Il faccendiere - Il Saggiatore

Antonella Beccaria
Il faccendiere
Storia di Elio Ciolini,
l’uomo che sapeva tutto
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Il faccendiere
Alle vittime. Della strage di Bologna,
delle stragi e della strage della verità
Sommario
Parola di un chargé d’affaires
11
Un uomo, tante esistenze
19
Il detenuto di Champ-Dollon
27
Un’informativa dietro l’altra
33
Falsità dal Libano
41
Sempre nuovi dettagli
47
C’erano un tedesco, un francese e un cileno
53
Tra società di copertura e altre accuse
59
Le rogatorie, le smentite e i messaggi
69
Italiani d’Argentina
77
L’enigma Federici
85
«La rete già operativa»
95
Strane questioni di coscienza
103
Depistaggi nei depistaggi
113
La verità della «primula nera»
123
L’operazione Pall Mall
133
La versione magica
141
Dal Sismi al Supersismi
147
Il progetto di una mente raffinata
157
Dita puntate contro tutti
165
1992, il dossier della destabilizzazione
173
Lo spettro della trattativa Stato-mafia
181
Anni di presagi e coincidenze
191
La strage della verità
201
Ringraziamenti
207
Nota dell’autore
208
Note
209
Fonti e bibliografia
227
Indice dei nomi
233
Chi mente una volta, spesso deve abituarsi alla menzogna perché
ci vogliono sette menzogne per occultarne una.
Friedrich Rückert, La saggezza dei Brahmani
Gli stolti combattevano i nemici di oggi foraggiando quelli di domani. Gli stolti gonfiavano il petto, parlavano di «libertà», «democrazia», «qui da noi», mangiando i frutti di razzìe e saccheggi.
Wu Ming, 54
I servizi condividono con Dio una qualità e ne differiscono per
un’altra: come Dio sanno tutto, a differenza di Dio non hanno
creato niente.
Giuseppe Genna, Nel nome di Ishmael
Parola di un chargé d’affaires
Questa è la storia di un depistaggio. Anzi, nella sequenza dei depistaggi
che minarono le indagini sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, è stato definito il secondo tempo,1 quello che portò a perdere
almeno tre anni, senza contare le successive intemerate, quando si era già
entrati nella fase dei processi.
Prima di questa vicenda c’erano state altre piste fasulle. Alcune puntavano verso l’estero, Francia e Germania in primis, con relativi addentellati in
Medioriente. Su di esse aveva soffiato il maestro venerabile della P2, Licio
Gelli, mentre il Sismi, il servizio segreto militare, tentava di rafforzarle con il
falso dossier «Terrore sui treni», un inganno che aveva fatto gettare via la sua
dose di tempo e che costituì per molti versi la premessa alle inattendibili notizie veicolate dal caso Ciolini, quello che occuperà le pagine che seguono.
Poi il 23 dicembre 1984 era arrivato l’attentato a San Benedetto Val di
Sambro, la strage di Natale, non un depistaggio, ma una bomba esplosa
sul rapido 904 Napoli-Milano che uccise 17 persone e ne ferì 267, assorbendo ulteriori energie investigative.
Anche nella vicenda di Elio Ciolini, sono rimasti pochi dubbi sul fatto che si sia trattato dell’«ennesimo episodio di inquinamento delle indagini [da parte di] settori […] dei servizi segreti».2 E poi, fortissimo, c’era
lo spettro della P2, la loggia i cui elenchi vennero scoperti a Castiglion Fibocchi giusto qualche mese prima che questo caso divampasse, il 17 marzo 1981, con conseguente terremoto istituzionale, dato che ogni potere
dello Stato ne era stato infiltrato.
12 Il faccendiere
Ma chi è Elio Ciolini? Sono decenni che si tenta di rispondere a questa
domanda senza mai essere riusciti a farlo in pieno. Per quanto non siano
giunte conferme ufficiali, Ciolini fu indicato come uomo dello Sdece, 3 il
servizio segreto francese poi divenuto Dsge, e venne ritenuto in molteplici sedi un personaggio vicino ad apparati di sicurezza di nazionalità varia.4 Poi, una volta giunto alla ribalta della scena giudiziaria italiana con
le sue mirabolanti rivelazioni sulla strage del 2 agosto 1980, i magistrati
ipotizzarono che avesse operato a fianco dell’intelligence tricolore nel costruire il suo castello di accuse.
Si pensi solo a un dettaglio che qui si anticipa, all’incontro avvenuto
con uno dei principali personaggi contro cui il depistatore puntò il dito,
il fondatore ed ex leader di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie. Quell’incontro avvenne per il tramite di un ex ufficiale della marina, il
colonnello Carlo Taddei, presidente dell’Associazione reduci di Buenos
Aires, che lì si era trasferito e che fu indicato a sua volta come uomo dei
servizi.5 Il fatto che l’incontro con il neofascista avesse avuto luogo sotto
l’egida di Taddei sembrò attribuire all’inizio una credenziale di affidabilità a Ciolini. E per i neri affidabile fu ritenuto al punto che questi poté venire a conoscenza dell’elenco dei collaboratori più fidati di Delle Chiaie e
dei contatti su cui, dall’America del Sud, poteva appoggiarsi in Italia. La
confidenza tra i due crebbe talmente da divenire oggetto di critiche all’interno del mondo dell’estremismo di destra.
