Viaggio in Sri Lanka e Filippine - 12

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALLE FILIPPINE
Volo Papale, Lunedì, 19 gennaio 2015
Padre Lombardi: Santo Padre, grazie per essere qui. La vediamo in forma splendida
dopo questi giorni di viaggio e La ringraziamo di darci di nuovo del lavoro da fare anche
oggi, perché con la sua conversazione ci farà lavorare per tutto il viaggio.
Papa Francesco: Prima di tutto vi saluto, buongiorno, grazie del vostro lavoro. Il viaggio è
stato impegnativo e, come diciamo in spagnolo, pasado por agua. È bello, e grazie tante
per quello che avete fatto.
Prima domanda, Kara David, gruppo filippino:
Buongiorno, Holy Father. Sorry, I will speak in English. Thank you very much for visiting
our Country and for giving so much hope to the Philipinos. We would like you to come
back to our Country. My question is: the Philipinos have learned a lot from listening to your
message. Is there something that the Holy Father has learned from the Philipinos, from
your encounter with us?
Papa Francesco: I gesti! I gesti mi hanno commosso. Non sono gesti protocollari… Sono
gesti buoni, gesti sentiti, gesti che vengono dal cuore. Alcuni quasi fanno piangere. Lì c’è
tutto: la fede, l’amore, la famiglia, le speranze, il futuro… Quel gesto dei papà, quando
alzavano i bambini, perché il Papa li benedicesse. Il gesto di un papà… ce n’erano tanti:
alzavano i bambini, quando passavo per la strada. Un gesto che da altre parti non si vede.
Come se dicessero: questo è il mio tesoro, questo è il mio futuro, questo è il mio amore,
per questo vale la pena lavorare, per questo vale la pena soffrire. E’ un gesto originale, ma
nato dal cuore.
Il secondo gesto che mi ha colpito tanto è un entusiasmo non finto, la gioia, l’allegria,
capaci di fare festa anche sotto l’acqua. Mi diceva uno dei cerimonieri che è stato edificato
perché i ministranti a Tacloban, con quella pioggia, mai avevano perso il sorriso. È la
gioia, gioia non finta. Non era un sorriso dipinto, no: un sorriso che veniva. E dietro quel
sorriso c’è la vita normale, ci sono i dolori, ci sono i problemi… Altro gesto: le mamme che
portavano i figli ammalati; e anche le mamme che li portavano là. Le mamme non
alzavano tanto i figli… fino a qui… [in braccio]. Sì, si vedevano tanti bambini disabili, con
disabilità che fanno un po’ impressione: non nascondevano il bambino, lo portavano dal
Papa perché lo benedicesse. Questo è il mio bambino, è così, ma è mio. Tutte le mamme
sanno questo e lo fanno, ma il modo di farlo, è quello che mi ha colpito.
Il gesto della paternità, della maternità, dell’entusiasmo, della gioia. E c’è una parola che è
difficile per noi da capire, perché è stata troppo volgarizzata, troppo usata male o capita
male, ma è una parola che ha sostanza: la rassegnazione. Un popolo che sa soffrire, e
che è capace di alzarsi e andare avanti. Ieri, nel colloquio che ho avuto con il papà di
Krystel, la ragazza volontaria che è morta a Tacloban, sono stato edificato [da quello che
mi ha detto]: “E’ morta in servizio”, e cercava parole per confortarsi, per accettare questo.
Un popolo che sa soffrire. È questo che ho visto, per come io ho interpretato i gesti.
Seconda domanda, Jean-Louis de la Vaissière di France Presse per il gruppo
francese:
Sua Santità è andata già due volte in Asia. I cattolici in Africa non hanno ancora ricevuto la
Sua visita. Lei sa che dalla Repubblica Centrafricana, alla Nigeria, all’Uganda, molti fedeli
che soffrono la povertà, la guerra, il fondamentalismo islamico sperano la Sua visita
quest’anno. Allora volevo chiedere: quando e dove pensa di andarci?
Papa Francesco: Rispondo ipoteticamente. Il piano è andare nella Repubblica
Centrafricana e in Uganda. Questi due. Quest’anno. Credo che sarà verso la fine, per il
tempo. Devono calcolare il tempo, che non ci siano le piogge, che non ci sia brutto tempo.
È un po’ in ritardo questo viaggio perché c’è stato il problema dell’ebola. È una
responsabilità grande, fare grandi raduni, per il contagio. Ma in questi Paesi non c’è
problema. Questi due sono in ipotesi per quest’anno.
Terza domanda, Salvatore Izzo dell’Agi, Agenzia Italiana di Informazione, per il
gruppo italiano:
Santo Padre, a Manila eravamo in un albergo molto bello, tutti erano molto gentili e si
mangiava molto bene. Però, appena si usciva da questo albergo si veniva – diciamo così
– aggrediti moralmente dalla povertà. Vedevamo dei bambini che erano in mezzo ai rifiuti,
trattati, direbbe Lei forse, come rifiuti. Ecco, io ho un bambino di sei anni e mi sono
vergognato che questi stanno così male. Ma il mio bambino, che si chiama Rocco, ha
capito molto bene quello che Lei ci insegna quando dice di condividere con i poveri. E
così, andando a scuola, cerca di distribuire la merenda tra i mendicanti della zona. Eppure
per me è molto più difficile. Anche per altre persone grandi è difficile. Un solo Cardinale,
40 anni fa, ha lasciato tutto per andarsene dai lebbrosi (Léger). Ecco, questa era la mia
domanda: perché è tanto difficile seguire quell’esempio anche per i Cardinali? L’altra cosa
che volevo chiederLe invece riguarda lo Sri Lanka. Lì abbiamo visto tutte quelle favelas
andando verso l’aeroporto. Sono delle baracche appoggiate agli alberi e vivono
praticamente sotto gli alberi. La maggioranza sono Tamil e sono discriminati. Lei,dopo la
strage di Parigi, il giorno dopo, forse a caldo, ha detto: “C’è un terrorismo isolato e un
terrorismo di Stato”. Ma cosa voleva dire con quel “terrorismo di Stato”? A me è venuto in
mente vedendo la sofferenza e la discriminazione di queste persone.
Papa Francesco: Quando una di voi mi domandato qual era il messaggio che io portavo
nelle Filippine, io ho detto: i poveri. E’ il messaggio che la Chiesa oggi dà. Anche quello
che Lei dice dello Sri Lanka, i Tamil, la discriminazione… I poveri, le vittime di questa
cultura dello scarto. Questo è vero. Oggi non si scarta la carta, quello che
avanza, soltanto. Si scartano le persone. E la discriminazione è un tipo di scarto. Si scarta
questa gente. Mi viene in mente l’immagine delle caste... Questo non può andare. E lo
scarto oggi sembra quasi normale. Lei parlava dell’albergo lussuoso accanto alla baracca.
Nella mia diocesi di Buenos Aires c’era tutta la zona nuova che si chiama Puerto Madero,
fino alla stazione ferroviaria, e poi incomincia la “Villa Miseria”, i poveri, uno dietro l’altro.
Da questa parte ci sono 36 ristoranti di lusso, che se tu vai a mangiare lì ti tagliano la
testa; di là c’è la fame.Uno attaccato all’altro. E noi abbiamo la tendenza ad abituarci a
questo. Sì, qui siamo noi e lì sono gli scartati. Questa è la povertà, e credo che la Chiesa
debba dare esempio sempre di più in questo, di rifiutare ogni mondanità. A noi consacrati,
vescovi, preti, suore, laici che credono davvero, il peccato più grave, la minaccia più grave
è la mondanità. E’ tanto brutto quando si vede un consacrato, un uomo di Chiesa, una
suora, mondani. È brutto. Questa non è la strada di Gesù. È la strada di una Ong che si
chiama Chiesa. Ma questa non è la Chiesa di Gesù, quella Ong. Perché la Chiesa non è
una Ong, è un’altra cosa. Ma quando diventa mondana - una parte della Chiesa, queste
persone - diventa una Ong e smette di essere la Chiesa. La Chiesa è il Cristo, morto e
risorto per la nostra salvezza, è la testimonianza dei cristiani che seguono Cristo. Quello
scandalo che Lei ha detto è vero, sì, tante volte noi scandalizziamo i cristiani,
scandalizziamo, che siamo preti o laici, perché è difficile la strada di Gesù. È vero, la
Chiesa deve spogliarsi.
E Lei mi ha fatto pensare a quella cosa del terrorismo dello Stato: che questo scarto sia
come un terrorismo. Mai lo avevo pensato, davvero, ma mi ci fa pensare. Non so cosa
dirLe, davvero. Non sono carezze quelle, certamente, è come dire: no, tu no, tu fuori.
O quanto è accaduto qui a Roma: un barbone che aveva un dolore di pancia, poveretto –
e quando tu hai un dolore di pancia e vai all’ospedale, al Pronto Soccorso, ti danno
un’aspirina o una cosa del genere o ti danno appuntamento dopo quindici giorni: vieni
dopo quindici giorni –. E’ andato da un prete e il prete ha visto, si è commosso e ha detto:
“Ti porto all’ospedale, ma tu mi fai un favore: quando io inizio a spiegare quello che tu hai,
tu fai finta di svenire”. E così è accaduto: un artista, l’ha fatto bene. Era una peritonite!
Quest’uomo era scartato. Se andava da solo, era scartato e moriva. Quel parroco era
furbo e lo ha aiutato bene. Era lontano dalla mondanità. È un terrorismo questo? Mah… sì,
si può pensare che sia… Si può pensare, lo penserò bene. Grazie! Auguri anche per
l’Agenzia.
Quarta domanda, Jan-Christoph Kitzler della Ard, la radio tedesca, per il gruppo
tedesco:
Grazie, Santo Padre. Vorrei ritornare un attimo all’incontro che ha avuto con le famiglie. Lì
ha parlato della “colonizzazione ideologica”. Ci potrebbe spiegare un po’ meglio il
concetto? Poi si è riferito al Papa Paolo VI, parlando dei casi particolari che sono
importanti nella pastorale delle famiglie. Ci può fare alcuni esempi di questi casi particolari
e magari dire anche se c’è bisogno di aprire le strade, di allargare il corridoio di questi casi
particolari?
Papa Francesco: La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io.
Vent’anni fa, nel 1995, una Ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un grosso
prestito per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione
che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo grado di scuola. Era un libro di
scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender.
Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione. Furba, ha
detto di sì e ha fatto fare anche un altro libro e li ha dati tutti e due, e così è riuscita…
Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente
a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo
con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il Sinodo i
vescovi africani si lamentavano di questo, che è lo stesso che per certi prestiti si
impongano certe condizioni. Io dico soltanto questo caso che io ho visto. Perché dico
“colonizzazione ideologica”? Perché prendono proprio il bisogno di un popolo o
l’opportunità di entrare e rafforzarsi, per mezzo dei bambini. Ma non è una novità questa.
Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina.
Pensate ai “Balilla”, pensate alla Gioventù Hitleriana... Hanno colonizzato il popolo,
volevano farlo. Ma quanta sofferenza! I popoli non devono perdere la libertà. Il popolo ha
la sua cultura, la sua storia; ogni popolo ha la sua cultura. Ma quando vengono condizioni
imposte dagli imperi colonizzatori, cercano di far perdere ai popoli la loro identità e creare
uniformità. Questa è la globalizzazione della sfera: tutti i punti sono equidistanti dal centro.
E la vera globalizzazione – a me piace dire questo – non è la sfera. È importante
globalizzare, ma non come la sfera, bensì come il poliedro, cioè che ogni popolo, ogni
parte, conservi la sua identità, il suo essere, senza essere colonizzata ideologicamente.
Queste sono le “colonizzazioni ideologiche”. C’è un libro – scusatemi, faccio pubblicità –
c’è un libro, forse lo stile è un po’ pesante all’inizio, perché è scritto nel 1907 a Londra… A
quel tempo lo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo
descrive in quel libro. Si chiama Lord of the World. L’autore è Benson, scritto nel 1907, vi
consiglio di leggerlo. Leggendolo capirete bene quello che voglio dire con “colonizzazione
ideologica”. Questa è la prima domanda.
La seconda: che volevo dire di Paolo VI? È certo che l’apertura alla vita è condizione del
Sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna
darlo all’uomo se non sono d’accordo su questo punto, di essere aperti alla vita. A tal
punto che, se si può provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non
essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo, è causa di nullità matrimoniale, l’apertura
alla vita. Paolo VI ha studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti
casi, tanti problemi, problemi importanti che fanno l’amore della famiglia. Problemi di tutti i
giorni. Tanti, tanti… Ma c’era qualcosa di più. Il rifiuto di Paolo VI non era rivolto ai
problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le
situazioni e perdonare o essere misericordiosi, comprensivi. Ma lui guardava al neoMalthusianismo universale che era in corso. E come si riconosce questo neoMalthusianismo? E’ il meno dell’1% di natalità in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neoMalthusianismo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non
significa che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna
in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. “Ma Lei vuole lasciare
sette orfani?”. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile. Quella è la strada:
la paternità responsabile. Ma quello che io volevo dire era che Paolo VI non ha avuto una
visione arretrata, chiusa. No, è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal
neo-Malthusianismo che è in arrivo. Questo volevo dire. Grazie.
Padre Lombardi: Intanto vi do una notizia. Siamo di nuovo sulla Cina. Quindi stiamo
prendendo l’abitudine di fare queste conferenze con il Papa mentre sorvoliamo la Cina,
come è già stato tornando dalla Corea.
Quinta domanda, Valentina Alazraki per il gruppo spagnolo:
Santità, nel viaggio, quando andavamo verso le Filippine, Lei ha avuto quell’immagine e
anche quel gesto verso il nostro povero Gasbarri, che nel caso avesse insultato sua
mamma si sarebbe meritato un pugno. Questa frase ha creato un pochino di confusione e
non è stata capita bene da tutti, nel mondo, perché era come se dicesse che forse
giustificava un pochino, davanti a una provocazione, una reazione violenta. Ci potrebbe
spiegare un pochino meglio quello che voleva dire?
Papa Francesco: In teoria, possiamo dire che una reazione violenta davanti a un’offesa, a
una provocazione, in teoria sì, non è una cosa buona, non si deve fare. In teoria,
possiamo dire quello che il Vangelo dice, che dobbiamo dare l’altra guancia. In teoria,
possiamo dire che noi abbiamo la libertà di esprimere e questa è importante. Nella teoria
siamo tutti d’accordo. Ma siamo umani, e c’è la prudenza, che è una virtù della convivenza
umana. Io non posso insultare, provocare una persona continuamente, perché rischio di
farla arrabbiare, rischio di ricevere una reazione non giusta, non giusta. Ma è
umano, questo. Per questo dico che la libertà di espressione deve tenere conto della
realtà umana e perciò dico che deve essere prudente. È un modo di dire che deve essere
anche educata. Prudente. La prudenza è la virtù umana che regola i nostri rapporti. Io
posso andare fino a qui, non posso andare in là, in là… Questo volevo dire: che in teoria
siamo tutti d’accordo: c’è libertà di espressione, una reazione violenta non è buona, è
cattiva sempre. Tutti d’accordo. Ma nella pratica fermiamoci un po’, perché siamo umani e
rischiamo di provocare gli altri e per questo la libertà deve essere accompagnata dalla
prudenza. Questo volevo dire.
