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Il Papa: “Indifendibili le prigionipiene solo di immigrati e poveri”. Parole sante,
ma leggibili anche in un altro modo: “Prima ci devono finire i potenti che rubano”
Domenica 8 giugno 2014 – Anno 6 – n° 156
e 1,30 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
CROAZIA, SOCIETÀ, TENUTE
ECCO IL TESORO DI GALAN
dc
O INCALZA
O CANTONE
Prendi i soldi e ciancia
di Marco Travaglio
l guaio vero non è solo quello che i politici
I
non fanno contro la corruzione, ma anche
quello che non dicono. Il che fa pensar male co-
Dalle carte dell’inchiesta veneziana emerge l’ingente patrimonio (celato nelle
dichiarazioni ufficiali alla Camera) dell’ex governatore. Una quota nel gruppo
Stefanel, la rete nel settore sanità dalle Asl venete al Vaticano, una villa
e un’azienda del food & beverage in Istria. E i favori dell’elemosiniere Mazzacurati
Feltri, Massari, Meletti e Vecchi » pag. 2, 3 e 5
di Marco Lillo
i sono 820 mila ragioni che
C
rendono Matteo Renzi poco convincente quando pro-
mette di fare sul serio contro la
corruzione
dilagante,
dall’Expo al Mose. Ogni giorno
sentiamo suonare dai grandi
quotidiani le fanfare dell’arrivano i nostri.
Su Repubblica, ieri, Simona Bonafé prometteva: “Chi sbaglia
deve pagare”. Sul Corriere, Debora Serracchiani garantiva:
“Con la nuova guardia non ci
saranno più ambiguità”. Renzi
ieri ha assicurato i poteri al super commissario anti-corruzione Raffaele Cantone e ha annunciato il Daspo per i dirigenti che sbagliano. Intanto, però,
continua a lasciare al suo posto
di Capo della struttura tecnica
di missione del ministero delle
Infrastrutture, Ercole Incalza.
Se Renzi vuole tenere Incalza a
comandare la cabina di regia
delle grandi opere ha una sola
strada: prima deve farsi spiegare dal suo dirigente perché l’architetto Zampolini ha tirato
fuori 820 mila euro (520 mila
euro in assegni circolari e 300
mila euro in assegni bancari)
nel 2004 per pagare una casa al
genero del dirigente pubblico,
che ha tirato fuori solo 390 mila
euro. Nello stesso periodo in
cui la Cricca di Anemone pagava parte della casa di Scajola,
faceva esattamente lo stesso
con la casa scelta dalla figlia di
Incalza, mai indagato per questo, anche se Zampolini ha raccontato che andò con lui a fare
un sopralluogo in questa casa
da sogno: 8,5 vani catastali a
due passi da piazza del Popolo,
valore reale di un milione e 140
mila euro, come da preliminare curato dal solito Zampolini.
Incalza è stato confermato da
Lupi nel febbraio 2014, nonostante la storia della casa e nonostante sia indagato a Firenze
per la vicenda del Tav, che
coinvolge anche l’ex presidente
dell’Umbria del Pd, Rita Lorenzetti. Se non vuole perdere
la faccia, Renzi prima di creare
per decreto la nuova Autorità
dovrebbe togliere dal suo posto
chiave un dirigente amico di
Lupi, che guida le grandi opere
da 12 anni. E anche Cantone ha
una bella responsabilità: se accetterà di fare il commissario
allo stesso tavolo di Incalza,
trasformerà la sua bella storia
in una brutta foglia di fico.
y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!z!]!"!:
TENGO FAMIGLIA
Lo chiamavano
Consorzio Venezia
ma in realtà
era Parentopoli
Giancarlo Galan Dlm
U di Furio Colombo
QUEL MORBO
CHE TOGLIE
IL FUTURO
AI GIOVANI
» pag. 26
Amurri » pag. 4
» IL PREMIER » ”La legalità torni un valore, venerdì i poteri a Cantone”
Renzi: “Anche il Pd ha colpe
Via a calci chi ha rubato”
Il presidente del Consiglio propone
il Daspo per i politici corrotti e annuncia
la riforma della legge sugli appalti
Il presidente del Senato Grasso: “Togliere
il vitalizio ai parlamentari coinvolti negli
scandali”. ll magistrato che guida
l’Authority anti-corruzione: “Il Mose?
Un sistema criminale” De Carolis » pag. 6
PARLA IL DEM BOCCIA
“Matteo ha ragione,
ma ora chiarezza
su Incalza ed Expo”
Palombi » pag. 6
ISTRUZIONI PER L’USO
PARTITE, FESTE
SQUADRE, STAR
(E POPOLI)
DI BRASILE 2014
» L’INTERVISTA
Scola: “Gassman
mi convinse
a fare il regista”
Pagani e Corallo » pag. 22 - 23
Beha, Beccantini, Chierici,
Pagani e Ziliani » pag. 11 - 18
La Grande Guerra
e la nascita
di una dittatura
secondo Prezzolini
Enzo Biagi » pag. 20 - 21
LA CATTIVERIA
Della Valle: “Su 5 ministri
incontrati, 3 erano deficienti”.
Finalmente le cose stanno
migliorando
» www.forum.spinoza.it
munque, perché delle due l’una: o hanno la testa
vuota e non sanno di che cosa parlano, o lo sanno benissimo ma hanno la testa bacata. Prendiamo Renzi che, essendo appena arrivato, non
dovrebbe avere nulla di personale da nascondere. Appena uno scandalo gli esplode in mano,
se ne esce con dichiarazioni tonitruanti. Dopo il
caso Expo annunciò “il Daspo per chi ruba”. Risultati concreti: zero assoluto. Dopo il caso Mose, la spara ogni giorno più grossa. Mercoledì è
“turbato”. Giovedì vuole incriminare i corrotti
per “alto tradimento”. Venerdì li vuole “fuori
dalla politica”, mentre i suoi giannizzeri fingono
di non conoscere il sindaco Orsoni per la decisiva ragione che non s’è iscritto al Pd che l’ha
candidato, fatto eleggere e sostenuto per quattro
anni. Ieri si accorge che forse Orsoni c’entra col
Pd e promette di “mandare a casa i ladri a calci
nel sedere”. Oggi dirà che vuole prenderli a ceffoni. Domani che gli sputerebbe in faccia. Dopodomani che meritano una bastonata in testa e
pure qualche cinghiata. Poi che li cospargerebbe
di miele e li lascerebbe lì sotto il sole legati a un
albero infestato di formiche rosse. Chi offre di
più? Tanto è tutto gratis. Intanto giovedì il nuovo ddl anti-corruzione (già necessario visto che
il precedente, detto comicamente Severino, partorito 16 mesi fa dal governo Monti e votato dagli stessi partiti che sostengono ufficialmente o
ufficiosamente il governo Renzi, è un colabrodo) era pronto per il voto in commissione e l’approdo nell’aula della Camera martedì, magari
completato e inasprito con emendamenti del
governo. Ma Renzi l’ha bloccato, annunciandone uno nuovo di zecca che ancora non c’è, però
garantisce che arriva venerdì (non si sa ancora a
che ora). Così la rumba riparte da zero e se ne
riparla fra qualche mese. Tutti sanno che l’azzeramento l’ha imposto B. da Cesano Boscone,
non volendo sentir parlare di falso in bilancio e
minacciando di bloccare la boiata del Senato.
Ma Renzi racconta che “il rinvio è stato una mia
scelta” perché “occorre una duplice risposta,
strutturale e culturale assieme”. Perbacco. “Bisogna ripartire dall’emergenza educativa”. Perdindirindina. “Cambiare radicalmente il processo amministrativo, l’impostazione della procedura”. Ah bè, allora. Quindi se politici, imprenditori, funzionari, amministratori, manager, tecnici e alti ufficiali rubano sempre su tutto,
collezionano Tintoretto e Canaletto, seppelliscono milioni nell’orto, scrivono pizzini su carta
commestibile per poi mangiarseli a colazione, è
perché sono poco educati, culturalmente svantaggiati, strutturalmente traviati dalle procedure. L’idea che le grandi opere servano soltanto a
far girare soldi da rubare per sfamare la Banda
Larga e che gli onesti siano pochi deviati infiltrati in un sistema fondato sulla razzia, non sfiora Renzi né i cervelloni che lo circondano. Infatti
continuano a trattare la corruzione come un incidente di percorso, un’eccezione di poche mele
marce (i famosi “ladri” che, beninteso, diventano tali solo in Cassazione, ergo ci rivediamo
fra 10 anni). E, anziché fermare la rapina, spaccano il capello in quattro tirando in ballo la burocrazia e l’educazione, disquisendo su tesserati
e non, o addirittura (la Moretti, che Dio la perdoni) sulla minor gravità del finanziamento illecito di Orsoni rispetto alla corruzione di Galan. La scena ricorda Prendi i soldi e scappa, con
Woody Allen che tenta di rapinare la banca consegnando all’impiegato un bigliettino con scritto “Agite con calma, siete sotto tiro”. Ma l’altro
non capisce perché legge “apite con calma, siete
sotto giro”. Allora si apre un ampio e articolato
dibattito fra decine di persone sulla lettera g che
sembra una p e sulla t che pare una g, fino alla
scena finale dell’aspirante ladro in guardina,
condannato su due piedi a 10 anni di galera, senza attenuanti, prescrizioni, indulti, servizi sociali. A noi manca giusto il finale. Sempre.
2
IL TESORO
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
Ideipossconiugi:
edimenti
case,
gas ed elettricità
MARGHERITA SRL
LA HOLDING DI FAMIGLIA
È la società capofila nella quale Giancarlo
Galan e sua moglie Sandra Persegato detengono il cento per cento delle quote. La holding familiare è utilizzata dai coniugi Galan
per la gestione delle altre società partecipate
del gruppo.
il Fatto Quotidiano
SOCIETÀ AGRICOLA FRASSINETO
LA TENUTA EMILIANA
La tenuta agricola è ubicata al confine tra i comuni di Casola Valsenio (RA) e Castel del Rio
(BO). La Guardia di finanza sostiene che tra società dirette e indirette i Galan posseggano il
70% del totale. Il valore stimato della proprietà
e di 920.569 euro.
SAN PIERI SRL E GREEN POWER
LA PARTITA ELETTRICA
La San Pieri detiene partecipazioni in diverse
società del settore energetico. I Galan ne controllano il 21,6%. Valore stimato: 1.323.204 euro circa. I Galan hanno anche il 10% (10 mila
euro) di Energia Green Power, che commercializza energia del Gruppo Green Power.
GALAN, SOLDI E OMISSIONI
SOCIETÀ CONTROLLATE, PARTECIPAZIONI E ANCHE UNA TENUTA ACQUISTATA DA DON GELMINI
di Stefano Feltri
e Antonio Massari
I
n omaggio alla trasparenza,
l’onorevole
Giancarlo Galan, nel
febbraio 2013 ha pubblicato sul sito internet della
Camera la sua situazione patrimoniale. “Sul mio onore –
scrive prima di firmare – affermo che la dichiarazione
corrisponde al vero”. A certificare dinanzi agli elettori “la
veridicità sull’ammontare delle entrate” è il suo commercialista Paolo Venuti, arrestato
nell’inchiesta sul Mose. In
realtà, dal suo prospetto, mancano proprio le società più interessanti, come la IFHL, che
opera nel settore delle consulenze sanitarie, la Thema Italia, che porta dritto agli affari
con il gas in Indonesia, e la
Amigdala srl, che lo rende socio – fino al 2011 – dell’imprenditore Giuseppe Stefanel.
Il “pasticciaccio”
firmato Stefanel
Non è un dettaglio ininfluente,
sotto il profilo politico, perché
nel 2013 Galan pensò di candidare Stefanel prima al ruolo di
Presidente della Regione Veneto, poi del Friuli.
La Amigdala srl – scoperta dai
finanzieri che hanno condotto
l’indagine - è una società con
capitale sociale da 50 mila euro
che allo stato risulta inattiva. Si
occupa di servizi finanziari,
mobiliari e commerciali. I soci
sono 5, tra persone fisiche e società, e tra questi c’è Paolo Venuti, commercialista di Galan,
nonché “ponte” tra gli interessi
del parlamentare e il settore del
gas. E non solo. Fino al 2011,
tra i soci, c’è anche la Finpiave
spa - capitale sociale di 32 milioni di euro - che appartiene
per il 51 per cento a Giuseppe
Stefanel, proprietario della nota casa di moda, nonché socio
di Mediobanca e Antonveneta.
Un colosso dell’economia veneta e italiana. È lo stesso Stefanel che nel 2013 Galan candida per la presidenza del Veneto, e poi del Friuli, ipotesi poi
bruciata in un solo week end
per i malumori interni al Pdl.
L’episodio passò alle cronache
come “il pasticciaccio di Bepi
Stefanel”, per la repentina caduta della candidatura, ma il
vero pasticcio è che Galan
avrebbe dovuto spiegare che
stava candidando un suo (ex)
socio in affari. E invece non
disse nulla. Né disse, a febbraio
2013, mentre la redarguiva
pubblicamente, che in qualche
modo Angela Bruno era una
sua dipendente.
Green Power e la gaffe
di B. con Angela Bruno
La signora Bruno divenne improvvisamente famosa perché
Silvio Berlusconi, invitato nella fabbrica della Green Power,
si rivolse pubblicamente alla
donna chiedendole: “Ma lei,
quante volte viene?”. “Viene a
NELL’OMBRA
È stato socio
di Stefanel
e dell’azienda Green
Power in cui B.
offese Angela Bruno
(che lui redarguì in tv)
vendermi qualcosa, intendo”,
aggiunse l’ex premier, tra i sorrisi del pubblico, dopo la battuta a doppio senso. “L’ennesima offesa alla sensibilità femminile”, polemizzarono politici e associazioni, spingendo
Berlusconi a una mezza retromarcia e la Bruno a ribellarsi.
Fu a quel punto che intervenne
Galan: “Abbiamo gli sms della
signora, che era contenta eccome di quanto accaduto”. Poi la
Bruno ruppe con l’azienda. Ma
chi era il suo capo? E di chi era
socio?
Diciamo che per Galan, l’energia, è una questione di amicizia
e soprattutto di affari. È amico
da sempre di Christian Barzazi, che è stato candidato del Pdl
in Veneto proprio in quota Galan, e fu proprio alla convention organizzata da Barzazi presso la sua Gruppo Green
Power – che l’ex Cavaliere
scherzò in modo sgradevole
con la Bruno. Barzazi è membro del cda di Gruppo Green
Power, ma anche socio di una
società quasi omonima, la
Energia Green Power srl il 10
per cento della quale è controllato da Margherita, una srl dei
coniugi Galan, metà di Giancarlo metà di Sandra Persegato. La Energia Green Power è
nata da poco - febbraio 2013 come frutto di una scissione di
un ramo d’azienda della Green
Power madre, appena quotatasi in Borsa. La piccola Energia
Green Power, invece, ha chiuso il suo primo anno con ricavi
per soli 1.532 euro, patrimonio
di circa un milione e capitale
sociale di 100mila euro. È una
scatola vuota, in pratica, che si
dovrebbe occupare di vendita
d’energia elettrica ma anche di
progettazione di centrali, ricerca di fonti energetiche, e
può essere attiva anche nella
telefonia. E le prospettive devono essere interessanti, vista
la bizzarra struttura societaria:
pur essendo un ramo d’azienda di Gruppo Green Power, i
soci sono i manager (i due Barzazi e il presidente del Gruppo
AMICI MIEI
Luca Ramor) più un politico
amico come Galan. Così gli
eventuali utili andranno a loro,
e non alla casa madre.
La tenuta agricola
di don Gelmini
Nella galassia di società ricostruita dagli inquirenti compare anche la Società Agricola
Frassineto sas, gestita dalla
Margherita srl, holding dei coniugi Galan che la detengono
interamente. La tenuta agricola, che si trova tra Ravenna e
Bologna, secondo gli investigatori ha un valore stimabile in
920mila euro. E nel 2008 la società controllata dai Galan decide di acquistare da don Pierino Gelmini - per la precisione
dalla sua Comunità incontro –
una tenuta vastissima. Siamo
nel periodo di grande difficoltà, per il sacerdote, da poco accusato e indagato per abusi sessuali. La Margherita srl è comunque tra le società che Galan menziona, quando pubblica on line la sua situazione patrimoniale, certificata, come
abbiamo detto dal suo commercialista – e coindagato –
Paolo Venuti. Lo stesso Venuti
che la Gdf intercetta mentre
parla con un collega di studio.
Montagne di banconote
sparite rapidamente
Scrivono gli inquirenti: “L’essenza della gestione, da parte
del Venuti e dei propri collaboratori, del patrimonio illecito
costituito da Galan è tutta condensata in un’intercettazione
ambientale ... talmente indicativa da dover essere riportata”.
Venuti e il collaboratore, prima di accennare espressamente alla situazione di Galan, dicono: “Resta il fatto che montagne di banconote sono sparite...”. “Beh”, risponde Venuti, “montagne è sempre relativo, qualche milioncino di euro”. Poi i due parlano dei benefici ottenuti: “Si fa presto a quei
livelli là...”, dice Venuti, “fai
presto a dare 100, 200 mila tanto perché le cose filino veloci
fluidificante... parliamo di appalti a miliardi di euro”. E il
collega risponde: “Senti, a
noialtri ha fatto fare quelle fatture... tac tac... senza girarsi,
cioè noi siamo tra i... tra virgolette tra i beneficiati”.
Come ti frego
il redditometro
I due parlano quindi di Galan:
“... Giancarlo è molto spaventato – dice Venuti - quindi stavo tirando giù quattro dati delle dichiarazioni vecchie che
noi abbiamo fatto... la logica
redditometro è quella, ma fiscalmente ok, ti faranno un accertamento fiscale, penalmente è un’altra cosa però non è
mica facile, se dicono: dimostrami come hai comprato la
tua casa, cioè tu devi avere i dati
messi in fila...”.
Il problema è come gestire “il
nero”. “È questa la chiave di
volta – risponde il collega a Venuti - sennò, tutto il nero...”. E
In senso orario: Giuseppe Stefanel, Berlusconi ospite con gaffe alla Green Power e il commercialista di Galan,
Paolo Venuti, finito nell’inchiesta
Mose Ansa
Venuti replica: “Lo spendi”.
“Sì, ma dove?”. “E come lo
spendi?”, abbozza una risposta
Venuti. “Non so, vestiti, ristoranti...”. Ma il collega non è
d’accordo. Il sistema è un altro,
e fa l’esempio della benzina,
spiegando che comunque poi
bisogna spiegare da dove si
prelevano i soldi spesi. “Cioè
benzina, cosa fai qua? Paghi
per quanto hai prelevato, e dove l’hai prelevato? Non ho prelevato e come l’hai pagata la
benzina, mi chiavano, mi chiavano subito...giusto? Tu dove
lo spendi? Hai voglia ad andare
ai ristoranti, anche, ma ci sono
alcune spese essenziali che
mancano dei movimenti di
banca, proprio perché faccio
gli extra, il voluttuario, quello è
l’imprendibile”.
bato, il dramma è che il
MOSE Zitelli risponde
progetto sia andato avancon le tangenti. Per
Prodi avrebbe doa Prodi: “Non ci ascoltò” tiquesto
vuto ascoltare la voce delrovo singolare che, invece di pren- la città, l’esposizione appassionata dell’allora
T
dersela con chi si è lasciato corrom- sindaco Cacciari in quel famoso Comitato
pere e ha speculato sul lavoro del Mose ce dei Ministri per Venezia del novembre 2006
la si voglia prendere con chi ha consentito
che un’opera fondamentale per la salvezza di Venezia andasse avanti”. Così ha risposto Romano Prodi a chi come l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari gli ha
rimproverato di “non averlo neppure ricevuto” quando nel 2006 era Premier per
“ascoltare le criticità evidenti del Mose”.
E alla professoressa Andreina Zitelli una
delle responsabili della valutazione
dell’impatto ambientale (VIA) del progetto che ha ricordato a Prodi come ai
tempi “il progetto del Mose fosse nelle sue
mani”. Pronta, asciutta e forte la risposta
che la biologa lagunare: “Siamo bagnati
ma onesti. Meglio una bella acqua alta che
questa marea di tangenti. Voglio pensare
che il Presidente Prodi sia d’accordo con
me. È marginale che questi abbiano ru-
quando l’allora il Premier votò per i suoi ministri e il Mose venne finanziato. “I ministri
sono d’accordo con me, sono io la voce del
Governo” disse lasciando tutti i ministri a
bocca aperta. E a proposito del fatto che Prodi non avrebbe ricevuto progetti credibili la
professoressa Zitelli ricorda: “La verità è che
Prodi era favorevole al Mose e poco gli importava di ascoltare i nostri studi. Siamo stati
6 mesi alla Presidenza del Consiglio a discutere, a dimostrare che il Mose è un cattivo
progetto approvato illegittimamente. E nonostante tutto anche ora il ministro dell’Ambiente Galletti dice: ‘Non è questo i momento per dire se l’opera è utile o inutile bisogna
andare avanti’. Alla faccia del danno ambientale oltre a quello erariale e di un progetto oramai vecchio di dieci anni”.
s.a.
IL TESORO
il Fatto Quotidiano
IHLF SRL
CONSULENZE SANITARIE
Ha un capitale sociale di 10.000 euro, metà dei
quali sottoscritti da Galan in modo anonimo, attraverso la fiduciaria milanese Sirefid operante
nel settore delle consulenze sanitarie. Per la restante parte del capitale, la società è partecipata da dirigenti sanitari veneti e lombardi.
FRANICA DOO
GLI INVESTIMENTI CROATI
La Franica Doo è una srl di diritto croato. Esercente l’attività di “gestione di patrimonio immobiliare proprio” e gestisce quindi patrimonio
estero detenuto in Croazia dai Galan. La finanza
ritiene che sia costituito da più immobili, diverse imbarcazioni e conti correnti.
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
AMIGDALA SRL
GLI AMICI DI FAMIGLIA
La Amigdala ha un capitale sociale di 50 mila
euro ed è partecipata dalla moglie di Galan al
20% in modo anonimo sempre tramite la Sirefid. Il resto del capitale lo detengono la PVP (del
commercialista Paolo Venuti) e la Finpiave
dell’imprenditore tessile Giuseppe Stefanel.
3
THELMA ITALIA SPA
IL GAS INDONESIANO
Le quote della società (con un capitale sociale
deliberato e interamente versato di 3.300.000)
sono formalmente intestate a terzi soggetti; il capitale, tuttavia, è stato garantito dai coniugi Venuti tramite prestito della solita Sirefid. Dovrebbe occuparsi di commercio di gas indonesiano.
La fiduciaria schermo
tra Sanità & “Santità”
IL DEPUTATO DETIENE IL 50% DELLA IHFL: AD AMMINISTRARLA C’È RUSCITTI,
INDAGATO PER IL MOSE. HANNO QUOTE NOMI NOTI NELLE ASL E IN VATICANO
di Marco Lillo
L
a società più misteriosa di Galan ha un
nome enigmatico
come la sua storia:
IHLF SRL.
È segnalata dalla Procura di
Venezia nella sua richiesta di
arresto contro l’ex presidente
della Regione Veneto nel capitolo nel quale si ricostruiscono le sue proprietà per verificare la rispondenza delle
entrate con le uscite, davvero
cospicue dei Galan. La IHLF
Srl è al 50 per cento di Galan,
non è stata dichiarata pubblicamente al Parlamento e vanta
sette soci noti del mondo a cavallo tra Chiesa, politica regionale e Sanità.
LA PROCURA di Venezia scrive nella richiesta di arresto che:
“IHLF Srl è una società con capitale sociale deliberato di
10.000 euro ed è partecipata da
Galan Giancarlo al 50 per cento in modo anonimo, ovvero
tramite la fiduciaria milanese
Sirefid SPA”. Aggiunge che
IHLF è “operante nel settore
delle consulenze sanitarie” e
che “per la restante parte del
capitale, la società è partecipata da una serie di importanti
dirigenti sanitari veneti e lombardi, nonché, per il 6,25 per
cento, da parte di altra fiduciaria (Esperia spa) per conto di
ignoti”.
Il Fatto Quotidiano è andato a verificare alla Camera di Commercio scoprendo molte cose
interessanti. La società è stata
fondata il 29 dicembre del
2011, quando Galan non era
più presidente del Veneto ed
Alberto Prandin
Stefano Del Missier
era andato a Roma a fare il ministro della cultura. L’amministratore unico (socio con il solito 6,25 per cento) è Giancarlo
Ruscitti, indagato nell’indagine del Mose. I pm hanno chiesto il 2 dicembre del 2013 per
lui l’arresto (senza ottenerlo
dal Gip) perché “Ruscitti riceveva nell’anno 2011 compensi
per operazioni soggettivamente inesistenti per 184.663 dal
marzo 2011 al 5 gennaio
2012”.
La storia riguarda stavolta non
il Mose ma la sanità: “Giovanni
Mazzacurati (il presidente del
CVN che deve realizzare il
Mose, Ndr) infatti, a partire
dall’anno 2010, è stato sensibilmente interessato - scrivono
i pm - alle vicende relative del
Nuovo Ospedale di Padova. In
tale contesto, Mazzacurati ha
affidato un incarico all’ex Segretario Regionale alla Sanità e
al Sociale della Regione Veneto - Dott. Ruscitti Giancarlo,
già coordinatore dell’iter procedurale relativo alla programmazione del piano per la realizzazione del nuovo ospedale.
Il pagamento dell’onere è stato
effettuato con risorse del CVN
transitate al Co.ve.co (la coop
rossa che svolge i lavori del
Mose, Ndr) e Mazzacurati ha
affidato l’incarico a Ruscitti al
fine di cercare il consenso da
parte delle autorità politiche
regionali, provinciali e nazionali nonché dei referenti degli
Enti Pubblici interessati per
promuovere la costruzione del
nuovo ospedale di Padova”.
Per coprire l’esborso il
Co.ve.co si è prestato a firmare
con Ruscitti un contratto da
co.co.pro. da 200 mila euro.
Ruscitti è un personaggio legato al mondo del Vaticano,
membro del consiglio direttivo del Cerismas (Centro di Ricerche e Studi in Management
Sanitario) costituito nei primi
mesi del 2000, su iniziativa
ASSOCIATI DOC
Bufacchi è direttore
dell’Ufficio del Lavoro
della Sede Apostolica,
Del Missier è l’uomo
di Cl attivissimo
in Lombardia
FUORI DALL’ITALIA
Villa e affari istriani per il “doge”
dall’inviata a Venezia
l patrimonio occultato dal “PicI
colo Doge” come lo chiamavano
quando era presidente della Regio-
ne Veneto, Giancarlo Galan secondo le verifiche della Guardia di finanza dal 2000 al 2011 corrisponde
a un milione e 300 mila euro che,
secondo l’accusa, sarebbe lo stipendio percepito dal sistema Mose. Il
calcolo è semplice: dichiara 1,4 milioni di euro e ne spende 2,7. La
differenza avrebbe preso strade diverse via terra, via mare e via aerea:
Venezia, Milano, Indonesia, Croazia.
In Croazia Galan nel 2011, quando
era ancora vietato agli stranieri acquistare case o barche, per diventare
proprietario di una meravigliosa
villa a Rovigno in Istria con affaccio
e discesa direttamente sul mare il 23
giugno del 2011 costituisce la so-
cietà Franica Doo (srl) con sede a servizio nautico, rurale, sanità, conRovinj (Rovigno) Passaggio dei Pe- gressi, sport, caccia e altre forme di
scatori
4,
capitale
sociale turismo, servizi turistici. Villa che
1,173,300.00 kune (130 mila euro) gli è stata fatta acquistare da Nino
domiciliata presso lo studio dell’av- Jakovčić, ex padre padrone del parvocato Korado Sergovic 43. Istarske tito regionale di maggioranza assoDivizije 17 52210 Rovinj.
luta , la Dieta democratica istriana
Scopo della società: acquisto e ven- (IDS-DDI), suo uomo di riferimendita di beni sui mercati nazionali ed to in Istria. Poi diventa proprietario
esteri, Agenzia di commercio su anche di un’altra casa sull’isola Mali
mercati nazionali ed esteri, rappre- losinj (Lussinpiccolo) di fronte a
sentanza di aziende estere e nazio- Fiume. “L’ho incontrato proprio a
nali nel commercio di
La cittadina istriana di Rovigno Wikipedia Cc
beni e servizi, preparazione di alimenti e
servizi di ristorazione, preparazione e
servizio
bevande,
preparazione del cibo
per il consumo altrove (nei veicoli, in occasione di eventi, ecc)
e la fornitura di alimenti (ristorazione),
Mali Losinj il 18 giugno del 2011
quando era ministro per i Beni e le
Attività culturali del governo Berlusconi in occasione dell’inaugurazione dell’asilo per bimbi italiani”
racconta Maurizio Tremul presidente dell’Unione italiani in Croazia che si dice costernato per lo
scandalo che lo ha travolto: “Era arrivato con la sua barca da pesca d’altura, come sempre circondato da
donne avvenenti”.
