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ISSN 1722-8387
Alessandra Zanardo, Le modifiche legislative in materia di diritti degli azionisti: il d. legisl.
n. 91/2012
5
Cristiano Iurilli, Merito creditizio, causa in concreto e nullità del contratto di mutuo: profili
di responsabilità civile (Seconda parte)
Camilla Fin, Responsabilità dell’avvocato: il professionista è liberato solo se le direttive
sulle modalità di espletamento dell’incarico vengono date da un cliente adeguatamente
informato
TEMI
Concorso per uditore giudiziario - Prova scritta di diritto civile, di Angelo Salerno
Studium Generale
LEZIONI
Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati - Atto giudiziario su quesito proposto in materia
di diritto civile, Tema assegnato nella sessione d’esame del dicembre 2013, di
Guido Belli
I Temi del prossimo numero
NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI
a cura di Giovanni De Cristofaro e Guido Casaroli
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
a cura di Paolo Veronesi
GIURISPRUDENZA DELL’UNIONE EUROPEA
a cura di Giulio Carpaneto
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ISBN 978-88-13-34312-5
NOVITÀ LEGISLATIVE
a cura di Simona Droghetti
STUDIUM IURIS
Concorso per notaio - Prova teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà, Tema
assegnato nella sessione d’esame del 15 novembre 2012, di Maria Francesca
Crivellari
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb.post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. I, comma I, DCB Milano
Antonella Marandola, Nuove norme in materia di violenza di genere: aspetti processuali
Pubblicazione mensile - Anno XX, n. 5 maggio 2014
Ilaria Lombardini, La parola alla Corte costituzionale (C. cost. 19 luglio 2013, n. 223):
nei rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria opera la piena translatio iudicii
2014
ATTUALITÀ E SAGGI
STUDIUM IURIS
rivista per la formazione nelle professioni giuridiche
www.edicolaprofessionale.com/studiumiuris
• I rapporti tra arbitri e Ago secondo Corte cost.
n. 223/2013
• Le nuove norme in materia di violenza di
genere
• Modifiche legislative in materia di diritti degli
azionisti: il d. legisl. n. 91/2012
• Informazione del cliente e responsabilità
dell’avvocato
• Merito creditizio, causa e nullità del mutuo
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5
2014
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INDICE DEL FASCICOLO 5/2014
ATTUALITÀ E SAGGI
Ilaria Lombardini, La parola alla Corte costituzionale (C. cost. 19 luglio 2013, n. 223): nei
rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria opera la piena translatio iudicii . . . . . . . . . . . .519
Antonella Marandola, Nuove norme in materia di violenza di genere: aspetti processuali . 527
Alessandra Zanardo, Le modifiche legislative in materia di diritti degli azionisti: il d. legisl. n.
91/2012 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 536
Cristiano Iurilli, Merito creditizio, causa in concreto e nullità del contratto di mutuo: profili di
responsabilità civile (Seconda parte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 546
LEZIONI
Camilla Fin, Responsabilità dell’avvocato: il professionista è liberato solo se le direttive sulle
modalità di espletamento dell’incarico vengono date da un cliente adeguatamente informato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .553
TEMI
Concorso per uditore giudiziario - Prova scritta di diritto civile, di Angelo Salerno . . . . . . . . 558
Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati - Atto giudiziario su quesito proposto in materia di
diritto civile, Tema assegnato nella sessione d’esame del dicembre 2013, di Guido
Belli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 566
Concorso per notaio - Prova teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà, Tema assegnato nella sessione d’esame del 15 novembre 2012, di Maria Francesca Crivellari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 575
I Temi del prossimo numero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 585
NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI
a cura di Giovanni De Cristofaro e Guido Casaroli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 587
Cassazione civile, Sezioni unite
Le massime (ottobre 2013) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 587
Cassazione penale, Sezioni unite
Le massime (settembre 2013) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 588
V
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Indice
Studium Iuris, 5/2014
Cassazione civile, Sezioni semplici
In primo piano, Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361, (Danno non patrimoniale
e risarcibilità del c.d. danno tanatologico), di Alessandro Pepe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 589
Le massime (ottobre 2013) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 596
Cassazione penale, Sezioni semplici
Le schede, Cass. pen., sez. III, 5 novembre (ud. 17 marzo) 2013, n. 44641, (Violenza
sessuale), di Alessia Basso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 611
Le massime (settembre 2013). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 612
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
a cura di Paolo Veronesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627
GIURISPRUDENZA DELL’UNIONE EUROPEA
a cura di Giulio Carpaneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 629
NOVITÀ LEGISLATIVE
a cura di Simona Droghetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 636
INDICE DELLE NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 654
VI
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Attualità e saggi
LA PAROLA ALLA CORTE COSTITUZIONALE (C. COST. 19 LUGLIO 2013, N. 223):
NEI RAPPORTI TRA ARBITRI ED AUTORITÀ GIUDIZIARIA OPERA
LA PIENA TRANSLATIO IUDICII
di Ilaria Lombardini
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso in esame. – 3. Analisi delle motivazioni espresse in C. cost. n. 223 del 2013. – 4.
Considerazioni conclusive.
1. Premessa
Con una sentenza (C. cost. 19 luglio 2013, n.
223)1 dalla chiarezza esemplare, storicamente consapevole, ma non scontata, la Corte costituzionale ha conferito al sistema dei rapporti tra
arbitri ed autorità giudiziaria un nuovo assetto di
notevole rilevanza, partendo da alcune illuminate
riflessioni – sia dottrinali sia della Suprema Corte
– sviluppandole con lucido realismo, affinché le
disposizioni processuali non restino fini a se stesse e siano volte «alla miglior qualità della decisione
di merito», senza che sia possibile sacrificare il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al «bene della vita» oggetto
della loro contesa2.
Statuendo, con la decisione additiva C. cost. 19
luglio 2013, n. 223, che è costituzionalmente illegittimo l’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., nella parte
in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50
c.p.c., la Consulta non si è limitata a far proprio il
compito di mettere ordine riguardo alla questione
da anni dibattuta dei rapporti fra arbitri-giudici (e
viceversa) e dei conseguenti effetti, ma, con una
convincente decisione di parziale incostituzionalità della suddetta norma codicistica, ha attuato una
“rivoluzione copernicana”, se pur settoriale.
1 La sentenza C. cost. n. 223 del 2013 si può leggere, al momento in cui si scrive, sul sito: www.cortecostituzionale.it.
2 V., sul punto, C. cost. n. 223 del 2013, cit.; v. già V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli 1979, p. 28; v. anche
C. cost. 16 ottobre 1986, n. 220, in F. it. 1986, I, c. 2669, estesa
da V. Andrioli.
Ha fatto cadere, infatti, l’esclusione di applicabilità dell’art. 50 c.p.c. nei rapporti bilaterali tra arbitri e giudici statuali (e viceversa), determinando
così l’applicazione di una disciplina uguale rispetto a quella della riassunzione dopo la declinatoria
di competenza, regolata dall’art. 50 c.p.c., e quindi
di una piena translatio iudicii.
È agevole rendersi conto che a rilevare qui
non è comunque solo la questione, pur fondamentale, sotto il profilo teorico, della translatio,
quanto soprattutto il problema delle sue ricadute pratiche, vale a dire della conservazione degli
effetti sostanziali e processuali della attività già
espletata davanti ai giudici statuali o agli arbitri e la necessità di scongiurare il rischio che la
mancata conservazione degli effetti dell’originario atto introduttivo si traduca in una violazione
per le parti del diritto di difesa e ad un giusto
processo condotto in termini di ragionevole durata.
In tale prospettiva la Corte costituzionale,
nella sentenza in commento, rileva che a norma dell’art. 24 Cost. è indispensabile conservare gli effetti sostanziali della domanda proposta
davanti al giudice o all’arbitro incompetenti e
quindi ritenere illegittimo l’art. 819-ter, comma
2, c.p.c., dato che tale norma, non permettendo
l’applicabilità dell’art. 50 c.p.c., impedisce che
la causa possa proseguire dinanzi all’arbitro o al
giudice competenti, e, dunque, preclude la conservazione degli effetti processuali e sostanziali
della domanda stessa.
Viene così ripristinata dalla Corte l’effettività
della tutela giurisdizionale.
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Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria (C. cost. 19 luglio 2013, n. 223)
2. Il caso in esame
Prima di illustrare le motivazioni della sentenza C. cost. n. 223 del 2013 e di delineare i nuovi
scenari aperti dalla decisione, è opportuno richiamare, se pur brevemente, il caso alla base della
pronuncia de qua, anche al fine di meglio comprendere la ratio per cui la Consulta ha ritenuto di
non poter dare un’interpretazione adeguatrice del
secondo comma dell’art. 819-ter c.p.c. sul modello proposto invece da Cass. n. 22002 del 2012
(su cui v. infra par. n. 3 del presente scritto), ma ha
invece ritenuto indispensabile dichiararne la parziale incostituzionalità3.
La pronuncia della Consulta parte dall’assunto
della necessità di riunire preliminarmente i giudizi
promossi da un Arbitro di Bologna, con ordinanza
del 13 novembre 20124, e dal Tribunale ordinario
di Catania, con ordinanza del 26 giugno 20125,
in quanto, considerata l’identità delle questioni da
essi sollevate, i giudizi debbono essere definiti con
un’unica decisione.
Tanto l’Arbitro di Bologna, quanto il Tribunale ordinario di Catania, infatti, dubitano, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., della legittimità
costituzionale dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c.,
nella parte in cui stabilisce che nei rapporti fra
arbitri e giudici statuali (e viceversa) non trovino
applicazione regole corrispondenti all’art. 50 c.p.c.
A parere di entrambi i rimettenti, la disposizione censurata sarebbe in contrasto con i suddetti
principi costituzionali, in quanto «irragionevolmente in disarmonia con la vigente disciplina
del codice di rito relativa ai rapporti tra i giudici
ordinari, tra questi e quelli speciali», «violando il
diritto di difesa e i principi del giusto processo, determina, in caso di pronuncia del giudice ordinario di diniego della propria competenza a favore
di quella dell’arbitro, l’impossibilità di far salvi gli
effetti sostanziali [evitando così, per esempio le decadenze: nella fattispecie la decadenza dall’impugnazione della delibera assembleare societaria per
decorrenza del termine di novanta giorni, previsto
dall’art. 2479-ter c.c., n.d.s.] e processuali dell’originaria domanda proposta [nella fattispecie n.d.s.]
dall’attore davanti al giudice ordinario»6.
La reciproca estraneità fra arbitrato e autorità
giudiziaria, ad avviso del rimettente, non può giustificare, nell’ipotesi di passaggio dagli arbitri ai giudici statuali (e viceversa) la mancata conservazione degli effetti dell’atto introduttivo, stabilita oggi
invece nei rapporti tra il giudice ordinario e quello
amministrativo, dopo celebri pronunce della Suprema corte e della Corte costituzionale. Il riferi-
Studium Iuris, 5/2014
mento è, in primis, alla nota sentenza delle Sezioni
unite della Cassazione del 22 febbraio 2007, n.
41097, che, con un approccio costituzionalmente
3 Sul tema v. la nota adesiva a Corte cost., sent. 19 luglio
2013, n. 223, di C. Consolo, Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza con piena translatio
fra giurisdizione pubblica e privata e viceversa, in Corr. giur. 2013,
n. 8-9, p. 1107 ss., spec. p. 1109 ss. Dubbi sulla legittimità
costituzionale della norma, prima della sentenza della Consulta in commento, erano già espressi da S. Boccagna, Appunti
sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, in
Aa.Vv., Studi in onore di Carmine Punzi, II, Torino 2008, p. 313
ss.; v., ancora, S. Boccagna, sub art. 819-ter c.p.c., in Codice di
procedura civile commentato, diretto da C. Consolo, III, 4a ed.,
Milano 2010, p. 1929; S. Boccagna, sub art. 819-ter c.p.c., in
Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, parte prima, Arbitrato nazionale, diretto da M.V. Benedettelli, C. Consolo e L.G. Radicati di Brozolo, Padova 2010,
p. 280 ss.; R. Muroni, La pendenza del giudizio arbitrale, Torino
2008, p. 335 ss.; M. Acone, in Aa.Vv., Sull’arbitrato, Studi offerti
a Giovanni Verde, Napoli 2010, p. 10 ss.; S. Ziino, in Aa.Vv.,
Sull’arbitrato, Studi offerti a Giovanni Verde, cit., p. 920 ss. Contra,
se bene intendo, M.P. Gasperini, in Studi offerti a Giovanni Verde,
cit., p. 379 ss.
4 L’ordinanza dell’Arbitro di Bologna del 13 novembre 2012
è pubblicata nella G.U. n. 10 del 2013, Prima serie speciale.
5 L’ordinanza del Tribunale di Catania del 26 giugno 2012
è pubblicata nella G.U. n. 14 del 2013, Prima serie speciale. Per
un commento all’ordinanza del Tribunale di Catania del 26
giugno 2012 si rinvia a M. Fornaciari, Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti fra giudice e arbitro:
sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 819-ter,
comma 2, c.p.c., in R. arb. 2012, n. 4, p. 894 ss., e a S. Boccagna,
Translatio iudicii nei rapporti tra giudice e arbitro: sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 819-ter c.p.c., in R. d. proc. 2013,
n. 2, p. 470 ss.
6 Il rimettente Arbitro di Bologna prospetta una questione
giudicata dalla Consulta ammissibile e fondata (la questione
sollevata dal Tribunale di Catania resta assorbita), laddove rileva che ove si applicasse il testo dell’art. 819-ter, comma 2,
c.p.c. (nel testo vigente prima dell’intervento della Corte costituzionale qui annotato) non sarebbe possibile applicare, tra
l’altro, l’art. 50 c.p.c., in forza del quale quando la riassunzione
dinanzi al giudice dichiarato competente avviene nel termine
fissato, il processo continua e, quindi, allo scopo di accertare
l’ammissibilità della domanda in relazione ai termini di decadenza cui essa sia eventualmente soggetta, è necessario fare
riferimento all’originario atto introduttivo della controversia.
L’arbitro a quo rileva ancora, incisivamente, che, qualora non
fossero fatti salvi gli effetti sostanziali della domanda, nella fattispecie, proposta con l’atto di citazione dinanzi al Tribunale
di Bologna (il quale ha dichiarato la propria incompetenza in
ragione della clausola compromissoria contenuta nello Statuto
della società che rimetteva la decisione sulle controversie relative alle deliberazioni sociali riguardanti interessi individuali dei soci all’arbitro unico), si determinerebbe un’inevitabile
pronuncia di decadenza dall’azione proposta tramite il ricorso
per la designazione dell’arbitro, ricorso proposto quando era
ormai scaduto il termine previsto dall’art. 2479-ter c.c.
7 V. Cass. civ., sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, in F. it.
2007, I, c. 1009 ss., con nota di R. Oriani, È possibile la “translatio iudicii” nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale:
divergenze tra Corte di cassazione e Corte costituzionale.
520
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
orientato alla regolamentazione in materia, ha mutato il granitico indirizzo espresso in precedenza.
Partendo dal presupposto che il giusto processo
non è volto allo scopo di sfociare in una pronuncia
di mero rito, ma a quello di rendere una decisione
di merito stabilendo chi ha torto e chi ha ragione,
la Corte di cassazione ha così affermato che deve essere dato ingresso al principio della translatio
iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e
viceversa, anche in caso di pronuncia resa sulla
“giurisdizione” e non più esclusivamente per regolare i rapporti di “mera competenza” tra giudici
tutti appartenenti alla giurisdizione ordinaria.
Sulla linea tracciata dalla Suprema Corte, con la
sentenza n. 4109 del 2007, si colloca la senten8 La sentenza C. cost. 12 marzo 2007, n. 77 (in G.U. n. 11
del 14 marzo 2007, Prima serie speciale), si può leggere in F. it.
2007, I, c. 1009 ss., spec. c. 1013 ss., con nota di R. Oriani, cit.;
in G. cost. 2007, p. 726 ss., spec. p. 736 ss., con nota di A. Mangia, Il lento incedere dell’unità della giurisdizione. La problematica
è stata affrontata nuovamente in un recente scritto da G. Ruffini, Difetto di giurisdizione e translatio iudicii fra confusione del
legislatore ed equivoci degli interpreti, in G. it. 2013, n. 1, p. 214 ss.
9 Una parte della dottrina ha cercato di offrire un’interpretazione costituzionalmente orientata, in seguito all’entrata in
vigore della legge n. 69 del 2009, prospettando la possibilità di
applicare l’art. 59 della citata legge in materia di conservazione
degli effetti della domanda proposta a giudice sfornito di giurisdizione anche ai rapporti tra giudici togati ed arbitri: cfr. M.
Bove, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del processo
civile (legge 18 giugno 2009, n. 69), in R. d. proc. 2009, p. 1305
s.; G. Verde, Ancora sulla pendenza del procedimento arbitrale, in
R. arb. 2009, n. 2, p. 219.
10 Sul punto v. la condivisibile critica di G. Ruffini, Difetto di giurisdizione e translatio iudicii, cit., p. 218, il quale rileva
che l’art. 11, d. legisl. n. 104 del 2010 «pur avendo avuto il
merito di affrontare alcuni problemi sui quali il legislatore dal
2009 era rimasto silente, non sembra voler distinguere, ai fini
della salvezza degli effetti processuali della domanda proposta
al giudice che ha declinato la giurisdizione, tra riassunzione e
riproposizione della domanda» e utilizza il termine “riproposizione” del processo in senso atecnico ed ambiguo. Per uscire
dall’impasse tale autore (G. Ruffini, op. cit., p. 217), sviluppando la prospettiva di G. Verde, Ancora sulla pendenza del procedimento arbitrale, cit., p. 219 ss., ritiene che coesistano entrambi
i suddetti meccanismi: quello della riassunzione (se interviene
prima del passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione), e quello della riproposizione della domanda con retrodatazione degli effetti (quando il giudice ad quem è adito dopo
il passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione, ma
prima che sia decorso il termine di tre mesi). Cfr. sul tema anche le considerazioni di C. Consolo, La questione di giurisdizione
tra rilievo officioso in primo grado e translatio, in Aa.Vv., Il codice
del processo amministrativo, dalla giurisdizione amministrativa al
processo amministrativo, Torino 2012, p. 335 ss.
11 La sentenza 28 novembre 2001, n. 376, si può leggere in
Giust. civ. 2001, I, 2883, con nota di R. Vaccarella, Il coraggio
della concretezza in una storica decisione della Corte costituzionale,
in G. cost. 2001, n. 6, p. 3735 ss., con nota di M. Esposito,
Quando l’arbitro diventa portiere (della Corte): notazioni minime
sulla naturale elasticità della nozione di giudice a quo.
za della Corte costituzionale che ha fatto entrare
a vele spiegate nel nostro ordinamento la translatio iudicii nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: si tratta della pronuncia 12 marzo
2007, n. 778, con cui la Consulta ha dichiarato
l’incostituzionalità dell’art. 30, legge n. 1034 del
1971 (sull’“Istituzione dei tribunali amministrativi regionali”) nella parte in cui non stabilisce che
gli effetti sostanziali e processuali, prodotti dalla
domanda proposta ad un giudice privo di giurisdizione, si conservino, a seguito di declinatoria di
giurisdizione, nel processo che prosegue dinanzi
al giudice provvisto di giurisdizione.
In tale arrêt, inoltre, la Corte costituzionale ha
affermato principi di rilevante efficacia espansiva,
ripresi in seguito dalla sentenza della Consulta che
qui si annota, come quello secondo cui il vigente
codice di procedura civile, nel disciplinare questioni di rito – e specialmente nella regolamentazione per individuare il giudice competente – si
ispira al principio in base al quale le norme processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla
migliore qualità della decisione di merito, e non
devono sacrificare l’esigenza chiovendiana di salvaguardare non soltanto la parte che ha ragione,
ma la parte in quanto tale, e il diritto di ricevere
una risposta affermativa o negativa in ordine al
“bene della vita” oggetto della contesa.
I rimettenti della sentenza C. cost. n. 223 del
2013 qui annotata (sia l’Arbitro a quo di Bologna,
sia il Tribunale di Catania nella propria ordinanza)
ricordano, altresì, che il legislatore, recependo le
suddette pronunce del giudice di legittimità e della
Corte costituzionale, è intervenuto per disciplinare i rapporti tra giudici appartenenti a diverse giurisdizioni, in un primo tempo con l’art. 59 della l.
18 giugno 2009, n. 699 e in seguito, ancora, con
l’art. 11 del d. legisl. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d.
“Codice del processo amministrativo”). In forza di
tali disposizioni ha stabilito che, quando il giudice
adito dichiari il proprio difetto di giurisdizione, se
il processo è tempestivamente riproposto davanti
al giudice indicato nella pronuncia che declina la
giurisdizione, «sono fatti salvi gli effetti sostanziali
e processuali della domanda»10.
Ancora, entrambi i rimettenti nelle rispettive
ordinanze di rimessione sostengono che, pur riconoscendo la «persistente problematicità dell’esatta qualificazione dei rapporti fra la giurisdizione
ordinaria e quella arbitrale», va riconosciuto che
la stessa Corte costituzionale, nella celebre sentenza n. 376 del 200111, ha precisato che il giudizio
arbitrale non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statuali della giurisdizione,
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Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria (C. cost. 19 luglio 2013, n. 223)
trattandosi di un giudizio che è «potenzialmente
fungibile» con quello degli organi giurisdizionali.
La Corte costituzionale, nella pronuncia che
qui si annota, nell’estendere la translatio iudicii anche ai rapporti tra arbitri e giudici (e viceversa) ha
ricordato il suo precedente arrêt (C. cost. n. 376
del 2001), in cui ha riconosciuto la natura oggettivamente giurisdizionale della funzione espletata dagli arbitri, quando ha ritenuto che gli arbitri
rituali siano legittimati a sollevare la questione di
legittimità costituzionale. Inoltre, in quella sede, la
Corte ha affermato che l’arbitrato (rituale) si configura come un procedimento previsto e regolato
dal codice di procedura civile per l’applicazione
obiettiva del diritto al caso concreto, ai fini della
risoluzione della controversia, con le garanzie del
contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione ordinaria e che, per quanto concerne la
ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili
alla fattispecie, il giudizio arbitrale «non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi
statali della giurisdizione».
Vi sarebbe cioè un’«identità di funzioni esercitate»12 tra arbitri e giudici togati, con equivalenza
di risultati realizzati, specialmente dopo la riforma
attuata col d. legisl. n. 40 del 2006, che ha riconosciuto «la piena equivalenza effettuale, e dunque
la perfetta fungibilità, delle rispettive pronunce»13.
Il baricentro viene così spostato sulla tutela giurisdizionale e sulla sua effettività; in altre parole,
«l’attività giurisdizionale non è più collegata, in
maniera decisiva, all’organo o all’istituzione che la
esercita, ma, piuttosto, al contenuto della sua funzione»14.
L’identità delle funzioni svolte, evidente, tra
giudice togato ed arbitro, esce rafforzata soprattutto ora che la novella della disciplina dell’arbitrato,
introdotta con il d. legisl. n. 40 del 2006 – applicabile ratione temporis pure alla controversia de
qua – ha riformato, come noto, anche l’art. 819ter, comma 1, c.p.c., ai sensi del quale «la sentenza,
con la quale il giudice afferma o nega la propria
competenza in relazione a una convenzione d’arbitrato, è impugnabile a norma degli artt. 42 e 43».
Peraltro, il nuovo art. 824-bis c.p.c. sembra sancire, secondo un’interpretazione che mi pare condivisibile, «la piena equiparazione effettuale» del
lodo rituale alla sentenza del giudice dello Stato15.
Il legislatore, in linea con alcune recenti pronunce
della Suprema Corte, ha così inequivocabilmente
voluto risolvere l’annoso dibattito sul tema e ascrivere nell’àmbito della “competenza” tali rapporti,
avendo esplicitamente previsto come mezzo di reazione contro una pronuncia in uno di tali sensi il
Studium Iuris, 5/2014
regolamento di competenza, necessario o facoltativo, in base al fatto che la pronuncia al riguardo sia
esclusiva o invece concorrente con una decisione
su una questione di merito16.
3. Analisi delle motivazioni espresse in C. cost.
n. 223 del 2013
Come anticipato, la Corte costituzionale facendo finalmente luce nell’“eterna notte” in cui tutto è
bigio, di hegeliana memoria, si assegna il compito
di fare ordine e chiarezza sul tema dei rapporti tra
arbitrato e processo.
Dopo aver ripercorso le motivazioni addotte
dai rimettenti (Tribunale ordinario di Catania ed
Arbitro di Bologna – su cui ampiamente v. supra
par. 2 – i cui giudizi devono essere definiti con
12 In questi termini S. Boccagna, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, cit., p. 331.
13 S. Boccagna, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra
arbitrato e giurisdizione, cit., p. 330. In una prospettiva analoga R. Muroni, La pendenza del giudizio arbitrale, cit., p. 335 ss.,
spec. p. 338.
14 In questo senso v. un’autorevole dottrina: G. Verde, Ancora sulla pendenza del procedimento arbitrale, cit., p. 223.
15 Testualmente v. S. Boccagna, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, cit., p. 331; v. in senso
conforme: C. Consolo, Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza, cit., p. 1109 ss.; R. Muroni,
La pendenza del giudizio arbitrale, cit., p. 337 s., ai quali si rinvia
anche per i numerosi riferimenti bibliografici. Contra v. però l’autorevole orientamento di C. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, 2a ed., I, Padova 2012, p. 192 ss., spec. p. 195 ss., il quale,
dopo un’approfondita disamina, rileva invece come «l’eccezione
di “incompetenza” davanti agli arbitri continua, anche dopo la
riforma attuata con il d. legisl. n. 40 del 2006, a configurare […]
non solo un’eccezione di rito potenzialmente preclusiva dell’esame del merito della controversia», ma anche e soprattutto «[…]
un’eccezione di merito inerente alla validità e all’efficacia dell’accordo arbitrale (che è oggetto di un autonomo thema decidendum
avente natura di merito)»; in senso conforme a Punzi v. anche
G. Ruffini, in Aa.Vv., La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di
S. Menchini, Padova 2010, p. 284 s. e p. 369 ss.; G. Ruffini,
Carmine Punzi e l’arbitrato, in Atti dell’incontro per la presentazione
del “Disegno sistematico dell’arbitrato” di Carmine Punzi (edizione
2012), in Quad. arbitrato, Roma 2012, p. 35 ss., spec. p. 55 ss.;
cfr. sul tema anche B. Capponi, sub art. 819-ter c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. Briguglio e B.
Capponi, III, t. 2, Padova 2009, p. 873; v. già F.P. Luiso, Rapporti
fra arbitro e giudice, in R. arb. 2005, p. 774 ss.; G.F. Ricci, sub
art. 819-ter c.p.c., in Aa.Vv., Arbitrato, Commentario diretto da
F. Carpi, 2a ed., Bologna 2008, 1, p. 506 ss.; E. Zucconi Galli
Fonseca, sub art. 827 c.p.c., in Aa.Vv., Arbitrato, Commentario
diretto da F. Carpi, cit., p. 662; M. Bove - C. Cecchella, Il nuovo
processo civile, Milano 2006, p. 81 ss.
16 In questo senso v. Cass. civ. 4 agosto 2011, n. 17019;
Cass. civ. 5 giugno 2011, n. 5510; Cass. civ. 26 novembre
2010, n. 24082; Cass. civ., sez. un., 6 settembre 2010, n.
19047.
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
un’unica decisione, a causa dell’identità delle questioni sollevate), la Consulta passa ad esaminare
le motivazioni in base alle quali non ritiene condivisibile l’indirizzo espresso da una recente ma
isolata pronuncia della Suprema Corte (Cass. n.
22002 del 2012)17, in quanto fondata su «argomentazioni fragili».
Nella sopra citata ordinanza, secondo la Suprema Corte, l’art. 819-ter, comma 2, c.p.c. laddove
prevede che «nei rapporti tra arbitrato e processo»
non si applica l’art. 50 c.p.c., riguarda solo il caso
in cui siano gli arbitri a escludere la loro competenza e a riconoscere quella del giudice ordinario.
Quando invece sia il giudice togato a dichiarare la
propria incompetenza a beneficio di quella degli
arbitri, oppure sia la Corte di cassazione, adita con
riferimento ad una pronuncia affermativa della
competenza del giudice ordinario, a dichiarare la
competenza degli arbitri oppure a rigettare, per ragioni di rito o di merito, l’istanza di regolamento
contro una pronuncia declinatoria, è possibile la
riassunzione dinanzi agli arbitri nel termine fissato
o, in mancanza, in quello previsto dall’art. 50 c.p.c.,
con salvezza dell’effetto interruttivo c.d. istantaneo
della prescrizione ai sensi dell’art. 2943, comma
3, c.c., e di quello permanente, di cui all’art. 2945,
comma 2, dello stesso codice.
Se queste sono le innovative tesi espresse dalla
giurisprudenza di legittimità nella pronuncia Cass.
n. 22002 del 2012, poche sono le motivazioni
volte a giustificarle: la Suprema Corte si limita infatti a precisare che l’esclusione esplicita dell’applicabilità dell’art. 50 c.p.c. nel rapporto tra autorità giudiziaria ordinaria ed arbitri di cui all’art. 819ter, comma 2, c.p.c. «potrebbe essere intesa come
totale», ma così non è, perché l’esclusione della
sua applicabilità «si correla “ai rapporti tra arbitrato e processo” e, quindi, riguarda solo il caso in cui
17 L’ordinanza Cass. 6 dicembre 2012, n. 22002, si può
leggere in www.judicium.it (20-06-2013) con un’interessante
nota di L. Bianchi, Translatio iudicii tra giudice statuale ed arbitri? Si noti che in precedenza la Suprema Corte si era sempre
espressa criticamente rispetto all’applicazione del principio
della translatio iudicii tra arbitrato e processo (v., per tutte, Cass.
12 agosto 1997, n. 7521).
18 In questi termini S. Boccagna, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, cit., p. 329; G. Ruffini,
sub art. 819-ter c.p.c., in Aa.Vv., La nuova disciplina dell’arbitrato,
a cura di S. Menchini, cit., p. 373; G. Verde, Lineamenti di diritto
dell’arbitrato, Torino 2010, p. 23; M. Bove, La giustizia privata,
Padova 2009, p. 35; L. Bianchi, Translatio iudicii tra giudice
statuale ed arbitri?, cit., p. 1 ss.
19 Forse, sul punto, a qualcuno potrebbe sorgere il dubbio
che, quasi a livello inconscio, la Cassazione abbia deciso come
se ritenesse che ci fossero dei giudicanti di serie A e di serie B,
per cui sarebbe possibile solo un movimento unidirezionale.
sono gli arbitri ad escludere la loro competenza ed
a riconoscere quella dell’a.g.o.»; non opera invece
nell’ipotesi opposta, in cui sia il giudice a declinare
la propria competenza a favore degli arbitri.
Ne deriva che, stando a tale pronuncia, qualora
il giudice, davanti al quale sia proposta la exceptio compromissi, ritenga che esista una convenzione arbitrale e dunque rilevi la sussistenza della
competenza arbitrale, si applicherebbe il dettato
dell’art. 50 c.p.c., vale a dire la translatio iudicii, con
conseguente conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda proposta
dall’attore dinanzi al giudice ordinario; invece,
nell’ipotesi opposta in cui siano gli arbitri a escludere la loro competenza ed a riconoscere quella
del giudice ordinario, troverebbe applicazione il
disposto dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., il quale
dispone che non si applica l’art. 50 c.p.c., con la
conseguenza dell’impossibilità di salvezza degli
effetti sostanziali e processuali prodotti dalla prima istanza proposta dinanzi agli arbitri, per cui si
renderebbe necessario riproporre ex novo la domanda davanti al giudice.
Ampio e convincente è il ragionamento con cui
la Corte costituzionale, nella sentenza che qui si
annota, ritiene non condivisibile l’orientamento
restrittivo espresso dalla Cassazione nella sopra
citata ordinanza n. 22002 del 2012.
In primis, la Consulta rileva come l’interpretazione della norma censurata (819-ter, comma 2,
c.p.c.), offerta dalla Suprema Corte, debba essere
superata in quanto basata su argomenti deboli,
fondandosi soltanto sulla constatazione che il secondo comma dell’art. 819-ter menziona i rapporti fra “arbitrato e processo” e non anche quelli fra
“processo e arbitrato”. A ben vedere, invece, l’espressione usata dalla norma è tale da «comprendere in generale qualsiasi tipo di rapporto che può
intercorrere, rispetto alla stessa causa, tra arbitri e
giudici».
In altre parole, il divieto di applicare l’art. 50
c.p.c. (ovviamente nella versione ante pronuncia
C. cost. n. 223 del 2013 in commento) opera a
doppio senso, comporta cioè il divieto di «trasmigrazione della causa dal giudice all’arbitro e viceversa»18. Peraltro, osserva ancora la Consulta, i
giudici di legittimità non avrebbero chiarito quale
sarebbe la ratio della disparità di trattamento che
deriva dall’interpretazione da loro offerta, vale a
dire per quale ragione la causa potrebbe proseguire davanti all’arbitro se è il giudice a dichiararsi incompetente e invece dovrebbe essere riproposta
ex novo davanti al giudice qualora fosse l’arbitro a
dichiarare la propria incompetenza19.
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Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria (C. cost. 19 luglio 2013, n. 223)
Giova sottolineare che, anche seguendo un approccio ermeneutico letterale, come quello compiuto dalla Consulta, le motivazioni addotte dalla
Cassazione nella pronuncia n. 22002 del 2012
non appaiono suffragabili.
Infatti, in primo luogo, dalla rubrica dell’art.
819-ter c.p.c. intitolato “Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria” non si può dedurre che l’intero
art. 819-ter sia dedicato al caso in cui sia l’arbitro a
dichiararsi incompetente (secondo il ragionamento svolto invece dalla Cassazione) in quanto dal
primo comma della suddetta norma si evince palesemente che esso riguarda profili relativi in generale ai rapporti tra i due soggetti e, anzi, tale primo
comma contiene due specifiche disposizioni (nel
secondo e nel terzo periodo) concernenti il caso in
cui sia il giudice a declinare la propria competenza.
Ne consegue, a parere condivisibile della Consulta, che il successivo secondo comma, nell’escludere l’applicazione di una serie di norme del
codice di procedura civile in tema di competenza,
riguarda certamente anche i casi in cui la causa sia
stata, appunto, inizialmente proposta dinanzi al
giudice che abbia poi declinato la sua competenza. Peraltro, a ben vedere, l’eccezione di incompetenza dell’arbitro è regolata dall’art. 817 c.p.c., per
cui, afferma la Corte costituzionale, «se davvero la
norma espressa dal secondo comma dell’art. 819ter avesse ad oggetto esclusivamente il caso in cui
l’arbitro si dichiari incompetente, sarebbe stato
più logico il suo inserimento nel citato art. 817. Si
deve dunque concludere nel senso che l’art. 819ter, secondo comma, cod. proc. civ., inibisce l’applicazione di regole corrispondenti a quelle enunciate dall’art. 50 cod. proc. civ., tanto nel caso in
cui sia l’arbitro a dichiararsi incompetente a favore
del giudice statuale, quanto nell’ipotesi inversa».
Dai suindicati importanti passaggi delle motivazioni della sentenza C. cost. n. 223 del 2013 in
commento emerge chiaramente che se la vigenza
di tale disciplina non pare poter essere posta in
dubbio, essa suscita molte perplessità nella Consulta, già palesate da un’attenta dottrina che aveva
profilato l’illegittimità costituzionale dell’art. 819ter, comma 2, c.p.c. (v. supra nota n. 3).
Al riguardo, un ulteriore profilo merita di essere
segnalato. Si è già anticipato che con la sentenza
della Corte costituzionale n. 77 del 2007 è stato
definitivamente affermato il principio della conservazione degli effetti sostanziali e processuali
della domanda originariamente proposta davanti
a un giudice sprovvisto di giurisdizione come un
principio generale che deriva direttamente dagli
artt. 24 e 111 Cost., ed è così stato ridelineato l’as-
Studium Iuris, 5/2014
setto nel sistema dei rapporti tra giudice ordinario
e giudice amministrativo (v. supra par. n. 2). In tale
occasione la Corte costituzionale ha altresì posto
l’accento sul fatto che «le disposizioni processuali
non sono fine a se stesse, ma funzionali alla migliore qualità della decisione di merito», quindi,
«l’erronea individuazione del giudice munito di
giurisdizione (o l’errore del giudice in tema di giurisdizione)» non deve «risolversi in un pregiudizio
irreparabile della possibilità stessa di un esame nel
merito della domanda di tutela giurisdizionale»
(punto n. 5 del Considerato in diritto, C. cost. n. 77
del 2007).
In ragione di ciò, spostando l’obiettivo sulla
sentenza in commento, è facile condividere la tesi
espressa nelle ampie motivazioni dalla Consulta
secondo cui «tali principi si impongono anche nei
rapporti tra arbitri e giudici, perché la possibilità
che le parti affidino la risoluzione della loro controversia a privati invece che a giudici è la conseguenza di specifiche previsioni dell’ordinamento».
Anche nei rapporti tra arbitrato e processo, infatti,
come già precisato, il “palleggio” delle competenze
può comportare un irreparabile pregiudizio della
parte istante (nella fattispecie, ad esempio, l’iniziativa processuale è soggetta a decadenza), per cui
il disposto dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., ove
non venisse dichiarato (come invece è stato) costituzionalmente illegittimo, determinerebbe una
minore effettività della tutela giurisdizionale.
Di fronte a un così grave rischio, non è difficile
comprendere perché la Corte costituzionale abbia
incisivamente affermato la contrarietà a Costituzione del sopra citato comma 2 dell’art. 819-ter
c.p.c. Si profila, infatti, un’irragionevole disparità
di trattamento in situazioni analoghe, se si assume, come ritiene giustamente la Consulta, che vi
sia un’identità delle funzioni espletate dai giudici
statuali e dagli arbitri ed una «potenziale fungibilità» del giudizio degli arbitri con quello degli organi
della giurisdizione. Al riguardo, come già sostenuto nella celebre sentenza della stessa Corte n.
376 del 2001, gli arbitri svolgono «una funzione
sostitutiva della giustizia pubblica». Ne deriva che
«anche se l’arbitrato rituale resta un fenomeno che
comporta una rinuncia alla giurisdizione pubblica», esso costituisce «un procedimento previsto e
disciplinato dal codice di procedura civile per l’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto,
ai fini della risoluzione di una controversia, con
le garanzie del contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione ordinaria. Sotto l’aspetto
considerato il giudizio arbitrale non si differenzia
da quello che si svolge davanti agli organi statali
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
della giurisdizione, anche per quanto riguarda la
ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili
alla fattispecie»20.
Peraltro, già la riforma, introdotta con il d. legisl. n. 40 del 2006, prevedendo che nell’arbitrato rituale21 il lodo ha un’efficacia sostanzialmente
analoga a quella del dictum del giudice statale (art.
824-bis c.p.c.), ha implicitamente affermato che
l’arbitrato rituale configura una via equivalente,
anche se alternativa, a quella del giudice statuale. E
tale norma non è l’unica sintomatica del fatto che
l’arbitrato rituale costituisca un rimedio equipollente alla tutela offerta dal giudice statuale. Si pensi all’art. 816-quinquies c.p.c. (sull’ammissibilità
dell’intervento volontario di terzi nel giudizio arbitrale), all’applicabilità anche al giudizio arbitrale
dell’art. 111 c.p.c. (in tema di successione a titolo
particolare nel diritto controverso), all’art. 819-bis
(nella parte in cui presuppone la possibilità per gli
arbitri di sollevare questioni di legittimità costituzionale), nonché all’operatività anche nel procedimento arbitrale di norme sostanziali: per esempio
gli artt. 2943 e 2945 c.c. (in materia di prescrizione), gli artt. 2652, 2653, 2690, 2691 c.c. (in tema
di trascrizione), da cui emerge espressamente l’equiparazione dell’atto con cui la parte promuove il
procedimento arbitrale alla domanda giudiziale22.
Alla luce di tale fungibilità, secondo la senten20 Così, in termini, C. cost. 28 novembre 2001, n. 376, cit.
supra nota 11 par. n. 2, la quale ha statuito che anche gli arbitri
potessero sollevare la questione di legittimità costituzionale.
21 Resta, invece, a parte l’àmbito dell’arbitrato libero, poiché
il lodo dell’arbitrato irrituale non è da considerarsi equivalente
alla sentenza, in quanto ha natura privatistico-negoziale. V. sul
tema, per tutti, C. Consolo, Il rapporto arbitri-giudici ricondotto,
e giustamente, a questione di competenza con piena translatio fra
giurisdizione pubblica e privata e viceversa, cit., p. 1110; cfr. anche
sul tema M. Fornaciari, Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti fra giudice e arbitro: sollevata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., cit.,
p. 900.
22 Sul punto v. G. Verde, Ancora sulla pendenza del procedimento arbitrale, cit., p. 221.
23 F. Tommaseo, Il diritto processuale speciale della famiglia, in
Fam. e d. 2004, p. 305 s.
24 Così nota un’attenta dottrina, F. Carpi, L’oggetto della convenzione arbitrale ed i suoi limiti, in Atti dell’incontro per la presentazione del “Disegno sistematico dell’arbitrato” di Carmine Punzi,
cit., p. 28; v. altresì E. Zucconi Galli Fonseca, sub art. 806
c.p.c., in Aa.Vv., Arbitrato, Commentario diretto da F. Carpi, cit.,
p. 2 ss., la quale acutamente rileva che nel caleidoscopio della
convenzione di arbitrato può essere studiato tutto il procedimento arbitrale.
25 V. sul tema T. Carnacini, voce Arbitrato rituale, in Nov.
D., I, 2, Torino 1958, p. 874 ss., spec. p. 881; di recente, v.
T. Galletto, Il processo gestito dai privati e la competitività dello
strumento arbitrale, in www.judicium.it (20-09-2013), al quale si
rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
za che qui si annota, non sarebbe comprensibile
distinguere in base al fatto che le vie scelte dalle
parti siano entrambe giurisdizionali o, invece, una
giurisdizionale e una arbitrale, ammettendo la
conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell’atto introduttivo nel primo caso e negandola nel secondo, con «ricadute negative per i diritti
oggetto della controversia stessa» in quest’ultimo
caso, ponendo in atto una violazione degli artt. 24
e 111 Cost.
In questa prospettiva, pertanto, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 819-ter,
comma 2, c.p.c. «[…] nella parte in cui esclude
l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo,
di regole corrispondenti alle previsioni dell’art. 50
del codice di procedura civile (e quindi la piena
translatio iudicii tra arbitri e giudici statuali e viceversa, n.d.s.), ferma la parte restante dello stesso
art. 819-ter».
4. Considerazioni conclusive
Ultimato l’esame delle motivazioni espresse
nel leading case dalla Corte costituzionale, mi sembra che nel dichiarare l’illegittimità costituzionale
dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., nella parte in
cui esclude l’applicabilità ai rapporti tra arbitrato
e processo (e viceversa) di regole corrispondenti
all’art. 50 c.p.c., la Consulta abbia giustamente tenuto conto che l’interesse da perseguire con una
norma deve essere al contempo «regola di giudizio
e misura della giustizia stessa del provvedimento»23 giudiziale o arbitrale. Nella fattispecie viene
esplicitamente ribadito che «con la convenzione
d’arbitrato le parti disciplinano un diritto fondamentale e cioè il diritto di azione dell’art. 24 della Costituzione»24. Nello specifico, l’applicazione
della disciplina della translatio iudicii tra giudici ed
arbitri (o viceversa), e la conseguente conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda proposta dinanzi al giudice (o
all’arbitro) incompetente, consentono di realizzare compiutamente l’effettività della tutela e il diritto delle parti ad un giusto processo garantito dagli
artt. 24 e 111 Cost.
La pronuncia della Corte costituzionale 19 luglio 2013, n. 223 segna un’altra tappa in questa
direzione, verso cioè l’affermazione del “procedimento” arbitrale come di un vero e proprio “processo” volto a concludersi con una pronuncia aggiudicativa alla quale, come noto, la legge (all’art.
824-bis c.p.c.) conferisce gli effetti della sentenza
pronunciata dall’autorità giudiziaria25.
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Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria (C. cost. 19 luglio 2013, n. 223)
La pronuncia in esame mi pare abbia in primo
luogo proprio il merito di riconoscere che la scelta
dell’arbitrato, alternativa a quella della giurisdizione statale ed espressione di una scelta di libertà26,
è in grado di realizzare una tutela equivalente a
quella offerta dalla giurisdizione statuale.
Non sembra troppo azzardato ritenere che, come ha rilevato in un recente convegno il vice Presidente della Corte costituzionale, siamo di fronte ad
un’affermazione, sia pur graduale e lenta, dell’arbitrato e che quest’ultimo può anche «[…] lasciare
scorgere, naturalmente in lontananza, lo scenario
eventuale e probabile di un futuro privatistico della stessa giustizia civile e amministrativa»27.
Peraltro, in un momento in cui il legislatore tende ad attuare riforme della giustizia civile a costo
zero in una prospettiva di contenimento dei tempi
e dei costi28, ben si colloca il riconoscimento della piena translatio iudicii tra autorità giudiziaria ed
arbitri (e viceversa), la quale consente di evitare
che venga svolta un’attività processuale inutile,
solo perché è stato erroneamente adito un giudice
(o un arbitro) incompetente, assicurando così al
“processo”, inteso in senso lato, (v. supra in questo paragrafo) una durata ragionevole e l’effettività della tutela. Forse ulteriori spunti ricostruttivi
possono essere tratti dalla sentenza C. cost. n. 223
del 2013, in commento, se il legislatore recepirà la
proposta del Presidente del Consiglio Nazionale
Forense (con la sua lettera del 17 giugno 2013 al
Ministro Cancellieri)29 di consentire la translatio
iudicii delle cause già pendenti davanti ai tribunali civili a favore dei Collegi arbitrali [vale a dire il
passaggio della controversia, a certe condizioni,
dai giudici alle Camere arbitrali di conciliazione
ed ADR costituite dai Consigli circondariali degli
Ordini degli Avvocati presso ciascun tribunale, a
norma dell’art. 29, lett. n) della legge n. 247 del
2012]30 sulla base di una disciplina regolamentare
che sarà predisposta dal Consiglio Nazionale Forense.
Studium Iuris, 5/2014
Infatti, se è indubbio che le patologie della giustizia civile non possano essere risolte solo devolvendo le controversie ai giudici privati, e quindi ai
collegi arbitrali, è anche vero però che la scelta di
incentivare il ricorso alle vie arbitrali può consentire di deflazionare il contenzioso, senza per questo
– se gli arbitri sono competenti e terzi indipendenti ed imparziali (come si assume che siano, tra gli
altri, quelli presso i Collegi arbitrali dei Consigli
dell’Ordine degli Avvocati) – diminuire le garanzie processuali, costituzionalmente salvaguardate,
delle parti coinvolte.
26 S. Satta, Diritto processuale civile, 6a ed., Padova 1959, p.
631.
27 Così, espressamente, L. Mazzella, Riflessioni sulla giustizia tra teoria e prassi, Intervento al Convegno organizzato dalla
Scuola Superiore di Studi avanzati, Università degli Studi di
Roma La Sapienza, Roma 6 marzo 2013, p. 12 del dattiloscritto; v. anche L. Bianchi, Translatio iudicii tra giudice statuale ed
arbitri?, cit., p. 1 ss.
28 V. sul punto B. Capponi, Il diritto processuale civile “non sostenibile”, in R. trim. d. proc. civ. 2013, n. 3, p. 876 s., il quale
rileva che «[…] un legislatore occulto, sottraendosi deliberatamente a qualsiasi confronto, sta inquinando il codice di procedura civile con interventi improvvisati ed eterogenei, che non
rispettano la logica del settore nel quale pure dovrebbero andare ad integrarsi. Si tratta di un fenomeno inedito e pericoloso
[…] perché il rischio è quello della “non sostenibilità dell’intero
impianto”». Su alcune recenti riforme della giustizia a costo zero v. altresì I. Lombardini, Brevi note su alcune novità nel processo
civile dopo il c.d. Decreto sviluppo (d.l. n. 83 del 2012, convertito con
modificazioni in legge n. 134 del 2012), in questa Rivista 2013, n.
5, p. 529 ss.; I. Lombardini, Novità normative nelle impugnazioni
civili: l’appello e il ricorso per cassazione dopo le modifiche introdotte
dal d.l. n. 83 del 2012 (convertito con modificazioni in legge n. 134
del 2012), in questa Rivista 2013, n. 7-8, p. 786 ss.
29 La lettera del Presidente del Consiglio Nazionale Forense
al Ministro Cancellieri del 17 giugno 2013 si può leggere sul
sito: www.consiglionazionaleforense.it.
30 Si tratta, come è noto, della l. 31 dicembre 2012, n. 247,
rubricata “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” in G.U. n. 15 del 18 gennaio 2013, entrata in vigore
il 2 febbraio 2013. V., in argomento, N. Giallongo, L’arbitrato
amministrato. La costituzione delle Camere arbitrali presso i Consigli dell’Ordine. Alcune ipotesi di disciplina dei regolamenti arbitrali,
in www.judicium.it (18-07-2013), p. 1 ss.
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NUOVE NORME IN MATERIA DI VIOLENZA DI GENERE: ASPETTI PROCESSUALI
di Antonella Marandola
Sommario: 1. Premessa. – 2. Le informazioni alla persona offesa e il diritto al patrocinio a spese dello Stato. – 3. Intercettazioni e stalking. – 4. La disciplina cautelare e pre-cautelare. – 4.1. Le misure per le lesioni volontarie lievi e il reato
di minaccia aggravata. – 4.2. L’esito positivo del programma di recupero e le informazioni sul mutamento dello “stato
cautelare”.- 4.3. L’arresto obbligatorio in flagranza per maltrattamenti e stalking. – 4.4. L’allontanamento urgente dalla
casa familiare. – 5. Sommarie informazioni da parte della polizia giudiziaria. – 6. L’escussione “protetta” del minore.
– 7. L’informazione sulla definizione delle indagini. – 8. L’accelerazione investigativa e processuale. – 9. Le misure di
prevenzione e di protezione (ammonimento per condotte di violenza domestica e messa in contatto con le strutture
di accoglimento). – 10. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
Con la legge n. 119 del 2013, il Parlamento ha
convertito, con modificazioni, il d.l. n. 94 del 2013
intitolato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere,
nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”.
Il provvedimento, a fronte dell’allarme diffusosi
nell’opinione pubblica in relazione alla perpetrazione di omicidi, violenze, minacce e abusi nell’àmbito di contesti familiari o di rapporti di coppia,
adatta – in parte – il diritto interno alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la
lotta contro la violenza nei confronti delle donne e
la violenza domestica siglata ad Istanbul l’11 maggio 2011 e alla Direttiva 2012/29/Ue.
Se la Convenzione costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto
a creare un quadro normativo completo contro
qualsiasi forma di violenza, anche domestica, a tutela delle donne e altri soggetti deboli (bambini e
anziani), la legge n. 119 del 2013 introduce delle
«norme minime» di tutela della vittima all’interno
del procedimento penale e, in maniera alquanto
discutibile, come si ricava dalla sua intitolazione,
previsioni estranee al tema in questione (disposizioni in tema di protezione civile e di commissariamento delle province).
L’ampiezza dei temi coinvolti supera – dunque
– i limiti del presente lavoro. Porgendo lo sguardo
ai profili processual-penali può osservarsi come la
predisposizione del testo abbia, innanzitutto, rappresentato l’occasione per dare una prima attuazione a due aspetti essenziali della materia: da un
lato, la costruzione di un corredo di diritti e garanzie della vittima, e, dall’altro lato, il diritto all’informazione (almeno sul versante del procedimento
penale) della persona offesa da determinati reati,
come richiede l’art. 56 della Convenzione di Istanbul.
Così, sotto il primo aspetto, si sono introdotte delle “prime” disposizioni in materia di diritti,
assistenza e protezione delle vittime da reato, in
attuazione della Convenzione di Istanbul – ratificata dalla l. n. 77/2013 – sulla prevenzione e la
lotta contro la violenza nei confronti delle donne e
la violenza domestica.
In secondo luogo, è stato assicurata l’attuazione della Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 2012/29/UE in materia di vittime vulnerabili. In particolare, quest’ultimo testo mira a
rivedere e ad integrare i principi enunciati nella
Decisione quadro 2001/220/GAI che, benché
non vincolante, rappresenta un fondamentale
strumento normativo teso a realizzare significativi
progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta
l’Unione, in particolare nei procedimenti penali.
La Direttiva, invece, contiene delle prescrizioni
minime che i singoli Stati hanno facoltà di amplia-
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Nuove norme in materia di violenza di genere: aspetti processuali
re, assicurando alle vittime un livello di tutela e di
garanzie più elevato (art. 82, par. 2, del TFUE). Da
essa discende il vincolo per tutti gli organi degli
Stati membri di adottare i provvedimenti, generali
o particolari (anche giurisdizionali), per conseguire i risultati perseguiti dalla Direttiva (art. 4, par.
3, TUE) e, specularmente, l’obbligo imposto agli
stessi di astenersi dall’emanare, dopo l’entrata in
vigore della Direttiva, disposizioni che possano
compromettere gravemente il risultato perseguito
dalla stessa; analogo dovere incombe sui giudici
nazionali chiamati ad interpretare il diritto interno.
È dal considerando 17 della Direttiva che si
ricava, invece, il significato del concetto di violenza di genere, a cui l’intitolazione della legge in
esame si richiama. È, infatti, declinata come tale,
la «violenza diretta contro una persona a causa
del suo genere, della sua identità di genere o della
sua espressione di genere o che colpisce in modo
sproporzionato le persone di un particolare genere», capace, in quanto tale, di cagionare un danno
fisico, sessuale, emotivo, psicologico o una perdita
economica alla vittima. Essa si sostanzia in «una
forma di discriminazione e una violazione delle
libertà fondamentali della vittima e comprende
la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale
e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la
schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali
i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cc.dd. “reati d’onore”. Il considerando 18
della Direttiva specifica, altresì, che «la violenza
nelle relazioni strette è quella commessa da una
persona che è l’attuale o l’ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l’autore del reato
conviva o abbia convissuto con la vittima».
In conclusione, in linea con le più recenti disposizioni normative nazionali ed europee, la legge si
prefigge la realizzazione della prevenzione e l’immediata protezione della vittima della violenza di
genere, del diritto alla conoscenza e la punizione
dei colpevoli.
2. Le informazioni alla persona offesa e il diritto al patrocinio a spese dello Stato
L’ampliamento della tutela informativa a vantaggio della persona offesa, emerge, innanzitutto,
dall’impegno imposto al momento dell’acquisizione della notizia di reato a carico del pubblico
ministero e della polizia giudiziaria che devono in-
Studium Iuris, 5/2014
formare la persona offesa, di qualunque reato, della facoltà di nominare un difensore e della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato.
Interpolando l’art. 101, comma 1, c.p.p., si dà
piena concretezza all’esercizio dei diritti e delle facoltà già spettanti alla persona offesa e previste, in
termini generali, all’art. 90 c.p.p., e, in particolare,
agli artt. 360, 369, 394, 406, comma 3, c.p.p., che,
alla luce di tale comunicazione appaiono, oggi, capaci di meglio assicurare la vittima di qualunque
reato.
In altri termini, si specifica, così, che anche alla
persona offesa è consentito partecipare e attuare,
per il tramite del suo difensore, la giurisdizione,
valorizzando quell’interesse sostanziale della violazione della norma penale che proprio il processo
penale è chiamato ad accertare, assegnandogli –
per mezzo di quell’informazione – una configurazione più concreta ed efficace. La nuova previsione esplicita quanto impone l’art. 4 della Direttiva
2012/29/Ue per il quale è obbligo per gli Stati
membri prevedere a vantaggio della vittima «fin
dal primo contatto con un’autorità competente,
senza indebito ritardo, e affinché possa accedere ai
diritti previsti dalla presente direttiva, le informazioni seguenti: lett. d) come e a quali condizioni è
possibile avere accesso all’assistenza di un legale,
al patrocinio a spese dello Stato e a qualsiasi altra
forma di assistenza».
Nessuna sanzione è, tuttavia, prevista dalla
legge in caso di omessa o invalida comunicazione: stante il principio di tassatività, pur vertendosi nell’àmbito di una materia alquanto delicata – com’è quella del diritto di difesa – la lacuna
normativa non appare colmabile: non è possibile
ricorrere alla nullità di ordine generale di cui all’art.
178, lett. c), c.p.p., che riferendosi alla «citazione in
giudizio della persona offesa dal reato e del querelante» circoscrive oltremodo l’àmbito di applicazione dell’invalidità, rendendola estranea al tema
in questione, al quale, dunque, sembrerebbe adattarsi la sola ipotesi dell’irregolarità.
Posto il carattere non vincolante delle indicazioni, va, dunque, condivida la diffusione di protocolli operativi come quelli del tutto apprezzabili
stilati recentemente dal Procuratore della Repubblica di Trento1.
Mette conto osservare, peraltro, come la condizione economica del titolare del bene giuridico
protetto dalla norma sia stata oggetto di particolare
1 V., per il testo, www.ilsole24ore, Femminicidio, le indicazioni operative della Procura di Trento, Documenti e approfondimenti, 22 ottobre 2013.
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
attenzione da parte del legislatore: replicando uno
schema già introdotto nel 2009 – relativamente
ai reati a sfondo sessuale – in deroga al regime
ordinario, si prevede ai sensi dell’art. 76, comma
4-ter, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, così come
riformato dalla legge in commento, che le vittime
dei reati di cui agli artt. 572, 583-bis e 612-bis c.p.,
indipendentemente dalla loro nazionalità, possano beneficiare del patrocinio a carico dello Stato
per i compensi spettanti al difensore, al consulente
tecnico ed all’investigatore privato, al di là del superamento dei limiti stabiliti dallo stesso provvedimento.
Quest’ultima disposizione si pone in linea con
quanto stabilisce l’art. 57 della Convenzione di
Istanbul, che – pur non indicando i reati per cui
debba valere il gratuito patrocinio – introduce un
principio generale, e l’art. 13 della Direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/
UE, il quale prescrive che gli Stati membri garantiscano alle vittime – parti del procedimento penale
– l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.
Fermo restando che l’ammissione è subordinata alla domanda della persona offesa o di chi la
rappresenta, rimane aperta la questione legata alla
possibilità di godere del beneficio a fronte del mutamento della qualificazione giuridica del fatto.
Se il testuale riferimento alla persona offesa e
il carattere derogatorio della previsione inducono
ad escludere che il vantaggio possa estendersi ad
altri soggetti, come il danneggiato dal reato – che,
comunque, potrà avvalersi dello strumento stabilito all’art. 74, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 – o
a soggetti diversi che, in veste di enti esponenziali
dell’interesse collettivo possono stare in giudizio
ed avanzare pretese risarcitorie nei confronti del
reo, è certo che, anche attraverso questa facilitazione, potrà darsi luogo ad una più efficace repressione dei crimini in oggetto.
3. Intercettazioni e stalking
La legge n. 119 sana una lacuna del sistema investigativo, stabilendo espressamente la possibilità di procedere alle intercettazioni telefoniche nel
procedimento per atti persecutori.
4. La disciplina cautelare e pre-cautelare
4.1. Le misure per le lesioni volontarie lievi e il
reato di minaccia aggravata
Pur nella loro settorialità, le modifiche apporta-
te alle misure cautelari assumono un rilievo non
secondario: innanzitutto, anche per i reati di lesioni volontarie lievi, aggravate o procedibili d’ufficio,
e il reato di minaccia aggravata viene introdotta
la possibile applicazione della misura cautelare
dell’allontanamento della casa familiare, in deroga
ai limiti edittali stabiliti all’art. 280 c.p.p. La novella, che investe le fattispecie criminose che più delle
altre rappresentano dei fenomeni-spia delle peculiari situazioni di disagio capaci di originare forme
delittuose più gravi, consente l’applicabilità della
misura dell’allontanamento dalla casa familiare ai
due delitti, particolarmente frequenti, ma puniti
con una pena edittale molto contenuta.
Quanto alla tecnica legislativa usata, mette conto osservare come il legislatore abbia agito sul reato di lesioni volontarie lievissime infrafamiliari
(commesso in danno al coniuge, fratelli, padre,
madre o figlio adottivo e affini e contro il convivente) trasferendolo dalla competenza del giudice
di pace – che, in ragione dell’art. 2, comma 1, lett.
c), d. legisl. n. 274/2000 preclude l’applicazione
delle cautele – a quella del tribunale.
Proprio la tecnica legislativa impiegata determina alcune discrasie: in primo luogo, la tutela non
si estende alle lesioni volontarie lievissime commesse in danno del padre, madre o figlio legittimo o naturale, contemplati dall’art. 577, comma
1, n. 1, c.p.p. e non dal comma 2 della previsione.
In secondo luogo, le lesioni volontarie lievissime in danno del convivente, assegnate al giudizio del Tribunale, non ammettono l’applicazione
delle misure cautelari e, segnatamente, la misura
dell’art. 282-bis c.p.p., che pur si riferisce all’art.
582 c.p.: la fattispecie de qua fuoriesce dall’àmbito
della previsione in ragione dell’inciso introdotto in
sede di conversione, secondo il quale la cautela si
applica unicamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate.
Dopo la legge n. 119 in commento quest’ultima
misura può essere, infatti, disposta, al di là del limite
edittale (peraltro recentemente modificato) dell’art.
280 c.p.p., ogniqualvolta si proceda «per uno dei
delitti previsti dagli articoli 570, 571, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater,
600-septies, comma 1, 600-septies, comma 2, 601,
602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies
e 609-octies e 612, comma 2, c.p., commesso in
danno dei prossimi congiunti o del convivente». La
misura può essere disposta anche con le modalità
di controllo del c.d. braccialetto elettronico previsto
all’art. 275-bis c.p.p., la cui disciplina è stata recentemente innovata (d.l. n. 146/2013).
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Nuove norme in materia di violenza di genere: aspetti processuali
4.2. L’esito positivo del programma di recupero e le informazioni sul mutamento dello
“stato cautelare”
Ai sensi dell’integrato art. 282-quater c.p.p., in
caso di esito positivo da parte dell’imputato del
«programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio,
il responsabile del servizio ne dà comunicazione
al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione ai sensi dell’articolo 299, comma 2».
La nuova norma si segnala per la sua “atipicità”:
essa, infatti, sperimenta l’interazione tra risposta
penale ed intervento extrapenale. Al riguardo, non
mancano le distonie. Innanzitutto, mal si comprende perché la comunicazione debba essere
notificata al giudice che in materia cautelare ha limitati poteri ufficiosi, salvo voler intendere che la
previsione operi quando la domanda di revoca o
sostituzione è da altri proposta. In secondo luogo,
la sottoposizione al programma di prevenzione
della violenza e la sua incidenza sulla revoca e sostituzione delle misure sembrerebbe riprodurre i
tratti, sia pure rivisitati, del paradigma della messa
alla prova.
Premesso che ai sensi dell’art. 6, comma 5 e 6,
della Direttiva 2012/29/UE la vittima ha diritto
ad essere informata in merito alla condizione della
persona posta in stato di custodia cautelare, il legislatore è, poi, intervenuto, in primo luogo, sulla
formulazione dell’art. 299 c.p.p. con l’introduzione del comma 2-bis, secondo cui «i provvedimenti
di revoca o sostituzione relativi alle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e
286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto
delitti commessi con violenza alla persona, devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali
e al difensore della persona offesa o, in mancanza
di questo, alla persona offesa», rafforzando, così, il
diritto all’informazione in ordine allo “stato cautelare” dell’indagato/imputato. Sotto tale aspetto, la
legge di conversione sana, dunque, l’irrazionalità
del decreto-legge che limitava l’applicazione del
nuovo meccanismo a favore della persona offesa a
fronte della revoca o sostituzione delle sole misure
previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. ovvero
di cautele che attengano a esigenze cautelari proprie dei reati commessi nell’àmbito delle relazioni
personali fra l’autore del reato e la persona offesa.
Ad ogni buon conto, lo spettro del nuovo art.
299, comma 2-bis, c.p.p., limitato ai delitti commessi con “violenza alla persona”, locuzione che
attiene alla violenza di genere e ai casi in cui la
Studium Iuris, 5/2014
violenza riguarda un terzo, esclude non poche
fattispecie che, pur analoghe, risultano carenti di
quella connotazione.
La nuova previsione, se assicura il diritto alla
comunicazione – già prevista dall’art. 282-quater
c.p.p. – appare, tuttavia, più completa e del tutto funzionale a salvaguardare la persona offesa, a
fronte del possibile mutamento del riacquisto della libertà da parte del soggetto accusato del reato.
L’adempimento che è dalla legge sanzionato a
pena di inammissibilità della domanda, è posto a
carico del p.m. o dell’imputato (o indagato) o del
suo difensore. Al destinatario è, infatti, consentito
presentare al giudice nei due giorni successivi (a
quello in cui riceve la notifica) delle memorie al
fine d’instaurare un atipico – e alquanto deficitario
– contraddittorio camerale all’interno dell’iter cautelare: sotto tale aspetto deve rilevarsi, infatti, che
la legge nulla dispone in ordine alla possibilità che
la persona offesa (e suo difensore) possano avere
accesso agli atti su cui la richiesta si fonda.
4.3. L’arresto obbligatorio in flagranza per
maltrattamenti e stalking
La legge n. 119 del 2013 ha modificato anche
l’art. 380 c.p.p. inserendo nel catalogo dei reati che
prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza pure
il reato di maltrattamenti a familiari e conviventi
(art. 572 c.p.p.) e il reato di atti persecutori (art.
612-bis c.p.): la novità consiste nel fatto di ricondurre le due fattispecie incriminatrici in seno alle
ipotesi per le quali la p.g. “deve” procedere all’arresto obbligatorio, eliminando ogni valutazione
discrezionale fondata sulla gravità del fatto e la
pericolosità dell’arrestato. Sotto tale aspetto, va ricordato come la legge abbia modificato il regime
relativo alla procedibilità per il reato di stalking, anche in ragione del turbamento e delle conseguenze a cui, spesso, il querelante è soggetto: scartata
l’iniziale prospettazione della totale irrevocabilità
della querela – capace, tuttavia, di assicurare una
copertura “totale” dell’offeso – si è scelto di dare
rilievo alla sola remissione processuale e di condizionare la sua irrevocabilità solo se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate ai sensi
dell’art. 612, comma 2, c.p.
Tornando alla nuova misura pre-cautelare,
benché il suo scopo sia quello di assicurare una
più incisiva tutela della persona offesa, la soluzione tecnicamente prescelta presta il fianco a qualche critica, tenuto conto del fatto che quelli contemplati sono due reati sostanzialmente abituali
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Attualità e saggi
il cui accertamento – proprio con riferimento allo
stato di flagranza – crea non poche difficoltà, fatto
salvo il rispetto del necessario e rigoroso controllo
della sussistenza delle altre condizioni legalmente
richieste (v. art. 380, comma 3, c.p.p.).
Una discrasia di non poco conto investe, inoltre,
la questione relativa al luogo nel quale trattenere la
persona arrestata in flagranza per il reato previsto
all’art. 572 c.p. La fattispecie rientrando – in via
ordinaria – nella competenza del Tribunale monocratico, soggiace all’art. 558 c.p.p. – come modificato dalla legge n. 9/2012 – il quale vieta che
l’arrestato sia condotto presso l’istituto carcerario
e stabilisce che venga custodito presso altri luoghi
di custodia nel circondario in cui è stato eseguito
l’arresto, spesso, dunque, nel proprio domicilio
(art. 558, comma 4-bis, c.p.p.): posto che, com’è
evidente, nel caso di specie il domicilio risulterà
spesso “inidoneo”, occorrerà trattenere l’arrestato
in flagranza presso le camere di sicurezza delle forze di polizia.
All’interno del testo, la misura precautelare obbligatoria è stata estesa, inoltre, ad altre ipotesi,
contemplate dal testo in esame, che non attengono
alla tematica della protezione delle vittime dei reati domestici. Il rinvio va ai casi di furto aggravato
per essere il fatto commesso su componenti metalliche ai sensi dell’art. 625, comma 7-bis, c.p. e di
ricettazione aggravata ai sensi dell’art. 648, comma 1, secondo periodo, c.p. Si sono, infine, estese
fino al 30 giugno 2016 le disposizioni in materia
di arresto in c.d. flagranza differita di persone individuate sulla base di documentazione video registrata nel corso delle manifestazioni sportive.
4.4. L’allontanamento urgente dalla casa familiare
Rappresenta, invece, una significativa novità la
nuova previsione dell’allontanamento dalla casa familiare che può essere disposto – d’urgenza
– dalla p.g. (art. 384-bis c.p.p.). L’atipica misura
pre-cautelare dà attuazione all’art. 52 della Convenzione di Istanbul e può essere disposta, previa
autorizzazione del pubblico ministero (scritta,
oppure resa oralmente, e confermata per iscritto
o per via telematica), nei confronti di chi è colto in
flagranza dei delitti di cui all’art. 282-bis, comma
6, c.p.p., ove sussistano fondati motivi per ritenere
che le condotte criminose possano essere reiterate, ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o
l’integrità fisica o psichica della persona offesa. In
particolare, al fine di meglio comprendere le situa-
zioni in presenza delle quali è consentito l’intervento della p.g. si ricorda come l’art. 52 della Convenzione di Istanbul si richiama alle “situazioni di
pericolo immediato” e al fatto che occorre “dare
priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone
in pericolo”.
Nel caso in cui la polizia giudiziaria adotta la
cautela, essa provvede – senza ritardo – a fornire
alla vittima tutte le informazioni relative ai centri
antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare,
nella zona di residenza della vittima. In tal caso,
le forze dell’ordine provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora
ne faccia espressamente richiesta (art. 11, d.l. 23
febbraio 2009, n. 11, conv. con modif. dalla l. 23
aprile 2009, n. 38, modificato, peraltro, dalla legge
in commento; v. infra, sub 9).
La legge n. 119 del 2013 completa, dunque, il
quadro già tratteggiato dalle misure cautelari previste agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., attribuendoalla p.g. – in ragione del principio di proporzionalità e della necessità di evitare la protrazione o l’aggravamento del reato – la possibilità di allontanare
l’indagato dalla casa familiare.
La misura, del tutto innovativa, non solo consente il controllo immediato dei comportamenti
dell’indagato – impedendo che essi vengano protratti o portati a più estreme conseguenze – ma
rappresenta una delle pre-condizioni per accedere
al “nuovo” giudizio direttissimo.
Ferma restando – entro i limiti della compatibilità – l’applicazione delle disposizioni stabilite agli
artt. 385 c.p.p. ss. e, dunque, la necessità di dar
luogo al procedimento di convalida, l’adozione
della misura sembrerebbe originare un percorso
processuale “privilegiato” nella parte in cui permette agli organi di pubblica sicurezza di presentare il soggetto allontanato innanzi al giudice, per
la convalida della misura e il contestuale giudizio.
