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Capitolo 4
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L’avviamento all’attività motoria
e sportiva
1.1 L’aspetto
Il corpo, con il suo solo aspetto, è in grado di veicolare contenuti e informazioni, di
coinvolgere l’interlocutore, di orientare le modalità del rapporto.
L’emittente, sia intenzionalmente che non, trasmette segnali in codice esprimendoli attraverso il corpo.
I segnali captati da un destinatario verranno analizzati sulla base dello stesso codice, che ricostituirà le relazioni tra il significante (movimento) e il significato (gesto)
della comunicazione, tra le sequenze di significati e il loro senso nella relazione.
Il movimento-significante viene compreso sempre come gesto-significativo, dotato
di un proprio valore nel contesto dell’interazione.
Quando si parla di «aspetto», riferendosi a una persona, non si intende la sua semplice anatomia naturale. Il corpo anatomico è un corpo incompiuto e il suo compi-
Capitolo 4 - L’avviamento all’attività motoria
Ciascun individuo, pur possedendo tutti i tipi di intelligenza, è dotato in maggior
misura di uno o più tipi. L’intelligenza corporeo-cinestetica è quella che si manifesta prevalentemente in attività come lo sport, il teatro, la danza, il mimo. L’uso del
corpo come forma di intelligenza è una acquisizione recente della nostra cultura,
caratterizzata per lungo tempo da una disgiunzione radicale fra le attività della mente e la fisicità del corpo. Questa separazione tra «mentale» e «fisico», che per secoli ha segnato il pensiero occidentale, non esiste in altre culture: si basa sulla considerazione che ciò che facciamo con il nostro corpo sia meno privilegiato, meno speciale, delle soluzioni di problemi che eseguiamo principalmente attraverso l’uso del
linguaggio verbale, della logica o del pensiero simbolico.
Tra tutti i linguaggi di cui l’uomo si serve per comunicare, quello corporeo, pur essendo il più usato e il più immediato, è tradizionalmente quello di cui la ricerca psicopedagogica si è occupata di meno, a causa della scarsa considerazione attribuita
tradizionalmente — in ambito scolastico e non solo — a tutto ciò che riguarda il
corpo. Quello cinetico è un linguaggio dotato di una propria «grammatica» e di propria «sintassi», che può accompagnare qualunque altro linguaggio, come può comunicare direttamente attraverso il movimento. Il corpo umano, mediante la postura, gli atteggiamenti, i gesti, la distanza prossemica, produce ininterrottamente
un flusso di comunicazione che avviene, come ogni comunicazione, tra un emittente e un ricevente. Le scienze che si occupano della comunicazione corporea, e cioè
la cinesica e la prossemica, distinguono categorie gestuali, strutture, tipologie di gesti e riconoscono una specificità nel comunicare alle singole parti del corpo per
quanto il viso e le mani siano tendenzialmente zone elettive in tal senso, soprattutto nelle civiltà dove costituiscono le parti scoperte.
e sportiva
1. Il corpo nella comunicazione
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mento avviene con l’adozione di modifiche intenzionali dovute al modo di presentarsi, di abbigliarsi, di gestire i movimenti.
1.2La prossemica
Anche la distanza che un individuo adotta nel rapportarsi con un altro ha una valenza comunicativa. Una distanza interpersonale espressa in metri o in centimetri
assumerà valore comunicativo molto diverso a seconda del tipo di rapporto che lega
i due soggetti interagenti, del contesto, della struttura del processo comunicativo
complessivo in corso, e così via.
Una vicinanza stretta (per esempio mezzo metro di distanza) non può avere un significato univoco: è normale trovarsi a questa distanza con una persona su un autobus, può essere fastidiosa se è stata assunta da uno scocciatore che ci si è avvicinato intenzionalmente, può emozionarci se si tratta di qualcuno che ci attrae fisicamente, può metterci in serio imbarazzo se ci siamo dimenticati di usare il deodorante, può incuterci paura se ad avvicinarci è uno sconosciuto dall’aria sospetta.
La prossemica è una disciplina semiologica piuttosto recente. Fu l’antropologo statunitense Edwar T. Hall (1914-2009) a introdurre questo termine (dall’inglese proximity, prossimità).
Osservando il comportamento umano e quello animale, Hall classificò la distanza
tra le persone nella comunicazione in quattro zone:
1.
2.
3.
4.
la zona intima, tra 0 e 45 cm;
la zona personale, tra 45 e 120 cm;
la zona sociale, tra 120 e 350 cm;
la zona pubblica, oltre i 350 cm.