COME LA BELLISSIMA signora
croata che era al suo fianco in occasione del concerto organizzato
proprio da Tremul il 3 settembre
2011 all’arena di Pola alla presenza
del presidente Giorgio Napolitano.
“Era un onore per noi italiani avere
un ministro, ma ora un po’ ce ne
vergogniamo”. Sentimento condiviso anche in Italia.
@sandraamurri1
dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore e della Fondazione Carlo Besta. Inoltre, dopo
essere stato segretario della Sanità del Veneto in Regione, dal
2010 è Amministratore Delegato della Fondazione Opera
San Camillo fondata nel 2008,
gestisce 18 strutture tra case di
cura, ambulatori, residenze di
riabilitazione. Anche Giuseppe Di Ponzio viene da quel
mondo: è il Direttore della casa
di cura San Pio X di Milano che
fa parte della Fondazione Ordine di San Camillo, amministrata da Ruscitti.
E ANCHE MASSIMO Bufacchi
è un nome noto in Vaticano. Il
socio di Galan nella IHLF è infatti direttore del personale
dell’ULSA, cioé l’Ufficio del
Lavoro della Sede Apostolica,
il cui presidente è il vescovo
(nonché presidente dell’Autorità antiriciclaggio del Vaticano, AIF) Giorgio Corbellini.
Ulsa, istituito nel 1989 si occupa del personale della Curia
romana. Poi c’è una serie di soci di Galan che sono manager
sanitari della sua regione.
Il socio di IHLF Bortolo Simoni è direttore generale della Usl
8 di Asolo ed è stato a lungo il
commissario della Usl 2 di Feltre, nominato dal presidente
Galan.
Un altro socio pesante è Stefano Del Missier, così descritto
da Repubblica in un articolo
del luglio 2007 sui mega stipendi della Regione Lombardia “ Ottima annata per Stefano Del Missier, dopo l’esperienza di commissario all’Asl
di Lecco venne nominato direttore dei rapporti con le delegazioni straniere da Formigoni: dai 143mila euro del
2010 ai 189mila del 2012”.
Alberto Prandin è stato per anni il direttore generale
dell’ospedale di Motta di Livenza, in provincia di Padova.
Nel 2009 Galan andò in visita
al suo ospedale e lo definì
un’eccelenza. Nel febbraio
2013 è stato rimosso ma lui ha
impugnato il licenziamento.
Infine c’è Giovanni Pavesi: direttore generale della Usl di
Monselice in provincia di Padova.
Cosa ci faccia Giancarlo Galan,
nascosto dietro una fiduciaria,
in una società con manager
delle Asl del Veneto e dirigenti
dei camilliani e del Vaticano
resta un mistero. L’oggetto
della società è “prestazione di
servizi e attività di consulenza
nel settore sanitario ed ospedaliero” in particolare “nella
costruzione e gestione di strutture sanitarie ed ospedaliere
all’estero”. Tra le tante cose che
l’ex presidente della Regione
deve spiegare ora c’è anche la
IHLF.
4
di Sandra
I
ACQUA ALTA
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
Amurri
inviata a Venezia
l Consorzio Venezia
Nuova, dominus indiscusso del Mose, 227
dipendenti, 22 dirigenti pagati fino a 200 mila
euro l’anno, era finalizzato,
di fatto, a comperare il consenso di chiunque potesse rivelarsi prezioso per eliminare lacci e laccioli alla realizzazione del Mose, compresi,
naturalmente figli e parenti.
Tutto “secondo una gestione
quasi ‘familiare’ dell’impresa a opera dei Mazzacurati”,
come si legge nell’informativa della Guardia di Finanza. Il presidente Mazzacurati, a parte l’una tantum di un
milione di euro del 2009, si
faceva pagare dal Consorzio
anche l’assicurazione di casa
oltre ai “benefici economici
ottenuti direttamente o indirettamente dal CVN anche
alle figlie, alla moglie, all'ex
moglie ecc...”. L’elenco prosegue con figli e parenti di
dipendenti CVN (o società
collegate) o di pubblici ufficiali e consulenti assunti in
società collegate al Consorzio. La figlia Cristina del
consulente CVN Francesco
Giordano; il fratello di Valentina Croff, rappresentante legale CVN; Matilde e
Francesco Cazzagon rispettivamente marito e figlia del
dirigente responsabile Programmazione e controllo
CVN, Nicoletta Doni; il marito di Maria Brotto, dirigente responsabile del Servizio
il Fatto Quotidiano
ALTRO CHE MOSE: LA GRANDE
OPERA È UNA GRANDE FAMIGLIA
CONSULENZE E ASSUNZIONI A VENEZIA CON INCARICHI FARLOCCHI E SPESE FOLLI
progettazione opere alle
bocche di porto del CVN; il
figlio Alessandro del dipendente CVN Sergio Nave; il
genero e il figlio dell’ingegnere Johann Stocker del
Consorzio. Scrive la Finanza: “Senza entrare nel merito
delle attività eseguite, suscitano non poche perplessità i
vincoli familiari che legano i
soggetti, tutti collegati direttamente o indirettamente a
CVN”.
NELL’ELENCO delle persone
che il Consorzio Nuova Venezia aveva a cuore c’è anche
Giampietro Beltotto, ex portavoce del governatore del
Veneto, Luca Zaia, che ora
cura l’immagine della Fenice
contattato dall’addetta stampa del Consorzio, Flavia Faccioli per arginare gli attacchi
sulla stampa di un assessore
provinciale leghista. Il motto
era “Una consulenza CVN
non si rifiuta a nessuno” come rivela Pio Savioli, consigliere del Consorzio, e
all’epoca del fatto, marzo
2011, assessore comunale alle attività produttive intercettato mentre parla con Antonio Paruzzolo, ex ammini-
I lavori in Laguna a Venezia Ansa
L’EX PRESIDENTE
Oltre il milione di euro,
si faceva pagare
anche l’assicurazione
di casa e sfruttava
dei “benefici economici”
per i suoi “cari”
stratore delegato di Thetis
(società collegata al Venezia
Nuova). E una vacanza per
l’intera famiglia come quella
offerta nel 2011 in Toscana al
Funzionario della Presidenza del Consiglio dei ministri,
capo dipartimento per la
programmazione e il coordinamento della politica economica” Paolo Signorini al
fine di “reperire i fondi da
destinare alla conclusione
dell’opera Mose”.
Scrivono le Fiamme Gialle:
“L’ingerenza non si è fermata alla sola nomina dei presidenti del magistrato alle
acque di Venezia è proseguita con una gestione assolutamente promiscua dell’ente deputato a controllare (Il
magistrato alle acque) e del
Consorzio
formalmente
controllato, il Cvn”. Mazzacurati aveva impiegato “svariati dipendenti del CVN
presso il magistrato alle acque, anche con compiti di
redazione di atti i quali, in
sostanza, vengono predisposti indifferentemente da
personale magistrato alle acque o da personale CVN,
semplicemente a seconda di
chi è disponibile”. Il presidente del magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, oltre agli 800 mila euro di stipendio per i due anni in cui è
rimasto in carica, dal 2008 al
2011, e alla buonuscita di
500 mila ricevuti dal Consorzio su un conto svizzero,
in cambio di “Atti contrari
ai doveri d’ufficio”, ottiene
per la figlia Flavia “prima,
un contratto di collabora-
zione a progetto con il CVN
per un compenso lordo di
euro 27.600 poi l’assunzione
alla Thetis S.p.A., controllata del CVN. E come se non
bastasse fa avere al fratello
Paolo, architetto, un contratto tramite il co.ve.co di
38 mila euro pagato con i
fondi del CVN.
Infine “otteneva per sé e
per i componenti del proprio nucleo famigliare utilità o la promessa di utilità
rappresentate da voli con
aerei privati, nonché alloggi e pranzi in alberghi e ristoranti di lusso ubicati in
Venezia, Cortina d’A mpezzo e altre località” .
UN COSTO a sé aveva l’i mmunità giudiziaria come i
500 mila euro al comandante della Guardia di Finanza Emilio Spaziante pagato, secondo l’ex segretaria di Galan da Baita della
Mantovani, azionista di
maggioranza del CVN. “Mi
chiese anche di fare un
paio di assunzioni”. Due
ragazze, “una si chiama S,
figlia di un comandante dei
Servizi segreti – continua
l'ex segretaria e – l’altra si
chiama A., figlia di un importante funzionario della
Regione Veneto, addetto
alle opere di bonifica e di
salvaguardia della Laguna”. Tutti lautamente pagati e corrotti sempre con
soldi pubblici.
ACQUA ALTA
il Fatto Quotidiano
Ela protesta
in Laguna torna
contro
le Grandi Navi
di Davide Vecchi
inviato a Venezia
o non riesco a fare niente, anzi ci siamo sconI
trati in Consiglio dei ministri con Tremonti,
che è stato anche particolarmente sgradevole,
accusandomi di avere qualche interesse personale sul Consorzio Venezia Nuova”. Così Gianni Letta riporta l’esito delle pressioni che avrebbe fatto per sbloccare i fondi al Cipe per il Mose
a favore dell’allora presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, suggerendogli: “Dovete trovare
una strada per contattare Tremonti”. E il “papà
del Mose”, da 30 anni a capo del Consorzio,
diventato il “grande burattinaio” della serenissima cricca finita in carcere mercoledì, va direttamente a Milano dall’allora ministro
dell’Economia, poi torna al Consorzio e illumina i soci: “Se volete sbloccare il Cipe sono 500
mila euro da consegnare a Milanese”. Nell’intervista sotto, Fabris racconta di avere trovato
revocato. una consulenza assegnata a Milanese
da Cnv.
LA RICOSTRUZIONE è contenuta nelle 400 pa-
gine della richiesta di misure cautelari firmata
dai procuratori Carlo Nordio e Luigi Delpino il
2 dicembre scorso e conferma, ancora una volta,
il ruolo centrale di Mazzacurati. Che si preoccupa di tutto e tutti dalla tolda di comando del
Cvn. Crea la rete con politici, magistrati, forze
dell’ordine. Li stipendia, ci intrattiene i rapporti
e utilizza le casse del Cvn come fossero cosa sua.
Una informativa della Guardia di Finanza mette
in fila tutte le uscite verso parenti e amici dimostrando la “gestione familiare dell’impresa a
opera dei Mazzacurati” fino a riconoscere a se
stesso una liquidazione da 7 milioni di euro ricevuta lo scorso marzo, pochi mesi dopo il suo
arresto avvenuto il 12 luglio 2013, dieci giorni
dopo le dimissioni dalla presidenza del Con-
Mauro Fabris
di Giorgio Meletti
e lei vuol parlare di tangenti
S
parliamone, però prima le
dico la cosa più preoccupante: lo
Stato sta spendendo 5,5 miliardi
di euro per un’opera unica ma
non è in grado di rivendersela in
giro per il mondo perché non ha
proprietà del know how e dei brevetti che ha finanziato. Le pare
poco?”. Mauro Fabris, ex parlamentare mastelliano, ex sottosegretario ai Lavori pubblici, è
da un anno presidente del
Consorzio Venezia Nuova. Lo hanno chiamato a
sostituire
Giovanni
Mazzacurati, per decenni padre-padrone del
progetto Mose (“Ma
non lo avevano ancora
arrestato, sapevo che la
situazione era grave,
ma non così tanto”).
Scusi, ma di chi sono
i brevetti pagati da
Pantalone?
I vari pezzi delle ditte
che li hanno sviluppati, il sistema nel
suo complesso di
nessuno. Il consorzio è nato con aziende in maggioranza
pubbliche, poi il Mose è
stato privatizzato.
Non si può neppure commissariare
COPERTONI COLORATI come salvagenti da lanciare a una città che rischia di annegare nel mare
in tempesta dell’inchiesta sulle tangenti del Mose. È l'immagine-simbolo della protesta messa in
atto ieri da duemila aderenti al Comitato No
Grandi navi per tornare a chiedere lo stop irrevocabile al passaggio delle navi da crociera davanti a Piazza San Marco e una inversione di rotta
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
sulle grandi opere in laguna. Una manifestazione
che ha saldato anime diverse della città: gli antagonisti e gli ambientalisti, i secessionisti della
prima ora capeggiati da Franco Rocchetta e quanti, senza nessuna bandiera, si battono perchè a
Venezia la sagoma dei grattacieli del mare non si
profili più a poche manciate di metri dal “salotto
buono” della città.
Tattica Mazzacurati:
“Per sbloccare il Cipe
va pagato Milanese”
TELEFONA A GIANNI LETTA E POI CERCA TREMONTI. E USAVA
DENARO PUBBLICO ANCHE PER LE VILLE IN USA E PER I PARENTI
sorzio presentate per “motivi di salute”. Dopo
aver pensato a sé, si è preoccupato della consorte, Rosangela Taddei, ovviamente sempre a
spese del Cnv, arrivando a far pagare al Consorzio l’assicurazione della sua abitazione a Venezia e l’affitto di una residenza in California
sempre intestata alla moglie. Che ha case, fra
l’altro, anche a Cortina. Infine le tre figlie Cristina, Elena e Giovannella, sono state attenzione
di cure da parte del padre. Ovviamente tramite
la cassaforte pubblica usata a scopi privati annota la Gdf: “Benefici economici ottenuti direttamente o indirettamente dal Cvn anche alle
figlie”.
In quella che gli uomini delle Fiamme Gialle
definiscono “gestione familiare dell'impresa”.
Basti citare le consulenze elargite nel solo 2008:
6 milioni e mezzo di utilità “a dir poco dubbi”,
annota la Gdf. “Senza entrare nel merito delle
attività eseguite, suscitano non poche perplessità i vincoli familiari che legano i soggetti, tutti
collegati direttamente o indirettamente a Cvn”.
Mazzacurati si preoccupa anche dei due figli
maschi, Giuseppe e Carlo, ritenuto, quest’ultimo, uno dei migliori registi italiani e scomparso
prematuramente lo scorso gennaio. I beneficiari
delle attenzioni del presidente del Consorzio
non finiscono al primo grado di parentela. Mazzacurati affida consulenze anche a Konstantin
Skachinskiy, un parente prima acquisito e poi
perso: è l’ex marito della figlia Cristina. Ci sono
anche la figliastra di Mazzacurati, primogenita
della signora Taddei, Marina Elettra Snow e il di
lei marito Pietro Nascimbeni. Il “grande burattinaio” ha un cuore d’oro e il portafoglio del
Consorzio che è nato per realizzare il Mose e ha
gestito finora 5,5 miliardi di soldi pubblici. Nel
2009, quando il costo dell’opera era già lievitato
dagli 1,5 miliardi previsti ai 4,678 miliardi cinque anni fa effettivi, Mazzacurati, intervistato
dal Corriere sul perché di questo aumento abnorme, spiegò: “C’è un problema legato al fatto
che questi soldi entrino integralmente alla voce
debito pubblico. Basterebbe prevedere, come
avviene in tutte le aziende, un piano di ammortamento. Ma in ogni caso sono garantiti”.
IN QUESTI GIORNI Mazzacurati, 82 anni, si tro-
va all’estero. Direttore generale del Consorzio
dal 1983 al 2005, quando è diventato presidente,
è finito in carcere nel luglio 2013 e da allora non
ha più parlato. Ieri ha rotto il silenzio attraverso
il suo avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, ma esclusivamente per rispondere alle
accuse di Piergiorgio Baita ex presidente della
Mantovani, primo socio del Consorzio Venezia
Nuova, e con lui finito in carcere. Baita ha attribuito tutte le responsabilità della cricca su
Mazzacurati: “Decideva tutto lui”. L’ingegnere,
ha ribattuto Muscari Tomaioli, “ha preso atto
delle sconcertanti dichiarazioni di Baita. Noi
abbiamo un profilo differente e riteniamo che il
tutto sia da affidare all'autorità giudiziaria”. Aggiungendo: “Mazzacurati avrebbe molto da dire
sul punto, ma non riteniamo che sia opportuno
e neppure il momento per farlo”.
Giovanni Mazzacurati Ansa
[email protected]
Al collaboratore dell’ex ministro
COPPE
Il sindaco Orsoni, coinvolto
nell’inchiesta
sul Mose, alla
presentazione
della candidatura della città
alla America’s
Cup Ansa
“Io la consulenza
gliel’ho tolta”
Mauro Fabris
LaPresse
No. E le dico, magari potessero.
Io comunque ho un solo obiettivo: finire l’opera, la cui utilità è
stata riconosciuta dallo stesso
procuratore Carlo Nordio. E poi
chiudere baracca. Stiamo rispettando tempi, costi e anche l’ambiente. A dispetto degli ecologisti
gufi, come si usa dire, quest’anno
sono tornati quattromila fenicotteri in laguna. Il governo poi
prenda le sue decisioni, noi saremo sempre d’accordo.
Piergiorgio Baita, ex capo della
Mantovani (che ha il 43 per
cento di Venezia Nuova), arrestato l’anno scorso e già fuori
dallo scandalo perché ha patteggiato, parla di imprese con-
IL NUMERO
UNO
Ho tagliato i 400 mila
euro che ogni anno
regalavano
al Marcianum, il polopedagogico che fondò
l’ex Patriarca Scola:
si è arrabbiato molto
5
cusse dal Consorzio, che avrebbe succhiato un miliardo per le
sue spese.
Non voglio discutere con Baita.
Al consorzio spetta il 12 per
cento dell’importo dell’opera,
più un’altra piccola retrocessione concordata con le imprese
negli anni passati. In tutto fanno circa 700 milioni in 30 anni.
E le tangenti sono uscite da questo gruzzolo?
Quando mi sono insediato ho
chiesto una due diligence . Poi anche
i magistrati sono venuti a setacciare tutto. È tutto formalmente a posto, anche se i magistrati hanno
scoperto cose che segnano una distanza tra forma e sostanza. Quello
che ho notato è una certa generosità con la città di Venezia, dove
ora tutti cadono dalle nuvole.
Lo dica in cifre.
I dipendenti di Venezia Nuova
erano 180 e adesso sono 120. La
struttura costava 30 milioni
all’anno e adesso ne costa 20.
Naturalmente ho provocato
forti malumori. Ho azzerato le
cosiddette liberalità, milioni di
euro a pioggia sulla città.
Come una Fondazione bancaria.
Ecco perché dicono che ha fatto
arrabbiare l'arcivescovo di Milano, Angelo Scola.
Purtroppo ho dovuto tagliare i
400 mila euro che ogni anno il
Consorzio regalava al Marcianum, il cosiddetto polo-pedagogico che fondò da Patriarca di
Venezia. Il presidente è Gabriele Galateri, presidente anche
delle Assicurazioni Generali.
Gente forte. Ma ho tagliato tante regalie, quella alle Orsoline,
quella alla casa del clero... Io sono un buon cattolico e adesso
ho paura di andare all’inferno.
L’ha pensato da solo o ha ricevuto segnali in tal senso?
Ho cominciato a temerlo dopo
l’arrabbiatura del Patriarca attuale, Francesco Moraglia.
Confessi. Quanto altro dolore ha
provocato?
Ho tolto i finanziamenti al teatro La Fenice, ho più che dimezzato le consulenze, costavano
6-7 milioni l’anno.
C’era anche Marco Milanese,
braccio destro di Tremonti?
Ho tagliato anche lui.
Anche lei aveva una consulenza.
Attraverso la società di cui è
azionista mia moglie facevo
consulenza per Mazzacurati,
l’ho eliminata il giorno stesso
della mia nomina a presidente.
Anche lei ha avuto il suo dolore.
Piccolo, 120 mila euro l’anno.
Mi ha fatto più male scoprire che
erano stati versati 2 milioni al comune per l'America’s Cup.
Il sindaco Orsoni è appassionato
di vela.
Sì, al punto che doveva fare le
regate per due anni di seguito, e
qui hanno fatto contratti per
due anni. Poi l’America’s Cup è
andata a Napoli e a me sono arrivati i decreti ingiuntivi di chi
aspettava il contributo.
Torniamo alla teoria delle aziende concusse dal Consorzio, come se fosse un carrozzone politico. Ma a lei chi l'ha chiamata
per fare il presidente?
Le aziende del Consorzio, è ovvio, sono loro le padrone. E non
mostravano spirito di rivalsa
verso una struttura opprimente. Il problema semmai era la
conflittualità tra loro, e hanno
chiamato me e il direttore generale Hermes Redi perché conoscevamo bene questa realtà.
Non hanno fatto una piega di
fronte alle le mie condizioni.
Quali?
Basta con le mance alla città. E
poi la più importante: il Consorzio si sciolga quando sarà finito il Mose. Qualcuno voleva
restare a Venezia per l’eternità,
per gestione e manutenzione
delle dighe mobili. La mia risposta è che ogni euro risparmiato con i miei tagli, visto che
non possiamo distribuire utili,
torna allo Stato. A fine corsa
conto di restituire 40 milioni.
6
MEA CULPA
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
C“Abolite
antone al governo:
la legge di B.
sul falso in bilancio”
di Luca De Carolis
N
on nega e non fa
neppure distinzioni. “Nella vicenda
di Venezia la responsabilità della politica è evidente, e vale anche per la mia
parte. Il problema riguarda pure il Pd”. Intervistato a Napoli
da Ezio Mauro per la Repubblica
delle idee, Matteo Renzi ammette le (presunte) colpe dei Democratici nello sfascio del Mose. Tanto da aggiungere: “Guai
a chi dice ‘ma non è iscritto’”.
Una sconfessione del fedelissimo Luca Lotti, che due giorni fa
aveva provato la presa di distanza: “Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, non è iscritto al Pd”.
Parole che avevano provocato
ironia e proteste. E così Renzi
prova a sparigliare: “Se nel Partito democratico c’è chi ruba,
costui deve andare a casa a calci
nel sedere. Non c’è Pd o non Pd,
ci sono ladri e non ladri”. Riconosce che “su Greganti il Pd ha
sbagliato, e da segretario mi
prendo le mie responsabilità”.
POI SI PASSA agli annunci in
stile renziano. “È il momento di
una riforma radicale contro la
corruzione, e se serve una settimana in più ce la prendiamo.
Venerdì intanto portiamo un
provvedimento ad hoc in Consiglio dei ministri: daremo più
funzioni all’Autorità Anti-corruzione”. Ossia a Raffaele Cantone, che le invocava da tempo.
Verranno tolte “a quelle autorità che non si sono accorte di nulla”. Stando alle voci, all’Autorità
per la vigilanza sui contratti
pubblici. La “risposta strutturale” di Renzi però è la riforma
della giustizia, entro fine mese.
Piatto forte, il Daspo contro politici e corruttori condannati in
via definitiva: “Mi fai la cortesia,
tu che hai corrotto o concusso
qualcuno, di non mettere più
piede negli uffici pubblici”. Poco dopo, sullo stesso palco, Cantone dirà un sì condizionato:
“Per il Mose si può fare, per
RAFFAELE CANTONE e Matteo Renzi sembrano
marciare uniti. I due si sono incontrati ieri mattina
a Napoli, prima di intervenire - entrambi, ma in
momenti diversi - alla Repubblica delle idee. Venerdì il commissario anti-corruzione dovrebbe finalmente avere maggiori poteri: “Ma non avrò la
bacchetta magica”, avverte. L’ex pm, come il premier, ritiene che la prima cosa da fare sia “met-
il Fatto Quotidiano
tere mano al codice degli appalti” (“se per ogni
grande opera c’è una deroga significa che è fatta
male”) e s’è detto a favore anche del “Daspo” agli
imprenditori che corrompono, sottolineandone
però le difficoltà applicative: “Per il Mose si potrebbe anche fare, ma per Expo no: il 1 maggio
2015 i cantieri devono essere chiusi”. Infine, un
passaggio sul falso in bilancio: “Va ripristinato,
così come serve una norma seria sul riciclaggio. I
termini di prescrizione oggi sono inaccettabili”.
L’attuale Parlamento ha il problema che entrambi
questi provvedimenti non piacciono a Silvio Berlusconi, ma il problema non è certo solo lui: “Una
parte dell’imprenditoria italiana festeggiò quando il falso in bilancio fu depenalizzato. Troppo
facile dare la colpa solo a Berlusconi”.
CORRUZIONE RENZI:
“COLPA ANCHE DEL PD,
VENERDÌ NUOVE NORME”
“SE TRA NOI C’È CHI RUBA, SE NE VA A CASA A CALCI”. IL PREMIER
ANNUNCIA: SUBITO I POTERI ALL’AUTHORITY, POI ENTRO GIUGNO
IL DASPO AI POLITICI E LA RIFORMA DEL CODICE DEGLI APPALTI
l’Expo no, perché i lavori dovranno essere chiusi entro il 1°
maggio”. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, è sulla stessa
linea: “Apprezzo molto l’idea
del Daspo”. Ma rilancia: “Si possono inserire i reati di corruzione tra quelli di competenza delle
Direzioni distrettuali antimafia.
Non solo: si può inserire un codicillo che blocchi ogni vitalizio
per i politici condannati per reati di mafia e di corruzione, nonché estendere la decadenza e la
incandidabilità ai parlamentari
senza alcun limite, così come
per i sindaci e i consiglieri regionali”. La palla torna comunque a Renzi, che a Napoli ha annunciato anche altro: “Venerdì
arriveranno le misure per la
semplificazione fiscale, e
dall’anno prossimo arriva la dichiarazione dei redditi precompilata”. Quindi, le riforme:
“Credo che entro l’estate si arriverà all’approvazione della
legge elettorale e alla prima lettura della riforma costituzionale”. Ma c’è la postilla per le orecchie berlusconiane: “Sappiano
lorsignori che il Pd, forte del risultato elettorale, non accetta
giochi alla meno”.
A proposito di risultato, Renzi
ammette la sorpresa per il 40,8
per cento (“mi aspettavo il 35”).
Infine, su Grillo: “L’atteggiamento del M5S è insopportabile, va a Londra a parlare con lo
xenofobo (Farage, ndr) e non
vuole discutere con noi”.
Twitter @lucadecarolis
GRILLO sbotta: “Ora ci
prende pure per il culo”
a bene abbassare i toni e riconoscere i propri erV
rori, ma quando è troppo, è troppo. Farsi prendere per il culo come se dovessimo scontare una condanna a vita da cornuti e mazziati è troppo”. Beppe
Grillo, o meglio il suo blog, reagisce così all’ultimo
affondo di Matteo Renzi (“parlano con gli xenofobi e
non con noi”): “Quando Renzi afferma che ‘il problema della corruzione sono i ladri, non le regole’ è
troppo. Ma i ladri stanno (anche) nel
tuo partito”. Vedasi la relativa foto
di Orsoni con Pier Luigi Bersani. Il
M5S accusa in sostanza il premier di
lottare contro la corruzione solo a
chiacchiere, mentre tenta in realtà di
nascondere il coinvolgimento del
Pd negli scandali. Non solo. La corruzione, per il blog,
pare spiegare anche il risultato delle Europee : “Quanti voti sposta la corruzione? Tanti. Di tutti quelli che
ne godono, anche di poche briciole gettate sotto il
tavolo. Dopo l’astensione, la corruzione è il primo
partito del voto”. Al netto dei brogli, ovviamente.
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ieri a Napoli Ansa
Francesco Boccia
Riflessioni democratiche
Francesco Boccia LaPresse
“Incalza?
Nei ministeri
è necessario
un ricambio”
di Marco Palombi
atteo Renzi, da Napoli,
M
fa un annuncio e un’ammissione: “Riformeremo su-
bito il codice degli appalti” e
negli scandali emersi in queste settimane “ci sono anche
responsabilità del Pd”. Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, deputato democratico in rapporti non sempre semplici col premier (vedi
il caso della cosiddetta web
tax) stavolta sottoscrive tutto
e fa di più: applica il teorema
renziano alla realtà creata dalle inchieste. Col Fatto Quotidiano parla di tutto questo: dai
possibili correttivi legislativi
contro la corruzione negli appalti pubblici al potentissimo
ras degli appalti del ministero
delle Infrastrutture Ettore Incalza, dal caso Expo alle eventuali responsabilità del suo
collega di partito, il ministro
dell’Agricoltura
Maurizio
Martina. “La prima cosa da fare – ci dice – è abolire gli appalti col massimo ribasso: solo con questo salterebbero
molte delle conventicole italiane delle gare pubbliche”.
Addirittura.
