai miei movimenti e
mi spiace dover segnalare che gattino grigio senza nome era
morto di febbre felina…
S
SOMMERSIONE NARCOTICA CRONICA
Per una persona sensibile per natura è curioso, anche se in generale sgradevole, sperimentare l’intorpidita vacuità che ammanta l’anima nel pieno di un’autentica
e ansiosamente affezionata sessione di sommersione narcotica cronica. La
patina secca in fondo alla gola, l’aspetto unto e imbrattato di bocca e occhi,
la rigidità dei polpacci, le braccia gonfie e addormentate. Il petto che ansima. Le mani macchiate e l’aura sudicia. La bocca bombardata e la lingua
paralizzata e scolorita. L’opinione vacante e lo stato vacuo della personalità. L’imprevedibile libido e la percezione surreale del tempo e dello spazio.
AMO AMY?
…I giornali scandalistici sostenevano che io e Amy ci davamo dentro come cani rabbiosi
ninfomani. La trama si ispessisce… al sicuro nella consapevolezza che quella notte era una…
ero onestamente in grado di difendermi e scuotevo tristemente la testa per la compassione
e la tristezza all’idea che Blakey (Blake Fielder Civil, l’ex marito di Amy Winehouse, ndt) potesse anche solo per un secondo dubitare della mia lealtà. Ora poi… dopo che avevano divorziato continuavo a non sognarmi neanche che la Winehouse facesse una mossa, eppure a quanto pare Blake continuava a minacciare atti indicibili di ogni sorta contro di
me, convinto com’era che mi fossi sbatacchiato la sua adorata ex consorte. Cristodiddio! Ora poi a un certo punto naturalmente,
in particolare dopo l’esibizione al V-Festival
Pete
Doherty
io fuori
di me
C’È UN ESUBERANTE
SERVIZIO SU KATE
MOSS E, DEGNA
DI NOTA, LA MIA COMPLETA
E IRRITANTE ASSENZA
DALLA POSITIVA, PULITA,
PROPAGANDISTICA
SUA BIOGRAFIA. MI FA MALE
FORSE PIÙ DI QUANTO
VORREI AMMETTERE
SOSTENEVANO
CHE IO E AMY
CI DAVAMO DENTRO
COME CANI RABBIOSI
NINFOMANI. L’EX-MARITO
POTREBBE DARE
DUE PENCE A UN AVANZO
DI GALERA PER MENARMI
COME UNA TESTA
DI CAVALLO
L’ALBUM PUBBLICATO
IN QUESTO ESATTO
MOMENTO
DAI BABYSHAMBLES
HA MESSO A SOQQUADRO
E CONQUISTATO
I CUORI E LE MENTI
E LA FEDELTÀ
DELLE ADOLESCENTI
MARMOCCHIANTI
32
la Repubblica
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
Peter / Niente è più dolce / Amo la Stella / Canottiera a Rete
Uomo che picchia la moglie / Sporca Sconfitta /
Ti amo / Peter / Sempre / e per sempre Tua
Amy*
La voce dal caos
di un moderno poeta
sotto assedio
*MESSAGGIO DA AMY WINEHOUSE (LA “STELLA” È PROBABILMENTE LA BIRRA STELLA ARTOIS. “WIFE BEATER” PUÒ ESSERE
TRADOTTO COME “UOMO CHE PICCHIA LA MOGLIE” . I GIOCHI DI PAROLE FANNO RIFERIMENTO AL LUOGO COMUNE CHE VUOLE
IL BEVITORE DI BIRRA DA POCHI SOLDI IN CANOTTIERA RESPONSABILE DI VIOLENZE DOMESTICHE, NDT)
l’anno scorso mi sono fatto un balletto alla
Humpy Dumpty (personaggio di una celebre filastrocca, raffigurato come un grosso
uovo antropomorfizzato, ndt) anche se troppo breve con la Duchessa ma tutto è precipitato ora che sembra che si vedano di nuovo.
Mi sta messaggiando minacce appena velate appropriate al suo stato. Potrebbe mettersi male, male, male. Potrebbe dare a qualche avanzo di galera una stecca, probabilmente due pence per menarmi come una testa di cavallo di plastica gonfiabile. Capace.
KATE, TESORO
K*** (Kate Moss, ndt) sorride sciccosa,
sfacciata, seducente dalla copertina di Grazia. Il Grazia francese. I miei arcinemici, ovviamente. C’è un esuberante servizio di sei
pagine e, degna di nota, la mia completa e irritantemente irritante assenza totale dalla
positiva, pulita, propagandistica biografia
adornata di tante istantanee di classe, inclusa una del miglior amico gay di K*** e parrucchiere e cacciatore di successo, “Il Capo
dei cacciatori” (figura presente nella caccia
alla volpe ma anche nel film Il pianeta delle
scimmie, il riferimento è ovviamente ironico, ndt) se ricordo bene. L’ingiuria è aggravata da fotografie di un centinaio degli altri
33
suoi ex dildo. Tesoro, tesoro… perché questo? Mi fa male forse un po’ più di quanto mi
piacerebbe ammettere. Così, caro il mio
Book of Albion confidenziale (libro autobiografico di Doherty del 2007, ndt) dalla copertina di cartone rigido, sono ancora innamorato della donna, della ragazza. Le estasi
che ho sofferto e il tempo che abbiamo passato uno nelle braccia dell’altra erano di tale
importanza e rivelazione per qualsiasi cuore che non mi sentirò mai veramente diverso da come mi sono sentito quel primo giorno nel fienile, nel vecchio fienile…
G U I DO AN DRU E T T O
È
LA VESTE DI MAMMA
C’è molta tranquillità nell’appartamento
ora. Stranamente sto tenendo la stanza in ordine… nella veste da fumo di seta che mi ha
comprato la mamma, versando inchiostro
per bene e lavorando su qualche melodia decisamente riuscita.