Parte I - Scienze motorie
2. Il linguaggio del corpo
Gregory Bateson (1904-1980), filosofo, antropologo e linguista, afferma che la biologia e la grammatica rispondono alle stesse leggi formali. Nei mammiferi preverbali la comunicazione ha carattere iconico e analogico, e verte principalmente sulla struttura delle relazioni, e solo indirettamente sulle cose. Con il linguaggio accade l’opposto: la comunicazione umana riguarda le cose, ma indirettamente riguarda sempre le relazioni. Nell’uomo c’è anche una sopravvivenza del codice proprio
degli altri mammiferi, nel cosiddetto linguaggio del corpo, o nell’intonazione della
voce. Tale codice, inoltre, è più sviluppato nell’uomo che negli altri animali, in quanto dà vita a fenomeni quali la danza, la musica, la poesia. È proprio attraverso questo codice cinetico che avviene prevalentemente il discorso sulle relazioni. La permanenza di questo canale di comunicazione analogico è dovuta, secondo Bateson,
al fatto che, con il linguaggio verbale, è possibile mentire sulle relazioni, in quanto
può essere falsificato, mentre ciò non avviene nel linguaggio cinetico. Quest’ultimo
si serve di una sineddoche per esprimere il tutto attraverso la parte, ed è volto a
creare ridondanza, ossia la possibilità per il ricevente di risalire agli elementi mancanti nel messaggio con probabilità maggiore di quella che si avrebbe se provasse
a caso.
Oggi anche nella cultura occidentale si è compresa la stretta connessione tra l’uso
del corpo e lo sviluppo cognitivo e si è sempre più inclini a istituire un’analogia tra
processi di pensiero e abilità fisiche.
Chiunque esegua delle azioni apprese — e nell’essere umano lo sono tutte, dalle più
semplici e quotidiane a quelle più complesse — sviluppa, nel corso dell’apprendimento, un insieme logico di procedimenti per tradurre l’intenzione in azione.
L’uso del corpo può essere differenziato in una varietà di forme. Come un mimo, si
può fare uso del proprio corpo nella sua interezza per rappresentare a fini espressivi una certa attività come per esempio correre o cadere.
Di importanza uguale (se non maggiore) nell’attività umana è l’elaborazione di movimenti motori fini, l’abilità di usare le mani, e le dita, per eseguire movimenti delicati che richiedono estrema precisione. L’atto di prendere con precisione un oggetto di piccole dimensioni fra il pollice e l’indice è stato portato a un livello quantitativamente e qualitativamente superiore dagli esseri umani. Un buon pianista
può produrre schemi di movimento indipendenti in ciascuna mano, può sostenere
ritmi diversi con ciascuna mano, usando le due mani contemporaneamente per farle «comunicare fra loro» o per produrre un effetto di fuga. Nell’uso della tastiera del
computer o nel tiro a segno, un dito può essere mosso per soli pochi millesimi di
secondo, oppure un occhio per soli pochi gradi, per consentire un attacco preciso o
una precisa coordinazione. E nella danza può essere importante persino il minimo
fremito di un dito.
3. I prerequisiti motori
Fra le primissime reazioni circolari del neonato e le forme di attività molto più complesse che caratterizzano l’attività del giocoliere, della dattilografa, del giocatore
degli scacchi, del lettore o del programmatore possono esserci continuità significative. Si deve però sollevare la questione se l’acquisizione di competenze simboliche
non possa in effetti incidere sullo sviluppo di abilità corporee. Quando si è in grado di formulare un obiettivo a parole, di trasmettere istruzioni
verbalmente, di sottoporre a critica le proprie prestazioni o di addestrare un altro
individuo, i metodi con cui si acquistano e combinano abilità possono assumere un
carattere diverso. Nello stesso modo, la padronanza di funzioni simboliche come la
rappresentazione (la denotazione di un’entità, come una persona o un oggetto) e
l’espressione (la comunicazione di uno stato d’animo, come la gaiezza o la tristezza) fornisce agli individui la possibilità di mobilitare capacità corporee per comunicare messaggi diversi. Ogni singola disciplina di insegnamento richiede il possesso di specifici prerequisiti. Il principale prerequisito dell’educazione fisica è costituito dallo schema corporeo, che consiste nell’immagine complessa del proprio corpo, considerato in
movimento nello spazio e in comunicazione con il mondo esterno.