Lo testimoniava un racconto di Vincenzo Vinciguerra, l’ordinovista
all’ergastolo perché reo confesso della strage di Peteano del 31 maggio
1972 e che sulla costellazione nera operante in Italia tanto disse ai magistrati dopo il suo arresto, avvenuto nel 1979. Vinciguerra, in Argentina, c’era rimasto qualche mese dopo esservi giunto alla metà del maggio
1978. E di quel periodo affermò:
Appena arrivai fui presentato da altri camerati al comandante Taddei. Rividi il senatore [missino, ai tempi ex senatore] [Giovanni] Lanfrè che già
conoscevo. Dopo qualche tempo mi resi conto di essere seguito da persone che ho poi saputo essere appartenenti ai servizi segreti argentini. Ho
avuto modo di verificare che il controllo sulla mia persona avveniva per il
tramite di Lanfrè e Taddei. Ciò perché ogniqualvolta dei miei spostamenti informavo costoro, per l’esattezza Lanfrè, il quale poi secondo me rife-
Parola di un chargé d’affaires 13
riva a Taddei, venivo pedinato, mentre quando mi spostavo in posti [di
cui] Lanfrè non sapeva, sfuggivo al controllo. Mi persuasi così che Lanfrè si prestasse a fornire informazione sul mio conto e mi convinsi altresì del fatto che Taddei fosse un agente dei servizi segreti italiani. Poiché
solo così poteva spiegarsi il controllo esercitato su di me. Quando mi resi conto di questo lasciai l’Argentina [dove] erano rimasti altri camerati.
Ho saputo poi, durante la mia detenzione, che a Buenos Aires Ciolini aveva conosciuto Stefano Delle Chiaie tramite Lanfrè e Taddei. Ritengo prematuro indicare la fonte delle mie informazioni a riguardo, tuttavia posso
senz’altro riferire che Ciolini fu presentato come un camerata che aveva dei
guai con la giustizia italiana perché aveva sparato a un ufficiale dei carabinieri in Calabria durante i noti fatti avvenuti in tale località [nel 1970, con i
moti successivi alla decisione di fare di Catanzaro il capoluogo di regione].
Prendo atto che, secondo altre versioni, Ciolini avrebbe incontrato Delle
Chiaie per motivi d’affari, ma faccio notare che ciò non sarebbe stato sufficiente per determinare un rapporto così intimo da mettere Ciolini in condizioni di sapere molte cose sulla vita di Stefano Delle Chiaie.
Mettendo insieme la mia esperienza a Buenos Aires […] e quanto reso
noto dalla stampa sul ruolo di Ciolini nell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, sono giunto a persuadermi in termini di ragionevolezza
che Ciolini fosse utilizzato dai servizi segreti italiani per controllare Stefano Delle Chiaie. Io pertanto sono soggettivamente convinto che Ciolini abbia fin dall’inizio agito per conto di un servizio di sicurezza italiano.6
Entrare in accelerazione nella storia, senza troppi preamboli, come se il
lettore la conoscesse già, aiuta a inquadrarne il contesto. Questa infatti
non è la narrazione di menzogne dette da un pazzo solitario tendente alla
grafomania che si sarebbe giocato qualsiasi carta pur di uscire dal carcere.
Certo, il riacquisto della libertà ebbe la sua parte, ma non fu tutto. Quelle
di Ciolini non furono solo le dichiarazioni de relato di un aspirante collaboratore di giustizia che riferiva voci raccolte in giro. Il suo, invece, fu un
articolato castello costruito con mattoni veri e mattoni falsi, un’alterazione complessa della realtà che si nutriva di conferme e smentite e che ebbe gravi punti di debolezza, forse voluti.
Le parole di Ciolini potevano rientrare in quel meccanismo di guerra
psicologica che si chiama disinformazione, parole trasformate in proietti-
14 Il faccendiere
li figurati con cui atterrare il nemico. E non deve essere stato un caso che
i servizi segreti, oltre a quanto detto e a quanto si dirà, siano sempre stati
presenti in questa vicenda fin da quando un ufficiale del Sismi, il capitano Ugo Reitani, incontrò Ciolini una prima volta alla fine del 1981 e poi
ancora per tante altre in carcere.
Insieme ad alcuni colleghi, Reitani lo interrogò per avere informazioni
su due giornalisti italiani scomparsi in Libano il 2 settembre 1980, Graziella De Palo e Italo Toni. Cosa accadde loro, mai più ritrovati, è un’altra delle vicende nere e irrisolte di questo Paese. Ma non per il Sismi, il
cui vertice – in base a quanto scrisse il giudice istruttore bolognese Vito Zincani, riprendendo le parole del pubblico ministero di Roma Giancarlo Armati – «non poteva non sapere. E infatti seppe “subito o quasi”7
la sorte in cui erano incorsi i due giornalisti e, d’accordo con [Giuseppe]
Santovito, [il direttore del Sismi iscritto alla P2], si adoperò per coprire
le responsabilità palestinesi», che andavano in direzione del sequestro e
del duplice omicidio da parte degli elementi più radicali dell’Olp vicini a
George Habash, per quanto quest’ultimo prosciolto in istruttoria per insufficienza di prove.
Proprio perché i servizi italiani erano informati di ciò che accadde ai
cronisti, il Sismi non aveva dunque necessità di raccogliere le dichiarazioni di Ciolini, soprattutto alla luce di un precedente rapporto del Sisde
tutt’altro che lusinghiero sull’attendibilità del personaggio. E allora perché gli agenti dei servizi militari andarono in Svizzera, nel carcere in cui
l’italiano era detenuto, se non per motivi diversi dall’inchiesta libanese
che gli stessi servizi avevano depistato?
Questa, insomma, inizia a delinearsi per quello che è, la storia di una
«calcolata miscela di verità e menzogne capace di far presa e al tempo
stesso di fuorviare».8 Una miscela che, oltre ogni scrupolo, coinvolse persone non solo del tutto estranee alla strage di Bologna, ma anche a qualsiasi attività politica di stampo eversivo, come nel caso di un gruppo di
profughi cileni riparati nel capoluogo emiliano.
A leggere le carte che ricostruiscono quegli anni, Ciolini appare un
faccendiere nel senso etimologico del termine, un uomo che raccoglieva
faccende diverse e le raccordava. Dunque, più che un brasseur d’affaires,
un affarista, era un chargé d’affaires, una specie d’impiegato di livello indeterminato che sapeva di poter rimetterci di persona. Ma che al torna-
Parola di un chargé d’affaires 15
conto suo, oltre e forse prima che a quello della committenza, ci pensava.