Sesta domanda, Nicole Winfield dell’Associated Press degli Stati Uniti per il gruppo
inglese:
Santo Padre, il gruppo inglese: volevo chiedere di nuovo sui viaggi di quest’anno. Lei ci ha
detto già che era previsto il viaggio in America. Lei ha citato tre città: New York,
Washington e Philadelphia. Poi, con la canonizzazione di Serra ci domandiamo se forse è
prevista anche una tappa in California oppure alle frontiere del Messico. E poi in
Sudamerica, Lei ha detto alla nostra collega Elisabetta Piqué che erano previsti tre viaggi
o un viaggio in tre Paesi del Sudamerica. Quali sono? E se Lei pensa di beatificare
personalmente l’arcivescovo Romero, recentemente considerato martire. Ho finito.
Papa Francesco: Comincio dall’ultima. Lì ci sarà una guerra tra il cardinale Amato e
mons. Paglia! Quale dei due farà la beatificazione? Non io personalmente: per i beati
normalmente la celebra il cardinale del Dicastero o un altro.
Dall’ultima domanda andiamo alla prima: Stati Uniti. Sì, le tre città sono quelle:
Philadelphia, per l’Incontro delle Famiglie, New York – ho già la data, ma non la ricordo,
della visita alle Nazioni Unite –, e Washington. Sono queste tre. Andare in California mi
piacerebbe, per fare la canonizzazione di Junipero Serra, ma c’è il problema del tempo. Ci
vogliono due giorni in più. Penso di fare quella canonizzazione al Santuario di Washington.
È una cosa nazionale. A Washington, nel Campidoglio credo, c’è anche la statua di
Junipero. Penso lì. Entrare negli Stati Uniti dalla frontiera del Messico: sarebbe una cosa
bella, come segno di fratellanza e aiuto per gli emigranti, ma Lei sa che andare in Messico
senza andare a visitare la Madonna è un dramma e lì può scoppiare una guerra!, e anche
per questo ci sarebbero tre giorni di più e non è tutto chiaro. Io penso che ci saranno
soltanto queste tre città. Poi c’è tempo per andare in Messico. Poi ho dimenticato
qualcosa? Ah, tre Paesi latinoamericani sono previsti per quest’anno – tutto è ancora in
bozza –: l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Questi tre. L’anno prossimo, Deo volente,
vorrei fare – ma ancora non è previsto niente – Cile, Argentina e Uruguay. E il Perù manca
un po’, lì, che non sappiamo dove metterlo… ma è questo.
Settima domanda, Carla Lim per il gruppo filippino:
Buongiorno, Santo Padre. I thank you for inspiring my Country. On behalf of the Philipino
people, I thank you so much. Forgive me for I cannot speak Italian. You mentioned in
some of speeches in the Philippines about corruption, and corruption takes away
resources from the people. What can your Holiness do to fight corruption, not just in the
government, but maybe in Church as well?
Papa Francesco: Forte questa! La corruzione oggi nel mondo è all’ordine del giorno e
l’atteggiamento corrotto trova subito facilmente nido nelle istituzioni. Perché un’istituzione
che ha tanti settori qua e là, ha tanti capi e vicecapi, è tanto facile che lì si possa annidare
la corruzione. Ogni istituzione può cadere in questo. La corruzione è togliere al popolo. La
persona corrotta, che fa affari corrotti, o governa in maniera corrotta o va ad associarsi
con gli altri per fare un affare corrotto, ruba al popolo. Le vittime sono quelli che lui [indica
Salvatore Izzo] ha visto vicino all’albergo di lusso: quelli sono le vittime della corruzione.
La corruzione non è chiusa in sé stessa: si muove. E uccide. Capisce? Oggi è un
problema mondiale, la corruzione. Una volta, nell’anno 2001 più o meno, ho domandato al
Capo di Gabinetto del Presidente in quel momento – era un governo che noi pensavamo
non fosse tanto corrotto, ed era vero, non era tanto corrotto, il governo –: “Mi dica, gli aiuti
che voi inviate all’interno del Paese, sia in contanti, sia cose per nutrirsi, per vestirsi, tutte
queste cose, quanto arriva sul posto?”. Subito quest’uomo, che è un uomo vero, pulito,
subito dice: “Il 35%”. Così mi ha detto. Anno 2001, nella mia patria.
E adesso, la corruzione nelle istituzioni ecclesiali. Quando io parlo di Chiesa a me piace
parlare dei fedeli, dei battezzati, tutta la Chiesa. Ed è meglio parlare di peccatori. Tutti
siamo peccatori. Ma quando parliamo di corruzione, parliamo o di persone corrotte o di
istituzioni della Chiesa che cadono nella corruzione, e ci sono casi, sì, ci sono. Io ricordo
una volta, anno 1994, appena nominato vescovo del quartiere di Flores a Buenos Aires,
sono venuti da me due impiegati o funzionari di un ministero a dirmi: “Lei ha tanto bisogno
qui, con tanti poveri, nelle Villas miserias…”. “Oh sì”, ho detto io, e ho raccontato. “Noi
possiamo aiutarLa. Noi abbiamo, se Lei vuole, un aiuto di 400.000 pesos”. A quel tempo il
peso e il dollaro erano 1 a 1: 400.000 dollari. “E voi potete fare?”. “Ma sì, sì”. Io ascoltavo,
perché ‘quando l’offerta è molto grande, persino il Santo non si fida’; e poi andavano
avanti: “Per fare questo, noi facciamo il deposito e poi Lei dà la metà a noi”. In quel
momento io ho pensato: cosa fare? o li insulto e do loro un calcio dove non batte il sole, o
faccio lo scemo. E ho fatto lo scemo. Ho detto, ma con verità, ho detto: “Lei sa che noi
nelle vicarie noi non abbiamo conto; Lei deve fare il deposito in arcivescovado con la
ricevuta”. Ed è tutto. “Ah, non sapevamo… piacere…”, e se ne sono andati. Ma poi io ho
pensato: se questi due sono arrivati direttamente, senza chiedere permesso – è un cattivo
pensiero – è perché qualcun altro ha detto di sì. Ma è un cattivo pensiero!… La corruzione
è facile farla. Ma ricordiamo questo: peccatori sì, corrotti no! Corrotti mai! Dobbiamo
chiedere perdono per quei cattolici, quei cristiani, che scandalizzano con la loro
corruzione. È una piaga nella Chiesa; ma ci sono tanti santi, e santi peccatori, ma non
corrotti. Guardiamo anche all’altra parte, alla Chiesa santa! Qualcuno c’è anche… ma
grazie per il coraggio di fare questa domanda.
Ottava domanda, Anaïs Feuga di “Radio France” per il gruppo francese:
Stiamo sorvolando la Cina. Andando in Corea, Lei ci ha detto che era pronto ad andare in
Cina già da domani. Alla luce di queste dichiarazioni, ci può spiegare perché non ha
ricevuto il Dalai Lama che era a Roma poco tempo fa, e a che punto stanno andando le
relazioni con la Cina?
Papa Francesco: Grazie per questa domanda. Grazie. E’ abitudine per il protocollo della
Segreteria di Stato di non ricevere Capi di Stato o persone di quel livello quando sono a
Roma per una riunione internazionale. Per esempio, in occasione della riunione della FAO
non ho ricevuto nessuno. È per questo che non è stato ricevuto. Ho visto che qualche
giornale ha detto che non l’ho ricevuto per paura della Cina: questo non è vero. In quel
momento la ragione era questa. Lui ha chiesto un’udienza e gli è stato detto una data a un
certo punto. Lo aveva chiesto prima, ma non per quel momento, e siamo in relazione. Ma
il motivo non era il rifiuto alla persona o paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo
la pace con tutti. E come vanno i rapporti? Il Governo cinese è educato; anche noi siamo
educati e facciamo le cose passo passo, come si fanno le cose nella storia. Ancora non si
sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno.
Nona domanda, Marco Ansaldo della “Repubblica”, per il gruppo italiano:
Padre Santo, Lei ha fatto un viaggio entusiasmante, molto ricco, pieno di cose qui, nelle
Filippine. Ma io vorrei fare un passo indietro, anche perché il terrorismo colpisce la
cristianità, i cattolici, in molte zone del mondo. Abbiamo visto ancora ultimamente, in
questi giorni, in Niger, ma gli esempi sono tantissimi. Ora Lei, nell’ultimo viaggio che
abbiamo fatto, tornando dalla Turchia, ha lanciato un appello ai leader islamici, dicendo
che servirebbe un passo, un intervento da parte loro molto fermo. Ora, questa cosa non mi
sembra che sia stata considerata e accolta nonostante le sue parole. Ci sono alcuni Paesi
moderati musulmani – posso fare benissimo l’esempio della Turchia – che hanno un
atteggiamento sul terrorismo – citiamo i casi dell’Isis o anche di “Charlie Hebdo” –
perlomeno ambiguo. Ecco, io non so se Lei in questo mese e mezzo ha avuto il modo di
riflettere e pensare a come andare oltre il Suo invito che non è stato accolto e che pure
era importante. Lei, o chi per Lei, penso alla Segreteria di Stato, vedo qui mons. Becciu o
lo stesso cardinale Parolin… anche perché questo è un problema che continuerà ad
interrogarci.
Papa Francesco: Quell’appello l’ho ripetuto anche il giorno stesso della partenza per lo
Sri Lanka, al Corpo Diplomatico, alla mattina. Nel discorso al Corpo Diplomatico ho detto
che auspico che i leader religiosi, politici, accademici e intellettuali si esprimano. Anche il
popolo moderato islamico chiede questo dai suoi leader. Alcuni hanno fatto qualcosa.
Credo anche che bisogna dare un po’ di tempo perché per loro la situazione non è facile.
Io ho speranza perché c’è tanta gente buona fra loro, tanta gente buona, tanti leader
buoni, e sono sicuro che si arriverà. Ma volevo dire e sottolineare che lo stesso l’ho
ripetuto il giorno della partenza.
Decima domanda, Cristoph Schmidt per il gruppo tedesco:
Santo Padre, prima di tutto vorrei dire mille grazie per tutti i momenti così impressionanti di
questa settimana. È la prima volta che La accompagno e vorrei dire mille grazie. La mia
domanda: Lei ha parlato dei tanti bambini nelle Filippine, della Sua gioia che ci sono così
tanti bambini. Ma, secondo dei sondaggi, la maggioranza dei filippini pensa che la crescita
enorme della popolazione filippina è una delle ragioni più importanti per la povertà enorme
del Paese, e nella media una donna nelle filippine partorisce più di tre bambini nella sua
vita, e la posizione cattolica nei riguardi della contraccezione sembra essere una delle
poche questioni su cui un grande numero della gente nelle Filippine non stia d’accordo
con la Chiesa. Che cosa ne pensa?
Papa Francesco: Io credo che il numero di tre per famiglia, che lei menziona, secondo
quello che dicono i tecnici, è importante per mantenere la popolazione. Tre per coppia.
Quando si scende sotto questo livello, accade l’altro estremo, come ad esempio in Italia,
dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i
pensionati. Il calo della popolazione. Per questo la parola-chiave per rispondere è quella
che usa la Chiesa sempre, anch’io: è “paternità responsabile”. Come si fa questo? Col
dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare questa paternità
responsabile. Quell’esempio che ho menzionato poco fa, di quella donna che aspettava
l’ottavo e ne aveva sette nati col cesareo: questa è una irresponsabilità. “No, io confido in
Dio”. “Ma guarda, Dio ti dà i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la
parola – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli. No. Paternità
responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci
sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante soluzioni
lecite che hanno aiutato per questo. Ma ha fatto bene a dirmelo. È anche curiosa un’altra
cosa, che non ha niente a che vedere ma che è in relazione con questo. Per la gente più
povera un figlio è un tesoro. È vero, si dev’essere anche qui prudenti. Ma per loro un figlio
è un tesoro. Dio sa come aiutarli. Forse alcuni non sono prudenti in questo, è vero.
Paternità responsabile. Ma bisogna guardare anche la generosità di quel papà e di quella
mamma che vedono in ogni figlio un tesoro.
Undicesima domanda, Elisabetta Piqué per il gruppo spagnolo:
In rappresentanza del gruppo spagnolo, due domande. È stato un viaggio commovente
per tutti: abbiamo visto piangere tutto il tempo a Tacloban; noi stessi giornalisti abbiamo
pianto; Lei ieri ha detto che il mondo ha bisogno di piangere. È stato tutto molto forte.
Volevamo chiedere qual è stato per Lei il momento più forte: la Messa a Tacloban e poi
ieri quando questa bambina si è messa a piangere… Questa è la prima domanda. Poi, la
seconda: ieri Lei ha fatto storia, ha superato il record di Giovanni Paolo II nello stesso
posto: c’erano 6/7 milioni di persone. Come vive questo? Il cardinal Tagle ci raccontava
che durante la Messa, all’altare, Lei gli chiedeva: “Ma quanta gente c’è?”. Quindi, come
vive aver superato questo record, essere entrato nella storia come il Papa con la Messa
più numerosa nella storia?
Papa Francesco: La prima: il momento più forte. Quello di Tacloban, la Messa, per me è
stato forte, molto forte: vedere tutto il popolo di Dio fermo là, pregando, dopo quella
catastrofe, pensare ai miei peccati e a quella gente… È stato forte, un momento molto
forte. Nel momento della Messa lì, io mi sono sentito come annientato, quasi non mi
veniva la voce. Non so cosa mi è successo, forse sia l’emozione, non so, ma non ho
sentito altra cosa. È una specie di annientamento. E poi momenti forti sono stati i gesti,
ogni gesto. Quando passavo e un papà faceva così [fa il gesto di alzare il bambino], io
davo la benedizione, e lui mi diceva grazie, per loro bastava una benedizione. Ho pensato:
e io che ho tante pretese, che voglio questo, che voglio quello… Mi ha fatto bene questo!
Momenti forti. Anche dopo che ho saputo che a Tacloban siamo atterrati con un vento di
70 km/h io ho preso sul serio l’avviso che dovevamo partire all’una e non di più perché
c’era pericolo. Ma non ho avuto paura.