Lo sviluppo motorio si fonda interamente sulla percezione, conoscenza e presa di
coscienza della corporeità nei suoi diversi aspetti: globale e segmentaria attiva (dinamica) e passiva (statica), sulle esperienze di manipolazione del corpo e degli oggetti esterni, sull’acquisizione delle caratteristiche spaziali (avanti-indietro, sopra-
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Capitolo 4 - L’avviamento all’attività motoria e sportiva
2.1 L’uso del corpo e lo sviluppo cognitivo
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sotto, destra-sinistra etc.) e temporali (prima-dopo, veloce-lento etc.) e sulle capacità di impadronirsi dello spazio in relazione a sé.
Alla strutturazione dello schema corporeo e motorio contribuiscono i seguenti fattori, che costituiscono altrettanti prerequisiti della motricità:
• la postura, che consiste nel coordinamento automatico del tono muscolare in
ogni posizione del corpo ed è considerata «l’ombra del movimento», perché si
modifica ogni volta che il corpo cambia posizione nello spazio;
• il senso dell’equilibrio, che costituisce la base essenziale della postura e del
movimento e consiste nel complesso di reazioni dell’organismo alla forza di gravità, nella ricerca di un appoggio stabile e nell’adattamento alle caratteristiche
ambientali;
• la dominanza laterale, determinata dalla prevalenza funzionale di un emisfero
cerebrale rispetto all’altro, che comporta una maggiore efficienza motoria in un
emilato (solitamente quello destro) del corpo rispetto all’altro;
• l’orientamento spaziale, che consiste nella capacità di muoversi nell’ambiente circostante senza confondersi, di riconoscere luoghi visti in tempi precedenti e di ritrovare la strada da percorrere fissando alcuni «punti di riferimento»;
• il senso del ritmo, ossia la dimensione spazio-temporale degli eventi;
• la coordinazione oculo-manuale, cioè la capacità di eseguire i movimenti manuali volontari funzionali in risposta alle stimolazioni visive dell’ambiente. Essa
è fondamentale per tutte le attività umane, per il calcolo della traiettoria, per le
attività motorie e sportive, per le attività grafiche, pittoriche, meccaniche etc.;
• la coordinazione oculo-podalica, che è la capacità di eseguire i movimenti volontari degli arti inferiori in modo perfettamente rispondente alle stimolazioni
visive provenienti dall’ambiente. Essa è fondamentale nella deambulazione e nella corsa, nel salto, nel superamento degli ostacoli e in alcune prestazioni sportive di cui l’esempio più eclatante è il calcio.
Parte I - Scienze motorie
4. Il gioco e lo sport
Se l’acquisizione dell’equilibrio psicofisico è il fine principale che si propone la scuola secondaria, l’avviamento dei ragazzi a un’attività sportiva costituisce uno degli
obiettivi a cui il docente deve prestare maggiore attenzione, perché una scelta errata potrebbe avere conseguenze negative sullo sviluppo psicomotorio del ragazzo.
È bene, quindi che, prima di intraprendere la pratica di uno sport, il ragazzo cerchi
di preventivare a quali livelli può aspirare, in modo da fissarsi dei traguardi raggiungibili ed evitare di rimanere deluso dai propri risultati.
Nei sistemi educativi contemporanei il principio informatore è quello di educare
alla cooperazione per una maggiore socialità. Le forme di gioco e di sport basate
sulla partecipazione collettiva sono la via più semplice e agevole per sviluppare
nell’adolescente il senso di collaborazione e la socialità. Le attività motorie praticate sotto forma di gioco collettivo rivelano non solo le doti innate del soggetto, quali l’aggressività, il coraggio, la gioia e la resistenza, ma anche i suoi atteggiamenti
nell’ambito del gruppo e dell’ambiente, quali l’egoismo o lo spirito di cooperazione, la prontezza al sacrificio, la gentilezza o la durezza. Da ciò si evince come lo sport
possa influire profondamente sulle fonti psicologiche degli elementi del carattere.
Attraverso la relazione Io/corpo, Io/ambiente, l’attività motoria e sportiva può far
emergere alcune disposizioni naturali proprie della struttura psicofisica come la
prontezza, la forza, la perseveranza. Lo sport, oltre ad essere un modo caratteristico di esprimersi, è anche un modo di affrontare i rapporti interpersonali: questo
modello di vita si basa sulla coscienza della propria disponibilità, e cioè, sulla consapevolezza di ciò che siamo in grado di realizzare con le nostre forze e con la nostra volontà, interagendo con gli altri.
