Dossier DL n.90/2014 n.90/2014 n.90/2014

Dossier
DL n.90/2014
A cura del Servizio Politiche Economiche e Finanziarie
e
Pubblico Impiego
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Decreto legislativo 24 giugno 2014, n.90
Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa
e per l’efficienza degli uffici giudiziari
Questo decreto è stato preceduto dalla lettera dei 42 punti tramite la quale il Governo aveva inteso
ascoltare la voce diretta dei protagonisti bypassando ogni mediazione con le forze sociali, in
applicazione dello slogan liberista del goverment of the people, by the people, and for the people
che si propone di sostituire al conflitto sociale, che richiede la mediazione degli interessi
contrastanti, il consenso acritico alle scelte del governo, ritenuto unica condizione di coesione
sociale.
Secondo questa ideologia livelli troppo alti di partecipazione, attenzione e coinvolgimento dei
cittadini nella politica acuiscono le divisioni, le dispute, insomma il conflitto e il radicamento
ideologico con effetti negativi sulle performances dei governi e la perdita di controllo delle spinte
sociali. (Bernad Berelson1, Paul Felix Lazarsfeld2).
In tal modo si mette anche da parte la difficoltà dei partiti di ascoltare e integrare la domanda
sociale e di mantenere un contatto diretto con i bisogni della gente. La nuova via, indicata da Renzi,
è quella che sollecita le speranze enunciando problemi, sapendo che è difficile poterli portare a
soluzione non avendone gli strumenti e le risorse, ma che, in una nuova forma di partecipazione,
accendono sterili discussioni fra gli addetti ai lavori e soprattutto speranze nella gente e chi prova a
evidenziare le contraddizioni viene accusato di un cieco conservatorismo che impedisce al Governo
di compiere la “rivoluzione” promessa.
La mediazione sociale, ritenuta solo un freno al governo, viene quindi annullata pur essendo
l’attuazione del concetto di rappresentanza, perno della concezione liberale della politica, il cui
esercizio si è oggi trasformato in una (lucrosa) professione, trasmissibile per via familiare, partitica
o clientelare, espropriando il popolo delle sue prerogative, confinate a vivere solo nel dominio
cartaceo del dettato costituzionale. Ciò è reso possibile dalla diffusione della mentalità
individualistica, dalla dissoluzione dei corpi sociali intermedi e dall’irrisione dello spirito
comunitario.
In linea generale, possiamo dire che appare oltremodo chiara la volontà di ridurre la presenza dello
Stato articolandone gli uffici periferici a livello regionale. Vi sono poi altre misure che, insieme
all'accorpamento degli enti territoriali di diverse amministrazioni e alla gestione unitaria di servizi
strumentali che interesserà migliaia di lavoratori, mettono in atto un concreto allontanamento della
P. A. dai bisogni dei cittadini.
Ci preme anche ricordare che tutti i paesi occidentali hanno un apparato statale, spesso più pesante
del nostro, ma ritenuto necessario per affrontare le problematiche di una società complessa. Qui
sembra invece che i problemi di inadeguatezza del sistema possono essere affrontati e risolti, non
rimuovendo le cause del problema, ma agendo più semplicemente sulla base di luoghi comuni come
quello sull’eccessivo numero dei lavoratori pubblici italiani, che in realtà sono ben al di sotto
rispetto a Francia e Regno Unito ed oltretutto i meno pagati in Europa.
1
2
Scienziato del comportamentalista noto per il paradoso di Berelson su democrazia
sociologo e psicologo sociale
2
DL 24 giugno 2014, n.90
Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per
l’efficienza degli uffici giudiziari.
CAPO I - PERSONALE
Art.1
Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche
amministrazioni
Questo primo articolo getta le basi per il progetto di staffetta generazionale, elaborato dal Governo
Renzi, che dovrebbe avvenire “con un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e dei
dipendenti vicini alla pensione per favorire l’ingresso di giovani” così ha ribadito il ministro per la
Semplificazione e la PA, Maria Anna Madia, in audizione alla commissione Affari costituzionali
alla Camera, precisando che «L’operazione della staffetta generazionale nella Pa non vuole mettere
in discussione gli equilibri realizzati con la riforma della previdenza attuata nel dicembre 2011.
Garantirebbe da un lato una forte iniezione di indispensabile rinnovamento, dall’altro un risparmio
complessivo per le casse dello Stato, dato dalla differenza tra gli stipendi attualmente pagati e quelli
dei neo assunti, al netto della spesa per le pensioni erogate in anticipo».
Vengono abrogati:
•
l’art.16 del d.lgs 30dicembre 1992 riguardante
Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, in vigore
dall’ 1-1-1993 : "
ART.-16. - Prosecuzione del rapporto di lavoro.
1. E' in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in
servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un
periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti."
•
L’art.72 c 8,9,10 del dl.112/2008 convertito L.6agosto2008 n. 133 recante misure urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria.
I commi soppressi sono i seguenti:
8. Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente
decreto e quelli disposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi
successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto.
9. Le amministrazioni di cui al comma 7 riconsiderano, con provvedimento motivato, tenuto conto
di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal
1° gennaio al 31 dicembre 2009.
10. I trattenimenti in servizio già autorizzati con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010 decadono
ed i dipendenti interessati al trattenimento sono tenuti a presentare una nuova istanza nei termini di
cui al comma 7.
•
L'art.9 c.31 DL 31maggio 2010, n.78 convertito L.30luglio 2010 n.122 – 31 :
"Al fine di agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche
amministrazioni, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo il rispetto
delle condizioni e delle procedure previste dai commi da 7 a 10 dell'articolo 72 del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, i
trattenimenti in servizio previsti dalle predette disposizioni possono essere disposti esclusivamente
nell'ambito delle facolta' assunzionali consentite dalla legislazione vigente in base alle cessazioni
del personale e con il rispetto delle relative procedure autorizzatorie; le risorse destinabili a nuove
3
assunzioni in base alle predette cessazioni sono ridotte in misura pari all'importo del trattamento
retributivo derivante dai trattenimenti in servizio.
Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2011, disposti
prima dell'entrata in vigore del presente decreto. I trattenimenti in servizio aventi decorrenza
successiva al 1° gennaio 2011, disposti prima dell'entrata in vigore del presente decreto, sono privi
di effetti.
Il presente comma non si applica ai trattenimenti in servizio previsti dall'articolo 16, comma 1-bis
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, (( e, in via transitoria limitatamente agli anni
2011 e 2012, ai capi di rappresentanza diplomatica nominati anteriormente alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto."
Così viene del tutto cancellato l’istituto che, anche se in via del tutto eccezionale, consentiva al
personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo di fare
richiesta di permanenza in servizio. Infatti, questo istituto era stato già profondamente modificato
dal comma 7 dell'articolo 72 del d.l. 112 del 2008 in virtù del quale al pubblico dipendente non era
più riconosciuto un diritto soggettivo alla permanenza in servizio, prevedendo soltanto che l'istanza
presentata andasse valutata discrezionalmente dall'Amministrazione; la quale aveva facoltà di
accoglierla solo in concreta presenza di specifici presupposti legati ai profili organizzativi generali
dell'amministrazione medesima e alla situazione specifica del richiedente ("in relazione alla
particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in
funzione dell'efficiente andamento dei servizi").
L''istituto del trattenimento in servizio aveva quindi di fatto assunto un carattere di eccezionalità in
considerazione delle generali esigenze di contenimento della spesa pubblica che hanno ispirato e
informato l'intero impianto normativo. Ed infine l’eccezionalità del trattenimento in servizio doveva
essere adeguatamente giustificata da oggettivi e concreti fatti organizzativi, tali da imporre il ricorso
ad un tale particolare strumento derogando alle esigenze di risparmio perseguite dalla legge.
La norma non trova applicazione retroattiva ma impone ai trattenimenti in servizio in essere la
scadenza forzata del 31 ottobre 2014 e revoca quelli non ancora efficaci alla data di entrata in vigore
del decreto. Nonostante ciò l’abolizione dell’istituto certamente non libererà una quantità
significativa di posti di lavoro probabilmente lontana dai previsti 15.000.
Comunque anche 15 mila nuovi posti nella PA rappresentano lo 0,44% del personale pubblico,
pertanto non potranno rivoluzionare, come vorrebbe questo governo, l’appartato pubblico.
Noi ricordiamo che l’assunzione nel pubblico prevede un concorso ed il meccanismo concorsuale
non assicura l’assegnazione di questi ipotetici 15 mila posti ai giovani visto che ormai nel pubblico
impiego vi è personale anziano da anni costretto nel limbo del precariato non solo a causa del
continuo blocco del turn over ma anche perché assunto a tempo determinato, con contratti di
formazione lavoro, con contratti interinali e L.S.U: e che rappresenta il 3,6% del personale e che
verosimilmente si precipiterà, con qualche titolo in più, a partecipare ad eventuali concorsi
pubblici..
In definitiva il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni è semplicemente una
fantasia, poiché questo Governo, che esprime aspirazioni ma non avendo risorse da impiegare, non
ha alcuna possibilità non solo di attuare ma neanche di avviare alcun avvicendamento. Oltretutto
alla mancanza di risorse il Ministro Madia aggiunge una ulteriore limitazione quando dice che
:«L’operazione della staffetta generazionale nella Pa non vuole mettere in discussione gli equilibri
realizzati con la riforma della previdenza attuata nel dicembre 2011. Garantirebbe da un lato una
forte iniezione di indispensabile rinnovamento, dall’altro un risparmio complessivo per le casse
dello Stato, dato dalla differenza tra gli stipendi attualmente pagati e quelli dei neo assunti, al netto
della spesa per le pensioni erogate in anticipo».
Quindi non si tocca niente di tutto quello che sta portando la pubblica amministrazione
all’impossibilità di operare. Di fatto il blocco totale del turn over rimane, seppure con una limitata
apertura temporale.
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Ovviamente non possono mancare le eccezioni:
• per i magistrati ordinari esteso anche ai magistrati amministrativi e contabili il trattenimento
in servizio resta ma comunque non può andare oltre al 31 dicembre 2015.
Dobbiamo dare atto che l’eccezione è scaturita dalle osservazioni mosse da parte degli uffici
giuridici del Quirinale, concentrate soprattutto sull’abolizione del trattenimento in servizio che,
applicata ai magistrati, avrebbe di colpo abbassato da 75 a 70 anni l’età del ritiro per i giudici
lasciando scoperte posizioni di vertice nella macchina giudiziaria che già funziona poco e male. Il
CSM aveva rimarcato che con il pensionamento di 445 i magistrati, che entro dicembre avrebbero
supererato la soglia dei 70 anni la Cassazione rischiava il dimezzamento e sarebbero stati azzerati
anche i vertici di molti tribunali e di importanti uffici giudiziari. Attualmente mancano dagli
organici 1.300 magistrati. Considerando che le procedure di nomina dei nuovi magistrati hanno una
durata media di almeno tre anni e un tirocinio di 18 mesi il trattenimento in servizio certamente non
sarà in grado di migliorare il sistema giustizia se non saranno coperti, nel più brve tempo possibile, i
posti d’organico vacanti. La quantità di processi penali pendenti ed i pronostici di congelamento dei
ruoli dei processi civili sono una realtà che non può più essere ignorata. Nella classifica mondiale
dell’efficienza della giustizia l’Italia si trova, fra 183 Paesi, al 158esimo posto dopo Gambia e
Mongolia. Oltretutto in una fase di continue spending review non è da sottovalutare che la lentezza
dei processi ha un costo, che nel civile viene stimato di 96 miliardi. Se, al posto dei continui tagli, si
mettessero in atto gli strumenti adatti per azzerare l'arretrato civile si guadagnerebbe il 4,8% del
Prodotto interno lordo.
Altro che spending review.
Allo stato attuale il nostro Paese risulta il settimo in Europa per numero di violazioni dei diritti
umani, per lo più in riferimento alla estrema lentezza dei processi. Nei tribunali italiani giacciono,
infatti più di 6 milioni di fascicoli relativi a procedimenti civili e 3,5 connessi a processi penali.
Ci sembra che in merito il governo abbia dato un segnale d’inizio di una riforma complessiva del
sistema di giustizia italiano che inizia con l’accelerazione delle procedure concorsuali (previste nel
successivo articolo 2) e che dovrà estendersi ad una più efficace gestione dei tribunali, poiché non è
più giustificabile che nel nostro Paese ci vogliano 1210 giorni in media per tutelare un contratto,
mentre in Germania ne servono 394, nel Regno Unito 389 ed in Francia 331 giorni All’inefficienza
del sistema giustizia corrisponde inoltre una quota in termini di assistenza legale e spese processuali
rispetto al valore della causa tra le più alte d'Europa, pari al 30%, contro il 14,4% della Germania.
Secondo la Commissione Europea lo Stato italiano spende per la Giustizia 70 euro per abitante, 12
in più di quanto spende la Francia.
I suggerimenti del Quirinale su ulteriori eccezioni hanno portato il governo ad estendere il periodo
di transizione anche ai militari i cui collocamenti in ausiliaria e i richiami in servizio si protrarranno
fino al 2016.
Infine, come rileva l’Ufficio Studi della Camera dei Deputati, nel suo Dossier sul DL 90/2014, “il
comma 6 dispone l’aumento degli obiettivi di risparmio attesi dalla spending review a decorrere
dal 2015, previsti dalla legge di stabilità per il 2014 (ai commi 427-428, come modificati
dall’articolo 2 del D.L. n. 4/2014).
In particolare, il comma 427, come novellato dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.L. 28 gennaio 2014, n. 4,
prevede l’adozione da parte delle amministrazioni pubbliche, sulla base delle attività svolte dal Commissario
straordinario per la spending review, di una serie di misure di revisione della spesa, di ridimensionamento delle
strutture e di ottimizzazione dell’uso degli immobili atte ad assicurare una riduzione della spesa delle pubbliche
amministrazioni non inferiore a 488,4 milioni di euro per l’anno 2014, a 1.372,8 milioni di euro per l’anno 2015, a
1.874,7 milioni di euro per gli anni 2016 e 2017, e a 1.186,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018, in termini di
indebitamento netto3[5].
Tali misure di risparmio, si ricorda, operano anche nei confronti degli enti territoriali; la quota di risparmi che tali
enti sono tenuti ad assicurare alla finanza pubblica, nell’ambito degli importi complessivi suindicati, è pari a
complessivi 344 milioni di euro nel 2015 e a 688 milioni in ciascuno degli anni 2016 e 2017, come precisato dal
successivo comma 429 della legge n. 147/2013.
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In particolare, la lettera a) del comma 6 in esame, novellando il citato comma 427, stabilisce che le
economie di spesa da conseguirsi a partire dal 2015, sulla base delle attività svolte dal
Commissario straordinario per la spending review, debbano essere non inferiori a 1.448 milioni di
euro per l’anno 2015, a 1.988,1 milioni per l’anno 2016, a 1.997,9 milioni per l’anno 2017 e a
1.339,6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018.
Rispetto al testo del comma 427, pertanto, gli obiettivi finanziari assegnati all’attività di
razionalizzazione della spesa sono incrementati di 75,2 milioni nel 2015, 113,4 milioni nel 2016,
123,2 milioni per il 2017 e 152,9 milioni a decorrere dal 2018.
La tabella che segue espone gli obiettivi complessivi assegnati alla spending review a seguito del succedersi degli
interventi sopra richiamati.
(milioni di euro)
Gli obiettivi di risparmio della spending review
Obiettivo di risparmi previsto dalla legge di
stabilità 2014
Incremento dell’obiettivo di risparmio ai
sensi del D.L. n. 4/2014
Incremento dell’obiettivo di risparmio ai
sensi del D.L. n. 90/2014
Totale
2014
-
2015
3,6
2016
8,3
2017
11,3
2018
11,3
0,5
0,8
0,6
0,6
0,6
-
0,07
0,1
0,1
0,1
0,5
4,47
9,0
12,0
12,0
Si rammenta che in data 19 novembre 2013 il Commissario straordinario per la spending review ha inviato alle
Camere il programma di lavoro per l’attività di revisione della spesa pubblica per il periodo novembre 2014-ottobre
2016 che, quanto agli obiettivi quantitativi, è finalizzato a perseguire i risparmi definiti dalla legge di stabilità 2014,
vale a dire 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017.
Va peraltro ricordato che nel DEF 2014 vengono ulteriormente aumentati – e per importi consistenti - gli obiettivi
finanziari assegnati all’attività di spending review, in quanto, dall’analisi condotta in una prima fase, è emersa la
possibilità di portare i risparmi fino a 4,5 miliardi nel 2014 e fino a 17 e 32 miliardi rispettivamente nel 2015 e 2016.