Noi ora assegniamo le gare a
chi offre di meno. Sa poi che
succede? I prezzi salgono dopo l’appalto grazie al meccanismo delle cosiddette ‘riserve’, alle deroghe arbitrarie in
cui magari si infilano anche le
tangenti. È questo il meccanismo che viene fuori anche dalle inchieste su Expo o sul Mose per non citare che le ultime
due.
Invece il suo sistema cosa prevede.
L’ente pubblico fissa il prezzo
dei lavori che servono al pro-
getto e assegna l’appalto
all’azienda che gli dà di più:
garanzie sulla qualità, per dire, oppure che sempre allo
stesso prezzo costruisce un
asilo o sistema una strada o
che so io. Il di più, insomma,
se lo deve prendere la collettività e non il politico o il funzionario pubblico.
apicali delle amministrazioni
centrali.
Ogni volta che ne abbiamo
proposto l’abolizione una
grossa lobby accorre in difesa
e affossa il progetto.
Come funziona?
Se è così semplice perché il
massimo ribasso è ancora lì.
Chi?
Sono pezzi di Confindustria e
del Parlamento, anche del
Partito democratico, ma soprattutto è una certa alta bu-
POLTRONE
& PAPAVERI
Volevamo abolire
il ‘massimo ribasso’
negli appalti, ma l’alta
burocrazia ci bloccava
Lasciare troppi anni
le stesse persone
in quei posti non è sano
rocrazia ministeriale coi suoi
omologhi negli enti locali.
Si riferisce a Ettore Incalza, il
dirigente delle Infrastrutture
di cui in prima pagina chiediamo lo spostamento?
Non voglio fare nomi, ma
posso dire che è evidente che
non si può restare troppi anni
nello stesso posto, specialmente se parliamo di poltrone
Veniamo al caso Expo.
Su questo voglio dire una cosa
preliminare. La magistratura
farà il suo lavoro, ora l’obiettivo è portare a termine i lavori. La proposta mia e di altri
nel Pd è istituire un ‘Commissario di contratto’, magari nominato su proposta della stessa Autorità anti-corruzione.
Se ci sono indagini gravi, magari con imprenditori o funzionari pubblici sottoposti a
provvedimenti restrittivi, si
nomina un commissario terzo: sarà lui a gestire l’appalto
incriminato mentre la giustizia fa il suo corso. Questo vale
in particolare per Expo: stiamo parlando dell’investimento infrastrutturale per
singolo evento più rilevante
dai tempi di Italia 90, un fatto
di straordinaria importanza
per il Paese: i ritardi e il rischio
di fallimento sono intollerabili.
E però ci sono entrambi e in
una struttura, Expo, a sostanziale guida Pd.
E per questo sono d’accordo
con Renzi quando parla delle
nostre responsabilità. I reati li
accerterà la magistratura, ma
le responsabilità politiche di
questa situazione devono essere chiarite. Non è un mistero per nessuno che l’attuale
governance di Expo 2015 sia
vicina al Pd, in particolare a
quello lombardo: è normale
dunque che risponda politicamente al segretario del Pd, che
poi adesso è anche il presidente del Consiglio
Si riferisce all’Ad, Giuseppe
Sala?
Anche a lui.
Il ministro Maurizio Martina,
peraltro in ottimi rapporti con
Sala, ha la delega a Expo da oltre un anno e anche lui è del
Pd. Doveva controllare meglio?
Guardi, io so che Sala e Martina sono due persone oneste,
ma bisogna smetterla di nascondersi dietro la poca trasparenza. Voglio dire: qualcuno Angelo Paris (responsabile
acquisti Expo, finito in carcere, ndr) lo avrà pure assunto;
qualcuno sarà responsabile
dei ritardi; qualcuno avrà motivato le gare assegnate in procedura d’emergenza. Per questo ho chiesto formalmente
l’intero carteggio intercorso
tra Martina e Sala in questi
mesi: sono sicuro che così si
EXPO 2015
È DEL PD
I vertici della società
sono vicini al partito
e quindi vanno chiarite
le responsabilità
politiche: il carteggio
tra il ministro Martina
e l’ad Sala va pubblicato
chiarirà di chi sono le responsabilità e se il partito intende
davvero occuparsi della vicenda.
Veramente al Fatto Quotidiano
risulta che nessun carteggio
del genere sia intercorso tra il
ministro e Sala.
Sarebbe davvero molto strano, sono sicuro che invece esiste e verrà reso pubblico.
ECONOMIA
il Fatto Quotidiano
D
ella Valle:
”Ho incontrato tre
ministri deficienti”
NELLA VICENDA della sponsorizzazione del restauro del Colosseo, che dura
ormai da anni, Diego Della Valle ha incontrato “cinque ministri, di cui due bravi e tre emeriti deficienti.” Il patron della
Tod’s lo ha detto in un dibattito ad Ancona. Poi ha parlato di uno dei suoi argomenti preferiti, la gestione di Rcs,
l’editore del Corriere della Sera di cui è
azionista. “È come Mission impossibile, ci
vorrebbe Tom Cruise come amministratore delegato” ha detto. Mediobanca è
un bene “che si sta disimpegnando
dall’editoria come aveva detto”, a differenza di Fiat. Della Valle non vuole
un’azienda con “una classe dirigente ar-
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
7
zilla e un po’ invecchiata”, una che “la
mattina ascolta ancora Bazoli (cioè Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo). Ora si tratta di ripartire: è
un’azienda che rappresenta un pezzo di
cultura italiana. Servono proprietari che
stiano indietro e un management efficiente".
Aumento di capitale,
gli ultimi segreti di Mps
DAL PROSPETTO SI SCOPRE CHE I DERIVATI RESTANO UNA MINACCIA PER I CONTI DELLA BANCA:
IL LORO VALORE POTREBBE ESSERE RIVISTO AL RIBASSO E ALCUNI CONTINUANO A CAUSARE PERDITE
di Margherita Barbero
A
scorrere le 510 pagine del prospetto
dell’aumento di capitale da 5 miliardi
di Monte dei Paschi di Siena che
partirà domani, l'operazione a
tratti sembra una mission impossible.
Solo che il protagonista non è
Tom Cruise ma una banca che
negli ultimi anni ha attraversato
una fase tempestosa.
L’ACQUISTO di Antonveneta,
tra il 2007 e il 2008, a un prezzo
fuori da ogni logica finanziaria e
alcune operazioni spregiudicate
con derivati dal nome esotico di
Alexandria e Santorini, risalenti
all'epoca del presidente Giuseppe Mussari, hanno pesato come
sui conti, spingendo l'istituto di
credito ad alzare bandiera bian-
ca e invocare l'aiuto di Stato nel
2012, arrivato nella forma di 4
miliardi di obbligazioni chiamate Monti bond. Che ora, con
l'aumento di capitale, la banca
intende rimborsare per un valore nominale di 3 miliardi più i
salati interessi (225 milioni solo
da gennaio a luglio 2014). Garantisce il buon esito dell’iniezione di capitali un gruppo di
istituti di credito capitanati dall'Ubs di Sergio Ermotti, storico
amico del presidente di Mps,
Alessandro Profumo.
MA NON È DETTO che tutto fili
liscio. “Nonostante sia previsto
un impegno da parte dei garanti
a sottoscrivere l’aumento - riporta il prospetto - qualora tale
impegno dovesse venir meno
per qualsiasi ragione, l’aumento
potrebbe risultare eseguito solo
in parte, comportando l’impos-
sibilità di procedere al rimborso” dei Monti bond “nei termini
assunti nell’ambito del piano di
ristrutturazione” autorizzato
dalla Commissione europea. Lo
scenario estremo vedrebbe Mps
pagare lo Stato non in contanti
ma con la conversione in azioni
di tutte le obbligazioni da 4 miliardi, circostanza che porterebbe il Tesoro dritto nel capitale
con una maxi quota tra il 91 e il
77 per cento, a seconda del prezzo dei titoli. Se invece il gruppo
senese dovesse riuscire, con
l'aumento di capitale, a rimborsare i 3 miliardi nominali di
Monti bond ma poi non fosse
più in grado di restituire gli altri
1,071 miliardi, il ministero
dell’Economia diventerebbe socio tra il 16 e il 18 per cento.
Il prospetto lascia, inoltre, intendere che le operazioni Alexandria e Santorini, che hanno
CATTIVE SORPRESE
L’operazione Chianti
Classico ha già
prodotto un buco
da 300 milioni nel
2013 e ora potrebbe
costarne altrettanti
avuto come controparti iniziali
rispettivamente la giapponese
Nomura e la tedesca Deutsche
Bank, sono contabilizzate a bilancio nel modo più vantaggioso per la banca, cioè non secondo la classificazione di derivati
“sintetici” (complessi). Ma “la
modalità di rappresentazione
contabile è all’attenzione degli
organismi competenti”, che
Mps deve trovare sul mercato 5 miliardi di euro Ansa
“non si può escludere che forniscano indicazioni diverse, con
possibili effetti negativi sulla situazione economica, patrimoniale e/o finanziaria”. Nel marzo 2013, Mps ha avviato due giudizi risarcitori dinanzi al Tribunale di Firenze nei confronti sia
di Nomura sia di Deutsche
Bank, con la quale però a dicembre ha raggiunto un accordo che
ha sancito la chiusura “transattiva” dell'operazione Santorini.
OLTRE AD ALEXANDRIA e
Santorini, sui conti di Mps pesa
anche “Chianti Classico”, un'articolata operazione immobiliare che lo scorso dicembre ha
comportato per la banca il riacquisto di obbligazioni complesse che erano state vendute al
grande pubblico. Dopo che nel
2013 è già costata 300 milioni,
ora Chianti Classico potrebbe
presentare un nuovo conto dello stesso importo legato a verifiche fiscali in corso. Una bella
sbornia per il bilancio della banca guidata dall'amministratore
delegato Fabrizio Viola.
Viola, si legge nel prospetto, a
causa degli impegni presi con la
Commissione Ue, si è visto ridurre lo stipendio dai 3,5 milioni annui previsti dal suo contratto (stipulato nel 2012, quando già la banca non navigava in
acque limpide) a 500 mila euro.
Fortuna che Mps gli ha garantito, con il nome di “importo
transattivo”, un premio di consolazione da 1,2 milioni in caso
di “sottoscrizione di impegni
vincolanti relativi all'aumento
di capitale” oppure se la banca
dovesse convertire in azioni i
Monti bond. Non male come
salvagente. Per Viola, naturalmente.
8
ALLE URNE
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
B
ari, renziano
favorito nel 2°
turno dei veleni
DECARO (49,7%) - DI PAOLA (35,7%)
INCOGNITA ASTENUTI E M5S
Il favorito dopo il primo turno è Antonio Decaro,
candidato del centrosinistra costretto al ballottaggio per un soffio, con il suo 49,7 per cento. A
contendergli la poltrona da sindaco è Domenico
di Paola (centrodestra) che riparte dal 35,7 per
cento del 25 maggio. Il divario di 15 punti e
il Fatto Quotidiano
34mila voti sembra notevole, ma Decaro non dà
la vittoria per scontata e punta ai voti dei grillini
orfani di un loro candidato. Di Paola ha stigmatizzato “l’unione di fatto” tra M5S e Decaro ed è
andato a caccia degli astenuti, visto che al primo
turno ha votato solo il 67 per cento degli elettori.
Gli ultimi giorni di campagna elettorale sono stati tesi, tra querele e accuse sui social network.
LIVORNO, NEL FORTINO ROSSO
M5S TIFA PER L’AUTOGOL DEL PD
NEL CAPOLUOGO TOSCANO INDIFFERENZA PER IL BALLOTTAGGIO DI OGGI, MA
ANCHE LA VOGLIA DI FARE UN DISPETTO A RENZI. E IL 5 STELLE NOGARIN CI CREDE
di Alessandro
A
VOTO STORICO
Ferrucci
Quello di oggi è
il primo ballottaggio
a Livorno dopo 70 anni
di giunte rosse Ansa
Livorno gli scogli
sono pieni, tutti
al mare, tutti ad
abbronzarsi, un
bagno, un gelato, poi una
corsa sul lungomare verso
l’imbrunire. Del ballottaggio
di oggi “chi se ne frega” è la
risposta più comune “sono
affari loro”, la seconda per
preferenza, “ora sono cacchi
del Pd, qui rischia di vincere
realmente il grillino”, la terza in classifica, quella più sibillina, spesso conclusa con
un “vada a chiedere a quelli”,
sottintesi i democratici.
ECCO i presunti colpevoli,
basta parlare con loro per avvertire le teste chine, le facce
cupe, i toni bassi, il sudore
sulla fronte ben oltre i trenta
gradi di questi giorni: sono
pervasi dal dubbio di poter
rappresentare l’unico vero
schiaffo del trionfo renziano.
E lo stesso Matteo Renzi non
si è presentato in città. “Sarebbe una catastrofe – spiega
un dirigente del Pd – Forse ci
farebbe bene, visto cosa siamo stati in grado di produrre”. Cosa? “Dall’inizio ci siamo divisi in correnti, in
gruppi bravi a lottare tra loro, convinti di poter vincere
comunque”. E invece no.
“Abbiamo bruciato una lunga serie di possibili candidati, senza un particolare mo-
ORA ALLEATI
Con il candidato
del Movimento
tutti gli altri partiti,
compresa una lista
civica, ex costola
dei Democratici
Filippo Nogarin (M5S) Ansa
Marco Ruggeri (Pd) Ansa
tivo, tutti compagni (qui si
definiscono ancora tali) molto validi. Vada a vedere i dati
specifici”.
l’era berlusconiana, finiti gli
anni di barricate contro
quella destra becera, una lotta giocata su più piani, anche
quello della goliardia, è giusto esprimere con il voto cosa realmente pensiamo del
nostro partito”. In particolare? “Il vuoto. L’assenza. Giochi di potere, il menefreghismo misto a incapacità. La
sottovalutazione dell’importanza culturale, nessuno ha
mai coinvolto le poche testa
pensanti rimaste. E poi è stata sbagliata tutta la campagna elettorale, compreso il
confronto finale, e con un
grillino che non è neanche di
Livorno!”.
Anche questo è vero. Filippo
Nogarin è un 44enne inge-
I DATI RACCONTANO: due
settimane fa il partito di Renzi ha conquistato il 53 per
cento alle Europee, mentre il
candidato sindaco Marco
Ruggeri si è fermato al 39; a
pochi chilometri, nel comune di Collesalvetti, una sorta
di paesino-satellite per Livorno, il Pd ha trionfato con
il 60 per cento. Tradotto: la
questione è cittadina “e adesso possiamo guardarci realmente in viso – spiega Emilio, cinquantenne livornese
da sempre di sinistra, anzi
comunista – perché chiusa
gnere aerospaziale nato e
cresciuto a Rosignano, pochi
chilometri dalla città toscana: al primo turno ha raggiunto il 19 per cento pari a
16mila voti. In teoria pochi.
In teoria, però.
LA PRATICA racconta altro,
racconta una conta generale
nella quale vanno sommati
tutti i partiti differenti dai
democratici, uniti e d’accordo nella scelta di oggi verso il
grillino, dalla destra fino alla
sinistra, per passare dalla lista cittadina costola dei democratici. Il programma
non interessa, è secondario,
conta solo schiaffeggiare il
monopolio politico.
“Vuole un simbolo di quanto
PADOVA
“Meno tasse”, la promessa Dem
La Lega soffia sull’effetto Mose
di Davide
Milosa
a un lato il candidato del centrosinistra, dall’altro una
D
Lega d’assalto. Padova oggi torna al voto per decidere il
suo nuovo sindaco. Sarà battaglia all’ultima preferenza, visto
a Ivo Rossi. È inutile che il Partito Democratico continui a
ripetere come un refrain che Orsoni non è del Pd. Gli sventolatori delle manette adesso si rendono conto che è capitato a
loro”. Rossi risponde chiedendo le dimissioni del governatore
del Veneto Luca Zaia. Insomma, lo scontro è aperto, e il risultato in bilico.
che il primo turno ha consegnato a Ivo Rossi (Pd), sindaco
reggente subentrato a Flavio Zanonato, un deludente 33,76 per
cento. Appena un paio di punti sopra al 31,42 per cento del IL CENTROSINISTRA scommette sulla detassazione. Al centro
senatore del Carroccio Massimo Bitonci, già sindaco del co- l’addizionale Irpef. Obiettivo: arrivare alla detassazione del 50
mune di Cittadella A dare l’appoggio ufficiale a Rossi ha prov- per cento dei cittadini di Padova. Rossi si spinge oltre e spera di
veduto ilministro degli Affari Esteri, Federica Mogherini: arrivare alla riduzione del 25 per cento dell’Imu a carico dei
“Penso sia importante che il Partito Democratico porti questa genitori che diano l’abitazione in comodato gratuito ai figli.
voglia di cambiare anche a livello locale”. Dal canto suo Bitonci Rossi punta al portafoglio, mentre Bitonci scommette sulla tragioca all’attacco. “Pensavamo che non saremmo arrivati nem- sparenza e sulla legalità, proponendo di nominare subito “un
meno al ballottaggio e invece adesso siamo qui che ci gio- assessore all’opposizione” perché, spiega, “noi non abbiamo
chiamo la liberazione di Padova”. E ancora: “È stata una cam- paura di essere controllati ne vogliamo che tutti i padovani si
pagna elettorale bella perché ho conosentano rappresentati anche quelli che
sciuto il vero lato pulito della politica,
non hanno votato per noi”. L’attegnon quella della tangentopoli che ha
giamento di Bitonci è chiaro: andare
decapitato il Pd. Io non sono andato a
alla caccia dei voti dei Cinque stelle.
cena con nessuna delle persone arreMentre Ivo Rossi, dopo aver siglato
state”. Riferimento diretto all’inchiesta
l’apparentamento con la lista ambiensul Mose. La Lega prende fiducia dopo
talista Padova 2020 di Francesco Fiore,
il grande risultato del primo turno e
ha incassato il sì di Scelta Civica e Parpoliticamente cavalca la nuova tangentito socialista. Niente accordo elettotopoli veneta. “Renzi - ha detto Bitonci
rale, invece, con Rifondazione ComuDa sin., Ivo Rossi (Pd) e Massimo Bitonci (Lega) nista.
- non vuole mettere la sua faccia vicino
sta accadendo? È l’ospedale
cittadino”. Anche in questo
caso sono due le fazioni e rispecchiano esattamente lo
stato del ballottaggio: da una
parte i democratici, soli e
certi sulla necessità di costruirne uno ex novo; dall’altra il “gruppone” altrettanto
convinto di dover ristrutturare l’esistente.
“SE IL PD perde sono cacchi
anche per quell’affare – insiste Giancarlo, 60 anni,
iscritto ai democratici – E sono soldi, tanti, con alcuni noti già pronti a sorridere
quando c’è solo da piangere.
In città non c’è lavoro”. Specialmente da quando le controllate statali non danno più
da mangiare, o il porto non
esprime più la forza di un
tempo. “Per fortuna ci s’ha il
mare – continua Giancarlo –
Comunque nel comizio finale, piazza Attias era piena di
grillini”. E sul suo volto scatta un sorriso complice: magari a accade come a Roma,
con piazza San Giovanni colma, le urne meno.
Magari il grillino arriva vicino al 50 per cento, spaventa
e non vince; magari i democratici si svegliano e non vivono sulla tranquillità del
successo a prescindere. Magari, però. Perché a Livorno,
d’estate, nulla è certo: tranne
il desiderio di andare al mare.
Twitter: @A_Ferrucci
Bergamo, dove Gori
spera di fare il Matteo
TRE PUNTI APPENA di distacco. A Bergamo dovranno attendere fino allo spoglio dell’ultima scheda per sapere se
continuerà il governo cittadino del centrodestra e del sindaco
uscente Franco Tentorio appoggiato dalla Lega Nord, oppure
l’assoluta novità, per questa terra, del centrosinistra e del suo
candidato, l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori (prima vicinissimo a Renzi) che al primo turno si è piazzato in testa con
il 45,5 per cento. “Il risultato è estremamente positivo, non
era per niente scontato - commenta Gori - perché abbiamo a
che fare con un sindaco uscente in una città che ha tradizioni
di centrodestra. Questo risultato ribalta
completamente quello di 5 anni fa, quando
il centrodestra vinse al primo turno. Siamo
avanti in modo abbastanza consistente:
non c'entra il trascinamento delle Europee". Tentorio, infatti, è subito dietro con il
42,1 per cento. Un risultato che in questa
tornata ha sofferto del generale calo elettorale fatto segnare dal Carroccio. Un ineTentorio (Lega) dito per queste zone padane. Nel secondo
turno di oggi non ci saranno apparentamenti. Il tesoretto di voti più cospicuo è
quello del Movimento Cinque Stelle (8,2
per cento) che però non darà indicazioni di
voto. Intanto gli ultimi scampoli di campagna elettorali si sono consumati sulle accuse, sollevate dalla Lega, alla famiglia Gori-Parodi di aver avuto indebiti sconti
Gori (Pd) sull’Imu.
ALLE URNE
il Fatto Quotidiano
Pmaavia,
Fi avanti
il centrosinistra
conta sui riservisti
CATTANEO (46,5%) - DEPAOLI (36,5%)
DEM CONTRO IL ROTTAMATORE AZZURRO
Il centrodestra parte in vantaggio, con il sindaco
uscente Alessandro Cattaneo (Forza Italia) forte del 46,5 per cento dei consensi al primo turno. L’avversario è Massimo Depaoli (Pd, a sinistra nella foto, ndr), che parte dal 36,5 per
cento. Per vincere, entrambi hanno bisogno di
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
9
riportare alle urne gli elettori che li hanno sostenuti il 25 maggio, ma soprattutto devono
convincere il 7,5 per cento di pavesi che ha votato il candidato 5Stelle Giuseppe Polizzi. Depaoli, poi, dovrà puntare sugli oltre 4mila cittadini che alle Europee hanno votato Pd (primo
partito in città con uno storico 42 per cento)
ma alle Comunali non lo hanno scelto.
Addio Partitone e motori
Modena non romba più
IL DEMOCRATICO MUZZARELLI DOVREBBE SPUNTARLA SUL GRILLINO APPOGGIATO
DA CARLO GIOVANARDI. MA SI APRIRÀ COMUNQUE UN’ALTRA STAGIONE
di Emiliano
P
CIVITAVECCHIA
Torna Tidei?
I pm, le risse
e i voti spariti
di Loredana Di Cesare
ulla sfida tra Pd e M5S, per il ballottaggio di CiS
vitavecchia, c’è già l’ombra dell’annullamento. Il clima è caldissimo, tra errori nel conteggio dei voti al
primo turno, schede contestate, ricorsi al Tar, candidati
finiti al pronto soccorso e un’inchiesta della magistratura che indaga sui lavori al porto. In fondo, qui a Civitavecchia, va in scena anche la sfida tra il vecchio
contro il nuovo. Il vecchio è rappresentato dal sindaco
uscente Pietro Tidei, Pd, ex deputato (ora alla Camera c’è
la figlia Marietta), alle spalle già tre mandati da sindaco,
mentre il nuovo sarebbe Antonio Cozzolino del M5S che
- per una manciata di voti (circa 40) - l’ha spuntata su
Massimiliano Grasso dell’Ncd di Angelino Alfano e potrebbe sedersi per la prima volta sulla poltrona più alta di
Palazzo del Pincio.
CIVITAVECCHIA è il solo comune del Lazio - e tra gli 11
in Italia - in cui il Movimento 5 Stelle arriva al ballottaggio. E in queste due settimane di rovente campagna
elettorale non sono mancati i colpi di scena. Uno su tutti:
la procura di Civitavecchia iscrive nel registro degli indagati nove persone. I titolari delle ditte che lavoravano
alla costruzione delle banchine portuali sono accusati di
frode nelle pubbliche forniture per un valore di 130 milioni di euro. Secondo l’accusa, i materiali usati sono scadenti e non rispondenti al capitolato della gara d’appalto.
Non solo. La magistratura potrebbe avviare un’altra indagine per le “numerose
incongruenze” riscontrate dal magistrato della corte d’appello di Roma nella
verifica dei verbali delle sezioni elettorali: incongruenze che riguardano il 50
per cento delle sezioni. Tradotto: i voti
Cozzolino (M5S) non tornano. Nel frattempo, il candidato del Nuovo Centrodestra, Grasso che non si arrende alla sconfitta - ha
presentato un ricorso al Tar per il riconteggio delle schede elettorali. E per
finire, il caso tutto da chiarire, accaduto
ieri, alla vigilia del voto: due esponenti
del Pd accompagnati al pronto soccorso
dopo un’accesa discussione con alcuni
Tidei (Pd) esponenti di Sel finita in rissa.
Liuzzi
iù che la paura
dell’avversario, in
questi giorni, ha
prevalso
quella
per il senatore Carlo Giovanardi, già candidato alla corsa, un grande serbatoio elettorale che negli anni ha raccolto, uno a uno, tanti voti.
Lui allegramente lo chiama
l’ambulatorio dove riceve i
pazienti, che poi sono gli
elettori. Siamo in quella che
fu la rossissima Modena e
che oggi vive una crisi
d’identità: non è più rossa,
ma non è più neppure la casa
dei motori, perché la Maserati è stata smantellata e Maranello non è più quel gioiello che brillava ai tempi di
Enzo Ferrari. Non è nemmeno, caso più unico che raro,
renziana, perché la candidata che voleva il presidente
del consiglio è stata fatta
fuori alle primarie, voto seguito da polemiche ed esposti in procura.
UN GRANDE pasticcio, Mo-
dena, che oltre a essere terra
di donne e motori, sarebbe
anche la casa di Stefano Bonaccini, responsabile delle
politiche locali del nuovo
corso Pd, uno dei funzionari
più vicini all’ex sindaco Renzi. Ma Bonaccini, che non ha
brillato fino a oggi nel suo
nuovo incarico e non lo ha
pefatto di vedere tante personalità in giro per il Paese
che nei ballottaggi tra i 5 stelle e la sinistra scelgono i 5
Stelle. Francamente per me è
inconcepibile. Siamo al governo con Renzi, quale senso
ha giocare allo sfascio appoggiando i 5 Stelle?”. Niente da
fare. Giovanardi è rimasto
sulla sua linea.
L’INCUBO per il partito di
Gian Carlo Muzzarelli (Pd) Ansa
Marco Bortolotti (M5S)
fatto neppure in epoche precedenti, ha fallito anche a
Modena dove sembrava essere addirittura il candidato
naturale. Poi Renzi lo ha
chiamato a Roma, ma non
sappiamo quanto ci rimarrà:
il Pd è una gioiosa macchina
da guerra a livello nazionale,
almeno a leggere i risultati
delle elezioni, ma nelle città
sembra un motore a scoppio
molto accrocchiato - avrebbe
detto il Diego Abatantuono
di Marrakesh Express - e in
cerca di una stabilità.
Così al ballottaggio si trovano Gian Carlo Muzzarelli,
assessore regionale dell’Emilia Romagna, braccio destro
di Vasco Errani, e il candidato del Movimento Cinque
stelle, Marco Bortolotti.
Muzzarelli non ce l’ha fatta
per un soffio, si è fermato al
49,7 per cento. Ma la sua è
già una mezza sconfitta, Modena non era la città abituata
a fare doppie tornate elettorali. Alla fine dovrebbe farcela, a meno di colpi di scena.
DICEVAMO Giovanardi. Il
senatore con l’ambulatorio si
è già scoperto a favore del
candidato del Movimento 5
stelle: “È il male minore”, ha
detto. “Ha poco del grillino: è
cattolico e si esprime in modo educato”. Una scelta non
apprezzata
dal
leader
dell’Udc,
Pierferdinando
Casini: “Io sono un po’ stu-
Renzi si chiama Parma. Anche lì due anni fa il centrodestra, prima del ballottaggio, si riposizionò a favore di
Pizzarotti. Certo i numeri
erano diversi (il Pd con Bernazzoli si era fermato al
34,3%) e la città arrivava da
un’amministrazione disastrosa targata Forza Italia.
Ma è anche vero che in una
roccaforte rossa come Modena, in oltre mezzo secolo,
non si era mai vista una situazione del genere. È la prima volta che il centrosinistra
è costretto ad affrontare un
ballottaggio. Dato ancora
più significativo, se si confronta il 49 per cento guadagnato dalla lista di Muzzarelli con il 55 per cento raccolto a Modena dal Pd per le
Europee. Circa 6 punti in
meno, risultato di una campagna elettorale iniziata con
primarie al veleno e dove
hanno pesato soprattutto i
dissidi interni al centrosinistra.