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4.1 Il valore pedagogico del gioco
Il gioco, come afferma il sociologo francese Roger Callois (1913-1978), è qualcosa
che «non produce nulla se non se stesso e che non lascia traccia di sé, perché si consuma nell’atto stesso del suo farsi», tant’è vero che è difficile per gli studiosi trovare una specifica documentazione che ne attesti la pratica all’interno della storia delle civiltà. Nonostante ciò, gli storici contemporanei sono riusciti a focalizzare la funzione e il valore del gioco, che ha rivelato, delle società del passato, «la fisionomia
generale e indicazioni preziose sulle preferenze, le debolezze e le virtù di una data
società in un determinato momento della sua evoluzione». Sulla base di tali premesse Caillois propone una suddivisione dei giochi in quattro categorie:
Alea
Mimicry
Ilinx
Gioco caratterizzato dalla competizione
Gioco dominato dal caso, dalla fortuna, dall’azzardo (scommesse, lotterie, gioco dei dadi etc.)
Ricerca della simulazione, della finzione, come nel teatro, nel gioco con la bambola, nel
travestimento etc.
Ricerca del rischio, del brivido come nel dondolare con l’altalena, girare sulla giostra,
andare sulle montagne russe etc.
Callois suddivide ulteriormente le quattro categorie in paidia (gioco libero, improvvisato, spontaneo) e ludus (gioco regolato, che richiede particolare abilità), per quanto la paidia sia presente anche nelle forme di gioco regolate, proprie dell’età adulta. Le possibili combinazioni tra le quattro differenti modalità di gioco aprono scenari del tutto nuovi ed estremamente complessi e affascinanti.
La lingua inglese per definire il gioco utilizza due parole: game e play. I due termini hanno accezioni diverse: games sono le istituzioni sociali che costituiscono
il residuo del gioco, mentre play è in un’attitudine esistenziale, un modo per accostarsi alla vita, che può essere applicato a qualsiasi cosa, ma non è connesso a
qualcosa in particolare. I giochi con le carte, il calcio, il ballo sono games in quanto non contengono automaticamente l’approccio specifico alla vita che è nel gioco (play), né conducono a un particolare piacere che lo accompagna. Giocare a
carte o ballare può essere noioso; nessun gioco istituzionalizzato è necessariamente gioioso. Alcune attività, di solito non considerate giochi, possono invece
costituire esperienze gioiose (viaggiare, conversare, creare un’opera d’arte o fruirne, persino lavorare).
Il significato del termine inglese play rispecchia in pieno tale modalità, forse la più
completa forma di gioco poiché insieme comprende la libertà e la convenzione, la
sospensione del reale e una continua immaginazione. Non a caso to play si può tra-
Capitolo 4 - L’avviamento all’attività motoria e sportiva
Agon
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durre con giocare, danzare, cantare, ballare, recitare, esprimendo un’azione che può
spaziare dal girotondo dei bambini alle attività artistiche.
Il tema del gioco ha destato da sempre gli interessi degli studiosi. Platone affronta
questo tema in due sue opere: Leggi e Repubblica. Nelle Leggi il filosofo greco sostiene che l’uomo non è che un giocattolo uscito dalle mani degli dei e ciò che di lui
ha più valore è proprio questo. Uomini e donne, nella loro vita, devono anche giocare: nella guerra (che è il contrario del gioco) non c’è divertimento e quindi non
c’è nulla che abbia valore educativo. I divertimenti, i canti, le danze, invece, ci consentono di migliorare la nostra vita e di renderci così «favorevoli gli dei».
Il gioco è quindi la più seria e la più nobile delle attività umane e costituisce per i
soggetti da educare il nucleo centrale che conduce dalla paidià alla paidèia.
Paidèia (istruzione) e paidià (puro gioco) hanno la stessa radice linguistica. Nella
Repubblica Platone pone la paidià al servizio della paidèia, nelle Leggi considera la
paidià parte della paidèia. Nell’Etica Nicomachea Aristotele paragona il gioco alla
felicità e alla virtù: come queste il gioco è fine a se stesso, e, al contrario del lavoro,
non è necessario.
Per i filosofi il gioco è quindi una cosa seria, così come per i matematici che ne hanno fatto addirittura una disciplina.
Parte I - Scienze motorie
5. La motivazione e lo spirito agonistico
Perché l’attività sportiva abbia valore educativo è necessario controllare la motivazione. Infatti se a spingere alla prestazione sportiva è il desiderio di imitazione degli adulti, ciò finirà per compromettere la possibilità di ricavarne i benefici a breve
e a lungo termine, che invece si ricavano da un’adeguata e metodica preparazione
dettata da reali esigenze psicomotorie.