Per quanto riguarda la grande presenza, io mi sono sentito così annientato. Quello era il
popolo di Dio e il Signore era lì. È la gioia della presenza di Dio che dice a noi: pensate
bene che voi siete servitori di queste persone… questi sono i protagonisti…
Poi l’altra cosa è il pianto. Una delle cose che si perde quando c’è troppo benessere, o i
valori non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia, a questa cultura dello scarto,
è la capacità di piangere. È una grazia che dobbiamo chiedere. C’è una bella preghiera
nel Messale antico, per piangere. Diceva così, più o meno: “O Signore, tu che hai fatto sì
che Mosè col suo bastone facesse uscire acqua dalla roccia, fai che dalla roccia del mio
cuore esca l’acqua del pianto”. Bellissima questa preghiera! Noi cristiani dobbiamo
chiedere la grazia di piangere, soprattutto i cristiani benestanti, e piangere sulle ingiustizie
e piangere sui peccati. Perché il piangere ti apre a capire nuove realità o nuove dimensioni
della realtà. E’ quello che ha detto la ragazza, anche quello che ho detto io a lei. Lei è
stata l’unica a fare quella domanda alla quale non si può rispondere: “perché soffrono i
bambini?”. Il grande Dostoevskij se la faceva, e non è riuscito a rispondere: perché
soffrono i bambini? Lei, con il suo pianto, una donna, che piangeva. Quando io dico che è
importante che le donne siano più tenute in conto nella Chiesa, non è soltanto per dare
loro una funzione di segretaria di un dicastero, questo può andare. No, è perché loro ci
dicano come sentono e guardano la realtà, perché le donne guardano da una ricchezza
differente, più grande. Un’altra cosa che voglio sottolineare qui: quello che ho detto
all’ultimo ragazzo [nell’incontro coi giovani], che davvero lavora bene, dà, organizza, aiuta
i poveri. Ma non dimenticare – gli ho detto – che anche noi dobbiamo essere mendicanti
rispetto a loro, perché i poveri ci evangelizzano. Se noi togliamo i poveri dal Vangelo, non
possiamo capire il messaggio di Gesù. I poveri ci evangelizzano. “Io vado ad
evangelizzare i poveri”. Sì, ma lasciati evangelizzare da loro!, perché hanno valori che tu
non hai.
Vi ringrazio tanto per il vostro lavoro! Lo stimo. E grazie tante. So che è un sacrificio per
voi.
SANTA MESSA con sette milioni di partecipanti
OMELIA DEL SANTO PADRE
Rizal Park, Manila, Domenica, 18 gennaio 2015
«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). E’ per me una particolare
gioia celebrare la domenica del Santo Niño con voi. L’immagine del Santo Bambino Gesù
ha accompagnato la diffusione del Vangelo in questo Paese fin dall’inizio. Vestito con gli
abiti regali, coronato e dotato di scettro, globo e croce, Egli ci ricorda continuamente il
legame tra il Regno di Dio e il mistero dell’infanzia spirituale. Egli ci parla di questo nel
Vangelo odierno: «Chi non accoglie il Regno di Dio come lo accoglie un bambino, non
entrerà in esso» (Mc 10,15). Il Santo Niño continua a proclamare che la luce della grazia
di Dio è brillata su un mondo che abitava nelle tenebre, portando la Buona Novella della
nostra liberazione dalla schiavitù, e guidandoci sul sentiero della pace, del diritto e della
giustizia. Egli inoltre ci ricorda che siamo stati chiamati a diffondere il Regno di Cristo nel
mondo.
Nel corso della mia visita vi ho sentito cantare la canzone “Siamo tutti figli di Dio”. Questo
è ciò che il Santo Niño viene a dirci. Ci ricorda la nostra più profonda identità. Tutti noi
siamo figli di Dio, membri della famiglia di Dio. Oggi san Paolo ci ha detto che in Cristo
siamo diventati figli adottivi di Dio, fratelli e sorelle in Cristo. Questo è quello che siamo.
Questa è la nostra identità. Ne abbiamo visto una bellissima espressione quando i Filippini
si sono stretti intorno ai fratelli e alle sorelle colpiti dal tifone.
L’Apostolo ci dice che, dal momento che Dio ci ha scelti, noi siamo stati abbondantemente
benedetti! Dio «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1,3).
Queste parole hanno una speciale risonanza nelle Filippine, perché è il primo Paese
cattolico in Asia; questo è già uno speciale dono di Dio, una benedizione speciale. Ma è
anche una vocazione. I Filippini sono chiamati ad essere eccellenti missionari della fede in
Asia.
Dio ci ha scelti e benedetti per uno scopo: essere santi e irreprensibili ai suoi occhi
(Ef 1,4). Egli ha scelto ciascuno di noi per essere testimone in questo mondo della sua
verità e della sua giustizia. Ha creato il mondo come uno splendido giardino e ci ha chiesto
di averne cura. Tuttavia, con il peccato, l’uomo ha sfigurato quella naturale bellezza;
mediante il peccato, l’uomo ha anche distrutto l’unità e la bellezza della nostra famiglia
umana, creando strutture sociali che hanno reso permanente la povertà, l’ignoranza e la
corruzione.
Qualche volta, vedendo i problemi, le difficoltà e le ingiustizie, siamo tentati di rinunciare.
Sembra quasi che le promesse del Vangelo non si possano attuare, siano irreali. Ma la
Bibbia ci dice che la grande minaccia al piano di Dio per noi è ed è sempre stata la
menzogna. Il diavolo è il padre della menzogna. Spesso egli nasconde le sue insidie dietro
l’apparenza della sofisticazione, il fascino di essere “moderni”, di essere “come tutti gli
altri”. Egli ci distrae con il miraggio di piaceri effimeri e di passatempi superficiali. In tal
modo noi sprechiamo i doni ricevuti da Dio, giocherellando con congegni futili; sprechiamo
il nostro denaro nel gioco d’azzardo e nel bere; ci ripieghiamo su noi stessi. Trascuriamo
di rimanere centrati sulle cose che realmente contano. Trascuriamo di rimanere
interiormente come bambini. Questo è il peccato : dimenticarsi interiormente di essere figli
di Dio. I bambini infatti, come ci insegna il Signore, hanno la loro propria saggezza, che
non è la saggezza del mondo. Ecco perché il messaggio del Santo Niño è così importante.
Egli parla a ciascuno di noi profondamente. Ci ricorda la nostra più profonda identità, ciò
che siamo chiamati ad essere in quanto famiglia di Dio.
Il Santo Niño ci ricorda anche che questa identità va protetta. Il Cristo Bambino è il
protettore di questo grande Paese. Quando Egli venne in questo mondo, la sua stessa vita
si trovò minacciata da un re corrotto. Gesù stesso si trovò nella necessità di venire
protetto. Egli ha avuto un protettore sulla terra: san Giuseppe. Ha avuto una famiglia qui
sulla terra: la Santa Famiglia di Nazaret. In tal modo Egli ci ricorda l’importanza di
proteggere le nostre famiglie e quella più grande famiglia che è la Chiesa, la famiglia di
Dio, e il mondo, la nostra famiglia umana. Oggi purtroppo la famiglia ha bisogno di essere
protetta da attacchi insidiosi e da programmi contrari a tutto quanto noi riteniamo vero e
sacro, a tutto ciò che nella nostra cultura è più nobile e bello.
Nel Vangelo Gesù accoglie i bambini, li abbraccia e li benedice. Anche noi abbiamo il
compito di proteggere, guidare e incoraggiare i nostri giovani, aiutandoli a costruire una
società degna del suo grande patrimonio spirituale e culturale. In modo specifico, abbiamo
bisogno di vedere ogni bambino come un dono da accogliere, da amare e da proteggere.
E dobbiamo prenderci cura dei giovani, non permettendo che siano derubati della
speranza e condannati a vivere sulla strada.
E’ un fragile bambino che portò la bontà di Dio, la misericordia e la giustizia nel mondo.
Egli resistette alla disonestà e alla corruzione, che sono l’eredità del peccato, e trionfò su
di esse con il potere della croce. Ora, al termine della mia visita alle Filippine, vi affido a
Lui, a Gesù che venne fra di noi come bambino. Egli renda capace tutto l’amato popolo di
questo Paese di lavorare unito, proteggendosi gli uni gli altri, a partire dalle vostre famiglie
e comunità, nella costruzione di un mondo di giustizia, onestà e pace. Il Santo Niño
continui a benedire le Filippine e a sostenere i cristiani di questa grande nazione nella loro
vocazione ad essere testimoni e missionari della gioia del Vangelo, in Asia e nel mondo
intero.
Per favore, non dimenticate di pregare per me. Dio vi benedica!
INCONTRO CON I GIOVANI
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Campo sportivo dell’Università Santo Tomas di Manila, Domenica, 18 gennaio 2015
Discorso pronunciato dal Santo Padre (fatto a braccio)
Prima di tutto una notizia triste. Ieri, mentre stava per iniziare la Messa, è caduta una delle
torri e cadendo ha colpito una ragazza ed è morta. Il suo nome è Cristal. Lei ha lavorato
nell’organizzazione di quella Messa. Aveva 27 anni, era giovane come voi e lavorava per
un’associazione. Era una volontaria. Vorrei che noi tutti insieme, voi giovani come lei,
pregassimo in silenzio un minuto e poi invochiamo la nostra Madre del cielo.
[Silenzio … Ave Maria]
Facciamo una preghiera anche per suo papà e sua mamma. Era figlia unica. Sua mamma
sta venendo da Hong Kong. Suo papà è venuto a Manila ad aspettare la mamma.
E’ una gioia per me essere oggi con voi. Saluto cordialmente ciascuno di voi e ringrazio
tutti coloro che hanno reso possibile questo incontro. Nel corso della mia visita alle
Filippine, ho voluto in modo particolare incontrarmi con voi giovani, per ascoltarvi e parlare
con voi. Desidero esprimere l’amore e la speranza che la Chiesa ha per voi. E voglio
incoraggiarvi, come cittadini cristiani di questo Paese, a dedicarvi con passione e con
onestà al grande impegno di rinnovare la vostra società e di contribuire a costruire un
mondo migliore.
In modo speciale, ringrazio i giovani che mi hanno rivolto parole di benvenuto: Jun,
Leandro e Rikki. Grazie tante!
Un po’… sulla piccola rappresentazione delle donne. Troppo poco! Le donne hanno molto
da dirci nella società di oggi. A volte siamo troppo maschilisti, e non lasciamo spazio alla
donna. Ma la donna sa vedere le cose con occhi diversi dagli uomini. La donna sa fare
domande che noi uomini non riusciamo a capire. Fate attenzione: lei [indica Jun] oggi ha
fatto l’unica domanda che non ha risposta. E non le venivano le parole, ha dovuto dirlo con
le lacrime. Così, quando verrà il prossimo Papa a Manila, che ci siano più donne!
Ti ringrazio, Jun, che hai presentato con tanto coraggio la tua esperienza. Come ho detto
prima, il nucleo della tua domanda quasi non ha risposta. Solo quando siamo capaci di
piangere sulle cose che voi avete vissuto possiamo capire qualcosa e rispondere
qualcosa. La grande domanda per tutti: perché i bambini soffrono? Perché i bambini
soffrono? Proprio quando il cuore riesce a porsi la domanda e a piangere, possiamo
capire qualcosa. C’è una compassione mondana che non serve a niente! Una
compassione che tutt’al più ci porta a mettere mano al borsellino e a dare una moneta. Se
Cristo avesse avuto questa compassione avrebbe passato, curato tre o quattro persone e
sarebbe tornato al Padre. Solamente quando Cristo ha pianto ed è stato capace di
piangere ha capito i nostri drammi.
Cari ragazzi e ragazze, al mondo di oggi manca il pianto! Piangono gli emarginati,
piangono quelli che sono messi da parte, piangono i disprezzati, ma quello che facciamo
una vita più meno senza necessità non sappiamo piangere. Certe realtà della vita si
vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime. Invito ciascuno di voi a domandarsi: io ho
imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per la
strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un
bambino usato come schiavo per la società? O il mio è il pianto capriccioso di chi piange
perché vorrebbe avere qualcosa di più? Questa è la prima cosa che vorrei dirvi: impariamo
a piangere, come lei [Jun] ci ha insegnato oggi. Non dimentichiamo questa testimonianza.
La grande domanda: perché i bambini soffrono?, l’ha fatta piangendo e la grande risposta
che possiamo dare tutti noi è imparare a piangere.
Gesù nel Vangelo ha pianto, ha pianto per l’amico morto. Ha pianto nel suo cuore per
quella famiglia che aveva perso la figlia. Ha pianto nel suo cuore quando ha visto quella
povera madre vedova che portava al cimitero suo figlio. Si è commosso e ha pianto nel
suo cuore quando ha visto la folla come pecore senza pastore. Se voi non imparate a
piangere non siete buoni cristiani. E questa è una sfida. Jun ci ha lanciato questa sfida. E
quando ci fanno la domanda: perché i bambini soffrono?, perché succede questo o
quest’altro di tragico nella vita?, che la nostra risposta sia il silenzio o la parola che nasce
dalle lacrime. Siate coraggiosi, non abbiate paura di piangere!
E poi è venuto Leandro Santos. Lui ha posto delle domande sul mondo dell’informazione.
Oggi con tanti media siamo superinformati: questo è un male? No. Questo è bene e aiuta,
però corriamo il pericolo di vivere accumulando informazioni. E abbiamo tante
informazioni, ma forse non sappiamo che farcene. Corriamo il rischio di diventare “giovanimuseo” e non giovani sapienti. Mi potreste chiedere: Padre, come si arriva ad essere
sapienti? E questa è un’altra sfida, la sfida dell’amore. Qual è la materia più importante
che bisogna imparare all’università? Qual è la più importante da imparare nella vita?
Imparare ad amare! E questa è la sfida pone a voi oggi. Imparare ad amare! Non solo
accumulare informazioni e non sapere che farsene. E’ un museo. Ma attraverso l’amore
far sì che questa informazione sia feconda. Per questo scopo il Vangelo ci propone un
cammino sereno, tranquillo: usare i tre linguaggi: il linguaggio della mente, il linguaggio del
cuore e il linguaggio delle mani. E questi tre linguaggi in modo armonioso: quello che
pensi lo senti e lo realizzi. La tua informazione scende al cuore, lo commuove e lo
realizza. E questo armoniosamente: pensare ciò che si sente e ciò che si fa. Sentire ciò
che penso e che faccio; fare ciò che penso e che sento. I tre linguaggi. Siete capaci di
ripetere i tre linguaggi a voce alta?
Il vero amore è amare e lasciarmi amare.