LISTA TSIPRAS
Spinelli ha deciso: andrà
a Strasburgo. Sel fuori
di Tommaso Rodano
lla fine dell’ennesima giornata di patemi, Barbara Spinelli ha reso ufficiale
A
la scelta di accettare il seggio al Parlamento
europeo. Lo ha fatto con una lettera inviata
alla lista Tsipras decidendo di optare per il
Centro e quindi lasciando fuori il candidato di Sel, Marco Furfaro.
“Ho molto meditato quel che dovevo fare,
scrive Spinelli, ma “ritorno sulle mie decisioni: accetterò l’elezione al Parlamento
europeo, dove andrò nel gruppo Gue-Sinistra Europea”. Nonostante avesse dichiarato di non voler andare a Strasburgo,
“la quantità di preferenze” ottenuta, circa
78 mila, ma anche il fatto “che la situazione
politico-elettorale stava precipitosamente
cambiando” ha indotto il ripensamento.
Spinelli pensa a un impegno per un Parlamento europeo “costituente” che “dovrà
lottare accanitamente contro lo svuotamento delle democrazie e delle nostre Costituzioni”. A convincere la figlia di Altiero
Spinelli è stata “anche la lettera di Alexis
Tsipras” ai molti “che sono delusi” risponde che “i patti si perfezionano per volontà
di almeno due parti e gli elettori il patto
non l’hanno accettato, accordandomi oltre
78.000 preferenze”. Infine, la scelta del collegio, quello del Centro, “è il mio collegio
naturale, la mia città è Roma. È qui che ho
ricevuto il maggior numero di voti. A Sud
non ero capolista ma seconda dopo Ermanno Rea, e da molti verrei percepita come ‘paracadutata’ dall’alto”. Un grazie a
Marco Furfaro “certa che i tanti elettori di
Sel, battutisi con forza per la nostra Lista,
approveranno e comunque accetteranno
una scelta che è stata molto sofferta”.
LA LETTERA ARRIVA dopo la conclusione
dell’assemblea nazionale dei comitati della
Lista Tsipras, circa 300 persone nella sala
Umberto di Roma. Assemblea che non sa
ancora della lettera ma che si basa sulle voci
dei giorni scorsi. Tra le quali, l’annuncio
fatto nel pomeriggio da Curzio Maltese alla
festa di Repubblica “Barbara andrà, meglio
lei di Iva Zanicchi” dice. La riunione quindi
si trasforma in un “processo”. Dal palco,
Guido Viale si limita ad annunciare che
“Barbara Spinelli deciderà da sola, in modo
unilaterale, per quale circoscrizione opta-
Barbara
Spinelli,
eletta
nella
lista
Tsipras
Ansa
re”. E quindi quale dei due partiti escludere
dal Parlamento Europeo. Una scelta non
apprezzata dall’assemblea che alla fine decide di adottare un documento polemico
nei confronti della sua capolista: “Abbiamo
contribuito con grande fatica e non pochi
sacrifici a dare corpo e gambe a questo progetto (...) ora appartiene a tutti noi, non solo
al comitato operativo, non ai soli candidati,
non ai soli garanti (...) Per questo chiediamo che le scelte e le responsabilità vengano
prese nella consapevolezza del fatto che sono parte di un processo collettivo”. Traduzione: “Barbara Spinelli non può decidere
da sola, a nome di tutta la Lista Tsipras”.
Alla fine, la lettera. Che ha già cominciato a
far discutere, polemizzare, litigare. Il destino beffardo della sinistra italiana.
10
UN GIORNO IN ITALIA
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
Sinfusione
tamina, a Brescia
a buon fine
per Federico
OTTAVA INFUSIONE col metodo
Stamina andata a buon fine per il
piccolo Federico Mezzina, 3 anni, affetto dal morbo di Krabbe, una rara
malattia degenerativa. A operare il
bambino di Pesaro, presso gli Spedali Civili di Brescia, la biologa Erica
Molino assieme al “commissario ad
acta” e vicepresidente di “Stamina
Foundation” Marino Andolina. Forti
proteste sia dalla comunità scientifica, che ritiene il metodo Vannoni
troppo pericoloso per essere testato
sui pazienti, sia dal mondo della politica con il capogruppo al Senato del
Pd Luigi Zanda che ha invocato l’in-
“Quei 5 milioni l’anno
nelle casse dei casalesi”
tervento del ministero della sanità.
L’operazione, andata a buon fine, è
durata circa un’ora e Marino Andolina al termine ha dichiarato che tutto è si è svolto senza alcun problema.
Duro Michele De Luca del Centro di
Medicina Rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia: “Mai
il Fatto Quotidiano
visto un giudice che nomina commissario ad acta un indagato accusato di truffa, che è anche vice presidente dell’ente per cui è indagato,
e che si autorizza da solo a praticare
le stesse infusioni per cui è indagato”
G. F.
Gay Pride a Roma
IL BOSS DI GOMORRA, ANTONIO IOVINE, DEPONE DA PENTITO
PER LA PRIMA VOLTA NEL PROCESSO SULLE INFILTRAZIONI NEGLI APPALTI
E NELLA POLITICA DI VILLA LITERNO: “GIRAVANO FIUMI DI SOLDI”
di Vincenzo
P
Iurillo
Napoli
er qualche minuto
il sonoro fa le bizze. Un tecnico sistema il microfono
e poco dopo le 10 il boss di
Gomorra Antonio Iovine, ripreso di spalle, può finalmente iniziare a deporre per la
prima volta da pentito. Aula
di Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere (Caserta), ma è una
scelta logistica dovuta alla
migliore qualità degli impianti per la videoconferenza.
Infatti non si processa un
omicidio, ma le infiltrazioni
della camorra negli appalti e
nella politica di Villa Literno.
Tra gli imputati l’ex sindaco
Pd Enrico Fabozzi, tuttora
consigliere regionale della
Campania, e diversi imprenditori. Il pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro, che
insieme al collega Cesare Sirignano ha convinto Iovine a
collaborare con la giustizia,
gli rivolge una serie di domande. ‘O Ninno parla. E chi
lo ferma più.
cuni lavori a Caserta, e i “10
euro a metro di tubo” pretesi
da ‘O Ninno’ per la metanizzazione dell’agro aversano. In
un sistema dove “erano gli
imprenditori a cercare noi per
gli appalti, noi aspettavamo
che loro facessero il primo
passo, erano loro a scegliere il
boss di riferimento”. E dove
truccare le gare non era un
problema. “Il responsabile
dell’ufficio tecnico la sera prima della lettura delle buste si
adoperava ad aprirle prima”.
A quel punto “gli imprenditori che io indicavo inserivano la busta con il ribasso giusto. Aperte le buste, e fatti i
conteggi” veniva assegnato
l’appalto.
Prima di evocare il fruscìo
delle banconote, Iovine racconta i delitti di cui si è macchiato. Omicidi, numerosi
omicidi, talmente tanti “che
non li ricordo tutti”. Si è pentito, dice, “per dare una svolta
L’arresto di Antonio Iovine LaPresse
BUSTE PAGA
Il camorrista racconta
la distribuzione
del denaro: “Ricevevo
100 mila euro al mese
per me e per pagare
gli stipendi ad altri dieci”
alla mia vita e un futuro migliore alla mia famiglia”. E risale alla storia del clan dei Casalesi, al periodo della sua affiliazione, avvenuta il giorno
dell’uccisione di Ciro Nuvoletta con il classico rito della
‘pungitura’ davanti ad Antonio Bardellino e Vincenzo De
Falco. Era l’epoca dello scontro tra i corleonesi, la mafia
siciliana alleata dei Nuvoletta,
e i Casalesi. I siciliani chiesero
PARLA PER PIÙ di quattro
ore, Iovine. Parla di soldi. Di
molti soldi. Di un fiume di denaro da far girare la testa, che
confluiva nella ‘cassa’ del clan
dei Casalesi e nelle sue tasche.
Circa 400.000 euro al mese in
entrata (ovvero 5 milioni
all’anno). Di cui 100.000 euro
per se stesso e per pagare gli
stipendi delle circa dieci persone che a turno lavoravano
per proteggere i suoi 14 anni
di latitanza dorata conclusi
nel 2010. Poi c’è il ricordo di
250 milioni delle vecchie lire
presi per “sistemare una situazione”, e quello più recente dei 25.000 euro mensili che
per anni l’imprenditore del
casertano Malinconico avrebbe versato a Iovine “per non
avere alcun tipo di fastidio”
tanto che tra i due sarebbe esistita una società di fatto, li andava a prendere un collaboratore del boss, “mi doveva
ancora 130.000 euro ma mi
hanno arrestato e ho avuto
qualche problema”. “Malinconico negli anni mi ha dato
in totale circa 2 milioni di euro”. “Nei verbali della collaborazione iniziata il 13 maggio lei ha detto circa 2 milioni
e mezzo, tre” lo corregge il
pm. Eppoi i 600.000 euro finiti nella disponibilità della
camorra per un maxi appalto
da 15 milioni di euro a Villa
Literno, “il clan Bidognetti ne
ha avuti 300.000, gli altri
300.000 sono andati nei miei
conti con Nicola Schiavone”,
ed altri “400.000 euro trattati
con Nicola Schiavone” per al-
IN PIAZZA ANCHE IL SINDACO MARINO
Ieri si è tenuta a Roma la ventesima edizione della manifestazione dedicata
all'orgoglio gay. Tra i partecipanti, anche il leader di Sel, Nichi Vendola e il sindaco
della Capitale Ignazio Marino, accolto tra gli applausi ma anche dai fischi LaPresse
ad Antonio Bardellino di ammazzare Tommaso Buscetta.
Bardellino si rifiutò, e finì a
sua volta nel mirino e fu ucciso in Brasile.
IOVINE ricorda la sua amici-
zia con l’altro superboss Michele Zagaria, che i suoi figli
chiamavano ‘Zio Angelo’, tra
vacanze insieme in Europa da
latitanti e le successive incomprensioni nella gestione dei
business. Poi su sollecitazione
del pm ‘O Ninno’ inizia a scoperchiare il pentolone rancido dei rapporti con la politica:
“Nicola Ferraro (ex consigliere regionale Udeur, ndr) era
colui che ci permetteva di
chiedere e ottenere a Caserta,
in Provincia, in Regione,
nell’Asl, per risolvere qualsiasi problema”. “A San Cipriano d’Aversa il sindaco Martinelli era seguito e gestito dal
cugino e da Giuseppe Cate-
IL NETWORK
‘O Ninno’parla anche
di politica: “Ferraro (ex
Udeur) ci permetteva
di risolvere problemi
a Caserta, in Regione
e nell’Asl”
rino, anche i bambini sapevano che il vero sindaco era
'Peppinotto'”. “A Casapesenna Michele Zagaria ha lottato
per mettere un ‘suo’ sindaco”.
Il processo riprende venerdì
13 giugno con il controesame
degli avvocati difensori. Ma
già domani Iovine ricomincia
a parlare. A Napoli, al processo per le minacce a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione.
LA RELAZIONE TECNICA
La Concordia inquinerà ancora il Giglio
di Giulia Merlo
postare la Costa Concordia non è sicuro al cento
S
per cento perchè, nel viaggio, quasi certamente rilascerà in mare sostanze inquinanti come acque in-
terne contaminate, prodotti chimici e idrocarburi. Ad
ammettere i rischi per l’ambiente durante lo spostamento del relitto, naufragato ormai 2 anni e mezzo fa
davanti all’Isola del Giglio, è la stessa compagnia Costa
Crociere nella relazione tecnica dal titolo “Progetto di
trasferimento e smaltimento”, in cui la compagnia descrive modi, tempi e pericoli del trasferimento della
nave a Genova. Anche se solo potenziale, insomma, il
rischio di inquinare una seconda volta le acque del mar
Tirreno è presente e certificato e questo proprio alla
vigilia della stagione turistica. Il sindaco dell’Isola del
La Costa Concordia Ansa
Giglio, Sergio Ortelli, si dice “sbigottito” sia per le possibili conseguenze ambientali che per la mancanza di
tempismo: “Costa Crociere, non curandosi affatto delle ripercussioni che gli annunci fatti fuori dalle sedi
opportune possono avere per l’economia della nostra
isola, prosegue la sua corsa in solitaria. Chiedo l’immediato intervento del governo”.
ORMAI, PERÒ, il danno è fatto. E a poco valgono le
ulteriori precisazioni del progetto di Costa Crociere
che, per minimizzare il pericolo - definito di “lieve entità” - prevede “misure di mitigazione”. Panne assorbenti attorno al relitto, uno skimmer di recupero olio e
una rete da pesca a poppa del relitto per recuperare i
materiali che cadranno dallo scafo, tenuta in tensione
da due imbarcazioni: queste le precauzioni che fanno
ritenere ai tecnici della
compagnia che “gli impatti
ambientali connessi al proIL DOCUMENTO
getto di trasferimento del
relitto della Costa ConcorLa Costa Crociere
dia al porto di Genova Voltri, possano essere considecertifica i rischi dello
rati temporanei e poco sispostamento della nave gnificativi”.
Anche l’Osservatorio per
dall’Isola del Giglio:
l’ambiente della regione
rilascerà in mare acque Toscana attacca il documento, non tanto per il
contaminate e petrolio
tempismo quanto perchè
“carente”: non contiene infatti un piano di gestione del
rilascio delle sostanze inquinanti né la valutazione
dell’impatto della rotta scelta sulle diverse aree sensibili
che saranno attraversate e nemmeno la previsione del
rischio di eventi accidentali.
Il progetto reso pubblico da Costa Crociere scontenta
proprio tutti in Toscana, anche per la scelta del porto di
Genova come sede dello smaltimento del relitto. Un
appalto da 600 milioni di euro che fa gola a molti scali
italiani e europei (in Turchia, ad esempio, davano quasi
per scontato l’arrivo dello scafo). A Piombino, per dire,
città prostrata dal recente spegnimento dell’altoforno,
speravano che la scelta ricadesse su di loro: l’attracco
toscano - si legge nel documento della Costa - “non è
idoneo” perchè mancano le infrastrutture necessarie e
realizzarle significherebbe ritardare ancora il disarmo
della Concordia. Senza considerare che Genova è anche una sede più economica.
“Esiste ancora un governo che deve fare le valutazioni
di impatto ambientale oppure è Costa a decidere tutto
da sola? Lo Stato intervenga”, ha commentato il presidente della regione Toscana Enrico Rossi. Il commissario per l’emergenza, Franco Gabrielli, ha tentato di
mettere pace ribadendo che l’interesse generale è “portare lontano dal Giglio la Concordia al più presto e nella
massima sicurezza ambientale e lavorativa possibile”.
Senza campanilismi e con la massima serenità, ha detto
il Commissario. Serenità che, se mai c’è stata, i gligliesi
hanno perduto nel momento stesso in cui è stata data la
notizia dei rischi.
il Fatto Quotidiano
GIOVEDÌ SI PARTE
11
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
È ora. Il 12 giugno alle 17 (ore 22 in Italia) a San Paolo di Brasile-Croazia, match inaugurale del Mondiali 2014. L’Italia di Prandelli
esordirà sabato 14 contro l’Inghilterra a Manaus (alle 18 in Amazzonia,
mezzanotte in Italia). La finale si giocherà il 13 luglio al Maracanã
PRONTI, VIA
LE FAVORITE
Tutti a caccia
di Brasile,
Spagna
e Argentina
di Roberto
Beccantini
i sono tutte le NazioC
nali che l’hanno vinto. Dal Brasile, cinque
volte campione, all’Italia
che lo fu in quattro occasioni; poi la Germania
(tre), l’Argentina e l’Uruguay (due), quindi Inghilterra, Francia e Spagna (una). Si torna in Brasile dopo l’edizione del
1950.
» a pag. 12
PALLONE IN CRISI
C’era una
volta l’allegria
dei Mondiali
di calcio
di Oliviero Beha
allegria non è mai
L’
stupida, verseggia il
poeta sulle tracce dell’alle-
gria francescana cui fa riferimento spesso Papa
Bergoglio tifoso del San
Lorenzo e del calcio. Allegria che era, dovrebbe essere e non è più un festival
pallonaro come i Mondiali. Vi pare infatti che sia allegro, porti gioia di vivere,
sia una promessa di felicità? Credo proprio di no.
» a pag. 13
CALCIO E POLITICA
La prima
volta del
Sudamerica
“in borghese”
di Maurizio Chierici
a novità della Coppa
L
del mondo è un’America Latina in borghese, finalmente governi senza
divise e polizia che contengono e non schiacciano le
proteste. Che non si spengono: rabbia dei 45 milioni
di senza niente, neanche
l’acqua in casa. Non sopportano i capitali “sperperati” nello splendore dei 12
campi da gioco che galleggiano come astronavi.
» a pag.18
La Coppa del mondo. Elaborazione
grafica di Diana Panio
12
I NUMERI DEL 2014
Il Mondiale brasiliano sarà il ventesimo
della storia. Si giocheranno
il titolo 32 squadre, divise in 8 gironi
Ottavi di finale a partire dal 28 giugno
100
I MATCH
TEDESCHI
LUNEDÌ CONTRO
IL PORTOGALLO
Germania a quota
cento. Poi toccherà
al Brasile, a meno 2
Un Gran ballo
per tutte le Regine
IN BRASILE
NON MANCHERÀ
NESSUNA DELLE
OTTO NAZIONALI
CHE HANNO VINTO
ALMENO
UN TITOLO.
IN PRIMA FILA
I PADRONI DI CASA,
ARGENTINA E
SPAGNA. L’ITALIA
AI PIEDI DEL PODIO,
ACCANTO A
GERMANIA,
URUGUAY E
INGHILTERRA.
LA DIFFERENZA?
LA FARANNO
I PORTIERI
di Roberto Beccantini
C
i sono tutte le Nazionali che
l’hanno vinto. Dal Brasile, cinque volte campione, all’Italia
che lo fu in quattro occasioni;
poi la Germania (tre), l’Argentina e l’Uruguay (due),
quindi Inghilterra, Francia e Spagna (una). Si
torna in Brasile dopo l’edizione del 1950,
quando l’Uruguay di Obdulio Varela, Pepe
Schiaffino e Alcides Ghiggia firmò una delle
imprese più romanzesche nella storia dello
sport. Quel 2-1 al Maracanà andò al di là, molto al di là, del campo, trasformando la partita
in una sentenza e la sconfitta in un ergastolo.
I Campionati europei sono democratici, come
documentano i successi di Danimarca e Grecia. Il Mondiale, viceversa, è più selettivo. Diciannove puntate, otto regine. Ultima, la Spagna, sul cui regno non tramonta più il sole:
campione d’Europa nel 2008, del mondo nel
2010, d’Europa nel 2012. Dal torello e dal falso
nueve a un centravanti che ha tradito persino
la sua terra, pur di esserci: Diego Costa, brasiliano di sangue. O lui o Llorente: lui.
Il mio podio è Brasile, Argentina, Spagna. Il
Brasile perché gioca in casa, e poi perché è allenato da Felipe Scolari, ct di radici italiane e
scuola italianista. C’era proprio Scolari, nel
2002, quando Ronaldo, con otto reti, condusse la Seleçao al trionfo. Oggi, il Brasile è di Neymar. Viene da una stagione un po’ così al
Barcellona, e persino Tostao, mitico centravanti del ’70, gli ha rimproverato una certa
qual propensione per il “teatro”. Traduzione:
adora i tuffi. Il Brasile è un mix di argenteria e
lucchetti. Pier Paolo Pasolini ne cantò la poe-
sia del dribbling, preferendola al calcio tutto
prosa delle officine europee. Le distanze si sono ridotte. Leo Messi guida l’Argentina.
Un’Argentina così ricca di obici da lasciare a
casa addirittura Tevez, l’Attila juventino. Maradona ne aveva (quasi) 26, di anni, allorché
alzò la Coppa a Città del Messico, la Pulce va
per i 27: se non ora, quando? Il problema è la
fase difensiva, portiere incluso. Sabella è un
commissario da ristorante fuori porta, non da
nouvelle cuisine. Il tango argentino è molto fisico, non meno delle marcature che praticano
i suoi ballerini. A differenza del samba brasileiro, danza spensierata, di gruppo, a zona.
Del Bosque e la Spagna dovranno misurarsi
anche con la legge dei grandi numeri cara agli
dei. Soltanto il Brasile di Pelé e l’Italia di
Meazza hanno vinto due Mondiali consecutivi. Gli spagnoli vi arrivano come dittatori assoluti, tra Nazionale e squadre di club: il Siviglia ha conquistato l’Europa League e il Real
ha strappato la Champions all’Atletico. Subito dopo, piazzo la Germania. I tedeschi
sono i secchioni del calcio e vantano il più
alto numero di finali e finaline. Hanno raffinato il repertorio e di boa classica resiste
Klose. L’Olanda, che a Johannesburg fu
seconda, è una roulette. All’appello mancano Strootman e Van der Vaart. Tutto
gira attorno a Robben, Sneijder e Van
FAVORITI Il Brasile
“pentacampeao” padrone
di casa è il grande favorito
A fianco, Neymar, al primo grande esame LaPresse
Persie. I batavi, in cuor loro, rimangono cicale. Van Gaal lo sa e per questo, prima di
occuparsi del Manchester United, vuole infilargli almeno l’elmetto. Il tempo stringe: si
ricomincia dalla fine, da Spagna-Olanda.
E l’Italia? Sta ai piedi del podio, in compagnia
di quella Germania che non ci batte mai, di
Olanda, Inghilterra, Uruguay. Inglesi e uruguagi saranno nostri avversari, con Costa Rica, fin dal girone introduttivo. Ecco qua il problema.
O
la
soluzione,
visto che in Sudafrica la squadra di Lippi scivolò sulla buccia di un gruppo esageratamente
morbido. Paraguay, Slovacchia, Nuova Zelanda: due punti e a
casa; noi, i cam-
pioni uscenti. Tutto poPAROLA AL CAMPO
tremo dire, tranne di
aver beccato materassi.
Non è necessario
Più penso ai portieri, più
credo che proprio loro
essere i più forti
potrebbero sparigliare il
per vincere un Mondiale
mazzo. Buffon è Buffon,
per fortuna; così come
Basta esserlo
Hart è Hart e Muslera,
Muslera: lotterie ambuper un mese: dal 12
lanti. Poi c’è Pirlo: la
giugno al 13 luglio
bussola. Prandelli non
ha attaccanti sicuri, tipo
Bobo Vieri o Roberto
Baggio. Balotelli è una bomba che può esplodere sul bersaglio, ma anche in mano. Cassano è il concessionario delle giocate sfiziose.
A patto che i colpi di tacco scaccino i colpi di
testa. Pepito Rossi è stato sacrificato alla ragione del muscolo. La tibia di Montolivo e
il pareggio con il Lussemburgo hanno
mescolato panico e scaramanzia. Il
blocco Juve ha stradominato la stagione domestica, ma fatto acqua nelle
Coppe. È una Nazionale, “socialdemocratica”, come la Juventus di Heriberto per l’avvocato Agnelli. Un po’
grigia, un po’ tenera, molto orgogliosa. Nello stesso tempo, l’Italia di Cesare arrivò seconda agli Europei. Sono
questi i confini dentro i quali rimbalzeranno ambizioni e tensioni. Non è necessario essere i più forti per vincere un
Mondiale. Basta esserlo per un mese: dal 12
giugno al 13 luglio.
L’Uruguay del saggio Tabarez dipende dai gol
di Cavani e Suarez, fresco di menisco. Gioca
un calcio aspro, sporco, tipico di un popolo
5
LE VOLTE
DI BUFFON
L’ESORDIO
A FRANCIA 98
Il n. 1 raggiunge il
messicano Carbajal
e Lotar Matthäus
14
DA BAYERN
E MAN UTD
il Fatto Quotidiano
IN SETTE
NAZIONALI
Bavaresi e inglesi,
i club con più
tesserati al torneo
100%
RUSSIA
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
AUTOCTONA
13
SOLO GIOCATORI
IN PATRIA
Nella Nazionale
di Capello giocano
tutti in Russia
CONTROCORRENTE
Il giocattolo è arrugginito
Dov’è finita l’allegria?
IL CALCIO VIVE OGGI SOTTO UNA PESANTE CAPPA, NON DI AFA E UMIDITÀ,
BENSÌ DI DENARO E POTERE, CHE CORROMPE E SFIGURA DAPPERTUTTO
di Oliviero Beha
Casa Italia), l’onnipotenza della tv, le regole del
gioco dell’organizzazione di un Mondiale che
allegria non è mai stupida, verseggia il invece di migliorare stanno peggiorando socialpoeta sulle tracce dell’allegria francescana mente le condizioni di chi lo ospita, e si tratta del
cui fa riferimento spesso Papa Bergoglio tifoso Brasile leader planetario del settore, finiscono
del San Lorenzo e del calcio. Allegria che era, nello stesso calderone oramai ai limiti della sopdovrebbe essere e non è più un festival pallonaro portabilità. Quindi con un’allegria polverizzata
come i Mondiali. Vi pare infatti che sia allegro, o a scartamento ridotto. La qualità, la tecnica, lo
porti gioia di vivere, sia una promessa di felicità? spettacolo, gli ingredienti vecchi quanto il cucco
Credo proprio di no. È una cappa pesante non eppure ancora in funzione in un “rettangolo vertanto di afa e di umidità, bensì di denaro & po- de” si sono degradati anche perché il gusto estetico dell’appassionato ormai conta poco e nientere che corrompe di qua e sfigura di là.
Lo so, state pensando che non si presentano così te, mentre come detto il gusto etico ha subito un
i Mondiali, che diffondo pessimismo invece che vero e proprio inabissamento. In questi giorni
imbonire i lettori, che sto vendendo male la mia non sarà il campo a farla da padrone, bensì la
merce. In un certo senso avete anche ragione. gestione delle immagini del campo quasi sempre
Con tutto quello che ci succede un mese di par- a fini non strettamente calcistici. Non l’azione in
tite a ogni pie’ sospinto in tempi di scandali, crisi sé, sempre meno allettante per cui si è costretti a
e cinghia tirata parrebbe l’ideale per distrarsi. E millantare straordinarietà di fronte a un’ordigiacché comunque anche così mal ridotto, il cal- narietà davvero modesta, ma l’azione che può
cio dispone di un potenziale anestetizzante e permettere l’uso della polemica, del gossip, del
onirico straordinario, sfruttiamolo al meglio. fuoricampo che è miniera mediatica e di costuPeccato che chi scrive non debba vendere “quel- me ormai infinitamente più ricca del calcio inla” merce, che invece è sul bancone mediatico, teso come tale. E anche in questo senso la Ropolitico e politico sportivo nelle dosi macrosco- tondolatria non basta più a se stessa, e segue le
piche che sapete. Peccato che il calcio nei suoi strade di tutto il resto.
risvolti extra-campo abbia travolto il suo quid Tra uno stop azzardato di Chiellini e quello che
ludico rendendolo a brandelli insieme alla cre- succede nel costoso ritiro azzurro, per il gusto
dibilità di quello che vediamo: sarà combinata sensazionale del pubblico non c’è lotta. Anche
quella partita oppure è vera? E le scommesse su nel calcio è il retrogusto a prevalere. Ed è un’altra
qualunque cosa avvenga sul terreno di gioco, manifestazione di allegria in perdita. Ma i Mondalla prima espulsione al modiali ci sono e vanno raccontati.
mento in cui viene sostituito il
Magari con l’idea geopolitica
che prima o poi verrà smentita
terzo tipo di una squadra conLA FINE DEL CIRCO
dizionano o no lo svolgimento
la formula del calcio alla Monroe, ovvero “In Europa non
degli incontri? Ecc. ecc. Per caIl calcio non è più
rità, niente di nuovo oramai da
vince una sudamericana, oltreoceano non vince un’eurotempo, anche se il denaro e le
un’arma di distrazione
tecnologie hanno elevato a popea”. Nella mediocrità dilagandi massa da tutto il resto, te e nel Brasile ammutinato
tenza un prodotto drogato deprivandolo sempre più della
magari vince la Germania (doperché risente al suo
sua radice giocosa. E qui siamo
po 24 anni...) o di nuovo la Spaalla autentica novità di questo
gna... Certo, vincesse la Colominterno delle logiche
Mondiale, che non consiste
bia...
di tutto il resto
tanto o soltanto nel dubbio su
www.olivierobeha.it
chi lo vinca, sui favoriti, sulle
“mode” tattiche, sul giocatore
Cesare Prandelli e Antonio Cassano LaPresse
che esploderà e quello con la miccia bagnata, no.