Lo sport è un mezzo educativo in quanto si fonda su un intervento parallelo delle
qualità fisiche, tecniche e psichiche, che richiedono sempre maggiori e migliori prestazioni, permettendo una valutazione autocritica delle proprie possibilità e dei propri limiti. Quindi l’educatore, attraverso la condotta sportiva dei propri alunni, ha
la possibilità di risalire alla loro personalità, correggere i lati negativi e incoraggiare quelli positivi; inoltre, la pratica sportiva favorisce la costituzione di gruppi spontanei. Il docente ha anche il compito di guidare i ragazzi, che tendono alla competizione egocentrica, all’agonismo, ossia ad una vittoria determinata dal bisogno di affermazione, anche verso valori più finalizzati. Il vincitore e il perdente devono essere uniti dal comune obiettivo di migliorare le proprie qualità agonistiche; è per
questo che si ha bisogno di vincere come di perdere per maturare e per affinare doti
come la volontà, il coraggio, la lealtà.
La pedagogia contemporanea ci insegna che nei ragazzi è naturalmente presente lo
spirito agonistico e quindi la tendenza a misurarsi con l’altro. Ma questa tendenza, se non viene opportunamente guidata, può dar luogo ad atteggiamenti caratterizzati da aggressività, impulsività, ostilità, rivalità. Questo è un grosso problema di
portata sociale ed è giusto che la scuola se ne faccia carico attuando l’educazione
all’agonismo e la prevenzione dell’antagonismo. Per l’agonismo ci sono due aspetti su cui porre l’attenzione: quello soggettivo, che si attua quando ci si confronta con
se stessi e che ha come fine l’autocontrollo; quello oggettivo, che si verifica nel momento in cui bisogna superare un livello di prestazione. In entrambi i casi, vanno sta-
6. L’avviamento allo sport in ambito scolastico
In ambito scolastico l’avviamento allo sport si esplica fondamentalmente attraverso l’atletica leggera e i giochi sportivi. L’avviamento all’atletica leggera è fondato su
movimenti naturali dell’uomo: corse, salti, lanci.
La corsa è la base di ogni attività sportiva, è la prima e più semplice manifestazione atletica. Prima di studiare la tecnica precisa della corsa è necessario suscitarne
l’interesse negli alunni. Ciò si ottiene attraverso un lavoro fisiologico fatto di corse
a ritmi lenti, alternati con tratti di recupero, in modo da raggiungere uno stato di
leggero affaticamento, piacevole e non stressante. L’inserimento di ostacoli naturali, al fine di variare i ritmi, impedisce il nascere della monotonia, così come le staffette che rappresentano una forma collettiva della corsa, introducono il giovane
all’idea di un lavoro di squadra.
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Capitolo 4 - L’avviamento all’attività motoria e sportiva
biliti, in rapporto all’età dei discenti, i tempi, i modi e la gradualità degli interventi
educativi per evitare danni da sforzo.
Se l’attività sportiva deve essere vissuta anche come un piacere, ciascuno procederà nel modo e nella forma che riterrà più vicina alle proprie caratteristiche psicofisiche. Soltanto quando tutti avranno compreso l’aspetto tecnico generale di un determinato gesto sportivo, sia esso il correre, il saltare, il lanciare, il palleggiare etc.
ci si porrà il problema del perfezionamento tecnico. Quindi la fase della competizione non va certo considerata come un fine, ma come il naturale concludersi dell’apprendimento sportivo.
Nel periodo della scuola secondaria l’alunno deve familiarizzare con le principali
attività sportive, imparando le tecniche elementari dei singoli sport, attraverso un
lavoro globale a carattere simmetrico. Egli deve inoltre essere avviato all’acquisizione di uno spirito sportivo soprattutto per mezzo dei grandi giochi sportivi che gli
daranno l’esatto senso della disciplina del gioco, il rispetto dell’avversario, delle regole, dell’arbitro. Come orientamento didattico generale sembra opportuno riferirsi al metodo globale cioè insegnare il gesto sportivo per mezzo di una esecuzione
sintetica dello stesso. Tale metodo consente di graduare gli interventi didattici nelle diverse fasi dell’apprendimento: inizialmente si adotterà la forma ricreativa, cioè
si formuleranno le proposte in forma ludica; si passerà, poi, agli esercizi eseguiti
in forma naturale; seguiranno la spiegazione e la dimostrazione del gesto sportivo da apprendere.
Per suscitare l’interesse dei discenti e cercare di essere il più chiaro possibile, l’insegnante farà ricorso alla stimolazione visiva e uditiva, nonché alla sensibilizzazione sensitiva e motoria.