E’ più difficile lasciarsi amare che amare. Per questo è tanto difficile arrivare all’amore
perfetto di Dio, perché possiamo amarlo, ma la cosa importante è lasciarsi amare da Lui. Il
vero amore è aprirsi a questo amore che ci precede e che ci provoca una sorpresa. Se voi
avete solo tutta l’informazione siete chiusi alle sorprese; l’amore ti apre alle sorprese,
l’amore è sempre una sorpresa perché presuppone un dialogo a due. Tra chi ama e chi è
amato. E di Dio diciamo che è il Dio delle sorprese perché Lui ci ha amati per primo e ci
aspetta con una sorpresa. Dio ci sorprende.. Lasciamoci sorprendere da Dio! E non
abbiamo la psicologia del computer di credere di sapere tutto. Com’è questa cosa? Un
attimo e ilcomputer ti dà tutte le risposte, nessuna sorpresa. Nella sfida dell’amore Dio si
manifesta con delle sorprese. Pensiamo a san Matteo: era un buon commerciante, in più
tradiva la sua patria perché prendeva le tasse dei giudei per darle ai romani, era pieno di
soldi e prendeva le tasse. Passa Gesù, lo guarda e gli dice: vieni! Quelli che stavano con
Lui dicono: Chiama questo che è un traditore, un infame? E lui si attacca al denaro. Ma la
sorpresa di essere amato lo vince e segue Gesù. Quella mattina quando si aveva salutato
sua moglie non avrebbe mai pensato che sarebbe tornato senza denaro e di fretta per dire
a sua moglie di preparare un banchetto. Il banchetto per colui che lo aveva amato per
primo. Che lo aveva sorpreso con qualcosa di più importante di tutti i soldi che aveva.
Lasciati sorprendere dall’amore di Dio! Non abbiate paura delle sorprese, che ti scuotono,
ti mettono in crisi, ma ci mettono in cammino. Il vero amore ti spinge a spendere la vita
anche a costo di rimanere a mani vuote. Pensiamo a san Francesco: lasciò tutto, morì con
le mani vuote ma con il cuore pieno.
D’accordo? Non giovani da museo, ma giovani sapienti. Per essere sapienti, usare i tre
linguaggi: pensare bene, sentire bene e fare bene. E per essere sapienti, lasciarsi
sorprendere dall’amore di Dio, e vai, e spendi la vita!
Grazie per il tuo contributo di oggi!
E quello che è venuto con un buon programma per aiutarci a vedere come possiamo fare
nella vita è stato Rikki! Ha raccontato tutte le attività, tutto quello che fanno, tutto quello
che vogliono fare. Grazie Rikki! Grazie per quello che fate tu e i tuoi compagni. Però ti
voglio fare una domanda: tu e i tuoi amici vi impegnate a dare, date, date, date, aiutate…
ma lasci che ti diano?... Rispondi nel tuo cuore. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato poco
fa, c’è una frase che per me è la più importante di tutte: dice il Vangelo che Gesù, quel
giovane, lo guardò e lo amò (cfr Mc 10,21). Quando uno vede il gruppo di Rikki e i suoi
compagni, li ama molto perché fanno cose molto buone, però la frase più importante che
dice Gesù è: «Una cosa sola ti manca» (Mc 10,21). Ognuno di noi ascolti in silenzio
questa parola di Gesù: «Una cosa sola ti manca».
Che cosa mi manca? A tutti quelli che Gesù ama tanto perché danno tanto agli altri io
domando: voi lasciate che gli altri vi diano di quell’altra ricchezza che voi non avete? I
sadducei, i dottori della legge dell’epoca di Gesù davano molto al popolo, davano la legge,
insegnavano, ma non hanno mai lasciato che il popolo desse loro qualcosa. E’ dovuto
venire Gesù per lasciarsi commuovere dal popolo. Quanti giovani come voi che sono qui
sanno dare però non sono altrettanto capaci di ricevere!
«Una cosa sola ti manca». Questo è ciò che ci manca: imparare a mendicare da quelli a
cui diamo. Questo non è facile da capire: imparare a mendicare. Imparare a ricevere
dall’umiltà di quelli che aiutiamo. Imparare ad essere evangelizzati dai poveri. Le persone
che aiutiamo, poveri, malati, orfani, hanno molto da darci. Mi faccio mendicante e chiedo
anche questo? Oppure sono autosufficiente e so soltanto dare? Voi che vivete dando
sempre e credete che non avete bisogno di niente, sapete che siete veramente poveri?
Sapete che avete una grande povertà e bisogno di ricevere? Ti lasci aiutare dai poveri, dai
malati e da quelli che aiuti? Questo è ciò che aiuta a maturare i giovani impegnati come
Rikki nel lavoro di dare agli altri: imparare a tendere la mano a partire dalla propria
miseria.
Ci sono alcuni punti che avevo preparato. Il primo, che già ho detto, imparare ad amare e
a lasciarsi amare.
C’è un’altra sfida, che è la sfida dell’integrità morale. Questo non soltanto a causa del fatto
che il vostro Paese, più di altri, rischia di essere seriamente colpito dal cambiamento
climatico. E’ la sfida del prendersi cura dell’ambiente.
E infine c’è la sfida per i poveri. Amare i poveri. I nostri Vescovi vogliono che siate attenti
ai poveri soprattutto in questo “Anno dei poveri”. Voi pensate ai poveri? Sentite con i
poveri? Fate qualcosa per i poveri? E chiedete ai poveri di darvi quella sapienza che loro
hanno? Questo è ciò che volevo dirvi. Perdonatemi perché non ho letto quasi niente di ciò
che avevo preparato. Ma c’è una espressione che mi consola un po’: “La realtà è
superiore all’idea”. E la realtà che voi avete presentato, la realtà che voi siete è superiore
a tutte le risposte che io avevo preparato. Grazie!
Discorso preparato dal Santo Padre (sostituito da intervento fatto a braccio)
Cari giovani amici,
è una gioia per me essere oggi con voi. Saluto cordialmente ciascuno di voi e ringrazio
tutti coloro che hanno reso possibile questo incontro. Nel corso della mia visita alle
Filippine, ho voluto in modo particolare incontrarmi con voi giovani, per ascoltarvi e parlare
con voi. Desidero esprimere l’amore e la speranza che la Chiesa ha per voi. E voglio
incoraggiarvi, come cittadini cristiani di questo Paese, a dedicarvi con passione e con
onestà al grande impegno di rinnovare la vostra società e di contribuire a costruire un
mondo migliore.
In modo speciale, ringrazio i giovani che mi hanno rivolto parole di benvenuto. Loro hanno
espresso in maniera eloquente, a vostro nome, le vostre preoccupazioni e inquietudini, la
vostra fede e le vostre speranze. Hanno parlato delle difficoltà e delle attese dei giovani.
Anche se non posso rispondere a ciascuna di queste problematiche in modo esaustivo, so
che, insieme con i vostri Pastori e tra di voi, le considererete attentamente con l’aiuto della
preghiera e farete concrete proposte di azione.
Oggi vorrei suggerire tre ambiti-chiave nei quali voi potete offrire un contributo significativo
alla vita del vostro Paese. Il primo èla sfida dell’integrità morale. Il termine “sfida” può
essere inteso in due modi. Il primo in senso negativo, come un tentativo di agire contro le
vostre convinzioni morali, contro quanto voi professate circa il vero, il buono e il giusto. La
nostra integrità morale può essere “sfidata” da interessi egoistici, dall’avidità, dalla
disonestà, o dall’intenzione di strumentalizzare gli altri.
Ma l’espressione “sfida” può essere anche compresa in senso positivo. Può essere vista
come un invito ad essere coraggiosi, a dare una testimonianza profetica della propria fede
e a quanto viene ritenuto sacro. In questo senso, la sfida all’integrità morale è qualcosa
con cui in questi tempi e nella vostra vita è necessario confrontarsi. Non si tratta di
qualcosa che è possibile rimandare a quando sarete più anziani o avrete maggiori
responsabilità. Anche adesso siete sfidati ad agire con onestà e correttezza nei vostri
rapporti con gli altri, siano essi giovani o vecchi. Non fuggite da questa sfida! Una delle più
grandi sfide che i giovani hanno di fronte è quella di imparare ad amare. Amare significa
prendersi un rischio: il rischio del rifiuto, il rischio di venire usati, o peggio di usare l’altro.
Non abbiate paura di amare! Ma, anche amando, preservate la vostra integrità morale!
Anche in questo siate onesti e leali!
Nella Lettura che abbiamo ora ascoltato, Paolo dice a Timoteo: «Nessuno disprezzi la tua
giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella
fede, nella purezza» (1 Tm 4,12).
Siete dunque chiamati a dare buon esempio, esempio di integrità morale. Naturalmente,
nel farlo, dovrete affrontare opposizioni e critiche, lo scoraggiamento e persino la
derisione. Ma voi avete ricevuto un dono che vi consente di superare quelle difficoltà. E’ il
dono dello Spirito Santo. Se voi alimenterete questo dono con la preghiera quotidiana e
trarrete forza dalla partecipazione all’Eucaristia, sarete in grado di raggiungere quella
grandezza morale alla quale Gesù vi chiama. Diventerete anche una bussola per quei
vostri amici che sono in ricerca. Penso specialmente a quei giovani che sono tentati di
perdere la speranza, di abbandonare i loro alti ideali, di lasciare la scuola o di vivere alla
giornata per la strada.
Perciò, è essenziale non perdere la vostra integrità morale! Non compromettere i vostri
ideali! Non cedere alle tentazioni contro la bontà, la santità, il coraggio e la purezza!
Raccogliete la sfida! Con Cristo, voi sarete – e veramente lo siete già – gli artefici di una
cultura filippina rinnovata e più giusta.
Un secondo ambito in cui siete chiamati a dare un contributo è nell’avere cura
dell’ambiente. Questo non soltanto a causa del fatto che il vostro Paese, più di altri, rischia
di essere seriamente colpito dal cambiamento climatico. Siete chiamati a prendervi cura
del creato non solo come cittadini responsabili, ma anche come seguaci di Cristo! Il
rispetto dell’ambiente richiede di più che semplicemente usare prodotti puliti o riciclarli.
Questi sono aspetti importanti ma non sufficienti. Abbiamo bisogno di vedere, con gli occhi
della fede, la bellezza del piano di salvezza di Dio, il legame tra l’ambiente naturale e la
dignità della persona umana. L’uomo e la donna sono creati ad immagine e somiglianza di
Dio e a loro è stato dato il dominio sulla creazione (cfr Gen 1,26-28). Come amministratori
della creazione, siamo chiamati a fare della Terra un bellissimo giardino per la famiglia
umana. Quando distruggiamo le nostre foreste, devastiamo il suolo e inquiniamo i mari,
noi tradiamo quella nobile chiamata.
Tre mesi fa, i vostri Vescovi hanno affrontato questi temi in una profetica Lettera
Pastorale. Hanno chiesto a ciascuno di riflettere sulla dimensione morale delle nostre
attività e dei nostri stili di vita, sui nostri consumi e sull’uso che facciamo delle risorse
naturali. Oggi vi chiedo di farlo nel contesto della vostra vita e del vostro impegno per la
costruzione del Regno di Cristo. Cari giovani, l’uso corretto e la corretta gestione delle
risorse naturali è un compito urgente e voi avete un importante contributo da offrire. Voi
siete il futuro delle Filippine. Siate attivamente interessati a quanto avviene nella vostra
bellissima terra!
Un altro ambito nel quale voi potete offrire un contributo è particolarmente caro a tutti noi.
E’ la cura per i poveri. Siamo cristiani, membri della famiglia di Dio. Ognuno di noi, non
importa il tanto o il poco che possiede, è chiamato a tendere la mano personalmente e
servire i fratelli e le sorelle che hanno bisogno. C’è sempre qualcuno vicino a noi che si
trova nella necessità, materiale, psicologica, spirituale. Il più grande dono che possiamo
fare loro è la nostra amicizia, la nostra attenzione, la nostra tenerezza, il nostro amore per
Gesù. Ricevere Lui significa ricevere ogni cosa insieme con Lui; donare Lui significa offrire
il dono più grande di tutti.
Molti di voi sanno che cosa significa essere poveri. Ma molti di voi hanno anche fatto
l’esperienza di qualcosa della beatitudine che Gesù ha promesso ai “poveri in spirito”
(cfr Mt 5,3). E qui vorrei dire una parola di incoraggiamento e di gratitudine a quelli tra voi
che hanno scelto di seguire nostro Signore nella sua povertà, attraverso la vocazione al
sacerdozio e alla vita religiosa; attingendo a quella povertà arricchirete molti. Ma a tutti voi,
specialmente a quelli che possono fare e dare di più, io chiedo: per favore, fate di più! Per
favore, date di più! Quando offrite qualcosa del vostro tempo, dei vostri talenti e delle
vostre risorse alle tante persone bisognose che vivono ai margini, voi fate la differenza. E’
una differenza di cui c’è un disperato bisogno e per la quale sarete abbondantemente
ricompensati dal Signore. Perché, come Lui disse, avrete «un tesoro in cielo» (Mc 10,21).
Vent’anni fa, in questo stesso luogo, san Giovanni Paolo II affermò che il mondo ha
bisogno di “un nuovo tipo di giovane” – uno che sia impegnato con i più alti ideali e
desideroso di costruire la civiltà dell’amore. Siate quei giovani di cui parlava san Giovanni
Paolo II! Non perdete i vostri ideali! Siate testimoni gioiosi dell’amore di Dio e dello
splendido piano che Egli ha per noi, per questo Paese e per il mondo in cui viviamo. Per
favore, pregate per me. Dio vi benedica tutti!
INCONTRO CON SACERDOTI, RELIGIOSE, RELIGIOSI, SEMINARISTI E FAMIGLIE
DEI SUPERSTITI
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cattedrale di Palo, Sabato, 17 gennaio 2015
Cari fratelli e sorelle,
vi saluto tutti con grande affetto nel Signore. Sono lieto che ci possiamo incontrare in
questa Cattedrale della Trasfigurazione del Signore. Questa casa di preghiera, insieme a
molte altre, è stata restaurata grazie alla notevole generosità di tanta gente. Si erge come
segno eloquente dell’immenso sforzo di ricostruzione, che voi e i vostri vicini avete
intrapreso dopo la devastazione causata dal tifone Yolanda. E’ anche un memoriale per
tutti noi del fatto che, anche nei disastri e nelle sofferenze, il nostro Dio opera
continuamente, facendo nuove tutte le cose.