Se, invero, il peculiare e atipico stato restrittivo in cui verte il soggetto induce a giustificare l’estensione dell’interdizione dell’acquisizione delle
sommarie informazioni ad opera degli ufficiali di
polizia giudiziaria (art. 350, comma 1, c.p.p.), il legislatore è intervenuto, altresì, sull’art. 449, comma 5, c.p.p., configurando, nel caso de quo, un modulo speciale di giudizio direttissimo: su disposizione del pubblico ministero, la polizia giudiziaria
provvede, infatti, a citare la persona “allontanata”
per il giudizio direttissimo, entro le successive
quarantotto ore, ai fini della contestuale convalida
dell’arresto. In ogni caso, se ciò pregiudica gravemente le indagini, la polizia giudiziaria si limita alla
citazione per l’udienza di convalida.
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Nuove norme in materia di violenza di genere: aspetti processuali
Il modulo procedurale descritto, che prescinde
dallo stato di arresto, riecheggia forme “avanzate”,
e spesso discutibili, di instaurazione “immediata”
del giudizio (arg. ex artt. 20-bis e 20-ter, d. legisl.
n. 274/2000 e art. 453, comma 1-bis, c.p.p.), perplessità che nel caso in oggetto sono, peraltro, destinate ad aggravarsi posto che l’intera sequenza è
– seppur sotto la vigilanza del p.m. – interamente
gestita dagli organi di p.g.2, tanto da sollevare – sul
piano delle condizioni – qualche dubbio di conformità con la tassatività pretesa dall’art. 13 Cost.
La raggiunta conclusione rende oltremodo necessario che gli organi di p.g. valutino con la dovuta
accortezza la ricorrenza dei sospettati comportamenti vessatori e i motivi che inducono a ritenere
possibile la reiterazione delle condotte e la loro
potenziale (grave e attuale) compromissione e pericolosità per la vita e l’integrità fisica della persona
offesa, pena la possibilità – per il p.m. e il giudice –
di non convalidare la misura. Deve, infatti, ritenersi che l’autorizzazione previamente concessa da
parte del p.m. non sia ostativa al successivo controllo della ricorrenza delle condizioni legalmente
previste, così come ammette quel rinvio stabilito
agli artt. 385 ss. c.p.p.
5. Sommarie informazioni da parte della polizia giudiziaria
In sede di conversione, la legge n. 119 del 2013
ha inserito i reati previsti agli artt. 572 e 612-bis
c.p. all’interno della categoria di delitti per i quali la
polizia giudiziaria, all’atto di assumere le sommarie informazioni da parte di un minore, è tenuta ad
avvalersi di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile: l’indicativo presente dell’espressione
“si avvale” non lascia dubbi intorno all’assenza di
discrezionalità in capo al soggetto che “gestisce”
l’ascolto. Dalla presenza dell’esperto dipende, infatti, la regolarità dell’ascolto: si tratta di un ruolo complementare, di supporto all’atto principale
– sommarie informazioni – con lo scopo di contenere gli effetti di un non adeguato trattamento
della vulnerabilità della fonte (determinato dalle
modalità con cui si pongono le domande che, in
questa specifica vicenda, implicano la capacità di
relazionarsi al minore), l’interpolazione normativa
si è, tuttavia, mossa in superficie. La legge pone,
infatti, un divieto implicito, senza prendere posizione circa le conseguenze che discendono dalla
mancanza o irregolare presenza dell’esperto3,
benché una decisa indicazione sarebbe stata, invero, auspicabile anche alla luce dell’orientamento
Studium Iuris, 5/2014
non restrittivo assunto sul punto dalla giurisprudenza di legittimità4.
6. L’escussione “protetta” del minore
L’art. 2, comma 2, lett. e) della legge in esame
ha esteso al delitto di maltrattamenti in famiglia
o verso fanciulli le particolari modalità protette
descritte dall’art. 398, comma 5-bis, c.p.p. quando, fra le persone interessate all’assunzione della
prova, in sede d’incidente probatorio, vi siano dei
minorenni. L’interpolazione normativa estende
in modo espresso una prassi giurisprudenziale,
già invalsa in sede di merito, che, tuttavia, avrebbe potuto essere più completa, ricomprendendo
anche figure di reato similari a quelle prese in esame. Il legislatore, peraltro, non pare aver adeguatamente considerato che rendere dichiarazioni su
fatti e circostanze legati all’intimità delle persone
e connessi ad ipotesi di violenza o maltrattamenti da esse subite è sempre esperienza emotivamente complessa, che espone la fonte di prova
ad influenze e a condizionamenti esterni. In conformità, si è, poi, introdotto all’art. 498 c.p.p., un
comma 4-quater il quale prescrive che, quando si
procede per taluno dei reati previsti dal comma
4-ter della medesima disposizione «se la persona
offesa è maggiorenne il giudice assicura che l’esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa persona
offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si
procede, e ove ritenuto opportuno, dispone, a richiesta della persona offesa o del suo difensore,
l’adozione di modalità protette».
7. L’informazione sulla definizione delle indagini
Per assicurare il diritto di partecipazione (e di
contraddittorio) della persona offesa, la legge n.
119 del 2013 ha stabilito – aggiungendo il comma
2 In tal senso, v., anche, P. De Martino, Le innovazioni introdotte nel codice di rito dal decreto legge alla violenza di genere, alla
luce della Direttiva 2012/29/UE, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, p. 5.
3 Sul tema, P. De Martino, Legge di ratifica della Convenzione
di Lanzarote e tutela dei minori vittime del reato durante le indagini preliminari: brevi considerazioni alla luce della nuova Direttiva
2012/29/UE, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, p. 5, che si
richiama all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese.
4 Cfr., per tutti, S. Recchione, La prova dichiarativa del minore
nei processi per abuso sessuale: l’intreccio (non districabile) con la
prova scientifica e l’utilizzo come prova decisiva delle dichiarazioni,
in www.dirittopenalecontemporaneo.it
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
3-bis all’art. 408 c.p.p. – che quando la richiesta di
archiviazione riguarda un delitto commesso con
violenza alla persona «l’avviso della richiesta di
archiviazione è in ogni caso notificato, a cura del
pubblico ministero, alla persona offesa ed il termine di cui al comma 3 è elevato a venti giorni».
La nuova regola procedurale pare tener conto
di quanto indicato dall’art. 6, comma 1, lett. a) e
dall’art. 11 della Direttiva del Parlamento e del
Consiglio 2012/29/UE che stabiliscono, rispettivamente, il diritto di conoscere l’eventuale decisione di non esercitare l’azione penale o di non
perseguire l’autore del reato e la possibilità della
vittima – secondo il ruolo di quest’ultima nel pertinente sistema giudiziario penale – di chiedere il
riesame di una decisione di non esercitare l’azione
penale, le cui forme sono determinate dal diritto
nazionale.
Il nuovo testo lascia emergere, in primo luogo,
come il diritto all’opposizione sia svincolato dal
“classico” parametro della manifestata volontà –
in qualunque modo e tempo (purché anteriore al
provvedimento d’archiviazione) palesata all’autorità – della persona offesa di ricevere l’avviso
dell’inoltrata richiesta d’archiviazione da parte del
p.m. quale forma d’interesse finora ritenuta idonea
per “prendere parte” al protocollo archiviativo; ed,
in secondo luogo, come l’esercizio all’opposizione
sia ammesso entro venti giorni, vale a dire entro
una scansione temporale pari al doppio di quella
ordinaria prevista per i delitti commessi senza violenza alla persona.
Invero, forti perplessità circondano il differente regime trattamentale del diritto a partecipare al
modulo archiviativo, che condurrà di qui, a breve,
ad una possibile estensione a casi similari, in ragione di quella “ragionevolezza” a cui spesso si appella il giudice delle leggi chiamato a vagliare della
compatibilità o meno delle norme con i canoni
costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.). La riconduzione
di una fattispecie in seno alla norma che deroga ai
principi e ai criteri generali che presiedono all’archiviazione pare, peraltro, imporre una lettura del
termine “violenza” non limitata alla determinazione legale sostanziale. Al contrario, il favor sotteso al
meccanismo in commento induce ad abbracciare
una nozione di più ampio respiro ovvero che – te5 Per tale conclusione, v. C. Iasevoli, Pluralismo delle fonti e
modifiche al c.p.p. per i delitti commessi con violenza alla persona, in
D. pen. proc. 2013, p. 1398.
6 Cfr., ancora, P. De Martino, Le innovazioni introdotte nel codice di rito dal decreto legge alla violenza di genere, alla luce della Direttiva 2012/29/UE, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, p. 7.
7 Ancora, P. De Martino, op. cit., p. 5.
nuto conto della stessa origine del testo in esame
– consideri violenza non soltanto il danno fisico o
sessuale, ma – in conformità alle indicazioni provenienti dal legislatore europeo e nazionale – anche quello emotivo o psicologico, che si estende
alla perdita economica.
Si tratta, com’è comprensibile, di un’opera ricostruttiva non semplice e capace di originare non
poche sperequazioni in sede applicativa che, tuttavia, non sono imputabili all’autorità giudiziaria
chiamata ad applicare la legge, quanto piuttosto
all’incapacità del legislatore di assicurare quella
determinatezza e tassatività che deve governare la
legislazione penale.
Si colloca all’interno del quadro fin qui tratteggiato pure la modifica che ha interessato l’art.
415-bis c.p.p. La legge prevede, ora, che «quando
si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612-bis
del c.p., anche al difensore della persona offesa o,
in mancanza di questo, alla persona offesa» deve
essere notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Premesso che nessuna disposizione indica le
conseguenze derivanti dalla carente o invalida
notifica – né pare prospettabile una nullità ex art.
178, lett. c), c.p.p, valevole per il solo imputato
– vanificandosi, in tal modo, l’impegno de quo, si
è, condivisibilmente, sostenuto che l’avviso non
assolve ad alcuna funzionalità processuale, posto che nulla aggiunge sul piano delle garanzie
alla vittima che, ordinariamente, è salvaguardata
dalla scelta del p.m. di esercitare l’azione penale5.
In una visione più complessiva, non va trascurato,
però, che la novella rafforza anche i “potenziali”
diritti esercitabili dalla parte civile nel processo. In
quest’ottica è auspicabile che tale diritto si estenda
alla possibilità di prendere visione degli atti depositati dall’accusa6.
8. L’accelerazione investigativa e processuale
La velocizzazione dei procedimenti riguardanti
gli atti persecutori e i maltrattamenti in famiglia e la
c.d. elefantiasi della fase investigativa che pregiudica la persona offesa7 è affrontata introducendo
il limite alla proroga del termine delle indagini
preliminari previsto all’art. 406, comma 2-ter,
c.p.p.: al pari dei reati di omicidio colposo (artt.
589, comma 2, e 590, comma 3, c.p.), la durata
delle indagini per tali fattispecie è, oggi, pari ad un
anno dal momento in cui è iscritto il nome della
persona al quale il reato è attribuito nell’apposito
registro (art. 335 c.p.p.). Ma la priorità nella tratta-
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Nuove norme in materia di violenza di genere: aspetti processuali
zione esce, altresì, rafforzata dalla modifica operata all’art. 132-bis disp. att. c.p.p. che inserisce i
procedimenti per i reati di cui agli artt. 572, 612bis, 609-bis e 609-octies c.p. tra quelli che devono
essere celebrati in via anticipata, anche se parte di
essi poteva già essere annoverata nella lett. b) della
disposizione processuale menzionata.
9. Le misure di prevenzione e di protezione (ammonimento per condotte di violenza domestica e messa in contatto con le strutture di
accoglimento)
In conformità a quanto aveva già previsto il legislatore nel 2009, in materia di stalking, anche la
legge n. 119 del 2013 prevede alcune forme di
tutela preventiva della vittima del reato introducendo delle norme extrapenali o più rigorosi strumenti di prevenzione capaci di rendere più incisiva la tutela della persona offesa di reati di violenza
domestica.
In particolare, «nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato in forma non anonima un fatto
che debba ritenersi riconducibile ai reati di cui agli
artt. 581, nonché 582, comma 2, c.p., consumato o tentato, nell’àmbito di violenza domestica, il
questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte
degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all’ammonimento dell’autore del
fatto. Ai fini del presente articolo, si intendono per
violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero
non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della
famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate,
attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o
abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni
dell’art. 8, commi 1 e 2, del d.l. 23 febbraio 2009,
n. 11, convertito, con modificazioni, dalla l. 23
aprile 2009, n. 38, come modificato dal presente
decreto».
Ispirandosi alla Convenzione di Istanbul, la legge n. 119 del 2013 prevede, dunque, un nuovo
genere di reati declinati quali “violenza domestica” all’interno del quale si annoverano gli atti non
episodici di violenza fisica, sessuale, psicologica o
economica posti in essere all’interno della famiglia
o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva, indipendentemente dalla effettiva convivenza.
Studium Iuris, 5/2014
L’ammonimento, regolato dall’art. 8, d.l. n. 11
del 2009, conv. con modif. con legge n. 38/2009,
si sostanzia in una misura preventiva, di carattere
amministrativo, idonea a realizzare, in via d’urgenza – vale a dire nello stesso svolgersi dei fatti
– un’azione, più incisiva e tempestiva, da parte del
questore a cui la legge affida il compito di alimentare quel circuito immediato e virtuoso fra sicurezza e legalità.
In tale ottica s’inquadra la modifica che, dando
attuazione agli artt. 51 e 53 della Convezione di
Istanbul, impone al questore che emetta l’ammonimento a carico dello stalker, l’adozione – non
più facoltativa – dei provvedimenti in materia di
armi e munizioni che l’autore degli atti persecutori
dovesse eventualmente detenere.
Infine, modificando l’art. 11 della legge n.
38/2009, si è stabilito che, oltre alle forze dell’ordine, anche i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima la notizia di uno dei
reati previsti agli artt. 572, 600, 600-bis, 600-ter
(anche se relativo al materiale pornografico di cui
all’art. 600-quater, comma 1), 600-quinquies, 601,
602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies,
609-octies o 612-bis c.p., hanno l’obbligo di fornire
alla vittima tutte le informazioni relative ai centri
antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare,
nella zona in cui essa risiede, e quello di metterla in
contatto con i centri antiviolenza, qualora ne faccia
espressamente richiesta.
10. Considerazioni conclusive
Le sommarie indicazioni offerte fanno emergere come la vittima del reato, per lungo tempo posta
in una posizione del tutto secondaria all’interno
del procedimento penale, acquisisca – anche attraverso tale testo – un ruolo propulsivo e partecipativo di tutto rilievo.
Benché circoscritte a fattispecie del tutto peculiari, le nuove forme di garanzia e di tutela sembrano assecondare la necessità di una maggiore
presenza della persona offesa nel corso dell’accertamento giurisdizionale e le pretese di “giustizia” (non solo risarcitorie) che, anche attraverso le
differenti forme mediatiche, essa – da tempo – rivendica (si pensi all’introduzione del c.d. omicidio
stradale o alla configurazione penale della condotta di chi brucia rifiuti o appicca roghi a cumuli di
rifiuti tossici nella c.d. terra dei fuochi o le rivendicazioni dei lavoratori nel c.d. caso Ilva di Taranto).
Parallelamente, le finalità perseguite dalla legge
fanno emergere come, da un lato, l’azione svolta
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Attualità e saggi
dal pubblico ministero – a cui l’ordinamento affida
anche la tutela di quelle posizioni – si sia rivelata,
talvolta, troppo esigua e insoddisfacente e, dall’altro lato, il carattere circoscritto delle innovazioni
fornite dalla legge n. 119 del 2013.
Ancora una volta, infatti, la necessità di porre
mano ai più frequenti fenomeni delinquenziali e
l’urgenza di dare attuazione alle garanzie stabilite dal legislatore sovranazionale hanno condotto
all’adozione di un testo sommario.
Le modifiche processuali appaiono, infatti, di
puro dettaglio.
Il Parlamento, seguendo il fil rouge che ha connotato i più recenti pacchetti sicurezza, si è limita-
to a incrementare il trattamento sanzionatorio (e
il regime circostanziale) dei reati in questione e ha
aumentato la possibilità di disporre le misure precautelari (rasentando – talvolta – la stessa conformità costituzionale, così come accade nel caso
dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare) e cautelari (allontanamento dalla casa familiare
e braccialetto elettronico). Il legislatore ha, inoltre,
introdotto nuovi, ma embrionali, protocolli partecipativi e, solo per alcune fattispecie delittuose, accorciato i tempi investigativi e anticipato le forme
e le modalità d’acquisizione probatoria, creando,
ancora una volta e più semplicemente, un discutibile “micro” sottosistema processuale.
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LE MODIFICHE LEGISLATIVE IN MATERIA DI DIRITTI DEGLI AZIONISTI:
IL D. LEGISL. N. 91/2012*
di Alessandra Zanardo
Sommario: 1. Premessa. – 2. Modifiche in tema di convocazione dell’assemblea. – 3. Segue: avviso di convocazione e
relazioni sulle materie all’ordine del giorno. – 4. Segue: integrazione dell’ordine del giorno, diritto di porre domande
e maggiorazione del dividendo. – 5. Interventi correttivi e integrativi sulla disciplina della gestione accentrata. – 6.
Rappresentanza, deleghe di voto e sollecitazione delle deleghe. – 7. Ulteriori interventi in materia di società quotate:
voto di lista, aumento del capitale e relazioni finanziarie. – 8. Modifiche in materia di emittenti azioni diffuse e di società
cooperative. – 9. Modifiche al regolamento emittenti.
1. Premessa
Nel nutrito quadro di interventi di riforma e di
modernizzazione del diritto societario che, in tempi
recenti, hanno caratterizzato l’ordinamento italiano,
si inserisce il d. legisl. 18 giugno 2012, n. 91, con cui
il legislatore ha provveduto ad apportare modifiche
ed integrazioni al d. legisl. 27 gennaio 2010, n. 27, attuativo della Direttiva 2007/36/CE, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate.
Il provvedimento, che dà attuazione all’art. 1 della
legge comunitaria 2008 (l. 7 luglio 2009, n. 88) – la
quale, oltre a conferire delega al Governo per l’attuazione della predetta Direttiva, lo autorizzava ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla entrata in vigore
del d. legisl. n. 27/2010, disposizioni integrative e
correttive –, risponde, come ben emerge dal relativo
iter di approvazione e da quanto riportato nella Relazione al decreto stesso, alla volontà di porre rimedio
ad alcune criticità emerse in sede di prima applicazione delle norme in materia di diritti degli azionisti1.
I nuovi interventi sono volti, in linea generale,
ad agevolare l’operatività dell’assetto normativo
introdotto in attuazione della Direttiva sui diritti
degli azionisti (la Relazione, nella sua premessa,
parla al riguardo di interventi di fine tuning), pur
rispondendo anche all’esigenza di coordinare talune delle norme in materia con precedenti riforme relative ad altri istituti giuridici. Tali interventi
riguardano sia disposizioni del codice civile, sia
disposizioni del testo unico dell’intermediazione
finanziaria, e coinvolgono diversi istituti, molti dei
quali centrali nell’àmbito del dibattito sulle regole
di buon governo societario.
Nel presente lavoro, l’attenzione sarà focalizzata sulle modifiche e integrazioni di maggior rilievo,
attraverso cui il legislatore è intervenuto per porre
rimedio alle criticità e alle lacune evidenziate, da
più parti, all’indomani dell’adozione del d. legisl. n.
27/2010 o emerse nel corso della stagione assembleare 2011, offrendone un breve commento, anche alla luce delle risultanze dei lavori preparatori.
Per ragioni di completezza, si rileva che, tre
giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
del decreto correttivo, è stato altresì pubblicato un
avviso di rettifica riguardante l’art. 83-terdecies (in
materia di pagamento dei dividendi) e – soprattutto – l’art. 127-ter t.u.f. (relativo al diritto di porre
domande prima dell’assemblea), che ha parzialmente modificato il testo delle due norme.
2. Modifiche in tema di convocazione dell’assemblea
La prima modifica degna di nota apportata
dall’art. 1, comma 1, d. legisl. n. 91/2012 con* Contributo pubblicato previo parere favorevole espresso
da un componente del Comitato per la valutazione scientifica.
1 Conf. B. Petrazzini, Il d. legisl. n. 91/2012 e le modifiche alla
disciplina dell’assemblea di società per azioni quotate, in Nuovo d.
soc. 2012, n. 16, p. 11.
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Attualità e saggi
cerne l’individuazione del soggetto cui compete
la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art.
2366 c.c. La norma chiarisce che la convocazione assembleare spetta all’amministratore unico o
al consiglio di amministrazione, così dissipando il
dubbio, alimentato da un dettato normativo perlomeno ambiguo («l’assemblea è convocata dagli
amministratori»), che, nel modello tradizionale di
amministrazione e controllo, il potere di convocazione spettasse agli amministratori uti singuli. Analoga precisazione è stata inserita nell’art. 2415,
comma 2, c.c. relativamente alla convocazione
dell’assemblea degli obbligazionisti.
Invero, dottrina e giurisprudenza, con orientamento costante e assolutamente prevalente, già
prima della modifica in commento richiedevano,
ai fini della convocazione assembleare, una delibera del plenum consiliare2. Peraltro, ferma restando
la competenza collegiale (ritenuta) attribuita dalla
legge all’organo amministrativo, si era sostenuta
l’ammissibilità di scelte statutarie, ispirate all’o2 V., in particolare, Cass. 22 settembre 2008, n. 23950, in
Vita not. 2008, p. 1484 ss.; nonché in dottrina, tra i tanti, N.
Abriani, L’assemblea, in Aa.Vv., Le società per azioni, in Tratt.
Cottino, IV, 1, Padova 2010, p. 462 s., nt. 84; F. Magliulo - F.
Tassinari, Il funzionamento dell’assemblea di s.p.a. nel sistema tradizionale, Milano 2008, p. 86 s., nt. 22, alle cui opere si rimanda
per ulteriori riferimenti giurisprudenziali e bibliografici.
3 Cfr. Consiglio Notarile di Milano, Massime Commissione
Società, Massima n. 82 del 22 novembre 2005 – “Attribuzione statutaria della competenza per la convocazione dell’assemblea
(artt. 2366 e 2479-bis c.c.)”.
4 V., tuttavia, le perplessità di F. Magliulo - F. Tassinari,
op. cit., p. 89 s., secondo i quali la collegialità del potere gestorio rimane un principio inderogabile da parte dell’autonomia
statutaria, suscettibile di essere attenuato solo per effetto della
delega ex art. 2381 c.c.
5 V. l’indagine promossa da Assonime, Le assemblee delle società quotate: il d. legisl. n. 27 del 27 gennaio 2010, le prime esperienze applicative nel 2011 e il decreto correttivo del 2012 (d. legisl.
n. 91 del 18 giugno 2012), Note e Studi n. 14/2012, consultabile su www.assonime.it, p. 16 s.
6 V., tra gli altri, N. Abriani, Il “pungolo gentile” dell’assemblea
“mite” tra attivismo degli azionisti e nuova governance societaria.
Prime riflessioni sull’attuazione in Italia della Direttiva 2007/36,
in Aa.Vv., Scritti in onore di Marcello Foschini, Padova 2011, p.
185 s.; A. Busani, Le modifiche statutarie conseguenti alla legge sui
diritti degli azionisti, in Le società 2010, p. 850 s.; N. Atlante - M.
Stella Richter jr, Il recepimento in Italia della direttiva sui diritti
degli azionisti e le modificazioni statutarie conseguenti, Studio n.
62-2010/I, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il
15 aprile 2010, p. 6, consultabile su www.notariato.it.
7 Nel commento sub art. 1, comma 2.
8 Per un’attenta critica al divieto di delega statutaria si rimanda ad Assonime, Consultazione sul documento illustrativo
di alcune misure integrative e correttive del decreto legislativo 27
gennaio 2010, n. 27 di attuazione della Direttiva 2007/36/CE
relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate,
n. 2/2012, consultabile su www.assonime.it, p. 4.
biettivo di facilitare lo svolgimento delle riunioni
assembleari, che attribuissero il potere di convocazione direttamente al presidente e/o a singoli
componenti del consiglio. Tale opzione statutaria
avrebbe il pregio di rendere più tempestiva, agile
e flessibile la fase di avvio del procedimento assembleare, in quanto consentirebbe di omettere la
previa convocazione dell’organo amministrativo e
la delibera di quest’ultimo3.
Qualora si ritenesse di aderire a detto orientamento4, siffatta adesione non parrebbe trovare
ostacolo nella modifica in oggetto, essendosi il legislatore limitato – si ritiene – in sede di decreto
correttivo a esplicitare la regola legale.
Sempre restando nell’àmbito della convocazione assembleare, altro intervento da segnalare
consiste nel fatto di aver previsto che, nelle società
che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,
la convocazione unica rappresenti la modalità di
default di organizzazione dell’assemblea, salvo
diversa disposizione statutaria. Ai sensi dell’art.
2369, comma 1, c.c., infatti, le assemblee delle
società – diverse dalle società cooperative – che
appartengono a tale categoria si tengono oggi, di
norma, in unica convocazione.
Inizialmente, lo schema di decreto correttivo
contenuto nel documento illustrativo del 13 febbraio 2012, oggetto di consultazione pubblica,
rimetteva allo statuto delle società la facoltà di optare per la convocazione unica per tutte le assemblee, vietando espressamente che questa facoltà
potesse essere attribuita, mediante clausola statutaria, al consiglio di amministrazione o di gestione.
La scelta era dettata dalla volontà di porre un freno
alla prassi diffusa e di gran lunga prevalente5, ritenuta legittima anche dai primi commentatori, di
delegare al c.d.a. la facoltà di decidere, in relazione
a singole assemblee, se ricorrere ad un’unica o a
più convocazioni6.
Sempre in sede di consultazione, tuttavia, il
Ministero chiedeva ai soggetti interessati di far conoscere il proprio parere sulla possibilità di modificare ulteriormente l’articolo per prevedere che
la convocazione unica rappresentasse la modalità
di default di organizzazione dell’assemblea, salvo
deroga statutaria.
La Relazione al d. legisl. n. 91/20127 rende conto del fatto che quest’ultima opzione ha incontrato una netta preferenza rispetto al mantenimento
dell’opt-in statutario accompagnato da limitazioni
alla possibilità di delegare al c.d.a. la scelta sulle
concrete modalità di organizzazione da utilizzare per ciascuna assemblea8. L’opzione è, infatti,
maggiormente rispondente all’esigenza di ridurre
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Le modifiche legislative in materia di diritti degli azionisti
le incertezze sui tempi di svolgimento dell’assemblea, conseguenti alla reiterazione delle adunanze
assembleari, con conseguente semplificazione del
relativo procedimento9.
La previsione della convocazione unica come
modalità di default di organizzazione del procedimento assembleare consente di ritenere legittime
eventuali clausole statutarie che, derogando all’art.
2369 c.c., deleghino al c.d.a. la scelta se optare o
meno per la convocazione unica in relazione a singole assemblee, atteso che il nuovo testo dell’art.
2369, comma 1, c.c. prevede la possibilità che lo
statuto disponga diversamente senza porre limiti
all’autonomia statutaria10. Il legislatore ha, inoltre,
ritenuto opportuno fare salve, nel caso di convocazione unica, le disposizioni di legge o dello
statuto che richiedono maggioranze più elevate
per l’approvazione di talune deliberazioni (cfr. il
disposto dell’art. 2369, comma 4, c.c.).
Concludendo l’analisi degli interventi correttivi aventi ad oggetto la disciplina codicistica, va
altresì segnalato che il decreto in commento ha
esteso alle assemblee speciali e all’assemblea degli
obbligazionisti le regole relative alla legittimazione all’intervento e all’esercizio del diritto di voto
previste dall’art. 2370 c.c., nelle ipotesi in cui detti
strumenti finanziari siano ammessi al sistema di
gestione accentrata. Trattasi di scelta che, in certa
misura, era già stata anticipata dalla prassi di un
nutrito numero di società11.
Sono stati quindi modificati gli artt. 2376 e
2415 c.c., disponendosi, sulla falsariga di quanto statuito dall’art. 2370, comma 5, c.c., che la
legittimazione all’intervento e al voto nelle relative assemblee è disciplinata dalle leggi speciali.
La modifica, che riguarda anche l’assemblea degli
azionisti di risparmio – relativamente alla quale il
legislatore del 2012 ha altresì chiarito che la stessa può tenersi in unica convocazione con applicazione dei quorum previsti per l’assemblea di terza
convocazione (v. art. 146, comma 3, t.u.f.) –, va
letta in coordinamento con quella apportata, dal
medesimo d. legisl. n. 91/2012, all’art. 83-sexies
t.u.f., che ha esteso all’assemblea dei portatori di
strumenti finanziari ammessi alla gestione accentrata le regole già previste per l’assemblea degli
azionisti12.
3. Segue: avviso di convocazione e relazioni
sulle materie all’ordine del giorno
Il d. legisl. n. 91/2012 è opportunamente intervenuto, per quanto attiene alla disciplina del-
Studium Iuris, 5/2014
le società quotate, anche a chiarire taluni aspetti
e/o a risolvere alcuni nodi critici con riguardo alla
pubblicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, all’integrazione dell’ordine del giorno e
al diritto di porre domande prima dell’assemblea,
modificando gli artt. 125-bis ss. del t.u.f.
In primo luogo, per ciò che concerne l’avviso di
convocazione, si è previsto che il requisito della
pubblicazione entro il trentesimo giorno precedente la data dell’assemblea riguardi la pubblicazione sul sito internet della società, demandandosi
ad apposito regolamento Consob i termini relativi
alle altre modalità di diffusione nell’àmbito del regime delle informazioni regolamentate. Si è inoltre
riconosciuta la legittimità, sulla falsariga di quanto già avviene nella prassi e vista la centralità che
riveste, nella Direttiva 2007/36/CE, la diffusione
delle informazioni tramite il sito internet della società, della pubblicazione dell’avviso sui giornali
quotidiani solo per estratto13.
In secondo luogo, è stato chiarito che l’anticipazione del termine di pubblicazione dell’avviso
al quarantesimo giorno precedente la data dell’assemblea riguarda esclusivamente le assemblee
convocate per il rinnovo, mediante voto di lista, dei
componenti dell’organo di amministrazione e di
controllo. Come emerge dalla Relazione al decreto legislativo, infatti, il termine più lungo è strettamente legato all’esigenza di lasciare un periodo
di tempo adeguato agli azionisti legittimati per la
presentazione delle liste – che può avvenire anche
tramite mezzi di comunicazione a distanza, nel
rispetto degli eventuali requisiti strettamente necessari per l’identificazione dei richiedenti, indicati
dalla società (cfr. art. 147-ter, comma 1-bis, t.u.f.)
– e di consentirne la pubblicazione in tempo utile14.
9 Conf. Assogestioni, Risposta alla consultazione su un documento illustrativo di alcune misure integrative e correttive del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 27 di attuazione della Direttiva
2007/36/CE relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti
di società quotate, 2 marzo 2012, p. 1 s., secondo la quale la
certezza dei tempi di svolgimento dell’assemblea favorirà un
maggiore attivismo da parte degli investitori istituzionali, soprattutto esteri.
10 Conf. Assonime, Le assemblee, cit., p. 19.
11 V. i dati raccolti nell’àmbito dell’indagine promossa da Assonime, Le assemblee, cit., p. 14 s.
12 Per un’applicazione, su base volontaria, di ulteriori disposizioni legislative, quali il diritto di integrazione dell’ordine del
giorno e il diritto di porre domande prima dell’assemblea, v.
Assonime, Le assemblee, cit., p. 15.
13 V., tuttavia, in favore della pubblicazione integrale delle informazioni sulla stampa quotidiana, i pareri delle Commissioni
II e VI riunite, sia della Camera dei Deputati, sia del Senato,
sullo schema di decreto legislativo - Atto del Governo n. 446.
14 Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma 2.
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
Sempre con riguardo alla presentazione delle liste
per l’elezione dei componenti degli organi sociali si è poi statuito, mediante inserimento di una
nuova disposizione nell’àmbito dell’art. 125-bis,
comma 4, t.u.f., che l’avviso di convocazione debba contenere, inter alia, l’indicazione delle relative
modalità e termini.
Nessuna modifica rispetto a quanto stabilito
dal d. legisl. n. 27/2010 è stata invece introdotta
con riguardo alle ipotesi di riduzione a ventuno
giorni del termine “ordinario” di convocazione assembleare. Le esigenze di tutela degli azionisti, in
particolare di minoranza, in considerazione della
rilevanza dell’oggetto della delibera, hanno indotto il legislatore a non estendere il regime di convocazione dell’assemblea previsto per talune operazioni (riduzione del capitale sociale per perdite
e nomina e revoca dei liquidatori) anche a quella
di aumento del capitale, seppure per la convocazione delle assemblee chiamate a deliberare detta
modificazione statutaria possano sussistere le medesime esigenze di celerità e urgenza che sussistono con riguardo alle prime15.
Il d. legisl. n. 91/2012 è poi intervenuto a sciogliere i dubbi suscitati dal testo del previgente art.
125-ter t.u.f. nell’ipotesi in cui all’ordine del giorno
dell’assemblea siano poste materie per le quali sono stabiliti termini di convocazione diversi. In tal
caso, le relazioni da predisporre da parte dell’organo amministrativo devono essere messe a disposizione del pubblico entro il termine di pubblicazione dell’avviso di convocazione previsto per
la materia alla quale ciascuna relazione si riferisce,
quindi anche non contestualmente alla pubblicazione dell’avviso stesso e anche con tempistiche
differenziate (possibilità, quest’ultima, già sfruttata da un numero significativo di società, sulla cui
legittimità si erano già pronunciate sia la Consob
che Assonime16). La medesima soluzione è stata
estesa alla pubblicazione sul sito internet della società dei documenti da sottoporre all’assemblea, ai
sensi dell’art. 125-quater t.u.f. [v. art. 125-quater,
comma 1, lett. a)].
15 Cfr. Assonime, Consultazione, cit., p. 6 s.; Negri - Clementi
- Federici, Commento al documento illustrativo di alcune misure
integrative e correttive del d. legisl. 27 gennaio 2010, n. 27 di attuazione della Direttiva 2007/36/CE relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, sottoposto dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze a pubblica consultazione, 29 febbraio
2012, punto V; il medesimo rilievo era stato sollevato anche
dalle Commissioni II e VI riunite del Senato, nel proprio parere
sullo schema di decreto legislativo.
16 V. Assonime, Le assemblee, cit., p. 21 s., testo e nt. 36.
17 V. Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma 6.
Quanto, infine, alle convocazioni successive
alla prima, la soluzione prescelta dal legislatore è
stata quella di prevedere, esplicitamente, che l’assemblea in seconda o successiva convocazione
debba svolgersi (e non solo essere convocata) nei
trenta giorni successivi alla data dell’assemblea in
prima convocazione. Il disposto dell’art. 126 t.u.f.
è stato poi integrato estendendo la riduzione del
termine di convocazione prevista per il caso in cui
l’elenco delle materie da trattare non venga modificato (termine portato a 21 giorni, a fronte dei
10 previgenti) anche alle assemblee convocate per
l’elezione, mediante voto di lista, dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo.
Per queste assemblee, inoltre, il legislatore ha introdotto un’apposita disciplina quanto al deposito
delle liste di candidati, nella quale è ammessa, nei
termini all’uopo indicati dall’art. 126, comma 2,
ult. per., t.u.f., la presentazione di nuove liste.
4. Segue: integrazione dell’ordine del giorno,
diritto di porre domande e maggiorazione
del dividendo
Proseguendo nell’analisi delle novità in tema di
convocazione e adunanza assembleare, la disciplina dell’istituto dell’integrazione dell’ordine del
giorno, dettata dall’art. 126-bis t.u.f., è stata rivista
ed integrata per estendere l’applicazione della procedura ivi prevista anche alle ipotesi di presentazione, da parte dei soci, di proposte di deliberazione su materie già all’ordine del giorno.
Detta modifica, attraverso la quale il testo della disposizione normativa si è “allineato” a quello
dell’art. 6 della Direttiva 2007/36/CE, risponde
alla finalità di garantire una migliore informazione preassembleare (anche alla luce della facoltà
di conferire deleghe di voto ed esercitare lo stesso
per corrispondenza) e, in generale, un più partecipato, funzionale ed efficiente svolgimento dell’assemblea17.
Analizzando, in dettaglio, l’art. 126-bis t.u.f., va
detto, in primo luogo, che – in parziale difformità
rispetto a quanto originariamente previsto nello
schema di decreto correttivo posto in consultazione dal Ministero nel febbraio 2012 e in virtù
degli esiti della consultazione stessa – il legislatore
ha ritenuto comunque opportuno mantenere la
possibilità per il socio (recte: per colui a cui spetta il diritto di voto) di presentare individualmente
proposte di deliberazione direttamente in assemblea (v. art. 126-bis, comma 1, terzo per., t.u.f.). In
secondo luogo, è stato stabilito che debba essere
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Le modifiche legislative in materia di diritti degli azionisti
data notizia, nelle medesime forme prescritte per
la pubblicazione dell’avviso di convocazione, della (sola) presentazione di ulteriori proposte di deliberazione, mentre le proposte stesse sono messe
a disposizione del pubblico con le modalità previste dall’art. 125-ter, comma 1, t.u.f. per le relazioni
sulle materie all’ordine del giorno18.
Il decreto correttivo è poi intervenuto a chiarire
talune modalità procedurali relative alla presentazione delle domande di integrazione dell’ordine
del giorno e/o di nuove proposte, nonché a disciplinare, opportunamente, sulla falsariga di quanto
previsto dall’art. 2367, comma 2, c.c., l’ipotesi in
cui l’organo di amministrazione (ovvero l’organo di controllo, in caso di inerzia del primo) non
provveda all’integrazione. Sotto il primo profilo, è
stato specificato, tra l’altro, che le domande possono essere presentate anche per corrispondenza o
in via elettronica. Quanto, invece, al secondo e più
interessante profilo, si è esplicitato che, se l’organo
di amministrazione non vi provvede, il tribunale
ordini l’integrazione con decreto ove il rifiuto di
provvedere risulti ingiustificato (v. art. 126-bis,
comma 5, t.u.f.): previsione che consente altresì di
concludere che agli amministratori debba essere
riconosciuto il diritto di rifiutare l’inserimento della materia (o della proposta) nell’elenco di quelle
da trattare qualora vi sia una causa che giustifichi
detto rifiuto19.
Non ha subito, invece, adeguamenti il comma
3 dell’articolo in commento, il quale continua a
stabilire che la sola integrazione dell’ordine del
giorno non è ammessa per gli argomenti su cui
l’assemblea delibera su proposta dell’organo amministrativo o sulla base di un progetto o di una
relazione dal medesimo predisposti, senza alcun
richiamo alla presentazione di ulteriori proposte
di deliberazione, con conseguente incertezza circa
l’estensione della disposizione anche a tale ultima
ipotesi20. Siffatto richiamo compariva, invece, nello schema di decreto posto in consultazione dal
Ministero nel febbraio 2012.
Per ciò che concerne il diritto di porre domande prima dell’assemblea, il decreto correttivo ha
provveduto a riformulare l’art. 127-ter t.u.f., al fine
di superare le criticità che erano emerse in sede di
prima applicazione della disciplina (ad esempio,
per quanto riguarda la notevole dilatazione dei
tempi delle adunanze) e, come già accennato per
l’istituto dell’integrazione dell’ordine del giorno,
di renderla più aderente alle finalità di consentire la massima informazione preassembleare e di
attribuire maggiore considerazione alle esigenze
di adeguata preparazione dell’assemblea e di cor-
Studium Iuris, 5/2014
retto svolgimento della stessa21. Nell’àmbito delle
soluzioni adottate dal legislatore, le più rilevanti
erano già state efficacemente anticipate dalla prassi delle società22.
Precisamente, si è dapprima chiarito che sono
legittimati all’esercizio del diritto di porre domande coloro ai quali spetta il diritto di voto e non più
genericamente i “soci”, come in precedenza statuito23. Il Governo, su sollecitazione delle Commissioni parlamentari, ha comunque escluso,
nella Relazione al decreto legislativo, che la società
sia tenuta a fornire una risposta solo a chi risulti
azionista alla record date24. Si è poi espressamente riconosciuta la legittimità della previsione di
un termine di cut-off, prevedendo che l’avviso di
convocazione indichi il termine (non superiore a
tre giorni antecedenti la data dell’assemblea) entro il quale le domande poste prima dell’assemblea devono pervenire alla società. Il termine può
essere esteso fino a cinque giorni qualora l’avviso
di convocazione preveda che la società fornisca,
prima della riunione assembleare, una risposta alle
domande pervenute; in tal caso la risposta deve
essere fornita almeno due giorni prima della data
dell’assemblea, anche mediante pubblicazione in
un’apposita sezione del sito internet della società
(v. art. 127-ter, comma 1-bis, t.u.f.). Infine, si è modificato il comma 2 dell’art. 127-ter per prevedere
(così come già avviene per le informazioni disponibili in formato “domanda e risposta” nell’apposita sezione del sito internet) che, nell’ipotesi in
cui la risposta sia stata pubblicata con le modalità da ultimo indicate, la società non sia obbligata
a rispondere individualmente al socio, neppure in
assemblea: l’obbligo della società si esaurisce nel
fatto di rendere disponibile la risposta, o meglio l’informazione richiesta, ai soci25.
La disciplina del diritto di porre domande, al
18 V. i chiarimenti sollecitati nel parere approvato dalle
Commissioni II e VI riunite del Senato.
19 In tal senso, già prima della modifica in oggetto, P. Montalenti, La Direttiva azionisti e l’informazione preassembleare, in G.
comm. 2011, I, p. 688.
20 V., sul punto, Assonime, Le assemblee, cit., p. 29 s., la quale,
peraltro, si pronuncia nel senso dell’estensione.
21 V. Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma 7.
22 V. Assonime, Le assemblee, cit., p. 8 e p. 34 s.
23 V., nel vigore della precedente versione dell’art. 127-ter
t.u.f., A. Busani, Il diritto di porre domande prima dell’assemblea
e l’obbligo della società di rispondere, in Le società 2011, p. 431 s.
24 Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma 7. V.,
tuttavia, in favore di una diversa e più condivisibile lettura, il
parere approvato dalle Commissioni II e VI riunite del Senato,
nonché Assonime, Le assemblee, cit., p. 41.
25 Ancora Assonime, op. loc. ult. cit., p. 41.
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
pari di quella di altri istituti qui commentati, ha
subito una parziale modifica nel corso dell’iter di
approvazione del provvedimento governativo: la
prima proposta del Governo, infatti, prevedeva
che la società esercitasse la sua scelta circa l’introduzione di una cut-off date attraverso una clausola
statutaria. Come sopra visto, a detta ipotesi, anche
alla luce delle perplessità suscitate dall’opportunità di una soluzione di questo tipo26, si è sostituita,
nel testo definitivo, la previsione di indicazione del
termine di cut-off direttamente nell’avviso di convocazione, senza rimettere la scelta allo statuto.
Va, infine, evidenziato l’inserimento, nell’art.
127-ter t.u.f., di un ultimo comma, volto a stabilire
che l’obbligo informativo si intende assolto dalla società in caso di risposta in formato cartaceo
messa a disposizione di ciascuno degli aventi diritto al voto all’inizio dell’adunanza.
Il d. legisl. n. 91/2012 è intervento anche
sull’art. 127-quater t.u.f., relativo alla maggiorazione del dividendo, al fine di chiarire talune incertezze applicative e tentare di risolvere le difficoltà
operative che potrebbero aver influito sul finora
scarso “successo” della previsione27.
Al riguardo, è interessante segnalare che, oltre
all’integrazione delle condizioni richieste per il
riconoscimento, a livello statutario, del beneficio,
che comprendono ora la detenzione continuata
delle azioni per il periodo (se inferiore ad un anno) intercorrente tra due date consecutive di pagamento del dividendo annuale, e ad un chiarimento, mediante riformulazione del comma 2 della
disposizione, sulle condizioni ostative a detto
riconoscimento, è stato altresì esplicitato che l’introduzione, nello statuto, del meccanismo di maggiorazione del dividendo non legittima i soci che
non hanno concorso all’approvazione della deliberazione ad esercitare il recesso, ai sensi dell’art.
2437, comma 1, lett. g), c.c. (in quanto modificazione dello statuto concernente i diritti di voto o di
partecipazione).
Inoltre, al fine di facilitare l’emittente nella verifica, è stato posto a carico di colui che abbia ottenu26 V. Assonime, Consultazione, cit., p. 8; nonché il parere approvato dalle Commissioni II e VI riunite del Senato.
27 V. Assonime, Le assemblee, cit., p. 71, dalla cui indagine
emerge che nessuna delle società analizzate ha adottato statutariamente la previsione sulla maggiorazione del dividendo.
28 V. quanto esplicitato dalla Relazione al d. legisl. n.
91/2012, sub art. 3, comma 8, circa la possibilità che gli emittenti e gli intermediari delineino una procedura “standard” per
l’implementazione del meccanismo.
29 Cfr., per una esemplificazione dei predetti casi, la Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 2, commi 1 e 2.
to l’assegnazione della maggiorazione del dividendo l’onere di dichiarare, su richiesta della società28,
l’insussistenza delle condizioni ostative alla concessione del beneficio e di esibire le attestazioni
relative alla sussistenza delle condizioni alle quali,
invece, lo stesso è subordinato.
5. Interventi correttivi e integrativi sulla disciplina della gestione accentrata
Un altro istituto per il quale il legislatore ha ritenuto opportune nuove riflessioni e sul quale è diffusamente intervenuto con il d. legisl. n. 91/2012
è costituito dalla gestione accentrata degli strumenti finanziari.
Accanto a modifiche redazionali e di mero coordinamento od omogeneizzazione con quanto
dettato in altre disposizioni, il decreto correttivo
ha inserito, nell’art. 81 t.u.f., una nuova lettera (obis), attraverso la quale si è estesa la competenza
regolamentare della Consob all’individuazione
delle modalità e dei termini di comunicazione, nei
casi e ai soggetti dalla medesima individuati, dei
dati identificativi dei titolari degli strumenti finanziari e degli intermediari che li detengono, a fini di
tutela degli investitori stessi, facendo comunque
salva la possibilità per i titolari di negare il consenso alla comunicazione dei propri dati identificativi29. È, inoltre, stato completato l’assetto della
vigilanza sul sistema di gestione accentrata stabilendosi che la vigilanza della Consob e della Banca
d’Italia sono esercitate non più solo sulle società di
gestione accentrata, bensì sull’intero sistema, e che
le predette autorità possono esercitare i propri poteri anche nei confronti degli intermediari (v. art.
82 t.u.f.).
Passando poi alla disciplina della gestione accentrata in regime di dematerializzazione, le modifiche più rilevanti riguardano indubbiamente il
diritto di intervento in assemblea, regolato dall’art.
83-sexies t.u.f.
Con riguardo ad esso, è stato esplicitato che
la disciplina della legittimazione all’intervento in
assemblea e all’esercizio del diritto di voto prevista per le assemblee degli azionisti quando le
azioni siano ammesse al sistema di gestione accentrata si estende alle assemblee dei portatori di
altri strumenti finanziari se ammessi al sistema
stesso. Nell’introdurre detta modifica il legislatore ha inteso altresì chiarire che la relativa disposizione (art. 83-sexies, comma 2, t.u.f.), a norma
della quale la comunicazione all’emittente, ai fini
della legittimazione, è effettuata dall’intermedia-
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Le modifiche legislative in materia di diritti degli azionisti
rio sulla base delle evidenze dei conti relative al
termine della giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente la data fissata
per l’assemblea, trova applicazione alle assemblee dei portatori degli strumenti finanziari ove
questi siano stati ammessi alla negoziazione nei
mercati regolamentati o negli MTF, restandone
per contro esclusi gli altri strumenti finanziari
emessi dalla medesima società. Infine, sempre
con riguardo alla record date, si è opportunamente specificato, in sede di redazione del testo definitivo del decreto in commento, che questa è
determinata facendo riferimento alla data della
prima convocazione, purché le date delle eventuali convocazioni successive siano indicate nell’(unico) avviso, o, in caso contrario, alla data di
ciascuna convocazione.
Il d. legisl. n. 91/2012 ha poi previsto a carico degli emittenti azioni, in considerazione del
fatto che anch’essi possono rendersi promotori
di una sollecitazione di deleghe di voto, circostanza oggi chiarita dal nuovo testo dell’art. 136,
comma 1, lett. c), t.u.f. (v. infra, par. successivo),
l’obbligo, al verificarsi di detta ipotesi, di aggiornare il libro dei soci in conformità alle comunicazioni all’uopo effettuate dagli intermediari (v.
art. 83-undecies t.u.f.). Inoltre, accogliendo i rilievi formulati dalle Commissioni II e VI riunite
del Senato quanto alla collocazione della norma, ha inserito nel t.u.f. un nuovo articolo, l’art.
83-terdecies, che rivisita la (pre)vigente disciplina sul diritto al pagamento dei dividendi. Detto
articolo prevede che la legittimazione al pagamento degli utili (e delle altre distribuzioni afferenti gli strumenti finanziari registrati nei conti
accesi presso l’intermediario) sia determinata
con riferimento alle evidenze dei conti relative
al termine della giornata contabile individuata
dall’emittente stesso, il quale stabilisce altresì le
modalità del relativo pagamento, così da consentire agli emittenti di individuare la data che
legittima il pagamento del dividendo in base alle
proprie specifiche esigenze.
Nessuna modifica sostanziale è stata invece
apportata alla disciplina dell’identificazione degli azionisti, quale prevista dall’art. 83-duodecies
t.u.f., alla luce della mancanza, allo stato attuale,
di un quadro di armonizzazione dell’Unione europea in materia.
Il legislatore, in particolare, non è intervenuto
sulla facoltà prevista per l’azionista di negare il
consenso alla trasmissione dei propri dati – facoltà
che non ha mancato di sollevare perplessità30 – e
neppure è intervenuto per sciogliere i dubbi ed eli-
Studium Iuris, 5/2014
minare gli elementi di criticità presenti nell’attuale
disciplina, che hanno contribuito alla scarsa utilizzazione dello strumento (si pensi all’incertezza
sui costi della procedura o, appunto, alla facoltà di
rimanere nell’anonimato). È stato, ad esempio, rilevato che la norma non specifica se i dati ricevuti
a seguito della richiesta di identificazione debbano
essere messi a disposizione di tutti i soci o dei soli
richiedenti, limitandosi a prevedere, al comma 4,
che i dati ricevuti siano messi a disposizione dei
soci senza oneri a loro carico31.
È comunque opportuno segnalare, quanto alla
shareholder identification, che la questione è oggetto di ampio dibatto anche a livello europeo32, alla
luce dei vantaggi che dalla medesima potrebbero
conseguire nei rapporti intrasocietari. A tale proposito la Commissione europea, preso atto che
gli strumenti esistenti non sono sufficientemente
precisi o sono privi della necessaria dimensione transfrontaliera e che maggiori informazioni
sull’identità dei possessori delle azioni di società
quotate possono migliorare il dialogo in materia di
corporate governance tra la società e i suoi azionisti,
ha inserito in un proprio Piano d’azione la proposizione, nel corso del 2013, di un’iniziativa legislativa per migliorare la visibilità delle partecipazioni
azionarie in Europa33.
Per completare l’analisi delle novità legislative relative al sistema di gestione accentrata in
regime di dematerializzazione, si rileva, infine, che il decreto correttivo ha sostituito, nella
parte relativa all’individuazione dell’àmbito di
applicazione della disciplina (art. 83-bis t.u.f.),
il termine “titoli” – cui sono attribuibili diversi
significati – con la parola “documenti”, al fine
di chiarire che gli strumenti finanziari ivi considerati non possono essere rappresentati da un
documento cartaceo.
30 V., a titolo esemplificativo, De Luca, La nuova disciplina della gestione accentrata e della legittimazione degli azionisti, in Banca,
borsa, tit. cred. 2010, I, p. 259 s.; diversamente, nel senso cioè
che l’approccio normativo meriti, in linea generale, apprezzamento, sembra esprimersi M. Gargantini, Identificazione dell’azionista e legittimazione all’esercizio del voto nelle s.p.a. quotate,
Torino 2012, p. 73 s.
31 V. Assonime, Consultazione, cit., p. 5 s., secondo la quale
sarebbe opportuno un intervento a correzione dell’attuale disciplina, soprattutto con riguardo alla facoltà per i soci di restare
nell’anonimato; le medesime osservazioni sono riproposte nel
parere approvato dalle Commissioni II e VI riunite del Senato.
32 Cfr. il Libro verde sul quadro dell’Unione europea in materia
di governo societario, 5 aprile 2011, COM (2011) 164, par. 2.6.
33 V. Piano d’azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più
impegnati e società sostenibili, 12 dicembre 2012, COM (2012)
740, par. 2.3.
542
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
6. Rappresentanza, deleghe di voto e sollecitazione delle deleghe
Al 10° considerando della Direttiva 2007/36/
CE si legge che «[i]l buon governo societario richiede procedure agevoli ed efficienti per l’esercizio del voto per delega. Le limitazioni e i vincoli
esistenti che rendono il voto per delega difficile e
oneroso dovrebbero pertanto essere eliminati».
Il legislatore italiano, con il d. legisl. n. 91/2012,
è intervento anche sull’istituto delle deleghe di
voto nelle società quotate, introducendo, oltre a
modifiche meramente redazionali o rese necessarie dall’esigenza di coordinamento con le novità
nel frattempo introdotte in altri settori normativi
(il riferimento è, in particolare, al Codice dell’amministrazione digitale e alla possibilità di conferire
la delega con documento informatico), talune modifiche di carattere sostanziale, di cui è opportuno
dare brevemente conto.
Quanto al primo profilo, ci si limita a segnalare
che è stato modificato l’art. 135-novies t.u.f. statuendosi, al comma 6, che la delega possa essere
conferita con documento informatico sottoscritto
in forma elettronica, ai sensi dell’art. 21, comma
2, d. legisl. 7 marzo 2005, n. 82, al quale è conferita l’efficacia della scrittura privata ex art. 2702
c.c.
Soffermandosi, invece, sulle modifiche c.d. di
carattere sostanziale, il legislatore ha opportunamente previsto, sulla scorta dei rilievi emersi in
sede di consultazione sullo schema di decreto correttivo contenuto nel documento illustrativo del
13 febbraio 2012, che le Sgr, le Sicav, le società
di gestione armonizzate, nonché i soggetti extracomunitari che svolgono attività di gestione collettiva del risparmio possano conferire la rappresentanza per più assemblee, così derogando all’art.
2372, comma 2, c.c. Lo scopo della rimozione del
limite del conferimento della rappresentanza solo
per singole assemblee è quello di agevolare la partecipazione assembleare e l’esercizio del diritto di
voto da parte degli investitori istituzionali italiani
ed esteri, in conformità alla prassi internazionale34.
34 V., sul punto, le osservazioni di Assogestioni,
cit., p. 2.
35 V. Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma 14.
Assonime, Consultazione, cit., p. 9 s.; nonché il parere
delle Commissioni II e VI riunite del Senato.
37 V. Assonime, La nuova disciplina del funzionamento dell’assemblea delle società quotate, Circolare n. 14/2011, in R. soc.
2011, p. 531; nonché B. Petrazzini, op. cit., p. 22.
38 V. la Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma
16, la quale dà anche conto di una prassi in tal senso con riferimento all’assemblea degli obbligazionisti.
36 Così
Inoltre, è stato espressamente disposto, al fine di
risolvere un problema di coordinamento tra disciplina speciale e disciplina codicistica, che, in caso
di conferimento della delega ad un rappresentante
in conflitto di interessi, non si applichi la norma generale di cui all’art. 1711, comma 2, c.c., in materia
di limiti del mandato, escludendosi quindi che il
rappresentante cui siano state attribuite deleghe di
voto possa discostarsi dalle istruzioni ricevute (v.
art. 135-decies, comma 1, ult. per.).
Passando all’art. 135-undecies t.u.f., il quale contempla la figura, introdotta dal d. legisl. n.
27/2010 nell’àmbito degli interventi volti a facilitare l’espressione del diritto di voto per delega,
del rappresentante designato dalla società, si è
prevista la possibilità di conferire la delega al rappresentante designato anche nelle convocazioni
successive alla prima, non ostandovi esigenze organizzative; ancora, si è precisato, al fine di meglio
garantirne il ruolo, che al medesimo non possano essere conferite deleghe se non nella suddetta
qualità e quindi attraverso le procedure previste
dall’articolo in commento35. In sede di redazione
del testo definitivo del decreto correttivo è stato
invece eliminato il divieto, originariamente previsto nello schema di decreto posto in consultazione
dal Ministero nel febbraio 2012, di delegare statutariamente agli amministratori la scelta se designare o meno un rappresentante. Siffatta eliminazione, che consente alle società di avere una certa
flessibilità nelle proprie scelte, sembra la soluzione
preferibile, anche alla luce della scarsa utilizzazione dell’istituto36.
Per quanto concerne specificamente la sollecitazione di deleghe di voto, il decreto correttivo
ha chiarito, sebbene alla medesima conclusione si
potesse giungere anche prima, sulla scorta, in particolare, delle disposizioni di regolamentazione secondaria (cfr. art. 138, commi 2 e 4, reg. emittenti),
che l’emittente rientra tra i soggetti che possono
farsi promotori di una sollecitazione di deleghe37.
Ulteriori interventi di modifica hanno poi riguardato, in primo luogo, l’estensione della disciplina della sollecitazione di deleghe di voto alle assemblee dei titolari di strumenti finanziari diversi
dalle azioni ammessi alla negoziazione su mercati
regolamentati (v. art. 137, comma 4-bis, t.u.f.), in
linea con le semplificazioni – che ne hanno ridotto
in misura significativa i costi – e le nuove caratteristiche dell’istituto della delega introdotte dal d.
legisl. n. 27/201038. In secondo luogo, si è distinto
tra fondato sospetto di violazione delle disposizioni in materia di sollecitazione di deleghe e accertata violazione delle stesse: l’attività di sollecitazione
543
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Le modifiche legislative in materia di diritti degli azionisti
può essere vietata dalla Consob solo in tale ultimo
caso, limitandosi, invece, la medesima, nella prima
ipotesi, a sospenderne l’attività [v. art. 144, comma 2, lett. b) t.u.f.].
7. Ulteriori interventi in materia di società
quotate: voto di lista, aumento del capitale
e relazioni finanziarie
Il decreto correttivo ha apportato modifiche, sia
meramente redazionali che di natura sostanziale,
anche ad altre disposizioni relative alla disciplina
delle società italiane con azioni quotate.
In primo luogo, detto decreto è intervenuto sul
meccanismo del voto di lista, nell’àmbito della
procedura di elezione dei membri del consiglio di
amministrazione, chiarendo che il deposito delle
liste di candidati è consentito solo dopo la convocazione dell’assemblea e prevedendo che le liste
possano essere depositate anche tramite un mezzo di comunicazione a distanza (v. art. 147-ter,
comma 1-bis, t.u.f.).
In secondo luogo, ha inserito un nuovo comma
nell’art. 158 t.u.f., in materia di aumento del capitale sociale, al fine di disciplinare la pubblicazione
della relazione o documentazione previste per il
caso di aumento di capitale da liberare mediante
conferimenti in natura (cfr. artt. 2343 e 2343-ter
c.c.). Dette relazioni devono essere messe a disposizione del pubblico con le modalità prescritte
dall’art. 125-ter, comma 1, t.u.f., almeno ventun
giorni prima dell’assemblea e fino a che quest’ultima non abbia deliberato, in analogia con quanto già previsto dall’art. 158, comma 2, t.u.f. per la
relazione illustrativa degli amministratori ai sensi
dell’art. 2441, comma 6, c.c. e il parere del revisore
legale o della società di revisione legale sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni.
Infine, gli interventi correttivi/integrativi hanno
riguardato l’art. 154-ter t.u.f., relativo alle relazioni
finanziarie, introdotto nel 2007 in attuazione della
Direttiva 2004/109/CE (c.d. Direttiva Transparency) e successivamente modificato più volte, anche con il d. legisl. n. 27/2010. In specie, la disposizione è stata rivista per tener conto dei diversi sistemi di amministrazione e controllo nelle s.p.a. e
delle differenze tra le rispettive discipline (nel modello dualistico la relazione finanziaria annuale include, salve le ipotesi di cui all’art. 2409-terdecies,
comma 2, c.c., il bilancio di esercizio approvato dal
consiglio di sorveglianza, in luogo del progetto di
bilancio). Inoltre, al fine di assicurare la tempestiva
messa a disposizione presso il pubblico della rela-
Studium Iuris, 5/2014
zione finanziaria annuale, è stato eliminato l’obbligo di pubblicazione contestuale della relazione di
revisione e della relazione dell’organo di controllo
ex art. 153 t.u.f., sebbene queste ultime continuino
a dover essere pubblicate entro 120 giorni dalla
chiusura dell’esercizio sociale.
8. Modifiche in materia di emittenti azioni diffuse e di società cooperative
Per concludere questo breve excursus sulle modifiche ed integrazioni apportate dal d. legisl. n.
91/2012, è opportuno dare conto di due ulteriori
interventi, l’uno relativo agli emittenti azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante, l’altro alle società cooperative con azioni quotate, accomunati
dal fatto di avere entrambi ad oggetto l’àmbito soggettivo di applicazione delle disposizioni attuative
della Direttiva 2007/36/CE.
Quanto al primo profilo, il decreto correttivo ha
abrogato il comma 2-ter dell’art. 116 t.u.f., introdotto dal d. legisl. n. 27/2010, che estendeva agli
emittenti azioni diffuse talune norme in materia
di avviso di convocazione e di informativa (pre)
assembleare.
La modifica è stata determinata da esigenze di
semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi ed economici, poiché l’applicazione delle
predette disposizioni aveva comportato oneri significativi a carico degli emittenti azioni diffuse;
circostanza cui si aggiunge anche il fatto che l’estensione di diverse disposizioni del d. legisl. n.
27/2010 agli emittenti ammessi su MTF ha determinato alcune sovrapposizioni e interferenze
laddove un emittente sia nel contempo diffuso e
ammesso alle negoziazioni in un sistema multilaterale di negoziazione39.
Per quanto concerne, invece, le società cooperative, il d. legisl. n. 91/2012 ha abrogato le norme
della sezione II-bis, capo II, titolo III, parte IV, del
t.u.f., ad eccezione del solo art. 135-bis (oggetto,
però, di significativa rivisitazione), riconsiderando
l’esclusione di detto tipo sociale dall’àmbito di applicazione delle norme sulla convocazione e sulla
informativa preassembleare. L’esclusione era stata
operata dal d. legisl. n. 27/2010, in attuazione del
criterio direttivo di cui all’art. 31, comma 1, lett. a),
della legge comunitaria 2008, la quale a sua volta sfruttava un’opzione contenuta nella Direttiva
2007/36/CE [v. art. 1, par. 3, lett. c)], della Direttiva).
544
39 V. Relazione al d. legisl. n. 91/2012, sub art. 3, comma 1.
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
A seguito di detta abrogazione e della contestuale riformulazione dell’art. 135-bis t.u.f. – il quale
continua ad elencare le disposizioni in materia di
diritti degli azionisti non applicabili alle cooperative – trovano oggi applicazione alle società cooperative quotate le previsioni concernenti l’avviso
di convocazione dell’assemblea, le relazioni sulle
materie all’ordine del giorno, il sito internet della
società, le convocazioni successive alla prima, l’integrazione dell’ordine del giorno e la presentazione di nuove proposte di delibera, oltre al voto per
corrispondenza o per via elettronica, le quali non
sono incompatibili con il tipo “società cooperativa”. È stata, invece, confermata la non applicabilità
a dette società degli artt. 127-ter (diritto di porre
domande prima dell’assemblea) e 127-quater t.u.f.
(maggiorazione del dividendo), che non trovano
riscontro in disposizioni anteriori alla novella del
2010; nonché degli artt. 127-bis (annullabilità
delle deliberazioni e diritto di recesso) e 125-bis,
comma 4, lett. b), n. 3, e lett. c) (quanto a talune
indicazioni da inserirsi nell’avviso di convocazione), in considerazione di altre esclusioni espressamente previste da singole disposizioni del t.u.f. (si
pensi alle norme della sezione II-ter, in materia di
deleghe di voto, e al sistema della record date di cui
all’art. 83-sexies, comma 2, t.u.f.).
Tra le eccezioni all’omogeneità di trattamento
rispetto alle s.p.a. quotate figurano anche la mancata estensione alle cooperative del termine più
lungo (di 40 giorni) di convocazione dell’assemblea chiamata ad eleggere, mediante voto di lista, i
componenti degli organi sociali (art. 125-bis, comma 2, t.u.f.) e la riduzione da quindici a dieci giorni
del termine entro cui dare notizia dell’integrazione
all’ordine del giorno o delle ulteriori proposte di
deliberazione (v. art. 135-bis, comma 3, t.u.f.).
Nonostante la Direttiva sui diritti degli azionisti consentisse agli Stati membri di escludere dal
suo àmbito di applicazione le società cooperative,
e la legge comunitaria 2008 si sia prontamente
avvalsa di detta facoltà, le disposizioni in materia
di convocazione e di informativa preassembleare
(con le eccezioni sopra viste) non sembrano in
contrasto con le specificità di detto tipo sociale, né
paiono idonee ad intaccare le peculiarità del relativo modello di governance40.
In conseguenza dell’applicazione alle società
cooperative dei termini di convocazione dell’assemblea e di pubblicazione della documentazione
assembleare previsti dall’art. 125-bis ss. t.u.f., vie40 V. la Relazione al d. legisl. n. 91/2012, nel commento sub
art. 3, commi 9, 10 e 11 - Modifiche alla sezione II-bis.
ne meno la necessità di rendere ad esse inapplicabili altre previsioni contenute nel capo II (si pensi,
ad esempio, all’art. 147-ter, comma 1-bis, t.u.f., relativo al deposito delle liste di candidati), le quali,
in effetti, non compaiono più tra le disposizioni
elencate nell’art. 135-bis t.u.f.
9. Modifiche al regolamento emittenti
Alle modifiche legislative sopra descritte hanno fatto seguito, nel 2013, alcuni interventi di
regolamentazione secondaria volti a modificare
il regolamento emittenti per adeguarne le disposizioni al mutato quadro legislativo nazionale ed
europeo.
Per quanto specificamente concerne le modifiche resesi necessarie a seguito dell’emanazione del
d. legisl. n. 91/2012, con delibera n. 18523 del 10
aprile 2013, la Consob ha, in primo luogo, provveduto a recepire le novità relative alla disciplina
delle società cooperative, di cui si è dato conto nel
paragrafo precedente. Le modifiche, conseguenti
alla intervenuta riformulazione dell’art. 135-bis,
comma 1, t.u.f., per effetto della quale alle società
cooperative si applicano oggi i medesimi termini di convocazione assembleare previsti dall’art.
125-bis, commi 1 e 3, t.u.f., consistono nell’abrogazione della disciplina speciale in materia di
obblighi informativi preassembleari precedentemente dettata dal reg. emittenti per le società cooperative (v. artt. 70 ss. reg. emittenti), essendone
venuta meno la ratio; nonché nella revisione degli
artt. 144-sexies e 144-octies reg. emittenti, aventi
ad oggetto i termini per il deposito e la pubblicazione delle liste per l’elezione dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, al fine,
parimenti, di prevedere un regime regolamentare
uniforme, valevole per tutte le società quotate, con
conseguente soppressione di termini differenziati
per le sole cooperative.
In secondo luogo, con successiva delibera n.
18612 del 17 luglio 2013, la Consob è intervenuta a regolare, ponendo mano al testo dell’art. 138
reg. emittenti, la possibilità di conferire e revocare
la delega di voto per l’assemblea anche mediante
documento informatico sottoscritto in forma elettronica (v. supra, par. 6) e a precisare, all’art. 84-ter
reg. emittenti, che la messa a disposizione delle relazioni illustrative sulle materie all’ordine del giorno deve avvenire entro il termine di pubblicazione
dell’avviso di convocazione previsto in ragione di
ciascuna delle materie da trattare, secondo quanto
oggi chiarito dall’art. 125-ter t.u.f. (v. supra, par. 3).
545
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MERITO CREDITIZIO, CAUSA IN CONCRETO E NULLITÀ DEL CONTRATTO DI MUTUO:
PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE (Seconda parte)*
di Cristiano Iurilli
Sommario: 5. La funzione pubblica o privata della disposizione di cui all’art. 124-bis T.U.B. ed i nuovi poteri riconosciuti in capo al Prefetto. – 6. Buona fede e trasparenza precontrattuale, tra regole di validità e regole di comportamento. – 7. Causa in concreto e nullità del contratto di mutuo in recenti interpretazioni giurisprudenziali.
5. La funzione pubblica o privata della disposizione di cui all’art. 124-bis T.U.B. ed i nuovi
poteri riconosciuti in capo al Prefetto
Al fine di garantire una effettiva applicazione
della richiamata norma, il Ministero dell’economia e delle finanze avrebbe dovuto, con il decreto
(esplicativo delle nuove disposizioni del T.U.B.)
del 3 febbraio 2011(Determinazioni in materia di
credito ai consumatori, in G.U. n. 29 del 5 febbraio 2011), prevedere una precisa sanzione con
riguardo all’ipotesi di violazione degli obblighi di
cui all’art. 124-bis. Tuttavia, l’art. 6 del citato testo
(verifica del merito creditizio del consumatore) si
è limitato a prevedere che «al fine di evitare comportamenti non prudenti e assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito, i finanziatori assolvono all’obbligo di verificare il merito
creditizio del consumatore, previsto dall’art. 124bis del T.U.B., applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio dei clienti previste
ai fini della sana e prudente gestione dei soggetti
vigilati dagli articoli 53, 67, 108, 109 e 114-quaterdecies del T.U.B. e dalle relative disposizioni di
attuazione», così omettendo l’individuazione della
possibile sanzione da applicare a fronte dell’omessa o non corretta valutazione del merito creditizio,
unicamente definendo tale possibile omissione
come comportamento “non prudente”.
Se in sede di prima interpretazione della norma
abbiamo ritenuto di potere proporre1 (pur in assenza di possibili richiami normativi o giurisprudenziali certi) la ricostruzione della fattispecie quale
ipotesi di pratica commerciale scorretta, o ancora
come ipotesi di nullità di protezione per violazione di norma imperativa (ove la norma di cui all’art.
124-bis possa considerarsi non come semplice
norma di comportamento, bensì di validità del contratto di credito), a seguito di nuovi interventi normativi e giurisprudenziali, riteniamo come l’ultima
ipotesi interpretativa citata debba essere sottoposta
a più approfondita valutazione, tentando di sciogliere l’interrogativo in ordine alla reale funzione,
pubblica o privata, della norma in parola.