La novità di Brasile 2014 è che non c’è più allegria. Anche se lo dovesse vincere la Nazionale
di casa, e sarebbe la sesta volta dopo una dozzina
d’anni dall’ultima escursione coloniale in Estremo Oriente, probabilmente non ci sarebbe allegria, per lo meno non come siamo abituati a
registrarla nel Paese che è il calcio, e il samba, e
il carnevale, che ha convissuto con la miseria
pur essendo straricco di materie prime grazie a
un’allegria naturale e culturale insieme, che il
calcio esprimeva benissimo.
L’
che la storia ha collocato tra le
mascelle di Argentina e Brasile. Vi raccomando Diego
Godin, difensore col vizio
del gol (al Barcellona, al
Real). All’Inghilterra, in
compenso, manca sempre qualcosa, qualcuno:
una punta da affiancare a
Rooney, un nuovo Terry in
difesa. Un portiere, perché no.
Hodgson è un Boskov adattato,
meno incline al cabaret.
Come sorpresa, prendo il Belgio multi-etnico
di Hazard e Lukaku. Il Belgio, più della Colombia orfana di Falcao, più del Cile di Vidal,
ostaggio dello staff medico, più della Francia
senza Ribéry, fulminato alla schiena. Con il
Belgio, occhio al Portogallo di Cristiano Ronaldo. Pallone d’oro per forza, nel senso che
produce e trasmette forza, alla LeBron James,
Cristiano garantisce quei gol che, scomparso
Eusebio, i lusitani avevano smarrito. Sempre
che il ginocchio sinistro non lo molli sul più
bello. Gli eroi sono logori.
La Russia di Capello si mantiene nel vago:
non così fragile da uscire subito, non così forte
da suggerire voli pindarici. La Bosnia incarna
il nuovo che avanza. Saranno Dzeko e Pjanic a
decorarne la prima volta. L’allenatore è Susic:
un “dieci” da sballo, quando giocava. Obiettivo, nessun obiettivo. Un cenno lo merita anche la Croazia, non solo perché terrà a battesimo il Brasile. Prendete il centrocampo: è
un forziere. Da Modric, che al Real ha scacciato il fantasma di Ozil, a Kovacic, sul cui
talento Mazzarri ha deciso di fondare la nuova Inter. Il problema degli ex jugoslavi resta la
LA SORPRESA?
Il Belgio multietnico, da
molti indicato come possibile outsider. A fianco, Lukaku e De Bruyne LaPresse
continuità di rendimento.
L’Africa avrebbe dovuto incarnare il calcio del Duemila.
Fantasia e improvvisazione, un altro modo (e un altro mondo) di intendere il football. Del progetto, è rimasto lo slogan. Carta canta: mai un’africana in semifinale, mai. E solo tre ai quarti: il Camerun nel
1990, il Senegal nel 2002, il Ghana nel 2010. La
Costa d’Avorio di Drogba e il Camerun di
Eto’o oscillano tra seduzione e delusione. Il
Giappone di Zaccheroni, da parte sua, riassume il tesoretto asiatico. Sul piano squisitamente tattico, l’ingorgo dei calendari ha spedito i Mondiali alla periferia degli studi. Una
volta, costituivano il laboratorio più attendibile: dal 4-2-4 del Brasile di Feola al 4-4-2
dell’Inghilterra targata Ramsey, al calcio totale dell’Olanda di Michels & Cruyff. Oggi,
sono i campionati e le Coppe a scandire lo sviluppo del gioco, per tacere dei continui “stupri” al regolamento, complici non marginali
dell’impennata delle segnature. In questa ottica, va detto che sarà il primo Mondiale aperto alla tecnologia. Abbasso i gol fantasma. Gli
arbitri hanno avuto l’ordine di essere indulgenti. Le squalifiche sono pericolose, rischiano di mutilare lo spettacolo. E allora, nel dubbio, semaforo “giallo”. Specialità di casa Pilato.
ADESSO chi ha il coraggio di evocare l’allegria
con quello che sta succedendo nelle strade e nei
cantieri per stadi raffazzonati in extremis? Chi
può evitare di giustapporre il socialismo di Lula
e Rousseff calcisticamente protesa alla rielezione
a questa scarnificazione anche del Diversivo Rotondo? Romario contro Pelé, la strada contro il
Palazzo, la sensibilità contro le istituzioni, un
Brasile che si sta ammutinando contro se stesso
e le sue tradizioni più peculiari perché non ce la
fa più. E dunque se al calcio viene a mancare
l’allegria, bisogna forse rivedere tutto. Anche
perché non è certo colpa del calcio, della sua
mitologia a presa rapida e della sua resistenza al
degrado nonostante tutto, se l’allegria se ne è
andata, non essendo più compatibile neppure
con una recita collettiva. Il calcio, e la vetrina dei
Mondiali lo riflette alla perfezione, non riesce
più a fungere da arma di distrazione di massa da
tutto il resto, perché risente al suo interno delle
logiche di tutto il resto. Quindi gli scandali di
Blatter e la resipiscenza di Platini (fair play o non
fair play finanziario? L’unico che gli interessi è il
fair play politico della sua carriera), scendendo
per li rami fino alle nanerie di casa nostra (di
14
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
il Fatto Quotidiano
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
15
16
CACCIA AL RECORD
Alcuni primati sono “in pericolo”, come
quello di bomber di tutti i tempi (oggi nelle
mani di Ronaldo), altri inarrivabili: i numeri
della grande Ungheria del ’54, per esempio
15
I GOL DI
RONALDO
KLOSE, UN PASSO
DALLA STORIA
Il tedesco, a quota
14, può raggiungere
il Fenomeno
Pianeta Mondiale
di miserie
e splendori
IL “MARACANAZO” DEL 1950, IL GOL FANTASMA DI HURST DEL 1966, IL 4-3
ALLA GERMANIA DI RIVERA DEL 1970, LA “MANO DE DIOS” DEL 1986...
OGNI QUATTRO ANNI C’È SEMPRE UNA STORIA SPECIALE DA RACCONTARE
di Paolo Ziliani
S
torie che in una frazione di secondo diventano leggenda. Per l’importanza del palcoscenico. Per la notorietà degli attori. Per la
vastità della platea. Da quando la televisione
ce li ha portati in casa (Inghilterra 1966), i
Mondiali di calcio sono diventati il più grande spettacolo dopo il Big Bang. Che il Muro di Berlino sia
ancora in piedi oppure no, che Videla sia al potere oppure
no, che la Jugoslavia sia ancora insieme oppure si sia disgregata in tanti piccoli pezzi-nazione, non c’è angolo del
pianeta che per 30 giorni l’anno ogni 4 anni, succeda quel
che succeda, non resti col naso incollato al video preda di
una febbre e di una passione “malata”, non debellabili.
E così, attimi fuggenti rubati dall’occhio in mondovisione
si cristallizzano, come per miracolo, in leggenda: come la
testata di Zidane a Materazzi nella finale Italia-Germania a
Berlino 2006. La vedemmo (tutto il mondo la vide) solo in
replay. Anche per questo, forse, Zidane divenne all’istante
mito. E Materazzi con lui.
Brividi mondiali. Piccole e grandi storie che hanno trasformato questo evento nel Grande Museo delle Emozioni. Il gol-non-gol di Hurst nella finale Inghilterra-Germania del ’66 (nacque la moviola: e il calcio non fu più come
prima), il gol di Rivera e il braccio bendato di Beckenbauer
in Italia-Germania 4-3 (Mexico ’70), Nelinho che batte il
corner e Zico che insacca di testa al 90’ di Brasile-Svezia
1-1, ma inutilmente perché l’arbitro Thomas ha fischiato la
fine prima che la palla toccasse la fronte di Zico; o ancora
l’uscita assassina di Schumacher a travolgere Battiston in
Germania-Francia 3-3 a Spagna ’82 (“Se proprio avrà bisogno – dirà il portiere – gli pagherò il dentista”), la mano
de Dios di Maradona in Argentina-Francia 2-0 a Mexico 86
(“Chi ruba a un ladrone, ha 100 anni di perdono”, se la cavò
El Pibe), lo sputo di Voeller in faccia a Rijkaard in Germania-Olanda 1-1 a Italia 90; le storie che il Mondiale ci ha
regalato in mezzo secolo di calcio in tv sono mille e tutte
romantiche e tutte emozionanti. Ve ne raccontiamo alcune.
Il gol di Iniesta contro l’Olanda nella finale del 2010. Spagna campione del mondo LaPresse
ALTRI TEMPI
L’INVASIONE
GERMANIA 1974
Cile 1962
Il peggiore
Spagna 1982, La corsa
lo sceicco ultrà di Mwepu
n Campionato del monU
do a 13 mila km di distanza: pura pazzia. Il Cile è
n Cile, nel ’62, a invadere il
I
campo fu un cane. Si prese la
scena durante Inghilterra-Bra-
piccolo, povero, fiero. Il telefono non funziona. I taxi
sono rari come i mariti fedeli.
Un cablogramma per l’Europa costa un occhio della testa”. È l’incipit del primo pezzo del reportage di Antonio
Ghirelli, inviato del Corriere
della Sera ai Mondiali in Cile
del ‘62: reportage che assieme
a quello più spietato di Corrado Pizzinelli de La Nazione, provocò le violenti proteste – rimbalzate subito in
Cile – dell’ambasciata cilena
in Italia. Per l’Italia del ct
Giovanni Ferrari, l’inizio della fine.
I MONDIALI del ’62, complice
anche l’assenza della diretta-tv (le partite venivano filmate e poi teletrasmesse in
Europa, in ritardo, da Francoforte), furono i più brutti e
violenti della storia sia fuori
dal campo (4 morti alla partenza del Cile per la sfida con
l’Urss ad Arica) sia in campo,
con Cile-Italia 2-0 degna di
un film di Tarantino (l’arbitro inglese Aston che caccia
Ferrini e David nel primo
tempo e assiste impassibile ai
pugni in faccia di Sanchez a
Maschio e allo stesso David).
Stadi quasi sempre vuoti
Cile-Italia, 1962 Ansa
L’ARBITRO ASTON
Cile-Italia 2-0 fu degna –
ai danni degli Azzurri –
di un film di Tarantino
Pagammo anche
gli spietati reportage
dei nostri inviati
(2.500 spettatori per Ungheria-Inghilterra a Rancagua, 3
mila per Cecoslovacchia-Jugoslavia a Vina del Mar) e
botte da orbi sul prato: che
non bastano al Cile per far
fuori il Brasile in semifinale a
dispetto dell’assenza di Pelé e
delle sconcezze dell’arbitro
Yamasaki, sgherro al soldo
dell’organizzazione. Brasile
campione, Cile 3°.
P. Zi.
sile, irrise Garrincha in dribbling e venne fermato a un passo dalla storia da un atleta britannico di sua maestà e dall’autorità in giacca nera dell’arbitro Greaves, libero dalla sudditanza psicologica del collega
russo Stupar, uno che vent’anni più tardi, di fronte allo sceicco Fahad Al-Ahmad Al Sabah,
divenne bianco di paura.
Del sonnolento pomeriggio di
Valladolid, quello in cui la
Francia chiuse comodamente
la pratica Kuwait, di Fahad ricordano tutti la discesa in campo. Si era sul 3-1 e Platini lanciò
Giresse in campo aperto. I calciatori arabi credettero di aver
udito un fischio e si fermarono.
Alain segnò il quarto e a quel
punto, in piena estasi protestataria, come un qualunque Galliani a Marsiglia, il presidente
della Federazione, fratello
dell’Emiro, iniziò a sbracciarsi
dalle tribune per regalare al
pubblico teatro in sovrappiù.
SCESE i gradini ed entrò in
campo, bloccò la partita, convinse Stupar a recedere dalla
convalida e poi, con un codazzo
di guardie private, giornalisti
impazziti e calciatori/sudditi
perplessi, ottenuto l’annullamento, si ritirò in buon ordine.
mmaginate un pugile che
I
nell’intervallo tra un
round e l’altro si alza, va
Francia-Kuwait, 1982 LaPresse
A VALLADOLID
Lo sceicco del Kuwait
Al Sabah invase
il campo furioso
per un gol della Francia
L’arbitro Stupar annullò
E la Fifa lo radiò
La Fifa non la prese bene e per
Stupar, arbitro esposto all’arbitrio del ricco petroliere, il finale
di partita fu definitivo. Radiato.
Cancellato dalle mappe.
Lo stesso destino che per il Kuwait avrebbe desiderato anche
Saddam. Fahad morì durante
l’invasione irachena del ’90. La
palla non rotolava più da un
pezzo e la farsa aveva consegnato la staffetta alla tragedia.
Pa. Zi.
all’altro angolo e sferra un
pugno al rivale; o un nuotatore che a metà dei 100 rana si mette a fare stile libero
lasciandosi alle spalle tutti.
Difficile non mettersi a ridere. Com’è difficile non
mettersi a ridere quando al
Parkstadion di Gelsenkirchen, il 22 giugno 1974,
nell’ultimo match del Gruppo 2 tra Brasile e Zaire succede questo.
A POCHI minuti dalla fine,
col Brasile avanti 3-0 (Jairzinho, Rivelino, Valdemiro),
l’arbitro Rainea fischia una
punizione contro gli africani. Barriera a 5, l’arbitro ricorda ai Leopards di non
muoversi, Rivelino è sul pallone pronto per rincorsa e tiro: quand’ecco che al fischio
di Rainea dalla barriera parte
di gran carriera un uomo in
maglia verde, il numero 2
Mwepu, che si lancia sul pallone e bum!, gran destro e
palla catapultata 70 metri più
in là, dalle parti di Leao.
Mwepu si prende il giallo ed
entra di diritto nei Miti del
Pianeta Pallone: dal giorno
in cui il calcio fu inventato,
mai visto nulla di simile! Solo anni dopo si saprà che non
Brasile-Zaire, 1974 LaPresse
CONTRO IL BRASILE
Il difensore dello Zaire
fece ridere il mondo: uscì
dalla barriera e calciò
il pallone a gioco fermo
Ma oltre all’ingenuità
c’era dell’altro
c’era, invece, niente da ridere. I Leopards, reduci da uno
0-9 contro la Jugoslavia, erano stati minacciati dagli uomini del dittatore Mobutu:
in caso di sconfitta con più di
3 gol di scarto, nessuno
avrebbe potuto fare ritorno
nelle proprie case nello Zaire. Perdere 4-0 sarebbe stata
la fine. Mwepu, eroico, s’immolò.
P. Zi.
27
LE RETI
UNGHERESI
IL PRIMATO
INARRIVABILE
Nel 1954 i magiari
segnarono 27 reti
in cinque partite
518
I MINUTI
DI ZENGA
il Fatto Quotidiano
LA MIGLIORE
IMBATTIBILITÀ
Nel 1990 l’azzurro
subì la prima rete
solo in semifinale
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
2
I TITOLI
DI V. POZZO
17
CON L’ITALIA
NEL ’34 E NEL ’38
Solo ct a fare il bis
Può raggiungerlo
Del Bosque (Spa)
SENZA ETÀ
Roger Milla
l’extraterrestre
he età avesse davvero
C
non lo sapeva nessuno.
La carta d’identita di Roger
Milla diceva maggio 1952,
ma mito e mitomania, nelle
pieghe della leggenda, si
confondevano.
Qualcuno giurava fosse nato
alla fine degli Anni Quaranta, ma Roger e la sua biografia erano documenti misteriosi in cui a ogni ricostruzione, come in un gioco
per bambini, si potevano aggiungere o sottrarre verità e
menzogna.
INDOLENTE nei trascorsi se-
venties in Ligue 1, la serie A
francese, con il sorriso più
largo della realtà, Milla era
partito presto e arrivato tardissimo. In maglia verde,
con la Nazionale del Camerun, era planato a 26 anni,
nel 1978, 24 mesi dopo aver
conquistato il Pallone d’Oro
africano e 4 anni prima del
suo Mondiale d’esordio,
quello del 1982, a 30 anni.
Un’eliminazione senza mai
conoscere sconfitta e uno
strano pareggio con l’Italia
su cui molto si sussurrò e
troppo poco, dopo l’inchiesta di Chiodi e Beha silenARGENTINA 1978
MESSICO 1986
Romania-Camerun, 1990 Ansa
ziata dal trionfo di Madrid, si
potè liberamente raccontare.
Milla si ritirò a fine Anni Ottanta a dare calci in un possedimento francese d’oltremare.
Poi ci ripensò e piegandosi
alle pressioni della Federazione camerunense non meno che alla nostalgia, a 38 anni, nella cornice di Italia 90,
si rimise a correre e diede lezioni di eterna giovinezza
spaventando gli inglesi e
danzando intorno alla bandierina come Juary ad Avellino.
A 42 anni, a Usa 94, c’era
ancora. Fece gol anche lì, ma
superata l’incredulità, anche
i miracoli avevano iniziato a
fare un effetto relativo.
M. Pa.
LA FINALE DEL 90
La marmelada Galli, battuto
di Quiroga
dallo sguardo
L’urlo di Diego
agli 80 mila
ui si chiama Ramòn
L
Quiroga, ha 28 anni e
anche se i suoi natali sono
o ripete due, forse tre volL
te. “Hijos de puta”. Lo
grida, Diego, mentre uno sta-
argentini (Rosario, 23 luglio
1950) è il portiere del Perù,
di cui ha preso la cittadinanza da poco, dopo il passaggio
dal Rosario allo Sporting
Cristal, club di Lima. Siamo
ai Mondiali del 1978 in Argentina: e il fatto che un ex
argentino, la sera del 21 giugno, difenda la porta del Perù dagli assalti della Nazionale di Menotti a Rosario,
dove Ramòn si è affermato, è
motivo di grande imbarazzo.
Il Brasile, che nel pomeriggio ha battuto la Polonia 3-1,
ha chiuso il girone con una
differenza reti di +5 (6 gol
fatti, 1 subìto); se l’Argentina, che parte da +2 (2 gol
fatti, 0 subiti), vuole strappare il lasciapassare per la finale, deve battere il Perù con
4 gol di scarto.
IL BISCOTTO (o marmelada,
come dicono qui per alludere
al tarocco) è nell’aria: alzi la
mano chi vorrebbe essere nei
panni del povero Ramòn,
che infatti va incontro al suo
Calvario. Non solo l’Argentina in un tempo e spiccioli
gli rifila 4 gol (Kempes 21’,
Tarantini 43’, Kempes 49’,
Luque 50’), ma tra gli olé del
popolo infierisce e maramal-
on i portieri azzurri non
C
era sempre cinema a colori, ma a volte, con quella
Argentina-Perù, 1978 Ansa
PADRONI DI CASA
Per passare, all’Argentina
servivano quattro gol
di scarto al Perù, che in
porta aveva un argentino
con passaporto di Lima
Lui ne prese sei
deggia infilzando Quiroga
ancora e ancora (Houseman
67’, Luque 72’) per un 6-0 già
infiocchettato per la leggenda. “Io ho fatto il massimo.
Guardate i miei compagni; e
il guardalinee Gonella, che
convalidò due gol in fuorigioco e venne ricompensato
con la finale”, piange ancora
oggi Quiroga. L’uomo della
marmelada.
Pa. Zi.
maglia ingrata sulle spalle, il
destino della patria mutava
in peso insopportabile e il
Mondiale diventava irrisione generalizzata e graffio
fantozziano: “Si diceva che
l’Italia stava vincendo per
venti a zero e che avesse segnato anche Zoff, di testa, su
calcio d’angolo”.
SE LA MANCANZA di alter-
native, l’ostinazione di Bearzot e la magia dell’82 avevano donato proprio a Zoff
una rivincita tardiva sulle tenebre di Germania ’74 e sulla
condanna – netta e trasversale – piovuta dopo le strane
traiettorie di Argentina 78
(parabole da 40 metri che
eliminarono la truppa del vècio e per Dino suonarono un
prematuro epitaffio: “Non ci
vede più”, “È finito”, “È meglio Castellini”), la successione del Moloch fu lenta e
dolorosa.
C’era Bordon, ma l’elegante
Ivano si autoeliminò in fretta. Sarebbe potuto toccare a
Zenga, ma la chiamata di
Bearzot per un’amichevole, e
la distrazione sentimentale
del portiere che al telefono
non rispose, non deposero a
favore della rivoluzione.
Italia-Argentina, 1986 LaPresse
L’EREDE DI ZOFF
Un tocco da biliardo
del Pibe de Oro
accompagnato da
una mimica rassegnata
La fotografia di un
Mondiale sciagurato
Così Copernico si dette una
calmata e il duello fu tra Galli
e Tancredi. In campo andò il
primo. Il resto lo fece Maradona. Un tocco lento. Un
colpo di biliardo. Galli la accompagnò in rete con lo
sguardo basso e la mimica
dello sconfitto. L’Italia aveva
pareggiato. Lui aveva perso
da solo. Questione di ruolo.
E di mestieri infami.
M. Pa.
dio Olimpico senza spirito a
cinque cerchi mette la sua Argentina nel recinto del disprezzo. Fischi fortissimi. Fischi di ripudio. Fischi inauditi
che coprono musica e parole
dell’inno nazionale: “Siano
eterni gli allori che riuscimmo a conquistare”. L’otto luglio del 1990, a Roma, Maradona e i suoi non vinsero nulla e a ben vedere, in controluce, persero in tanti. Davanti
alla giacca marrone di Helmut Kohl, a Cossiga e ai generali sudamericani in bianco, la Germania scoprì inaspettatamente di giocare in
casa e alzò la Coppa del mondo prima ancora che fosse dato il fischio d’inizio. C’erano i
cosiddetti precedenti.
LE SCORIE della semifinale
persa pochi giorni prima
dall’Italia di Vicini. L’astio per
le notti magiche interrotte
dalla testa di Caniggia in volo
sull’unico errore di Walter
Zenga. L’avversione per le
maglie blu degli italiani d’Argentina che avevano sostituito
– quando tutto indicava il
contrario – l’azzurro tinto da
Schillaci. Invece era andata diversamente e davanti agli occhi increduli dei Dezotti, dei
Germania-Argentina, ’90 LaPresse
FINE DI UN AMORE
“Hijos de puta!”
gridato due, tre volte
al pubblico
dell’Olimpico di Roma
che fischiava l’inno
nazionale argentino
Troglio e dei Sensini, dei compagni di squadra che si erano
già fatti conoscere o avrebbero fatto parlare di sé nelle arene di casa nostra, Maradona si
ribellò. A petto in fuori. Da capitano nervoso, impotente,
indignato. “Figli di puttana”.
Così muore un argentino.
Senza chiedere scusa, perché
quando è giusto, urlare è necessario.
M. Pa.
18
di Maurizio Chierici
L
a novità della Coppa del mondo
è un’America Latina in borghese, finalmente governi senza divise e polizia che contengono e
non schiacciano le proteste.
Che non si spengono: rabbia dei
45 milioni di senza niente, neanche l’acqua in casa. Non sopportano i capitali “sperperati” nello
splendore dei 12 campi da gioco che galleggiano
come astronavi. I paesi attorno danno una mano
con i loro agenti travestiti da ultrà nella speranza
che gli scontenti della sesta potenza industriale
del mondo non rovinino la sagra dei gol.
La prima volta è successo nell’Uruguay del 1930,
Svizzera sudamericana inginocchiata dalle giornate nere di Wall Street, Borse che precipitano
nella prima crisi del secolo. La borghesia uruguayana aveva ammorbidito i militari con la cultura
di mille librerie invidiate dalla Buenos Aires di
Borges. Paese improvvisamente moderno disegnato dal presidente José Battle Ordonez, massone per dovere: nessun capo di Stato arrivava
alla poltrona se non esce dalle logge cresciute a
Montevideo nell’Ottocento del Garibaldi eroe
anche di questo mondo. A differenza dei paesi
attorno dove il cattolicesimo accompagna il potere, l’Uruguay ritocca il calendario: Natale diventa “festa dei bambini”, Pasqua “festa del turismo”. Il presidente che accoglie gli Azzurri
sbarcati dal piroscafo Conte Verde si chiama
Juan Capisteguy. Debolissimo. Il partito Colorado sta preparando le sue dittature. Si annuncia
l’elezione del presidente Gabriel Terra il quale
subito monta un colpo di Stato, cambia la Costituzione, scioglie il Parlamento, ammutolisce la
stampa. L’Italia di Mussolini respira aria a casa.
NEL 1950 è il Brasile padrone di casa, ma l’agi-
COPPA
DI SANGUE
Buenos Aires, 25 giugno 1978. Il generale
Videla ha appena consegnato la Coppa del
mondo al capitano Daniel Passarella LaPresse
LA SETTIMA VOLTA
IN SUDAMERICA
PRIMA “IN BORGHESE”
tazione politica non cambia. Si gioca mentre brucia un’altra campagna elettorale. Se adesso Dilma IN ORIGINE FU URUGUAY ‘30. POI BRASILE ‘50 E CILE ‘62 TRA I DUE TORNEI IN MESSICO, NEL ‘70
Rousseff, Partito dei Lavoratori, spera nella rielezione di ottobre, 64 anni prima Getulio Vargas E NELL‘86, L’EMBLEMATICO ARGENTINA ‘78. STORIE DI MONDIALI LATINI DAI GOVERNI IN DIVISA
scalava il secondo mandato con
una rincorsa travagliata. Liberal, tra virgolette, nel ‘30 rovescia il presidente con un colpo di
CALCIO
Stato imponendo una giunta
militare che guida nella scrittura
E DIRITTI
della nuova Costituzione detta
Nel 1978 campioni
“polacca” per la somiglianza
con la Carta dei colonnelli neri
come Cruijff (Olanda)
di Varsavia e un po’ ispirata alla
magna charta del Salazar portoe Breitner (Germania)
ghese amico di Franco. In Alte
restano a casa. Non
uniformi e camicie da notte Jorge Amado racconta, nel travevogliono correre il rischio
stimento di un accademico delle
lettere, i dubbi di Getulio Vardi ricevere la Coppa
gas: con Hitler o con gli alleati?
Sceglie Washington e riapre la
dalle mani sporche
corsa alla seconda presidenza.
del dittatore Videla
Quel 1950. Sui brasiliani, sfiniti
dalla politica, si abbatte la sciaDa destra in senso
gura della sconfitta: l’Uruguay
orario:
di Ghiggia e Schiaffino infilano i
il “Maracanazo”,
padroni di casa fra le lacrime del
il gol di Ghiggia
Maracanà, mentre il Vargas
al Brasile nella
presidente viene lapidato da
finale del 1950;
giornali impietosi. La coalizione
la finale del 1930
lo abbandona, l’economia non
a Montevideo;
si raddrizza e la corruzione diil presidente
laga. I militari insorgono, Getubrasiliano Djlma
lio si uccide. Le tragedie contiRiousseff
nuano nel continente degli uomini forti.
con Ignazio Lula;
Buenos Aires 1978: il silenzio
Joan Cruijff
degli oppressi fa più rumore del
e Paul Breitner
tifo dei padroni di casa. GeneLaPresse
rale presidente dopo un colpo di
Stato, Videla avvolge l’Argentina nella rete delle prigioni segrete. Trentamila ra- colore. Enzo non ci sta. Anni dell’operazione
dalla Coppa
gazzi non ne usciranno mai. Indignazione che Condor disegnata da Kissinger. L’internazionale
giocata fra le
scuote il mondo del pallone. Campionissimi co- della repressione riunisce i generali del cono sud:
nuvole
nel
me Johan Cruijff e Paul Breitner (Olanda e Ger- Pinochet, Videla, Aparicio Méndes (Uruguay) e il
1970: non solo
mania squadre favorite) restano a casa per far ca- Paraguay di Stroessner da sempre al potere. Chi
le rivolte dei
pire il sacrilegio di un torneo costruito fra i lager. scappa non ha speranza: mezzo continente lo in- ninvest può raccontare la Coppa. Craxi dà una popoli indigeni diseredati, nelle piazze anche gli
Non se la sentono di ricevere la Coppa della vit- segue. Ma in Brasile sta per succedere qualcosa: il mano e l’informazione per sempre cambia. Come studenti dell’Università Metropolitana, Unma,
toria dalle mani sporche del dittatore. Videla, generale Figuereido annacqua l’autoritarismo, nella Buenos Aires di Videla, anche la Montevi- laboratorio delle inquietudini che formano la vol’ammiraglio Massera non erano soli. Appoggio mentre l’Uruguay dei generali P2 ospita il Mun- deo dalle logge armate scatena polemiche a casa cazione di un giovane professore di filosofia, Rainvisibile dell’Amministrazione Reagan e la col- dialito, torneo per le squadre campioni del mon- nostra. Castagner, allenatore della Lazio e San- fael Sebastian Guillén Vicente. Cambia nome nellaborazione della P2: Licio Gelli superstar allunga do. Spettacolo mediocre. Cambia qualcosa solo tarini, difensore della Roma, firmano un docu- le montagne del Chiapas: Subcomandante Marla propaganda al Giornale degli Italiani che si pub- nelle abitudini italiane: a Montevideo comincia la mento contro repressione, torture e fame nel pae- cos. Nessuna novità sociale e politica perché, per
blica a Buenos Aires, proprietà Rizzoli-Corriere marcia su Roma di Berlusconi. La ragnatela P2 se dei militari. Ma Corriere della Sera e Gazzetta 70 anni, ogni potere resta nelle mani del Partito
della Sera feudo della loggia deviata. Con la valigia strappa alla Rai la diretta delle partite. La legge lo dello Sport (gestione P2) si imbarcano nell’esal- rivoluzionario istituzionale, matassa burocratica
pronta, non parte Enzo Biagi: voleva raccontare il proibisce, eppure Artemio Franchi, vicepresiden- tazione del Mundialito “più affascinante del mon- dei notabili che emarginano i diseredati e repripaese della paura, ma il direttore P2 del Corriere te Fifa, tessera P2 402 favorisce i passaggi che la- do”. Cosa dire della cornice politica del Campio- mono la libertà. Se ne vanno nel 2002, tornano nel
(Franco Di Bella) pretende scanzonati articoli di sciano a mani vuote la Tv pubblica: solo la Fi- nato Messico 1986? Meno feroce, ma non diverso 2012, chissà se la storia ricomincia.