In connessione ai maggiori obiettivi di risparmio imposti dal comma 427 come novellato dalla
lettera a), la lettera b) del comma in esame provvede a modificare anche il comma 428 della legge
di stabilità, al fine di aumentare anche la quota di risparmi che attiene al bilancio dello Stato a
decorrere dal 2015, attraverso l’aumento del complesso degli importi accantonati sugli
stanziamenti rimodulabili del bilancio dello Stato, ivi previsto.
In particolare, il comma 428 come anch’esso novellato dall’articolo 2, comma 1, lettera c), del D.L. 28 gennaio 2014,
n. 4, dispone, nelle more della definizione degli interventi correttivi di spending review, la costituzione di
accantonamenti indisponibili sulle dotazioni finanziarie iscritte a legislazione vigente delle spese rimodulabili4[6] delle
missioni di spesa di ciascun Ministero, come dettagliati nell’allegato 3 alla legge n. 147/2013, negli importi
complessivi di 710 milioni di euro per l’anno 2014, 1.028,8 milioni di euro per l’anno 2015, e di 1.186,7 milioni di
euro a decorrere dall’anno 2016. L’accantonamento in questione ha una finalità prudenziale, atteso che il comma
medesimo precisa che a seguito dell’adozione degli interventi di riduzione della spesa di cui al comma 427, si
provvederà a rendere disponibili le somme accantonate.
Gli accantonamenti indisponibili sulle spese rimodulabili delle missioni di spesa di ciascun
Ministero vengono ora stabiliti, a decorrere dal 2015, negli importi complessivi 1.104 milioni di
euro per l’anno 2015, 1.300,1 milioni di euro per l’anno 2016, 1.309,9 milioni per l’anno 2017 e a
1.339,6 milioni a decorrere dall’anno 2018, secondo quanto indicato nel nuovo Allegato 3 di
seguito riportato, come sostituito dal decreto-legge in esame (lettera c):
(milioni di euro)
PROGRAMMA DI SPENDING REVIEW – SOMME ACCANTONATE E RESE INDISPONIBILI
2014
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE
FINANZE
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE
SOCIALI
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
MINISTERO DELL’INTERNO
2015
2016
2017
448,4
504,5
511,9
55,6
21,5
88,5
90,5
83,6
7,0
6,0
6,0
13,5
13,5
30,9
37,2
25,2
58,9
47,5
30,5
66,2
49,0
31,3
68,0
355,7
2018 e
segg.
523,6
85,1
6,1
50,5
32,2
70,0
6
MINISTERO
DELL’AMBIENTE
E
DELLA
TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI
TRASPORTI
MINISTERO DELLA DIFESA
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
ALIMENTARI E FORESTALI
MINISTERO DELLA SALUTE
Totale
2,9
6,7
8,5
8,7
8,9
113,0
165,0
170,0
163,7
165,7
89,5
254,6
362,7
373,6
382,9
11,1
8,4
9,2
9,5
9,7
2,8
710,0
4,2
1.104,0
4,6
1.300,1
4,7
1.309,9
4,9
1.339,6
Rispetto al testo del comma 428, la lettera b) del comma 6 in esame dispone, pertanto, nuovi
accantonamenti sul bilancio dello Stato per 75,2 milioni nel 2015, 113,4 milioni nel 2016, 123,2
milioni per il 2017 e 152,9 milioni a decorrere dal 2018.
Rimane ferma la previsione recata dal comma 428, per questo aspetto non modificato dalla
disposizione in commento, in cui si stabilisce che da tali accantonamenti – che come sopra si è
detto hanno finalità prudenziale – restano escluse (come già previsto dalla normativa originaria):
le spese del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca;
le spese della Missione "Ricerca e innovazione”;
gli stanziamenti relativi al Fondo per lo sviluppo e la coesione;
gli stanziamenti per la realizzazione di opere e attività connesse al grande evento Expo Milano.
Resta altresì ferma la possibilità, prevista dalla normativa originaria, per le amministrazioni di
proporre variazioni compensative tra gli accantonamenti interessati, al fine di assicurare la
necessaria flessibilità gestionale.
Con riferimento agli oneri relativi all’anno 2014, pari a 2,6 milioni di euro, la lettera d) del
comma in esame vi provvede a valere sulle risorse del Fondo gestione istituti contrattuali
lavoratori portuali in liquidazione, di cui all’articolo 9, comma 8, del D.L. n. 457/1997.
Art.2
(Incarichi direttivi ai magistrati)
Il decreto interviene anche in materia di “Attribuzione delle funzioni e passaggio da quelle
giudicanti a quelle requirenti e viceversa” ed in particolare per accelerare le assegnazioni di sede, il
passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle inquirenti, il conferimento delle funzioni semidirettive e
direttive e l’assegnazione al relativo ufficio dei magistrati che ancora non hanno conseguito la
prima valutazione.
Art.3
(Semplificazione e flessibilità nel turn over)
Ricordiamo che il Governo, con la lettera Madia Renzi, aveva sottoposto all’attenzione questo
argomento nel punto 7) semplificazione e maggiore flessibilità delle regole sul turn over fermo
restando il vincolo sulle risorse per tutte le amministrazioni
Noi osservammo che questo tema assume particolare importanza sul piano sociale ed è strettamente
connesso all’istituto della mobilità volontaria ed obbligatoria. Tutti temi che presentano
problematiche rese difficili dalla crisi del debito sovrano che ha spinto molti paesi ad una
reformatio in peius del settore pubblico adottando misure straordinarie per ridurre la spesa delle
pubbliche amministrazioni per contenere la crescita del deficit e del debito.
In Grecia gli organici delle PA si assottigliano considerevolmente, in quanto dei dipendenti pubblici
che andranno in pensione ne verrà sostituito solo uno su cinque e dal 2013 l’età pensionabile per le
donne passerà a 65 anni.
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In Portogallo oltre al congelamento degli aumenti reali di tutte le retribuzioni del settore pubblico,
gli stipendi di funzionari e manager saranno tagliati del 5%. Si punta inoltre a scoraggiare i
pensionamenti precoci, elevando la penalizzazione per ogni anno di servizio in meno rispetto all’età
pensionabile dall’attuale 4,5 fino al 6%.
La Repubblica Ceca punta a ridurre l’attuale deficit sotto il 3% entro il 2013, diminuendo del 10%
gli stipendi del settore pubblico. Un taglio del 5% sarà applicato anche alle retribuzioni di giudici,
avvocati e vertici politici
In Romania il governo ha previsto il licenziamento di circa 60mila dipendenti del settore pubblico,
in particolare le amministrazioni pubbliche locali (con ben 54mila posti di lavoro in meno) inoltre,
gli stipendi pubblici hanno subìto un taglio del 25% a partire da giugno 2010, mentre le pensioni
verranno decurtate del 15%. L’obiettivo di medio termine è ottenere entro il 2015 una riduzione del
peso totale delle retribuzioni pubbliche rispetto al Pil, dall’attuale 9,4% al 7%, salvaguardando
comunque i livelli retributivi in godimento grazie alla significativa riduzione del personale
pubblico.
La Gran Bretagna si propone il contenimento della spesa pubblica a 140 miliardi di sterline in 5
anni, con tagli previsti ai budget dei ministeri fino al 40%, Un simile restringimento delle risorse
comporterà conseguenze pesanti in termini occupazionali, con oltre 600mila posti di lavoro a
rischio (fino a un milione secondo le opposizioni, addirittura 1,3 secondo indiscrezioni della
stampa). Chi resterà in servizio e ha uno stipendio superiore a 21mila sterline l’anno avrà la busta
paga congelata per due anni, cosa che secondo le analisi del governo sarà necessaria per rispettare i
tetti di spesa evitando tagli ancora più drastici agli organici nel breve periodo. Secondo il Tesoro,
rispetto agli attuali 5,53 milioni di pubblici dipendenti, nel 2015-2016 ce ne saranno 4,92 milioni.
Ma la cosa più importante è il progetto di riforma che il premier sintetizza nello slogan “Big
Society” e che in pratica, significa passare direttamente ai cittadini e alle loro associazioni la
responsabilità di gestione di una serie di servizi pubblici essenziali a livello locale ( che allo stato
dei fatti presenta gravi problemi di programmazione delle attività a medio lungo termine).
In Germania il governo mira a ridurre di circa 60 mld un deficit attualmente a quota 80 miliardi che
poggia soprattutto su una massiccia riduzione delle spese connesse al welfare. Per le categorie dei
‘Beamte’, funzionari di carriera il cui rapporto di lavoro non è di tipo privatistico e le cui
retribuzioni sono fissate per legge (ultimo adeguamento nel 2009), si prevede un taglio degli
organici per 10-15mila posti da ottenere con il blocco del turnover, oltre a una riduzione dello
stipendio pari al 2,5% più la conferma della decurtazione della tredicesima dal 30 al 15% dello
stipendio mensile, che inizialmente era stata prevista come misura temporanea.
In Francia Il piano adottato dal governo francese intende ottenere entro il 2013 risparmi di spesa per
complessivi 95 miliardi di euro. Il primo passo è il congelamento delle spese pubbliche, bloccate in
valore assoluto al livello 2010 fino a fine 2012, fatta eccezione per gli interessi sul debito e la spesa
pensionistica. Un blocco parziale del turnover nel pubblico impiego faceva già parte della
“Revisione generale delle politiche pubbliche”, che include anche una nuova articolazione del
sistema dei servizi sul territorio e la mobilità dei funzionari pubblici (ovvero possibilità di
ricollocazione in nuove mansioni e percorsi di carriera più compositi e differenziati). L’obiettivo
per il 2013 è 34mila dipendenti pubblici in meno l’anno per tre anni, per un taglio complessivo di
100mila posti. Ogni due dipendenti pubblici che andranno in pensione solo uno verrà sostituito.
In Spagna le misure che riguardano il settore pubblico comprendono una riduzione del 5% degli
stipendi di tutti i pubblici dipendenti a partire già dal 1° giugno 2010 e congelamento per il 2011.
Gli interventi, pur nella loro eterogeneità, mostrano molti tratti comuni relativamente alle misure
adottate e al contempo la presenza di piani di medio periodo diretti a ridurre stabilmente il peso
dell’amministrazione pubblica e della spesa pubblica complessiva.
Per concludere, l’insieme degli interventi adottati pur avendo una caratteristica anticiclica e per certi
versi congiunturale, ci collocano in una nuova fase storica per gli Stati del continente europeo volta
a rivedere il rapporto tra intervento pubblico, economia e società. Non a caso il dibattito in corso
sulla “Big society”, lanciato dal premier britannico Cameron e ripreso in molti altri paesi, mira a
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declinare in maniera nuova il rapporto tra spesa pubblica e spesa privata, per superare l’emergenza
derivante dalle speculazioni finanziarie
Se la congiuntura e l’emergenza ha portato molti paesi ad adottare dei tagli lineari, le cause
dell’emergenza finanziaria ci dicono che occorre ben altro e questo ben altro passa da un ridisegno
organico e funzionale della spesa pubblica in rapporto con la spesa privata. Tutto questo ci porta a
ricordare che non siamo solo di fronte ad una crisi finanziaria, ma di fronte ad una crisi del modello
europeo e ad un passaggio epocale che richiede un impegno nuovo e coraggioso da parte dei
governi e delle parti sociali.
Queste considerazioni trovano conferma nelle disposizioni relative al turn over che sostanzialmente
sono in linea con la politica di riduzione (seppure attenuata nella sua drasticità) della spesa pubblica
e dei servizi.
Per l’ennesima volta, si modificano sia il d.lgs.165/01 che la legge Fornero, il primo dopo tanti
cambiamenti richiederebbe una riscrittura totale per renderlo leggibile.
Le disposizioni di questo articolo dovrebbero obbligare 10.000-15.000 dipendenti ad andare in
pensione per favorire i giovani..
Per una riforma della Pubblica Amministrazione il cui obiettivo era il taglio degli sprechi si era
partiti dai lavoro del commissario Cottarelli che - grande innovazione nel panorama degli attuali
criteri di gestione aziendale - aveva ipotizzato, al 2016, 85 mila eccedenze tra il personale della
pubblica amministrazione per un risparmio di tre miliardi di euro e poiché la «capienza da blocco
completo del turnover » è di circa 90 mila dipendenti si ipotizzava l’ulteriore utilizzo del turn over
come una possibile soluzione. Questo in teoria perché, nella pratica, nel pubblico impiego, gli
esuberi dipendono soprattutto da piani specifici di riforma e oltretutto ci sono problemi di
applicazione ai singoli settori perché, ad esempio, nella scuola non ci sono esuberi ma molti
pensionamenti. Inoltre il blocco del turnover causa aumento dell’età media, altro problema che
affligge la nostra PA.
Le altre possibili ipotesi più o meno praticabili erano: i prepensionamenti con l’eliminazione di
posizioni, gli esoneri dal servizio (istituto introdotto nel 2008 ma abrogato a fine 2011), il
collocamento in disponibilità del personale in esubero con riduzione della retribuzione, gli incentivi
all’uscita dal settore pubblico con finanziamenti una tantum, la riduzione dei servizi esternalizzati,
il rafforzamento della mobilità obbligatoria per facilitare riassorbimento all’interno della pubblica
amministrazione.
Il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia ha preso le distanze da un eventuale totale
blocco del turn over - la spending review - perché non funzionale al piano di inserimento di tanti
giovani.
L’articolo prevede assunzioni di personale a tempo indeterminato, per l’anno 2014, nel limite di una
spesa pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente, di cui il 40%
nel 2015 aumentato al 60% nel 2016 all’80% nel 2017 e del 100% nel 2018.
Il testo letterale recita: “Le amministrazioni dello Stato…, possono procedere, per l’anno 2014, ad
assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale
complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale
di ruolo cessato nell’anno precedente. La predetta facoltà di assumere è fissata nella misura del 40
per cento per l’anno 2015, del 60 per cento per l’anno 2016, dell’80 per cento per l’anno 2017, del
100 per cento a decorrere dall’anno 2018”
In effetti - anche se non esplicitamente scritto – a nostro avviso rimane il blocco del turn over e
l’apertura riguarda esclusivamente l’anno in corso su dati del 2013. Insomma l’operazione tesa a
favorire il ricambio generazionale è costruita sempre su una logica di risparmio, perché rottamati i
vecchi, si potranno assumere dei “giovani”, con contratto a tempo indeterminato, ma solo “nel
limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente, per il 2014, ad una spesa
pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente”. Detta percentuale
sale per gi Enti di ricerca al 50% per il 2014 e 2015 6 e per Regioni e per gli Enti Locali al 60%..
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L’innovazione sta nella base di calcolo che si riferisce solo al personale di ruolo ma viene rimossso
il vincolo della percentuale di unità cessate nell’anno precedente, il cosiddetto vincolo capitario..
Inoltre non è più previsto che prima di procedere a nuove assunzioni si debba verificare
l’impossibilità di coprire i posti vacanti facendo ricorso alla mobilità.
Noi evidenziamo il dubbio interpretativo di questo primo comma dell’art.3: il risparmio del 2014
riguarda l’80% della spesa 2013, ma non è detto chiaramente che i risparmi di spesa degli anni
successivi siano relativi al singolo anno precedente (es. 2015 sul 2014; 2016 sul 2015 e così via) e
non siano invece relativi alla spesa iniziale, quella 2013.
Infine a decorrere dall’anno 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per
un arco temporale non superiore a tre anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di
quella finanziaria e contabile.
Il Dipartimento della funzione pubblica e la Ragioneria generale dello Stato opereranno
annualmente un monitoraggio sull’andamento delle assunzioni e dei livelli occupazionali che si
determinano per effetto delle suddette disposizioni.
Nel caso in cui dal monitoraggio si rilevino incrementi di spesa che possono compromettere gli
obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, con apposito decreto saranno adottate misure correttive
volte a neutralizzare l’incidenza del maturato economico del personale cessato nel calcolo delle
economie da destinare alle assunzioni previste dal regime vigente.
Gli enti dovranno continuare a rispettare i vincoli previsti dall’articolo l, commi 557, 557-bis e 557ter della legge 296/2006 (finanziaria 2007).
A decorrere dal 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco
temporale non superiore a tre anni (2011-2013), nel rispetto della programmazione del fabbisogno e
di quella finanziaria e contabile. L’articolo 76, comma 7, del d.l. 112/2008 è abrogato, pertanto, gli
enti locali per effettuare nuove assunzioni non dovranno più verificare che l’incidenza della spesa di
personale rispetto a quella di parte corrente sia inferiore al 50%. Inoltre, non dovrà più essere
considerata a tal fine la spesa degli organismi partecipati. Le Regioni e enti locali dovranno
coordinare le politiche assunzionali dei soggetti di cui all’articolo 18, comma 2-bis del citato d.l.
112/2008 (aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di
controllo) al fine di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della
percentuale tra spese di personale e spese correnti. Resta fermo il divieto di assunzioni a tempo
determinato disposto per le province dall’articolo 16, comma 9, del d.l. 95/2012.