Il docente richiederà poi agli allievi una prima esecuzione globale del movimento
senza interromperli. Dopo aver notato quali sono gli errori più comuni nella classe,
procederà a dare chiarimenti verbali prima, poi ripeterà la dimostrazione, chiedendo nuovamente alla classe di ripetere l’esecuzione cercando di correggere gli errori. Successivamente ricercherà il miglioramento dell’esecuzione con l’utilizzo del
metodo analitico, cioè scomponendo l’esercizio nelle sue varie fasi; completerà, infine, il metodo analitico con uno studio sintetico del movimento, e ricercando la velocità ottimale di esecuzione.
Parte I - Scienze motorie
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Il salto deve corrispondere ad una libera manifestazione dell’impulso naturale di
lanciarsi verso l’alto. Prima di passare al salto in alto sportivo è giusto che il ragazzo acquisisca il concetto di elevazione verticale, che è la fase finale della rullata del
piede, trasferibile anche al salto in lungo, al basket, alla pallamano.
Il lancio è, invece, un’attività vastissima, sia per lo sviluppo di qualità quali forza e
velocità, sia per l’affinamento del controllo degli equilibri, delle basi di appoggio,
del senso del ritmo, della coordinazione oculo-manuale. Lanciare è comunque un’attività che offre molteplici possibilità applicative, tra le quali assumono molta importanza i giochi sportivi.
Evidenziate le caratteristiche del gesto naturale, poi applicabili a discipline sportive o a giochi sportivi, vanno identificate le attività sportive individuali e di squadra
che più ricorrono nell’attività scolastica. Tra gli sport individuali vanno segnalate
l’atletica leggera e la ginnastica artistica, mentre tra quelli di squadra i più adatti
sono il calcio, la pallacanestro, la pallavolo, la pallamano.
Per ciò che concerne l’atletica va detto che essa è la disciplina sportiva nella quale
ogni singola specialità deriva da un movimento naturale dell’uomo: corsa, salto in
alto, con l’asta, in lungo, lancio del peso, del disco, del giavellotto; infine la marcia e
la corsa ad ostacoli. Le gare di atletica si dividono in due categorie: specialità su pista e su pedana. Le prime comprendono le prove di corsa semplice, con ostacoli e di
marcia, mentre le prove su pedana comprendono le specialità di salto e lancio.
Un altro sport individuale che si sviluppa nell’attività scolastica è la ginnastica artistica, disciplina di indubbio valore educativo. In questo sport gli uomini e le donne gareggiano distintamente, i primi con sei attrezzi, le seconde con quattro. Le gare
possono sia essere esclusivamente individuali o di squadra, ma il gesto resta sempre e comunque individuale: persona-attrezzo. Nella competizione a squadre ognuno dei sei componenti esegue un esercizio obbligatorio ed uno libero ad ogni attrezzo; nella competizione combinata individuale ciascuno dei trentasei ginnasti, con
la migliore prestazione ottenuta nella prestazione a squadre, esegue un esercizio libero ad ogni attrezzo, nella gara individuale partecipano otto o sei atleti scelti tra i
migliori classificati nella gara a squadre e successivamente si stabiliscono i campioni agli attrezzi individuali. Solo di recente è stato possibile dimostrare che i miglioramenti nelle performance si ottengono attraverso la preparazione, che, all’inizio,
è generale per poi acquistare carattere specifico. Le forme di ripetitività negli allenamenti si sono rivelate negative in quanto hanno fatto registrare fenomeni di repressione dei miglioramenti. In pratica si è visto che un tipo di allenamento, esclusivamente tecnico, se privo di una base di cultura fisica, ostacola l’apprendimento
di nuovi gesti e determina un’errata impostazione delle tecniche. La giusta preparazione è quella che consente ad un’atleta di sopportare un carico maggiore di lavoro e di eseguire meglio un movimento sportivo. Inoltre dopo la fatica iniziale, l’atleta riesce a raggiungere altri risultati con il minimo sforzo. Per ciò che riguarda gli
sport di squadra più diffusi nell’ambiente scolastico, va messo al primo posto il calcio.
Il calcio è un gioco che si svolge con due squadre contrapposte, ognuna costituita
da 11 o da 7 o anche da 5 giocatori, a seconda dello spazio che si ha a disposizione,
di cui uno è il portiere, più le riserve che stanno in panchina. Lo scopo del gioco è
segnare più reti o goal nel tempo di gara inviando il pallone nella porta avversaria.
6.1 La psicomotricità
Il termine psicomotricità, coniato in Germania nel 1844 da Wilhelm Griesinger, fondatore della neuropsichiatria, fu ripreso dal neurologo Jean Dupré, in Francia, all’inizio del XX secolo, per descrivere fenomeni patologici nei quali il ritardo mentale e
quello motorio costituivano due aspetti di una medesima alterazione. Jean Dupré
diede il suo nome a una particolare sindrome, la débilité motrice, una forma di goffaggine presente sia nel bambino che nell’adulto e che talvolta può essere associata a ritardo mentale.
