Dal discorso al parlamento europeo, a Strasburgo, il 25 novembre 2014: Signor Segretario Generale, Signora Presidente, Eccellenze, Signore e Signori, sono lieto di poter prendere la parola in questo Consesso che vede radunata una rappresentanza significativa dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, i Rappresentanti dei Paesi Membri, i Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come pure le diverse Istituzioni che compongono il Consiglio d'Europa. Di fatto quasi tutta l'Europa è presente in quest'aula, con i suoi popoli, le sue lingue, le sue espressioni culturali e religiose, che costituiscono la ricchezza di questo continente. Sono particolarmente grato al Signor Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Signor Thorbjørn Jagland, per il cortese invito e per le gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. Saluto poi la Signora Anne Brasseur, Presidente dell'Assemblea Parlamentare. Tutti ringrazio di cuore per l'impegno che profondete e il contributo che offrite alla pace in Europa, attraverso la promozione della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto. Nell'intenzione dei suoi Padri fondatori, il Consiglio d'Europa, che quest'anno celebra il suo 65° anniversario, rispondeva ad una tensione ideale all'unità che ha, a più riprese, animato la vita del continente fin dall'antichità. Tuttavia, nel corso dei secoli hanno più volte prevalso le spinte particolariste, connotate dal susseguirsi di diverse volontà egemoniche. Basti pensare che dieci anni prima di quel 5 maggio 1949, in cui fu firmato a Londra il Trattato che istituiva il Consiglio d'Europa, iniziava il più cruento e lacerante conflitto che queste terre ricordino, le cui divisioni sono continuate per lunghi anni a seguire, allorché la cosiddetta cortina di ferro tagliava in due il continente dal Mar Baltico al Golfo di Trieste. Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire l'Europa in uno spirito di mutuo servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire, deve costituire la chiave di volta della missione del Consiglio d'Europa, a favore della pace, della libertà e della dignità umana. D'altra parte, la via privilegiata per la pace - per evitare che quanto accaduto nelle due guerre mondiali del secolo scorso si ripeta - è riconoscere nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere. Si tratta di un processo continuo, che non può mai essere dato per raggiunto pienamente. È proprio quanto intuirono i Padri fondatori, che compresero che la pace era un bene da conquistare continuamente e che esigeva assoluta vigilanza. Erano consapevoli che le guerre si alimentano nell'intento di prendere possesso degli spazi, cristallizzare i processi che vanno avanti e cercare di fermarli; viceversa cercavano la pace che si può realizzare soltanto nell'atteggiamento costante di iniziare processi e portarli avanti. In tal modo affermavano la volontà di camminare maturando nel tempo, perché è proprio il tempo che governa gli spazi, li illumina, li trasforma in una catena di continua crescita, senza vie di ritorno. Perciò costruire la pace richiede di privilegiare le azioni che generano dinamismi nuovi nella società e coinvolgono altre persone e altri gruppi che li svilupperanno, fino a che portino frutto in importanti avvenimenti storici. Per questa ragione diedero vita a questo Organismo stabile. Il beato Paolo VI, alcuni anni dopo, ebbe a ricordare che «le istituzioni stesse, che nell'ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e conservare la pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace». Occorre un costante cammino di umanizzazione, così che «non basta contenere le guerre, sospendere le lotte, (...) non basta una Pace imposta, una Pace utilitaria e provvisoria; bisogna tendere a una Pace amata, libera, fraterna, fondata cioè sulla riconciliazione degli animi». Vale a dire portare avanti i processi senza ansietà ma certo con convinzioni chiare e con tenacia. Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto educare ad essa, allontanando una cultura del conflitto che mira alla paura dell'altro, all'emarginazione di chi pensa o vive in maniera differente. È vero che il conflitto non può essere ignorato o dissimulato, dev'essere assunto. Ma se rimaniamo bloccati in esso perdiamo prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa rimane frammentata. Quando ci fermiamo nella situazione conflittuale perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà, fermiamo la storia e cadiamo nei logoramenti interni di contraddizioni sterili. Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita. Lo è in tante parti del mondo, dove imperversano conflitti di vario genere. Lo è anche qui in Europa, dove non cessano tensioni. Quanto dolore e quanti morti ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente nelle tentazioni d'un tempo! È perciò importante e incoraggiante l'opera del Consiglio d'Europa nella ricerca di una soluzione politica alle crisi in atto. La pace però è provata anche da altre forme di conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. La Chiesa considera che «la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri». La pace è violata anche dal traffico degli esseri umani, che è la nuova schiavitù del nostro tempo e che trasforma le persone in merce di scambio, privando le vittime di ogni dignità. Non di rado notiamo poi come tali fenomeni siano legati tra loro. Il Consiglio d'Europa, attraverso i suoi Comitati e i Gruppi di Esperti, svolge un ruolo importante e significativo nel combattere tali forme di disumanità. Tuttavia, la pace non è la semplice assenza di guerre, di conflitti, di tensioni. Nella visione cristiana essa è, nello stesso tempo, dono di Dio e frutto dell'azione libera e razionale dell'uomo che intende perseguire il bene comune nella verità e nell'amore. «Questo ordine razionale e morale poggia precisamente sulla decisione della coscienza degli esseri umani di un'armonia nei loro rapporti reciproci, nel rispetto della giustizia per tutti». Come dunque perseguire l'ambizioso obiettivo della pace? La strada scelta dal Consiglio d'Europa è anzitutto quella della promozione dei diritti umani, cui si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto. È un lavoro particolarmente prezioso, con notevoli implicazioni etiche e sociali, poiché da un retto intendimento di tali termini e da una riflessione costante su di essi dipende lo sviluppo delle nostre società, la loro pacifica convivenza e il loro futuro. Tale studio è uno dei grandi contributi che l'Europa ha offerto e ancora offre al mondo intero. In questa sede sento perciò il dovere di richiamare l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell'umanità. Lo vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un poeta italiano del Novecento, Clemente Rebora, che in una delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano nella terra. In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa immagine. Nel corso della sua storia, essa si è sempre protesa verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità. Ma l'innalzarsi del pensiero, della cultura, delle scoperte scientifiche è possibile solo per la solidità del tronco e la profondità delle radici che lo alimentano. Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo rigogliosi e dritti - si piegano verso terra e cadono. Qui sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. D'altra parte - osserva Rebora - «il tronco s'inabissa ov'è più vero». Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile. Continua a pagina 16 in lingua italiana, spagnola e francese IL CORRIERE DEL SEBETO ISIS: IL CALIFFO È MORTO IN UN RAID DELLA COALIZIONE Il Califfo è ferito, forse addirittura morto. Rimbalza così sui social network una notizia non confermata e non verificabile in maniera indipendente sul terreno, ripresa stasera dal network televisivo al Arabiya, secondo cui il leader dello Stato islamico (Isis), Abu Bakr al Baghdadi, è tra le vittime di raid aerei della coalizione guidata dagli Usa in una località tra la Siria e l’Iraq. Secondo la tv al Hadath, del gruppo editoriale panarabosaudita al Arabiya, nei bombardamenti di oggi su alcune postazioni dell’Isis a Qaim, ultima città irachena nella regione occidentale di al Anbar prima dell’ormai svanito confine con la Siria, è stata colpita una sede dello Stato islamico dove era in corso una riunione dei vertici del gruppo jihadista. Continua a pagina 1 LA LETTERA DEL CENTRO MEDICO DELL'UNIVERSITÀ DI PITTSBURGH CON LA QUALE IGNAZIO MARINO VIENE ALLONTANATO E GLI SI ADDEBITANO FALSI RIMBORSI SPESE (TRA L'ALTRO) Pubblichiamo la traduzione della lettera con cui il 6 settembre del 2002 il numero uno del centro medico dell’Università di Pittsburgh (Jeffrey A. Romoff) ha spiegato a Ignazio Marino i termini del suo allontanamento dalla direzione dell’istituto Mediterraneo per i Trapianti e le Terapie ad Alta Specializzazione: l’Ismett. E' interessante il passaggio nel quale Marino viene apertamente accusato di avere truccato i rimborsi spese..."...è stata intrapresa una completa verifica sulle sue richieste di rimborso spese e sui nostri esborsi nei Suoi confronti. Continua a pagina 1 SMASCHERATI DALLA LEGA Nel D.L. Sono Stati dati 130 Milioni Per Mare Nostrum DA RENZI E ALFANO L'ENNESIMO DECRETO CON SORPRESA. MA QUESTA VOLTA È DAVVERO CLAMOROSA: IL GOVERNO RIFINANZIA L'OPERAZIONE CHE DICE DI VOLER CHIUDERE E PRENDE LE RISORSE DAI TAGLI ALLE FORZE DELL'ORDINE – Continua a pagina 4 ISIS: PARTE IL PIANO PER CONQUISTARE ROMA CONL’AIUTO DELLA TURCHIA REPORT E ANALISI Se credevate che quando l'ISIS disse di voler arrivare a Roma fosse solo un "modo di dire" provate a guardare a cosa sta succedendo in Medio Oriente. Quando lo Stato Islamico, ISIS, disse che il suo obbiettivo era quello di conquistare Roma non lo disse tanto per dire, non era una frase ad effetto. Roma è veramente l’obbiettivo dei terroristi islamici e a confermarlo è il comunicato diffuso ieri da Ansar Bayt al-Maqdis, il gruppo terrorista islamico più attivo e pericoloso nel Sinai. Ansar Bayt alMaqdisha annunciato ieri la sua alleanza con lo Stato Islamico e la sottomissione al Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. «Dal Sinai arriveremo a Gerusalemme e da Gerusalemme spiccheremo il salto verso Roma» hanno detto i terroristi islamici con un comunicato. Continua a pagina 4 NAPOLI. SCONTRI AL CORTEO CONTRO LO «SBLOCCAITALIA». DOPPIO CORTEO IN CENTRO. TANGENZIALE BLOCCATA PER ORE Momenti di forte tensione durante il corteo contro lo Sblocca Italia a Bagnoli. Un gruppo di manifestanti, giunti davanti all'ingresso di Città della scienza nella parte non distrutta dall'incendio, ha provato a entrare forzando il cordone delle forze dell'ordine in tenuta antisommossa. Continua a pagina 5 LA CASERMA NINO BIXIO SEDE DEL QUARTO CELERE DELLA POLIZIA DI STATO DI PIZZOFALCONE SARÀ ACCORPATA DALLA SCUOLA MILITARE NUNZIATELLA . NAPOLI - Una futuro europeo per la Nunziatella. È stato il ministro della Difesa Roberta Pinotti, in visita ieri alla scuola militare di Pizzofalcone, ad aprire un orizzonte extra-confini per lo storico istituto di formazione. Il ministro, accolto dal capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, e dal comandante della scuola, colonnello Maurizio Napoletano (ex allievo della Nunziatella), ha visitato i locali storici per poi incontrare gli allievi nell’aula magna ai quali ha parlato dei progetti di rilancio della scuola, soprattutto rassicurando tutti sulla permanenza a Napoli. Durante il faccia a faccia con i giovanissimi cadetti (alla Nunziatella si frequentano gli ultimi tre anni di liceo classico e scientifico), il responsabile della Difesa ha sottolineato «l’impegno profuso dagli allievi» che per varcare il portone di ingresso devono essere sottoposti ad una selezione rigorosa: negli ultimi concorsi, in media, è stato ammesso solo un allievo su 14 candidati. Nel suo «viaggio» tra i corridoi della scuola, il ministro ha visitato la chiesa, l’infermeria ed anche alcune camerate, soffermandosi dinanzi al «cubo» (ovvero il letto che viene risistemato ogni mattina dagli allievi) ed alcune aule di studio. Continua a pagina 3 All’Accademia Aeronautica di Pozzuoli dichiarata l’apertura dell’Anno Accademico 2014/2015 degli Istituti di Formazione dell’Aeronautica Militare 14/11/2014 - Il 13 novembre, si è svolta, presso Accademia Aeronautica di Pozzuoli, la tradizionale cerimonia di Inaugurazione dell'Anno Accademico 2014/2015 degli Istituti di Formazione dell'Aeronautica Militare alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Generale di Squadra Aerea Pasquale Preziosa. La relazione introduttiva è stata tenuta dal Comandante delle Scuole dell'A.M./3^ Regione Aerea, Generale di Squadra Aerea Franco Girardi, il quale dopo il saluto di benvenuto alle autorità militari, religiose e civili, ai rappresentanti della pubblica informazione ed a tutti gli ospiti, ha illustrato il compito del Comando delle Scuole dell'Aeronautica Militare che provvede alla "selezione" ed alla "formazione" militare, culturale, etica e professionale sia basica sia avanzata di tutto il personale militare della Forza Armata propedeutica al successivo impiego presso i Comandi, gli Enti e i Reparti dell'Aeronautica Militare o Interforze, in ambito nazionale ed internazionale. Ha sottolineato, inoltre, come negli Istituti dipendenti e nelle scuole di volo siano transitati oltre 5600 frequentatori e, nello specifico, 150 fra Ufficiali e Marescialli hanno conseguito la laurea breve. Altri 47 Ufficiali hanno coronato il proprio iter di studi con la laurea magistrale mentre 23 Ufficiali del ruolo naviganti hanno conseguito il brevetto di pilota militare presso le scuole di volo di Lecce e negli Stati Uniti. Fonte Accademia Aeronautica – Pozzuoli Autore: Ten. Giulio Finotti Continua a pagina 2 CELEBRATO NEL COMUNE DI MONTEFUSCO IL 96° ANNIVERSARIO UNITÀ D’ITALIA Il giorno sabato 8 Novembre c.a., presso lo storico ed ameno Comune di Montefusco, in provincia di Avellino, si è svolta una solenne cerimonia in coincidenza con il cadere in tal periodo della “Festa delle Forze Armate”, ma soprattutto con l'inizio della “Commemorazione per il centenario della Prima Guerra Mondiale”. Continua a Pagina 6 Napoli: I Tesori Nascosti La gratitudine verso l’arte. di Laura Cammarota Continua a pagina 11 e pagina 14 IL CORRIERE DEL SEBETO Articles from OmeGANews Libia, qualcosa è andato terribilmente storto di Luigi R. Maccagnani Karim Mezran e Kat herina Pruegel in un loro recente articolo (Limes, Set t. 2014) offrono una ricetta per risollevare il paese: a) il cessate-il-fuoco con ritiro delle milizie da Tripoli e Bengasi; b) lo schieramento di una f orza internazionale di interposizione; c) un governo di unità nazionale. La situazione attuale è fuori controllo: sul campo si combattono da una parte milizie islamiste centrate sulla città di Misurata (città che più di altre ha subito la reazione del regime di Gheddafi nel 2011), e dall’altra quelle di area “antiislamista” o laica, liberamente alleate alla milizia di Zintan. Lo scenario è reso ancora più complicato dalle armi sottratte ai depositi saccheggiati del vecchio regime, dai finanziamenti provenienti da attività illecite e dal sostegno – si sospetta – di organizzazioni esterne. Continua a pagina 13 Napoli: l'Arma dei carabinieri ha celebrato la “Virgo Fidelis” Questa mattina, a Napoli, nella Basilica di Santa Chiara, l’Arma dei Carabinieri ha celebrato la sua Celeste Patrona, “Maria Virgo Fidelis”, il “73° Anniversario della Battaglia di Culqualber” e la “Giornata dell’Orfano”. Alla Santa Messa, officiata dal Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli, è intervenuto il Gen. di Corpo d’Armata Franco Mottola, Comandante Interregionale Carabinieri “Ogaden”, il quale, al termine della funzione religiosa, ha ricordato l’eroico fatto d’armi avvenuto il 21 novembre 1941 nella “Sella di Culqualber”, in Africa orientale, dove un intero Battaglione dei Carabinieri si sacrificò per impedire l’avanzata nemica. Per il valore dimostrato nell’occasione la Bandiera dell’Arma fu insignita della sua seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare e, nel 1949, sua Santità Pio XII, profondamente colpito dal valore e dalla fedeltà dimostrata da quei Carabinieri, decise di proclamare “Maria Virgo Fidelis” Celeste Patrona dell’Arma, fissando la data per le celebrazioni proprio il 21 novembre. La cerimonia si è conclusa con la celebrazione della “Giornata dell’Orfano”. Alla presenza delle numerose Autorità civili e militari intervenute, di una folta rappresentanza dell’Associazione Nazionale dei Carabinieri in congedo e di molti studenti delle scuole di Napoli e Provincia, il Cardinale Sepe ed il Generale di C.A. Franco Mottola hanno premiato due orfani di Carabinieri residenti in Provincia di Napoli, assistiti dall' Opera Nazionale di Assistenza per gli Orfani dei Militari dell’Arma dei Carabinieri, particolarmente distintisi negli studi.L’O.N.A.O.M.A.C. è un ente morale che, dal 1948, grazie al contributo volontario di tutti i Carabinieri, sostiene negli studi e nella crescita gli orfani dei militari dell’Arma mediante l'elargizione di adeguati sussidi nel corso dell’intero ciclo di istruzione, fino al conseguimento della laurea. Perché il 21 novembre si festeggia la Virgo Fidelis Nell’Arma il culto della “Virgo Fidelis” iniziò dopo la seconda guerra Mondiale a otto anni dalla battaglia di “CULQUABER”. Infatti il 21 novembre 1941 si svolse una drammatica battaglia considerata uno dei massimi atti d'eroismo della storia dell’Arma. Coinvolse un intero battaglione di Carabinieri che si sacrificarono per contrastare l'avanzata nemica e che valse alla Bandiera dell'Arma la medaglia d’oro al valore militare. In ricordo degli eventi accaduti in tale data, l'Ordinario Militare d’Italia, S.E. Mons. Carlo Alberto Ferrero di Cavellerone e il Cappellano Militare Capo, P. Apolloni S.J , proposero al Papa Pio XII di riconoscere la vergine Maria, con il titolo di “Virgo Fidelis”, come Patrona dell’Arma dei Carabinieri. Il Comando Generale bandì un concorso artistico per un opera che raffigurasse la Patrona dei Carabinieri. Vinse lo scultore Giuliano Leopardi, il quale rappresentò la Vergine in atteggiamento raccolto mentre, alla luce di una lampada, leggeva in un libro le parole profetiche dell’apocalisse “SII FEDELE SINO ALLA MORTE”. L’11 novembre del 1949 il Papa Pio VII a Castelgandolfo, firmò la bolla e accolse la proposta dichiarando la Beatissima Vergine Maria “Massima Patrona Celeste” presso Dio della grande famiglia chiamata Arma dei Carabinieri d’Italia. Da quella data ogni anno il 21 di novembre si celebra la Patrona Virgo Fidelis e si ricordano i caduti a Culqulabert La difesa Gondarina 41, in Africa Orientale, dopo la caduta di Cheren e dell'Amba Alagi, le operazioni militari vennero ad accentrarsi nell'Amhara, ove il generale Guglielmo Nasi si era arroccato nel sistema difensivo costituito dal ridotto centrale di Gondar e da una serie di capisaldi. La difesa gondarina ebbe la più cruenta espressione nella resistenza del caposaldo di Culqualber, che comprendeva la sella omonima, attraversata da una rotabile a tornanti. Il nemico doveva necessariamente transitare da Culqualber per avanzare su Gondar con i reparti corazzati e le artiglierie. Il terreno della difesa era costituito da una serie di alture ad andamento irregolare, con sommità a cono e ad amba, intersecate da profondi burroni, di difficile percorribilità. Il 6 agosto il generale Nasi rinforzò la difesa di Culqualber con il 1° Gruppo Carabinieri Mobilitato. Il reparto, articolato su due Compagnie nazionali ed una di zaptiè, aveva combattuto brillantemente sulle alture di Blagir e dell'Incet Amba, distinguendosi in particolare nella difesa del fortino di Celgà. Era al comando del maggiore Alfredo Serranti. Il Gruppo Carabinieri fu destinato ad occupare il «Costone dei Roccioni», che si protendeva, con ciglioni a strapiombo, ad Ovest della rotabile verso Gondar, ed il retrostante «Sperone del Km. 39», il più avanzato a Sud, dal lato di Dessiè-Debra Tabor. In tal moto il Gruppo Carabinieri, con il proprio comando al centro di raccordo degli opposti speroni, aveva un occhio sul fronte principale, a Sud, e l'altro su quello di tergo, a Nord. Sul Costone dei Roccioni vi era ancora tutto da fare quanto ad apprestamenti difensivi. I Carabinieri, sorretti dalla volontà di resistere ad oltranza, vi si dedicarono col massimo impiego. Trassero dai burroni pesanti tronchi d'albero per rinforzare i ripari, sforacchiarono la roccia e realizzarono sul Costone posti scoglio a feritoie multiple per assicurare continuità di fuoco su tutte le direzioni. Nel settembre, le formazioni nemiche si erano attestate sul fiume Guarnò e sulle alture del Danguriè, creando una particolare minaccia alle posizioni dei Carabinieri sullo «Sperone del km. 39». Afflussi nemici si erano manifestati anche nella vallata del Gumerà ad interdizione delle comunicazioni con Gondar, per cui il caposaldo di Culqualber era rimasto praticamente isolato ed assediato. Per alleggerire la pressione nemica furono organizzate varie sortite, durante le quali i Carabinieri garantirono la inviolabilità del caposaldo, intervenendo talvolta per fronteggiare i contrattacchi. Con l'assedio, il rifornimento viveri era cessato. Cominciò allora il periodo degli stenti: granaglie, biade, mangime per quadrupedi e taff (minutissimo cereale) venivano ridotti, per mezzo di pietre, in grossolana farina che, impastata e cotta tra sassi roventi e brace, costituiva la «bargutta», cibo principale e spesso unico di ogni pasto. Ma più grave della fame si fece la sete. I due fiumiciattoli, l'Arnò-Guarnò ed il Gumerà, ai quali il caposaldo aveva sino allora attinto l'acqua, si trovavano ormai fuori del raggio di azione delle nostre artiglierie ed i rifornimenti costavano perdite. Rimase accessibile soltanto una minuscola sorgente fuori dalle linee, a lungo contesa con le scimmie. Nelle notti caldo-umide gli asciugamani, appositamente esposti, si bagnavano e fu solo con essi che durante tre mesi venne provveduto alla pulizia personale. Ma via via che le scorte andavano esaurendosi, che le uniformi si strappavano in combattimento o durante il lavoro, la volontà di ognuno di resistere ad oltranza diventava più ostinata. Comunque, il problema del vettovagliamento doveva essere in qualche modo affrontato: fu deciso di procurare i viveri sottraendoli al nemico nel corso di puntate offensive. La prima puntata del 18 ottobre, voluta dal comandante della difesa per sondare gli apprestamenti nemici verso Nord e per distruggere quelli in allestimento sull'altura di Lambà Mariam, a 15 km. circa dalle nostre linee, fu la più importante e cruenta fra le molte condotte nel corso della resistenza di Culqualber. Essa ebbe il preminente contributo dei Carabinieri e consegui risultati di insperato rilievo per perdite inflitte al nemico, cattura di armi, munizioni, materiali vari, vettovaglie e successo manovriero dei reparti. Sfruttando prontamente gli effetti della sorpresa, i Carabinieri mossero d'impeto all'assalto frontale, incalzando i nemici fuggiaschi ed eliminando all'arma bianca, senza spreco di munizioni, le superstiti resistenze. Lambà Mariam e l'intero complesso degli apprestamenti e depositi avversari, obbiettivo della puntata, fu presto nelle nostre mani. Un immediato rientro appariva imprudente per la possibilità di contrattacchi, ma il comandante della difesa sapeva di poterlo tentare, facendo perno sulla saldezza dei Carabinieri. Affidate al maggiore Serranti le posizioni occupate, inseguì con reparti coloniali l'avversario in rotta, ricacciandolo sin oltre il Gumerà. Senonché, mentre si riportava a Lambà Mariam, la posizione venne attaccata sul fianco Est da gruppi avversari. I Carabinieri furono pronti a respingere il nemico. Il rientro a Culqualber poté così avvenire con i reparti articolati combattivamente e protetti sul tergo dagli stessi Carabinieri, che operarono alla perfezione benché al termine di una notte di marcia, seguita da una giornata di combattimenti, con morti e feriti barellati e i piedi sanguinanti. Infatti, non appena il nemico si rivelò in fase controffensiva, i Carabinieri lo lasciarono avvicinare, attaccandolo quindi con tiro efficace, per cui non gli fu possibile incunearsi fra i nostri reparti. Per l'operazione di Lambà Mariam, i Carabinieri furono premiati con la Menzione Onorevole nel Bollettino del Quartier Generale delle FF.AA. n. 505, che diede atto della brillante vittoria riportata in condizioni estremamente delicate, con lievi perdite nostre (36 caduti e 31 feriti), ma gravi per il nemico. L'efficace operazione consentì al caposaldo di Culqualber un temporaneo respiro dalla pressione avversaria; inoltre, il bottino di viveri migliorò per diverso tempo il razionamento e rese con ciò possibile l'ulteriore resistenza. Ma la tregua fu di breve durata. Nei giorni successivi affluirono reparti corazzati e rinforzi nemici d'ogni genere, nonché decine di migliaia di irregolari al comando di ufficiali britannici. Cominciarono allora i lanci di manifestini e le insistenti intimazioni di resa, intervallate da formidabili concentramenti d'artiglieria e da bombardamenti aerei. Più volte si fece avanti una camionetta con bandiera bianca, sempre respinta. Altre volte il nemico inviò al caposaldo sacerdoti copti nella speranza di far breccia sui difensori ed ottenerne la resa. Ma il comandante della difesa rinviò i messaggeri, avvertendoli che la risposta gli inglesi l'avrebbero avuta soltanto dalle armi. Dal 21 ottobre il nemico mise in continua azione tutti i mezzi offensivi. Nessun movimento fu più possibile in superficie; di notte il terreno veniva spazzato con tiri predisposti; di giorno si aggiungeva la giostra degli aerei col loro implacabile martellamento. Il 2 novembre fu distrutto l'ospedaletto da campo e fu sconvolto il cimitero. Sul far del 5 novembre un poderoso attacco venne infranto sugli spalti meridionali del caposaldo, specie ad opera della 1a Compagnia Carabinieri, alla quale il comandante della difesa tributò il 6 novembre il seguente encomio: «Dislocata alle opere avanzate del più minacciato settore della difesa di Gulqualber si segnalava per incessante eroica combattività, frustrando di giorno e di notte ripetuti attacchi anglo-ribelli, svolgendo ardita e fruttuosa attività di pattuglia, spinta talora sin entro il dispositivo nemico e fornendo, con la sua saldezza spirituale, piena garanzia d'integrità dei caposaldo sul fronte affidatole. Attaccata verso l'alba del 5 corrente da forze più volte superiori di numero, usciva con ben usufruito concorso della artiglieria presidiaria, il perfetto sfruttamento dei faticati apprestamenti difensivi e la felice condotta tattica della propria reazione - a respingere il nemico, cui infliggeva perdite particolarmente gravi, sventando così una seria minaccia alla complessiva difesa del caposaldo». Continua a pagina 14 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°1 ISIS : IL CALIFFO È MORTO IN UN RAID DELLA COALIZIONE Il Califfo è ferito, forse addirittura morto. Rimbalza così sui social network una notizia non confermata e non verificabile in maniera indipendente sul terreno, ripresa stasera dal network televisivo al Arabiya, secondo cui il leader dello Stato islamico (Isis), Abu Bakr al Baghdadi, è tra le vittime di raid aerei della coalizione guidata dagli Usa in una località tra la Siria e l’Iraq. Secondo la tv al Hadath, del gruppo editoriale panarabo-saudita al Arabiya, nei bombardamenti di oggi su alcune postazioni dell’Isis a Qaim, ultima città irachena nella regione occidentale di al Anbar prima dell’ormai svanito confine con la Siria, è stata colpita una sede dello Stato islamico dove era in corso una riunione dei vertici del gruppo jihadista. Non vi sono ancora prove fotografiche o video della morte o del solo ferimento di al Baghdadi, che nei mesi scorsi si è autoproclamato Califfo e principe dei credenti. La prima e finora ultima apparizione video di Baghdadi risale all’agosto scorso, quando diresse la preghiera comunitaria musulmana nel venerdì che precedeva il mese del digiuno di Ramadan nella Grande Moschea di Mosul, la seconda città irachena conquistata in giugno dall’Isis. Già nei mesi scorsi si erano rincorse notizie, mai confermate, dell’uccisione o del ferimento di Baghdadi in raid aerei della coalizione arabo-occidentale guidata dagli dagli Stati Uniti. L’ultima volta, il 6 settembre, era persino apparsa una ‘foto di Baghdadi morto’, raffigurante un volto con gli occhi chiusi molto somigliante a una delle immagini note del leader jihadista. In quel caso, il Pentagono aveva smentito la notizia. I bombardamenti odierni su Qaim fanno parte della serie di raid condotti nelle ultime 24 ore dagli aerei della coalizione in Iraq settentrionale e nella Siria orientale e settentrionale. Obama, ok invio ulteriori truppe in Iraq. Aumenta sensibilmente il coinvolgimento militare degli Stati Uniti in Iraq: nell’ambito dell’offensiva contro i jihadisti dell’Isis, il presidente Barack Obama ha autorizzato l’invio di un nuovo contingente di soldati americani, fino ad ulteriori 1.500, di fatto quasi un raddoppio rispetto ai 1.600 già inviati nelle settimane scorse, a partire dalla scorsa estate. Tuttavia, ha ribadito ancora la Casa Bianca, niente ‘boots on the ground’, i soldati Usa in Iraq non avranno incarichi o missioni di combattimento.”Nell’ambito della nostra strategia per rafforzare i partner sul campo, il presidente Obama ha oggi autorizzato il dispiegamento di ulteriori militari Usa, fino ad altri 1.500″, che “non avranno un ruolo da combattimento”, ma saranno lì “per addestrare, consigliare e assistere le forze di sicurezza irachene, comprese le forze curde”, ha reso noto il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Obama, si legge in un comunicato, “ha inoltre autorizzato il personale militare americano a condurre queste missioni nelle strutture militari irachene al di fuori di Baghdad ed Erbil”. In particolare, secondo varie fonti, nella turbolenta provincia sunnita di al Anbar. La decisione del Commander in Chief era nell’aria da tempo. Specie dopo che nei giorni scorsi è emerso che, con l’aiuto dei consiglieri militari americani, le forze irachene stanno pianificando per la prossima primavera una grande offensiva contro i jihadisti dell’Isis nel Nord del Paese. Scopo dell’offensiva di terra sarà quello di infrangere entro il 2015 il controllo esercitato dallo Stati islamico sulla città di Mosul e altri centri, e sulle maggiori arterie stradali che collegano la regione alla frontiera con la Siria, hanno affermato funzionari Usa citati in forma anonima dal New York Times.L’operazione richiede però l’addestramento e utilizzo di tre nuove divisioni militari irachene, per un totale di oltre 20 mila soldati. In questo senso, ha reso noto il Pentagono, il Comando Centrale Usa stabilirà “diversi siti” nel Nord, Est e Sud dell’Iraq che consentiranno l’addestramento di 12 brigate irachene, ovvero, nove dell’esercito e tre di peshmerga crudi. Nella sua prima conferenza stampa dopo la sconfitta elettorale di midterm, Obama aveva tra le altre cose annunciato la sua intenzione di chiedere al Congresso, ora controllato dai repubblicani, una nuova autorizzazione all’uso della forza militare contro l’Isis. Allo stesso tempo, la Casa Bianca ha inoltre reso noto che il presidente si prepara a chiedere al Congresso 5,6 miliardi di dollari per operazioni militari all’estero, compresi 1,6 miliardi per addestrare ed equipaggiare le forze irachene. Tutte mosse che sembrano far seguito ad un nuovo orientamento del Commander in chief, anche se, precisa sempre la Casa Bianca, la decisione di inviare altri soldati è maturata “su richiesta del governo iracheno e su raccomandazione del Segretario alla Difesa Chuck Hagel e dei suoi comandanti, sulla base delle valutazioni delle necessità delle forze armate irachene”. LA LETTERA DEL CENTRO MEDICO DELL'UNIVERSITÀ DI PITTSBURGH CON LA QUALE IGNAZIO MARINO VIENE ALLONTANATO E GLI SI ADDEBITANO FALSI RIMBORSI SPESE (TRA L'ALTRO) Pubblichiamo la traduzione della lettera con cui il 6 settembre del 2002 il numero uno del centro medico dell’Università di Pittsburgh (Jeffrey A. Romoff) ha spiegato a Ignazio Marino i termini del suo allontanamento dalla direzione dell’istituto Mediterraneo per i Trapianti e le Terapie ad Alta Specializzazione: l’Ismett. E' interessante il passaggio nel quale Marino viene apertamente accusato di avere truccato i rimborsi spese..."