I limiti di cui al presente articolo non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle
categorie protette ai fini della copertura delle quote d’obbligo.
Esemplificando la nostra interpretazione con riferimento alle spese 2013 e a percentuali di
personale assumibile nel limite previsto negli anni a seguire fino al 2018, consideriamo
un’amministrazione in cui nel 2013 sono andati in pensione 400 dipendenti con retribuzione media
di 65.000 euro lordi per una spesa complessiva di 5.200.000 di euro, le nuove assunzioni si
calcoleranno e distribuiranno nel modo seguente:anni
2013
2014
2015
2016
2017
2018
totale
Personale
cessato
2013
400
Spesa totale
stipendi
Personale
cessato
26.000.000
20% della
spesa
Personale
cessato
5.200.000
Stipendio
Ripartizione
annuo
nuove
Personale
assunzioni
neoassunto
Totali
Parziali
per anno
Percentuali
annue
assunzioni
0
82
124
166
208
208
0
40
60
80
100
100
25.000
0
82
42
42
42
208
10
Ovviamente legare il numero delle assunzioni al 20% della spesa totale di coloro che sono andati in
pensione piuttosto che alle relative unità di personale consente l’assunzione di un maggior numero
di persone con un risparmio di spesa dell’80%. Secondo le vecchie disposizioni, sempre riferendoci
all’esempio in tabella, sarebbe stato possibile assumere solo 80 unità di personale.
Se l’interpretazione della norma fosse quella che viene concesso alle amministrazione di assumere
dal 2014 al 2018 unità di personale nei limiti di una percentuale della spesa complessiva del
personale andato in pensione nell’anno precedente, ipotizzando che l’uscita del personale dai ruoli
resti costante, potremmo calcolare quanto segue.
anni
Personale
cessato
Anno
precedente
2014
2015
2016
2017
2018
totale
400
400
400
400
400
2.000
Spesa totale
stipendi
Personale
cessato
26.000.000
26.000.000
26.000.000
26.000.000
26.000.000
130.000.000
20% della
spesa
Personale
cessato
5.200.000
5.200.000
5.200.000
5.200.000
5.200.000
26.000.000
Stipendio
Nuove
annuo
assunzioni
Personale
neoassunto
25.000
25.000
25.000
25.000
25.000
42
83
124
167
208
624
Percentuali
annue
assunzioni
20
40
60
80
100
In tal caso, fermo restando il limite delle assunzioni nel 20% della spesa complessiva del personale
andato in pensione, le nuove assunzioni arriverebbero al 31% circa del personale cessato, aprendo
quindi, seppure parzialmente, il blocco totale del turn over e contenendo comunque la spesa per le
nuove assunzioni al 20% annuo rispetto a quella complessiva del personale cessato nell’anno
precedente.
Una ulteriore interpretazione dell’articolo prevede:
per le amministrazioni dello Stato i seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo
indeterminato:
• anno 2014, pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.
• anno 2015, pari al 40% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente
• anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente
• anno 2017, pari all’80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente
• dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.
In tal caso:
Stipendio
Nuove
Percentuali
anni Personale Spesa totale 20% della
cessato
Anno
precedente
2014
2015
2016
2017
2018
totale
400
400
400
400
400
2.000
stipendi
Personale
cessato
26.000.000
26.000.000
26.000.000
26.000.000
26.000.000
130.000.000
spesa
Personale
cessato
5.200.000
10.400.000
15.600.000
20.800.000
26.000.000
78.000.000
annuo
assunzioni
Personale
neoassunto
25.000
25.000
25.000
25.000
25.000
208
416
624
832
1040
3.120
annue
assunzioni
20
40
60
80
100
Per gli enti di ricerca, la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi l’80% delle
proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio consuntivo dell’anno precedente,
possono procedere ad assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel
rispetto dei seguenti limiti di spesa:
• anno 2014 e 2015, pari al 50% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno
precedente.
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• anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente
• anno 2017 pari all’80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente
• dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.
Dette assunzioni sono autorizzate con il decreto e le procedure di cui all’articolo 35, comma 4, del
d.lgs. 165/2001, previa richiesta delle amministrazioni interessate, predisposta sulla base della
programmazione del fabbisogno, corredata da analitica dimostrazione delle cessazioni avvenute
nell’anno precedente e delle conseguenti economie e dall’individuazione delle unità da assumere e
dei correlati oneri.
Ovviamente ci auguriamo che sia questa la giusta interpretazione della norma.
Il comma 6 dispone la non applicazione dei limiti di assunzioni previsti dall’articolo in esame alle
assunzioni di personale appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote
d’obbligo confermando quindi precedenti norme.
La L. 12 marzo 1999, n. 68, ha introdotto una nuova disciplina per il diritto al lavoro dei disabili
che usufruiscono di uno speciale regime di collocamento obbligatorio, sempre che abbiano una
seppur minima capacità lavorativa residua.
Le principali categorie di lavoratori disabili coinvolti dal collocamento obbligatorio sono:
• gli invalidi civili in età lavorativa affetti da minorazioni fisiche o psichiche che comportino
una riduzione della capacità lavorativa sopra il 45%;
• gli invalidi del lavoro che abbiano una riduzione della capacità lavorativa sopra il 33%;
• le persone non vedenti o sordomute;
• persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni
ascritte dalla prima all'ottava categoria.
I datori di lavoro, pubblici e privati, hanno l’obbligo di impiegare un certo numero o una certa quota
di lavoratori disabili (quote di riserva):
• per i datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti, il 7% della forza lavoro deve essere
costituita da disabili;
• i datori che occupano da 36 a 50 dipendenti devono assumere almeno 2 disabili;
• i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti devono assumere almeno un disabile;
• i datori di lavoro che occupano meno di 16 dipendenti sono invece esentati dal collocamento
obbligatorio.
L’articolo 7, commi 6 e 7, del D.L. 101/2013 contiene disposizioni volte a favorire l’ingresso nelle
pubbliche amministrazioni dei lavoratori appartenenti alle categorie protette, imponendone
l’assunzione, nel rispetto delle quote e dei criteri di computo vigenti, anche in soprannumero ed in
deroga ai divieti di assunzione posti in materia di contenimento dei costi di personale.
Più precisamente, ha disposto che le amministrazioni pubbliche procedano alla rideterminazione del
numero delle assunzioni obbligatorie nell’ambito delle categorie protette sulla base delle quote e dei
criteri di computo previsti dalla normativa vigente, tenendo conto, se necessario, della dotazione
organica come rideterminata secondo la legislazione in vigore. Ciascuna amministrazione, eseguita
la suddetta rideterminazione, ha quindi l’obbligo di assumere un numero di lavoratori pari
all'eventuale differenza tra il numero che risulta dal ricalcolo e quello attualmente esistente, anche
in soprannumero ed in deroga ai divieti di assunzione posti in materia di contenimento dei costi di
personale..
ART. 4
Mobilità obbligatoria e volontaria
In linea generale, vengono dettate nuove disposizioni perché le amministrazioni possano ricoprire
posti vacanti in organico mediante il passaggio diretto di dipendenti in servizio che facciano
domanda di trasferimento presso altre amministrazioni.
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Rileviamo anche un’apertura alle assunzioni negli staff dei sindaci, contrastante , a nostro avviso,
con la logica che sembra ispirare questo decreto. A meno che non si voglia intendere come una
sorta di rivincita dell’amministrazione periferica, vicina alla gente e più virtuosa su quella centrale.
La mobilità volontaria non sarà più presupposto obbligatorio per l’espletamento dei concorsi e le
amministrazioni potranno coprire i posti vacanti chiedendo il trasferimento dei dipendenti di altri
enti, sulla base di un avviso che predetermini i criteri.
Ai fini dei trasferimenti obbligatori, costituiranno unica unità produttiva, ai sensi dell’articolo 2103
del codice civile, le sedi delle amministrazioni collocate nel territorio del medesimo comune.
In linea ordinaria, dunque, i trasferimenti avverranno in un ambito contenuto, ma, siccome
costituiscono medesima unità produttiva anche le sedi collocate a non più di 50 chilometri dalla
sede alla quale il dipendente pubblico è adibito alla prima assegnazione, il trasferimento può
avvenire entro questi limiti.
Qui emerge chiaramente l’obiettivo principale della riforma del governo Renzi: cancellare i diritti
dei lavoratori, ridurre ulteriormente ciò che resta del welfare e dei servizi e trasformare la Pubblica
Amministrazione in sportello gratuito per le imprese, possibilmente accessibile on line.
Il personale dovrà spostarsi secondo le necessità dell’amministrazione senza alcun corrispettivo e
nel frattempo le loro retribuzioni sono tornate al livello di 30 anni fa. A una riduzione dei diritti fa
da contraltare una riduzione di fatto del potere di acquisto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici.
In effetti la mobilità obbligatoria prevede la possibilità di disporre il trasferimento di un lavoratore,
anche in assenza di necessità oggettive, all’interno dello stesso Comune oppure nell’arco di 50
chilometri, anche in Amministrazioni diverse da quella di appartenenza.
Inoltre, per evidenziare che nel merito si intende cancellata ogni forma di tutela sindacale viene
rimarcato che è nullo qualsiasi accordo o contratto in contrasto con questa previsione.
Infine anche l’intenzione dichiarata di intervenire sulle norme per semplificarle è contraddetta
dall’ampliamento delle procedure previste dalla L.165/2001 che autorizzano le amministrazioni a
ricoprire le vacanze d’organico con passaggi diretti fra amministrazioni, (Le amministrazioni,
fissando preventivamente i criteri di scelta, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo
pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso
passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere)
ma non si interviene sul punto cruciale che ha di fatto reso inapplicabile questo articolo e cioè “Il
trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza.”
Con ciò non intendiamo sostenere una totale eliminazione dell’assenso dell’amministrazione di
appartenenza, ma riteniamo che bisogna necessariamente rimuovere i meccanismi ostativi finora
riscontrati e soprattutto che si giunga una volta per tutte alla stabilizzazione normativa di questo
benedetto articolo 30 che partito inizialmente in questi termini:
Articolo 30
Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse (Art.33 del d.lgs n.29 del 1993, come
sostituito prima dall'art.13 del d.lgs n.470 del 1993 e poi dall'art.18 del d.lgs n.80 del 1998 e
successivamente modificato dall'art.20, comma 2 della Legge n.488 del 1999)
1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di
dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che
facciano domanda
di trasferimento. Il trasferimento e' disposto previo consenso
dell'amministrazione di appartenenza.
2. I contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l'attuazione
di quanto previsto dal comma 1.
Dopo 9 cambiamenti così risulta.
1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di
dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in
servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso
13
dell'amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni, fissando preventivamente i criteri
di scelta, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni,
un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di
personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. In via
sperimentale e in attesa dell'introduzione di nuove procedure per la determinazione dei
fabbisogni standard di personale delle amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le
sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non e'
richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro
due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso
e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti
superiore all'amministrazione di appartenenza. Per agevolare le procedure di mobilita' la
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica istituisce un
portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di mobilita'.
(COMMA NON PIU' PREVISTO DAL D.L. 24 GIUGNO 2014, N. 90)).
2. Nell'ambito dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, le sedi delle amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, collocate nel territorio dello stesso comune
costituiscono medesima unita' produttiva ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile. Parimenti
costituiscono medesima unita' produttiva le sedi collocate a una distanza non superiore ai
cinquanta chilometri dalla sede in cui il dipendente e' adibito. I dipendenti possono prestare
attivita' lavorativa nella stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni
interessate, in altra nell'ambito dell'unita' produttiva come definita nel presente comma. Con
decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa, ove
necessario, in sede di conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, possono essere fissati criteri per realizzare i processi di cui al presente comma,
anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per
garantire
l'esercizio
delle
funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che
presentano carenze di organico.
2.1. Nei casi di cui ai commi 1 e 2 per i quali sia necessario un trasferimento di risorse, si
applica il comma 2.3.
2.2. Sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2.
2.3. Al fine di favorire i processi di cui ai commi 1 e 2, e' istituito, nello stato di previsione
del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo destinato al miglioramento
dell'allocazione del personale presso le pubbliche amministrazioni, con una dotazione di 15
milioni di euro per l'anno 2014 e di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, da
attribuire alle amministrazioni destinatarie dei predetti processi. Al fondo confluiscono,
altresi', le risorse corrispondenti al cinquanta per cento del trattamento economico spettante
al personale trasferito mediante versamento all'entrata dello Stato da parte
dell'amministrazione cedente e corrispondente riassegnazione al fondo ovvero mediante
contestuale riduzione dei trasferimenti statali all'amministrazione cedente. I criteri di utilizzo e
le modalita' di gestione-delle risorse del fondo sono stabiliti con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
In sede di prima applicazione, nell'assegnazione delle risorse vengono prioritariamente
valutate le richieste
finalizzate all'ottimale funzionamento degli uffici giudiziari che
presentino rilevanti carenze di personale. Le risorse sono assegnate alle amministrazioni di
destinazione sino al momento di effettiva permanenza in servizio del personale oggetto delle
procedure di cui ai commi 1 e 2.
2.4. Agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 2.3, pari a 15 milioni di euro per l'anno
2014 e a 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, si provvede, quanto a 6 milioni di euro
per l'anno 2014 e a 9 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante corrispondente
riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 97, della legge 24
14
dicembre 2007, n. 244, quanto a 9 milioni di euro a decorrere dal 2014 mediante
corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 14, del
decreto-legge del 3 ottobre 2006, n. 262 convertito con modificazioni, dalla legge 24 novembre
2006, n. 286 e quanto a 12 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante corrispondente
riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 527, della legge 27
dicembre 2006, n. 296. A decorrere dall'anno 2015, si provvede ai sensi dell'articolo 11,
comma 3, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Il Ministro dell'economia e delle
finanze e' autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio
per l'attuazione del presente articolo.))
2-bis. Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali,
finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilita' di
cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti,
provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla
stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in
cui prestano servizio. Il trasferimento e' disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento
nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le
amministrazioni di provenienza; il trasferimento puo' essere disposto anche se la vacanza sia
presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralita'
finanziaria..
2-ter. L'immissione in ruolo di cui al comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri e al Ministero degli affari esteri, in ragione della specifica professionalita' richiesta
ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio,
posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della
domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili.
2-quater. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, per fronteggiare le situazioni di
emergenza in atto, in ragione della specifica professionalita' richiesta ai propri dipendenti
puo' procedere alla riserva di posti da destinare al personale assunto con ordinanza per le esigenze
della Protezione civile e del servizio civile, nell'ambito delle procedure concorsuali di cui
all'articolo 3, comma 59, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e all'articolo 1, comma 95, della
legge 30 dicembre 2004, n. 311.
2-quinquies. Salvo diversa previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo dell'amministrazione
di destinazione, al dipendente trasferito per mobilita' si applica esclusivamente il trattamento
giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti
nel comparto della stessa amministrazione .
2-sexies. Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai
documenti di programmazione previsti all'articolo 6, possono utilizzare in assegnazione
temporanea, con le modalita' previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre
amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto gia' previsto
da norme speciali sulla materia, nonche' il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme
e dal presente decreto.(52) (60)
Noi riteniamo che la questione deve essere affrontata principalmente in punto di diritto, innanzitutto
perché la mobilità è una «cessione del contratto» che può essere regolata dall'articolo 1406 del
codice civile, considerata dalla dottrina come un negozio necessariamente trilaterale, nel quale il
cedente può sostituire a sé un terzo, il cessionario, in un contratto a prestazioni corrispettive, purché
l'altra parte, il ceduto, vi consenta. Nel caso dell'articolo 30, comma 1, del d.Lgs 165/2001,
modificato insieme al comma 2 dall’art. 4 del dl 90/2014, il cedente è il lavoratore, cessionario è
l'amministrazione verso la quale il lavoratore intende trasferirsi, ceduto è l'amministrazione dalla
quale il lavoratore intende andar via.
La obbligatorietà del consenso del ceduto discende non solo dalla disciplina generale dell'articolo
1406 del codice civile espressamente richiamata dall'articolo 30, comma 1, del dlgs 165/2001, ma
15
anche dalla lettera stessa di tale ultima norma, laddove essa prevede il parere favorevole del
dirigente «cui il personale è o sarà assegnato», prevede la prestazione del consenso del dirigente
presso il quale il personale «è» assegnato, cioè il consenso dell'amministrazione ceduta, da cui il
lavoratore vuol andare via; nonché, ovviamente il parere del dirigente dell'amministrazione presso
la quale il dipendente intende andare, il cessionario.