Ed ove si propendesse per assegnare alla norma
una funzione pubblica di tutela, si dovrebbe risolvere l’ulteriore interrogativo se tale funzione possa
essere riferibile unicamente all’esigenza pubblicistica di corretta allocazione delle risorse bancarie o
se possa riferirsi in via diretta, e non solo eventuale, alla funzione di prevenzione del sovraindebitamento, tenendo tuttavia in giusta considerazione la necessità, rilevata da parte della dottrina, di
evitare esiti aberranti per una interpretazione che
potrebbe condurre a tracciare una responsabilità
del creditore per ogni ipotesi di sovraindebitamento dovuta all’erogazione di un nuovo credito
o all’ampliamento di un credito preesistente al fine
di estinguere una pregressa posizione debitoria2.
* Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato
da un componente del Comitato per la valutazione scientifica.
1 Iurilli, Il credito ai consumatori, in La disciplina dei rapporti
bancari, Padova 2012, p. 461 ss.
2 Simionato, Prime note in tema di valutazione del merito creditizio del consumatore nella Direttiva 2008/48/CE, in La nuova
disciplina europea del credito al consumo, Torino 2009, p. 189 e
p. 191.
546
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Studium Iuris, 5/2014
Attualità e saggi
Al fine comunque di un corretto approccio in
ordine alla o alle soluzioni inerenti i su esposti interrogativi, non si può trascurare un recente provvedimento della Banca d’Italia (Provvedimento del
13 novembre 2012), con cui – in recepimento dei
contenuti dell’art. 27-bis, comma 1-quinquies, del d.l.
24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni
dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 (come modificato dal
d.l. 24 marzo 2012, n. 29, convertito con modificazioni dalla l. 18 maggio 2012, n. 62) – sono state
apportate rilevanti modifiche alle “Disposizioni sui
sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in
materia di operazioni e servizi bancari e finanziari”; per
quanto di nostro interesse, si fa riferimento ai nuovi
poteri attribuiti da detta norma al Prefetto in materia
di segnalazioni all’Arbitro Bancario e Finanziario nel
settore del merito creditizio. La nuova disposizione,
infatti, nel prevedere che «ove lo ritenga necessario
e motivato, il Prefetto segnala all’Arbitro Bancario e
Finanziario… specifiche problematiche relative ad
operazioni e servizi bancari e finanziari. La segnalazione avviene a seguito di istanza del cliente in forma riservata e dopo che il Prefetto ha invitato la banca in questione… a fornire una risposta argomentata
sulla meritevolezza del credito…», offre nuovi ed
ulteriori spunti di riflessione.
Se questo risulta essere il contenuto dell’art. 27bis, comma 1-quinquies, il provvedimento della Banca d’Italia prosegue chiarendo come vada applicato
ai rapporti tra banche e clienti nel caso in cui la contestazione nei confronti della banca tragga origine
dalla mancata erogazione, dal mancato incremento
o dalla revoca di un finanziamento, dall’inasprimento delle condizioni applicate ad un rapporto di
finanziamento o da altri comportamenti della banca
conseguenti alla valutazione del merito creditizio.
Pur se tra i casi citati non risulta essere riportata
la specifica ipotesi oggetto della nostra analisi, un
dato risulta incontrovertibile, e cioè quello di avere
attribuito, mediante i nuovi poteri di segnalazione riconosciuti in capo al Prefetto (seppure unicamente prodromici ad una valutazione da parte
3 I nuovi poteri risultano essere già stati oggetto di applicazioni concrete: si richiamano, in proposito, le decisioni del Collegio di Milano dell’Arbitro Bancario e Finanziario n. 649 del
1° febbraio 2013 e n. 756 dell’8 febbraio 2013, pubblicate sul
sito www.arbitrobancariofinanziario.it, in tema rispettivamente
di revoca di affidamenti in essere e blocco di operatività di linea
di credito.
4 Cfr., per tutti, Pietrobon, L’errore nella dottrina del negozio
giuridico, Padova 1963.
5 Le regole di comportamento avrebbero come scopo quello
di tutelare un interesse specifico e puntuale del singolo contraente, mentre quelle di validità dovrebbero essere collegate ad
un comportamento riconducibile ad un vizio invalidante.
dell’A.B.F.), rilevanza “pubblica” alle problematiche inerenti la non corretta valutazione del merito
creditizio del cliente3.
6. Buona fede e trasparenza precontrattuale,
tra regole di validità e regole di comportamento
In mancanza di una norma che in maniera
espressa colleghi una specifica sanzione al verificarsi dei richiamati comportamenti (riferibili ad
una colposa o più spesso dolosa valutazione del
merito creditizio nella fase di nuova erogazione
di un diverso finanziamento al fine esclusivo di
estinguere una pregressa posizione debitoria esistente nei confronti del medesimo finanziatore),
si potrebbe facilmente concludere nel senso della
esistenza di una ipotesi di responsabilità risarcitoria in capo al finanziatore per violazione di regole
di comportamento: proprio il tema dei rapporti tra
regole di validità e regole di comportamento deve considerarsi quale passaggio necessario nell’analisi dei nuovi orizzonti applicativi delle regole
generali di buona fede, correttezza e trasparenza
nei rapporti contrattuali, in particolare nell’àmbito
delle operazioni di erogazione del credito.
La questione, oramai oggetto di numerosi approfondimenti interpretativi in dottrina, e ancor
più nella giurisprudenza di legittimità, involge la
problematica della catalogazione degli obblighi
informativi precontrattuali previsti dal legislatore
nelle rispettive categorie afferenti le regole di validità o le regole di comportamento: l’interrogativo
da sciogliere, nel caso in esame, dovrebbe dunque
essere duplice, dovendosi preliminarmente ricostruire l’obbligo di valutazione del merito creditizio preliminare alla conclusione del contratto
quale mero obbligo informativo (o meno) e, successivamente, inserire detto obbligo nell’una o
nell’altra categoria.
La distinzione tra regole di validità e regole di
comportamento4 si collega direttamente alla frequente sovrapposizione-interferenza tra le norme
che disciplinano la responsabilità precontrattuale
e quelle che regolano i vizi del consenso e, in generale, la disciplina delle invalidità contrattuali, concernendo queste ultime la struttura del contratto
(al fine di definire le condizioni necessarie affinché l’atto sia vincolante per le parti) e risultando
le prime finalizzate ad assicurare la correttezza e
la moralità nelle contrattazioni: le prime dunque
aventi una sorta di rilevanza privata, le seconde
una funzione pubblica5.
547
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Merito creditizio, causa in concreto e nullità del contratto di mutuo
Dunque le regole di validità avrebbero come
obiettivo il raggiungimento della certezza giuridica
del contratto, mentre le regole di comportamento
tenderebbero al raggiungimento della giustizia sostanziale, operando le prime su un piano riservato alla valutazione esclusiva dell’ordinamento e le seconde invece come “regole elastiche”, in quanto risultanti dalla concretizzazione di una clausola generale6.
Il principio di non interferenza tra i due descritti
àmbiti, chiaramente espresso in una importante
pronuncia della Suprema Corte della Cassazione
di qualche tempo fa avente ad oggetto la natura
degli effetti conseguenti alla violazione degli obblighi informativi da parte di un intermediario finanziario7, veniva di fatto ricondotto a due capisaldi individuati nell’indeducibilità dell’invalidità
negoziale dal comportamento scorretto in sede
pre-negoziale (rimanendo così escluso che la responsabilità precontrattuale abbia una funzione
integrativa o di chiusura del sistema delle invalidità negoziali) e nella compatibilità della “risarcibilità
del danno da scorrettezza contrattuale in costanza
di contratto valido” con il principio di certezza e
stabilità dei fatti giuridici8.
Invero, secondo tale sentenza, i comportamenti
tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimarrebbero estranei
al contratto inteso quale atto e, come tali, nel caso
di una loro eventuale illegittimità, non potrebbero
dare luogo a nullità del contratto, quale che sia la
natura delle norme violate, salva l’ipotesi in cui tale incidenza non risulti espressamente prevista dal
legislatore.
Ma già all’epoca la dottrina riteneva di dovere
procedere ad una rivalutazione ed una rimeditazione del principio di non interferenza, soprattutto
con riguardo all’aspetto della violazione della buona fede come causa d’invalidità9.
Successivamente, il principio di non interferenza è stato messo in discussione, in giurisprudenza, con l’ordinanza della Suprema Corte del 16
febbraio 2007, n. 368310, con cui – contestate le
conclusioni della sentenza n. 19024 – la soluzione è stata rimessa alle sezioni unite11, sottolineandosi da un lato la persistenza di un orientamento
di segno diverso che in una pluralità di occasioni
avrebbe evidenziato la presenza di nullità virtuali
per la violazione di norme imperative concernenti
l’attuazione di adempimenti preliminari o le modalità esecutive del rapporto contrattuale, e dall’altro che il superamento del principio in questione
giustificherebbe il ricorso alle nullità virtuali per la
violazione di regole di condotta sancite da norme
imperative12.
Studium Iuris, 5/2014
Le sezioni unite, chiamate a dirimere il conflitto, hanno ritenuto di dovere avallare la distinzione
tra regole di validità e regole di comportamento,
evidenziando ancora una volta come in fondo la
citata distinzione «sarebbe oramai fortemente radicata nei principi del nostro codice civile», mediante richiami alla disciplina prevista in tema di
annullamento per dolo o violenza e in tema di re6 D’amico, La responsabilità precontrattuale, in Trattato Roppo,
Milano 2006, V, t. 2, p. 1001 ss.
7 Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, in F. it. 2006, I, c. 1106
ss.: sul tema, in dottrina, cfr. Scoditti, Regole di comportamento e
regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale
nota a Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, ivi, c.
1106 ss.
8 Scoditti, op. cit., p. 1108 ss.
9 Galgano, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente
forte, in Contratto e impr. 1997, 3, p. 423 ss.
10 Ordinanza 16 febbraio 2007, n. 3683, in F. it. 2007, I, c.
2094 ss.
11 L’ordinanza n. 3683/07 muove dalla premessa che la
pronuncia n. 19024/05, sulla base del tradizionale principio
di non interferenza, esclude che la violazione dei doveri di informazione possa incidere sulla validità del contratto, e su tale
punto esprime un esplicito dissenso. Così si legge più in particolare: «... tuttavia una pluralità di indici pone in evidenza un
tendenziale inserimento, in sede normativa, del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto:
a) in particolare, l’art. 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, nel
disciplinare la fattispecie dell’abuso di dipendenza economica,
stabilisce la nullità del patto attraverso il quale detto abuso si
realizza, qualora ricorra il duplice presupposto delle condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatone e
della loro imposizione da parte di un’(impresa) contraente nei
confronti di un’altra che versi in uno stato di dipendenza economica; b) in materia di contratti a distanza, con particolare
riguardo al caso di comunicazioni telefoniche l’art. 53, comma
3, del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)
stabilisce, a pena di nullità del contratto, che l’identità del fornitore e lo scopo commerciale della telefonata devono essere
dichiarati in modo inequivocabile all’inizio della telefonata; c)
con riferimento ai contratti dei consumatori, la vessatorietà e
la conseguente nullità della clausola restano escluse in caso di
trattativa specifica sulla stessa e quindi in presenza di uno specifico dato comportamentale (art. 34 del codice del consumo,
cit.); d) l’art. 7 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, nello stabilire
la nullità dell’accordo sulla data del pagamento che risulti gravemente iniquo in danno del creditore, considera gravemente
iniquo, tra l’altro, l’accordo con il quale l’appaltatore imponga
al proprio fornitore termini di pagamento ingiustificatamente
più lunghi rispetto ai termini ad esso concessi, così attribuendo
rilevanza ai fini dell’invalidità del negozio ad un comportamento (l’imposizione di una clausola) rilevante in sede di formazione dell’accordo; e) anche nella fattispecie relativa all’abuso
di posizione dominante previsto dalla normativa antitrust di
cui all’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, si configura il
concorso di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose
e della condotta impositiva di una clausola...».
12 Scoditti, Regole di comportamento e regole di validità nei contratti su strumenti finanziari: la questione alle Sezioni Unite, nota a
Cass. civ., sez. I, ord., 16 febbraio 2007, n. 3683, in F. it. 2007,
I, c. 2094 ss.
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Attualità e saggi
scissione per lesione, ove, al verificarsi di una violazione della correttezza e della buona fede, non
«deriverebbe una nullità radicale dell’atto»13: è
stato dunque riaffermato il valore della distinzione
tra regole di validità e regole di comportamento
anche sulla base di un atteggiamento prudenziale,
in relazione all’enunciazione di principi generali che avrebbero inciso ed influito pesantemente,
nonché direttamente sulle scelte applicative degli
interpreti.
Se questa risulta essere la posizione adottata
dalle sezioni unite, non riteniamo possano tacersi
i recenti sviluppi normativi, in particolare in àmbito di rapporti e relazioni tra banca e cliente (ed
in quelle transazioni commerciali ove si verifichi,
già per loro natura, un grave squilibrio di forza tra
i contraenti), idonei ad indurre a sussumere, in talune precise ipotesi, fatti e comportamenti precontrattuali in sede contrattuale, con indubbi riflessi
sulla validità del contrato medesimo14.
Lungi dal volere destrutturare le conclusioni
delle sezioni unite mediante il semplice richiamo
alla disposizione di cui all’art. 124-bis del T.U.B.15,
riteniamo siano necessarie ulteriori considerazioni che partano dal considerare il richiamato articolo, nella particolare fattispecie applicativa oggetto
di analisi, come eccezione al principio generale di
non interferenza tra regole di validità e regole di
comportamento, per più ordini di motivi.
Innanzi tutto, appare chiaro come – anche se solo sulla base di una normativa di carattere secondario16 – la norma sulla valutazione del merito creditizio abbia assunto una spiccata funzione pubblica,
quale norma imperativa alla cui violazione potrebbero ricondursi ipotesi di nullità contrattuali.
Altresì, e riconducendo l’analisi alla regola generale di buona fede (di cui l’art. 124-bis T.U.B.
potrebbe considerarsi diretta applicazione), non
può tacersi l’impatto della normativa comunitaria
13 In dottrina, in tal senso, Sapone, La responsabilità precontrattuale, Milano 2008, p. 328 ss.
14 Oltre alle citate regole in materia di trasparenza bancaria
in generale e di nuova disciplina del credito ai consumatori, si
pensi alla disposizione di cui all’art. 67-septiesdecies, comma 4,
del codice di consumo, con cui il nostro legislatore ha previsto la nullità dei contratti di prestazione a distanza dei servizi
finanziari ove il fornitore violi gli obblighi informativi precontrattuali in modo da alterare significativamente la rappresentazione delle caratteristiche del servizio.
15 Peraltro fallace nel testo, così come già evidenziato.
16 Il riferimento è alla già citata nuova Sezione VI-bis delle
“Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari”, in tema di
poteri di segnalazione del Prefetto all’Arbitro Bancario e Finanziario, del 13 novembre 2012.
sulla classica impostazione regole di validità-regole di comportamento: ad esempio, è proprio l’art.
33, comma 1, del Codice del consumo che, richiamando il giudizio di vessatorietà di una clausola
contrattuale, fa riferimento al duplice requisito
dello squilibrio di diritti ed obblighi e della contrarietà alla buona fede, la quale diverrebbe regola di
validità dell’atto.
Si potrebbe, dunque, affermare come il comportamento precontrattuale caratterizzato da una
colposa e più spesso dolosa omissione di adeguata e corretta valutazione del merito creditizio, nella
ipotesi applicativa delineata, possa essere fatto rientrare in quelle fattispecie caratterizzate da un disvalore tale da andare ad incidere sull’assetto concreto che le parti avrebbero voluto dare ai propri
interessi, ove in tal caso l’interesse di riferimento
sarebbe quello dell’indebitato.
La violazione della regola di cui all’art. 124-bis
T.U.B. comporterebbe, dunque, un’anomalia nella
formazione o manifestazione della volontà delle
parti ovvero una difformità del regolamento pattuito rispetto alle valutazioni di liceità dell’ordinamento giuridico ovvero ancora un’anomalia che
andrebbe a colpire la causa stessa del contratto di
finanziamento.
In relazione, dunque, alla peculiarità del caso
concreto analizzato, l’obbligo di valutazione del
merito creditizio preliminare alla conclusione del
contratto non consisterebbe in un mero obbligo
informativo, bensì assurgerebbe a elemento costitutivo della fattispecie contrattuale avente ad
oggetto una ulteriore erogazione del credito, potendo così essere inserito nell’alveo delle regole di
validità.
E ciò sembrerebbe avvalorato anche dall’analisi
della più recente giurisprudenza di merito.
7. Causa in concreto e nullità del contratto
di mutuo in recenti interpretazioni giurisprudenziali
Sulla base delle conclusioni raggiunte e degli approfondimenti compiuti in merito alla generale e
diretta incidenza, sulla validità dell’atto negoziale,
di violazioni di mere regole riferibili ai principi di
correttezza e buona fede, si potrebbe concludere
che ancora oggi vigerebbe nel nostro ordinamento
una impostazione generale in base alla quale le regole non scritte di correttezza e buona fede in tanto potrebbero invalidare il contratto in quanto il
legislatore espressamente le abbia tradotte in limiti
all’autonomia privata, contemplandone l’inosser-
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Merito creditizio, causa in concreto e nullità del contratto di mutuo
vanza tra gli elementi costitutivi di una determinata fattispecie di invalidità: ciò si verificherebbe,
a maggior ragione, in ipotesi in cui alla violazione
della correttezza si aggiungano altri elementi idonei a realizzare determinate fattispecie dalle quali
la legge faccia discendere l’invalidità del contratto.
Stante, dunque, la posizione interpretativa delineata, volta ad inserire la disposizione di cui all’art.
124-bis T.U.B nell’alveo delle regole di invalidità,
risulterebbe necessario ricercare quegli “altri elementi” che potrebbero indurre a riconoscere efficacia negoziale invalidante al comportamento
precontrattuale consistente nella colposa o spesso dolosa valutazione del merito creditizio in una
operazione di erogazione di nuovo e differente
finanziamento volto ad estinguere una posizione
debitoria esistente, nei casi in cui la figura del creditore e del nuovo finanziatore vadano a coincidere: detto ulteriore elemento, che quindi andrebbe
a qualificare contrattualmente il comportamento
precontrattuale descritto, potrebbe essere individuato nella (mancanza di) causa “in concreto”
del nuovo contratto di mutuo-finanziamento. La
carenza di quest’ultima, ovvero la sua non corrispondenza al tipo negoziale richiamato, unitamente alla rilevanza data al comportamento posto
in violazione dell’art. 124-bis T.U.B., esprimerebbe un disvalore che avrebbe come conseguenza la
negazione degli effetti del contratto.
Tali conclusioni potrebbero essere avvalorate
sia mediante un mero riferimento al contratto di
mutuo, in una sua visione funzionale e teleologica,
sia per il tramite di recenti richiami giurisprudenziali che andrebbero così a corroborare tale nostra
impostazione.
Innanzi tutto, il mutuo, costituendo il paradigma dei contratti aventi funzione creditizia, è riconducibile, sia nella sua figura tipica sia in alcune sue
ipotesi operative specifiche, quale ad esempio il
mutuo di scopo, all’interno dell’àmbito oggettivo
di cui all’articolo 122 T.U.B., nei limiti qualitativi e
quantitativi ivi delineati17: se la finalità pratica del
contratto dovrebbe individuarsi nell’assicurare al
mutuatario la disponibilità piena e reale delle cose
mutuate, trasferendo a costui la proprietà dei beni
o somme di denaro considerati18, questo stesso
interesse del mutuatario dovrebbe essere considerato elemento essenziale nell’interpretazione
del contratto, volta a valutare l’esistenza della sua
causa in concreto.
Tale interpretazione dovrà, dunque, svolgersi
non “in astratto”, bensì “in concreto”, onde verificare – secondo il disposto degli artt. 1343 e 1344
c.c. – la conformità a legge dell’attività negoziale
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posta in essere dalle parti e quindi la riconoscibilità nella specie della tutela apprestata dall’ordinamento giuridico, mediante una indagine in ordine
alla funzione obiettiva del negozio posto in essere che non potrà prescindere dalla valutazione di
ulteriori elementi, quali appunto i comportamenti
tenuti dalle parti nelle fasi pregresse, coeve e successive alla conclusione del contratto.
E, ove da tale indagine risultasse un comportamento di una od entrambe le parti volto ad utilizzare un determinato modello negoziale onde
17 Art. 122 T.U.B. (Àmbito di applicazione) «1. Le disposizioni del presente capo si applicano ai contratti di credito
comunque denominati, a eccezione dei seguenti casi: a) finanziamenti di importo inferiore a 200 euro o superiore a 75.000
euro. Ai fini del computo della soglia minima si prendono in
considerazione anche i crediti frazionati concessi attraverso
più contratti, se questi sono riconducibili a una medesima operazione economica; b) contratti di somministrazione previsti
dagli articoli 1559 e seguenti del codice civile e contratti di appalto di cui all’articolo 1677 del codice civile; c) finanziamenti
nei quali è escluso il pagamento di interessi o di altri oneri;
d) finanziamenti a fronte dei quali il consumatore è tenuto a
corrispondere esclusivamente commissioni per un importo
non significativo, qualora il rimborso del credito debba avvenire entro tre mesi dall’utilizzo delle somme; e) finanziamenti
destinati all’acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato;
f) finanziamenti garantiti da ipoteca su beni immobili aventi
una durata superiore a cinque anni; g) finanziamenti, concessi
da banche o da imprese di investimento, finalizzati a effettuare
un’operazione avente a oggetto strumenti finanziari quali definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio
1998, n. 58, e successive modificazioni, purché il finanziatore
partecipi all’operazione; h) finanziamenti concessi in base a un
accordo raggiunto dinanzi all’autorità giudiziaria o a un’altra
autorità prevista dalla legge; i) dilazioni del pagamento di un
debito preesistente concesse gratuitamente dal finanziatore; l) finanziamenti garantiti da pegno su un bene mobile, se
il consumatore non è obbligato per un ammontare eccedente
il valore del bene; m) contratti di locazione, a condizione che
in essi sia prevista l’espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza
corrispettivo, al locatario; n) iniziative di microcredito ai sensi
dell’articolo 111 e altri contratti di credito individuati con legge
relativi a prestiti concessi a un pubblico ristretto, con finalità di
interesse generale, che non prevedono il pagamento di interessi o prevedono tassi inferiori a quelli prevalenti sul mercato
oppure ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore
rispetto a quelle prevalenti sul mercato e a tassi d’interesse non
superiori a quelli prevalenti sul mercato; o) contratti di credito
sotto forma di sconfinamento del conto corrente, salvo quanto
disposto dall’articolo 125-octies…».
18 In dottrina, sugli elementi tipici del contratto di mutuo, cfr.
Fragali, Del mutuo, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma
1966; Giampiccolo, voce Mutuo, in Enc. dir., XXVII, Milano
1977; Grassani, voce Mutuo (dir. civ.), in Nov. D. it., Torino
1964; Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 1995; Mastropaolo, I contratti reali, in Tratt.
Sacco, Torino 1999; Simonetto, voce Mutuo, in Enc. giur., XX,
Roma 1990; Teti, Il mutuo, in Tratt. Rescigno, XII, Torino 1985.
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Attualità e saggi
realizzare una funzione obiettiva non solo diversa da quella per la quale tale strumento giuridico
è previsto dalla legge, ma anche in contrasto con
norme imperative (ciò che caratterizza l’illiceità
della causa), il giudice dovrebbe negare al negozio
posto in essere dalle parti medesime la tutela apprestata dall’ordinamento: e proprio questo collegamento tra comportamenti precontrattuali posti
in violazione delle regole di buona fede e correttezza e l’analisi della causa in concreto della nuova
operazione di mutuo-finanziamento (a copertura
di una pregressa posizione creditoria) è stato oggetto di interessanti e recenti interpretazioni giurisprudenziali.
Nella giurisprudenza di merito più recente, in
particolare in un giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo emesso ad istanza di un istituto bancario, con cui si ingiungeva il pagamento di una
somma di denaro a titolo di ratei di mutuo (di cui
non veniva individuata la specificità), il Tribunale
di Lecce, sezione di Casarano, con una ordinanza
del 31 gennaio 201319, così si è espresso: «considerato che, allo stato e salva più approfondita
valutazione in sede di merito, l’assunto di un collegamento negoziale tra il mutuo e l’esposizione
debitoria riveniente dal c/c non sembrerebbe assolutamente sfornita di riscontri, in ragione del
documentato accredito della somma mutuata sul
c/c... e dell’assenza di un riscontro circa la disposizione della medesima in data successiva; ... considerato che, ove si ritenesse provato tale dato, il
contratto di mutuo sembrerebbe poter difettare
della causa sua propria giacche importante non già
un finanziamento alla parte mutuataria ma solo la
sostituzione di un debito con un altro, a scadenza differenziata, munito, a differenza del primo,
di una situazione di certezza che il vecchio debito
non sembra possedere... ; considerato che il difetto
di causa, ove sussistente, importerebbe la nullità
del contratto... PQM sospende la provvisoria esecutività del detto opposto».
Ed ancora, con meno recente provvedimento
datato 29 giugno 2012, il Tribunale di Busto Arsizio20, in un procedimento di reclamo proposto
avverso un’ordinanza del medesimo giudicante
con cui si sospendeva una procedura esecutiva,
così si è espresso: «... nella fattispecie esaminata,
prima facie non sussiste dubbio che la dazione
della somma mutuata abbia creato, seppur formalmente, una disponibilità finanziaria in capo
19 In www.ilcaso.it, 2013.
20 In www.disastroderivati.it, 2013.
21 In CED Cassazione, 2012.
allo stesso mutuatario, di tal che il contratto deve
ritenersi effettivamente concluso; ma di fatto l’operazione di credito fondiario sarebbe stata svolta
perché ripianasse i debiti nei confronti della banca,
sostituendo i debiti originari con altri debiti assistiti da garanzie. Nel caso di specie la particolarità
è che l’istituto di credito concedente era già creditore dell’odierno reclamato e la somma mutuata,
di fatto, è stata versata per ripianare le passività
nei confronti della stessa banca, sicché il debito è
rimasto sostanzialmente invariato pur se rafforzato da una garanzia reale... La fattispecie appare
quindi viziata sotto il profilo causale, in quanto la
causa concreta di garanzia è incompatibile con la
ratio del contratto di mutuo e così affetta da nullità:
ed infatti, il contratto di mutuo è un contratto reale
avente quale oggetto denaro o altre cose fungibili, ed assolve sostanzialmente ad una funzione di
prestito... Deve dunque conformarsi il provvedimento di sospensione impugnato».
Anche la giurisprudenza di legittimità ha avuto
modo di pronunciarsi sul tema: si può ad esempio ricordare la sentenza della Cass. civ., sez. III,
24 gennaio 2012, n. 94321, ove i giudici hanno
rilevato come nei cc.dd. mutui di scopo legale la
destinazione delle somme mutuate costituisca
parte inscindibile del regolamento di interessi voluto dai contraenti. In particolare, si è affermato
che «… il relativo impegno assunto dal mutuatario
interviene dunque nel sinallagma, con rilevanza
corrispettiva rispetto all’attribuzione della somma
assumendo rilievo causale nell’economia contrattuale: poiché il mutuatario non si obbliga solo a
restituire la somma mutuata, con i relativi interessi, ma anche a realizzare l’attività programmata,
siffatto impegno assume rilievo causale nell’economia del contratto e, pertanto, l’accertamento di
un eventuale difetto di causa non può prescindere
dalla verifica dell’attuazione o meno di tale risultato, con la conseguenza che il patto di compensazione tra un debito preesistente nei confronti del
mutuante e le somme mutuate, con la parziale utilizzazione di queste ultime per estinguere i debiti
precedentemente contratti dal mutuatario verso il
mutuante, non determinano la nullità del contratto per mancanza originaria della causa, solo qualora risulti realizzata l’opera per la quale i finanziamenti erano stati concessi».
Dunque, la rilevanza attribuita dalla giurisprudenza all’interpretazione e valutazione della causa
in concreto nel contratto di mutuo in termini generali (a prescindere dalla ultima e specifica ipotesi
applicativa) potrebbe ricondursi a quell’ulteriore
elemento che, unitamente alla c.d. “funzione pub-
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Merito creditizio, causa in concreto e nullità del contratto di mutuo
blica di tutela” attribuibile all’art. 124-bis del T.U.B.,
potrebbe indurre l’interprete a ricondurre la citata
disposizione, nella peculiare applicazione oggetto
della nostra analisi, nell’alveo delle cc.dd. regole di
validità, così individuando nello strumento della
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nullità quella sanzione civile il cui richiamo risulta
essere stato omesso dal nostro legislatore.
Ciò permetterebbe di assegnare la dovuta dignità ad una disposizione che, altrimenti interpretata,
assurgerebbe a mero vezzo normativo.
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Lezioni
RESPONSABILITÀ DELL’AVVOCATO: IL PROFESSIONISTA È LIBERATO
SOLO SE LE DIRETTIVE SULLE MODALITÀ DI ESPLETAMENTO DELL’INCARICO
VENGONO DATE DA UN CLIENTE ADEGUATAMENTE INFORMATO*
di Camilla Fin
Sommario: 1. Il caso. – 2. Fonte e natura degli obblighi di informazione gravanti sul professionista. – 3. La rilevanza
giuridica delle direttive “informate” fornite all’avvocato dal cliente.
1. Il caso
In un caso deciso dal Tribunale di Verona1,
marito e moglie avevano citato in giudizio l’avvocato che li aveva assistiti nei primi due gradi
di un processo penale, all’esito dei quali gli stessi
erano stati condannati, in concorso tra loro, per
il reato di usura aggravata. Essi, in particolare,
avevano chiesto la condanna del professionista
al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito della sentenza emessa
a loro carico, per l’essersi questa rivelata sostanzialmente ingiusta, posto che i medesimi erano
stati successivamente assolti, per intervenuta
prescrizione del reato, nel giudizio promosso,
con l’assistenza di altri avvocati, avanti alla Corte di cassazione.
Più precisamente, dinnanzi al giudice civile gli
attori avevano sostenuto che l’esito infausto del
processo in primo grado e in appello era stato dovuto all’inadempimento, da parte del difensore,
delle obbligazioni derivanti dal contratto di prestazione d’opera intellettuale, poiché egli, sotto un
primo profilo, non aveva eccepito l’inutilizzabilità
di una registrazione ambientale che, a loro dire,
sarebbe stata la prova principale su cui era stato
fondato il giudizio di colpevolezza e, in secondo
luogo, aveva mancato di rilevare e di dedurre l’estinzione del reato per prescrizione, la quale, già
* Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato
da un componente del Comitato per la valutazione scientifica.
1 Trib. Verona 28 maggio 2013, ined.
maturata al tempo in cui egli curava la loro difesa
nel processo, era stata, infatti, più tardi dichiarata
dalla Corte di legittimità.
Il convenuto, per parte sua, aveva resistito
nel giudizio evidenziando come, da un lato, la
condanna degli attori al reato di usura fosse stata pronunciata sulla scorta di numerose prove,
cosicché sarebbe mancato l’asserito carattere decisivo della predetta registrazione ambientale, e
dall’altro lato, l’intera strategia difensiva, e in particolare la scelta di non sollevare l’eccezione di
prescrizione, fosse stata frutto di una valutazione
condivisa con (e finanche imposta da) i clienti, i
quali avevano a suo tempo reso manifesto il loro interesse a conseguire un proscioglimento nel
merito.
Il Tribunale, ritenuti infondati gli addebiti
mossi all’avvocato circa la mancata contestazione dell’utilizzabilità della registrazione per difetto
del nesso causale tra questa e la condanna degli
attori, ha riconosciuto invece una sua responsabilità con riferimento all’omesso rilievo della
prescrizione del reato, condannandolo conseguentemente alla rifusione delle spese sostenute dagli attori per la proposizione del ricorso per
cassazione.
In particolare, dopo avere considerato che, in
via generale, l’avvocato che manchi di scorgere
l’intervenuta prescrizione – tanto in campo civile,
quanto in campo penale – incorre in un’omissione imputabile a titolo di semplice negligenza (trattandosi di un accertamento che rientra nei compiti elementari di ciascun professionista operante
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Responsabilità dell’avvocato
Studium Iuris, 5/2014
nel settore)2, il Tribunale ha statuito che laddove
intenda invece dimostrare che l’omissione è stata
dovuta a una scelta riconducibile alla volontà del
cliente e che, pertanto, il mancato perseguimento del risultato avuto di mira non è sé medesimo
ascrivibile, deve assolvere a taluni, specifici oneri
probatori.
Precisamente, sul professionista deve ritenersi
gravare l’onere, in primo luogo, di dimostrare di
avere adempiuto ai propri obblighi informativi nei
confronti dell’assistito, i quali trovano fondamento negli artt. 1175 e 1176 c.c. e hanno ad oggetto
l’esposizione non soltanto delle possibili strategie
difensive (nel caso di specie, la possibilità di sollevare l’eccezione di prescrizione), ma anche delle
eventuali conseguenze che dall’uniformarsi o non
ad esse possano derivare; in secondo luogo, di dare prova del fatto che vi è stata un’effettiva (e, alla
luce di quanto sopra, informata) manifestazione di
volontà da parte del cliente di attuare quella particolare linea difensiva che ha dato causa al risultato
sfavorevole3.
Non avendo il professionista fornito siffatta
duplice prova, nella fattispecie in esame, il Tribunale ha ritenuto sussistente la sua esclusiva
responsabilità per l’esito infausto del processo,
reputando, altresì, sussistente il nesso causale tra
l’omesso rilievo della prescrizione e la condanna degli attori4, ossia tra la condotta e il danno,
secondo un criterio prognostico di tipo probabilistico, qual è quello che deve essere utilizzato
– secondo i più recenti insegnamenti della Suprema Corte5 – al fine di accertare il nesso causale tra l’omissione colposa del professionista e il
successivo evento dannoso.
2. Fonte e natura degli obblighi di infor-
mazione gravanti sul professionista
I problemi affrontati dalla pronuncia in esame e
quelli con essi collegati sono numerosi6. Di seguito, esamineremo i due principali: il primo, espressamente preso in considerazione dalla sentenza
del Tribunale di Verona, attiene alla fonte e alla
natura degli obblighi di informazione gravanti sul
professionista; il secondo, che non è invece stato
fatto oggetto di specifica attenzione, dal momento
che la questione non si è posta al giudice nel caso concreto7, riguarda il piano sul quale avrebbe
potuto eventualmente esplicare efficacia la scelta
informata del cliente della strategia difensiva, poi
rivelatasi infausta.
Per quanto riguarda la natura giuridica degli ob-
blighi informativi rimasti inadempiuti, occorre innanzitutto stabilire se, nella particolare fattispecie
esaminata, questi costituissero specificazione del
generale dovere delle parti di comportarsi in modo leale durante le trattative oppure trovassero la
loro fonte nel contratto di prestazione d’opera professionale intercorso tra avvocato e cliente. Come
la pronuncia in commento ha evidenziato, l’esigenza di un’attività informativa del professionista,
che sorge già nella fase precontrattuale8 – essendo
funzionale all’acquisizione del consenso informato del cliente –, permane poi durante tutto il corso
del rapporto, ed è perciò opportuno determinare
con precisione se, nel caso di specie, ci si trovasse
nell’una o nell’altra ipotesi9, considerate le certa2 Tale affermazione del Tribunale pare doversi intendere nel
senso che, non trattandosi di un problema tecnico di speciale
difficoltà, riconducibile in quanto tale alla previsione dell’art.
2236 c.c. (il quale, per essere superato, richiederebbe una perizia superiore a quella che si esige dalla categoria cui il professionista appartiene: Cattaneo, La responsabilità del professionista, Milano 1958, p. 72), la responsabilità non può reputarsi
limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave, ma sorge pure in
presenza di una colpa lieve, e cioè di semplice violazione del
canone di diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2,
c.c. Sui rapporti tra gli artt. 2236 e 1176, comma 2, c.c., v. Grisi,
voce Responsabilità del professionista, in Enc. giur., XXXI, Roma
2005, p. 3 s.; Partisani, La clausola di diligenza ex art. 1176 c.c.,
in Franzoni (a cura di) Le Obbligazioni, I, L’obbligazione in generale, Milano 2004, p. 183 ss.
3 Similmente, quanto al riparto dell’onere probatorio circa
l’assolvimento degli obblighi di informazione, Trib. Milano 29
marzo 2005, in Corr. giur. 2005, p. 1409 ss., con nota di Conte, Obbligazioni di mezzo ed obbligazioni di risultato nella responsabilità civile dell’avvocato e riflessioni sulla nozione di “colpa lieve”.
4 Posto che, se l’avvocato avesse sollevato l’eccezione di estinzione del reato, la Corte, con probabilità vicina alla certezza,
l’avrebbe accolta, assolvendo gli imputati.
5 La sentenza ha richiamato espressamente Cass. 6 febbraio
1998, n. 1286, che si può leggere in Danno e resp. 1998, p. 343
ss., con nota di Magni, Responsabilità dell’avvocato per negligente
perdita della lite tra ‘certezza’ e ‘probabilità’ di un diverso esito del
giudizio, e in Danno e resp. 1999, p. 441 ss., con commento
di Fabrizio-Salvatore, La colpa professionale dell’avvocato: in
crisi la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato. Sul punto v. anche Barca, La responsabilità contrattuale dell’avvocato
nell’espletamento dell’incarico ricevuto, in Nuova g. civ. comm.
2001, p. 496 ss.
6 Possiamo ricordare, fra gli altri, il problema concernente
l’accertamento del nesso causale nella responsabilità professionale e quello relativo all’inquadramento dell’obbligazione
gravante sul legale, se di mezzi o di risultato.
7 Non avendo – come detto – il convenuto assolto al proprio onere probatorio concernente sia il corretto adempimento
dei predetti obblighi informativi sia il fatto che l’omesso rilievo
dell’eccezione di prescrizione fosse frutto di una direttiva proveniente dai propri clienti.
8 V. anche Trib. Milano 29 marzo 2005, cit., p. 1409.
9 Profilo su cui la sentenza non si è soffermata puntualmente,
essendosi in proposito limitata così ad affermare: «l’esigenza
dell’attività informativa del professionista nella fase pre-con-
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Lezioni
mente non trascurabili relative differenze di disciplina: nella fase anteriore alla stipulazione del contratto, ossia durante le trattative, la violazione da
parte del professionista del dovere di informare il
cliente, il quale trova il proprio fondamento nel generale precetto di comportarsi secondo buona fede contenuto nell’art. 1337 c.c.10, determina a suo
carico una responsabilità di tipo precontrattuale,
con conseguente obbligo di risarcire i danni –
commisurati all’interesse negativo – che la controparte abbia subito per avere stipulato un contratto
trattuale è funzionale al conseguimento del consenso informato da parte del cliente e trova il suo fondamento nei principii di
cui agli artt. 1175-1176 c.c. […]. Una volta che il contratto di
prestazione d’opera professionale sia stato concluso, l’obbligo
informativo permane per tutto il corso del rapporto, e quindi,
nei casi come quello di specie in cui il mandato riguardi più gradi di giudizio per tutto il loro corso, perché costituisce l’oggetto
primario della prestazione professionale».
10 V., ad esempio, Cass. 26 aprile 2012, n. 6526, in Contratti
2013, p. 173 ss., con nota di Della Negra, Tutela dell’affidamento e dichiarazioni precontrattuali; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano 2000, p. 163 ss.; Dell’Aquila, La correttezza nel diritto
privato, Milano 1980, p. 55 ss.; con riferimento particolare alla
figura dell’avvocato, v. Porcari, Obbligo di informazione: monito
della Cassazione ad avvocati e notai, in Corr. giur. 1994, p. 1268.
All’art. 1338 c.c. dovrebbe invece farsi riferimento nell’ipotesi
in cui sia da escludere ab origine qualsiasi possibilità di successo,
dato che gli interpreti ravvisano in questo caso un’impossibilità originaria della prestazione fonte di nullità del contratto: v.
Trazzi, Responsabilità dell’avvocato per violazione dell’obbligo di
informazione, in Contr. e impr. 1999, p. 51.
11 Laddove si ammetta che il difetto di informazione possa
determinare un vizio della volontà integrante una causa di annullabilità del negozio (per causa di dolo c.d. negativo: v. Zaccaria, sub art. 1439, in Comm. Cian e Trabucchi, Padova 2011,
p. 1531 s.).
12 Oltre alla sentenza in commento (che fa riferimento sia
all’art. 1176, sia all’art. 1175 c.c.), si esprime in tal senso anche Cass. 30 luglio 2004, n. 14597, in G. it. 2005, I, p. 1402,
con nota di Perugini, La diligenza imposta al professionista
nell’espletamento del suo incarico e l’obbligo di informazione, e in
Corr. giur. 2005, p. 1412 ss., con nota di Conte, op. cit.
13 Zaccaria, sub art. 1176, in Comm. Cian e Trabucchi, Padova 2011, p. 1230; Porcari, op. cit., p. 1269.
14 Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, in Tratt.
Cicu-Messineo, Milano 1974, p. 17 ss. e p. 37 ss.; Bigliazzi Geri,
voce Buona fede in diritto civile, in Dig. disc. priv. – sez. civ., II, Torino 1988, p. 172 e p. 183.
15 Di Majo Giaquinto, L’esecuzione del contratto, Milano
1967, p. 409 ss.; Franzoni, Degli effetti del contratto, in Comm.
Schlesinger, Milano 1999, p. 199; Bianca, op. cit., p. 500 ss.;
D’Angelo, Il contratto in generale, IV, La buona fede, in Tratt.
Bessone, Torino 2004; Uda, La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino 2004, p. 109 ss.
16 Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in R. d. civ. 1983, p. 213 s.; Uda, op. cit., p.
91, nt. 155.
17 Per quanto concerne la distinzione tra consenso al contratto e consenso alla singola prestazione, v. Cafaggi, voce Responsabilità del professionista, in Dig. disc. priv. – sez. civ., XVII,
Torino 1998, p. 137 ss.
inutile, dannoso o invalido11, mentre, successivamente alla stipulazione del contratto medesimo, la
stessa violazione determina una responsabilità di
natura contrattuale, derivante dall’inadempimento di una obbligazione accessoria rispetto a quella
principale, espressione, secondo un’opinione diffusa soprattutto in giurisprudenza, del dovere di
adeguarsi al livello di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c. nell’esecuzione della prestazione12.
Riferimento, quest’ultimo all’art. 1176 c.c., che
non può non suscitare almeno qualche perplessità: come è stato, infatti, evidenziato13, quella che
impone di comportarsi secondo diligenza rappresenta una regola che attiene alle modalità di esecuzione di una prestazione oggetto di una obbligazione già esistente, e che appare perciò inidonea a
porsi, al tempo stesso, come regola in grado di fondare l’insorgere di obblighi non previsti dalle parti.
Piuttosto, al fine di fondare gli obblighi informativi di cui si tratta successivamente alla conclusione del negozio, parrebbe possibile richiamarsi al
dovere, sancito dall’art. 1375 c.c., di comportarsi
secondo buona fede nell’esecuzione del contratto. Sebbene, infatti, esista un’opinione dottrinale
secondo cui alla buona fede non potrebbe essere
attribuito il ruolo di integrare il contenuto del contratto e che fa ricorso ad essa unicamente quale
parametro per valutare in concreto e a posteriori il
comportamento delle parti, e ciò sulla base della
considerazione per cui la fase esecutiva del contratto – cui la norma citata fa riferimento – si collocherebbe in un momento logicamente successivo
rispetto al tempo di costruzione della regola negoziale14, ciononostante, la tesi oggi maggioritaria è
quella che, invece, attribuisce alla buona fede proprio una funzione di tipo integrativo, considerandola in grado di determinare l’insorgenza di obblighi inizialmente non previsti, e comunque non
derivanti da altre fonti di integrazione del regolamento negoziale15, obblighi tra i quali si è soliti ricondurre anche quelli di avviso e informazione16.
Ciò precisato, tornando ora all’ipotesi presa
in esame, è possibile osservare come gli obblighi
che il professionista avrebbe dovuto assolvere
non si potessero ricondurre alla fase antecedente
alla stipulazione del negozio, né la loro funzione fosse quella di presidiare la libertà del cliente
nella formazione di un libero e informato convincimento sul se addivenire al contratto, bensì
si collocassero nell’àmbito del rapporto contrattuale già in essere, in quanto finalizzati ad ottenere il consenso del cliente medesimo in ordine
a determinate modalità di esecuzione della prestazione17. Rilievo, questo, che consente, indivi-
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Responsabilità dell’avvocato
Studium Iuris, 5/2014
duatane allora la fonte nel citato art. 1375 c.c.,
di attrarre la loro violazione nell’alveo della responsabilità contrattuale da inadempimento, con
le note conseguenze che da tale inquadramento
derivano in materia sia di onere della prova sia di
danno risarcibile.
3. La rilevanza giuridica delle direttive
“informate” fornite all’avvocato dal
cliente
Passando ora a considerare la seconda delle
problematiche sopra menzionate, occorre interrogarsi su quale piano una (informata) manifestazione di volontà del cliente potrebbe esplicare i
propri effetti nel senso di determinare l’esclusione
della responsabilità dell’avvocato18. Interrogativo che, naturalmente, ha un senso solo una volta
che si sia preliminarmente riconosciuta l’astratta
idoneità del comportamento del cliente adeguatamente informato ad escludere la responsabilità del
professionista.
Ebbene, sotto tale profilo, si deve reputare
condivisibile il disaccordo espresso dalla sentenza in esame nei confronti di un risalente – e
invero minoritario – orientamento della Corte
di cassazione19, il quale aveva negato tout court
rilevanza alle indicazioni date dal cliente circa
la strategia difensiva da intraprendere, ritenendo rientrare «nel compito esclusivo del professionista legale la scelta della tecnica da seguire
nella prestazione dell’attività professionale»20.
E, difatti, se si accetta l’affermazione, comunemente ripresa in dottrina e in giurisprudenza,
secondo cui l’obbligo di informazione da parte
del professionista avrebbe, tra gli altri, lo scopo
di riequilibrare il divario esistente tra le parti sul
piano delle conoscenze tecniche21 in modo tale
da consentire all’assistito di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli e contrari, se
affrontare o non i rischi connessi all’attività richiesta22, negare in via assoluta rilievo a quanto
da quest’ultimo suggerito circa la strategia processuale da seguire laddove siffatto obbligo sia
stato assolto, significherebbe, in buona sostanza,
limitare fortemente (se non addirittura annullare) (quantomeno) il potere del cliente-mandante
di impartire istruzioni al professionista-mandatario circa le modalità di svolgimento dell’incarico23 (in evidente contrasto con la disciplina del
contratto di mandato, che, secondo taluni24, si
affiancherebbe a quella del contratto di presta-
zione d’opera intellettuale nel regolare la posizione negoziale delle parti), se non anche, più
ampiamente, il suo potere di autodeterminarsi
con riferimento a un diritto – quello alla difesa –
costituzionalmente tutelato25.
Fatta questa necessaria premessa, è possibile
ora passare all’inquadramento giuridico della scelta, imposta dal cliente al professionista, di intraprendere una strategia processuale poi rivelatasi
dannosa.
In particolare, è necessario chiedersi se tale
comportamento possa essere idoneo ad escludere
l’esistenza stessa di un “fatto illecito”, collocandosi
quale causa interruttiva del nesso eziologico tra la
condotta del debitore e l’evento.
Risposta positiva a tale interrogativo ci sembra che possa essere data invocando quanto
previsto nell’art. 1227, comma 1, c.c., il quale,
come noto, dispone che «se il fatto colposo del
creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della
colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono
derivate.».
Sennonché, un ostacolo alla possibilità di sussumere il caso in esame nella figura del concorso
«di colpa» del danneggiato potrebbe essere ravvisato nella circostanza che il comportamento
del cliente, il quale, consapevole dei connessi rischi, decida ciononostante di intraprendere una
strategia giudiziale potenzialmente dannosa, è
suscettibile di essere qualificato non tanto come
18 Come già evidenziato in principio del par. 2, la sentenza
in commento non si è occupata della questione, che in effetti
era estranea al thema decidendum, limitandosi ad affermare che
un’espressa manifestazione di volontà da parte dei clienti di
non sollevare l’eccezione di prescrizione avrebbe consentito
all’avvocato di «sottrarsi al giudizio di responsabilità». Resta,
appunto, da verificare la ragione per cui la responsabilità del
professionista sarebbe in tal caso venuta meno.
19 V., richiamata dalla pronuncia in commento, Cass. 18
maggio 1988, n. 3463, in Corr. giur. 1988, p. 989 ss., con nota
di Danovi, Prove testimoniali e responsabilità dell’avvocato.
20 Ha ritenuto che l’avvocato abbia l’obbligo di opporsi alle
istruzioni date dal cliente contrarie alle regole dell’arte, incorrendo altrimenti in responsabilità anche Cass. 31 ottobre
1972, n. 3044, in F. it. 1973, I, p. 1970. In dottrina, v. Cafaggi,
op. cit., p. 137 ss.
21 Spirito, Responsabilità professionale ed obbligo di informazione, in Danno e resp. 1996, p. 29; Trazzi, op. cit., p. 50.
22 Cass. 30 luglio 2004, n. 14597, cit., p. 1402.
23 Potere la cui sussistenza è desumibile a contrario dall’art.
1711, comma 2, c.c., e su cui v. Maffeis, Il mandato, in Sirena
(a cura di), I contratti di collaborazione, Torino 2011, p. 189 s.
24 V., ad esempio, Musolino, Contratto d’opera professionale,
in Comm. Schlesinger, Milano 2009, p. 96, e Conte, op. cit., p.
1416.
25 Pret. Bologna 12 marzo 1970, in G. it. 1972, I, 2, p. 51 ss.
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Lezioni
«colposo», quanto piuttosto come «doloso»26, nel
senso in cui normalmente si intende quest’ultimo
termine nell’àmbito ora in considerazione, ossia
come identificativo di un comportamento tenuto
(semplicemente) con la consapevolezza delle conseguenze dannose che ne sarebbero derivate27.
Se ci si arrestasse alla lettera della norma, si finirebbe però per doverla riconoscere come inoperante proprio nei casi in cui il comportamento del
danneggiato si connota per una maggiore gravità:
ciò che appare come un controsenso. Così che si
26 Per un caso in cui è stato applicato l’art. 1227, comma 1,
c.c. a fronte di un comportamento doloso del danneggiato, v.
Cass. 16 febbraio 2012, n. 3672, in Danno e resp. 2010, p. 790
ss., con commento di Violante, Principio causalistico e declino del
principio di autoresponsabilità.
27 Sul punto, v. Salvi, La responsabilità civile, Milano 2005,
p. 158.
28 Per l’applicazione del principio di causalità e del concetto
oggettivo di colpa, v., in dottrina, Bianca, Inadempimento delle
obbligazioni, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1979,
sub art. 1227, p. 405 s.; Franzoni, Fatti illeciti, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 2004, sub art. 2043, p. 40 ss.; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile: fatti illeciti, inadempimento, danno risarcibile, Padova 2005, p. 716 ss.; Trovatelli,
Il concorso di colpa dell’incapace di intendere e di volere, in Resp.
civ. 1962, p. 217 ss., e, in giurisprudenza, ex multis, Cass. 21
gennaio 2010, n. 1002, in Nuova g. civ. comm. 2010, p. 801 ss.,
con nota di Frenda, Tra causalità e colpa: il concorso del fatto del
danneggiato nella produzione dell’evento lesivo; Cass. 20 febbraio
2006, n. 3651, in Resp. civ. 2007, p. 883 ss.
29 Come nell’ipotesi di soggetto incapace (cfr., ex multis,
Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1964, n. 351, in F. it. 1964,
I, c. 752).
30 Violante, op. cit., p. 801 ss.
comprende perché sia divenuta maggioritaria l’opinione che, muovendo dal presupposto secondo
cui il comma 1 dell’art. 1227 c.c. sarebbe espressione esclusivamente del principio di causalità,
fornisce una lettura in termini puramente oggettivi
della condotta del creditore, ammettendo che possa farsi luogo a una diminuzione del risarcimento dovuto solo se la condotta medesima, sempre
che sia anch’essa classificabile come causativa del
danno, appaia non conforme a quella che avrebbe
tenuto un soggetto diligente28, a prescindere dalla
gravità del rimprovero che possa essere mosso al
danneggiato (se a titolo di dolo o di colpa), e finanche a prescindere dalla possibilità di muovergli
qualsivoglia rimprovero29.
Ciò posto, e tornando quindi al caso in esame,
pare possibile affermare con ragionevole sicurezza
che la decisione del cliente di non sollevare l’eccezione di prescrizione ben poteva essere inquadrata come un antecedente causale rispetto all’evento-condanna, oltre che come contraria (persino,
come detto, intenzionalmente) alla normale prudenza.
Ciò constatato, si sarebbe poi dovuto stabilire
se alla condotta medesima potesse essere o non
riconosciuta, rispetto alla produzione dell’evento, un’efficienza eziologica esclusiva: solo in caso
affermativo, la responsabilità dell’agente avrebbe
dovuto essere esclusa completamente; nel caso
opposto, di frazionamento del nesso causale, il
risarcimento avrebbe dovuto, invece, essere proporzionato all’effettivo apporto eziologico di ciascun coautore30.
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Temi
Concorso per uditore giudiziario
Prova scritta di diritto civile
di Angelo Salerno
Il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali in àmbito extracontrattuale e contrattuale.
« « «
L’art. 2059 c.c. costituisce la disposizione conclusiva del Titolo IX del libro IV del codice civile, dedicato alla responsabilità extracontrattuale; il Titolo IX esordisce con la clausola generale
dell’art. 2043 c.c., in forza del quale qualunque fatto, doloso o colposo, cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. L’oggetto del risarcimento
del danno è individuato attraverso il rinvio, ai sensi dell’art. 2056 c.c., alle disposizioni dettate
in materia di inadempimento per la selezione e la quantificazione del danno risarcibile e, con
riferimento ai danni non patrimoniali, viene limitato ex art. 2059 c.c. ai soli casi determinati
dalla legge.
L’attuale disciplina della responsabilità extracontrattuale, definita aquiliana per l’origine
storica dell’istituto che deriva dalle ipotesi di delictum dettate dalla Lex Aquilia nel diritto
romano classico, è frutto di un’impostazione innovativa rispetto a quella del Codice Civile
Codacci Pisanelli del 1865, ispirato al Code Civil Napoléon del 1804. Il codice previgente
attribuiva infatti alla responsabilità extracontrattuale funzione sanzionatoria di fatti corrispondenti a fattispecie di reato, assegnando perciò rilevanza ai soli fatti tipici penalmente
rilevanti e obbligando il danneggiante a risarcire la persona offesa per i pregiudizi procurati
agli interessi tutelati dalle fattispecie incriminatrici. In siffatto contesto, caratterizzato dalla
duplice tipicità, del fatto fonte di responsabilità penale e del danno suscettibile di risarcimento,
mancava una disposizione analoga all’attuale art. 2059 c.c., difettando una particolare esigenza di limitare la portata oggettiva dell’obbligo risarcitorio, in quanto di per sé tassativo e
condizionato dalla commissione di delitti o quasi delitti.
Nel dettare l’attuale disciplina, il legislatore del 1942 ha seguito una diversa impostazione, superando la rigida tipicità della responsabilità da delitto o quasi delitto e spostando il
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baricentro della responsabilità aquiliana dal fatto illecito del danneggiante al danno ingiusto
subito dal danneggiato. Nel vigente ordinamento, lo statuto della responsabilità da fatto illecito ha perso così la connotazione secondaria e sanzionatoria che lo caratterizzava nel Codice
del 1865 e trova fondamento, in via generale, nel disposto dell’art. 2043 c.c., imperniato
sull’ingiustizia del danno che obbliga chi lo abbia cagionato a risarcirlo. Non risulta quindi necessaria la corrispondenza ad un illecito tipico del fatto causativo di pregiudizi altrui, essendo
richiesta l’ingiustizia del danno e non più del fatto.
Danno ingiusto deve intendersi il pregiudizio cagionato a terzi che ingiustificatamente
leda un interesse meritevole di tutela. Anche quest’ultima categoria appare sganciata da una
predeterminazione normativa: gli interessi rilevanti, in passato individuati nelle posizioni
giuridico-soggettive tutelate dal diritto penale, hanno assunto, alla pari del fatto del danneggiante, una connotazione atipica. Si è verificata pertanto un’evoluzione della disciplina della
responsabilità aquiliana che ha superato il regime ottocentesco della c.d. “doppia tipicità” per
abbracciare un’impostazione doppiamente atipica, con riferimento sia al fatto del danneggiante che al pregiudizio del danneggiato. Riguardo a quest’ultimo, occorre tuttavia tenere
in considerazione la disposizione dettata nel già citato art. 2059 c.c., che, con riferimento
ai danni non patrimoniali, sancisce la necessità che una legge determini i casi in cui possano
essere risarciti. La disposizione, imponendo una tassativa predeterminazione legislativa per i
pregiudizi non patrimoniali, conduce dunque a qualificare come solo parzialmente atipica la
categoria dei danni risarcibili.
In tale contesto normativo, si è assistito ad una importante evoluzione dottrinale e giurisprudenziale in materia di danni non patrimoniali, tesa a rispondere ad esigenze di tutela
di posizioni giuridico-soggettive prive di carattere economico, cui i limiti di tipicità imposti
dall’art. 2059 c.c. sembravano non assicurare protezione.
La principale ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale certamente presente al
legislatore del ’42 è rinvenibile nel disposto dell’art. 185 c.p., che espressamente impone il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato dal reato. La norma penale,
cui è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale funzione riparatoria, al pari dell’art. 2043
c.c., a tutela del danneggiato, consente dunque il risarcimento del danno non patrimoniale
allorché il fatto dannoso integri gli estremi di un reato, così estendendo la natura tipica del
pregiudizio non patrimoniale risarcibile anche alla condotta del danneggiante. Le ulteriori
ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale espressamente prese in considerazione da
previsioni normative presentano carattere fortemente settoriale e sono rappresentate da condotte che pure sarebbero riconducibili a fattispecie di reato: si pensi al caso del risarcimento
del danno a favore delle vittime di attentati terroristici o ai casi di danni alla salute derivanti
da emotrasfusioni di sangue infetto.
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L’inadeguatezza dell’art. 2059 c.c., derivante dal fatto di apparire come conseguentemente
inidoneo a fornire tutela nelle ipotesi di lesione derivante da una condotta non sussumibile in
una fattispecie di reato, ma inferta ad un bene tutelato dalla Costituzione, apparve ben presto
chiara.
La questione balzò in particolare evidenza a seguito di una pronuncia della Suprema Corte
di cassazione, nota come “caso Gennarino”, relativa ad un sinistro di cui rimase vittima il
figlio di un calzolaio con conseguenti menomazioni fisiche di particolare gravità. A fronte
dell’inoperatività della disciplina dell’art. 185 c.p., non essendo stata ravvisata la responsabilità penale del danneggiante, la Corte di cassazione dispose il risarcimento del solo pregiudizio
economico, parametrandolo alla presumibile professione del danneggiato, identificata con
quella paterna, senza tenere in considerazione la sofferenza immediata e permanente della
vittima e il pregiudizio che la salute del ragazzo aveva subito. In questa prospettiva, la conseguenza del limite imposto ex art. 2059 c.c. alla responsabilità extracontrattuale per i danni
non patrimoniali subiti dal danneggiato risultava determinare dunque l’inaccettabile paradosso per cui un diritto costituzionalmente rilevante e qualificato dalla Carta Costituzionale
come fondamentale, ai sensi dell’art. 32, avrebbe dovuto ricevere una tutela inferiore rispetto
ai diritti di natura economica e patrimoniale del danneggiato. La minore tutela spettante a
quest’ultimo finiva inoltre per dipendere dal carattere penalmente rilevante o non del fatto del
danneggiante e, secondo l’interpretazione restrittiva accolta dalla giurisprudenza di legittimità, finanche dalla punibilità in concreto del reo e dalla dimostrazione, nei più stretti limiti
probatori della disciplina processuale penale, degli elementi costitutivi del reato; ne derivava
un trattamento diseguale a fronte della produzione del medesimo pregiudizio e, in talune ipotesi, in presenza dello stesso fatto del danneggiante, a seconda che fosse possibile oppure non
accertarne la responsabilità penale.
Sulla questione intervenne la Corte costituzionale, affermando l’irragionevolezza della
disparità di tutela dei diritti fondamentali della persona, qual è la salute, rispetto agli interessi
patrimoniali del danneggiato, ritenendo che la rilevanza costituzionale dei primi consentisse
di riconoscerne la risarcibilità, però, non ai sensi dell’art. 2059 c.c., bensì in forza dell’art.
2043 c.c.; la Corte sostenne, in particolare, che il diritto alla salute dovrebbe considerarsi una
posta del patrimonio del danneggiato, inteso in senso non strettamente economico, e che, in
quanto tale, dovrebbe consentire di risarcire il pregiudizio subito ai sensi dell’art. 2043 c.c.,
senza sottostare al limite di tipicità derivante dal successivo art. 2059 c.c.
L’operazione ermeneutica su cui si è fondata la tutela riconosciuta al diritto alla salute dalla Corte costituzionale si è contraddistinta per la qualificazione del pregiudizio, nella
struttura della responsabilità aquiliana, in termini di danno-evento cagionato dal fatto del
danneggiante, risarcibile in via diretta in forza della rilevanza costituzionale attribuita al
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Temi
diritto leso dall’art. 32 Cost., con conseguente inoperatività del limite ex art. 2059 c.c. relativo
ai cc.dd. danni conseguenza dell’illecito civile aventi carattere non patrimoniale.
La dottrina ha definito la soluzione della Corte costituzionale come “eventizzazione” del
danno alla salute, evidenziando in chiave critica come, così argomentando, sebbene al condivisibile fine di colmare un vulnus alla tutela dei diritti costituzionalmente rilevanti, fosse
stata alterata la struttura dell’illecito aquiliano.
La giurisprudenza di legittimità ha in un primo momento assecondato l’impostazione
descritta, ma non è rimasta indifferente alle sollecitazioni dottrinali. Nel 2003, la Corte di
legittimità ha così superato il fondamento della risarcibilità del danno alla salute, ancorato
all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c., e ha concentrato i propri
sforzi ermeneutici sull’esegesi della norma limitativa ex art. 2059. In tale occasione, la Corte
di Cassazione ha ritenuto di interpretare il richiamo alla legge operato dalla disposizione in
esame in maniera estensiva, comprensiva delle fonti di rango costituzionale.
Il danno non patrimoniale alla salute è stato così ricondotto alla propria sede naturale
dell’art. 2059 c.c., come danno conseguenza della lesione di un diritto fondamentale costituzionalmente garantito.
Alla luce dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, inaugurato nel 2003, il fondamento della responsabilità extracontrattuale per i danni patrimoniali e
non patrimoniali derivati da lesione del diritto alla salute deve perciò ravvisarsi, in via generale, nell’art. 2043 c.c., con la precisazione che anche la rilevanza costituzionale dell’interesse
leso dal fatto del danneggiato consente di ritenere soddisfatto il requisito di tipicità dei casi di
risarcimento del danno non patrimoniale previsto dall’art. 2059 c.c.
Per completezza nella ricostruzione dell’evoluzione del rapporto tra le citate norme civilistiche, deve darsi poi atto dell’estensione del novero dei diritti per i quali la dottrina, recepita
dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ha ritenuto operante la tutela risarcitoria dei
pregiudizi non patrimoniali pure ai diritti che trovino riconoscimento anche solo implicito
nella Costituzione: si è infatti osservato come l’art. 2 Cost., nel riconoscere e garantire i diritti
inviolabili dell’uomo, debba essere interpretato come clausola generale che, lungi dal ribadire
il carattere inviolabile dei diritti espressamente definiti tali dalle singole disposizioni costituzionali, consente di tutelare ulteriori posizioni giuridico-soggettive qualificabili come diritti
inviolabili alla luce dell’evoluzione del contesto politico-sociale.
In questo quadro, si è generata una ipertrofia delle ipotesi di risarcimento del danno non
patrimoniale, dovuta al riconoscimento di rilevanza costituzionale alle più disparate posizioni giuridico-soggettive operato da parte della giurisprudenza di merito, che ha quindi dovuto
essere circoscritta.
Il legislatore del 1942, considerata la mancanza di un immediato riscontro materiale del
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pregiudizio, e delle conseguenti difficoltà di individuazione, dimostrazione e quantificazione
del danno, rinviando alla legge l’individuazione delle fattispecie in cui il risarcimento del danno non patrimoniale può considerarsi ammissibile, aveva ritenuto di imboccare la via della
tipicità.
Ma l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale precedentemente tratteggiata, se, da un
lato, ha consentito l’armonizzazione della disciplina codicistica con i valori e i princìpi dettati
dalla Carta Costituzionale, superando il paradosso della non risarcibilità delle conseguenze
non patrimoniali della lesione di diritti fondamentali come la salute, dall’altro, ha tuttavia
rinnovato quell’esigenza di selezione dei pregiudizi meritevoli di riparazione alla quale il legislatore del 1942, tramite il rinvio alla legge, aveva ritenuto di avere risposto.
E per fare fronte a tale esigenza occorre affrontare un duplice ordine di problemi, vale a dire
occorre definire con sicurezza quando sia possibile qualificare l’interesse leso come costituzionalmente rilevante e occorre, al contempo, individuare una soglia minima di risarcibilità dei
pregiudizi risarcibili.
Le sezioni unite della Corte di cassazione si sono fatte carico, nel 2008, di tracciare l’esatta
portata applicativa delle norme in esame, recuperando, nell’àmbito dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., elementi idonei a circoscrivere l’area della responsabilità extracontrattuale. Hanno a tal fine osservato come il riconoscimento e la garanzia
dei diritti inviolabili dell’uomo sia correlata, nella disposizione dell’art. 2 Cost., all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, emergendo così,
dalla norma costituzionale, la necessità di procedere a un bilanciamento tra diritti e doveri,
bilanciamento che le sezioni unite hanno operano sostenendo che il dovere di solidarietà, che
richiede il ristoro dei pregiudizi cagionati a terzi, dovrebbe essere contemperato con il dovere
del danneggiato di tollerare meri fastidi o disagi che non assurgano al rango di pregiudizio
effettivamente rilevante. In tal modo, è stata riconosciuta l’operatività di una c.d. clausola
bagatellare, idonea a consentire una selezione dei pregiudizi non patrimoniali risarcibili, improntata sul rango dell’interesse costituzionalmente rilevante leso e sull’intensità e l’entità del
pregiudizio cagionato. Ne consegue che, anche a fronte di interessi cui la Carta costituzionale
assegna rilevanza esplicita o implicita, pregiudizi di lieve entità, che risultino quindi tollerabili, non dovrebbero comportare il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi
degli artt. 2043 e 2059 c.c.
Parte della dottrina ha criticato la soluzione cui sono pervenute le sezioni unite, sostenendo
che essa pecchi di parzialità laddove non estende l’operatività della clausola bagatellare ai
pregiudizi economici, quando risultino di scarsa entità e tollerabili: si è osservato che tale
impostazione finisce per ripristinare l’inversione nella scala di valori costituzionali che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità avevano inteso superare; e, inoltre, che la speciale
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Studium Iuris, 5/2014
Temi
tenuità del danno patrimoniale integra un’ipotesi di attenuante nel diritto penale, risultando
perciò contraddittorio che sia invece irrilevante ai fini della responsabilità civile.
L’opposto orientamento, che condivide invece l’impostazione accolta dalle sezioni unite,
risponde alle descritte obiezioni osservando come i pregiudizi non patrimoniali siano principalmente identificabili nella sofferenza cagionata dal fatto illecito e nella lesione di beni privi
di carattere economico, risultando pertanto di non immediata individuazione, con difficoltà
anche in sede di prova e quantificazione, a differenza delle conseguenze patrimoniali dell’illecito, che, generalmente, non pongono le medesime esigenze in sede di selezione e delimitazione
del danno risarcibile.
Nella stessa pronuncia del 2008, le sezioni unite della Suprema Corte hanno affrontato la
questione della risarcibilità dei danni non patrimoniali anche con riguardo alla responsabilità
da inadempimento ai sensi dell'art. 1218 c.c.
In assenza di un’espressa disciplina in materia, la dottrina appariva divisa sulla questione. Un primo orientamento riteneva irrisarcibili i pregiudizi non patrimoniali in ipotesi di
responsabilità contrattuale sulla scorta di tre principali argomenti: si osservava anzitutto
come non sia rinvenibile nello statuto della responsabilità contrattuale una norma del medesimo tenore di quella dell’art. 2059 c.c., che prenda espressamente in considerazione la
riparazione dei pregiudizi non patrimoniali; ulteriore argomento si era rinvenuto nella
formulazione dell’art. 1223 c.c., che si esprime in termini contabili, disponendo che il risarcimento debba ricomprendere la perdita subita e il mancato guadagno conseguenti
all’inadempimento, lasciando così trasparire la vocazione prettamente patrimoniale della responsabilità contrattuale; infine, l’orientamento in esame faceva leva sul requisito di
patrimonialità della prestazione oggetto delle obbligazioni dedotte in contratto previsto
dall’art. 1174 c.c., che rappresenterebbe conferma dell’irrilevanza dei pregiudizi non patrimoniali ai fini del risarcimento ex art. 1218 c.c.
La dottrina favorevole alla risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali anche in àmbito
contrattuale si era invece fatta carico di superare le argomentazioni poste a fondamento della
tesi negativa, prendendo le mosse dalla funzione assolta dall’art. 2059 c.c. in relazione alla
responsabilità aquiliana. Si era osservato che la funzione della norma è quella di limitare il
risarcimento dei danni non patrimoniali ai soli casi determinati dalla legge e che pertanto non
appare corretto sostenere la non risarcibilità di detti pregiudizi a fronte di un inadempimento
sulla scorta dell’assenza di una analoga norma limitativa nella disciplina della responsabilità
contrattuale. Ed anche l’argomento fondato sull’art. 1174 c.c. era stato ritenuto non decisivo,
poiché fondato su una lettura parziale della norma che, immediatamente dopo la previsione
del requisito della patrimonialità della prestazione, afferma che la stessa deve corrispondere
ad un interesse anche non patrimoniale del creditore, offrendo così indicazioni nel senso della
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Uditore giudiziario - Diritto civile
Studium Iuris, 5/2014
rilevanza dei pregiudizi non patrimoniali, ai fini, in particolare, come riconosciuto anche dalla
più recente giurisprudenza, della risoluzione del contratto.
Con riguardo, infine, all’art. 1223 c.c., l’orientamento in esame aveva sostenuto che la
norma, sebbene appaia orientata al risarcimento di pregiudizi strettamente patrimoniali,
sarebbe passibile di un’interpretazione costituzionalmente orientata volta ad estendere la
portata delle singole voci di danno ai pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione di
posizioni di rango costituzionale.
Le sezioni unite della Corte di cassazione nel 2008 hanno condiviso il secondo orientamento descritto, superando gli argomenti sostenuti dalla tesi negativa e affermando la possibilità di risarcire anche i pregiudizi non patrimoniali conseguenti all’inadempimento, quando
lesivi di posizioni costituzionalmente rilevanti.