Quindi è plausibile che, rinchiuso nell’istituto penitenziario elvetico di
Champ-Dollon, Ciolini, pur di uscire, abbia tentato di barattare la scarcerazione con informazioni di cui era in possesso, come quelle raccolte
su Delle Chiaie.
Ma rimane sempre una domanda che si riallaccia all’interrogativo precedente: dove aveva preso le tante notizie autentiche, condite poi da falsità, che gli fecero centrare il suo obiettivo? Nel 1986 i giudici di Bologna
scrissero:
Pensare che Ciolini abbia mentito di sua iniziativa è decisamente illogico.
Soprattutto non si vede quale interesse egli avrebbe avuto a coinvolgere
persone estranee con indicazioni che, ove sottoposte al vaglio dei magistrati, si sarebbero rivelate inconsistenti. Ben diversamente si pone la questione ove si ipotizzi un intervento di quegli esponenti dei servizi che, già
impegnati nel dar copertura agli autori della strage (oltre che agli autori
della sparizione dei due giornalisti e ai responsabili dell’abbattimento del
DC-9 a Ustica), attraverso un’accorta regia del personaggio Ciolini avevano la possibilità di conseguire, come in effetti ottennero, la totale e definitiva perdita di credibilità nell’inchiesta sulla strage e nei magistrati che
la conducevano.9
Detto in altri termini, un possibile obiettivo di questo depistaggio era
boicottare le indagini. Indagini che, al netto dei tanti inquinamenti e degli scontri all’interno della stessa magistratura, puntavano verso ciò che
nel 1995 sarebbe stato sancito in via definitiva dalla Cassazione: la manovalanza attentatrice era nera. Certo, nella vicenda Ciolini i neofascisti accusati non erano quelli che poi sarebbero stati condannati. Ma se
i magistrati cercavano estremisti di destra, che estremisti di destra trovassero. E poi tutt’altro che marginale fu la ricostruzione del fin troppo
generoso apporto di Gelli e dei suoi sodali nel fuorviare gli inquirenti.
Un apporto che, nel racconto di Ciolini, si cercò di esagerare fino al paradosso estremo, gonfiandolo al punto da raggiungere tratti macchiettistici, incredibili anche per la più sconclusionata spy story da romanziere
da quattro soldi.
Insomma, non è escluso che occorresse far esplodere, dopo la stazio-
16 Il faccendiere
ne, anche l’inchiesta. Col risultato che si sarebbe rimasti con i cocci di una
pantomima planetaria destituita di ogni fondamento.
Questa è stata definita una tecnica «tipicamente piduista», per di più
messa in atto da un uomo su cui, oltre all’ombra dello Sdece, gravava
il sospetto di far parte (o averne fatto) anche del Sac (il servizio d’azione civile creato nel 1958 dal generale Charles De Gaulle), entrambi dislocati Oltralpe.10 E in tema Ninetto Lugaresi, divenuto capo del Sismi
dopo lo scandalo P2 e la sopraggiunta necessità di un repulisti interno
almeno di facciata, disse in un interrogatorio del 6 febbraio 1985: «Ciolini è uno dei più brillanti esponenti dello staff di Gelli». 11 Inoltre, secondo Pasquale Notarnicola, l’ex capo della prima divisione dei servizi
militari, «dietro Ciolini [poteva] esserci l’ombra della P2, interessata a
“sollevare un polverone” e forse anche a “destabilizzare” le istituzioni
dello Stato».12
Il tutto avveniva mentre la loggia segreta del venerabile nato a Pistoia il 21 aprile 1919 era bersagliata su molti fronti, a iniziare da quello giudiziario e dalle dispute di competenza che volevano trascinare l’inchiesta
da Milano a Roma. Occorreva dunque darsi da fare per ridimensionare la
portata dell’influenza che per tanti anni la P2 aveva esercitato sullo Stato. La loggia doveva apparire una specie di «bocciofila ideale e filantropica»13 frequentata da vecchiotti con il pallino per l’esoterismo e magari
anche da appassiti nostalgici del Ventennio fascista e della Repubblica Sociale Italiana, ma che era ben lungi dall’aver cospirato contro la nazione.
All’interno di questo contesto era necessario neutralizzare un elemento
gravissimo: nelle liste non c’erano solo attempati massoni dal piglio autoritario, ma comparivano 52 ufficiali dei carabinieri, 50 dell’esercito, 37
della guardia di finanza, 29 della marina, 9 dell’aeronautica e 6 della pubblica sicurezza. Di questi, 92 avevano il grado di generale e di colonnello,
occupando ruoli rilevanti all’interno degli organismi dello Stato.14
La commissione d’inchiesta sulla P2, presieduta dalla democristiana
Tina Anselmi, giunse a conclusioni molto differenti rispetto a quelle della
«bocciofila», ma gli esiti giudiziari, nonostante la gravità di ciò che si leggeva nelle carte istruttorie,15 ricalcarono la linea minimalista, nonostante
il nome della P2 comparisse in tante, troppe inchieste per strage e tentati
golpe. E dunque, in attesa che l’iter davanti alla legge giungesse all’esito
sperato, la P2 andava ridicolizzata. Poteva una corte dei miracoli compo-
Parola di un chargé d’affaires 17
sta da personaggi grotteschi e pasticcioni come alcuni di quelli che si incontreranno avere verosimilmente avuto un ruolo nel sangue versato tra
gli anni settanta e l’inizio degli ottanta? Lo sbilenco spettacolo andato in
scena con il depistaggio Ciolini sembra la risposta auspicata a questo punto interrogativo.
Un uomo, tante esistenze
Elio Ciolini, che disse di essere da una decina d’anni agente dei servizi segreti francesi1 quando alla fine del 1981 iniziò la sua «collaborazione» con
gli inquirenti italiani, nacque a Firenze il 18 agosto 19462 da una ragazza
senza compagno. Del padre, indicato come Rolando, un tipografo morto
nel 1967, si trova traccia solo in una scheda della questura fiorentina e in
un telegramma del 1978. Poi basta.
