Prolusione Professoressa Maria Giovanna Marrosu

INAUGURAZIONE
ANNO ACCADEMICO
2014-2015
Prolusione della Prof.ssa Maria Giovanna Marrosu
“ Immunità in Sardegna: dono degli dei o mela avvelenata?”
Aula Magna del Rettorato di Cagliari
Martedì 9 Dicembre 2014
Immunità in Sardegna: dono degli dei o mela avvelenata?
Maria Giovanna Marrosu
Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Clinica e Molecolare
Università di Cagliari
1. Struttura genetica della popolazione sarda: il risultato di geni
ancestrali e pressione ambientale
La Sardegna è caratterizzata da un background genetico particolare e può
essere considerata una “deriva genetica”. Cavalli-Sforza nel 1988 (1), sulla
base di dati genetici, archeologici e linguistici, separò la popolazione della
Sardegna dalle altre popolazioni europee, come risultato di uno split precoce
dagli originari popoli indo-europei. L’attuale struttura genetica dei sardi è
derivata da una concomitanza di fattori: fattori genetici, rappresentati oltre
che da un pool di geni ancestrali anche da un ristretto numero di fondatori e
da selezione genetica sulla base di forti pressioni ambientali; fattori
geografici, quali l’insularità che ha favorito uno scarso apporto di materiale
genetico proveniente da nuove popolazioni; fattori demografici, quali una
popolazione poco numerosa in rapporto al territorio; fattori sociali, quali
l’alto grado di endogamia, legato a diritti patrimoniali e a matrimoni
all’interno di popolazioni residenti in piccoli isolati. Fra tutti questi, la
pressione ambientale è stata uno dei maggiori determinanti della selezione
genetica. In questo contesto, gli agenti patogeni ambientali giocano un ruolo
fondamentale. Ricordiamo a questo proposito la relazione intercorrente fra
la talassemia e la malaria, una condizione endemica per la Sardegna,
riportata già da Erodoto, descritta nel 1977 da Antonio Cao e collaboratori
(2).
2. Il sistema MHC: fitness in Sardegna e geni della risposta immunitaria
Fra i geni coinvolti nel determinare la struttura di una popolazione, i geni
della risposta immunitaria giocano un ruolo determinante. La regione MHC
(Major Histocompatibility Complex) o regione HLA (Human Leukocyte
Antigen), situata nel braccio corto del cromosoma 6 umano, contiene oltre
200 geni che codificano le molecole fondamentali per il riconoscimento degli
antigeni e per l’istruzione della cascata di eventi che conduce alle risposte
del sistema immunitario. I geni della regione MHC sono caratterizzati da un
elevato polimorfismo, che si traduce in un’elevata variabilità allelica, ossia in
forme diverse di uno medesimo gene. Un’altra caratteristica degli alleli del
sistema MHC è rappresentata dal linkage-disequilibrium, fenomeno per il
quale alleli di geni diversi, situati in regioni vicine all’interno del sistema
HLA, vengono ereditati in blocco in una sequenza detta aplotipo. Gli alleli e
gli aplotipi variano sia nella loro frequenza che nella loro combinazione in
popolazioni differenti, sulla base dell’origine della popolazioni e delle forze
di selezione ambientale. Nel corso dei secoli e in un determinato contesto
ambientale, gli individui di una data popolazione sono selezionati in base
alla loro risposta immunitaria verso i patogeni, per cui solo coloro che
portano varianti di geni del sistema immunitario in grado di rispondere
efficacemente ai patogeni sono in grado di sopravvivere e generare (“fitness
theory”). Un esempio di pressione selettiva positiva sugli alleli HLA in
Sardegna è l’alta frequenza dell’allele HLA-B35 in individui residenti in
località soggette nel passato ad endemia malarica (3 ). La peculiarità delle
varianti alleliche e aplotipiche del sistema HLA della popolazione sarda
risultano in gran parte da effetti di selezione sulla base di pressione
ambientale. Ad esempio, la frequenza dell’allele DR3 (aplotipo HLADRB1*0301-DQB1*0501) è fra le più elevate al mondo (4.) Si ipotizza che la
selezione di questo aplotipo abbia seguito la diffusione dell’espansione
dell’agricoltura dalle regioni dell’antica Mesopotamia (detta in seguito
Mezzaluna Fertile), circa 10.000 anni orsono, fino alla Sardegna, meno di
4.500 anni fa. L’aplotipo DR3 mostra un gradiente inverso alle ondate
migratorie dell’uomo raccoglitore, per cui più antica è stata la diffusione
cerealicola, minore è la frequenza di DR3. Il gradiente inverso sarebbe
spiegato con la selezione negativa esercitata sui portatori di questo aplotipo
dalla celiachia, malattia autoimmune associata al DR3 e determinata
dall’ingestione di glutine: in assenza di alimentazione priva di glutine, il
genotipo DR3 legato alla celiachia avrebbe esercitato un impatto negativo
sulla sopravvivenza e sulla capacità riproduttiva per migliaia di anni (5),
determinando la sua bassa frequenza nelle regioni a più antica attività
agricola. Altro esempio è rappresentato dall’ aplotipo DR4 (DRB1*0405DQB1*0501), che costituisce una variante squisitamente sarda,
verosimilmente dovuta in origine ad un evento stocastico di ricombinazione
ma mantenuta nel tempo perché utile alla fitness della popolazione (6). Al
contrario, altri aplotipi, quali il DR2, sono virtualmente assenti nella
popolazione sarda (7). Nel complesso, varianti alleliche del sistema HLA
sono un ottimo indicatore della distanza genetica fra la popolazione della
Sardegna e altre popolazioni europee, Italia compresa (8).