...è stata intrapresa una completa verifica sulle sue richieste di rimborso spese e sui nostri esborsi nei Suoi confronti. Tale verifica è attualmente in corso. Alla data di oggi, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’UPMC e alla filiale italiana. Fra le altre irregolarità, abbiamo scoperto dozzine di originali duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano...""...salvo che l’UPMC non sia tenuta a rivelare le circostanze del Suo allontanamento a dirigenti selezionati e membri del Consiglio di amministrazione dell’UPMC e funzionari in Italia coinvolti con l’ISMETT a causa di obblighi fiduciari di UPMC nei loro confronti, l’UPMC manterrà confidenziali i termini delle Sue dimissioni e delle circostanze che le hanno affrettate..." .MA LEGGETELA TUTTA, QUI SOTTO TROVATE IL TESTO COMPLETO: Gentile dottor Marino, per varie ragioni Lei ha espresso il Suo desiderio di presentare le dimissioni dalla Sua posizione presso lo UPMC (University of Pittsburgh Medical Center) e da altre posizioni che derivano da tale rapporto. Secondo i termini e le condizioni indicate di seguito, l’UPCM accetterà le Sue dimissioni, con effetto da oggi. Le Sue dimissioni riguardano tutte le posizioni presso UPMC Health System così come i privilegi dello staff medico presso gli ospedali UPMCHS e il Veterans Administration Hospital di Pittsburgh, Pennsylvania. Lascerà anche la Sua posizione in facoltà presso la Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh e si dimetterà anche da direttore dell’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (ISMETT) e dal Centro Nazionale Trapianti italiano. In conseguenza delle Sue dimissioni, a partire da oggi cesserà di ricevere qualsiasi compenso, prebenda e benefit. A questo proposito, accadrà quanto segue: 1. L’UPMC non provvederà oltre al pagamento del Suo alloggio, ma può restare nell’appartamento sino al 30 settembre 2002. Tuttavia, a partire da oggi, l’UPMC terminerà immediatamente il pagamento dei servizi di aiuto domestico, e Lei sarà responsabile per ogni servizio, la tv via cavo e le altre fatture legate all’appartamento. 2. Per venerdì 13 settembre 2002 provvederà a restituirci tutti i cellulari, i cercapersone, i computer portatili, i documenti identificativi, le chiavi ecc., sia italiani sia americani. La Sua auto e le chiavi della Sua auto dovranno essere consegnati a Giuseppe Alongi a Palermo. 3. Tutte le carte di credito così come le carte di acquisto dell’UPMC saranno immediatamente restituite a Giuseppe Alongi. 4. Qualsiasi altro pagamento da parte dell’UPMC o di qualsiasi sua società controllata verso di Lei o la Sua famiglia si interromperà oggi e Lei accetta di rimborsare l’UPMC Italia per qualsiasi pagamento anticipato. In conformità con la policy dell’UPMC la Sua copertura assicurativa sanitaria e dentistica proseguirà fino al 30 settembre del 2002. Dopo tale data, e se non richiesto altrimenti, Le saranno forniti tutti i diritti offerti dalla normativa vigente in materia (COBRA, Consolidated Omnibus Budget Reconciliation Act). Sempre in conformità con la policy dell’UPMC, provvederà a restituire immediatamente tutti gli archivi e i documenti, sia in forma elettronica sia cartacea, che Lei ha rimosso o dei quali ha causato la rimozione dall’ufficio di Palermo e non rimuoverà alcun archivio né da Palermo né da Pittsburgh senza l’autorizzazione dell’UPMC. Tutti i libri e i giornali acquistati dall’UPMC o dalla Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh dovranno restare nell’ufficio di Palermo o in quello di Pittsburgh o, se dovesse scegliere di trattenerne qualcuno, li potrà acquistare a un prezzo ragionevole. Per permettere una regolare transizione, i Suoi effetti personali potrebbero essere rimossi dal Suo ufficio entro venerdì 13 settembre 2002. Come richiesto dalla nostra policy, l’UPMC supervisionerà con discrezione la rimozione degli oggetti dal Suo ufficio. A partire da venerdì 13 settembre 2002, il Suo ufficio dovrà essere liberato, Lei non farà ritorno all’ufficio di Palermo, né a quello di Pittsburgh, o all’ospedale di Palermo a meno che non le sia richiesto da unrappresentante autorizzato dell’UPMC. Come Lei sa, nell’iter ordinario necessario a elaborare le Sue recenti richieste di rimborsi spese, l’UPMC ha scoperto che Lei ha presentato la richiesta di rimborso di determinate spese sia all’UPMC di Pittsburgh sia alla sua filiale italiana. Di conseguenza è stata intrapresa una completa verifica sulle sue richieste di rimborso spese e sui nostri esborsi nei Suoi confronti. Tale verifica è attualmente in corso. Alla data di oggi, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’UPMC e alla filiale italiana. Fra le altre irregolarità, abbiamo scoperto dozzine di originali duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano. Sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’UPMC Italia. Avendo sinora completato soltanto una revisione parziale dell’ultimo anno fiscale, l’UPMC ha scoperto circa 8 mila dollari in richieste doppie di rimborsi spese. Tutte le richieste di rimborso spese doppie, a parte le più recenti, sono state pagate sia dall’UPMC sia dalla filiale. Come restituzione dei rimborsi spese doppi da Lei ricevuti (lei, ndt) accetta di rinunciare a qualsiasi pagamento erogato dall’UPMC o dall’UPMC Italia ai quali avrebbe altrimenti diritto, compresi (a titolo esemplificativo ma non esaustivo) lo stipendio per il mese di settembre 2002 e il pagamento per qualsiasi giorno di vacanza, permesso o malattia accumulato. Accetta inoltre di rinunciare a ogni diritto contrattuale per il trattamento di fine rapporto che potrebbe ottenere in seguito alle Sue dimissioni e solleva ulteriormente, congedandosi per sempre da esse, l’UPMC e tutte le sue filiali, compresi ma non soltanto la UPMC Italia e i suoi successori e aventi causa, da ogni e qualsiasi richiesta che possa avere ora o potrà avere in futuro, risultanti da eventi antecedenti a questa lettera. L’UPMC La solleva da ogni altra restituzione per i rimborsi spese doppi da Lei ricevuti. Rispetterà i termini e l’impegno contenuto nel suo Accordo esecutivo di lavoro con l’UPMC del 1 gennaio 1997 come espresso nei paragrafi 3C, 3D e 4 del suddetto Accordo. Si asterrà dall’esprimere qualsiasi commento sia in pubblico sia in privato che, intenzionalmente o no, possa essere considerato dispregiativo dell’UPMC e/o di ogni sua filiale, consociata, direttore, funzionario o impiegato o possa in qualsiasi modo compromettere le operazioni dell’UPMC o avere un impatto negativo sulla reputazione dell’UPMC in Italia o in qualsiasi altro luogo del mondo. Salvo che l’UPMC non sia tenuta a rivelare le circostanze del Suo allontanamento a dirigenti selezionati e membri del Consiglio di amministrazione dell’UPMC e funzionari in Italia coinvolti con l’ISMETT a causa di obblighi fiduciari di UPMC nei loro confronti, l’UPMC manterrà confidenziali i termini delle Sue dimissioni e delle circostanze che le hanno affrettate. L’UPMC l’avviserà di tale rivelazione e avviserà coloro ai quali verrà fatta tale rivelazione che le circostanze riguardo le Sue dimissioni sono confidenziali. Su richiesta proveniente da qualsiasi potenziale datore di lavoro o partner commerciale, l’UPMC Le fornirà referenze neutrali, ovvero saranno fornite soltanto le date del rapporto di lavoro e la posizione da Lei occupata. Nell’eventualità in cui l’UPMC determinasse che Lei non ha rispettato una qualsiasi delle condizioni di dimissioni elencate nei paragrafi precedenti di questa lettera, l’UPCM non sarà vincolata a nessuna delle promesse illustrate in questo paragrafo in materia di riservatezza e referenze. Fermo restando tuttavia che l’UPMC, prima di contravvenire a tali promesse, Le farà pervenire con anticipo ragionevole una comunicazione dettagliata e le darà una ragionevole opportunità di rispondere e/o rimediare.La sua firma sulla linea sottostante indicherà l’accettazione di questi termini e la Sua intenzione di essere legalmente vincolato a essi. Cordialmente, Jeffrey A, Romoff IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°2 DISFATTA DI OBAMA I REPUBBLICANI CONQUISTANO L'AMERICA. LA DESTRA ALLE ELEZIONI DEL MEDIO TERMINE OTTIENE LA MAGGIORANZA DEI SEGGI SIA DELLA CAMERA SIA DEL SENATO di Mattia Ferraresi Il principale problema dei commentatori politici incollati a Twitter nella notte dello spoglio è stato trovare il termine giusto. Il classico “landslide”, la vittoria a valanga, non rende l’idea. Il Partito repubblicano ha ufficializzato la conquista della maggioranza al Senato attorno alle 23.30 e ora attende con soddisfazione di quantificare il margine. La mappa completa del nuovo potere repubblicano si avrà dopo il 6 dicembre, quando si terrà il ballottaggio per il seggio in Louisiana (la democratica Mary Landrieu è favorita) ma al momento il guadagno netto di nove seggi – ovvero tutti quelli contendibili – è ancora alla portata del Gop. Il sogno è quello di eguagliare il +9 del 1994, anno elettorale glorioso per i repubblicani. Anche allora un democratico abitava alla Casa Bianca.I repubblicani hanno vinto dove si presentavano da sfidanti (Colorado, Arkansas, Iowa, North Carolina) e hanno tenuto con distacchi enormi negli stati dove già detenevano il seggio (Georgia, Kentucky). Ancora incerto l’esito in Alaska, l’ultimo stato a chiudere le operazioni di voto. Nel giro di qualche ora dalla chiusura dei seggi elettorali si è capito che non c’era storia. Le competizioni che i democratici consideravano abbordabili si sono tramutate in fragorose sconfitte, quelle sicure si sono ridotte a vittorie di misura. Un macroscopico errore di prospettiva. Nella roccaforte liberal del New Hampshire il margine fra il repubblicano Scott Brown e la democratica e Jeanne Shaheen è così ridotto che si parla di un “recount” . Per settimane la distanza in fra il leader dell’opposizione al Senato Mitch McConnell e la giovane Alison Lundegran Grimes in Kentucky è stata venduta dai sondaggisti come risibile, forse addirittura dentro il margine di errore. McConnell ha vinto con quasi 17 (diciassette) punti di vantaggio, e con una performance del genere sarà difficile per gli intransigenti del partito impedirgli di diventare il leader del Senato. Dinamica simile in Georgia, dove le performance pre elettorali di Michelle Nunn hanno titillato il sogno democratico di una breccia nel sud repubblicano: Nunn ha perso di dieci punti. Forse nessuna corsa rende l’idea della disperazione democratica quanto quella di Wendy Davis, candidata al posto di governatore in Texas e già protagonista di una campagna nazionale che le ha dato lustro e visibilità presso il mondo liberal. E’ stata spazzata via con un distacco di oltre 21 punti percentuali. E sempre in tema di governatori, l’idolo del Wisconsin repubblicano Scott Walker ha stravinto la sua terza elezione in quattro anni, mentre l’Illinois, lo stato di Barack Obama avrà un governatore di destra. Se queste elezioni di medio termine sono da intendere come un referendum sull'operato di Obama, il presidente ne esce distrutto. All’Accademia Aeronautica di Pozzuoli dichiarata l’apertura dell’Anno Accademico 2014/2015 e degli Istituti di Formazione dell’Aeronautica Militare "Più che dei numeri, dobbiamo essere orgogliosi dell'impegno e della passione di tutto il nostro personale, sempre proteso verso nuove metodologie formative; pronti a capire il segno dei cambiamenti ed assicurare costantemente una qualità dei risultati ottenuti" ha dichiarato il Generale Girardi, aggiungendo inoltre che "la formazione oggi è meno che mai un compito semplice: l'anno accademico da poco concluso e ancor più quello che si profila sono caratterizzati da sfide molto impegnative legate al perdurare della crisi economica/finanziaria, a fronte della necessità antitetica di investire in formazione di assoluta eccellenza" La tradizionale prolusione è stata tenuta dal Ministro degli Affari Esteri del Qatar, S.E. Dr Khalid bin Mohamed Al-Attiyah che rivolgendosi alla platea ha detto: "Vedo uomini e donne brillanti pronti a dedicare le loro vite al servizio di una causa superiore" Nel corso del suo intervento, il Ministro degli Affari Esteri si è detto fiducioso per il futuro dell'Italia ed in generale per un futuro più pacifico e sicuro per tutti. Successivamente, S.E. Dr. Khalid bin Mohamed Al-Attiyah ha evidenziato quanto "l'alleanza tra l'Italia e lo stato del Qatar non sia solo storica ma profonda, forte e viva". Il Ministro ha poi ricordato la grande espansione del volume di scambi commerciali, che ha reso l'Italia "uno dei cinque maggiori fornitori del Qatar", e la collaborazione in politica estera, che ha portato al raggiungimento di importanti obiettivi condivisi, come nella primavera del 2011 in occasione della liberazione del popolo libico dalla dittatura. Il Ministro Al-Attiyah ha poi enfatizzato le numerose collaborazioni esistenti tra i due Paese in diversi campi, tra cui l'ambiente, la salute, la ricerca biotecnologica, le telecomunicazioni, i media, le scienze aeronautiche ed l'istruzione. Nel suo intervento, il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, nel ringraziare tutti gli intervenuti ha affermato "Questa non è una cerimonia pro-forma, è il rinnovamento dello spirito e oggi sono particolarmente lieto di dare il benvenuto in Italia, in casa dell'Aeronautica Militare al S.E. Khalid bin Mohamed AlAttiyah, Ministro degli Esteri del Qatar, al quale rivolgo tutta la mia personale gratitudine e quella della Forza Armata e dell'Italia per l'assoluta disponibilità e la pronta ed entusiastica adesione al nostro invito". Rivolgendosi ai veri protagonisti di questa giornata, i frequentatori: "Per loro la cerimonia di apertura dell'anno accademico assume significati diversi, per alcuni segna l'ingresso ufficiale in Forza Armata, per altri un ulteriore momento di intensa formazione, per altri ancora uno degli impegni prima del trasferimento ai reparti operativi. Eduardo De Filippo diceva - gli esami non finiscono mai - e non finiscono neanche per un Capo di Stato Maggiore e voi, giovani frequentatori dei corsi di formazione dell'Aeronautica Militare non lo dovete dimenticare mai. Dovete fare i conti con un'equazione complicata, soddisfare la domanda di sicurezza con risorse in diminuzione: questa è la sfida di oggi ed anche del prossimo futuro". Durante la cerimonia sono stati consegnati alcuni Riconoscimenti ai frequentatori che si sono distinti nel corso dei vari iter istruzionali. Nel dettaglio, è stato conferito il "Premio annuale per l'attitudine militare nelle Accademie", istituito dall'Ordine Militare d'Italia nel 1996 e destinato agli Allievi di tutte le Accademie Militari distintisi nell'attitudine militare al termine del 2° anno di corso all'Aspirante Fausto Pizzi del corso accademico "Pegaso V". Inoltre, sono state consegnati: il "Premio Douhet/Mitchell" al Tenente Colonnello Roberto Visintin del Centro di Formazione Aviation English di Loreto e al Tenente Colonnello Stefano Zito del Reparto Addestramento Controllo Spazio Aereo, di Pratica Di Mare per l'elaborazione dell'articolo di stampa dal titolo: "Potere aerospaziale, tecnologia ed economia" durante la frequenza del 4° Corso Formazione Direttiva Avanzata presso l'Istituto di Scienze Militari di Firenze e la "Daga d'Onore" al Maresciallo 3^ Cl. Francesco D'Agosta, primo classificato nella graduatoria del 14° Corso Normale Marescialli "RESHEF" della Scuola Marescialli di Viterbo. Particolarmente significativa la consegna del Professor Emerito Tullio D'Aponte dell'Università Federico II di Napoli, al Capo di Stato Maggiore dell'A.M. di 4 medaglie d'argento in memoria degli Ufficiali scomparsi nell'incidente aereo di Gimigliano di Venarotta. Il Comando delle Scuole dell'A.M./3^ R.A. con sede a Bari ha alle proprie dipendenze i seguenti Enti: l'Istituto di Scienze Militari Aeronautiche (Firenze), l'Accademia Aeronautica (Pozzuoli), la Scuola Marescialli (Viterbo), la Scuola Specialisti A.M. (Caserta), la Scuola Volontari di Truppa A.M. (Taranto), la Scuola di Lingue Estere (Loreto) e il 61°, 70° e 72° Stormo con sedi rispettivamente a Lecce, Latina e Frosinone. Nel corso del suo intervento il ministro degli Affari Esteri del Qatar, Khalid bin Mohamed Al-Attiyah, rivolgendosi al Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, generale di squadra aerea Pasquale Preziosa, ha ricordato le quattro vittime: «Come ex pilota di caccia - ha detto - sento un forte senso di fratellanza con tutti voi qui riuniti e con coloro che sono caduti in servizio». Il ministro poi ha sottolineato l'importanza delle Forze Armate, in particolare dell'Aeronautica Militare «che ha addestrato alcuni dei migliori uomini e donne che io conosca. Il ruolo dell'Aeronautica Militare non può essere sottovalutato in un mondo in continuo cambiamento, che richiede nuove conoscenze e specializzazioni, come confermato dagli ultimi eventi in medio orientè. Khalid bin Mohamed Al-Attiyah ha espresso parole di apprezzamento per il ruolo dell'Italia nel promuovere la pace internazionale, ricordando che «i nostri Paesi sono al fianco dei popoli che chiedono libertà e giustizia. Non riesco ad immaginare un modo più appropriato per onorare i nostri eroi caduti che dedicare noi stessi pienamente all'instancabile ricerca della pace». Il ricordo dei quattro piloti scomparsi ad agosto nei cieli delle Marche nello scontro tra due tornado è stato al centro della cerimonia che si è tenuta all'Accademia Aeronautica Militare di Pozzuoli. Fonte: Accademia Aeronautica – Pozzuoli Autore : Ten. Giulio Finotti Affresco - Palazzo Comunale di Talla Arezzo – Autore e.g.c. IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°3 LA NUNZIATELLA È SALVA: «SARÀ SCUOLA EUROPEA» NAPOLI - Una futuro europeo per la Nunziatella. È stato il ministro della Difesa Roberta Pinotti, in visita ieri alla scuola militare di Pizzofalcone, ad aprire un orizzonte extra-confini per lo storico istituto di formazione. Il ministro, accolto dal capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, e dal comandante della scuola, colonnello Maurizio Napoletano (ex allievo della Nunziatella), ha visitato i locali storici per poi incontrare, nell’aula magna, gli allievi ai quali ha parlato dei progetti di rilancio della scuola, soprattutto rassicurando tutti sulla permanenza a Napoli. Durante il faccia a faccia con i giovanissimi cadetti (alla Nunziatella si frequentano gli ultimi tre anni di liceo classico e scientifico), il responsabile della Difesa ha sottolineato «l’impegno profuso dagli allievi» che per varcare il portone di ingresso devono essere sottoposti ad una selezione rigorosa: negli ultimi concorsi, in media, è stato ammesso solo un allievo su 14 candidati. Nel suo «viaggio» tra i corridoi della scuola, il ministro ha visitato la chiesa, l’infermeria ed anche alcune camerate, soffermandosi dinanzi al «cubo» (ovvero il letto che viene risistemato ogni mattina dagli allievi) ed alcune aule di studio. Per la Pinotti si tratta della prima visita nello storico istituto di formazione militare fondato nel 1787. Il responsabile della Difesa è rimasto affascinato dalla struttura e dalla storia racchiusa tra le mura del «Rosso Maniero» ed ha promesso che tornerà presto. «La Nunziatella è una testimonianza di storia ed impegno ed il suo orizzonte presto potrebbe diventare europeo, acquistando appeal anche fuori dai confini nazionali», ha detto il ministro dopo la visita. Il progetto di sviluppo europeo è però legato all’acquisizione della vicina caserma Bixio (di proprietà del Comune di Napoli e da sempre in uso alla Polizia di Stato): con nuovi spazi, la Nunziatella si candiderebbe a diventare la prima scuola militare d’Europa, aperta quindi a tutti i ragazzi del Continente. Il progetto allo studio è questo: la Nunziatella acquisirà la caserma Bixio e la Polizia andrà ad occupare la caserma Boscariello a Miano. Il Comune di Napoli avrà in cambio alcuni immobili di proprietà della Difesa. Si tratta molto più di un progetto: siamo già alla fase preliminare all’esecuzione. Il piano supera tutte le difficoltà legate al mancato svuotamento della Nino Bixio per la sopraggiunta decisione di non costruire più la cittadella della polizia nell’area Est della città. Qui avrebbe dovuto trovare sede il reparto mobile della Polizia che è appunto nella Bixio. La disponibilità di quest’ultima caserma consentirà di utilizzarne i locali, con il trasferimento di tutte le aule dal «Rosso Maniero» dove resteranno solo gli uffici del comando della scuola. «Stiamo studiando - ha sottolineato il ministro - con grande attenzione la problematica legata alla riqualificazione delle caserme in Campania, specialmente a Napoli. Alcuni complessi hanno carattere monumentale e vanno trattati con una particolare cura. Non è semplice un’operazione del genere trovando le coperture finanziarie in così poco tempo». Un riferimento chiaro, dopo le recenti polemiche, anche alla Scuola dell’Aeronautica militare nella Reggia di Caserta: i militari non lasceranno Terra di Lavoro, ci sarà solo un (progressivo e concordato) piano di uscita dal complesso monumentale. Alla Nunziatella il ministro ha incontrato il governatore Stefano Caldoro, il prefetto Francesco Musolino, il comandante dell'Accademia militare di Modena, generale Giuseppenicola Tota, il comandante interregionale dei carabinieri Franco Mottola (ex allievo della Nunziatella), il questore Guido Marino, il comandanti interregionale della Finanza Domenico Achille e quello dell’Accademia Aeronautica Fernando Giancotti. Oltre ad un gruppo dell’associazione degli ex allievi. IL GRAN QUARTIERE DI PIZZOFALCONE O PRESIDIO DI PIZZOFALCONE, OGGI CASERMA NINO BIXIO È un edificio Militare sito a Napoli, all'apice di Via Monte di Dio, sulla Collina di Pizzofalcone, nel quartiere San Ferdinando. Fu prima testimone e poi custode della storia di diversi Reggimenti di Bersaglieri di Vincenzo Iavarone Nel 1651 il viceré Conte d'Oñate comprò il Palazzo Carafa di Santa Severina per stanziarvi le truppe spagnole fino ad allora alloggiati nella zona a ridosso di via Toledo nei quartieri spagnoli. Inizialmente i soldati vennero suddivisi tra Palazzo Carafa ed i suoi giardini. Solo tra il 1667 e il 1670 il viceré Pedro Antonio di Aragona fece costruire, sulla superficie precedentemente occupata dai giardini, il Gran Quartiere di Pizzofalcone, così da permettere un migliore sistemazione della guarnigione spagnola. L'edificio non ha mai variato la propria destinazione d'uso. Subito dopo l'Unità d'Italia ospitò il 1º Reggimento bersaglieri "Napoli". Dopo la seconda guerra mondiale divenne caserma della Polizia di Stato, adibita ad ospitare il IX Reparto mobile di Napoli, successivamente (1971) il IV Reparto Celere delle guardie di pubblica sicurezza fino a diventare il IV Reparto mobile della Polizia di Stato di Napoli. Nell’ambito dell'Unesco del Progetto per il centro storico di Napoli è nata un’idea di progetto per il recupero, restauro e rifunzionalizzazione della caserma Nino Bixio, di archivio militare e della chiesa dell'Immacolatella a Pizzofalcone. Napoli ed i Bersaglieri :La città di Napoli ha avuto sempre un legame affettivo e tangibile molto forte, quasi naturale, con i Bersaglieri per diverse ragioni: per la storia di molti napoletani e la storia della stessa città che si è intrecciata molto spesso e per lungo tempo con la storia bersaglieresca o addirittura è coincisa, infatti Napoli ha dato un grande contributo di appartenenti alle Fiamme Cremisi. Napoli fu prima testimone e poi custode della storia cremisi attraverso la presenza di diversi Reggimenti Bersaglieri nella Caserma di Pizzofalcone, la quale avendo una posizione centrale nella parte più storica e più antica della città, ha prodotto un contatto e un legame intimo con il suo popolo che si è rinsaldato man mano negli anni. Tra l’altro Pizzofalcone, che si trova sul monte Echia, è intimamente legato a tutte le vicende, remote e meno recenti della storia partenopea, ed è il luogo dove si vuole che ci siano state le origini della città di Partenope con il primo insediamento di una colonia greca (Cumani) che nel tempo si sviluppò in pianura con il nuovo nome di Neapolis. Quindi, straordinaria coincidenza! Dove nasce la città di Napoli e ci sono le sue origini, c’è il primo insediamento e quindi le origini della presenza dei Bersaglieri a Napoli, i quali per circa un secolo, dalla caserma di Pizzofalcone quotidianamente “invadevano” la città fondendosi con il suo popolo, con le sue tradizioni e con la sua cultura ed il popolo napoletano ogni giorno li salutava e li accompagnava quando trafelati rientravano nella Caserma di Pizzofalcone cantando la nota canzone di Cinquegrana e Di Capua. Non è senza significato rilevare che, mentre le schiere dei fanti piumati che fecero il loro ingresso in Napoli nel 1860 erano formate esclusivamente da piemontesi, poi, i reparti bersaglieri a Napoli furono costituiti da una grande maggioranza di meridionali e solo da un nucleo di piemontesi. Sentimenti di simpatia e di affetto, che man mano si sono rinsaldati, quando, non di rado i reparti sfilavano per le vie della città per manifestazioni militari o per trasferirsi al poligono di tiro a Fuorigrotta e si sentivano le urla degli “scugnizzi” che si affiancavano ai reparti in marcia o in corsa e correndo al loro fianco e saltellando in uno sfottò non offensivo; questi ragazzi a modo loro erano felici e celavano un senso di ammirazione e i bersaglieri li sentivano loro amici, loro ammiratori, dei fratelli minori. Tali sentimenti si risaldarono, quotidianamente anche, quando gli abitanti del quartiere di Pizzofalcone vedevano quei “guaglioni” sciamare nelle libere uscite lungo la via di Monte di Dio fino a piazza Trieste e Trento e piazza Plebbiscito, in una scenografia di panni stesi accompagnati dal vociare pittoresco delle donne dei “bassi” sedute sopra una vecchia seggiola impagliata posta dietro una “bancarella” coloratissima o anche quando, in formazione, li vedevano passare ché si recavano a Palazzo Reale dove