Peraltro, il consenso obbligatorio e inderogabile del ceduto (l'amministrazione di provenienza) deve
necessariamente essere espresso per iscritto, poiché il contratto di cessione deve assumere a sua
volta la forma scritta, in base alla regola generale civilistica, secondo la quale i negozi modificativi
debbono avere la medesima forma del negozio a cui si ricollegano: poiché i contratti di lavoro alle
dipendenze della p.a. hanno obbligatoriamente forma scritta, anche il consenso deve rivestire tale
forma. L’eliminazione del previo assenso potrebbe quindi configurare la mobilità come un diritto
potestativo del dipendente di cambiare a proprio piacimento il datore di lavoro.
Tale interpretazione è disfunzionale al criterio che l’istituto della mobilità deve obbedire e cioè la
armonizzazione della distribuzione del personale sul territorio e fra amministrazioni dello Stato, ma
nello stesso tempo le procedure interne rendono di fatto inaccessibile questa facoltà assegnata alle
pubbliche amministrazioni.
L’attuale decreto del governo Renzi pur confermando il previo assenso dell’amministrazione di
appartenenza dispone in via sperimentale “per il trasferimento tra sedi centrali di differenti
ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l’assenso
dell’amministrazione di appartenenza..”
Il comma 2 dell’art.30 del d.lgs 165/2001 prevedeva che “ I contratti collettivi nazionali possono
definire le procedure e i criteri generali per l'attuazione di quanto previsto dal comma 1.” è stato
abolito perché i commi sostitutivi non prevedono questa possibilità.
Viene poi abrogato l’art. 1 c.29 del D.L. 13 agosto 2011 n.138 convertito L 14 settembre 2011
n.148 Recante: «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.» il
quale prevedeva che “I dipendenti delle amministrazioni… su richiesta del datore di lavoro, sono
tenuti ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze,
tecniche, organizzative e produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di
razionalizzazione, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.”
Ciò significa che i dipendenti pubblici, da ora in poi, possono essere destinati a svolgere il loro
lavoro in qualsiasi altra sede diversa senza alcuna motivata esigenza e in combinazione con l’art.4
c.2 di questo decreto legge nell’ambito dello stesso comune, che ovviamente interessa i comuni di
grandi dimensioni, e per le realtà più piccole nell’ambito di 50 chilometri.
Quindi i limiti territoriali delle sedi delle amministrazioni pubbliche vengono portati a 50 chilometri
e le sedi delle amministrazioni pubbliche collocate nello stesso comune costituiscono medesima
unità produttiva ai sensi dell’art.2103 cc. E, al fine di prevenire ogni contenzioso, il comma 2.2
prescrive “Sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2”
In poche righe è stato cancellato il principio sancito dalla legge n. 29 marzo 1983, n. 93 – legge
quadro sul pubblico impiego – che riconosce il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina
di quegli aspetti del pubblico impiego non soggetti alla riserva di legge o agli atti unilaterali di
organizzazione della PA.
Si interrompe quindi il primo vero e proprio “processo riformatore” iniziato con l’emanazione delle
legge 23 ottobre 1992 n. 421 e del d.lgs. 29/1993 e successive. modifiche, che estese le norme del
diritto privato al rapporto di pubblico impiego spostando la relativa disciplina dall’ambito
amministrativo a quello privatistico e realizzò la diretta applicabilità della disciplina della
contrattazione collettiva attribuendo al datore di lavoro pubblico degli stessi poteri di gestione del
rapporto propri del datore di lavoro privato.
Vi è infine un ulteriore aspetto che riteniamo utile richiamare ed è quello della giurisprudenza
consolidata in materia le cui problematiche evidenziate rimangono comunque insolute.
16
La Corte dei Conti sezione di controllo del Veneto, nella delibera 162/2013 PAR evidenzia i dubbi
interpretativi sul "rapporto che si instaura tra l'istituto della mobilità ex articolo 30 del D.Lgs. n.
165/2001 (mobilità volontaria ndr) e l'altro istituto della mobilità "per ricollocazione" previsto
dall'articolo 34 bis del medesimo D.Lgs. n. 165/2001, norma che a sua volta va posta in stretta
correlazione con la recente disposizione contenuta nell'articolo 2, comma 13 del decreto legge 6
luglio 2012 n. 95 convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135".
I motivi dell’insuccesso della mobilità consistenti da una parte nella mancanza di incentivi dall’altra
nella riluttanza delle Pubbliche Amministrazioni ad accogliere nei propri organici personale
proveniente da altre amministrazioni o enti rimangono salvo l’applicazione sperimentale prevista
dall’art. 4 del decreto in esame.
E’ da rimarcare che qualora si attivassero procedimenti adeguati e incentivanti che consentano la
mobilità volontaria da una parte si potrebbero soddisfare le richieste dei dipendenti e, oltre
all'ottimale distribuzione del personale, si otterrebbe una neutralità finanziaria della spesa di
personale. Riteniamo utile che si faciliti la possibilità di accesso alla mobilità volontaria ma
riteniamo che lo scambio di dipendenti pubblici fra dipartimenti della stessa amministrazione e tra
amministrazioni diverse siccome deve avvenire sulla base di profili professionali simili non può
prescindere da una contrattazione sindacale.
Non si può non condividere l'obiettivo dichiarato dal Governo di operare interventi selettivi e
strutturali al fine di migliorare la produttività della pubblica amministrazione ma bisogna anche
garantire l'effettiva invarianza della quantità dei servizi e, prioritariamente con le procedure di
mobilità volontaria, la salvaguardia dei livelli occupazionali, una migliore distribuzione ed un
complessivo migliore grado di efficienza delle pubbliche amministrazioni.
Concludendo bisogna fugare il timore che incombe sul pubblico impiego, derivante dall’ipotesi di 85
mila esuberi individuati con la spending rewiew da cui deriverebbe una ridistribuzione forzata del
personale o il licenziamento.
Noi pensavamo che la maggior parte di questi esuberi potesse essere riassorbita con il
prepensionamento in deroga alla riforma Fornero, consentendo al restante personale un passaggio
volontario nelle amministrazioni che comunichino alla FP carenze di personale e solo dopo aver
esaurita questa ulteriore fase il dipendente in esubero sarà ricollocato o nell’impossibilità resterà in
attesa per due anni con l’80% della retribuzione tabellare e pensionabile trascorsi i quali sarà
licenziato.
Vi sono degli aspetti legati alla mobilità che non possono essere semplicemente bypassati come il
trattamento economico legato alla mobilità.
Innanzitutto continuano a sussistere le indennità ad personam riconosciute ai dipendenti pubblici
trasferiti da un ente all’altro per mobilità volontaria e preordinate ad evitare la reformatio in peius
del relativo trattamento economico ed inoltre sono riassorbibili dai miglioramenti contrattuali
conseguiti presso la nuova amministrazione di destinazione o permangono in eterno al netto di questi
miglioramenti
Prima dell’entrata in vigore della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) gli artt.
202 del d.p.r. 3/1957 e 3, comma 57, della legge 537/93 consentivano la corresponsione, agli
impiegati statali che si trasferissero in altra amministrazione statale, di un assegno ad personam,
utile a pensione, non riassorbibile né rivalutabile, pari alla differenza tra lo stipendio
tabellare/fondamentale già goduto presso l’amministrazione di provenienza e quello di nuova
destinazione.
Poi, la contrattazione collettiva nazionale di lavoro aveva esteso tale corresponsione, nel senso della
non riassorbibilità dagli incrementi economici di destinazione: obbligatoriamente, nei casi di
trasferimento dai Ministeri all’ANAS e agli enti locali; facoltativamente, negli altri casi; a
discrezione, quindi, dell’ente ricevente.
L’unico elemento d’incertezza coinvolgeva esclusivamente la riassorbibilità o meno dell’indennità,
non ponendosi assolutamente in dubbio la debenza del riequilibrio economico di partenza tra un
17
ente e l’altro, ai sensi dei principi generali sul divieto di reformatio in peius ovvero “Il
riconoscimento di un assegno ad personam, destinato a compensare la perdita di retribuzione
subita a causa del trasferimento, è infatti una misura imposta in ogni caso dal principio
dell’irriducibilità della retribuzione, mentre cosa diversa è la pretesa della non assorbibilità
dell’assegno, rispetto alla quale occorre individuare una precisa norma, contrattuale o legale, che
derogando al principio generale dell’assorbibilità, riconosca il diritto al mantenimento
dell’assegno” 5.
Già con la legge 28 novembre 2005, n. 246 era stato introdotta in nuce una norma che poteva
minare il principio del divieto di reformatio in pejus, precisamente il comma 2-quinquies dell’art.
30 del d.lgs. 165/2001. Tale norma dispone: “Salvo diversa previsione, a seguito dell’iscrizione nel
ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica
esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei
contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione”.
Sulla portata precettiva di tale norma, soprattutto nei confronti degli enti locali, vi sono state diverse
posizioni. La Ragioneria generale dello Stato, ha ritenuto che la disposizione in commento
escludesse già la possibilità di riconoscere un trattamento perequativo, nemmeno di tipo
riassorbibile, al personale transitato per mobilità congiunta6.
Con la legge di stabilità 2014 il legislatore completa il quadro eliminando le norme che
concretizzano la “diversa previsione”.
Il comma 458 del suo articolo unico ha, in effetti, abrogato tout court gli esiziali artt. 202 e 3,
comma 57 travolgendo ogni cosa, anche il divieto di reformatio in peius?
La primissima applicazione giurisprudenziale delle innovazioni cassatorie contenute nella legge
147/2013, risulta essere molto prudente, se non addirittura vanificatoria delle intervenute
abrogazioni.
Art.5
(Assegnazione di nuove mansioni)
L’articolo porta aggiunte e cambiamenti all’art. 34 del dl 165/2001 che alla fine così risulta ( in
grassetto le aggiunte, barrate le abrogazioni o sostituzioni:
Articolo 34
Gestione del personale in disponibilità
(Art.35 bis del d.lgs n. 29 del 1993 aggiunto dall'art. 21 del d.lgs n. 80 del 1998)
1. Il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi secondo l'ordine cronologico di
sospensione del relativo rapporto di lavoro. (1)
2. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo e per gli enti pubblici non
economici nazionali, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei
ministri forma e gestisce l' elenco, avvalendosi anche, ai fini della riqualificazione professionale del
personale e della sua ricollocazione in altre amministrazioni, della collaborazione delle strutture
regionali e provinciali di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 e realizzando
opportune forme di coordinamento con l' elenco di cui al comma 3.
3. Per le altre amministrazioni, l' elenco è tenuto dalle strutture regionali e provinciali di cui al
decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 e successive modificazioni ed integrazioni, alle quali
5
Corte di Appello di Brescia, sezione lavoro, sentenza 28 marzo 2013, n. 160; Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16
aprile 2012, n. 5959; Tribunale di Bergamo (in funzione di giudice del lavoro), sentenza n. 674/2011; CCNL comparto Regioni ed
autonomie locali del 22 gennaio 2004, dichiarazione congiunta n. 24; CCNL comparto Regioni ed autonomie locali del 18 dicembre
2003, punti nn. 1 e 2; CCNL comparto Regioni ed autonomie locali del 5 ottobre 2001, artt. 26-29.
6
Ragioneria generale dello Stato, note nn. 15705 del 21 febbraio 2014 e 21487 del 12 marzo 2014, in risposta a quesiti
fatti dal Comune di Rende
18
sono affidati i compiti di riqualificazione professionale e ricollocazione presso altre
amministrazioni del personale. Le leggi regionali previste dal decreto legislativo 23 dicembre 1997,
n. 469 nel provvedere all'organizzazione del sistema regionale per l' impiego, si adeguano ai
principi di cui al comma 2.
3bis. Gli elenchi di cui ai commi 2 e 3 sono pubblicati sul sito istituzionale delle
amministrazioni competenti
4. Il personale in disponibilità iscritto negli appositi elenchi ha diritto all'indennità di cui all'articolo
33, comma 8, per la durata massima ivi prevista. La spesa relativa grava sul bilancio
dell'amministrazione di appartenenza sino al trasferimento ad altra amministrazione, ovvero al
raggiungimento del periodo massimo di fruizione dell'indennità di cui al medesimo comma 8. Il
rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto a tale data, fermo restando quanto previsto nell
articolo 33. Gli oneri sociali relativi alla retribuzione goduta al momento del collocamento in
disponibilità sono corrisposti dall'amministrazione di appartenenza all'ente previdenziale di
riferimento per tutto il periodo della disponibilità.
Nei sei mesi anteriori alla data di scadenza del termine di cui all’articolo 33, comma 8, il
personale in disponibilità può presentare, alle amministrazioni di cui ai commi 2 e 3, istanza
di ricollocazione, in deroga all’articolo 2103 del codice civile, nell’ambito dei posti vacanti in
organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore della stessa o di
inferiore area o categoria, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione. In tal caso la
ricollocazione non può avvenire prima dei trenta giorni anteriori alla data di scadenza del
termine di cui all’articolo 33 comma 8:
5. I contratti collettivi nazionali possono riservare appositi fondi per la riqualificazione
professionale del personale trasferito ai sensi dell'articolo 33 o collocato in disponibilità e per
favorire forme di incentivazione alla ricollocazione del personale, in particolare mediante mobilità
volontaria.
6. Nell'ambito della programmazione triennale del personale di cui all'articolo 39 della legge 27
dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, le nuove assunzioni sono
subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto
nell'apposito elenco.
6. Nell'ambito della programmazione triennale del personale di cui all'articolo 39 della legge 27
dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni ed integrazioni, l’avvio di procedure concorsuali
e le nuove assunzioni, a tempo determinato o indeterminato per un periodo superiore a dodici mesi,
sono subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto
nell'apposito elenco. I dipendenti iscritti negli elenchi di cui al presente articolo possono essere
assegnati, nell’ambito dei posti vacanti in organico, in posizione di comando presso
amministrazioni che ne facciano richiesta o previa ricognizione della disponibilità effettuata dal
Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 34-bis, comma 5-bis. Gli stessi
dipendenti possono, altresì, avvalersi della disposizione di cui all’articolo 23-bis. Durante il periodo
in cui i dipendenti sono utilizzati con rapporto di lavoro a tempo determinato o in posizione di
comando presso altre amministrazioni pubbliche o si avvalgono dell’articolo 23-bis il termine di cui
all’articolo 33 comma 8 resta sospeso e l’onere retributivo è a carico dall’amministrazione o
dell’ente che utilizza il dipendente.”.
In definitiva si delineano due distinti strumenti per gestire i dipendenti pubblici che risulteranno in
esubero e che saranno collocati in disponibilità. Il primo è la mobilità obbligatoria entro i 50
chilometri. Il secondo è quello che tecnicamente si chiama «demansionamento» e che è
eufemisticamente indicato come «assegnazione di nuove mansioni».
Il testo recita che «il personale in disponibilità può presentare (...) istanza di ricollocazione, in
deroga all'articolo 2103 del codice civile, nell'ambito dei posti vacanti in organico, anche in una
qualifica inferiore o posizione economica inferiore della stessa, o di inferiore area o categoria, al
fine di ampliare le occasioni di ricollocazione». I lavoratori della Pubblica amministrazione
19
potranno quindi decidere – sotto ricatto di licenziamento - di accettare mansioni e stipendi più bassi
di quelli percepiti fino a quel momento, anche con trasferimenti da un'amministrazione ad un'altra.
Tale norma testimonia l’imbarbarimento dilagante che si riscontra con l’attuazione e la messa in
atto dei principi ideologici dell’iperliberismo mainstream.
Nel processo di unificazione fra lavoro pubblico e privato l'equivalenza delle mansioni è sempre
stato uno degli elementi di più forte separazione, a causa della diversità di fonte e di disciplina
giuridica nonché di determinazioni della contrattazione collettiva.
Finora il cuore pulsante delle varie riforme del pubblico impiego era costituito dalla promozione e
valorizzazione delle capacità professionali del dipendente pubblico verso una tutela effettiva della
professionalità del lavoratore. Ciò ha dato vita ad un sistema di disciplina che, insieme alla
contrattazione collettiva di competenza, ha finora rappresentato l'unico referente per ogni questione
concernente le mansioni, l'inquadramento e la professionalità del lavoratore con la formale
esclusione dell'applicabilità dell' art. 2103 c.c. (art. 13 St. Lav.) ed il sostanziale recepimento di solo
alcuni dei principi, in quest'ultimo.
Finora le problematiche relative all’attribuzione di mansioni riguardava sostanzialmente lo «
svolgimento di mansioni superiori», intendendosi per tale il conferimento di compiti propri di
determinate mansioni in misura prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale. In
tal modo veniva garantita sia la tutela del dipendente a non veder oltremodo utilizzata la propria
professionalità in nome di incerte, superiori esigenze delle amministrazioni, sia quella di queste
ultime a ricorrere alle risorse interne ogni qual volta se ne presenti un'eccezionale e temporanea
necessità.