La soluzione è stata, tuttavia, oggetto di critiche in dottrina, anche da parte dell’orientamento favorevole alla risarcibilità dei danni non patrimoniali nella responsabilità contrattuale, essendosi osservato come le sezioni unite, richiedendo la rilevanza costituzionale degli
interessi lesi, abbiano introdotto un limite ingiustificato al suddetto risarcimento. Si è infatti
evidenziato come il rango costituzionale delle posizioni giuridiche lese sia stato richiesto, con
riferimento alla responsabilità extracontrattuale, al fine di superare il limite previsto dall’art.
2059 c.c., in quanto esito di una lettura estensiva del temine “legge” tesa a comprendere
nell’àmbito applicativo del termine medesimo anche le disposizioni appunto di rango costituzionale, quando in sede contrattuale, in assenza di una analoga norma limitativa, non si vede
per quali ragioni il requisito in parola sarebbe ugualmente necessario.
A queste obiezioni, si è replicato che l’impostazione criticata consente di fare fronte in modo
adeguato alla già ricordata esigenza di selezione dei pregiudizi risarcibili propria dei danni
non patrimoniali, e che se la terminologia strettamente patrimoniale dell’art. 1223 c.c. viene
superata attraverso una lettura costituzionalmente orientata della norma, necessitato risulta
il riferimento ai soli pregiudizi qualificati dalla rilevanza costituzionale dell’interesse sotteso.
Nessuna delle due controargomentazioni è stata ritenuta tuttavia insuperabile.
Con riferimento all’esigenza di selezione dei pregiudizi risarcibili, posta dalle sezioni unite
a fondamento del requisito di costituzionalità, si è infatti osservato come in àmbito contrattuale siano le parti dell’accordo ad individuare gli interessi rilevanti, anche ai fini risarcitori,
considerata l’obiettiva e implicita incidenza degli stessi sulla causa in concreto del contratto,
intesa come funzione economico individuale, e considerata la possibilità di fare ricorso agli
elementi accidentali del negozio, e così, in particolare, alla condizione, ciò che consente di
escludere che sussista in sede contrattuale quell’esigenza di selezione che è propria delle ipotesi
di responsabilità extracontrattuale.
Quanto, poi, alla seconda replica, si è evidenziato come la disposizione dell’art. 1223 c.c.
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Temi
trovi applicazione anche in materia aquiliana, in forza dell’espresso rinvio operato dall’art.
2056 c.c., e che tale circostanza non ha impedito, prima, al legislatore, di riconoscere la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali nei casi determinati dalla legge e, poi, alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, di riconoscere detta risarcibilità nelle ipotesi di lesione di
diritti costituzionalmente rilevanti.
La conclusione è che la soluzione giurisprudenziale nel senso della risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali ai sensi dell’art. 1218 c.c. dovrebbe essere sviluppata sino a ritenere
non necessaria né la rilevanza costituzionale della posizione giuridica lesa né la presenza di
particolari interessi delle parti, dovendosi intendere rimessa all’accordo tra queste ultime la
funzione selettiva dei danni risarcibili.
Allo stato non è dato tuttavia riscontrare un’evoluzione giurisprudenziale né normativa
in tal senso. Quindi, perché possa essere risarcito il pregiudizio non patrimoniale cagionato
dall’inadempimento, deve considerarsi necessario il rango costituzionale dei diritti sottesi al
pregiudizio patito.
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Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati
Atto giudiziario su quesito proposto in materia di diritto civile
Tema assegnato nella sessione d’esame del dicembre 2013
di Guido Belli
Tizio e Caio con scrittura privata, in data 20 giugno 1991, avevano stipulato un contratto preliminare di compravendita in virtù del quale Tizio si era obbligato a trasferire
a Caio la proprietà di un appartamento sito in Roma per il prezzo di 750 milioni di lire.
Il contratto prevedeva che il pagamento del prezzo sarebbe avvenuto per una parte,
pari alla somma di 150 milioni di lire, al momento della stipula del preliminare, per
una parte in tre rate di 100 milioni ciascuna, senza determinazione del tempo del pagamento delle stesse, per il residuo al momento della stipula del contratto definitivo;
la conclusione del contratto definitivo sarebbe avvenuta nel termine di 30 giorni dalla
formalizzazione della richiesta di stipula da parte di Tizio.
Nel contratto preliminare si prevedeva, inoltre, che al momento della sottoscrizione
dello stesso Tizio avrebbe consegnato a Caio le chiavi dell’appartamento così garantendogli la piena disponibilità del bene.
In esecuzione dell’accordo concluso e contestualmente alla stipulazione del preliminare, Caio versava un assegno circolare di 150 milioni di lire e riceveva da Tizio le
chiavi dell’appartamento.
Successivamente Caio effettuava il pagamento di due sole rate da 100 milioni di lire
e Tizio non richiedeva il pagamento di quanto ulteriormente pattuito né formulava la
richiesta di stipula del contratto definitivo.
Caio nel novembre del 2012 ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma
Tizio chiedendo accertarsi che egli era divenuto proprietario del bene per usucapione.
A sostegno delle proprie ragioni Caio ha dedotto di essere stato l’unico possessore
dell’appartamento di cui al preliminare di vendita, fin dal giugno del 1991, e di avere agito
sostenendo tanto le spese di condominio che quelle necessarie all’ordinaria manutenzione.
Assunte le vesti del legale di Tizio, il candidato rediga l’atto giudiziario ritenuto più
utile alla difesa del suo cliente.
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Temi
TRIBUNALE DI ROMA
Nella causa civile iscritta al n. … di R.G., avanti al Dr. …, chiamata all’udienza del ..., promossa da Caio con l’avv. …, contro Tizio, nato a … il …
(codice fiscale: …) e residente a … in via …, con l’avv. … del Foro di …
(codice fiscale: …), dal quale è rappresentato e difeso giusta delega in calce
al presente atto e presso il cui studio a … in via … è elettivamente domiciliato
Comparsa di costituzione e di risposta in favore di Tizio
con la presente comparsa di risposta si costituisce in giudizio ai sensi
dell’art. 167 c.p.c. Tizio, come sopra generalizzato, assistito dal sottoscritto
difensore.
Premesso in fatto
L’assistito Tizio e controparte Caio, con scrittura privata del 20 giugno
1991, stipulavano un contratto preliminare di compravendita in forza del
quale il primo si obbligava a trasferire al secondo la proprietà di un appartamento sito in Roma alla via …, per il prezzo di 750 milioni di lire.
Il contratto prevedeva, tra l’altro, che il pagamento del prezzo sarebbe dovuto avvenire per una parte contestualmente alla sottoscrizione del preliminare medesimo, per un’altra parte in tre rate (senza determinazione del
tempo del pagamento delle stesse), e per il residuo al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita.
Le parti avevano, inoltre, convenuto che la conclusione del contratto definitivo sarebbe dovuta avvenire nel termine di 30 giorni dalla formalizzazione
di una richiesta in tal senso parte di Tizio.
Il preliminare prevedeva, anche, che al momento della sua sottoscrizione,
Tizio avrebbe dovuto consegnare a Caio le chiavi dell’appartamento, così
garantendogli la piena disponibilità del bene.
In esecuzione dell’accordo, contestualmente al perfezionamento del prelimi567
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nare, Caio versava un primo acconto e riceveva da Tizio le chiavi dell’appartamento. Successivamente, Caio effettuava il pagamento di due sole
delle tre rate dovute, mentre Tizio non richiedeva il pagamento di quanto
ulteriormente pattuito né formulava la richiesta di stipulazione del contratto definitivo.
Con atto di citazione, nel novembre 2012, Caio conveniva in giudizio Tizio
avanti all’intestato Tribunale, chiedendo accertarsi che egli era divenuto
proprietario dell’immobile per usucapione, sostenendo di essere stato l’unico
possessore dell’appartamento medesimo, di cui al preliminare di vendita,
fin dal giugno del 1991, di avere ivi abitato ininterrottamente e di avere
sostenuto tanto le spese di condominio che quelle necessarie all’ordinaria
manutenzione.
La pretesa formulata da Caio viene contestata integralmente, per i motivi
che seguono.
In diritto
1) Sulla qualificazione del rapporto tra Tizio e Caio come contratto preliminare c.d. ad effetti anticipati.
Il rapporto tra Tizio e Caio deve essere qualificato nei termini di un contratto preliminare di compravendita c.d. ad effetti anticipati.
Come è noto, ricorre la fattispecie in parola allorquando i contraenti si obbligano reciprocamente alla anticipata consegna della cosa ed all’anticipato
pagamento, in tutto o in parte, del relativo prezzo, sicché gli effetti del contratto voluto dagli stessi sono prodotti, in parte, dal contratto preliminare
(l’obbligazione di consegnare, quella di pagare il prezzo) e, per il resto, dal
contratto definitivo (l’effetto traslativo della proprietà).
Nel caso oggetto di controversia, come è pacifico, nel preliminare le
parti non si sono limitate ad assumere, reciprocamente, l’impegno di
concludere il futuro contratto definitivo, ma hanno anche convenuto di
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Temi
anticipare, come in effetti hanno anticipato, alcuni effetti obbligatori
di quest’ultimo. Ed invero, contestualmente alla sottoscrizione del preliminare, da un lato Tizio ha consegnato a Caio le chiavi dell’immobile
promessogli in vendita, che ne ha conseguito l’immediata disponibilità
materiale; dall’altro Caio ha corrisposto a Tizio parte del prezzo convenuto.
1.1) Sulla qualificazione del rapporto tra Caio e l’immobile in termini di
detenzione e sulla conseguente esclusione di un valido possesso ad usucapionem.
Orbene, la consegna anticipata dell’appartamento di cui al contratto preliminare, come in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza assolutamente prevalente e dalla dottrina migliore, fa del promissario acquirente un
detentore (quantunque qualificato), non già un possessore del medesimo,
giacché egli riconosce nel promittente alienante il proprietario; solo al momento del definitivo questo rapporto con la cosa si trasforma da detenzione
in possesso.
Invero, in questo senso, recentemente la Cassazione a Sezioni Unite ha
affermato che il promissario acquirente di un bene immobile il quale, in
virtù del preliminare di compravendita, da un lato anticipi in tutto o in
parte il pagamento del prezzo e dall’altro ottenga dal promittente venditore l’immediata immissione nel godimento del bene per effetto dell’esecuzione anticipata della consegna del medesimo, non può essere qualificato
come possessore in grado di acquistarne la proprietà a titolo originario
per usucapione, non avendo egli l’animus possidendi, che, costituendo
una circostanza di fatto, non può essere trasferito (Cass. civ., sez. un., 27
marzo 2008, n. 7930; così anche Cass. 28 giugno 2000, n. 8796 e Cass.
27 febbraio 1996, n. 1533).
Al riguardo, va ulteriormente considerato che il contratto preliminare, an569
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Studium Iuris, 5/2014
che quando sia ad effetti anticipati, resta pur sempre produttivo esclusivamente di effetti obbligatori, mentre l’effetto reale è demandato al definitivo:
solo con la conclusione di quest’ultimo, in adempimento del preliminare, si
avrà il trasferimento della proprietà della res (in questo senso, in giurisprudenza, v. Cass. 1° marzo 2010, n. 4863).
In altri termini, la disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente ha luogo con la piena consapevolezza che l’effetto traslativo non s’è
ancora verificato, risultando, piuttosto, dal contratto preliminare, l’altruità
del bene predetto.
Inesistente nel promissario acquirente l’animus possidendi, deve conseguentemente escludersi un suo possesso utile ad usucapionem. Perché tale rapporto di detenzione col bene si trasformi in possesso idoneo ai fini
dell’usucapione ventennale è necessario uno specifico atto di interversio
possessionis ai sensi dell’art. 1141 c.c., la cui dimostrazione grava sull’aspirante usucapiente. Occorre, detto altrimenti, che il detentore cessi di
esercitare il potere in nomine alieno per cominciare ad esercitarlo uti dominus.
Peraltro, l’interversione del possesso, pur potendo realizzarsi mediante il
compimento di attività materiali in grado di manifestare in modo inequivoco
l’intenzione di esercitare il possesso esclusivamentenomine proprio, richiede
sempre, ove il mutamento del titolo in base al quale il soggetto detiene non
derivi da causa proveniente da un terzo, una chiara opposizione rivolta
contro colui che gli ha concesso la detenzione, idonea ad escludere, in maniera oggettiva e inequivocabile, che il persistente godimento trovi ragione
nel consenso anche implicito di quest’ultimo, mentre non è sufficiente a tal
fine un semplice atto di volizione interna (a tal proposito, ex multis, v. Cass.
11 aprile 2013, n. 8900; Cass. 8 marzo 2011, n. 5419 e Cass. 28 febbraio
2006, n. 4404).
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Temi
Nessuna di queste attività utili è stata compiuta da Caio, che, tuttalpiù,
si è limitato a sostenere le spese di condominio, derivanti dalla tipologia
dell’immobile, e quelle per la sua manutenzione ordinaria (nemmeno straordinaria).
In considerazione di ciò, deve pertanto escludersi che, nel caso di specie, vi
sia stata una interversio possessionis e, di conseguenza, sia configurabile
alcun valido possesso ad usucapionem.
2) Sulla prescrizione del diritto alla conclusione del contratto definitivo e
la conseguente sopravvenuta inefficacia del preliminare. Sul diritto alla
restituzione del bene in favore di Tizio.
Deve ritenersi sopravvenuta l’inefficacia del contratto preliminare concluso
dai contendenti in data 20 giugno 1991, a seguito della prescrizione del
diritto da esso derivante alla stipulazione del definitivo.
Invero, in questo senso, la giurisprudenza ha affermato che qualora le parti
del preliminare abbiano rimesso alla volontà di una di esse la fissazione
del termine relativo alla conclusione del contratto definitivo, e quest’ultima
ritardi ingiustificatamente o non provveda all’esercizio di tali facoltà, l’altra parte, adempiute le obbligazioni poste a suo carico, può tanto rivolgersi
al giudice per la fissazione del termine ai sensi dell’art. 1183 c.c., quanto
proporre direttamente la domanda di esecuzione in forma specifica dell’art.
2932 c.c. (nella quale deve ritenersi implicita la fissazione di detto termine), con la conseguenza che, protrattasi l’inerzia delle parti per l’ordinario
termine prescrizionale, il diritto di ottenere la conclusione del definitivo deve ritenersi estinto (Cass. 30 giugno 2011, n. 14463; Cass. 10 dicembre
2001, n. 15587).
Nel caso di specie, Tizio non ha richiesto la stipulazione del contratto definitivo,
né Caio ha cercato di ottenerla nei modi a lui consentiti (vale a dire invocando
l’art. 1183 c.c. o l’art. 2932 c.c.). Ne consegue che l’inattività delle parti, protrat571
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tasi per oltre un decennio, ha determinato a norma degli artt. 2934, 2935 e 2946
c.c. l’estinzione del diritto alla stipulazione del contratto definitivo.
La sopravvenuta inefficacia del contratto preliminare comporta per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e il godimento anticipati della cosa l’obbligo di restituzione, a norma
dell’art. 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (così, Cass. 3
luglio 2013, n. 16629; Cass. 29 ottobre 1993, n. 10752).
Sennonché, essendo nella specie prescritta l’azione di cui all’art. 2033
c.c. (la domanda di ripetizione, che come noto è finalizzata a riottenere
la prestazione eseguita indebitamente per la mancanza, originaria o
sopravvenuta, di una causa solutionis, è infatti soggetta all’ordinario termine decennale di prescrizione che, come ha più volte ripetuto
la giurisprudenza più recente, decorre dal giorno di esecuzione della
prestazione medesima e – nella specie, il 20 giugno 1991 – salva una
eventuale interruzione: così, Cass. 19 giugno 2008, n. 16612; Cass. 13
aprile 2005, n. 7651), a Tizio, per ottenere la restituzione dell’immobile occupato da Caio, e del quale è proprietario, come emerge da idonea
documentazione prodotta in allegato, non resta che agire in rivendicazione ai sensi dell’art. 948 c.c.
Tutto ciò premesso e considerato, il sottoscritto procuratore, nella sua qualità ut supra, chiede che l’Ill.mo Tribunale di Roma voglia:
In via principale
Respingere, in quanto infondate per i motivi esposti in narrativa, le pretese
formulate dall’attore nell’atto di citazione.
In via riconvenzionale
1. Dichiarare la sopravvenuta inefficacia del contratto preliminare concluso in data 20 giugno 1991, per prescrizione del diritto alla conclusione del
definitivo di compravendita.
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Temi
2. Previa dichiarazione del diritto di proprietà di Tizio sull’immobile oggetto
di causa e dell’illegittimità dell’occupazione del bene medesimo da parte di
Caio, condannare questi alla restituzione in favore dell’odierno convenuto
del predetto immobile.
In ogni caso
Con vittoria di spese e competenze del giudizio.
Produce: 1) atto di citazione ritualmente notificato; 2) contratto preliminare
del 20 giugno 1991; 3)titolo di acquisto ultraventennale dell’immobile.
Dichiara sin d’ora di volersi avvalere della prova testimoniale a dimostrazione delle ragioni esposte in fatto nella narrativa, con riserva di formulare
le relative capitolazioni.
Dichiara di volere ricevere le comunicazioni inerenti al presente giudizio
all’indirizzo PEC: …, ovvero al n. fax …
Dichiara che la proposizione delle domande riconvenzionali non ha comportato un mutamento del valore della causa determinato dall’attore in citazione ai fini del Contributo Unificato.
Roma, lì …
(avv. …)
PROCURA
Io sottoscritto …, nato a … il …, previamente informato, come da allegato,
della possibilità di ricorrere, ove previsto, al procedimento di mediazione
finalizzato alla conciliazione delle controversie disciplinato dal d. legisl. n.
28 del 2010 e successive modificazioni, e dei casi in cui il suo esperimento
è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nonché dei benefici
fiscali conseguenti al suo utilizzo, delego a rappresentarmi e difendermi
nella presente causa, in ogni sua fase, stato e grado, l’avv. …, conferendogli ogni più ampia facoltà di mandato, ivi compresa quella di proporre
domande riconvenzionali. Eleggo domicilio presso il suo studio in … via …
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e, ricevuta l’informativa di cui all’art. 13 del d. legisl. n. 196 del 2003, lo
autorizzo, insieme ai suoi collaboratori, al trattamento dei miei dati personali e sensibili.
Roma lì, …
F.to Tizio
È autentica
(avv. …)
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Concorso per notaio
Prova teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà
Tema assegnato nella sessione d’esame del 15 novembre 2012
di Maria Francesca Crivellari
Tizio, già illustre professore universitario e brillante letterato, di stato civile celibe e
senza figli, ora cieco, titolare di un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare, si reca
dal notaio Romolo Romani con studio in Roma, via Arenula, n. 1, perché riceva il suo
testamento in forma pubblica in modo da garantire l’assoluta conformità alla legge
delle sue ultime volontà. Intende nominare unico erede universale la fondazione “Perpetuitas”, con sede in Tarquinia, avente a oggetto la promozione e lo sviluppo della
cultura umanistica, fondazione in precedenza da lui stesso costituita e dotata insieme
con la sorella Tizia.
Vuole lasciare al suo allievo Filano, in condizioni di bisogno, la somma non ancora
riscossa di euro 500.000,00, maturata a titolo di diritti d’autore nei confronti della
casa editrice Alfa.
Tizio precisa al notaio che i suoi parenti prossimi sono soltanto il fratello Mevio e la
sorella Tizia, a lui premorta da circa tre anni, la quale a sua volta ha istituito quale unico
erede la medesima fondazione “Perpetuitas”.
Al fratello Mevio, ancora celibe, vuole lasciare il fondo con sovrastante casale in Roma, con accesso dalla via Aurelia, a condizione che contragga matrimonio.
Vuole anche costituire, per l’utilità della confinante proprietà immobiliare del suo
amico Calpurnio, una servitù consistente nella facoltà di non osservare la distanza di
10 metri tra pareti finestrate, stabilita dal vigente strumento urbanistico locale.
Inoltre, intende attribuire alla propria compagna Giulia, con la quale convive more
uxorio, sia il diritto di continuare ad abitare nella casa in Roma, via Cola di Rienzo n.
1, adibita a comune residenza, sia il diritto di usare i mobili che la corredano, come le
spetterebbero se fosse la moglie. Vorrebbe lasciare alla fedele domestica Caia l’usufrutto di un piccolo appartamento sito in Ariccia, paese natìo della stessa, attribuendole
anche la facoltà di vendere l’appartamento, ma nel solo caso in cui ciò fosse necessario
per pagare spese mediche e di cura di vitale importanza.
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Notaio - Atto di ultima volontà
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Il candidato, assunte le vesti del notaio Romolo Romani, nel presupposto che Tizio
sia disposto a seguire i suoi suggerimenti, riceva il testamento in forma pubblica.
In parte teorica, motivi le soluzioni adottate, e svolga i princìpi attinenti agli istituti
giuridici relativi all’atto, con particolare riferimento alle problematiche inerenti alla
successione mortis causa di persona giuridica, al legato di credito, al legato di usufrutto
e alle condizioni testamentarie incidenti sulla libertà matrimoniale dell’istituito.
« « «
PARTE TEORICA
Successione mortis causa di persona giuridica
È principio generale che pure le persone giuridiche possano ricevere per testamento, sia a
titolo di erede che a titolo di legato. Rientra, pertanto, nell’autonomia testamentaria decidere
se devolvere i propri beni, per il tempo in cui si avrà cessato di vivere, a favore di una persona
giuridica.
Tale qualifica soggettiva in capo alla beneficiaria determina precise conseguenze al momento di apertura della successione.
In via preliminare, bisogna tenere presente che, prima della riforma avutasi con la legge
n. 127 del 1997, l’art. 17 c.c. prescriveva la necessaria autorizzazione governativa per l’accettazione di eredità e legati devoluti alle persone giuridiche. Ove tale autorizzazione fosse
mancata, la relativa accettazione sarebbe stata inefficace.
A seguito della abrogazione di tale norma, ad opera della legge sopra citata, tale autorizzazione non è più necessaria.
Attualmente residua la sola obbligatorietà dell’accettazione beneficiata dell’eredità, per
il caso in cui la persona giuridica sia istituita erede in un dato testamento. Tale previsione è
finalizzata a tutelare il patrimonio dell’ente contro il rischio di una damnosa hereditas, e
trova il proprio fondamento nella natura degli scopi di pubblica utilità che sono tipicamente
perseguiti da tale tipologia di enti.
Altro aspetto interessante, relativo alla successione mortis causa a favore di persona giuridica, concerne la capacità di succedere di tali enti. Il principio generale in materia, desumibile
dall’art. 462 c.c., è che anche le persone giuridiche debbano esistere al momento di apertura
della successione.
Costituisce eccezione a tale principio generale quanto disposto dall’art. 14, comma 2, c.c.
Tale norma prevede la possibilità di costituire una fondazione per testamento: ciò comporta
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Temi
la conseguente necessità di dotare di un patrimonio la fondazione contestualmente costituita,
per mezzo di un legato ovvero di un’istituzione ereditaria. Pertanto, il testamento che dovesse
contenere una costituzione di fondazione recherebbe sia un atto costitutivo in senso stretto,
volto ad esplicitare gli elementi essenziali dell’ente, sia un atto collegato di dotazione, teso a
fornire a quest’ultimo il patrimonio necessario per raggiungere lo scopo.
Legato di credito
Il legato di credito costituisce una fattispecie, tipicamente prevista a livello legislativo, di
disposizione a titolo particolare.
Questo legato, disciplinato dall’art. 658 c.c., può essere definito come quella disposizione
con cui il de cuius trasferisce al beneficiario un credito, di cui è titolare nei confronti di un
determinato debitore. Di conseguenza, al momento di apertura della successione, la titolarità
di tale credito verrà a fare capo automaticamente al legatario, in base al principio generale di
cui all’art. 649, comma 2, c.c. Questi avrà pertanto diritto di pretendere dall’erede la consegna
dei documenti probatori del credito stesso, ai sensi dell’art. 658, comma 2, c.c.
Per quanto attiene alla natura giuridica di tale disposizione, può affermarsi la sua riconducibilità alla fattispecie della cessione del credito, di cui agli artt. 1260 e seguenti c.c. Anche
il credito è, infatti, un elemento di natura patrimoniale di cui il testatore può liberamente
disporre, non solo durante la propria vita, ma anche per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Tale cessione prescinde dalla necessità di un consenso da parte del soggetto debitore, essendo
per questi indifferente, in linea di massima, adempiere nei confronti del creditore originario o
di un nuovo creditore.
Resta fermo che oggetto del legato non possono essere i crediti dichiarati incedibili per legge.
In linea generale, va, inoltre, chiarito come il testatore sia legittimato a disporre non solo di
propri crediti, ma anche di crediti altrui: tale ultima possibilità, tuttavia, è consentita solo nei
limiti di quanto previsto dall’art. 651 c.c. Conseguentemente, è necessario che dal testamento
o da altra dichiarazione scritta del testatore emerga la consapevolezza dell’altruità, a pena di
nullità del legato. In secondo luogo, il legato in parola produce effetti obbligatori, e non reali:
ciò significa che, al momento di apertura della successione, non si produce il trasferimento
automatico del credito altrui in capo al legatario, e l’erede è tenuto ad acquistare il credito da
colui che ne è titolare, al fine di trasferirlo successivamente al beneficiario, o in alternativa a
corrisponderne il giusto prezzo.
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Notaio - Atto di ultima volontà
Studium Iuris, 5/2014
Legato di usufrutto
Il legato di usufrutto è quella disposizione a titolo particolare, a effetti reali, con cui il de
cuius costituisce a favore di un determinato soggetto il diritto reale di usufrutto sopra un certo
bene.
Analizzare tale tipologia di legato con riferimento alla problematica posta dalla traccia è
particolarmente interessante: emerge, infatti, il desiderio del testatore di attribuire alla beneficiaria del legato non solo il diritto di usufrutto su un certo immobile, ma altresì la facoltà di
vendere quest’ultimo in caso di bisogno.
La dottrina, nel tentativo di fornire una ricostruzione giuridica accettabile di questa fattispecie, si è divisa.
Alcuni autori, sottolineando l’incompatibilità tra il contenuto del diritto di usufrutto e la
possibilità di vendere la piena proprietà del bene su cui esso cade, hanno ritenuto che la volontà del testatore debba essere interpretata, più correttamente, in termini di legato avente
ad oggetto la piena proprietà dell’immobile: difatti, solo il titolare del diritto di proprietà è
legittimato a disporre di tale diritto.
Altri autori, al contrario, hanno dato preminente rilievo alla volontà del testatore di legare
il diritto di usufrutto. Pertanto, al fine di realizzare lo scopo avuto di mira dal de cuius, hanno
proposto di affiancare al legato di usufrutto un ulteriore legato obbligatorio, condizionato
all’insorgenza di uno stato di bisogno: tale secondo legato, più precisamente, avrebbe ad oggetto la somma di denaro ricavata dalla vendita della piena proprietà del bene, effettuata
congiuntamente dal nudo proprietario e dall’usufruttuario. I fautori di tale tesi sottolineano
come la volontà del de cuius sia quella di fornire al legatario un sostentamento economico
per il caso di bisogno o di insorgenza di altra situazione affine di difficoltà e come del tutto
coerente con tali esigenze appaia la corresponsione di una somma di denaro.
Tale tesi incontra, peraltro, una non trascurabile difficoltà: rimarrebbe infatti rimessa alla
volontà dell’erede nudo proprietario la decisione se vendere oppure non l’immobile, con evidente pregiudizio per l’usufruttuario, e senza alcuna sicurezza in merito all’ottenimento del
prezzo migliore.
Alla luce di tali criticità, altra dottrina ha ricostruito la fattispecie in esame in termini di duplice legato: un legato puro avente ad oggetto il diritto di usufrutto vitalizio su un determinato
bene e un legato di nuda proprietà del medesimo bene, quest’ultimo condizionato sospensivamente all’insorgenza di uno stato di bisogno o di altra situazione affine: avveratasi la condizione, il legatario diverrebbe pieno proprietario per consolidazione, potendo così disporre del
bene in via autonoma, e soddisfare le proprie esigenze mediante il ricavato dalla vendita. Tale
legato, inoltre, dovrebbe essere opportunamente condizionato alla mancata vendita entro un
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Studium Iuris, 5/2014
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certo termine, poiché la volontà del testatore di disporre della nuda proprietà è funzionale alla
vendita del bene stesso, al fine di potere sopperire ai bisogni del legatario con il suo ricavato.
Condizioni testamentarie incidenti sulla libertà matrimoniale dell’istituito
L’art. 636, comma 1, c.c. definisce illecita la condizione che impedisce le prime nozze o le
ulteriori.
Questa norma è stata diversamente interpretata.
Secondo alcuni, colpirebbe i soli divieti assoluti di matrimonio, e non pure quelli relativi.
Sarebbe, cioè, lecita la condizione di non sposare un certo soggetto, o un appartenente a una
certa categoria sociale, e via dicendo: in tali casi non si realizzerebbe, infatti, una compressione assoluta e totale della libertà matrimoniale del beneficiario, il quale avrebbe sempre la
possibilità di scegliere il proprio coniuge senza alcuna costrizione al di fuori dei limiti testamentari. Resterebbe ferma, in ogni caso, l’illiceità della clausola con cui si coartasse il soggetto
istituito a non contrarre mai matrimonio.
Altra dottrina, più restrittiva, ritiene illecita sia la condizione che vieta in modo assoluto la
possibilità di sposarsi sia quella che la vieta in modo relativo: tale tesi è stata di recente accolta
anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione. La ricostruzione in esame
sottolinea la natura coartante di entrambe le tipologie di condizioni, in quanto comunque
volte ad impedire la piena esplicazione della libertà dell’individuo in àmbito matrimoniale, in
contrasto, oltre tutto, anche con i principi costituzionali che tutelano la libertà fondamentale
dell’individuo in quelle scelte che costituiscono espressione della propria personalità: ciascuno
deve essere libero di assumere le decisioni fondamentali della propria vita in modo del tutto
scevro da condizionamenti esterni.
Non v’è traccia, invece, nel codice, della condizione che tenda a favorire le nozze; la giurisprudenza, tuttavia, ricomprende pure tale ipotesi nella disciplina di cui all’art. 636 c.c.;
secondo il più recente orientamento della Cassazione, dunque, anche quest’ultima dovrebbe
considerarsi illecita ai sensi dell’art. 634 c.c.
In contrario, in base al disposto del secondo comma dell’art. 636 c.c., ammette il legato di
usufrutto, uso, abitazione, pensione o altra prestazione periodica per il caso o il tempo del
celibato o della vedovanza in quanto, in tali casi, il testatore non intenderebbe coartare la libertà dell’individuo, ma semplicemente fornire un supporto economico per tali stati di celibato
o vedovanza, sul presupposto che, alla loro cessazione, il soggetto non ne abbia più bisogno.
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Notaio - Atto di ultima volontà
Studium Iuris, 5/2014
MOTIVAZIONE
Dal punto di vista formale, occorre affrontare, innanzi tutto, la problematica del testatore
cieco. Poiché il testatore, secondo la traccia, risulta essere un brillante letterato, si è presupposta la capacità di sottoscrivere. Alla luce di ciò, si è presupposto che il notaio abbia spiegato al
testatore la possibilità, prevista dalla legge n. 18 del 1975, di farsi affiancare da un assistente
facoltativo, e che di tale possibilità il testatore medesimo abbia deciso di non avvalersi.
Per maggiore chiarezza, si è preferito precisare, in sede di costituzione, che Tizio è cieco, ma
capace di sottoscrivere.
La traccia afferma, inoltre, che Tizio è senza figli.
Pertanto, si è presupposto che il notaio abbia illustrato al testatore la disciplina della revocazione del testamento per il caso di sopravvenienza di figli, di cui all’art. 687 c.c., e che il
testatore medesimo abbia dichiarato le proprie volontà nella consapevolezza dell’eventuale
operatività di tale istituto.
Passando ad analizzare le problematiche di natura sostanziale poste dalla traccia, si è proceduto innanzitutto ad istituire erede universale la Fondazione “Perpetuitas”, in conformità
alla volontà del testatore.
La traccia precisa che tale fondazione era stata costituita da Tizio assieme alla sorella a lui
premorta. È bene sottolineare, in proposito, come la morte dei fondatori sia del tutto irrilevante, e non abbia alcun riflesso sulla persona giuridica. Una volta costituita la fondazione, sorge
un soggetto di diritto del tutto autonomo rispetto al fondatore, dotato di un patrimonio su cui
il fondatore stesso non può più vantare alcun diritto. La morte del fondatore, quindi, non porta
alla estinzione della fondazione, la quale ben può quindi essere chiamata a ricevere anche da
chi l’abbia costituita.
Va poi posto in rilievo che, nel ricevere la volontà del testatore di istituire la fondazione, il
notaio dovrà accertarsi che il testatore sia liberamente addivenuto a tale istituzione ereditaria, senza sentirsi in alcun modo condizionato dalla analoga modalità istitutiva perfezionata
dalla sorella fondatrice.
Per quanto riguarda la disposizione a favore di Filano, si è posto in essere un legato, di credito ai sensi dell’art. 658 c.c., il quale avrà, pertanto, effetto per la sola parte del credito esistente
all’apertura della successione. Il credito a titolo di diritti d’autore ha natura patrimoniale, ed
è liberamente disponibile da parte del suo titolare anche per causa di morte, come può desumersi dall’art. 115, legge n. 633 del 1941.
La traccia precisa che il legatario Filano è in condizione di bisogno, senza tuttavia chiarire
se tale stato debba continuare a sussistere all’apertura della successione per l’efficacia del
legato. Trattandosi di una quaestio voluntatis quella di legare il credito a prescindere dalla
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Studium Iuris, 5/2014
Temi
condizione di bisogno o meno, si è presupposto che il notaio abbia interrogato il testatore sul
punto, e che questi abbia inteso disporre il legato per ogni eventualità.
Per quanto riguarda la disposizione a favore di Mevio, si è proceduto a redigere un legato
ad effetti reali avente ad oggetto il fondo ed il sovrastante fabbricato.
Non si è ritenuta ricevibile la condizione di contrarre matrimonio, in quanto, come si è
chiarito in parte teorica, illecita.
Per quanto riguarda la volontà di costituire la servitù a favore del fondo di Calpurnio, occorre porsi la domanda se gli strumenti urbanistici locali che impongono una distanza di dieci
metri tra pareti finestrate siano derogabili ad opera dell’autonomia privata. La circostanza
che tali strumenti urbanistici appaiano volti a tutelare non solo interessi meramente privatistici, quale può essere quello del cittadino a non subire un’intrusione nella propria vita privata
a causa di una finestra del confinante che si affaccia sulla propria abitazione e che si trova a
distanza ravvicinata, ma anche interessi di natura pubblicistica, quale quello alla regolare ed
ordinata edificazione territoriale, o quello alla salubrità dei luoghi, ha indotto a concludere
per la non derogabilità da parte dell’autonomia privata.
La costituzione di servitù è stata ritenuta non ricevibile neppure per il caso di eventuale
successivo mutamento degli strumenti urbanistici vigenti: una tale condizione, infatti, viene
ritenuta dalla dottrina più prudente non apponibile ad una disposizione testamentaria, in
quanto il notaio deve attenersi al rispetto delle norme vigenti nel momento in cui riceve l’atto,
ovvero, nel caso di specie, il testamento.
Per quanto riguarda Giulia, si è perfezionato a suo favore un doppio legato avente ad oggetto, da un lato, il diritto di abitazione vita natural durante sulla casa in Roma e, dall’altro, il
diritto di uso sui mobili che la corredano. Tale secondo legato è riconducibile all’àmbito di applicabilità dell’art. 655 c.c.: i mobili sui quali cade il diritto di uso sono stati infatti individuati
per relationem, sulla base della loro collocazione nell’appartamento in Roma.
Per quanto attiene a Caia, al fine di realizzare l’interesse avuto di mira dal testatore, si sono
posti in essere due distinti legati aventi ad oggetto il diritto di usufrutto vitalizio e la nuda
proprietà del medesimo immobile. Tale soluzione, come è stato meglio illustrato in parte teorica, alla quale si rimanda, appare come quella maggiormente idonea a raggiungere lo scopo
del testatore. Si precisa che il legato avente a oggetto la nuda proprietà è stato condizionato
sospensivamente alla necessità della vendita dell’immobile a causa delle condizioni di salute
della legataria. L’accertamento dell’avveramento di tale condizione è stato rimesso a un terzo
arbitratore indicato dal testatore, precisandosi altresì i criteri a cui attenersi in tale compito.
Lo stesso legato è stato, inoltre, condizionato risolutivamente alla mancata vendita dell’immobile da parte di Caia entro un certo termine. Tale scelta è motivata dal fatto che Tizio non
desidera semplicemente rendere la legataria proprietaria del bene, permettendole di fare ciò
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Notaio - Atto di ultima volontà
Studium Iuris, 5/2014
che preferisce con lo stesso; egli vuole renderla titolare di tale immobile solo ed in quanto ciò
sia necessario per poterlo vendere. Ove tale vendita non venga perfezionata, il legato di nuda
proprietà sarà destinato a risolversi, e Caia a tornare soltanto usufruttuaria del bene.
Infine, si ritiene opportuno effettuare un’ultima annotazione di natura formale. Mentre,
infatti, l’ora di sottoscrizione deve essere obbligatoriamente indicata nel testamento pubblico
ai sensi dell’art. 603, comma 2, c.c. e dell’art. 51, comma 2, n. 11, l. not, l’ora di inizio è stata
invece inserita solo per prassi, essendo da tempo abrogata la norma che prevedeva l’onorario
notarile sulla base del tempo impiegato per redigere l’atto.
« « «
PARTE PRATICA
N° (...) Repertorio degli Atti di Ultima Volontà
Testamento pubblico
REPUBBLICA ITALIANA
L’anno (...), il mese (...), il giorno (...) (tutto in lettere e per disteso);
In Roma, nel mio studio alla via Arenula 1, alle ore (...);
Avanti a me dott. Romolo Romani, notaio residente in Roma, iscritto al Collegio Notarile dei Distretti Riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia, ed alla
contemporanea presenza di:
(...) (nome e cognome, luogo e data di nascita, domicilio o residenza del
primo testimone);
(...) (generalità come sopra del secondo testimone);
testimoni aventi i requisiti di legge,
è personalmente comparso:
- Tizio (...) (generalità come sopra), il quale mi dichiara di essere cieco, ma
di essere in grado di sottoscrivere il presente atto.
Il comparente, della cui identità personale io notaio sono certo, mi richiede di ricevere il suo testamento in forma pubblica ed a tal fine,
alla continua ed ininterrotta presenza dei testimoni, mi dichiara le sue
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Studium Iuris, 5/2014
Temi
volontà, le quali vengono ridotte in iscritto, a cura di me notaio, come
segue:
“Istituisco mia erede universale, nell’intero mio patrimonio, la fondazione
‘Perpetuitas’, con sede in Tarquinia, avente ad oggetto la promozione e lo
sviluppo della cultura umanistica.
Lego a favore del mio amico Filano (...) (generalità), ed a carico della mia
eredità, il diritto di credito, avente ad oggetto la somma di nominali Euro
500.000,00 (cinquecentomila virgola zero zero), da me vantato nei confronti della “Casa Editrice Alfa”, con sede in (...), a titolo di diritti d’autore
per la seguente opera (...) (precisazioni).
Lego a favore di mio fratello Mevio (...) (generalità), ed a carico della mia
eredità, la piena ed esclusiva proprietà del fondo, con sovrastante casale,
siti in Roma, via Aurelia.
Lego a favore della mia compagna Giulia (…) (generalità), ed a carico
della mia eredità:
- il diritto di abitazione vitalizio, con dispensa da inventario e garanzie,
avente ad oggetto la casa in Roma, via Cola di Rienzo, 1;
- il diritto di uso vitalizio sui mobili che corredano il predetto immobile in
Roma, via Cola di Rienzo, 1.
Lego a favore della mia fedele domestica Caia... (generalità), ed a carico
della mia eredità, il diritto di usufrutto vitalizio, con dispensa da inventario
e garanzie, sull’appartamento sito in Ariccia, alla via (...), n (...).
Lego, altresì, a favore di Caia, ed a carico della mia eredità, il diritto di nuda proprietà sul predetto appartamento sito in Ariccia, alla via (...),n (...).
Tale legato deve intendersi sospensivamente condizionato alla circostanza
che si renda necessaria, durante la vita di Caia, la vendita di tale appartamento, al fine di pagare spese mediche e di cura, di vitale importanza,
riferite alla stessa Caia: tale circostanza dovrà essere accertata a cura di
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Notaio - Atto di ultima volontà
Studium Iuris, 5/2014
(...) (generalità) con i seguenti criteri (...) (precisazioni in conformità alla
volontà del testatore). Tale legato deve, inoltre, intendersi sottoposto alla
condizione risolutiva che, entro (...) (in lettere e per disteso) dall’avveramento della predetta condizione sospensiva, Caia non venda la proprietà di
tale appartamento”.
Il presente atto, scritto interamente di mio pugno su (…) fogli per (…)
facciate, ho letto alla presenza dei testimoni al comparente, che lo approva e
lo sottoscrive, con i testimoni e me notaio, alle ore (...).
(…) (sottoscrizione di Tizio)
(…) (sottoscrizione del primo testimone)
(…) (sottoscrizione del secondo testimone)
Romolo Romani notaio (...) (impronta del sigillo ai sensi dell’art. 52 l. not.)
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I TEMI DEL PROSSIMO NUMERO
Concorso per uditore giudiziario - Prova scritta di diritto penale
Tratti il candidato delle fattispecie di concussione e di induzione indebita a dare o promettere utilità, con
particolare riferimento ai possibili criteri di demarcazione tra la condotta di costrizione e quella di induzione, e
alle eventuali problematiche di diritto intertemporale, alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 190 del
2012.
Esame per l’iscrizione agli albi degli avvocati - Parere motivato su quesito proposto in materia di diritto civile
In data 3 aprile 2013, Tizio ha promesso a Caio di acquistare l’appartamento (edificato nel 1987) destinato
a civile abitazione sito a Cuneo, via Po n. 22, primo piano, al prezzo di centocinquanta mila euro. La metà di
tale somma è stata pagata a titolo di caparra confirmatoria, contestualmente alla sottoscrizione dell’intesa preparatoria. Per la stipula del definitivo è stata concordata la data del 10 febbraio 2014. Le parti hanno, inoltre,
stabilito di allegare il permesso di costruire alla programmata intesa con effetti reali.
Il promittente, dal canto suo, ha promesso di trasformare (entro quest’ultimo dies ad quem) in garage (o box
auto) il locale sito a pianterreno dello stabile in esame, attualmente usato per ricovero attrezzi agricoli.
Nel mese di novembre 2013, Tizio costata che quest’ultimo locale è stato adibito dal figlio di Caio ad uso
serra. Assunte le vesti di legale di Tizio, rediga il candidato parere motivato.
Concorso per notaio - Prova teorico-pratica riguardante un atto di ultima volontà
In data 25 marzo 2014, il signor Tizio, cieco ed altresì sordo a causa di un incidente domestico avvenuto
due anni prima, ma in grado di sottoscrivere con nome e cognome, si reca presso lo studio del notaio Romolo
Romani, sito in Roma alla Via Condotti, n. 10, per disporre delle proprie sostanze mediante testamento pubblico.
Egli, preliminarmente, dichiara di essere vedovo e di avere due figli, di nome Caio e Sempronio, quest’ultimo
interdetto.
Possiede un ingente patrimonio ed è sua intenzione nominarli eredi universali.
Attualmente egli stesso svolge l’ufficio di tutore legale del figlio Sempronio, e temendo che costui al momento
dell’apertura della sua successione sia ancora interdetto, vuole assicurarsi che tale ufficio venga assunto dal signor Seio, di cui si fida ciecamente.
Per il caso in cui Seio non possa, vorrebbe che l’ufficio venisse assunto dal signor Filano.
Espone, inoltre, al notaio che da alcuni anni ha intrapreso una relazione con la signora Tizia, e, temendo che
ella possa depauperare il suo patrimonio, non vuole assolutamente che le pervenga alcunché.
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I temi del prossimo numero
Studium Iuris, 5/2014
Dichiara, infine, che essendo attualmente assuntore di un maso chiuso, vorrebbe escludere che il figlio Caio
possa subentrargli, senz’altro precisare.
Il candidato, assunte le vesti del notaio Romolo Romani, rediga il relativo testamento pubblico e, dopo avere
motivato adeguatamente le soluzioni adottate, tratti, in parte teorica, della possibilità per il soggetto non vedente
di disporre della sorte delle proprie sostanze a mezzo testamento, dei diritti successori del convivente more uxorio e della successione nel maso chiuso.
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Novità giurisprudenziali
a cura di Giovanni De Cristofaro e Guido Casaroli
A) Cassazione civile, Sezioni unite
Le massime
SOCIETÀ
Cass. civ., sez. un., 14 ottobre 2013, n. 23218
Salvo che l’atto costitutivo della s.r.l. non contenga
una disciplina diversa, deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti
agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell’adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall’atto costitutivo), ma tale presunzione
può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non
abbia affatto ricevuto l’avviso di convocazione o lo
abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza, in base a circostanze di fatto il
cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono
riservati alla cognizione del giudice di merito.
RIPARTO DI GIURISDIZIONE
Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2013, n. 24466
In tema di contributi risarcitori per i danni arrecati
dalla fauna selvatica alle produzioni agricole, mentre
la posizione del privato che pretenda il rispetto della procedura di accertamento dei danni subiti e della proporzione tra entità del pregiudizio verificato e
stanziamento erogato è di diritto soggettivo, perché
disciplinato da norme di relazione contenute nella legge,
è invece di interesse legittimo quella del medesimo che
chieda l’integrale risarcimento del danno come accertato
dalla Provincia, perché la norma che dispone il sacrificio
economico costituisce un vincolo alla proprietà ed all’impresa per la tutela di interessi pubblici e dipende dall’ammontare dei fondi assegnati dalla Regione alla Provincia.
Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2013, n. 24467
In tema di riparto di giurisdizione in materia di
servizi pubblici, siano essi dati o meno in concessione, la controversia risarcitoria intrapresa da un
utente di un servizio di istruzione professionale
che ne lamenti l’avvenuta erogazione in modo non
corrispondente alla prestazione in riferimento alla quale aveva pagato il corrispettivo appartiene
alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che
il pregiudizio prospettato non è il riflesso dell’organizzazione del servizio stesso, ma attiene al rapporto
di utenza, discutendosi, quindi, non dell’esercizio o
del mancato esercizio del potere amministrativo o,
comunque, di comportamenti anche mediatamente
riconducibili all’esercizio di tale potere tenuti da pubbliche amministrazioni o da soggetti ad essi equiparati, bensì di danni derivanti da difettosa erogazione
del servizio.
Cass. civ., sez. un., 9 ottobre 2013, n. 22957
In tema di riparto di giurisdizione nelle controversie concernenti gli alloggi di edilizia economica e
popolare, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando si controverta dell’annullamento dell’assegnazione per vizi incidenti sulla
fase del procedimento amministrativo, fase strumentale all’assegnazione medesima e caratterizzata
dall’assenza di diritti soggettivi in capo all’aspirante
al provvedimento, mentre sussiste la giurisdizione
del giudice ordinario quando siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o risoluzione del rapporto locatizio, sottratte al discrezionale
apprezzamento dell’amministrazione. Ne consegue
che spetta al giudice ordinario la controversia promossa dal familiare dell’assegnatario, deceduto, di
alloggio di edilizia economica e popolare, al fine
di far accertare il proprio diritto a succedere nel
rapporto locatizio, giacché la disciplina recata in relazione al subentro nell’assegnazione dalle leggi della
Regione Piemonte 28 marzo 1995, n. 46 (artt. 1 e 15)
e 17 febbraio 2010, n. 3 (artt. 4 e 13), non riservano
all’Amministrazione alcuna discrezionalità al riguardo,
configurando un diritto soggettivo.
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
B) Cassazione penale, Sezioni unite
Le massime
IMPUGNAZIONI
Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2013, n. 40109
Nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato
(o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla
responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili,
l’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in
grado di appello, a norma dell’art. 622 c.p.p.
FURTO
Cass. pen., sez. un., 30 settembre 2013, n. 40354
Nel reato di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo
fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel
corso dell’azione delittuosa dotata di marcata efficienza
offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà
del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità. (In
applicazione del principio, la Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante nel caso di occultamento sulla
persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di
vendita self-service).
Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali
personali o di godimento, ma anche nel possesso –
inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta
fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di
un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce
in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che
anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela. (In applicazione del principio, la
Corte ha riconosciuto al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela).
REATI TRIBUTARI
Cass. pen., sez. un., 12 settembre 2013, n. 37424
Il reato di omesso versamento dell’imposta sul
valore aggiunto (art. 10-ter, d. legisl n. 74 del 2000),
che si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per
un ammontare superiore ad euro cinquantamila, entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, non si pone in rapporto di specialità ma di
progressione illecita con l’art. 13, comma 1, d. legisl.
n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico dell’imposta entro il mese successivo a quello di maturazione
del debito mensile IVA, con la conseguenza che al
trasgressore devono essere applicate entrambe le
sanzioni.
Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter, d. legisl. n. 74 del 2000),
entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro
la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti
relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.
Cass. pen., sez. un., 12 settembre 2013, n. 37425
Il reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis, d. legisl. n. 74 del 2000), che si
consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad euro cinquantamila delle ritenute
complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale
per la presentazione della dichiarazione annuale, non
si pone in rapporto di specialità ma di progressione
illecita con l’art. 13, comma 1, d. legisl. n. 471 del
1997, che punisce con la sanzione amministrativa
l’omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle singole scadenze mensili, con la conseguenza
che al trasgressore devono essere applicate entrambe
le sanzioni. Il reato di omesso versamento di ritenute
certificate (art. 10-bis, d. legisl. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 1° gennaio 2005, che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro il
termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta relativa all’esercizio precedente, è applicabile anche alle omissioni
dei versamenti relativi all’anno 2004, senza che ciò
comporti violazione del principio di irretroattività
della norma penale.
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Novità giurisprudenziali
C) Cassazione civile, Sezioni semplici
In primo piano
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DANNO NON PATRIMONIALE E RISARCIBILITÀ
DEL C.D. DANNO TANATOLOGICO
Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361
[Responsabilità civile – Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Nozione – Danno da lesione di interessi personali non connotati da valore di scambio – Natura composita – Articolazione in danno morale, biologico
ed esistenziale – Possibile ricorrenza cumulativa – Rilevanza in sede di liquidazione – Sussistenza – Condizioni]
[Responsabilità civile – Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Danno da perdita della vita – Autonoma configurabilità – Distinzione dal danno biologico “terminale” e “catastrofale” – Necessità – Conseguenze –
Risarcibilità “ex se” – Condizioni – Persistenza in vita per un lasso apprezzabile di tempo o intensità della sofferenza
subita dalla vittima – Irrilevanza]
Le questioni – (1) Se e in quali termini assumano rilievo i singoli aspetti (o voci) in cui si compendia l’unitaria categoria
del danno non patrimoniale.
(2) Se e in quali termini sia ammissibile il riconoscimento del diritto al risarcimento del c.d. danno tanatologico nei confronti della vittima di una lesione mortale.
Massime – (1) La categoria generale del danno non patrimoniale – che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona
non connotati da valore di scambio – presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) aventi funzione
meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore subìti dalla vittima
dell’illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana),
quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di
vita del soggetto danneggiato), dei quali – ove essi ricorrano cumulativamente – occorre tenere conto in sede di liquidazione
del danno, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione,
da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto (o voce) venga computato due (o più) volte sulla base di diverse, meramente
formali, denominazioni.
(2) Il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita è garantito dall’ordinamento in via primaria anche
sul piano della tutela civile, presentando carattere autonomo, in ragione della diversità del bene tutelato, dal danno alla
salute, nella sua duplice configurazione di danno “biologico terminale” e di danno “catastrofale”. Esso, pertanto, rileva ex
se, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, dovendo ricevere ristoro anche in caso di morte
cosiddetta “immediata” o “istantanea”, senza che assumano rilievo né la persistenza in vita della vittima per un apprezzabile
lasso di tempo, né l’intensità della sofferenza dalla stessa subìta per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della
propria fine.
Il caso – Due coniugi sono coinvolti in un tragico incidente stradale. Tizio, pur avendo riportato gravi lesioni,
riesce a sopravvivere, al contrario della moglie Caia, che solo poche ore dopo il sinistro perde fatalmente la vita.
Sconvolto dal dolore per la perdita della moglie, Tizio non sopporta l’idea di continuare a vivere senza di lei e,
caduto in una profonda depressione, a distanza di due anni dall’incidente, decide a sua volta di togliersi la vita,
suicidandosi.
Rimasti orfani dei propri genitori, i figli della coppia convengono in giudizio Flavio, responsabile del sinistro,
e la sua compagnia di assicurazioni, Alfa s.p.a., chiedendo non solo il risarcimento dei danni sofferti iure proprio e
iure hereditatis in conseguenza dell’incidente stradale, ove la propria madre aveva perso la vita e il proprio padre
era rimasto gravemente ferito, ma anche il risarcimento dei danni patiti iure proprio e iure hereditatis per la successiva morte del padre che, a seguito della «depressione indotta dalla perdita della moglie», si era appunto suicidato.
La sentenza del giudice di prime cure viene fatta oggetto d’impugnazione da parte degli attori. La Corte d’Appello di Milano accoglie solo parzialmente le doglianze, per cui avverso tale pronuncia viene proposto ricorso per
Cassazione, sulla base di sei complessivi motivi.
Sintesi della motivazione: 1. La risarcibilità in via equitativa del danno non patrimoniale e il principio dell’integrale riparazione. – 2. La categoria unitaria del danno non patrimoniale e i singoli connotati descrittivi: il
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danno morale, il danno biologico e il c.d. danno esistenziale. – 3. La diversità ontologica dei singoli aspetti in cui
si compendia il danno non patrimoniale ne impone l’integrale risarcimento. – 4. La liquidazione del danno non
patrimoniale e la necessaria c.d. personalizzazione del danno. – 5. Il riconoscimento in capo alla vittima della
risarcibilità del c.d. danno tanatologico.
1. L a risarcibilità in via equitativa del danno non patrimoniale e il principio dell’integrale riparazione
Le doglianze avanzate avverso la sentenza del giudice di seconde cure riguardano, in primo luogo, il mancato
riconoscimento iure hereditatis del diritto al risarcimento del «danno da lesioni mortali» – consistente nel danno
morale, biologico ed esistenziale – subito dalla madre dei ricorrenti a causa del sinistro stradale. Il giudice di merito nega il consolidarsi di tale diritto e, quindi, la sua stessa trasmissibilità agli eredi, in ragione della sussistenza,
nel caso di specie, di un lasso di tempo, tra il fatto lesivo e la morte della donna, giudicato astrattamente troppo
breve perché lo stesso potesse ritenersi effettivamente sorto in capo alla vittima. La legittimità dei presupposti di
tale motivazione viene fermamente contestata dai ricorrenti, i quali sostengono che, nel caso di lesioni mortali,
l’esistenza stessa del danno non possa, in alcun modo, farsi dipendere da un giudizio postumo operato da terzi,
circa l’apprezzabilità o meno del tempo entro il quale sia sopraggiunta la morte della vittima.
In secondo luogo, viene contestata la negata risarcibilità del danno da «morte propria» subito dalla donna,
rispetto al quale, secondo i ricorrenti, non sarebbe ipotizzabile, a fortiori, alcun tipo di collegamento con riferimento alla durata della sopravvivenza della vittima, essendo quest’ultimo ontologicamente distinto dal danno
biologico.
All’argomentazione avanzata dalla corte territoriale, secondo cui sarebbe preclusa la configurabilità stessa in
capo alla vittima del «danno da morte», poiché quest’ultimo si concretizzerebbe in un danno alla vita, che determinando la fine della persona – e quindi il venir meno della sua capacità giuridica – implicherebbe in definitiva
l’inesistenza del soggetto stesso nella cui sfera giuridica possa acquistarsi il diritto al risarcimento del danno, i
ricorrenti oppongono una diversa interpretazione – rivendicandone l’«identica dignità», logica e giuridica, rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito – per cui dalla contestualità tra l’evento della morte e il sorgere
del relativo diritto al risarcimento non deriverebbe la mancata acquisizione di quest’ultimo in capo alla vittima,
quanto invece il suo contestuale trasferimento agli eredi della stessa.
In aggiunta, i ricorrenti lamentano che, accanto al diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dal
genitore per la morte del coniuge – quest’ultimo loro trasmissibile iure hereditatis – sia mancato da parte della
corte territoriale il riconoscimento iure proprio del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale dagli stessi
sofferto per la morte del padre.
Posto che la corte di merito ha ritenuto accertato il collegamento tra la morte della madre avvenuta a causa
del sinistro stradale e il conseguente suicidio del genitore superstite, determinato dal trauma psichico scaturito
dalla perdita del proprio congiunto, a detta dei ricorrenti, quest’ultimo dovrebbe configurarsi quale conseguenza
diretta del fatto dannoso e, quindi, quale fonte di danno risarcibile agli eredi.
Ulteriori censure, infine, vengono sollevate dai ricorrenti con riferimento all’asserita inadeguatezza della liquidazione dei danni non patrimoniali, per non aver il giudice di merito correttamente osservato i criteri propri
del sistema tabellare e non aver provveduto ad un’adeguata personalizzazione della stessa, alla luce di tutte le
circostanze proprie del caso di specie.
In ragione dei motivi addotti, con una pronuncia da taluno già enfaticamente definita storica, la S.C. giudica
fondato il ricorso di parte attorea, cassando la sentenza impugnata e rinviando la decisione della causa alla Corte
d’Appello di Milano in diversa composizione.
Attraverso un’ampia e articolata motivazione i giudici di legittimità affrontano taluni degli aspetti più controversi con riferimento alla categoria del danno non patrimoniale, ravvivando in tal modo un dibattito dottrinale
mai realmente sopito – neppure a seguito delle ben note sezioni unite del 2008, che pure avevano cercato di fare
chiarezza in subiecta materia (v. Cass. civ., sez. un., nn. 26972, 26973, 26974, 26975 del 2008) – così andando ad
aprire la strada a nuove e ulteriori speculazioni da parte degli interpreti.
Nella prima parte della sentenza, la Corte ripercorre sostanzialmente i principi fondamentali posti alla base
della disciplina del risarcimento del danno non patrimoniale, determinato dalla lesione di interessi costituzionalmente garantiti, inerenti la persona umana (secondo l’ormai consolidata interpretazione affermatasi a seguito
di Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003; C. cost. n. 233 del 2003). Nell’economia del percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di legittimità, tale ricostruzione appare fondamentale al fine di preparare il terreno per le successive affermazioni di principio che da essa sono fatte discendere, nell’asserita continuità (che in realtà appare solo
formale) con l’arresto delle sezioni unite del 2008 e in aperto, quanto consapevole contrasto con l’orientamento
prevalente nella giurisprudenza della stessa S.C. in tema di risarcibilità del c.d. danno tanatologico.
Innanzitutto, la Corte ribadisce che il risarcimento di simili lesioni non assolve ad una funzione punitiva o
deterrente, né tantomeno reintegrativa del danno subito, in quanto essendo volto a compensare un pregiudizio
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non economico, esso tende ad assicurare al danneggiato un’adeguata riparazione, mediante l’attribuzione di
un’utilità sostitutiva, in termini pecuniari.
In tal senso, poiché la natura non patrimoniale del danno non consente di pervenire ad un’esatta commisurazione del suo ammontare, non incidendo quest’ultimo su interessi suscettibili di una oggettiva valutazione in denaro, nella definizione del quantum risarcitorio si deve necessariamente procedere ad una valutazione equitativa
del danno, ciò naturalmente solo laddove dello stesso ne sia stata fornita adeguata prova in giudizio. Attraverso
tale valutazione, infatti, il giudice non può sopperire all’eventuale mancato assolvimento dell’onere probatorio da
parte del danneggiato.
Al fine di determinare la compensazione economica del pregiudizio, ritenuta socialmente adeguata, pertanto, il giudice deve procedere a tale valutazione mediante il prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le
circostanze del caso concreto, pervenendo per tale via alla imprescindibile personalizzazione del risarcimento.
Esclusa l’ammissibilità di una riparazione del danno non patrimoniale in termini puramente simbolici o irrisori, la S.C. afferma la necessità che si pervenga alla relativa liquidazione in misura congrua, ossia correlata all’effettiva natura o entità del danno patito dalla vittima, in modo tale da tendere alla maggiore approssimazione
possibile all’integrale risarcimento.
Proprio il principio dell’integrale riparazione, cui le stesse sezioni unite del 2008 hanno attribuito un rilievo
fondamentale, al fine di affermare l’unitarietà del danno non patrimoniale e scongiurare il rischio di pervenire sul
piano economico ad inammissibili duplicazioni risarcitorie, viene richiamato dalla Corte, nella sentenza in epigrafe, facendone derivare in via teorica, da un lato, l’astratta illegittimità dell’apposizione di un tetto massimo alla
quantificazione del risarcimento; e, dall’altro lato, l’esigenza che nessuno degli aspetti di cui si compendia la
categoria generale del danno non patrimoniale resti privo di ristoro, ove ne risulti accertata la sussistenza
nel caso concreto.
2. La categoria unitaria del danno non patrimoniale e i singoli connotati descrittivi: il danno
morale, il danno biologico e il c.d. danno esistenziale
Richiamando l’arresto delle sezioni unite del 2008, la S.C. rileva come nell’àmbito della categoria unitaria
del danno non patrimoniale possano essere ricondotti una pluralità di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva, quali il danno morale, il danno biologico e il c.d. danno esistenziale, premurandosi, tuttavia, di
puntualizzare come quest’ultimi restino comunque dotati di un autonomo rilievo ai fini della determinazione
del quantum risarcitorio, laddove naturalmente sussistano nel caso di specie e siano provati in giudizio.
Proseguendo nella propria argomentazione, la Corte analizza nello specifico ciascuno di tali singoli aspetti,
precisando inoltre come, in linea generale, la natura non patrimoniale del danno non costituisce una caratteristica ostativa alla cedibilità dell’acquisito diritto di credito al relativo risarcimento e, quindi, alla sua trasmissibilità iure hereditatis (sul punto v., di recente, Cass. n. 22601 del 2013).
Prendendo le mosse dal danno morale, la S.C. ne afferma innanzitutto la natura composita, venendosi
quest’ultimo a connotare di significati ulteriori, rispetto a quello tradizionalmente riconosciutogli. Per mezzo
di tale sintagma vengono ad individuarsi non solo la sofferenza emotiva e interiore dalla vittima dell'illecito,
non necessariamente transeunte, che si sostanzia in un patema d’animo o perturbamento psichico, ma anche la
lesione della dignità o integrità morale, massima espressione della dignità umana. Conseguentemente, proprio
su tale base, la S.C. precisa che, se da un lato i patemi d’animo e la mera sofferenza psichica interiore possono
normalmente restare assorbiti in caso di liquidazione del danno biologico, avente tendenzialmente portata onnicomprensiva, dall’altro lato, il valore dell’integrità morale non può stimarsi in una mera quota minore del
danno alla salute, risultando precluso il ricorso ad automatismi semplificativi che impediscano di verificare
l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione (sul punto, v. Cass. n.
2228 del 2012). In altri termini, cioè, il danno morale, inteso quale lesione della dignità o integrità morale, assume
autonomo rilievo rispetto alle altre voci che concorrono a compendiare la categoria del danno non patrimoniale.
In tal senso, tra l’altro, si era già espressa parte della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 29191 del 2008;
Cass. n. 13530 del 2009; Cass. n. 5770 del 2010, le quali, dopo le pronunce delle sezioni unite del 2008, hanno
sottolineato la necessità che del danno morale ne sia tenuto autonomo conto sul piano liquidatorio, proprio in
ragione della diversità del bene protetto).
Per quanto concerne il danno biologico, la S.C. si limita ad affermarne la diversità dal danno morale, richiamandone la definizione normativa, contenuta nell’àmbito del Codice delle assicurazioni private in termini di
lesione psicofisica, temporanea o permanente, suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato,
indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (ex art. 138, comma 2, d.
legisl. n. 209 del 2005).
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Infine, con riferimento al c.d. danno esistenziale, la Corte esclude che con le pronunce delle sezioni unite del
2008 se ne sia intesa negare la configurabilità e la rilevanza a fini risarcitori. Al contrario, rileva la S.C., anche
in tale sede, è stato confermato che, seppur solo sotto forma di sintesi verbale, gli aspetti (o voci) di danno non
patrimoniale non rientranti nell’àmbito del danno biologico – in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica –
ben possono essere definiti come esistenziali, allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più nello stato
intimo del soggetto leso, ma evolvano in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita di quest’ultimo. Pertanto, il danno esistenziale costituirebbe anch’esso un ulteriore e peculiare aspetto del contenuto della generale e
unitaria categoria del danno non patrimoniale, connotandosi in termini di autonomia, rispetto alle altre voci del
danno biologico e del danno morale, e configurandosi nel «pregiudizio di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto», che ne alteri in senso
peggiorativo le abitudini di vita e gli assetti relazionali, determinando l’alterazione della personalità del soggetto e lo sconvolgimento della sua esistenza, in tal modo inducendolo a scelte di vita diverse da quelle che invece
avrebbe adottato se non si fosse verificato l’evento dannoso.
In aggiunta, la Corte precisa come il pregiudizio esistenziale o da lesione del rapporto parentale (che, per
altro, può rinvenirsi anche laddove difetti un rapporto di parentela, ma sussista nella realtà un rapporto affettivo,
avente carattere di serietà e stabilità, v., da ultimo, Cass. n. 7128 del 2013; Cass. n. 12278 del 2011; contra,Cass. n.
4253 del 2012), sostanziantesi nello sconvolgimento dell’esistenza dei prossimi congiunti della vittima, rivelato
da fondamentali e radicali cambiamenti del proprio stile di vita, deve essere, in ogni caso, allegato e provato dal
danneggiato, non potendosi considerare in re ipsa.
3. L a diversità ontologica dei singoli aspetti in cui si compendia il danno non patrimoniale ne
impone l’integrale risarcimento
Enucleata la diversità ontologica dei singoli aspetti che concorrono a descrivere la categoria unitaria del
danno non patrimoniale, la S.C. sancisce l’esigenza che gli stessi, ove sussistenti e provati, siano tutti risarciti, in ossequio al principio dell’integrale riparazione dei danni, nel caso di specie, effettivamente patiti dal
danneggiato. Del resto, nota la Corte, questo avviene anche per il risarcimento del danno patrimoniale, laddove
il danno emergente e il lucro cessante si compendiano a loro volta di una pluralità di aspetti che, se debitamente
provati, concorrono a determinare differentemente nel caso concreto l’entità del quantum risarcitorio, senza che la
relativa considerazione in sede di liquidazione del danno si consideri per ciò stesso una duplicazione risarcitoria.
In tal senso, dunque, viene rigettata l’interpretazione, fatta propria anche da parte della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le sezioni unite del 2008 avrebbero escluso che la categoria del danno non patrimoniale, di cui
all’art. 2059 c.c., possa essere suddivisa in diverse sottovoci suscettibili di autonomo risarcimento.
A tal proposito, la Corte rileva come, pure in quelle decisioni che escludono la possibilità di un separato e
autonomo risarcimento delle specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, risulti in ogni caso osservato il principio di integrale riparazione, sotto il profilo della necessaria considerazione di tutti gli aspetti di cui
si compendia la categoria del danno non patrimoniale. In tali pronunce, infatti, viene dato comunque rilievo alla
circostanza che, nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno non patrimoniale, il giudice abbia tenuto conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno nel singolo caso di specie, provvedendo ad un’adeguata
personalizzazione della liquidazione (v., da ultimo, Cass. n. 21716 del 2013). Pertanto, arguisce la S.C., fermo restando che i danni di cui all’art. 2059 c.c. devono essere liquidati in un’unica somma (v. Cass. n. 19816 del 2010),
non vi sarebbe alcuna differenza nel procedere alla determinazione del quantum risarcitorio complessivamente dovuto attraverso «la somma dei vari “addendi”» ovvero mediante l’imputazione, per ciascuno di tali
aspetti o voci, di somme parziali o percentuali del complessivo determinato ammontare. Quel che rileva, in
senso opposto, è che nell’operare la liquidazione del danno non si dia luogo a eventuali duplicazioni risarcitorie,
le quali si configurano solo allorquando lo stesso aspetto sia computato due o più volte, sulla base di diverse denominazioni meramente formali. Di conseguenza, perché possa stabilirsi se, in sede di liquidazione del
danno non patrimoniale, si sia posta in essere un’inammissibile duplicazione risarcitoria, ovvero al contrario il
risarcimento spettante al danneggiato sia stato erroneamente sottostimato, rileva unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice, a prescindere dal nomen iuris impiegato per identificarlo.
Richiamando le sezioni unite del 2008, secondo cui i patemi d’animo e la sofferenza psichica interiore sono
normalmente assorbiti in caso di liquidazione del danno biologico, in ragione della sua riconosciuta portata
tendenzialmente onnicomprensiva, la S.C. afferma che la sofferenza morale non può risarcirsi più volte, allorquando non rimanga allo stadio interiore o intimo ma si obiettivizzi, degenerando in danno biologico o in
danno esistenziale. Al contrario, tuttavia, la Corte puntualizza come nel caso in cui vengano presi in considerazione gli aspetti relazionali, la liquidazione del danno biologico non assorbe sempre e comunque il danno
esistenziale (v., invece, Cass. n. 3906 del 2010; Cass. n. 25236 del 2009). In tali ipotesi, occorre necessariamente
verificare quali aspetti relazionali siano stati valutati dal giudice, in quanto non può prescindersi dal ristoro del
c.d. danno esistenziale, così come individuato dalla Corte nella sentenza in epigrafe.
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In ogni caso, la S.C. chiarisce che, laddove in presenza della liquidazione del danno biologico sia assegnato
rilievo anche allo sconvolgimento delle abitudini di vita e della personalità del soggetto danneggiato (in
cui si coglie il significato pregnante del c.d. danno esistenziale), è correttamente da escludersi la possibilità che, in
aggiunta a quanto a tale titolo già determinato, venga attribuito un ulteriore ammontare anche a titolo di danno
esistenziale (cfr., ad es., Cass. n. 13 del 2010). Lo stesso deve dirsi nel caso in cui la liquidazione del danno morale sia stata espressamente estesa anche ai profili relazionali nei termini propri del danno esistenziale (cfr., ad
es., Cass. n. 9040 del 2010).