spesso erano chiamati a prestare servizio di onore all’ingresso principale della Reggia. A piazza Plebbiscito, la sera poi, la fanfara li radunava e alla loro testa li accompagnava in caserma, e loro facevano sfoggio del loro piumetto e della loro preparazione militare per suscitare l’ammirazione delle signore e delle ragazze, e forse, invidia negli altri giovani. Dall’austera e monumentale porta dell’allora Caserma Vittorio Emanuele II, i Bersaglieri partirono per rispondere alla chiamata della Patria: quelli dell’11° del Col. Gustavo Fara per la Libia, del Col. Andrea Graziani, del Col. Sante Ceccherini, del Gen. Felice Coralli, del Gen. Umberto Montanari, del Col. Renato Piola Caselli, del Col. Alessandro Pirzio Biroli e anche quelli del “Primo” del Col. Giovanni Guidotti, bersaglieri che i napoletani amarono particolarmente e sempre ricorderanno come i “loro bersaglieri”, perché come il loro Comandante, furono in massima parte napoletani. Tra le glorie di Napoli, merita di essere collocato proprio il 1° Bersaglieri, come superba espressione di amor patrio e di valor militare, che poi fu anche valore civile per essere stato sempre formato questo Reggimento dai figli di Napoli e della terra meridionale, provenienti da ogni ceto e da ogni attività. L’elenco impressionante dei Bersaglieri di Napoli e della sua provincia, Decorati al Valore Militare, ne pone l’accento e testimonia il valore del legame e dell’eredità lasciata, fatta di valore, di onore, di senso del dovere, dell’amore sincero per il proprio paese. Sempre ritorna, il ricordo di quella Maria Schiaffino di un Comune Vesuviano che all’annuncio di un terzo figlio caduto in guerra, si recò in questa Caserma, per dire al Colonnello: ”Sono la madre dei tre fratelli Schiaffino, già orfani di padre, caduti in combattimento: due sul Carso e il terzo sul Piave. Io madre, nella fede di Cristo e fiera dell’offerta, Vi ho portato il quarto figlio diciassettenne, vestitelo da bersagliere e mandatelo al fronte perché egli vuole con lo stesso Reggimento vendicare i fratelli Caduti, Signor Colonnello, Ve lo affido e con lui Vi benedico”. Anche il porto, sì, il porto di Napoli è stato per circa un secolo anche lo scalo e il crocevia che ha visto diverse generazioni di bersaglieri partire per le Campagne e le Guerre d’Oltremare e che qui, purtroppo, spesse volte o non sono più rientrate o sono tornate dopo molti anni. Quante volte il popolo Napoletano ha salutato commosso la partenza dei bastimenti carichi di bersaglieri, fra i quali tanti suoi figli, ed esultante li ha applauditi vittoriosi al loro ritorno in Patria! E come non ricordare la dedizione e gli sforzi del 1° Reggimento Bersaglieri, accasermato in quel periodo a Pizzofalcone, che durante l’ultimo conflitto mondiale s’impegnò fortemente per la difesa della città di Napoli. Un altro forte contributo a quest’antico sodalizio, è stato fornito dalle Sezione dell’Associazione Bersaglieri, anch’essa antica e prestigiosa. E fu proprio nella Caserma Vittorio Emanuele II di Pizzofalcone, in alcuni locali concessi dal Col. Comandante il 1° Reggimento Aspreno Pelagatti, che il 23 ottobre 1921 si costituiva la prima Associazione fra i Bersaglieri in congedo a Napoli, con a capo il Gen. Giuseppe Barbiani chiamato a reggere la carica di Presidente. L’Associazione, alla quale avevano aderito numerosi Ufficiali in congedo, soprattutto quelli del 1° Reggimento, ebbe la sua consacrazione il 18 giugno del 1922 con l’offerta, da parte di un gruppo di dame, del Labaro Sociale. Nell’anno 1925, l’Associazione di Napoli entrava a far parte di quella Nazionale costituitasi in Roma. L’Associazione di Napoli, che fu una delle prime in Italia, nel corso degli anni ha sempre operato per custodire i valori storici e per rafforzare i vincoli e i legami tra i bersaglieri in armi e i reduci napoletani e o gli appartenenti dei Reggimenti che furono presenti, anche se solo temporaneamente, nella città o nell’ambito del perimetro urbano. Continua a pagina 8 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°4 SMASCHERATI DALLA LEGA NEL D.L. SONO STATI DATI 130 MILIONI PER MARE NOSTRUM DA RENZI E ALFANO L'ENNESIMO DECRETO CON SORPRESA. MA QUESTA VOLTA È DAVVERO CLAMOROSA: IL GOVERNO RIFINANZIA L'OPERAZIONE CHE DICE DI VOLER CHIUDERE E PRENDE LE RISORSE DAI TAGLI ALLE FORZE DELL'ORDINE Alessandro Montanari Il solito decreto con sorpresa. Solo che questa volta la "sorpresa" è veramente clamorosa visto che, mentre cerca di smuovere l'Europa minacciando la chiusura dell'operazione Mare Nostrum, il governo stanzia, di nascosto, altri 130 milioni di euro per rifinanziarla con fondi sottratti alle forze dell'ordine. A denunciare l'ennesimo trucchetto della coppia Renzi-Alfano è la Lega Nord che, sentendo puzza di bruciato, si mette subito al lavoro sul "dl stadi" depositato ieri in una Camera dei Deputati praticamente deserta. Il decreto, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 8 agosto e in vigore dal 22, vara un generale giro di vite contro la violenza negli stadi elevando a tre anni la durata minima del Daspo, ampliandone le possibilità di applicazione e allargando l'arresto in flagranza differita anche al reato di istigazione alla discriminazione razziale, etnica e religiosa. Fin qui la parte sportiva. Ma il decreto contiene anche altre singolarissime decisioni del governo. Guardando le coperture, infatti, si scopre che le risorse tagliate a polizia e vigili del fuoco vengono dirottate all'accoglienza degli immigrati. In pratica alla stessa operazione Mare Nostrum che Alfano dice di voler chiudere. «Il governo - spiega il deputato del Carroccio Guido Guidesi - prende i soldi dall'azzeramento del fondo per i rimpatri, e questo vuol dire che anche per quest'anno non ci saranno espulsioni, e dai tagli alle Forze dell'ordine per poi stanziare altri 130 milioni per l'accoglienza dei profughi. E' inaudito. Con questo decreto danno un calcio alla sicurezza e alle forze dell'ordine e rilanciano Mare Nostrum». «Renzi e Alfano - attacca il capogruppo del Carroccio Massimiliano Fedriga - usano questo decreto per mascherare un nuovo e vergognoso finanziamento a Mare Nostrum. Sono degli irresponsabili, il paese è allo stremo e loro pensano solo ai clandestini. Fingono di occuparsi di sicurezza negli stadi e invece foraggiano il traffico di esseri umani che ingrossa le casse della malavita e di chi sull'accoglienza ci lucra. Altro che blocco dell'operazione, Alfano continua a usare i soldi dei cittadini per farci invadere dai clandestini». Spara a zero sul dl stadi, sul quale il Carroccio presenterà una pregiudiziale di costituzionalità e promette «battaglia durissima in Aula», anche Nicola Molteni. «Con il decreto sugli stadi - riassume il vicepresidente del gruppo leghista di Montecitorio - Alfano lancia "Mare Nostrum 2" stanziando altri 130 milioni di euro oltre ai 190 già utilizzati. Il ministro dell'Interno inganna i cittadini usando le tasse per farci colonizzare e lasciando le forze di polizia senza risorse. A loro infatti andranno solo 8 milioni di euro nonostante l'insicurezza della gente sia aumentata a causa dell'escalation di furti e violenze che spesso sono compiute proprio dagli immigrati. Ma Alfano ormai è universalmente riconosciuto come il ministro dei clandestini...». Il dl stadi lascia l'amaro in bocca anche agli addetti delle Forze dell'ordine che oggi a Roma insceneranno un flash mob di protesta in piazza del Popolo. «Il nostro flash mob - scrivono in una nota congiunta Sap, Sappe, Sapaf e Conapo - lancerà al Governo un segnale chiaro: poliziotti, penitenziari, forestali e vigili del fuoco resteranno immobili in piazza per dimostrare che, se si fermano sicurezza e soccorso pubblico, si ferma il paese. Doneremo anche il sangue, un gesto simbolico per far capire che negli ultimi sei anni siamo stati spremuti fino all'ultima goccia di sangue. Al premier Renzi chiediamo davvero di "cambiare verso"». BREAKING NEWS, CRONACA ISIS: PARTE IL PIANO PER CONQUISTARE ROMA CON L’AIUTO DELLA TURCHIA REPORT E ANALISI Se credevate che quando l'ISIS disse di voler arrivare a Roma fosse solo un "modo di dire" provate a guardare a cosa sta succedendo in Medio Oriente. Quando lo Stato Islamico, ISIS, disse che il suo obbiettivo era quello di conquistare Romanon lo disse tanto per dire, non era una frase ad effetto. Roma è veramente l’obbiettivo dei terroristi islamici e a confermarlo è il comunicato diffuso ieri da Ansar Bayt al-Maqdis, il gruppo terrorista islamico più attivo e pericoloso nel Sinai. Ansar Bayt al-Maqdis ha annunciato ieri la sua alleanza con lo Stato Islamico e la sottomissione al Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. «Dal Sinai arriveremo a Gerusalemme e da Gerusalemme spiccheremo il salto verso Roma» hanno detto i terroristi islamici con un comunicato. L’alleanza tra ISIS e Ansar Bayt al-Maqdis era una cosa nota ma non ufficiale in quanto il gruppo terrorista che opera nel Sinai era affiliato ad Al Qaeda. Ora questa alleanza viene certificata ufficialmente anche nella comunione degli obbiettivi. Se credevate che quando l'ISIS disse di voler arrivare a Roma fosse solo un "modo di dire" provate a guardare a cosa sta succedendo in Medio Oriente. . Quando lo Stato Islamico, ISIS, disse che il suo obbiettivo era quello di conquistare Romanon lo disse tanto per dire, non era una frase ad effetto. Roma è veramente l’obbiettivo dei terroristi islamici e a confermarlo è il comunicato diffuso ieri da Ansar Bayt al-Maqdis, il gruppo terrorista islamico più attivo e pericoloso nel Sinai. Ansar Bayt al-Maqdis ha annunciato ieri la sua alleanza con lo Stato Islamico e la sottomissione al Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. «Dal Sinai arriveremo a Gerusalemme e da Gerusalemme spiccheremo il salto verso Roma» hanno detto i terroristi islamici con un comunicato. L’alleanza tra ISIS e Ansar Bayt al-Maqdis era una cosa nota ma non ufficiale in quanto il gruppo terrorista che opera nel Sinai era affiliato ad Al Qaeda. Ora questa alleanza viene certificata ufficialmente anche nella comunione degli obbiettivi. IL RUOLO DELLA TURCHIA E L’ALLEANZA ARABA Ed è proprio Gaza il punto. L’Egitto non ha isolato la Striscia di Gaza per un vezzo ma perché l’intelligence egiziana è convinta che Hamas collabori attivamente con Ansar Bayt al-Maqdis e quindi con l’ISIS. Oggi Israele, cedendo alle fortissime pressioni internazionali, ha deciso la riapertura dei suoi due valichi verso Gaza, una decisione che ha fatto infuriare il Presidente egiziano Al-Sisi che ha accusato la Turchia di fare fortissime pressioni sugli USA e sulla Unione Europea che a loro volta riversano tali pressioni su Israele. E anche sulla Turchia e sul suo appoggio agli estremisti islamici ci sarebbe parecchio da discutere, cosa che faremo approfonditamente nei prossimi giorni. In ogni caso l’appoggio turco al ISIS e ai gruppi estremisti come Hamas e Ansar Bayt al-Maqdis ha spinto l’Egitto a stringere una alleanza strategica con i Paesi del Golfo e in particolare con l’Arabia Saudita, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti. L’alleanza non dovrebbe solo controbilanciare i rapporti di forza con l’Iran ma IL RUOLO DELLA TURCHIA E L’ALLEANZA ARABA Ed è proprio Gaza il punto. L’Egitto non ha isolato la Striscia di Gaza per un vezzo ma perché l’intelligence egiziana è convinta che Hamas collabori attivamente con Ansar Bayt al - Maqdis e quindi con l’ISIS. Oggi Israele, cedendo alle fortissime pressioni internazionali, ha deciso la riapertura dei suoi due valichi verso Gaza, una decisione che ha fatto infuriare il Presidente egiziano Al - Sisi che ha accusato la Turchia di fare fortissime pressioni sugli USA e sulla Unione Europea che a loro volta riversano tali pressioni su Israele. E anche sulla Turchia e sul suo appoggio agli estremisti islamici ci sarebbe parecchio da discutere, cosa che faremo approfonditamente nei prossimi giorni. In ogni caso l’appoggio turco al ISIS e ai gruppi estremisti come Hamas e Ansar Bayt al - Maqdis ha spinto l’Egitto a stringere una alleanza strategica con i Paesi del Golfo e in particolare con l’Arabia Saudita, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti. L’alleanza non dovrebbe solo controbilanciare i rapporti di forza con l’Iran ma IMMOBILITÀ EUROPEA - L’Europa rimane purtroppo il punto debole sul quale punta l’ISIS (e con esso la Turchia) per scardinare la diga che potrebbe arginare la sua avanzata verso il Mediterraneo. L’accondiscendenza europea verso la Turchia sta raggiungendo livelli a dir poco vergognosi ed Erdogan ne approfitta a piene mani. Non solo chiude gli occhi sulle armi e sugli uomini che attraverso la Turchia arrivano allo Stato Islamico ma lo finanzia indirettamente comprando il petrolio estratto dai pozzi in mano all’ISIS. Che dire poi della Libia? L’Europa sta semplicemente alla finestra, passiva di fronte alla avanzata del califfato. CONCLUSIONI Riassumendo quanto scritto fin’ ora, lo Stato Islamico ha deciso di passare dalle parole ai fatti e di puntare dritto all’Europa. Solo che ha due ostacoli sulla sua strada, Israele ed Egitto. Per quanto riguarda Israele purtroppo l’ISIS può contare sul diffuso antisemitismo occidentale per tentare di indebolire lo Stato Ebraico ed attaccarlo dal suo interno (leggi intifada). Non servirà perché Israele è forte, ma ci aspettiamo ripetuti attacchi mediatici (e non solo) allo Stato Ebraico. Paradossalmente con l’Egitto gli va più dura e se si concretizzerà l’alleanza araba potrebbe trovare in Al-Sisi un ostacolo invalicabile. Rimane il fatto che la cecità europea e americana sono, fino ad ora, l’arma più potente in mano allo Stato Islamico, l’unica arma in grado di permettergli di mettere in difficoltà Israele. E potete star certi che nei prossimi giorni ne vedremo delle belle. IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°5 Napoli. Scontri al corteo contro lo «SbloccaItalia». Mazze e petardi contro gli agenti Tensione a Bagnoli, due agenti feriti. Le forze dell'ordine hanno reagito con il lancio di lacrimogeni PER APPROFONDIRE: Napoli di Valerio Esca Momenti di forte tensione durante il corteo contro lo Sblocca Italia a Bagnoli. Un gruppo di manifestanti, giunti davanti all'ingresso di Città della scienza nella parte non distrutta dall'incendio, ha provato a entrare forzando il cordone delle forze dell'ordine in tenuta antisommossa. I manifestanti hanno lanciato petardi, qualche bomba carta e mazze contro le forze dell'ordine, che hanno reagito con il lancio di lacrimogeni. Agenti feriti, colpito anche operatore della Rai.Ancora scontri. Ancora tensioni tra manifestanti e forze dell'ordine nel corteo di Bagnoli. Gli uomini in divisa stanno provando a sospingere i contestatori via dall'ingresso di Città della scienza, in un clima molto teso con lancio di petardi da parte dei manifestanti, molti dei quali vestiti di nero e con il viso coperto da caschi. Barricate. Gli assessori comunali di Napoli ed il presidente della Vigilanza Rai, Fico, che erano nel corteo, se ne sono allontanati. I manifestanti hanno divelto dei segnali stradali e ribaltato cassonetti della spazzatura sulla strada creando delle barricate lungo la strada. Ora una delegazione di manifestanti a volto scoperto sta provando a dialogare con le forze dell'ordine. Imanifestanti vestiti di nero con volto coperto hanno ribaltato cassonetti della spazzatura poco distante dall'ingresso principale di Città della Scienza. Altri hanno divelto alcuni segnali stradali. Al momento c'è un dialogo in corso tra forze dell'ordine e alcuni manifestanti. La scolaresca. All'interno di Città della scienza è rimasta una scolaresca in visita che non può uscire per motivi di ordine pubblico. Agenti feriti. Sale a cinque il bilancio degli agenti feriti negli scontri di Bagnoli, due dei quali ricoverati in ospedale. Al pronto soccorso anche un operatore Rai della sede di Napoli, colpito da un petardo a una gamba. All'esterno di Città della scienza la situazione è tornata tranquilla: i manifestanti si sono allontanati. I promotori del corteo contro lo Sblocca Italia si danno ora appuntamento nella facoltà di Ingegneria della Federico II dove si terrà una assemblea pubblica, cui è atteso il sindaco De Magistris. «Il processo autoritario che si sta mettendo in campo a Bagnoli ha gettato la maschera»: lo dicono i movimenti promotori della protesta contro lo Sblocca Italia, degenerata in scontri con le forze dell'ordine. «Di fronte a migliaia di persone si è preferito chiuder loro le porte in faccia. Malgrado la fuga di Renzi dalla piazza e dalle sue responsabilità in strada c'erano almeno quattromila persone per rivendicare il diritto alla salute e le bonifiche dei nostri territori avvelenati. Dai comitati territoriali e le realtà di base di Bagnoli, Il Fatto Quotidiano Politica & Palazzo Matteo Renzi: assunto, candidato e pensionato in undici giorni Il sindaco è stato assunto dall'azienda di famiglia, la Chil srl, il 27 ottobre 2003, otto mesi prima dell'elezione in Provincia e undici giorni prima che l'Ulivo lo candidasse. E così, da nove anni, i contributi per la sua pensione da dirigente li paga la collettività. Lo staff lo difende: "L'accostamento è sbagliato perché lavorava lì da molti anni" di Marco Lillo | 27 marzo 2013 Matteo Renzi è stato assunto come dirigente dalla società di famiglia, la Chil Srl, undici giorni prima che l’Ulivo lo candidasse a presidente della Provincia di Firenze nel 2004. Ieri abbiamo raccontato che grazie all’assunzione da dirigente (messo in aspettativa dopo l’elezione) da quasi 9 anni i contributi della pensione del dirigente-sindaco sono versati dalla collettività. Oggi si scoprono nuovi particolari sulle manovre che hanno preceduto e seguito l’assunzione. I consiglieri comunali che hanno fatto scoppiare il caso con la loro interrogazione, Francesco Torselli (Fratelli d’Italia) e Marco Semplici (Lista Galli), non sono soddisfatti della risposta del vice-sindaco di Firenze Stefania Saccardi pubblicata ieri dal Fatto. “Oggi presenteremo una nuova interrogazione – annuncia il consigliere Torselli – per sapere a quanto ammonta esattamente la cifra pagata dalla collettività, prima dalla Provincia e ora dal Comune, per la pensione del sindaco”. La risposta alla prima interrogazione spiegava solo che “alla società presso cui risulta dipendente in aspettativa il dottor Renzi sono erogati i contributi previsti all’art. 86 comma 3 del Testo unico sugli enti locali”, senza cifre. IL COMUNE di Firenze e prima la Provincia, hanno versato alla società di famiglia i contributi previdenziali per Matteo Renzi, nel rispetto del Testo Unico Enti locali che prevede il rimborso dei contributi alla società presso la quale lavora l’amministratore pubblico collocato in aspettativa non retribuita. Quando l’assunzione è molto vicina alla candidatura però sorge il dubbio che sia motivata più dall’ottenimento del rimborso dei contributi che dalla reale necessità dell’azienda di disporre di un dirigente distratto dalla politica. Nicola Zingaretti a Roma è finito nell’occhio del ciclone perché è stato assunto da un Comitato legato al Pd il giorno prima dell’annuncio della sua candidatura a presidente della Provincia. Ora si scopre che Renzi è stato assunto – non uno ma undici giorni prima dell’annuncio della sua candidatura – dalla società della sua famiglia. Il sindaco è inquadrato dal 27 ottobre 2003 nella Eventi 6 che oggi è intestata alle sorelle Matilde e Benedetta Renzi (36 per cento a testa), alla mamma Laura Bovoli (8 per cento) e al fratello del cognato, Alessandro Conticini, 20 per cento. Come spiega il vice-sindaco Saccardi nella sua risposta all’interrogazione: “Renzi ha avuto un contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino al 24 ottobre 2003 presso la Chil srl. Dal 27 ottobre 2003 è stato inquadrato come dirigente”. Ecco la cronologia degli eventi di nove anni fa, ricostruita sulla base dei documenti camerali: il 17 ottobre 2003 il “libero professionista” Matteo Renzi e la sorella Benedetta cedono le quote della Chil Srl ai genitori; il 27 ottobre 2003, dieci giorni dopo avere ceduto il suo 40 per cento, Renzi diventa dirigente della stessa Chil Srl, amministrata dalla mamma; il 7 novembre 2003, solo 11 giorni dopo l’assunzione, l’Ulivo comunica ufficialmente la candidatura del dirigente alla Provincia; il 13 giugno 2004 Renzi viene eletto presidente e di lì a poco la Chil gli concede l’aspettativa. Da allora Provincia e Comune versano alla società di famiglia una somma pari al rimborso dei suoi contributi. Se Renzi non avesse ceduto le sue quote nel 2004, sarebbe stata una società a lui intestata per il 40 per cento a incassare il rimborso: una situazione ancora più imbarazzante di quella attuale, con le quote intestate a sorelle e mamma. LA CHIL è una società fondata da papà Tiziano che si occupa di distribuzione di giornali e di campagne pubblicitarie. Dal 1999 al 2004 è intestata a Matteo e alla sorella. Poi, come visto, subentrano i genitori. Nel 2006 Tizia-no Renzi vende il suo 50 per cento alle figlie Matilde e Benedetta. Chil arriva a fatturare 7 milioni di euro nel 2007. Poi cambia nome in Chil Post Srl e nell’ottobre del 2010 cede il suo ramo d’azienda a un’altra società creata dalla famiglia: la Eventi 6 Srl. La vecchia Chil, ormai svuotata, finisce a un imprenditore genovese e fallisce. Mentre la Eventi 6 decolla dai 2,7 milioni di fatturato del 2009 ai 4 milioni di euro del 2011. Dopo il suo collocamento in aspettativa, il dirigente Matteo Renzi segue il destino del ramo d’azienda e oggi è collocato nella Eventi 6, di Rignano sull’Arno, sede storica della famiglia. Le fonti vicine a Renzi precisano: “L’indicazione della candidatura alla Provincia venne anticipata a novembre per sbloccare la candidatura del sindaco Domenici ma era condizionata all’accordo sui sindaci che si chiuse solo ad aprile. L’accostamento ad altre situazioni ben diverse è sbagliato perché Matteo Renzi lavorava davvero in Chil da molti anni”. da Il Fatto Quotidiano del 28 marzo 2013 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°6 Celebrati nel Comune di Montefusco (AV) la Festa delle Forze Armate e l’Inizio delle Commemorazioni per il Centenario della Prima Guerra Mondiale di Francesco Gallo Il giorno 8 Novembre 2014, presso lo storico ed ameno Comune di Montefusco in provincia di Avellino , si è svolta una solenne cerimonia in coincidenza con il cadere in tal periodo della “Festa delle Forze Armate” , ma soprattutto con l’inizio della “Commemorazione per il Centenario della Prima Guerra Mondiale”. Tale cerimonia che è nata su iniziativa del Comune di Montefusco, guidato dal Sindaco Dott. Musto Carmine Gnerre , ha visto la partecipazione di numerosi soggetti della vita civile e militare. Lo svolgersi dell’evento lungo tutta la giornata ha permesso di entrare in contatto con le varie realtà lì convenute come ad le diverse Associazioni d’Arma che hanno risposto favorevolmente all’invito e le Associazioni Volontari di Protezione Civile di Napoli attivate dagli Assessori Avv. Carmela Melone e Dott. Daniele Taetti. Tale contesto partecipativo ha permesso di valorizzare sia le numerose attività svolte per ricordare i caduti montefuscani di tutte le guerre sia quelle che stanno permettendo al borgo avellinese di affermarsi come concreta realtà culturale nel panorama regionale e nazionale. La sezione UNUCI di Napoli aderendo alla proposta del socio Ten. Pasquale Caputo, delegato a rappresentare il Comune di Montefusco, con la collaborazione delle sezioni di Avellino e Caserta, ha voluto ricordare la data del 4 Novembre “Giornata dell’Unità d’Italia e Festa delle Forze Armate” che quest’anno coincide con il centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, lontano dalle caotiche “distrazioni cittadine” nel piccolo centro dell’Irpinia ricco di storia. Man mano che giungevano le Associazioni d’Arma ci si è resi conto di quanto l’iniziativa avesse un significato profondo per i cittadini montefuscani che orgogliosi dell’appartenenza a quella terra, in passato capitale del principato Ultra, esibivano i cimeli dei propri parenti durante l’ammassamento e l’organizzazione del corteo. Il corteo veniva aperto dal labaro del Comune di Montefusco seguito dalle bandiere e dai labari delle scuole e delle Associazioni d’arma partecipanti. Il corteo snodatosi lungo l’arteria centrale del centro antico ha raggiunto la panoramica villa comunale prospiciente il palazzo Giordano dove si è svolta la cerimonia dell’alzabandiera accompagnato dall’Inno Nazionale cantato con commozione da tutti i presenti. Con uno sventolio di bandiere il corteo ha poi raggiunto la chiesa di San Giovanni del Vaglio per assistere alla S. Messa, dove il Sacerdote durante l’omelia, pur ricordando i tristi e dolorosi eventi delle guerra, sottolineava la fede e gli ideali dei giovani militari. Al termine della funzione religiosa un’alunna della scuola media ha recitato la preghiera a Dio per la patria seguita da una appassionata e struggente interpretazione da parte dell’attrice Mariagrazia Liccardo della canzone “ o surdato ‘nnammurato”. Grazie alla presenza delle Associazioni Volontari di Protezione Civile ACSSA, AVC NOER e Misericordia Napoli Nord facenti parte del Nucleo Operativo di Assistenza Pubblica, si è riuscito a trasferire in tempi brevissimi tutti i partecipanti nella spaziosa piazza adiacente dove si è celebrata una toccante cerimonia: accompagnati dal canto dei bambini delle elementari che intonavano la Canzone del Piave, il delegato Regionale UNUCI Gen. Gassirà ed il Sindaco di Montefusco Dott. Musto Gnerre hanno deposto una corona d’alloro al monumento ai caduti. A chiusura della cerimonia mattutina veniva eseguito il Silenzio con l’appello nominativo dei caduti montefuscani della Grande Guerra a cui tutti all’unisono rispondevano : Presente. La piazza è stata testimone di un evento che ha visto la partecipazione dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, dell’Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori, delle Sezioni UNUCI di Avellino, Caserta e Napoli, Associazione Nazionale Ufficiali Aeronautica, Associazione Nazionale Forestali di Avellino, Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (ACISMOM) e del Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta C.I.S.O.M., Associazione Combattentistica di Montemiletto, Associazione Volontari Campani NOER. Misericordia Napoli Nord, Centro Studi ACSSA Napoli, Associazione Forense NOMOS, il Liceo Matilde Serao di Pomigliano D’Arco ed il Comitato UNICEF di Avellino. A tal riguardo il Centro Studi Sebetia-Ter e l’Associazione “Famiglie dei Militari trucidati a Kos 10° Rgt della Divisione Regina” che durante i giorni precedenti all’evento aveva collaborato alla riuscita della manifestazione, era presente con un’ampia delegazione guidata dal Presidente Prof. Ezio Ghidini Citro, dal Presidente del Centro Studi di Salerno Avv. Onesti e dal Prof. Antonio Cortese del Dipartimento di Medicina e Chirurgia del Sebetia-Ter ( oltre ai Dott. Simone Pellegrino, Christian Avallone e Francesco Gallo ). Dopo aver visitato il carcere Borbonico tristemente noto come lo Spielberg italiano, degustato prodotti tipici locali offerti dal Comune di Montefusco ed il pranzo conviviale, il palazzo Giordano ha ospitato la sezione pomeridiana dell’evento. Alcune sagome di pinguini indicavano il percorso della mostra organizzata dal Museo del Mare di Bagnoli diretto dal Prof. Antonio Mussari mentre le botteghe esterne ospitavano cimeli, uniformi, apparati radio e di segnalazione visiva Morse allestite dai Soci UNUCI, Ten. Pasquale Caputo, Ten. Luigi Ventura e Sten. Adriano Esposito, uno spazio dedicato alle attività ed attrezzature in uso ai NOAP Volontari di Protezione Civile organizzato dal Coordinatore Luigi Schiattarella e dal socio ACSSA, Giuseppe Caputo, ed un’area tematica allestita con pannelli esaustivi sulle numerose attività svolte ed in essere al Liceo Matilde Serao ed all’UNICEF Campania. Proprio il citato istituto ha ricevuto il riconoscimento dal Presidente Ghidini per le innumerevoli attività svolte con successo sia dal Corpo Docente sia dalle Alunne con la consegna di targhe e diplomi ritirate dalla Prof.ssa Carmela Merone per i progetti “Socializzare è vita” e “Il sociale per la moda” e per la partecipazione al progetto “Calliope e la Cittadella della Legalità” ideato e realizzato grazie alla sinergia tra la Presidente dell’Associazione Forense Nomos, Avv. Argia di Donato, l’Avv. Emanuela Monaco ed il Presidente dell’Associazione Centro Studi ACSSA, Dr. Ig. Pasquale Ten. Caputo. Sono seguite le relazioni del Dott. Aldo Porpiglia (giornalista editorialista) dell’Avv. Argia di Donato (Ass. Forense Nomos), dell’Ing. Vincenzo Iavarone che ha illustrato un filmato storico (Ass. Bersaglieri Campania), del Prof. Antonio Mussari (Museo del Mare ) e della Prof.ssa Amalia Benevento presidente comitato Unicef Avellino. Hanno moderato il Vicesindaco Dott. Daniele Taetti e l’Assessore Avv. Carmela Melone. La manifestazione si è conclusa con un piacevolissimo e graditissimo Vin d’oneour espressione della forza produttiva di questo splendido territorio campano. STORIA L'esistenza di Napoli sotterranea è legata alla conformazione morfologica e geologica del territorio L'esistenza di Napoli sotterranea è legata alla conformazione morfologica e geologica del territorio partenopeo, composto da roccia tufacea che ha caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari Le prime trasformazioni della morfologia del territorio, avvenute ad opera dei Greci a partire dal 470 a.C., danno inizio alla crescita di quel mondo affascinante che è la Napoli sotterranea. Tali trasformazioni sono state dettate da esigenze di approvvigionamento idrico, che ha portato alla creazione di cisterne sotterranee adibite alla raccolta di acque piovane, e dalla necessità di recuperare materiale da costruzione per erigere gli edifici di Neapolis. Nei secoli successivi l'espansione della città portò alla realizzazione di un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile grazie ad una serie di cisterne collegate ad una fitta rete di cunicoli. Durante il dominio romano l'esistente acquedotto fu ampliato e perfezionato, ma con l'avvento degli Angioini, nel 1266, la città conobbe una grande espansione urbanistica cui, ovviamente corrispose un incremento dell'estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire nuovi edifici, confermando una peculiarità di Napoli: quella di essere generata dalle proprie viscere, dove i palazzi sorgono immediatamente sopra la cava che ha fornito il materiale da costruzione. Ad incidere in maniera determinante sulla sorte del sottosuolo napoletano intervennero, fra il 1588 ed il 1615, alcuni editti che proibivano l'introduzione in città di materiali da costruzione, onde evitare l'espansione incontrollata di Napoli. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l'acqua potabile e ricavandone di nuove. Questo tipo di estrazione, che avveniva dall'alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del sottosuolo ed evitare crolli indesiderati. Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l'uso del vecchio sistema di distribuzione idrica per adottare il nuovo acquedotto, che ancora è in funzione. L'ultimo intervento sul sottosuolo risale alla seconda guerra mondiale, quando per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell'antico acquedotto alle esigenze dei cittadini. Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Un elenco ufficiale del Ministero degli Interni del 1939 annoverava 616 indirizzi che portavano nei 436 ricoveri suddetti, alcuni dei quali con più di un accesso. L'allestimento dei ricoveri portò ad un ulteriore frazionamento dell'antico acquedotto. Finita la guerra, per la mancanza di mezzi di trasporto, quasi tutte le macerie furono scaricate nel sottosuolo, quasi a voler seppellire con esse, anche tutti i ricordi di quel triste periodo. Fino alla fine degli anni '60 non si è più parlato del sottosuolo, anche se molti continuavano ad utilizzare i pozzi come discariche. Dal 1968, però, cominciarono a verificarsi alcuni dissesti dovuti essenzialmente a rotture di fogne o perdite del nuovo acquedotto: tali inconvenienti, che in tutte le città del mondo si evidenziano con rigurgiti di liquami in superficie o allagamenti, a Napoli invece, proprio per la presenza del vasto sottosuolo cavo, si palesano con grosse voragini. Dopo circa 20 anni di scavi e di bonifica, e grazie all'impegno silenzioso e al sacrificio di volontari che, dopo il lavoro, si calavano nelle viscere di Napoli per riportare alla luce un reperto storico di siffatta grandezza - un vero e proprio museo del sottosuolo - oggi è possibile conoscere una pagina inedita della storia di Napoli. Nelle visite guidate nel sottosuolo, si va sotto i Quartieri Spagnoli, in vico S. Anna di Palazzo 52, dove i fratelli Michele e Salvatore Quaranta, i Caronte del 2000, hanno fondato la Libera Associazione Escursionisti Sottosuolo che si prefigge una maggiore conoscenza della città "inferiore". Scendendo nelle cavità si potranno ammirare le vecchie cisterne dell'acquedotto del Carmignano e si potranno rivivere le sensazioni di chi vi si rifugiò durante la guerra. Sulle mura sono graffite pagine di storia, nomi e caricature di personalità dell'epoca, costumi dell'epoca, soldati di varie nazioni, date, informazioni sui due sommergibili italiani - il Diaspro ed il Topazio - che operarono durante la guerra, ed ancora aerei e carri armati, nonché le esternazioni di chi, costretto a restare in quei luoghi per i bombardamenti, volle tramandare ai posteri le sue considerazioni. Non voglio anticipare altro, per non togliere il gusto, a quelli che vorranno partecipare a queste visite, di scoprire da soli quanto di bello c'è sotto Napoli. IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°7 Napoli nella Chiesa di Santa Caterina a Chiaja Celebrazione Eucaristica in onore dei Militari trucidati nel 1943 nelle isole greche Si è tenuta venerdì 3 ottobre 2014 alle ore 10,00 a Napoli, presso la Chiesa di Santa Caterina a Chiaja una Celebrazione eucaristica in onore di tutti i Militari italiani trucidati nel 1943 nelle isole di Kos, Cefalonia, Lero, Rodi e del Dodecanneso. La Manifestazione è stata promossa dal Centro Studi “Sebetia-Ter” e dall’Associazione Famiglie dei Caduti del 10° Rgt di Fanteria della Divisione Regina - Kos 1943, presiedute dal prof. Ezio Ghidini Citro. Dopo il Rito religioso, - celebrato da Padre Calogero Favata, priore del Convento di Santa Caterina a Chiaja e dal Cappellano Militare della Scuola Nunziatella Don Francesco - due corone di alloro sono state poste ai piedi del Monumento ai Caduti in Piazza dei Martiri. Il Presidente di Sebetia -Ter e dell’Associazione Famiglie dei Caduti del 10° Rgt. Prof. Ghidini Citro, nel ricordare l’eccidio compiuto nelle isole greche, ha comunicato ai presenti che, il dott. Marco De Paolis Procuratore del Tribunale Militare di Roma, a seguito della denunzia presentata dai familiari degli Ufficiali trucidati a Kos nel 1943 e dall’Associazione Famiglie dei Caduti, ha avviato un’inchiesta che ha proceduto nel rintracciare tre dei militari tedeschi autori della strage a Kos nel 1943. Il Contro Ammiraglio Luciano Magnanelli ha commemorando l’eroico sacrificio degli Ufficiali e Militari italiani, si é soffermato sulla figura del Tenente Salvatore Citro, del Tenente Francesco de Giovanni, del tenente Alberto Marongiu e della Medaglia d’Argento al Valor Militare Tenente di Vascello Osservatore Pilota Giuseppe Ghidini. Presenti alla Cerimonia i rappresentanti delle Istituzioni e di tutte la Forza Armate: il Col. Gioacchino Di Meglio Capo di Stato Maggiore Carabinieri Ogaden, il C.V. (C.P.) Aniello Cuomo, gli allievi della Scuola Militare Nunziatella con il Maggiore Procentese e il Cappellano Militare Don Franco, per la C.R.I. una rappresentanza di Crocerissine del X Centro Regionale, Il Dott, Vincenzo Galgano, Il Dott. Giovandomenico Lepore, per la Polizia il Comandante della Polizia Stradale per la Campania ed il Molise Gen. Dott. Giuseppe SALOMONE, il Ten. Col. Francesco Auriemma, per la Guardia di Finanza il Capitano Romolo Villani e tutte le Associazioni Combattentistiche con i loro labari: Associazione Nazionale Marinai d’Italia, l’A.N.U.A. Associazione Nazionale Ufficiali Aeronautica Sez. di Napoli con il Gen. Giuseppe Lenzi , l’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia “M.A.V.M. Ten. Gaetano Lenci”, dell’UNUCI - Sezione di Napoli dell’Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia, del Corpo militare E.I. A.C.I -SMOM 3º Reparto Napoli Ten. Luigi Ventura, dalla Delegazione della Protezione Civile dell’Associazione Nazionale Carabinieri Napoli Ovest. Al Termine delle Cerimonia Eucaristica sono state deposte due Corone di Alloro ai piedi del Monumento dei Caduti in Piazza dei Martiri dagli Allievi della Scuola Militare Nunziatella e dal Contro Ammiraglio Luciamo Magnanelli . IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n°8 Fu prima testimone e poi custode della storia di diversi Reggimenti di Bersaglieri di Vincenzo Iavarone L’ Associazione, con la sua presenza attiva sul territorio ha sempre operato, anche, per promuovere e rafforzare i sentimenti di amicizia tra i bersaglieri e i napoletani, cercando di preservare nel loro cuore e nella loro mente l’amore verso la Patria, verso i suoi caduti e verso i Bersaglieri. Sicuramente, il napoletano estroverso, forte, canterino, intraprendente, seduttore, calza perfettamente con lo spirito del bersagliere con un naturale accostamento. La Sezione negli anni, è stata retta e frequentata per alcuni periodi, da Bersaglieri di grande rilievo che sono stati delle figure storiche importantissime nella storia d’Italia, dei Bersaglieri e di Napoli. Tra i suoi Soci storici, essa ha avuto l’onore di annoverare Bersaglieri decorati al Valor Militare, aureolati dalla luce dell’eroismo e che sono stati attori di primo piano degli eventi bellici della storia d’Italia. Ha avuto tra i suoi soci Bersaglieri scrittori e poeti e Bersaglieri, che una volta in congedo, si sono affermati in maniera esemplare nella vita civile come validi professionisti impegnandosi per il progresso civile e sociale della città di Napoli. Quest’amore e simpatia verso i bersaglieri, Napoli l’ha reso tangibile attraverso i suoi grandi Poeti Autori e Interpreti, che durante la loro immensa produzione musicale e poetica hanno composto e cantato canzoni dedicate ai bersaglieri o ai soldati, che poi sono diventati degli inni dell'Esercito e che dimostrano il forte legame sentimentale che ha e avuto Napoli, fino ad oggi, con i fanti piumati, i quali hanno sempre infiammato i cuori della gioventù napoletana. La canzone, ha rappresentato una quota non indifferente di una auto-rappresentazione in cui Napoli e i napoletani si immedesimavano e fu, anche, una componente fondamentale di una immagine che il resto del mondo amò riconoscere. Dunque, tale immagine non può essere ridotta a semplice manifestazione musicale, a puro genere canoro: essa è stata (e in parte è ancora) un grande mito collettivo, uno dei luoghi in cui Napoli ha messo in scena, ha spettacolarizzato e pianto i fasti e le miserie di una capitale nobilissima. “Io vorrei che ogni mattina giungesse all’orecchio di ogni italiano lo strepitio veloce e baldanzoso della fanfara dei bersaglieri. E nella giornata di ogni italiano ci sarebbe qualche lacrima in meno, qualche sorriso in più”. Così scriveva, nel marzo del 1911, il napoletano Roberto Bracco (Napoli 10 novembre 1861 – Sorrento 20 aprile 1943), famoso drammaturgo italiano, diverse volte candidato al Premio Nobel. Era un tempo quello, in cui la canzone napoletana inneggiava ai baldi figli di Lamarmora, con quel sano entusiasmo che è proprio del popolo napoletano, che è pur sempre il tonico migliore per l’esaltazione di ogni cosa degna, quel sano entusiasmo, quel giusto vibrare del sentimento. Così nel tempo è scaturito, oltre la simpatia, anche l’amore che il bersagliere ha saputo far nascere nel cuore delle giovani napoletane. Tante sono state le canzoni, le poesie e le romanze di amore ispirate al bersagliere e alla sua bella dagli occhi ardenti. Geniali musici e poeti hanno intessuto di note e di versi canzoni ammaliatrici, che l’antico festival canoro, organizzato durante la festa di Piedigrotta ha diffuso e reso popolari e famose. Queste canzoni, ebbero, anche, la promozione e l’apporto degli illustratori: pittori affermati che, attraverso la tradizione delle “copielle”, che erano dei fogli stampati solo su un lato con i versi delle canzoni, ornati con serti floreali, puttini o scene di genere, ritrassero i bersaglieri, a dimostrazione dell’identificazione del popolo napoletano con i fanti piumati. Alcune di queste melodie sono state dimenticate, ma sono voci che non dovremmo dimenticare, perché sono patrimonio dei Bersaglieri e dei Napoletani e che raccontano la loro e la nostra storia. Infatti, la storia d’Italia e di Napoli è stata raccontata anche attraverso le canzoni e con l’aiuto delle canzoni si possono percorrere tutti gli eventi storici e proprio quelli che partono dal’Unità d’Italia fino alla seconda Guerra Mondiale e hanno nelle canzoni una propria colonna sonora. Il contributo che Napoli ha dato, sia con versi dialettali sia con versi in lingua, alla canzone patriottica è tutt’altro che esiguo; tutti i grandi eventi civili e militari che si sono svolti in Italia dal 1860 fino all’ultima guerra, sono stati sottolineati da canzoni composte da poeti e musicisti napoletani. Ricordiamo la canzone “‘A ritirata” composta da Salvatore Di Giacomo e musicata da Mario Costa e pubblicata nel 1887. Racconta, Salvatore Palumbo, nella sua “La canzone Napoletana” che questo brano fu cantato per la prima volta in piazza Plebbiscito, durante la festa di Piedigrotta e il Generale Avocadro, che ne aveva ascoltata l’esecuzione da un balcone del Comando militare, consentì che venisse inserita nel repertorio della fanfara dei bersaglieri. La canzone, dopo la disfatta di Dogali divenne un inno dei bersaglieri e i soldati che s’imbarcavano per l’Africa la cantavano accompagnati dalla fanfara. O anche, Pasquale Cinquegrana, (Napoli, 21 aprile 1850 – 27 aprile 1939) che fu grande autore di belle e famose canzoni napoletane, nel 1889 scrisse e pubblicò “’E Bersagliere” in onore dei fanti piumati acquartierati nella Caserma di Pizzofalcone. Questa canzone, musicata da Eduardo Di Capua, divenne popolarissima e gli stessi bersaglieri la cantavano come inno fuori ordinanza. Quando, nel 1939, il poeta morì, la Sezione di Napoli dell’Associazione dei Bersaglieri, mandò il proprio Labaro ai funerali. Ricordo, che il grande capolavoro di Pasquale Cinquegrana fu la celeberrima canzone “O sole mio” musicata con Giovanni Capurro e con Eduardo Di Capua. E. A. Mario, nome d'arte di Giovanni Ermete Gaeta (Napoli, 5 maggio 1884 – Napoli, 24 giugno 1961), che è stato un paroliere italiano, autore di numerose canzoni di grande successo, come “La leggenda del Piave”, e che assunse tale pseudonimo in onore e ricordo del patriota e scrittore Alberto Mario che fu uno dei Mille. E. A. Mario, fu uno dei più applauditi e determinanti protagonisti di questa generazione, che fu detta “della Vittoria”. Un ministro del tempo ebbe a dire che "la Leggenda del Piave giovò alla riscossa nazionale molto più di un generale e valse a dare nuovo coraggio ai soldati, quanto mai demoralizzati per la ritirata di Caporetto". E.A. Mario, contribuì all’elevazione artistica della canzone napoletana, con oltre duemila lavori anche di fama mondiale, da "Santa Lucia luntana" (incomparabile dramma dell'emigrante) a "Profumi e balocchi", a "Vipera", a "Rose rosse", a "O' Paese dò sole", e fu considerato il cantore dei soldati e dei grandi eventi patriottici. Era il poeta dei marinai, dei bersaglieri, dei fanti, il cantore della "Canzone di trincea" (... "e le stellette che noi portiamo... "), di "Ci rivedremo in primavera", della "Marcia d'ordinanza della Marina " (rimasta immutata sino ai giorni nostri), di "Ho sognato un bersagliere" e di tante altre composizioni popolari che tutta l'Italia canticchiava. E. A. Mario, fu autore di “Bersaglieresca”, che volle donare all’Associazione Nazionale Bersaglieri con la seguente dedica autografa: “Ai Bersaglieri in segno di devota ammirazione”, e che nelle caserme era conosciuta come “Caffè – Caffè” e si cantava alla distribuzione, e ancora oggi alcuni la ricordano con questo titolo. Oltre, alle canzoni già citate, desidero ricordarne anche alcune altre, di maggior successo, come “Sentinella ‘nnammurata” di E. Milano e E.A. Mario, “'O sergente 'e bersagliere” del 1904 di D'Ambra/Campanelli, “Passann ‘e bersagliere” di C. Volpe/U. Marino, presentate a Piedigrotta del 1912, “Ntiempo ‘e guerra” di G. Bianchi /V. Adamo, anche questa presentata a Piedigrotta nel 1915, “Marcia ‘e notte” di E.A. Mario del 1915, “Ammore surdato”di E.A. Mario del 1916, “Fanfara ‘e maggio” di E.A. Mario del 1917, “Ll’ardito” di E.A. Mario del 1918, “‘A canzone d’’a vittoria” di Scotto/Di Carlo/De Luca, “Canzone ‘e bersagliere” di S. Di Giacomo /M. Forte, “Oj capurà” canzonetta-marcia di A. Califano – P.E. Fonzo, “’O surdato ‘e 15 juorne” di A. Conte, “Surdate” canzone-marcia del 1910 di Nardella-Bovio, “ ‘O primo reggimento” di P. Tammaro, “‘O bersagliere” di Del Goito/Fanti. Tra gli uomini illustri napoletani, che hanno avuto un legame con la “Storia Cremisi”, dobbiamo ricordare i grandi commediografi ed attori Eduardo e Peppino De Filippo che furono entrambi bersaglieri. Eduardo De Filippo nell'estate del 1918, (diciottenne), era già stato reclutato con la sua classe. Alla fine dell'anno è messo in congedo e richiamato agli inizi del 1920. Presta allora servizio nella caserma del 2° Bersaglieri di Roma Trastevere, dove è subito incaricato di organizzare recite con i soldati e andrà in giro per le caserme con la sua compagnia militare fino al 1921 anno del suo congedo. Peppino De Filippo, che dal 1923 al 1925 ha prestato il servizio militare presso la Scuola Sottoufficiali di Casagiove e dopo nei Bersaglieri al 9° Reggimento. Inoltre, come non parlare, dell’interesse di famosi pittori ed illustratori napoletani e campani per i bersaglieri, come Edoardo Matania e suo figlio Fortunino che fu anche bersagliere all’8° Rgt. bersaglieri a Napoli, Ugo Matania, Pietro Scoppetta e Clemente Tafuri, che ai bersaglieri si sono ispirati ed a essi hanno dedicato quadri, stampe, disegni e cartoline reggimentali ed hanno illustrato un’epoca. Questi Artisti, vissuti negli anni in cui gli studi sul Risorgimento risentivano ancora degli atteggiamenti e delle passioni romantiche, espressero in modo geniale nelle loro opere, l’atmosfera in cui gli uomini e i bersaglieri hanno vissuto e combattuto. Attraverso le loro opere, si può cogliere l’intimo nesso che esiste fra il Risorgimento e il Romanticismo. L’impeto eroico fu una virtù dei bersaglieri sempre rappresentata in tutte le età del Risorgimento. Tra i pittori, quello che è più ricordato dai bersaglieri è Michele Cammarano, che affascinato dagli stessi, dedicò a loro diverse opere, una delle più celeberrime è “La Carica dei Bersaglieri alle mura di Roma” (mt. 2,90 x mt. 4.67), conservata al Museo di Capodimonte di Napoli, il cui titolo originale era “Savoia, Savoia!” e fu realizzata nel 1871. Michele Cammarano aveva soltanto diciannove anni quando, il 20 settembre 1870, i bersaglieri fecero irruzione in Roma e andò a documentarsi interrogando i protagonisti dell’impresa per ricostruire la fatidica scena nei dettagli. Sono autenticamente riprodotti i due trombettieri nelle prime posizioni: sia quello che sta cadendo colpito a morte che è il caporale Tummino, sia l’altro che seguita a suonare sotto il fuoco nemico che è il trombettiere Nicola Scatoli anch’esso ferito (e resterà mutilato di una gamba). Cammarano si concesse una licenza narcisistica, forse per desiderio d’identificazione: dipinse se stesso, col fez, tra il gruppo di bersaglieri. L’artista, con questa opera, decide di sperimentare una soluzione ardita e innovativa, probabilmente unica nel suo genere. Infatti, piuttosto che rappresentare una tradizionale scena bellica con i due eserciti schierati pronti alla battaglia, o con lo scontro diretto tra le truppe, Cammarano scelse di dipingere la carica dei bersaglieri con una visione frontale, vicina alle nuove conquiste della fotografia. I bersaglieri sembrano venirci incontro in una corsa impetuosa, solcano il terreno a passi pesanti sollevando fitte nuvole di polvere che nascondono il paesaggio retrostante e non poggiano nemmeno i piedi sul terreno essendo colti nel momento di massima foga durante la carica di assalto. Nel guardare la scena, lo spettatore si sente istintivamente portato ad allontanarsi dal gruppo che lo sta per travolgere, in modo analogo, probabilmente, alle sfortunate cavie dei fratelli Lumière che nel 1895 fuggirono, spaventate alla vista del primo treno cinematografico in corsa della storia. Michele Cammarano fu nominato Colonnello dei bersaglieri “ad honorem”. Per citare un pittore contemporaneo, ricordiamo Armando De Stefano, napoletano “verace” come il Cammarano, nato nel 1926 a Napoli, dove tuttora vive e dove ha insegnato all'Accademia di Belle Arti. Autentica personalità dell'arte napoletana, nel 1979 ha creato due dipinti a olio che ritraggono dei giovani bersaglieri che sembrano usciti dal decalogo di papà La Marmora. Armando De Stefano oggi è considerato uno dei massimi esponenti della pittura della figurazione e le sue opere sono presenti in moltissimi musei italiani e internazionali. In conclusione, c'è tanta eloquenza in questo sguardo complessivo, sulle varie componenti che formarono e hanno formato il Bersaglierismo Napoletano, da riempire il gran vuoto che negli anni si è prodotto, per poter parlare, sapere e capire questo rapporto di amore che ha legato Napoli ai Bersaglieri e dargli il posto dovuto, anche perché, forse negli anni, queste manifestazioni non varcavano i margini della Sezione, talvolta dell’Associazione o se ne aveva una vaga nozione, filtrata attraverso le file di coloro che erano stati dei fanti piumati, come una leggenda bella e misteriosa, di fascino avvincente. Cenni Storici sul Gran Quartiere di Pizzofalcone o Presidio di Pizzofalcone, Caserma Vittorio Emanuele II, oggi Caserma Nino Bixio. L’isola di Megaris, sulla quale è costruito Castel dell’Ovo, ed il Monte Echia, noto oggi a tutti i napoletani come “collina di Pizzofalcone”, sono le ultime tracce dell’antica Partenope e pare che prenda nome dall’uso della corte angioina di condurvi la caccia al falcone. Monte Echia, Monte di Dio, insomma una serie di nomi che vogliono indicare pressappoco lo stesso luogo in epoche diverse. Il suo promontorio scosceso dominava un lungo tratto di costa e si avvaleva oltre che della protezione del mare anche della protezione nell’entroterra della profonda valle di Chiaia nella quale confluivano molti corsi d’acqua: per questa sua morfologia si ritiene che Pizzofalcone sia stata la prima colonia fondata dai greci di Rodi e di Creta, anche se oggi, l’interro delle acque e lo sviluppo della città verso il mare nasconde questa sua antica natura. Di fatto solo durante il primo millennio a.C. si creò una spiaggia che rese possibile la costruzione di una via litoranea adiacente alle grotte, l’allora via Platamone oggi via Partenope. Da questa strada saliva un sentiero fino alla cima del monte sul cui tracciato furono costruite, nel XVIII secolo, le attuali “rampe del Chiatamone”. Le prime costruzioni sul monte Echia risalgono al tempo dei greci quando il promontorio si chiamava “Torre Falero”, dalla torre per segnalazioni per mezzo di fiaccole che vi costruì Falero quando approdò nella sottostante costa. Ben presto Torre Falero fu fortificata e divenne una rocca difensiva affiancata anche da un tempio. Il massimo splendore giunse in epoca imperiale romana quando la bellezza dei giardini che vi impiantò Lucullo e la magnificenza della sua villa costruita sull’isola dell’attuale Castel dell’Ovo cambiò il nome dell’allora Torre Falero in monte Lucullo. Si cominciarono comunque a tracciare le linee di fortificazione di una primitiva cinta muraria verso l’interno campano le cui notizie più antiche risalgono al rifacimento delle mura greche ordinato da Cesare dittatore. Nell’844 il Duca Andrea di Napoli modificò e migliorò la cinta muraria chiudendo la porta che stava a ponente della rocca e costruendone una in posizione più avanzata, detta “Porta Nuova. Continua a pagina 9 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n9 Fu prima testimone e poi custode della storia Gli storiografi sono comunque concordi che, quantunque sia difficile indicare con precisione l’andamento di questa murata e dei suoi rifacimenti e rinforzi, la rocca ne fu sempre il nucleo essenziale e di riferimento fino al XIII secolo, quando il numero di case costruite attorno alla rocca rese inutile il fortilizio che perse così la sua natura difensiva e avanzata. Per questo motivo fra il 1260 e il 1285 Carlo V modificò le destinazioni degli edifici fortificati sul monte Echia che divennero monasteri, in particolare l’antica rocca divenne un monastero agostiniano. La costruzione del monastero fu avviata nel 1278 e fu portata a termine da Carlo II d’Angiò. I religiosi agostiniani si trovavano ancora a Pizzofalcone nel 1500 quando dalla porta di Chiaia l’irrobustita cinta muraria saliva in alto accordandosi con i dirupi di Pizzofalcone da dove la murata girava sopra S. Lucia. Di questa si avvalse il Duca d’Alba perché poteva da essa far partire fuochi incrociati a difesa del porto. Nel 1626 il Vice Re Don Antonio Alvarez di Toledo fece costruire il baluardo di S. Lucia con la cortina che terminativa a S. Maria della Vittoria per difendere l’entrata del castello dalla parte di terra: tutto il Platamone fino alla Vittoria fu cinto con fortificazioni. Non è dato sapere né quando né come la costruzione passò dagli agostiniani al possesso del Vice Re Don Pietro d’Aragona che nel 1657 ridusse la fortezza a quartiere per le truppe spagnole, che con una grande opera di ristrutturazione. Infatti, nel 1647, allo scoppiare dei moti rivoluzionari capitanati da Masaniello, milizie spagnole ed insorti se ne contesero, con alterne vicende, il possesso che assicurava il dominio di Caste dell’Ovo e del Palazzo Reale. E fu proprio a seguito del tentativo rivoluzionario di Masaniello che si ritenne opportuno la necessità di presidiare saldamente l’altura facendovi acquartierare le milizie spagnole e provvedendo, negli anni 1667- 70, a ristrutturare l’attuale Caserma nella quale rimasero, accasermate le milizie straniere che costituivano il nucleo più saldo e fidato dell’Esercito del Re di Napoli. Al tempo di Carlo III di Borbone nel 1757 il quartiere fu ulteriormente ingrandito e furono costruite le rampe del Chiatamone; evidentemente per un più agevole collegamento con la strada rivierasca e le fortificazioni litoranee. Da un esame della pianta dell’attuale edificio si desume che l’antica fortezza Borbonica era con tutta probabilità un edificio quadrilatero a tre piani, con arcate ricorrenti, cui si accedeva dall’interno della città per la salita del Monte di Dio e le rampe di via Chiaia e dal lato mare per le nuove rampe del Chiatamone. Nel 1775 Ferdinando IV ampliò ancora il quartiere e stabilì che il fabbricato fosse destinato a dimora del Capitano Generale e a sede della Nobile Accademia di Marina. Nel 1818 furono installati anche un Ufficio Topografico per uso degli ufficiali dello Stato Maggiore, un osservatorio astronomico ed una ben fornita Biblioteca Militare. Nel corso del Settecento e dell’Ottocento, Pizzofalcone divenne il luogo privilegiato dell’aristocrazia, che cominciò a disertare il centro antico con il vicino Castel Capuano, prediligendo la vicinanza con il Palazzo Reale. Su progetto di Ferdinando Sanfelice sorse il grandioso Palazzo Serra di Cassano, la dimora dei Carafa di Noja, quella degli Alarcon de Mendoza e più tardi le residenze dei Sanfelice di Bagnoli e dei Masola di Trentola. Aldilà di tutto quello che fu edificato a fasto della collina di Pizzofalcone, nella prima metà dell’Ottocento il governo borbonico decise di istituire in questo luogo il Real Officio Topografico. La sua sede era dov’è oggi la Sezione Militare dell’Archivio di Stato. Un luogo che era tutt’uno con il presidio militare dov’erano acquartierate le truppe di fanteria della Guardia Reale. Grandi lavori di restauro furono voluti al tempo di Carlo e di Ferdinando I di Borbone. L’Officio Topografico era il vanto dell’Amministrazione militare del Regno delle Due Sicilie. Il suo primo nucleo nacque con i francesi, per decreto di Giuseppe Bonaparte l’8 giugno 1808. Si chiamava Deposito topografico ed era sotto il comando del ten. Generale Dumas, maresciallo del Palazzo Reale, dove ebbe la sua prima sede. Fu affidato al vecchio geografo padovano Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni (1736-1814), che già nel 1781 aveva ricevuto l’incarico da Ferdinando IV di redigere l’«Atlante geografico del Regno», in trentadue fogli. In realtà Rizzi-Zannoni già nel 1769 aveva pubblicato a Parigi la carta geografica del Regno di Napoli e, poi, nominato «regio geografo», pubblicò per primo l’«Atlante marittimo delle Due Sicilie» in venticinque fogli, e la «Carta del Litorale», incisa da Giuseppe Guerra. Nel 1832 la caserma fu ceduta al Corpo del Genio Reale e nell’agosto del 1860, con l’entrata di Garibaldi a Napoli, prese stanza a Pizzofalcone il primo nucleo di truppe garibaldine insieme ad un forte contingente di Guardie Nazionali aderenti al movimento rivoluzionario. Nel 1861, dopo il plebiscito e l’annessione delle provincie meridionali, il governo italiano destinò l’edificio centrale del complesso ad alloggiamento della I e II Compagnia del 1° Reggimento dei Bersaglieri come alto riconoscimento al valore dimostrato dalle due compagnie al Volturno e nell’aspro combattimento sotto Caserta Vecchia il 2 ottobre del 1860. Da allora, sul Colle di Pizzofalcone, nel Gran Quartiere di Pizzofalcone o Presidio di Pizzofalcone, nella Caserma “Vittorio Emanuele II”, oggi “Nino Bixio”, si avvicendarono ininterrottamente per ben ottantatré anni, ininterrottamente, quasi tutti i Reggimenti Bersaglieri e divenne “la caserma dei bersaglieri” per antonomasia. . Dal 1861 al 1866, alternativamente in distaccamento, vari battaglioni del 6° Reggimento di stanza a Capua; il 12 ottobre 1879 il 5° Rgt. entra a Napoli e permane fino al 25 settembre del 1880, quando sarà sostituito dal 6°, che nel luglio 1883 partecipa alle operazioni di soccorso alla popolazione di Casamicciola (NA) colpita dal terremoto e permane fino al 20 dicembre del 1884, quando sarà trasferito a Palermo e sostituito dall’8° Rgt; l’8° Rgt. resterà a Napoli fino all’8 settembre 1887, quando sarà trasferito ad Asti e sostituito dal 2° Rgt. il quale sarà trasferito a Cremona il 13 ottobre 1893 e sostituito dal 10° Rgt.; il 10° il 31 dicembre 1899 sarà sostituito dall’8° che a sua volta il 31 dicembre 1906 sarà trasferito a Palermo e sostituito dal 9° Rgt. che poi sarà trasferito ad Asti il 31 dicembre 1909 e sostituito dall’11°, che era di stanza, dal 1903, proprio ad Asti. Il nove ottobre del 1909, l’11° parte da Napoli e sbarca a Tripoli il giorno dodici. Rientrerà a Napoli nel 1913. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il 2 marzo 1921 è destinato a Napoli il 1° Rgt. che il 3 novembre 1939 raggiunge la frontiera occidentale e successivamente il fronte Greco-Albanese-Jugoslavo rientrando a Napoli il 29 giugno 1941. Riparte in seguito per la Calabria e resterà a Napoli fino al 1944, quando i bersaglieri lasciarono la Caserma Nino Bixio per andare a far parte dei raggruppamenti celeri. Fino alla fine della II Guerra Mondiale la Caserma di Pizzofalcone non risulta che subì ulteriore diverse destinazioni. Nel Secondo Conflitto, l’edificio fu bombardato ripetutamente e durante l’occupazione delle truppe anglo-americane di Napoli, l’edificio fu usato come base americana. Alla fine della guerra l’edificio non poteva prestarsi neppure a raccogliere un piccolo contingente di fanteria. Nel 1945, a conclusione di più di trenta anni di trattative, l’immobile fu consegnato al Comune di Napoli quale opera d’indiscusso valore storico. Per la sua posizione centrale rispetto al concentrico cittadino, l’edificio fu destinato all’uso della Polizia di Stato che nel 1946 ne cominciò i restauri e impiantò un reparto Celere delle Guardie di Pubblica Sicurezza, reparti istituiti dal ministro Giuseppe Romita nel 1946 a ridosso del referendum per la scelta fra monarchia e repubblica, in pratica utilizzando i battaglioni, dei quali era cessato l'impiego bellico. Oggi è sede del IV Reparto Mobile della Polizia di Stato. A Napoli i Bersaglieri ritornarono, anche se nel quartiere periferico di Miano, il 31 maggio 1956 quando il 1° Battaglione del C.A.R.T.C. di Avellino è trasferito alla Caserma Aminto Caretto e vi resteranno fino al 1968/1969. Un aneddoto ed una curiosità storica del periodo di Comando alla Nunziatella del Ber. Col. Bernardino Grimaldi (1951-1955). Il pluridecorato (Ferito di Guerra 4 Medaglie d’Argento al V.M. – Medaglia di Bronzo al V.M. – 4 Croci di Guerra al Merito) Bers. Col. Bernardino Grimaldi di Crotone (nato a Roma il 25 marzo 1899 - morto a Firenze il 5 dicembre 1969) fu Comandante dell 8° Reggimento dal 1° ottobre 1950 al 31 ottobre 1951 e poi dal 7 novembre 1951 al 1° agosto 1955 della Nunziatella, allora denominata Collegio Militare di Napoli. La Nunziatella, Il 1° settembre 1949 assunse la nuova denominazione di Collegio Militare di Napoli e fu riaperta nell’ottobre del 1949, riottenendo il successivo 24 maggio 1950 la bandiera. Il Colonnello Grimaldi, fu Comandante del Collegio, negli anni difficili del dopoguerra, e quindi, negli anni della ricostruzione civile e militare dell’Italia. Durante il suo comando, si dedicò al recupero ed ad infondere ai suoi allievi l’amor di Patria. Lo fece con grinta, determinazione e spirito da bersagliere, tanto da influenzare, anche attraverso l’addestramento, quelli che erano gli usi e le tradizioni bersaglieresche. Il Col. Grimaldi faceva anche sfilare gli allievi al passo di corsa (tali curiosità sono testimoniate in un cinegiornale, di una cerimonia di quegli anni, della Settimana INCOM: Un giorno alla Nunziatella), anche la loro attività ginnica era impostata come quella dei bersaglieri, anche se il “saggio ginnico” è stato sempre un vanto per l’Istituto. Il Col. Grimaldi, fece adottare come Inno della Scuola la canzone, modificata, “Quando passano i Bersaglieri”. A tal proposito, riporto un ricordo del Gen. Antonio Bianchi, in merito all’Inno della Nunziatella di quegli anni: “Ricordo che quando nell’ormai lontano 1951 sono arrivato alla “Martelli” di Pordenone, dove era di guarnigione l’8° Reggimento Bersaglieri, le compagnie cantavano la canzone “Quando passano i Bersaglieri” che comprendeva la frase: “Donne ragazze mie gettate un fiore..”(sicuramente il sabato mattina, in occasione della marcia celere settimanale di 15/20 chilometri), che, ovviamente, veniva eseguita anche dalla Fanfara reggimentale, per il vero, non molto spesso, fino a scomparire dal repertorio. Questo, probabilmente perché altre marcette erano più note, orecchiabili e musicalmente più indicate. Da allora, mi sono sempre chiesto come mai, la marcetta in predicato, piano piano sia stata “dimenticata” sino a scomparire appunto, dal menu della Fanfara. Dopo alcuni anni di attività musicale, la mia vita militare ha preso un’altra piega, che ritengo inutile ricordare. . Però, poiché grazie a Dio la memoria ancora non mi ha lasciato, men che meno quella musicale, credo di aver individuato i motivi e i protagonisti di questo “tramonto” in ambito bersaglieresco. Quando io giunsi all’8°, il Reggimento era comandato dal Col. Bernardino Grimaldi di Crotone il quale, effettuato il periodo di comando di rito, è stato destinato a comandare la Scuola militare Nunziatella a Napoli. La Nunziatella, ha sempre avuto il suo inno ufficiale che probabilmente, a Grimaldi non piaceva affatto, abituato alla vivacità delle marce bersaglieresche. Nel 1952 ha adottato il canto bersaglieresco, ha fatto modificare alcune parole e lo ha adottato per la Scuola imponendone l’esecuzione agli allievi. Infatti, se si osserva, nel testo, si fa riferimento alla fanfara, complesso musicale che la Nunziatella non ha mai avuto. l'Inno "La Nunziatella passa per la via" fu proibito nel 1953 e sostituito con l'Inno “Pompa”. Erano gli anni del dopoguerra, anni molto tristi, tutti avevano la stessa grande esigenza di procacciarsi da mangiare, la città di Napoli nei confronti dei militari era molto fredda e quindi in quel periodo la Nunziatella, ed anche i suoi allievi, non erano ben visti dal popolo napoletano per i trascorsi della guerra e della distruzione e quindi la Scuola, che si trovava vicinissima ai quartieri spagnoli ebbe non pochi problemi nel far accettare le uscite degli allievi in divisa militare. . Gli allievi pensando alla fame, al canto del ritornello erano soliti sostituire le parole di due righe in questo seguente modo: Donne ragazze mie gettate un pane (fiore) .... pane! (fiore!) - Passa la gioventù, passa la fame! (l'amore!) – e questo fu il motivo della sua proibizione. Vincenzo Iavarone IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 10 Direzione Italiana per l'operazione “Atalanta” di Alessandra Nespolino Dallo scorso 6 agosto il comando delle operazioni antipirateria nel Corno d’Africa è passato nelle mani della Marina Militare italiana. Al contrammiraglio tedesco Jürgen Zur Mühlen si è così sostituito il collega Guido Rando che sarà a capo dell’Operazione Atalanta. Concepita in accordo con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la missione Atalanta, è nata in risposta al fenomeno della pirateria nell’Oceano Indiano e nel Gofo di Aden ed è un’importante strumento della Politica Europea di Difesa e Sicurezza Comune (PESD). Iniziata nel dicembre 2008, continua a dare un importante contributo alla lotta e al contrasto di questo fenomeno dilagante e alla sicurezza marittima di questa zona di Oceano, con importanti risultati. Prorogata fino a dicembre 2014, la missione affidata alle Unità Navali è quella di proteggere le Unita' del Word Food Program, ed altre Unita' vulnerabili, effettuando deterrenza e, quando in possesso di prove sufficienti, arresto dei pirati presenti nell'area di operazioni, e allo stesso tempo mantenere un monitoraggio delle attività' di pesca al largo della costa somala. Inoltre l'estensione del mandato dell’ultima risoluzione ONU 2020/20 consente di agire sulle postazioni logistiche dei pirati, negando agli stessi un senso di impunità sul litorale che, nel tempo, esercitando una pressione costante, darà sempre più sicurezza al passaggio delle navi nell'area del Corno d'Africa. Fra i vari compiti assegnati alle Unità in pattugliamento nell'area di operazione, sono da evidenziare pattugliamento nel Golfo di Aden, ed in particolare lungo l' Internationally Recommended Traffic Corridor (IRTC) ,attività di monitoraggio e raccolta dati lungo la costa somala, attività di scorta alle unità mercantili del WFP e delle United Nations Support Office for African Union Mission in Somalia (UNSOA),attività di scorta ai mercantili all'interno della IRTC. La zona di interesse dell’operazione Atalanta copre un’area parecchio vasta che comprende il sud del Mar Rosso, il golfo di Aden e la zona ovest dell’Oceano Indiano comprese le Seychelles, la costa Somala e il suo territorio interno. E’ un’area di circa 2.000.000 di miglia nautiche quadrate (quasi 4.000.000 di chilometri quadrati o l'equivalente di 30 volte la dimensione d'Inghilterra, 10 volte più grande della Germania, o 7 volte quella della Francia o Spagna). Le nazioni partecipanti all’operazione Atalanta possono mettere a disposizione del Comando EU NAVFOR OHQ a Nortwood in Inghilterra navi da combattimento o navi da supporto logistico con eventualmente elicotteri imbarcati oppure mezzi aerei (MPRA: Maritime Patrol and Reconnaissance Aircrafts) per la ricognizione e il supporto anti-nave, oltre che squadre di protezione della navi (VPD: Vessel Protection Detachment Teams).Normalmente la composizione varia in base alla rotazione dei reparti e della nazioni partecipanti ma è sempre di circa 4/7 unità navali e 2/3 aerei da pattugliamento marittimo. Inoltre la EU NAVFOR collabora con altri gruppi navali (S.N.M.G. Standing Nato Maritime Group e C.M.F. Combined Maritime Forces) presenti nella zona che partecipano all’Operazione Ocean Shield della NATO, ma anche ad esempio con unità navali Russe, Cinesi, Indiane e Giapponesi tutte impegnate a vario titolo nel contrasto alla pirateria. Ad oggi le unità navali impegnate sono le seguenti: ITS Nave San Giusto (Italia), ESPS CASTILLA (Spagna), ESPS RELAMPAGO (Spagna), FS LA FAYETTE (Francia), FGS SACHSEN (Germania); mentre i mezzi aerei sono: CASA CN235 (Spagna), Fairchild SW3 Merlin (Governo Lussemburgo), ATLANTIQUE 2 (Francia), P-3C CUP ORION (Germania). Il Reporter di guerra: nascita di una professione di Francesco Gallo La recente e tristissima morte del giovane Simone Camilli a Gaza, in seguito alla deflagrazione di una bomba, ha portato a riscoprire una delle figure professionali che si muovono tra gli scenari di crisi internazionali e che fa da filtro ai cittadini dei propri Paesi: il “reporter di guerra”. Si tratta sicuramente di una professione che, si volesse risalire tanto indietro nel tempo, ci riporterebbe addirittura a Senofonte o a Giulio Cesare, ma che in verità trova la genesi della sua identità, nelle forme in cui la conosciamo oggi, nel XIX secolo. Infatti, molti individuano il primo inviato di guerra in Henry Crabb Robinson, spedito dal direttore del Times, John Walter, prima a seguire la campagna Napoleonica di Prussia agli inizi dell'800, e poi la campagna Napoleonica di Spagna nel 1808. Entrambe le esperienze furono però fallimentari, tanto che Robinson fu licenziato. Se alcuni considerano Robinson il primo inviato di guerra (almeno cronologicamente, perché sul piano dei risultati lasciò molto a desiderare), altri individuano in Charles Lewis Guneison, l'inviato del Morning Post che nel 1834 seguì la guerra civile spagnola scoppiata alla morte di Ferdinando VII, un prototipo decisamente più completo. Quest'ultimo d'altronde per la sua “curiosità giornalistica” fini addirittura per essere arrestato come spia. Comunque con questi due nomi siamo nella protostoria del giornalismo di guerra, infatti il consenso unanime degli studiosi sul “primo inviato di guerra” ricade sul nome di William Russell mandato dal direttore del Times, John Delane, sui campi di battaglia di Crimea (1854) per fornire ai lettori i resoconti di quel conflitto così lontano. Le sue cronache ebbero un successo enorme, ed il segreto stava nella volontà di scrivere tutto ciò che vedeva, anche gli aspetti meno nobili della guerra: il dolore, la sofferenza, i corpi straziati dalle granate e le urla; ma anche gli errori dei generali e la presunzione di alcuni comandanti del corpo di spedizione britannico. In breve, faceva il cronista degli avvenimenti cui assisteva. Ovviamente ciò non piaceva molto né al governo inglese né all'esercito, tanto che proprio con lui si ebbe il primo episodio di vera censura giornalistica della storia. Da non dimenticare, inoltre, che in questa occasione ci fu la comparsa anche del primo “vero” fotoreporter di guerra: Roger Fenton. Da quel momento in poi il giornalismo di guerra iniziò ad affermarsi, ed i suoi inviati a moltiplicarsi. In Italia, questa figura costituirà una schiera sempre più numerosa a partire dalla “Guerra d'Africa” e , quindi, dalla prima avventura coloniale italiana, in occasione della quale furono mobilitati illustri nomi come Vico Mantegazza ed Adolfo Rossi. Questo breve excursus sulla nascita del “reporter di guerra” fa giungere sostanzialmente ad una verità: sicuramente sono cambiate nei secoli molte cose , in primis a livello tecnologico, ma ciò che rimane immutabile è la complessità di questa professione. L'assenza di scuole di formazione fa si che ad essere fondamentali siano la passione, la preparazione culturale, una buona dose di “agganci” e tantissima intraprendenza. Scrive Mimmo Candito, grande inviato de La Stampa, che: “il corrispondente di guerra deve anche saper essere un reporter, il migliore, il più attento, e sveglio, dei reporter. Deve cercare i fatti, e raccontarli, anche quando nessuno parla, o quando le bombe ti piovono addosso, o quando ti minacciano che se scrivi quella roba lì ti espellono dal fronte”. Museo d’Arte moderna di L’Habana – Cuba - Autore : e.g.c. IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n12 Cambio al vertice del Centro Documentale di Napoli Napoli – Oggi 21 novembre 2014, con inizio alle ore 10.00, nella caserma Calò in via Colonnello Lahalle ha avuto luogo la cerimonia di cambio del Comandante, al colonnello Gian Nicola LUCIANO succederà il colonnello Gerardo BAIANO. Ha presieduto la cerimonia il generale di brigata Antonio RAFFAELE, vertice del Comando Militare Esercito “Campania”. Il passaggio di consegne è stato preceduto dalla deposizione di una corona di alloro al monumento ai caduti. Il Centro Documentale di Napoli (CEDOC) è l'erede diretto del Distretto Militare di Napoli (27°), costituito nel dicembre 1870. Il CEDOC di Napoli assolve, quindi, a tutti i compiti del disciolto Distretto Militare di Napoli. Il lavoro é rivolto quasi esclusivamente all’utenza civile ed in congedo anche mediante uno Sportello Informazioni, aperto al pubblico dal Lunedì al Mercoledì dalle 08.00 alle 12.30 e dalle ore 14.00 alle 15.45 ed il Giovedì e Venerdì dalle 08.00 alle ore 13.30. Sospesa la Leva, il Centro svolge prevalentemente attività documentale, rivolta al personale che ha terminato il servizio militare, informativa, per chi cerca informazioni sull'arruolamento e la riserva e di servizio per altre istituzioni come i Comuni o l'INPS. Il Centro ha competenza per la Campania tranne le provincie di Caserta e Salerno. “E’ stato un periodo intenso e ricco di soddisfazioni - afferma il colonnello LUCIANO – durato poco più di quattro anni nel quale registriamo circa 37.000 domande di arruolamento per VFP1 gestite, portando il CEDOC di Napoli ad essere il primo in Italia. Centinaia le richieste di informazione per l’accesso alla riserva selezionata da parte di professionisti di tutte le categorie – continua LUCIANO - oltre 7.000 le richieste di copia di fascicoli matricolari, 6000 le richieste INPS online, circa 1300 richieste di: cause di servizio, pensione privilegiata ordinaria, equo indennizzo e sono state concesse 71 onorificenze che vanno dalla croce al merito di guerra fino all’inscrizione al Ruolo d’Onore” . Angelo Grilletto Un’ avventura nel sottosuolo: il Tunnel Borbonico di Napoli Il percorso di visita creato dall’Associazione Borbonica Sotterranea, attraverso gallerie, ricoveri, cisterne e linee ferroviarie di Maria Cristina Napolitano - 19 Ottobre 2014 Napoli insorse contro i Borbone nel 1848 a Largo di Palazzo (Piazza Plebiscito). Il fervore di bombardamento che per gli sfollati, e anche l’impianto elettrico costruito per illuminare. Fu rivoluzionario giungeva dalla Sicilia e il re Ferdinando II si vide costretto a promulgare di lì a proprio in quel momento che si realizzarono numerosi accessi alle cavità da diversi punti del poco la Costituzione del regno delle Due Sicilie. Questa la causa della costruzione del Tunnel Monte Echia. Uno degli accessi sfruttò una scala realizzata nel ‘700 che consentiva ai pozzari la Borbonico, che per scopi tattici doveva servire alle truppe del re nell’eventualità di una nuova manutenzione dell’acquedotto, ma dopo gli ultimi bombardamenti tale accesso, sito in via del rivolta: passando attraverso la via sotterranea, le truppe avrebbero potuto sorprendere i rivoltosi Grottone, 4 fu usato per riempire di detriti le cavità e se ne perse traccia. La scala è stata liberata alle spalle in Largo di Palazzo. Era il 1853 quando Ferdinando II firmava un decreto con il quale grazie all’intuizione di Manin e dei suoi collaboratori che per 6 mesi hanno lavorato all’opera di incaricava l’architetto Errico Alvino - che tante altre importanti opere ha lasciato a sua firma nel pulizia finendo per arrivare in un ambulatorio veterinario. Questo oggi è uno degli accessi regno - di progettare un viadotto sotterraneo che attraversasse il Monte Echia congiungendo principali al Tunnel. Il secondo è in via Domenico Morelli all’interno del grande parcheggio Palazzo Reale con Piazza Vittoria, prossima al mare e alle caserme. La Galleria Reale (detta omonimo, da cui vi è l’accesso alle visite anche ai diversamente abili. I percorsi tra cui anche Strada Regia) doveva essere una via di fuga per i monarchi e una via di immediato accesso scegliere sono il percorso “standard”: adatto a tutti anche ai disabili in carrozzella; per le truppe acquartierate a via Pace (attuale via Domenico Morelli) fino al Largo Carolina, “avventura”: che comprende una parte di percorso da fare in zattera, la “Caronte”; “speleo” dietro il colonnato di Piazza Plebiscito. Mentre l'altra galleria, la Strada Regina, aveva la (per gli over 18): dotati di elmetto con luce frontale come dei novelli speleologi, tuta ed imbraco, direzione contraria fino a Via Santa Lucia. Queste gallerie sotterranee sono oggi visitabili si esplorano i cunicoli usando le funi come un tempo facevano i pozzari. I percorsi avventura e grazie all’impegno dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea che da un progetto speleo sono sconsigliati a chi ha problemi motori o soffre di claustrofobia. L’associazione iniziale realizzato dai geologi Gianluca Manin e Enzo De Luzio hanno realizzato una struttura organizza anche attività per bambini dai 7 ai 12 anni con simpaticissime cacce al tesoro.La turistica visitabile in sicurezza, composta da tre differenti percorsi di visita adatti a tutti, con visita inizia superando carcasse di auto e moto del periodo della guerra, trasportate dal Comune il supporto di professionisti che accompagnano nella visita. Tutto è iniziato nel 2005 quando i che usava gli ambienti come deposito giudiziario; all’ingresso ci sono frammenti di un geologi entrarono per la prima volta nel Tunnel per realizzare alcuni rilievi. Con la Ingeo s.r.l. monumento di epoca fascista dedicato al Capitano Aurelio Padovani rinvenuto dall’associazione. erano impegnati in attività di verifiche statiche e lavori di messa in sicurezza delle cavità Il percorso permette di visitare il tunnel e gli ambienti pertinenti ai rami seicenteschi sotterranee di Napoli per conto del Commissariato di Governo per l’Emergenza Sottosuolo. Si dell’acquedotto della Bolla e del “Carmignano”, intercettati dalla costruzione della galleria presentò ai loro occhi una situazione di abbandono e degrado, il tunnel, da via di passaggio e ottocentesca e superati attraverso ponti e lavori idraulici per non togliere acqua alle abitazioni, rifugio antiaereo nella seconda guerra mondiale, era divenuto una discarica, invasa dai detriti fatta scorrere ad una quota inferiore rispetto alla galleria borbonica. Si vedono così e dai materiali della guerra e dei lavori per la costruzione della Metropolitana L.T.R. che nell’acquedotto i camminamenti dei pozzari, personaggi a metà strada tra la storia e la leggenda avrebbe dovuto passare lì secondo un progetto redatto per i mondiali di calcio del ’90. Da quel (leggi l’articolo dedicato al Munaciello), le tracce delle malte idrauliche utilizzate per momento per ben 5 anni i componenti dell’Associazione con il supporto volontario di molte impermeabilizzare il tufo - di natura una pietra porosa - le mummarelle, anfore che servivano a persone hanno ripulito dai detriti accumulati le cavità, permettendo così di creare un percorso tirare l’acqua in superficie dai pozzi siti a 30-40 metri di profondità.Il percorso “avventura” sotterraneo di incredibile interesse culturale. Le spese per i lavori sono state completamente a permette di visitare anche un tratto di quella che avrebbe dovuto essere il percorso della carico dell’associazione, che continua ancora oggi con campagne di scavo aperte a tutti, a Metropolitana Linea Tranviaria Rapida mai completata. Si supera un tratto allagato da acqua lavorare per lo sgombero dei detriti di parti del percorso. È ancora possibile vedere i bagni piovana trasportati da una zattera. I lavori iniziati furono interrotti perché intercettando una parte costruiti nel ’39 quando il tunnel e le cavità limitrofe furono usate come ricoveri, le tracce dei del circuito dell’acquedotto i costi di spesa del lavoro sarebbero lievitati eccessivamente finendo vari ampliamenti nei percorsi, funzionali a collegare le cavità e allargare i rifugi usati sia in caso fuori budget e per questo venne tutto abbandonato dopo 9 anni lavoro. IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n13 Articles from OMEGA News Libia, qualcosa è andato terribilmente storto 2014- 11- 17 21:11:31 Luigi R. Maccagnani Un Paese ostaggio di una sparuta ma agguerrita minoranza armata e di una staffetta di dirigenti inermi, in un panorama di abbandono internazionale – Un Paese di opportunità perdute Karim Mezran e Kat herina Pruegel in un loro recente articolo (Limes, Set t. 2014) offrono una ricetta per risollevare il paese: a) il cessate-il-fuoco con ritiro delle milizie da Tripoli e Bengasi; b) lo schieramento di una f orza internazionale di interposizione; c) un governo di unità nazionale. La situazione attuale è fuori controllo: sul campo si combattono da una parte milizie islamiste centrate sulla città di Misurata (città che più di altre ha subito la reazione del regime di Gheddafi nel 2011), e dall’altra quelle di area “anti islamista” o laica, liberamente alleate alla milizia di Zintan. Lo scenario è reso ancora più complicato dalle armi sottratte ai depositi saccheggiati del vecchio regime, dai finanziamenti provenienti da attività illecite e dal sostegno – si sospetta – di organizzazioni esterne. Il tutto in un vacuum di controllo del governo centrale, inerme per mancanza di esercito e polizia, assolutamente incapace di garantire un minimo di sicurezza nel Paese, tanto meno la nascita di istituzioni democratiche. La strategia delle milizie – di entrambe le part i – di boicottare la produzione di petrolio e gas (la produzione in barili di petrolio equivalente, greggio + gas, a front e di una potenzialità di 3 milioni di BOE/giorno è scesa a meno di 400,000 BOE/giorno) sta privando il governo centrale delle necessarie risorse finanziarie per condurre eventuali azioni di contenimento. La Libia ha una popolazione di circa 6,5 milioni; un’indagine demografica, promossa dal Ministero degli Est eri della Danimarca, condotta nella seconda metà del 2013 su un vasto campione comprendente tutte le regioni del Paese, ha indicato che l’80 percento degli intervistati crede che la miglior forma di governo sia la democrazia, l’85% degli abitanti della Cirenaica intervistati è contraria alla separazione dalla Libia (il 66% fortemente contraria), l’84% dei cittadini nelle regioni Sud (Fezzan) è ugualmente contraria (il 63% fortemente contraria). Da notare che anche nel 1947, quindi nell’immediato dopoguerra, un’indagine demoscopica condotta dall’ONU aveva dato risultati simili, e ciò prima del gap generazionale post era - internet. Le part i in causa? La somma degli effettivi delle milizie e dei “politici” che li sostiene non supera al più che qualche migliaia di elementi, nulla contando il volere della maggioranza “inerme” della popolazione. La domanda è: ce la può f are la Libia – da sola – a venir fuori da questo impasse? Vale, penso, la pena ricordare gli eventi che si susseguirono negli anni seguenti la f ine della seconda guerra mondiale cercando possibili analogie e analizzando cosa è andato storto. 1. Allora Conferenza di Postdam (Germania, 17 Luglio – 2 Agosto 1945): venne deciso dagli Alleati che la Libia non sarebbe stata restituita all’Italia (di cui era colonia dal 1911); USA, UK e Unione Sovietica non si trovarono comunque d’accordo, i primi favorendo un periodo di transizione gestito dal Trustee-ship delle Nazioni Unit e, UK favorevole ad una immediata indipendenza, URSS incline a dividere la Libia in tre amministrazioni mandatarie rispettivamente sotto controllo di Russia, UK e Francia. Trattato di pace del 1947: la Libia avrebbe mantenuto uno stato di indipendenza pro-tempore nell’attesa che una commissione di indagine multinazionale formulasse una proposta. Dopo le opportune indagini demoscopiche, la commissione trovò che il popolo Libico desiderava unità di territorio e indipendenza, ma che fosse ancora immaturo per governarsi autonomamente ed il problema fu deferito all’assemblea generale ONU. Risoluzione ONU Novembre 1949: f u definito un periodo di transizione da concludersi al più t ardi nel Gennaio 1952; l’amministrazione del Paese f u affidata ad un Consiglio di 10 membri – t re ciascuno per ognuna delle regioni principali – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – più un rappresentante delle minoranze etniche. Fu poi nominato l’olandese A. Pelt come commissario per l’applicazione del piano di Indipendenza. Durante il periodo di transizione, l’amministrazione corrente di Tripolitania e Cirenaica fu curata dalla Gran Bretagna, quella per il Fezzan dalla Francia. Assemblea Costituente Libica, Novembre 1950: format a da 21 membri, sette per ciascuna regione; a conclusione del loro lavoro scelsero per la Libia un governo federale, comprendente le t re regioni, sotto un unico monarca rappresentante tutto il popolo Libico. L’approvazione f ormale della Costituzione avvenne nell’Ottobre 1951. Indipendenza, 24 Dicembre 1951: inizia il regno di Re Idris 1, poi a cavallo degli anni sessanta è arrivato il grande corruttore – il petrolio – e infine la rivoluzione di Gheddafi il 1° Settembre 1969. 2. Adesso- La Primavera Libica: Febbraio 2011, scoppia la rivolta contro il regime di Muammar Gheddafi; Marzo 2011 inizia l’intervento militare internazionale (risoluzione ONU 1973, dello st esso mese) e, dopo un primo intervento aereo della Francia segue la NAT O e, a f ine Marzo, il Qatar. L’azione militare della così detta Operazione Unified Prot ector (OUP) è limitata ad interventi aerei e navali di supporto con azioni di contenimento sulle f orze di Gheddafi, ma senza una presenza sul terreno. Il 20 Ottobre 2011, con la morte di Gheddafi, viene dichiarata la “liberazione”. Il Consiglio Nazionale Transitorio (NTC – National Transitional Council of Libya): la sua formazione fu annunciata in Bengasi il 27 Febbraio 2011 come “faccia politica” della rivoluzione, di fatto ha governato per circa 10 mesi, dalla morte di Gheddafi all’8 Agosto 2012, insediamento del nuovo Congresso l’85% degli aventi diritto): questo è forse il periodo in cui la Libia ha mancato di cogliere la sua grande opportunità, ed in cui i Paesi che avevano partecipato all’OUP, almeno i Paesi occidentali, non hanno saputo erogare quel supporto che sarebbe stato fondamentale per uno sviluppo democratico della Libia. Elezione Assemblea Costituente, Febbraio 2014: Elettori registrati il 31,7%, evidente un’insidiosa perdita di fiducia nel sistema politico in essere. Giugno 2014, nuove elezioni politiche: Elettori registrati il 44% degli aventi diritto. Il GNC (General National Congress) che ne esce è sbilanciato a favore delle fasce islamiste, complice l’Isolation Law, legge che interdiva da qualsiasi posizione politica o manageriale chiunque avesse avut o un ruolo durante il periodo di Gheddafi, impedendo qualsiasi “riconciliazione” e mettendo fuori gioco quella classe dirigente, che pur essendo stata in varia misura coinvolta con il passato regime, avrebbe potuto mettere al servizio della nuova Libia la propria capacità. Da notare che nell’indagine di f ine 2013 il 52% delle persone intervistate si erano dichiarate contrarie alla suddetta Isolation Law. 4 Agosto 2014, House of Representatives (HoR): a seguito delle elezioni di Giugno, viene eletto un nuovo parlamento. 