Molti di voi hanno sofferto tanto, non solo per la distruzione causata dall’uragano, ma per
la perdita di familiari e amici. Oggi affidiamo alla misericordia di Dio quanti sono morti, e
invochiamo la sua consolazione e la sua pace su coloro che ancora piangono. Ricordiamo
in modo speciale coloro a cui il dolore rende difficile vedere il modo di andare avanti. Allo
stesso tempo, ringraziamo il Signore per quanti hanno faticato in questi mesi per portare
via le macerie, per visitare i malati e i morenti, per confortare i sofferenti e per seppellire i
morti. La loro bontà ed il generoso aiuto giunto da moltissime persone di tutto il mondo
sono un segno reale che Dio non ci abbandona mai!
In modo speciale vorrei qui ringraziare i molti sacerdoti e i consacrati che hanno risposto
con enorme generosità ai disperati bisogni delle persone delle località più duramente
colpite. Mediante la vostra presenza e la vostra carità, avete reso testimonianza alla
bellezza e alla verità del Vangelo. Avete reso presente la Chiesa quale sorgente di
speranza, di guarigione, di misericordia. Insieme a molti vostri vicini, avete pure dimostrato
la profonda fede e la capacità di resistenza del popolo filippino. Le molte storie di bontà e
di sacrificio personale emerse da quei giorni oscuri devono essere ricordate e trasmesse
alle future generazioni.
Qualche istante fa ho benedetto il nuovo Centro per i Poveri, che si erge quale ulteriore
segno della cura e dell’attenzione della Chiesa per i nostri fratelli e sorelle bisognosi. Sono
molti! E quanto Dio li ama! Oggi, da questo luogo che ha sperimentato una sofferenza e
un bisogno umano così profondi, chiedo che si faccia di più per i poveri. Soprattutto,
chiedo che i poveri dell’intero Paese vengano trattati in maniera equa, che la loro dignità
sia rispettata, che le scelte politiche ed economiche siano giuste ed inclusive, che le
opportunità di lavoro e di educazione vengano accresciute e che siano rimossi gli ostacoli
all’attuazione dei servizi sociali. Il criterio con cui trattiamo i poveri sarà quello con il quale
verremo giudicati (cfr Mt 25,40.45). Chiedo a voi tutti, e a quanti sono responsabili del
bene della società, di riaffermare l’impegno per la giustizia sociale e il riscatto dei poveri,
sia qui sia in tutte le Filippine.
Infine vorrei dire una parola di sincero ringraziamento ai giovani presenti, compresi i
seminaristi e i giovani consacrati. Molti di voi hanno dimostrato una generosità eroica nella
situazione causata dal tifone. Spero che vi rendiate sempre conto che la vera felicità viene
dall’aiutare gli altri, offrendo loro noi stessi con sacrificio di sé, misericordia e
compassione. Così voi sarete una forza potente per il rinnovamento della società, non solo
nell’opera di ricostruzione degli edifici ma, soprattutto, nell’edificare il Regno di Dio, Regno
di santità, di giustizia e di pace, nella vostra patria.
Cari sacerdoti e consacrati, care famiglie e cari amici, in questa Cattedrale della
Trasfigurazione del Signore chiediamo che la nostra vita continui ad essere sostenuta e
trasfigurata dalla potenza della sua risurrezione. Affido tutti voi all’amorevole protezione di
Maria, Madre della Chiesa. Ella ottenga per voi e per tutti gli amati abitanti di queste terre
benedizioni di consolazione, gioia e pace del Signore. Dio benedica voi tutti!
SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Tacloban International Airport, Sabato, 17 gennaio 2015
Omelia pronunciata a braccio dal Santo Padre
Nella prima Lettura abbiamo ascoltato che abbiamo un grande sacerdote che è capace di
compatire le nostre debolezze, perché è stato Lui stesso provato in ogni cosa eccetto il
peccato (cfr Eb 4,15). Gesù è come noi. Gesù ha vissuto come noi. E’ uguale a noi in
tutto, in tutto tranne nel peccato, perché Egli non era peccatore. Ma per essere più uguale
a noi si è rivestito, ha preso su di sé i nostri peccati. Si è fatto peccato (cfr 2 Cor 5,21)! E
questo lo dice san Paolo che lo conosceva molto bene. E Gesù va davanti a noi sempre, e
quando noi passiamo attraverso qualche croce, Lui è già passato prima.
E se oggi tutti noi ci siamo radunati qui, 14 mesi dopo che è passato il Tifone Yolanda, è
perché abbiamo la certezza che non saremo delusi nella fede, perché Gesù è passato
prima. Nella sua passione Egli ha preso su di sé tutte le nostre sofferenze. E quando –
permettetemi questa confidenza – quando io ho visto da Roma questa catastrofe, ho
sentito che dovevo venire qui. Quel giorno, in quei giorni ho deciso di fare il viaggio qui. Ho
voluto venire per stare con voi - un po’ tardi mi direte, è vero, ma sono qui.
Sono qui per dirvi che Gesù è il Signore, che Gesù non delude. “Padre – mi può dire uno
di voi – a me ha deluso perché ho perso la casa, ho perso la mia famiglia, ho perso quello
che avevo, sono malato…”. E’ vero questo che mi dici, e io rispetto i tuoi sentimenti; ma Lo
vedo lì inchiodato, e da lì non ci delude! Egli è stato consacrato Signore su quel trono, e lì
è passato per tutte le calamità che noi abbiamo. Gesù è il Signore! Ed è il Signore dalla
Croce, là ha regnato! Per questo Egli è capace di comprenderci, come abbiamo ascoltato
nella prima Lettura: si è fatto in tutto uguale a noi. Per questo abbiamo un Signore che è
capace di piangere con noi, è capace di accompagnarci nei momenti più difficili della vita.
Molti di voi hanno perso tutto. Io non so che cosa dirvi. Lui sì, sa che cosa dirvi! Molti di voi
hanno perso parte della famiglia. Solamente rimango in silenzio, vi accompagno con il mio
cuore in silenzio…
Molti di voi si sono domandati guardando Cristo: “Perché Signore?”. E ad ognuno il
Signore risponde nel cuore, dal suo cuore. Io non ho altre parole da dirvi. Guardiamo
Cristo: Lui è il Signore, e Lui ci comprende perché è passato per tutte le prove che ci
hanno colpito.
E insieme a Lui crocifisso stava la madre. Noi siamo come quel bimbo che sta laggiù: nei
momenti di dolore, di pena, nei momenti in cui non capiamo niente, nei momenti in cui
vogliamo ribellarci, ci viene solo da tendere la mano e aggrapparci alla sua sottana e dirle:
“Mamma!”. Come un bambino che quando ha paura dice: “Mamma!”. E’ forse l’unica
parola che può esprimere quello che sentiamo nei momenti bui: “Madre! Mamma!”.
Facciamo insieme un momento di silenzio. Guardiamo al Signore: Lui può comprenderci
perché è passato per tutte queste cose. E guardiamo a nostra Madre, e come il bimbo che
sta laggiù aggrappiamoci alla sua sottana e con il cuore diciamole: “Madre!”. In silenzio
facciamo questa preghiera, ciascuno le dica ciò che sente…
[silenzio]
Non siamo soli, abbiamo una madre. Abbiamo Gesù nostro fratello maggiore. Non siamo
soli. E abbiamo anche tanti fratelli che, nel momento della catastrofe, sono venuti ad
aiutarci. E anche noi ci sentiamo più fratelli… noi che ci siamo aiutati gli uni gli altri.
Questo è tutto quello che mi viene da dirvi. Perdonatemi se non ho altre parole. Ma siate
sicuri che Gesù non delude. Siate sicuri che l’amore e la tenerezza di nostra Madre non
delude. E attaccati a lei come figli e con la forza che ci dà Gesù nostro fratello maggiore
andiamo avanti. E come fratelli camminiamo. Grazie!
Dopo la Comunione
Abbiamo celebrato la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.
Gesù ci ha preceduto in questo cammino e ci accompagna in ogni momento in cui ci
riuniamo a pregare e celebrare.
Grazie, Signore, di essere oggi con noi. Grazie, Signore, di condividere le nostre
sofferenze. Grazie, Signore, di darci speranza. Grazie, Signore, per la tua grande
misericordia. Grazie, Signore, perché hai voluto essere come uno di noi. Grazie, Signore,
perché sei sempre vicino a noi, anche nei momenti di croce. Grazie, Signore, perché ci dai
la speranza. Signore, che non ci rubino la speranza! Grazie, Signore, perché nel momento
più buio della tua vita, sulla croce, ti sei ricordato di noi e ci hai lasciato una madre. Grazie,
Signore, di non averci lasciati orfani.
Testo dell'Omelia preparata dal Santo Padre
Che parole consolanti abbiamo appena udito! Ancora una volta, ci è stato detto che Gesù
Cristo è il Figlio di Dio, il nostro Salvatore, il nostro sommo sacerdote che ci offre
misericordia, grazia e sostegno in tutto ciò di cui abbiamo bisogno (cfr Eb4,14-16). Egli
guarisce le nostre ferite, perdona i nostri peccati e ci chiama ad essere suoi discepoli,
come fece con san Matteo (cfr Mc 2,14). Lodiamolo per il suo amore, la sua misericordia e
la sua compassione. Lodiamo il nostro grande Dio!
Rendo grazie al Signore Gesù perché questa mattina possiamo essere insieme. Sono
giunto per stare con voi, in questa città che è stata devastata dal tifone Yolanda quattordici
mesi fa. Vi porto l’amore di un padre, le preghiere di tutta la Chiesa, la promessa che non
siete dimenticati mentre continuate la ricostruzione. Qui, la tempesta più forte mai
registrata sul pianeta è stata vinta dalla forza più potente dell’universo: l’amore di Dio.
Siamo qui questa mattina per dare testimonianza di quell’amore, del suo potere di
trasformare morte e distruzione in vita e comunione. La risurrezione di Cristo, che
celebriamo in questa Messa, è la nostra speranza, è una realtà di cui facciamo esperienza
anche ora. E sappiamo che la risurrezione avviene soltanto dopo la croce, quella croce
che voi avete portato con fede, dignità e forza data da Dio.
Siamo riuniti insieme prima di tutto per pregare per coloro che sono morti, per quanti sono
ancora dispersi e per i feriti. Presentiamo a Dio le anime dei morti, le nostre madri, i nostri
padri, i figli e le figlie, i familiari, gli amici e i vicini. Abbiamo fiducia che, giungendo alla
presenza di Dio, essi abbiano trovato misericordia e pace (cfr Eb 4,16). Rimane, tuttavia,
molta tristezza a causa della loro assenza. Per voi che li avete conosciuti e amati – e che
ancora li amate – il dolore di averli persi è reale. Ma guardiamo al futuro con gli occhi della
fede. Il nostro dolore è un seme che un giorno sboccerà nella gioia che il Signore ha
promesso a quanti hanno creduto alle sue parole: “Beati voi afflitti, perché sarete
consolati” (cfr Mt 5,4).
Siamo qui raccolti oggi, inoltre, per rendere grazie a Dio per il suo aiuto nel momento del
bisogno. Egli è stato la nostra forza in questi mesi veramente difficili. Si sono perdute tante
vite, c’è stata tanta sofferenza e distruzione. E tuttavia siamo ancora in grado di radunarci
e di ringraziarlo. Sappiamo che Egli si prende cura di noi; sappiamo che in Gesù Figlio
suo, abbiamo un sommo sacerdote in grado di compatire il nostro dolore (cfr Eb 4,15), di
soffrire con noi. La com-passione di Dio, il suo soffrire insieme con noi, offre un significato
e un valore eterni ai nostri sforzi. Il vostro desiderio di ringraziarlo per ogni grazia e
benedizione, anche quando avete perso così tanto, non è soltanto un trionfo della capacità
di ripresa e della forza del popolo filippino; è anche un segno della bontà di Dio, della sua
vicinanza, della sua tenerezza, del suo potere salvifico.
Rendiamo grazie a Dio Altissimo anche per quanto è stato fatto per aiutare, ricostruire,
assistere in questi mesi di bisogno senza precedenti. Penso in primo luogo a quanti hanno
accolto e dato riparo al gran numero di famiglie sfollate, agli anziani, ai giovani. Com’è
duro lasciare la propria casa e i propri mezzi di sussistenza! Ringraziamo quanti si sono
presi cura dei senza tetto, degli orfani e delle persone sole. Sacerdoti, religiosi e religiose
che hanno dato tutto ciò che potevano. A quanti di voi hanno ospitato e nutrito le persone
in cerca di sicurezza in chiese, conventi, rettorie e che continuano ad assistere coloro che
sono ancora in difficoltà, esprimo la mia gratitudine. Siete un onore per la Chiesa, siete
l’orgoglio della vostra nazione. Io ringrazio personalmente ognuno di voi, poiché
qualunque cosa voi avete fatto per l’ultimo dei fratelli e delle sorelle di Cristo, lo avete fatto
a Lui (cfr Mt 25,41).
In questa Messa vogliamo anche ringraziare Dio per quegli uomini e donne che hanno
prestato servizio come operatori dei salvataggi e dei soccorsi. Lo ringraziamo per le tante
persone che da tutto il mondo hanno offerto generosamente il proprio tempo, soldi e beni.
Stati, organizzazioni e singole persone in ogni parte della terra hanno messo al primo
posto i bisognosi; si tratta di un esempio che dovrebbe essere seguito. Chiedo ai
governanti, alle agenzie internazionali, ai benefattori e alle persone di buona volontà di
non stancarsi. Rimane ancora molto da fare. Anche se le prime pagine dei giornali sono
cambiate, le necessità rimangono.
La prima Lettura di oggi, dalla Lettera agli Ebrei, ci esorta a stare saldi nella nostra
confessione, di perseverare nella fede, ad accostarci con fiducia al trono della grazia di
Dio (cfr Eb 4,16). Tali parole hanno una speciale risonanza in questo luogo: in mezzo a
tanta sofferenza, voi non avete mai cessato di confessare la vittoria della croce, il trionfo
dell’amore di Dio. Avete visto la potenza di quell’amore rivelata nella generosità di
moltissime persone, nei tanti piccoli miracoli della bontà. Ma avete constatato anche, nello
“sciacallaggio”, nelle ruberie e nelle mancate risposte a questo grande dramma umano,
altrettanti tragici segni del male dal quale Cristo è venuto a salvarci. Preghiamo affinché
anche questo ci conduca ad una fiducia più grande nella potenza della grazia di Dio per
vincere il peccato e l’egoismo. Preghiamo in particolare affinché renda ciascuno sempre
più sensibile al grido dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nel bisogno. Preghiamo
affinché ci conduca a respingere ogni forma di ingiustizia e corruzione, le quali, derubando
i poveri, avvelenano le radici stesse della società.