4. La liquidazione del danno non patrimoniale e la necessaria c.d. personalizzazione del danno
Con la sentenza in epigrafe, la S.C. viene anche ad affrontare la questione inerente alla determinazione del
quantum risarcitorio da riconoscersi al danneggiato a titolo di danno non patrimoniale. Dopo aver statuito che
la riparazione di tale tipologia di danno risulta imprescindibilmente rimessa alla valutazione equitativa del giudice, la Corte puntualizza come rispetto a tale valutazione si ponga, in modo particolare, l’esigenza di individuare
dei criteri adeguati – la cui scelta e adozione è lasciata alla prudente discrezionalità del giudice – atti a garantire
non solo una corretta valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte
di casi analoghi. Questo, sostanzialmente, al fine di evitare che lo stesso tipo di lesione sia valutato in modo
del tutto diverso da soggetto a soggetto (in particolare sul punto, v. Cass. n. 12408 del 2011, secondo cui «solo
un’uniformità pecuniaria di base può valere ad assicurare una tendenziale uguaglianza di trattamento, ad un
tempo sintomo e garanzia dell’adeguatezza della regola equitativa applicata nel singolo caso, salva la flessibilità
imposta dalla considerazione del “particolare”»).
Secondo i giudici di legittimità, dunque, se da un lato non può ritenersi adeguata la meccanica applicazione
di parametri rigidamente prefissati in astratto, in quanto verrebbe ad essere preclusa al giudice la possibilità di
pervenire alla c.d. personalizzazione del danno, dall’altro lato, e allo stesso modo, non potrebbe giudicarsi idonea
una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, la quale non garantirebbe né la parità di trattamento, né la prevedibilità della decisione.
In tal senso, pertanto, la S.C. ribadisce come i criteri da adottarsi a tal fine devono consentire una valutazione che sia equa, cioè adeguata e proporzionata, in considerazione delle circostanze specifiche del caso concreto, tale da ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, senza dar luogo a eventuali duplicazioni
risarcitorie. A tal proposito, la Corte puntualizza come la quantificazione di un ammontare che si prospetti
non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato, per difetto o per eccesso, e
quindi sotto tale profilo non integrale, giustifica senz’altro i dubbi in ordine alla sua legittimità.
Perché dunque possa addivenirsi ad una quantificazione del danno non patrimoniale rispondente ad equità, la
S.C. conferma, quale adeguata soluzione, il ricorso al sistema tabellare (strumento idoneo a consentire al giudice
di dare attuazione alla clausola generale posta all’art. 1226 c.c.).
In tema di responsabilità civile da circolazione stradale, lo stesso legislatore ha introdotto parametri predeterminati per la liquidazione delle invalidità cc.dd. micropermanenti, mediante l’elaborazione di un’apposita
tabella (v. art. 139, d. legisl. 209 del 2005). Diversamente, per le lesioni cc.dd. macropermanenti (posta la mancata attuazione dell’art. 138, comma 2, d. legisl. cit.) e, in generale, per le lesioni non derivanti da sinistri stradali,
la giurisprudenza di merito ha elaborato delle tabelle in base alle prassi seguite dalle diverse sedi giudiziarie. La
loro generale utilizzazione è stata avvallata dalle sezioni unite del 2008, purché il giudice provveda comunque
all’adeguata personalizzazione del danno sulla base delle circostanze del caso concreto. In tale contesto, inoltre, le
tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, considerata l’ampia diffusione e la loro «vocazione nazionale», sono
state giudicate da Cass. n. 12408 del 2011 quale valido criterio di valutazione equitativa e, quindi, quale idoneo
parametro di quantificazione del danno non patrimoniale, rintracciandosi in esse i parametri maggiormente
idonei a consentire di tradurre sul piano pratico il concetto dell’equità valutativa, evitando al contempo ingiustificate disparità di trattamento.
La liquidazione del danno operata attraverso la valutazione equitativa del giudice resta sindacabile in sede
di legittimità, nel caso in cui risulti non congruamente motivata. La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro,
recentemente stabilito che l’eventuale mancata adozione delle tabelle di Milano può essere censurata con ricorso
per Cassazione (sul punto v. Cass. n. 12408 del 2011, la quale subordina tale possibilità a che la relativa doglianza
sia stata prospettata già in sede d’appello e che, qualora il giudizio si svolga al di fuori del foro di Milano, le tabelle
stesse siano state versate in atti), precisando al riguardo che i relativi parametri di liquidazione devono essere
presi come riferimento da parte del giudice di merito nella determinazione del quantum risarcitorio, ovvero come
criterio di riscontro e verifica dell’ammontate del risarcimento cui questi sia diversamente pervenuto. Tutto ciò
premesso, nondimeno, nella sentenza in epigrafe, la S.C. puntualizza come le tabelle di Milano non siano del
tutto scevre da problematiche interpretative e applicative, in quanto quest’ultime, ad esempio, non contemplano
il danno morale inteso come lesione della integrità morale della persona, massima espressone della dignità
umana, la cui valutazione ai fini della quantificazione del danno risulta imprescindibile.
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In aggiunta, la Corte afferma la necessità che eventuali limiti massimi dei parametri tabellari risultino
comunque superabili dal giudice, in presenza di situazioni eccezionali che si discostino in modo apprezzabile
dall’ordinaria casistica presa in considerazione ai fini dell’elaborazione delle tabelle. Altrimenti, ove questi si
configurassero come non superabili, il sistema di quantificazione si prospetterebbe inidoneo a consentire al
giudice di pervenire ad una valutazione informata ad equità, sollevando dubbi in ordine alla sua stessa legittimità, in quanto risulterebbe «in contrasto con il principio in base al quale il ristoro del pregiudizio alla persona
non tollera astratte limitazioni massime». Dubbi che, secondo la S.C., si pongono con riferimento alla tabella
unica nazionale per la liquidazione delle invalidità cc.dd. micropermanenti, ex art. 139, d. legisl. n. 209 del
2005, ove viene fissato, con riferimento alla personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale, un
limite di aumento massimo del dato tabellare nella misura di un quinto (sul punto, tra l’altro, sono state sollevate
diverse questioni di legittimità costituzionali, talune tutt’ora pendenti).
5. Il riconoscimento in capo alla vittima della risarcibilità del c.d. danno tanatologico
Alla luce dei principi sopra affermati, la S.C. statuisce che gli stessi, nel caso di specie, siano stati disattesi dal
giudice di seconde cure, per avere questi confermato il rigetto della domanda di risarcimento danni iure hereditatis, formulata dagli appellanti, odierni ricorrenti, per il ristoro dei danni personali da lesioni mortali subiti
dalla loro madre, attraverso una motivazione che sul punto si rivela meramente apparente. Inoltre, secondo la
Corte, il giudice di merito, pur avendone riconosciuto la ricorrenza nel caso concreto, ha immotivatamente e
contraddittoriamente non quantificato l’incidenza del danno esistenziale sofferto da Tizio, nella determinazione del complessivo ammontare del danno non patrimoniale al medesimo spettante e trasmissibile iure hereditatis ai figli. Del pari, la S.C. rileva come il giudice di seconde cure, nel confermare la determinazione del quantum
risarcitorio effettuata in primo grado – ritenendola, peraltro, genericamente e immotivatamente congrua in relazione ai normali parametri liquidatori – pur avendo preso correttamente a riferimento le tabelle in vigore nel foro
di Milano al momento della liquidazione, non ha dato viceversa pienamente conto della personalizzazione
del dato tabellare assunto a base di calcolo. Nonostante, nel giudizio di merito, sia stato accertato come Tizio,
nei circa due anni di sopravvivenza dopo la morte della moglie, abbia patito una sofferenza particolarmente grave
(che degenerata in uno sconvolgimento della propria esistenza, lo ha poi indotto al suicidio), nella determinazione del danno non patrimoniale non si è tenuto conto di tale danno. Ugualmente, viene giudicato immotivato
l’abbattimento del dato tabellare operato dal giudice in ragione del fatto che Tizio «è sopravvissuto solo due
anni», così come, secondo la Corte, la valutazione del danno morale compiuta nel giudizio di merito non può
considerarsi congrua e adeguata risposta satisfattiva alla lesione anche della dignità umana, per non avere
questi tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona e dell’entità della relativa
sofferenza. Ancora, nota la S.C., risulta pretermessa ogni valutazione del danno non patrimoniale subito iure
proprio dai ricorrenti a causa della morte del padre.
Da ultimo, venendo ad affrontare l’aspetto forse più rilevante di tutta la pronuncia, la S.C. censura la sentenza
impugnata per non aver il giudice di merito riconosciuto ai ricorrenti, iure hereditatis, il diritto al risarcimento del danno da perdita della vita di entrambi i genitori.
In primo luogo, la Corte richiama l’orientamento venutosi a consolidare nella giurisprudenza di legittimità a seguito della nota sentenza della C. cost. n. 372 del 1994, secondo cui, nel caso di morte immediata o
intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, alla vittima del fatto illecito non spetterebbe il danno da perdita
della vita, con conseguente esclusione della sua trasferibilità iure hereditatis ai suoi eredi (v., per tutte, Cass. n. 1704
del 1997; Cass. n. 12253 del 2007; Cass. n. 15706 del 2010, le quali escludono che possa configurarsi in termini
di danno biologico la lesione dell’integrità fisica con esito letale intervenuta immediatamente, o quasi, a seguito
del fatto illecito, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute,
ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venire meno del soggetto, non può
tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento. Contra,
seppur in via di obiter dictum, v. Cass. n. 15760 del 2006). Lungi dall’aderire a tale consolidato orientamento
giurisprudenziale, in secondo luogo, la S.C. rileva come proprio tale negazione abbia, in realtà, spinto la
giurisprudenza ad ammettere la risarcibilità «di altri e diversi “beni”». In tal senso, infatti, configurando la
morte quale lesione massima del bene salute, i giudici di legittimità sono pervenuti ad affermare la risarcibilità
del c.d. danno biologico terminale, quando la morte sia causata dalle lesioni e, tra quest’ultime e la morte, intercorra un apprezzabile lasso di tempo (v., ex plurimis, Cass. n. 3549 del 2004; Cass. n. 18163 del 2007, secondo cui,
tra l’altro, il danno sussiste in ogni caso per effetto della percezione, anche non cosciente, della gravissima lesione
dell’integrità personale nella fase terminale della propria vita; Cass. n. 21976 del 2007. In dottrina tale soluzione
è stata criticata in ragione della sua inidoneità a garantire l’uniformità delle decisioni, posto che il discrimine tra
l’apprezzabilità o meno del lasso di tempo, sussistente tra le lesioni e la morte, è sostanzialmente rimesso alla
discrezionalità del giudice adito). Allo stesso modo, si è pure affermata la risarcibilità del c.d. danno morale
terminale, nelle ipotesi in cui tra le lesioni e il decesso del soggetto sia intercorso un intervallo di tempo piuttosto
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breve, tale da escludere che la sofferenza da questi patita sia degenerata nel danno biologico, attribuendosi così
rilievo, ferma la non subitaneità del decesso, al diverso criterio dell’intensità della sofferenza lucidamente provata
dalla vittima nell’avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine (v., tra le altre, Cass. n. 11601 del 2005;
Cass. civ., sez. un., nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008; Cass. n. 19133 del 2011. Fanno riferimento a tale
figura anche Cass. n. 458 del 2009 e Cass. n. 1072 del 2011, esprimendosi in termini di danno biologico di natura
psichica; nonché, Cass. n. 7126 del 2013, in termini di danno c.d. catastrofale). Il riferimento operato ai danni terminali, come rileva la stessa S.C. nella sentenza in epigrafe, è stato criticato dalla dottrina, bollandolo come frutto di
acrobazie logico-concettuali e di intenzioni sostanzialmente compensative della totale assenza di risarcimento
per il c.d. danno tanatologico, inteso nella sua accezione classica di danno derivante dalla perdita della vita stessa
del danneggiato. Procedendo nel proprio argomentare, inoltre, la Corte puntualizza come le sezioni unite del
2008 non si siano pronunciate espressamente in merito all’ammissibilità o meno della risarcibilità del danno
da perdita della vita in favore del soggetto deceduto, limitandosi unicamente a riconoscere la configurabilità del
danno catastrofale, quale particolare espressione del danno morale, allorquando la vittima sia rimasta lucida
durante l’agonia, in consapevole attesa della morte, così peraltro lasciando priva di tutela l’ipotesi dell’agonia
inconsapevole (sul punto, parte della dottrina, in contrasto tuttavia con l’orientamento prevalente, ha ritenuto
che proprio da alcuni passaggi delle citate pronunce delle sezioni unite potrebbe desumersi la qualificazione del
danno morale come danno in re ipsa, così da ricomprendere nell’àmbito della risarcibilità anche l’ipotesi da ultimo
menzionata. Contra Cass. n. 28423 del 2008).
In terzo luogo, dopo aver richiamato le argomentazioni addotte dalla giurisprudenza di legittimità al fine di
escludere la risarcibilità del c.d. danno tanatologico (su cui v. Cass. n. 6754 del 2011), la S.C. mette in luce come,
anche in letteratura, si sia cercato di aggirare l’affermata irrisarcibilità del danno da perdita della vita, proponendone una configurazione in termini di perdita della chance di sopravvivenza, sostanziandosi quest’ultima in un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui lesione determina appunto
un danno attuale e risarcibile nei confronti dello stesso danneggiato.
Alla luce del panorama così tratteggiato, dunque, la Corte afferma come da un simile contesto si tragga
la conferma che la perdita della vita, bene massimo della persona, non può lasciarsi priva di tutela anche
civilistica, omettendosi di riconoscerne la risarcibilità.
Secondo la S.C., nell’attuale momento storico, il risultato ermeneutico raggiunto dal prevalente orientamento
giurisprudenziale non risponderebbe pienamente all’effettivo sentire sociale. Proprio il ricorso a soluzioni indirette – «la cui strumentalità traspare evidente» – testimonierebbe «la necessità di ammettersi senz’altro la
diretta ristorabilità del bene vita in favore di chi l’ha perduta in conseguenza del fatto illecito altrui».
Rimarcando come nella giurisprudenza di merito e in letteratura si sia evidenziata l’incongruenza di un’interpretazione che, movendo dalla considerazione della morte quale massima lesione del bene salute, giunge a
riconoscere la risarcibilità della compromissione anche lieve dell’integrità psico-fisica, negandola tuttavia proprio
quando essa raggiunge la sua massima espressione, la Corte afferma l’inconfutabilità del dato per cui il diritto
alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute, «quest’ultima rappresentando un minus rispetto alla prima, che
ne costituisce altresì il presupposto». Da tale distinzione, del resto, a parere della S.C., non ne deriverebbe necessariamente l’ineluttabile conclusione che della perdita della vita debba negarsene la risarcibilità.
Ripercorrendo le diverse teorie avanzate dalla dottrina sul punto, la Corte fa propria l’opinione secondo cui le
categorie dogmatiche create e poste dagli interpreti a base del discorso giuridico non possono divenire delle «gabbie argomentative» di cui risulti impossibile liberarsi allorquando le stesse, in un determinato momento storico,
conducano a risultati interpretativi non rispondenti o addirittura in contrasto con il prevalente sentire sociale.
Su tali basi, la S.C. mette in rilievo come principio basilare in materia di responsabilità civile, su cui si sorregge l’architettura argomentativa delle pronunce delle sezioni unite del 2008, è costituito dalla risarcibilità del
solo danno-conseguenza e non anche del danno-evento, ex se considerato. Sebbene la dottrina abbia criticamente sottolineato come tale principio costituisca in realtà il risultato di un «oscillante orientamento interpretativo», la Corte esclude che lo stesso possa essere messo in discussione tout court. Allo stesso tempo, tuttavia, i giudici della terza sezione civile della Cassazione pervengono ad affermare la possibilità di argomentare, «alla stregua
della “logica interna” di tale principio», l’ammissibilità della risarcibilità del danno da perdita della propria vita.
Siccome risulta un dato d’esperienza incontrastato che «ogni principio ha invero le sue eccezioni», nell’ottica
della Corte, ne deriverebbe che il ristoro del danno da perdita della vita costituisce «ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni-conseguenza». Causando la morte la perdita di
tutti quei molteplici aspetti nei quali si realizza la vita, ossia di tutto ciò che caratterizza l’esistenza del soggetto
leso, secondo la S.C. non avrebbe senso verificare quali conseguenze conseguano al danno-evento, al fine di
stabilire quali siano risarcibili e quali no. Al contrario, la perdita del bene supremo della vita andrebbe «propriamente valutata ex ante e non già ex post rispetto all’evento che la determina».
Ragionando diversamente e negando, quindi, alla vittima il ristoro per la perdita della propria vita, si darebbe
luogo – avverte la Corte – ad una «situazione effettuale che in realtà rimorde alla coscienza sociale», minando così
la bontà del principio della risarcibilità dei soli danni-conseguenza e «dando adito ad aneliti di relativo abbandono o superamento». Sul punto sembra comunque opportuno rimarcare, così come si premura di fare la stessa
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S.C., al fine di evitare fraintendimenti e possibili spinte espansionistiche, che l’àmbito dell’asserita eccezione al
surricordato principio è limitato esclusivamente a quest’unica ipotesi, ribadendosi al contrario come in via generale il danno, anche in caso di lesione di valori alla persona, non può considerarsi in re ipsa, dovendosene sempre
fornire la prova da parte del danneggiato, anche mediante presunzioni.
Ulteriormente, allo scopo di blindare la propria interpretazione – al di là del discutibile assunto per cui, anche
nel caso dell’affermata ristorabilità del danno da perdita della vita risulterebbe pienamente assolta la funzione
compensativa del risarcimento, in quanto il credito così riconosciuto alla vittima andrebbe ad accrescerne il suo
patrimonio ereditario – la Corte precisa come, in tal modo, verrebbe ad essere superata la necessità di ricorrere
agli escamotages interpretativi elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nel tentativo di superare le iniquità
scaturenti dalla negazione del risarcimento del c.d. danno tanatologico. Inoltre, puntualizza ancora la S.C., affermando la risarcibilità ex se della perdita del bene vita (oggetto di un diritto assoluto e inviolabile), nella sua
oggettività e a prescindere dalla consapevolezza che di tale lesione abbia la vittima, «verrebbero meno anche
le ragioni delle perplessità emergenti in ordine alla persistente affermazione dell’irrisarcibilità dell’agonia inconsapevole, le cui incongruenze argomentative emergono evidenti», in ragione del riconoscimento della risarcibilità
del danno non patrimoniale in favore del neonato e del nascituro e, a maggior ragione, della persona giuridica e
dell’ente.
Pertanto, in conclusione, la Corte statuisce in modo risoluto che, trattandosi di un danno distinto dal danno alla salute, in ragione del diverso bene tutelato – e differenziandosi dunque dal danno biologico terminale, nonché
dal danno morale terminale – il danno da perdita della vita rileva ex se e deve essere risarcito a prescindere dalla
consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, perciò anche in caso di morte c.d. immediata o istantanea. Il
diritto al risarcimento è acquistato dalla vittima nel momento stesso della lesione mortale e, quindi, anteriormente all’exitus fatale, in quanto ontologica e imprescindibile eccezione al principio dell’irrisarcibilità
del danno-evento, risultando inoltre il relativo diritto di credito trasmissibile iure hereditatis (per inciso, deve notarsi come, nelle more della pubblicazione della presente nota, sulla medesima questione, al fine di risolvere
il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare con la sentenza in epigrafe, sono state chiamate a pronunciarsi le
sezioni unite, v. Cass. ord. n. 5056 del 2014).
Conseguentemente, alla luce delle ragioni prospettate, la S.C. statuisce che la corte di merito, nel respingere la
domanda di risarcimento formulata dai ricorrenti, ha senz’altro disatteso i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di danno morale terminale, non riconoscendo iure hereditario il diritto al risarcimento
dei danni non patrimoniali patiti dalla loro madre a causa del sinistro stradale. Inoltre, precisa la Corte, alla stregua di quanto precedentemente osservato, si sarebbe dovuto riconoscere anche il danno da perdita della vita di
entrambi i genitori degli odierni ricorrenti. Tuttavia, viene esclusa l’applicazione del principio della c.d. prospective
overruling, in ragione del carattere lungamente consolidato del pregresso indirizzo, connotandosi il suo relativo
abbandono per il carattere dell’assoluta imprevedibilità. Sicché, dunque, nel caso di specie, la norma non si applicherà secondo il nuovo significato attribuitole nei confronti della parte che, incolpevolmente, ha confidato nella
precedente e consolidata interpretazione (in merito, v. Cass. civ., sez. un., n. 15144 del 2011).
Per quanto riguarda, infine, il connesso profilo della liquidazione del danno da perdita della vita, non
essendo quest’ultimo contemplato dalle tabelle di Milano e risultando il bene vita autonomo rispetto al bene
salute/integrità psico-fisica, secondo i giudici di legittimità, si impone la necessità di individuare un sistema di
quantificazione particolare e specifico, diverso da quello dettato per il danno biologico. A tal scopo dovrà procedersi necessariamente attraverso la valutazione equitativa del giudice, l’individuazione dei cui criteri è rimessa
alla prudente discrezionalità del giudice, ritenendosi in ogni caso ammissibile qualsiasi modalità che consenta
di addivenire ad una valutazione equa, nei termini precisati dalla stessa S.C. nella sentenza in epigrafe, il tutto
naturalmente evitando di dare ingresso a inammissibili duplicazioni risarcitorie.
[Alessandro Pepe]
Le massime
ENTI COLLETTIVI
Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2013, n. 23088
In tema di associazioni non riconosciute, stabilire se una struttura organizzativa locale che fa capo ad
un’associazione costituisca un organo di quest’ultima,
ovvero sia invece, a sua volta, un’associazione munita
di autonoma legittimazione negoziale e processuale,
configura una questione che non attiene alla legitimatio ad
causam, bensì alla titolarità attiva o passiva del rapporto
dedotto in giudizio. Essa involge, dunque, un accertamento di fatto, da condurre sulla scorta dello statuto
dell’associazione e che attiene al merito della lite.
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Novità giurisprudenziali
Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2013, n. 23088
Le associazioni locali di un’associazione avente
carattere nazionale (nella specie, la struttura organizzativa regionale di un’associazione sindacale) non sono
organi di quest’ultima, ma sue articolazioni periferiche dotate di autonoma legittimazione negoziale e
processuale.
adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l’assegno di divorzio deve essere rapportato al tenore di vita goduto durante il matrimonio,
che è quello offerto dalle potenzialità economiche
dei coniugi, e non già allo stile di vita concretamente
condotto in base a scelte di rigore caratterizzate da selfrestrainment.
Cass. civ., sez. VI, ord., 29 ottobre 2013, n. 24421
Cass. civ., sez. I, 3 ottobre 2013, n. 22641
Le disposizioni in materia di condominio possono ritenersi applicabili al consorzio costituito tra
proprietari di immobili per la gestione delle parti e
dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo il consorzio alla categoria delle associazioni,
in quanto non esistono schemi obbligati per la costituzione di tale ente, assumendo, per l’effetto, rilievo
decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione statutaria, e potendo,
peraltro, l’intenzione di aderire al consorzio rivelarsi
anche tacitamente, a meno che la legge o – come nella
specie – lo statuto richiedano la forma espressa. Ne consegue, altresì, che solo l’adesione al consorzio può far
sorgere l’obbligazione di versare la quota stabilita
dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento dell’ente.
DIRITTI DELLA PERSONALITÀ
Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2013, n. 24110
In tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dall’art. 97, comma 2, della l. 22 aprile 1941,
n. 633, ricorrendo le quali l’immagine può essere
riprodotta senza il consenso della persona ritratta,
sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se
da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima. Ne consegue che la persona colta
da una ripresa televisiva (poi mandata in onda), senza
il suo consenso, in una stazione ferroviaria e in mezzo
ad una folla anonima di passeggeri, tra cui anche numerosi partecipanti alla manifestazione nota come gay pride, avvenimento di interesse pubblico, non ha diritto al
risarcimento non essendo comunque configurabile un
danno in quanto, in relazione al contesto, la possibilità
di essere individuato costituisce “un rischio della vita”
che non ci si può esimere dall’accettare.
SEPARAZIONE E DIVORZIO
Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2013, n. 23442
In tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella disciplina dettata dall’art.
5 della l. 1° dicembre 1978, n. 898, come modificato
dall’art. 10 della l. 6 marzo 1987, n. 74, il giudizio di
L’art. 12-bis della l. 1° dicembre 1978, n. 898, laddove attribuisce al coniuge titolare dell’assegno di
cui al precedente art. 5, che non sia passato a nuove
nozze, il diritto ad una quota del trattamento di fine
rapporto dell’altro coniuge, va interpretato nel senso
che per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest’ultimo, per detta
causale, dopo l’instaurazione del giudizio divorzile,
escludendosi, quindi, eventuali anticipazioni riscosse
durante la convivenza matrimoniale o la separazione
personale, essendo le stesse definitivamente entrate
nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto.
Cass. civ., sez. VI, ord., 29 ottobre 2013, n. 24421
La quota del trattamento di fine rapporto dell’altro
coniuge, riconosciuta dall’art. 12-bis della l. 1° dicembre 1978, n. 898, a quello titolare dell’assegno divorzile
che non sia passato a nuove nozze, deve liquidarsi sulla base di quanto dal primo riscosso, per tale causale,
al netto delle imposte, altrimenti trovandosi lo stesso a
doverla corrispondere in relazione ad un importo da lui
non percepito siccome gravato dal carico fiscale.
FILIAZIONE
Cass. civ., sez. VI, ord., 28 ottobre 2013, n. 24316
La mancata richiesta, da parte del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, di corresponsione diretta dell’assegno di mantenimento
giustifica la legittimazione a riceverlo da parte del
genitore con lui convivente, il quale anticipa le spese per il suo mantenimento e le programma d’accordo
con lui, e, di conseguenza, il genitore obbligato non ha
alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui
confronti adempiere.
Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 2013, n. 24482
In tema di procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, i genitori dell’adottando sono litisconsorti necessari e, ove la loro
mancata partecipazione al giudizio non sia stata rilevata
né dal giudice di primo grado, né da quello d’appello,
l’intero giudizio è viziato, dovendosi disporre, in sede
di legittimità, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce e il rinvio al giudice di primo grado, Né assume
rilievo che nei confronti dei genitori sia stata pronunciata la decadenza sulla potestà del figlio ai sensi dell’art. 330 c.c., stante il loro interesse ad opporsi
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
all’adozione per evitare le più incisive e definitive conseguenze dell’adozione che comportano, oltre la perdita
della potestà, il venir meno di ogni rapporto nei riguardi
del figlio.
SUCCESSIONI MORTIS CAUSA
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24171
In tema di eredità beneficiata l’onere della prova
dell’occultamento doloso, in sede di inventario, di un
bene appartenente all’eredità incombe su colui che
invoca la decadenza dal beneficio, dovendo la buona
fede dell’erede essere presunta sino a prova contraria.
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24171
In caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, l’art. 493 c.c. non consente all’erede beneficiato di disporre liberamente dei beni dell’asse, ma
rimette al giudice la valutazione della convenienza
di qualsiasi atto di alienazione o di straordinaria
amministrazione, incidente sul patrimonio ereditario e non finalizzato alla sua conservazione e liquidazione, stante l’obbligo di amministrazione dei beni
nell’interesse dei creditori e dei legatari. (Nella specie, in
applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha ritenuto
che non rientrassero nell’àmbito degli atti necessitanti
dell’apposita autorizzazione giudiziaria la demolizione
di un’autovettura di nessun valore commerciale caduta
in successione, come l’appropriazione del vestiario del
de cuius di valore minimale).
Cass. civ., sez. VI, ord., 8 ottobre 2013, n. 22915
La petizione di eredità ha come presupposto indefettibile che la qualità di erede, al cui riconoscimento
è preordinata, sia oggetto di contestazione da parte
di chi detiene i beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, poiché, ove tale contestazione manchi,
vengono meno le ragioni di specificità dell’azione di
petizione rispetto alla comune rivendicazione, che ha,
invero, lo stesso petitum.
Cass. civ., sez. I, 3 ottobre 2013, n. 22632
In tema di azione di riduzione, qualora il legittimario, ai sensi dell’art. 564 c.c., non possa aggredire
la donazione più recente a favore di un non coerede
per aver accettato l’eredità senza beneficio d’inventario, egli non può aggredire la donazione meno recente a favore del coerede, se non nei limiti in cui
risulti dimostrata l’insufficienza della donazione più
recente a reintegrare la quota di riserva, non potendo
ricadere le conseguenze negative del mancato espletamento di quell’onere su soggetti estranei all’assolvimento dello stesso.
Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 2013, n. 23278
Nell’interpretazione del testamento, il giudice di
merito deve accertare secondo il principio generale
di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c. – applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia
testamentaria – quale sia stata l’effettiva volontà del
testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l’elemento letterale
e quello logico dell’atto unilaterale mortis causa, nel
rispetto del principio di conservazione, sicché viola
l’art. 1367 c.c. il giudice che, dopo aver definito illeggibile una disposizione testamentaria in realtà suscettibile
di interpretazioni alternative, opti immotivatamente per
l’interpretazione invalidante.
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24163
In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi
dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (institutio ex re
certa) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito
nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio
relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni. L’indagine
diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici
del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.
Cass. civ., sez. VI, ord., 1° ottobre 2013, n. 2420
Le conseguenze della mancanza della sottoscrizione di un testamento olografo – requisito prescritto dall’art. 602 c.c., distintamente dall’autografia delle
disposizioni in esso contenute, per l’imprescindibile
esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro
riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma
anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del
medesimo nel disporre del suo patrimonio – non sono
ovviabili da una firma apposta dal testatore sul plico
contenente la scheda testamentaria, non rivelandosi essa sufficiente a collegare, logicamente e sostanzialmente, lo scritto della scheda con quello del plico
stesso.
Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2013, n. 22983
La revocazione espressa del testamento può farsi,
ai sensi dell’art. 680 c.c., oltre che con un atto ricevuto
da notaio in presenza di due testimoni, con un nuovo
testamento, mediante una dichiarazione di volontà
unilaterale e non recettizia, diretta a togliere, in tutto
o in parte, efficacia giuridica a precedenti disposizioni testamentarie dello stesso revocante; ne consegue
che, a tal fine, non può essere considerata come una
formula di stile l’espressione “revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria” contenuta nel
testamento posteriore.
Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 2013, n. 23278
In materia di testamento, la clausola si sine liberis
decesserit non realizza una duplice e successiva istituzione, come nel fedecommesso, bensì un’istituzione subordinata a condizione risolutiva, verificatasi
la quale il primo istituito viene considerato come se
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Novità giurisprudenziali
non fosse stato mai chiamato, sicché la clausola è valida solo quando abbia tutti i caratteri di una vera e
propria condizione, risolutiva rispetto al primo istituito e sospensiva nei confronti del secondo, mentre
è nulla quando venga impiegata per mascherare una
sostituzione fedecommissaria, vietata dalla legge, occorrendo, al riguardo, un accertamento caso per caso, sulla
base della volontà del testatore e delle particolari circostanze e modalità della disposizione.
Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2013, n. 22977
In materia di comunione ereditaria, è consentito
ai comproprietari, nell’esercizio della loro autonomia
negoziale, di pattuire lo scioglimento nei confronti
di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione
di comproprietà tra gli altri eredi del medesimo dante
causa. Tale contratto, con cui i coeredi perseguono
uno scopo comune, senza prestazioni corrispettive, non determinando direttamente lo scioglimento
della comunione, non configura una vera e propria
divisione, per la cui validità soltanto è necessaria la sottoscrizione di tutti i coeredi, ma un contratto plurilaterale, immediatamente vincolante ed efficace fra gli originari contraenti e destinato ad acquistare efficacia nei
confronti degli assenti in virtù della loro successiva adesione, sempre possibile, salva diversa pattuizione, sino
a quando non intervenga un contrario comune accordo
o un provvedimento di divisione giudiziale.
PROPRIETÀ
Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 2013, n. 23235
In materia di patrimonio indisponibile dello Stato, la miniera è un corpus concettualmente distinto
dal suolo o sottosuolo su cui sorge, onde, nella controversia tra privati, avente ad oggetto la proprietà del
fondo ove si trova il giacimento, lo Stato non è litisconsorte necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c.
Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22888
In tema di rapporti di vicinato, negli impianti di
riscaldamento, la caldaia, il bruciatore e il deposito
di carburante non sono soggetti al disposto dell’art.
889 c.c., relativo alla distanza dei tubi di adduzione di
gas alla caldaia, essendo il bruciatore, in particolare,
esente dalla presunzione assoluta di pericolosità che riguarda le tubazioni a flusso costante di sostanze liquide
o gassose.
Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 2013, n. 22635
In tema di distanze, l’alloggiamento di bombole di
gas per uso domestico non è soggetto al disposto
dell’art. 889, comma 2, c.c., riguardante la diversa ipotesi di tubazioni destinate al flusso costante di sostanze
liquide o gassose, per le quali soltanto è configurabile
la presunzione assoluta di pericolosità per il fondo del
vicino, essendo esso viceversa soggetto all’art. 890
c.c., sicché la pericolosità delle bombole deve essere
accertata in concreto.
Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22887
L’elemento che caratterizza la veduta rispetto alla
luce è la possibilità di avere, attraverso di essa, una
visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è prevista dall’art. 900 c.c. in aggiunta a quella
di guardare, sicché, in date condizioni, la mancanza di
quest’ultimo requisito non esclude la configurabilità
della veduta, quando attraverso l’apertura sia comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino
mediante la semplice inspectio.
DIRITTI REALI DI GODIMENTO
Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2013, n. 23593
Il superficiario, in ragione della natura “proprietaria” del diritto di superficie, può agire per l’accertamento della communio incidens su una strada poderale a servizio della costruzione e per la rimozione
degli ostacoli materiali frapposti all’accesso da altri
frontisti, esercitando, in tal modo, una negatoria servitutis, rispetto alla quale non sussiste necessità di litisconsorzio di tutti i comproprietari latistanti, atteso che l’accertamento e la condanna sono utilmente pronunciati
tra le parti in giudizio; egli non è tenuto, in particolare,
a chiamare in causa il titolare del suolo, in applicazione analogica dell’art. 1012, comma 2, c.c., essendo
la posizione del dominus soli diversa da quella del nudo
proprietario, in quanto l’usufrutto è un diritto reale limitato nel tempo e nelle facoltà, mentre la superficie può
essere perpetua ed attribuisce al superficiario facoltà
dominicali piene e stabili.
Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 2013, n. 23160
L’esenzione da servitù, prevista dall’ultimo comma dell’art. 1051 c.c. per le case, i cortili, i giardini e le
aie ad esse attinenti, opera solo in ipotesi di pronuncia costitutiva di passaggio coattivo, e non invece in
ipotesi di pronuncia dichiarativa di una servitù già
sussistente in virtù di acquisto per destinazione del
padre di famiglia, trattandosi di disposizione di carattere eccezionale, come tale non estensibile oltre i casi
espressamente previsti.
Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2013, n. 22990
La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque
sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti
da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure,
risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli o industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli
edifici. L’art. 1043 c.c., infatti, non autorizza alcuna
distinzione tra acque impure e acque luride o “nere”,
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intese quest’ultime come acque di scarico delle latrine,
dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque
impure, contenuto nel secondo comma, come volto
unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitù
coattiva è subordinata all’adozione di opportune
precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente.
Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2013, n. 22989
Il venir meno della interclusione del fondo dominante, cioè della situazione che aveva determinato la
costituzione della servitù coattiva di passaggio, non
comporta l’estinzione di questa in modo automatico,
neanche nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede una domanda
del soggetto interessato, non essendo sufficiente una
semplice eccezione di estinzione della servitù (come avvenuto nella specie) per paralizzare la actio confessoria
diretta all’accertamento della sussistenza e difesa di una
servitù coattiva.
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24170
L’acquisto della servitù apparente per usucapione decennale presuppone la sussistenza di un atto a
titolo particolare astrattamente idoneo ad attuare il
“trasferimento” del diritto che si assume usucapito, e
tale atto deve consistere in un titolo col quale il soggetto,
che si qualifichi – senza esserlo – proprietario del “fondo servente”, abbia costituito una servitù in favore del
“fondo dominante”, il cui titolare vanti, poi, l’acquisto
della servitù per usucapione.
Cass. civ., sez. VI, ord., 8 ottobre 2013, n. 22908
Il giudicato può spiegare efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio quando
contenga l’affermazione di una verità che non ammette un diverso accertamento e il terzo non vanti un
diritto autonomo rispetto a quello su cui il giudicato è
intervenuto. Ne consegue che l’accertamento dell’inesistenza di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia a carico di un fondo
e a vantaggio di un altro fondo, successivamente
frazionato, pregiudica l’azione del terzo per un
nuovo accertamento della stessa servitù a carico
dello stesso fondo e a vantaggio di altra parte del
fondo frazionato.
COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23955
In tema di condominio negli edifici, nel giudizio
promosso da un condomino per la revoca dell’amministratore, interessato e legittimato a contraddire
è soltanto l’amministratore, non anche il condominio,
che, pertanto, non può intervenire in adesione all’amministratore, né beneficiare della condanna alle spese
del condomino ricorrente.
Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 2013, n. 22634
In tema di condominio negli edifici, è nulla – e non
soggetta, quindi, al termine di impugnazione di cui
all’art. 1137 c.c. – la delibera assembleare che addebiti le spese di riscaldamento ai condomini proprietari di locali (nella specie, sottotetti), cui non sia
comune l’impianto di riscaldamento, né siano serviti
da quest’ultimo, trattandosi di delibera che inerisce ai
diritti individuali di tali condomini e non alla mera determinazione quantitativa del riparto delle spese.
POSSESSO E USUCAPIONE
Cass. civ., sez. VI, ord., 10 ottobre 2013, n. 23035
Il promissario acquirente di un fondo agricolo,
che ne abbia conseguito la disponibilità a titolo di
anticipata esecuzione di un contratto preliminare
poi dichiarato nullo, in quanto detentore della cosa,
è tenuto a restituire non solo il bene indebitamente goduto, ma anche le utilità ab initio ricavate dallo
stesso, non rilevando, al riguardo, la disposizione di cui
all’art. 1148 c.c., la quale limita temporalmente l’obbligo
restitutorio dei frutti per il possessore in buona fede con
decorrenza dal giorno della domanda giudiziale.
OBBLIGAZIONI IN GENERALE
Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22904
Allorché i contraenti si riferiscano ad un dato cronologico allo scopo di indicare il periodo di tempo
entro cui vada eseguita una determinata prestazione,
dichiarando poi incidentalmente la finalità pratica
sottesa alla concessione di quel termine nell’aspettativa del verificarsi di un certo evento, assume preminente rilievo il dato temporale e la relativa clausola va intesa nel senso che le parti vollero determinare il tempo
dell’adempimento e non, invece, condizionare l’efficacia
del contratto all’avveramento di un evento futuro. (Nella
specie, la S.C. ha confermato l’interpretazione del giudice
del merito, secondo cui la clausola contrattuale – contenuta in una scrittura privata separata e coeva ad altra
principale, costitutiva del diritto di godimento di un posto barca e auto entro un erigendo porto turistico, contro
versamento del prezzo – con cui l’originario concedente
si obbligava al “riacquisto” del bene ove l’area portuale
non fosse stata sistemata nel termine prefissato, configurava la determinazione del tempo dell’adempimento e
non una clausola risolutiva espressa).
Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 2013, n. 22639
L’art. 1193 c.c. presuppone una pluralità di rapporti obbligatori tra le stesse parti e ha lo scopo di
eliminare l’incertezza circa la sorte degli stessi, evitando che a ciascun atto di pagamento non segua l’effetto solutorio di una ben determinata obbligazione, sicché
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tale disposizione non è applicabile, e la questione
dell’imputazione del pagamento non è proponibile,
quando tra le parti sussista un unico debito.
Cass. civ., sez. I, 3 ottobre 2013, n. 22632
Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art.
1224, comma 2, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva laddove, durante la mora, il tasso di inflazione sia superiore al saggio degli interessi legali.
Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2013, n. 23573
La circostanza che l’accertamento di un credito risulti sub iudice non è di ostacolo alla possibilità che
il titolare lo opponga in compensazione al credito
fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore.
In tal caso, se i due giudizi pendono innanzi al medesimo ufficio giudiziario, il coordinamento tra di essi deve
avvenire attraverso la loro riunione, all’esito della quale
il giudice potrà procedere nei modi indicati dal secondo
comma dell’art. 1243 c.c. Se, invece, pendono dinanzi ad uffici diversi (e non risulti possibile la rimessione
della causa, ai sensi dell’art. 40 c.p.c., in favore del giudice competente per la controversia avente a oggetto il
credito eccepito in compensazione), ovvero il giudizio
relativo al credito in compensazione penda in grado di
impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire con la
pronuncia, sul credito principale, di una condanna con
riserva all’esito della decisione sul credito eccepito in
compensazione e contestuale rimessione della causa
nel ruolo per decidere in merito alla sussistenza delle
condizioni per la compensazione, seguita da sospensione del giudizio – ai sensi, rispettivamente, degli artt. 295
e 337, secondo comma, c.p.c. – fino alla definizione del
giudizio di accertamento del controcredito.
Cass. civ., sez. VI, ord., 18 ottobre 2013, n. 23716
Un credito contestato in un separato giudizio
non è suscettibile di compensazione legale, attesa
la sua illiquidità, né di compensazione giudiziale,
poiché potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio,
richiedendosi, invece, per la compensazione volontaria, un patto con cui venga direttamente disposta
la compensazione di crediti già esistenti oppure siano fissate le condizioni, derogatorie a quelle di legge
(altrimenti si avrebbe compensazione legale o giudiziale), necessarie e sufficienti per il prodursi in futuro
dell’effetto compensativo fra le parti.
Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22601
Il diritto di credito relativo al risarcimento del
danno non patrimoniale, così come risulta trasmissibile iure hereditatis, può anche formare oggetto di cessione per atto inter vivos, non presentando carattere
strettamente personale.
Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 2013, n. 22752
L’accoglimento della domanda di iscrizione, con la
conseguente ammissione dell’allievo a scuola, deter-
mina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare
sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in
cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le
sue espressioni e, quindi, di predisporre gli accorgimenti
necessari affinché nei locali scolastici non si introducano
persone o animali che possano arrecare danno agli alunni;
ne consegue che, al fine di adempiere tale obbligazione
di vigilanza, la predisposizione degli accorgimenti necessari, da parte della direzione scolastica, deve essere
strettamente legata alle circostanze del caso concreto:
da quelle ordinarie, tra le quali l’età degli alunni, che impone una vigilanza crescente con la diminuzione dell’età
anagrafica; a quelle eccezionali tra le quali deve comprendersi l’esistenza di lavori di manutenzione dell’immobile,
che implicano la prevedibilità di pericoli derivanti dalle
cose (cantiere aperto) e da persone estranee alla scuola e
non conosciute dalla direzione didattica, ma autorizzate a
circolare liberamente per il compimento della loro attività.
RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE
DEL DEBITORE E MEZZI DI
CONSERVAZIONE DELLA
GARANZIA PATRIMONIALE
Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2013, n. 23891
I conferimenti di beni in natura dei soci fondatori
integrano negozi traslativi diretti in favore della società, sia essa personale o di capitali. Quest’ultima, pertanto, nella veste di parte acquirente, è – insieme al
socio conferente – unico soggetto legittimato passivo
dell’azione revocatoria, salvo l’interesse dei soci all’intervento adesivo in ragione dell’affidamento riposto nel
conferimento in natura, soprattutto se riguardi un bene
essenziale all’attività sociale la cui eventuale perdita, per
effetto dell’azione esecutiva del creditore particolare,
ponga a rischio l’esistenza stessa della società.
Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2013, n. 23891
In ipotesi di azione ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto un negozio di conferimento, l’elemento psicologico della fattispecie revocatoria deve essere accertato
con riguardo ai soci quando, nella fase costitutiva della
società, la stessa ancora non abbia acquisito la soggettività giuridica, né sia dotata di un rappresentante legale,
mentre, laddove l’organo gestorio sia contestualmente
nominato, ne è, invece, sufficiente la ravvisabilità in capo a quest’ultimo ex art. 1391 c.c. (Nella specie, il socio
conferente era altresì l’accomandatario della s.a.s.).
GARANZIE REALI
Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2013, n. 22814
Costituisce principio generale dell’ordinamento
quello della prevalenza delle esigenze pubblicisti-
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
che penali sulle ragioni del creditore del soggetto
colpito da misura di sicurezza patrimoniale. Ne
consegue che, in tema di confisca prevista dall’art.
12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito,
con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356 (e
successive modifiche), il diritto del creditore – sebbene assistito da garanzia reale sul bene confiscato
iscritta in data precedente alla confisca stessa ed
eccettuato il solo caso in cui anche il trasferimento
del bene pignorato sia intervenuto anteriormente
ad essa – non può più essere tutelato davanti al giudice civile. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 363,
comma 3, c.p.c.).
CONTRATTO IN GENERALE
fino all’eventuale ratifica di questo, e tale inefficacia
(temporanea) è rilevabile unicamente su eccezione
dello pseudo-rappresentato e non d’ufficio.
Cass. civ., sez. VI, ord., 29 ottobre 2013, n. 24415
L’accordo con il quale le parti di un contratto abbiano stabilito una deroga convenzionale alla competenza territoriale non opera nei confronti di chi
sia rimasto estraneo all’accordo, a nulla rilevando la
sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario,
poiché per il terzo la clausola di deroga è res inter alios
acta. Pertanto nel contratto a favore di terzo quest’ultimo, non essendo parte né in senso sostanziale né
in senso formale, non è tenuto a rispettare il foro
convenzionale pattuito tra i contraenti.
Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2013, n. 23235
Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23920
La lettera raccomandata costituisce prova certa
della trasmissione del plico spedito, attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la
presunzione, fondata sulle univoche e concludenti
circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità
del servizio postale, di arrivo al destinatario dell’atto
comprendente la busta ed il suo contenuto, e dunque
di conoscenza del medesimo ex art. 1335 c.c. Spetta
di conseguenza al destinatario l’onere di dimostrare
che il plico non conteneva alcuna lettera al suo interno, e dunque la mancata conoscenza dell’atto.
Il rilievo d’ufficio della nullità del contratto è precluso al giudice quando sulla validità del rapporto
si sia formato il giudicato, anche implicito, come allorché il giudice di primo grado, accogliendo una domanda, abbia dimostrato di ritenere valido il contratto,
e le parti, in sede di appello, non abbiano mosso alcuna
censura inerente la sua validità. (Nel caso di specie, in
applicazione di tale principio, si è ritenuto che il giudicato interno, formatosi sull’accoglimento della domanda
contrattuale di rendiconto, ex art. 2552 c.c., precludesse
la questione sulla validità del contratto di associazione
in partecipazione).
Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2013, n. 23148
Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24563
La funzione di anticipazione della prestazione
dovuta e di rafforzamento del vincolo obbligatorio
propria della caparra confirmatoria – che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una
somma di danaro o di una determinata quantità di cose
fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni
nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d.
contratto principale) – ben può essere assolta anche
dalla dazione di effetti cambiari in epoca successiva
alla stipulazione di un contratto preliminare, così differendosi la consegna ad un momento successivo alla
conclusione del contratto principale, ma a condizione
che la scadenza della promessa di pagamento contenuta nei pagherò cambiari sia anteriore a quella
delle obbligazioni pattuite con il preliminare.
Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 2013, n. 22747
Il potere del giudice di ridurre l’importo della penale prevista in un contratto, ex art. 1384 c.c., può essere esercitato solo se la parte obbligata al pagamento
abbia correttamente allegato e provato i fatti dai quali risulti l’eccessività della penale stessa.
Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2013, n. 24133
Il contratto concluso dal rappresentante senza
potere non è nullo e neppure annullabile, ma soltanto
inefficace nei confronti dello pseudo-rappresentato,
Proposta domanda di risoluzione per inadempimento, non integra il vizio di extrapetizione la
decisione con cui il giudice valuti d’ufficio la tolleranza, consolidatasi attraverso un comportamento
protrattosi nel tempo, osservata da uno dei contraenti verso l’inadempimento dell’altro, trattandosi
di circostanza utile per verificare la persistenza e
la misura dell’interesse di una delle parti all’adempimento dell’altra e incidendo, altresì, la stessa sulla
posizione soggettiva del debitore, escludendone o attenuandone la colpa.
Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24564
Il creditore, dopo aver promosso il giudizio per
ottenere l’adempimento del contratto, può, in corso
di causa, dichiarare che intende valersi della clausola risolutiva espressa, trattandosi di facoltà riconducibile allo ius variandi ammesso in generale dall’art. 1453,
comma 2, c.c.
Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24564
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto
in un comportamento negativo, quanto in uno positivo,
non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente
ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove
lo stesso creditore, contestualmente o successivamen-
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Studium Iuris, 5/2014
Novità giurisprudenziali
te all’atto di tolleranza, manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione
dell’inadempimento.
COMPRAVENDITA
Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24560
CONTRATTO PRELIMINARE
Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2013, n. 23591
Il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo
per la comminatoria di cui all’art. 40, comma 2, della l.
28 febbraio 1985, n. 47, che, sebbene riferita agli atti di
trasferimento con immediata efficacia reale, si estende
al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in
quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa.
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23956
In tema di contratto preliminare, l’esistenza di un
vincolo reale sul bene oggetto del futuro trasferimento, che non sia stato dichiarato dal promittente
venditore e non fosse conosciuto dal promissario
compratore, legittima quest’ultimo all’attivazione
dei rimedi a tutela della propria posizione, quali l’istanza di risoluzione del contratto ovvero – qualora egli
voglia, comunque, darvi esecuzione – la sospensione
del pagamento del prezzo ancora dovuto.
Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 2013, n. 23162
In ipotesi di preliminare di vendita di un appartamento, la presenza di vizi dell’immobile, consegnato prima della stipula dell’atto definitivo, abilita il
promissario acquirente, senza che sia tenuto al rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 1495
c.c., ad opporre l’exceptio inadimpleti contractus al
promittente venditore, che gli chieda di aderire alla
stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, ovvero a domandare,
in via alternativa, la risoluzione del preliminare per
inadempimento, o la condanna del medesimo promittente venditore ad eliminare a proprie spese i vizi
della cosa.
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23969
Il promissario acquirente di un immobile in costruzione, avente causa dal promissario acquirente
del terreno edificabile destinato ad ospitarlo, ha interesse ad intervenire nel giudizio di risoluzione per
inadempimento del primo preliminare, introdotto
dal promittente venditore del terreno, per sostenere le ragioni del proprio dante causa, onde evitare che
il venir meno del primo contratto pregiudichi l’effetto
traslativo oggetto del secondo preliminare; quale interventore adesivo dipendente, tuttavia, egli non può
ampliare il tema del contendere, proponendo domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932
c.c. nei confronti del suo dante causa.
Il pagamento del prezzo della compravendita, in
quanto oggetto di un’obbligazione pecuniaria, deve
effettuarsi, ex art. 1277 c.c., in moneta avente corso
legale, salvo diversa volontà delle parti, sicché, in assenza di prova di quest’ultima, lo stesso, qualora eseguito mediante cessioni di cambiali, non ha effetto
solutorio, avendo la cambiale natura di strumento per
la circolazione del credito e non di pagamento, ed avvenendo la cessione o la girata pro solvendo e non pro soluto,
ove non differentemente ed espressamente pattuito.
Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 2013, n. 23157
Nella vendita di immobili destinati ad abitazione,
il venditore-costruttore ha l’obbligo non solo di trasferire all’acquirente un fabbricato conforme all’atto
amministrativo di assenso della costruzione e, dunque, idoneo ad ottenere l’agibilità prevista, ma anche
di consegnargli il relativo certificato, curandone la
richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio.
L’inadempimento di questa obbligazione è ex se foriero di danno emergente, perché costringe l’acquirente a
provvedere in proprio, ovvero a ritenere l’immobile tal
quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello
che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato
all’alienazione a terzi.
Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2013, n. 24131
La responsabilità per evizione del venditore è
l’effetto dell’esercizio di “diritti” del terzo, senza altra
qualificazione, che possano essere fatti valere sulla
cosa venduta e va rapportata, quindi, a qualsiasi diritto anche di carattere personale, come il diritto di
riscatto agrario. Ne consegue che il promissario acquirente ha la facoltà di sospendere il pagamento del
prezzo, ai sensi dell’art. 1481 c.c., ove sussista, in suo
danno, pericolo di rivendica da parte del titolare della prelazione agraria violata.
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23970
In tema di garanzia per vizi nella compravendita,
il riconoscimento dei difetti da parte del venditore,
che, ai sensi dell’art. 1495, comma 2, c.c., esonera
il compratore dall’onere della tempestiva denuncia,
può aver luogo anche tacitamente, per facta concludentia, come nel caso in cui lo stesso venditore provveda
alla sostituzione della cosa (nella specie, dell’intera fornitura di materiale edile di elevato valore).
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23967
In tema di vendita con riserva della proprietà, le
disposizioni degli artt. 1525 e 1526 c.c., concernenti
l’inadempimento del compratore e la risoluzione del
contratto, hanno la funzione di impedire al venditore
di chiedere la risoluzione del contratto oltre i limiti della
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
rilevanza legale dell’inadempimento del compratore per
il mancato pagamento del prezzo (come nell’ipotesi di
omesso pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo), ma non gli impediscono di far
valere l’azione contrattuale di adempimento in relazione al bene oggetto del patto di riservato dominio.
PERMUTA
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24172
Integra gli estremi della permuta di cosa presente con cosa futura il contratto avente ad oggetto il
trasferimento della proprietà di un’area fabbricabile
in cambio di parti dell’edificio da costruire, in tutto
o in parte, sulla stessa superficie, a cura e con i mezzi
del cessionario, e ciò tutte le volte in cui sia proprio il
risultato traslativo, consistente nell’attribuzione di una
determinata opera da realizzare, ad essere assunto come oggetto del contratto e come termine di scambio con
la cosa presente. A tal fine, in applicazione delle norme
sulla vendita, in quanto compatibili, l’effetto traslativo
si verifica ex art. 1472 c.c. non appena la cosa viene
ad esistenza, momento che si identifica, quando la
cosa futura consista in una porzione dell’edificio che
il permutante costruttore si è impegnato a realizzare,
nella conclusione del processo edificatorio nelle sue
componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali, senza che abbiano rilevanza
le rifiniture o gli accessori, così come conforta la lettera
dell’art. 2645-bis, ultimo comma, del c.c.
Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24172
Il supplemento di prezzo, previsto dall’art. 1538
c.c. in tema di vendita a corpo, è applicabile, ai sensi
dell’art. 1555 c.c., anche alla permuta, trattandosi di
norma compatibile atteso che, pur facendo riferimento
al prezzo, ne considera la sua funzione contrattuale di
scambio, quale corrispettivo della prestazione, e non il
carattere pecuniario.
LOCAZIONE
altresì alla restituzione del deposito cauzionale versato
dal conduttore. Ne discende che il venditore del bene locato ha l’obbligo di trasferire il possesso della
cauzione ricevuta, salvo esplicito diverso accordo
con l’acquirente, il che avviene quando dal contratto
risulti che il mancato trasferimento della somma di denaro corrispondente alla cauzione sia stato oggetto di
compensazione nei rapporti di dare e avere tra le parti,
oppure quando il prezzo della vendita sia stato concordato sin dall’inizio in misura ridotta, tenendo conto del
valore della cauzione stessa.
APPALTO E CONTRATTO D’OPERA
Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2013, n. 22802
Il venditore di pezzi di ricambio, che si sia obbligato
a mettere a disposizione il suo personale specializzato e
sia chiamato a sostituire una parte guasta di un impianto complesso, deve montare il pezzo nuovo con
diligenza e perizia tali che l’impianto nel suo complesso funzioni, eventualmente cercando le cause dirette
e indirette che hanno prodotto il guasto stesso. (Nella
specie, la S.C. ha ritenuto la responsabilità di un venditore e installatore chiamato a sostituire un compressore
guasto poiché, oltre a sostituire il compressore, avrebbe
dovuto anche verificare l’idoneità dell’intero impianto di
refrigerazione e, dunque, dimostrare di aver controllato
l’impianto elettrico – poi risultato guasto – che mantiene
caldo l’olio all’interno del compressore).
Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2013, n. 24561
In materia di contratto d’opera, l’azione contrattuale di inadempimento (nella specie, relativa all’esecuzione di lavori edilizi in un appartamento) non concorre con l’azione di responsabilità extracontrattuale per i danni arrecati alla proprietà di un terzo (nella
specie l’appartamento sovrastante) ove i fatti allegati
al prospettato inadempimento contrattuale non consentano di estendere la cognizione al profilo della
responsabilità aquiliana.
CONTRATTO D’OPERA PROFESSIONALE
Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22592
L’art. 1591 c.c. disciplina un’obbligazione risarcitoria da inadempimento contrattuale, che, sostituendosi a quella contrattuale di pagamento del canone di
locazione, costituisce un debito di valore. Ne consegue che – ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. 26 ottobre 1972,
n. 633 – sull’importo dovuto dall’occupante non più
a titolo di canone, ma di risarcimento per la protratta
occupazione, non è dovuta l’IVA.
Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 2013, n. 23164
L’acquirente di immobile locato, subentrando
nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, agli effetti dell’art. 1602 c.c., è tenuto
Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2013, n. 24118
L’attività di assistenza e di consulenza finalizzata
alla preparazione e alla presentazione di una domanda rivolta alla concessione di finanziamenti pubblici
da presentare ad un organo predeterminato dalla legge
costituisce prestazione d’opera professionale e non
può essere qualificata come attività di mediazione né
tipica né atipica, mancando l’elemento essenziale della
“messa in relazione” dei contraenti.
Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2013, n. 24109
In tema di responsabilità professionale del medico, costituisce inadempimento qualificato del sanita-
604
wki riviste3 - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
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Novità giurisprudenziali
rio l’omessa o inesatta informazione sui profili di incertezza circa la non irreversibilità di un intervento
di sterilizzazione, essendo tenuto il medico, anche in
relazione alla specificità dell’obbiettivo perseguito dalla
paziente, a fornire informazioni non meramente generiche, così da consentire all’interessata di adottare, nel
successivo decorso del tempo, le opportune misure e
gli utili accertamenti e controlli clinici, atti ad impedire
gravidanze non volute.
Cass. civ., sez. lav., 7 ottobre 2013, n. 22786
In tema di contratto d’opera, la previsione della
possibilità di recesso ad nutum del cliente contemplata dall’art. 2237, comma 1, c.c., non ha carattere
inderogabile e quindi è possibile che, per particolari
esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al
termine del rapporto, dovendosi ritenere sufficiente
– al fine di integrare la deroga pattizia alla regolamentazione legale della facoltà di recesso – la mera apposizione di un termine al rapporto di collaborazione
professionale, senza necessità di un patto espresso e
specifico. Ne consegue che, in tale evenienza, l’interruzione unilaterale dal contratto da parte del committente comporta per il prestatore il diritto al compenso contrattualmente previsto per l’intera durata
del rapporto.
COMODATO
Cass. civ., sez. VI, ord., 24 ottobre 2013, n. 24142
La controversia avente ad oggetto il rilascio di un
fondo rustico concesso in comodato è devoluta alla
competenza del giudice ordinario, e non della sezione
specializzata agraria, trattandosi di rapporto non soggetto all’applicazione della legislazione speciale sui
contratti agrari.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 2013, n. 24483
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la
nullità delle clausole del contratto di conto corrente
bancario che rinviano alle condizioni usualmente
praticate per la determinazione del tasso d’interesse o che prevedono un tasso d’interesse usurario è
rilevabile anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 c.c.,
qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta
di interessi, senza che ciò si traduca in una violazione
dei principi della domanda e del contraddittorio, i quali
escludono che, in presenza di un’azione diretta a far valere l’invalidità di un contratto, il giudice possa rilevare
d’ufficio la nullità per cause diverse da quelle dedotte
dall’attore.
Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2013, n. 23382
Il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto
imputabile al titolare del diritto stesso tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più
esercitato, non può costituire motivo per negare la
tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo
sia la conseguenza fattuale di un’inequivoca rinuncia tacita o modifica della disciplina contrattuale, per
cui, in difetto di deduzione e prova di tali evenienze,
è legittima la revoca dell’affidamento intimata dalla
banca pur dopo avere a lungo tollerato gli sconfinamenti dai relativi limiti da parte del correntista.
Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 2013, n. 23194
In tema di risarcimento del danno da protesto di
assegno bancario, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di
un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente
al risarcimento, essendo necessarie la gravità della
lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche
mediante presunzioni semplici, oltre alla mancanza
di un’efficace rettifica, fermo restando l’onere del
danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali
possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il
profilo dell’onore e della reputazione, o la lesione della vita di relazione o della salute. (In applicazione del
suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di
merito che aveva ritenuto il danno non provato, attesa la pubblicazione sul bollettino con la causale “firma
contestata” e l’annotazione che la firma fosse risultata
“apocrifa”).
Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2013, n. 23077
Non costituisce danno risarcibile il pregiudizio
subito dal traente in seguito al protesto di un assegno bancario per mancato pagamento, allorché la
banca trattaria abbia adempiuto all’ordine di non
pagare il titolo, impartito dal cliente per iscritto prima della scadenza del termine di presentazione, non
potendo farsi discendere dalla non imperatività dell’ordine di non pagare prima dello spirare del termine, di
cui all’art. 35 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, anche
l’illiceità della sua condotta.
RESPONSABILITÀ CIVILE
FATTISPECIE DI ILLECITO
Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23915
In tema di illecito aquiliano perché rilevi il nesso di
causalità tra una condotta e l’evento lesivo deve ricorrere, secondo la combinazione dei principi della condicio sine qua non e della causalità efficiente, la duplice
condizione che si tratti di una condotta antecedente necessaria dell’evento e che la stessa non sia poi
neutralizzata dalla sopravvenienza di un fatto di per
sé idoneo a determinare l’evento stesso. Ne consegue
605
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
che, per escludere la responsabilità extracontrattuale
dell’appaltatore, per i danni derivanti dall’impianto di
riscaldamento non ancora completato, è sufficiente che
gli appaltanti-danneggiati mettano in funzione l’impianto non concluso e fuori dalla custodia dell’appaltatore,
trovandosi all’interno dell’abitazione rimasta nella disponibilità esclusiva dei danneggiati.
to che infligge l’offesa sia il medesimo che la sta ricevendo dall’offeso) non possono essere invocate dall’autore di uno scritto anonimo (o sotto pseudonimo, se
resti non identificabile l’effettivo autore), in quanto l’anonimato non consente di verificare la necessaria
correlazione tra l’esercizio d’un diritto ed il soggetto
che di quel diritto è titolare.
Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23933
Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2013, n. 23144
In tema di responsabilità aquiliana, nella comparazione delle diverse concause, nessuna delle quali
appaia del tutto inverosimile e senza che una sola
assuma con evidenza una efficacia esclusiva rispetto all’evento, è compito del giudice valutare quale
di esse appaia “più probabile che non” rispetto alle
altre nella determinazione dell’evento. Ne consegue
che, nell’ipotesi in cui si sostenga l’esistenza d’un nesso
causale tra la condotta posta in essere da organi della
P.A. per il depistaggio di indagini giudiziarie, avviate a
seguito di un disastro aereo, e il danno da fallimento della compagnia aerea proprietaria del velivolo coinvolto
nel disastro, la cui immagine si lamenta essere stata lesa
dal depistaggio finalizzato ad avvalorare la tesi del cedimento strutturale dell’aereo e dell’inaffidabilità tecnica
e commerciale della compagnia, è incongruo limitarsi
ad attribuire alla situazione di preesistente dissesto finanziario – desunto dalla revoca della concessione di
volo intervenuta sei mesi dopo il disastro – la causa del
fallimento della società, e del danno da questo derivante, essendo invece necessario comparare le concause,
verificando in concreto se la situazione di irrecuperabile
dissesto fosse effettivamente preesistente al disastro aereo, oppure se uno stato debitorio non patologico per
una compagnia aerea si sia aggravato in modo decisivo
proprio per la riconosciuta attività di depistaggio con discredito commerciale.
L’immunità di cui beneficia il parlamentare per
le opinioni espresse, ai sensi dell’art. 68 Cost., può
essere invocata solo dal parlamentare stesso e non
dall’editore che ne abbia diffuso le opinioni diffamatorie col mezzo della stampa o della televisione. Ne
consegue che, nel giudizio di risarcimento del danno
proposto dal diffamato nei confronti dell’editore civilmente responsabile, l’intervento volontario del deputato diffamatore non può avere né l’effetto di estendere
al convenuto l’insindacabilità di cui all’art. 68 Cost., né
quello di provocare la sospensione del processo, ex art.
295 c.p.c., in attesa della deliberazione della Camera
di appartenenza circa l’insindacabilità delle opinioni
espresse dal deputato.
Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2013, n. 23576
Il principio secondo cui la critica politica può
assumere toni più pungenti rispetto a quelli interpersonali tra privati, potendo essere di parte e non
dovendo necessariamente essere obiettiva, vale a
maggior ragione in occasione di una competizione
elettorale, in cui si contrappongono, ancor più immediatamente e direttamente, due o più competitori nonché due o più partiti e/o coalizioni, essendo in tale occasione consentito il ricorso ad espressioni ancor più
aspre, purché siano strumentalmente collegate alla
manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione, dal comportamento, dal programma elettorale, ove
già delineato, oppure dalla visione politica, genericamente intesa, dei propri avversari, senza però trasmodare nell’attacco personale o nella pura contumelia
e nella lesione del diritto altrui all’integrità morale.
Cass. civ., sez. VI, ord., 10 ottobre 2013, n. 23042
In tema di diffamazione a mezzo stampa, le esimenti
del diritto di critica, del diritto di cronaca, nonché
quella della “ritorsione” (sussistente allorché il sogget-
Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2013, n. 23144
In tema di responsabilità da diffamazione a mezzo trasmissione televisiva, nel caso in cui la stessa sia
articolata in una pluralità di puntate, è ammissibile
una valutazione unitaria dell’insieme delle singole
trasmissioni che conduca all’individuazione di un
sotteso e globale “disegno diffamatorio”, così da
escludere la riconducibilità delle specifiche condotte
al diritto di critica.
Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2013, n. 23144
In tema di responsabilità da diffamazione, in
caso di condotte lesive reiterate (nella specie, in
quanto poste in essere attraverso una trasmissione
televisiva articolata in una pluralità di puntate) non
può trovare applicazione l’istituto della continuazione di cui all’art. 81 c.p., che, costituendo una fictio iuris ispirato al favor rei, non si estende all’àmbito
risarcitorio civilistico, ove assume rilievo centrale la figura del danneggiato, nei cui confronti la
reiterazione delle offese diffamatorie determina un
accrescimento e un aggravio del vulnus alla reputazione e all’onore.
Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585
L’affermazione della responsabilità aquiliana degli enti pubblici per il fatto di funzionari e dipendenti presuppone che sia stata accertata e dichiarata la
responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 c.c., di (almeno)
una delle persone fisiche poste in rapporto giuridicamente rilevante con l’ente stesso (amministratori,
funzionari o dipendenti), le quali, per la posizione di
“protezione” rispettivamente rivestita, siano in condizione di adottare le misure preventive necessarie ad
evitare la consumazione dell’illecito.
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Studium Iuris, 5/2014
Novità giurisprudenziali
Cass. civ., sez. VI, ord., 30 ottobre 2013, n. 24549
Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23919
Con riguardo all’esercizio di attività pericolosa,
anche nell’ipotesi in cui l’esercente non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in tal
modo realizzando una situazione astrattamente idonea
a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito e
sia idonea – secondo l’apprezzamento del giudice di
merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza
di congrua motivazione – a causare da sola l’evento,
recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività
pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche
quando sia attribuibile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha
confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata da parte
attrice in relazione al danno consistito nella perdita della
mano sinistra, amputatagli per effetto dello scoppio di
un petardo rimasto inesploso, domanda proposta nei
confronti dei titolari di una società che aveva allestito
in un campo sportivo uno spettacolo di fuochi pirotecnici, contravvenendo – a conclusione dello stesso – a
un preciso obbligo di bonificare il terreno, rilevando che
l’attore, anziché avvertire la pubblica autorità del rinvenimento del materiale pirico inesploso, lo aveva portato
in quantità nella sua abitazione, prendendo successivamente a maneggiarlo per giocare “all’artificiere”).
L’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c., per
difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a
situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle
pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti
la concreta possibilità per l’utente danneggiato di
percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la
situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo
è suscettibile di essere previsto e superato attraverso
l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato,
tanto più il comportamento della vittima incide nel
dinamismo causale del danno, sino ad interrompere
il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e
l’evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che
non operasse la presunzione di responsabilità a carico
dell’ente ex art. 2051 c.c., in un caso di sinistro stradale
causato da una buca presente sul manto stradale, atteso
che il conducente danneggiato era a conoscenza dell’esistenza delle buche, per cui avrebbe dovuto tenere un
comportamento idoneo ad evitarle).
Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2013, n. 23584
Ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione
di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe
stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso
danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato
cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso
fortuito.
Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 2013, n. 22755
L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito ha l’obbligo di provvedere alla relativa
manutenzione (artt. 16 e 28 della l. 20 marzo 1865,
n. 2248, all. F; art. 14 del d. legisl. 30 aprile 1992, n.
285; per i Comuni, art. 5 del r.d. 15 novembre 1923, n.
2506) nonché di prevenire e, se del caso, segnalare
qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente
non solo alla sede stradale ma anche alla zona non
asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a
livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede
stradale (banchina), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità,
anche per sole manovre saltuarie di breve durata,
comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata. (Nella specie la S.C. ha ritenuto responsabile l’ANAS di un
incendio che si era propagato dall’erba secca falciata e
accumulata su una banchina stradale e non asportata).
Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585
Dei danni causati dalle carenze strutturali dell’immobile, sede di un ente pubblico, è responsabile
l’organo apicale di quest’ultimo, in applicazione del
principio secondo cui egli risponde delle violazioni
riconducibili all’esercizio dei suoi poteri di indirizzo
e di programmazione, sia quando sia stato specificamente sollecitato ad intervenire e sia quando sia stato a
conoscenza della situazione antigiuridica derivante dalle inadempienze dell’apparato competente, omettendo
però di attivarsi, con i suoi autonomi poteri, per porvi
rimedio.
RESPONSABILITÀ CIVILE
L’OBBLIGAZIONE RISARCITORIA
Cass. civ., sez. VI, ord., 4 ottobre 2013, n. 22687
Il c.d. danno da “fermo tecnico”, patito dal proprietario di un autoveicolo a causa della impossibilità di utilizzarlo durante il tempo necessario alla sua riparazione,
può essere liquidato anche in assenza d’una prova
specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che
il danneggiato sia stato privato del veicolo per un
certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a
cui esso era destinato. L’autoveicolo, infatti, anche durante la sosta forzata è una fonte di spesa per il proprietario (tenuto a sostenere gli oneri per la tassa di circolazione e il premio di assicurazione), ed è altresì soggetto a
un naturale deprezzamento di valore.
Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23917
Nella liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d’un familiare deve tenersi conto
dell’intensità del relativo vincolo e di ogni ulteriore
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
circostanza, quale la consistenza del nucleo familiare,
le abitudini di vita, la situazione di convivenza, sino ad
escludere la configurabilità del danno non patrimoniale da morte se tra fratelli unilaterali non vi sia mai
stato un rapporto affettivo e sociale, né rapporti di
frequentazione e conoscenza.
giudice abbia omesso di rilevare le circostanze a lui prospettate, la parte ha l’onere di impugnare la sentenza su
tale omissione, dovendosi ritenere, in mancanza, la questione preclusa nell’ulteriore corso del giudizio.