Il 12 dicembre 1981, quando il giudice istruttore di Bologna Aldo
Gentile chiese al nucleo operativo dei carabinieri una serie di accertamenti, Ciolini risultava vivere a Lancy, Ginevra, per quanto in quel periodo
detenuto nel carcere svizzero di Champ-Dollon. Baccioni fu il suo primo
cognome, ereditato dalla madre, che morì quando Elio aveva diciassette
anni; nel 1965 assunse quello di Ciolini dopo essere stato adottato dalla
nonna materna, che così si chiamava quando era ancora nubile.
Divenne un giovane uomo alto un metro e settantotto centimetri, e i
capelli neri presto iniziarono a diradarsi sulla fronte lasciando presagire
una futura calvizie. All’inizio dell’autunno 1969 si era sposato con una
donna umbra di due anni più giovane, Liliana, e da quel matrimonio nel
1970 era nato un bambino. Ma poi tra i due erano cominciati i guai e avevano deciso di lasciarsi con l’intenzione di cancellare tutto quello che c’era stato. Cancellarlo al punto che il 26 ottobre 1974 la Sacra Rota aveva
annullato l’unione.
Ciolini si risposò il 3 settembre 1976, quando già si trovava a Lancy.
Essendo cittadino italiano, aveva rispettato quanto prescriveva la leg-
20 Il faccendiere
ge e il 13 luglio di quell’anno aveva fatto richiesta di pubblicazione (in
cui, alla voce professione, indicava «professore in lettere») al consolato di Ginevra, allegando un vaglia postale internazionale di 1500 lire
per le spese di bollo e spedizione. Per la seconda avventura matrimoniale scelse la figlia di un agente di polizia svizzero. Nata a Berna nel 1945,
Marie-Françoise era di religione protestante e dichiarava di essere una
segretaria, per quanto in alcuni documenti fosse indicata come infermiera. Elio l’aveva conosciuta nel 1973 e dopo poco era andato a vivere con
lei in terra elvetica, dove gli investigatori che si sarebbero occupati di lui
negli anni a seguire ritennero fosse rimasto, nonostante da documenti ufficiali risultasse emigrato in Francia il 6 marzo 1974.
Da Marie-Françoise ebbe due figli, ma non sembrava tipo da riuscire a rimanere legato a una sola donna e dopo un po’ allacciò una relazione con la bella Arlette, che abitava nei pressi di Ginevra. E se la sua
vita sentimentale non era tranquilla, altrettanto non lo era quella degli
affari. Si sospettava infatti che frequentasse il gestore di un night club,
il Pop Corn. Come Ciolini, l’imprenditore dei piaceri notturni era toscano (di Pistoia), e a legare i due – scrivevano gli inquirenti – ci sarebbero stati traffici ben più remunerativi del lavoro di lavapiatti e uomo
di fatica che Elio fece nel 1972, al suo arrivo in Svizzera, in un ospedale elvetico.
Quell’impiego lo aveva lasciato per essere assunto da un ospizio come infermiere, e in qualche modo a lui, fattorino d’albergo in adolescenza, dovette sembrare di vivere una lenta scalata sociale che si stava
componendo di tanti gradini. Quando era ancora in Italia, dal 1963 al
1971 aveva fatto il portalettere, ma già nel 1973 c’era chi lo dava uomo d’affari in Svizzera, fino all’ennesima svolta, nel 1977, quando si era
reinventato operatore teatrale e, nel 1978, mediatore nella compravendita di opere d’arte.
Guai con la giustizia ne aveva già avuti. La squadra mobile di Firenze,
all’inizio del 1971, lo aveva denunciato per «usurpazione di titoli e funzioni e altro».3 Era insomma persona nota alle forze dell’ordine, anche perché quell’anno venne sospettato pure di attività non proprio ortodosse.
Inoltre, quando si iniziarono gli accertamenti su di lui, saltarono fuori diverse storie più o meno vecchie.
Un uomo, tante esistenze 21
Nell’aprile 1979 denunciò al comando della gendarmeria di Annecy, in
Francia, il furto del passaporto rilasciato dal consolato generale d’Italia
a Ginevra il 10 ottobre 1978 (passaporto che lo dava residente ancora a
Firenze). Secondo quanto dichiarò ai militari d’Oltralpe, l’aveva lasciato
in un’auto parcheggiata davanti all’hotel Mercure di Seynod, all’interno
di un borsello contenente anche una carta di credito intestata a lui, il codice fiscale e la patente. Lì era custodita pure una somma di denaro, cinquecento franchi svizzeri e mille francesi, oltre a due carte eurocheque e
a un libretto degli assegni.
Inoltre, qualche mese dopo la denuncia di furto, il 26 luglio 1979, la
questura del capoluogo toscano scrisse all’ufficio di polizia di frontiera di
Linate-Malpensa mettendo in copia varie strutture di pubblica sicurezza afferenti al ministero dell’Interno, tra cui l’Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali, attivo tra il 1978 e il 1981,
quando fu trasformato in direzione centrale della polizia di prevenzione).
Le si informava che Ciolini, il 26 giugno, mentre rientrava in Italia dalla
Svizzera, atterrato a Milano era stato perquisito perché sospettato di traffico d’armi.4 Questo episodio si riferiva a informative del Viminale dell’anno
prima. Un telex del 26 agosto 1978 inviato a tutti gli organi di polizia aveva
infatti dato notizia di quanto raccontato da una fonte. Secondo le informazioni raccolte, Ciolini «era stato contattato in territorio svizzero da elementi
di un’organizzazione terroristica presumibilmente araba allo scopo di attuare in località imprecisata un attentato dinamitardo».5 Due giorni più tardi
giunse una nuova comunicazione del ministero dell’Interno in cui si segnalava il possesso in Francia di esplosivo e relative istruzioni per realizzare un
pacco bomba da innescare con un detonatore.
