PORTRAITS DE MAÎTRES - Archivio Istituzionale della Ricerca

Fédération Internationale des Instituts d’Études Médiévales
TEXTES ET ÉTUDES DU MOYEN ÂGE, 65
PORTRAITS DE MAÎTRES
OFFERTS À OLGA WEIJERS
Édité par
Claire Angotti, Monica Brînzei, Mariken Teeuwen
PORTO
2012
TABLE DES MATIÈRES
Tabula gratulatoria
Avant-propos, par Nicole Bériou
Préface, par Jacqueline Hamesse
Olga Weijers – Publications
Aegidius de Campis, par Monica Brînzei
Albert le Grand, par Dominique Poirel
Anonymus Magister Artium, par Irene Zavattero
Apuleius Grammaticus, par Laura Biondi
Bernardus de Rosergio, par Cédric Giraud
Bernard de la Tour, par Sophie Delmas
Blaise Pelacani de Parme, par Graziella Federici Vescovini
Elie del Medigo, par Colette Sirat
Gualterus de Brugis, par Stephen F. Brown
Guglielmo Perno, par Manlio Bellomo
William of Brienne, par Chris Schabel
Guillaume de Luna, par Roland Hissette
Grimier Boniface, par Jacques Verger
Guiral Ot, par Bénédicte Sere
Harvey Nedellec, par Lambert-Marie de Rijk
Henri de Gheysmaria, par Dragos Calma et Iulia Szekely
Henricus de Coesfeldia, par Egbert Peter Bos
Henricus Gandavensi, par Joke Spruyt
Henricus Pistor de Lewis, par Claire Angotti
Jean Buridan, par Jean Celeyrette
Jean de Garlande, par Pascale Duhamel
Jean de Garlande, par Louis Holtz
Johannes de Malignes, par Luca Bianchi
Johannes Versoris, par Jean-Pierre Rothschild
Ludovico Guasti, par Donatella Nebbiai
Master Albert, par Egbert Peter Bos et Annemieke R. Verboon
Nicolas de Gorran, par Gilbert Dahan
Oliverius Salahadin, par William J. Courtenay
Pierre d’Allouagne, par Steven J. Livesey
Pierre de Limoges, par Claude Lafleur et Joanne Carrier
Ramón Martí, par Philippe Bobichon
Riccoldo da Monte di Croce, par Mariken Teeuwen
Richard of Clive, par Silvia Donati
Richardus de Mores, par Nathalie Gorochov
Richard Rufus, par Rega Wood and Jennifer Ottman
Robert Kilwardby, par C. H. Kneepkens
Sitt al-Kataba, par Anne-Marie Eddé
Portraits de maîtres convertis, par Anne Grondeux
Index
Index des manuscrits
Index des auteurs avant 1800
Index des auteurs Modernes
9
11
13
15
23
37
63
79
87
107
117
127
141
151
159
169
179
187
197
203
217
233
241
259
269
287
297
309
325
335
361
373
381
393
405
415
423
435
443
457
469
485
499
505
513
APULEIUS GRAMMATICUS
Laura Biondi
La Summa quae vocatur Catholicon compiuta da Giovanni Balbi nel 1286 è ancora oggi
l’occorrenza più antica dell’attribuzione del nome Apuleius al magister che, più tardi,
l’Umanesimo italiano riconoscerà autore di due trattati sull’ortografia delle parole
latine allora noti come De nota aspirationis e De diphthongis1 . È inoltre la prima
testimonianza indiretta dell’esistenza di regulae sulla scrittura di h circolanti sotto
quel nome in contesti didattici del Medioevo peninsulare. Nel Catholicon infatti, in un
luogo della prima pars2 dedicato all’ortografia e nei lemmi pulcer e sepulcrum della
quinta pars, si ricorda che Apuleius era contrario all’uso di h postconsonantico nella
scrittura di pulc(h)er, sepulc(h)rum, mi(c)hi, ni(c)hilum e di tutte le parole latine che
non sono di origine greca.
Il Balbi, che doveva supporre in Apuleius un autore latino antico probabilmente
credendolo Apuleio di Madaura, non indica il titolo dell’opera in cui la sua auctoritas
avrebbe discusso quel tema ed è probabile che non ne fosse neppure a conoscenza.
Anche l’eventualità che il lessicografo genovese abbia utilizzato più estesamente
(in modo diretto oppure con la mediazione di altra fonte) gli scritti ortografici
di colui che ricorda con quel nome, non è suffragata da indizi decisivi per il De
diphthongis ed è fortemente circoscritta per il De nota aspirationis, potendo vantare
negli exempla addotti dai due autori riguardo all’uso di h postconsonantico nelle parole
ebraico-bibliche l’unico altro segnale certo di convergenza3 .