ALTRI MONDI
il Fatto Quotidiano
Pianeta terra
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
19
IRAQ AUTOBOMBE A BAGHDAD, 60 MORTI
La pace resta un miraggio in Iraq. Sono almeno
60 i morti e 84 i feriti coinvolti in sette attentati
con autobombe ieri a Baghdad; 59 morti a Mosul. Le esplosioni hanno preso di mira i quartieri
a maggioranza sciita. All’università c’è stata
battaglia fra esercito ed estremisti islamici. Ansa
USA I GIGANTI DEL WEB: BASTA INTRUSIONI DEI GOVERNI
Colossi della Rete come Google, Microsoft e Facebook iniziano a respingere le richieste di dati non obbligatorie per legge. Lo ha scritto
il New York Times. Anzi, l’idea è rendere più difficili le intrusioni della
National Security Agency o altre organizzazioni del genere. LaPresse
BRASILE SCIOPERI,
BOTTE E INGORGHI:
TE LO DO IO IL MONDIALE
LE PROTESTE DILAGANO. DOPO INSEGNANTI, GUIDE TURISTICHE
E INDIOS, TRASPORTI FERMI DA TRE GIORNI. A SAN PAOLO
SI TERRÀ LA PRIMA PARTITA, MA SENZA METRO SI TEME IL CAOS
di Giulia Merlo
stano con i mezzi pubblici. Nei
giorni scorsi, l’interruzione dei
trasporti ha provocato 200 chilometri di coda moltissime
persone non hanno potuto raggiungere il posto di lavoro. Ieri,
con 38 fermate di metro chiuse
su 65, il traffico ha creato un
ingorgo di 72 chilometri.
A
meno di una settimana dall’inizio
dei Mondiali di
Calcio e con gli occhi del mondo puntati sul Brasile, la città di San Paolo è ancora teatro di scontri tra polizia e manifestanti. Gli agenti
hanno usato proiettili di gomma, gas lacrimogeni e manganelli per disperdere il presidio
dei lavoratori della metropolitana, che piantonavano la stazione Metro - chiusa - di Santa
Ana, in pieno centro città. I
militari hanno dichiarato di
essere intervenuti per sedare
una rissa tra scioperanti e pendolari, ricostruzione però
smentita dai manifestanti.
LO SCIOPERO dura ormai da
tre giorni e i dipendenti del trasporto pubblico hanno deciso
di proseguire a oltranza, dopo
l’interruzione delle trattative
tra sindacati e amministrazione comunale. Il braccio di ferro
riguarda gli stipendi: i lavoratori che chiedono un aumento
del 10%, mentre la compagnia
che eroga il servizio non è disposta ad andare oltre l’8,7%. Il
tribunale regionale del lavoro
sta valutando la legittimità delle richieste del Sindicato dos
Metroviários de São Paulo e ha
ordinato che il trasporto metropolitano sia comunque garantito nelle ore di punta. Nonostante il Comune abbia so-
CON I MONDIALI ormai alle
Proteste in strada LaPresse
ACCUSE AL GOVERNO
Critiche al presidente
Dilma Rousseff: ha speso
troppo per i grandi eventi
(comprese le Olimpiadi
2016) sacrificando
sanità e istruzione
speso in via eccezionale il limite alla circolazione delle auto
nel centro città e la Compagnia
dei trasporti ha annunciato
l’aumento del numero di treni,
San Paolo è andata in tilt. In
una città con oltre 20 milioni di
abitanti, sono più di 4 milioni le
persone che ogni giorno si spo-
porte, le proteste rischiano di
mettere in serio imbarazzo, oltre al comitato organizzativo
brasiliano, anche la Fifa. La prima partita, in cui il Brasile affronta la Croazia nel match di
apertura del gruppo A, si giocherà giovedì prossimo proprio al San Paolo Arena Corinthians. Lo stadio si trova in periferia e il modo più semplice
per raggiungerlo è proprio con
la metropolitana. Se lo sciopero
continuasse, però, moltissimi
spettatori potrebbero non arrivare all’impianto per assistere
alla cerimonia di apertura dei
Mondiali, e un’arena mezza
vuota non sarebbe certo un
buon biglietto da visita per il
governo brasiliano. Nonostante le proteste, la presidentessa
brasiliana Dilma Roussef ha dichiarato di essere sicura che i
Mondiali saranno un enorme
successo, sostenendo che le
proteste non rovineranno
l’evento. Anche il presidente
della Fifa Sepp Blatter, dopo gli
scontri con il governo brasiliano per i ritardi sui preparativi,
ha gettato acqua sul fuoco: “So-
I lavoratori della metropolitana si scontrano con la polizia nella stazione di Ana Rosa LaPresse
no ottimista. Quando il torneo
inizierà, migliorerà anche
l’umore della gente e sono sicuro sarà una festa”. Quello
della metropolitana, però, è solo l’ultimo sciopero in ordine di
tempo. In maggio, infatti, ad
incrociare le braccia erano stati
gli autisti dei mezzi pubblici,
provocando anche in quel caso
ingorghi e blocchi del traffico.
Prima ancora, invece, era stato
il turno degli insegnanti e delle
guide turistiche.
Le proteste in Brasile continuano ormai da più di un anno,
nonostante la loro intensità sia
progressivamente diminuita.
Le numerose manifestazioni
contro le politiche di Dilima
Youssef hanno portato anche a
scontri con le forze dell’ordine
e all’arresto di oltre 200 persone. La sollevazione popolare considerata la più grande degli
ultimi 20 anni - scaturisce dalle
accuse verso il governo di Brasilia, di aver speso troppo per
l’organizzazione dei due grandi eventi sportivi che si terranno nel Paese - i Mondiali 2014 e
le Olimpiadi 2016 - sacrificando gli investimenti in sanità e
istruzione e aumentando del
7% il costo del trasporto pubblico. Secondo le stime, infatti,
la sola Coppa del Mondo 2014
è costata alle casse statali circa
11 miliardi di dollari. Non certo il clima migliore per accogliere l’evento che dovrebbe rilanciare l’immagine del Brasile
a livello internazionale.
VATICANO
Hamas tira la giacca
a Papa Francesco
“UN APPELLO PER I PALESTINESI”. CON BERGOGLIO
IN PREGHIERA ABBAS E L’ISRAELIANO PERES
a preghiera in Vaticano in programma oggi alla quale
L
papa Francesco (nella foto) ha invitato il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmoud Abbas di-
venta occasione di rivendicazioni. Un appello per “i palestinesi di Gaza, per una questione di umanità e a prescindere
da ogni presa di posizione politica” è quanto si aspetta dal
papa Israa al-Mudallal, ex portavoce del governo di Hamas
nella Striscia di Gaza e attuale responsabile delle relazioni
esterne per il governo di unità. Lo riporta
l’Aki-Adnkronos International; l’esponente
di Hamas chiede al papa di “ricordare che
i palestinesi sono esseri umani, che subiscono ogni giorno, soprattutto a Gaza,
violazioni dei loro diritti e una vera e propria apartheid”. Pure il governo israeliano di Benyamin Netanyahu ritiene una
occasione da non perdere l’appuntamento con Bergoglio tanto che ha dato il benestare alla partecipazione del presidente
Shimon Peres. Lo riporta il Jerusalem Post, secondo il quale fino
a giovedì pomeriggio non era certo che Peres avrebbe ricevuto
l’approvazione governativa ad una preghiera assieme al presidente palestinese Mahmoud Abbas dopo le obiezioni israeliane contro il nuovo governo palestinese di unità nazionale.
Tra le tv satellitari, al-Arabiya si prepara a coprire l’evento
sottolineando che “per la prima volta nella storia, preghiere
islamiche e brani del Corano saranno recitati in Vaticano”. La
tv ricorda che la Santa Sede garantirà una diffusione mondiale
delle immagini della preghiera, ma precisa che ci sono “scarse
aspettative” sul fatto che questa giornata possa produrre effetti
concreti sul processo di pace in Medio Oriente.
Poroshenko e l’amico americano
UCRAINA, IL NUOVO PRESIDENTE APPLAUDITO DA BIDEN: IL FIGLIO È NEL CDA DELLA COMPAGNIA PRIVATA DI GAS
di Roberta
Zunini
Kiev
odici fortissimi spari, a salve, hanno saD
lutato l'insediamento di Petro Poroschenko alla presidenza della repubblica
ucraina. Facendo abbassare la testa per lo
spavento alle poche centinaia di persone raccoltesi davanti alla Rada (Parlamento) e alle
cupole dorate di Santa Sofia, dove il neo presidente, l'oligarca “re del cioccolato”, è andato ad assistere alla santa messa. Ma più che
celebrare una festa, le fucilate sono sembrate
l'eco, assai vicina, di quelle che nell'est del
Paese hanno ucciso un deputato della autoproclamata repubblica popolare di Donetsk -Maxim Petrukhin, assistente del leader
dei ribelli Denis Pushilin- e delle sparatorie
scoppiate nuovamente, dopo una breve tregua, a Lugansk, la seconda regione del Donbass, a ridosso del confine con la Russia. “Tra
i 13 morti, caduti a causa delle sparatorie e
dei bombardamenti dei soldati ucraini contro le nostre postazioni in città, ci sono anche
10 civili” ha dichiarato il leader dei sepa- giugno, giorno in cui si terrà a Bruxelles il
ratisti dell'autoproclamata repubblica di Lu- vertice Ue, la parte economica dell’accordo
gansk, Valeri Botolov. Nonostante Poro- di associazione con l’Unione Europea. La
shenko durante il suo primo discorso alla tranche politica dell’accordo tra Kiev e BruNazione dalla sede del Parlamento avesse xelles era già stata firmata a marzo. Il rifiuto,
sottolineato di essere disposto ad amnistiare all'ultimo minuto, otto mesi fa, da parte del
i ribelli che hanno combattuto ma “non si deposto presidente Yanukovich di siglare
sono macchiati le mani di sangue”, Bolotov questo accordo di associazione aveva inneha risposto in modo netto e inequivocabile di scato le proteste di molti cittadini che poi
non credere alla sua promessa, aggiungendo: erano divenute vera e propria rivolta soffo“Non abbiamo rapporti con
cata dai corpi antisommossa.
Kiev, e ogni negoziato sarà
Ma questa è storia del passato. Ieri, alla cerimonia di
possibile solo se le truppe di
PARENTI SERPENTI
occupazione lasceranno il
insediamento di Poroshenko
nostro territorio”.
, tra i delegati stranieri c'era il
I separatisti filo-russi
vicepresidente Usa, Joe BiPOROSHENKO, proprietario
den, il cui figlio, Hunter, un
da Lugansk mandano
di una catena di negozi di
mese fa, è entrato nel conun messaggio: “Con
cioccolata con molti punti
siglio di amministrazione
vendita anche in Russia ha
della più importante compaKiev nessun rapporto. gnia privata di gas dell'Ucraisottolineato che non riconoscerà l'annessione della CriNegoziati possibili solo na, la Burisma Holdings.
mea da parte della Russia e si
La Casa Bianca ha cercato di
se ritirano le truppe”
è detto pronto a firmare il 27
spazzare via le accuse di con-
Petro Poroshenko all’uscita del parlamento dopo
la cerimonia di insediamento Ansa
flitto di interessi con una dichiarazione a Business Insider. La portavoce di Joe Biden, Kendra Barkoff, ha sottolineato che la nomina di
Hunter non è da collegare al “peso” del vice
presidente americano: “Hunter Biden è un
privato cittadino e un avvocato. Il vice presidente non sostiene alcuna società in particolare e non ha alcun coinvolgimento con la
Burisma”.
Il cerchio si può considerare chiuso, speriamo non attorno al collo dei cittadini ucraini
esausti da lutti e crisi economica.
20
Collage di domande
Una serie di interviste che raccontano uno
dei grandi protagonisti e intellettuali del Paese:
da volontario “anarchico” nelle prime file,
all’amicizia con Carducci e Borsi
46
(continua)
La Grande guerra
“Così l’Italia
diventò fascista”
LA RIEVOCAZIONE DI GIUSEPPE PREZZOLINI DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE: PARTÌ
VOLONTARIO PER IL FRONTE. SPIEGAVA CHE, NONOSTANTE TUTTO, QUELLO
FU IL MOMENTO MIGLIORE DEL PAESE: “DOPO LA DISFATTA DI CAPORETTO SI SCATENÒ
LA REAZIONE DELLE TRUPPE. CON TUTTI I SUOI ORRORI. LA GUERRA ESASPERA LE FACOLTÀ
UMANE: SI VEDE IL PAUROSO DIVENTARE UN VIGLIACCO E IL CORAGGIOSO UN EROE”
di Enzo
Biagi
C
aro Prezzolini che cos’è un conservatore?
È un freno alla illusione umana. C’è chi pensa che tutto
quello che è nuovo sarà migliore. Non è uno che vuole
tornare indietro, ma intende mantenere quello che è stato provato per molto tempo, mentre ciò che si propone non tiene mai conto
degli ostacoli e del disinganno che nascono da
qualunque rapido trapasso.
E la rivoluzione che cos’è?
Sempre un miraggio: può trasformare in parte
un paese, talvolta ne accentua i difetti, può
produrre qualcosa che non è mai quello che si
era sperato. Il 1789, la Rivoluzione francese,
ha creato niente di meno Napoleone, e nacque
col presupposto che le guerre erano fatte dai
principi per scopi personali, e c’era del vero, e
scoppiarono poi conflitti molto più estesi, il
servizio militare diventò obbligatorio, e le
masse vennero coinvolte.
E il 1917?
Ha avvilito quelli che speravano in un mutamento profondo della Russia in senso democratico, ha dato un benessere diffuso, non
eccezionale, ma notevole per il passato di quel
popolo. Ma l’Urss non è né il modello di Marx
né un esempio per gli altri.
All’inizio del Novecento avevi diciotto anni,
com’era la vita allora?
A me pareva sbagliata. Quando ero ragazzo mi
dichiaravo anarchico, volevo anzi andare a
Ginevra dove c’era il covo. Figlio di un Prefetto del Regno, per reazione mi sentivo libertario. Nella nostra casa non mancava nulla.
Durante l’inaugurazione della galleria del
Sempione mio padre aveva citato un verso del
Petrarca contro i tedeschi e questo non era
permesso perché dal 1882 facevamo parte, con
Germania e Austria, della Triplice Alleanza. Il
verso diceva: ‘Ecco queste Alpi che ci hanno
difeso dalla tedesca rabbia’. Un senatore cattolico lo riferì a Giolitti che gli tolse il posto a
sei mesi dalla pensione. Per fortuna che era
stato volontario nel ’59, durante la Seconda
guerra d’Indipendenza, questo gli consentì di
salvare la pensione, così ritornammo a Firenze.
Com’era la vita letteraria a Firenze?
Eravamo giovani; io insegnavo il latino a Giovanni Papini, che era figlio di un garibaldino,
lui ricambiava spiegandomi lo spagnolo. Ci
separammo da Ercole Luigi Morselli, il commediografo, perché era per la letteratura, noi
per la filosofia. ‘È il pensiero che conta’, sostenevamo noi. ‘No è l’arte’, rispondeva l’autore di Glauco. Nel 2008 fondammo la rivista
culturale La Voce, dopo che avevamo fatto
l’esperienza del Leonardo che chiudemmo nel
1907. Allora tutto era dominato da D’Annunzio e dalla rivista letteraria Il Marzocco. D’An-
nunzio non l’ho mai voluto incontrare, non
mi piaceva. Era l’emblema della vita senza
pensiero, godereccia, del piacere. Noi, da idealisti, sostenevamo che il mondo esterno non
esisteva.
Com’era Papini allora? Come vivevate?
Tante volte mi pareva un angelo, altre un demonio. La sua famiglia era dell’aristocrazia
artigiana. Quando, prima della macchina,
contava l’abilità delle mani, facevano mobili
poi diventarono mercanti. Giovanni era maestro elementare, dal reddito del negozio gli
passavano 30 lire al mese. Ogni tanto riceveva
una lettera che gli offriva un posto da insegnante, ma lui la buttava via.
do io per De Amicis’.
Come giudichi Giolitti come capo di governo?
Giolitti aveva capito che bisognava aprire la
strada alla classe lavoratrice, attraendola come
aveva fatto coi cattolici, ma non aveva abbastanza forza. Si è allontanato dal governo
ogni volta che c’era una questione grave, lasciava nominare qualcuno di fiducia, poi ritornava. La guerra del ’15 fu dovuta anche
all’incarico dato a quella nullità che era Antonio Salandra, che pur essendo un conservatore era protetto da Giolitti che aveva la
maggioranza in Parlamento. Fu un grave errore di Giolitti perché non riuscì a imporgli la
neutralità, Salandra con il suo ministro degli
ITALIANO ALL’ESTERO
I mille viaggi tra la Francia e l’America
GRANDE INTELLETTUALE Giuseppe Prezzolini cresce studiando privatamente nella fornita biblioteca del padre che ricoprì la carica di Prefetto del Regno in varie città italiane. Nel 1899 abbandona gli studi liceali; a Firenze conosce Giovanni Papini, da cui lo separa un solo anno
di età. Nasce una duratura amicizia. L'anno seguente Prezzolini perde il
padre. Tra il 1900 e il 1905 compie numerosi viaggi in Francia; perfeziona il francese a Grenoble. Nel 1903, ad appena 21 anni, inizia l'attività di giornalista ed editore: assieme a Papini fonda a Firenze la rivista culturale
Leonardo, pubblicata fino al 1908. Durante la Grande Guerra è volontario sul fronte.
Nel 1929 ottiene un incarico annuale alla Columbia University e si trasferisce da Parigi
a New York con la famiglia. Nel gennaio 1940 diventa cittadino americano. Nel 1948
l'ateneo newyorchese lo nomina professore emerito di Italianistica. Nel frattempo ha
avviato collaborazioni con alcuni giornali italiani. Ha scritto per i principali quotidiani
italiani di allora, dal Tempo alla Nazione e al Resto del Carlino. È morto a Lugano nel
luglio del 1982 all’età di cento anni.
Esteri Sonnino appoggiarono la Triplice Alleanza e l’Italia entrò in guerra nel secondo
anno dallo scoppio. Ebbi un colloquio con
Giolitti; La Voce era aperta a tutte le tendenze.
Sull’occupazione di Fiume mi disse: ‘Fu una
semplice operazione di polizia’.
Hai scritto che il tempo più bello vissuto dal
nostro paese, nonostante tutto, è quello del
Primo conflitto mondiale.
Sì, dopo la disfatta di Caporetto si scatenò la
reazione delle truppe. Con tutti i suoi orrori.
La guerra esaspera le facoltà umane: si vede il
pauroso diventare vigliacco e il coraggioso
eroe.
Tu sei partito volontario nella Prima guerra
mondiale, perché?
È vero che hai giocato a carte con Carducci?
Carducci era amico di mio padre, erano stati
studenti agli Scaloppi di Firenze, gente seria: il
babbo sapeva Virgilio a mente. Tutte le volte
che cambiava prefettura, Carducci gli veniva a
far visita. Ho giocato una partita con lui e,
purtroppo, ho perso.
E De Amicis?
Venne a Novara, ma era sotto sorveglianza
della polizia perché noto come socialista. Una
mattina, tornando dalle lezioni, incontrai un
signore che mi chiese della prefettura: era De
Amicis. Era alto, con grandi occhi, baffi bianchi e sopracciglia grosse scure, ben vestito,
una cravattina a farfalla, e un colletto con il
bavero di velluto. Mi ricordo che portava un
bel cappello a cencio. Gli dissi che anch’io ci
andavo, salimmo insieme le scale, veniva a far
visita al prefetto, sicuramente non parlarono
di politica perché mio padre era un liberale
conservatore. Ricordo che disse al delegato di
polizia di sospendere la sorveglianza: ‘Rispon-
Io penso che
il soldato italiano
sia stato un buon soldato
Non era peggiore
degli altri, non li ho visti
mai scappare. Il problema
casomai erano gli ufficiali,
ma non i nostri soldati
Erano diverse le ragioni per le quali in molti
eravamo a favore della guerra. A La Voce pensavamo che fosse l’unica occasione che l’Italia
avrebbe avuto per riavere Trieste e Fiume.
Quelle terre erano nostre. Lavoravo in un ufficio militare, controllavo delle scartoffie, dopo la disfatta di Caporetto feci domanda per
essere mandato al fronte. Accettai l’invito di
entrare nel corpo d’armata A, che stava per
assalto, che era composto tutto di arditi.
L’esercito aveva scelto, per sfondare il fronte
austriaco a Vittorio Veneto, i gruppi che aveva
preparato per ciascun corpo d’armata, gli aveva messi tutti insieme formando un unico nucleo. Prima di partire scrissi a Papini una lettera nella quale gli raccontavo che mi vergognavo di stare a riposo mentre gli altri si
battevano anche per me e che avevo deciso di
fare la mia parte, di dare il mio contributo.
Combattemmo sul Monte Grappa e sul Piave.
Cosa ricordi della Grande Guerra?
Molte cose dolorose e penose: la morte degli
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
21
LA GRANDE GUERRA
Nella foto accanto,
Giuseppe Prezzolini. Sotto, i soldati italiani
durante la Prima guerra mondiale
sul fronte del Piave. Un conflitto che, secondo
Prezzolini, aprì le porte al fascismo Ansa
Quando a Sarajevo
finì la Belle Époque
L’OMICIDIO DELL’ARCIDUCA D’AUSTRIA SEGNA L’INIZIO DEL CONFLITTO
L’EUROPA SI SPACCA, MUSSOLINI E D’ANNUNZIO DA SUBITO INTERVENTISTI
di Loris Mazzetti
A
lla fine dell’Ottocento
il mondo stava cambiando. Era il periodo
della Belle Époque,
una stagione non propriamente
felice per l’Italia. Milioni di cittadini, a causa della dell’agricoltura in crisi e del progresso scientifico, che avevano reso inutile
molta manodopera, furono costretti ad attraversare l’oceano,
in cerca di un lavoro. Vennero
fondati i primi grandi giornali: il
Corriere della Sera, il Messaggero,
La Stampa. Si affermarono le
banche e i signori dell’industria
come Krupp in Germania, Rockefeller in America, da noi Pirelli, Agnelli, Olivetti. Le due scoperte dei coniugi Curie e di Guglielmo Marconi, il polonio, il radio con la loro radioattività, e la
radio, rivoluzionarono scienza,
medicina e comunicazioni.
CON L’INIZIO del nuovo secolo,
in Europa scoppiarono grandi
fermenti: nei Balcani le popolazioni sognavano l’autonomia e
pensavano di liberarsi dall’oppressione austriaca, con l’appoggio della Russia. L’Impero Ottomano entrò in crisi profonda:
perse la Libia nel conflitto con
l’Italia e i suoi territori europei
vennero spartiti tra Bulgaria,
Montenegro, Grecia e Serbia.
Bulgaria e Serbia si dichiararono
guerra. Tutto ciò sembrava cir-
coscritto ma era, invece, solo
l’anteprima di una contesa che
avrebbe coinvolto il mondo. La
Belle Époque finì il 28 giugno
1914 quando a Sarajevo uno studente nazionalista bosniaco, Gavrilo Princip, uccise l’arciduca
d’Austria Francesco Ferdinando
e la moglie Sofia. Il mondo si divise in due. Da una parte l’Impero
Austro-ungarico e la Germania,
dall’altra Russia, Francia e Inghilterra: è l’inizio della Prima guerra
mondiale.
TRA GLI ITALIANI c’è chi vuole
intervenire come Mussolini e
D’Annunzio e chi si batte per restarne fuori, come Giovanni Giolitti, il socialista che aveva guidato il governo per 14 anni. Allo
scoccare del secondo anno di
guerra l’Italia, che nel frattempo
aveva abbandonato la Triplice
Alleanza con l’Austria e la Germania e sottoscritto il Patto di
Londra con Francia, Inghilterra e
Russia, il 24 maggio 1915 dichiarò guerra all’Austria. Il re Vittorio Emanuele III motivò così la
decisione agli italiani: “Per piantare il tricolore sui terreni sacri
che natura pose ai confini della
patria”. In caso di vittoria l’Italia
avrebbe ottenuto Trentino e
Trieste, l’Istria, la Dalmazia e il
porto di Vallona. Nel centesimo
anniversario della Grande Guerra, l’intervista di Enzo Biagi che il
Fatto Quotidiano pubblica oggi è
a Giuseppe Prezzolini che è stato
testimone di quegli anni, a lui la
nostra cultura deve molto. Aveva
fondato insieme a Giovanni Papini La Voce, che espresse i fermenti e le ribellioni di un’epoca:
quella che morì con le rivoltellate
di un giovane studente a Sarajevo. Prezzolini, classe 1882, nella
sua importante biografia si definì
polemicamente “L’italiano inutile”, visse da protagonista tra il
1903 e il 1916 la fervida “stagione
delle riviste fiorentine” e partì,
come tanti altri intellettuali, come volontario per la Grande
Guerra, che considerò il “tempo
più bello vissuto dal nostro paese”. Biagi ebbe con lui un lungo
rapporto di amicizia, nonostante
la differenza di età. “ Prezzolini
mi è stato vicino in alcuni momenti professionali per me difficili. I suoi consigli sono sempre
stati preziosi” ricordò il giornalista il giorno dopo la sua scomparsa, il 14 luglio 1982, sulle pagine de La Stampa. L’ultimo incontro tra i due era avvenuto alla
vigilia del centesimo compleanno a Lugano, dove lo scrittore viveva da anni con Jakie, la moglie,
in un tranquillo e luminoso appartamento sul lago. “Le esperienze lo hanno addolcito, anche
se le sue idee, che si ispirano a un
realismo senza sogno, continuano a scandalizzare”. Prezzolini
raccontò a Biagi che il segreto per
vivere a lungo, glielo aveva spiegato un famoso medico, Condorelli, “è scegliersi bene gli ante-
amici. Nel battaglione trovai il poeta Giosuè
Borsi, anche lui volontario. Era simpatico,
raccontava storielle, morì tradito dal suo capitano. Il vigliacco diceva ai suoi soldati: ‘Se
viene un combattimento, io metto la testa sotto un sasso e non mi vedete più’. Una cosa
tremenda. Borsi fu tra i primi a essere mandato in combattimento. Morì mentre lanciava
una bomba contro il nemico.
Tra i volontari e gli ufficiali di complemento
c’era l’idea che la guerra avrebbe dovuto portare a un rinnovamento politico, che avremmo potuto, una volta finita, fare un’altra Italia.
Questo era un sentimento diffuso. Io ho sempre creduto che la guerra preparò l’arrivo del
fascismo.
Benito Mussolini ti scrisse: “Io sono stato fatto e poi rifatto dai periodici, “Leonardo” prima
e da “La Voce” poi, e te ne sono riconoscente”.
È vero?
Da che cosa è nata
Caporetto? Dalla
stanchezza: le truppe
non capivano cosa stesse
realmente accadendo. Ma
anche il comando, ormai,
non sapeva più nulla
teva più studiare come una volta,
ma batteva sempre a macchina
due articoli ogni settimana. Biagi
lo raccontò così: “È dentro la storia e la cultura dell’Italia. Nella
sua stanza, una intera parete è nascosta da uno scaffale che contiene la corrispondenza che ha
scritto e ricevuto. Grossi fascicoli
sono intestati a un solo nome: Papini, poi Croce, Gobetti, Mussolini. Si è definito ‘un rompiscatole’: ha discusso, contraddetto e
litigato con molti personaggi di
questo secolo. Da ragazzo piantò
il liceo perché si accorse che c’era
poco da imparare. Fumava l’hashish, contestava, si direbbe oggi.