RESPONSABILITÀ CIVILE
QUESTIONI PROCESSUALI
Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2013, n. 23147
La circostanza che in un giudizio per il risarcimento dei danni alla persona, conseguenti ad un sinistro stradale, venga formulata soltanto in sede di
precisazione delle conclusioni la richiesta di liquidazione anche del “danno esistenziale” (che non costituisce autonoma categoria di danno, ma sintagma
ampiamente invalso nella prassi giudiziaria) non osta
alla possibilità dell’accoglimento di una domanda
volta al ristoro di un pregiudizio ulteriore rispetto a
quello biologico strettamente inteso, purché l’attore
abbia richiesto tempestivamente il risarcimento di
tutti i danni derivanti dal sinistro, e quindi anche del
danno non patrimoniale.
Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585
Il danno morale, pur costituendo un pregiudizio
non patrimoniale al pari di quello biologico, non è
ricompreso in quest’ultimo e va liquidato autonomamente, non solo in forza di quanto espressamente
stabilito – sul piano normativo – dall’art. 5, lett. c), del
d.p.r. 3 marzo 2009, n. 37, ma soprattutto in ragione
della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo, infatti, tali danni a due momenti essenziali
della sofferenza dell’individuo, il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana.
Cass. civ., sez. lav., 1° ottobre 2013, n. 22396
Anche nei confronti delle persone giuridiche e in
genere degli enti collettivi, è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale qualora il fatto
lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti
fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, qual è il diritto all’immagine, determinando una diminuzione della considerazione dell’ente
o della persona giuridica da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il
soggetto leso di norma interagisca. (Nella specie, relativa
all’invio di una mail con espressioni offensive da parte
di un lavoratore alla società da cui dipendeva, la S.C. ha
rigettato la domanda poiché la comunicazione non era
stata esternata al di fuori dell’àmbito aziendale).
Cass. civ., sez. lav., 15 ottobre 2013, n. 23372
In materia di risarcimento danni, il giudice può,
ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., rilevare d’ufficio
il concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia
ricavabile la colpa concorrente, salvo che sulla responsabilità esclusiva del danneggiante non si sia
formato il giudicato interno. Ne consegue che, ove il
Cass.civ., sez. VI, ord., 16 ottobre 2013, n. 23430
La competenza del giudice di pace per le cause “relative a beni mobili” di valore non superiore a cinquemila euro è comprensiva delle domande di risarcimento
del danno comprese nel suddetto valore, a nulla rilevando che il credito risarcitorio scaturisca dalla violazione di un diritto fondamentale della persona. (In
applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto
erronea la sentenza con la quale il giudice di pace, sul
presupposto che la salute non fosse un “bene mobile”,
aveva declinato la propria competenza a conoscere di
una domanda di risarcimento del danno biologico compresa nella sua competenza per valore).
SOCIETÀ
Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2013, n. 23381
La giusta causa per la revoca dell’amministratore,
prevista dall’art. 2383, comma 3, c.c., può consistere
non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall’incarico, ma anche
in fatti che minino il pactum ficuciae, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini
e capacità dell’amministratore, sempre che essi sianooggettivamente valutabili come capaci di mettere in
forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato, e non costituiscano, invece, il
mero inadempimento ad una inesistente soggezione
dell’amministratore stesso alle direttive del socio di
maggioranza, pur se pubblico. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso
la giusta causa in una vicenda in cui l’assemblea dei soci
di una società per azioni, partecipata in via maggioritaria
da un Comune, aveva deliberato di revocare l’amministratore sulla base di atti risultati, in realtà, coerenti con
i doveri dallo stesso assunti con il mandato ad amministrare la società, come, in particolare, l’iniziativa giudiziaria promossa contro il Comune inadempiente rispetto agli obblighi assunti contrattualmente con la società
ed il rifiuto opposto all’indebito accesso alla contabilità
sociale da parte di alcuni consiglieri comunali).
Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2013, n. 23089
Nella fattispecie prevista dall’art. 1394 c.c., il conflitto
di interessi si manifesta al momento dell’esercizio del
potere rappresentativo, mentre nel caso previsto dagli
artt. 2373 e 2391 c.c. il conflitto di interessi (rispettivamente, in sede di assemblea e di consiglio di ammi-
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Studium Iuris, 5/2014
Novità giurisprudenziali
nistrazione) si manifesta al momento dell’esercizio del
potere deliberativo. Ne consegue che, ove l’eccezione
di invalidità della fideiussione stipulata dall’amministratore di una s.r.l. sia formulata senza riferimento alla deliberazione dell’organo collegiale, la riconduzione del conflitto di interessi dedotto, specie se
relativo ad un contratto stipulato dall’amministratore
unico, alla disciplina dettata dall’art. 1394 c.c., anziché alle norme – invocate dalla parte – degli artt. 2373
e 2391 c.c., non solo è l’unica possibile, ma, non implicando né una modifica o integrazione del fatto dedotto, né un mutamento delle conseguenze che la parte
ne vuole trarre, rappresenta il legittimo esercizio del
potere spettante al giudice di diversa qualificazione
del fatto posto a fondamento dell’eccezione.
Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2013, n. 23089
In caso di fideiussione prestata dalla società a vantaggio del socio che ha il controllo della società, al
fine di escludere l’eventuale conflitto d’interessi, è onere
del creditore dare la prova di un diverso interesse, facente capo al gruppo e condiviso dalla garante, soddisfatto con il rilascio della fideiussione.
Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2013, n. 24362
L’azione di responsabilità, promossa contro i sindaci dalla società ai sensi dell’art. 2407 c.c., instaura
un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, ravvisandosi
un’obbligazione solidale passiva tra i medesimi. Pertanto, in caso di azione originariamente rivolta contro
una pluralità di soggetti, essi non devono necessariamente essere parti in ogni successivo grado del giudizio,
neppure nel caso in cui, in presenza di una transazione
raggiunta tra la società ed alcuni tra i convenuti, riguardante le quote di debito delle parti transigenti ed avente
l’effetto di sciogliere anche il vincolo di solidarietà passiva, si renda necessario graduare la responsabilità propria e degli altri condebitori solidali nei rapporti interni,
all’esito di un accertamento che dovrà necessariamente
riferirsi, in via incidentale, anche alle condotte tenute
dalle parti transigenti.
Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2013, n. 24362
Al fine dell’affermazione della responsabilità dei
sindaci di società per il loro illegittimo comportamento omissivo, è necessario accertare il nesso causale – la cui prova spetta al danneggiato – tra il comportamento illegittimo dei sindaci e le conseguenze
che ne siano derivate, a tal fine occorrendo verificare
che un diverso e più diligente comportamento dei sindaci nell’esercizio dei loro compiti (tra cui la mancata
tempestiva segnalazione della situazione agli organi di
vigilanza esterni) sarebbe stato idoneo ad evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori.
Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2013, n. 23233
Sussiste il nesso di causalità tra la condotta
omissiva dei sindaci, che non abbiano formulato ri-
lievi critici su poste di bilancio palesemente ingiustificate e non abbiano esercitato poteri sostitutivi,
che secondo l’id quod plerumque accidit avrebbero condotto ad una più sollecita dichiarazione di fallimento,
ed il danno, consistente nell’aggravamento del dissesto, determinato dal ritardo con cui il fallimento è stato
dichiarato.
Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2013, n. 23233
In tema di responsabilità degli organi sociali, l’esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, nonché
l’accertamento del relativo presupposto, costituito
dall’impossibilità o dalla rilevante difficoltà di precisare
il danno nel suo esatto ammontare, sono il frutto di un
giudizio di fatto, non sindacabile in sede di legittimità
se correttamente motivato. (Nell’enunciare tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che una
volta ritenuto certo ed esistente il danno, individuato
negli ulteriori interessi maturati sull’esposizione debitoria della società in conseguenza del ritardo con il quale il
fallimento era stato dichiarato, ha provveduto alla liquidazione equitativa, dando rilievo alla notevole difficoltà dei conteggi, da operarsi sulle singole voci di credito
ammesse al passivo, depurate dagli esiti delle contestazioni insorte e plausibilmente possibili con precisione
solo al momento della chiusura del fallimento, anche in
considerazione della difficoltà di reperimento della documentazione necessaria per ciascuna ragione di credito, applicando un tasso del venti per cento annuo sulla
detta esposizione).
Cass. civ., sez. I, 9 ottobre 2013, n. 22925
La responsabilità della P.A. per omessa vigilanza
nei confronti delle società cooperative non è attenuata dalla mancata attivazione, da parte dei soci,
dei poteri di controllo agli stessi spettanti ai sensi
degli artt. 2408 e 2422 c.c., atteso che il controllo sulla
gestione sociale è affidato al collegio sindacale, mentre la
vigilanza compete agli enti istituzionali. (Nella specie, la
S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione impugnata, la quale, nell’escludere il concorso colposo dei soci,
aveva altresì osservato che la perdurante mancanza di
rilievi da parte degli organi pubblici di controllo nei confronti della società cooperativa vigilata ingenerava, agli
occhi inesperti dei soci aderenti, un alone di affidabilità e una ragionevole presunzione di legittimità del suo
operato).
Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2013, n. 23541
La disciplina dell’art. 2432 c.c., in base alla quale,
ove il compenso previsto per i promotori, i soci fondatori e gli amministratori sia stabilito in forma di partecipazione agli utili, lo stesso va determinato sugli utili
netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione della quota
di riserva legale e delle imposte, si applica anche alla remunerazione degli amministratori “investiti di
particolari cariche” ai sensi dell’art. 2389, c.c., tra cui
rientra l’amministratore delegato.
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Studium Iuris, 5/2014
Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 2013, n. 23203
L’art. 2479 c.c., nel testo anteriore al d. legisl. 17 gennaio
2003, n. 6, disciplina (al pari dell’art. 2470 c.c., nel testo in
vigore) la forma del trasferimento di quota di s.r.l. perché sia opponibile alla società, mentre, nei rapporti tra le
parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione medesima è valida ed efficace in virtù del semplice
consenso manifestato dalle stesse, non richiedendo
la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem. Ne
deriva che, in presenza di un contratto di opzione di
acquisto di quote di una s.r.l. che conferisca ad una parte
la facoltà di accettare la proposta di vendita formulata dalla
controparte, il momento del definitivo effetto traslativo
è segnato dall’accettazione dello stipulante.
ni e per presunzioni, non anche la prova per confessione.
Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22887
In tema di presunzioni semplici, il rapporto di dipendenza tra il fatto noto e quello ignoto deve essere
accertato con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e
ricorrenza possano verificarsi secondo le regole di
esperienza, caratteri che difettano nell’inferenza secondo la quale il prelievo di danaro effettuato in prossimità
di una scadenza contrattuale è imputabile al saldo del
relativo debito.
ESECUZIONE FORZATA
PUBBLICITÀ IMMOBILIARE
Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2013, n. 23140
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23958
Nel sistema tavolare, l’efficacia costitutiva dell’intavolazione non afferisce alla quantità o estensione
materiale del diritto, che può essere accertata con
adeguata prova, non avendo, a tal fine, l’iscrizione tavolare né valore vincolante, né effetto ostativo a una
diversa ricostruzione del contenuto oggettivo del
diritto reale, fermo il valore meramente sussidiario
delle mappe catastali, le cui risultanze non possono essere sovrapposte alle risultanze tavolari. (Nella specie, la
S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato
la sentenza di merito che aveva attribuito alle risultanze
catastali la portata probatoria riservata ai soli dati documentati nel libro maestro).
PROVE
Il frazionamento dell’immobile soggetto ad
espropriazione forzata, in contrasto con la disciplina urbanistica, può essere fatto valere dal debitore
esecutato soltanto a condizione che della mancanza
delle prescritte autorizzazioni non si sia dato atto
nel bando di vendita (giacché in tal caso non si applicherebbe l’esonero dalla garanzia per i vizi di cui all’art.
2922, secondo comma, c.c.) e che il vizio sia stato fatto valere non oltre la formazione dei lotti, superata
la quale il debitore esecutato non ha più titolo per far
valere il suddetto vizio, né con le opposizioni esecutive,
né con l’azione generale di nullità.
PRESCRIZIONE E DECADENZA
Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2013, n. 23385
Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22898
La quietanza, come dichiarazione di scienza del
creditore assimilabile alla confessione stragiudiziale del
ricevuto pagamento, può essere superata dall’opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta, nell’interrogatorio formale, di non aver corrisposto
la somma quietanzata; invero, l’art. 2726 c.c. limita,
quanto al fatto del pagamento, la prova per testimo-
L’accessorietà del credito per interessi rispetto a
quello per capitale determina l’omogeneità del regime della prescrizione applicabile a entrambi. Ne
consegue che, ove per il capitale il termine prescrizionale non possa decorrere (nella specie, perché relativo a
crediti di lavoro di rapporto privo di stabilità) se non da
un determinato momento (nella specie, dalla cessazione del rapporto), anche per gli interessi trova applicazione il medesimo dies a quo di decorrenza.
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D) Cassazione penale, Sezioni semplici
Le schede
16
VIOLENZA SESSUALE
Cass. pen., sez. III, 5 novembre (ud. 17 marzo) 2013,
n. 44641
[Violenza sessuale – Maltrattamenti – Convivenza more
uxorio – Dissenso implicito all’atto sessuale – Correlazione spazio-temporale tra l’aggressione e il gesto sessuale – Sussistenza del reato]
Massima – È configurabile il reato di violenza sessuale
anche quando il gesto sessuale in sé non sia connotato
da violenza, costringimento fisico o minaccia, qualora
via sia una stretta correlazione spazio-temporale tra i
maltrattamenti e il gesto sessuale in termini di sequenza
criminosa progressiva.
Fatto – La Corte d’appello, nel confermare parzialmente il giudizio di colpevolezza espresso dal giudice
di primo grado con riguardo ai reati di maltrattamenti
(art. 572 c.p.) e violenza sessuale continuata (artt. 81
cpv. e 609-bis c.p.), realizzati dall’imputato nel corso di
un periodo di convivenza more uxorio, aveva radicalmente escluso tanto la modesta rilevanza dei maltrattamenti quanto l’assenza di consapevolezza da parte
dell’imputato del dissenso manifestato dalla vittima
al compimento di atti sessuali in suo danno posti in
essere dopo averla ripetutamente e violentemente picchiata ed insultata.
L’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra gli altri, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, avendo la Corte ritenuto la
responsabilità per il reato di violenza sessuale sulla
base del rifiuto, considerato implicito, della donna al
compimento di atti sessuali.
Motivi della decisione – Nella sentenza in esame, la
Corte di cassazione affronta il problema della costrizione richiesta affinché possa configurarsi il reato di
violenza sessuale nei confronti della convivente more
uxorio.
I giudici di legittimità affermano che l’azione sessuale che si sia sviluppata dopo una lite, preceduta
da una serie di offese verbali, degenerata in vera e
propria aggressione fisica a suon di ceffoni e sbattimenti del capo della donna sul muro di casa, è tale da
impedire alla donna qualsiasi reazione e da renderla
irretita alla mercé dell’aggressore. Non solo, ma, ponendo in collegamento il momento dell’aggressio-
ne a quello del rapporto sessuale, emerge in modo
ancor più nitido il dissenso implicito da parte della
donna, ancorché il gesto sessuale in sé non fosse
stato connotato da violenza o costringimento fisico
o minaccia.
La Suprema Corte prosegue affermando che la
stessa platealità del gesto sessuale e il modo, certamente non esemplare, di approcciarsi alla donna
dopo averla insultata e picchiata, costituiscono una
sorta di ulteriore e più grave insulto alla sua femminilità, che escludono in radice sia l’inconsapevolezza
dell’autore del gesto, sia il tacito consenso della vittima, costretta solo a soggiacere alla energia dell’uomo.
Richiamandosi all’orientamento dominante, la Corte ricorda che la violenza richiesta per l’integrazione
del reato non è soltanto quella che pone il soggetto
passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza
voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nel
compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del
soggetto passivo. Dunque, l’assenza di segni di violenza fisica o di lesioni sulla vittima non esclude di per sé
la configurabilità del reato di cui si discute, in quanto il
dissenso della vittima può essere desunto da molteplici altri fattori e perché è sufficiente la costrizione ad un
consenso viziato.
Il reato, quindi, si è perfezionato, tenuto conto sia
del particolare contesto ambientale in cui è avvenuto il fatto, sia per la stretta correlazione spaziotemporale tra i maltrattamenti e il gesto sessuale in
termini di sequenza criminosa progressiva.
[Precedenti] Cass. pen., sez. III, 17 febbraio (ud. 1° febbraio) 2006,
n. 6340, in Leggi d’Italia; in particolare, per il concetto di “costrizione ambientale”, si v. Cass. pen., sez. III, 20 ottobre (ud. 11 luglio)
2006, n. 35242, in Leggi d’Italia; Cass. pen., sez. III, 15 marzo (ud.
25 gennaio) 1994, n. 3141, in Ced, rv. 198709; Cass. pen., sez. III,
26 marzo (ud. 24 gennaio) 2013, n. 14085, in Ced, rv. 255022; per
la precisazione della nozione di violenza, si v. Cass. pen., sez. III, 18
febbraio (ud. 12 gennaio) 2010, n. 6643, in Ced, rv. 246186.
[Nota bibliografica] D. Proverbio - C. Gaio, sub art. 609-bis, in E.
Dolcini - G. Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, III ed.,
Milano 2011, III, p. 5821 ss.; G. Balbi, voce Violenza sessuale, in Enc.
giur., XXXVII, Roma, Agg. 1998, p. 9; B. Romano, Delitti contro la sfera
sessuale della persona, Padova 2009, p. 104; sulla distinzione tra i
concetti di violenza implicita e violenza potenziale si v. L. Monaco,
Itinerari e prospettive di riforma del diritto penale sessuale, in Studi Urbinati 1971-1995, p. 464.
611
[Alessia Basso]
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Studium Iuris, 5/2014
Le massime
da sola sufficiente a determinare l’evento. (Fattispecie
in tema di responsabilità del produttore di un aliante, a
seguito di un incidente in volo per una manovra acrobatica).
SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI
Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2013, n. 37742
L’imputato, condannato in primo grado a pena
detentiva e pecuniaria, con sostituzione di quella detentiva con la corrispondente sanzione pecuniaria
senza la concessione della sospensione condizionale della pena, in sede di appello può, con esplicita
manifestazione di volontà in tal senso, rinunciare alla
sostituzione operata dal giudice di primo grado, al fine
di accedere al regime, da lui stimato più vantaggioso, del
lavoro di pubblica utilità, introdotto con legge entrata
in vigore in epoca successiva alla pronuncia di primo
grado. (Fattispecie relativa a condanna per guida in stato
di ebbrezza).
DOLO
Cass. pen., sez. IV, 5 settembre 2013, n. 36399
La responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento sussiste anche in presenza del solo
dolo eventuale, a condizione, però, che l’accettazione
del rischio da parte del garante concerna specificamente proprio l’evento tipico che con l’azione si sarebbe potuto evitare. (Fattispecie nella quale la Corte
ha censurato per difetto di motivazione la sentenza di
condanna di un primario ospedaliero per non avere
impedito ai dipendenti del reparto da lei diretto abusi
sessuali sui degenti, fondata sull’esistenza di generici
segnali di allarme che, almeno fino ad una certa data,
non erano idonei a dimostrare la sussistenza di abusi
sessuali).
COLPA
Cass. pen., sez. IV, 5 settembre 2013, n. 36400
In tema di colpa generica, l’individuazione della
regola cautelare non scritta va effettuata provvedendo, prima, a rappresentare l’evento nei suoi elementi essenziali e, poi, a formulare l’interrogativo se tale
evento fosse prevedibile ex ante ed evitabile con il
rispetto della regola in oggetto, alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche e delle massime di esperienza.
Cass. pen., sez. IV, 23 settembre 2013, n. 39157
In tema di responsabilità per colpa, il costruttore
risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo
dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza e sempre
che l’utilizzatore non ne abbia fatto un uso improprio,
tale da poter essere considerato causa sopravvenuta,
REATO IMPOSSIBILE
Cass. pen., sez. III, 16 settembre 2013, n. 37805
Comportano la responsabilità penale dell’agente infiltrato e l’inutilizzabilità della prova acquisita le
operazioni sotto copertura consistenti nell’incitamento
o nell’induzione alla commissione di un reato da parte del soggetto indagato, in quanto all’agente infiltrato
non è consentito commettere azioni illecite diverse da
quelle dichiarate non punibili e di quelle strettamente e
strumentalmente connesse. (Nel caso di specie relativo
alla consegna e ricezione di alcune partite di cocaina, la
Corte ha ritenuto utilizzabile la prova in quanto l’intervento degli agenti sotto copertura si era limitato a disvelare un’intenzione criminosa già esistente nell’imputato
anche se allo stato latente, senza averla determinata in
modo essenziale).
Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39216
Non è configurabile il reato impossibile, in presenza dell’attività di agenti “infiltrati” o”provocatori”,
quando l’azione criminosa non deriva esclusivamente
dagli spunti e dalle sollecitazioni istigatrici di questi,
ma costituisce l’effetto di stimoli ed elementi condizionanti autonomamente riferibili all’agente, posto
che l’inidoneità della condotta deve essere valutata
oggettivamente con giudizio ex ante, nel suo valore
assoluto e non di relazione con la simultanea azione
dell’“infiltrato”. (Fattispecie relativa a condotta di concorso esterno in associazione di tipo mafioso consistita nell’attività di interlocuzione con l’“infiltrato” per
conto della cosca criminale al fine di “assicurare la pace
sociale” alle imprese aggiudicatarie dei lavori per i treni
ad alta velocità).
TENTATIVO
Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2013, n. 39475
La determinazione della pena nel caso di delitto
tentato può essere indifferentemente effettuata con il
c.d. metodo diretto o sintetico, ossia senza operare la
diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo
“bifasico”, ossia scindendo i due momenti enunciati,
purché venga comunque rispettato il vincolo normativo relativo al contenimento della riduzione della pena
edittale prevista per il reato consumato da uno a due
terzi.
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CIRCOSTANZE
Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2013, n. 40293
Ai fini della sussistenza dell’aggravante della minorata difesa è necessaria l’esistenza di condizioni
oggettivamente agevolative della condotta delittuosa,
di cui l’agente approfitti. (In applicazione del principio,
la Corte ha escluso la sussistenza dell’aggravante
in relazione al reato di omicidio, in un’ipotesi in cui
la vittima ed il suo aggressore si trovavano insieme
all’interno di una vettura, in pieno giorno ed in assenza di
prova di un preventivo blocco dei comandi d’apertura).
Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2013, n. 39473
Ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti
generiche il giudice, alla luce dei criteri di determinazione della pena di cui all’art. 133 c.p., può considerare i
precedenti giudiziari, ancorché non definitivi, e, pertanto, a maggior ragione può tener conto dei reati estinti. Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2013, n. 37516
Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, il
consapevole consenso, da parte della vittima del reato,
di relazionarsi con un soggetto appartenente ad un’associazione di stampo mafioso non consente di escludere la
sussistenza dell’aggravante in parola, in quanto ciò che
rileva è la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, utilizzata dall’autore del reato, esplicitamente
o implicitamente, al momento della condotta delittuosa.
(Fattispecie in tema di usura nella quale la vittima del reato era consapevole del ruolo di spicco nell’àmbito di un
sodalizio mafioso del soggetto erogante il prestito).
Cass. pen., sez. II, 17 settembre 2013, n. 38094
La circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso è configurabile anche a carico di soggetto che non
faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato,
un comportamento minaccioso tale da richiamare alla
mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un
sodalizio del genere anzidetto.
La clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca
più grave reato” presuppone, perché operi in concreto il
meccanismo dell’assorbimento, che il reato più grave
sia posto a tutela del medesimo bene-interesse tutelato dal reato meno grave che deve essere assorbito.
(Nella fattispecie è stato escluso che il delitto di trattamento illecito di dati personali potesse ritenersi assorbito nel più grave reato di ricettazione, dal quale, peraltro,
l’imputato era stato assolto).
REATO CONTINUATO
Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2013, n. 40318
È ipotizzabile la continuazione tra reato associativo e reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati fine siano stati programmati al momento della costituzione dell’associazione. (Fattispecie
in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione che non
aveva riconosciuto, in sede esecutiva, la continuazione
in relazione a due sentenze di condanna, una per usura
e l’altra per associazione per delinquere, riciclaggio ed
usura aggravata ai sensi dell’art. 7, d.l. n. 152 del 1991
sul presupposto sia della diversità strutturale della fattispecie di usura, sia del dato temporale).
Cass. pen., sez. I, 19 settembre 2013, n. 38719
In tema di reato continuato, il giudice può applicare
l’art. 81, comma 2, c.p. anche quando sia già stata
pronunciata sentenza irrevocabile di condanna nei
confronti dell’imputato per fatto meno grave di quello sottoposto al suo giudizio ed in tal caso deve determinare la pena complessiva sulla base di quella da
infliggersi per il reato più grave sottoposto al giudizio
ancora in corso ed applicare ad essa l’aumento per il
reato meno grave già giudicato.
IMPUTABILITÀ
Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2013, n. 38896
La parafilia, se non accompagnata da un’accertata malattia mentale o da altri gravi disturbi della personalità, rappresenta una semplice devianza sessuale, senza influenza
alcuna sulle capacità intellettive e volitive della persona.
CONCORSO DI REATI
CONCORSO DI PERSONE
Cass. pen., sez. II, 5 settembre 2013, n. 36365
In presenza della clausola di riserva “salvo che il
fatto costituisca più grave reato”, la maggiore o minore
gravità dei reati concorrenti va valutata avendo riguardo
alla pena in concreto irrogabile, tenuto anche conto delle circostanze ritenute e dell’eventuale bilanciamento tra
esse. (Fattispecie in cui è stato escluso l’assorbimento
del reato di trattamento illecito di dati personali nel –
meno grave in concreto – reato di diffamazione).
Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 39030
La partecipazione psichica a mezzo istigazione
richiede che sia provato, da parte del giudice di merito,
che il comportamento tenuto dal presunto concorrente
morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito
criminoso ovvero lo abbia anche soltanto rafforzato.
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che l’interessamento e la richiesta di informazione proveniente da un
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Studium Iuris, 5/2014
esponente politico e rivolta ad un manager di un ASL,
prima che costui effettuasse una nomina irregolare di un
primario ospedaliero, non erano da sole idonee a dimostrare la partecipazione psichica, sotto forma di istigazione, nel successivo delitto di abuso di ufficio).
PENE ACCESSORIE
la dichiarazione di estinzione di “ogni effetto penale”, è inidonea ad integrare la causa impeditiva della
estinzione della pena per decorso del tempo, prevista
dall’art. 172 c.p., ostandovi il disposto dell’art. 106,
comma 2, c.p., secondo cui, agli effetti della recidiva,
si tiene conto delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena,
salvo, appunto, che la causa estingua anche gli effetti
penali.
Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2013, n. 38935
Le modifiche apportate all’art. 36 c.p. da parte
dell’art. 37, comma 18, d.l. n. 98 del 2011 (conv. in
legge n. 111 del 2011) – che prevedono che la pubblicazione della sentenza sia eseguita non più sui giornali
ma esclusivamente in via telematica attraverso il sito del
Ministero della Giustizia – attenendo alla definizione
del contenuto della sanzione, possono essere applicate retroattivamente nei limiti indicati dell’art. 2 c.p. e,
quindi, sempre che la sentenza di condanna non sia
passata in giudicato. (In applicazione del principio, la
S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice dell’esecuzione che aveva respinto la richiesta di sostituire, con
riferimento ad una condanna per il delitto di cui all’art.
171-ter, legge n. 633 del 1941, la pubblicazione della
sentenza di condanna su un periodico specializzato con
quella sul sito internet del Ministero).
Cass. pen., sez. III, 16 settembre 2013, n. 37840
La modifica apportata all’art. 36 c.p. dall’art. 37,
comma 18, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito
nella l. 15 luglio 2011, n. 111 non ha dato luogo ad
una nuova sanzione accessoria, ma ha diversamente
modulato il contenuto della pena accessoria, sostituendo alla tradizionale forma di pubblicazione sulla stampa
quella via internet, fatto che – integrando un fenomeno di successione di leggi nel tempo regolato dall’art. 2,
comma 4, c.p. – non comporta l’applicazione della nuova disciplina alle condanne irrevocabili irrogate sotto il
vigore della legge precedente.
SOSPENSIONE CONDIZIONALE
DELLA PENA
Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2013, n. 38345
In tema di sospensione condizionale della pena, nel
caso in cui il beneficio venga subordinato all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, il giudice della cognizione non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle
condizioni economiche dell’imputato, in quanto rientra
nella competenza del giudice dell’esecuzione valutare
l’assoluta impossibilità di adempiere che impedisce la
revoca del beneficio.
Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2013, n. 37759
Non esiste incompatibilità tra gli istituti della recidiva e della continuazione, potendo quest’ultima
essere riconosciuta anche tra un reato già oggetto di
condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato.
Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2013, n. 39406
È inammissibile il ricorso per cassazione avverso
la sentenza di condanna alla pena pecuniaria condizionalmente sospesa, con il quale l’imputato chiede revocarsi il beneficio allo scopo di preservarlo per
eventuali future condanne. (In motivazione, la Corte ha
evidenziato che l’interesse indicato dal ricorrente a sostegno del ricorso non può considerarsi meritevole di
tutela).
QUERELA
INDULTO E GRAZIA
Cass. pen., sez. fer., 23 settembre 2013, n. 39184
La stipula di un contratto di transazione in ordine
al danno subito non costituisce, di per sé, atto incompatibile con la volontà di presentare querela e non configura, pertanto, un’ipotesi di rinuncia tacita della persona
offesa alla proposizione della querela, ai sensi dell’art.
124, comma 3, c.p.
PRESCRIZIONE
Cass. pen., sez. I, 26 settembre 2013, n. 40029
La recidiva qualificata, ritenuta in relazione ad
un reato per il quale è intervenuta successivamente
Cass. pen., sez. I, 30 settembre 2013, n. 40394
In materia di applicazione dell’indulto, di cui alla
l. 31 aprile 2006, n. 241, il divieto di concessione del
beneficio in ordine ai reati aggravati dalla circostanza
prevista dall’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, non può
estendersi agli altri reati concorrenti per i quali la medesima aggravante non sia stata formalmente contestata,
ritenendone l’esistenza sulla base di una interpretazione contenutistica della sentenza. (In applicazione del
principio, la Corte ha annullato l’ordinanza del giudice
dell’esecuzione che aveva esteso il divieto di applicazione dell’indulto per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso ai reati di omicidio e detenzione
armi, per i quali non era stata formalmente contestata
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la circostanza, ritenendola contenuta nelle aggravanti
formalmente contestate dei motivi abietti e del nesso
teleologico).
DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ
DELLO STATO
Cass. pen., sez. V, 27 settembre 2013, n. 40111
Nel reato di associazione sovversiva la nozione di
“ordinamenti economici e sociali” va interpretata alla luce del tessuto democratico e pluralistico dell’attuale assetto costituzionale dello Stato e, di conseguenza, non si
riferisce alle sole istituzioni latamente intese ma ad ogni
formazione sociale nella quale si esprima la personalità
dell’uomo attraverso l’esercizio dei diritti inviolabili e
delle libertà riconosciute e garantite dalla Costituzione.
PECULATO
Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 39039
È configurabile il delitto di peculato in relazione al
denaro pubblico il cui possesso, per effetto delle norme
interne dell’ente pubblico che prevedono il concorso di
più organi ai fini dell’adozione dell’atto dispositivo, fa capo congiuntamente a più pubblici ufficiali, anche se, di essi, quelli che emettono l’atto finale del procedimento non
concorrono nel reato per essere stati indotti in errore da
coloro che si sono occupati della fase istruttoria. (Fattispecie in cui è stato ritenuto sussistente il delitto a carico di
funzionari di un Comune che avevano istruito le pratiche
per l’emissione di titoli di spesa poi sottoscritti da dirigenti
o altri funzionari dei quali avevano carpito la buona fede,
mediante falsi documentali ed artifici contabili).
quello di abuso d’atti d’ufficio, in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra
loro.
L’ufficiale del disciolto corpo degli Agenti di Custodia, con funzioni di responsabile e comandante
del servizio di traduzione, può concorrere, per omesso impedimento, nei reati di abuso d’ufficio e di abuso d’autorità contro arrestati, materialmente commessi
dall’agente di Polizia Penitenziaria ad esso subordinato
per l’esecuzione del servizio ancorchè tra i due non sia
configurabile un rapporto gerarchico.
RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE
Cass. pen., sez. VI, 5 settembre 2013, n. 36367
Nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale il dolo
specifico si concreta nel fine di ostacolare l’attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, cosicchè il
comportamento che non risulti tenuto a tale scopo, per
quanto eventualmente illecito ad altro titolo, non integra
il delitto in questione. (Fattispecie in cui le minacce sono
state espresse dopo la contestazione e la verbalizzazione di una contravvenzione stradale). Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39227
Il reato di cui all’art. 651 c.p. non rimane assorbito
ma concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 c.p., risultando le relative condotte completamente diverse, se raffrontate in astratto, e
susseguenti materialmente l’una all’altra, se considerate
in concreto. (Fattispecie relativa a minacce rivolte da più
persone per evitare di essere identificate dal pubblico
ufficiale che, a tal fine, aveva vanamente chiesto loro i
documenti).
INTERRUZIONE DI PUBBLICO SERVIZIO
CORRUZIONE
Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39219
Cass. pen., sez. VI, 3 settembre 2013, n. 36212
In tema di corruzione, anche un parere meramente consultivo può integrare l’atto di ufficio oggetto
di mercimonio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto
configurabile il delitto di corruzione per atto contrario ai
doveri di ufficio nel caso di un parere tecnico di un componente della commissione tecnico-scientifica istituita
presso il Commissariato straordinario per la gestione
dell’emergenza rifiuti nella Regione Lazio in ordine ad
istanza di riclassificazione ed approvazione del piano di
adeguamento di una discarica).
Integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità anche la condotta che, coinvolgendo solo un settore dell’attività
svolta, determini un’alterazione temporanea della
regolarità dell’ufficio o del servizio, purché oggettivamente apprezzabile. (Fattispecie relativa al mancato
rispetto, in due distinte occasioni in cui vi era urgente
necessità di esami ematici, dei turni di pronta reperibilità ospedaliera da parte di un tecnico di laboratorio
biomedico).
Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39219
ABUSO D’UFFICIO
Cass. pen., sez. V, 10 settembre 2013, n. 37088
È configurabile il concorso formale tra il delitto
di abuso di autorità contro arrestati o detenuti e
Ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 340 c.p., è sufficiente che
il soggetto attivo sia consapevole che il proprio comportamento possa determinare l’interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, accettando ed
assumendone il relativo rischio.
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PUBBLICO UFFICIALE
Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 39010
In tema di reati contro la P.A., la tutela penale apprestata dall’ordinamento in relazione alla qualità di pubblico ufficiale (o d’incaricato di pubblico
servizio o di esercente un servizio di pubblica necessità) è disposta nel pubblico interesse, il quale
può essere leso o posto in pericolo non solo durante il
tempo in cui il pubblico ufficiale esercita le sue mansioni, ma anche dopo, quando il soggetto investito
del pubblico ufficio abbia perduto la qualifica, sempre
che il reato dallo stesso commesso si riconnetta all’ufficio già prestato. (Fattispecie relativa a concussione
commessa da un ex dirigente di una ASL che, per le
sue relazioni, era in condizione di continuare ad incidere indebitamente sui procedimenti amministrativi
di pertinenza dell’ente presso il quale aveva prestato
servizio).
INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO
to reale, previsto dall’art. 379 c.p., è sufficiente che la
condotta posta in essere sia idonea a conseguire lo scopo di aiutare il colpevole ad assicurarsi il profitto del
reato, a prescindere dall’esito di essa e cioè dall’effettivo conseguimento di tale finalità. (Fattispecie in cui la
Corte ha ritenuto integrato il delitto di favoreggiamento materiale, consumato e non tentato, nel comportamento di un soggetto che aveva sollecitato l’acquirente
di una partita di droga a pagare al venditore la fornitura
ricevuta).
REATI DEL PATROCINATORE
Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39229
Non integra il reato di patrocinio infedele la condotta dell’avvocato che, dopo aver assistito un creditore nel procedimento per ingiunzione definitosi con la
mancata opposizione del debitore, ometta di avviare il
procedimento esecutivo mobiliare, e trasmetta al proprio dominus un falso verbale di pignoramento da lui
stesso redatto.
MANCATA ESECUZIONE DOLOSA
DI UN PROVVEDIMENTO DEL GIUDICE
Cass. pen., sez. I, 6 settembre 2013, n. 36676
In tema di reati contro la P.A., non può essere riconosciuta la qualifica di incaricato di pubblico servizio al commesso di tribunale, il quale espleta normalmente mansioni meramente esecutive. (Fattispecie
in cui la Corte ha escluso la configurabilità del delitto
di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio nei
confronti di un commesso che, in cambio di una piccola
somma di denaro, aveva dato ad un avvocato una copia
di una sentenza).
FALSA TESTIMONIANZA
Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 39022
La causa di non punibilità prevista dall’art. 384,
comma 1, c.p., non può applicarsi al testimone in un
processo civile di cui è parte un suo prossimo congiunto, quando la regiudicanda investe profili di esclusiva
rilevanza economica e dall’assunzione della prova testimoniale non può derivare alcun nocumento alla libertà
o all’onore del teste o del prossimo congiunto. (Fattispecie relativa a deposizione che aveva mendacemente
negato l’avvenuta locazione di beni immobili dal marito
a terzi e che la difesa assumeva indotta dal timore di
sanzioni amministrative e fiscali per il coniuge attesa la
mancata registrazione dei relativi contratti).
FAVOREGGIAMENTO
Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2013, n. 40280
Perchè sia configurabile il reato di favoreggiamen-
Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39217
Non integra il reato di elusione del provvedimento
del giudice civile che ha disposto la nomina dell’amministratore di sostegno la condotta di chi, con il consenso del destinatario del provvedimento adottato
a norma dell’art. 404 c.c., trasferisce quest’ultimo in
altro luogo contro la volontà del titolare dell’incarico, in quanto l’istituto dell’amministrazione di sostegno costituisce uno strumento di assistenza tendente a
sacrificare il meno possibile la capacità di agire dell’assistito.
ASSOCIAZIONE DI STAMPO MAFIOSO
Cass. pen., sez. I, 24 settembre 2013, n. 39543
In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione
con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo
attivo in base al quale l’interessato “prende parte”
al fenomeno associativo. (Fattispecie in cui la Corte
ha ritenuto configurabile la condotta partecipativa a
carico del figlio del capo di una cosca della ndrangheta che aveva assunto il ruolo di gestore di un’impresa familiare, operante nel settore della raccolta
dei rifiuti, ritenuta uno strumento fondamentale per
l’attuazione del programma criminoso dell’organizzazione).
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to e finalizzata ad ottenere autorizzazione alla vendita di
beni della procedura, di avere pubblicizzato la vendita
dei beni medesimi su una rivista del settore.
DELITTI DI COMUNE PERICOLO
Cass. pen., sez. fer., 23 settembre 2013, n. 39187
Il reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti integra una fattispecie di
pericolo presunto, in quanto mira ad impedirne l’impiego a scopo terapeutico, sanzionando ogni condotta che
renda probabile o possibile la loro concreta utilizzazione. (Fattispecie relativa a preparati medicinali realizzati
dall’imputato – in assenza dei presupposti per invocare
la c.d. “eccezione galenica” – utilizzando specialità private della confezione, sminuzzate in un mortaio, mescolate con additivi ed infine inserite in capsule sprovviste di pellicola protettiva, senza garantire, all’interno di
tali capsule, una percentuale costante di principio attivo
ed eccipienti).
FALSITÀ IN ATTI
Cass. pen., sez. II, 6 settembre 2013, n. 36631
In tema di falso, la valutazione dell’inidoneità assoluta dell’azione, che dà luogo al reato impossibile,
dev’essere fatta ex ante, vale a dire sulla base delle circostanze di fatto conosciute al momento in cui l’azione
viene posta in essere, indipendentemente dai risultati, e
non “ex post”; tale principio riguarda, peraltro, i casi in
cui il falso sia stato scoperto e si discuta se lo stesso fosse
così grossolano da dover essere riconoscibile ictu oculi
per la generalità delle persone, ovvero sia stato scoperto
per effetto di particolari cognizioni o per la diligenza di
determinati soggetti, non anche quelli in cui il falso non
sia stato scoperto ed abbia prodotto l’effetto di trarre in
inganno, nei quali, quindi, la realizzazione dell’evento
giuridico esclude in radice l’impossibilità dell’evento
dannoso o pericoloso di cui all’art. 49 c.p.
Cass. pen., sez. V, 11 settembre 2013, n. 37314
Integra il reato di falso materiale in atto pubblico
l’alterazione di una cartella clinica mediante l’aggiunta
di una annotazione, ancorché vera, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale;
né, a tal fine, rileva che il soggetto agisca per ristabilire
la verità effettuale, in quanto la cartella clinica acquista
carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore
nel momento stesso in cui la singola annotazione viene
registrata, trattandosi di atto avente funzione di “diario”
della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve avvenire contestualmente al loro verificarsi.
Cass. pen., sez. fer., 23 settembre 2013, n. 39192
Integra il reato di falso ideologico per induzione
(artt. 48 e 479 c.p.) la condotta dell’avvocato che, instaurando procedimenti civili nei confronti dell’INPS in
forza di procure apparentemente rilasciate da persone
in realtà ignare o già decedute, induce il giudice all’emissione di sentenze di accoglimento delle relative domande.
Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 39010
In tema di falsità ideologica in atto pubblico,
va considerata dolosa la falsa attestazione contenuta
nell’atto di un accertamento in realtà mai compiuto.
(Fattispecie relativa ad attestazioni di regolarità di pagamento formate dal dipendente di una ASL senza procedere al preventivo controllo sull’effettività delle prestazioni fatturate).
Cass. pen., sez. V, 25 settembre 2013, n. 39814
Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico
aggravato ai sensi dell’art. 476, comma 2, c.p., la condotta del curatore del fallimento che attesti, contrariamente al vero, in una relazione diretta al giudice delega-
VENDITA DI PRODOTTI INDUSTRIALI
CON SEGNI MENDACI
Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2013, n. 39093
Integra il reato previsto dall’art. 517 c.p. la vendita
di oggetti realizzati con materie prime italiane, ma
completamente rifiniti all’estero e corredati dalla dicitura “Made in Italy” per la potenzialità ingannatoria
dell’indicazione sul luogo di fabbricazione del prodotto.
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro di portafogli confezionati in Romania con pelle
italiana, e recanti stampigliatura “Genuine Leather - Made
in Italy”).
LESIONI
Cass. pen., sez. V, 19 settembre 2013, n. 38690
In tema di lesioni personali, l’aggravante di cui
all’art. 576, comma 2, n. 5.1, c.p. – e cioè l’aver commesso il fatto da parte di chi sia l’autore del delitto di
cui all’art. 612-bis c.p. nei confronti della medesima persona offesa – è configurabile anche se sia stata rimessa
la querela per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. (Nella
specie, la Corte ha ritenuto procedibile d’ufficio il reato
di lesioni personali lievi anche a seguito della remissione della querela per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p.).
DIFFAMAZIONE
Cass. pen., sez. V, 3 settembre 2013, n. 35992
In tema di delitti contro l’onore, non è applicabile l’esimente del diritto di critica sindacale qualora
l’espressione utilizzata consista non già in un dissenso
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motivato, manifestato in termini misurati e necessari,
bensì in un attacco personale, con espressioni direttamente calibrate a ledere la dignità morale, professionale ed intellettuale dell’avversario e del contraddittore.
(Fattispecie in cui un capitano della polizia municipale
e responsabile provinciale del sindacato ha indirizzato,
in presenza di più agenti, al comandante dello stesso
corpo di polizia le seguenti espressioni: “in questo comando non lavora nessuno... lei è una bugiarda, io non
parlo con i bugiardi”).
Cass. pen., sez. V, 13 settembre 2013, n. 37706
In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini del
riconoscimento dell’esimente prevista dall’art. 51 c.p.,
qualora l’articolo contenga una critica formulata con
modalità proprie della satira, il giudice, nell’apprezzare
il requisito della continenza, deve tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale dello
scritto satirico, rispetto al quale non si può applicare il
metro consueto di correttezza dell’espressione, restando, comunque, fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi superati quando la persona pubblica, oltre che al ludibrio della sua immagine,
sia esposta al disprezzo.
REATI SESSUALI
Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2013, n. 38059
In tema di violenza sessuale, rientrano tra le condizioni di “inferiorità psichica”, previste dall’art. 609bis, comma 2, n. 1, c.p., anche quelle conseguenti
all’ingestione di alcolici o all’assunzione di stupefacenti, poiché anche in tal caso si realizza una situazione
di menomazione della vittima che può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali
dell’agente.
Cass. pen., sez. III, 10 settembre 2013, n. 37135
Sussistono le circostanze aggravanti della minorata difesa e dell’abuso di autorità nel caso di atti sessuali posti in essere da un istruttore di arti marziali nei
confronti dei suoi allievi minorenni.
DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ MORALE
ACCESSO ABUSIVO A UN SISTEMA INFORMATICO
Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2013, n. 40303
Il luogo di consumazione del delitto di accesso
abusivo ad un sistema informatico non è quello in
cui vengono inseriti i dati idonei ad entrare nel sistema
bensì quello dove materialmente è collocato il server che
elabora e controlla le credenziali di autenticazione del
cliente. (Fattispecie relativa ad accesso abusivo allo SDI
da terminale ad esso collegato situato in Firenze, nella
quale la Corte ha ritenuto di individuare il “locus commissi delicti” in Roma, dove ha sede il server).
FURTO
Cass. pen., sez. V, 5 settembre 2013, n. 36373
La fattispecie di furto punibile a querela dell’offeso, prevista dall’art. 626, comma 1, n. 3, c.p. – che
consiste nel fatto di spigolare, rastrellare o raspollare nei
fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto – è configurabile quando siano state effettuate le
operazioni di raccolta e ad esse siano sfuggiti residui suscettibili di apprensione da parte dell’avente diritto mediante ulteriore raccolta. Ne deriva che tale ipotesi non
è, invece, configurabile quando le operazioni di raccolta
non siano state compiute ed a maggior ragione quando il ciclo di raccolta dei frutti non sia neppure iniziato,
sussistendo, in tal caso, l’ipotesi di furto comune di cui
all’art. 624 c.p.
ESTORSIONE
Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2013, n. 37515
In tema di delitto di estorsione, la costrizione, che
deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui
danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha solo
tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non
raggiungano il risultato di costringere una persona al facere ingiunto.
Cass. pen., sez. II, 5 settembre 2013, n. 36365
Cass. pen., sez. III, 12 settembre 2013, n. 37367
Il delitto di violenza privata non concorre con
quello di violenza sessuale quando la violenza fisica o
morale è del tutto strumentale rispetto al compimento
degli atti sessuali e non rappresenta un quid pluris che
eccede il compimento dell’attività sessuale coatta. (Fattispecie in cui la condotta era consistita nel trattenere
violentemente la vittima a bordo di una autovettura,
somministrarle sostanza stupefacente ed immediatamente violentarla).
In tema di estorsione, la minaccia di adire le vie legali, pur avendo un’esteriore apparenza di legalità, può
integrare l’elemento costitutivo del delitto di cui all’art
629 c.p. quando sia formulata non con l’intenzione di
esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l’altrui
volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia.
(Fattispecie nella quale gli imputati avevano evocato vicende “inconfessabili” che sarebbero emerse nel corso
di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della
mancata instaurazione di esso).
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TRUFFA
Cass. pen., sez. V, 25 settembre 2013, n. 39837
In tema di truffa aggravata in danno dello Stato o
altro ente pubblico, nella ipotesi in cui persona offesa
del reato sia una società a capitale misto pubblico e privato, l’entità del danno, cui va commisurata la confisca
per equivalente, non va limitata alla frazione riferibile
alla quota pubblica di capitale, ma al complesso del danno patito dall’ente.
qualsiasi natura, che deve consistere in un’apprezzabile
attività di pressione morale e persuasione che si ponga,
in relazione all’atto dispositivo compiuto, in rapporto
di causa ad effetto; (c) l’abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l’agente,
ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne
sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a
sé o ad altri un profitto.
RICETTAZIONE, RICILAGGIO
E REIMPIEGO
Cass. pen., sez. V, 25 settembre 2013, n. 39837
Ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., devono
ritenersi rientranti nella categoria degli enti pubblici, tutti gli enti, anche a formale struttura privatistica, aventi
personalità giuridica, che svolgano funzioni strumentali al perseguimento di bisogni di interesse generale
aventi carattere non industriale o commerciale, posti in
situazioni di stretta dipendenza nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di
diritto pubblico. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta
la qualifica di ente pubblico ad una società a prevalente
partecipazione di un consorzio tra Comuni e destinata
al servizio della raccolta e smaltimento di rifiuti solidi
urbani).
Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 39010
L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e
quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61, n. 9,
c.p., va individuato con riferimento alle modalità del
possesso del denaro o d’altra cosa mobile altrui oggetto
di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il
pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se
ne appropri avendone già il possesso o comunque la
disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto
attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene. (Nella specie, la Corte ha ritenuto
integrato il delitto di peculato nei confronti di dirigenti di
una ASL che avevano autorizzato pagamenti per prestazioni inesistenti fatturate da una società, sulla base di un
preventivo accordo illecito).
Cass. pen., sez. fer., 23 settembre 2013, n. 39187
Integra il delitto di ricettazione la condotta del farmacista che riceve sostanze medicinali introdotte
nello Stato in frode ad un valido brevetto, dovendosi
escludere che, per il solo fatto di aver acquistato le suddette sostanze, egli possa essere ritenuto concorrente
nel reato presupposto di frode brevettuale. (Conf. sez.
II, n. 5573 del 2011, non mass.; sez. II, n. 15080 del
2012, non mass.).
INOSSERVANZA DEI PROVVEDIMENTI
DELL’AUTORITÀ
Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 39217
La contravvenzione riguardante l’inosservanza dei
provvedimenti dell’autorità dati per ragioni di giustizia
a norma dell’art. 650 c.p. può avere a presupposto solo provvedimenti oggettivamente amministrativi, i
quali, pur se emanati per ragioni inerenti a finalità di giustizia, hanno come contenuto un esercizio della potestà
amministrativa destinata ad operare nei rapporti esterni
all’attività propria del giudice, con la conseguenza che,
fra tali atti, non rientrano quelli tipici della funzione giurisdizionale.
MALTRATTAMENTO DI ANIMALI
Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2013, n. 38034
L’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra il reato di cui all’art. 727 c.p.,
concretizzando una forma di addestramento fondata
esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale.
CIRCONVENZIONE DI PERSONE
INCAPACI
Cass. pen., sez. II, 23 settembre 2013, n. 39144
Ai fini dell’integrazione dell’elemento materiale del
delitto di circonvenzione di incapace, devono concorrere: (a) la minorata condizione di autodeterminazione
del soggetto passivo (minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali:
(b) l’induzione a compiere un atto che comporti, per il
soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di
ARMI
Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2013, n. 39209
Il caricatore di un’arma va considerato, anche dopo
l’entrata in vigore del d. legisl. 26 ottobre 2010, n. 204,
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parte di arma, con la conseguenza che la vendita, la detenzione ed il porto di esso sono punibili ai sensi della
legge n. 895 del 1967.
Cass. pen., sez. I, 6 settembre 2013, n. 36648
Il caricatore di un’arma va considerato, anche dopo
l’entrata in vigore del d. legisl. n. 204 del 2010, parte di
arma, con la conseguenza che la vendita, la detenzione
e il porto di esso sono punibili ai sensi della legge n. 895
del 1967.
Cass. pen., sez. I, 19 settembre 2013, n. 38706
Costituiscono “parte di arma”, di cui è vietata la detenzione, quelle indispensabili al funzionamento della
stessa ovvero quelle che contribuiscono a renderla maggiormente pericolosa anche mediante il conferimento
ad essa di una maggiore potenzialità, precisione di tiro
o rapidità di esplosione; sono da considerarsi, invece,
“accessorie” le parti di mera rifinitura o di ornamento,
le quali non hanno alcun riflesso sul funzionamento o
sulla pericolosità dell’arma stessa. (Nella specie, la Corte
ha riconosciuto la qualifica di “parte di arma” alla canna
ed al calcio di una mitraglietta semiautomatica).
BENI IMMATERIALI
Cass. pen., sez. fer., 23 settembre 2013, n. 39187
In tema di tutela penale dei brevetti per specialità
medicinali, la possibilità di invocare la c.d. “eccezione
galenica” – ovvero la facoltà di preparazione in farmacia
di medicinali in deroga alla esclusiva brevettuale – è ancorata alla sussistenza dei rigorosi presupposti (preparazione estemporanea, per unità e su ricetta medica) individuati dall’art. 68, d. legisl. n. 30 del 2005. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso l’applicabilità dell’eccezione,
sia perché l’imputato aveva utilizzato due specialità medicinali in luogo del principio attivo indicato nella ricetta
medica, sia perché quest’ultima era priva di un dosaggio
personalizzato del medicinale idoneo a giustificare, per
particolari esigenze terapeutiche, la deroga all’esclusiva
brevettuale).
CODICE DELLA STRADA
impartito da un agente di polizia che non si era reso conto che il soggetto non era nelle condizioni psicofisiche
per guidare. (In motivazione, la Corte ha evidenziato
che l’ordine impartito non poteva considerarsi legittimo, perché emesso senza che esistessero le condizioni
di fatto, e come tale non avrebbe dovuto essere eseguito
dall’autista che conosceva la sua condizione di alterazione psico-fisica).
Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2013, n. 37743
In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini della
configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 186,
comma 2-bis, C.d.S. è necessario che l’agente abbia
provocato un incidente e che, quindi, sia accertato il coefficiente causale della sua condotta rispetto al sinistro,
non essendo sufficiente il mero suo coinvolgimento
nello stesso.
Cass. pen., sez. IV, 23 settembre 2013, n. 39160
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art.
187 cod. strada, non è sufficiente che l’agente si sia
posto alla guida del veicolo subito dopo aver assunto
droghe ma è necessario che egli abbia guidato in stato
di alterazione causato da tale assunzione. (In motivazione la Corte ha escluso che la prova della condotta illecita potesse desumersi dall’andatura barcollante
dell’imputato, sufficiente per giustificarne la sottoposizione agli accertamenti medico-legali ma non per l’attestazione dello stato di alterazione).
Cass. pen., sez. IV, 5 settembre 2013, n. 36425
Ai fini della confisca prevista dall’art. 186, comma
2, lett. c), cod. strada, la nozione di “appartenenza”
del veicolo a persona estranea al reato non va intesa
come proprietà o intestazione nei pubblici registri, ma
come effettivo e concreto dominio sulla cosa, che può
assumere la forma del possesso o della detenzione, purché non occasionali.
Cass. pen., sez. IV, 2 settembre 2013, n. 35839
In tema di guida in stato di ebbrezza, il giudice, nel
caso in cui intende fissare la durata della sospensione della patente di guida in misura notevolmente
superiore al minimo o addirittura nel massimo, deve,
anche in una sentenza di “patteggiamento”, congruamente motivare l’esercizio del suo potere discrezionale
sul punto.
Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2013, n. 38141
In tema di guida in stato di ebbrezza, il raddoppio
delle sanzioni, da applicarsi in caso di provocato incidente stradale, si riferisce non solo a quelle penali ma
anche alla sanzione amministrativa della sospensione
della patente di guida.
Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2013, n. 38130
Non è applicabile la scriminante di cui all’art. 51
c.p. nei confronti di colui che, pur essendo in stato di ebbrezza alcolica, ha eseguito l’ordine di mettersi in marcia
DIRITTO PENALE DEL LAVORO
Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2013, n. 37762
In tema di infortuni sul lavoro, in presenza di patologie neoplastiche multifattoriali, la sussistenza del
nesso causale non può essere esclusa sulla sola base di
un ragionamento astratto di tipo deduttivo, che si limiti
a prendere atto della ricorrenza di un elemento causale
alternativo di innesco della malattia, dovendosi proce-
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Novità giurisprudenziali
dere ad una puntuale verifica – da effettuarsi in concreto
ed in relazione alle peculiarità della singola vicenda – in
ordine all’efficienza determinante dell’esposizione dei
lavoratori a specifici fattori di rischio nel contesto lavorativo nella produzione dell’evento fatale. (Fattispecie in
cui è stato ritenuto sussistente il nesso causale tra l’esposizione dei lavoratori al cromo esavalente e il loro
decesso, pur se alcune delle vittime avevano l’abitudine
al fumo di sigaretta, di per sè fattore causale alternativo
di potenziale innesco del tumore polmonare).
Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2013, n. 38129
In tema di infortuni sul lavoro, la circostanza che il
lavoratore possa trovarsi, in via contingente, in condizioni psico-fisiche tali da non renderlo idoneo a
svolgere i compiti assegnati è evenienza prevedibile,
che come tale non elide il nesso causale tra la condotta
antidoverosa del datore di lavoro e l’infortunio occorso.
(Fattispecie in cui il lavoratore si trovava in condizioni
di ubriachezza).
Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2013, n. 37738
In tema di infortuni sul lavoro, il committente, con
la nomina del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, trasferisce a tale soggetto lo svolgimento di una funzione tecnica di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non il
puntuale e continuo controllo su di esse (demandato
ad altre figure operative come il datore di lavoro, il dirigente o il preposto) e rimane titolare di una posizione
di garanzia limitata alla verifica che il tecnico nominato
adempia al suo compito.
In tema di infortuni sul lavoro, la nomina del coordinatore per la progettazione o per l’esecuzione dei
lavori non esonera il committente ed il responsabile
dei lavori da responsabilità per la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai
rischi, nonché dalla vigilanza sul coordinatore medesimo in ordine all’effettivo svolgimento dell’attività di
coordinamento e controllo sull’osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il
committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è
titolare ex lege di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti, etc.) e può
designare un responsabile dei lavori, con un incarico
formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento
di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta
di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro
i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua
piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del
suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute
nel piano di sicurezza. (Fattispecie relativa a commessa
per la costruzione di unità immobiliari).
Cass. pen., sez. IV, 5 settembre 2013, n. 36398
In tema di infortuni sul lavoro, al committente non
può essere imputata la mancata adozione del piano
di sicurezza del cantiere se nei suoi confronti non
ricorrono le condizioni, previste dall’art. 3, comma
3, d. legisl. n. 494 del 1994, che impongono la nomina del coordinatore per la progettazione. (Fattispecie in
cui la Corte ha annullato la sentenza di condanna per
omicidio colposo a carico del committente di un’opera
edile cui era stata imputata la mancata adozione del piano di sicurezza e la mancata nomina del coordinatore
pur non essendo stato accertato il requisito di cui all’art.
3, comma 3, lett. a) dell’affidamento di lavori a più imprese).
Cass. pen., sez. III, 10 settembre 2013, n. 37145
In tema di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali, gli appositi modelli
attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli
obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cc.
dd. modelli DM 10), hanno natura ricognitiva della
situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto
le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il
versamento dei contributi.
Cass. pen., sez. IV, 23 settembre 2013, n. 39158
In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul
datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia
che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto
di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento fermo restando, comunque, l’obbligo per il datore
di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.
(Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per
omicidio colposo dell’amministratore di una società, che
si era difeso evidenziando di aver trasferito poteri di vigilanza ad altri soggetti, senza essere in grado di dimostrare
il rilascio di una specifica delega di funzioni ad essi).
DIVIETO DI ACCESSO
A MANIFESTAZIONI SPORTIVE
Cass. pen., sez. III, 12 settembre 2013, n. 37392
In quanto provvedimento limitativo della libertà personale, l’obbligo di presentazione in ufficio di polizia in concomitanza con determinate manifestazioni sportive, che – ai sensi dell’art. 6 comma 2 della l.
13 dicembre 1989, n. 401 – il Questore può imporre
congiuntamente al divieto di accesso ai luoghi di loro
svolgimento, esige una valutazione di compatibilità con
le specifiche esigenze di lavoro che siano addotte e dimostrate dal destinatario.
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
Cass. pen., sez. III, 11 settembre 2013, n. 37279
Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2013, n. 39204
Ai sensi dell’art. 1-sexies della l. 24 aprile 2003, n.
88, anche nei confronti del “bagarino” può essere
disposto l’obbligo di presentazione avanti l’autorità
di pubblica sicurezza in concomitanza con le manifestazioni sportive di cui all’art. 6 della l. 13 dicembre
1989, n. 401.
La previsione contenuta nella legge n. 94 del 2009,
che modificando l’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965,
consente al giudice di irrogare le misure di prevenzione patrimoniali anche prescindendo dalla verifica della pericolosità attuale del proposto, si applica
anche alle fattispecie realizzatesi prima dell’entrata in
vigore della legge citata. (Nell’affermare il principio, la
Corte ha precisato che il venir meno del presupposto
della pericolosità sociale non ha modificato la natura della confisca di prevenzione, da intendersi sempre
come sanzione amministrativa, equiparabile, quanto
al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza della
confisca di cui all’art. 240, comma secondo, c.p., per cui
ad essa si applica il disposto dell’art. 200 c.p.).
FAVOREGGIAMENTO
ALLA PROSTITUZIONE
Cass. pen., sez. III, 11 settembre 2013, n. 37299
L’accompagnamento in auto della prostituta sul
luogo del meretricio configura il reato di favoreggiamento della prostituzione quando risulti funzionale
all’agevolazione della prostituzione, sulla base di elementi sintomatici, quali, ad esempio, la non occasionalità o l’espletamento di attività ulteriori rispetto al suo
accompagnamento (sorveglianza, messa a disposizione
del veicolo per l’incontro con i clienti, etc.).
GIOCHI E SCOMMESSE
Cass. pen., sez. III, 12 settembre 2013, n. 37391
Integra il reato di cui all’art.4-bis della l. 13 dicembre 1989, n. 401, l’installazione presso esercizi pubblici, in assenza di autorizzazione amministrativa, di
apparecchi terminali collegati alla rete internet per
l’effettuazione di giochi d’azzardo a distanza. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo di apparecchi
del tipo totem denominati “Kioski” per lo svolgimento di
videopoker ed altri giochi d’azzardo). (Conf. n. 37390
del 2013, n.m.)
Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2013, n. 39204
In tema di misure di prevenzione patrimoniali,
considerato che le disposizioni sulla confisca mirano a
sottrarre alla disponibilità dell’indiziato di appartenenza
a sodalizi di tipo mafioso tutti i beni che siano frutto di
attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso, è
legittimo il provvedimento di confisca di beni del prevenuto che ne giustifichi il possesso dichiarando di averli
acquistati con i proventi del reato di evasione fiscale.
Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2013, n. 39205
In tema di misure di prevenzione nei confronti di
indiziati di appartenere ad associazione di tipo mafioso, il principio secondo cui il requisito dell’attualità
della pericolosità è da considerare implicito nella ritenuta attualità dell’appartenenza opera anche quando
quest’ultima assume la forma del “concorso esterno”,
caratterizzato dalla non temporaneità del contributo
prestato al sodalizio e, quindi, dalla presunzione di attualità del pericolo, salvo che non ricorrano elementi dai
quali si desuma l’avvenuta interruzione del rapporto.
IMMIGRAZIONE
ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA
Cass. pen., sez. I, 26 settembre 2013, n. 39998
La contravvenzione prevista dall’art. 10-bis, d. legisl. n. 286 del 1998, che punisce con una sanzione
pecuniaria l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la direttiva della Commissione
CEE 16 dicembre 2008, n. 115, in quanto non è accompagnata da misure di rimpatrio forzato incompatibili
con la direttiva indicata.
MISURE DI PREVENZIONE
Cass. pen., sez. I, 6 settembre 2013, n. 36660
La condotta di chi non ottempera all’ordine di
presentarsi all’Autorità di P.S. contenuto nel foglio
di via obbligatorio configura la fattispecie di cui all’art.
650 c.p.
Cass. pen., sez. V, 25 settembre 2013, n. 39837
Il reato di intestazione fittizia, previsto dall’art.
12-quinquies d.l. n. 306 del 1992, conv. in legge n.
356 del 1992, si distingue dal delitto di riciclaggio di
cui all’art. 648-bis c.p. perchè mentre in questa ultima
fattispecie è necessario che i beni su cui vengano poste
in essere le condotte incriminate siano provenienza di
delitto, nell’altra si persegue solo l’obiettivo di evitare
manovre dei potenziali assoggettabili a misure di prevenzione, volte a non far figurare la loro disponibilità
di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di
questi da delitto, che se provata può integrare altri reati.
Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2013, n. 39210
Integra il reato di trasferimento fraudolento di
valori, previsto dall’art. 12-quinquies, d.l. n. 306 del
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Novità giurisprudenziali
1992, conv. in legge n. 356 del 1992, la costituzione
di una nuova società commerciale volta ad eludere le
disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, attraverso l’intestazione delle quote a
soggetti utilizzati come prestanome dei reali proprietari,
risultati essere amministratori e soci occulti di altra società.
REATI AMBIENTALI
Cass. pen., sez. III, 16 settembre 2013, n. 37860
L’autorizzazione prevista dall’art. 55 cod. nav. per
l’esecuzione di nuove opere nella fascia demaniale
di rispetto di trenta metri rientra tra i vincoli imposti
alla proprietà privata nelle zone prossime al demanio
marittimo, la cui inosservanza determina la sussistenza
del reato previsto dall’art. 1161 stesso codice. (In motivazione la Corte ha specificato che il mancato richiamo
all’art. 55 cod. nav. da parte dell’art. 1161 stesso codice,
come riformulato dall’art. 3 del d. legisl. n.151 del 2006,
non ha comportato la depenalizzazione della condotta
di inosservanza dell’autorizzazione del capo del compartimento da detto art. 55 prevista).
Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2013, n. 38046
In tema di rifiuti, al fine di qualificare il deposito
come temporaneo, il produttore può alternativamente e facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio
quantitativo o a quello temporale, ovvero può conservare i rifiuti per tre mesi in qualsiasi quantità, oppure
conservarli per un anno purché essi non raggiungano i
limiti volumetrici previsti dall’art. 183, lett. bb), d. legisl.
3 aprile 2006 n. 152.
Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2013, n. 38364
Il reato di cui all’art. 256, comma 2, d. legisl. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche
di fatto, di una attività economica, indipendentemente
dalla qualifica formale sua o dell’attività medesima. (In
applicazione di tale principio è stato ritenuto soggetto
attivo del reato anche l’imprenditore agricolo).
Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2013, n. 38044
In tema di gestione dei rifiuti, l’art. 6, d.l. 6 novembre 2008, n. 172 (conv. in l. 30 dicembre 2008, n. 210)
è applicabile nella parte di territorio nazionale in cui vi
è stata la dichiarazione dello stato di emergenza, che
costituisce, quindi, il presupposto di fatto integrante il
precetto penale. (Fattispecie relativa a trasporto di rifiuti
nella Regione Sicilia in cui è stato dichiarato lo stato di
emergenza).
Cass. pen., sez. VI, 12 settembre 2013, n. 37422
Integra il reato previsto dall’art. 193, r.d. 27 luglio
1934, n. 1265, la gestione non autorizzata di una casa di riposo per anziani nella quale viene svolta attivi-
tà tipicamente sanitaria (nella specie consistente nella
somministrazione di farmaci e nell’assistenza medica
ed infermieristica continuativa a pazienti non autosufficienti), irrilevante essendo che le terapie siano praticate
dai medici di famiglia dei pazienti ricoverati.
Cass. pen., sez. III, 13 settembre 2013, n. 37548
Le materie fecali sono escluse dalla disciplina dei
rifiuti di cui al d. legisl. n.152 del 2006 a condizione
che provengano da attività agricola e che siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività. (In applicazione
del principio, la Corte ha affermato la natura di rifiuto
di rilevanti quantitativi di pollina provenienti da allevamento avicolo, ammassati e collocati in aree scoscese e
prive di vegetazione).
Cass. pen., sez. III, 13 settembre 2013, n. 37548
Non può essere disposta la confisca dell’area adibita a discarica abusiva, in caso di estinzione del reato
(nella specie, per prescrizione), né a norma dell’art. 256,
comma 3, d. legisl. n. 152 del 2006, né a norma dell’art.
240, comma 2, c.p.
Cass. pen., sez. IV, 5 settembre 2013, n. 36406
In materia di rifiuti, non è sufficiente ad integrare il
reato di gestione o realizzazione di discarica abusiva la
mera consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di
terze persone.
Cass. pen., sez. III, 16 settembre 2013, n. 37822
La speciale causa estintiva, prevista dall’art.
181-quinquies, d. legisl. 22 gennaio 2004, n. 42, opera a condizione che l’autore dell’abuso si attivi “spontaneamente” alla rimessione in pristino delle aree o degli
immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anticipando
l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio.
Cass. pen., sez. III, 12 settembre 2013, n. 37337
La punibilità del reato previsto dall’art. 181, comma 1, d. legisl. 22 gennaio 2004, n. 42, è esclusa nell’ipotesi di interventi di “minima entità”, e cioè di quelli
inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio,
e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale. (Fattispecie nella quale la Corte ha accolto il ricorso contro
la sentenza di condanna, ritenendo – conformemente
al parere già espresso nella vicenda dalla competente
commissione per il paesaggio, in ragione delle caratteristiche costruttive e dei materiali adoperati –la astratta
inidoneità alla compromissione del paesaggio di interventi consistiti nella demolizione e rifacimento di tre dei
sei muri perimetrali e di parti interne di una rimessa deposito dell’abitazione principale).
Cass. pen., sez. III, 10 settembre 2013, n. 37140
In tema di tutela penale del paesaggio, anche la
condanna non irrevocabile (nella specie irrogata in primo grado) preclude l’operatività della causa di estin-
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
zione del reato della rimessione in pristino delle aree o
degli immobili soggetti a vincolo prevista dall’art. 181,
comma 1-quinquies, d. legisl. 12 gennaio 2004, n. 42.
Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2013, n. 39049
La punibilità del reato di pericolo previsto dall’art.
181, comma 1, d. legisl. 22 gennaio 2004, n. 42, è
esclusa solo nell’ipotesi di interventi di “minima entità”,
e cioè di quelli inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggisticoambientale. (In motivazione, la Corte ha precisato che
non può ritenersi applicabile al reato di cui all’art. 181,
comma primo bis cit., la causa di non punibilità della lieve entità degli interventi, introdotta dall’art. 44, d.l. n. 5
del 2012, conv. in legge n. 35 del 2012, che presuppone
un regolamento attuativo ad oggi non ancora emanato).
Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2013, n. 39112
Il divieto di esercizio dell’attività venatoria nelle
aree naturali protette se è segnalato da regolare tabellazione si presume conosciuto dal trasgressore e solleva l’accusa dall’onere della prova; viceversa, in assenza
di tabellazione, il divieto di caccia si presume ignoto e
l’accusa deve dimostrare che, nonostante l’assenza di
indicazioni, il trasgressore era comunque a conoscenza
della proibizione.