Entrambe le circostanze documentano al più tardi negli anni Ottanta del secolo
XIII e per l’area italiana una rarefazione estrema nella conoscenza, nella diffusione e
nella fruibilità del De nota aspirationis e del De diphthongis. Tale rarefazione permane
anche in epoca successiva e almeno fino ai primissimi anni Trenta del secolo XV,
quando il parmense Cristoforo Scarpa scoprirà i due opuscoli, integri e con attribuzione
ad Apuleio, e li utilizzerà in ampia misura per arricchire l’apparato di regulae e di
exempla delle parti terza e quarta della sua Orthographia, dedicate rispettivamente
all’aspirazione e ai dittonghi nelle parole latine. Prima di questa scoperta, che dà
avvio alla fortuna quattrocentesca dei trattati contribuendo ad includerli nell’orizzonte
di testi latini antichi e medievali che l’Umanesimo considererà testimoni e modelli
di un ideale linguistico da imitare e restaurare4 , la memoria di un Apuleius nella
tradizione grammaticale e lessicografica posteriore al Catholicon dipende in modo
1 Dei trattati il filologo tedesco Friedrich Gotthilf Osann ha curato nel 1826 la prima edizione critica a
stampa (L. Caecilii Minutiani Apuleii De orthographia fragmenta et Apuleii Minoris De nota aspirationis et
De diphthongis libri duo. Edidit et animadversionibus auxit Fridericus Osann Professor Gissensis, sumptibus
Car. Guil. Leske, Darmstadii 1826), compiuta sulla base della collazione di alcuni dei codici quattrocenteschi,
corredata di un ampio commento ed associata all’edizione dei frammenti umanistici De orthographia
attribuiti a Lucius Caecilius Minutianus Apuleius e precedentemente pubblicati da Angelo Mai nel 1823.
2 Il passo è alla col. 3 nella ristampa anastatica dell’editio princeps (Johannes Balbus, Summa quae
vocatur Catholicon, Moguntiae 1460) per Gregg International Publishers Limited, Farnborough 1971.
3 Johannes Balbus, Summa quae vocatur Catholicon, col. 21.
4 Circa un quindicennio dopo lo Scarpa e usando un testimone diverso, Niccolò Perotti trascriverà nel
ms. Città del Vaticano, Urb. lat. 1180 il libellus de nota aspirationis e il fragmentum de diphtongis quod
in vetustissimo codice repertum est. La scoperta dello Scarpa e l’interesse del Perotti segnano, a diverso
titolo, l’ingresso dei trattati nel circuito dei testi di riferimento non solo per l’ortografia, ma anche per
la lessicografia e per l’etimologia latine, e il loro utilizzo da parte di umanisti attivi nei circoli culturali
milanesi e romani (tra questi Baldo Martorelli, Giorgio Valagussa, Bartolomeo Petroni, Nestore Avogadro,
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LAURA BIONDI
esclusivo dall’elaborazione dei contenuti inerenti a pulcer, sepulcrum, mihi, nihilum e
all’aspirazione postconsonantica nelle parole latine che proprio lì si leggono. È infatti
unicamente in rapporto a queste forme lessicali e alla legittimità o meno di h nella loro
grafia che il solo nome di Apuleio (non titolo dell’opera né altro elemento identificativo)
sopravvive, preservato dall’autorevolezza riconosciuta al Catholicon dalla riflessione
linguistica sul latino nell’Occidente europeo, in testi di area settentrionale italiana
quali l’ortografia attribuita a Vittorino da Feltre e la seconda delle ortografie anonime
trascritte dal veronese Niccolino di Oppeano nel ms. Ashburnham 1893 ap., i manuali
ortografici del cremonese Folchino dei Borfoni e di Gasparino Barzizza e, in area
non italiana, l’Opus pacis pro corrigendis libris per copisti e correttori dell’ordine
certosino compiuto nel 1417 da Oswaldus da Corda.
Si deve alla sensibilità di alcuni interpreti novecenteschi l’aver indicato nel
De nota aspirationis e nel De diphthongis il frutto di un impegno di riflessione
didattico-normativa sulla scrittura del latino cronologicamente collocabile nel
Medioevo e non in età umanistica, a cui risalivano tutti i testimoni allora noti5 .
Essenziali in questa direzione, a diverso titolo, sono stati gli studi di Remigio
Sabbadini6 prima e di Paul Lehmann7 poi, i quali hanno supposto nell’autore dei
due opuscoli un magister operante fra XI e XIII secolo nella penisola italiana e
precisamente, a giudizio del Lehmann, in area cassinese.
In séguito, tale orizzonte cronologico è stato ulteriormente circoscritto grazie
all’identificazione nel De nota aspirationis e nel De diphthongis, che l’Umanesimo
conosceva come apuleiani, dei contenuti ortografici trascritti nel codice Reims,
Bibliothèque Municipale, 432 (ff. 82r.7-98v.20)8 , in una sezione che include anche
excerpta delle Origines di Isidoro di Siviglia e che li conserva acefali, adespoti e
anepigrafi ma unitariamente indicati come (f. 82r.7) «libellulus cuiusdam magistri de
nota aspirationis et diptongis»9 .