Il concetto di psicomotricità è stato in seguito oggetto di studio in diversi campi di
ricerca: in pedagogia, in psichiatria e in psicologia si tende a considerare l’essere
umano nella sua interezza e a osservare la psicomotricità in rapporto al vissuto corporeo dell’individuo.
L’autore che ha contribuito maggiormente a porre le basi della psicomotricità del
secolo scorso è stato lo psichiatra Julian de Ajuriaguerra il quale, negli anni Sessanta, ha osservato come i disturbi motori del bambino (instabilità psicomotoria,
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Capitolo 4 - L’avviamento all’attività motoria e sportiva
Dirige la partita un arbitro assistito da due guardalinee, che ha il compito di far rispettare le regole, di fare da cronometrista e di registrare il punteggio della partita. Inoltre può arrestare il gioco in caso di infortuni o di infrazioni e farlo riprendere nel momento che più ritiene opportuno. La durata della gara è di 45 minuti se si
è in 11, di 30 minuti se si è in 7 o in 5.
La pallacanestro è un gioco molto veloce e privo di contatto fisico fra i giocatori.
Le due squadre di cui si compone il gioco, sono di cinque elementi e di cinque sostituti. Vince la squadra che ha segnato più punti (canestri) nel tempo prestabilito.
Le squadre sono guidate da un allenatore e da due ufficiali di gara detti anche primo e secondo arbitro. L’allenatore fornisce al segnapunti i nomi e i numeri di maglia dei giocatori e richiede i cambi e i minuti in sospensione. La partita si sviluppa
in due tempi di 20 minuti ciascuno con un intervallo di 10 minuti, se vi è parità la
partita prosegue con i tempi supplementari di 5 minuti ciascuno.
La pallavolo nell’attività scolastica è tra gli sport più praticati dalle ragazze. Essa
consiste in una partita che viene giocata tra due squadre di sei giocatori che, per
fare un punto, devono far passare la palla dall’altra parte della rete in modo che
possa toccare terra. I movimenti fondamentali della pallavolo sono: la battuta, il
bagher, il palleggio, la schiacciata, il muro. I punti possono essere assegnati solo
alla squadra che serve la palla e fino al completamento di un set, vince la squadra
che si aggiudica più set, per i quali sono necessari 15 punti con un vantaggio di almeno due punti.
Acquistare coscienza del corpo vuol dire anche imparare a respirare. La difficoltà
principale sta nello spingere fuori il fiato completamente, per evitare che i polmoni
rimangano parzialmente distesi e si perda l’abitudine a espellere efficacemente l’aria.
L’espirazione è la fase che richiede la maggiore attenzione. Invece di inspirare abbondantemente, di espirare con avarizia e di inspirare ancora, e meglio inspirare,
espirare completamente e introdurre un momento di pausa, corrispondente al tempo necessario affinché il corpo utilizzi la scorta di ossigeno fatta durante la respirazione precedente. Una volta ritrovato il ritmo respiratorio il corpo lo manterrà.
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inibizione psicomotoria, débilité motrice, difficoltà prassiche, dislateralità, tic, balbuzie) fossero il risultato dell’interazione di diverse componenti:
• una componente dell’organizzazione dell’attività motoria, che si sviluppa nel
bambino secondo tappe predeterminate: il tono muscolare, l’equilibrio, la coordinazione dei movimenti si evolvono nel corso dell’infanzia fino a stabilizzarsi
alla soglia dell’adolescenza. Le disabilità che si riferiscono a questa sfera comprendono, ad esempio ritardi dello sviluppo motorio e goffaggine;
• una componente emotiva, che si manifesta nell’espressione corporea della persona, nel proprio vissuto corporeo che si esterna nel linguaggio non verbale: stato tonico, tipo di postura, di gestualità, autopresentazione (modo di atteggiarsi,
di abbigliarsi etc.) che sono i fattori determinanti della modalità di comunicazione sociale di ciascun individuo. I problemi relativi a questa sfera riguardano, ad
esempio, l’inibizione psicomotoria, l’alterazione della percezione del proprio corpo, stati di tensione, depressione etc.
• una componente cognitiva, che entra in gioco quando il movimento richiede una
programmazione intenzionale dell’ordine della sequenza di singoli movimenti
da compiere in funzione di uno scopo fissato in partenza e del loro controllo cosciente durante la loro esecuzione (ad esempio confezionare un pacco). Si tratta di un insieme di azioni definite prassie. Le difficoltà prassiche si possono manifestare nell’apprendimento della scrittura, nella riproduzione di modelli (geometria) e anche nell’esecuzione delle attività manuali del quotidiano (vestirsi,
cucinare etc.).