Ha conservato la sua indipendenza: puoi non essere d’accordo, ma devi rispettare la dirittura
di questo toscano scomodo. Ha
sempre saputo dir di no”.n
Che cosa vi avevamo promesso?
Dalla stanchezza: le truppe erano senza cibo e
non avevano informazioni. Il comando non
sapeva nulla. Una volta fui mandato a Udine
per portare un dispaccio. Lì incontrai Ugo
Ojetti, il giornalista, lo scrittore, anche lui vo-
avevano informazioni,
SI LAMENTAVA perché non po-
dante era il generale Caviglia, fu merito suo la
vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto. Ho
visto con i miei occhi le sue capacità militari.
Da che cosa è nata Caporetto?
erano senza cibo e non
nati”. Aggiunse Biagi: “Forse è
anche l’interesse per le cose, la
parsimonia, il gusto della scoperta”. Nel 1925, quando si accorse
della strada che aveva infilato il
fascismo, se ne andò a Parigi con
la famiglia. Qualche anno dopo si
trasferirono in America dove insegnò per 33 anni alla Columbia
University di New York, diventando cittadino americano. Biagi
rimase ancora una volta affascinato per la lucidità e la chiarezza
del racconto, nonostante l’età, la
sua memoria era completamente
intatta.
lontario, mi accorsi nel parlargli che non sapeva nulla di ciò che stava accadendo.
Come si comportò il soldato italiano?
È stato un buon soldato, non era peggiore
degli altri, non li ho visti mai scappare. Il problema erano gli ufficiali non i soldati.
Parlami dei generali Cadorna e Diaz.
Di Cadorna, nel mio Diario, ne ho fatto una
discrezione spaventosa. Era un vecchio generale che non credeva nelle innovazioni militari. Per lui gli aeroplani erano dei giocattoli,
non credeva nelle mitragliatrici, mandò gli
ufficiali del mio reggimento a combattere con
la sciabola. Mi ricordo una volta che mi or-
dinarono di formare un nuovo reparto e che
Cadorna lo avrebbe passato in rassegna. Ci
tennero sull’attenti per due ore, quando arrivò
radunò gli ufficiali ed ebbe il coraggio di rimproverarli perché la musica era stata suonata
male e i soldati non avevano marciato bene.
Durante l’inverno, alla mattina invece del caffè caldo ci fece dare le castagne secche. A sua
difesa dico che nonostante tutto era quello che
strategicamente capiva di più. Fu lui a decidere, quando avvenne la catastrofe di Caporetto, che l’unica difesa possibile era il Piave. Diaz, che aveva sostituito Cadorna, non
era niente, proprio niente. Il migliore coman-
È un documento a cui tengo moltissimo perché, senza volerlo, è la conferma di ciò che ho
appena detto: il fascismo fu l’unica soluzione
nazionale data dalla guerra. Su questo punto
pubblicai una lettera di Ferruccio Parri del
1915 nella quale, fin da allora, egli attribuiva a
quei giovani il compito di creare un’Italia
nuova, e lo previdi perché nel ’14 scrissi che
Mussolini sarebbe stato il capo della prima
invasione non di barbari, ma di italiani.
Che cosa vuol dire essere di destra o di sinistra?
Rigorosamente parlando, non saprei: conosco
individui di destra più rivoluzionari di quelli
di sinistra e ne conosco di sinistra più reazionari di quelli di destra.
Nel tuo libro “Dio è un rischio”, concludi: “Non
c’è alcuna certezza”. E allora?
Questa è la tragedia moderna, o antica, di
coloro che riflettono sui problemi generali,
ma per fortuna la maggior parte di noi non è
stata castigata da Dio con la capacità di pensare ad altro che al proprio destino. Il pensiero
è una disgrazia, non è un merito.n
22
DOMENICA8GIUGNO 2014
SECONDO
TEMPO
S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E
GP CANADA: MERCEDES
IN POLE, MALE FERRARI
Prima fila tutta Mercedes
nelle qualifiche del Gran
Premio del Canada. Miglior
tempo per Nico Rosberg,
secondo Lewis Hamilton
Terzo Vettel con la Red Bull
Indietro le Ferrari: settimo
Alonso, decimo Raikkonen
ROLAND GARROS,
TRIONFO SHARAPOVA
Maria Sharapova trionfa
al Roland Garros. La
russa, numero 8 del
mondo, ha sconfitto la
romena Simona Halep,
con il punteggio di 6-4,
6-7 (5-7), 6-4 dopo
tre ore di gioco
LUTTO IN BRASILE
MUORE FERNANDAO
L’ex attaccante
dell’Internacional di Porto
Alegre Fernandao è morto a
36 anni in un incidente
d’elicottero. Fernando Lucio
da Costa, il nome completo,
ha giocato nell’Olympique
Marsiglia e nel Tolosa
Dietro la macchina da presa
Ettore Scola:
“Fu Gassman
a convincermi
a fare il regista”
D
Pagani
e Fabrizio Corallo
el tessuto giovanile rammenta le striature: “Lo
sceneggiatore deve essere un po’ sarto e un po’
puttana. Se vuole che il vestito venga bene
deve tener conto di chi lo indosserà, regalargli
delle gioie, farlo sentire amato”. Del mestiere
di regista che lo ha candidato all’Oscar 4 volte
e reso venerato maestro (“ma non mi ci sento,
in fondo Arbasino e Berselli li avevo letti poco”) ricorda il timbro dei suoi eroi minori:
“Anche se nei progetti che scrivevamo non
pulsava mai il pregiudizio, non si può negare
che i protagonisti dei nostri film non fossero
spesso degli stronzi” e il sollievo di abbandonarlo a tempo debito: “Il regista è uno
schiavo. Fa un lavoro lungo, noioso, ripetitivo
e scandito da orari canini. Si sveglia all’alba e
quando è buio, trotta ancora per preparare il
giorno successivo. Appena potevo fuggire,
fuggivo. Con l’età, la pigrizia ha superato qualunque altra considerazione. Quando mi chiedono perché non giro più rispondo seccamente: ‘Mi sono preso un decennio sabbatico’”.
Superati gli 83 anni da un mese, Ettore Scola
aspetta nella penombra di una casa al piano
terra il soffio di un’estate ancora giovane. Fuma molto, cammina sempre meno e sugli scaffali, tra i garofani rossi e le litografie di Gramsci, rifiuta di far tramontare l’ironia al ritmo di
un ordine nuovo: “Craxi non ce lo ricordiamo
più, Gramsci molto meglio e non c’è bisogno
di dire perché”. Anche se l’ipotesi di raccontarsi non lo infiamma: “Non facciamo altro
che commemorare, intorno a noi siamo pieni
di morti”, Scola non crede nell’incendio della
nostalgia: “Non sono mai stato pessimista e
non credo che oggi si stia davvero peggio di
prima” e sostiene che il ricambio generazionale sia cosa buona e giusta: “Aristofane met-
All’inizio del suo percorso soffrì anche lei?
Appartengo a un mondo in cui il lettino
dell’analista aveva sede dal barbiere e alle nevrosi si rispondeva con la passione. Sono debitore a tante persone, a modelli che rispettavo
e desideravo imitare. Penso che anche i grandissimi artisti della pittura abbiano avuto punti di riferimento che amavano più di loro stessi
e a cui volevano disperatamente somigliare.
Oggi nessuno vuole copiare nessuno e il cinema italiano che osserviamo, pur vitale, non
è originale proprio perché non copia. È un
peccato.
che qualcosa di Troisi o di Sordi, anche se non
riconoscevi cosa fino in fondo, ti apparteneva
indiscutibilmente. Anche Nando Mericoni, il
protagonista di Un americano a Roma era un’invenzione originale di Sordi. Steno si ispirò a
uno degli episodi del suo Un giorno in pretura,
ma girò un film meno luminoso ed efficace del
precedente.
All’epoca lei scriveva per gli altri.
Ero decisamente uno sceneggiatore felice. Facevo un mestiere fantastico di cui dettavo tempi, voglie e slanci dal salotto di casa mia. Non
solo non ero frustrato, ma quando andavo a
Perché accade?
Il Maestro
di Malcom
teva in scena Socrate nei panni del vecchio
rompicoglioni. Che i giovani subiscano malvolentieri l’inamovibilità dei vecchi mi pare
nel naturale ordine delle cose. Dicono una
cosa legittima. Semplice: ‘Hai tentato e hai
goduto, adesso fatti da parte e fai provare me.
Non soffriva forse Puccini, da ignorato compositore in trasferta milanese, nel vedere Ricordi pubblicare solo Wagner, Bizet e Verdi?”.
Avevamo scritto
un film a episodi per
Vittorio e lui mi disse: ‘Lo giri
tu, farai benissimo’. Il resto
è venuto di conseguenza
ma se escludo quell’occasione,
nessuno mi ha mai obbligato
a far nulla. Il peso delle cose
buone e di quelle meno
riuscite, è tutto sulle mie spalle
Se chiedi a Luchetti notizie di Tornatore, tanto
per dire due nomi, non ne ha. Non si vedono.
Non si frequentano. Mi pare che i registi italiani tra loro non si stimino granché e che il
Paese non lo amino poi troppo. Del resto non
è facile. Come fai a dire a un giovane autore:
‘ama l’Italia!’. È dura.
Per voi era diverso?
Per quelli della mia generazione, va detto, era
più facile. Nel cinema si respirava l’aria sana
della comunione d’intenti. Ci stimavamo reciprocamente e pur non avendo una visione
comune e litigando spessissimo, non di rado
in modo furibondo, passavamo il tempo insieme anche a lavoro concluso. Eravamo in
un’Italia che non ci dispiaceva e a cui eravamo
affezionati. Un luogo che avevamo contribuito a ricreare dopo la dolorosa parentesi fascista. Un latifondo di cui il cinema si limitava
a vergare ritrattini opachi, minuzie regionali,
caratteri minimi. Un posto slabbrato e senza
identità in cui tutto era possibile e tutto da
inventare proprio perché non c’era nulla. Solo
fame, macerie, idiozia.
Neorealismo e commedia all’italiana raccontarono al mondo chi fossero davvero gli italianuzzi.
Neorealismo e Commedia all’italiana si fecero
apprezzare all’estero fino a diventare una sorta
di manifesto nazionale, perché di un Paese in
cui anche la letteratura non aveva poi fatto
molto, restituirono il ritratto fedele di una società per molti versi sconosciuta. Calvino diceva che il più grande narratore d’Italia, al
livello di Verga e di Manzoni, era De Sica e nel
cinema europeo degli anni 50 non c’erano paragoni. Francia e Inghilterra, ancorate agli archetipi di Feydeau e a Dickens, non erano
andate in profondità nella narrazione. Non ti
raccontavano mai se avevi la zia sciocca o il
padre coglione.
La vecchiaia è una
fregatura propinata
dalla scienza. La vita
si è allungata in maniera
spropositata. Quando mio
nonno festeggiò i 60 anni,
Gli italiani invece si identificarono nei vostri
film.
noi ragazzi lo guardavamo
Ci hanno amato più di quanto non amassero
Visconti anche perché Visconti era un quadro
a sé in una galleria aperta solo per lui. Io, Risi,
Monicelli, Comencini e Germi eravamo accomunabili perché dipanavamo un filo collettivo. Il cinema di Visconti, così distaccato
nella sua originale lettura del passato, non è
che mi spiegasse qualcosa in più di me. Zampa, che era molto meno talentuoso, qualcosa
di quel che ero me lo raccontava. La commedia italiana, poi, è certamente un affare di
scrittura e di regia, ma senza Gassman, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi o Sordi non sarebbe esistita.
attoniti: ‘Ma come cazzo ha
Con Sordi lavorò fin dagli anni 40 e per lui
scrisse con Steno Un americano a Roma.
Quando ho cominciato volevo diventare come
Steno. Scriveva bene. Aveva una penna svelta,
nuova, moderna. Lo avevo conosciuto ai tempi dei giornali umoristici, dove ero entrato
presto, a 16 anni. Il modello cambia al ritmo
dell’ispirazione, ma Steno era tra i miei. Con
Sordi avevo fatto molta radio: Mario Pio, il
Conte Claro, Grazie Amedeo. Alberto era acuto. Politicamente conservatore. Un vero intellettuale che per essere autore non doveva
passare la notte sui libri. Aveva un’intelligenza
rapidissima, capiva lo spirito dei tempi, orientava il pubblico all’immedesimazione non diversamente da Massimo Troisi, con una comunicazione tutta sua. Guardandoli, sapevi
fatto ad arrivare fino a qui’?
vedere i film che avevo scritto, li trovavo nobilitati, sempre migliori del mio lavoro.
Per Risi e Pietrangeli scrisse varie sceneggiature tra cui Il Sorpasso e Io la conoscevo bene.
Risi era maestro di grazia, leggerezza e qualche
volta, anche di approssimazione. Pietrangeli
era l’esatto contrario. Era pignolo e pretendeva di scandagliare i suoi dubbi in profondità. Entrambi avevano il pallino delle donne,
ma anche lì, Risi era più gioioso e la donna,
metaforicamente, tendeva a scoparsela. Pietrangeli conosceva profondamente Joyce e voleva studiarla. Capire. Fino a quel momento la
donna nel cinema era stata laterale, personaggio secondario al servizio del maschio.
Con Pietrangeli il rapporto si ribaltò completamente.
In quegli anni le offrirono la sua prima regia.
Fosse stato per me, come vi dicevo, non sarei
mai diventato regista. Fu colpa di Gassman,
esattamente 50 anni fa. Avevamo scritto un
film a episodi per lui, Se permettete parliamo
di donne e non si trovava il regista: ‘Lo giri tu,
farai benissimo’. Il resto è venuto di conse-
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
23
SCATTI DI VITA
Da sinistra a destra: Scola
a 8 anni a Trevico; con Stefania Sandrelli; con Alberto Sordi; con Marcello
Mastroianni e Jack Lemmon sul set di “Maccheroni”. A sinistra,
una recente immagine del regista LaPresse
lusconi e ne anticipava i temi in modo impressionante. Certe battute sembrano scritte
da lui.
Per conquistare la simpatia dell’interlocutore
con una battuta, Berlusconi si sarebbe fatto
uccidere.
In Io la conoscevo bene Turi Ferro interroga la
Sandrelli. Lei giustifica un amico ladro lodandone la simpatia e lui le rivela una verità assoluta: ‘Le galere sono piene di gente simpatica’. I mariuoli dell’epoca erano più allegri.
Adesso neanche quello. Tutta gentaglia.
La furbizia è considerata una dote.
Il berlusconismo ha dato la stura a questo tipo
di personaggi e sicuramente anche Bruno
Cortona, il Gassman de Il Sorpasso era simpatico e quindi dannoso, forse anche più degli
altri. Ma nel dolo aveva una carica umana che
guenza, ma se escludo quell’occasione, nessuno mi ha mai obbligato a far nulla. Il peso
delle cose buone e di quelle meno riuscite, è
tutto sulle mie spalle.
L’ha portato bene. È stato premiato ovunque.
Ha valorizzato alcuni dei più grandi attori del
‘900.
E pensare che mi sarebbe piaciuto fare il falegname. Anche il regista intaglia il legno. Plasma i suoi attori, li rassicura e li forma, ma nel
mio caso, Mastroianni a parte, non ho mai
chiesto a un attore di inventarsi un’indole diversa dalla propria. Li conoscevo da vicino,
sapevo dove avrebbero potuto spendere al meglio le loro peculiarità. Agli albori della mia
parabola avevo fatto il “negro” per Totò, con
Metz e Marchesi. Certe battute potevi scriverle solo per lui, altrimenti le buttavi.
Perché dice Mastroianni a parte?
Forse perché Marcello, che aveva una personalità meno forte dei suoi omologhi, era più
attore di tutti gli altri. Era adattabile. Flessibile. Ispirato e semplice, ma non sempliciotto perché gli attori che ho incontrato custodivano personalità complesse. D’altra parte se
non vuoi cimentarti in panni che non ti appartengono e non covi un principio di ansietà,
scegli un’altra strada.
Ha mai litigato con un suo attore?
Mi sforzo, ma non mi viene in mente niente.
Litigarci e quindi faticare non era tra le mie
priorità. Avevo ascoltato Fellini lamentare i
suoi precari rapporti con Donald Sutherland e
ne avevo intuito l’aggravio.
Si intuisce quello di un’intera generazione al
tramonto anche ne La grande bellezza. C’è chi
ha scorto dirette filiazioni con La Terrazza.
Ne ho parlato anche con Sorrentino e pur
capendo che gli spettatori sono in costante
caccia di similitudini e specularità, mi sembra
una scemenza. Sì, Jep Gambardella, Toni Servillo, ha un terrazzino a Roma, ma mi pare che
i punti di contatto terminino lì. I due film non
c’entrano nulla.
Come convive con la vecchiaia?
Anche se la verità è che vogliamo andare avanti fino all’ultimo per poi lamentarcene, la vecchiaia è una fregatura propinata dalla scienza.
La vita si è allungata in maniera spropositata.
Quando mio nonno Pietro festeggiò i 60 anni,
noi ragazzi lo guardavamo attoniti: ‘Ma come
cazzo ha fatto ad arrivare fino a qui?’. Di ottantenni ne ho conosciuti pochissimi. I miei
amici più cari non hanno superato i 72.
Monicelli e Lizzani hanno deciso di dire basta
da soli.
Anche Lucio Magri se è per questo, ma ogni
biografia fa storia a sé. Il gesto di Mario l’ho
capito e in qualche modo non mi ha stupito.
Quello di Carlo invece sì, a riprova di quanto
i caratteri non determinino ogni scelta.
Scorrendo la sua filmografia si trova anche un
film con Alberto Sordi, La più bella serata della mia vita, tratto da La Panne di Friedrich
Dürrenmatt che firma anche il soggetto e nel
suo libro aveva previsto il suicidio del protagonista.
Dürrenmatt era molto severo, scettico e rigoroso. Non gli andava bene niente e con Maximilian Schell, che aveva portato al cinema Il
giudice e il suo boia, era incazzatissimo. Non
aveva torto e per fortuna non fece in tempo a
vedere il lavoro di Sean Penn tratto da La promessa. Non è brutto, ma neanche nel film di
Penn si coglie l’epicità della narrazione di
Dürrenmatt. Sia come sia, a Friedrich portai la
sceneggiatura de La più bella serata della mia vita
scritta con Sergio Amidei perché volevo cambiare il finale. Alfredo Traps, il protagonista
de La Panne, sottoposto a processo da un bizzarro tribunale notturno in un castello in cui
capita per caso, afflitto dal pentimento, si impiccava. Sarebbe stato insostenibile.
Nel romanzo gli accusatori si dolgono della
scelta: “Alfredo, mio caro Alfredo! Ma che cosa ti sei messo in testa, santo cielo? Ci rovini
la più bella serata della nostra vita!”
Con lo scrittore andai alla radice della questione. ‘Noi siamo cattolici e non luterani’ gli
spiegai. ‘Per il peccatore ci sarà comunque la
punizione, ma morirà ridendo perché sa che la
sua mentalità borghese, infinitamente più forte della religione di qualsiasi credo, non morirà mai’. Il discorso non gli piacque molto, ma
il risultato finale, pur lontanissimo da lui, lo
persuase. Tra l’altro, Sordi somigliava a Ber-
Renzi ha qualche
difetto. Prima
di tutto è toscano e noi
romani, anche d’adozione,
con i toscani abbiamo
sempre avuto qualche
diatriba esistenziale. Poi
non è straordinariamente
simpatico ed è
un po’ sbruffoncello
oggi è totalmente scomparsa.
Nel film Gassman sopravvive e Trintignant
muore. C’era una premonizione sul destino che
sarebbe toccato in sorte a probi e mascalzoni?
C’era anche quello, certo. Ma noi eravamo
curiosi di vedere l’evoluzione e lo sviluppo
delle nostre maschere. Sapere come se la cavavano. Non partivamo con la condanna
aprioristica nella tasca. 50 anni dopo, film come Il Sorpasso, il grande cruccio di registi e
sceneggiatori rimane lo stesso di allora. Continuano a farmi domande a cui non so rispondere.
A Berlusconi, categoria storica più solida
dell’ultimo ventennio, riconosce un talento?
Anche un progetto eversivo come il suo avrebbe avuto bisogno di genialità. È stato sfrontato, presuntuoso e a tratti anche gagliardo.
Ma si è limitato a compiacersi. Per fortuna
non ha avuto il lampo hitleriano del caudillo
violento o del mascalzone spietato. È rimasto
piccolo. E anche la sua fine, con quella condanna risibile che suona come un umiliante
contrappasso letterario o come un conticino
inevaso, è piccola assai.
C’è chi giura che Renzi gli somigli.
Forse nella prossemica un po’ di contagio c’è.
Sono due italiani e si somigliano di più di
quanto non accada a un bavarese e a un napoletano. Renzi ha qualche difetto. Prima di
tutto è toscano e noi romani, anche d’adozione, con i toscani abbiamo sempre avuto
qualche diatriba esistenziale. Poi non è straordinariamente simpatico ed è un po’ sbruffoncello. Detto questo, nell’ultimo mese mi sembra molto migliorato e con gli 80 euro ha colto
nel segno. Si è fatto seguire in un nodo cruciale. Dicono: ‘Son temi elettorali, non frega
niente a nessuno’. Niente di più falso. Dovreste vedere le discussioni ideologiche che
ascolto quando vado a fare fisioterapia. Tra
chi è dentro la forbice e chi rimane fuori, tra
entusiasti e detrattori, a volte sembra di essere
in una vecchia sezione del Pci. (Arriva una
telefonata, dall’altro capo del filo c’è un amico.
Scola: “Giovanni, ma che ci chiediamo davvero come stiamo? Lasciamo perde’ dai” ndr)
Lei in sezione non va più. Che sentimenti le
provoca la sinistra del 2014?
Sono tra l’allegro, il deluso e lo speranzoso che
è come dire tutto e il contrario di tutto.
La sinistra è stata la sua famiglia. Quanto ha
contato nella sua formazione quella d’origine?
Non moltissimo, ma neanche così poco. Era
numerosa, vivevamo a Trevico, in una grande
casa al centro di un piccolo borgo nell’avellinese. Non mi sono mai chiesto se ne potessi
fare a meno, però so che mi è servita a osservare tic, difetti, tipi e tipetti. La famiglia è
una radice, viene fuori anche quando non
vuoi, solleva l’asfalto, gonfia la terra, ma se
non ci fosse forse non staresti in piedi perché
noi non siamo molto diversi dalle piante.
Ricorda Mastroianni alle prese con gli aforismi
meccanici ne La Terrazza? “Ho lasciato la famiglia perché non sopportavo la solitudine”.
Si vabbè, d’accordo, ma voi che intenzioni
avete?
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SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
a cura di
Stefano
Disegni
di edelman
BIOCRAZIA
RAFFAELE FITTO (MAGLIE, 1969)
Fitto è l'esponente di Forza Italia più votato alle ultime Europee. C'era bisogno di
dare un volto al disastro.
n La candidatura di Fitto all'Europarlamento è stata sostenuta da Nicola Cosentino. Per un'ora al giorno.
n Fitto ha ottenuto così tante preferenze
che i magistrati devono ancora finire di
contarle.
n Di recente ha proposto le primarie per
individuare il leader del centrodestra. Un
affronto intollerabile al grande carisma di
Toti.
n Anche Bisignani vede bene Fitto alla guida di Forza Italia. Da quando gli hanno allargato i buchi del cappuccio.
n Fitto vorrebbe che la discussione sulle
primarie avvenisse in streaming. E che invece di Berlusconi ci andasse Bersani.
n Berlusconi accusa Fitto di aver organizzato cene alle sue spalle. Tranquillo Silvio,
erano davvero cene.
n Nel 2011 Fitto veniva descritto come un
fedelissimo di Alfano. Capirete la sua voglia di riscatto.
n Fitto è stato condannato in primo grado
per corruzione. Davvero troppo poco per
competere con Berlusconi.
n
Il re è nudo
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
25
FEDERICO BUFFA
conduce “Storie
Mondiali”, 10 puntate su Sky Calcio Ansa
TG PAPI
SALI E SCENDI
Due fiori di stile
in un prato di melma
di Paolo Ojetti
mentre il melmoso tsunami di
E
mazzette, tangenti, estorsioni
e peculati travolge l’informazione
tutta, in Rai – chissà, forse per legge
– ci si contorce ancora fra “nuove
rivelazioni” e garantismo: non c’è
“dazione” che non sia presunta e
non c’è Galan (preso ad esempio)
che non venga difeso d’ufficio. I verbi al condizionale, è sicuro, dureranno fino alle sentenze definitive,
cioè per dieci anni. Tralasciamo la
fanghiglia, tanto il telespettatore sa
già che fra patteggiamenti, prescrizioni, leggi e leggine ad personam
nessuno finirà sul serio in galera. E
allora cogliamo due fiori. Uno è
“Quel gran pezzo dell’Italia” di Riccardo Bocca, in onda giovedì sera su
Rai3. L’altro è uno speciale del Tg1: i
“Mille papaveri rossi” di Roberto
Olla.
RICCARDO BOCCA ha confezionato
“La sinistra è un male”, ricostruendo
50 anni di vita politica da Togliatti a
Renzi non con la tattica della solita
voce che srotola il gomitolo della
storia comunista e post come fossero pagine di Paolo Spriano o Giorgio
Galli, ma gettando colpi di luce su
angoli eterodossi molto più esplicativi: gli autodafé di Veltroni e Bertinotti davanti al satiro Paolo Rossi,
un acerbo Scalfari anni ’60, punti-
glioso e petulante che interroga un
Togliatti forbito come può essere solo un piemontese promosso all’esame moscovita di Stalin, Berlinguer
appena cinquantenne a tu per tu con
l’eterno Vespa, le ragioni dell’essere
comunista – agli antipodi – di vigorosi Pajetta e Napolitano. Qua e là il
filtro caustico delle imitazioni di
Corrado Guzzanti e le considerazioni puntute del compianto Edmondo
Berselli, un venerato maestro (per
citare la categoria migliore che egli
stesso individuò in alternativa al
“solito stronzo”). L’operazione del
gran pezzo dell’Italia di Bocca, diretta per ammiccamenti soprattutto
a chi la storia didascalica già conosce
a menadito, è riuscita, geniali teche
teche comprese.
“Lungo le sponde del mio torrente/
voglio che scendano i lucci argentati/ non più i cadaveri dei soldati/
portati in braccio dalla corrente”. I
“mille papaveri rossi” di Olla hanno
ricordato così la guerra in Italia del
1944, con “La guerra di Piero” di Fabrizio De André come colonna sonora, poesia che è penetrata nella
cultura collettiva di almeno due generazioni. Poche parole, una sapiente narrazione per immagini, per risalire la penisola fra distruzioni, crudeltà ed eroismi. Una lezione di stile
sottratta da Maria Luisa Busi ad altri
orari stravaganti e alle reti digitali
periferiche.
Nessun racconto già scritto
Soltanto Storie: mondiali
di Carlo
Tecce
a incorporato un magnate, inH
sidioso. Non ti stacchi. Stai lì,
penzolante, tra il bordo di un divano
e l’orizzonte di fuga. Vuoi uscire. E
buttare il televisore, che a volte emana calore e pure pigrizia. Ma poi la
musica toglie il disturbo dopo averti
ingannato e Federico Buffa – Storie
Mondiali, 10 puntate, Sky Calcio – ti
attira a sé fra citazioni, dischi in vinile, frammenti taglienti di partite.
Il calcio è tante cose, non sempre belle, non sempre limpide. Vedi quest’uomo in piedi, un pulpito laico,
prospettive rarefatte, sensazioni eleganti. Capisci che ti vuole raccontare
Messico 86, una fregatura ancora vivida per gli inglesi o, semplicemente,
un’epica mai riscritta con un uomo
che fa vincere una squadra e non viceversa. Va bene, nulla di nuovo: sono passati quasi trent’anni. Vuoi liquidare Buffa e le rivisitazioni, le celebrazioni. Non concedi neanche due
minuti al “battaglione curiosità” che
non abbandona mai il campo cerebrale (e spesso viene sottovalutato),
ma l’astuto Buffa ha già sconfitto le
tue difese psicologiche e i tuoi pregiudizi estremi. Non puoi mollare,
anzi la testa va spinta contro lo schienale e all’occorrenza puoi stappare
una birra, perché ti sta per far toccare
con la mano di Maradona la palla che
spiove in area e comincia dal generale Videla e ricomincia da Gaetano
Scirea, le isole Falkland.