Chi aveva fornito queste informazioni al ministero dell’Interno? Rispondendo al giudice istruttore di Bologna, la Direzione generale di
pubblica sicurezza scriveva che «non [erano] emersi utili elementi circa
l’origine e lo sviluppo della segnalazione».6 Poteva dunque non essere vero o non del tutto vero, ma le informazioni trasmesse ai magistrati emiliani erano integrate anche dall’esito di qualche verifica chiesta al Sisde. Il
servizio civile aveva replicato a fine giugno 1982:
Le note […] del 26 e del 28 agosto 1978 scaturivano da segnalazioni del
parallelo servizio israeliano. La vicenda non ebbe alcun seguito, dal mo-
22 Il faccendiere
mento che si accertò che il Ciolini era conosciuto come millantatore, privo di scrupoli e disposto a qualsiasi azione per denaro. Il medesimo era
stato in precedenza coinvolto in varie azioni truffaldine, spacciandosi per
ufficiale dell’Arma. Per ogni buon fine, si fa presente che – in relazione
al caso Toni-De Palo – in data 8 corrente questo servizio ha inviato tutto
il carteggio al sostituto procuratore della Repubblica di Roma, il dottor
[Giancarlo] Armati, che ne aveva fatto richiesta tramite il reparto servizi
magistrati della legione carabinieri di Roma.7
Un successivo appunto del Sisde non datato ma presumibilmente redatto
sempre nel 1982 aggiungeva ulteriori elementi a questo proposito:
Il 26 agosto 1978 il servizio […] israeliano segnala che il soggetto, presentatosi presso non precisata rappresentanza diplomatica d’Israele, ha dichiarato di essere stato avvicinato da un terrorista arabo dal nome Salah Yassine
El Chouk, il quale gli avrebbe proposto di partire per la Siria al fine di essere addestrato, per poi venire introdotto in Israele e compiere attentati.
I due avrebbero dovuto partire il 24 agosto 1978 per Montpellier al fine di
ritirare plastico e nitroglicerina […]. Il servizio segnala che il connazionale […] è effettivamente partito il 24 agosto per Montpellier in compagnia
[anche] di un altro soggetto di nome Georges. [Qui] Ciolini si è incontrato con due arabi che gli hanno fornito istruzioni sul maneggio di materiale da sabotaggio ed estrazione di un detonatore da un pacco. Al termine
dell’incontro gli è stato consegnato un pacco senza detonatore che gli verrà rimesso prima della partenza per la missione. Al Ciolini, sempre prima
della partenza, verrà dato un passaporto francese.8
Il 30 agosto 1978 il Sisde aveva già comunicato agli israeliani del Mossad le poco lusinghiere informazioni su Ciolini, e così fecero l’Ucigos, il
centro Sismi di Firenze e il comando generale dell’arma dei carabinieri.
Qualche anno dopo invece il Cesis, il Comitato esecutivo per i servizi
segreti di informazione e di sicurezza, parlava in una nota riservata recapitata alla magistratura bolognese di un «unico appunto contenente
elementi disponibili»9 su Ciolini. Qui si dava conto di viaggi che aveva
effettuato nella Repubblica Federale Tedesca nel 1964 e in Cecoslovacchia nel 1970, dove tornò ancora il 7 ottobre 1982, quando aveva già
Un uomo, tante esistenze 23
iniziato a parlare della strage di Bologna ottenendo dalle autorità svizzere la libertà su cauzione dopo essere stato arrestato per una presunta
truffa. Ai tempi, testimoniano i documenti, aveva soggiornato a Bratislava con un visto turistico di trenta giorni rilasciato dal consolato cecoslovacco di Berna.10 Poi c’erano successivi trasferimenti in Svizzera e
Francia. E poi ancora, oltre alla mappatura dei suoi viaggi, si citavano
altri precedenti penali.
Scorrendoli, si vedeva che nel 1971 era stato condannato dal pretore
di Siena per lesioni personali e la pena era stata sospesa fino a un’ordinanza proveniente da Terni nel 1972. Un’amnistia del 1978 aveva poi chiuso
questo capitolo, per quanto ce ne fossero altri che, a partire sempre dal
1971, tiravano in ballo reati come l’emissione di assegni a vuoto tra San
Giovanni Valdarno, Firenze, Rovigo, Terni, Roma ed Empoli. Nel 1972
era stato dichiarato fallito dal tribunale di Firenze e nel 1974 si erano aggiunti guai per falsa attestazione d’identità a pubblico ufficiale, usurpazione di titolo, falso materiale e detenzione abusiva di cartucce. L’anno
successivo c’era stata la violazione degli obblighi di assistenza familiare,
oltre a un falso in cambiali, e nel 1976 giunsero le accuse di falso in titoli
di credito, truffa e bancarotta semplice.
La nota riservata che il Cesis trasmise all’ufficio istruzione di Bologna
parlava di licenza elementare come titolo di studio, ma lo descriveva come uomo «di cultura superiore, di facile loquela, di bella presenza e di
modi gentili, ispira fiducia e simpatia. Dedito ad avventure con donne,
[è] dotato di grande fantasia e tendente alla megalomania». Oltre a essersi
spacciato per un maresciallo dei carabinieri, Ciolini si era finto anche giornalista della Nazione e insegnante. Fu lui a confermare, sempre secondo
i servizi segreti, i contatti del 1978 con presunte realtà terroristiche arabe
per organizzare un attentato in Israele e, una volta finito in galera in Svizzera, aveva provato a fornire fantasmatiche informazioni «nell’evidente
tentativo di ottenere qualche agevolazione».
Accadde alla fine del 1981, durante il sequestro del generale americano James Lee Dozier,11 e le sue presunte informazioni riguardavano le Brigate Rosse, autrici del rapimento. Ma poi la «pista Ciolini» in questo caso
fu abbandonata perché le verifiche palesarono l’infondatezza delle rivelazioni. La nota dei servizi segreti italiani si concludeva dicendo che Ciolini, per quanto poi uscito indenne da queste accuse, era stato «sospettato
24 Il faccendiere
di traffico di droga, vanterebbe di essere entrato in un imprecisato giro
di affari per miliardi, sarebbe in possesso di carte d’identità e passaporti falsi, vanterebbe di aver ottenuto, mediante il pagamento di una ingente somma di franchi svizzeri, un certificato di laurea in lettere e filosofia
presso imprecisata università italiana».