L’attuale norma scardina del tutto ogni fondamento giuridico dei diritti del lavoratore che a nostro
avviso sono censurabili non solo moralmente ma anche giuridicamente perché – a meno che non si
dica chiaramente che è stato ripristinato il DPR 29 dicembre 1973, n. 1092 - la fonte contrattuale
era e rimane sovrana in materia di livelli di inquadramento ed inoltre alcune recenti sentenze hanno
ammesso che la violazione da parte della P.A., dell'obbligo di adibire il dipendente alle mansioni
per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti debba essere accertata
verificando se le nuove mansioni consentano di valorizzare o meno il patrimonio professionale
effettivamente posseduto dal lavoratore. Eventualitài in questo caso indimostrabile ed inesistente.
Nel merito e concludendo le note a questo non aggettivabile articolo vogliamo ricordare una
sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione civile , SS.UU., sentenza 22.02.2010 n° 4063)
riguardante un dipendente che, a seguito di una riorganizzazione degli uffici territoriali, veniva
costretto a un periodo di inattività e allo svolgimento di mansioni inferiori fino al pensionamento.
Questi aveva anche chiesto il risarcimento del danno da mobbing in conseguenza del successivo
demansionamento. La Corte, dopo aver chiarito che il demansionamento professionale si configura
non solo quando un lavoratore viene adibito a una mansione inferiore, ma anche, come nel caso di
specie, quando è sottoposto a un periodo di inattività prolungato ed ingiustificato (demansionamento
omissivo), ha ritenuto risarcibile il danno conseguenza, derivante da demansionamento, collegato
con l’art. 2087 c.c.; specificatamente “nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose
disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di
diritti oggetto di tutela costituzionale, il danno non patrimoniale è configurabile ogni qual volta la
condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, tali diritti: questi, non essendo
regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere
individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale, senza duplicare il risarcimento (con
l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici), dovrà discriminare i meri pregiudizi concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non
risarcibili - dai danni che vanno risarciti”.
Demansionamento e mobbing si muovono nella medesima direzione, volta a mortificare il
dipendente, così vulnerando direttamente l’art. 2087 c.c. La responsabilità da violazione dell’art.
2087 c.c. è qualificabile come contrattuale anche se non sussiste contrattualmente un obbligo di
20
tutelare la personalità morale del dipendente, ex art. 2087 c.c.; più chiaramente: tale obbligo deriva
dalla legge e non dal contratto di lavoro, concretamente firmato dal dipendente.
E’prevista l’istituzione di un Fondo destinato al miglioramento dell’allocazione del personale
pubblico, volto a favorire i processi di mobilità (con priorità per la mobilità verso gli uffici
giudiziari), con una dotazione di 15 milioni di euro per il 2014 e 30 milioni di euro a decorrere dal
2015 (i criteri di utilizzo delle risorse sono rimessi a un successivo DPCM).
Alla copertura degli oneri si provvede:
- quanto a 6 milioni di euro per il 2014 e a 9 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante
corrispondente riduzione dell’incremento di 20 milioni di euro7[19] a decorrere dal 2008
dell’autorizzazione di spesa per il Fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici;
- quanto a 9 milioni di euro a decorrere dal 2014 mediante corrispondente riduzione
dell’autorizzazione di spesa del fondo destinato a finanziare, nei confronti del personale
dell'Amministrazione economico-finanziaria e delle amministrazioni statali la concessione di
incentivi all'esodo, alla mobilità territoriale, l'erogazione di indennità di trasferta, nonché uno
specifico programma di assunzioni di personale qualificato
- quanto a 12 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante corrispondente riduzione
dell’autorizzazione di spesa del Fondo istituito ai sensi dell’articolo 1, comma 527, della L.
296/2006 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per procedere ad
ulteriori assunzioni di personale a tempo indeterminato, previo effettivo svolgimento delle
procedure di mobilità.
A decorrere dal 2015 si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lett. d) della L. 196/2006 che individua i
parametri cui deve attenersi la legge di stabilità.
Infine, per l’attuazione di quanto previsto, si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare
le variazioni di bilancio necessarie.
La mobilità nel settore pubblico: quadro della normativa vigente
La mobilità nel settore pubblico è disciplinata, essenzialmente, dagli articoli 30 (mobilità volontaria), 33,
34 e 34-bis (mobilità d’ufficio) e 29-bis del decreto legislativo n. 165/2001, nonché dall’articolo 1, comma
29, del decreto-legge n. 138/2011 (quest’ultimo abrogato dal DL in esame).
Pe quanto concerne la mobilità volontaria, l’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/2001 prevede che le
amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di
dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda
di trasferimento, previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è
o sarà assegnato sulla base della professionalità del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire
(comma 1). Le procedure ed i criteri generali per l’attuazione del passaggio diretto dei dipendenti sono
definiti dai contratti collettivi nazionali. Sono nulli gli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi che
intendano eludere l’obbligo di ricorrere alla mobilità prima di procedere al reclutamento di nuovo personale
(comma 2). Si prevede che le amministrazioni pubbliche, al fine di coprire le vacanze di organico e prima
dell’espletamento delle procedure concorsuali, devono attivare le procedure di mobilità volontaria, fermo
restando che esse devono comunque provvedere in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti che,
provenienti da altre amministrazioni, prestino già attività presso l’amministrazione in posizione di comando
o di fuori ruolo (purché tali dipendenti appartengano alla medesima area presentino la relativa domanda di
trasferimento). Entro i limiti dei posti vacanti, i dipendenti sono inquadrati nella medesima area funzionale e
con la posizione economica corrispondente a quella posseduta nella amministrazione di provenienza (comma
2-bis). Salvo diversa previsione, al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico (compreso
quello accessorio) previsto dal contratto collettivo vigente nel comparto dell’amministrazione di destinazione
(comma 2-quinquies). Per motivate esigenze organizzative, le amministrazioni possono utilizzare personale
di altre amministrazioni in assegnazione temporanea per un massimo di tre anni (comma 2-sexies).
Per quanto concerne la mobilità d’ufficio (cd. mobilità collettiva), gli articoli 33, 34 e 34-bis del D.Lgs.
165/2001 prevedono in primo luogo che sia attivata una apposita procedura volta a raggiungere un accordo
con le organizzazioni sindacali per ricollocare almeno parzialmente il personale in esubero nell'ambito della
medesima amministrazione o presso altre amministrazioni. L’avvio della procedura deve essere comunicato
21
al Dipartimento della funzione pubblica e, attraverso un’informativa preventiva da parte del dirigente
responsabile, alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del
contratto collettivo nazionale del comparto. Trascorsi dieci giorni dalla comunicazione, l’amministrazione
procede alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro dei dipendenti che hanno maturato i requisiti
pensionistici8[20] e, in subordine, verifica la ricollocazione totale o parziale del personale in soprannumero o
in eccedenza nell'ambito della stessa amministrazione o presso altre amministrazioni comprese nell’ambito
regionale. All’esito di tale procedura (trascorsi 90 giorni dalla comunicazione alle OO.SS. e alle
rappresentanze unitarie del personale), il personale eccedente di cui non è stata possibile la ricollocazione
lavorativa viene collocato in disponibilità e quindi, oltre a percepire un’apposita indennità (pari all’80% dello
stipendio), viene iscritto in appositi elenchi da cui si attinge preliminarmente per soddisfare le esigenze di
personale delle amministrazioni pubbliche che presentano necessità di assumere nuovo personale. Decorso il
termine massimo di ventiquattro mesi dal collocamento in disponibilità, anche in mancanza di ricollocazione
presso altra amministrazione, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto di diritto. La possibilità
di procedere a nuove assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni è subordinata all’utilizzo del
personale collocato in disponibilità.
Con specifico riferimento alla mobilità intercompartimentale, l’articolo 29-bis del decreto legislativo n.
165/2001 prevede che al fine di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione del personale
pubblico, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica
amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere
della Conferenza unificata, sentite le Organizzazioni sindacali, venga definita, senza nuovi o maggiori oneri
per la finanza pubblica, una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti
collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione (si fa presente che il DPCM in questione, per il quale la
norma di autorizzazione non prevede peraltro un termine di adozione, non è stato fin qui adottato).
Merita segnalare, altresì, che l’articolo 30, comma 1-bis9[21], del decreto legislativo n. 165/2001, ha
previsto la possibilità, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze e previa intesa con la conferenza unificata, sentite le
confederazioni sindacali rappresentative, di introdurre “misure per agevolare i processi di mobilità, anche
volontaria, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano
carenze di organico” (si fa presente che il decreto in oggetto, che consentirebbe di intervenire sulla materia in
via non legislativa, non è stato fin qui adottato).
Sulla materia è successivamente intervenuto l’articolo 1, comma 29, del decreto-legge 138/2011, il quale
prevede che i dipendenti pubblici (con esclusione dei magistrati) sono tenuti, su richiesta del datore di
lavoro, ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche,
organizzative e produttive. La norma stabilisce, quindi, che nelle more della disciplina contrattuale si fa
riferimento ai criteri datoriali (oggetto di informativa preventiva) e che il trasferimento è consentito
nell’ambito del territorio regionale di riferimento (per il solo personale del Ministero dell'interno il
trasferimento può essere disposto anche al di fuori del territorio regionale di riferimento).
Infine, si ricorda che al fine di sopperire alle gravi carenze di personale degli uffici giudiziari, il
legislatore è di recente intervenuto con l’articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 101/2013, il quale
consente al personale pubblico di amministrazioni che presentano situazioni di soprannumerarietà o di
eccedenza rispetto alle dotazioni organiche (ferme restando le procedure di mobilità collettiva di cui
all’articolo 33 del decreto legislativo n.165/2001), il passaggio diretto a domanda, sino al 31 dicembre 2015,
presso il Ministero della giustizia, per ricoprire i posti vacanti del personale amministrativo operante presso
gli uffici giudiziari, con inquadramento nella qualifica corrispondente. Il passaggio avviene mediante
cessione del contratto di lavoro e previa selezione secondo criteri prefissati dallo stesso Ministero della
giustizia in apposito bando.
22
Art.6
(Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza)
Viene modificato l’art. 5 comma 9 del DL 6.6.2012, n.95 convertito L.7/8/2012 n.135 (in neretto):
Art. 5.
Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni
9. E' fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonche' alle
autorita' indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (Consob) di
attribuire incarichi di studio e di consulenza ((a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati
in quiescenza. Alle suddette amministrazioni e', altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi
soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di
cui al primo periodo. Sono comunque consentiti gli incarichi e le cariche conferiti a titolo
gratuito. Il presente comma non si applica agli incarichi e alle cariche presso organi
costituzionali.)).
Questo articolo è frutto del tavolo tecnico cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione
Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’ANCI e l’UPI da cui è scaturito
il documento contenente “CRITERI GENERALI IN MATERIA DI INCARICHI VIETATI AI
DIPENDENTI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE” che si poneva l’obiettivo di
supportare le amministrazioni nell’applicazione della normativa in materia di svolgimento di
incarichi da parte dei dipendenti e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei regolamenti e
degli atti di indirizzo (art. 53, commi 2, 3 bis e 5, del d.lgs. n. 165 del 2001; art. 1, comma 58 bis,
della l. n. 662 del 1996).
Il testo del documento:
Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con
percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli
incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b)
[conflitto di interessi].
Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo
parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che
presentano le caratteristiche di cui al paragrafo b) [conflitto di interessi].
Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a prescindere dal regime
dell’orario di lavoro gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nel paragrafo c) [preclusi
a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro], fermo restando quanto previsto dai paragrafi
a) e b).
Gli incarichi considerati nel presente documento sono sia quelli retribuiti sia quelli conferiti a titolo
gratuito.
a) ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ.
1. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell’art. 60 del
d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà “esercitare attività commerciali, industriali,
né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società
costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i
caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente
comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del
1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n.
9102 del 2003).
23
Sono escluse dal divieto di cui sopra, ferma restando la necessità dell’autorizzazione e salvo quanto
previsto dall’art. 53, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001: a) l’assunzione di cariche nelle società
cooperative, in base a quanto previsto dall’art. 61 del d.P.R. n. 3/1957; b) i casi in cui sono le
disposizioni di legge che espressamente consentono o prevedono per i dipendenti pubblici la
partecipazione e/o l’assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate (si vedano a
titolo esemplificativo e non esaustivo: l’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957; l’art. 62 del d.P.R. n. 3/1957;
l’art. 4 del d.l. n. 95/2012); c) l’assunzione di cariche nell’ambito di commissioni, comitati,
organismi presso amministrazioni pubbliche, sempre che l’impegno richiesto non sia incompatibile
con il debito orario e/o con l’assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; d) altri
casi speciali oggetto di valutazione nell’ambito di atti interpretativi/di indirizzo generale (ad
esempio, circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della funzione pubblica, in materia di attività di
amministratore di condominio per la cura dei propri interessi; parere 11 gennaio 2002, n. 123/11 in
materia di attività agricola).
2. Gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una
situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell’ambito dell’anno solare,
configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità,
tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti.
b) CONFLITTO DI INTERESSI.
1. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti nei confronti dei quali la struttura di
assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni o nullaosta o atti di assenso comunque denominati, anche in forma tacita.
2. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi per l’amministrazione,
relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione
del fornitore.
3. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che detengono rapporti di natura
economica o contrattuale con l’amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di
assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge.
4. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio
precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di
appartenenza.
5. Gli incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del
dipendente svolge funzioni di controllo, di vigilanza o sanzionatorie, salve le ipotesi espressamente
autorizzate dalla legge.
6. Gli incarichi che per il tipo di attività o per l’oggetto possono creare nocumento all’immagine
dell’amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illeciti di informazioni di
cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio.
7. Gli incarichi e le attività per i quali l’incompatibilità è prevista dal d.lgs. n. 39/2013 o da altre
disposizioni di legge vigenti.
8. Gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’art. 53,
comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse.
9. In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interesse per la natura o l’oggetto
dell’incarico o che possono pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al
dipendente. La valutazione operata dall’amministrazione circa la situazione di conflitto di interessi
va svolta tenendo presente la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del
dipendente, la sua posizione nell’ambito dell’amministrazione, la competenza della struttura di
assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo
passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interesse
potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall’art. 7 del d.P.R. n. 62/2013.
c) PRECLUSI A TUTTI I DIPENDENTI, A PRESCINDERE DALLA CONSISTENZA
DELL’ORARIO DI LAVORO.
24
1. Gli incarichi, ivi compresi quelli rientranti nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui
all’art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, che interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal
dipendente pubblico in relazione al tempo, alla durata, all’impegno richiestogli, tenendo presenti gli
istituti del rapporto di impiego o di lavoro concretamente fruibili per lo svolgimento dell’attività; la
valutazione va svolta considerando la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale
del dipendente, la posizione nell’ambito dell’amministrazione, le funzioni attribuite e l’orario di
lavoro.
2. Gli incarichi che si svolgono durante l’orario di ufficio o che possono far presumere un impegno
o una disponibilità in ragione dell’incarico assunto anche durante l’orario di servizio, salvo che il
dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego.
3. Gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di
compromissione dell’attività di servizio, anche in relazione ad un eventuale tetto massimo di
incarichi conferibili o autorizzabili durante l’anno solare, se fissato dall’amministrazione.
4. Gli incarichi che si svolgono utilizzando mezzi, beni ed attrezzature di proprietà
dell’amministrazione e di cui il dipendente dispone per ragioni di ufficio o che si svolgono nei
locali dell’ufficio, salvo che l’utilizzo non sia espressamente autorizzato dalle norme o richiesto
dalla natura dell’incarico conferito d’ufficio dall’amministrazione.
5. Gli incarichi a favore di dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività
professionale, salve le deroghe autorizzate dalla legge (art. 1, comma 56 bis della l. n. 662/1996).
6. Comunque, tutti gli incarichi per i quali, essendo necessaria l’autorizzazione, questa non è stata
rilasciata, salva la ricorrenza delle deroghe previste dalla legge (art. 53, comma 6, lett. da a) a f-bis);
comma 10; comma 12 secondo le indicazioni contenute nell’Allegato 1 del P.N.A. per gli incarichi
a titolo gratuito, d.lgs. n. 165 del 2001). Nel caso di rapporto di lavoro in regime di tempo parziale
con prestazione lavorativa uguale o inferiore al 50%, è precluso lo svolgimento di incarichi o
attività che non siano stati oggetto di comunicazione al momento della trasformazione del rapporto
o in un momento successivo.
Art.7
(Prerogative sindacali nelle pubbliche amministrazioni)
1. Ai fini della razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, a decorrere dal 1° agosto
2014, i contingenti complessivi dei distacchi, aspettative e permessi sindacali, già attribuiti
dalle rispettive disposizioni regolamentari e contrattuali vigenti al personale delle pubbliche
amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ivi compreso quello dell’articolo 3 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono ridotti del cinquanta per cento per ciascuna
associazione sindacale.