REATI EDILIZI
Cass. pen., sez. III, 12 settembre 2013, n. 37383
Il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo
dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il
pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa
da quella programmata. (Fattispecie di lavori interni di
redistribuzione degli spazi, finalizzati alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con
precedente destinazione d’uso alberghiera).
Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2013, n. 38941
L’ordine di demolizione di un immobile abusivo non può essere revocato o sospeso in conseguenza
dell’avvenuta donazione del cespite, in epoca successiva alla sentenza di condanna, in quanto il donatario
riceve il bene nelle condizioni giuridiche in cui si trova
al momento del perfezionamento dell’atto di liberalità.
Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2013, n. 39895
In tema di reati edilizi, sussistono i presupposti per
attribuire efficacia estintiva dell’illecito penale al
permesso in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del d.p.r.
n. 380 del 2001, solo se le opere abusive risultano, per
quanto difformi dal titolo abilitativo, in sé non contrastanti con gli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione della domanda, con la conseguenza che detta
vicenda non può prodursi se sia necessario procedere
ad ulteriori interventi che riconducano i lavori realizzati
a tale doppia conformità.
Cass. pen., sez. III, 11 settembre 2013, n. 37224
In caso di costruzione abusiva che violi, oltre alle
disposizioni incriminatrici, anche le norme civilistiche a tutela dei privati confinanti, la pendenza di procedura amministrativa per il rilascio di provvedimento
concessorio non osta al riconoscimento, in favore della parte civile richiedente, del risarcimento nella forma
specifica del ripristino dello stato dei luoghi.
Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2013, n. 38338
In tema di reati edilizi, l’esecuzione di interventi comportanti la modifica dei prospetti non rientra
nelle tipologie delle ristrutturazioni edilizie “minori” e
come tale richiede il preventivo rilascio di permesso a
costruire. (Fattispecie in cui è stato ritenuto integrato il
reato di cui all’art. 44 del d.p.r. n. 380 del 2001).
Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2013, n. 38005
In tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è solo quello tra
categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico, da individuarsi tenendo conto della destinazione indicata nell’ultimo titolo abilitativo relativo
all’immobile ovvero della sua tipologia, nonché delle
attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire
in caso di esecuzione di nuovi lavori. (Fattispecie in cui è
stata ritenuta corretta la condanna in relazione a cambio
di destinazione d’uso di un fabbricato, originariamente
destinato a “magazzino e locale tecnico” , in “officina di
elettrauto ed ufficio deposito ricambi dell’attività di elettrauto” in contrasto con il piano regolatore che destinava la zona ad usi agricoli indifferenziati).
Cass. pen., sez. III, 13 settembre 2013, n. 37572
In tema di lottizzazione abusiva, l’attività rilevante
ai fini urbanistici e edilizi è data dal carattere permanente della modifica apportata all’assetto del territorio, sempre riscontrabile quando l’opera realizzata è destinata
a soddisfare un’esigenza non transeunte, indipendentemente dalla natura dei materiali adoperati, dalle caratteristiche costruttive o dalla sua agevole rimovibilità.
(Fattispecie di frazionamento di area di campeggio in
seicento piazzole, di cui più di cento occupate da case
mobili poggiate su blocchi di cemento e stabilmente allacciate alle reti dei servizi primari e secondari).
Cass. pen., sez. III, 16 settembre 2013, n. 37847
In materia di violazione dell’art. 44 del d.p.r. n.
380 del 2001, la non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia e alle previsioni degli strumenti urbanistici
può essere rilevata non soltanto se l’atto sia illecito, e
cioè frutto di attività criminosa, ma anche nell’ipotesi in
cui l’emanazione dell’atto medesimo sia espressamente
vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge
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Studium Iuris, 5/2014
Novità giurisprudenziali
o nel caso di mancato rispetto delle norme che regolano
l’esercizio del potere.
fini della loro ricostruzione, il ricorso al libro giornale ed
al mastro dei conti.
Cass. pen., sez. III, 10 settembre 2013, n. 37139
Cass. pen., sez. V, 11 settembre 2013, n. 37305
In tema di reati edilizi, integra gli estremi della fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), del d.p.r.
6 giugno 2001, n. 380, la realizzazione di una serra in
difetto del preventivo rilascio del permesso a costruire,
quando l’opera è priva del carattere di amovibilità ed
è dotata di estesa pavimentazione ricadente all’interno
del manufatto, non ricorrendo i presupposti per l’esecuzione di attività libere previsti dall’art. 6, comma 1, lett.
e), e comma 2, lett. c), del medesimo d.p.r.
In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in
caso di concorso ex art. 40, comma 2, c.p., dell’amministratore formale nel reato commesso dall’amministratore di fatto, il dolo del primo può configurarsi anche come eventuale ed essere integrato dall’omesso controllo
sulla tenuta delle scritture che dimostra la rinuncia a
porre in essere quelle attività idonee a prevenire il pericolo di distrazioni e, di conseguenza, l’accettazione del
rischio che esse possano verificarsi.
Cass. pen., sez. III, 25 settembre 2013, n. 39796
La sistemazione di un cartellone pubblicitario
richiede il rilascio del preventivo permesso di costruire quando, per le sue rilevanti dimensioni, comporti
sotto il profilo urbanistico ed edilizio un sostanziale
mutamento del territorio rispetto al suo contesto preesistente (conforme a n. 39797/2013, non massimata). (In motivazione, la Corte ha osservato che non vi
è rapporto di specialità tra la disciplina sanzionatoria
penale in materia urbanistica e auto sismica del d.p.r.
n. 380 del 2001 e quella amministrativa del d. legisl. n.
507 del 1993).
Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2013, n. 39415
Integra il reato previsto dall’art. 44, lett. b), d.p.r.
n. 380 del 2001, l’installazione di impianti di telefonia
mobile senza il preventivo rilascio dell’autorizzazione
disciplinata dall’art. 87, d. legisl. n. 259 del 2003, atto quest’ultimo che può ritenersi sostituito dalla formazione del c.d. silenzio-assenso a condizione, però,
che sussistano i presupposti e i requisiti richiesti dalla
legge. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato
il reato in quanto il silenzio-assenso formatosi sulla richiesta di autorizzazione era in contrasto al piano di
localizzazione delle stazioni radio base, adottato dal
Comune).
Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2013, n. 39400
In tema di reati edilizi, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei
confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità
dell’immobile ed un concreto interesse all’esecuzione
dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare
che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa
e senza la sua volontà.
REATI FALLIMENTARI
Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2013, n. 39482
Integra il reato di bancarotta semplice documentale l’imprenditore che tenga in modo sintetico il libro degli inventari, tale da non esprimere in maniera analitica
i singoli elementi patrimoniali, rendendo necessario, ai
REATI TRIBUTARI
Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2013, n. 38946
In tema di contrabbando, non è soggetto a confisca obbligatoria il rimorchio (nella specie, un “car trailer”
per il trasporto di veicoli), utilizzato per finalità estranee
all’attività illecita e non costituente parte integrante del
mezzo trainante.
Cass. pen., sez. III, 13 settembre 2013, n. 37528
Nel reato di omesso versamento delle ritenute
certificate, la situazione di difficoltà finanziaria dell’imprenditore non costituisce causa di forza maggiore che
esclude la responsabilità prevista dall’art.10-bis del d.
legisl. n. 74 del 2000.
Cass. pen., sez. V, 9 settembre 2013, n. 36894
Il reato tributario di dichiarazione infedele può
essere integrato anche da condotte elusive ai fini fiscali purché riconducibili a quelle previste dagli art. 37,
comma 3 e 37-bis, d.p.r. n. 600 del 1973, considerato
che la fattispecie di cui all’art. 4, d. legisl. n. 274 del
2000 non richiede la sussistenza di una dichiarazione
fraudolenta ma soltanto la presentazione di una dichiarazione infedele e, pertanto, la mera indicazione, anche
senza l’uso di mezzi fraudolenti, di elementi attivi per
un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi
passivi fittizi, quando ricorrano le altre condizioni ivi
previste in relazione all’ammontare dell’imposta evasa
e degli elementi attivi sottratti alla imposizione e, quindi, quando si superino le relative soglie di punibilità.
(In applicazione del principio di cui in massima la S.C.
ha ritenuto immune da censure la decisione del Tribunale del riesame che ha ritenuto sussistente il fumus
del reato di dichiarazione infedele nella esposizione di
elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, attraverso il meccanismo di ‘retrocessione dei
dividendi’).
Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2013, n. 39101
In tema di reati tributari, la presentazione di una
proposta di concordato preventivo e la sua approvazione di omologazione da parte del tribunale non
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Novità giurisprudenziali
Studium Iuris, 5/2014
fa venir meno la responsabilità dell’amministratore della società che non ha versato quanto dovuto all’erario
ai fini degli obblighi IVA. (In motivazione, la Corte ha
evidenziato che il reato di cui all’art. 10-ter, d. legisl. n.
74 del 2000 ha natura e carattere istantaneo e grave
sull’amministratore e non sull’ente da lui amministrato).
Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2013, n. 39079
Il reato previsto dall’art. 11, d. legisl. 10 marzo
2000, n. 74, è integrato dall’uso di mezzi fraudolenti
per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al
pagamento del debito tributario, delle sanzioni e relativi
interessi e non presuppone come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva, essendo, invece, sufficiente l’idoneità, con giudizio ex ante, a
rendere in tutto o in parte inefficace l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria. (Fattispecie in cui
è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta di un
commercialista che, in prossimità degli esiti di una verifica fiscale a suo carico, aveva ceduto immobili e quote
sociali alla convivente).
Cass. pen., sez. III, 9 settembre 2013, n. 36910
Le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio che, ai sensi dell’art. 7, d. legisl.. n. 74 del 2000, non
danno luogo a fatti punibili a norma degli artt. 3 e 4 dello stesso decreto sono solo quelle che, pur eseguite in
violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di
competenza, rispondono a “metodi costanti di impostazione contabile”, a condizione che tale corrispondenza
emerga con chiarezza dalla lettura dei bilanci e delle
scritture nella loro interezza e non sulla base di semplici
rilievi a campione.
Cass. pen., sez. III, 10 settembre 2013, n. 37131
Ai fini del superamento delle soglie normative di
punibilità nei reati tributari, le spese e gli oneri afferenti i ricavi e gli altri proventi, concorrono a formare il
reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura
in cui risultano da elementi certi e precisi anche quando
non sono indicati nelle scritture contabili. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che il giudice
ha l’onere di procedere ad una disamina analitica dei
documenti prodotti per la quantificazione di costi la cui
esistenza è rilevabile agli atti, anche in caso di irregolarità macroscopica, delle scritture contabili).
quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono
all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle
sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa),
dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità.
In tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale
superamento dei limiti tabellari indicati dall’art. 73-bis,
comma 1, lett. a), d.p.r. n. 309 del 1990 – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un
uso non personale, potendo essere considerato solo un
mero indizio.
Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2013, n. 38133
Ai fini dell’applicabilità della fattispecie di cui
all’art. 74, comma 6, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309,
non è sufficiente considerare le quantità di stupefacenti effettivamente scambiate, ma occorre valutare anche
quelle trattate e offerte in vendita dai partecipanti all’associazione. (Fattispecie nella quale la diminuente è stata
esclusa per la potenzialità dell’organizzazione di procurarsi quantitativi di droga rilevanti).
Cass. pen., sez. IV, 5 settembre 2013, n. 36408
La circostanza attenuante del danno patrimoniale
di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p.
non è applicabile ai reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2013, n. 38015
In tema di stupefacenti, la circostanza attenuante ad effetto speciale della collaborazione prevista
dall’art. 73, comma 7, d.p.r. n. 309 del 1990 è soggetta
all’ordinario giudizio di comparazione tra circostanze
eterogenee di cui all’art. 69 c.p., non potendo essere ad
essa applicato lo speciale regime previsto dall’art. 8, d.l.
n. 152 del 1991 (conv. in legge n. 203 del 1991) per i
reati di stampo mafioso che esclude l’applicazione del
giudizio di bilanciamento. (In motivazione, la Corte ha
evidenziato che quello previsto dall’art. 8, d.l. n. 152 cit.
è un regime derogatorio della disciplina ordinaria in tema di bilanciamento delle circostanze e come tale è da
considerarsi di stretta interpretazione).
Cass. pen., sez. III, 10 settembre 2013, n. 37122
STUPEFACENTI
Cass. pen., sez. VI, 26 settembre 2013, n. 39977
In tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del
fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.p.r.
n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati,
Per il riconoscimento della circostanza attenuante
di cui all’art. 73, comma 7, del d.p.r. 9 ottobre 1990,
n. 309, è sufficiente che il coautore del reato consenta
la individuazione e il recupero dei proventi del traffico
di droga occultati o reinvestiti, a condizione che tale
collaborazione contribuisca significativamente a privare
gli autori del reato dei mezzi per la prosecuzione
o ripresa della attività illecita ovvero dei vantaggi
patrimoniali conseguiti e nascosti.
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Giurisprudenza costituzionale
a cura di Paolo Veronesi
Aggiornamento alla G.U. n. 13 del 19 marzo 2014
SENTENZE
Sentenza 25 febbraio 2014, n. 29 – Nel quadro di un conflitto di attribuzioni sollevato dalla Corte di cassazione nei confronti del Senato della Repubblica, la Corte costituzionale dichiara che non spettava a quest’ultimo
deliberare, ai fini dell’esercizio della prerogativa di cui all’art. 96 Cost., il carattere ministeriale delle ipotesi di
reato contestate al senatore Roberto Castelli, all’epoca dei fatti Ministro della giustizia, per le frasi da questi pronunciate nel corso della trasmissione televisiva “Telecamere“, andata in onda il 21 marzo 2004, nei confronti dell’onorevole Oliviero Diliberto e oggetto del procedimento penale. Né spettava al Senato deliberare la sussistenza della
finalità di cui all’art. 9, comma 3, della legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1, sul presupposto che egli avesse agito per
il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo. In modo alquanto
ardito il Senato peraltro pretendeva di far rientrare nella prerogativa ex art. 96 Cost. ingiurie e diffamazioni poste
in essere dall’allora Ministro.
Sentenza 25 febbraio 2014, n. 30 – Inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 55,
comma 1, lett. d), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt. 3, 111, comma 2, e 117, comma
1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 1, della CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con la l. 4 agosto 1955, n. 848. Secondo la Corte, la Convenzione accorda allo Stato aderente ampia
discrezionalità nella scelta del tipo di rimedio interno tra i molteplici ipotizzabili, ma nel caso in cui opti per quello
risarcitorio – quale conseguenza della non ragionevole durata del processo – detta discrezionalità incontra il limite dell’effettività, che deriva dalla natura obbligatoria dell’art. 13 CEDU (Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006,
Cocchiarella contro Italia), secondo il quale: «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale […]». È specificamente
sotto tale profilo – peraltro oggetto di censura da parte del rimettente – che il rimedio interno, come attualmente
disciplinato dalla legge Pinto, risulta – per la Corte – carente. La Corte EDU, infatti, ha ritenuto che il differimento dell’esperibilità del ricorso alla definizione del procedimento in cui il ritardo è maturato ne pregiudichi l’effettività
e lo renda incompatibile con i requisiti al riguardo richiesti dalla Convenzione (sentenza 21 luglio 2009, Lesjak
contro Slovenia). Il vulnus riscontrato e la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo a fronte della
violazione della ragionevole durata del processo, se non inficiano la ritenuta inammissibilità della questione e se non
pregiudicano la «priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario» (sentenza n. 23 del 2013), impongono tuttavia di evidenziare che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia
Sentenza 12 febbraio 2014, n. 32 – Illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi
invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Si tratta dell’importante pronuncia che ha dichiarato l’illegittimità della c.d. legge
Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti. Il ragionamento della Corte muove tutto dalla mancata osservanza dell’art. 77
Cost. (con riguardo alla necessaria omogeneità sostanziale degli emendamenti apportati a un decreto legge in itinere).
Sentenza 13 marzo 2014, n. 45 – Infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma
4, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotro-
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Giurisprudenza costituzionale
Studium Iuris, 5/2014
pe, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13,
comma 1, 27, comma 2, e 32 Cost. La pronuncia precisa l’interpretazione della disciplina che regola il trattamento cautelare dei tossicodipendenti che abbiano posto in essere reati particolarmente gravi.
Sentenza 13 marzo 2014, n. 46 – Infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge
della Regione autonoma della Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo
sviluppo), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, 117 e 118 Cost. e all’art. 3 della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3
(Statuto speciale per la Sardegna). Con questa pronuncia la Corte ritorna e chiarisce il rapporto tra leggi regionali
e previsioni di carattere penale in esse contenute.
Sentenza 13 marzo 2014, n. 47 – Infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 60 del d.
legisl. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace), sollevata, in riferimento
agli artt. 3 e 76 Cost., nella parte in cui non consente di applicare le disposizioni di cui agli artt. 163 ss. c.p., relative
alla sospensione condizionale della pena, nei casi di condanna a pena pecuniaria per reati di competenza del
giudice di pace, neppure quando il beneficio sia stato invocato dalla difesa.
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Giurisprudenza dell’Unione europea
a cura di Giulio Carpaneto
Aggiornamento al 18 marzo 2014
Sentenza 351/12 del 27 febbraio 2014 – [Direttiva 2001/29/CE – Diritto d’autore e diritti connessi nella società
dell’informazione – Nozione di “comunicazione al pubblico” – Diffusione di opere nelle stanze di un istituto termale – Effetti
diretti delle disposizioni della Direttiva – Artt. 56 e 102 TFUE – Direttiva 2006/123/CE – Libera prestazione dei servizi –
Concorrenza – Diritto esclusivo di gestione collettiva dei diritti d’autore]
Nella Repubblica ceca è insorta una controversia tra l’ente che tutela i diritti d’autore e la gestione di una rete di
istituti termali, che per 18 mesi ha installato nelle camere dei pazienti apparecchi radio e televisivi che diffondevano
opere tutelate dall’ente stesso senza versare alcun diritto d’autore. La società convenuta invocava l’esenzione fiscale
garantita alle case di cura dalla legge nazionale sui diritti d’autore, ma l’ente di tutela contestava la compatibilità di tale esenzione con la Direttiva UE 2001/29. Era inevitabile il ricorso pregiudiziale alla Corte, che così ha risolto le questioni sottopostele: l’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa
di uno Stato membro la quale esclude il diritto degli autori di autorizzare o di vietare la comunicazione delle loro
opere, da parte di un istituto termale operante come impresa commerciale, mediante la distribuzione deliberata di
un segnale nelle stanze dei pazienti di tale istituto a mezzo di un apparecchio televisivo o radiofonico. L’art. 5, parr. 2,
lett. e) , 3, lett. b), e 5, della medesima Direttiva non è tale da incidere su detta interpretazione. L’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che non può essere fatto valere da un ente di gestione collettiva
dei diritti d’autore in una controversia tra privati ai fini della disapplicazione della normativa di uno Stato membro
contraria a tale disposizione. Il giudice cui venga sottoposta una tale controversia è tuttavia obbligato ad interpretare
la suddetta regolamentazione quanto più possibile alla luce del testo e della finalità della medesima disposizione per
giungere ad una soluzione conforme all’obiettivo perseguito da quest’ultima. L’art. 16 della Direttiva 2006/123/
CE, nonché gli artt. 56 e 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di uno
Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, che riservi l’esercizio della gestione collettiva dei
diritti d’autore relativi a talune opere protette, nel proprio territorio, ad un unico ente di gestione collettiva dei diritti
d’autore e, così facendo, impedisca all’utilizzatore di tali opere, quale l’istituto termale di cui trattasi nel procedimento principale, di beneficiare dei servizi forniti da un ente di gestione stabilito in un altro Stato membro. Tuttavia,
l’art. 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che costituiscono indizi di un abuso di posizione dominante il
fatto che il suddetto ente di gestione imponga, per i servizi da esso prestati, tariffe sensibilmente più elevate di quelle
praticate in altri Stati membri, purché il confronto dei livelli delle tariffe sia stato effettuato su base omogenea, o che
pratichi prezzi eccessivi, privi di ogni ragionevole rapporto con il valore economico delle prestazioni fornite.
Sentenza 470/12 del 27 febbraio 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Contratto di credito al consumo – Clausole abusive
– Direttiva 93/13/CEE – Esecuzione forzata di un lodo arbitrale – Domanda di intervento in un procedimento di esecuzione
– Associazione per la tutela dei consumatori – Legislazione nazionale che non permette tale intervento – Autonomia procedurale degli Stati membri]
In Slovacchia una società finanziaria aveva stipulato con un cliente un contratto di credito al consumo. Di fronte all’insolvenza della controparte, la società si rivolgeva ad una corte arbitrale, dalla quale otteneva un’ingiunzione
di pagamento. Il provvedimento diveniva definitivo, ma il tribunale competente per autorizzare l’esecuzione limitava la competenza dell’ufficiale giudiziario al recupero della somma insoluta, vietando la percezione degli interessi e
delle spese inerenti il procedimento esecutivo. In questa fase un’associazione per la tutela dei consumatori chiedeva
di intervenire, osservando che l’ufficiale giudiziario incaricato dell’esecuzione difettava di imparzialità, essendo ex
dipendente della società finanziaria, inoltre il giudice adito non avrebbe applicato d’ufficio disposizioni del codice
civile favorevoli al convenuto.
La richiesta di intervento era disattesa, perché non prevista dal codice di procedura civile nazionale. Il giudice
adito ha comunque deciso di consultare in via pregiudiziale la Corte, considerata la rilevanza della clausola abusiva
sulla composizione delle controversie contenuta nel contratto e l’impossibilità di intervento in causa dell’associazione per la tutela dei consumatori. La Corte ha dichiarato che la Direttiva 93/13/CEE, in particolare gli artt. 6,
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Giurisprudenza dell'Unione europea
Studium Iuris, 5/2014
par. 1, 7, par. 1, e 8, letti in combinato disposto con gli artt. 38 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa nazionale in applicazione della quale non
è ammesso l’intervento di un’associazione per la tutela dei consumatori a sostegno di un determinato consumatore,
in un procedimento di esecuzione, avviato contro quest’ultimo, di un lodo arbitrale definitivo.
Sentenza 58/12 del 27 febbraio 2014 – [Politica sociale – Direttiva 96/34/CE – Accordo quadro sul congedo parentale – Clausole 1 e 2, punto 4 – Congedo parentale a tempo parziale – Licenziamento del lavoratore senza motivo grave o
adeguato – Indennità forfettaria di tutela per fruizione di un congedo parentale – Base di calcolo dell’indennità]
Dopo quattro anni trascorsi alle dipendenze di una società belga, un’impiegata otteneva un congedo di maternità. Nel corso del congedo, la direzione dell’impresa comunicava alla dipendente la risoluzione del contratto di
lavoro a tempo indeterminato, giustificando la decisione con la diminuzione del volume di lavoro e con il rifiuto
dell’interessata di assumere incarichi diversi dai precedenti nel quadro dell’azienda. Il licenziamento era impugnato
dalla dipendente, che contestava nel contempo l’indennità concessale per il licenziamento e il criterio di calcolo di
detta indennità. Il giudice adito ha ritenuto opportuno chiedere lumi alla Corte, che in merito ha dichiarato che la
clausola 2, punto 4, dell’accordo quadro sul congedo parentale, contenuto nell’allegato alla Direttiva 96/34/CE,
modificato dalla Direttiva 97/75/CE, esaminata alla luce tanto degli obiettivi perseguiti da tale accordo quadro
quanto dal punto 6 della medesima clausola, deve essere interpretato nel senso che essa osta a che l’indennità forfettaria di tutela dovuta ad un lavoratore che fruisce di un congedo parentale a tempo parziale , in caso di risoluzione
unilaterale da parte del datore di lavoro, senza motivo grave o adeguato, del contratto di tale lavoratore assunto a
tempo indeterminato e a tempo pieno, sia determinata sulla base della retribuzione diminuita percepita da quest’ultimo alla data del suo licenziamento.
Sentenza 1/13 del 27 febbraio 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia civile – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 27, par. 2 – Litispendenza – Art. 24 – Proroga di competenza – Accertamento della competenza del primo giudice adito per effetto della comparizione senza contestazione delle parti o dell’adozione di una decisione
definitiva]
Una nota casa francese produttrice di cosmetici affidava a una impresa di trasporti una partita di prodotti da
consegnare nel Regno Unito. L’impresa incaricata subappaltava il trasporto ad altra compagnia, che a sua volta
subappaltava il mandato a un terzo vettore. Durante una regolamentare sosta notturna in un’area di parcheggio nel
Regno Unito, l’autocarro subiva un furto e andava perduta una buona parte del carico. L’assicuratore della casa francese valutava il danno a circa 150.000 �, ma rimborsava una cifra leggermente inferiore. Il produttore di cosmetici
e il suo assicuratore agivano poi di conserva, citando in solido i tre trasportatori dinanzi al giudice francese, quali
responsabili del danno subito per loro incuria. In una delle udienze iniziali, il vettore n. 1 sollevava l’eccezione di
litispendenza, osservando di aver già provveduto ad adire il giudice inglese per fare accertare le responsabilità del
committente e degli altri vettori coinvolti nella vicenda e per valutare l’effettiva entità del danno subito dal committente. Contro tale eccezione gli attori invocavano l’irricevibilità, non essendo stata sollevata in limine litis. Il codice
di procedura francese prescrive infatti che le eccezioni di carattere processuale vengano sollevate prima di addurre
argomenti di merito, mentre memorie in questo senso erano già state prodotte dalla parte in precedenza. Per di più
la competenza del giudice inglese non era stata acclarata ai sensi del Regolamento n. 44/2001 e le due controversie
non riguardavano lo stesso oggetto e le stesse parti. Il giudice francese ha convalidato l’eccezione di litispendenza,
essendo stato adito per primo il giudice inglese, la cui competenza non era stata contestata, ed ha ammesso in via
derogatoria l’eccezione presentata oralmente. Di conseguenza ha dichiarato la propria incompetenza. Questa pronuncia è stata impugnata ed il giudice ora investito della causa chiede lumi alla Corte. La Corte ha dichiarato che
l’art. 27, par. 2, del Regolamento (CE) n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che, fatta salva l’ipotesi in cui
il giudice successivamente adito disponga di competenza esclusiva in forza di tale regolamento, la competenza del
giudice precedentemente adito deve essere considerata accertata, ai sensi di detta disposizione, qualora detto giudice non abbia declinato d’ufficio la propria competenza e nessuna delle parti l’abbia contestata anteriormente o fino al
momento della presa di posizione considerata, dal rispettivo ordinamento processuale nazionale, quale primo atto
difensivo nel merito, presentato dinanzi al giudice medesimo.
Sentenza 79/13 del 27 febbraio 2014 – [Direttiva 2003/9/CE – Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri – Art. 13, par. 1 – Termine di concessione di condizioni materiali di accoglienza – Garanzie –
Art. 13, par. 5 – Fissazione e concessione di condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo – Importo dell’aiuto concesso
– Art. 14 – Modalità delle condizioni materiali di accoglienza – Saturazione delle strutture di accoglienza – Rinvio ai sistemi
nazionali di protezione sociale – Fornitura delle condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici]
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Studium Iuris, 5/2014
Giurisprudenza dell'Unione europea
Sentenza 110/13 del 27 febbraio 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Diritto delle imprese – Raccomandazione
2003/361/CE – Definizione delle microimprese, piccole e medie imprese – Tipi di imprese considerate ai fini del calcolo degli
effettivi e degli importi finanziari – Imprese collegate – Nozione di “gruppo di persone fisiche che agiscono di concerto”]
In Germania una società produttrice di articoli di plastica è gestita da due coniugi e da una terza persona, che ne
detengono – in proporzioni diverse – anche il capitale sociale. Le stesse persone amministrano pure una seconda
società, nella quale detengono quote pure uno dei coniugi e sua madre. Le due società, le cui direzioni sono strettamente collegate, collaborano intensamente nel settore della progettazione e della ricerca tecnica, nonché nell’attività
commerciale. Tenuto conto di detta situazione, l’ufficio tributario regionale riconosceva alla prima società per il
2006 solo la sovvenzione di base e non quella maggiorata prevista dalla legge sugli incentivi. A questo provvedimento era fatta opposizione, contestando i criteri di qualificazione seguiti per concedere la sovvenzione e la controversia giungeva in cassazione. A questo livello il giudice ha ritenuto necessario chiedere l’interpretazione della Corte
delle norme UE che disciplinano la classificazione delle imprese nell’àmbito dell’Unione, al fine di stabilire se la
valutazione operata dall’autorità tributaria tedesca fosse conforme ai canoni della normativa europea. La Corte ha
dichiarato che l’art. 3, par. 3, comma 4, dell’allegato della Raccomandazione 2003/361/CE deve essere interpretato
nel senso che possono essere considerate “collegate” ai sensi di detto articolo le imprese per le quali l’analisi
delle reciproche relazioni giuridiche ed economiche riveli che costituiscono, tramite una persona fisica o un
gruppo di persone fisiche che agiscono di concerto, un’entità economica unica, anche qualora non intrattengano formalmente nessuna delle relazioni elencate all’art. 3, par. 3, comma 1, dello stesso allegato. Sono
ritenute agire di concerto ai sensi dell’art. 3, par. 3, comma 4, del medesimo allegato, le persone fisiche che si
coordinano per esercitare sulle decisioni commerciali delle imprese interessate un’influenza che esclude che
queste ultime possano essere considerate economicamente indipendenti l’una dall’altra. La realizzazione di
questa condizione dipende dalle circostanze di specie, senza essere necessariamente subordinata alla sussistenza di
rapporti contrattuali tra tali persone e neppure alla constatazione dell’intento, da parte loro, di aggirare la definizione
di microimprese, di piccole e medie imprese contenuta nella raccomandazione in parola.
Sentenza 595/12 del 6 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Parità di
trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego – Corso di formazione per il conseguimento della nomina
come dipendente pubblico di ruolo – Esclusione per assenza prolungata – Assenza dovuta a un congedo di maternità]
Sentenza 458/12 del 6 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Politica sociale - Trasferimento di imprese – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Direttiva 2001/23/CE – Trasferimento dei rapporti di lavoro in caso di cessione contrattuale
di una parte di azienda non identificabile come entità economica autonoma preesistente]
Sentenza 409/12 del 6 marzo 2014 – [Marchi – Direttiva 2008/95/CE – Art. 12, par. 2, lett. a) – Decadenza –
Marchio divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o
servizio per il quale è registrato – Percezione del segno denominativo “KORNSPITZ” da parte dei venditori, da un lato, e degli
utilizzatori finali, dall’altro – Perdita del carattere distintivo dal punto di vista dei soli utilizzatori finali]
Una ditta austriaca produce ingredienti per fornai, distribuiti con il marchio KORNSPITZ. Detti ingredienti
vengono usati prevalentemente per la produzione di panini caratteristici, che – con il consenso del titolare del
marchio – sono posti in vendita con questo simbolo. Il tipo di panino si è molto diffuso e con lo stesso nome
è venduto anche da fornai che non usano i prodotti KORNSPITZ. Il titolare del marchio ha voluto opporsi a
questa prassi, rivendicando i suoi diritti, ma l’associazione panificatori, controparte in giudizio, ha obiettato che
nell’attuale situazione i diritti sul marchio dovevano considerarsi estinti e la denominazione originale non godesse più di alcuna tutela. Il giudice adito ha consultato la Corte, chiedendo se il diritto UE in materia confortasse
validamente questo orientamento. La Corte ha risposto che l’art. 12, par. 2, lett. a), della Direttiva 2008/95/CE
deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, il
titolare di un marchio si espone al rischio di decadenza di tale marchio relativamente ad un prodotto per il quale
esso è registrato quando, per il fatto dell’attività o inattività di tale titolare, il citato marchio è divenuto la generica
denominazione di detto prodotto dal punto di vista dei soli utilizzatori finali dello stesso. L’art. 12, par. 2, lett. a)
della Direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che è possibile classificare alla stregua di “inattività” ai
sensi di tale disposizione la circostanza che il titolare di un marchio si astenga dall’incitare i venditori ad utilizzare
maggiormente detto marchio per commercializzare un prodotto per cui il citato marchio è registrato. L’art. 12,
par. 2, lett. a), della Direttiva 2008/95 deve essere interpretato nel senso che la pronuncia della decadenza di un
marchio non presuppone che si accerti se, per un prodotto di cui detto marchio è divenuto la generica denominazione commerciale, esistano altre designazioni.
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Sentenza 206/13 del 6 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea –
Principi generali del diritto dell’Unione – Àmbito di applicazione del diritto dell’Unione – Collegamento sufficiente – Insussistenza – Incompetenza della Corte]
In Sicilia il proprietario di un immobile situato in zona soggetta a vincoli di paesaggio aveva apportato modifiche arbitrarie agli edifici di sua proprietà. La Soprintendenza Beni culturali e ambientali, competente ad autorizzare opere che modificano la struttura dei beni protetti, ingiungeva al proprietario di ripristinare l’aspetto originale
del paesaggio, provvedimento impugnato in giudizio dall’interessato. Il giudice adito ha sollevato la questione della
compatibilità della legge italiana sulla tutela del paesaggio con i principi sanciti dal diritto UE in materia di salvaguardia dell’ambiente e di protezione della natura e ha chiesto alla Corte di pronunciarsi in merito. La Corte ha dichiarato
la propria incompetenza a fornire risposta a domande in questo senso.
Sentenza 190/13 del 13 marzo 2014 – [Politica sociale – Direttiva 1990/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato – Università – Docenti associati – Successione di contratti di lavoro a tempo determinato – Clausola 5, punto 1 – Misure dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato – Nozione di “ragioni
obiettive” idonee a giustificare tali contratti – Clausola 3 – Nozione di “contratto di lavoro a tempo determinato” – Sanzioni
– Diritto ad un’indennità – Disparità di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato]
Un docente spagnolo stipulava con un istituto universitario di Barcellona un contratto di lavoro a tempo parziale come docente associato. Detto contratto era rinnovato mediante tre proroghe e nel luglio 2012 era risolto
unilateralmente dall’amministrazione universitaria. L’interessato impugnava il provvedimento, chiedendone l’annullamento o – in subordine – la dichiarazione di licenziamento senza giusta causa. L’amministrazione convenuta
si richiama alla normativa nazionale per rivendicare la legittimità del licenziamento. Il ricorrente invocava a sua volta
le disposizioni del diritto UE sul lavoro a tempo determinato, sottolineando l’incompatibilità della legge nazionale
con la disciplina europea. Il giudice adito ha sottoposto il quesito alla Corte, che così si è pronunciata: la clausola
5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva 1999/7/CE deve essere interpretata
nel senso che non osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nel procedimento principale, che
consente alle università di rinnovare contratti di lavoro a tempo determinato successivi conclusi con docenti
associati, senza alcun limite della durata massima e del numero di rinnovi di tali contratti, qualora tali contratti siano giustificati da una ragione obiettiva ai sensi del punto 1, lett. a) di tale clausola, circostanza che spetta
al giudice a quo verificare. Tuttavia, spetta ugualmente a tale giudice verificare, in concreto, che nel procedimento
principale il rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in parola intendesse effettivamente
soddisfare esigenze provvisorie e che una normativa come quella controversa nel procedimento principale non sia
stata utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli in materia di assunzione di personale docente.
Sentenza 222/12 del 13 marzo 2014 – [Trasporti su strada – Regolamento (CE) n. 561/2006 – Obbligo di utilizzare un tachigrafo – Deroga per veicoli impiegati nell’àmbito di servizi di manutenzione della rete stradale – Veicolo che
trasporta ghiaia dal luogo di carico fino al luogo dei lavori di manutenzione della rete stradale]
Sentenza 375/12 del 13 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Art. 63 TFUE – Libera circolazione dei capitali – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Imposta sul reddito delle persone fisiche – Meccanismo di fissazione del massimale
delle imposte dirette in funzione dei redditi – Convenzione fiscale bilaterale diretta ad evitare la doppia imposizione – Tassazione dei dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro diverso e già assoggettati a ritenuta alla fonte – Assenza di considerazione o considerazione parziale dell’imposta versata nello Stato membro diverso per il calcolo del massimale
d’imposta – Art. 65 TFUE – Restrizione – Giustificazione]
Sentenza 456/12 del 12 marzo 2014 – [Direttiva 2004/38/CE – Art. 21, par. 1, TFUE – Diritto di soggiornare e
di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri – Aventi diritto – Diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo,
familiare di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza – Ritorno del cittadino
dell’Unione in detto Stato membro dopo soggiorni di breve durata in un altro Stato membro]
La Corte si è contemporaneamente pronunciata sulla situazione di due cittadini di paesi terzi, che avevano contratto matrimonio con cittadine olandesi. In entrambi i casi i coniugi si erano poi trasferiti – per ragioni diverse – in
Spagna i primi e in Belgio i secondi. Dopo alcuni anni trascorsi all’estero entrambi i ricorrenti delle cause principali
sono rientrati in Olanda, ma le autorità olandesi hanno loro rifiutato il permesso di soggiorno a tempo indeterminato. I giudici aditi si sono rivolti alla Corte, chiedendo l’interpretazione delle norme comunitarie che disciplinano
il soggiorno di soggetti extracomunitari uniti in matrimonio con cittadini dell’Unione, prospettando l’ipotesi delle
fattispecie in esame nei procedimenti di merito. La Corte ha dichiarato che l’art. 21, par. 1 TFUE dev’essere inter-
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pretato nel senso che, in una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato una
vita familiare con un cittadino di un paese terzo nel corso di un soggiorno effettivo, ai sensi e nel rispetto
delle condizioni enunciate agli artt. 7, parr. 1 e 2, o 16, parr. 1 e 2, della Direttiva 2004/38/CE, in uno Stato
membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, le disposizioni della medesima direttiva si applicano per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato
membro d’origine. Di conseguenza, le condizioni per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino
di un paese terzo, familiare del menzionato cittadino dell’Unione, nello Stato membro di origine di quest’ultimo non
dovrebbero, in via di principio, essere più severe di quelle previste dalle citate direttive per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si è avvalso del proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza.
Sentenza 457/12 del 12 marzo 2014 – [Artt. 20, 21, par. 1, e 45 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Aventi diritto – Diritto di soggiorno del cittadino di un
paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza – Cittadino
dell’Unione residente e cittadino di uno stesso Stato membro – Attività professionali – Trasferte regolari in un altro Stato
membro]
Ancora una volta la Corte si è pronunciata sul rifiuto opposto dalle autorità olandesi a concedere il diritto di
soggiorno a tempo indeterminato a familiari di cittadini olandesi aventi la cittadinanza di paesi terzi.
Nel primo caso si tratta della suocera ucraina di un cittadino olandese che ogni settimana si reca in Belgio per
motivi di lavoro. Nel secondo caso una cittadina peruviana, coniugata con un cittadino olandese, intendeva accogliere nell’àmbito familiare costituito in Olanda un figlio avuto in un precedente matrimonio nel paese d’origine,
che aveva acquisito la cittadinanza peruviana. Anche in questo caso il coniuge olandese svolge attività professionale
che implica quotidiani viaggi in Belgio. La Corte, consultata in via pregiudiziale, ha dichiarato che le disposizioni
della Direttiva 2004/38/CE devono essere interpretate nel senso che non ostano a che uno Stato membro rifiuti
il diritto di soggiorno ad un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, quando tale cittadino
possiede la cittadinanza di detto Stato membro e risiede in questo medesimo Stato, ma si reca regolarmente in un
altro Stato membro nell’àmbito delle sue attività professionali. L’art. 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che
attribuisce al familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di un paese terzo, un diritto di soggiorno derivato nello
Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza, allorché detto cittadino risiede in quest’ultimo Stato, ma
si reca regolarmente in un altro Stato membro in quanto lavoratore ai sensi della menzionata disposizione, quando
il rifiuto di un siffatto diritto di soggiorno ha un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo dei diritti che al lavoratore
interessato derivano dall’art. 45 TFUE, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
Sentenza 548/12 del 13 marzo 2014 – [Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Competenze speciali – Art. 5, punti 1 e 3 – Azione di responsabilità civile – Natura contrattuale o extracontrattuale]
Un commerciante tedesco che distribuisce orologi di lusso si accordava con uno specialista francese, ex titolare di una società che fabbrica orologi di pregio, per avviare la produzione di due modelli che egli avrebbe
distribuito in esclusiva. Il committente tedesco si impegnava a finanziare la produzione dei modelli oggetto del
contratto. Nel frattempo lo specialista francese si trasferiva in Svizzera, ove progettava altri modelli di orologi che
avrebbe presentato alla fiera di Basilea. Il commerciante tedesco lo denunciava per inadempienza contrattuale,
sostenendo che con il contratto di esclusiva con lui stipulato lo specialista si sarebbe impegnato a lavorare solo
per lui e ad astenersi da altre attività. Il convenuto sosteneva di non essere soggetto ad alcun vincolo del genere e
inoltre eccepiva l’incompetenza del giudice tedesco adito, giacché il contratto era stato stipulato quando ancora
risiedeva in Francia, quindi l’azione avrebbe dovuto essere promossa in Francia. Il giudice adito chiede alla Corte
se, interpretando correttamente il Regolamento n. 44/2001, l’azione di risarcimento promossa per illecito
civile in base al diritto tedesco si ricollega alla materia contrattuale anche quando si fonda su una responsabilità
extracontrattuale. La Corte ha risposto che azioni di responsabilità civile quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale, di natura extracontrattuale nel diritto nazionale, devono tuttavia essere considerate come
rientranti nella “materia contrattuale” ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. a) del Regolamento n. 44/2001 se il comportamento contestato può essere considerato un inadempimento alle obbligazioni contrattuali , quali possono
essere determinate tenuto conto dell’oggetto del contratto.
Sentenza 38/13 del 13 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE – Accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausola 4 – Nozione di “condizioni di impiego” – Termine
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di preavviso di risoluzione di un contratto di lavoro a tempo determinato – Differenza di trattamento rispetto ai lavoratori a
tempo indeterminato]
Una cittadina polacca che per vari anni aveva prestato servizio in un istituto ospedaliero con un contratto di
lavoro a tempo indeterminato, dal 2010 continuava a lavorare per lo stesso istituto, ma con un contratto a tempo
determinato, che entrambe le parti potevano denunciare, senza dover giustificare la decisione, con un preavviso
di due settimane. La denuncia era presentata dall’amministrazione ospedaliera nell’aprile 2012. La ex dipendente
contestava la prassi, sostenendo che la modifica del contratto di lavoro iniziale dopo vari anni di servizio a
tempo indeterminato e la possibilità di risoluzione unilaterale senza obbligo di giustificazione costituivano un
comportamento illegittimo e abusivo da parte dell’amministrazione e adiva il giudice chiedendo l’annullamento
del provvedimento. Il giudice chiedeva alla Corte di interpretare le norme UE in materia di lavoro, al fine di avere
un chiaro orientamento sulla posizione assunta dalle parti nel procedimento principale. La Corte ha risposto che
la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura in allegato alla Direttiva
1999/70/CE deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in questione
nel procedimento principale, la quale prevede, ai fini della risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a sei mesi, la possibilità di applicare un termine di preavviso fisso di due settimane a prescindere dall’anzianità del lavoratore interessato, mentre la durata del preavviso di risoluzione nel
caso dei contratti a tempo indeterminato è fissata in funzione dell’anzianità del lavoratore interessato e può
variare da due settimane a tre mesi, quando tali due categorie di lavoratori si trovano in situazioni comparabili.
Sentenza 52/13 del 13 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2006/114/CE –Nozioni di “pubblicità
ingannevole” e di “pubblicità comparativa” – Normativa nazionale che prevede la pubblicità ingannevole e la pubblicità illegittimamente comparativa come due illeciti distinti]
Un’impresa italiana era multata per pubblicità ingannevole ai sensi del d. legisl. n. 145/2007. Il T.A.R. Lazio respingeva il ricorso proposto contro la sanzione osservando che l’iter seguito era conforme alla Direttiva 2006/114,
ma la sentenza era impugnata argomentando che la normativa comunitaria non distingue – come invece fa chiaramente la legge italiana – la pubblicità ingannevole dalla pubblicità illegittimamente comparativa. Nella fattispecie la distinzione avrebbe importanza fondamentale. Il Consiglio di Stato ha sottoposto il problema alla Corte
che ha dichiarato: la Direttiva 2006/114/CE deve essere interpretata nel senso che, per quanto riguarda la tutela
dei professionisti, essa si riferisce alla pubblicità ingannevole e alla pubblicità illegittimamente comparativa come
a due infrazioni autonome e che, al fine di vietare e di sanzionare una pubblicità ingannevole, non è necessario che
quest’ultima costituisca al contempo una pubblicità illegittimamente comparativa.
Sentenza 132/13 del 13 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Direttiva
2006/95/CE – Nozione di “materiale elettrico” – Marcatura CE di conformità – Custodie per connettori elettrici multipolari]
Sentenza 155/13 del 13 marzo 2014 – [Agricoltura – Regolamento (CE) n. 341/2007 – Art. 6, par. 4 – Contingenti tariffari – Aglio di origine cinese – Titoli di importazione – Intrasferibilità dei diritti derivanti da taluni titoli di importazione – Elusione – Abuso di diritto]
Sentenza 628/11 del18 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Art. 18 TFUE – Divieto di qualsiasi discriminazione
fondata sulla nazionalità – Voli commerciali da uno stato terzo con destinazione in uno Stato membro – Normativa di uno
Stato membro che prevede che i vettori aerei dell’Unione che non dispongano di una licenza di esercizio rilasciata da tale Stato
debbano ottenere un’autorizzazione per ciascun volo proveniente da uno stato terzo]
Sentenza 167/12 del 18 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 92/85/CEE – Misure
rivolte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di
allattamento – Art. 8 – Madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata – Rifiuto
di riconoscere un congedo di maternità – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e
lavoratori di sesso femminile – Art. 14 – Trattamento meno favorevole della madre committente riguardo alla concessione del
congedo di maternità]
In Gran Bretagna una dipendente di una clinica privata chiedeva un congedo di maternità esibendo un contratto di maternità surrogata. Il congedo le era rifiutato, in quanto il contratto di lavoro della clinica non prevedeva
alcun congedo per maternità surrogata e il capo del personale aveva dichiarato che eventuali casi di maternità
surrogata sarebbero stati esaminati e risolti in via derogatoria. Non era nemmeno possibile concedere un congedo,
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come previsto dalla legge nazionale, per il caso di adozione, non trattandosi nella fattispecie di adozione, bensì di
nascita di un figlio. L’interessata impugnava il diniego facendo appello al principio comunitario di non discriminazione tra i sessi, palesemente posto in “non cale” nella fattispecie. Il giudice consultava la Corte, che così decideva:
la Direttiva 92/8/CEE deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un
diritto al congedo di maternità ai sensi dell’art. 8 di tale Direttiva a una lavoratrice che, in qualità di madre
committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, nemmeno quando, dopo
la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. Il combinato disposto
dell’art. 14 con l’art. 2, parr. 1, lett. a) e b) e 2, lett. c) della Direttiva 2006/54/CE deve essere interpretato nel senso
che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo
di maternità ad una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata.
Sentenza 363/12 del 18 marzo 2014 – [Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Parità
di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Madre committente che abbia avuto un figlio
mediante un contratto di maternità surrogata – Rifiuto di riconoscere un congedo retribuito equivalente ad un congedo di
maternità o a un congedo di adozione – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – Direttiva
2000/78/CE –Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di qualsiasi discriminazione
fondata su un handicap – Madre committente che non può sostenere una gravidanza – Sussistenza di un handicap – Validità
delle Direttive 2006/54 e 2000/78]
Due coniugi irlandesi che per gravi difetti fisici non potevano avere figli, ricorrevano alla fecondazione artificiale, grazie all’offerta di collaborazione giunta da una famiglia americana. Dopo la nascita di una figlia, avvenuta
in California, i committenti rientravano in Irlanda, ove nessuna legge è stata finora adottata per disciplinare la
maternità su committenza. La madre per surrogazione è insegnante in una pubblica scuola irlandese e la sua domanda di congedo di maternità ha posto in difficoltà le autorità scolastiche, che hanno cercato di risolvere il quesito
interpretando in diversi modi le leggi vigenti, ma senza trovare una soluzione soddisfacente. Vista l’impossibilità di
giungere a un compromesso, l’interessata adiva il giudice, che si rivolgeva alla Corte, chiedendo se non fosse possibile vagliare la situazione sotto il profilo dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Corte ha dichiarato che la
Direttiva 2006/54/CE deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul
sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente ad un congedo di maternità ad
una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre
committente. La situazione di una simile madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di adozione non rientra nella sfera d’applicazione di tale direttiva. La Direttiva 2000/78/CE deve essere interpretata nel
senso che non costituisce una discriminazione fondata sull’handicap il fatto di negare un congedo retribuito
equivalente ad un congedo di maternità o a un congedo di adozione ad una lavoratrice che sia incapace di
sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità surrogata. La validità di tale Direttiva non
può essere esaminata in riferimento alla Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, ma
la stessa Direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione.
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Novità legislative
a cura di Simona Droghetti
Aggiornamento alla G.U. n. 64 del 18 marzo 2014
D. P. C. M. 3 dicembre 2013 – Regole tecniche in materia di sistema di conservazione ai sensi degli artt. 20,
commi 3 e 5-bis, 23-ter, comma 4, 43, commi 1 e 3, 44, 44-bis e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione
digitale di cui al d. legisl. n. 82 del 2005 (Suppl. ord. n. 20 alla G.U. n. 59 del 12 marzo 2014).
D. L. 23 dicembre 2013, n. 145, coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, recante:
«Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del
gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015». (G.U. 21 febbraio 2014, n. 43). Il presente decreto ha subito varie
integrazioni e modifiche in sede di conversione. Si segnalano di seguito per la loro rilevanza gli artt. 6, 8, 11, 12, 13bis e 14, evidenziando le modifiche apportate dalla legge di conversione al testo originario del decreto:
Art. 6. Misure per favorire la digitalizzazione e la connettività
delle piccole e medie imprese, ed in materia di frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre, comunicazioni ed agenda digitale. 1.
Al fine di favorire la digitalizzazione dei processi aziendali e
l’ammodernamento tecnologico delle micro, piccole e medie
imprese, nell’àmbito di apposito Programma Operativo Nazionale della prossima programmazione 2014-2020 dei fondi
strutturali comunitari, previa verifica della coerenza con le linee di intervento in essa previste ed a seguito dell’approvazione della Commissione europea, ovvero nell’àmbito della collegata
pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal Fondo per lo
sviluppo e la coesione e dal Fondo di rotazione di cui all’articolo 5
della legge 16 aprile 1987, n. 183, sono adottati interventi per
il finanziamento a fondo perduto, tramite Voucher di importo
non superiore a 10.000 euro, conformemente al regolamento
(CE) n. 1998/2006 della Commissione del 15 dicembre 2006
relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato sul
funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di importanza
minore («de minimis»), concessi ad imprese per l’acquisto di
software, hardware o servizi che consentano il miglioramento
dell’efficienza aziendale, la modernizzazione dell’organizzazione
del lavoro, tale da favorire l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme
di flessibilità, tra cui il telelavoro, lo sviluppo di soluzioni di ecommerce, la connettività a banda larga e ultralarga. I suddetti
voucher sono concessi anche per permettere il collegamento alla
rete internet mediante la tecnologia satellitare, attraverso l’acquisto
e l’attivazione di decoder e parabole, nelle aree dove le condizioni geomorfologiche non consentano l’accesso a soluzioni adeguate attraverso le reti terrestri o laddove gli interventi infrastrutturali risultino
scarsamente sostenibili economicamente o non realizzabili. I voucher
potranno altresì finanziare la formazione qualificata, nel campo
ICT, del personale delle suddette piccole e medie imprese.
2. Previa verifica della coerenza con le linee di intervento
previste nella proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari,
fruibili a seguito dell’approvazione da parte della Commissione europea del Programma Operativo Nazionale relativo alla
Competitività di responsabilità del Ministero dello sviluppo
economico, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la coesione territoriale e il
Ministro per gli affari regionali e le autonomie e con il Ministro
dello sviluppo economico, è stabilito l’ammontare dell’intervento nella misura massima complessiva di 100 milioni di euro
a valere sulla medesima proposta nazionale o sulla collegata pianificazione definita per l’attuazione degli interventi a finanziamento
nazionale di cui al comma 1. La somma così individuata dal CIPE
è ripartita tra le Regioni in misura proporzionale al numero delle imprese registrate presso le Camere di commercio operanti
nelle singole Regioni.
3. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti lo schema standard di bando e le modalità di erogazione
dei contributi di cui al presente articolo.
4. All’articolo 1 dell’allegato n. 10 al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003,
n. 259, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera a), numero 1), dopo le parole:
«111.000,00 euro» sono aggiunte le seguenti: «ad eccezione delle imprese con un numero di utenti pari o inferiore a
50.000»;
b) al comma 1, lettera a), dopo il numero 1) è inserito il
seguente: «1-bis) per le imprese con un numero di utenti pari o
inferiore a 50.000, 300 euro ogni mille utenti»;
c) al comma 1, lettera b), numero 1), dopo le parole:
«66.500,00 euro» sono aggiunte le seguenti: «ad eccezione delle imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000»;
d) al comma 1, lettera b), dopo il numero 1) è inserito il
seguente: «1-bis) per le imprese con un numero di utenti pari o
inferiore a 50.000, 100 euro ogni 1.000 utenti».
4-bis. Al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, le disposizioni di cui al decreto del Ministro
dello sviluppo economico 1° ottobre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 17 ottobre 2013, si applicano anche allo scavo per l’installazione dei ricoveri delle infrastrutture digitali necessarie per il collegamento degli edifici alle reti di telecomunicazioni. Nel
caso di installazione dei ricoveri delle infrastrutture contemporanea
alla effettuazione dello scavo, l’ente operatore presenta un’istanza
unica per lo scavo e per l’installazione dei ricoveri delle infrastrutture
ai sensi dell’articolo 88 del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni.
4-ter. Al fine di favorire la diffusione della banda larga e ultralarga nel territorio nazionale anche attraverso l’utilizzo di tecniche in-
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Novità legislative
novative di scavo che non richiedono il ripristino del manto stradale,
con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, sono definite ulteriori misure relative alla posa in
opera delle infrastrutture a banda larga e ultralarga, anche modificative delle specifiche tecniche adottate con decreto del Ministro dello
sviluppo economico 1° ottobre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 17 ottobre 2013.
5. All’articolo 15, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990,
n. 241, le parole: «1° gennaio 2013», sono sostituite dalle seguenti: «30 giugno 2014».
5-bis. Al fine di elaborare soluzioni innovative volte a colmare
il divario digitale in relazione alla banda larga e ultralarga e di conseguire una mappatura della rete di accesso ad internet, l’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, costituisce, tramite periodico aggiornamento richiesto agli operatori autorizzati, una banca di
dati di tutte le reti di accesso ad internet di proprietà sia pubblica
sia privata esistenti nel territorio nazionale, dettagliando le relative
tecnologie nonché il grado di utilizzo delle stesse. I dati così ricavati
devono essere resi disponibili in formato di dati di tipo aperto, ai sensi
del comma 3 dell’articolo 68 del decreto legislativo 7 marzo 2005,
m. 82, e successive modificazioni. All’attuazione del presente comma
si provvede nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali
disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
6. All’articolo 6 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.
221, il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano a fare data
dal 30 giugno 2014 per i contratti stipulati in forma pubblica
amministrativa e a far data dal 1° gennaio 2015 per i contratti
stipulati mediante scrittura privata.».
7. Sono validi gli accordi di cui all’articolo 15, comma 2-bis,
della legge 7 agosto 1990, n. 241, e i contratti di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012,
n. 221, non stipulati in modalità elettronica a far data dal 1º
gennaio 2013 e fino alle date in cui la stipula in modalità elettronica diventa obbligatoria ai sensi, rispettivamente, dei citati
articoli 15, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
di cui all’articolo 5-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502, e successive modificazioni, nonché 6, comma 4, del citato
decreto-legge n. 179 del 2012.
8. Entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avvia
le procedure per escludere dalla pianificazione delle frequenze per il
servizio televisivo digitale terrestre le frequenze riconosciute a livello
internazionale e utilizzate dai Paesi confinanti, pianificate e assegnate ad operatori di rete televisivi in Italia e oggetto di accertate
situazioni interferenziali alla data di entrata in vigore del presente
decreto, nonché le frequenze oggetto di EU Pilot esistenti alla medesima data. La liberazione delle frequenze di cui al primo periodo deve
avere luogo non oltre il 31 dicembre 2014. Alla scadenza del predetto termine, in caso di mancata liberazione delle suddette frequenze,
l’Amministrazione competente procede senza ulteriore preavviso alla
disattivazione coattiva degli impianti avvalendosi degli organi della
polizia postale e delle comunicazioni ai sensi dell’articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1°
agosto 2003, n. 259.
9. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro trenta
giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definiti i criteri e le modalità per l’attribuzione, entro il 31 dicembre 2014,
in favore degli operatori abilitati alla diffusione di servizi di media
audiovisivi, di misure economiche di natura compensativa, a valere
sulla quota non impiegata per l’erogazione dei contributi per i ricevitori per la televisione digitale nella misura massima di 20 milioni
di euro, trasferiti alla società Poste Italiane Spa in via anticipata, di
cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 30 dicembre 2003,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 2004, finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze di cui al comma 8. Successivamente alla data
del 31 dicembre 2014 le risorse di cui al primo periodo che residuino
successivamente all’erogazione delle misure economiche di natura
compensativa di cui al medesimo periodo possono essere utilizzate,
per le stesse finalità, per l’erogazione di indennizzi eventualmente
dovuti a soggetti non più utilmente collocati nelle graduatorie di cui
all’articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito,
con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, e successive
modificazioni, a seguito della pianificazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui al comma 8 del presente articolo.
9-bis. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisce le
modalità e le condizioni economiche secondo cui i soggetti assegnatari
dei diritti d’uso in àmbito locale hanno l’obbligo di cedere una quota
della capacità trasmissiva ad essi assegnata, comunque non inferiore a un programma, a favore dei soggetti legittimamente operanti in
àmbito locale alla data di entrata in vigore del presente decreto, che
procedano al volontario rilascio delle frequenze utilizzate di cui al comma 8 o a cui, sulla base della nuova pianificazione della stessa Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni e della posizione non più utile nelle
graduatorie di cui all’articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n.
34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75,
e successive modificazioni, sia revocato il diritto d’uso.
10. Nell’àmbito di apposito Programma Operativo Nazionale della prossima programmazione 2014-2020 dei fondi
strutturali comunitari, previa verifica della coerenza con le linee di intervento in essa previste ed a seguito dell’approvazione della Commissione europea, ovvero nell’àmbito della collegata
pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal Fondo per lo
sviluppo e la coesione e dal Fondo di rotazione di cui all’articolo 5
della legge 16 aprile 1987, n. 183, sono adottati interventi per
il riconoscimento di un credito di imposta per le spese documentate e sostenute da piccole e medie imprese di cui alla
Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6
maggio 2003, ovvero da consorzi da reti di piccole e medie
imprese, e relative ad interventi di rete fissa e mobile che consentano l’attivazione dei servizi di connettività digitale con capacità uguale o superiore a 30 Mbps. Il credito di imposta è
riconosciuto a decorrere dalla data individuata con il decreto
di cui al comma 11 e fino al 2016, nella percentuale del 65%
degli importi rimasti a carico del contribuente, fino a un valore
massimo di 20.000 euro e nella misura massima complessiva
di 50 milioni di euro a valere sulla proposta nazionale relativa
alla programmazione 2014-2020 o sulla predetta pianificazione
degli interventi a finanziamento nazionale.
11. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il
Ministro per la coesione territoriale e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sono definite, conformemente al
regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione del 15
dicembre 2006 relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88
del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di
importanza minore («de minimis»), le modalità per usufruire del
credito d’imposta di cui al comma 10, inclusa la certificazione
del prestatore del servizio di connessione digitale e le modalità
di comunicazione delle spese effettuate, ai fini delle verifica di
capienza dei fondi annualmente disponibili, il regime dei controlli sulle spese nonché ogni altra disposizione necessaria per
il monitoraggio dell’agevolazione ed il rispetto del limite massimo di risorse stanziate.
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12. Il credito di imposta di cui al comma 10 non è cumulabile con l’agevolazione prevista dal comma 1.
13. Il credito d’imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del
quale il beneficio è maturato. Esso non concorre alla formazione del reddito, né della base imponibile dell’imposta regionale
sulle attività produttive, non rileva ai fini del rapporto di cui
agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte
sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo
17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive
modificazioni.
14. Le risorse individuate ai sensi del comma 11, sono
versate all’entrata del bilancio dello Stato e successivamente riassegnate, per le finalità di spesa di cui ai commi da 10 a
13, ad apposito programma dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. A tal fine, il Ministero
dello sviluppo economico comunica al Fondo di rotazione di
cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, e al Fondo
per lo sviluppo e la coesione, in relazione alle previste necessità per
fronteggiare le correlate compensazioni, gli importi comunitari e
nazionali riconosciuti a titolo di credito di imposta da versare
all’entrata del bilancio dello Stato.
14-bis. All’articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, e successive modificazioni, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Per le finalità di cui al comma 1, l’Agenzia per l’Italia digitale e le amministrazioni interessate possono stipulare, nel rispetto
della legislazione vigente in materia di contratti pubblici e mediante
procedure di evidenza pubblica, convenzioni con società concessionarie di servizi pubblici essenziali su tutto il territorio nazionale dotate
di piattaforme tecnologiche integrate erogatrici di servizi su scala
nazionale e di computer emergency response team. Le amministrazioni interessate provvedono all’adempimento di quanto previsto
dal presente comma con le risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente».
(omissis)
Art. 8. Disposizioni in materia di assicurazione r.c. auto. soppresso).
(omissis)
Art. 11. Misure per favorire la risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione. 1. All’articolo 9 della legge 27 febbraio 1985,
n. 49, dopo le parole: «Ai finanziamenti del Foncooper» sono inserite
le seguenti: «e a quelli erogati dalle società finanziarie ai sensi dell’articolo 17, comma 5».
2. Nel caso di affitto o di vendita di aziende, rami d’azienda
o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria
o liquidazione coatta amministrativa, hanno diritto di prelazione
per l’affitto o per l’acquisto le società cooperative costituite da
lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura.
3. L’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita alle
società cooperative di cui al comma 2, costituisce titolo ai fini
dell’applicazione dell’articolo 7, comma 5, della legge 23 luglio
1991, n. 223, nonché dell’articolo 2, comma 19, della legge 28
giugno 2012, n. 92, ai soci lavoratori delle medesime, ferma
l’applicazione delle vigenti norme in materia di integrazione del
trattamento salariale in favore dei lavoratori che non passano
alle dipendenze della società cooperativa.
3-bis. Il quarto comma dell’articolo 2526 del codice civile si interpreta nel senso che, nelle cooperative cui si applicano le norme sul-
le società a responsabilità limitata, il limite all’emissione di strumenti
finanziari si riferisce esclusivamente ai titoli di debito.
3-ter. All’articolo 4, comma 4-septies, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18
febbraio 2004, n. 39, dopo le parole: «per un massimo di 12 mesi»
sono aggiunte le seguenti: «, o per un massimo di 24 mesi nel caso
in cui, essendo stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, tale cessione non sia ancora realizzata, in tutto o in
parte, e risulti, sulla base di una specifica relazione del commissario
straordinario, l’utile prosecuzione dell’esercizio d’impresa.
3-quater. La disposizione di cui all’articolo 111, secondo comma,
del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni,
si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione
della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell’articolo
161, sesto comma, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942,
e successive modificazioni, sono prededucibili alla condizione che la
proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato
dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 163 del
medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione
di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del
citato articolo 161, sesto comma.
3-quinquies. All’articolo 9 del decreto-legge 10 dicembre 2013,
136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 n. febbraio 2014,
6, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
«2-bis. L’articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n.
270, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al
comma 2 e le valutazioni discrezionali di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile
ai fini della legittimità della vendita».
Art. 12. Misure per favorire il credito alla piccola e media impresa. 1. Alla legge 30 aprile 1999, n. 130, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) all’articolo 1, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. La presente legge si applica altresì alle operazioni di
cartolarizzazione realizzate mediante la sottoscrizione o l’acquisto
di obbligazioni e titoli similari ovvero cambiali finanziarie, esclusi
comunque titoli rappresentativi del capitale sociale, titoli ibridi e convertibili, da parte della società emittente i titoli. Nel caso di operazioni
realizzate mediante sottoscrizione o acquisto di titoli, i richiami ai
debitori ceduti si intendono riferiti alla società emittente i titoli»;
b) all’articolo 2, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. Nel caso in cui i titoli oggetto delle operazioni di cartolarizzazione siano destinati ad investitori qualificati ai sensi
dell’articolo 100 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58, i titoli possono essere sottoscritti anche da un unico investitore.».
c) all’articolo 3, dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. Le società di cui al comma 1 possono aprire conti
correnti segregati presso la banca depositaria ovvero presso i soggetti
di cui all’articolo 2, comma 3, lettera c), dove vengano accreditate le somme corrisposte dai debitori ceduti nonché ogni
altra somma pagata o comunque di spettanza della società ai
sensi delle operazioni accessorie condotte nell’àmbito di ciascuna operazione di cartolarizzazione o comunque ai sensi dei
contratti dell’operazione. Le somme accreditate su tali conti
segregati costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da
quello del depositario e da quello degli altri depositanti. Su tali
somme non sono ammesse azioni da parte di soggetti diversi
da quelli di cui al comma 2 e tali somme possono essere utilizzate esclusivamente per il soddisfacimento di crediti vantati
dai soggetti di cui al comma 2 e dalle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti, nonché per il pagamento degli altri costi
dell’operazione. In caso di avvio nei confronti del depositario
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di procedimenti di cui al titolo IV del testo unico bancario, nonché di procedure concorsuali o di accordi di ristrutturazione,
le somme accreditate su tali conti non sono considerate come
rientranti nel patrimonio del soggetto e non sono soggette a
sospensione dei pagamenti e vengono integralmente restituite alla
società per conto della quale è avvenuto l’incasso, secondo i termini
contrattuali e comunque senza la necessità di attendere i riparti e le
altre restituzioni.
2-ter. I soggetti che svolgono, anche su delega dei soggetti di
cui all’articolo 2, comma 6, i servizi indicati nell’articolo 2, comma 3, lettera c), nell’àmbito di operazioni di cartolarizzazione
dei crediti, possono aprire presso banche conti correnti segregati dove vengano accreditate le somme incassate per conto
della società cessionaria o della società emittente dai debitori
ceduti. Sulle somme accreditate sui conti segregati, non sono
ammesse azioni da parte dei creditori dei soggetti che svolgono
i servizi indicati nell’articolo 2, comma 3, lettera c), se non per
l’eccedenza delle somme incassate e dovute alla società cessionaria o emittente. In caso di avvio di procedimenti concorsuali
o di accordi di ristrutturazione, le somme accreditate sui conti
segregati, per un importo pari alle somme incassate e dovute
alla società cessionaria o emittente, non vengono considerate
come rientranti nel patrimonio del soggetto che svolge i servizi
indicati nell’articolo 2, comma 3, lettera c), e vengono integralmente restituite alla società per conto della quale è avvenuto l’incasso, secondo i termini contrattuali e comunque senza la necessità di
attendere i riparti e le altre restituzioni.»;
d) all’articolo 4 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:
«1. Alle cessioni dei crediti poste in essere ai sensi della presente legge si applicano le disposizioni contenute nell’articolo
58, commi 2, 3 e 4, del testo unico bancario. Alle cessioni, anche non in blocco, aventi ad oggetto crediti di cui all’articolo 1
della legge 21 febbraio 1991, n. 52, per gli effetti di cui al comma
2 del presente articolo, è sufficiente che la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta cessione contenga l’indicazione del cedente, del cessionario e della data di cessione. Alle medesime cessioni
può altresì applicarsi, su espressa volontà delle parti, il disposto dell’articolo 5, commi 1, 1-bis e 2, della legge 21 febbraio
1991, n. 52.
2. Dalla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta
cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione,
sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di
cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), e, in deroga ad ogni altra
disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la
compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data. Dalla stessa data la cessione dei crediti
è opponibile:
a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto
non sia stato reso efficace verso i terzi in data anteriore;
b) ai creditori del cedente che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione della cessione.»;
2-bis. In caso di cessione di crediti derivanti da aperture di credito, anche regolate in conto corrente, l’espletamento delle formalità
di opponibilità previste dal presente articolo produce gli effetti ivi indicati anche con riferimento a tutti i crediti futuri nascenti da tali
contratti, a condizione che i contratti siano stipulati prima della data
di espletamento di tali formalità»;
2) al comma 3, le parole: «non si applica» sono sostituite
dalle seguenti: «non si applicano l’articolo 65 e»;
3) dopo il comma 4 sono aggiunti i seguenti:
«4-bis. Alle cessioni effettuate nell’àmbito di operazioni di
cartolarizzazione non si applicano gli articoli 69 e 70 del regio
decreto 18 novembre 1923, n. 2440, nonché le altre disposizioni che richiedano formalità diverse o ulteriori rispetto a
quelle di cui alla presente legge. Dell’affidamento o trasferimento delle funzioni di cui all’articolo 2, comma 3, lettera c),
a soggetti diversi dal cedente è dato avviso mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale nonché comunicazione mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento alle pubbliche
amministrazioni debitrici.»;
4-ter. In caso di cessione di crediti derivanti da aperture di credito,
anche regolate in conto corrente, il diritto di rendere esigibile il credito
ceduto è esercitato dalla società cessionaria in conformità alle previsioni del relativo contratto o, in mancanza, con un preavviso non
inferiore a quindici giorni»;
e) all’articolo 5, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
«2-bis. I titoli emessi nell’àmbito di operazioni di cartolarizzazione di cui all’articolo 1, comma 1-bis, anche non destinati
ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi
multilaterali di negoziazione e anche privi di valutazione del
merito di credito da parte di operatori terzi, costituiscono attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese
di assicurazione ai sensi dell’articolo 38 del decreto legislativo
7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni. Entro
30 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, l’IVASS adotta un regolamento che disciplini le misure di dettaglio per la copertura delle riserve tecniche tramite gli attivi
sopra menzionati. L’investimento nei titoli di cui al presente
comma è altresì compatibile con le vigenti disposizioni in materia di limiti di investimento di fondi pensione.»;
f) all’articolo 7, dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. Nel caso di operazioni realizzate mediante cessione a
un fondo comune di investimento, i servizi indicati nell’articolo 2, comma 3, lettera c), possono essere svolti, in alternativa ai
soggetti di cui all’articolo 2, comma 6, dalla società di gestione
del risparmio che gestisce il fondo. Alle cessioni dei crediti effettuate in favore del fondo si applicano gli articoli 4 e 6, comma 2, della presente legge, nonché le restanti disposizioni della
presente legge, in quanto compatibili.