Cari fratelli e sorelle, in questa grande prova avete sentito in modo speciale la grazia di
Dio mediante la presenza e l’amorevole cura della Beata Vergine Maria, Nostra Signora
del Perpetuo Soccorso. Ella è nostra madre. Vi aiuti Lei a perseverare nella fede e nella
speranza e a raggiungere quanti sono nel bisogno. Con i santi Lorenzo Ruiz e Pedro
Calungsod e tutti i santi, Ella continui ad impetrare la misericordia di Dio e l’amorevole
compassione per questo Paese e per tutti gli amati filippini. Amen.
INCONTRO CON LE FAMIGLIE
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Mall of Asia Arena, Manila, Venerdì, 16 gennaio 2015
Care famiglie, Cari amici in Cristo,
Sono grato per la vostra presenza qui questa sera e per la testimonianza del vostro amore
per Gesù e la sua Chiesa. Ringrazio il Vescovo Reyes, Presidente della Commissione
Episcopale per la Famiglia e la Vita, per le sue parole di benvenuto a vostro nome. In
maniera particolare ringrazio coloro che hanno presentato le testimonianze – grazie! – e
ed hanno condiviso la loro vita di fede con noi. La Chiesa nelle Filippine è benedetta
dall’apostolato di molti movimenti che si occupano della famiglia, e io li ringrazio per la loro
testimonianza!
Le Scritture parlano poco di san Giuseppe e, là dove lo fanno, spesso lo troviamo mentre
riposa, con un angelo che in sogno gli rivela la volontà di Dio. Nel brano evangelico che
abbiamo appena ascoltato, troviamo Giuseppe che riposa non una, ma due volte. Questa
sera vorrei riposare nel Signore con tutti voi. Ho bisogno di riposare nel Signore con le
famiglie, e ricordare la mia famiglia: mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna… Oggi
io riposo con voi e vorrei riflettere con voi sul dono della famiglia.
Ma prima vorrei dire qualcosa sul sogno. Il mio inglese però è così povero! Se me lo
permettete, chiederò a Mons. Miles di tradurre e parlerò in spagnolo. A me piace molto il
sogno in una famiglia. Tutte le mamme e tutti i papà hanno sognato il loro figlio per nove
mesi. E’ vero o no? [Sì!] Sognare come sarà questo figlio… Non è possibile una famiglia
senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non
crescono e l’amore non cresce, la vita si affievolisce e si spegne. Per questo vi
raccomando che la sera, quando fate l’esame di coscienza, ci sia anche questa domanda:
oggi ho sognato il futuro dei miei figli? Oggi ho sognato l’amore del mio sposo, della mia
sposa? Oggi ho sognato i miei genitori, i miei nonni che hanno portato avanti la storia fino
a me. E’ tanto importante sognare. Prima di tutto, sognare in una famiglia. Non perdete
questa capacità di sognare!
E quante difficoltà nella vita dei coniugi si risolvono se noi conserviamo uno spazio per il
sogno, se ci fermiamo a pensare al coniuge, e sogniamo la bontà che hanno le cose
buone. Per questo è molto importante recuperare l’amore attraverso il ‘progetto’ di tutti i
giorni. Non smettete mai di essere fidanzati!
Il riposo di Giuseppe gli ha rivelato la volontà di Dio. In questo momento di riposo nel
Signore, facendo una sosta tra i nostri numerosi doveri e attività quotidiani, Dio parla
anche a noi. Ci parla nella Lettura che abbiamo ascoltato, nelle preghiere e nelle
testimonianze, e nel silenzio del nostro cuore. Riflettiamo su che cosa il Signore ci sta
dicendo, specialmente nel Vangelo di questa sera. Ci sono tre aspetti di questo brano che
vi prego di considerare. Primo: riposare nel Signore. Secondo: alzarsi con Gesù e Maria.
Terzo: essere voce profetica.
Riposare nel Signore. Il riposo è necessario per la salute della nostra mente e del nostro
corpo, eppure è spesso così difficile da raggiungere, a causa alle numerose esigenze che
pesano su di noi. Il riposo è anche essenziale per la nostra salute spirituale, affinché
possiamo ascoltare la voce di Dio e comprendere quello che ci chiede. Giuseppe fu scelto
da Dio per essere padre putativo di Gesù e sposo di Maria. Come cristiani, anche voi siete
chiamati, come Giuseppe, a preparare una casa per Gesù. Preparare una casa per Gesù!
Voi preparate una casa per Lui nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre
parrocchie e nelle vostre comunità.
Per ascoltare e accogliere la chiamata di Dio, e preparare una casa per Gesù, dovete
essere capaci di riposare nel Signore. Dovete trovare il tempo ogni giorno per riposare nel
Signore, per pregare. Pregare è riposare nel Signore. Ma voi potreste dirmi: Santo Padre,
lo sappiamo; io vorrei pregare, ma c’è tanto lavoro da fare! Devo prendermi cura dei miei
figli; ho i doveri di casa; sono troppo stanco perfino per dormire bene. E’ giusto. Questo
potrebbe essere vero, ma se noi non preghiamo non conosceremo mai la cosa più
importante di tutte: la volontà di Dio per noi. Inoltre, pur con tutta la nostra attività, con le
nostre mille occupazioni, senza la preghiera concluderemo davvero poco.
Riposare in preghiera è particolarmente importante per le famiglie. È prima di tutto nella
famiglia che impariamo come pregare. Non dimenticate: quando la famiglia prega insieme,
rimane insieme. Questo è importante. Lì arriviamo a conoscere Dio, a crescere come
uomini e donne di fede, a sentirci membri della più grande famiglia di Dio, la Chiesa. Nella
famiglia impariamo ad amare, a perdonare, ad essere generosi e aperti e non chiusi ed
egoisti. Impariamo ad andare al di là dei nostri bisogni, ad incontrare gli altri e a
condividere la nostra vita con loro. Ecco perché è così importante pregare in famiglia! Così
importante! Ecco perché le famiglie sono così importanti nel piano di Dio per la
Chiesa! Riposare nel Signore è pregare. Pregare insieme in famiglia.
Vorrei anche dirvi una cosa molto personale. Io amo molto san Giuseppe, perché è un
uomo forte e silenzioso. Sul mio tavolo ho un’immagine di san Giuseppe che dorme. E
mentre dorme si prende cura della Chiesa! Sì! Può farlo, lo sappiamo. E quando ho un
problema, una difficoltà, io scrivo un foglietto e lo metto sotto san Giuseppe, perché lo
sogni! Questo gesto significa: prega per questo problema!
Ora consideriamo “alzarsi con Gesù e Maria”. Questi preziosi momenti di riposo, di pausa
con il Signore in preghiera, sono momenti che vorremmo forse poter prolungare. Ma come
san Giuseppe, una volta ascoltata la voce di Dio, dobbiamo scuoterci dal nostro sonno;
dobbiamo alzarci e agire (cfr Rm 13,11). In famiglia, dobbiamo alzarci e agire! La fede non
ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso. Questo è molto
importante! Dobbiamo andare in profondità nel mondo, ma con la forza della
preghiera. Ognuno di noi, infatti, svolge un ruolo speciale nella preparazione della venuta
del Regno di Dio nel mondo.
Proprio come il dono della Santa Famiglia fu affidato a san Giuseppe, così il dono della
famiglia e il suo posto nel piano di Dio viene affidato a noi. Come San Giuseppe. Il dono
della Santa Famiglia è stato affidato a san Giuseppe, perché lo portasse avanti. A
ciascuno di voi e di noi - perché anch’io sono figlio di una famiglia – viene affidato il piano
di Dio perché venga portato avanti. L’Angelo del Signore rivelò a Giuseppe i pericoli che
minacciavano Gesù e Maria, costringendoli a fuggire in Egitto e poi a stabilirsi a Nazaret.
Proprio così, nel nostro tempo, Dio ci chiama a riconoscere i pericoli che minacciano le
nostre famiglie e a proteggerle dal male.
Stiamo attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche. Esistono colonizzazioni ideologiche
che cercano di distruggere la famiglia. Non nascono dal sogno, dalla preghiera,
dall’incontro con Dio, dalla missione che Dio ci dà, vengono da fuori e per questo dico che
sono colonizzazioni. Non perdiamo la libertà della missione che Dio ci dà, la missione
della famiglia. E così come i nostri popoli, in un momento della loro storia, arrivarono alla
maturità di dire “no” a qualsiasi colonizzazione politica, come famiglie dobbiamo essere
molto molto sagaci, molto abili, molto forti, per dire “no” a qualsiasi tentativo di
colonizzazione ideologica della famiglia, e chiedere a san Giuseppe, che è amico
dell’Angelo, che ci mandi l’ispirazione di sapere quando possiamo dire “sì” e quando
dobbiamo dire “no”.
I pesi che gravano sulla vita della famiglia oggi sono molti. Qui nelle Filippine,
innumerevoli famiglie soffrono ancora le conseguenze dei disastri naturali. La situazione
economica ha provocato la frammentazione delle famiglie con l’emigrazione e la ricerca di
un impiego, inoltre problemi finanziari assillano molti focolari domestici. Mentre fin troppe
persone vivono in estrema povertà, altri vengono catturati dal materialismo e da stili di vita
che annullano la vita familiare e le più fondamentali esigenze della morale
cristiana. Queste sono le colonizzazioni ideologiche. La famiglia è anche minacciata dai
crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio
mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita.
Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita
demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia. Lui conosceva
le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua Enciclica era molto
misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto
misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre: guardò i
popoli della Terra, e vide questa minaccia della distruzione della famiglia per la mancanza
dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai
lupi in arrivo. Che dal Cielo ci benedica questa sera.
Il mondo ha bisogno di famiglie buone e forti per superare queste minacce! Le Filippine
hanno bisogno di famiglie sante e piene d’amore per custodire la bellezza e la verità della
famiglia nel piano di Dio ed essere di sostegno e di esempio per le altre famiglie. Ogni
minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa. Il futuro dell’umanità, come ha
detto spesso san Giovanni Paolo II, passa attraverso la famiglia (cfr Familiaris consortio,
85). Il futuro passa attraverso la famiglia. Dunque, custodite le vostre famiglie! Proteggete
le vostre famiglie! Vedete in esse il più grande tesoro della vostra nazione e nutritele
sempre con la preghiera e la grazia dei Sacramenti. Le famiglie avranno sempre le loro
prove, non hanno bisogno che gliene aggiungiate altre! Invece, siate esempi di amore,
perdono e attenzione. Siate santuari di rispetto per la vita, proclamando la sacralità di ogni
vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Che grande dono sarebbe per la
società se ogni famiglia cristiana vivesse pienamente la sua nobile vocazione! Allora,
alzatevi con Gesù e Maria e disponetevi a percorrere la strada che il Signore traccia per
ognuno di voi.
Infine, il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ricorda che il nostro dovere di cristiani è
essere voci profetiche in mezzo alle nostre comunità. Giuseppe ha ascoltato la voce
dell’Angelo del Signore e ha risposto alla chiamata di Dio di prendersi cura di Gesù e
Maria. In questo modo egli ha svolto il suo ruolo nel piano di Dio ed è diventato una
benedizione non solo per la Santa Famiglia, ma per tutta l’umanità. Con Maria, Giuseppe
è stato modello per il bambino Gesù mentre cresceva in sapienza, età e grazia
(cfr Lc 2,52). Quando le famiglie mettono al mondo i bambini, li educano alla fede e ai sani
valori e insegnano loro a contribuire al bene della società, diventano una benedizione per
il mondo. Le famiglie possono diventare una benedizione per il mondo! L’amore di Dio
diventa presente e attivo attraverso il modo con cui noi amiamo e le buone opere che
compiamo. Così diffondiamo il Regno di Cristo nel mondo. Facendo questo, siamo fedeli
alla missione profetica che abbiamo ricevuto nel Battesimo.
Durante quest’anno, che i vostri Vescovi hanno qualificato come Anno dei Poveri, vi
chiederei, in quanto famiglie, di farvi particolarmente attenti alla nostra chiamata ad essere
discepoli missionari di Gesù. Questo significa essere pronti ad andare oltre i confini delle
vostre case e prendervi cura dei fratelli e delle sorelle più bisognosi. Vi chiedo di
interessarvi specialmente a coloro che non hanno una famiglia propria, in particolare degli
anziani e dei bambini orfani. Non lasciateli mai sentire isolati, soli e abbandonati, ma
aiutateli a sentire che Dio non li ha dimenticati. Oggi mi sono commosso tantissimo dopo
la Messa, quando ho visitato questa casa di bambini soli, senza famiglia. Quanta gente
lavora nella Chiesa perché questa casa sia una famiglia! Questo significa portare avanti,
profeticamente, il significato di una famiglia.
Potreste essere voi stessi poveri in senso materiale, ma avete un’abbondanza di doni da
offrire quando offrite Cristo e la comunità della sua Chiesa. Non nascondete la vostra fede,
non nascondete Gesù, ma portatelo nel mondo e offrite la testimonianza della vostra vita
familiare!
Cari amici in Cristo, sappiate che io prego sempre per voi! Prego per le famiglie, lo faccio!
Prego che il Signore continui ad approfondire il vostro amore per Lui, e che questo amore
possa manifestarsi nel vostro amore vicendevole e per la Chiesa. Non dimenticate Gesù
che dorme! Non dimenticate san Giuseppe che dorme! Gesù ha dormito con la protezione
di Giuseppe. Non dimenticate: il riposo della famiglia è la preghiera. Non dimenticate di
pregare per la famiglia. Pregate spesso e portate i frutti della vostra preghiera nel mondo,
perché tutti possano conoscere Gesù Cristo e il suo amore misericordioso. Per favore,
“dormite” anche per me: pregate anche per me, ho davvero bisogno delle vostre preghiere
e conterò sempre su di esse. Grazie tante!
SANTA MESSA CON VESCOVI, SACERDOTI, RELIGIOSE E RELIGIOSI
Cattedrale del'Immacolata Concezione, Manila
Venerdì, 16 gennaio 2015
«Mi ami?» [la gente: “Sì!”] Grazie! Ma io stavo leggendo la parola di Gesù! Dice il
Signore:«Mi ami? … Pasci i miei agnelli» (Gv 21,15.16). Le parole di Gesù a Pietro nel
Vangelo di oggi sono le prime parole che vi rivolgo, cari fratelli Vescovi e Sacerdoti,
Religiosi e Religiose, e giovani Seminaristi. Queste parole ci ricordano una cosa
essenziale: ogni ministero pastorale nasce dall’amore. Ogni ministero pastorale nasce
dall’amore! Ogni vita consacrata è un segno dell’amore riconciliatore di Cristo. Come
santa Teresa di Gesù Bambino, nella varietà delle nostre vocazioni, ognuno di noi è
chiamato, in qualche modo, ad essere l’amore nel cuore della Chiesa.