Scarabocchio come sempre sui libri che intasano il mio nuovo armadietto in metallo…
ma un sonoro, solido corpus di testi di canzoni non viene fuori.
Mettendo in scena i miei giochi di ruolo
per lo spettacolo da baraccone del fame game che ho autoperpetuato, musica, emozione, manipolazione.
ANTICIPIAMO IL LIBRO APPENA USCITO IN INGHILTERRA
DELL’EX RAGAZZO PRODIGIO DEL ROCK, OSPITE FISSO
DEI TABLOID PER LA SUA VITA MOLTO SPERICOLATA.
COME DIMOSTRA IL FOGLIETTO QUI A DESTRA, UN NUMERO
TELEFONICO SCRITTO COL SANGUE DI UNA SIRINGA...
LA SIGNORA GAINSBOURG
5 febbraio 2012: a quanto sembra finalmente Sylvie (Verheyde, regista, ndr) ha finito il montaggio di Confession (Confession
of a Child of the Century, ndt) e la prima
proiezione per la troupe aspetta… Queste ultime settimane sono state l’ultima occasione per aggiungere agli atti un po’ di musica
mia… ho suonato Perfume (un dolce pezzo
strumentale melodico), come picchiettio
strimpellante di sottofondo alla prima scena
d’amore che il mio personaggio «esegue»
con la signora Gainsbourg. Tutti colpi lenti,
sinceri, inarcati e il personaggio compassato di Charlotte. Cammino impettito giù per
la scala in legno e in mezzo ai campi. In un altro momento, alla fine del film, eseguo una
versione acustica della nuova canzone Birdcage, che ho scritto insieme alla Suze Martin
di un tempo… Il film ora è in dirittura d’arrivo e presumo stia per essere riversato nella
palude… quale senso di trepidazione avverto aspettando che i critici giudichino i miei
sforzi in questo campo, essenzialmente
«dramma storico in costume». Alfred de
Musset per la 21ª Albione «Calembour o non
calembour» è la domanda su tutte le loro labbra inchiostrate, scommetterei, indipendentemente da quelli competenti, dal merito, sicuramente decideranno di odiare o
amare questa storia d’amore elevante.
VOGLIONO FARSI IL TIPO CHE STAVA CON KATE
Fricchettoni, apostoli arcadici, sgomitatori, pogatori, manganellatori, intenditori
di bum festival, ringiovanenti e fedeli (potrebbe essere, quindi) che danno per scontato che l’album pubblicato in questo esatto
momento — ha messo a soqquadro e conquistato i cuori e le menti e la fedeltà delle
marmocchianti fanciullesche adolescenti
aficionadas proprio di quelle cose chitarra
distorta, religiosi sconsiderati nella loro serata libera, puttini senza sesso arrivati in volo dall’ossessione orientale — ricche reclute
per non parlare dei fan superficiali gli ex fanatici incuriositi dalle proprie reazioni a una
band che un tempo li teneva in un profondo
e un po’ sinistro stato ossessivo di ipnosi, ragazze a caso di West London di grande privilegio e bellezza personale (e altezza), che apprezzano abbastanza la musica ma tutto
sommato vogliono solo scopare con un tipo
che ha scopato Kate Moss. Spuntarlo dalla lista di cose da fare prima che il sole esploda.
Rischierò di scrivere un testo segreto in questo momento che trascorre seduto come sono proprio di fronte al mio vero amore?
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DAVVERO l’ultimo poeta maledetto del
rock. L’ultimo libertino. L’immagine di
Peter Doherty che emerge dai suoi
racconti deliranti annotati su
malandati taccuini ed oggi racchiusi nel
libro autobiografico From Albion to Shangri-la, è
quella di un artista e di un uomo completamente
perso nei suoi viaggi tossici. Una stella smarrita tra
le poesie di Arthur Rimbaud e le visioni oppiacee di
Samuel Taylor Coleridge. Doherty è il cantante dei
Babyshambles, uno dei gruppi più rappresentativi
del rock indipendente inglese
degli anni Zero, ma soprattutto
è il frontman dei Libertines, la
sua vecchia band con cui è
tornato in scena poche sere fa
ad Hyde Park a Londra, di
fronte ad una folla osannante di
sessantamila persone. Da più di
dieci anni, l’autore di Down in
Albion, disco dei
Babyshambles prodotto da
Mick Jones dei Clash, è
assediato dai tabloid britannici,
che non l’hanno mai perso di
vista da quando venne fuori la
sua relazione con la top-model
Kate Moss (che ha anche
cantato con Peter ne La Belle et
la Bête). Cocaina, crack,
ketamina ed eroina, sono
parole che ricorrono con una
frequenza allucinante nelle
migliaia di articoli che in questi
anni sono stati pubblicati sul
suo conto. È successo di nuovo
dopo la tragica scomparsa di
Amy Winehouse, a cui Doherty
è stato sentimentalmente
legato, e ancora con la morte lo
scorso aprile di Peaches Geldof,
ex modella e figlia del cantante
e organizzatore del celebre Live
Aid, Bob Geldof, anche lei
inghiottita da un’overdose
nella sua casa di Wrotham nel
Kent. Dai vecchi appunti di
Doherty riemersi per la
pubblicazione del libro,
compare anche il suo nome e il
numero del suo cellulare, che
uno dei due deve aver scritto
usando del sangue da una siringa. Un particolare
macabro non nuovo per Doherty, che in passato
aveva iniziato anche una breve carriera come
pittore usando il suo sangue al posto dei colori.