Nel manoscritto, il libellulus è stato esemplato in minuscola carolina tarda,
probabilmente francese, fra l’ultimo quarto e la fine del secolo XII. Il danneggiamento
Giovanni Tortelli, Pomponio Leto, Giovanni Gioviano Pontano). Segneranno altresì l’intrecciarsi delle
vicende apuleiane con quelle di Lucius Caecilius Minutianus Apuleius, nome fittizio dell’umanista autore
dei frammenti De orthographia che l’Osann ripubblicherà nel 1826. Per una sintetica illustrazione di queste
vicende vd. L. Biondi, "Recta scriptura". Ortografia ed etimologia nei trattati mediolatini del grammatico
Apuleio, LED, Milano 2011, p. 383-398 con bibliografia di riferimento.
5 Ad oggi, si contano ventinove testimoni degli opuscoli, tutti di origine italiana e databili in gran parte
entro la prima metà del secolo XV. Si tratta di ventotto codici (comprendendo quello di cui si ha notizia nel
ms. Cambridge, Gonville and Caius College, 152) e di un’edizione a stampa, realizzata a Milano intorno
al 1480 dal pavese Giovanni Antonio Onate ; alcuni codici riportano solo uno dei trattati ; vd. L. Biondi,
"Recta scriptura", p. 370-381.
6 In particolare vd. R. Sabbadini, «L’ortografia latina di Foca», Rivista di Filologia e Istruzione Classica,
28 (1900), p. 529, 535 ; R. Sabbadini, «Spogli Ambrosiani latini», Studi italiani di filologia classica, 11
(1903), p. 289 ; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV. Nuove ricerche,
Sansoni, Firenze 1905, p. 178-179, 202 (poi E. Garin (ed.), Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli
XIV e XV. Edizione anastatica con nuove aggiunte e correzioni dell’autore, Sansoni, Firenze 1967).
7 P. Lehmann, «Bücherliebe und Bücherpflege bei den Karthäusern», in Miscellanea F. Ehrle. Scritti di
storia e paleografia pubblicati sotto gli auspici di S.S. Pio XI in occasione dell’ottantesimo natalizio dell’E. mo
Cardinale Francesco Ehrle, V. Biblioteca ed Archivio Vaticano. Biblioteche diverse, Biblioteca Apostolica
Vaticana, Roma 1924, p. 364-389 (poi in Id., Erforschung des Mittelalters. Ausgewählte Abhandlungen und
Aufsätze von Paul Lehmann, III, Hiersemann, Leipzig 1960, p. 121-142) ; Id., Pseudo-Antike Literatur des
Mittelalters, Teubner, Leipzig/Berlin 1927 (rist. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1964).
8 L’attribuzione ad Apuleius grammatico dei due trattati esemplati nel ms. Reims, Bibliothèque
Municipale, 432 (E 333) è stata avanzata da chi scrive in «Mai, Osann e Apuleius grammaticus. Un testis
antiquior del De nota aspirationis e del De diphthongis», Acme 50.3 (1997), p. 65-108, con bibliografia di
riferimento ; per uno studio introduttivo all’edizione critica in corso di allestimento, vd. ora anche Biondi,
"Recta scriptura", p. 72-95.
9 Nel codice, il De nota aspirationis occupa i f. 82r.7-90v.4, il De diphthongis occupa i f. 90v.5-98v.20.
APULEIUS GRAMMATICUS
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o la perdita di un foglio dell’antigrafo spiega la lacuna che interessa la parte
iniziale del primo testo sulla nota aspirationis ed eventuali dati che potevano
accompagnarlo — paternità e titolo, forse anche del testo sui dittonghi — alla cui
inattingibilità si è ovviato mediante il riferimento ad un magister e agli argomenti dei
suoi opuscoli («de nota aspirationis et diptongis»)10 . Ma nonostante questa lacuna ed
altre nella prima parte del De nota aspirationis, tutte integrabili grazie ai testimoni
quattrocenteschi, il manoscritto restituisce la sezione conclusiva del De diphthongis
sui dittonghi «in finalibus sillabis» (ff. 95v.22-98v.20), ignota a quelli (su cui si basa
anche l’edizione dell’Osann) ad eccezione di pochi codici e di Cristoforo Scarpa, che
per primo ha utilizzato entrambi gli scritti apuleiani nella loro forma integrale.