2. Per ciascuna associazione sindacale, la riduzione dei distacchi di cui al comma 1 è operata
con arrotondamento delle eventuali frazioni all’unità superiore e non opera nei casi di
assegnazione di un solo distacco.
3. Con le procedure contrattuali e negoziali previste dai rispettivi ordinamenti può essere
modificata la ripartizione dei contingenti ridefiniti ai sensi del comma 1 tra le associazioni
sindacali.
Il sindacato è costituito da lavoratori, i quali si associano per il raggiungimento di uno scopo
comune, che consiste nell’assistenza e nella tutela degli appartenenti alla categoria. Per assolvere a
pieno titolo queste funzioni è necessario che i “dirigenti sindacali” possano assentarsi dal servizio
cui sono stati assunti per esercitare appieno il loro mandato. Di conseguenza l’ordinamento ha
introdotto gli istituti dei distacchi, delle aspettative e dei permessi, che autorizzano l’interrompere
della prestazione lavorativa per motivi sindacali. Quindi i permessi sindacali costituiscono oggetto
di un diritto potestativo del dirigente sindacale e per i componenti di organi direttivi provinciali e
25
nazionali di associazioni sindacali, l'utilizzazione dell'assenza retribuita costituisce oggetto di un
diritto che non tollera limitazioni da parte del datore di lavoro e che l'art. 30 dello Stat. Lav.
attribuisce direttamente ai lavoratori aventi la suddetta qualifica, le cui condizioni e modalità di
esercizio sono rimesse alla contrattazione collettiva. Siamo di fronte a un vero e proprio diritto
soggettivo, di cui la contrattazione stabilisce modalità di fruizione e limiti di esercizio.
Permessi ed esoneri sindacali rientrano quindi nell’ambito delle libertà sindacali essendo gli
strumenti che rendono fruibile concretamente le libertà sindacali di cui all’art 39 Cost.. Il diritto di
organizzarsi liberamente, sancito dall'articolo 39 cost., si esplica in primo luogo come diritto
soggettivo pubblico di libertà, in secondo luogo nei rapporti intersoggettivi privati. Proprio al fine
di garantire l’effettività della norma costituzionale sotto questo profilo, il legislatore ordinario
avvertì la necessità, nel 1970 di consolidare il principio di libertà sindacale con riferimento
specifico ai rapporti interprivati. I permessi ed i distacchi sindacali quali espressioni concrete della
libertà sindacale vennero poi regolati e definiti da norme contrattuali per le quali vige il principio
dell’inderogabilità in peius.
Tuttavia questo governo, nella sua frenesia di cambiamento, ha iniziato a delineare, in tema di diritti
dei lavoratori, un nuovo ordine progressista che ha riportato i diritti sindacali dei lavoratori pubblici
ad una realtà precedente alla legge 300/1970, ignorando completamente che la disciplina della
materia riguardante le prerogative sindacali, è stata completamente demandata alla contrattazione
collettiva (d.lgs. n. 396 del 1997 e dal d.lgs. n. 80 del 1998) e che ancora è vigente il contratto
collettivo quadro, sottoscritto il 7 agosto 1998, modificato ed integrato dal CCNQ integrativo e
correttivo del CCNQ del 27.1.1999, dal CCNQ del 28.8.2000, dal CCNQ del 3.8.2004, CCNQ del
3.10.2005.
Dopo una prima cospicua riduzione dei permessi ed aspettative sindacali fatta alla fine degli anni
90, fra i diritti previsti dagli artt. 20-27 della legge n. 300 del 1970, in parte “ritoccati” dai contratti
collettivi, il primo che ha subito l’attacco delle forze antisindacali è stato l’istituto della delega, con
una mobilitazione dell’opinione pubblica in una consultazione referendaria il cui risultato ha
comportato una parziale abrogazione. Oggi si porta ad ulteriore compimento l’attacco ai permessi,
aspettative e distacchi sindacali, di cui l’ordinamento ha riconosciuto la necessità proprio perché
consentono il concreto dispiegamento dell’esercizio delle libertà sindacali e della funzione di
assistenza e tutela dei lavoratori.
Limitare questi diritti rivela significa ostacolare ogni possibile operazione di tutela dei lavoratori
che si va a sommare ad altri diritti negati col blocco della contrattazione.
Si sta portando a compimento vera e propria messa fuori gioco dell’attività di tutela sindacale per
quanto attiene alla qualità dell’ambiente di lavoro e alle problematiche inerenti l’organizzazione del
lavoro e la gestione del personale, che ormai non avvengono né come attività contrattuale, né
attraverso gli strumenti dell’informazione e della partecipazione.
Questo governo vuole ulteriormente minare la credibilità del sindacato, in un momento in cui è
mobilitato per il mancato rinnovo dei contratti e soprattutto per il rischio concreto che vadano a casa
migliaia di precari.
Ormai si cerca di confondere le idee: c’è già chi va sostenendo la tesi che un eventuale sciopero sarà
fatto solo perché sono stati dimezzati distacchi e permessi.
La realtà è che si prosegue su un andazzo che favorirà le divisioni sociali solo per fare consenso,
che mette i padri contro i figli, i lavoratori privati contro i lavoratori pubblici, che vede il Welfare
come una cosa da smantellare per offrire nuovi mercati a chi si vuole arricchire, che vede la
precarietà come unica prospettiva per il mondo del lavoro.
26
Art.9
(Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle
avvocature degli enti pubblici)
L’articolo 9 riforma la disciplina dei compensi professionali liquidati ad avvocati dello Stato e degli
enti pubblici in conseguenza di sentenze favorevoli alle pubbliche amministrazioni, il cui
fondamento giuridico è contenuto nel R.D. n. 1611 del 1933.
Alla luce della disciplina previgente, la normazione secondaria come la giurisprudenza hanno
pacificamente riconosciuto a favore degli avvocati pubblici il generale diritto a percepire i compensi
per cause concluse con sentenza favorevole.
L’art. 9 abroga (comma 1):
• l’articolo 1, comma 457, della L. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) che, per il triennio
2014-2016, ha ridotto i compensi di dipendenti o dirigenti delle pubbliche
amministrazioni – compreso il personale dell’Avvocatura dello Stato - in relazione ai
successi nei processi in cui questi hanno rappresentato l’amministrazione;
• e l’articolo 21, comma 3, del R.D. 1611/1933 (T.U. sulla rappresentanza e difesa in
giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) che prevede i
compensi (a carico dell’Erario) in favore degli avvocati della PA: per le transazioni che
seguono a sentenze favorevoli alla pubblica amministrazione; in caso di compensazione
integrale o parziale delle spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano
rimaste soccombenti.
Ai fini di chiarezza – dice l’Ufficio studi della Camera - e di corretta interpretazione della nuova
disciplina, in alternativa ad una completa riformulazione dell’art. 21 del R.D. 1611/1933, potrebbe
essere opportuno valutare l’abrogazione dei commi 2 e 4 dello stesso art. 21. Tale disposizioni si
riferirebbero, infatti, ad una disciplina ormai superata da quella dell’art. 9 in esame. Il comma 2 fa
infatti riferimento alla ripartizione di “tutte le somme” di cui al comma 1 e successivi ovvero quelle
recuperate dalla controparte o erogate dall’Erario agli avvocati dello Stato per compensi
professionali; il comma 4 si riferisce esplicitamente ad un comma 3, ormai abrogato.
In alternativa, stante la necessaria abrogazione del comma 4, si potrebbe modificare il comma 2
dello stesso art. 21 precisando che le somme recuperate dall’Avvocatura dello Stato ai sensi del
comma 1 debbano essere versate per il 90% allo stato di previsione dell’Entrata. Si realizzerebbe
così un coordinamento con il contenuto del comma 1 dell’art. 9 in esame che prevede, in caso di
sentenza favorevole alla PA, la ripartizione del 10% delle spese legali recuperate e poste a carico
delle controparti.
Infine, potrebbe essere utile chiarire il rapporto tra la nuova disciplina e quella, sopracitata,
relativa ai compensi professionali per gli avvocati pubblici nelle cause di lavoro (art. 152-bis, disp.
att. c.p.c.).
Art.10
(Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale
e abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di
segreteria)
L’articolo abolisce l’attribuzione ai segretari comunali e provinciali delle quote loro spettanti dei
diritti di segreteria e del diritto di rogito, che vengono così interamente acquisiti ai bilanci degli enti
locali.
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Gli enti locali pper l’espletamento dei servizi istituzionali percepiscono dagli utenti i diritti di
segreteria ed i diritti di istruttoria. Tali diritti rimangono entrano nel bilancio degli enti, salvo una
quota ripartita con cadenza trimestrale il 10% al fondo di cui all’art. 42 della L. n. 604/1962 e
successive modificazioni; il 90%al comune; il 75% della quota spettante al Comune al segretario
comunale e provinciale (per diritti di rogito).
Le quote spettanti ai segretari comunali e provinciali per i diritti di segreteria erano versati
all’Agenzia dei segretari comunali e provinciali che nel 2010 l’Agenzia è stata soppressa e il
Ministero dell’interno è succeduto a titolo universale all’Agenzia; le risorse strumentali e di
personale ivi in servizio, comprensive del fondo di cassa, sono state trasferite al Ministero (art. 7,
commi 31-ter e seguenti, D.L. 78/2010).
Siccome i diritti di segreteria spettanti ai segretari comunali e provinciali sono inclusi tra le
componenti della loro retribuzione come previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del 16
maggio 2001 (art. 37 CCNL) la disposizione in esame interviene, quindi, rilegificando norme
attualmente disciplinate da contratto collettivo nazionale.
Art.11
(Disposizioni sul personale delle regioni e degli enti locali)
L’articolo 11 modifica il sistema di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato negli
enti locali (commi 1 e 2), nelle regioni e negli enti e nelle aziende del Servizio sanitario nazionale
con riferimento alla dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa (comma 3).
Si interviene, inoltre, sugli uffici di supporto degli organi di direzione politica degli enti locali
(comma 4) aumentando dal 10 al 30% i posti della pianta organica la quota massima di incarichi
dirigenziali che gli enti locali possono conferire mediante contratti a tempo determinato e si prevede
l’obbligo di selezione pubblica per il conferimento di detti incarichi.
E fatto divieto di effettuare attività gestionale al personale degli uffici di supporto agli organi di
direzione politica locale (sindaci, presidenti di provincia e assessori) anche se il loro trattamento
economico è parametrato a quello dirigenziale.
Gli incarichi sono attribuiti, anche a termine, entro il limite del 10% della dotazione organica dei
dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli dirigenziali e dell’8% della dotazione organica di
quelli appartenenti alla seconda fascia. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere il
termine di tre anni per gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di
strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente e per
gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale, e, per gli altri incarichi di funzione
dirigenziale, il termine di cinque anni
Per gli enti locali in materia vige una normativa speciale recata dall’art. 110 del testo unico degli
enti locali (D.Lgs. 267/2000), integrato dal comma 6-quater del citato art. 19 del D.Lgs. 165/2001
introdotto dal D.Lgs. 141/2011 e modificato dal D.L. 16/2012 (art. 4-ter, comma 13).
L’articolo introduce l’obbligo di procedere all’assegnazione degli incarichi dirigenziali attraverso
procedure di selezione pubblica volta ad accertare il possesso di “comprovata esperienza
pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’incarico”.
Per giurisprudenza consolidata, le deroghe legislative al principio secondo cui agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, seppure previste espressamente dallo
stesso art. 97, c. 3, Cost., sono sottoposte al sindacato di legittimità costituzionale.
Le deroghe sono legittime solo in presenza di "peculiari e straordinarie esigenze di interesse
pubblico" idonee a giustificarle.
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Il comma 4 pone il divieto di effettuare attività gestionale al personale degli uffici di supporto agli
organi di direzione politica locale (sindaci presidenti di provincia e assessori) assunti con contratto a
tempo determinato anche se il loro trattamento economico è parametrato a quello dirigenziale.
La disposizione intende separare le attività gestionali da quelle proprie del degli uffici di staff a
supporto dell’organo di indirizzo politico, in ossequio al principio della separazione tra politica e
amministrazione
Art.12
Copertura assicurativa dei soggetti beneficiari di forme di
integrazione e sostegno del reddito coinvolti in attività di volontariato
ai fini di utilità sociale.
L’articolo 12 istituisce, in via sperimentale, per il biennio 2014-2015, un apposito Fondo destinato a
reintegrare l’INAIL dell’onere della copertura assicurativa contro le malattie e gli infortuni (nel
limite di spesa di 10 milioni di euro) in favore dei soggetti beneficiari di misure di sostegno al
reddito che svolgano attività di volontariato a beneficio delle comunità locali.
ART.13
Incarichi per la progettazione
L’articolo dispone che gli incentivi relativi alla progettazione da parte delle amministrazioni
aggiudicatrici e alle attività tecnico-amministrative ad essa connesse, di cui ai commi 5 e 6 dell’art.
92 Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006), non possano essere corrisposti al personale con
qualifica dirigenziale, in ragione dell’onnicomprensività del relativo trattamento economico (nuovo
comma 6-bis dell’art. 92 del Codice).
L’Avvocatura dello Stato con il parere n. 21/12/2013-513720/23, ha rilevato che il combinato
disposto dell’art. 24 del D.Lgs. 165/2001 e dell’art. 92, comma 5, del Codice, “sembrerebbe doversi
interpretare nel senso che i dirigenti siano esclusi dall'ambito di applicazione degli incentivi ex art.
92, comma 5”10[41].
Art.14
Conclusione delle procedure in corso per l’abilitazione scientifica
nazionale
Viene differito dal 31 maggio 2014 al 30 settembre 2014 il termine di conclusione dei lavori delle
commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale della tornata 2013.
La tornata 2013 avviata con Decreto direttoriale n. 161 del 28 gennaio 2013. aveva il termine per la
conclusione dei lavori delle commissioni fissato al 31 marzo 2013., un ulteriore termine di 60 giorni
(31 maggio 2014) è stato fissato con D.D. 1236 del 1° aprile 2014.
Nella relazione illustrativa si evidenzia che la “complicata procedura di sostituzione dei commissari
(…) provocherebbe attese insostenibili per gli attuali candidati e il rischio, più che concreto, di
conseguire l’abilitazione quando le risorse del piano straordinario degli associati saranno già
ampiamente esaurite” per cui il termine per il loro utilizzo è fissato al 31 ottobre 2014.
29
Art. 19
(Soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture e definizione delle funzioni dell’Autorità
nazionale anticorruzione)
L’articolo prevede il trasferimento integrale delle funzioni dell’AVCP all’ Autorità nazionale
anticorruzione, cui sono attribuiti poteri sanzionatori in materia di anticorruzione e che il
responsabile dell’ANA Cantone ritiene vadano estesi anche in materia di trasparenza (art.47
d.lgs.14.03.2013 n.33 in materia di conferimento di incarichi dichiarati nulli (art.18 c.2,d.lgs
08.04.2013 n.39
Art.21
Unificazione delle Scuole di formazione
Nell’ottica tendenziale di realizzare un cambiamento culturale tale da rendere maggiormente
efficiente la P.A., mancano due fattori fondamentali:
la formazione professionale e
l’aggiornamento del personale. Noi riteniamo che tutto ciò sarebbe possibile anche per vie meno
tradizionali quali l’e-learning, cioè quell’insieme di tecnologie e metodologie didattiche innovative
per progettare, distribuire e gestire percorsi di aggiornamento professionale in modo rapido ed
efficace. Nel decreto mancano i presupposti per la creazione di una learning organization quale
organizzazione capace di creare, acquistare e trasferire conoscenza con continuità, e modificare il
suo comportamento sulla base di stimoli interni ed esterni. L’e-learning è uno strumento moderno,
efficace nel raggiungere i destinatari in maniera capillare, tempestiva ed omogenea facendo
riferimento a tutte le professionalità allocate a livello nazionale con un rapporto istruttore/ discenti
più elevato rispetto alla formazione di tipo tradizionale e con garanzia di replicabilità
dell’intervento formativo. Inoltre i percorsi formativi sono suscettibili di personalizzazione e di
adeguamento alle singole conoscenze, al contesto, agli obiettivi fissati, ai tempi personali di
apprendimento. Infine aumentando il personale coinvolto si riducono contestualmente i costi unitari
della formazione. Fra le esperienze di applicazione nella PA di progetti di e-learning vi è quello
della Ragioneria Generale dello Stato.