Storie di eccessi, di vite fuori controllo. Per questo
inseguendo Peter Doherty è normale incappare in
situazioni imprevedibili. Cercare di raggiungerlo
alla vigilia della reunion dei Libertines è stato un
delirio. Gli avevo già parlato un paio di volte l’anno
scorso e una volta mi aveva svegliato nel mezzo
della notte, ripetendo “Ghido, Ghido….” dal suo
iPhone scassato. Voce a intermittenza, frasi
sconnesse. Stava telefonando da Parigi, dove
(quando non sta ad Amburgo) abita in un
appartamento in rue de Copenhague, da cui esce
di rado, il più delle volte la sera per esibirsi da solo
al Jane Club di rue Mazzarine (ci tornerà il 24
luglio per un live acustico), a Saint-Germain.
Stavolta è stata la curatrice del suo nuovo libro,
Nina Antonia, che ha cercato di farci comunicare
al telefono una decina di giorni fa durante la
presentazione alla libreria Waterstone’s di Oxford
Street, dove centinaia di ragazzi hanno pazientato
ore in coda per avere una copia autografata. Di
nuovo, la voce di Peter che va e che viene. Di nuovo
il caos. Niente altro che caos.
IL LIBRO
IL TESTO
E IL DISEGNO
DI DOHERTY
QUI PUBBLICATI
SONO TRATTI
DA “FROM ALBION
TO SHANGRI-LA”
LA RACCOLTA
DEI SUOI DIARI
DAL 2008 AL 2013
(258 PAGINE,
10 STERLINE
IN VENDITA
SU THINMAN
PRESS.COM).
QUI SOPRA,
LA COPERTINA
E PIÙ IN ALTO
UNA PAGINA
DEL TACCUINO
COL NUMERO
DI PEACHES
GELDOF, MORTA
LO SCORSO
7 APRILE, SCRITTO
COL SANGUE
DA LEI STESSA
O DA DOHERTY
© RIPRODUZIONE RISERVATA
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
34
Next.Game over
1972
1977
1983
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I GIOCHI: 30 MILIONI
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SYSTEM
LA PRIMA CONSOLE:
BIANCO E NERO
E NIENTE AUDIO
C’ERA UNA VOLTA
J AIME D’ ALESSAN D R O
L’
ULTIMO pezzo di futuro, quello che ancora mancava. Dopo la musica
infatti, dopo i film e la tv, dopo i libri, ora il mondo del cloud e dello
streaming sta per inghiottire un nuovo boccone. A partire dal 31
luglio negli Stati Uniti e in Canada, e nel 2015 anche in Europa e
Giappone, sarà possibile giocare ai videogame per console senza
più bisogno di possederne una. Meglio: senza più bisogno di comprare un gioco. No, non stiamo parlando di app per smartphone, né
della possibilità di giocare in streaming vecchie produzioni del passato riesumate per far cassa, ma di titoli di ultima ed ultimissima
generazione. L’esperimento è della Sony, benché si tratti di una
tendenza che potrebbe farsi generale e portare all’estinzione delle stesse console, comprese quelle della multinazionale giapponese. Perché da fine luglio fanno i bagagli e cominciano a trasferirsi sulle nuvole, nel cloud, e alla loro
potenza di calcolo si accederà a distanza. In futuro quindi, pagando un abbonamento, si potrà mettere in pausa l’ultimo Assassin’s Creed sul pc di casa, uscire e riprenderlo su tablet mentre si è in metropolitana e dopo il lavoro continuare nel soggiorno di un amico sulla sua smart tv. È lo stesso gioco, la medesima qualità della grafica, solo che viene fruito in streaming e sarà nostro fintanto che
pagheremo un abbonamento o il suo affitto.
«Stiamo lavorando esattamente a questo
scenario», conferma Shuhei Yoshida, il capo
degli studi di sviluppo della Sony. Un signore
giapponese di mezza età dalla voce sottile e dai
modi pacati. «Per ora quel che è possibile fare
è giocare senza bisogno di una console attraverso i tv Bravia della Sony, e in futuro quelli di
altre marche che avranno i giusti requisiti tecnici, sottoscrivendo il servizio PlayStation
Now. Partiremo con circa cento titoli usciti su
PlayStation 3 e nel prossimo futuro aggiungeremo quelli per PlayStation 4, come per le altre
nostre console uscite in precedenza». Qualcosa come Spotify per la musica o Netflix per ci-
È la rivoluzione dei videogame,
la vecchia console va in pensione
Playstation & co. funzioneranno
in streaming. Ovunque voi siate
Ora
cambiamo
gioco
TABLET
SMART
PHONE
LAP TOP
2014
PLAYSTATION NOW
LA PLAYSTATION
DIVENTA UN SERVIZIO
STREAMING. BASTA UNA
SMART TV,
UN TABLET, UN PC.
SU ABBONAMENTO
COME SPOTIFY
2012/2013
2006
2005
2001
NEXT GENERATION
WII
XBOX 360
XBOX
WII U, PS3 E XBOX ONE:
È INIZIATA
L’ULTIMA GUERRA
DELLE CONSOLE
IL BOOM
DELLA NINTENDO:
OLTRE 100 MILIONI
DI UNITÀ VENDUTE
VELOCE, POTENTE
E MULTIMEDIALE
EGUAGLIA LA PS3
IN VENDITE
CI CREDEVANO
IN POCHI, AVVIO
STENTATO,
TROPPO CARA
la Repubblica
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
1988
1991
1994
SEGA GENESIS
S.N.E.S.