Inoltre, nel 1982 alla procura della Repubblica di Roma che indagava
sulla scomparsa di Graziella De Palo e Italo Toni fu trasmesso un rapporto in cui si diceva che insieme ad alcuni complici era stato arrestato
dalla polizia francese nell’aprile 1978. Era accaduto ad «Annemasse siccome ritenuto responsabile di aver tentato di vendere cinque chilogrammi di lidocaina, facendola passare per cocaina».12 Ma nella lista delle
frequentazioni di Ciolini i Paesi europei di lingua francofona non erano
ancora finiti: sue tracce emersero anche in Belgio.
Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, in Belgio agiva una banda specializzata nell’assalto ai furgoni portavalori. Il suo capo, Patrick Haemers, classe 1953, sarebbe morto suicida a quarant’anni
mentre era in carcere, dopo che all’improvviso gli fu sospeso il metadone usato per gestire la tossicodipendenza. Tornando indietro, alle origini, il primo nucleo della banda di Haemers aveva esordito nel 1978,
riuscendo a impossessarsi, dopo aver preso in ostaggio 28 persone, del
corrispondente di 235mila euro. Dopodiché il giovane rapinatore si era
alleato con altri due banditi, Philippe Lacroix e Thierry Smars, e tutti
e tre avevano dato il via a una soddisfacente carriera criminale incardinata su sette rapine e cinque milioni di euro di bottino, calcolati in valuta odierna.
Ma nel 1985 tutto cambiò. Durante un assalto, rimasero infatti uccise due persone e Haemers finì in galera. Evase però poco dopo e decise
di dare una svolta al suo curriculum dandosi al sequestro di personaggi illustri, per quanto all’apparenza caduti in disgrazia. Fu così che il
14 gennaio 1989 venne rapito il due volte primo ministro Paul Vanden Boeynants, chiamato «Vdb» in patria, condannato tre anni prima
per frode ed evasione fiscale. E a firmare l’azione fu un’organizzazione
in realtà mai esistita, la Brigade Socialiste Révolutionnaire. A tutt’oggi
i contorni di quell’episodio rimangono così poco nitidi che non è stato dissipato il sospetto che l’esponente del Partito sociale cristiano fosse stato in qualche modo coinvolto nel suo rapimento o convinto dai
Un uomo, tante esistenze 25
sequestratori a collaborare con loro. Le cronache ufficiali raccontano
tuttavia che l’ex premier rimase prigioniero per un mese e che per il rilascio, avvenuto nei pressi della stazione di Tournai, fu pagato un riscatto di quasi un milione e mezzo di euro.
Fu nella storia della banda Haemers che comparve Ciolini, presentatosi con uno dei tanti pseudonimi che usò nel corso del tempo. Dai rapinatori si faceva chiamare colonnello Bastiani, sedicente ufficiale dell’esercito
francese, e compito suo era quello di infiltrarsi nel tessuto criminale del
Belgio. Il fronte pubblico della sua vita in questo Paese lo vedeva lavorare per una società che esportava materiale biomedicale.13 Secondo quanto
fu ricostruito dagli investigatori di quel Paese e dalle commissioni parlamentari che indagarono su un altro grave capitolo nazionale, la banda del
Brabante Vallone,14 la presenza del finto colonnello coincideva dal punto di vista temporale con un cambio strategico e operativo di Haemers e
compagni, che passarono dal crimine comune a quello di tipo politico. A
un certo punto l’inesistente ufficiale si sarebbe defilato sparendo nel nulla nel momento in cui scomparivano anche somme di denaro possedute
dalla banda e mai più ritrovate.15 Infine, oltre alla circostanza riportata da
più fonti dei soldi spariti, Haemers parlò di «“un’organizzazione” molto
potente composta da “pazzi pericolosi” che aveva propri avvocati e medici e per la quale lavorava. Un’organizzazione mai identificata ma di cui
avrebbe fatto parte Elio Ciolini».16
Nell’ottobre 2012 in Belgio è andata in onda una serie televisiva che
ricostruisce la storia della banda, De bende Haemers. Per anticiparla, sono stati pubblicati in rete alcuni dei contenuti alla base della ricostruzione e tra questi c’è la riproduzione di un documento che reca la data del 16
dicembre 1985. È il tesserino (non per forza autentico, ma pare usato in
quel periodo) corredato da impronta digitale di un tale Roland Baccioni,
nato a Firenze il 18 agosto 1946 e indicato come effettivo del Sis (Service
intervention special, un corpo di polizia con funzioni di antiterrorismo)
con il grado di colonnello e ufficiale di coordinamento.
La fotografia è compatibile con il volto di Elio Ciolini (da notare poi
che Rolando era il nome del padre e Baccioni il cognome della madre) e la
firma di chi aveva rilasciato il documento era quella del barone René Pierre Paulus de Chatelet, indicato come «le président» del servizio e secondo
fonti belghe in collegamento con i gruppi dell’estremismo nero francofo-
26 Il faccendiere
no. Tra le varie testimonianze raccolte per il film su Haemers, c’è anche
quella del suo sodale Philippe Lacroix che, a proposito dell’ex complice
Thierry Smars e di presenze che non c’entravano nulla con la banda, afferma: «Thierry confidava in qualcuno di esterno al gruppo, qualcuno che
non aveva una “filosofia” come la nostra. La nostra reazione fu l’allontanamento di Thierry. Lui era mio amico, gli volevo davvero bene, ma eravamo su due piani differenti».17
Il detenuto di Champ-Dollon
Un punto d’inizio per raccontare la storia del depistaggio sulla strage di
Bologna, almeno dal punto di vista ufficiale, potrebbe coincidere con un
rapporto del reparto operativo dei carabinieri di Bologna che faceva il
punto degli accadimenti delle ultime settimane. La data era quella dell’11
dicembre 1981 e il destinatario il giudice istruttore del capoluogo emiliano Aldo Gentile. Venne così messo nero su bianco che in Svizzera, nel
carcere ginevrino di Champ-Dollon, c’era un detenuto in attesa di processo per una presunta truffa che si chiamava Elio Ciolini e che aveva chiesto di parlare con il console italiano Ferdinando Mor perché voleva essere
messo in contatto con qualcuno delle forze dell’ordine.