Il ricorso contenuto all’e-learning da parte delle amministrazioni pubbliche dipende:
- dalla mancanza di una cultura sulla formazione a distanza che porta a far preferire il
modello tradizionale;
- dalla mancata volontà di ridurre la lentezza delle procedure burocratiche che richiedono
circa un anno di tempo fra studio di fattibilità, bando di gara, aggiudicazione e stipula contrattuale,
che rendono già superate le attività programmate:
Tuttavia, noi riteniamo che la ragione principale sta nella limitata disponibilità finanziaria di risorse
su cui le P.A. possono contare, visto che la formazione è uno di quei settori più esposti ai tagli. Così
anche oggi, al fine di limitare i costi, si conferma la disposizione, iniziata nel 2004, che le iniziative
formative possono essere affidate solo al Formez od alla Scuola Superiore della P.A.
Oggi, di fronte ai costi lo slogan liberista privato è bello non vale per la formazione del personale
pubblico, si sopprime il Formez e si unificano le scuole di formazione nella Scuola Nazionale di
formazione articolata in dipartimenti che probabilmente replicheranno le varie scuole di formazione
esistenti.
C’è da osservare che il decreto interviene sulle scuole di formazione delle amministrazioni centrali
ed ignora il lunghissimo elenco delle scuole di formazione del personale di Regioni ed Enti Locali.
In conclusione anche il Governo Renzi non ritiene, comunque, superabile la contraddizione di
fondo, al di là delle dichiarazioni di intenti, della riduzione fra le risorse disponibili ed il
rafforzamento della formazione fondamentale per un effettivo rinnovamento del servizio pubblico.
30
Art. 23
Interventi urgenti in materia di riforma delle province e delle città
metropolitane
Sono modificati i commi seguenti della Legge 7 aprile 2014 n.56 (in neretto le modifiche):
15. Entro il 30 settembre 2014 si svolgono le elezioni del consiglio metropolitano, indette dal
sindaco del comune capoluogo, e si insediano il consiglio metropolitano e la conferenza
metropolitana. Entro il 31 dicembre 2014 il consiglio metropolitano la conferenza metropolitana
approva lo statuto.
49. In considerazione della necessita' di garantire il tempestivo adempimento degli obblighi
internazionali gia' assunti dal Governo, nonche' dell'interesse regionale concorrente con il
preminenteinteresse nazionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, la regione Lombardia, anche mediante societa' dalla stessa controllate, subentra in
tutte
le partecipazioni azionarie di controllo detenute dalla provincia di Milano e le
partecipazioni azionarie detenute dalla Provincia di Monza e Brianza nelle societa' che
operano direttamente o per tramite di societa' controllate o partecipate nella realizzazione e
gestione di infrastrutture comunque connesse all'esposizione universale denominata Expo
2015. Entro il 30 giugno 2014 sono eseguiti gli adempimenti societari necessari al
trasferimento delle partecipazioni azionarie di cui al primo periodo alla Regione Lombardia,
a titolo gratuito e in regime di esenzione fiscale. Entro quaranta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, sono definite con decreto del Ministro per gli affari regionali, da
adottare di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei
trasporti, le direttive e le disposizioni esecutive necessarie a disciplinare il trasferimento, in
esenzione fiscale, alla regione Lombardia delle partecipazioni azionarie di cui al precedente
periodo. Alla data del 31 ottobre 2015 le predette partecipazioni sono trasferite in regime di
esenzione fiscale alla citta' metropolitana. Alla data del 31 dicembre 2016 le partecipazioni
originariamente detenute dalla provincia di Monza e della Brianza sono trasferite in regime di
esenzione fiscale alla nuova provincia di Monza e di Brianza.
49 bis. Il subentro della Regione Lombardia, anche mediante società dalla stessa controllate,
nelle partecipazioni detenute dalla provincia di Milano e dalla Provincia di Monza e Brianza
avviene a titolo gratuito, ferma restando l’apposizione contabile del relativo valore. Con
perizia resa da uno o più esperti nominati dal Presidente del Tribunale di Milano tra gli
iscritti all’apposito Albo dei periti, viene operata la valutazione e l’accertamento del valore
delle partecipazioni riferito al momento del subentro della Regione nelle partecipazioni e,
successivamente, al momento del trasferimento alla città metropolitana. Gli oneri delle
attività di valutazione e accertamento sono posti, in pari misura, a carico della Regione
Lombardia e della città metropolitana. Il valore rivestito dalle partecipazioni al momento del
subentro nelle partecipazioni della Regione Lombardia, come sopra accertato, è quanto
dovuto rispettivamente alla città metropolitana e alla nuova Provincia di Monza e Brianza.
L’eventuale differenza tra il valore rivestito dalle partecipazioni al momento del
trasferimento, rispettivamente, alla città metropolitana e alla nuova Provincia di Monza e
Brianza e quello accertato al momento del subentro da parte della Regione Lombardia
costituisce il saldo, positivo o negativo, del trasferimento delle medesime partecipazioni a
favore della città metropolitana e della nuova Provincia, che sarà oggetto di regolazione tra le
parti. Dal presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.
31
49-ter. Contestualmente al subentro da parte della regione Lombardia, anche mediante
società dalla stessa controllate, nelle società partecipate dalla provincia di Milano e dalla
provincia di Monza e della Brianza di cui al primo periodo del comma 49, i componenti degli
organi di amministrazione e di controllo di dette società decadono e si provvede alla
ricostituzione di detti organi nei modi e termini previsti dalla legge e dagli statuti sociali. Per
la nomina di detti organi sociali si applica il comma 5 dell’articolo 4 del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95, fermo restando quanto previsto dal comma 4 del medesimo articolo 4. La
decadenza ha effetto dal momento della ricostituzione dei nuovi organi. Analogamente i
componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società partecipate nominati
ai sensi del primo periodo del comma 49-bis decadono contestualmente al successivo
trasferimento delle relative partecipazioni in favore della città metropolitana e della nuova
Provincia previsto dal terzo periodo del comma 49, provvedendosi alla ricostituzione di detti
organi nei modi e termini previsti dalla legge e dagli statuti sociali. La decadenza ha effetto
dal momento della ricostituzione dei nuovi organi”.
d) al comma 79, le parole “l’elezione ai sensi dei commi da 67 a 78 del consiglio provinciale,
presieduto dal presidente della provincia o dal commissario, è indetta” sono sostituite dalle
seguenti “l’elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale ai sensi dei
commi da 58 a 78 è indetta e si svolge”; e) al comma 81 sono soppressi il secondo e terzo
periodo;
f) il comma 82, è sostituito con il seguente: “82. Nel caso di cui al comma 79, lettera a), in
deroga alle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 325, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,
il presidente della provincia in carica alla data di entrata in vigore della presente legge
ovvero, in tutti i casi, qualora la provincia sia commissariata, il commissario a partire dal 1°
luglio 2014, assumendo anche le funzioni del consiglio provinciale, nonché la giunta
provinciale, restano in carica a titolo gratuito per l'ordinaria amministrazione, comunque nei
limiti di quanto disposto per la gestione provvisoria degli enti locali dall'articolo 163, comma
2, del testo unico, e per gli atti urgenti e indifferibili, fino all'insediamento del presidente della
provincia eletto ai sensi dei commi da 58 a 78”. Conseguentemente, al secondo periodo del
comma 14 sono aggiunte infine le seguenti parole “, secondo le modalità previste dal comma
82”;
g) al comma 143, aggiungere alla fine il seguente periodo “Gli eventuali incarichi
commissariali successivi all’entrata in vigore della presente legge sono comunque esercitati a
titolo gratuito”.
La disposizione ha apportato modifiche alla legge 56/2014 “Disposizioni sulle città metropolitane,
sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”.
In particolare, l’approvazione dello statuto delle città metropolitane, entro il 31 dicembre 2014,
spetterà alla conferenza metropolitana e non più al consiglio.
E’ stata modificata l’originaria disciplina del comma 79 che indicava, in sede di prima applicazione,
le elezioni in momenti diversi di Presidente e consiglio provinciale, con la previsione della
contestuale elezione del presidente e del consiglio provinciale.
Al comma 81, con riferimento alle elezioni di presidente e consiglio provinciale da svolgersi entro il
30 settembre 2014 per le province i cui organi abbiano scadenza per fine mandato nel 2014 [comma
79 lettera a)] è stata soppressa la previsione relative alla possibilità di eleggere anche i consiglieri
provinciali uscenti.
Il successivo comma 82, sempre con riferimento alle suddette elezioni da svolgersi entro il 30
settembre 2014, ha previsto che a partire dal 1° luglio 2014 il presidente della provincia in carica
alla data di entrata in vigore della presente legge 56/2014 (8 aprile 2014) ovvero, qualora la
provincia sia commissariata, il commissario, i quali assumono anche le funzioni del consiglio
32
provinciale, nonché la giunta provinciale, restano in carica, a titolo gratuito per l’ordinaria
amministrazione, fino all’insediamento del nuovo presidente della provincia eletto.
Gli eventuali incarichi commissariali successivi all’entrata in vigore della legge 56/2014 sono
comunque esercitati a titolo gratuito (comma 143).
Ricordiamo che la riforma delle province è ufficialmente in vigore dallo scorso 8 aprile, giorno in
cui ha ufficialmente cessato di esistere la provincia come ente di primo livello, eletto direttamente
dai cittadini.
Secondo quanto previsto dalla Legge 7/4/2014 n. 56 (G.U. 7/4/2014 n. 81) -Disposizioni sulle citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, per la transizione dal precedente
regime serviranno mesi, se i tempi verranno pienamente rispettati, oppure anche più di un anno,
qualora venga richiesto un margine maggiore del previsto.
Innanzitutto, con l’entrata in vigore della riforma le 107 province sono state trasformate in 97 enti
di area vasta e 10 città metropolitane, guidate dai commissari provinciali – cioè i presidenti uscenti
– fino alla fine del 2014. E’ scompasa del tutto l’elettività degli organi della provincia e la
percezione delle indennità per assessori e dei gettoni di presenza per i consiglieri.
Entro la fine del mese di settembre andranno rinnovati almeno i consigli, nella misura in cui quelli
decaduti saranno in carica solo fino a che non saranno attuate le disposizioni della legge Delrio.
Con la fine dell’anno, sicuramente 19 amministrazioni ora guidate da un commissario e 45 consigli
che sarebbero dovuti andare a elezioni il prossimo 25 maggio, saranno trasformati secondo la nuova
conformazione. In assemblea e giunta entreranno consiglieri e sindaci dei comuni compresi nel
territorio della provincia e il presidente scelto tra i primi cittadini, tutti resteranno in carica per due
anni. Ma entro il 31 dicembre dovranno essere approvati i nuovi statuti delle province e delle città
metropolitane, esclusa Reggio Calabria che vedrà la luce a partire dal 2016.
Quanto alle Regioni a statuto speciale in Val d’Aosta e nelle Province autonome di Trento e
Bolzano resta tutto immutato. In Sardegna si attende di aggiornare lo statuto regionale dopo il
referendum che ha abolito quattro delle otto amministrazioni provinciali, mentre in Friuli è al vaglio
una proposta di legge costituzionale che cancellerà le province anche dal Nord-Est. Infine, la Sicilia
ha istituito i liberi consorzi al posto delle storiche province. Per queste ultime tre regioni, il termine
ultimo per aggiornare le proprie norme è quella di aprile 2015.
Articolo 24
Agenda della semplificazione amministrativa e moduli standard
E’ stato previsto che il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs.
281/1997, entro il 31 ottobre 2014, approva l’Agenda per la semplificazione per il triennio 20152017, concernente le linee di indirizzo condivise tra Stato, regioni, province autonome e autonomie
locali e il cronoprogramma per la loro attuazione. Entro 180 giorni dall’entrata in vigore del
presente decreto (22 dicembre 2014) le amministrazioni statali adottano con decreto del Ministro
competente, moduli unificati e standardizzati su tutto il territorio nazionale per la presentazione di
istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese. Il Governo, le regioni e
gli enti locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono, in sede di Conferenza
unificata, accordi o intese, per adottare, tenendo conto delle specifiche normative regionali, una
modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle
pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con
riferimento all’edilizia e all’avvio di attività produttive.
Le p.a. regionali e locali utilizzano i moduli unificati e standardizzati nei termini fissati con i
suddetti accordi o intese. Ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e), m) e r), della Costituzione,
gli accordi conclusi in sede di Conferenza unificata sono rivolti ad assicurare la libera concorrenza,
costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
33
garantiti su tutto il territorio nazionale, assicurano il coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale al fine di agevolare l’attrazione
di investimenti dall’estero.
Articolo 25
Semplificazione per i soggetti con invalidità
La disposizione ha apportato modifiche al d.l. 324/1993 prevedendo la semplificazione del
procedimento relativo al riconoscimento dello stato di handicap dell’alunno.
In particolare all’articolo 2 sono stati dimezzati i termini (da 180 a 90 giorni) per la conclusione del
procedimento da parte della commissione medica incaricata dell’accertamento, ai sensi dell’articolo
4 della legge 104/1992, ed è stato previsto che, nel caso di mancata pronuncia entro il termine di 45
giorni (in precedenza 90 giorni), gli accertamenti vengano effettuati, in via provvisoria, ai soli fini
previsti dagli articoli 21 “Precedenza nell’assegnazione di sede” e 33 “Agevolazioni” della legge
104/92 e dall’articolo 42 del d.lgs. 151/2001 “Riposi e permessi per i figli con handicap grave”, da
un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l’Azienda sanitaria locale da cui
è assistito l’interessato.
E’ stata prevista al comma 3-ter la possibilità, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni
lavorative previste dagli articoli 21 e 33 della legge 104/1992, e dall’articolo 42 del d.lgs. 151/2001,
che la Commissione medica competente, previa richiesta motivata dell’interessato, sia autorizzata a
rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita, i cui effetti valgono fino all’emissione
dell’accertamento definitivo da parte della Commissione medica INPS.
E’ stato, infine, introdotto il comma 2-bis all’articolo 20 della legge 104/1992 che ha previsto
l’esclusione dall’eventuale prova preselettiva nell’ambito di concorsi, per il soggetto portatore di
handicap con invalidità uguale o superiore all’80%
TITOLO III – misure urgenti per l’incentivazione della trasparenza e
correttezza delle procedure nei lavori pubblici
Capo I – misure di controllo preventivo
Art. 29
Nuove norme in materia di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di
servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa.
La disposizione ha riformulato il comma 52 dell’articolo 1 della legge 190/2012 prevedendo
l’obbligo per le stazioni appaltanti di acquisire, per le attività soggette a rischio di infiltrazione
mafiosa, la comunicazione e l’informazione antimafia mediante la consultazione, anche in via
telematica, delle “white list”, ossia elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori
non soggetti a infiltrazione mafiosa, tenuti e aggiornati dalle prefetture.
Le specifiche attività ritenute maggiormente sensibili rispetto al rischio di infiltrazione, definite al
comma 53 della legge 190/2012 e per le quali opererà l’obbligo, sono:
a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;
b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;
c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;
d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;
e) noli a freddo di macchinari;
34
f) fornitura di ferro lavorato;
g) noli a caldo;
h) autotrasporti per conto di terzi;
i) guardiania dei cantieri.
Tale elenco può essere aggiornato annualmente, entro il 31 dicembre, con decreto del Ministero
dell’Interno. Le imprese interessate all’iscrizione negli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed
esecutori di lavori dovranno presentare la domanda di iscrizione nelle “white list” alla Prefettura
della provincia in cui l’impresa ha la propria sede.
Le condizioni dichiarate ai fini dell’iscrizione nell’elenco sono soggette a verifica periodica da parte
della prefettura la quale, nel caso di situazioni che presentino rischi di infiltrazione mafiosa, può
procedere alle relative cancellazioni.
In prima applicazione, e comunque non oltre il 25 giugno 2015, le stazioni appaltanti, per potere
procedere all’affidamento di contratti, nonché all’autorizzazione di subcontratti riguardanti le
specifiche attività di cui all’articolo 53 della legge 190/2012, dovranno verificare che l’impresa
abbia presentato la domanda di iscrizione nell’elenco.
Nel caso in cui, successivamente, il prefetto neghi l’iscrizione, le stazioni appaltanti recedono dai
contratti e subcontratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso
delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
Non si procede al recesso nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di
fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il
soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi.
CAPO II – MISURE RELATIVE ALL’ESUZIONE DI OPERE PUBBLICHE
Art.30
Unità operativa speciale per Expo 2015
Il presidente lell’Autorità Nazionale Anticorruzione , Raffaele Cantone, ha suggerito che “nella
parte in cui si prevede che il Presidente dell’A.N.AC si avvalga di un’unità operativa speciale per
Expo 2015,di introdurre un termine di durata della predetta unità.
Art. 35
Divieto di transazioni della pubblica amministrazione con società o
enti esteri aventi sede in Stati che non permettono l’identificazione dei
soggetti che ne detengono la proprietà ed il controllo.