Questo peculiare assetto delle varianti alleliche del sistema HLA nella
popolazione sarda, risultato da forze di pressione selettiva agenti nei secoli,
ha prodotto individui con capacità di risposte immunitarie efficaci nei
confronti di patogeni presenti stabilmente nell’Isola, risposte indispensabili
alla sopravvivenza degli abitanti, particolarmente in epoche preantibiotiche. Indubbiamente, alla grande capacità di risposte proinfiammatoria della nostra popolazione possiamo almeno in gran parte
ascrivere l’elevato numero di centenari in buona salute che caratterizza la
Sardegna, in un felice equilibrio fra geni e ambiente.
3. Ruolo dell’ambiente: i cambiamenti ambientali inducono
l’autoimmunità.
Dopo la seconda Guerra Mondiale le condizioni ambientali della Sardegna
sono tumultuosamente cambiate, in relazione al miglioramento delle
condizioni igieniche e sanitarie, quali uso di antibiotici e di vaccinazioni,
eradicazione di malattie endemiche quali malaria, tubercolosi, brucellosi; a
variazioni sociali, quali drastica diminuzione del numero dei nuovi nati,
elevato utilizzo di farmaci anticoncezionali, diffusione del fumo di sigaretta
nelle donne; a cambiamenti nell’economia, quali passaggio da attività
prevalentemente agro-pastorali all’industrializzazione con conseguente
incremento dell’inquinamento, massificazione del
turismo. L’impatto
improvviso di questi e altri cambiamenti ha agito su una popolazione il cui
assetto genetico si era modellato nel corso di centinaia di anni sulla base di
differenti e consolidati fattori ambientali. Poiché la struttura genetica di una
popolazione richiede vari secoli per riadattarsi all’ambiente (“geneenvironment evolutionary time mismatch”), in questo nuovo contesto geni
che sono stati neutri o benefici per centinaia di anni possono diventare
sfavorevoli. L’“ipotesi igienica” correla la diminuzione di malattie infettive
con l’aumento di malattie autoimmuni e allergiche, un fenomeno osservato
nel corso degli ultimi 50 anni in tutto il mondo occidentale (9). Di fatto, la
Sardegna presenta un’elevata incidenza e prevalenza di malattie
autoimmuni (10); in particolare, la frequenza di sclerosi multipla (11) e
diabete tipo 1 (12) sono fra le più alte al mondo. Non soltanto, ma la
frequenza di diabete tipo 1 è molto più elevata in persone con sclerosi
multipla rispetto alla popolazione generale (13), dimostrando una
straordinaria co-segregazione di malattie autoimmuni nella nostra
popolazione. Tuttavia, il legame fra malattie autoimmuni e ambiente è molto
più complesso e presenta apparenti paradossi. Fra i fattori ambientali
determinanti il rischio di sclerosi multipla, un ruolo ormai assodato è dato
dall’infezione da virus di Epstein-Barr (14), come pure in Sardegna un
fattore di rischio è costituito dal Mycobacterium Avium subspecies
Paratuberculosis, presente endemicamente nei bovini sardi e diffuso
nell’ambiente tramite il latte di animali infetti (15). Ugualmente, la carenza
di vitamina D è un determinante del rischio sia di sclerosi multipla (16) che
di diabete tipo 1 (17). Le fonti principali di vitamina D negli umani sono
rappresentate dalla dieta e dall’irradiazione solare: nonostante la Sardegna
goda di una condizione privilegiata sotto quest’ultimo aspetto, il rischio di
sclerosi multipla e di diabete tipo 1 nella nostra popolazione è paragonabile
a quello di regioni nord-europee a bassa insolazione, quali Svezia e
Finlandia, paradosso non spiegato tuttavia dalla struttura genetica della
popolazione sarda (18).