Per motivare la sua richiesta, disse di avere qualcosa da dire sulla strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, e quello che sosteneva di sapere iniziò a scriverlo il 10 novembre 1981 al diplomatico,
quando gli inviò uno strano memorandum in un italiano zoppicante e
infarcito di gallicismi. Qui parlava di una presunta realtà eversiva che
chiamava Organizzazione Terroristica, abbreviata Ot per gli habitués, affermando che operava in Italia avvalendosi di «società, agenzia di stampa,
uomini (dirigenti) di società industriali del settore pubblico e privato».1
Ma il Belpaese non era l’unico tavolo da gioco dell’organizzazione, accusata di finanziare grazie ai kidnappings (i sequestri di persona) il traffico della droga insieme a Cosa nostra. Ad arricchire le attività criminali
della Ot c’era poi il riciclaggio, il «“recyclage” de l’argent en Svisse». Il
sempre meglio – all’apparenza – informato detenuto in Svizzera si allar-
28 Il faccendiere
gava nelle sue rivelazioni parlando anche di contatti con le Brigate Rosse
e, come si vedrà, con la fazione dell’Olp guidata da Nayef Hawatmeh, indicato come il presunto responsabile della sparizione dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni (nel memorandum, accanto a questo passaggio,
aggiungeva un riferimento criptico: «Relazione Kashogy-Otomelara-FiatLybia»). Più nel dettaglio, scriveva al console:
L’Ot è presente in Italia […]. In Italia e in Europa l’Ot dispone di punti
di reclutamento a: Roma, Stuttgart, Madrid (in America Latina e in Medio Oriente ha basi logistiche con un centro di fabbricazione di tutti quei
documenti «ufficiali» di diversi Paesi europei) […].
L’Ot è implicata negli affari: De Mauro (connessione mafia), Sindona, Gelli (affare Otrag, vedi dossier Africa).
L’Ot è responsabile in Italia di:
-- massacri: piazza Fontana, Italicus, Bologna
-- colpo di Stato: «Golpe Borghese»
-- incidenti politici: Reggio Calabria, caso Sindona, Gelli
-- traffici di moneta
[…] Uno dei quattro responsabili dell’Ot è un terrorista notorio ricercato dai vari servizi di sicurezza italiani e dall’Interpol. Vive attualmente
in America Latina, da dove coordina le attività terroristiche per l’Italia e
l’Europa, dirige inoltre l’economia del Paese che lo ospita e l’organizzazione di vari settori militari.
(Accordi sono stati presi, a suo tempo, con l’attuale presidente in carica
del Paese in questione affinché consegni il terrorista a servizi di sicurezza di un Paese europeo. Una operazione del genere è ancora possibile).
Come se non bastasse, parlò anche delle vie per «combattere la Ot in Italia e in Europa». Come?
Si hanno le seguenti possibilità (possibilità già esistenti come infiltrazioni, etc.):
-- infiltrazione nei «quadri dirigenti» di: Ot, mafia (siciliana et Usa), Br;
-- itinerario della droga e corrieri;
-- lista completa dei principali responsabili dell’Ot in Italia e in altri Paesi (la lista è depositata presso un agente Cia residente in America Latina).
Il detenuto di Champ-Dollon 29
Le «possibilità di intervento contro l’Organizzazione Terroristica» prevedevano inoltre una «collaborazione tra il relatore e l’autorità inquirente». Detto in altre parole, sempre quelle di Ciolini, chiare per quanto di
nuovo in difetto grammaticale:
Visto che si è cittadino italiano e al godimento dei diritti politici, si chiede:
-- il rimpatrio immediato;
-- essere alle dipendenze ufficialmente o ufficiosamente del ministero degli
Interni, Difesa o equivalente con data retrodatata.
Per convincere il suo lettore, Ciolini aveva aggiunto:
In più dispone di:
-- un «reseau d’information» con corrispondenti strutture logistiche funzionanti nei seguenti Paesi: Europa Ouest-Est, Africa (di espressione
francese e Lybia), Middle Est, Usa, America Latina (lista del reseau disponibile);
-- contatti personali con uomini di «livello» in Italia e in tutti i Paesi del
«reseau».
A corredo di quanto fino a questo punto scritto, il detenuto italiano vergò anche un «completamento “parziale” di informazione a: Organizzazione Terroristica in Italia», in cui sosteneva:
L’Ot si occupa anche del traffico di materiale «bellico» e di materiale denominato U238.
Fornisce in armi tutti quei gruppi terroristi (tramite società di import-export) in Italia e in Europa e vende materiale bellico a tutti quei governi
«non grati» dalle instituzioni [sic] internazionali.
Alcuni uomini dipendenti dal ministero degli Esteri italiano «Farnesina»
sono implicati nel traffico (troviamo la stessa collaborazione per il traffico di coca).
L’Ot si è occupata nel 1978 dell’affare Moro (parzialmente) se ne conoscono i motivi e in ultimo «limite» ha avuto contatti con gli esecutori e i
mandanti supposti.
30 Il faccendiere
A ruota fece recapitare poi un appunto manoscritto in cui alcune parole
erano state sottolineate nel documento originale:
Ciolini Elio (è ancora in istruzione [il suo processo]!)
Lavorato sette anni in Argentina e Bolivia. Faceva parte con un servizio?
Comunque con agenti Cia.
Tornato in Italia per cambio governo boliviano. Paura, minacce. Ha chiesto protezione a governo svizzero. Qui sarebbe stato denunciato. È lì da
sei mesi.
Disposto a documentare tutto ciò che dice.
Ha famiglia nascosta qui in Svizzera. Vuole garanzie della identità del Cd
(Delle Chiaie).