UN SUCCESSO
ANCHE GRAZIE
A GIOCHI COME
SONIC E ALADDIN
IL SISTEMA
NINTENDO DIVENTA
“SUPER”: 49 MILIONI
VENDUTI
SONY
PLAYSTATION
ELABORAZIONE DI ANNALISA VARLOTTA
nema e tv. Stavolta però parliamo di un medium interattivo. Significa che la Rete che collega l’utente ai server, fissa oggi e domani mobile, deve essere molto veloce. Deve avere una
larghezza sufficiente per trasmettere una mole impressionate di dati e ricevere i segnali che
arrivano dal joypad tenuto dal giocatore.
Già, il joypad. Lo streaming dei videogame lo richiede e sarà sempre necessario
avere uno schermo di qualche tipo oltre
a un’ottima connessione.
E pensare che un paio di anni fa, quando al-
l’Electronic Entertainment Expo di Los Angeles il cloud gaming aveva fatto la sua comparsa,
non tutti avrebbero puntato sul suo avvenire.
Alla grande fiera dedicata ai giochi elettronici,
c’erano un paio di start up che facevano provare una versione dimostrativa dei loro servizi.
Onlive da un lato e Gaikai dall’altro, quest’ultima poi acquisita da Yoshida & Co. Sperimentazioni da start up e una filosofia di fondo che ora
condividono in tanti. Microsoft ne aveva parlato apertamente un anno fa, presentando la sua
Xbox One. «Passeremo dall’era delle macchine
LA VELOCITÀ DELLE NUVOLE
OLTRE A SCHERMO E JOYPAD, IL “CLOUD GAMING” RICHIEDE
UNA LARGHEZZA DI BANDA MOLTO AMPIA. IL FLUSSO DI DATI
DAI SERVER VERSO I TABLET, SMART TV, SMARTPHONE E PC,
È ENORME. MA SOPRATTUTTO È IMPORTANTE LA “LATENZA”
CIOÈ IL TEMPO IN CUI I COMANDI INVIATI DAL GIOCATORE
DEVONO ARRIVARE ALLA “NUVOLA”: NON DEVE ESSERE
PIÙ DI UNA FRAZIONE DI SECONDO
TV
2000
1998
PLAYSTATION 2
SEGA
DREAMCAST
SONY CONFERMA
IL VANTAGGIO
TECNOLOGICO
SU TUTTI GLI ALTRI
35
HA UN MODEM
PER L’ONLINE:
TROPPO AVANTI
a quella dei servizi», aveva detto Phil Harrison
dai suoi due metri di altezza. Prima di passare
dalla parte di Redmond, aveva occupato la sedia che oggi è di Yoshida e già allora stava cercando di immaginare un futuro del genere. Peccato che la Microsoft, con una singolare marcia
indietro autolesionista, sia tornata sui suoi passi forse per paura delle grandi catene di negozi
hi-tech regalando così alla Sony un’arma molto
affilata.
Con lo streaming infatti il suicidio delle console è solo apparente. La Dfc Intelligence, alcuni mesi fa, aveva fatto una sua valutazione. L’ennesima, va sottolineato per dovere di cronaca,
di un mercato che di volta in volta viene rappresentato con cifre diverse e distanti. In questo caso si è parlato di un giro di affari da ottanta miliardi di dollari e di circa duecentosettanta
milioni di giocatori legati alle console. Ma il bacino potenziale, coloro che giocano in varia forma anche e soprattutto su pc e dispositivi mobili, è di un miliardo e quattrocento milioni. Ed
è a loro che si rivolge il cloud gaming. Supera le
console perché le console non riusciranno mai a
diventare davvero di massa. Costano, occupano spazio in soggiorno, richiedono la decisione
di investire soldi e tempo per questo tipo di intrattenimento. Ma se si offre un servizio di abbonamento, se si dà la possibilità di provare l’ultimo Grand Theft Auto semplicemente pagando una manciata di euro al mese, allora è possibile che quello stesso gioco vada ben oltre i re-
LA RIVOLUZIONE:
OLTRE 100 MILIONI
DI VENDITE
cord raggiunti. Parliamo di undici milioni di copie vendute in ventiquattr’ore che potrebbero
moltiplicarsi domani per due, tre o quattro volte. Non solo. I videogame tradizionalmente
hanno una vita commerciale che nella maggior
parte dei casi è brevissima. Vanno a ondate, o a
fiammate se si preferisce, durano due o tre mesi sugli scaffali per poi sparire e diventare irreperibili. Lo streaming potrebbe recuperare un
catalogo immenso caduto nell’oblio e permettere allo stesso tempo nuovi modelli di business.
Basti pensare che alla Ubisoft, per il loro Just
Dance, videogame di ballo che ha venduto oltre
cinquanta milioni di copie, hanno avuto un’idea
simile. Just Dance Now, che uscirà a fine anno,
non prevede più l’uso delle console. Basterà una
smart tv o un tablet sul quale scaricare l’app,
app che andrà istallata anche sul proprio
smartphone. Il server, dal cloud, invierà alla
smart tv o al tablet i video musicali e un codice
di quattro numeri da inserire nell’app sul telefono. Quest’ultimo andrà tenuto in mano, come fosse il controller della Wii, trasformandosi
in un sensore di movimento. Il risultato? Che a
quella coreografia potranno partecipare anche
ventimila persone contemporaneamente gestite a distanza e via app dai server della Ubisoft.
Altra magia del cloud gaming. «Perché fermarsi al pubblico delle console?», chiede Jason Altman, il produttore del gioco. «Lì fuori di
smartphone ce ne sono molti, molti di più».