Il ms. Reims, Bibliothèque Municipale, 432 fissa all’ultimo quarto o al più tardi
alla fine del secolo XII il terminus ante quem per la stesura dei trattati. Tuttavia, alcuni
indizi testuali interni (in specie le osservazioni sul polimorfismo che l’autore rileva
nella resa grafica dell’onomastica di origine germanica presente in documenti di cui
doveva disporre nel proprio ambiente), in parte già intravisti dalla critica e nuovamente
considerati, in parte del tutto nuovi, inducono a precisare ulteriormente la cronologia
del De nota aspirationis e del De diphthongis ed a collocarli in una fase successiva
alla metà del secolo XI e non più tarda della metà del secolo XII11 . Questi medesimi
elementi, ed altri di natura contenutistica, permettono inoltre di ipotizzare che gli
opuscoli ortografici siano stati redatti nel Nord Italia, probabilmente a Milano o in area
milanese12 , più che a Montecassino, come Paul Lehmann supponeva in base al fatto
che la tradizione medievale degli scritti di Apuleio Madaurense e quella del De lingua
Latina di Varrone fanno capo al cenobio benedettino, al quale nell’opinione dello
studioso indirizzerebbero tanto la scelta del nome Apuleius per l’autore dei trattati,
quanto le numerose menzioni esplicite di Varrone in quelli presenti.
Chi abbia composto i testi è ancora oggi ignoto, poiché Apuleius — come è chiamato
almeno dagli anni Ottanta del Duecento — è verosimilmente etichetta illustre analoga
per funzione a nomi di auctoritates della cultura letteraria e linguistica antica quali
Cicero, Varro, Virgilius, sotto cui si celavano personalità grammaticali del Medioevo
latino. Peraltro, natura e finalità del De nota aspirationis e del De diphthongis e alcuni
specifici contenuti permettono di delineare con buon grado di attendibilità il milieu in
cui e per cui operava il loro autore, quali fossero i destinatari del suo magistero e quale
fosse la ’libreria’ a sua disposizione.
Sebbene manchino reciproci rimandi interni, l’analogia nell’impianto strutturale
e compositivo, l’identità nei procedimenti argomentativi, nelle fonti dichiarate e,
soprattutto, nei modelli di analisi e descrizione metalinguistica dei fenomeni in esame
avvalorano l’idea che i manuali, pur distinti all’origine, siano stati concepiti da una
medesima personalità. Con questi, il loro autore ha voluto creare dei repertori lessicali
di natura prescrittiva, sistematici, analitici, organici e nelle sue intenzioni esaurienti
rispetto a questioni specifiche già materia di discussione presso gli antiqui e ancora
nodali per porre argini alla polygraphia13 diffusa nella prassi medievale per effetto
10 Peraltro, l’uso di libellulus suggerisce che questi contenuti non erano giudicati pertinenti a due opere
distinte, come invece attesta la tradizione umanistica, parte della quale le recepisce e le vede circolare anche
autonomamente, e come doveva essere nelle intenzioni di chi le ha composte.
11 L. Biondi, "Recta scriptura", p. 51-72.
12 In un passo del De nota aspirationis interessato da lacuna nel testis antiquissimus ma presente in tutta
la tradizione quattrocentesca, l’autore discute della grafia (h)ibernus e delle due etimologie ricordate da
Prisciano. Per quella ab imbre Apuleio cita il corrispondente greco di imber e due passi veterotestamentari,
Deut. 32.2 e Dan. 3.64 (il Cantico dei tre fanciulli), entrambi appartenenti alla testualità liturgica ambrosiana ;
vd. L. Biondi, "Recta scriptura", p. 46-51.
13 Così la designa P. Tombeur, «De polygraphia», in A. Maierù (ed.), Grafia e interpunzione del latino
nel Medioevo. Seminario internazionale, Roma, 27-29 settembre 1984, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987,
p. 69-101. Sul tema vd. almeno G. Polara, «Problemi di grafia del latino fra tardo Antico e alto Medioevo»,
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LAURA BIONDI
dei fenomeni di ristrutturazione del sistema vocalico (in particolare la perdita delle
opposizioni quantitative e la monottongazione) e del consonantismo, ma ritenute
fondamentali soprattutto negli ambienti in cui il latino, lingua non più materna, era
oggetto di studio ad un livello non elementare e in cui l’orthographia non era semplice
competenza preliminare e curricolare, bensì specialistica e, per così dire, professionale.
Pur ponendosi in un rapporto dialettico con il poligrafismo che caratterizza l’usus
scribendi del suo tempo, che non sempre stigmatizza, Apuleio si occupa di stabilire
l’ortografia di quelle parole latine (includendo anche prestiti ebraico-biblici e grecismi,
nonché nomi personali di origine germanica presenti in documenti redatti in latino a
cui egli aveva accesso)14 per le quali l’uso di h oppure del digramma per segnalare
graficamente un originario dittongo è ritenuto dubbio o a suo giudizio non corretto
nelle consuetudini scrittorie di cui è testimone. Crea così una summa ragionata di dubia
lessicali in cui a motivare di volta in volta le scelte in fatto di recta scriptura non sono
considerazioni di ordine fonetico, come per il De diphthongis si evince da rimandi
espliciti ad una pronuncia monottongata di ae ed oe e come si può asserire anche per il
De nota aspirationis in rapporto a h15 , bensì di ordine etimologico e differenziale.