Vi saluto con grande affetto. E vi chiedo di portare il mio affetto a tutti i vostri fratelli e
sorelle anziani e malati e a tutti coloro che non si sono potuti unire a noi oggi. Mentre la
Chiesa nelle Filippine guarda al quinto centenario della sua evangelizzazione, sentiamo
gratitudine per l’eredità lasciata da tanti vescovi, sacerdoti e religiosi delle generazioni
passate. Essi si sono sforzati non solo di predicare il Vangelo e di costruire la Chiesa in
questo Paese, ma anche di forgiare una società ispirata al messaggio evangelico della
carità, del perdono e della solidarietà al servizio del bene comune. Oggi voi portate avanti
quell’opera d’amore. Come loro, siete chiamati a costruire ponti, a pascere il gregge di
Cristo, e a preparare valide vie per il Vangelo in Asia all’alba di una nuova era.
«L’amore di Cristo infatti ci possiede» (2 Cor 5,14). Nella prima Lettura di oggi san Paolo
ci dice che l’amore che siamo chiamati a proclamare è un amore riconciliatore, che
promana dal cuore del Salvatore crocifisso. Siamo chiamati ad essere «ambasciatori in
nome di Cristo» (2 Cor 5,20). Il nostro è un ministero di riconciliazione. Proclamiamo la
Buona Novella dell’amore, della misericordia e della compassione senza fine di Dio.
Proclamiamo la gioia del Vangelo. Poiché il Vangelo è la promessa della grazia di Dio, che
sola può portare pienezza e risanamento al nostro mondo malato. Il Vangelo può ispirare
la costruzione di un ordine sociale veramente giusto e redento.
Essere ambasciatore di Cristo significa prima di tutto invitare ogni persona ad un rinnovato
incontro con il Signore Gesù (cfr Evangelii gaudium, 3). Il nostro incontro personale con
Lui. Questo invito dev’essere al centro della vostra commemorazione
dell’evangelizzazione delle Filippine. Ma il Vangelo è anche un appello alla conversione,
ad un esame della nostra coscienza, come individui e come popolo. Come i Vescovi delle
Filippine hanno giustamente insegnato, la Chiesa nelle Filippine è chiamata a riconoscere
e combattere le cause della disuguaglianza e dell’ingiustizia, profondamente radicate, che
macchiano il volto della società filippina, in palese contrasto con l’insegnamento di Cristo.
Il Vangelo chiama ogni singolo cristiano a vivere una vita onesta, integra e impegnata per
il bene comune. Ma chiama anche le comunità cristiane a creare “circoli di onestà”, reti di
solidarietà che possono estendersi nella società per trasformarla con la loro testimonianza
profetica.
I poveri. I poveri sono al centro del Vangelo, sono al cuore del Vangelo; se togliamo i
poveri dal Vangelo non possiamo capire pienamente il messaggio di Gesù Cristo. Come
ambasciatori di Cristo, noi, vescovi, sacerdoti e religiosi, dovremmo essere i primi ad
accogliere la sua grazia riconciliatrice nei nostri cuori. San Paolo spiega che cosa questo
significhi. Significa rifiutare prospettive mondane, guardando ogni cosa di nuovo alla luce
di Cristo. Ciò comporta che noi siamo i primi ad esaminare la nostra coscienza, a
riconoscere i nostri fallimenti e cadute e ad imboccare la via della conversione continua,
della conversione quotidiana. Come possiamo proclamare la novità e il potere liberante
della Croce agli altri, se proprio noi non permettiamo alla Parola di Dio di scuotere il nostro
orgoglio, la nostra paura di cambiare, i nostri meschini compromessi con la mentalità di
questo mondo, la nostra mondanità spirituale (cfr Evangelii gaudium, 93)?
Per noi sacerdoti e persone consacrate, conversione alla novità del Vangelo comporta un
quotidiano incontro col Signore nella preghiera. I santi ci insegnano che questa è la
sorgente di ogni zelo apostolico! Per i religiosi, vivere la novità del Vangelo significa
trovare sempre di nuovo nella vita e nell’apostolato della comunità l’incentivo per una
sempre più stretta unione col Signore nella perfetta carità. Per tutti noi, significa vivere in
modo da riflettere la povertà di Cristo, la cui intera vita era incentrata sul fare la volontà del
Padre e servire gli altri. La grande minaccia a ciò, naturalmente, è cadere in un certo
materialismo che può insinuarsi nella nostra vita e compromettere la testimonianza che
offriamo. Solo diventando noi stessi poveri, diventando noi stessi poveri, eliminando il
nostro autocompiacimento, potremo identificarci con gli ultimi tra i nostri fratelli e sorelle.
Vedremo le cose sotto una luce nuova e così potremo rispondere con onestà e integrità
alla sfida di annunciare la radicalità del Vangelo in una società abituata all’esclusione, alla
polarizzazione e alla scandalosa disuguaglianza.
Qui desidero dire una parola speciale ai giovani sacerdoti e religiosi e ai seminaristi
presenti. Vi chiedo di condividere la gioia e l’entusiasmo del vostro amore per Cristo e per
la Chiesa con chiunque, ma soprattutto con i vostri coetanei. Siate presenti in mezzo ai
giovani che possono essere confusi e abbattuti, e che tuttavia continuano a vedere la
Chiesa come loro compagna di cammino e fonte di speranza.
Siate vicini a quanti, vivendo in mezzo ad una società appesantita dalla povertà e dalla
corruzione, sono scoraggiati, tentati di mollare tutto, di lasciare la scuola e di vivere per la
strada. Proclamate la bellezza e la verità del matrimonio cristiano ad una società che è
tentata da modi confusi di vedere la sessualità, il matrimonio e la famiglia. Come sapete
queste realtà sono sempre più sotto l’attacco di forze potenti che minacciano di sfigurare il
piano creativo di Dio e di tradire i veri valori che hanno ispirato e dato forma a quanto di
bello c’è nella vostra cultura.
La cultura filippina, infatti, è stata plasmata dalla creatività della fede. I Filippini sono
dovunque conosciuti per il loro amore a Dio, per la loro fervente pietà e la loro calorosa e
cordiale devozione alla Madonna e al suo Rosario; il loro amore a Dio, per la loro fervente
pietà e la loro calorosa e cordiale devozione alla Madonna e al suo Rosario. Questa
grande eredità contiene un forte potenziale missionario. È il modo in cui il vostro popolo ha
inculturato il Vangelo e continua ad accogliere il suo messaggio (cfr Evangelii gaudium,
122). Nel vostro impegno di preparazione del quinto centenario, costruite su queste solide
basi.
Cristo è morto per tutti, affinché, uniti a Lui nella morte, potessimo vivere non più per noi
stessi ma per Lui (cfr 2 Cor 5,15). Cari fratelli Vescovi, Sacerdoti e Religiosi, imploro da
Maria, Madre della Chiesa, di suscitare in tutti voi una tale abbondanza di zelo, che
possiate spendervi con abnegazione al servizio dei fratelli e delle sorelle. In tal modo,
possa l’amore riconciliatore di Cristo penetrare ancora più interamente nel tessuto della
società filippina e, attraverso di voi, nei più lontani angoli del mondo. Amen.
INCONTRO CON LE AUTORITÀ E CON IL CORPO DIPLOMATICO
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Rizal Ceremonial Hall del Palazzo Presidenziale di Malacañang , Manila, Venerdì, 16
gennaio 2015
Signore e Signori!
La ringrazio, Signor Presidente, per il Suo gentile benvenuto e per le Sue parole di saluto
a nome delle autorità e del popolo filippino, e dei distinti membri del Corpo Diplomatico.
Sono molto grato per l’invito a visitare le Filippine. La mia visita è anzitutto pastorale.
Avviene in un momento in cui la Chiesa in questo Paese si sta preparando a celebrare il
quinto centenario della prima proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo su questi lidi. Il
messaggio cristiano ha avuto un immenso influsso sulla cultura filippina. È mia speranza
che tale importante anniversario faccia risaltare la sua costante fecondità e la sua capacità
di ispirare una società degna della bontà, della dignità e delle aspirazioni del popolo
filippino.
In modo particolare, questa visita vuole esprimere la mia vicinanza ai nostri fratelli e
sorelle che hanno patito le sofferenze, i danni e le devastazioni causate dal tifone
Yolanda. Insieme ai popoli di tutto il mondo, ho ammirato la forza, la fede e la resistenza
eroiche dimostrate da tanti Filippini di fronte a questo disastro naturale, e di tanti altri.
Quelle virtù, radicate non da ultimo nella speranza e nella solidarietà istillate dalla fede
cristiana, hanno dato origine ad una profusione di bontà e generosità, specialmente da
parte di tanti giovani. In quel momento di crisi nazionale, innumerevoli persone sono
venute in aiuto dei loro vicini bisognosi. Con grande sacrificio hanno offerto il loro tempo e
le loro risorse, creando una rete di mutuo soccorso e di impegno per il bene comune.
Questo esempio di solidarietà nel lavoro di ricostruzione ci offre una lezione importante.
Come una famiglia, ogni società attinge dalle sue più profonde risorse per far fronte a
nuove sfide. Oggi le Filippine, insieme a molte altre nazioni dell’Asia, si trova davanti
all’esigenza di costruire una società moderna fondata su solide basi – una società
rispettosa degli autentici valori umani, che tuteli la nostra dignità e i diritti umani, fondati su
Dio, e che sia pronta ad affrontare nuovi e complessi problemi etici e politici. Come molte
voci nella vostra nazione hanno segnalato, è ora più che mai necessario che i dirigenti
politici si distinguano per onestà, integrità e responsabilità verso il bene comune. In questo
modo potranno preservare le ricche risorse umane e naturali con cui Dio ha benedetto
questo Paese. Così saranno in grado di fornire le risorse morali necessarie ad affrontare le
istanze del presente, e trasmettere alle generazioni future una società veramente giusta,
solidale e pacifica.
Indispensabile per la realizzazione di questi obiettivi nazionali è l’imperativo morale di
assicurare la giustizia sociale e il rispetto della dignità umana. La grande tradizione biblica
prescrive per tutti i popoli il dovere di ascoltare la voce dei poveri e di spezzare le catene
dell’ingiustizia e dell’oppressione, che danno origine a palesi e scandalose disuguaglianze
sociali. La riforma delle strutture sociali che perpetuano la povertà e l’esclusione dei
poveri, prima di tutto richiede una conversione della mente e del cuore. I Vescovi delle
Filippine hanno chiesto che quest’anno sia proclamato “Anno dei Poveri”. Spero che
questa profetica istanza determini in ciascuno, a tutti i livelli della società, il fermo rifiuto di
ogni forma di corruzione che distolga risorse dai poveri. Possa essa ispirare la volontà di
uno sforzo concertato per includere ogni uomo, donna e bambino nella vita della comunità.
Un ruolo fondamentale per il rinnovamento della società è rappresentato, naturalmente,
dalla famiglia e specialmente dai giovani. Un aspetto particolare della mia visita sarà il mio
incontro con le famiglie e con i giovani qui a Manila. Le famiglie hanno un’indispensabile
missione nella società. È nella famiglia che i bambini vengono cresciuti nei valori sani,
negli alti ideali e nella sincera attenzione agli altri. Ma come tutti i doni di Dio, la famiglia
può anche essere sfigurata e distrutta. Essa ha bisogno del nostro appoggio. Sappiamo
quanto sia difficile oggi per le nostre democrazie preservare e difendere tali valori umani
fondamentali, come il rispetto per l’inviolabile dignità di ogni persona umana, il rispetto dei
diritti di libertà di coscienza e di religione, il rispetto per l’inalienabile diritto alla vita, a
partire da quella dei bimbi non ancora nati fino quella degli anziani e dei malati. Per questa
ragione, famiglie e comunità locali devono essere incoraggiate e assistite nei loro sforzi di
trasmettere ai nostri giovani i valori e la visione capaci di aiutare a promuovere una cultura
di onestà – tale da onorare bontà, sincerità, fedeltà e solidarietà, come solide basi e
collante morale che mantenga unita la società.
Signor Presidente, distinte Autorità, cari amici,
...Confido che i lodevoli sforzi per promuovere dialogo e cooperazione tra i seguaci delle
diverse religioni porteranno frutto nel perseguimento di questa nobile finalità. In modo
particolare, esprimo la mia fiducia che il progresso compiuto nel portare la pace nel sud
del Paese produrrà soluzioni giuste in accordo con i principi fondanti della nazione e nel
rispetto dei diritti inalienabili di tutti, comprese le popolazioni indigene e le minoranze
religiose.
Su di voi e su ogni uomo, donna e bambino di questa amata nazione invoco di cuore
abbondanti benedizioni di Dio.
VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN SRI LANKA E
FILIPPINE
(12-19 GENNAIO 2015)
Santuario di Nostra Signora del Rosario, Madhu , Mercoledì, 14 gennaio 2015
PREGHIERA MARIANA
Cari fratelli e sorelle,
ci troviamo nella dimora di nostra Madre. Qui lei ci dà il benvenuto nella sua casa. In
questo santuario di Nostra Signora di Madhu, ogni pellegrino si può sentire a casa, perché
qui Maria ci introduce alla presenza del suo Figlio Gesù. Qui Srilankesi, Tamil e Singalesi,
tutti giungono come membri di un’unica famiglia. A Maria essi affidano le loro gioie e i loro
dolori, le loro speranze e le loro necessità. Qui, nella sua casa, si sentono sicuri. Sanno
che Dio è molto vicino; sentono il suo amore; conoscono la sua tenera misericordia, la
tenera misericordia di Dio.
Ci sono famiglie qui oggi che hanno sofferto immensamente nel lungo conflitto che ha
lacerato il cuore dello Sri Lanka. Molte persone, dal nord e dal sud egualmente, sono state
uccise nella terribile violenza e nello spargimento di sangue di questi anni. Nessuno
Srilankese può dimenticare i tragici eventi legati a questo stesso luogo, o il triste giorno in
cui la venerabile statua di Maria, risalente all’arrivo dei primi cristiani in Sri Lanka, venne
portata via dal suo santuario.
Ma la Madonna rimane sempre con voi. Lei è Madre di ogni casa, di ogni famiglia ferita, di
tutti coloro che stanno cercando di ritornare ad una esistenza pacifica. Oggi la ringraziamo
per aver protetto il popolo dello Sri Lanka da tanti pericoli, passati e presenti. Maria non
dimentica mai i suoi figli di questa splendida Isola. Come è sempre rimasta accanto al suo
Figlio sulla Croce, così è sempre rimasta accanto ai suoi figli srilankesi sofferenti.