14 Agosto 2014. Bernardino Leon, già Special Representative dell’Unione Europea dal 2011, viene nominato Special Representative delle Nazioni Unite e Capo della United Nations Support Mission in Libia. 25 Agosto 2014. Una minoranza di membri non rieletti alle elezioni di Giugno, di area islamista e sostenuti dalle relative milizie, dichiarano un nuovo GNC, ed eleggono un loro “Primo Ministro”, Omar El-Hassi. Questo self –proclaimed GNC, ed il conseguemte PM, non sono riconosciuti a livello internazionale. Nel frattempo, per ragioni di sicurezza, la House of Representative si trasferisce a Tobruk. 7 Novembre 2014. La Corte Suprema Libica emana una sentenza dichiarando nulle le elezioni del 25 Giugno, e quindi illegittima la HoR di Tobruk. Non è stata resa pubblica, a t ut t ’oggi, la posizione delle Nazioni Unit e (ultima risoluzione la 2174 del 27/8 http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp? symbol=S/RES/2174%20%282014%29), né sono state rese pubbliche posizioni dell’Europa o di singole nazioni (solo la Turchia ha permesso al suo rappresentante in Libia diincontrare El-Hassi, il PM indicato dal GNC). Certo, senza un aiuto concreto dalla comunità internazionale, la Libia rischia davvero di diventare uno Stato Fallito, (dall’articolo Limes citato: “preda di trafficanti di ogni genere e organizzazioni terroristiche”) con t ut t e le conseguenze non solo per il popolo libico. Nel frattempo la CRT (Mezzaluna Rossa Tunisina) e UNHCR st anno affrontando il problema del massiccio afflusso di libici che stanno entrando in Tunisia, preparandosi con unità mobili dislocate a Zarzis, Djerba e Medenine per prestare i primi aiuti, cure mediche e trovar loro una sistemazione. Eppure i segnali dei problemi a venire erano evidenti da tempo. Scriveva Abdullah El-Maazi su Libya Herald il 27 Novembre 2013, The Hijacking of Libya: il periodo post -rivoluzione ha semplicemente rimpiazzato un livello della struttura di Gheddafi, dai “Comitati della Rivoluzione” agli “Althuwar”, o i rivoluzionari – gli uomini con le armi hanno rimpiazzato Gheddafi come arbitri del fato della Libia (e non è detto che gli uomini con le armi di adesso siano gli st essi della prima ora, che nella maggior part e sono tornati alle loro attività). La struttura tribale della Libia è molto cambiata dai t empi della seconda guerra mondiale, gli anziani con la levatura, l’influenza e la saggezza che avevano consentito l’evoluzione verso l’indipendenza dalla f ine della guerra al 1951 non ci sono più, persone con capacità gestionale sviluppata nei 43 anni di Gheddafi sono state escluse dalla “Isolation Law”, non ci sono – dall’una o dall’altra parte – nell’era post -rivoluzione personalità con carisma e capacità sufficienti per raggiungere un compromesso e persuadere i loro seguaci – più o meno tribali – ad accettarlo. Poco import a l’ottimismo di Husny Bey, uno degli uomini di affari di maggior successo in Libya, che ha subito carcerazione e tortura ai t empi di Gheddafi, che commentando dopo il risultato delle elezioni del Giugno scorso scriveva: “Troppo presto per chiamare la Libia uno Stato Fallito (Libya Herald, 11.06.2014)”, e salutava come segno positivo la nascita dell’House of Representative, e portando come ulteriore segno positivo lo sviluppo del settore privato Libico, e la potenziale nascita di una “middle class”, un settore privato capace potenzialmente di creare post i di lavoro e ricchezza. L’evoluzione della situazione nei quattro mesi che sono seguiti, culminati con la decisione della Corte Suprema del 7 Novembre ultimo scorso – purtroppo – sconfessano il suo ottimismo, e f anno t ornare all’analisi di Al-Maazi. Di fatto c’è un’altra differenza fondamentale con il periodo post seconda guerra mondiale: all’epoca a garantire sicurezza e stabilità f u una amministrazione controllata da Paesi stranieri – si usciva da un periodo coloniale e dalla guerra mondiale – ma quella sicurezza e st abilità consentirono un negoziato sereno e costruttivo tra interlocutori responsabili. Sicurezza e s abilità sono ora assenti perché i governi eletti, sei dal 2011, non hanno avut o né la capacità né gli strumenti per garantirla, dall’altra part e, al posto dei responsabili anziani tribali ci sono incontrollabili warlords con interessi ben diversi dall’evoluzione democratica del Paese tanto agognata dalla stragrande maggioranza della popolazione, che è lasciata sola. Luigi R. Maccagnani IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n13 L’appello di Paolo Siani al premier Renzi per un Piano Infanzia L’adesione delle istituzioni del Sabato delle Idee, del Garante dell’Infanzia Spadafora e delle Mamme della Terra dei Fuochi Presentati tre progetti per l’infanzia: da Gaza alla Terra dei Fuochi “La malattia che crea i danni più gravi ad un bambino e che si trasmette dai genitori ai figli è la povertà, perché comporta un altissimo rischio di esclusione sociale e condanna in modo quasi ineluttabile una parte consistente della popolazione ad un destino di marginalità in grado di determinare per la società un carico di povertà e devianza che può minare alla base qualsiasi possibilità di sviluppo economico e sociale dell’intero Paese”. È un grido d’allarme molto forte quello che lancia Paolo Siani, presidente dell’Associazione Culturale Pediatri Italiani (che raccoglie oltre 2500 pediatri in tutto il Paese suddivisi in 35 gruppi territoriali) intervenendo al Sabato delle Idee dedicato al tema dei “Diritti dei Minori nella società multimediale e multiculturale” ed organizzato in occasione della Giornata Internazionale per i diritti dell'infanzia e dell’adolescenza. I numeri della povertà in Italia e il profondo gap Nord – Sud Un grido d’allarme suffragato dai numeri sviscerati da Siani e prodotti dall’ACP incrociando i dati Istat sulla povertà in Italia e quelli del Rapporto di Verifica dei Livelli Essenziali di Assistenza curato dal Ministero della Salute. In Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, pari al 17,6% di tutti i bambini e gli adolescenti. Il 7% dei minorenni vive in condizioni di povertà assoluta, pari a 723.000 persone di minore età. Una situazione per altro molto diversa a seconda del luogo di nascita. La quota di povertà assoluta è del 10,9% nel Mezzogiorno, a fronte del 4,7% nel Centro e nel Nord del Paese. “Ma il dato che più di altri ci aiuta a individuare il fallimento delle politiche sinora adottate - ha spiegato Siani - è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: un rischio pari al 70% nel Mezzogiorno a fronte del 46,5% a livello nazionale”. L’investimento sul capitale umano per il futuro del Paese “Dovrebbe essere noto a tutti - ha evidenziato Siani che la povertà produce cicatrici precoci nello sviluppo cognitivo del bambino che restano visibili per tutta la vita”. Ed allora, come ha spiegato Siani “bisogna intervenire subito per guardare al futuro, e bisogna farlo con interventi concreti di lunga durata e di ampio respiro, senza parole o promesse, senza finanziamenti sporadici a pioggia, ma con programmi di intervento chiari, organici e valutabili perché l’investimento sul capitale umano è l’investimento più produttivo che possa fare un Paese per il proprio futuro, anche da un punto di vista economico”. L’appello a Renzi per un Piano Infanzia “concertato”. Ed allora ecco l’appello al Premier Renzi per un tavolo programmatico con tutte le realtà che operano nell’assistenza e nell’educazione per l’infanzia che possa dare vita ad un “Piano Infanzia”, con l’obiettivo, come ha spiegato Siani “di ‘adottare’ sin dalla nascita i neonati delle famiglie a rischio psicosociale, creando un sistema organico di politiche sociali, sanitarie e di istruzione che possa garantire quell’effettiva eguaglianza tra i minori di tutto il Paese oggi fortemente compromessa dal grande squilibrio economico”. “Se la classe dirigente di questo Paese non modifica l’approccio verso i temi dell'infanzia e dell’adolescenza - ha concluso Siani sostituendo l'atteggiamento quasi caritatevole che ha avuto sinora con un’azione organica di lungo periodo, che dimostri di cogliere il valore cruciale della formazione e della salute fisica e mentale delle giovani generazioni, consegneremo alle future generazioni un Paese socialmente disintegrato e responsabile di essere rimasto indifferente nei confronti di una parte rilevante e strategica del proprio capitale umano”. Le adesioni all’appello: le nove istituzioni del Sabato delle Idee, il Garante per l’Infanzia e le Mamme della Terra dei Fuochi Un appello forte quello di Siani subito sottoscritto da Marco Salvatore, fondatore de “Il Sabato delle Idee” a nome delle nove istituzioni scientifiche, accademiche e culturali che da oltre cinque anni portano avanti il ciclo di incontri progettuale ideato dalla Fondazione SDN e dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Un appello che ha già come primo firmatario anche Vincenzo Spadafora, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, seguito dagli autorevoli relatori dell’incontro del Sabato delle Idee: Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma, Nino Daniele, assessore alla Cultura del Comune di Napoli, Gianluca Guida, direttore del Carcere di Nisida, e lo psichiatra Ignazio Senatore, fondatore di “Cinema e Psicanalisi”. E c’è già anche la firma di una importante realtà associativa che si occupa proprio della salute dei bambini: “Noi Genitori di Tutti”, l’associazione delle “Mamme della Terra dei Fuochi” presente oggi al Sabato delle Idee per illustrare le varie attività finalizzate alla tutela dei diritti dell’infanzia di quei territori, ed in particolare all’assistenza dei soggetti affetti da patologie considerate diretta conseguenza dei disastri ambientali derivati dallo sversamento illecito dei rifiuti. Il centro per l’infanzia di Gaza e le Favole in corsia: i progetti presentati oggi al Sabato delle Idee. E quello di “Noi Genitori di Tutti” non è stato l’unico progetto di un Sabato delle Idee quanto mai ricco di idee già divenute progetti. Innanzitutto quella dell’Orchestra Sinfonica dei Quartieri Spagnoli: 37 ragazzi tra gli 8 e i 12 anni del “quartiere difficile” ai quali la musica, con il sistema pedagogico Abreu, concede gratuitamente, grazie al sostegno finanziario, tra gli altri, della Siae presieduta da Gino Paoli e alla speranza di nuovi finanziamenti, una grande occasione di crescita culturale e sociale, un’occasione ben diversa da quelle che attraggono molti coetanei del quartiere. E poi il progetto internazionale de “La Terra dei Bambini”, nato per ricostruire il grande centro per l’infanzia realizzato nel 2011 dall’ONG “Vento di Terra” nel villaggio beduino di Um al Nasser, proprio nella Striscia di Gaza, presentato da Pierluigi Camilli, papà del giornalista italiano Simone, ucciso a Gaza da una bomba lo scorso agosto, per la presentazione del progetto internazionale. E non da ultimo il progetto editoriale della Casa Editrice Caracò “Le favole dell’attesa”, un volume con 23 storie illustrate per bambini di tutte le età, che rappresenta la declinazione per l’infanzia del successo editoriale dei “Racconti in sala d’attesa”. Un progetto specificamente dedicato all’infanzia, dunque, che ha coinvolto scrittori, artisti, medici e giornalisti al servizio di un’iniziativa sia terapeutica, con l’obiettivo di usare la lettura e la favola come strumento di “cura” dei bambini ammalati, sia culturale, perché finalizzata alla diffusione della lettura in ogni “sala d’attesa”, non solo degli ospedali ma anche delle scuole, delle ludoteche e dei centri per l’infanzia, sia benefica, perché ogni libro venduto contribuirà a donare una copia ad uno dei tanti ospedali pubblici che hanno aderito al progetto. IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 14 La difesa Gondarina Il 12 novembre il 1° Gruppo Carabinieri era in linea, nelle posizioni chiave della difesa: sul fronte Sud, con la 1a Compagnia, sul fronte Nord, con la 2a Compagnia e la Compagnia zaptiè. La notte ebbe inizio la battaglia che nel disegno nemico doveva consentirgli di forzare il valico di Culqualber e che invece si concluse, la sera del 13, con una nostra piena vittoria difensiva. Carabinieri e zaptiè opposero un argine insormontabile proprio sul Costone dei Roccioni, per il quale l'avversario sperava di penetrare nel caposaldo. All'attacco del Gruppo Bande Uollo (mercenari al soldo degli inglesi) i Carabinieri dovettero reagire all'arma bianca. Meno difficile riuscì invece rigettare dal Costone, su cui avevano posto piede grazie al possente appoggio d'artiglieria, reparti regolari sudanesi e kikuyu, presto indotti a cercare scampo nei burroni dall'incalzare impetuoso dei Carabinieri. Fra assalti e contrassalti, nel corso dei quali i posti scoglio, anche se superati, continuavano a resistere, i militari dell'Arma restarono infine padroni delle loro posizioni. Del nemico, che aveva qua e là sfondato, rimanevano soltanto i caduti, frammisti purtroppo a decine di carabinieri. Verso le 17 l'avversario, perduta ogni speranza di superare le nostre difese, desistette dall'attacco e sgombrò perfino talune alture antistanti, quali il Culiblivà e l'Hulet Amba, prima presidiate. Innanzi alle posizioni della 2a Compagnia Carabinieri il maggiore Serranti contò 156 caduti avversari. Triste risultato per il nemico che, come da ordini rinvenuti indosso ad un soldato ucciso, aveva stabilito di far consumare il vitto alla truppa, a mezzogiorno del 13, sull' "Amba" di Culqualber. Il comandante della difesa tributò un encomio alla 2a Compagnia Carabinieri dislocata sul Costone dei Roccioni: "Contro forze dieci volte superiori per numero e per armamento che l'attaccavano violentemente per undici ore, reagiva con aggressività, sangue freddo, illimitato coraggio, riuscendo vittoriosa nell'impari lotta..."La notte del 14 il nemico rimase inattivo, consentendo così ai nostri di soccorrere i feriti e tumulare i caduti, compresi quelli avversari, il cui gran numero impose non lievi fatiche e severe misure profilattiche. La tregua imprevista permise anche la confezione di bargutta calda. Nei giorni successivi invece il nemico reiterò rabbiosi attacchi, riuscendo a forzamenti parziali, eliminati sempre con tempestivi contrattacchi, ben accompagnati dalla nostra artiglieria e contrastati a volte con la lotta corpo a corpo. Talora si facevano sotto carri armati ed autoblindo, che però venivano arrestati dallo scoppio di ordigni esplosivi azionati a comando dai posti d'osservazione. Dal giorno 18 novembre l'azione aerea avversaria assunse proporzioni insostenibili, data la ristrettezza del settore. Squadriglie di ogni tipo si alternavano senza sosta, attaccavano in picchiata, spazzavano tutto in superficie. Ben nove aerei furono abbattuti dal tiro delle mitragliatrici. Ormai i difensori vivevano esclusivamente nei camminamenti ed in trincea, da cui uscivano solo per i contrassalti. Malgrado la sete e la fame, nonostante le lotta massacrante e le sempre minori probabilità di vittoria, mai si verificarono nei militari dell'Arma casi di crisi morale. Alcuni, impazienti, si offrivano volontari per rischiosi servizi di pattuglia fra lo schieramento avversario: primo fra tutti il carabiniere Penzo Poliuto, autore di gesta leggendarie nell'intero corso della resistenza, divenuto cieco per azioni di guerra (Medaglia d'Oro al Valor Militare). Nella giornata del 20 ben 57 velivoli avversari presero letteralmente d'assalto gli elementi difensivi del Caposaldo. Lo schieramento nemico era andato ancor più potenziandosi. Centinaia di camionette defluivano da Ambaciara e, per piste affiancate, serravano sotto la sella di Culqualber, mentre i reparti corazzati cercavano punti valicabili, ostacolati dalla natura del terreno e dal tiro dei difensori. Alle 3 del mattino del 21 novembre l'offensiva si scatenò con rabbiosa risolutezza. Il Caposaldo fu contemporaneamente investito da Nord, da Sud e perfino dalle impervie provenienze da Est e da non meno di 20 mila assalitori delle più svariate unità. I carri armati precedevano le schiere per aprire varchi, gli aerei spezzonavano e mitragliavano, artiglierie e bombarde lanciavano proiettili con ritmo vertiginoso. Sugli opposti costoni dei "Roccioni" e del «Km. 39», punti nevralgici della battaglia, i Carabinieri della 2a e della 1a Compagnia e della Compagnia zaptiè sviluppavano una formidabile reazione di fuoco incrociato. Sullo sperone del "km. 39" - dove il fronte, inizialmente ritenuto principale, aveva usufruito di maggiori mezzi d'apprestamento - i Carabinieri della 1a Compagnia non abbandonarono neppure un palmo di terreno fino a che, attaccati da tergo dal nemico ormai padrone del Caposaldo, si difesero con furiosi corpo a corpo, nei quali quasi tutti perdettero la vita. Ben altre vicende si svolsero sul Costone dei Roccioni, dove i Carabinieri ripetutamente sopraffatti, avevano dovuto più volte riprendere le posizioni coadiuvati dai contrattacchi del comandante della difesa. Fu un succedersi di azioni alterne, durante le quali i Carabinieri, con bombe a mano o a colpi di baionetta, ripristinavano, volta per volta, le posizioni perdute. Ad un certo punto però, proprio quando la difesa non disponeva più di uomini per rimpiazzare i caduti, il nemico lanciò sullo sconvolto costone nuove forze, sostenute da carri armati penetrati nei valloni laterali e da un massiccio fuoco d'artiglieria. Il nuovo attacco determinò l'irreparabile, essendo ormai ridotti i difensori ad uno sparuto gruppo di superstiti. Il maggiore Serranti, che era stato ferito e perdeva sangue, si rifiutò di lasciarsi medicare. Disse che la sua presenza galvanizzava i Carabinieri, stimolandoli a persistere nella lotta. Ed i Carabinieri difatti si fecero tutti uccidere piuttosto che cedere. Intorno al loro comandante, che dava un così alto esempio di virtù militari, essi lottarono con tutte le forze ed ancor più quando videro far di lui scempio da parte del nemico. Il maggiore era ormai morente quando una baionetta gli squarciò l'addome. Alla sua Memoria venne poi concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Il Costone dei Roccioni divenne così la «via dei cadaveri» sui quali il vincitore passò, raggiunse il cuore del caposaldo, soverchiò il gruppo di superstiti e spense l'ultima resistenza. La caduta del caposaldo di Culqualber fu comunicata agli italiani con il Bollettino delle FF.AA. n. 539 del 23 novembre 1941: « ... gli indomiti reparti di Culqualber-Fercaber, dopo aver continuato a combattere anche con le baionette e le bombe a mano, sono stati infine sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica avversaria. Nell'epica difesa si è gloriosamente distinto, simbolo del valore dei reparti nazionali, il Battaglione Carabinieri, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato sino all'ultimo i suoi travolgenti contrattacchi all'arma bianca. Quasi tutti i Carabinieri sono caduti». Per l'epica resistenza di Culqualber la Bandiera dell'Arma è stata insignita di una seconda Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: «Glorioso veterano di cruenti cimenti bellici, destinato a rinforzare un caposaldo di vitale importanza, vi diventava artefice di epica resistenza. Apprestato saldamente a difesa l'impervio settore affidatogli, per tre mesi affrontava con indomito valore la violenta aggressività di preponderanti agguerrite forze che conteneva e rintuzzava con audaci atti controffensivi contribuendo decisamente alla vigorosa resistenza dell'intero caposaldo, ed infine, dopo aspre giornate di alterne vicende, a segnare, per ultima volta in terra d'Africa, la vittoria delle nostre armi. Delineatasi la crisi, deciso al sacrificio supremo, si saldava graniticamente agli spalti difensivi e li contendeva al soverchiante avversario in sanguinosa impari lotta corpo a corpo nella quale comandante e carabinieri fusi in un solo eroico blocco simbolico delle virtù italiche, immolavano la vita perpetuando le gloriose tradizioni dell'Arma». Cerimonia Eucaristica in ricordo della Signora Mariolina Ciocca Romano Il giorno 15 novembre 2014 presso la Basilica minore Pontificia di San Gennaro ad Antignano al Vomero, si tenuta una cerimonia Eucaristica in ricordo della Signora Mariolina Ciocca Romano, Socia fondatrice del Centro Studi “Sebetia-Ter” scomparsa recentemente. Il rito Religioso è stato celebrato dal Rettore delle Basilica Pontificia minore Monsigno Luigi Palumbo. "...La morte non è niente. Sono solamente passata dall'altra parte: è come fossi nascosta nella stanza accanto. io sono sempre io e tu sei sempre tu...... prega, sorridi, pensami! ... ...il tuo sorriso è la mia pace... " Ti chiameremo con il tuo nome, Mariolina, sorrideremo insieme di ciò che ci faceva sorridere, ti sentiremo accanto, perché tu ci sei, perché rimane in noi il tuo esempio, il tuo affetto, la tua presenza. Una presenza che non mai sarà fugata da un addio, perché è solo un semplice arrivederci. -Sebetia-Ter- IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 14 Nel Duomo di Aversa Celebrata la Virgo Fidelis Alla cerimonia presenti autorità civili e militari di Lidia de Angelis AVERSA 22 novembre – Presso il Duomo di Aversa, è stata celebrata la cerimonia religiosa della Virgo Fidelis, patrona dell’Arma dei Carabinieri, nonché la commemorazione del 73° Anniversario della battaglia di Culqualber e della Giornata dell’Orfano, dal titolo “la mia carezza oggi va alle vedove e agli orfani dei Carabinieri……e affido alla Madonna i nostri mariti, fratelli, figli e Carabinieri tutti”. Anche quest’anno la ricorrenza della Virgo Fidelis ha fatto registrare la folla delle grandi occasioni. Alla Santa Messa, officiata da S.E. Mons. Angelo Spinillo, Vescovo di Aversa, è seguita l’esecuzione del “silenzio”, erano presenti numerose Autorità civili e militari, tra cui il senatore Lucio Romano, il presidente del consiglio di Aversa Anna Maria dell’Aprovitola, il sindaco di Gricignano Andrea Moretti, il sindaco di Lusciano Nicola Esposito. La festa per la Patrona dei Carabinieri, è stata voluta e resa possibile, come ogni anno, in città dall’attivissimo generale Domenico Cagnazzo, ispettore regionale dell’Associazione nazionale carabinieri, all’evento presenti diverse delegazioni delle associazioni dell’Arma da zone della Campania, tra cui l’ANC di Aversa il cui presidente è Silvio Salzillo, e quella di Teverola il cui presidente è Rosario Carruba. Per l’Arma erano presenti il tenente colonnello Salvatore Pirolli in rappresentanza del Comando Interregionale; il comandante provinciale colonnello Giancarlo Scafuri; il comandante del reparto territoriale di Aversa, tenente colonnello Vittorio Carrara, con i suoi più stretti collaboratori e responsabili dei diversi reparti operativi normanni, il capitano della Guardia di Finanza Danilo Toma e il comandante Stefano Guarino della polizia municipale di Aversa. Presenti i volontari della protezione civile di Aversa, coordinati da Antonio Esposito, una delegazione dell’Anppe di Aversa, la croce rossa di Aversa con i suoi volontari. La gratitudine verso l’arte di Laura Cammarota Essa concede all’occhio e alla mano, ma soprattutto alla nostra anima, di liberare quello che è intrappolato nella nostra testa. Tutte quelle emozioni che, di tanto in tanto, abbassando gli occhi, ritroviamo in qualche angolo nascosto della memoria del nostro cuore. L’eroe, il giullare, il cantastorie che si cela in noi, grazie alla ‘follia’ ha modo di manifestarsi attraverso quel grande dono che è l’arte; che essa sia musica, scultura, pittura o danza. L’eccesso di morale, di giudizio, di severità, spesso ci fa diventare dei mostri e degli spauracchi di virtù. L’arte è invece “gaia scienza”, dice Stendhal. I greci, traevano arte dalla bellezza come dalla tragicità, ma tentando sempre di raccontare il puro, il vero, che permettesse agli uomini di imparare da chi prima di loro aveva compiuto grandi gesta o era divenuto portatore di alti valori. Tutte le forme in cui essa si esprime, raccontano storie che il più delle volte coincidono con una realtà tragica, ma raccontare non significa inventare, significa riportare dei fatti, delle vicende, che commuovono non solo perché tragiche, ma perché… vere. È questa la vera arte, quella decantata, apprezzata e desiderata da grandi uomini del passato.+ Eppure, anche nell’arte, c’è stato chi ha preferito inventare per emozionare, piuttosto che trarre dal reale. Per Gorgia, l’arte era “l’essenza di qualcosa che non esisteva e artista è colui che crea nuovi mondi ed è tanto più bravo quanto più riesce ad ingannare gli spettatori”. Aristotele, invece, parla dell’arte e della tragedia in particolare come di “qualcosa di ‘verosimile’, che prende spunto dalla realtà per raccontare, però, una storia inventata”. E’ questo, per lui, che conferisce all’opera d’arte valore universale. L’arte, invece, dovrebbe essere, come lo è stata tante volte, un rifugio per i sentimenti, un modo per ricordare ciò che è stato, persone, storie, di un tempo presente o passato, che esso sia tragico o parte di una meravigliosa storia d’amore, per fare in modo che nulla sia dimenticato e che chiunque possa essere ricordato da chi è ancora in questo mondo terreno. I ritratti, da Pisanello a Piero della Francesca, da Leonardo con le sue meravigliose Madonne a Canova con le sue statue di personaggi storici e di racconti di amori eterni, fino ai grandi quadri parietali di commemorazioni di battaglie, di guerre, di scontri, da Paolo Uccello a Picasso, in ogni esempio, quello che ritorna come filo conduttore, per quanto diversi possano essere i modi e gli stili, è la VERITÀ, il racconto di fondo che parla di uomini e di donne esistiti, di sentimenti rappresentati da storie che, però, sono VERE!E’ questo che, purtroppo, oggi chi riporta i fatti e ha l’importante compito di essere il portavoce di una vita, di una realtà temporale, dimentica. All’avvenire di una tragedia, si preferisce la versione ideologica di Gorgia, catapultata perfettamente ai giorni nostri, in cui, pur di ottenere successo, si preferisce inventare; o, forse ancor più, quella di Aristotele, per cui, più che la verità, si ritiene migliore la possibilità di trarre dal vero quello che può essere più utile per creare storie ed essere credibilmente emozionanti. La verità fa male, cantano, raccontano e ricordano artisti e poeti, ma è quella che ci rende gli uomini che siamo e i protagonisti delle nostre vicende. La vita che ci circonda, come diceva Pirandello, è già ricchissima di tragedie, purtroppo, non c’è bisogno di inventarne di finte o ‘verosimili’. Fare in modo che il ricordo di noi non svanisca nel nulla, è questo il compito di chi è vivo rispetto a chi non lo è più. Giudicare, creare falsi miti, leggende e arrivare a cucire storie su fatti che non si conoscono, credendo che sia questo il modo giusto per ricordare, non é di aiuto né per chi è andato via né, tanto meno, per chi rimane e si trova a lottare con un dolore che mai avrebbe pensato di dover provare. L’arte ci racconta di principesse, di giovani eroi ma anche di uomini comuni, padri, madri, fanciulle… ragazzi… ragazze. Vite vissute, narrate, passate, eppure pronte ad essere ripetute, nella loro essenza felice ma anche… infelice. Come una ruota la vita continuerà a girare e con lei gli artisti, i veri artisti, continueranno a raccontare storie, storie di famiglie, di comunità, di amanti e di ragazze e di ragazzi che troppo presto vengono investiti dalla tragica fatalità della sorte che li strappa all’amore di una famiglia che mai più ne rivedrà il volto … alle esperienze della vita, che mai più ne segneranno il cammino. Laura Cammarota IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 15 da Marò: uno scambio di prigionieri per riportare a casa i fucilieri 15 ottobre 2014 di Chiara Giannini 15 ottobre 2014 Ci potrebbe essere uno spiraglio per il rientro definitivo in Italia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Secondo quanto riportato dal quotidiano indiano Economic Times, infatti, il governo di New Delhi e quello italiano starebbero valutando una «soluzione consensuale» al caso. Di più: sul tavolo ci sarebbe già una proposta presentata proprio dall’Italia che sarebbe ora al vaglio da parte dell’India. Fra le ipotesi, si parla pure di un possibile scambio tra i due fucilieri del San Marco e i 18 marinai indiani fermati di recente nel canale di Sicilia a bordo di una nave carica di stupefacenti. Questi ultimi sarebbero riportati nel loro Paese d’origine, dove sarebbero processati e sconterebbero la pena, mentre Girone e Latorre - quest’ultimo già a casa per curarsi dopo l’ictus che l’ha colpito a fine agosto - tornerebbero in Italia in attesa del verdetto del processo a loro carico. Peraltro, si vocifera anche della possibilità di «favori» che l’Italia avrebbe promesso all’India a rimpatrio dei marò avvenuto. Lo spiraglio - In ogni caso, qualunque sia la proposta, sarebbe al momento in corso di valutazione al ministero dell’Interno di New Delhi, in particolare nelle mani dell’ex capo dei servizi segreti indiani Ajit Doval, che ricopre l’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale del governo Modi. In breve tempo si dovrebbe avere la risposta. Certo è che, per la prima volta, s’intravede uno spiraglio. Ma le uniche notizie sono quelle riportate dalla stampa indiana. Il capo degli Affari politici dell’ambasciata italiana a New Delhi, Luigi Gentile, ha infatti chiarito che in questa fase si preferisce «non fare commenti su questi ultimi sviluppi». La riprova del tutto starebbe però nel fatto che la settimana scorsa si sono recati in India un alto funzionario del ministero della Difesa e il braccio destro dell’avvocato inglese che è a capo del team di giuristi che si occupa del caso. Pare che la loro visita sia legata proprio all’accordo tra i due Paesi. Ricorso il 12 dicembre - Intanto il tribunale speciale di New Delhi ha rimandato al prossimo 20 febbraio l’esame dell’intera vicenda. Il procedimento penale è infatti sospeso: la prossima scadenza per i due fucilieri sarà quella del 12 dicembre, data in cui si discuterà del ricorso. Catherine Ashton, Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, rispondendo a un’interrogazione del vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, ha detto: «I ritardi nel processo dei due marò sono del tutto inaccettabili. L’Unione Europea ha esortato l’India a trovare al più presto una soluzione rapida e soddisfacente alla controversia in base alla Convenzione dell’Onu sul diritto del mare e al diritto internazionale».Silenzio italiano - Un’attenzione che, però, non solo è arrivata con grande ritardo, ma si va a sommare al silenzio pressoché totale del governo italiano. Più volte il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha detto: «Lasciateci lavorare», preferendo non dar conto agli italiani di ciò che la politica sta facendo per i due fucilieri della Marina Militare. Silenzio di cui si lamenta anche il generale Fernando Termentini, che da tempo si batte per la causa e che sul sito internet “La Valle dei templi” chiarisce: «È sempre il governo di Delhi a dare notizie, quasi mai quello italiano. Nella fattispecie si parla dell’esame di una soluzione del caso proposta da Roma, ipotesi sconosciuta agli italiani in quanto forse ritenuti dallo Stato cittadini non affidabili, non meritevoli di una democratica informazione». Termentini chiarisce che per lui uno «scambio di prigionieri darebbe per scontato un coinvolgimento dei due marò in un fatto delittuoso» e in questo l’Italia farebbe la solita figura del Paese che si sottomette. Insomma, secondo il generale sarebbe l’ennesima «soluzione all’italiana» che garantirebbe sì il rientro in Patria dei due militari, ma «a un prezzo altissimo in termini di immagine degli interessati e dell’intero Paese». IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 16 Dal discorso al parlamento europeo, a Strasburgo, il 25 novembre 2014 Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale. Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili, perché recide di fatto quelle feconde radici su cui si innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi. Abbiamo di fatto troppe cose, che spesso non servono, ma non siamo più in grado di costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto reciproco. E così oggi abbiamo davanti agli occhi l'immagine di un'Europa ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente, che non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e energia di un tempo. Un'Europa un po' stanca, pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità che provengono da altri continenti. All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione? Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro del continente. D'altra parte - per tornare all'immagine di Rebora - un tronco senza radici può continuare ad avere un'apparenza vitale, ma al suo interno si svuota e muore. L'Europa deve riflettere se il suo immenso patrimonio umano, artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura e di dischiudere i suoi tesori all'umanità intera. Nella risposta a tale interrogativo, il Consiglio d'Europa con le sue istituzioni ha un ruolo di primaria importanza. Penso particolarmente al ruolo della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che costituisce in qualche modo la "coscienza" dell'Europa nel rispetto dei diritti umani. Il mio auspicio è che tale coscienza maturi sempre più, non per un mero consenso tra le parti, ma come frutto della tensione verso quelle radici profonde, che costituiscono le fondamenta sulle quali hanno scelto di edificare i Padri fondatori dell'Europa contemporanea. Insieme alle radici - che occorre cercare, trovare e mantenere vive con l'esercizio quotidiano della memoria, poiché costituiscono il patrimonio genetico dell'Europa- ci sono le sfide attuali del continente che ci obbligano a una creatività continua, perché queste radici siano feconde nell'oggi e si proiettino verso utopie del futuro. Mi permetto di menzionarne solo due: la sfida della multipolarità e la sfida della trasversalità. La storia dell'Europa può portarci a concepirla ingenuamente come una bipolarità, o al più una tripolarità (pensiamo all'antica concezione: Roma - Bisanzio - Mosca), e dentro questo schema, frutto di riduzionismi geopolitici egemonici, muoverci nell'interpretazione del presente e nella proiezione verso l'utopia del futuro. Oggi le cose non stanno così e possiamo legittimamente parlare di un'Europa multipolare. Le tensioni – tanto quelle che costruiscono quanto quelle che disgregano - si verificano tra molteplici poli culturali, religiosi e politici. L'Europa oggi affronta la sfida di "globalizzare" ma in modo originale questa multipolarità. Non necessariamente le culture si identificano con i Paesi: alcuni di questi hanno diverse culture e alcune culture si esprimono in diversi Paesi. Lo stesso accade con le espressioni politiche, religiose e associative. Globalizzare in modo originale – sottolineo questo: in modo originale – la multipolarità comporta la sfida di un'armonia costruttiva, libera da egemonie che, sebbene pragmaticamente sembrerebbero facilitare il cammino, finiscono per distruggere l'originalità culturale e religiosa dei popoli. Parlare della multipolarità europea significa parlare di popoli che nascono, crescono e si proiettano verso il futuro. Il compito di globalizzare la multipolarità dell'Europa non lo possiamo immaginare con la figura della sfera - in cui tutto è uguale e ordinato, ma che risulta riduttiva poiché ogni punto è equidistante dal centro -, ma piuttosto con quella del poliedro, dove l'unità armonica del tutto conserva la particolarità di ciascuna delle parti. Oggi l'Europa è multipolare nelle sue relazioni e tensioni; non si può né pensare né costruire l'Europa senza assumere a fondo questa realtà multipolare. L'altra sfida che vorrei menzionare è la trasversalità. Parto da un'esperienza personale: negli incontri con i politici di diversi Paesi d'Europa ho potuto notare che i politici giovani affrontano la realtà da una prospettiva diversa rispetto ai loro colleghi più adulti. Forse dicono cose apparentemente simili ma l’approccio è diverso. Le parole sono simili, ma la musica è diversa. Questo si verifica nei giovani politici dei diversi partiti. Tale dato empirico indica una realtà dell'Europa odierna da cui non si può prescindere nel cammino del consolidamento continentale e della sua proiezione futura: tenere conto di questa trasversalità che si riscontra in tutti i campi. Ciò non si può fare senza ricorrere al dialogo, anche inter-generazionale. Se volessimo definire oggi il continente, dovremmo parlare di un'Europa dialogante che fa sì che la trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al servizio dei popoli armonicamente uniti. Assumere questo cammino di comunicazione trasversale comporta non solo empatia generazionale bensì metodologia storica di crescita. Nel mondo politico attuale dell'Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle strutture che "contengono" la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un'Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c'è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità. In tale prospettiva accolgo con favore la volontà del Consiglio d'Europa di investire nel dialogo inter-culturale, compresa la sua dimensione religiosa, attraverso gli Incontri sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. Si tratta di un'occasione proficua per uno scambio aperto, rispettoso e arricchente tra persone e gruppi di diversa origine, tradizione etnica, linguistica e religiosa, in uno spirito di comprensione e rispetto reciproco. Tali incontri sembrano particolarmente importanti nell'attuale ambiente multiculturale,[ multipolare, alla ricerca di un proprio volto per coniugare con sapienza l'identità europea formatasi nei secoli con le istanze che giungono dagli altri popoli che ora si affacciano sul continente. In tale logica va compreso l'apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell'ambito di una corretta relazione fra religione e società. Nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L'intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione "ridotta", che non rende onore all'uomo. Sono assai numerosi e attuali i temi in cui sono convinto vi possa essere reciproco arricchimento, nei quali la Chiesa cattolica - particolarmente attraverso il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) - può collaborare con il Consiglio d'Europa e dare un contributo fondamentale. Innanzitutto vi è, alla luce di quanto ho detto poc’anzi, l'ambito di una riflessione etica sui diritti umani, sui quali la vostra Organizzazione è spesso chiamata a riflettere. Penso, in modo particolare, ai temi legati alla tutela della vita umana, questioni delicate che necessitano di essere sottoposte a un esame attento, che tenga conto della verità di tutto l'essere umano, senza limitarsi a specifici ambiti medici, scientifici o giuridici. Parimenti sono numerose le sfide del mondo contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire dall'accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell'essenziale per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità di persone. Vi è poi tutto il grave problema del lavoro, soprattutto per gli alti livelli di disoccupazione giovanile che si riscontrano in molti Paesi - una vera ipoteca per il futuro - ma anche per la questione della dignità del lavoro. Auspico vivamente che si instauri una nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici, che sappia far fronte al mondo globalizzato, mantenendo vivo quel senso di solidarietà e carità reciproca che tanto ha segnato il volto dell'Europa grazie all'opera generosa di centinaia di uomini, donne - alcuni dei quali la Chiesa cattolica considera santi - i quali, nel corso dei secoli, si sono adoperati per sviluppare il continente, tanto attraverso l'attività imprenditoriale che con opere educative, assistenziali e di promozione umana. Soprattutto queste ultime rappresentano un importante punto di riferimento per i numerosi poveri che vivono in Europa. Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di riscoprire il valore della propria vita, che la povertà tende a far dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro. Infine, tra i temi che chiedono la nostra riflessione e la nostra collaborazione c'è la difesa dell'ambiente, di questa nostra amata Terra che è la grande risorsa che Dio ci ha dato e che è a nostra disposizione non per essere deturpata, sfruttata e avvilita, ma perché, godendo della sua immensa bellezza, possiamo vivere con dignità. Signor Segretario, Signora Presidente, Eccellenze, Signore e Signori, Il beato Paolo VI definì la Chiesa «esperta in umanità». Nel mondo, a imitazione di Cristo, essa, malgrado i peccati dei suoi figli, non cerca altro che servire e rendere testimonianza alla verità. Null'altro fuorché questo spirito ci guida nel sostenere il cammino dell'umanità. Con tale disposizione d'animo la Santa Sede intende continuare la propria collaborazione con il Consiglio d'Europa, che riveste oggi un ruolo fondamentale nel forgiare la mentalità delle future generazioni di europei. Si tratta di compiere assieme una riflessione a tutto campo, affinché si instauri una sorta di "nuova agorà", nella quale ogni istanza civile e religiosa possa liberamente confrontarsi con le altre, pur nella separazione degli ambiti e nella diversità delle posizioni, animata esclusivamente dal desiderio di verità e di edificare il bene comune. La cultura, infatti, nasce sempre dall'incontro reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad essere l'attuazione del bene, questo è bellezza. Il mio augurio è che l'Europa, riscoprendo il suo patrimonio storico e la profondità delle sue radici, assumendo la sua viva multipolarità e il fenomeno della trasversalità dialogante, ritrovi quella giovinezza dello spirito che l'ha resa feconda e grande. Grazie! Continua a pagina 17 in lingua spagnola IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 17 DISCURSO DEL SANTO PADRE FRANCISCO AL PARLAMENTO EUROPEO Señor Presidente, Señoras y Señores Vicepresidentes, Señoras y Señores Eurodiputados, Trabajadores en los distintos ámbitos de estehemiciclo, Queridos amigos Les agradezco que me hayan invitado a tomar la palabra ante esta institución fundamental de la vida de la Unión Europea, y por la oportunidad que me ofrecen de dirigirme, a través de ustedes, a los más de quinientos millones de ciudadanos de los 28 Estados miembros a quienes representan. Agradezco particularmente a usted, Señor Presidente del Parlamento, las cordiales palabras de bienvenida que me ha dirigido en nombre de todos los miembros de la Asamblea.Mi visita tiene lugar más de un cuarto de siglo después de la del Papa Juan Pablo II. Muchas cosas han cambiado desde entonces, en Europa y en todo el mundo. No existen los bloques contrapuestos que antes dividían el Continente en dos, y se está cumpliendo lentamente el deseo de que «Europa, dándose soberanamente instituciones libres, pueda un día ampliarse a las dimensiones que le han dado la geografía y aún más la historia>. Junto a una Unión Europea más amplia, existe un mundo más complejo y en rápido movimiento. Un mundo cada vez más interconectado y global, y, por eso, siempre menos «eurocéntrico». Sin embargo, una Unión más amplia, más influyente, parece ir acompañada de la imagen de una Europa un poco envejecida y reducida, que tiende a sentirse menos protagonista en un contexto que la contempla a menudo con distancia, desconfianza y, tal vez, con sospecha. Al dirigirme hoy a ustedes desde mi vocación de Pastor, deseo enviar a todos los ciudadanos europeos un mensaje de esperanza y de aliento. Un mensaje de esperanza basado en la confianza de que las dificultades puedan convertirse en fuertes promotoras de unidad, para vencer todos los miedos que Europa – junto a todo el mundo – está atravesando. Esperanza en el Señor, que transforma el mal en bien y la muerte en vida. Un mensaje de aliento para volver a la firme convicción de los Padres fundadores de la Unión Europea, los cuales deseaban un futuro basado en la capacidad de trabajar juntos para superar las divisiones, favoreciendo la paz y la comunión entre todos los pueblos del Continente. En el centro de este ambicioso proyecto político se encontraba la confianza en el hombre, no tanto como ciudadano o sujeto económico, sino en el hombre como persona dotada de una dignidad trascendente. Quisiera subrayar, ante todo, el estrecho vínculo que existe entre estas dos palabras: «dignidad» y «trascendente». La «dignidad» es una palabra clave que ha caracterizado el proceso de recuperación en la segunda postguerra. Nuestra historia reciente se distingue por la indudable centralidad de la promoción de la dignidad humana contra las múltiples violencias y discriminaciones, que no han faltado, tampoco en Europa, a lo largo de los siglos. La percepción de la importancia de los derechos humanos nace precisamente como resultado de un largo camino, hecho también de muchos sufrimientos y sacrificios, que ha contribuido a formar la conciencia del valor de cada persona humana, única e irrepetible. Esta conciencia cultural encuentra su fundamento no sólo en los eventos históricos, sino, sobre todo, en el pensamiento europeo, caracterizado por un rico encuentro, cuyas múltiples y lejanas fuentes provienen de Grecia y Roma, de los ambientes celtas, germánicos y eslavos, y del cristianismo que los marcó profundamente,[2] dando lugar al concepto de «persona». Hoy, la promoción de los derechos humanos desempeña un papel central en el compromiso de la Unión Europea, con el fin de favorecer la dignidad de la persona, tanto en su seno como en las relaciones con los otros países. Se trata de un compromiso importante y admirable, pues persisten demasiadas situaciones en las que los seres humanos son tratados como objetos, de los cuales se puede programar la concepción, la configuración y la utilidad, y que después pueden ser desechados cuando ya no sirven, por ser débiles, enfermos o ancianos. Efectivamente, ¿qué dignidad existe cuando falta la posibilidad de expresar libremente el propio pensamiento o de profesar sin constricción la propia fe religiosa? ¿Qué dignidad es posible sin un marco jurídico claro, que limite el dominio de la fuerza y haga prevalecer la ley sobre la tiranía del poder? ¿Qué dignidad puede tener un hombre o una mujer cuando es objeto de todo tipo de discriminación? ¿Qué dignidad podrá encontrar una persona que no tiene qué comer o el mínimo necesario para vivir o, todavía peor, che no tiene el trabajo que le otorga dignidad? Promover la dignidad de la persona significa reconocer que posee derechos inalienables, de los cuales no puede ser privada arbitrariamente por nadie y, menos aún, en beneficio de intereses económicos. Es necesario prestar atención para no caer en algunos errores que pueden nacer de una mala comprensión de los derechos humanos y de un paradójico mal uso de los mismos. Existe hoy, en efecto, la tendencia hacia una reivindicación siempre más amplia de los derechos individuales – estoy tentado de decir individualistas –, que esconde una concepción de persona humana desligada de todo contexto social y antropológico, casi como una «mónada» (μονάς), cada vez más insensible a las otras «mónadas» de su alrededor. Parece que el concepto de derecho ya no se asocia al de deber, igualmente esencial y complementario, de modo que se afirman los derechos del individuo sin tener en cuenta que cada ser humano está unido a un contexto social, en el cual sus derechos y deberes están conectados a los de los demás y al bien común de la sociedad misma. Considero por esto que es vital profundizar hoy en una cultura de los derechos humanos que pueda unir sabiamente la dimensión individual, o mejor, personal, con la del bien común, con ese «todos nosotros» formado por individuos, familias y grupos intermedios que se unen en comunidad social.[3] En efecto, si el derecho de cada uno no está armónicamente ordenado al bien más grande, termina por concebirse sin limitaciones y, consecuentemente, se transforma en fuente de conflictos y de violencias. Así, hablar de la dignidad trascendente del hombre, significa apelarse a su naturaleza, a su innata capacidad de distinguir el bien del mal, a esa «brújula» inscrita en nuestros corazones y que Dios ha impreso en el universo creado significa sobre todo mirar al hombre no como un absoluto, sino como un ser relacional. Una de las enfermedades que veo más extendidas hoy en Europa es la soledad, propia de quien no tiene lazo alguno. Se ve particularmente en los ancianos, a menudo abandonados a su destino, como también en los jóvenes sin puntos de referencia y de oportunidades para el futuro; se ve igualmente en los numerosos pobres que pueblan nuestras ciudades y en los ojos perdidos de los inmigrantes que han venido aquí en busca de un futuro mejor. Esta soledad se ha agudizado por la crisis económica, cuyos efectos perduran todavía con consecuencias dramáticas desde el punto de vista social. Se puede constatar que, en el curso de los últimos años, junto al proceso de ampliación de la Unión Europea, ha ido creciendo la desconfianza de los ciudadanos respecto a instituciones consideradas distantes, dedicadas a establecer reglas que se sienten lejanas de la sensibilidad de cada pueblo, e incluso dañinas. Desde muchas partes se recibe una impresión general de cansancio, de envejecimiento, de una Europa anciana que ya no es fértil ni vivaz. Por lo que los grandes ideales que han inspirado Europa parecen haber perdido fuerza de atracción, en favor de los tecnicismos burocráticos de sus instituciones. A eso se asocian algunos estilos de vida un tanto egoístas, caracterizados por una opulencia insostenible y a menudo indiferente respecto al mundo circunstante, y sobre todo a los más pobres. Se constata amargamente el predominio de las cuestiones técnicas y económicas en el centro del debate político, en detrimento de una orientación antropológica auténtica.[5] El ser humano corre el riesgo de ser reducido a un mero engranaje de un mecanismo que lo trata como un simple bien de consumo para ser utilizado, de modo que – lamentablemente lo percibimos a menudo –, cuando la vida ya no sirve a dicho mecanismo se la descarta sin tantos reparos, como en el caso de los enfermos, los enfermos terminales, de los ancianos abandonados y sin atenciones, o de los niños asesinados antes de nacer. Este es el gran equívoco que se produce «cuando prevalece la absolutización de la técnica», que termina por causar «una confusión entre los fines y los medios». Es el resultado inevitable de la «cultura del descarte» y del «consumismo exasperado». Al contrario, afirmar la dignidad de la persona significa reconocer el valor de la vida humana, que se nos da gratuitamente y, por eso, no puede ser objeto de intercambio o de comercio. Ustedes, en su vocación de parlamentarios, están llamados también a una gran misión, aunque pueda parecer inútil: Preocuparse de la fragilidad, de la fragilidad de los pueblos y de las personas. Cuidar la fragilidad quiere decir fuerza y ternura, lucha y fecundidad, en medio de un modelo funcionalista y privatista que conduce inexorablemente a la «cultura del descarte». Cuidar de la fragilidad de las personas y de los pueblos significa proteger la memoria y la esperanza; significa hacerse cargo del presente en su situación más marginal y angustiante, y ser capaz de dotarlo de dignidad. Por lo tanto, ¿cómo devolver la esperanza al futuro, de manera que, partiendo de las jóvenes generaciones, se encuentre la confianza para perseguir el gran ideal de una Europa unida y en paz, creativa y emprendedora, respetuosa de los derechos y consciente de los propios deberes? Para responder a esta pregunta, permítanme recurrir a una imagen. Uno de los más célebres frescos de Rafael que se encuentra en el Vaticano representa la Escuela de Atenas. En el centro están Platón y Aristóteles. El primero con el dedo apunta hacia lo alto, hacia el mundo de las ideas, podríamos decir hacia el cielo; el segundo tiende la mano hacia delante, hacia el observador, hacia la tierra, la realidad concreta. Me parece una imagen que describe bien a Europa en su historia, hecha de un permanente encuentro entre el cielo y la tierra, donde el cielo indica la apertura a lo trascendente, a Dios, que ha caracterizado desde siempre al hombre europeo, y la tierra representa su capacidad práctica y concreta de afrontar las situaciones y los problemas. El futuro de Europa depende del redescubrimiento del nexo vital e inseparable entre estos dos elementos. Una Europa que no es capaz de abrirse a la dimensión trascendente de la vida es una Europa que corre el riesgo de perder lentamente la propia alma y también aquel «espíritu humanista» que, sin embargo, ama y defiende. Precisamente a partir de la necesidad de una apertura a la trascendencia, deseo afirmar la centralidad de la persona humana, que de otro modo estaría en manos de las modas y poderes del momento. En este sentido, considero fundamental no sólo el patrimonio que el cristianismo ha dejado en el pasado para la formación cultural del continente, sino, sobre todo, la contribución que pretende dar hoy y en el futuro para su crecimiento. Continúa en la página 18 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 18 DISCURSO DEL SANTO PADRE FRANCISCO AL PARLAMENTO EUROPEO Dicha contribución no constituye un peligro para la laicidad de los Estados y para la independencia de las instituciones de la Unión, sino que es un enriquecimiento. Nos lo indican los ideales que la han formado desde el principio, como son: la paz, la subsidiariedad, la solidaridad recíproca y un humanismo centrado sobre el respeto de la dignidad de la persona. Por ello, quisiera renovar la disponibilidad de la Santa Sede y de la Iglesia Católica, a través de la Comisión de las Conferencias Episcopales Europeas (COMECE), para mantener un diálogo provechoso, abierto y trasparente con las instituciones de la Unión Europea. Estoy igualmente convencido de que una Europa capaz de apreciar las propias raíces religiosas, sabiendo aprovechar su riqueza y potencialidad, puede ser también más fácilmente inmune a tantos extremismos que se expanden en el mundo actual, también por el gran vacío en el ámbito de los ideales, como lo vemos en el así llamado Occidente, porque «es precisamente este olvido de Dios, en lugar de su glorificación, lo que engendra la violencia». A este respecto, no podemos olvidar aquí las numerosas injusticias y persecuciones que sufren cotidianamente las minorías religiosas, y particularmente cristianas, en diversas partes del mundo. Comunidades y personas que son objeto de crueles violencias: expulsadas de sus propias casas y patrias; vendidas como esclavas; asesinadas, decapitadas, crucificadas y quemadas vivas, bajo el vergonzoso y cómplice silencio de tantos. El lema de la Unión Europea es Unidad en la diversidad, pero la unidad no significa uniformidad política, económica, cultural, o de pensamiento. En realidad, toda auténtica unidad vive de la riqueza de la diversidad que la compone: como una familia, que está tanto más unida cuanto cada uno de sus miembros puede ser más plenamente sí mismo sin temor. En este sentido, considero que Europa es una familia de pueblos, que podrán sentir cercanas las instituciones de la Unión si estas saben conjugar sabiamente el anhelado ideal de la unidad, con la diversidad propia de cada uno, valorando todas las tradiciones; tomando conciencia de su historia y de sus raíces; liberándose de tantas manipulaciones y fobias. Poner en el centro la persona humana significa sobre todo dejar que muestre libremente el propio rostro y la propia creatividad, sea en el ámbito particular que como pueblo. Por otra parte, las peculiaridades de cada uno constituyen una auténtica riqueza en la medida en que se ponen al servicio de todos. Es preciso recordar siempre la arquitectura propia de la Unión Europea, construida sobre los principios de solidaridad y subsidiariedad, de modo que prevalezca la ayuda mutua y se pueda caminar, animados por la confianza recíproca. En esta dinámica de unidad-particularidad, se les plantea también, Señores y Señoras Eurodiputados, la exigencia de hacerse cargo de mantener viva la democracia, la democracia de los pueblos de Europa. No se nos oculta que una concepción uniformadora de la globalidad daña la vitalidad del sistema democrático, debilitando el contraste rico, fecundo y constructivo, de las organizaciones y de los partidos políticos entre sí. De esta manera se corre el riesgo de vivir en el reino de la idea, de la mera palabra, de la imagen, del sofisma… y se termina por confundir la realidad de la democracia con un nuevo nominalismo político. Mantener viva la democracia en Europa exige evitar tantas «maneras globalizantes» de diluir la realidad: los purismos angélicos, los totalitarismos de lo relativo, los fundamentalismos ahistóricos, los eticismos sin bondad, los intelectualismos sin sabiduría. Mantener viva la realidad de las democracias es un reto de este momento histórico, evitando que su fuerza real – fuerza política expresiva de los pueblos – sea desplazada ante las presiones de intereses multinacionales no universales, que las hacen más débiles y las trasforman en sistemas uniformadores de poder financiero al servicio de imperios desconocidos. Este es un reto que hoy la historia nos ofrece. Dar esperanza a Europa no significa sólo reconocer la centralidad de la persona humana, sino que implica también favorecer sus cualidades. Se trata por eso de invertir en ella y en todos los ámbitos en los que sus talentos se forman y dan fruto. El primer ámbito es seguramente el de la educación, a partir de la familia, célula fundamental y elemento precioso de toda sociedad. La familia unida, fértil e indisoluble trae consigo los elementos fundamentales para dar esperanza al futuro. Sin esta solidez se acaba construyendo sobre arena, con graves consecuencias sociales. Por otra parte, subrayar la importancia de la familia, no sólo ayuda a dar prospectivas y esperanza a las nuevas generaciones, sino también a los numerosos ancianos, muchas veces obligados a