Intento apuleiano è infatti perseguire la proprietas grafica vagliando le singole
dictiones alla luce di due tipi di motivazione che, elaborati dalla riflessione ortografica
latina, negli opuscoli divengono criteri dirimenti di portata generale e di applicazione
sistematica. Apuleio fa appello tanto al principio della differentia, che porta a
distinguere graficamente parole omofone, quanto all’etymologia, che in una prospettiva
ampia di ascendenza isidoriana (Isidorus, Origines, I, 29.1-3) si manifesta sia come
analisi propriamente linguistica e non referenzialista dei rapporti di Wortbildung, sia
come attenzione al contenuto semantico della parola e alla sua motivazione ontologica,
e che giunge a cogliere il dato extralinguistico visto nel rapporto fra il verbum e la res
che questo designa.
Con etymologia Apuleio si riferisce a procedure diverse16 , tutte ugualmente efficaci
per stabilire l’ortografia di una parola e non reciprocamente escludentisi, in quanto
in M. Simonetti (ed.), La cultura in Italia fra tardo Antico e alto Medioevo. Atti del convegno tenuto
a Roma, CNR, dal 12 al 16 novembre 1979, II, Herder, Roma 1981, p. 475-489 ; Polara., «Problemi
di ortografia e interpunzione nei testi latini di età carolina», in A. Maierù (ed.), Grafia e interpunzione,
p. 35-51 ; T. Meisenburg, Romanische Schriftsysteme im Vergleich. Eine diachrone Studie, Narr, Tübingen
1996 ; P. Stotz, Handbuch zur lateinischen Sprache des Mittelalters, III, Beck, München 1996 ; Stotz,
«Gesprächige und verschwiegene Schrift : Traditionen und Neurungen in der Schreibung des Lateinischen im
Mittelalter», in E. Glaser, A. Seiler, M. Waldspühl (ed.), LautSchriftSprache. Beiträge zur vergleichenden
historischen Graphematik, Chronos Verlag, Zürich 2011, p. 125-140 con ulteriore bibliografia dell’autore
sul tema.
14 Le parole esaminate da Apuleio appartengono in gran parte al repertorio ereditato dalla tradizione
grammaticale (tardo)latina e dalla grammatica Christiana ; includono però anche nomi personali di origine
germanica entrati nel panorama onomastico italoromanzo, che sono oggetto di osservazioni contrastive di
ordine non solo grafico ma anche fonico-acustico, legate anche ad un’analisi dell’oralità di parlanti idiomi
volgari ; vd. infra, nota 15.
15 Tranne che per le parole latine in cui h ha una motivazione espressiva e per l’onomastica personale
germanica. In quest’ultimo caso, la presenza di h è motivata dall’esigenza di rappresentare graficamente
un’aspiratio percepita nella pronuncia di locutori non romanzi ed ha un parallelo nell’attenzione al rapporto
tra fonia e grafia che Apuleio mostra rispetto ai grafismi u, uu, gu + vocale e ai diversi esiti che questi
presuppongono per il germ. [w-] antevocalico. Per questi aspetti vd. L. Biondi, "Recta scriptura", p. 55-67.
16 Del resto, il Medioevo occidentale non conosce un paradigma che si ponga come riferimento unitario
del fare etimologia ; in una bibliografia amplissima sull’etimologia medievale vd. almeno P. Zumthor,
«Fr. étymologie (essai d’histoire sémantique)», in Etymologica W. von Wartburg, Niemeyer, Tübingen
1958, p. 873-893 ; R. Klinck, Die lateinische Etymologie des Mittelalters, Finck, München 1970 ;
M.E. Amsler, Etymology and grammatical discourse in late Antiquity and the early Middle Ages, Benjamins,
Amsterdam/Philadelphia 1989 ; E. Siebenborn, Die Lehre von der Sprachrichtigkeit und ihren Kriterien.
Studien zur antiken normativen Grammatik, Grüner, Amsterdam 1976 ; C. Buridant, «Les paramètres de
l’étymologie médiévale», in C. Buridant (ed.), L’étymologie, de l’Antiquité à la Renaissance, «Lexique» 14
APULEIUS GRAMMATICUS
83
risorse ermeneutiche distinte ma coesistenti e cooperanti entro un continuum dinamico.
In ciò, egli ben rappresenta l’idea medievale di etymologia in quanto Denkform — come
suggerisce Ernst R. Curtius —, risorsa cognitiva che conduce alla conoscenza delle
res attraverso l’ermeneutica dei verba, che appunto di quelle sono, isidorianamente,
indices. Nei suoi trattati, pertanto, etymologia può designare l’analisi delle relazioni
morfologiche di derivatio (ed eventualmente compositio) che legittima la grafia di
un derivativum se questa è già nel primitivum. Può indicare i tropi di ascendenza
stoico-varroniana mediati principalmente da Isidoro di Siviglia (Isidorus, Origines,
I, 29.3) e attraverso cui essa individua il significato ontologico della parola — la
sua origo — nei termini di rapporti ex causa, ex origine, ex contrariis. Può inoltre
presentarsi come scomposizione e manipolazione — spesso parafrastica — del
significante intese a recuperare le proprietà del referente, perseguendo una metanalisi
speculativa peraltro già nota alla tradizione latina e altomedievale (si pensi all’uso di
quasi) ma con cui, verso la metà del secolo XII, verrà identificata una nozione ’ristretta’
di etymologia, quella descritta da Pietro Helias nella Summa super Priscianum17 come
«expositio alicuius uocabuli per aliud uocabulum, siue unum, siue plura magis nota,
secundum rei proprietatem et litterarum similitudinem»18 .