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
Sapori.Vele e tovaglie
GOMMONE, GOZZO
O MEGA YACHT,
FRUTTA, SUPPLÌ,
SCATOLAME
O DELIZIE DA CHEF
LA SPAGHETTATA
AL CHIARO DI LUNA
È UN SOGNO
INSEGUITO
TUTTO L’INVERNO
DA REALIZZARE
ANCHE A TERRA
Segreti in cambusa
Per gusto o necessità
cucinare controvento
LICIA GRANELLO
ESSUNO su questa mia nave finirà contro
un iceberg, potete giurarci, non con il
capitano Kendrick a bordo, senza contare che per cena abbiamo braciole di
maiale”. Bastano poche righe de La leggenda di Duluoz di Jack Kerouac per
sancire il limite invalicabile tra il mare
per necessità e quello di piacere. Da una
parte cambusa terragna, ovvero carne
— soprattutto secca, la braciola è lusso
assoluto — legumi, patate, gallette di
pane. Al massimo, qualche alicetta, minutaglie frantumate nelle reti o pesci troppo poveri e brutti per sperare di venderli, una
volta rientrati al molo. Dall’altra, il pozzetto delle delizie, dove il menù quotidiano si trasforma in una sequenza di piccoli grandi peccati di gola e il pescato del giorno diventa trofeo da fotografare — e postare — prima di consegnarlo alla padella dello skipper.
Malgrado l’estate tutta solleone e calma
ta, aggiornamento 2.0 delle ceste piene di
piatta ancora giochi a nascondino, il tempo
ognibendiddio che nelle estati degli anni
delle vacanze in barca ha cominciato da setSessanta lasciavano le cucine dei ristoranti
timane ad animare porti e porticcioli, tra riin riva al mare su un gozzetto per approdare
tocchi da ultimare e parabordi da sostituire,
nelle cambuse di yacht e velieri. Pratica mai
in una rigorosa successione spazio-tempotramontata, se è vero che ancora oggi, dalla
rale con pochissime deroghe. Che si proLiguria alla Sicilia, cellulari e binocoli segrammi una settimana da felici errabondi in
gnalano l’arrivo in rada di questa o quella sumare aperto o ci si accontenti di una gita in
perbarca, con immediata offerta di aragoste
gommone, l’approvvigionamento alimene pasta ai ricci direttamente a bordo (e antare occupa i pensieri da subito, ma si tradunessi battibecchi su chi ha diritto di precece in spesa effettiva solo all’ultimo, quando
denza). Certo, il pret-à-porter del cibo da baril frigorifero di bordo è attivato e la possibica non esime nessun buon capitano dall’esilità di stivaggio certa.
bizione culinaria in onore degli ospiti affaNegli anni, l’offerta di gourmandise da
barca s’è allargata a dismisura, uscendo dal
mati dopo il tuffo di mezzogiorno: pentola a
recinto di affumicati, sott’oli e sotto sale.
pressione e un barattolo di buona passata
Buona parte del merito va ai nuovi sistemi di
possono essere di gran sollievo anche ai mecottura e conservazione sottovuoto, che perno esperti di cucina navigante. Altrimenti,
mettono di preparare piatti sfiziosissimi in
telefonate a uno degli chef stellati che cucianticipo e portarseli appresso senza ingomnano on demand (barcaiolo) e regalatevi
bri supplementari. Quando la perizia culiuna cena degna dell’ammiraglio Horatio
Nelson. I vini, in deroga ai principi dello stinaria latita, basta rivolgersi a uno dei bravi
vaggio virtuoso, comprateli subito dopo i pacuochi di mare specializzati in questa sorta
di catering on board, con scelta di primi e serabordi.
condi, condimenti e contorni da leccarsi le di© RIPRODUZIONE RISERVATA
“N
Il vino
Vignaiolo e velista, il pugliese
Alberto Longo rifornisce
ogni settimana la cambusa
del 14 metri SeaThink con vini
e prodotti della seicentesca
Masseria Celentano. Le crociere,
itineranti fra Tremiti e Gargano,
prevedono visite e degustazioni
presso i produttori e i ristoranti
più interessanti della costa
La mostra
Per il Panerai Classic Yachts
Challenge, circuito di regate
di vele d’epoca, dal 10 al 14
settembre Imperia ospiterà
la mostra “I menù storici
delle navi della Regia marina
e il rancio di bordo”, curata
dal capitano di vascello
Alessandro Pini, con curiosità
sull’alimentazione in mare
La ricetta
Fragole, crema e Sciacchetrà
Un pranzo da antichi ufficiali
INGREDIENTI P
DI FRAGOLE;
DI PAN DI SPAGNA;
1/2 BICCHIERE D INO SCIACCHETRÀ; 3 DL. DI PANNA FRESCA MONTATA
PER LA CREMA:1/2 L. DI LATTE; 5 CUCCHIAI D INO SCIACCHETRÀ
8 TUORLI D’
DI AMIDO DI MA
ER
8 COPPE: 800 G.
300 G.
IV
IV
UOVO; 220 G. DI ZUCCHERO; 70 G.
ettere a bollire il latte con il
vino. A parte montare i tuorli con lo zucchero e l’amido
di mais.
Appena il latte arriva a bollore, prelevarne un poco per stemperare le uova, poi versarlo tutto e lasciar cuocere
delicatamente la crema per cinque minuti. Quando sarà intiepidita, stenderla su una placca. Prendere un terzo delle fragole, frullarle e passarle allo chinois (colino sottile). Tagliare il pan di
Spagna a dadini e disporli sul fondo delle coppe. Bagnare con un po’ di vino,
versarvi sopra un cucchiaio di salsa di
fragole, e in successione crema pasticcera, panna fresca, fragole a pezzetti e
ancora salsa di fragole.