4. Ruolo dei geni: alleli HLA e suscettibilità alla sclerosi multipla in
Sardegna
Come molte malattie a “tratto complesso”, le malattie autoimmuni hanno la
loro base nella interconnessione fra geni e ambiente. La componente
genetica della sclerosi multipla è dovuta ad oltre cento varianti geniche, con
un ruolo preminente degli alleli del sistema HLA (19). Diversamente dalle
popolazioni nord-europee e di origine nord-europea, nelle quali la sclerosi
multipla è associata all’aplotipo DR2 (19) praticamente assente in Sardegna
(7), nella nostra popolazione la malattia è associata al DR4 (20) e al DR3
(21), entrambi gli alleli nella combinazione formante le particolari varianti
degli aplotipi “sardi” (22). Ugualmente, anche il diabete tipo 1 è associato al
DR3 e ad un aplotipo DR4 (DRB1*0405-DQB1*0302) (23). Può dunque
essere ipotizzato che proprio varianti alleliche HLA squisitamente “sarde”, e
perciò selezionate nei secoli sulla base della fitness che essi conferivano alla
popolazione, siano diventate predisponenti a malattie autoimmuni. Questa
ipotesi è suggerita da dati epidemiologici e genetici: suddividendo pazienti
sardi affetti da sclerosi multipla in coorti basate sugli anni di nascita, si
osserva una frequenza più elevata di aplotipi HLA predisponenti alla
malattia nella coorte di pazienti più recente e con età all’esordio più giovane
(24). Si può ritenere che su una popolazione dotata di un background
arricchito di varianti di geni immunitari capaci di montare risposte proinfiammatorie rapide ed efficaci in risposta a patogeni ambientali, nuovi
fattori ambientali favoriscano una frequenza maggiore e un esordio più
precoce della patologia.
5. Epigenetica: una relazione complessa fra geni e ambiente.
Come detto sopra, l’ambiente modella la struttura di una popolazione, ma
non soltanto: l’ambiente agisce sui geni anche attraverso meccanismi
epigenetici, regolanti e modulanti la trascrizione dei geni mediante segnali
ambientali. La trascrizione può essere mantenuta anche in assenza del
segnale che l’ha causata e l’effetto può essere perpetuato anche per molte
generazioni di cellule e può estendersi anche a cellule pienamente
differenziate (25). Per esempio, un verme, Caenorhabditis elegans, esposto
ad un virus può dare origine a diverse generazioni di individui resistenti a
questo virus (26). Si ritiene che anche nella patogenesi della sclerosi
multipla l’ambiente promuova o reprima l’attivazione di diversi geni, in
particolare quelli della risposta immunitaria, attraverso meccanismi
epigenetici, quali dieta, folati, vitamina D, fumo e altri (27). Indicazioni
indirette di effetti epigenetici promossi da nuovi fattori ambientali derivano
da diversi studi effettuati sulla sclerosi multipla in Sardegna. Risalendo fino
al 1600 circa è stato possibile ricostruire il pedigree di tutti i malati di un
paese e ricondurre l’origine di tutti i pazienti a due famiglie (“effetto
fondatore”); tuttavia, con l’eccezione di un caso, nelle precedenti generazioni
la malattia era assente, mentre compariva nella penultima generazione
(circa 40 anni fa), suggerendo una forte influenza attuale di fattori
ambientali agenti su un background genetico di predisposizione (28). Effetti
epigenetici legati a modifiche ambientali degli ultimi 50 anni sono suggeriti
anche dall’anticipazione dell’età all’esordio della sclerosi multipla, in media
di 5 anni per ogni decennio considerato (29) e dal forte aumento di
incidenza che da 0.34/100.000 nel periodo 1958-1967 sale gradualmente
fino a 8.07/100.000 nell’epoca 1998-2007 (11). Sempre in Sardegna, uno
studio su familiari di persone con sclerosi multipla ha mostrato che
un’elevata percentuale di fratelli sani presentava alla risonanza magnetica le
alterazioni tipiche della malattia, suggerendo un impatto dell’ambiente sui
meccanismi cellulari modulanti l’espressione di geni “permissivi” al viraggio
da segni subclinici all’espressione clinica completa di malattia (30).
6. La ricerca
Racconta il mito che Pandora, trasgredendo all’ordine di Zeus, aprì il vaso
che egli le aveva donato, liberando tutti i mali, che si abbatterono
sull’umanità e resero la terra un luogo desolato. Gli dei infine ebbero pietà
delle condizioni degli uomini e consentirono a Pandora di liberare dal vaso
la speranza, rimasta imprigionata nel fondo, e così il mondo riprese a vivere.
In questo scenario, dove la Sardegna ha un triste primato di malattie
autoimmuni, ultima rimane la speranza che la ricerca scientifica spieghi non
solo le cause di tali malattie, ma scopra anche le terapie più adeguate. Ed è
proprio grazie alla ricerca che oggi disponiamo di un importante
armamentario di farmaci per la sclerosi multipla: attualmente le persone
ammalate possono ragionevolmente aspettarsi una vita non funestata dalla
disabilità. Non è ininfluente sottolineare che tutti i farmaci disponibili e altri
in fase di sperimentazione clinica agiscono sul sistema immunitario, ancora
una volta sottolineando le basi immunopatologiche della malattia.
La speranza necessita, per essere concretizzata nella ricerca, delle
intelligenze e dell’impegno di donne e uomini. L’Università, sede di
insegnamento e di ricerca per eccellenza, ha un ruolo fondamentale nel
preparare i giovani ricercatori e ha il dovere di promuovere condizioni
idonee per il loro operare. Anche nelle attuali contingenze di crisi
economica, particolarmente grave in Sardegna, bisogna tenere bene a mente
che impegnare risorse economiche e umane nella ricerca scientifica significa
investire nel futuro delle nuove generazioni, un dovere ineludibile per un
Paese che voglia progredire socialmente e culturalmente.
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