Per quanto forse non cosciente del diverso statuto epistemico di questi modi
dell’etymologizare, Apuleio se ne serve, insieme alla ratio differenziale, come strumenti
operativi di una orthopraxis19 che vuole restituire motivatezza e trasparenza alla
parola mediante un isomorfismo tra significante grafico e proprietà strutturali e/o
semantico-referenziali, e l’uso del neologismo ethimologista20 testimonia almeno sul
piano metalinguistico-riflessivo la sua consapevolezza di un’autonomia dell’etymologia
rispetto ad altre forme di analisi sulla lingua.
(1998), p. 11-56 ; F. Desbordes, «La pratique étymologique des Latins», in C. Buridant (ed.), L’étymologie,
p. 69-79 ; I. Rosier-Catach, «La Grammatica practica du ms. British Museum V A IV. Roger Bacon, les
lexicographes et l’étymologie», in C. Buridant (ed.), L’étymologie, p. 97-125 ; C. Buridant, «Quelques
textes sur l’étymologie au Moyen Âge, ivi, p. 221-229 ; P. Michel, «Etymologie als mittelalterliche
Linguistik», in A. Schwarz et al. (ed.), Alte Texte lesen. Textlinguistische Zugänge zur älteren deutschen
Literatur, Haupt, Bern/Stuttgart 1988, p. 207-260 ; O. Weijers, «Lexicography in the Middle Ages», Viator
20 (1989), p. 139-153 ; R. Copeland, I. Sluiter (ed.), Medieval grammar & rhetoric. Language arts and
literary theory, AD 300-1475, OUP, Oxford 2011, p. 339-366.
17 L. Reilly (ed.), Petrus Helias, Summa super Priscianum, Pontifical Institute of Mediaeval Studies,
Toronto 1993, I, 70.87-96.
18 Sulla nozione di expositio e sul dibattito medievale relativo al suo statuto, con posizioni anche diverse
quanto al grado di innovatività rispetto alla prassi antica, vd. almeno R.W. Hunt, «The ‘lost’ preface to
the Liber Derivationum of Osbern of Gloucester», Medieval & Renaissance Studies, 4 (1958), p. 267-282
(poi in G. L. Bursill-Hall (ed.), R. W. Hunt. The History of Grammar in the Middle Ages. Collected
Papers, Benjamins, Amsterdam 1990, p. 151-166) ; R. Klinck, Die lateinische Etymologie, p. 13-19, 65-70 ;
O. Weijers , «Les dictionnaires et autres répertoires», dans O. Weijers (ed.), Méthodes et instruments
du travail intellectuel au Moyen Âge. Études sur le vocabulaire, Brepols, Turnhout 1990, p. 200-201 ;
O. Weijers, Dictionnaires et répertoires au Moyen Âge. Une étude du vocabulaire, Brepols, Turnhout
1991, p. 73-82 ; L. Reilly (ed.), Petrus Helias, I, p. 33 ; M. Teeuwen, The Vocabulary of Intellectual
Life in the Middle Ages, Brepols, Turnhout 2003, p. 247-249, 266-267 ; R. Copeland, I. Sluiter (ed.),
Medieval grammar & rhetoric, p. 339-366. Ciò che Pietro Helias dice expositio ha indubbiamente i suoi
antecedenti nelle metanalisi semantiche dell’etimologia latina antica e altomedievale, e da questo punto
di vista l’expositio non rappresenta una novità sul piano delle tecniche di scomposizione del significante.
Tuttavia, realmente nuova è la considerazione metalinguistica che certi ambienti della riflessione medievale
riconoscono all’expositio rispetto ad altre modalità di analisi (derivatio, compositio, interpretatio), dalle
quali viene distinta nei confini, nelle procedure e negli obiettivi.
19 Nell’accezione in cui usa orthopraxis P.F. Gehl, «Latin orthopraxes», in C.D. Lanham (ed.), Latin
Grammar and Rhetoric from Classical Theory to Medieval Practice, Continuum, London/New York 2002,
p. 1, con bibliografia di riferimento.
20 Su cui vd. L. Biondi, «Lat. ethimologista : notes pour une histoire du mot», Archivum Latinitatis Medii
Aevi, 61 (2001), p. 161-179 ; L. Biondi, "Recta scriptura", p. 324-326.