M
Il libro
Si intitola “350 migliori ricette
per la cucina in barca” il libro,
anche in versione digitale, scritto
da Davide Deponti (Panama
Editore), che svela i trucchi
della gastronomia d’alto mare,
adattando preparazioni e menù
alla quotidianità di bordo,
compresi piatti studiati
per chi soffre di mal di mare
IS
IL MENÙ
QUESTO IL DOLCE
SERVITO
A CHIUSURA
DI UN PRANZO
UFFICIALE NEL 1935
SULLA NAVE
DA BATTAGLIA
CONTE DI CAVOUR.
LA RICETTA
È A COROLLARIO
DI UNO DEI MENÙ
STORICI
DELLA MOSTRA
DI IMPERIA
(NELLA FOTO)
Cacciucco
Zuppa di pesce
con cozze,
vongole, gamberi,
seppie, palombo,
scorfano,
gallinella,
dentice
e branzino
36
la Repubblica
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
10
Un rito sacro
che si officia
con la pentola
a pressione
piatti
Fritto
di paranza
Acqua e sale
Il pasto
dei pescatori
in mare: friselle
(gallette
del marinaio)
inzuppate
nell’acqua di mare
per ammorbidire,
strofinate con
pomodori maturi
e un filo d’olio
Alici
marinate
Via teste e lische,
unite per il dorso
A strati, bagnando
con vinaigrette
di extravergine,
aceto bianco,
limone, sale,
pepe, aglio,
prezzemolo
e peperoncino
Ricciola
all’ acqua
pazza
A fuoco basso
e tegame coperto,
con pomodorini,
aglio, prezzemolo,
extravergine, sale
e due bicchieri
d’acqua. A fiamma
spenta pepe fresco
37
Il trionfo
del pescato
del giorno, pulito,
infarinato e cotto
in una pentola
stretta e alta,
in cui friggere
una manciata
di pescetti per volta
Servire bollenti
Fregola
Per cuocere
le minuscole
palline di semola
— versione sarda
di burghul
e couscous —
acqua o fumetto
di pesce. Come
condimento, frutti
di mare e verdura
tagliata fine
Polpette
di mare
Ritagli di pesce
scottati, lavorati
con prezzemolo,
parmigiano,
mollica
ammollata
nell’aceto
e strizzata, ricotta
In teglia, con olio
e vino bianco
Pasta
strombolana
Spaghetti scolati
al dente per poi
finire la cottura
nel sugo di alici
sciolte nell’olio
caldo, capperi
e pomodori
Nel piatto,
pangrattato
tostato in padella
G I O VAN N I S O LDI N I
L
Calamarata
Gioca sul formato
della pasta
(un terzo
dei paccheri)
che si confonde
con i molluschi
tagliati ad anelli,
insaporiti
in aglio, olio,
peperoncino
e pomodorini
Cozze
alla catalana
Molluschi scaltriti
preservando
il liquido,
da aggiungere
a pomodori,
cipolle rosse
affettate sottili,
basilico, limone,
extravergine. Far
riposare in frigo
Zuppetta
di vongole
Spurgate
e scaltrite,
aggiungendo vino
bianco. A parte,
si cuoce
il pomodoro
col liquido filtrato
prima di unire
tutto. Servire con
pane abbrustolito
A CAMBUSA è uno dei punti
chiave di una barca a vela. Io
la curo sempre fino all’ultimo
dettaglio: perché, sia che tu
stia facendo una traversata
oceanica sia che tu stia facendo una
vacanza nel Mediterraneo, mangiare
bene, in mare, è fondamentale. Influisce
sul clima dell’equipaggio oltre che sul
suo stato di salute fisica e mentale. Un
piatto di spaghetti al dente o di riso
all’onda non deve mai mancare. E per
questo faccio sempre in modo che a
bordo ci sia una buona pentola a
pressione. Cucinare in navigazione, con
la barca che sbanda e le onde, può essere
complicato e pericoloso, e la pentola a
pressione riduce sia la difficoltà sia i
rischi. La “ricetta base” è semplice: un
bicchiere d’acqua dolce, un bicchiere
d’acqua di mare e mezzo chilo di pasta:
tre minuti di fischio e non devi neanche
prenderti il disturbo di scolare. Condisci
e mangi.
Io di solito la faccio alla carbonara anche
se una volta inventai una ricetta che
ebbe un discreto successo. Stavo finendo
una lunga traversata e in cambusa era
rimasta poca roba. In particolare c’erano
delle mele — in mare se ne portano
sempre parecchie visto che si
conservano bene — inventai un sugo con
il curry e l’uvetta, talmente buono che
misi la ricetta online ed ebbe molte
visualizzazioni. La gente era stupita che
il navigatore Soldini postasse ricette. E
invece non c’è niente di strano: quando
sei in mare, specialmente se stai
affrontando qualche traversata in
solitario, il momento della cucina è
cruciale perché è il momento in cui ti
occupi di te stesso in un’attività in cui
invece, di solito, gli sfizi sono pochi o
nulli. Per questo motivo secondo me
cucinare a bordo è un rito, un qualcosa di
sacro.
In regata le possibilità creative sono
limitate dal fatto che per motivi di peso
dell’imbarcazione non puoi strafare. Per
dire, adesso su Maserati, la cambusa la
cura un importante chef, Ugo Alciati che
preconfeziona per un equipaggio di nove
persone pasti disidratati elaborando
materie prime di alta qualità.