vivir en condiciones de soledad y de abandono porque no existe el calor de un hogar familiar capaz de acompañarles y sostenerles. Junto a la familia están las instituciones educativas: las escuelas y universidades. La educación no puede limitarse a ofrecer un conjunto de conocimientos técnicos, sino que debe favorecer un proceso más complejo de crecimiento de la persona humana en su totalidad. Los jóvenes de hoy piden poder tener una formación adecuada y completa para mirar al futuro con esperanza, y no con desilusión. Numerosas son las potencialidades creativas de Europa en varios campos de la investigación científica, algunos de los cuales no están explorados todavía completamente. Baste pensar, por ejemplo, en las fuentes alternativas de energía, cuyo desarrollo contribuiría mucho a la defensa del ambiente. Europa ha estado siempre en primera línea de un loable compromiso en favor de la ecología. En efecto, esta tierra nuestra necesita de continuos cuidados y atenciones, y cada uno tiene una responsabilidad personal en la custodia de la creación, don precioso que Dios ha puesto en las manos de los hombres. Esto significa, por una parte, que la naturaleza está a nuestra disposición, podemos disfrutarla y hacer buen uso de ella; por otra parte, significa que no somos los dueños. Custodios, pero no dueños. Por eso la debemos amar y respetar. «Nosotros en cambio nos guiamos a menudo por la soberbia de dominar, de poseer, de manipular, de explotar; no la “custodiamos”, no la respetamos, no la consideramos como un don gratuito que hay que cuidar». Respetar el ambiente no significa sólo limitarse a evitar estropearlo, sino también utilizarlo para el bien. Pienso sobre todo en el sector agrícola, llamado a dar sustento y alimento al hombre. No se puede tolerar que millones de personas en el mundo mueran de hambre, mientras toneladas de restos de alimentos se desechan cada día de nuestras mesas. Además, el respeto por la naturaleza nos recuerda que el hombre mismo es parte fundamental de ella. Junto a una ecología ambiental, se necesita una ecología humana, hecha del respeto de la persona, que hoy he querido recordar dirigiéndome a ustedes. El segundo ámbito en el que florecen los talentos de la persona humana es el trabajo. Es hora de favorecer las políticas de empleo, pero es necesario sobre todo volver a dar dignidad al trabajo, garantizando también las condiciones adecuadas para su desarrollo. Esto implica, por un lado, buscar nuevos modos para conjugar la flexibilidad del mercado con la necesaria estabilidad y seguridad de las perspectivas laborales, indispensables para el desarrollo humano de los trabajadores; por otro lado, significa favorecer un adecuado contexto social, que no apunte a la explotación de las personas, sino a garantizar, a través del trabajo, la posibilidad de construir una familia y de educar los hijos. Es igualmente necesario afrontar juntos la cuestión migratoria. No se puede tolerar que el mar Mediterráneo se convierta en un gran cementerio. En las barcazas que llegan cotidianamente a las costas europeas hay hombres y mujeres que necesitan acogida y ayuda. La ausencia de un apoyo recíproco dentro de la Unión Europea corre el riesgo de incentivar soluciones particularistas del problema, que no tienen en cuenta la dignidad humana de los inmigrantes, favoreciendo el trabajo esclavo y continuas tensiones sociales. Europa será capaz de hacer frente a las problemáticas asociadas a la inmigración si es capaz de proponer con claridad su propia identidad cultural y poner en práctica legislaciones adecuadas que sean capaces de tutelar los derechos de los ciudadanos europeos y de garantizar al mismo tiempo la acogida a los inmigrantes; si es capaz de adoptar políticas correctas, valientes y concretas que ayuden a los países de origen en su desarrollo sociopolítico y a la superación de sus conflictos internos – causa principal de este fenómeno –, en lugar de políticas de interés, que aumentan y alimentan estos conflictos. Es necesario actuar sobre las causas y no sola mente sobre los efectos. Señor Presidente, Excelencias, Señoras y Señores Diputados: Ser conscientes de la propia identidad es necesario también para dialogar en modo propositivo con los Estados que han solicitado entrar a formar parte de la Unión en el futuro. Pienso sobre todo en los del área balcánica, para los que el ingreso en la Unión Europea puede responder al ideal de paz en una región que ha sufrido mucho por los conflictos del pasado. Por último, la conciencia de la propia identidad es indispensable en las relaciones con los otros países vecinos, particularmente con aquellos de la cuenca mediterránea, muchos de los cuales sufren a causa de conflictos internos y por la presión del fundamentalismo religioso y del terrorismo internacional. A ustedes, legisladores, les corresponde la tarea de custodiar y hacer crecer la identidad europea, de modo que los ciudadanos encuentren de nuevo la confianza en las instituciones de la Unión y en el proyecto de paz y de amistad en el que se fundamentan. Sabiendo que «cuanto más se acrecienta el poder del hombre, más amplia es su responsabilidad individual y colectiva» Les exhorto, pues, a trabajar para que Europa redescubra su alma buena. Un autor anónimo del s. II escribió que «los cristianos representan en el mundo lo que el alma al cuerpo». La función del alma es la de sostener el cuerpo, ser su conciencia y la memoria histórica. Y dos mil años de historia unen a Europa y al cristianismo. Una historia en la que no han faltado conflictos y errores, también pecados, pero siempre animada por el deseo de construir para el bien. Lo vemos en la belleza de nuestras ciudades, y más aún, en la de múltiples obras de caridad y de edificación humana común que constelan el Continente. Esta historia, en gran parte, debe ser todavía escrita. Es nuestro presente y también nuestro futuro. Es nuestra identidad. Europa tiene una gran necesidad de redescubrir su rostro para crecer, según el espíritu de sus Padres fundadores, en la paz y en la concordia, porque ella misma no está todavía libre de conflictos. Queridos Eurodiputados, ha llegado la hora de construir juntos la Europa que no gire en torno a la economía, sino a la sacralidad de la persona humana, de los valores inalienables; la Europa que abrace con valentía su pasado, y mire con confianza su futuro para vivir plenamente y con esperanza su presente. Ha llegado el momento de abandonar la idea de una Europa atemorizada y replegada sobre sí misma, para suscitar y promover una Europa protagonista, transmisora de ciencia, arte, música, valores humanos y también de fe. La Europa que contempla el cielo y persigue ideales; la Europa que mira y defiende y tutela al hombre; la Europa que camina sobre la tierra segura y firme, precioso punto de referencia para toda la humanidad. Gracias. Continuer en français à la page 19 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 19 DISCOURS DU PAPE FRANÇOIS AU CONSEIL DE L'EUROPE Monsieur le Secrétaire Général,Madame la Présidente, Excellences, Mesdames et Messieurs, Je suis heureux de pouvoir prendre la parole en cette Assemblée qui voit réunie une représentation significative de l’Assemblée Parlementaire du Conseil de l’Europe, les Représentants des pays membres, les Juges de la Cour Européenne des Droits de l’Homme, et aussi les diverses Institutions qui composent le Conseil de l’Europe. De fait, presque toute l’Europe est présente en cette enceinte, avec ses peuples, ses langues, ses expressions culturelles et religieuses, qui constituent la richesse de ce continent. Je suis particulièrement reconnaissant à Monsieur le Secrétaire général du Conseil de l’Europe, Monsieur Thorbjørn Jagland, pour la courtoise invitation et pour les aimables paroles de bienvenue qu’il m’a adressées. Je salue Madame Anne Bra sseur, Présidente de l’Assemblée parlementaire, ainsi que les représentants des diverses institutions qui composent le Conseil de l’Europe. Je vous remercie tous de tout cœur pour l’engagement que vous prodiguez et pour la contribution que vous offrez à la paix en Europe, par la promotion de la démocratie, des droits humains et de l’État de droit. Dans l’intention de ses Pères fondateurs, le Conseil de l’Europe, qui célèbre cette année son 65ème anniversaire, répondait à une tension vers un idéal d’unité qui, à plusieurs reprises, a animé la vie du continent depuis l’antiquité. Cependant, au cours des siècles, des poussées particularistes ont souvent prévalu, caractérisées par la succession de diverses volontés hégémoniques. Qu’il suffise de penser que dix ans avant ce 5 mai 1949, où a été signé à Londres le Traité qui a institué le Conseil de l’Europe, commençait le plus cruel et le plus déchirant conflit dont ces terres se souviennent et dont les divisions se sont poursuivies pendant de longues années, alors que ce qu’on a appelé le rideau de fer coupait en deux le continent de la Mer Baltique au Golfe de Trieste. Le projet des Pères fondateurs était de reconstruire l’Europe dans un esprit de service mutuel, qui aujourd’hui encore, dans un monde plus enclin à revendiquer qu’à servir, doit constituer la clef de voûte de la mission du Conseil de l’Europe, en faveur de la paix, de la liberté et de la dignité humaine. D’autre part, la voie privilégiée vers la paix - pour éviter que ce qui est arrivé durant les deux guerres mondiales du siècle dernier ne se répète -, c’est de reconnaître dans l’autre non un ennemi à combattre, mais un frère à accueillir. Il s’agit d’un processus continu, qu’on ne peut jamais considérer pleinement achevé. C’est justement l’intuition qu’ont eue les Pères fondateurs, qui ont compris que la paix était un bien à conquérir continuellement, et qu’elle exigeait une vigilance absolue. Ils étaient conscients que les guerres s’alimentent dans le but de prendre possession des espaces, de figer les processus qui progressent et de chercher à les arrêter ; par contre, ils recherchaient la paix qui peut s’obtenir seulement par l’attitude constante d’initier des processus et de les poursuivre.De cette manière, ils affirmaient la volonté de cheminer en murissant dans le temps, parce que c’est justement le temps qui gouverne les espaces, les éclaire et les transforme en une chaîne continue de croissance, sans voies de retour. C’est pourquoi, construire la paix demande de privilégier les actions qui génèrent de nouveaux dynamismes dans la société et impliquent d’autres personnes et d’autres groupes qui les développeront, jusqu’à ce qu’ils portent du fruit dans des événements historiques importants. Pour cela, ils ont créé cet Organisme stable. Le bienheureux Paul VI, quelques années après, eut à rappeler que « les institutions mêmes qui, sur le plan juridique et dans le concert des nations, ont pour rôle - et ont le mérite - de proclamer et de conserver la paix, n'atteignent le but prévu que si elles sont continuellement à l'œuvre, si elles savent à chaque instant engendrer la paix, faire la paix ». Un chemin constant d’humanisation est nécessaire, de sorte qu’« il ne suffit pas de contenir les guerres, de suspendre les luttes, (…) une paix imposée ne suffit pas, non plus qu'une paix utilitaire et provisoire; il faut tendre vers une paix aimée, libre, fraternelle, et donc fondée sur la réconciliation des esprits »[3]. C’est-à-dire poursuivre les processus sans anxiété mais certainement avec des convictions claires et avec ténacité . Pour conquérir le bien de la paix, il faut avant tout y éduquer, en éloignant une culture du conflit qui vise à la peur de l’autre, à la marginalisation de celui qui pense ou vit de manière différente. Il est vrai que le conflit ne peut être ignoré ou dissimulé, il doit être assumé. Mais si nous y restons bloqués, nous perdons la perspective, les horizons se limitent et la réalité elle-même demeure fragmentée. Quand nous nous arrêtons à la situation conflictuelle, nous perdons le sens de l’unité profonde de la réalité, nous arrêtons l’histoire et nous tombons dans les usures internes des contradictions stériles. Malheureusement, la paix est encore trop souvent blessée. Elle l’est dans de nombreuses parties du monde, où font rage des conflits de diverses sortes. Elle l’est aussi ici en Europe, où des tensions ne cessent pas. Que de douleur et combien de morts encore sur ce continent, qui aspire à la paix, mais pourtant retombe facilement dans les tentations d’autrefois ! Pour cela, l’œuvre du Conseil de l’Europe dans la recherche d’une solution politique aux crises en cours est importante et encourageante. Mais la paix est aussi mise à l’épreuve par d’autres formes de conflit, tels que le terrorisme religieux et international, qui nourrit un profond mépris pour la vie humaine et fauche sans discernement des victimes innocentes. Ce phénomène est malheureusement très souvent alimenté par un trafic d’armes en toute tranquillité. L’Église considère que « la course aux armements est une plaie extrêmement grave de l’humanité et lèse les pauvres d’une manière intolérable ». La paix est violée aussi par le trafic des êtres humains, qui est le nouvel esclavage de notre temps et qui transforme les personnes en marchandises d’échange, privant les victimes de toute dignité. Assez souvent, nous notons également comment ces phénomènes sont liés entre eux. Le Conseil de l’Europe, à travers ses Commissions et ses Groupes d’Experts, exerce un rôle important et significatif dans le combat contre ces formes d’inhumanité. Cependant, la paix n’est pas la simple absence de guerres, de conflits et de tensions. Dans la vision chrétienne, elle est, en même temps, don de Dieu et fruit de l’action libre et raisonnable de l’homme qui entend poursuivre le bien commun dans la vérité et dans l’amour. « Cet ordre rationnel et moral s'appuie précisément sur la décision de la conscience des êtres humains à la recherche de l'harmonie dans leurs rapports réciproques, dans le respect de la justice pour tous». Comment donc poursuivre l’objectif ambitieux de la paix ? Le chemin choisi par le Conseil de l’Europe est avant tout celui de la promotion des droits humains, auxquels est lié le développement de la démocratie et de l’État de droit. C’est un travail particulièrement précieux, avec d’importantes implications éthiques et sociales, puisque d’une juste conception de ces termes et d’une réflexion constante sur eux dépendent le développement de nos sociétés, leur cohabitation pacifique et leur avenir. Cette recherche est l’une des plus grandes contributions que l’Europe a offerte et offre encore au monde entier. C’est pourquoi, en cette enceinte, je ressens le devoir de rappeler l’importance de l’apport et de la responsabilité de l’Europe dans le développement culturel de l’humanité. Je voudrais le faire en partant d’une image que j’emprunte à un poète italien du XXème siècle, Clemente Rebora, qui, dans l’une de ses poésies, décrit un peuplier, avec ses branches élevées vers le ciel et agitées par le vent, son tronc solide et ferme, ainsi que ses racines profondes qui s’enfoncent dans la terre. En un certain sens, nous pouvons penser à l’Europe à la lumière de cette image. Au cours de son histoire, elle a toujours tendu vers le haut, vers des objectifs nouveaux et ambitieux, animée par un désir insatiable de connaissance, de développement, de progrès, de paix et d’unité. Mais l’élévation de la pensée, de la culture, des découvertes scientifiques est possible seulement à cause de la solidité du tronc et de la profondeur des racines qui l’alimentent. Si les racines se perdent, lentement le tronc se vide et meurt et les branches – autrefois vigoureuses et droites – se plient vers la terre et tombent. Ici, se trouve peut-être l’un des paradoxes les plus incompréhensibles pour une mentalité scientifique qui s’isole : pour marcher vers l’avenir, il faut le passé, de profondes racines sont nécessaires et il faut aussi le courage de ne pas se cacher face au présent et à ses défis. Il faut de la mémoire, du courage, une utopie saine et humaine. D’autre part – fait observer Rebora – « le tronc s’enfonce là où il y a davantage de vrai ». Les racines s’aliment de la vérité, qui constitue la nourriture, la sève vitale de n’importe quelle société qui désire être vraiment libre, humaine et solidaire. En outre, la vérité fait appel à la conscience, qui est irréductible aux conditionnements, et pour cela est capable de connaître sa propre dignité et de s’ouvrir à l’absolu, en devenant source des choix fondamentaux guidés par la recherche du bien pour les autres et pour soi et lieu d’une liberté responsable. Il faut en suite garder bien présent à l’esprit que sans cette recherche de la vérité, chacun devient la mesure de soi-même et de son propre agir, ouvrant la voie à l’affirmation subjective des droits, de sorte qu’à la conception de droit humain, qui a en soi une portée universelle, se substitue l’idée de droit individualiste. Cela conduit à être foncièrement insouciant des autres et à favoriser la globalisation de l’indifférence qui naît de l’égoïsme, fruit d’une conception de l’homme incapable d’accueillir la vérité et de vivre une authentique dimension sociale. Un tel individualisme rend humainement pauvre et culturellement stérile, parce qu’il rompt de fait les racines fécondes sur lesquelles se greffe l’arbre. De l’individualisme indifférent naît le culte de l’opulence, auquel correspond la culture de déchet dans laquelle nous sommes immergés. Nous avons, de fait, trop de choses, qui souvent ne servent pas, mais nous ne sommes plus en mesure de construire d’authentiques relations humaines, empreintes de vérité et de respect mutuel. Ainsi, aujourd’hui nous avons devant les yeux l’image d’une Europe blessée, à cause des nombreuses épreuves du passé, mais aussi à cause des crises actuelles, qu’elle ne semble plus capable d’affronter avec la vitalité et l’énergie d’autrefois. Une Europe un peu fatiguée, pessimiste, qui se sent assiégée par les nouveautés provenant d’autres continents. À l’Europe, nous pouvons demander : où est ta vigueur ? Où est cette tension vers un idéal qui a animé ton histoire et l’a rendue grande? Où est ton esprit d’entreprise et de curiosité ? Où est ta soif de vérité, que jusqu’à présent tu as communiquée au monde avec passion ? De la réponse à ces questions, dépendra l’avenir du continent. D’autre part – pour revenir à l’image de Rebora – un tronc sans racines peut continuer d’avoir une apparence de vie, mais à l’intérieur il se vide et meurt. L’Europe doit réfléchir pour savoir si son immense patrimoine humain, artistique, technique, social, politique, économique et religieux est un simple héritage de musée du passé, ou bien si elle est encore capable d’inspirer la culture et d’ouvrir ses trésors à l’humanité entière. Dans la réponse à cette interrogation, le Conseil de l’Europe avec ses institutions a un rôle de première importance. Je pense particulièrement au rôle de la Cour Européenne des Droits de l’Homme, qui constitue en quelque sorte la ‘‘conscience’’ de l’Europe pour le respect des droits humains. Continuer en français à la page 20 IL CORRIERE DEL SEBETO Pagina n 20 DISCOURS DU PAPE FRANÇOIS Je souhaite que cette conscience murisse toujours plus, non par un simple consensus entre les parties, mais comme fruit de la tension vers ces racines profondes, qui constituent les fondements sur lesquels les Pères fondateurs de l’Europe contemporaine ont choisi de construire. Avec les racines – qu’il faut chercher, trouver et maintenir vivantes par l’exercice quotidien de la mémoire, puisqu’elles constituent le patrimoine génétique de l’Europe – il y a les défis actuels du continent qui nous obligent à une créativité continue, pour que ces racines soient fécondes aujourd’hui et se projettent vers des utopies de l’avenir. Je me permets d’en mentionner seulement deux : le défi de la multipolarité et le défi de la transversalité. L’histoire de l’Europe peut nous amener à concevoir celle-ci naïvement comme une bipolarité, ou tout au plus comme une tripolarité (pensons à l’antique conception : Rome – Byzance – Moscou), et à nous mouvoir à l’intérieur de ce schéma, fruit de réductionnismes géopolitiques hégémoniques, dans l’interprétation du présent et dans la projection vers l’utopie de l’avenir. Aujourd’hui, les choses ne se présentent pas ainsi et nous pouvons légitimement parler d’une Europe multipolaire. Les tensions – aussi bien celles qui construisent que celles qui détruisent – se produisent entre de multiples pôles culturels, religieux et politiques. L’Europe aujourd’hui affronte le défi de «globaliser» mais de manière originale cette multipolarité. Les cultures ne s’identifient pas nécessairement avec les pays : certains d’entre eux ont diverses cultures et certaines cultures s’expriment dans divers pays. Il en est de même des expressions politiques, religieuses et associatives. Globaliser de manière originale – je souligne cela : de manière originale – la multipolarité comporte le défi d’une harmonie constructive, libérée d’hégémonies qui, bien qu’elles semblent pragmatiquement faciliter le chemin, finissent par détruire l’originalité culturelle et religieuse des peuples. Parler de la multipolarité européenne signifie parler de peuples qui naissent, croissent et se projettent vers l’avenir. La tâche de globaliser la multipolarité de l’Europe, nous ne pouvons pas l’imaginer avec l’image de la sphère – dans laquelle tout est égal et ordonné, mais qui en définitive est réductrice puisque chaque point est équidistant du centre – mais plutôt avec celle du polyèdre, où l’unité harmonique du tout conserve la particularité de chacune des parties. Aujourd’hui, l’Europe est multipolaire dans ses relations et ses tensions ; on ne peut ni penser ni construire l’Europe sans assumer à fond cette réalité multipolaire. L’autre défi que je voudrais mentionner est la transversalité. Je pars d’une expérience personnelle : dans les rencontres avec les politiciens de divers pays de l’Europe, j’ai pu remarquer que les politiciens jeunes affrontent la réalité avec une perspective différente par rapport à leurs collègues plus adultes. Ils disent peut-être des choses apparemment similaires, mais l’approche est différente. Les paroles sont semblables, mais la musique est différente. Cela s’observe chez les jeunes politiciens des divers partis. Cette donnée empirique indique une réalité de l’Europe contemporaine que l’on ne peut ignorer sur le chemin de la consolidation continentale et de sa projection future : tenir compte de cette transversalité qui se retrouve dans tous les domaines. Cela ne peut se faire sans recourir au dialogue, même inter-générationnel. Si nous voulions définir aujourd’hui le continent, nous devrions parler d’une Europe en dialogue, qui fait en sorte que la transversalité d’opinions et de réflexions soit au service des peuples unis dans l’harmonie. Emprunter ce chemin de communication transversale comporte non seulement une empathie générationnelle mais aussi une méthodologie historique de croissance. Dans le monde politique actuel de l’Europe, le dialogue uniquement interne aux organismes (politiques, religieux, culturels) de sa propre appartenance se révèle stérile. L’histoire aujourd’hui demande pour la rencontre, la capacité de sortir des structures qui « contiennent » sa propre identité afin de la rendre plus forte et plus féconde dans la confrontation fraternelle de la transversalité. Une Europe qui dialogue seulement entre ses groupes d’appartenance fermés reste à mi-chemin ; on a besoin de l’esprit de jeunesse qui accepte le défi de la transversalité. Dans cette perspective, j’accueille positivement la volonté du Conseil de l’Europe d’investir dans le dialogue inter-culturel, y compris dans sa dimension religieuse, par les Rencontres sur la dimension religieuse du dialogue interculturel. Il s’agit d’une occasion propice pour un échange ouvert, respectueux et enrichissant entre personnes et groupes de diverses origine, tradition ethnique, linguistique et religieuse, dans un esprit de compréhension et de respect mutuel. Ces rencontres semblent particulièrement importantes dans le contexte actuel multiculturel, multipolaire, à la recherche de son propre visage pour conjuguer avec sagesse l’identité européenne formée à travers les siècles avec les instances provenant des autres peuples qui se manifestent à présent sur le continent. C’est dans cette logique qu’il faut comprendre l’apport que le christianisme peut fournir aujourd’hui au développement culturel et social européen dans le cadre d’une relation correcte entre religion et société. Dans la vision chrétienne, raison et foi, religion et société sont appelées à s’éclairer réciproquement, en se soutenant mutuellement et, si nécessaire, en se purifiant les unes les autres des extrémismes idéologiques dans lesquelles elles peuvent tomber. La société européenne tout entière ne peut que tirer profit d’un lien renouvelé entre les deux domaines, soit pour faire face à un fondamentalisme religieux qui est surtout ennemi de Dieu, soit pour remédier à une raison « réduite », qui ne fait pas honneur à l’homme. Les thèmes d’actualité, dans lesquels je suis convaincu qu’il peut y avoir un enrichissement mutuel, où l’Église catholique – particulièrement à travers le Conseil des Conférences Épiscopales d’Europe (CCEE) – peut collaborer avec le Conseil de l’Europe et offrir une contribution fondamentale, sont très nombreux. Avant tout, à la lumière de tout ce que je viens de dire, il y a le domaine d’une réflexion éthique sur les droits humains, sur lesquels votre Organisation est souvent appelée à se pencher. Je pense particulièrement aux thèmes liés à la protection de la vie humaine, questions délicates qui ont besoin d’être soumises à un examen attentif, qui tienne compte de la vérité de tout l’être humain, sans se limiter à des domaines spécifiques médicaux, scientifiques ou juridiques. De même, ils sont nombreux, les défis du monde contemporains qui requièrent une étude et un engagement commun, à commencer par l’accueil des migrants, qui ontbesoin d’abord et avant tout de l’essentiel pour vivre, mais principalement que leur dignité de personnes soit reconnue. Il y a ensuite le grave problème du travail, surtout en ce qui concerne les niveaux élevés de chômage des jeunes dans beaucoup de pays – une vraie hypothèque pour l’avenir – mais aussi pour la question de la dignité du travail. Je souhaite vivement que s’instaure une nouvelle collaboration sociale et économique, affranchie de conditionnements idéologiques, qui sache faire face au monde globalisé, en maintenant vivant ce sens de solidarité et de charité réciproques qui a tant caractérisé le visage de l’Europe grâce à l’action généreuse de centaines d’hommes et de femmes – dont certains sont considérés saints par l’Église catholique – qui, au cours des siècles, se sont dépensés pour développer le continent, tant à travers l’activité d’entreprise qu’à travers des œuvres éducatives, d’assistance et de promotion humaine. Surtout ces dernières représentent un point de référence important pour les nombreux pauvres qui vivent en Europe. Combien il y en a dans nos rues ! Ils demandent non seulement le pain pour survivre, ce qui est le plus élémentaire des droits, mais ils demandent aussi à redécouvrir la valeur de leur propre vie, que la pauvreté tend à faire oublier, et à retrouver la dignité conférée par le travail. Enfin, parmi les thèmes qui sollicitent notre réflexion et notre collaboration, il y a la protection de l’environnement, de notre bien-aimée Terre qui est la grande ressource que Dieu nous a donnée et qui est à notre disposition non pour être défigurée, exploitée et avilie, mais pour que nous puissions y vivre avec dignité, en jouissant de son immense beauté. Monsieur le Secrétaire, Madame la Présidente, Excellences, Mesdames et Messieurs, Le bienheureux Paul VI a défini l’Église « experte en humanité »[. Dans le monde, à l’imitation du Christ, malgré les péchés de ses enfants, elle ne cherche rien d’autre que de servir et de rendre témoignage à la vérité. Rien d’autre que cet esprit ne nous guide dans le soutien du chemin de l’humanité. Avec cette disposition d’esprit, le Saint-Siège entend continuer sa propre collaboration avec le Conseil de l’Europe, qui revêt aujourd’hui un rôle fondamental pour forger la mentalité des futures générations d’Européens. Il s’agit d’effectuer ensemble une réflexion dans tous les domaines, afin que s’instaure une sorte de « nouvelle agorà », dans laquelle chaque instance civile et religieuse puisse librement se confronter avec les autres, même dans la séparation des domaines et dans la diversité des positions, animée exclusivement par le désir de vérité et par celui d’édifier le bien commun. La culture, en effet, naît toujours de la rencontre réciproque, destinée à stimuler la richesse intellectuelle et la créativité de ceux qui y prennent part ; et cela, outre le fait que c’est la réalisation du bien, cela est beauté. Je souhaite que l’Europe, en redécouvrant son patrimoine historique et la profondeur de ses racines, en assumant sa vivante multipolarité et le phénomène de la transversalité en dialogue, retrouve cette jeunesse d’esprit qui l’a rendue féconde et grande. Merci !
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