84
LAURA BIONDI
La circostanza fa intravedere per l’autore del De nota aspirationis e del De
diphthongis un contesto culturale in cui l’orthographia è considerata fondamento
della testualità e della sua tradizione, poiché ne garantisce correttezza formale,
tutela, trasmissione e interpretazione. Dall’angolo di osservazione di una precettistica
selettivamente incentrata sulla corretta rappresentazione grafica dei dittonghi e della
nota aspirationis, infatti, i trattati sono strumenti destinati a formare competenze
tecniche nel recte scribere, quali appunto sono richieste a copistae e scribae e quali sono
necessarie anche per quell’emendatio codicum che, sola, permette di restituire i testi in
una facies linguisticamente corretta consentendone sia conservazione e sopravvivenza
scevre da errori e ambiguità, sia lettura ed interpretazione altrettanto ineccepibili.
E ciò permette di attribuire a chi ha concepito i due trattati e all’ambiente a cui
appartiene la consapevolezza del valore ideologico dello scribere, un profondo grado
di acculturazione grammaticale e una padronanza della lingua latina e della riflessione
dei grammatici tanto estesa da suggerire per quello il ruolo di magister (come lo
designa il codice di Reims) e da ricondurne l’attività ad una scuola cittadina o ad uno
scriptorium annesso ad un centro monastico o ecclesiale.
Che del resto sia opportuno pensare ad Apuleio come ad un magister è conclusione
legittima alla luce di segnali pragmatico-testuali presenti negli opuscoli che appaiono
coerenti con una situazione di tipo espositivo (si quis quaerat ... ; nota quod ... ;
sicui ... displiceat, audiat) e che presuppongono un contesto didattico nel quale egli
doveva proporre, discutere e forse anche dettare precetti di recta scriptura. Tuttavia,
poiché è amplissimo lo spazio che Apuleio concede all’esposizione e alla valutazione
delle ragioni differenziali e/o etimologiche che ritiene sostengano una certa grafia
(frequentissimi sono ad esempio i riferimenti a etimi plurimi che Apuleio cita e
confronta ricordando anche diverse auctoritates antiche), appare più probabile che il
De nota aspirationis e il De diphthongis fossero livres du maître, innegabilmente e
inscindibilmente frutto e strumento di riflessione teorica e di impegno pedagogico, ma
in quanto collectio ordinata di contenuti prescrittivi e delle relative motivazioni che il
magister consulta e seleziona in funzione e a supporto del proprio ruolo didattico.
La stessa architettura dei trattati appare funzionale a garantire la consultazione e il
reperimento delle informazioni associate alle singole dictiones. Queste sono classificate
ed elencate in base al combinarsi di due criteri formali : la positio (principalis,
terminalis e media) che hanno h o i dittonghi o la sillaba in cui quelli si trovano e, in
rapporto a ciascuna positio singolarmente analizzata, le associazioni sintagmatiche
con altre lettere o con altre sillabe, secondo l’alfabeto.
Ne risulta un ordinamento lessicale di tipo "vowel-system" (a ante b, a ante c,
a ante d)21 che non è ignoto alla letteratura grammaticale (nei testi "regulae-type")
e ortografica antica (il De adspiratione di Eutiche)22 ma che, nel Medioevo, è
significativamente attestato dagli anni Settanta-Ottanta del secolo XI in trattati
21 Se ne conosce anche la forma "consonant-system" (a, e, i, o, u ante b) ; vd. S. A. Hurlbut, «A forerunner
of Alexander de Villa-Dei», Speculum, 8 (1933), p. 258, 262 nota 1 ; C. H. Kneepkens, «Another manuscript
of the Regulae de mediis syllabis magistri Willelmi : Cambridge, Corpus Christi College, 460», Vivarium,
14 (1976), p. 156-158 ; J. Leonhardt, "Dimensio syllabarum". Studien zur lateinischen Prosodie- und
Verslehre von der Spätantike bis zur frühen Renaissance. Mit einem ausführlichen Quellenverzeichnis bis
zum Jahr 1600, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1989, p. 99-101 ; J. Leonhardt, «Classical Metrics in
Medieval and Renaissance Poetry : some Practical Considerations», Classica & Mediaevalia, 47 (1996),
p. 305-323.
22 Il De adspiratione di Eutiche presenta lo schema "consonant-system". I trattati apuleiani possono
essere ritenuti continuatori del filone de orthographia rappresentato in particolare, a partire dal secolo IV,
dalle opere di Terenzio Scauro, Velio Longo, Cassiodoro. Se ne differenziano però perché questi manuali
raccolgono un ventaglio più ampio di quaestiones rispetto alla selezione operata da Apuleio. Da questo punto
di vista, più stringente appare il confronto con il De b muta et v vocali di Martirio e con il De adspiratione
di Eutiche (con il suo schema "consonant-system") conservati nel De orthographia cassiodoreo. D’altra
parte, nel panorama mediolatino i De orthographia di Beda e di Alcuino e le molte liste di parole, spesso
APULEIUS GRAMMATICUS
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ortoepici dedicati alla prosodia delle parole latine (quali il De longitudine et
brevitate principalium sillabarum di Alberico di Montecassino sulla quantità della
prima sillaba) e alla loro corretta accentazione e lettura (quali le artes lectoriae di
Aimerico, Siguino, del magister Willelmus). Senza voler negare la possibilità che ad
ispirare l’organizzazione strutturale del De nota aspirationis e del De diphthongis
siano quei modelli (tardo)antichi, l’adozione di schemi affini o identici nella
manualistica ortoepica mediolatina può configurarsi come indizio utile a collocare
gli opuscoli apuleiani entro un panorama di testi normativi dedicati a temi contigui
e complementari a quelli ortografici ed oggetto di riflessione e di insegnamento in
contesti e per destinatari prossimi se non addirittura identici23 .