Paura di essere eliminato […]
-- Piazza Fontana, Bologna, Italicus
-- Sa come vengono riciclati soldi
-- Droga
-- Molte personalità italiane implicate. Occorre segretezza.
Ma lo zelo informativo di Elio Ciolini non si era ancora placato dopo questa prima ondata di dichiarazioni. Altre infatti si aggiunsero con il documento intitolato «Organizzazione Terroristica – Ot – Organigramma con
relazione alla Trilaterale italiana per il controllo del potere economicopolitico-militare»:
Il controllo della Trilaterale operante in Italia e dell’Ot è diretto, secondo i principi della Trilaterale Usa, da una loggia massonica denominata
«Loggia Riservata». La sede centrale è all’esteriore del territorio italiano.
Non ha niente in comune con la loggia massonica «P2», anzi è la vera P2.
Nella Loggia Riservata i maggiori «nomi dei responsabili italiani» dell’economia, politica, industria, magistratura, eccetera (nomi non pubblicati e non coinvolti fino a oggi nello scandalo «P2»). Lista nominativa al 30
dicembre 1979 in annexe. A verificare.
Seguiva la descrizione della struttura su cui si articolava la Loggia Riservata. Al vertice, il livello di gran maestro corrispondeva a un triumvirato
mentre, procedendo in via gerarchica verso il basso, si incontrava la se-
Il detenuto di Champ-Dollon 31
greteria a cui rispondevano i gradini inferiori, suddivisi per articolazione economica, politica e territoriale con ulteriore suddivisione tra potere
centrale e regionale.
In merito invece alla «lista nominativa» dei «fratelli inscritti» [sic] a
tutto il 1979, i primi che si trovarono in mano le note di Elio Ciolini devono aver strabuzzato gli occhi scorrendo l’elenco che aveva stilato il detenuto italiano. Il quale si collocava tra gli «esecutivi», insieme a
E. Battelli, M. Casardi, C. Ciampi, A. Corona, C. Cossiga, A. Gallucci, R.
Giudice, C. Lo Bruna, G.A. Maletti, S. Mennini. A. Magnoni, C. Pontello, M. Ziletti.
Per quanto non fosse il più rilevante, già questo livello sembrava ricalcare
– in toto, in parte o per assonanza – il clamore delle liste della P2 scoperte nel marzo 1981 a Castiglion Fibocchi e rese pubbliche un paio di mesi
più tardi. C’erano richiami ai nomi di ufficiali delle forze armate e dei servizi segreti, compresi quelli coinvolti nelle coperture offerte ancor prima
del 12 dicembre 1969 agli stragisti che avevano ucciso a piazza Fontana,
collocando la bomba all’interno della Banca nazionale dell’Agricoltura.
E c’erano anche rimandi a giudici del Consiglio superiore della magistratura, massoni noti e parenti di Sindona. Ma le sorprese non stavano solo
qui, tra gli «esecutivi».
Sopra ci stavano i «fratelli esecutivi direttivi», che comprendevano, secondo Ciolini, questi nominativi:
P. Chiarugi, G. De Michelis, E. De Franceschini, L. Lama e M. Rumor.
Sotto venivano i «fratelli onorari», di cui avrebbero fatto parte
G. Almirante, V. Colombo, B.C. (non nominato, vedi elenco a parte), F.
De Martino, A.F. […], P.L. e A.T. […].
Lunghissimo l’elenco dei «fratelli attivi» nella Loggia Riservata, con i suoi
N. Andreatta, G.M. Borga, V. Bonassi, O. Biasini, A. Balestrieri, D. Cattin, N. Capria, B. Ciccardini, A. Conte, O. Colzi, E. Cuccia, L. Di Donna,
32 Il faccendiere
M. D’Acquisto, C. De Benedetti, E. Egidi, G. Evangelisti, F. Federici, A.
Forlani, R. Formica, F. Forte, A. Grandi, A. Gava, G. Leone, S. Labriola,
V. Lattanzio, E. Macaluso, A. Margheri, M. Malfatti, E. Mattei, G. Marinoni, F. Mazzola, F. Nosiglia, R. Palleschi, R. Parlato, G. Piazzesi, F. Piccoli, A. Ravelli, A. Reichlin, P. Rossi, G. Selva, U. Spagnoli, V. Visentini,
A. Vinciguerra, A. Von Berger, G. Vacca.
Anche il modello organizzativo degli affiliati, così attento a comprendere
dentro di sé qualsiasi area di potere, sembrava ricalcare lo stampo della
P2, dato che non serviva certo un osservatore particolarmente avveduto
per riconoscere anche qui riferimenti a politici di destra e di centro, sindacalisti addirittura di sinistra, giornalisti e intellettuali.
Ma a destare clamore, quello vero, era il vertice della Loggia Riservata, che Elio Ciolini faceva corrispondere ai «fratelli fondatori». Qui i nomi erano pochi, sette in tutto, e vi si trovavano
G. Andreotti, G. Agnelli, R. Calvi, A. Monti, O. Ortolani, L. Gelli, A.
Rizzoli.
Questo era il «livello» che non ha bisogno di alcun aggettivo perché già
i cognomi ricostruivano una storia d’Italia che comprendeva – in ordine
di elencazione – un più volte presidente del Consiglio dei ministri, l’industriale più famoso nel mondo grazie al marchio Fiat, il presidente del
Banco Ambrosiano che davanti a sé aveva ormai pochi mesi di vita, il detentore (per quanto ormai ex, date le operazioni finanziarie degli anni settanta) del potere editoriale attraverso il gruppo del Corriere della Sera, e
il suo omologo in Emilia Romagna e in Toscana, quel «cavalier Artiglio»,
come lo soprannominò Giampaolo Pansa in un articolo del 1984,2 che
dalla natia Ravenna era diventato il signore del petrolio. Inoltre c’erano
loro, le punte di diamante della loggia Propaganda Due, Licio Gelli e il
braccio economico-finanziario Ortolani, per quanto al secondo fosse attribuita nella lista l’iniziale del nome sbagliata (si chiamava infatti Umberto).