Però, quando sono in mare per vacanza,
posso tranquillamente dare il meglio di
me. Mi lascio letteralmente andare, e in
quel caso curo nel dettaglio anche la
cantina della cambusa. Una volta
durante una traversata da Genova a New
York partii con parecchie casse di vino in
stiva (dove per altro il clima è ideale per
la conservazione del vino buono). A
bordo c’erano anche Oscar Farinetti e
Alciati. Fu memorabile: dopo un mesetto
di navigazione ne erano rimaste poche.
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 13 LUGLIO 2014
38
L’incontro. Eclettici
UN ARTISTA
CHE VUOLE AVERE
SUCCESSO A VOLTE
È SOLO UNO
CHE VUOLE AVERE
SUCCESSO,
NON UN ARTISTA
IO L’HO TROVATO
AL PRIMO COLPO
COME UN TESORO
SENZA NEANCHE
AVERE LA MAPPA.
POI È INIZIATA
UN’ALTRA STORIA...
Giusto il giorno del suo esame di maturità “50 Special” dei Lùnapop
era arrivata in testa alla hit parade. “La feci ascoltare alla commissione. Presi sessantuno e mi sono sempre chiesto cosa significasse
quell’uno... Sei mesi dopo, il primo assegno della Siae convinse i
miei genitori a lasciarmi fare questo mestiere”. Com’era bello andare in giro per i colli bolognesi. Ma anche oggi, passati quindici anni e
una carriera tutta da solista, puportai subito un nastrino, e da quel giorno io e Walter non ci siamo più lasciati».
il produttore è ancora qui al suo fianco che fa capolino ogni tanto nel giardinetto fuori dal capannone della periferia bolognese, ai piedi di San Luca, dove
re tra libri e film, l’ultima sua “Lo- Infatti
Cremonini s’è costruito il suo studio di registrazione.
Sei mesi dopo l’uscita di 50 special arrivò il primo assegno Siae, buono per comla casa, e con esso la speranza di aver trovato un’occupazione. «Speranza
gico#1” da tre mesi è la più ascol- prarci
che non è mai diventata certezza, neanche oggi. Questo lavoro è un miraggio infinito. Così come due film non ti fanno un attore o due congiuntivi non ti fanno
scrittore. Ma davanti a quella cifra i miei genitori si arresero. Mi ero appena
tata alla radio. “Non è stato facile uno
iscritto al Dams, non ho mai dato un esame. Fu un tesoro trovato alla prima porta aperta senza neanche avere la mappa. Se non quella che mi hanno consegnato
miei genitori e che ancora oggi mi consente di attraversare questo mondo. La
diventare adulto, ora mi sento imia
relazione con 50 special è ancora molto buona, non l’avevo distrutta ma l’ho
recuperata. Mi fa simpatia quell’inizio così allegro e movimentato, una canzone giovane perché fatta da giovani, e non giovanilistica. Si capiva che era scritcredibile”
ta da un diciottenne anche se i critici non lo considerarono: loro ti mettono a pa-
Cesare
Cremonini
EMILIO MARRESE
BOLOGNA
LL’ESAME DI MATURITÀ
scientifica si presentò alla commissione con
uno stereo portatile. «Dissi “questo è quello che mi sta succedendo”.
E schiacciai play». Proprio quel giorno 50 special era arrivata in testa alla classifica. Com’era bello andare in giro per i colli bolognesi.
«La prof di chimica iniziò a battere il piedino, quello di fisica si rilassò sulla sedia, quella di matematica mi fissava inespressiva». Voto finale? «Sessantuno. Mi sono sempre chiesto cosa significasse quell’uno. Forse: “è scemo,
ma non del tutto”». Sono passati quindici anni: 50 special vinse il Festivalbar e
conquistò quindici dischi di platino, i Lùnapop si divisero poco dopo, non serenamente. Troppi soldi e troppo successo tutto in un colpo per quattro ragazzini
che suonavano alle feste liceali. Cesare Cremonini, oggi trentaquattrenne, ha
continuato a produrre hit, ha scritto un libro, ha recitato in un film di Pupi Avati (Il cuore grande delle ragazze, 2010) e forse ne farà un altro di Edoardo Gabriellini, ha riempito i palasport, ha vinto il Nastro d’argento per la miglior canzone da film (Amor mio cantata da Gianni Morandi in Padroni di casa) e da tre
mesi consecutivi la sua ultima Logico#1, scelta anche per lo spot del più celebre
cono gelato, è il brano più trasmesso dalle radio italiane. La prima data al Forum di Assago che aprirà il tour autunnale è già sold out.