Oggi vogliamo ringraziare la Madonna per questa presenza. Dopo tanto odio, tanta
violenza e tanta distruzione, vogliamo ringraziarla perché continua a portarci Gesù, che
solo ha il potere di sanare le ferite aperte e di restituire la pace ai cuori spezzati. Ma
vogliamo anche chiederle di ottenere per noi la grazia della misericordia di Dio. Chiediamo
anche la grazia di riparare i nostri peccati e tutto il male che questa terra ha conosciuto.
Non è facile fare questo. Tuttavia, solo quando arriviamo a comprendere, alla luce della
Croce, il male di cui siamo capaci, e di cui persino siamo stati partecipi, possiamo
sperimentare vero rimorso e vero pentimento. Solo allora possiamo ricevere la grazia di
avvicinarci l’uno all’altro con vera contrizione, offrendo e cercando vero perdono. In questo
difficile sforzo di perdonare e di trovare la pace, Maria è sempre qui ad incoraggiarci, a
guidarci, a farci fare un altro passo. Proprio come lei ha perdonato gli uccisori di suo Figlio
ai piedi della sua croce, tenendo tra le braccia il suo corpo senza vita, così ora lei vuole
guidare gli Srilankesi ad una più grande riconciliazione, così che il balsamo del perdono di
Dio possa produrre vera guarigione per tutti.
Infine, vogliamo chiedere alla Madre Maria di accompagnare con le sue preghiere gli sforzi
degli Srilankesi di entrambe le comunità Tamil e Singalese per ricostruire l’unità che è
stata perduta. Come la sua statua è rientrata al suo santuario di Madhu dopo la guerra,
così preghiamo che tutti i suoi figli e figlie Srilankesi possano ritornare ora alla casa di Dio
in un rinnovato spirito di riconciliazione e fratellanza.
Cari fratelli e sorelle, sono felice di essere con voi nella dimora di Maria. Preghiamo l’uno
per l’altro. Soprattutto, chiediamo che questo santuario possa sempre essere una casa di
preghiera e un rifugio di pace. Per intercessione di Nostra Signora di Madhu, possano tutti
trovare qui ispirazione e forza per costruire un futuro di riconciliazione, di giustizia e di
pace per i figli di questa amata terra. Amen.
SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEL BEATO GIUSEPPE VAZ
Galle Face Green, Colombo, Mercoledì, 14 gennaio 2015
«Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Isaia 52,10).
Questa è la magnifica profezia che abbiamo ascoltato nella prima Lettura di oggi. Isaia
predice l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo sino ai confini della terra. Questa profezia
ha un significato speciale per noi che celebriamo la canonizzazione del grande missionario
del Vangelo san Giuseppe Vaz. Come innumerevoli altri missionari nella storia della
Chiesa, egli ha risposto al comando del Signore risorto di fare discepoli tutti i popoli
(cfr Mt 28,19). Con le sue parole, ma soprattutto con l’esempio della sua vita, ha condotto
il popolo di questo Paese alla fede che ci concede «l’eredità fra tutti quelli che da lui sono
santificati» (Atti 20,32).
In san Giuseppe vediamo un segno eloquente della bontà e dell’amore di Dio per il popolo
dello Sri Lanka. Ma in lui vediamo anche uno stimolo a perseverare nella via del Vangelo,
a crescere noi stessi in santità, e a testimoniare il messaggio evangelico di riconciliazione
al quale egli ha dedicato la sua vita.
Sacerdote Oratoriano, dalla sua natia Goa, san Giuseppe Vaz arrivò in questo Paese,
ispirato da zelo missionario e da un grande amore per queste popolazioni. A causa della
persecuzione religiosa in atto, si vestiva come un mendicante, adempiva ai suoi doveri
sacerdotali incontrando in segreto i fedeli, spesso di notte. I suoi sforzi hanno dato forza
spirituale e morale alla popolazione cattolica assediata. Egli ebbe un particolare desiderio
di servire i malati e i sofferenti. Il suo ministero con gli infermi, durante un’epidemia di
vaiolo a Kandy, fu così apprezzato dal re, che gli fu concessa maggiore libertà di
esercitare il ministero stesso. Da Kandy poté raggiungere altre zone dell’isola. Si consumò
nel lavoro missionario e morì, esausto, all’età di cinquantanove anni, venerato per la sua
santità.
San Giuseppe Vaz continua ad essere un esempio e un maestro per molte ragioni, ma ne
vorrei focalizzare tre.
Innanzitutto, egli fu un sacerdote esemplare. Qui oggi con noi ci sono molti sacerdoti,
religiosi e religiose, i quali, come Giuseppe Vaz, sono consacrati al servizio del Vangelo di
Dio e al prossimo. Incoraggio ognuno di voi a guardare a san Giuseppe come a una guida
sicura. Egli ci insegna ad uscire verso le periferie, per far sì che Gesù Cristo sia
conosciuto e amato ovunque. Egli è anche esempio di paziente sofferenza per la causa
del Vangelo, di obbedienza ai superiori, di amorevole cura per la Chiesa di Dio
(cfr At 20,28). Come noi, egli è vissuto in un periodo di rapida e profonda trasformazione; i
cattolici erano una minoranza e spesso divisa all’interno; si verificavano ostilità, perfino
persecuzioni, all’esterno. Ciò nonostante, poiché egli fu costantemente unito nella
preghiera al Signore crocifisso, fu in grado di diventare per tutta la popolazione un’icona
vivente dell’amore misericordioso e riconciliante di Dio.
In secondo luogo, san Giuseppe ci ha mostrato l’importanza di superare le divisioni
religiose nel servizio della pace. Il suo indiviso amore per Dio lo ha aperto all’amore per il
prossimo; egli ha dedicato il suo ministero ai bisognosi, chiunque e dovunque essi fossero.
Il suo esempio continua oggi ad ispirare la Chiesa in Sri Lanka. Essa volentieri e
generosamente serve tutti i membri della società. Non fa distinzione di razza, credo,
appartenenza tribale, condizione sociale o religione nel servizio che provvede attraverso le
sue scuole, ospedali, cliniche e molte altre opere di carità. Essa non chiede altro che la
libertà di portare avanti la sua missione. La libertà religiosa è un diritto umano
fondamentale. Ogni individuo dev’essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la
verità, di esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da
costrizioni esterne. Come ci insegna la vita di Giuseppe Vaz, l’autentica adorazione di Dio
porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della
vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere
di tutti.
Infine, san Giuseppe ci offre un esempio di zelo missionario. Nonostante fosse giunto a
Ceylon per soccorrere e sostenere la comunità cattolica, nella sua carità evangelica egli
arrivò a tutti. Lasciandosi dietro la sua casa, la sua famiglia, il conforto dei suoi luoghi
familiari, egli rispose alla chiamata di partire, di parlare di Cristo dovunque si recasse. San
Giuseppe sapeva come offrire la verità e la bellezza del Vangelo in un contesto multireligioso, con rispetto, dedizione, perseveranza e umiltà. Questa è la strada anche per i
seguaci di Gesù oggi. Siamo chiamati ad “uscire” con lo stesso zelo, con lo stesso
coraggio di san Giuseppe, ma anche con la sua sensibilità, con il suo rispetto per gli altri,
con il suo desiderio di condividere con loro quella parola di grazia (cfr At 20,32) che ha il
potere di edificarli. Siamo chiamati ad essere discepoli missionari.
Cari fratelli e sorelle, prego che, seguendo l’esempio di san Giuseppe Vaz, i cristiani di
questo Paese possano essere confermati nella fede e dare un contributo ancora maggiore
alla pace, alla giustizia e alla riconciliazione nella società srilankese. Questo è quanto
Cristo si aspetta da voi. Questo è quanto san Giuseppe vi insegna. Questo è quanto la
Chiesa vi chiede. Vi affido tutti alle preghiere del nostro nuovo Santo, affinché, in unione
con tutta la Chiesa sparsa per il mondo, voi possiate cantare un canto nuovo al Signore e
proclamare la sua gloria fino ai confini della terra. Perché grande è il Signore e degno di
ogni lode (cfr Sal96,1-4)! Amen.
INCONTRO INTERRELIGIOSO ED ECUMENICO - DISCORSO DEL SANTO PADRE
Bandaranaike Memorial International Conference Hall, Colombo
Martedì, 13 gennaio 2015
Cari Amici,
sono grato per l’opportunità di partecipare a questo incontro, che riunisce insieme, tra gli
altri, le quattro comunità religiose più grandi, parte integrante della vita dello Sri Lanka:
Buddhismo, Induismo, Islam e Cristianesimo. Vi ringrazio per la vostra presenza e per il
caloroso benvenuto...
E’ una grazia particolare per me visitare la comunità cattolica locale, confermarla nella
fede in Cristo, pregare con essa e condividerne le gioie e le sofferenze. Ed è ugualmente
una grazia l’essere con tutti voi, uomini e donne di queste grandi tradizioni religiose, che
condividete con noi un desiderio di sapienza, di verità e di santità.
Nel Concilio Vaticano II la Chiesa Cattolica ha dichiarato il proprio rispetto profondo e
duraturo per le altre religioni. Ha dichiarato che «nulla rigetta di quanto è vero e santo in
queste religioni. Essa considera con sincero rispetto [quei] modi di agire e di vivere, [quei]
precetti e [quelle] dottrine» (Nostra aetate, 2). Da parte mia, desidero riaffermare il sincero
rispetto della Chiesa per voi, le vostre tradizioni e le vostre credenze.
E’ in questo spirito di rispetto che la Chiesa Cattolica desidera collaborare con voi e con
tutte le persone di buona volontà, nel ricercare la prosperità di tutti gli srilankesi. Spero che
la mia visita aiuterà ad incoraggiare ed approfondire le varie forme di collaborazione
interreligiosa ed ecumenica, che sono state intraprese negli anni recenti.
Queste lodevoli iniziative hanno offerto opportunità di dialogo, essenziale se vogliamo
conoscerci, capirci e rispettarci l’un l’altro. Ma, come insegna l’esperienza, perché tale
dialogo ed incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle
nostre rispettive convinzioni. Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diverse le
nostre credenze, tradizioni e pratiche. E tuttavia, se siamo onesti nel presentare le nostre
convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune.
Nuove strade si apriranno per la mutua stima, cooperazione e anche amicizia.
...Quanti modi ci sono per i seguaci delle diverse religioni per realizzare questo servizio!
Quanti sono i bisogni a cui provvedere con il balsamo della solidarietà fraterna! Penso in
particolare alle necessità materiali e spirituali dei poveri, degli indigenti, di quanti
ansiosamente attendono una parola di consolazione e di speranza. Penso qui anche alle
molte famiglie che continuano a piangere la perdita dei loro cari.
Soprattutto, in questo momento della storia della vostra Nazione, quante persone di buona
volontà cercano di ricostruire le fondamenta morali dell’intera società! Possa il crescente
spirito di cooperazione tra i dirigenti delle diverse comunità religiose trovare espressione in
un impegno a porre la riconciliazione fra tutti gli srilankesi al cuore di ogni sforzo per
rinnovare la società e le sue istituzioni. Per il bene della pace, non si deve permettere che
le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra.
Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere
pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli
atti di violenza quando vengono commessi.
CERIMONIA DI BENVENUTO
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Aeroporto Internazionale di Colombo, Martedì, 13 gennaio 2015
Signor Presidente, Onorevoli Autorità di Governo,
Eminenza, Eccellenze,Cari amici,
grazie per la vostra calorosa accoglienza. A lungo ho atteso questa visita in Sri Lanka e
questi giorni che trascorreremo assieme. Lo Sri Lanka è conosciuto come la Perla
dell’Oceano Indiano per le sue bellezze naturali. Ma soprattutto quest’Isola è conosciuta
per il calore del suo popolo e la ricca varietà delle sue tradizioni culturali e religiose.
Signor Presidente, Le formulo i miei migliori auguri per la Sua nuova responsabilità. Saluto
i distinti membri del governo e le autorità civili che ci onorano con la loro presenza. Sono
grato in modo speciale per la presenza degli eminenti esponenti religiosi, che hanno un
ruolo così importante nella vita di questo Paese....
La mia visita nello Sri Lanka è anzitutto pastorale. Quale pastore universale della Chiesa
Cattolica, sono giunto per incontrare ed incoraggiare i cattolici di quest’Isola, come pure
per pregare con loro. Un punto centrale di tale visita sarà la canonizzazione del beato
Joseph Vaz, il cui esempio di carità cristiana e di rispetto per ogni persona, senza
distinzione di etnia o di religione, continua ancor oggi ad ispirarci e ammaestrarci. Ma la
mia visita vuole anche esprimere l’amore e la preoccupazione della Chiesa per tutti gli
srilankesi, e confermare il desiderio della comunità cattolica di essere attivamente
partecipe della vita di questa società.
E’ una costante tragedia del nostro mondo che molte comunità siano in guerra tra di loro.
L’incapacità di riconciliare le diversità e le discordie, antiche o nuove che siano, ha fatto
sorgere tensioni etniche e religiose, accompagnate frequentemente da esplosioni di
violenza. Per molti anni lo Sri Lanka ha conosciuto gli orrori dello scontro civile, ed ora sta
cercando di consolidare la pace e di curare le ferite di quegli anni. Non è un compito facile
quello di superare l’amara eredità di ingiustizie, ostilità e diffidenze lasciata dal conflitto. Si
può realizzare soltanto superando il male con il bene (cfr Rm 12,21) e coltivando quelle
virtù che promuovono la riconciliazione, la solidarietà e la pace. Il processo di risanamento
richiede inoltre di includere il perseguimento della verità, non con lo scopo di aprire
vecchie ferite, ma piuttosto quale mezzo necessario per promuovere la giustizia e l’unità.
Cari amici, sono convinto che i seguaci delle varie tradizioni religiose hanno un ruolo
essenziale da giocare nel delicato processo di riconciliazione e di ricostruzione che è in
corso in questo Paese. Perché tale processo avvenga, bisogna che tutti i membri della
società lavorino assieme; che tutti abbiano voce. Tutti devono essere liberi di esprimere le
proprie preoccupazioni, i propri bisogni, le proprie aspirazioni e le proprie paure. Ma
soprattutto devono essere pronti ad accettarsi l’un l’altro, a rispettare le legittime diversità
ed imparare a vivere come un’unica famiglia....
Signor Presidente, cari amici, ancora una volta vi ringrazio per il vostro benvenuto.
Possano questi giorni che trascorreremo insieme essere giorni di amicizia, di dialogo e di
solidarietà. Invoco abbondanti benedizioni di Dio sullo Sri Lanka, la Perla dell’Oceano
Indiano, e prego che la sua bellezza risplenda a beneficio della prosperità e della pace di
tutti i suoi abitanti.