Parallelamente alle ricerche neuropsichiatriche, sono stati messi a punto diversi
metodi educativi e attività terapeutico-riabilitative rivolti sia al bambino che all’adulto. Le tecniche più diffuse sono: la ginnastica a corpo libero e con attrezzi, la ritmica, alcune forme di rilassamento e di massaggio, il dialogo tonico, il gioco motorio
e il gioco simbolico, l’espressione corporea e la drammatizzazione, l’espressione
grafica, gli esercizi di percezione del corpo, di percezione spaziale e di organizzazione delle azioni finalizzate. È inoltre sempre più frequente l’intervento psicomotorio in ambito acquatico e la sua integrazione in ippoterapia.
Parte I - Scienze motorie
6.2Disabilità e sport
Lo sport rappresenta per i soggetti disabili non solo un mezzo per migliorare le proprie condizioni fisiche e sociali, ma anche un’attività con un’innegabile valore inclusivo. Il vasto movimento sportivo internazionale che si è sviluppato negli ultimi anni
coinvolgendo migliaia di atleti ha dimostrato come le persone che presentino deficit motori, sensoriali o psichici trovino nello sport un mezzo di recupero psicofisico e soprattutto di integrazione sociale. Il primo a comprendere l’importanza dello
sport per i disabili fu il neurochirurgo tedesco naturalizzato britannico Ludwig Guttmann. Nel 1944 il governo britannico gli chiese di guidare il Centro Nazionale di ricerca sulle lesioni del midollo spinale, situato presso l’ospedale di Stoke Mandeville, nei pressi di Londra. Fu così nominato direttore del centro, incarico che tenne
fino al 1966. Grazie all’attività fisica, i pazienti paraplegici cominciarono a sviluppare la muscolatura degli arti superiori raggiungendo in breve tempo risultati migliori rispetto alle tecniche di riabilitazione usate fino a quel momento.
Nel 1948, sulla scia dei risultati ottenuti da Guttmann, si tennero a Stoke Manderville i primi giochi per atleti disabili ai quali parteciparono ex membri delle forze
armate britanniche rimasti disabili in seguito a lesioni subite durante la guerra. Nel
1952 si tenne una nuova edizione dei giochi, alla quale parteciparono anche atleti
olandesi. Nel 1958 un medico italiano, Antonio Maglio, direttore del centro paraplegico dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
(Inail), propose a Guttmann di organizzare a Roma, città che avrebbe ospitato nello stesso anno le Olimpiadi, un’edizione dei giochi per paraplegici.
Nel 1984 il Comitato Olimpico Internazionale approvò la denominazione di Giochi
Paraolimpici.
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L’educazione fisica, dunque, come disciplina scolastica svolge un ruolo determinante, soprattutto nell’ambito della prevenzione e della correzione di eventuali patologie morfo-funzionali. L’azione rieducativa va condotta tempestivamente non appena l’insegnante riscontra dei paramorfismi nel soggetto, allo scopo di prevenire l’insorgere di eventuali dismorfismi, cioè deviazioni della normo-morfologia, sostenute da un’alterazione scheletrica spesso irreversibile. I fattori patologici responsabili di paramorfismi possono essere costituiti dalla posizione assunta nel banco, dalla insufficiente compensazione della posizione seduta, dall’eccessivo peso dei libri
trasportati.
In questi casi, l’educazione fisica può esercitare una duplice azione: preventiva, attraverso l’educazione posturale, correttiva, mediante la rieducazione posturale. Nei
casi più gravi, può, inoltre, coadiuvare l’opera del medico ortopedico. Ovviamente,
quando ciò si verifica, il docente sarà tenuto a differenziare maggiormente il movimento, a renderlo, cioè, individuale e diversificato nelle caratteristiche tecniche (movimento analitico, segmentario, decompensato) e scientifiche (precisione ed esatta
localizzazione). L’insegnante farà, inoltre, in modo che l’alunno sia motivato nel comportamento e prenda coscienza del movimento accettandolo come una conquista
personale che porterà avanti nel tempo come un’abitudine igienica e rassicurante.
Sarà poi compito dell’insegnante tenere una documentazione dei risultati ottenuti
e di eventuali problematiche o difficoltà incontrate nell’azione di rieducazione.
Capitolo 4 - L’avviamento all’attività motoria e sportiva
7. Il movimento come prevenzione