2-ter. Le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 2-bis, si
applicano, in quanto compatibili, alle imprese ed ai soggetti ivi
menzionati ai fini dell’investimento nelle quote dei fondi di cui
all’articolo 7, comma 2-bis.»;
g) al comma 1 dell’articolo 7-bis, dopo le parole: «all’articolo
3, commi 2,» sono inserite le seguenti: «2-bis, 2-ter e»;
h) dopo l’articolo 7-ter è inserito il seguente:
«Art. 7-quater. - (Cessione di ulteriori crediti e titoli) - 1. Gli
articoli 7-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7, e 7-ter, comma 1, e le disposizioni ivi richiamate si applicano anche alle operazioni, ivi
disciplinate, aventi ad oggetto obbligazioni e titoli similari ovvero cambiali finanziarie, crediti garantiti da ipoteca navale, crediti
nei confronti di piccole e medie imprese, crediti derivanti da
contratti di leasing o di factoring, nonché di titoli emessi nell’àmbito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti
della medesima natura. Tali crediti e titoli possono essere ceduti
anche da società facenti parte di un gruppo bancario.
2. Il regolamento di cui al comma 5 dell’articolo 7-bis adotta
anche disposizioni di attuazione del presente articolo con riferimento ai medesimi profili ivi menzionati. Il medesimo regolamento individua le categorie di crediti o titoli di cui al comma
1, cui si applicano le disposizioni di cui al presente articolo, e
regola l’emissione di titoli di cui al presente articolo differenziandoli
dai titoli emessi ai sensi dell’articolo 7-bis.
2. All’articolo 32 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.
134, dopo il comma 26 è aggiunto il seguente:
«26-bis. Le obbligazioni, le cambiali finanziarie e i titoli similari
di cui al presente articolo, le quote di fondi di investimento che
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Studium Iuris, 5/2014
investono prevalentemente negli anzidetti strumenti finanziari,
nonché i titoli rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione
aventi ad oggetto gli anzidetti strumenti finanziari costituiscono,
anche se non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche se
privi di valutazione del merito di credito da parte di operatori
terzi, attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo
7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni. Entro 30
giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, l’IVASS
adotta un regolamento che disciplini le misure di dettaglio per la
copertura delle riserve tecniche tramite gli attivi sopra menzionati. L’investimento nei titoli e nelle quote di fondi di cui al presente
comma è altresì compatibile con le vigenti disposizioni in materia di limiti di investimento di fondi pensione.».
3. All’articolo 5 della legge 21 febbraio 1991, n. 52, dopo il
comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Ai fini dell’ottenimento della data certa del pagamento è sufficiente l’annotazione del contante sul conto di pertinenza del cedente, in conformità al disposto dell’articolo 2, comma
1, lettera b), del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170.».
4. Al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 601, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 15, primo comma, dopo le parole: «dalla legge
24 novembre 2003, n. 326,» sono inserite le seguenti: «per le
quali è stata esercitata l’opzione di cui all’articolo 17,»;
b) all’articolo 17, primo comma, le parole: «sono tenuti a»
sono sostituite dalle seguenti: «, a seguito di specifica opzione,
possono» e dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «L’opzione è esercitata per iscritto nell’atto di finanziamento.»;
c) dopo l’articolo 20 è inserito il seguente:
«Art. 20-bis. - (Operazioni di finanziamento strutturate) 1. Gli articoli da 15 a 20 si applicano anche alle garanzie di
qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate
in relazione alle operazioni di finanziamento strutturate come
emissioni di obbligazioni o titoli similari alle obbligazioni di cui
all’articolo 44, comma 2, lettera c), del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da chiunque sottoscritte, alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni,
frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le
cessioni di credito stipulate in relazione alle stesse, nonché ai
trasferimenti di garanzie anche conseguenti alla cessione delle
predette obbligazioni, nonché alla modificazione o estinzione
di tali operazioni.
2. L’opzione di cui all’articolo 17, primo comma, è esercitata nella deliberazione di emissione o in analogo provvedimento
autorizzativo.
3. L’imposta sostitutiva è dovuta dagli intermediari finanziari incaricati, ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998,
n. 58, delle attività di promozione e collocamento delle operazioni di cui al comma 1, ovvero, nel caso in cui tali intermediari
non intervengano, dalle società che emettono le obbligazioni o
titoli similari con riferimento ai quali è stata esercitata l’opzione.
Il soggetto finanziato risponde in solido con i predetti intermediari per il pagamento dell’imposta.
4. Gli intermediari finanziari e le società emittenti tenute
al pagamento dell’imposta sostitutiva dichiarano, secondo le
modalità previste dall’articolo 20 del presente decreto e dall’articolo 8, comma 4, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165,
l’ammontare delle obbligazioni collocate.
5. Alle operazioni di cui al presente articolo non si applicano
le disposizioni di cui all’articolo 3, commi 3 e 3-bis, del decretolegge 13 maggio 1991, n. 151, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 1991, n. 202.».
5. Dopo l’articolo 32, comma 9 del decreto-legge 22 giugno
2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto
2012, n. 134, è inserito il seguente:
«9-bis. La ritenuta del 20 per cento di cui all’articolo 26,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, non si applica sugli interessi e gli altri
proventi delle obbligazioni e titoli similari, e delle cambiali finanziarie, corrisposti a organismi di investimento collettivo in
valori mobiliari le cui quote siano detenute esclusivamente da
investitori qualificati ai sensi dell’articolo 100 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e il cui patrimonio sia investito
prevalentemente in tali obbligazioni, titoli o cambiali finanziarie.».
6. All’articolo 46 del decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Il privilegio previsto dal presente articolo può essere
costituito anche per garantire obbligazioni e titoli similari emessi da società ai sensi degli articoli 2410 e seguenti o 2483 del
codice civile, la cui sottoscrizione e circolazione è riservata a
investitori qualificati ai sensi dell’articolo 100 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.»;
b) al comma 2 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo le parole: «banca creditrice» sono inserite le seguenti: «o, nel caso di obbligazioni o titoli di cui al comma 1-bis,
il sottoscrittore o i sottoscrittori di tali obbligazioni o un loro
rappresentante»;
2) dopo le parole: «e le condizioni del finanziamento» sono
inserite le seguenti: «o, nel caso di obbligazioni o titoli di cui al
comma 1-bis, gli elementi di cui ai numeri 1), 3), 4) e 6) dell’articolo 2414 del codice civile o di cui all’articolo 2483, comma
3, del codice civile».
6-bis. In aggiunta a quanto già previsto dalla legislazione vigente,
la garanzia del Fondo di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a),
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, può essere concessa in favore
delle società di gestione del risparmio che, in nome e per conto dei fondi comuni di investimento da esse gestiti, sottoscrivano obbligazioni o
titoli similari di cui all’articolo 32 del decreto-legge 22 giugno 2012,
n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.
134, e successive modificazioni, emessi da piccole e medie imprese.
Tale garanzia può essere concessa a fronte sia di singole operazioni di
sottoscrizione di obbligazioni e titoli similari sia di portafogli di operazioni. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti, nel rispetto
degli equilibri di finanza pubblica, i requisiti e le caratteristiche delle
operazioni ammissibili, le modalità di concessione della garanzia, i
criteri di selezione nonché l’ammontare massimo delle disponibilità
finanziarie del Fondo da destinare alla copertura del rischio derivante
dalla concessione della garanzia di cui al presente articolo.
7. All’onere derivante dal comma 4, pari a 4 milioni di euro annui a decorrere dall’esercizio 2014, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo di cui
all’articolo 2, comma 616, della legge 24 dicembre 2007, n.
244, relativo allo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico.
7-bis. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di
concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite, nel rispetto degli equilibri di
finanza pubblica, le modalità per la compensazione, nell’anno 2014,
delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti non
prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture,
appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della
pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste
dai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 22 maggio
2012 e 25 giugno 2012, pubblicati, 143 del 21 giugno 2012 e
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rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 2 luglio 2012,
qualora nella Gazzetta Ufficiale n. la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato. Con il decreto di cui al primo periodo
sono individuati gli aventi diritto, nonché le modalità di trasmissione
dei relativi elenchi all’agente della riscossione.
7-ter. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane
e dei monopoli, da adottare entro il 26 febbraio 2014, è modificata
la determinazione del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli n. 145744 del 23 dicembre 2013, al fine di eliminare, per
l’anno 2014, l’incremento dell’accisa sulla birra, decorrente dal 1°
marzo 2014. Alle minori entrate derivanti dall’attuazione del primo
periodo del presente comma, pari a 15 milioni di euro per l’anno
2014, si provvede, quanto a 7,5 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre
2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre
2004, n. 307, e, quanto a 7,5 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2014-2016, nell’àmbito
del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da
ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle
finanze per l’anno 2014, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti,
le occorrenti variazioni di bilancio.
(omissis)
Art. 13-bis. Disposizioni urgenti recanti modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. 1.
All’articolo 114 del codice della strada, di cui al decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, dopo il comma
2 è inserito il seguente:
«2-bis. Le prescrizioni di cui al comma 2 non si applicano ai
carrelli di cui all’articolo 58, comma 2, lettera c), qualora circolino
su strada per brevi e saltuari spostamenti a vuoto o a carico. Con
decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da emanare
entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le relative prescrizioni tecniche per l’immissione
in circolazione».
2. All’articolo 85, comma 2, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni,
dopo la lettera b) è inserita la seguente:
«b-bis) i velocipedi».
Art. 14. Misure per il contrasto del lavoro sommerso e irregolare.
1. Al fine di rafforzare l’attività di contrasto del fenomeno del lavoro
sommerso e irregolare e la tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro sono introdotte le seguenti disposizioni:
a) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è autorizzato ad
integrare la dotazione organica del personale ispettivo nella misura
di duecentocinquanta unità, di cui duecento nel profilo di ispettore
del lavoro di area III e cinquanta nel profilo di ispettore tecnico di
area III, e a procedere progressivamente alle conseguenti assunzioni.
Ferma restando la previsione di cui all’articolo 30, comma 2-bis, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, la disposizione di cui all’articolo 34-bis, comma 2, del medesimo
decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, trova applicazione con esclusivo riferimento al personale in possesso di
specifiche professionalità compatibili con quelle di ispettore del lavoro
o di ispettore tecnico. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali comunica annualmente al Dipartimento della funzione pubblica della
Presidenza del Consiglio dei ministri e al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze
il numero delle unità assunte e la relativa spesa. Ai maggiori oneri
derivanti dalla disposizione di cui alla presente lettera si provvede
mediante riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29
novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge
28 gennaio 2009, n. 2, nella misura di euro 5 milioni per l’anno
2014, 7 milioni per l’anno 2015 e 10,2 milioni annui a decorrere
dall’anno 2016;
b) l’importo delle sanzioni amministrative di cui all’articolo 3
del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, e successive modificazioni,
nonché delle somme aggiuntive di cui all’articolo 14, comma 4, lettera c), e comma 5, lettera b), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.
81, e successive modificazioni, è aumentato del 30 per cento. In relazione alla violazione prevista dal citato articolo 3 del decreto-legge
n. 12 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 73 del
2002, non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del
decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, e successive modificazioni. Restano soggette alla procedura di diffida le violazioni commesse
prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto;
c) gli importi delle sanzioni amministrative di cui ai commi 3 e
4 dell’articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e
successive modificazioni, con esclusione delle sanzioni previste per la
violazione dell’articolo 10, comma 1, del medesimo decreto legislativo, sono raddoppiati; le disposizioni di cui alla presente lettera si
applicano anche alle violazioni commesse a decorrere dalla data di
entrata in vigore del presente decreto;
d) i maggiori introiti derivanti dall’incremento delle sanzioni di
cui alle lettere b) e c) sono versati ad apposito capitolo dell’entrata
del bilancio dello Stato per essere riassegnati:
1) al Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008,
n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009,
n. 2;
2) ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, nel limite massimo di 10 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014, destinato a misure, da definire
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, finalizzate
ad una più efficiente utilizzazione del personale ispettivo sull’intero territorio nazionale, ad una maggiore efficacia, anche attraverso
interventi di carattere organizzativo, della vigilanza in materia di
lavoro e legislazione sociale, nonché alla realizzazione di iniziative di
contrasto del lavoro sommerso e irregolare.
d) ferme restando le competenze della Commissione centrale
di coordinamento dell’attività di vigilanza di cui all’articolo 3 del
decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, al fine di assicurare la
migliore e più razionale impiego del personale ispettivo degli Enti
Pubblici che gestiscono forme di assicurazioni obbligatorie, la programmazione delle verifiche ispettive, sia livello centrale che territoriale, da parte dei predetti Enti è sottoposta all’approvazione delle rispettive strutture centrali e territoriali del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali;
e) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è autorizzato
ad implementare la dotazione organica del personale ispettivo nella misura di duecentocinquanta unità di cui duecento nel profilo di
ispettore del lavoro di area III e cinquanta di ispettore tecnico di area
III da destinare nelle regioni del centro-nord ed a procedere in modo
progressivo alle conseguenti assunzioni nel rispetto dei limiti finanziari di cui al comma 2. Il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali
comunica annualmente al Dipartimento della Funzione Pubblica ed
al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato il numero delle unità assunte e la relativa spesa;
f) con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da adottarsi
entro 60 giorni dalla data di conversione del presente decreto, sono
individuate forme di implementazione e razionalizzazione nell’utilizzo del mezzo proprio in un’ottica di economicità complessiva fi-
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nalizzata all’ottimizzazione del servizio reso da parte del personale
ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio».
D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, recante:
«Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria». (G.U. 21 febbraio 2014, n. 43). Il presente decreto ha subito varie integrazioni e modifiche in
sede di conversione. Si segnalano di seguito per la loro rilevanza gli artt. 2, 3, 4 evidenziando in corsivo le modifiche
apportate dalla legge di conversione al testo originario del decreto:
Art. 2. Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina
degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Delitto di condotte illecite
in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità. 1. Al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 73, il comma 5 è sostituito dal seguente comma:
«5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per
i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la
qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con
le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da
euro 3.000 a euro 26.000.»;
b) all’articolo 94, il comma 5 è abrogato.
1-bis. All’articolo 380, comma 2, lettera h), del codice di procedura penale, le parole: «salvo che ricorra la circostanza prevista
dal comma 5 del medesimo articolo» sono sostituite dalle seguenti:
«salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo».
1-ter. All’articolo 19, comma 5, delle disposizioni sul processo
penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, sono aggiunte, in fine,
le seguenti parole: «, salvo che per i delitti di cui all’articolo 73, comma 5, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni».
Art. 3. Modifiche all’ordinamento penitenziario. 1. Alla legge
26 luglio 1975, n. 354 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 35 è così sostituito:
«Art. 35. (Diritto di reclamo). - I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta
chiusa:
1) al direttore dell’istituto, al provveditore regionale, al capo
del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al Ministro della giustizia;
2) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto;
3) al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti
dei detenuti;
4) al presidente della giunta regionale;
5) al magistrato di sorveglianza;
6) al Capo dello Stato»;
b) dopo l’articolo 35 è aggiunto il seguente:
«35-bis (Reclamo giurisdizionale). - 1. Il procedimento relativo al reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, si svolge ai
sensi degli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale.
Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma
dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, il
magistrato di sorveglianza fissa la data dell’udienza e ne fa dare
avviso anche all’amministrazione interessata, che ha diritto di
comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste.
2. Il reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a) è
proposto nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del
provvedimento.
3. In caso di accoglimento, il magistrato di sorveglianza, nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a), dispone
l’annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare. Nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6,
lettera b), accertate la sussistenza e l’attualità del pregiudizio,
ordina all’amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato dal giudice.
4. Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso
reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni
dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione stessa.
4-bis. La decisione del tribunale di sorveglianza è ricorribile per
cassazione per violazione di legge nel termine di quindici giorni dalla
notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione
stessa.
5. In caso di mancata esecuzione del provvedimento non
più soggetto ad impugnazione, l’interessato o il suo difensore
munito di procura speciale possono richiedere l’ottemperanza
al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento.
Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 del
codice di procedura penale.
6. Il magistrato di sorveglianza, se accoglie la richiesta:
a) ordina l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di
adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con
il soddisfacimento del diritto;
b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del
provvedimento rimasto ineseguito;
c) (soppressa).
d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta.
7. Il magistrato di sorveglianza conosce di tutte le questioni
relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti
agli atti del commissario.
8. Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione
di legge.»;
c) all’articolo 47, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente
comma:
«3-bis. L’affidamento in prova può, altresì, essere concesso
al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non
superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato,
quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una
misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da
consentire il giudizio di cui al comma 2.»;
d) all’articolo 47, il comma 4 è sostituito dal seguente comma:
«4. L’istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione. Quando sussiste un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza può essere proposta
al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di
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detenzione. Il magistrato di sorveglianza, quando sono offerte
concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti
per l’ammissione all’affidamento in prova e al grave pregiudizio
derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia
pericolo di fuga, dispone la liberazione del condannato e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova con ordinanza.
L’ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di
sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti,
che decide entro sessanta giorni.»;
e) all’articolo 47, comma 8, infine è aggiunto il seguente
periodo: «Le deroghe temporanee alle prescrizioni sono autorizzate, nei casi di urgenza, dal direttore dell’ufficio di esecuzione
penale esterna, che ne da’ immediata comunicazione al magistrato di
sorveglianza e ne riferisce nella relazione di cui al comma 10»;
f) all’articolo 47-ter, il comma 4-bis è abrogato;
g) l’articolo 51-bis è così sostituito:
«51-bis (Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della
libertà). - 1. Quando, durante l’attuazione dell’affidamento in
prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà,
sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il
pubblico ministero informa immediatamente il magistrato di
sorveglianza, formulando contestualmente le proprie richieste.
Il magistrato di sorveglianza, se rileva, tenuto conto del cumulo
delle pene, che permangono le condizioni di cui al comma 1
dell’articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell’articolo 47-ter o ai
commi 1 e 2 dell’articolo 47-quinquies o ai primi tre commi
dell’articolo 50, dispone con ordinanza la prosecuzione della
misura in corso; in caso contrario, ne dispone la cessazione.
2. Avverso il provvedimento di cui al comma 1 è ammesso
reclamo ai sensi dell’articolo 69-bis.»;
h) dopo l’articolo 58-quater è aggiunto il seguente articolo:
«58-quinquies (Particolari modalità di controllo nell’esecuzione della detenzione domiciliare). - 1. Nel disporre la detenzione domiciliare, il magistrato o il tribunale di sorveglianza
possono prescrivere procedure di controllo anche mediante
mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di
polizia abbiano l’effettiva disponibilità. Allo stesso modo può
provvedersi nel corso dell’esecuzione della misura. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo
275-bis del codice di procedura penale.».
i) all’articolo 69 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 5, le parole «nel corso del trattamento» sono
soppresse;
2) il comma 6 è sostituito dal seguente:
«6. Provvede a norma dell’articolo 35-bis sui reclami dei
detenuti e degli internati concernenti:
a) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell’organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa; nei casi di cui all’articolo 39, comma 1, numeri 4 e 5, è valutato anche il merito dei
provvedimenti adottati;
b) l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento,
dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave
pregiudizio all’esercizio dei diritti.».
1-bis. In attesa dell’espletamento dei concorsi pubblici finalizzati
alla copertura dei posti vacanti nell’organico del ruolo dei dirigenti
dell’esecuzione penale esterna, per un periodo di tre anni dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in
deroga a quanto previsto dagli articoli 3 e 4 del decreto legislativo 15
febbraio 2006, n. 63, le funzioni di dirigente dell’esecuzione penale
esterna possono essere svolte dai funzionari inseriti nel ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario.
2. L’efficacia della disposizione contenuta nel comma 1, lettera h), capoverso 1, è differita al giorno successivo a quello
della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana della legge di conversione del presente decreto.
Art. 4. Liberazione anticipata speciale. 1. Ad esclusione dei
condannati per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4-bis della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, per
un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la detrazione di pena concessa con la liberazione
anticipata prevista dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975,
n. 354 è pari a settantacinque giorni per ogni singolo semestre
di pena scontata.
2. Ai condannati che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, abbiano già usufruito della liberazione anticipata, è riconosciuta
per ogni singolo semestre la maggiore detrazione di trenta giorni, sempre che nel corso dell’esecuzione successivamente alla
concessione del beneficio abbiano continuato a dare prova di
partecipazione all’opera di rieducazione.
3. La detrazione prevista dal comma precedente si applica
anche ai semestri di pena in corso di espiazione alla data dell’1°
gennaio 2010.
4. (soppresso).
5. Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si
applicano ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi
trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure
alternative, né ai condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti
domiciliari ai sensi dell’articolo 656, comma 10, del codice di
procedura penale.
D. Legisl. 13 febbraio 2014, n. 11 Attuazione della Direttiva 2013/1/UE recante modifica della Direttiva
93/109/CE relativamente a talune modalità di esercizio del diritto di eleggibilità alle elezioni del Parlamento
europeo per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini (G.U. 24 febbraio 2014, n. 45). Si riporta di seguito il testo integrale del provvedimento:
Art. 1. Modifiche all’articolo 2 del decreto-legge 24 giugno
1994, n. 408. 1. In attuazione della direttiva 2013/1/UE del
Consiglio, del 20 dicembre 2012, all’articolo 2 del decretolegge 24 giugno 1994, n. 408, convertito, con modificazioni,
dalla legge 3 agosto 1994, n. 483, recante disposizioni urgenti
in materia di elezioni del Parlamento europeo, sono apportate
le seguenti modificazioni:
a) al comma 6, la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) della cittadinanza, della data e luogo di nascita, dell’ulti-
mo indirizzo nello Stato membro d’origine e dell’attuale indirizzo in Italia;»;
b) al comma 6, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente:
«c-bis) che non è decaduto dal diritto di eleggibilità nello Stato membro d’origine per effetto di una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, purché quest’ultima possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale.»;
c) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. L’ufficio elettorale circoscrizionale presso la Corte d’Ap-
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pello, dopo aver ammesso con riserva la candidatura del cittadino di altro Stato membro dell’Unione, trasmette immediatamente, con posta elettronica certificata, la dichiarazione di cui
al comma 6 al referente di cui al comma 9-ter che provvede ad
inviarla, utilizzando l’indirizzo di posta elettronica accreditato
presso la Commissione europea, al referente dello Stato membro d’origine del dichiarante ai fini della verifica del diritto di
eleggibilità a parlamentare europeo, secondo il proprio ordinamento interno. Il referente di cui al comma 9-ter può richiedere
che tali informazioni siano fornite, ove possibile, entro un termine più breve rispetto a quello di cinque giorni previsto dalla
direttiva 2013/1/UE del Consiglio, del 20 dicembre 2012.
Ricevute tali informazioni il referente le trasmette, tramite posta elettronica certificata, all’ufficio elettorale circoscrizionale
presso la Corte d’Appello, ai fini dell’eventuale ricusazione
della candidatura entro il ventiduesimo giorno antecedente la
votazione.»;
d) il comma 9 è sostituito dai seguenti:
«9. Le informazioni pervenute all’ufficio elettorale circoscrizionale presso la Corte d’appello dopo il ventiduesimo giorno
antecedente la votazione e in base alle quali è accertata la decadenza dal diritto di eleggibilità nello Stato membro d’origine
comportano, da parte dell’ufficio medesimo, ove l’interessato
abbia riportato un numero di voti tale da poter essere eletto, la
dichiarazione di mancata proclamazione. Qualora la condizione di cui al precedente periodo venga accertata successivamente alla data di proclamazione dell’interessato, la sua decadenza
dalla carica viene deliberata dall’ufficio elettorale nazionale.
9-bis. Le informazioni richieste dal referente di altro Stato
membro, sul possesso dell’eleggibilità in Italia a parlamentare
europeo dei cittadini italiani che intendono candidarsi in tale
Stato di residenza, sono trasmesse con posta elettronica certificata dal referente di cui al comma 9-ter al comune italiano in-
dicato nella dichiarazione di cui al comma 6, ovvero al comune
di iscrizione anagrafica, che corrisponde, con lo stesso mezzo,
entro le quarantotto ore successive alla ricezione. A tal fine, il
comune accerta il possesso dell’elettorato attivo e passivo sulla
base dei propri atti e di quelli acquisiti presso l’ufficio del casellario giudiziale. Le informazioni sul possesso dell’eleggibilità sono poi trasmesse dal referente, con posta elettronica, al
referente del suddetto Stato entro cinque giorni dalla richiesta
stessa, o in un termine più breve, se richiesto ed ove possibile.
9-ter. Con decreto del Ministro dell’interno è designato un
referente incaricato di ricevere e trasmettere tutte le informazioni necessarie per l’applicazione delle disposizioni di cui ai
commi 7 e 9-bis. Il nominativo del referente e le modifiche che
lo riguardano sono comunicati alla Commissione europea ai
fini della tenuta dell’elenco dei referenti degli Stati membri.».
Art. 2. Integrazione della legge 24 gennaio 1979, n. 18. 1. Alla
legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante elezione dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma dell’articolo 4 sono aggiunte, in fine, le
seguenti parole: «, per effetto di una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, purché quest’ultima
possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale»;
b) all’articolo 13 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Il manifesto riproducente i contrassegni delle liste e i candidati ammessi deve essere pubblicato nell’albo pretorio ed in
altri luoghi pubblici entro l’ottavo giorno antecedente la data
delle elezioni.».
Art. 3. Disposizioni finali. 1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica.
D. Legisl. 13 febbraio 2014, n. 12 - Attuazione della Direttiva 2011/51/UE, che modifica la Direttiva
2003/109/CE del Consiglio per estenderne l’àmbito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale (G.U. 24 febbraio 2014, n. 45). Si riporta di seguito il testo integrale del provvedimento:
Art. 1. Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286. 1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 9:
1) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
“1-bis. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo rilasciato allo straniero titolare di protezione internazionale come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a),
del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, reca, nella
rubrica «annotazioni», la dicitura «protezione internazionale
riconosciuta dall’Italia il» e riporta, di seguito, la data in cui la
protezione è stata riconosciuta.
1-ter. Ai fini del rilascio del permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo di cui al comma 1-bis, non è richiesta allo straniero titolare di protezione internazionale ed ai
suoi familiari la documentazione relativa all’idoneità dell’alloggio di cui al comma 1, ferma restando la necessità di indicare
un luogo di residenza ai sensi dell’articolo 16, comma 2, lettera
c), del regolamento di attuazione. Per gli stranieri titolari di protezione internazionale che si trovano nelle condizioni di vulnerabilità di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 30
maggio 2005, n. 140, la disponibilità di un alloggio concesso
a titolo gratuito, a fini assistenziali o caritatevoli, da parte di
enti pubblici o privati riconosciuti, concorre figurativamente
alla determinazione del reddito cui al comma 1 nella misura
del quindici per cento del relativo importo.”;
2) dopo il comma 2-bis è inserito il seguente:
“2-ter. La disposizione di cui al comma 2-bis non si applica
allo straniero titolare di protezione internazionale.”;
3) al comma 3, lettera c), le parole: “soggiornano per asilo
ovvero hanno chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato” sono sostituite dalle seguenti: “hanno chiesto la protezione
internazionale come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera
a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251”;
4) dopo il comma 4 è inserito il seguente:
“4-bis. Salvo i casi di cui ai commi 4 e 7, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui al comma
1-bis è rifiutato ovvero revocato nei casi di revoca o cessazione
dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria previsti dagli articoli 9, 13, 15 e 18 del decreto legislativo 19 novembre
2007, n. 251. Nei casi di cessazione di cui agli articoli 9 e 15
del medesimo decreto legislativo, allo straniero è rilasciato un
permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo,
aggiornato con la cancellazione dell’annotazione di cui al comma 1-bis ovvero un permesso di soggiorno ad altro titolo in
presenza dei requisiti previsti dal presente testo unico.”;
5) dopo il comma 5 è inserito il seguente:
“5-bis. Il calcolo del periodo di soggiorno di cui al comma
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1, per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti
di lungo periodo di cui al comma 1-bis, è effettuato a partire
dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale in base alla quale la protezione internazionale è stata
riconosciuta.”;
6) dopo il comma 10, è inserito il seguente:
“10-bis. L’espulsione del rifugiato o dello straniero ammesso alla protezione sussidiaria e titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui al comma
1-bis, è disciplinata dall’articolo 20 del decreto legislativo 19
novembre 2007, n. 251.”;
7) dopo il comma 13 è aggiunto il seguente:
“13-bis. È autorizzata, altresì, la riammissione sul territorio
nazionale dello straniero titolare del permesso di soggiorno UE
per soggiornanti di lungo periodo titolare di protezione internazionale allontanato da altro Stato membro dell’Unione europea e dei suoi familiari, quando nella rubrica ‘annotazioni’
del medesimo permesso è riportato che la protezione internazionale è stata riconosciuta dall’Italia. Entro trenta giorni dal
ricevimento della relativa richiesta di informazione, si provvede a comunicare allo Stato membro richiedente se lo straniero
beneficia ancora della protezione riconosciuta dall’Italia.”;
b) all’articolo 9-bis:
1) al comma 7, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Nei
confronti dello straniero il cui permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo rilasciato da un altro Stato membro dell’Unione europea riporta l’annotazione relativa alla titolarità di protezione internazionale, come definita dall’articolo 2,
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007,
n. 251, e dei suoi familiari l’allontanamento è effettuato verso
lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, previa conferma da parte di tale Stato della attualità della
protezione. Nel caso ricorrano i presupposti di cui all’articolo
20 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, l’allontanamento può essere effettuato fuori dal territorio dell’Unione
europea, sentito lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, fermo restando il rispetto del principio di
cui all’articolo 19, comma 1.”;
2) al comma 8, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Se
il precedente permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo rilasciato da altro Stato membro riporta, nella
rubrica ‘annotazioni’, la titolarità di protezione internazionale
come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato ai sensi
del presente comma riporta la medesima annotazione precedentemente inserita. A tal fine, si richiede allo Stato membro
che ha rilasciato il precedente permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo di confermare se lo straniero
benefici ancora della protezione internazionale ovvero se tale
protezione sia stata revocata con decisione definitiva. Se, successivamente al rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornante di lungo periodo, è trasferita all’Italia la responsabilità
della protezione internazionale, secondo le norme internazionali e nazionali che ne disciplinano il trasferimento, la rubrica
‘annotazioni’ del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo è aggiornata entro tre mesi in conformità a tale
trasferimento.”;
3) dopo il comma 8, sono aggiunti i seguenti:
“ 8-bis. Entro trenta giorni dalla relativa richiesta, sono fornite agli altri Stati membri dell’Unione europea le informazioni
in merito allo status di protezione internazionale riconosciuta dall’Italia agli stranieri che hanno ottenuto un permesso di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo in tali Stati
membri.
8-ter. Entro trenta giorni dal riconoscimento della protezione internazionale ovvero dal trasferimento all’Italia
della responsabilità della protezione internazionale di uno
straniero titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro
dell’Unione europea, si provvede a richiedere a tale Stato
membro l’inserimento ovvero la modifica della relativa annotazione sul permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo.”.
Art. 2. Punto di contatto. 1. Il Ministero dell’interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, in qualità di punto di contatto,
adotta, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, ogni misura idonea ad instaurare
una cooperazione diretta per lo scambio di informazioni e di
documentazione con i competenti uffici degli altri Stati membri
dell’Unione europea, ai fini dell’applicazione degli articoli 9 e
9-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Art. 3. Disposizione finale. 1. La dizione «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo» presente nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché in qualsiasi
altra disposizione normativa, si intende sostituita dalla dizione
«permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo».
Art. 4. Norma finanziaria. 1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono
agli adempimenti di cui al presente decreto nell’àmbito con le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Decreto del Ministro dell’Interno 12 febbraio 2014 - Modalità di comunicazione telematica tra comuni in
materia elettorale, di anagrafe e di stato civile, nonché tra comuni e notai per le convenzioni matrimoniali, in
attuazione dell’art. 6, comma 1, lett. a) e c) del d. l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l.
4 aprile 2012, n. 35 (G.U. 25 febbraio 2014, n. 46).
D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 13, recante:
«Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti
e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore». (G.U. 26 febbraio
2014, n. 47).
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D.L. 30 dicembre 2013, n. 150, coordinato con la legge di conversione 27 febbraio 2014, n. 15, recante:
«Proroga di termini previsti da disposizioni legislative». (G.U. 28 febbraio 2014, n. 49). Il presente decreto ha
subito varie modifiche ed integrazioni in sede di conversione. Si segnalano di seguito per la loro rilevanza gli artt. 8,
9 evidenziando in corsivo le modifiche apportate dalla legge di conversione:
Art. 8. Proroga di termini in materia di lavoro e politiche sociali. 1. All’articolo 21 del decreto legislativo 26 marzo 2001,
n. 151, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti
modificazioni: a) al comma 1-bis, le parole: «entro sei mesi»
sono sostituite dalle seguenti: «entro nove mesi»; b) al comma
2-ter, le parole: «novantesimo giorno» sono sostituite dalle seguenti: «duecento settantesimo giorno».
2. L’intervento di cui al comma 16 dell’articolo 19 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, il quale prevede
che il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali
assegna alla società Italia Lavoro S.p.A. 13 milioni di euro quale
contribuito agli oneri di funzionamento e ai costi generali di
struttura è prorogato nella medesima misura per l’anno 2014.
Al relativo onere si provvede mediante riduzione del Fondo
sociale per l’occupazione e la formazione, di cui all’articolo
18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008,
n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio
2009, n. 2.
2-bis. Nelle more dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 3, comma 42, della legge 28 giugno 2012, n. 92, della disciplina dei fondi
istituiti ai sensi dell’articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre
1996, n. 662, alle disposizioni di cui al medesimo articolo 3 della
legge 28 giugno 2012, n. 92, il termine di cui all’articolo 6, comma
2-bis, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, è differito al
30 giugno 2014 o alla data di definizione dell’adeguamento di cui
all’articolo 3, comma 42, della legge 28 giugno 2012, n. 92, se
anteriore.
2-ter. All’articolo 70, comma 1, terzo periodo, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, le
parole: «Per l’anno 2013» sono sostituite dalle seguenti: «Per gli
anni 2013 e 2014».
Art. 9. Proroga di termini in materia economica e finanziaria. 1.
All’articolo 19, comma 14, del decreto legislativo 17 settembre
2007, n. 164, e successive modificazioni, le parole: «Fino al
31 dicembre 2010» sono sostituite dalle seguenti: «Fino al 30
giugno 2014 ».
2. All’articolo 3, comma 2-bis, lettera a), terzo periodo, del
decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, le parole «entro il
31 dicembre 2012» sono sostituite dalle seguenti: entro il 31
dicembre 2014».
3. All’articolo 8, comma 30, del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 214, le parole: «31 dicembre 2012» sono
sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2014».
4. All’articolo 128-decies, commi 3 e 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, le parole «31 dicembre 2013»
sono sostituite dalle seguenti «30 giugno 2014».
5. All’articolo 128-decies, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, le parole «1° gennaio 2014»
sono sostituite dalle seguenti «1° luglio 2014».
6. All’articolo 3-bis, comma 2, del decreto-legge 2 marzo
2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile
2012, n. 44, le parole: «31 dicembre 2012» sono sostituite
dalle seguenti: «30 giugno 2014».
7. I termini per l’adozione dei regolamenti di cui all’articolo
4, comma 3, lettera b), e all’articolo 18, comma 1, del decreto
legislativo 31 maggio 2011, n. 91, sono prorogati al 31 dicembre 2014.
8. All’articolo 25, comma 1, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91, le parole: «a partire dal 2014» sono sostituite
dalle seguenti: «a partire dal 2015».
9. (Soppresso).
10. All’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, le parole: «limitatamente al triennio 20112013» sono sostituite dalle seguenti: «limitatamente al periodo
2011-2015».
11. All’articolo 6, comma 14, del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto
2012, n. 135, le parole: «nel corrente esercizio finanziario e in
quello successivo» sono sostituite dalle seguenti: «negli esercizi
finanziari 2012, 2013 e 2014».
12. Nelle more del completamento della riforma della legge
di contabilità e finanza pubblica, di cui alla legge 31 dicembre
2009, n. 196, la facoltà di cui all’articolo 30, comma 11, della
citata legge n. 196 del 2009 può essere esercitata anche per gli
esercizi finanziari 2013 e 2014.
13. Nelle more del perfezionamento della revisione delle strutture organizzative disposta a seguito dell’attuazione
dell’articolo 2, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135, al fine di assicurare la continuità nella gestione le amministrazioni sono autorizzate a gestire le risorse assegnate secondo la precedente struttura del bilancio dello Stato.
14. All’articolo 4 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39,
dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. Ai fini dell’iscrizione al Registro sono esonerati dall’esame di idoneità i soggetti che hanno superato gli esami di Stato di
cui agli articoli 46 e 47 del decreto legislativo 28 giugno 2005, n.
139, fermo l’obbligo di completare il tirocinio legalmente previsto
per l’accesso all’esercizio dell’attività di revisore legale, nel rispetto
dei requisiti previsti, in conformità alla direttiva 2006/43/CE, con
decreto del Ministro della giustizia, sentito il Ministro dell’economia
e delle finanze, da adottare entro venti giorni dalla data di entrata in
vigore della presente disposizione, senza la previsione, per i candidati,
di maggiori oneri e di nuove sessioni di esame».
15. (Soppresso).
15-bis. Al fine di consentire alla platea degli interessati di adeguarsi all’obbligo di dotarsi di strumenti per i pagamenti mediante
carta di debito (POS), all’articolo 15, comma 4, del decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge
17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni, le parole: «1°
gennaio 2014» sono sostituite dalle seguenti: «30 giugno 2014».
15-ter. Il termine di cui all’articolo 6-bis, comma 1, del codice
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è ulteriormente
differito al 1° luglio 2014. Sono fatte salve le procedure i cui bandi
e avvisi di gara sono stati pubblicati a far data dal 1° gennaio 2014
e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di
bandi o avvisi, le procedure in cui, a far data dal 1° gennaio 2014
e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, sono stati già inviati gli inviti a presentare offerta.
15-quater. All’articolo 1, comma 1324, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni:
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a) le parole: «e 2013» sono sostituite dalle seguenti: «, 2013 e
2014»;
b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La detrazione relativa
all’anno 2014 non rileva ai fini della determinazione dell’acconto
IRPEF per l’anno 2015».
15-quinquies. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 15-quater, pari a 1,3 milioni di euro per l’anno
2014 e a 4,7 milioni di euro per l’anno 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale
di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2014-2016,
nell’àmbito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2014, allo scopo riducendo in
misura proporzionale gli accantonamenti relativi a tutti i Ministeri.
D. Legisl. 19 febbraio 2014, n. 14 - Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai dd. legisl. 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari (Suppl. ord. n. 16 alla G.U. n. 48 del 27 febbraio 2014). Si riporta di seguito il testo degli
artt. 1, 6, 8, 10, 11 e 12 del provvedimento:
Capo I
DISPOSIZIONI CORRETTIVE, INTEGRATIVE
E DI COORDINAMENTO DELLE DISPOSIZIONI RECANTI
LA NUOVA ORGANIZZAZIONE DEI TRIBUNALI ORDINARI
E DEGLI UFFICI DEL PUBBLICO MINISTERO
Sezione I
Disposizioni generali
Art. 1. Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e al
decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155. 1. Al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, la tabella A è sostituita dalla
tabella di cui all’allegato I.
2. Al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, all’articolo 2, comma 2, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «,
e, a norma della tabella A allegata al regio decreto 30 gennaio
1941, n. 12, ha sede nel comune di Aversa».
3. Al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, la tabella A è
sostituita dalla tabella di cui all’allegato II.
(omissis)
Art. 6. Trasferimenti dei magistrati titolari di funzioni dirigenziali e applicazioni e trasferimenti dei giudici onorari di tribunale e
dei vice procuratori onorari. 1. Al fine di garantire la piena funzionalità degli uffici giudiziari per effetto della nuova organizzazione di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, entro
due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il
Consiglio superiore della magistratura definisce le modalità di
trasferimento dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari che ne facciano richiesta. Entro i successivi sei
mesi è definita la procedura di trasferimento di cui al primo
periodo.
2. Fino alla definizione della procedura di trasferimento di
cui al comma 1, ai tribunali ordinari e alle procure della Repubblica presso i medesimi tribunali possono essere applicati,
a domanda, i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori
onorari che nell’ufficio presso il quale sono addetti versino in
una situazione di incompatibilità determinatasi a seguito della
nuova organizzazione di cui al decreto legislativo 7 settembre
2012, n. 155. La domanda è proposta, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, al presidente
della Corte d’appello per i giudici onorari di tribunale e al procuratore generale per i vice procuratori onorari. L’applicazione
può essere disposta nell’àmbito del medesimo distretto e si applica, in quanto compatibile, l’articolo 110, comma 1, del regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12. L’ufficio giudiziario presso il
quale è disposta l’applicazione ai sensi del presente comma si
considera ordinaria sede di servizio a norma dell’articolo 209bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e, comunque, per
tutti gli effetti di legge. Scaduto il termine per la proposizione
della domanda di cui al presente comma, il capo dell’ufficio
segnala al consiglio giudiziario, entro sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore del presente decreto e ai fini degli articoli
42-quater, secondo e terzo comma, e 42-sexies del predetto regio decreto, la sussistenza di situazioni di incompatibilità che
riguardano i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori
onorari che non hanno proposto la domanda.
3. Al fine di garantire la piena ed immediata operatività del
tribunale di Napoli nord e della procura della Repubblica presso il medesimo tribunale l’applicazione dei giudici onorari di
tribunale e dei vice procuratori onorari può essere disposta
presso i medesimi uffici con le modalità di cui al comma 2 o
anche d’ufficio sino alla definizione della procedura di trasferimento di cui al comma 1, sebbene non ricorrano situazioni di
incompatibilità. Si considera ordinaria sede di servizio a norma dell’articolo 209-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n.
12, e, comunque, per tutti gli effetti di legge, l’ufficio giudiziario
presso il quale il magistrato onorario esercita le proprie funzioni in via prevalente. Nel provvedimento che dispone l’applicazione è indicata l’ordinaria sede di servizio a norma del
secondo periodo.
4. I magistrati titolari dei posti di presidente di tribunale,
presidente di sezione, procuratore della Repubblica e procuratore aggiunto negli uffici di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, possono chiedere, in deroga al
disposto dell’articolo 194 del regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12, l’assegnazione a nuovi posti vacanti sorti a seguito della rideterminazione delle piante organiche di cui all’articolo 5,
comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, e
pubblicati entro il 31 luglio 2014.
(omissis)
Art. 8. Disposizioni transitorie. 1. All’articolo 9 del decreto
legislativo 7 settembre 2012, n. 155 dopo il comma 2 sono
inseriti i seguenti:
«2-bis. La soppressione delle sezioni distaccate di tribunale
non determina effetti sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data di efficacia di cui all’articolo 11,
comma 2, i quali si considerano pendenti e di competenza del
tribunale che costituisce sede principale. I procedimenti penali
si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è
acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.
2-ter. La disposizione di cui al comma 2-bis si applica anche
nei casi di nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni
di territorio, dell’assetto territoriale dei circondari dei tribunali
diversi da quelli di cui all’articolo 1, oltre che per i procedimenti
relativi a misure di prevenzione per i quali, alla data di cui all’articolo 11, comma 2, è stata formulata la proposta al tribunale.
2-quater. La nuova definizione, mediante attribuzione di
porzioni di territorio, dell’assetto territoriale degli uffici di sor-
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veglianza non determina effetti sulla competenza per i procedimenti pendenti innanzi ai medesimi uffici alla data di efficacia
di cui all’articolo 11, comma 2. I procedimenti di cui al primo
periodo si considerano pendenti dal momento della ricezione
dell’istanza, della richiesta, della proposta o del reclamo ovvero
dal momento in cui hanno avuto inizio d’ufficio.
2-quinquies. L’istituzione del tribunale di Napoli nord non
determina effetti sulla competenza dei tribunali di Napoli e di
Santa Maria Capua Vetere per i procedimenti penali pendenti a
norma del comma 2-bis alla data di cui all’articolo 11, comma
2, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla stessa data, è stata formulata la proposta al
tribunale.
2-sexies. L’istituzione del tribunale di Napoli nord non determina effetti sulla competenza dell’ufficio di sorveglianza di
Santa Maria Capua Vetere per i procedimenti pendenti a norma
del comma 2-quater alla data di cui all’articolo 11, comma 2.».
(omissis)
Sezione II
Ripristino delle sezioni distaccate di tribunale nelle isole
Art. 10. Temporaneo ripristino di sezioni distaccate insulari. 1.
Fino al 31 dicembre 2016, nel circondario del tribunale di Napoli è ripristinata la sezione distaccata di Ischia, avente giurisdizione sul territorio dei comuni di Barano d’Ischia, Casamicciola
Terme, Forio, Ischia, Lacco Ameno, Serrara Fontana.
2. Fino al 31 dicembre 2016, nel circondario del tribunale
di Barcellona Pozzo di Gotto è ripristinata la sezione distaccata
di Lipari, avente giurisdizione sul territorio dei comuni di Leni,
Lipari, Malfa, Santa Marina Salina.
3. Fino al 31 dicembre 2016, nel circondario del tribunale
di Livorno è ripristinata la sezione distaccata di Portoferraio,
avente giurisdizione sul territorio dei comuni di Campo nell’Elba, Capoliveri, Marciana, Marciana Marina, Porto Azzurro, Portoferraio, Rio Marina, Rio nell’Elba.
4. Con decreto del Ministro della giustizia, avente natura
non regolamentare, è fissata la data di inizio del funzionamento
delle sezioni distaccate di cui ai commi 1, 2 e 3.
5. Nelle sezioni distaccate di cui al presente articolo sono
trattati gli affari civili e penali sui quali il tribunale giudica in
composizione monocratica, quando il luogo in ragione del
quale è determinata la competenza per territorio rientra nella
circoscrizione delle sezioni medesime.
6. Le controversie in materia di lavoro e di previdenza e
assistenza obbligatorie sono trattate esclusivamente nella sede
principale del tribunale. In tale sede sono altresì svolte, in via
esclusiva, le funzioni del giudice per le indagini preliminari e
del giudice dell’udienza preliminare.
7. In deroga a quanto previsto dal comma 6, con decreto
del Ministro della giustizia in conformità alla deliberazione del
Consiglio superiore della magistratura assunta sulla proposta
del presidente del tribunale sentito il consiglio dell’ordine degli
avvocati, può disporsi che nelle sezioni distaccate siano trattate
anche le cause concernenti controversie di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.
8. In considerazione di particolari esigenze, il presidente del
tribunale, sentite le parti, può disporre che una o più udienze relative a procedimenti civili o penali da trattare nella sede
principale del tribunale siano tenute nella sezione distaccata, o
che una o più udienze relative a procedimenti da trattare nella
sezione distaccata siano tenute nella sede principale.
9. Sentiti il consiglio giudiziario ed il consiglio dell’ordine
degli avvocati, il provvedimento può essere adottato anche in
relazione a gruppi di procedimenti individuati secondo criteri
oggettivi.
10. I magistrati assegnati alle sezioni distaccate del tribunale
ordinario possono svolgere funzioni anche presso la sede principale, secondo criteri determinati con la procedura tabellare
prevista dall’articolo 7-bis del regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12.
11. Nelle sezioni distaccate non sono istituiti posti di presidente di sezione.
12. Alla copertura dell’organico del personale amministrativo delle sezioni distaccate di cui al presente articolo, si provvede, nei limiti della dotazione organica, mediante assegnazione
del personale già in servizio presso le rispettive sedi principali
alla data di cui al comma 4; quanto agli eventuali esuberi o carenze di organico, si provvede mediante le ordinarie procedure
di trasferimento.
13. A decorrere dal 1° gennaio 2017 le disposizioni del presente articolo cessano di avere efficacia e opera la tabella A del
regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sostituita dalla tabella di
cui all’allegato II del presente decreto.
Capo II
DISPOSIZIONI CORRETTIVE E INTEGRATIVE
DELLE DISPOSIZIONI RECANTI
LA REVISIONE DELLE CIRCOSCRIZIONI
GIUDIZIARIE - UFFICI DEL GIUDICE DI PACE
Art. 11. Modifiche in materia di riduzione degli uffici del giudice
di pace. 1. Al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) la tabella A è sostituita dalla tabella di cui all’allegato V;
b) la tabella B è sostituita dalla tabella di cui all’allegato VI.
Art. 12. Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374 e disposizioni correttive e di coordinamento. 1. Alla legge 21 novembre 1991, n. 374, la tabella A è sostituita dalla tabella di cui
all’allegato VII.
2. All’articolo 2 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n.
156, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Il giudice di pace di Aversa è rinominato giudice di
pace di Napoli nord.».
3. All’articolo 5 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n.
156, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:
«3-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di
cui all’articolo 9, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 7
settembre 2012, n. 155.».
4. All’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, le parole: «con le modalità previste dall’articolo 2, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374» sono
sostituite dalle seguenti: «con le modalità previste dal comma
3».
D. Legisl. 19 febbraio 2014, n. 17 - Attuazione della Direttiva 2011/62/UE, che modifica la Direttiva
2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, al fine di impedire l’ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale (G.U. 7 marzo 2014, n. 55).
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D. Legisl. 21 febbraio 2014, n. 18 - Attuazione della Direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status
uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul
contenuto della protezione riconosciuta (G.U. 7 marzo 2014, n. 55). Il presente provvedimento si compone di
quattro articoli. Si segnala di seguito il testo dell’art. 1 del decreto:
Art. 1. Modifiche al decreto legislativo 19 novembre 2007, n.
251. 1. Al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e
successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 1, le parole: “della qualifica di rifugiato o di
protezione sussidiaria, nonché norme sul contenuto degli status riconosciuti” sono sostituite dalle seguenti: “della qualifica
di beneficiario di protezione internazionale nonché norme sul
contenuto dello status riconosciuto”;
b) all’articolo 2:
1) dopo la lettera a) è inserita la seguente: “a-bis) ‘beneficiario di protezione internazionale’: cittadino straniero cui è stato
riconosciuto lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria come definito alle lettere f) e h);”;
2) la lettera i) è sostituita dalla seguente: “i) ‘domanda di
protezione internazionale’: la domanda di protezione presentata secondo le procedure previste dal decreto legislativo 28
gennaio 2008, n. 25, diretta ad ottenere lo status di rifugiato o
lo status di protezione sussidiaria;”;
3) dopo la lettera i) è inserita la seguente: “i-bis) ‘richiedente’: lo straniero che ha presentato una domanda di protezione
internazionale sulla quale non è ancora stata adottata una decisione definitiva;”;
4) alla lettera l), il punto b), è sostituito dal seguente: “b) i
figli minori del beneficiario dello status di rifugiato o dello status
di protezione sussidiaria, anche adottati o nati fuori dal matrimonio, a condizione che non siano sposati. I minori affidati o
sottoposti a tutela sono equiparati ai figli;”;
5) alla lettera l), dopo il punto b) è aggiunto il seguente: “bbis) il genitore o altro adulto legalmente responsabile, ai sensi
degli articoli 343 e seguenti del codice civile, del minore beneficiario dello status di rifugiato o dello status di protezione
sussidiaria;”;
c) all’articolo 3, comma 5, lettera e), è aggiunto, in fine, il
seguente periodo: “Nel valutare l’attendibilità del minore, si
tiene conto anche del suo grado di maturità e di sviluppo personale.”;
d) all’articolo 6:
1) al comma 1, lettera b), sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: “, a condizione che abbiano la volontà e la capacità di
offrire protezione conformemente al comma 2.”;
2) al comma 2, dopo le parole: “La protezione di cui al comma 1” sono inserite le seguenti: “è effettiva e non temporanea
e”;
e) all’articolo 7, al comma 2, dopo la lettera e), è inserita la
seguente:
“e-bis) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o
discriminatorie che comportano gravi violazioni di diritti umani fondamentali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio
militare per motivi di natura morale, religiosa, politica o di appartenenza etnica o nazionale;”;
f) all’articolo 8:
1) al comma 1, alinea, dopo le parole: “gli atti di persecuzione di cui all’articolo 7” sono inserite le seguenti: “o la mancanza
di protezione contro tali atti”;
2) al comma 1, lettera d), dopo le parole: “ai sensi della
legislazione italiana;” sono aggiunte le seguenti: “ai fini della
determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo
sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale
gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere,
compresa l’identità di genere;”;
g) all’articolo 9, dopo il comma 2, è inserito il seguente:
“2-bis. Le disposizioni di cui alle lettere e) e f) del comma 1
non si applicano quando il rifugiato può addurre motivi imperativi derivanti da precedenti persecuzioni tali da rifiutare di
avvalersi della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza
ovvero, se si tratta di apolide, del Paese nel quale aveva la dimora abituale.”;
h) all’articolo 10, comma 2, lettera b), le parole: “prima del
rilascio del permesso di soggiorno in qualità di rifugiato,” sono
sostituite dalle seguenti: “prima di esservi ammesso in qualità
di richiedente,”;
i) all’articolo 15, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:
“2-bis. La disposizione di cui al comma 1 non si applica
quando il titolare di protezione sussidiaria può addurre motivi
imperativi derivanti da precedenti persecuzioni tali da rifiutare
di avvalersi della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza
ovvero, se si tratta di apolide, del Paese nel quale aveva la dimora abituale.”;
l) all’articolo 16, comma 1:
1) alla lettera b), le parole: “nel territorio nazionale o all’estero” sono sostituite dalle seguenti: “al di fuori del territorio
nazionale, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente”;
2) alla lettera d), le parole: “o per l’ordine e la sicurezza pubblica” sono soppresse;
3) dopo la lettera d) è aggiunta la seguente:
“d-bis) costituisca un pericolo per l’ordine e la sicurezza
pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva
per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale.”;
m) all’articolo 19:
1) al comma 2, dopo le parole: “genitori singoli con figli
minori” sono inserite le seguenti: “i minori non accompagnati,
le vittime della tratta di esseri umani, le persone con disturbi
psichici,”;
2) dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:
“2-bis. Nell’attuazione delle disposizioni del presente decreto è preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del minore.”;
n) all’articolo 20, al comma 1, alinea, dopo le parole: “decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,” sono inserite le seguenti: “ed in conformità degli obblighi internazionali ratificati
dall’Italia,”;
o) all’articolo 22:
1) al comma 3, le parole: “status di protezione sussidiaria”
sono sostituite dalle seguenti: “status di protezione internazionale”;
2) il comma 4 è sostituito dal seguente:
“4. Lo straniero ammesso alla protezione sussidiaria ha
diritto al ricongiungimento familiare ai sensi e alle condizioni previste dall’articolo 29-bis del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286.”;
p) all’articolo 23, comma 2, le parole: “con validità triennale” sono sostituite dalle seguenti: “con validità quinquennale”;
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q) all’articolo 25, comma 1, le parole: “per la formazione
professionale e per il tirocinio sul luogo di lavoro” sono sostituite dalle seguenti: “per la formazione professionale, compresi
i corsi di aggiornamento, per il tirocinio sul luogo di lavoro e
per i servizi resi dai centri per l’impiego di cui all’articolo 4 del
decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.”;
r) all’articolo 26, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente:
“3-bis. Per il riconoscimento delle qualifiche professionali,
dei diplomi, dei certificati e di altri titoli conseguiti all’estero
dai titolari dello status di rifugiato o dello status di protezione
sussidiaria, le amministrazioni competenti individuano sistemi appropriati di valutazione, convalida e accreditamento che
consentono il riconoscimento dei titoli ai sensi dell’articolo 49
del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.
394, anche in assenza di certificazione da parte dello Stato in
cui è stato ottenuto il titolo, ove l’interessato dimostra di non
poter acquisire detta certificazione.”;
s) all’articolo 27, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente:
“1-bis. Il Ministero della salute adotta linee guida per la
programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari
dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria
che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza
psicologica, fisica o sessuale, compresi eventuali programmi di
formazione e aggiornamento specifici rivolti al personale sanitario da realizzarsi nell’àmbito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente.”;
t) all’articolo 28, comma 3, dopo le parole: “sono assunte”
sono inserite le seguenti: “, quanto prima, a seguito del riconoscimento della protezione ove non avviate in precedenza,”;
u) all’articolo 29, i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:
“2. Nell’attuazione delle misure e dei servizi di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39,
all’articolo 5 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, ed
all’articolo 42 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si
tiene conto anche delle esigenze di integrazione dei beneficiari di protezione internazionale, promuovendo, nei limiti delle
risorse disponibili, ogni iniziativa adeguata a superare la condizione di svantaggio determinata dalla perdita della protezione
del Paese di origine e a rimuovere gli ostacoli che di fatto ne
impediscono la piena integrazione.
3. Ai fini della programmazione degli interventi e delle misure volte a favorire l’integrazione dei beneficiari di protezione
internazionale, il Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà
civili e l’immigrazione con l’obiettivo di ottimizzare i sistemi
di accoglienza dei richiedenti e/o titolari di protezione internazionale secondo gli indirizzi sanciti d’intesa con la Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, predispone, altresì, ogni due anni, salva la necessità di un termine più breve, un Piano nazionale che individua le linee di intervento per realizzare l’effettiva integrazione
dei beneficiari di protezione internazionale, con particolare
riguardo all’inserimento socio-lavorativo, anche promuovendo specifici programmi di incontro tra domanda e offerta di
lavoro, all’accesso all’assistenza sanitaria e sociale, all’alloggio,
alla formazione linguistica e all’istruzione nonché al contrasto
delle discriminazioni. Il Piano indica una stima dei destinatari
delle misure di integrazione nonché specifiche misure attuative
della programmazione dei pertinenti fondi europei predisposta dall’autorità responsabile. Il predetto Tavolo è composto
da rappresentanti del Ministero dell’interno, dell’Ufficio del
Ministro per l’integrazione, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle Regioni, dell’Unione delle province d’Italia
(UPI) e dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI),
ed è integrato, in sede di programmazione delle misure di cui
alla presente disposizione, con un rappresentante del Ministro
delegato alle pari opportunità, un rappresentante dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR),
un rappresentante, della Commissione nazionale per il diritto
di asilo e, a seconda delle materie trattate, con rappresentanti
delle altre amministrazioni o altri soggetti interessati.
3-bis. All’attuazione delle disposizioni di cui al comma 3, le
Amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
La partecipazione alle sedute del Tavolo non da’ luogo alla
corresponsione di compensi, gettoni, emolumenti, indennità o
rimborsi spese comunque denominati.
3-ter. L’accesso ai benefici relativi all’alloggio previsti
dall’articolo 40, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286, è consentito ai titolari dello status di rifugiato e
di protezione sussidiaria, in condizioni di parità con i cittadini
italiani.”.
D. Legisl. 21 febbraio 2014, n. 21 - Attuazione della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori,
recante modifica delle Direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le Direttive 85/577/CEE e 97/7/
CE (G.U. 11 marzo 2014, n. 58). Vista la sua importanza, a questo decreto verrà a breve dedicato un articolato commento.
D. Legisl. 21 febbraio 2014, n. 22 - Attuazione della Direttiva 2011/77/UE che modifica la Direttiva
2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi (G.U. 11
marzo 2014, n. 58).
Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze - Saggio degli interessi da applicare a favore del
creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali. (G.U. 3 marzo 2014, n. 51). Ai
sensi dell’art. 5 del d. legisl. n. 231/2002, come modificato dalla lett. e) del comma 1 dell’art. 1 del d. legisl.
n. 192/2012, il presente provvedimento dispone che per il periodo 1° gennaio - 30 giugno 2014 il tasso di
riferimento è pari allo 0,25 per cento.
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D. Legisl. 4 marzo 2014, n. 24 - Attuazione della Direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla
repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro
2002/629/GAI (G.U. 13 marzo 2014, n. 60). Si segnalano di seguito per la loro rilevanza gli artt. 2 e 3 del presente
provvedimento:
Art. 2. Modifiche al codice penale. 1. Al regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 600:
1) al primo comma, dopo le parole: «all’accattonaggio o
comunque» le parole: «a prestazioni» sono sostituite dalle seguenti parole: «al compimento di attività illecite» e dopo la parola «sfruttamento» sono inserite le seguenti parole: «ovvero a
sottoporsi al prelievo di organi»;
2) al secondo comma, dopo le parole: «approfittamento di una
situazione» sono aggiunte le seguenti parole: «di vulnerabilità,»;
b) l’articolo 601 è sostituito dal seguente:
«È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di
fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona, ospita una
o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo
600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone,
mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità
fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione
di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative,
sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento
di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi.
Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle
modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età».
Art. 3. Modifica al codice di procedura penale. Al decreto del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, è apportata la seguente modifica:
all’articolo 398, dopo il comma 5-bis è aggiunto il seguente
comma:
«5-ter. Il giudice, su richiesta di parte, applica le disposizioni di cui al comma 5-bis quando fra le persone interessate
all’assunzione della prova vi siano maggiorenni in condizione
di particolare vulnerabilità, desunta anche dal tipo di reato per
cui si procede».
D. Legisl. 4 marzo 2014, n. 29 - Attuazione della Direttiva 2011/16/UE relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la Direttiva 77/799/CEE (G.U. 17 marzo 2014, n. 63).
D. Legisl. 4 marzo 2014, n. 32 - Attuazione della Direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e
alla traduzione nei procedimenti penali (G.U. 18 marzo 2014, n. 64). Si riporta di seguito il testo integrale del
provvedimento:
Art. 1. Modifiche al codice di procedura penale. 1. Al decreto del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 104, dopo il comma 4, è aggiunto il seguente:
«4-bis. L’imputato in stato di custodia cautelare, l’arrestato e il fermato, che non conoscono la lingua italiana, hanno
diritto all’assistenza gratuita di un interprete per conferire
con il difensore a norma dei commi precedenti. Per la nomina dell’interprete si applicano le disposizioni del titolo IV del
libro II.»;
b) l’articolo 143 è sostituito dal seguente:
«Articolo 143 (Diritto all’interprete e alla traduzione di atti
fondamentali) 1. L’imputato che non conosce la lingua italiana
ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente
dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di poter
comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il
compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all’assistenza gratuita di un interprete
per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una
memoria nel corso del procedimento.
2. Negli stessi casi l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell’informazione
di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso
di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che di-
spongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle
sentenze e dei decreti penali di condanna.
3. La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di
essi, ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere
le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su
richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente
alla sentenza.
4. L’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è
compiuto dall’autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua
italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino
italiano.
5. L’interprete e il traduttore sono nominati anche quando
il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria
ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
6. La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai
commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti del presente
titolo. La prestazione dell’ufficio di interprete e di traduttore è
obbligatoria.».
Art. 2. Modifiche alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. 1. Al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271,
sono apportare le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 67, comma 2, dopo le parole: «comparazione
della grafia», sono aggiunte le seguenti: «interpretariato e traduzione.»;
b) all’articolo 68, comma 1, le parole: «dell’ordine o del col-
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legio» sono sostituite dalle seguenti: «dell’ordine, del collegio
ovvero delle associazioni rappresentative a livello nazionale
delle professioni non regolamentate».
Art. 3. Modifiche al testo unico in materia di spese di giustizia. 1.
Al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.
115, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 5, lettera d), dopo le parole: «ausiliari del magistrato,» sono aggiunte le seguenti: «ad esclusione degli interpreti e dei traduttori nominati nei casi previsti dall’articolo 143
codice di procedura penale;».
Art. 4. Disposizioni finanziarie. 1. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente decreto, valutati in euro 6.084.833,36
annui, si provvede per il triennio 2014-2016 a carico del Fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987,
n. 183, mediante corrispondente versamento all’entrata del
bilancio dello Stato.
2. A decorrere dal 2017, alla copertura degli oneri di cui al
comma 1 si provvede mediante riduzione delle spese rimodulabili di cui all’articolo 21, comma 5, lettera b), della legge
31 dicembre 2009, n. 196, nel programma «Giustizia civile e
penale» della missione «Giustizia» dello stato di previsione del
Ministero della giustizia.
3. Il Ministero della giustizia provvede al monitoraggio degli
oneri derivanti dall’attuazione del presente decreto. Nel caso si
verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1, il Ministero della giustizia
ne da’ tempestiva comunicazione al Ministero dell’economia e
delle finanze, il quale provvede, con proprio decreto, alla riduzione delle spese rimodulabili di cui all’articolo 21, comma 5,
lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
D. L. 6 marzo 2014, n. 16 - Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche (G.U. 6 marzo 2014, n. 54). Si riporta l’art. 1 del
decreto:
Art. 1. Disposizioni in materia di TARI e TASI. 1. All’articolo
1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 677 è aggiunto, in fine, il seguente periodo
“Per lo stesso anno 2014, nella determinazione delle aliquote
TASI possono essere superati i limiti stabiliti nel primo e nel
secondo periodo, per un ammontare complessivamente non
superiore allo 0,8 per mille a condizione che siano finanziate,
relativamente alle abitazioni principali e alle unità mmobiliari
ad esse equiparate di cui all’articolo 13, comma 2, del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, detrazioni d’imposta o
altre misure, tali da generare effetti sul carico di imposta TASI
equivalenti a quelli determinatisi con riferimento all’IMU relativamente alla stessa tipologia di immobili, anche tenendo conto
di quanto previsto dall’articolo 13 del citato decreto-legge n.
201, del 2011;
b) il comma 688 è sostituito dal seguente: “688. Il versamento della TASI è effettuato, in deroga all’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, secondo le disposizioni di
cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241,
nonché, tramite apposito bollettino di conto corrente postale
al quale si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 17,
in quanto compatibili. Il versamento della TARI e della tariffa
di natura corrispettiva di cui ai commi 667 e 668, è effettuato
secondo le disposizioni di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997 ovvero tramite le altre modalità di pagamento offerte dai servizi elettronici di incasso e di pagamento
interbancari e postali. Con decreto del Direttore generale del
Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle
finanze, sono stabilite le modalità per la rendicontazione e trasmissione dei dati di riscossione, distintamente per ogni contribuente, da parte dei soggetti che provvedono alla riscossione,
ai comuni e al sistema informativo del Ministero dell’economia
e delle finanze. Il comune stabilisce le scadenze di pagamento
della TARI e della TASI, prevedendo di norma almeno due rate
a scadenza semestrale e in modo anche differenziato con riferimento alla TARI e alla TASI. È consentito il pagamento in unica
soluzione entro il 16 giugno di ciascun anno.”;
c) il comma 691 è sostituito dal seguente: “691. I comuni
possono, in deroga all’articolo 52 del decreto legislativo n. 446
del 1997, affidare, fino alla scadenza del relativo contratto, la
gestione dell’accertamento e della riscossione della TARI, an-
che nel caso di adozione della tariffa di cui ai commi 667 e
668, ai soggetti ai quali, alla data del 31 dicembre 2013, risulta
affidato il servizio di gestione dei rifiuti o di accertamento e
riscossione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi di cui
all’articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.
214.”;
d) il comma 731 è sostituito dal seguente: “731. Per l’anno
2014, è attribuito ai comuni un contributo di 625 milioni di
euro. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze,
di concerto con il Ministro dell’interno, è stabilita, secondo una
metodologia adottata sentita la Conferenza Stato città ed autonomie locali, la quota del contributo di cui al periodo precedente di spettanza di ciascun comune, tenendo conto dei gettiti
standard ed effettivi dell’IMU e della TASI.”.
2. All’onere di cui al comma 1, lettera d) si provvede, quanto
a 118,156 milioni di euro mediante corrispondente riduzione
della dotazione del Fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33 e quanto a 6,844
milioni di euro mediante corrispondente riduzione del Fondo
per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282,
convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004,
n. 307.
3. Sono esenti dal tributo per i servizi indivisibili (TASI) gli
immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti,
nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni,
dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non
soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati
esclusivamente ai compiti istituzionali. Si applicano, inoltre, le
esenzioni previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e),
f), ed i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; ai
fini dell’applicazione della lettera i) resta ferma l’applicazione
delle disposizioni di cui all’articolo 91-bis del decreto legge 24
gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni.
4. Le procedure di cui ai commi da 722 a 727 dell’articolo
1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, si applicano a tutti i
tributi locali. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell’interno, sentita la
Conferenza Stato città ed autonomie locali, sono stabilite le
modalità applicative delle predette disposizioni.
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Studium Iuris, 5/2014
Novità legislative
Legge 11 marzo 2014, n. 23 - Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita (G.U. 12 marzo 2014, n. 59). Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi
dal 27 marzo 2014, data di entrata in vigore della presente legge, decreti legislativi recanti la revisione del sistema
fiscale. I decreti legislativi dovranno essere adottati, nel rispetto dei principi costituzionali, in particolare di quelli di
cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonché del diritto dell’Unione europea, e di quelli dello statuto dei diritti del
contribuente di cui alla l. 27 luglio 2000, n. 212, con particolare riferimento al rispetto del vincolo di irretroattività
delle norme tributarie di sfavore, in coerenza con quanto stabilito dalla l. 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, secondo gli specifici principi e criteri direttivi indicati negli articoli 1 e da 2 a 16 della presente legge.
Il Governo è altresì delegato ad attuare, con i medesimi decreti legislativi, una revisione della disciplina relativa al
sistema estimativo del catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, attribuendo a ciascuna unità immobiliare
il relativo valore patrimoniale e la rendita, applicando, in particolare, per le unità immobiliari urbane censite nel
catasto dei fabbricati principi e criteri direttivi individuati all’art. 2 della legge-delega.
Legge 14 marzo 2014, n. 28 - Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 16 gennaio 2014, n. 2,
recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo
sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione (G.U. 17 marzo 2014, n. 63).
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Indici
a cura di Giulia Gabassi e Raffaele Palumbo
INDICE DELLE NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI
1. INDICE ANALITICO ALFABETICO
Voce
1a sottovoce
Responsabilità civile
Violenza sessuale (reato di)
2a sottovoce
Pag.
- autonoma risarcibilità del
danno tanatologico
- irrilevanza del lasso di tempo
apprezzabile o dell’intensità della sofferenza patita dalla vittima
589
- natura composita del danno
non patrimoniale
- condizioni di sussistenza della
rilevanza, in sede di liquidazione, della ricorrenza cumulativa
delle singole voci di danno
589
- configurabilità nel caso in cui
l’atto sessuale non sia, in sé,
connotato da violenza, costringimento fisico o minaccia - necessità di correlazione spaziotemporale tra maltrattamenti e
gesto sessuale
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2. INDICE CRONOLOGICO
CASSAZIONE CIVILE
Schede in formato tema
Sezione
Data
Numero
Pag.
III
23 gennaio 2014
1361
589
CASSAZIONE PENALE
Schede
Sezione
Data
Numero
Pag.
III
5 novembre 2013
44641
611
654
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