QUANTE VOLTE quella mano ha toc-
cato quel pallone oppure quel botolo
argentino l’hai ammirato correre per
un campo intero su passaggio di un
carneade? Ma Buffa rettifica, aggiunge, sovrappone e ti stupisce, dopo
aver annientato le ultime resistenze
d’ignoranza che ci fanno pensare di
essere saturi quando saturi di sapere
non s’è mai. E poi Maradona esulta
con quella faccia sincera di un rapinatore di pallone e Buffa la esamina
senza amnesie fisiognomiche o sproloqui antropologici: no, ti getta dentro quegli occhi (ancora non spiritati
come a Usa 94) con la malinconia
permanente, il disincanto mai infantile di un Osvaldo Soriano. Gli oro-
Gli ascolti
di venerdì
SISTER ACT
Spettatori 4,3 mln Share 18,9%
SEGRETI E DELITTI
Spettatori 2,4 mln Share 13%
logi non si indossano più e non s’appendono in salotto. Il telefono, per
sua fortuna, è lontano. Non t’accorgi
che un’ora è andata via, vorresti il
secondo tempo senza intervallo. E finisce così, al diavolo l’aperitivo di
mezzanotte.
Stavolta l’appetito lo scatena un racconto di calcio che non è un racconto
di calcio, ma un estratto di un mondo
che chiamano Mondiale, l’apoteosi di
un gioco che di sportivo ha poco, se
non l’origine. Ha il popolo, la leggenda, la politica, la corruzione, la
speculazione, la maledizione, il sacrificio, la leggerezza e, tanto, tanto culo.
Il prossimo Buffa arriva presto. Bucato l’ordine di calendario, il redento
telespettatore oscilla fra Italia-Germania 4-3 con le retroguardie che
avevano poco di guardia e molto di
retrò; i polacchi abrasivi di Spagna 82
e la sfiga di Ciccio Graziani; l’aggressiva umanità di Zidane e l’umanità
aggressiva con Ronaldo di Franca 98.
Forse l’avete già visto, sentito di certo.
Mai, mai così.
Twitter: @Teccecarlo
BLOB
Spettatori 1,1 mln Share 4,9%
IL MEGLIO DI CROZZA
Spettatori 1,5 mln Share 6,4%
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SECONDO TEMPO
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
il Fatto Quotidiano
STORIE ITALIANE
STRATEGIE
Più lavoro per i giovani:
lo spot per cacciare i vecchi
di Furio
Colombo
N
on c’è lavoro. I
governi si spostano in avanti per
mostrarsi coraggiosi e distribuiscono appelli
estrosi. L’ultimo, nel nostro
Paese, che ha un governo giovane e audace, si chiama
“Sblocca Italia”. Significa, credo, che adesso provvederemo
a far correre tutto più veloce.
Ecco un’attendibile descrizione: “Abbattere il numero delle
autorizzazioni. Semplificare
le regole degli appalti. Norme
speciali per superare i vincoli.
In altri termini levare i tappi
che oggi fermano opere pubbliche e private, gli ostacoli
delle Sovrintendenze, dei Comuni, dei ministeri, dello Stato”. (Repubblica, 2 giugno ).
Segue, su tutti i giornali, e
ascoltiamo, con voce adeguatamente stentorea in tv, la dichiarazione del giovane premier Renzi: “Perché di questo
abbiamo bisogno, di sbloccare
l’Italia e di lasciar fare alla
gente quello che la gente vuole
fare”. Questo il 2 giugno.
IL 4 GIUGNO inizia la retata di
tutti coloro che finora sono
riusciti a mettere le mani sul
flusso di danaro del Mose, la
grande diga veneziana, personaggi di vertice del settore
pubblico e di quello privato.
Giorni prima era toccato a
vertici di grandi banche e della
loro rappresentanza. E poco
prima a tutti i responsabili del
grande gioco dell’Expo. Accade spesso nella storia. Un ostacolo troppo grande (la peste, la
siccità, la carestia, l’infertilità)
non si può rimuovere e allora
si ricorre, secondo il tempo e i
riti, a due espedienti che ritornano sempre: trovare un
nemico e offrire sacrifici. Il nemico era stato trovato fin
dall’inizio del nuovo, giovane
governo, nella burocrazia, un
calcinaccio che bloccava le
macchine e dunque bloccava il
lavoro. “Noi ci entreremo col
bulldozer”, aveva annunciato
il giovane primo ministro. I
sacrifici, intanto, venivano
chiesti un po’ bruscamente a
tutti, cominciando dal basso,
da coloro che non hanno vie di
fuga.
Un’altra buona idea è multare
la Rai (che, se funzionasse, sarebbe “un servizio pubblico” e
dunque non solo una garanzia
ma anche un diritto, per i cittadini che hanno pagato il canone). Ma è stata lasciare andare tranquillamente per il
mondo la massima impresa
italiana, la Fiat, che adesso paga le tasse a Londra, produce
in America e non ha, al momento, progetti per ciò che è
restato qui, una filiale italiana.
Riassumiamo. Non c’è lavoro.
Le “grandi opere” sono mangiate dalla corruzione, le grandi aziende si sfilano (la Fiat è
stata seguita in America dalle
migliori fabbriche dell’indotto), le banche restano ferme o
perché arrestano i dirigenti o
per prudente astensione e
mancanza di segnali (unico
lumicino, per ora, è l’iniziativa
di Draghi). Una tentata soluzione è stata lanciare la guerra
generazionale. Non rappresenta la realtà e non produce
lavoro, ma dà una ragione alla
rabbia.
Il settore “età” però è immensamente disordinato. Allo
stesso tempo si annuncia che i
vecchi andranno in pensione
più tardi, che intere masse di
lavoratori (Alitalia) saranno
esclusi dal lavoro più presto, e
che gli anziani occupano tutti i
posti che spettano ai giovani. È
l’invenzione della gerontocrazia. Contiene un falso. È vero
che anche i ricchi invecchiano
e, se possono, restano potenti.
Ma non è vero che i vecchi
diventano ricchi e potenti per
via degli anni, e non è vero che
siano gli anziani a sbarrare la
strada ai giovani. Basti pensare all’immenso gap tecnologico. Ma lo scambio tra classe e
Amedeo Matacena
LA GIUSTA RICETTA
La sola strada
che produce occupazione
è la lotta alla corruzione
Altrimenti moriranno i
gerontocrati, ma i ragazzi
rimarranno disoccupati
generazione giova al nuovo
clima di larghe intese. Ognuno ha il suo vecchio da odiare,
qualcuno che si ostina a occupare il tuo posto.
In questo clima si diffonde
una pubblicistica in cui il lavoro dei giovani viene trattato
come un fenomeno sociale, tipo quartieri a luci rosse, la città a dimensione di bambino,
l’energia alternativa e le piste
ciclabili. Come per le piste ciclabili, ogni tanto si annuncia:
“E adesso diamo il lavoro ai
giovani”.
NON È VERO che manca il la-
voro dei giovani. Manca il lavoro e basta. Nel nuovo clima
esasperato e confuso si aggiunge un paradosso in più:
ogni licenziamento in grandi
numeri viene visto con simpatia dall’opinione pubblica,
indottrinata a vedere come cosa buona ogni “snellimento”
di personale, predicato per decenni come soluzione in ogni
assemblea di imprenditori invece di studiare innovazione e
sviluppo. La guerra tra poveri
sta dando frutti. L’antipolitica
si è a poco a poco trasformata
in anti-lavoro. Piace che mandino via gente dalla Rai invece
di riformare quell’azienda,
piace che il governo annunci
inesorabili tagli agli statali.
Circola una curiosa antipatia
per l’Alitalia e nessun interesse per i 2000 o 3000 esuberi.
Gli occupati sono diventati
una sottoclasse da multare o
mandare a casa, come i politici. Però, nelle imprese, a
nessun licenziamento segue
un’assunzione. Diciamoci la
verità: il lavoro ha senso nella
lunga durata, quando si investe per questa e per la prossima generazione. Nella vita
breve stimolata dalla droga finanziaria, l’imperativo è
“prendi i soldi e scappa”. Nella
vita breve conta la tangente
molto più dello stipendio o del
profitto. Adesso e subito, anche se comporta rischi. Evidentemente, nonostante le
ondate ricorrenti di maxi-retate, solo pochi inciampano. E
l’attività corrotti-corruttori
(che non è il lavoro, non crea
lavoro ma si porta via ricchezza) riprende subito. Dunque la
sola strada che produce lavoro
è la lotta senza tregua alla corruzione. Altrimenti moriranno i gerontocrati, ma i giovani
continueranno a restare senza
lavoro. Alla corruzione non
servono. Serve personale
esperto. Matacena e Scajola
sono gli eroi del nostro tempo.
FATTI DI VITA
di Silvia
Truzzi
n QUESTA settimana Antonio Colombo, membro
del Cocer (il sindacato della Marina militare), ha
chiesto alla Figc che gli Azzurri indossassero in
Brasile un fiocco giallo sulla maglia “per mantenere
viva l’attenzione e coinvolgere l’opinione pubblica
internazionale sulla triste e assurda vicenda dei
nostri marò”. Mercoledì dalla Figc è arrivata una
risposta negativa: “Siamo solidali con quella che è
una battaglia non solo del Cocer, ma di tutto il
Paese. Tuttavia non possiamo mettere il fiocco
giallo per i marò italiani trattenuti in India”. Il portale dell’Ansa che riporta la notizia racconta così –
notare bene l’espressione – il no al fiocco giallo,
“simbolo di chi è trattenuto contro la sua volontà
lontano da casa”. “Lo sport dia un segnale perché
siamo vicini a questi ragazzi e alle loro famiglie”, ha
detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò. Segnale che è prontamente giunto. Il presidente della
Federcalcio, Giancarlo Abete, ha presentato due
maglie ufficiali della Nazionale con stampati i nomi
di Latorre e Girone: “Il Campionato del mondo loro
lo giocano con noi. È un piccolo gesto, ma ricco di
“Io, scampato a Capaci,
ora vivo col senso di colpa”
di Nando dalla Chiesa
L’
uomo parla e spinge indietro la memoria di tutti. Che
è un macigno, ma
scivola veloce. Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova.
L’aula magna dedicata a Cesare
Musatti resta sospesa tra le parole di questo relatore anomalo
e le immagini di un passato che
non passa mai. Angelo Corbo
non è un nome noto, eppure bastano due parole per associarlo
a momenti indimenticabili e
terribili della storia della Repubblica. È uno degli agenti di
scorta di Giovanni Falcone
usciti vivi dall’inferno di Capaci. 23 maggio del 1992. Ore
18.58, un cratere immenso che
si apre d’improvviso sull’autostrada che porta dall’aeroporto
di Punta Raisi a Palermo. Un
boato di guerra e le tre auto in
fila. Quella di Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo davanti. Quella del giudice
e di sua moglie Francesca Morvillo, in mezzo, con l’autista
giudiziario Giuseppe Costanza
seduto dietro. E poi la sua: lui
con Paolo Capuzza e Gaspare
Cervello. Che, con Costanza, si
salveranno. È praticamente impossibile guardare Angelo e
non immaginare, dietro di lui,
quei momenti sullo schermo
dell’aula magna. Parla a fatica,
in certi momenti la voce si incrina, soprattutto quando a distanza di 22 anni vuole ricordare i nomi dei colleghi.
È ANCORA un uomo giovane,
Angelo Corbo. Vestito di chiaro, ha il fare educato e gentile e
un’espressione solare. In apparenza. Perché il fondo dello
sguardo ti consegna una malinconia acuta, incredibilmente simile (chissà per quale misterioso motivo) a quella che in certe
foto si vede nei neri assiepati intorno a Martin Luther King. Ricorda, ai giovani e agli adulti
riuniti dalla professoressa Ines
Testoni a parlare di mafia e corruzione, il servizio prestato con
slancio accanto al magistrato
più a rischio d’Italia. Una squadra di amici, affiatata. Racconta
a chi non la sappia o se la fosse
dimenticata la storia di un uomo
lasciato solo in Sicilia e costretto
ad andare a Roma; e di loro, poliziotti semplici, che lo capivano
e cercavano di farlo capire ai loro superiori. E che pativano per
l’ingiusta solitudine. “Era ‘un
morto che cammina’, gli dicevano continuamente, e noi lo eravamo con lui, non ci voleva molto a rendersene conto”. “Poi gli
altri sono morti davvero e io invece sono qui. E mi sento in colpa”. Il silenzio in platea si fa più
fitto. Incredulo. Commosso.
Puoi anche avere già letto di lui
su un quotidiano, puoi averlo
ascoltato in un’intervista in tivù,
ma sentirglielo dire mentre lo
hai accanto e ne puoi quasi distillare il fiato, mette i brividi.
“Ci hanno anche rimproverato,
lo ha fatto un ex collega, perché
non ci siamo accorti che su una
strada parallela si muoveva
un’auto dei mafiosi, con Gioac-
La strage di Capaci LaPresse
SENZA VERITÀ
Uno dei poliziotti
della scorta di Falcone:
“Chiedete chi c’era
a Ciampino quel giorno,
chi ha passato alla mafia
gli orari del giudice”
chino La Barbera. Così almeno
si è saputo poi. E io, trasformato
in colpevole, ho dovuto spiegare
che il compito della scorta non è
quello di perlustrare le strade vicine ma di proteggere davanti e
dietro la persona che può essere
colpita, di non fare avvicinare
nessuno”. Spiega le tecniche di
protezione, descrive le manovre
“a fisarmonica”, racconta che
ora si viene formati a fare le
scorte, i più fortunati anche a
sparare, ma che a lui non l’aveva
insegnato nessuno, che Angelo
Corbo aveva dovuto imparare
presto e da solo, con qualche insegnamento pratico dei più “anziani”, come difendere il giudice
più odiato da Cosa Nostra.
“Non è a noi che devono chiedere perché fu possibile uccidere Falcone”, dice. Uno scatto del
pensiero lo porta oltre i risultati
delle indagini. “Lo devono chiedere a chi avvisò Cosa nostra che
lui stava arrivando a Palermo a
quell’ora. Perché neanche noi lo
sapevamo. Non avevamo alcuna notizia certa sull’orario. Certe informazioni non si davano
in anticipo. Bisognerebbe sapere chi c’era a Ciampino (e qui la
voce si fa dura), non dimentichiamo che il giudice partì da lì,
non aveva preso un volo di linea
ma per sicurezza aveva preso un
volo di Stato. E invece loro si fecero trovare all’ora giusta, con
precisione. Chi li aveva avvertiti?”. Torna lacerante l’interrogativo che non ha fatto dormire
tanti italiani. Una soffiata complice e impunita perché si compisse la grande tragedia collettiva. Il “chi?” che rimane senza
risposta. Con lui, Cervello e Capuzza che non riescono ad aprire la portiera della Croma di Falcone e allora restano armi in pugno, sanguinanti, a difenderlo
dal possibile colpo di grazia dei
killer mafiosi.
ANGELO
CORBO, medaglia
d’oro al valor civile, è ancora in
servizio. Ispettore presso la sezione di polizia giudiziaria al tribunale di Firenze. Non è dunque solo un pezzo di memoria.
Anche se la memoria, questo è
certo, lo ha inchiodato al boato;
e gli ha regalato un compagno di
vita che non lo molla mai, il rovello di aver visto un giorno i
suoi amici saltare in aria e poterlo raccontare. Nel paese in cui
masse di corrotti impuniti, anche a pochi chilometri da qui,
pretendono applausi, tappeti
rossi e onorificenze, tetragoni a
ogni vergogna, un uomo onesto
e dallo sguardo malinconico, un
uomo dello Stato, sente la colpa
di essere uscito vivo dalla guerra
mafiosa che ha fatto a pezzi i
suoi colleghi. Che abisso di
umanità, amici...
Marò: anche i pescatori sono stati
uccisi “contro la loro volontà”
significati: per noi sono parte integrante della
squadra”. Non è certo la prima volta che la vicenda
dei due fucilieri di Marina sconfina oltre il terreno
della politica. L’edizione 2014 del Festival di Sanremo si è inaugurata con una conferenza stampa
(la Rai non c’entrava nulla, l’iniziativa era stata del
sindaco della Città dei fiori) delle mogli di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. A due passi
dall’Ariston, una fontana era stata arredata con luci
gialle.
DA DOVE nasce questa retorica collettiva e
pseudo patriottica, che invoca “l’immediato rientro
a casa” al grido di “salviamo i nostri ragazzi”, o
“difendiamo i nostri soldati che rischiano la vita per
difendere l’Italia”? Non aiuta che a ogni occasione
ufficiale, che sia il discorso dell’ultimo dell’anno o
la celebrazione del 25 aprile, il presidente Napolitano dica cose come “I nostri marò, ingiustamente trattenuti troppo a lungo lontano dalla Patria,
fanno onore all’Italia”. Ma è un atteggiamento diffuso e piuttosto trasversale (c’è addirittura chi,
n
come La Russa, si è dichiarato pronto a candidarli).
Dunque, l’opinione pubblica ha tutto il diritto di
pensare a Girone e Latorre come a due martiri,
soldati rapiti da un governo straniero. Non possiamo essere tutti esperti di giurisdizione, immunità funzionali, trattati, diritto internazionale: questa vicenda è molto complicata e proprio per questo la propaganda innocentista è fuori luogo. Di
certo lo sono i toni. I militari hanno diritto a un
giusto processo, ma non a diventare due eroi sicuramente non prima che la loro posizione sia
chiarita.
Perché Ajesh Binki, 25 anni, e Valentine Jelastine,
45 anni, sono morti. Nessuno qui sa chi erano,
nessuno conosce i loro nomi: erano due pescatori
indiani, scambiati per pirati, uccisi il 15 febbraio
2012 al largo del Kerala. È per questi omicidi che
sono sotto accusa Girone e Latorre. E se i marò
sono trattenuti in India “contro la loro volontà”,
sicuramente Ajesh Binki e Valentine Jelastine sono
morti contro la loro volontà.
@silviatruzzi1
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
27
DOMENICA 8 GIUGNO 2014
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Assuefazione mediatica
agli scandali
È ormai evidente, che gli
appalti, in particolare i
più grossi, abbiano componenti standard.
Ci sono i costi per i lavori,
destinati a lievitare e ci sono i costi "connessi".
L'impressione è che, la
scelta dei progetti, più che
alla necessità, sia legata
alla consistenza di questa
essenziale
appendice,
usata per finanziare partiti, malavita politica e il
suo indotto di manager,
controllori corrotti, oltre
alle mafie "ufficiali". Per
questo è impossibile fermarli. Chi vuota il sacco,
parla di un sistema degenerato di "ordinaria" corruzione, di cui tutti, nonostante gli arresti giornalieri, continuano ad accettare i rischi. Rischi modesti in verità, visto che,
prima bisogna essere scoperti, poi, tra “leggine” ad
hoc, indulti, immunità,
prescrizioni, malattie o
età avanzata, nessuno va
in galera o ci resta per
molto. (In base ai dati, i
detenuti per corruzione-concussione, nell'UE
sono il 4% del totale. Nel
paese più corrotto d'Europa, sono lo 0,4). Se proprio va male, ci sono domiciliari e servizi sociali.
E' il sistema Italia, gestito
in modo efficace e scrupoloso, dal ceto politico,
di destra o sinistra che sia.
In fondo, gli scandali
Expò, Mose ecc.. non
vanno considerati straordinari o da prima pagina.
Fanno parte del "panorama" e la gente si è assuefatta, visto che continua a
votare questi partiti. La
notizia sarebbe, se un'opera pubblica venisse decisa perchè davvero utile,
completata nei termini
coi fondi previsti e senza
indagati per tangenti e
corruzione.
Mario Frattarelli
Pugno duro di Renzi,
ma fino a un certo punto
Bravo Renzi, chi ruba deve essere processato per
alto tradimento. Quelli di
Venezia, di Milano, di
Genova sono per il momento solo indagati. Pu-
gno duro, daspo per i politici. Il discorso è perfetto. Come mai allora lui
continua a collaborare
con Verdini che, oltre che
indagato, è stato rinviato
a giudizio per le stesse cose? E con questa persona,
passibile di alto tradimento sta per varare la riforma della Costituzione,
legge fondamentale dello
stato? Alle parole devono
seguire i fatti altrimenti
non si è credibili. Ma tanto verba volant.
Francesco Degni
“Piove governo ladro”
e noi gli unici a bagnarci
In passato le inchieste
della magistratura sono
state spesso sospettate di
strumentalizzazione per
fini politici in merito alla
tempistica scelta nel diffondere all'opinione pubblica lo stato delle indagini che coinvolgevano noti
esponenti politici. In questi casi si è parlato di ma-
fuori l'ennesimo scandalo
di corruzione (Mose di
Venezia) in cui sono implicati politici di spicco di
quello stesso partito che
un milione e mezzo di indecisi in aggiunta ai soliti
affezionati hanno votato.
Mi chiedo se anche in
questo caso non si debba
parlare di magistratura ad
orologeria, questa volta
però a scoppio ritardato
per non danneggiare il
partito egemone di Renzi
che altrimenti difficilmente avrebbe potuto ottenere il plebiscito di voti
che ha registrato in tutto il
Paese, Veneto incluso.
“Piove governo ladro”,
recita l'antico detto, ma
vien da pensare che agli
italiani piaccia bagnarsi.
Grandi
opere,
grandi retate
CARO FURIO COLOMBO, perché le
“grandi opere” invocate da tutti come la
soluzione della crisi, lasciano sempre
lavori incompiuti e carceri affollate?
Federica
SE SI TRATTASSE di un fatto medico si
parlerebbe di epidemia. E quando gli
esperti hanno buone ragioni per sospettare una epidemia, sanno che a ciò che è accaduto nel recente passato potrà corrispondere una serie uguale o peggiore di
eventi nell'immediato futuro. Qui non si
tratta di dire che sono tutti ladri, perché
ovviamente non è vero. Però certe cose,
troppe cose, non si capiscono. Quando si
parla di “grandi opere” vige una sorta di
ingenua e appassionata attesa. Prima,
tutto si celebra, tutto si esalta e più grande
è l'opera, intorno a cui in tanti si danno
da fare (e non sappiamo come) più le celebrazioni si moltiplicano. Basti pensare
alle “grandi opere” in corso, esattamente
modellate su Expo e Mose, ma felicemente
“in progress” senza disturbi e verifiche.
Alcune volte (tante) all'improvviso, dopo
decine (centinaia) di arresti con accuse
immense, frutto della mancanza di ogni
controllo, tutti dicono prontamente due
cose: “Fiducia nella magistratura”. E “le
grandi opere devono continuare”. Eppure
la seconda frase non può essere detta perché le modalità con cui le “grandi opere”
in corso non ancora investigate, sono
identiche alle modalità che hanno portato
alle maxi-retate di Expo e Mose (per parlare solo dei due eventi più recenti, più
impressionanti e più strettamente derivati dalla politica). Scrive Corrado Stajano:
“Il futuro è incerto, il governo delle larghe
intese non è il modello di quella chiarezza
di cui il Paese ha necessità (...) Lo Stato si
regge su travature tarlate. Aveva ragione
Berlinguer, quando sosteneva che la questione morale è questione politica” (il
Fabio Filomeni
Il premier predica bene
e razzola malissimo
Dopo la retata veneziana
da parte della Procura locale di chiacchiere più o
la vignetta
Corriere della Sera, 5 giugno). Nessuno risponderà a queste parole, salvo parlare di
“gufi”, “rosiconi” o “sciacalli” per definire
coloro che, anche educatamente, dissentono. C'è stato un solo annuncio: la nomina del magistrato Cantone come verificatore di tutto. Nonostante il prestigio e le
qualità di Cantone, è possibile? Per esempio, potrà, quel solo magistrato, andare su
e giù per il tracciato dell'autostrada privata detta “Corridoio Tirrenico” che divide
e spacca la Toscana dalla Maremma a Livorno (e oltre), che ha ricevuto in dono
dallo Stato l'intero percorso della via Aurelia, e si affida a una catena di subappalti ad aziende lontane, piccole e ignote? Per
avere detto cose come queste, il prof.
Gianni Mattioli (docente di Fisica a La
Sapienza di Roma e già ministro di Prodi)
deve difendersi a sue spese da una causa
per diffamazione dei fautori della grande
opera, per centinaia di migliaia di euro. E
Nicola Caracciolo, presidente di Italia
Nostra, è già stato ammonito a non provare a sollevare dubbi, per avere difeso
Mattioli, e al Fatto Quotidiano per avere
pubblicato la lettera di Caracciolo. Intanto decine di migliaia di espropri di fertili
terreni agricoli, uliveti e costruzioni sono
già pronti per poter iniziare il proficuo lavoro di cementificazione vista mare, il
tutto senza gare e senza concorrenza. E
dovrà, potrà Cantone verificare tutto in
tempo? Dovrà, potrà andare ad aprire il
suo ufficio presso altre grandi opere in
corso (inutilmente contestate dai cittadini dei luoghi purtroppo prescelti), dal costo immenso, e con ignote partecipazioni
straordinarie, di cui si verrà a sapere, sia
pure con grande stormire di media, solo
troppo tardi ?
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
[email protected]
sare i suoi soldi allo Stato.
Se poi, come emerge da
tante vicende come l’ultima l'inchiesta sulla corruzione negli appalti per il
Mose i denari pubblici
frutto delle tasse invece
che essere usati per garantire servizi di qualità adeguata ai cittadini, servono
per foraggiare politici
corrotti e funzionari infedeli, non possiamo stupirci se la nostra credibilità europea molto spesso
scricchiola.
Mario Pulimanti
DIRITTO DI REPLICA
Caro Padellaro, ho letto il
pezzo sulla presentazione
del mio nuovo quotidiano
(“il Garantista”) che avete
pubblicato ieri. Ci sono
due imprecisioni. Una
pochissimo grave. Una
moltissimo grave. La prima è che io sarei il giornalista più avvistato da Vespa. Non so se voi siate
contrari per principio alla
partecipazione dei giornalisti ai talk show. Io comunque non vado da Vespa dal 2010, un po’ più di
quattr’anni… La seconda
imprecisione invece è
grave. Dice che ho licenziato da “Calabria Ora”
Lucio Musolino perché
stava facendo un’inchiesta sulla ‘ndrangheta. Io
non ho mai licenziato
Musolino e lui non stava
facendo nessuna inchiesta sulla ‘ndrangheta. Musolino è stato licenziato
dall’editore, contro il mio
parere e la ‘ndrangheta
non c’entrava niente. Capisci che essere accusato
di licenziare uno perché
contrasta la mafia è piuttosto infame. La polemica
è sempre bella, il fango e la
bugia no.
Piero Sansonetti
gistratura “ad orologeria”, proprio per la tempestiva coincidenza con
eventi mediatici internazionali (ricordiamo l'imbarazzo di Berlusconi al
ricevimento dell'avviso di
garanzia in occasione del
G8 di Genova). Adesso,
appena terminate le importanti elezioni europee
ed amministrative nelle
quali il Partito democratico ha stravinto, viene
meno scandalizzate se ne
fanno parecchie e non si
astiene il Capo del governo Renzi che fa il monsieur de La Palisse dicendo che il problema sono i
ladri e non le regole. Peccato che intanto in Parlamento le regole, appunto,
vengano depotenziate dal
punto di vista penale per
certi reati, tipici dei colletti bianchi, che prevedono pene fino ai cinque
anni. Renzi dichiara,
nell’ennesima conferenza stampa, che per lui il
politico che si macchia di
corruzione dovrebbe essere incriminato per alto
tradimento. Anziché fare
simili sparate ad effetto
dovrebbe invece spiegare,
lui o il ministro della giustizia Orlando, perché il
Def approvato dal Consiglio dei ministri l’8 aprile
scorso prevedeva la ne-
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cessità di rivedere il processo penale nella prescrizione, allungandola,
con l’introduzione del
reato di autoriciclaggio e
autoimpiego oltre che
con la revisione del falso
in bilancio, mentre una
settimana dopo quando è
arrivato alla Camera per
l’avvio dell’esame parlamentare tali argomenti
sono scomparsi. Parafrasando il titolo di un famo-
so film si può dire: sotto le
chiacchiere poco o niente.
Mario Sacchi
Le tasse non sono solo
alte, ma incomprensibili
Il nostro sistema fiscale é
oppressivo e vessatorio,
perché obbliga il cittadino che vuole pagare le tasse a impressionanti peripezie per capire quando,
quanto e come deve ver-
I NOSTRI ERRORI
Ieri, per un errore, l’autorità di sorveglianza legata
alle vicende dello scandalo veneziano del Mose è
stata indicata come Magistrato del Po, mentre si
tratta invece del Magistrato alle Acque.
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