Tale disposizione, finalizzata ad assicurare la trasparenza e la legalità amministrativa e contabile
delle p.a., dispone il divieto di procedere a qualsiasi operazione economica e finanziaria con società
o enti aventi sede in Stati che non permettono l’identificazione dei soggetti che ne detengono la
proprietà o il controllo.
Il divieto è posto fino al recepimento delle direttive europee in materia di appalti pubblicate nella
Gazzetta ufficiale della Comunità europea n. L.94/1IT del 28 marzo 2014.
Si tratta, in particolare:
• della Direttiva 2014/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli
appalti pubblici e che abroga la Direttiva 2004/18/CE;
• della Direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle
procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei
servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE.
35
E’ comunque fatta salva la possibilità, per la stazione appaltante, di richiedere documentazione e
chiarimenti alle imprese concorrenti nelle procedure di evidenza pubblica.
Il divieto in questione è superabile attraverso un’adeguata verifica del titolare effettivo della società
o enti esteri, in conformità alle disposizioni del d.lgs. 231/2007 che ha dato attuazione alla direttiva
2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio
dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva
2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione
Art 36
Monitoraggio finanziario dei lavori relativi a infrastrutture
strategiche e insediamenti produttivi
La disposizione definisce le procedure per il monitoraggio finanziario dei lavori sulle infrastrutture
strategiche e gli insediamenti produttivi, prevedendo l’adeguamento alle modalità e procedure
fornite nella deliberazione n. 45/2011 del CIPE.
Art.37
Trasmissione ad ANAC delle varianti in corso d’opera
Tale disposizione prevede l’obbligo di trasmissione all’ANAC di tutte le varianti in corso d’opera
(escluse quelle per errore o omissione della progettazione e per esigenze derivanti da sopravvenute
norme di legge), unitamente al progetto esecutivo, all’atto di validazione e ad una apposita nota del
responsabile del procedimento.
La trasmissione di questi atti dovrà avvenire entro 30 giorni dall’approvazione della variante da
parte della stazione appaltante, per le valutazioni e gli eventuali provvedimenti di competenza che
ANAC potrà adottare.
TITOLO IV – MISURE PER LO SNELLIMENTO DEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO E L’ATTUAZIONE DEL PROCESSO
TELEMATICO
CAPO I – PROCESSO TELEMATICO
Art.39
Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure
di affidamento di contratti pubblici
Tale disposizione modifica gli articoli 38 (Requisiti di ordine generale) e 46 (Documenti e
informazioni complementari – Tassatività delle cause di esclusione) del codice dei contratti
pubblici.
In particolare, attraverso l’inserimento del comma 2-bis all’articolo 38 del d.lgs. 163/2006 viene
previsto che il concorrente che omette la presentazione anche di una sola delle dichiarazioni o
documenti attestanti il possesso dei requisiti generali, ovvero presenti una dichiarazione incompleta
o irregolare, è tenuto a pagare alla stazione appaltante la sanzione pecuniaria stabilita nel bando di
36
gara. Tale sanzione, in misura fra l’1 per mille e l’1 per cento della gara, non potrà comunque essere
superiore a 50.000 euro. Il versamento è garantito dalla cauzione provvisoria.
In tal caso la stazione appaltante dovrà invitare il concorrente a completare o a fornire chiarimenti
in ordine al contenuto delle dichiarazioni presentate.
A tal fine, viene previsto un termine perentorio di 10 giorni entro cui gli offerenti dovranno far
pervenire i documenti richiesti. La mancata presentazione della documentazione o dei chiarimenti
richiesti nel termine indicato comporterà l’esclusione dalla gara.
La sanzione pecuniaria e l’esclusione dalla gara non devono essere applicate nel caso di irregolarità
non essenziali, ovvero qualora l’omissione o l’incompletezza riguardi dichiarazioni non
indispensabili.
Viene inoltre prevista l’irrilevanza, ai fini del calcolo di medie nella procedura, nonché per
l’individuazione della soglia di anomalia dell’offerta, di ogni variazione intervenuta
successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte, intervenuta
anche a seguito di una pronuncia giurisdizionale.
Viene, inoltre, modificato l’articolo 46 del d.lgs. 163/2006, in tema di integrazione documentale.
La disposizione, si ricorda, prevede che le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a
completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati, ma solo nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45 del medesimo decreto.
La ratio della disposizione in esame va individuata nell’esigenza di assicurare la massima
partecipazione alle gare di appalto, e di evitare che queste possano essere alterate da carenze di
ordine meramente formale nella documentazione comprovante il possesso dei prescritti requisiti da
parte degli operatori economici.
Il rimedio della regolarizzazione documentale di cui all’art. 46 del Codice dei contratti non si
applica nel caso in cui l’impresa concorrente abbia integralmente omesso di presentare la
documentazione la cui produzione è richiesta a pena di esclusione.
Il successivo comma 1-bis dell’articolo 46 collega l’esclusione dei concorrenti dalle procedure di
gara al verificarsi di uno o più dei seguenti presupposti:
a. mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice e dal Regolamento ovvero da altre
disposizioni di legge vigenti;
b. incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali;
c. non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato
violato il principio di segretezza delle offerte.
Nello specifico la disposizione aggiunge il comma 1-ter all’art. 46 del Codice dei contratti,
precisando che le disposizioni di cui al nuovo articolo 38, comma 2-bis (sanzione pecuniaria) si
applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni, anche di
soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al
disciplinare di gara.
Le nuove disposizioni si applicano alle procedure indette successivamente al 25 giugno 2014.
Art. 40
Misure per l’ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalti
pubblici
Tale disposizione ha introdotto nuove misure per accelerare la definizione dei processi in materia di
appalti pubblici.
In particolare, viene previsto che:
- ferma la possibilità della definizione immediata del giudizio nell’udienza cautelare, l’udienza deve
essere fissata entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal
ricorrente;
37
- è possibile un rinvio per esigenze istruttorie ad altra udienza da tenersi entro 30 giorni;
- l’adozione di misure cautelari è subordinata al pagamento di una cauzione;
- il deposito della sentenza deve avvenire entro 20 giorni, fermo restando la possibilità di richiedere
l’immediata pubblicazione del dispositivo entro 2 giorni.
Art. 41
Misure per il contrasto all’abuso del processo
Tale disposizione ha previsto:
- una penale in caso di soccombenza manifesta;
- nel rito degli appalti, l’aumento della sanzione pecuniaria fino all’1% del valore del contratto, in
caso di lite temeraria
Nel merito riteniamo queste misure un’ degenerazione dei principi di democrazia.
Ci rifiutiamo di considerare un abuso del diritto il ricorso al giudizio di chi ritiene di aver subito
una lesione dei propri diritti. Tra l’altro il diritto a ricorrere a giudizio del singolo è garantito dalla
Costituzione.
Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si ha abuso nel caso di uso
anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo fuori della sfera del diritto
soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto
stesso viene riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico positivo. In questo caso il contrasto
viene posto per pure ragioni economiche organizzative del sistema giustizia e quindi non può avere
alcuna giustificazione poiche prospetta un contesto culturale che accende una profonda
preoccupazione per la certezza del diritto, attesa anche la grande latitudine di potere che viene
attribuita al giudice e che non è limitata alla futilità delle ragioni del ricorso ( i cui limiti sono
peraltro del tutto soggettivi) e costituisce un’eccezione alla regola generale per la quale l’esercizio
del diritto è sempre legittimo (in ossequio al brocardo ‘qui iure suo utitur neminem laedit’) e non
può, quindi, essere fonte di responsabilità.
Art.53
Norma transitoria e finale
Una vera riforma della pubblica amministrazione avrebbe dovuto affrontare temi rilevanti come la
qualificazione dei servizi pubblici, per garantire a tutti i cittadini la possibilità di poterne usufruire;
un piano di investimenti per formazione e in tecnologia, in innovazione dell'organizzazione per
migliorare l'efficacia dei servizi, reperendo i finanziamenti tagliando sprechi sperperi e colpendo il
malaffare. Una riforma vera del sistema non può prescindere dal coinvolgimento di chi ci lavora,
valorizzandone la professionalità e riconoscendone i diritti, a partire dal rinnovo dei contratti.
Infine, se si voleva rendere la PA funzionale per le imprese e i cittadini, bisognava,
contemporaneamente ma non contestualmente, semplificare le procedure, sburocratizzare tutti gli
atti e puntare sul servizio pubblico che, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, e'
in grado di dare risposte e pari opportunità a tutti i cittadini.
Inoltre, se si chiedono continui sacrifici ai lavoratori pubblici, bisogna riconoscere loro anche i
diritti, aumentando il loro potere di acquisto per favorire i consumi, attraverso il rinnovo dei
contratti fermi da cinque anni.
Il Sindacato continuerà a sostenere i suoi valori: la solidarietà, la coesione, l’unità del mondo del
lavoro, i diritti per i lavoratori e i loro figli, una società più giusta dove la sanità, l’istruzione e
l’intera gamma dei servizi pubblici siano garantiti a tutti e non solo a chi se lo può permettere.
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In conclusione questa riforma va nella direzione di una concezione partitocratrica della PA, intesa
come “proprietà” non di tutti, ma della maggioranza al potere ed il senso di quanto stiamo
sostenendo è dato dalla modifica dell’articolo 90 del d.lgs 267/2000, al cui comma 2 si aggiunge il
seguente ultimo periodo: “in ragione della temporaneità e del carattere fiduciario del rapporto di
lavoro si prescinde nell’attribuzione degli incarichi dal possesso di specifici titoli di studio o
professionali per l’accesso ai corrispondenti qualifiche ed aree di riferimento”. Ciò significa che i
politici potranno nominare nel proprio staff chi vogliono con l’inquadramento professionale che
ritengono opportuno, hanno quindi la facoltà di nominare dirigenti persone prive del requisito di
accesso dall’esterno per concorso, cioè la laurea,.Altro che qualificazione professionale e
valorizzazione delle competenze.
Si tratta di una norma di un’iniquità senza pari, poiché stabilisce che l’amico del politico, in barba
alla Costituzione e senza sottoporsi ad alcuna selezione concorsuale e prescindendo da titoli di
studio e professionali, può ricoprire l’incarico dirigenziale sulla base solo di un rapporto di fedeltà.
E’ un altro tipo di meritocrazia che trova riverberi nel ridisegno della dirigenza.
Ricordiamo che nella realtà già è evvenuto che un politico abbia attribuito a persone del proprio
staff la qualifica di funzionari pur non essendo laureati, ed è stata oggetto di una sentenza della
Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Toscana, 4 agosto 2011, n. 282, la quale ha
considerato quanto segue: “Ciò, naturalmente, non comporta affatto che le assunzioni
dall’esterno ex art. 90 del TUEL debbano essere lasciate al mero arbitrio degli
amministratori, senza alcun vincolo di corrispondenza tra il trattamento economico di categoria
D normativamente previsto e i requisiti minimi, culturali e professionali, atti a giustificare la
corresponsione di quel trattamento anche in assenza della laurea. Al riguardo effetto tranciante
hanno le considerazioni della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n.252 del 30 luglio 2009,
per le quali: “Il riconoscimento agli amministratori pubblici…… di un certo grado di autonomia
nella scelta dei propri collaboratori esterni (v. sentenze n. 187 del 1990 e n. 1130 del 1988), non
esime …… dal rispetto del canone di ragionevolezza e di quello del buon andamento della pubblica
amministrazione”. Ciò al fine di evitare che l’assunzione (sia pure a tempo determinato) di
personale sfornito dei requisiti normalmente previsti per lo svolgimento di funzioni che è
destinato ad esplicare determini l’inserimento nell’organizzazione pubblica di soggetti che
non offrono le necessarie garanzie di professionalità e competenza (Corte Cost. sentenza n. 27
del 2008)”.
L’altro elemento simbolico della riforma della pubblica amministrazione è rappresentato
dall’impianto della riforma della dirigenza, un nuovo tipo di spoil system che prevede la possibilità
indiscriminata per il politico di costruire un apparato di dirigenti di partito, all’interno
dell’amministrazione.
Il passaggio fondamentale della riforma della dirigenza finalizzata al più politicizzato degli spoil
system sta nel licenziamento dei dirigenti che restino privi di incarico per un certo periodo di tempo.
Tutto si giocherà, dunque, sull’attribuzione ai dirigenti degli incarichi a tempo determinato. e la
dirigenza da qualifica contrattuale, diventa una sorta di “aspettativa legittima” all’assegnazione
dell’incarico dirigenziale. Di fatto, quindi, il reclutamento pubblico diventa qualcosa di simile
all’iscrizione ad un albo poiché i dirigenti entrati nei “ruoli” di fatto non eserciteranno le funzioni
dirigenziali, se non riceveranno un incarico. Facendo poi conseguire alla mancanza prolungata di
incarichi la conseguenza del licenziamento, si dà alla politica un potere enorme sulla dirigenza,
determinandone una chiarissima precarizzazione ed una sottoposizione all’arbitrarietà delle scelte,
in totale contrasto con la posizione di autonomia imposta dagli articoli 97 e 98 della Costituzione e
con la giurisprudenza costituzionale maturata a partire dalla sentenza della Consulta 103/2007.
Lo scopo preciso della riforma si coglie se si mette in relazione la licenziabilità per mancanza di
incarico con le cooptazioni senza concorso di dirigenti non di ruolo. Per la cooptazione dei dirigenti
“di fiducia”, secondo le bozze in circolazione, non sarà necessario verificare se negli organici di
ruolo siano presenti dirigenti dotati dell’esperienza e qualificazione professionale necessaria.
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Dunque, un ministro o un sindaco potrebbe comunque decidere di assumere un dirigente
dall’esterno, nonostante nell’organico sia presente un dirigente di ruolo dotato di competenze e
professionalità per svolgere un certo determinato incarico. Così, paradossalmente, l’assunzione del
dirigente esterno servirà per lasciare quello di ruolo senza incarico e poterlo condurre magari al
licenziamento.
L’altro paradosso è che per la dirigenza di ruolo si prevede un limite temporale agli incarichi di 3
anni, mentre per quella fiduciaria la durata potrà coincidere col mandato politico.
Le conseguenze di una tale impostazione della pubblica amministrazione non sono certo quelle
sbandierate della maggiore efficienza, si crea, invece, un apparato controllato direttamente dalla
politica, e che con la politica si identifichi nel modo più diretto e stretto possibile.
E’ certo a questo punto che verrà meno la caratteristica fondamentale della pubblica
amministrazione e cioè quel ruolo di imparzialità ed i principi di buona amministrazione.
Bisogna dare atto a questo governo di essere stato capace di nascondere dietro affermazioni in parte
anche condivisibili tutta una serie rimescolamenti del tutto inefficaci come la mobilità obbligatoria,
che limitata al raggio di 50 chilometri non permetterà mai la redistribuzione del personale tra aree e
territori in modo ottimale oppure il potenziamento delle funzioni dell’Anac, che assorbirà l’Avcp
per intensificare i “controlli” sugli appalti e, in particolare, le migliaia di varianti, che dovranno
essere inviate obbligatoriamente ai fini delle verifiche che dovranno essere effettuate da un’autorità
di 350 persone.
Ricordiamo anche l’abolizione dell'Imposta Provinciale di Trascrizione, sostituita – a seguito della
riforma delle province - da una nuova tassa sulle immatricolazioni, IRI (Imposta Regionale di
Immatricolazione, che concede la possibilità, tra l'altro, di rincari regionali fino al 30%, rispetto
all'importo di base stabilito a livello nazionale. A questa si aggiunge la possibilità per le regioni di
rincarare la tassa di possesso fino al 12% (oggi tale margine è del 10%) solo per il 2015, in modo da
recuperare il mancato gettito causato dalla cancellazione dell'IPT, in attesa che venga sostituita
dall'IRI..
La riforma della P.A. perfeziona anche l’attacco portato alla sanità pubblica attraverso il definanziamento di miliardi giustificato con falsi argomenti tecnici. In realtà tutti i dati internazionali
dicono contraddicono l’esosità del nostro SSN. Stanno attaccando la sanità come sistema. Questo
modo di legiferare sulla sanità è il tassello di una tendenza predisposta da lontano che apre il settore
alla intermediazione finanziaria e assicurativa facendo perdere pezzi all’universalità del servizio. In
pratica si interviene nel cuore del sistema sanitario. Si cerca di trasformare la dirigenza medica in
una dirigenza amministrativa manifestando una totale ignoranza sulle differenze professionali fra
dirigenti medici ed amministrativi.
Inoltre con l’abolizione del trattenimento in servizio un paio di migliaia di medici saranno costretti
a lasciare e non saranno sostituibili perché non è possibile sostituire un primario con un medico
appena laureato, in questo caso se effettivamente si voleva aumentare l’occupazione giovanile si
potevano coprire le ormai vastissime vacanze di organico.
Da Tremonti per finire a Renzi si replica un copione già visto con una differenza che tutto torna alla
discrezionalità della politica.
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