Quanto alla cultura grammaticale e all’orizzonte delle auctoritates apuleiane, la
natura compendiaria dei trattati rende difficile individuare confronti testuali precisi e
univoci ove manchi una dichiarata paternità dei contenuti, come accade per Prisciano,
Isidoro, Varrone, Plinio, Girolamo, Massimiano.
È in particolare da Prisciano e dall’Ars Prisciani che Apuleio trae la dottrina
grammaticale e specificamente ortografica (comprendente anche nozioni di fonetica
latina e il sistema di regole di conversio fonografica greco-latina), i modelli stessi del
proprio procedere descrittivo, dunque l’impianto epistemico e i criteri che fondano la
propria analisi. Alle Origines di Isidoro, invece, Apuleio attinge argomenti etimologici
con una frequenza che supera i peraltro numerosi rimandi espliciti al Sivigliano. È
però Varrone l’auctoritas antica innegabilmente più importante in proposito e della
cui eccezionalità Apuleio è ben consapevole, poiché lo antepone allo stesso Isidoro. I
contenuti varroniani gli giungono probabilmente per via indiretta, attraverso autori o
forse sillogi d’autore o raccolte a carattere ortografico e/o etimologico che ne dichiarano
la paternità e che non coincidono con alcuna delle fonti attualmente conosciute,
latine e mediolatine. Queste etimologie trovano riscontro ampio e sostanziale con
il De lingua Latina, in specie con i libri V-VII, e nei pochi casi in cui manchi una
rispondenza immediata ed inequivocabile esse risultano comunque compatibili con
le idee linguistiche espresse altrove da Varrone (e ciò pone la questione di che cosa
Apuleio intenda quando ricorda i libri de origine Latinae linguae). In ogni caso, ciò
comprova che, dopo la metà del secolo XI e al più tardi entro la metà del successivo,
materiali attribuiti a Varrone circolavano in milieux scolastici peninsulari e che, quale
che fosse la loro genesi, quelli erano autenticamente varroniani, circostanza di non poco
rilievo per le vicende della trasmissione e della circolazione del De lingua Latina24 , ma
tanto più significativa alla luce del fatto che parte dei materiali usati da Apuleio sembra
appartenere ad un filone della tradizione diverso da quello cassinese rappresentato dal
ms. Florentinus Laurentianus LI.1025 .
Il De nota aspirationis e il De diphthongis sono un prodotto della grammatica
descrittivo-normativa, non della grammatica interpretativa che nel Medioevo si
concretizza nel paradigma speculativo. Le coordinate epistemiche, i modelli descrittivi,
i contenuti ortografici ed etimologici a cui i trattati si ispirano coincidono infatti con
quelli che la grammatica positiva, come verrà designata successivamente, eredita dalla
riflessione linguistica latina antica. Opere minori e di scuola nate per rispondere a
temi specifici e ad esigenze peculiari di un magister e del suo milieu, gli opuscoli
opera di anonimi compilatori, ricordano il modello dei de orthographia tardoantichi e non la focalizzazione
tematica apuleiana.
23 La circostanza può costituire un argomento utile anche per la cronologia dei trattati apuleiani, il cui
terminus post quem proposto alla metà del secolo XI potrebbe essere spostato agli ultimi decenni dello stesso
secolo, soprattutto nell’ipotesi di una dipendenza — che però necessita ulteriori verifiche — di Apuleio da
quelle esperienze di ordinamento lessicale. Per questi aspetti vd. L. Biondi, "Recta scriptura", p. 161-221.
24 Tanto da aver suggerito a Paul Lehmann l’idea che Apuleio avesse lavorato a Montecassino o in un
centro vicino, vd. supra, p. 8, n. 7.
25 Per queste considerazioni vd. L. Biondi, "Recta scriptura", p. 273-294.
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LAURA BIONDI
apuleiani sono testimoni non secondari di quella riflessione grammaticale che per
l’Occidente mediolatino è parte costitutiva della storia del pensiero linguistico, e in
essi il bagaglio concettuale e nozionale tràdito viene non solo semplicemente recepito,
ma anche rielaborato alla luce di contenuti nuovi o nuovamente considerati, frutto
di osmosi proficua tra istanze normative della grammatica e meditazione propria dei
livelli più alti della speculazione sul latino e sulle sue strutture.