Le canzoni le compone ancora sul pianoforte tedesco risalente alla Seconda guerra mondiale che, quando aveva sei anni, gli comprarono usato i genitori, un’insegnante e un medico, da un istituto per ciechi. «Vive
con me, nella mia stanza. Alcune cose mi riescono unicamente su quei tasti. Mi accompagna da quando a otto anni venivo esibito alle riunioni di famiglia. A quattordici formai il mio primo gruppo, i Senza filtro, e in quel periodo scrissi tutte le canzoni che avremmo poi pubblicato in Squérez?, l’u-
A
LA VERGOGNA FA PARTE DI QUESTO MESTIERE
E LE CANZONI SPESSO SONO UN RIMEDIO AL SENSO
DI INADEGUATEZZA. LA SCRITTURA È UN’OSSESSIONE
PERENNE. E LA FELICITÀ SOLO UN ATTIMO:
UNA BIRRA DIETRO AL PALCO, DOPO UN CONCERTO
nico album dei Lùnapop. Il primo concerto lo tenemmo in
un cortile estivo bolognese, buffet misero e poca gente. Le
prime cinquantamila lire di ingaggio, le più importanti della mia vita, le prendemmo in un circolo marinaro del centro, tra gomene e salvagenti, spendendole in birra la sera
stessa. Per la prima volta però c’era gente che era venuta apposta per ascoltare noi. Una mattina allora feci “fuga” da
scuola e andai in una libreria musicale a strappare dalle Pagine gialle della musica bolognese quella dei produttori discografici locali. Mi rispose l’ultimo della lista, Walter Mameli: gli
ragone subito con tutta la storia della musica. Ogni interprete si porta dietro a
vita il suo primo successo, come una targa: pensa se fosse stata una melodia disperata… Credo però di non essere ormai più identificato solo con quella canzone». Un obiettivo lungamente e faticosamente inseguito. «L’ansia di diventare
adulto l’ho avuta, sentivo il bisogno di provare la mia crescita, ed era difficile levarsi di dosso il marchio Lùnapop. Questa mia è l’età delle decisioni, del fare, della famiglia, del 730, l’età in cui tutto ciò che ci gira intorno ci chiede chi siamo. E
non mi ribello a questo. A vent’anni ti sembra di poter scegliere tutto e invece è
proprio il contrario, dalla marca di scarpe al taglio di capelli sono tutte scelte condizionate. A trentaquattro si arriva finalmente in cima a una collina, con tante
strade davanti, e si scopre che c’è ancora una montagna all’orizzonte. Ora sento la responsabilità di essere un privilegiato e di dover ricambiare, senza più chiedere scusa né provare senso di colpa. E posso di nuovo permettermi una canzone ironica come Grey Goose, un racconto paraculo dell’amore effimero di una
notte che considero la 50 special della mia maturità. Me l’ero persa un po’, l’ironia, impegnato com’ero a dimostrare di essere bravo a scrivere canzoni». Ha
dunque smesso di cantare l’abbandono, in stile Battisti. «Sarei ridicolo a quest’età a fare ancora il vittimista. La vergogna fa parte del mio mestiere, e la canzone spesso è un rimedio al senso di inadeguatezza. Io mi vergogno se manco di
rispetto a qualcuno, anche involontariamente. E soprattutto se sento che sto facendo qualcosa che non mi corrisponde».
L’ossessione della scrittura gli è rimasta. «Ma riesco a governarla. So aspettare con pazienza l’istante. Posso decidere a quale velocità andare. Gran parte
dei libri che leggo li lascio a metà per correre al pianoforte a comporre, sfruttando l’ispirazione. Mi ritengo uno che legge poco ma bene: quando un autore
mi prende ci vado totalmente dentro, vivo di amori improvvisi ma terribilmente forti. John Fante, Gaber, Dylan, Pasolini, Fellini… E lo stesso vale per le mie altre passioni: la cucina, lo sport, i motori... L’Aston Martin però l’ho venduta: non
è più aria di tirare schiaffi alla miseria. Questo lavoro ti insegna presto che le tasse vanno pagate e io sento questo dovere. Non mi vedrete mai prendere la residenza a Monte Carlo». Agli atti. «Guarda quella foto alla parete: io con una birra
FACCIO PARTE DI UNA CITTÀ MA NON
DI UNA SCUOLA NÉ DI UNA CRICCA:
NON SONO CRESCIUTO NELLE RAGNATELE
DI LUCIO DALLA. MI CHIAMAVA DI NOTTE,
CHISSÀ SE MI HA PERDONATO...
in mano dopo il tutto esaurito all’Arena di Verona. Eccola. La felicità è quella, il
risultato di una grande attesa. Ciò che non è molto atteso, resta poco. Chi come
me corre costantemente il rischio di viziarsi ha sempre bisogno di grandi sfide.
Riempire i palasport è la cartina tornasole della credibilità di un artista. Appena intrapreso il percorso da solista avevo vissuto momenti difficili in cui, nonostante i miei dischi passassero molto in radio, non riuscivo a fare pienoni. Ora vendo più biglietti che dischi. Mi ha aiutato il metodo che ci siamo
imposti, con Walter, per inseguire un obiettivo diverso e non farsi soggiogare come buoi di un progetto discografico. Un artista che vuole avere successo a volte è solo uno che vuole avere successo. Il mio sogno è un
percorso alla Celentano o Morandi che attraversi tutte le stagioni. Scrivere canzoni è un mestiere artigianale in continuo movimento dentro una cornice culturale che altrettanto si muove, e nella quale tu sei un punto dentro. A un certo momento ti ritrovi a essere al centro esatto della cornice. Così ero ai tempi di 50
special e così mi sento di nuovo da qualche anno: di nuovo a fuoco».
Cremonini impregna le sue canzoni di bolognesità,
ma non si è mai sentito un pulcino di quella cesta. «Faccio parte di un filone e di una città, non di una scuola, e
non sono cresciuto nelle ragnatele di Lucio Dalla né dei
jazzisti bolognesi. Sono amico di tutti, ma non ho mai
voluto stare in una cricca né in nessun salotto di questo mondo. È difficile discernere tra cosa ti toglie e cosa ti dà, cosa ti ruba e ti lascia muto e cosa invece aumenta il talento. Sì, è un atteggiamento che rischia di farti passare da stronzo, ma alla fine ti fa guadagnare rispetto. Dalla aveva grande stima di me, però non lo assecondavo molto. Una volta mi lasciò un messaggio notturno
in segreteria: “Ok, ho capito Cesare: non siamo amici, va bene. Però vediamoci”. Chissà se mi ha perdonato…».
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