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5 novembre 2014
A Pontedera, i ciechi e la dittatura della luce nel nuovo testo
di Michele Santeramo
di Giuseppe Distefano
Autore di “La Rivincita” (edito da Baldini&Castoldi) e “Il Guaritore” (vincitore del Premio Riccione 2011 e del Premio Hystrio alla
drammaturgia 2014), due tra le più recenti coproduzioni della Fondazione Pontedera Teatro insieme a Teatro Minimo, il quarantenne
pugliese Michele Santeramo, con attività anche di attore, torna alla scrittura teatrale con un nuovo testo originale, “Alla luce”, messo
in scena da Roberto Bacci. Una storia secca: quattro persone cieche convocate a giocare a carte. Chi vince potrà riacquistare la vista.
Due le coppie: un fratello maggiore e uno minore - l'anziano che trascina con sé il più giovane come possibile vittima -, e una coppia di
coniugi, in crisi e con un passato drammatico. Persone che rivendicano, ciascuno a suo modo, il diritto a vivere in un mondo di luce, e
di verità. A gestire il gioco è un vedente, un cinico croupier in abito da circo che manovra quelle fragili esistenze sulle quali esercita
assoluto potere istigando il loro gioco al massacro e non risparmiando umiliazioni considerandoli esseri insignificanti e scarti della
società. Si entra in una stanza claustrofobica di tendaggi neri, con un tavolo drappeggiato di rosso, una sedia e un leggio col libro, in
brail, delle norme del gioco. Condizione inappellabile delle regole è dimostrare di saper governare le emozioni. Chi esce con la carta
più alta sceglie l'avversario cui imporre l'esperienza emotiva da affrontare. Sette sono gli ostacoli da superare, estraendoli a sorte per
la prova: rivalità, tradimento, crudeltà, disprezzo, prevaricazione, paura della morte.
Sentimenti negativi, rancorosi, che spesso riversiamo sul prossimo, ma dei quali, invece, siamo noi stessi artefici nei confronti altrui.
Ed è questo il senso del testo, perché c'è qualcosa di tremendamente vero, disturbante, che interpella e scuote, in questa inquietante
partita a carte che “mette in gioco” la vita con le sue contraddizioni e piccole e grandi malvagità. Amaro e grottesco, il testo contiene
echi della tragedia greca riscontrabili già in quella condizione edipica di cecità e nel rimando all'unica donna in scena (la bravissima
Silvia Pasello) che, come una Medea contemporanea, scopriremo di aver ucciso il suo bambino facendo torto, o per vendetta, al
marito-Giasone che non ama più. Questi, inizialmente taciturno e sottomesso, le urlerà il suo disprezzo, rinfacciandole tutto il male
ricevuto da lei. L'evolvere delle situazioni fuori controllo manifesterà che i sentimenti non sono più governabili; e quando si giungerà
a riacquistare la vista, si vorrà non vedere più. Forse per la sofferenza che prima s'ignorava, o nel costatare cos'è veramente l'uomo, un
essere disumano, e di quali azioni e violenza è capace. Perché “la luce è una dittatura” dirà il fratello all'altro. Ed “essere umano non è
per tutti. Si diventa”. La donna, amante del croupier, con gli occhi imbrattati di sangue chiuderà il buio, e con esso l'orrore innescato,
da nascondere. Per ritornare alla cecità.
“Alla luce”, drammaturgia Michele Santeramo, regia Roberto Bacci, con Sebastian Barbalan, Michele Cipriani, Silvia Pasello,
Francesco Puleo, Tazio Torrini. Produzione Fondazione Pontedera Teatro, Teatro Era, fino al 9 novembre.
www.pontederateatro.it
5 novembre 2014
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1 di 1
07/11/14 10:03
17/11/2014
Pontedera: 'Alla luce' delle carte teatrali di Michele Santeramo - Il Fatto Quotidiano
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Tommaso Chimenti
TERZA PAGINA
Pontedera: ‘Alla luce’ delle carte
teatrali di Michele Santeramo
di Tommaso Chimenti | 15 novembre 2014
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In quell’intercapedine tra il vedere ed il non vedere, in quella
crepa che corre tra la luce ed il buio, in quella penombra che è
epifania e solstizio, esiste una stanza dei miracoli, quasi
collodiana, che permette di realizzare, a costi interiori
altissimi, il sogno di chi non ha mai potuto gustare i colori, di
chi non ha mai potuto azzannare il verde del prato, affrontare
il blu del mare, annaspare l’azzurro del cielo. “Cecità” di
Saramago può darsi sia stata un’idea, uno spillo, uno
spunto per la nuova produzione di Pontedera Teatro, “Alla
luce”, firmata dalla penna proficua e prolifica di Michele
Santeramo, drammaturgo pugliese della compagnia di
Andria Teatro Minimo, e dalla regia di Roberto Bacci.
Titolo che sa di biblico, evangelico ed apostolico, con
venature magiche ed esoteriche (ci sono molte analogie con il
precedente testo di Santeramo, “Il guaritore”, che abbiamo
recensito sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, lunedì 10
marzo 2014). Si intrecciano due coppie ed un giocolierepresentatore-imbonitore mefistofelico, croupier secondo la
dicitura visto che le carte sono il tema centrale, le carte da
gioco per scegliere e selezionare e quelle con i peccatisentimenti-punizioni per colpire gli altri (grandi carte
meravigliose 10×20 cm, disegnate da Cristina Gardumi,
gioco da tavolo per la platea).
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Due coppie: due
fratelli molto
dissimili,
fisicamente e come
concezione del
mondo, e marito e
moglie che si
portano addosso il
fardello di un
bimbo morto. Sono
lì, in questa stanza
cercando la bacchetta magica, la pozione, quel tocco che doni
loro la cosa più preziosa: la vista. Nell’ora e mezza gli incastri
e le storie, visto anche il gioco al massacro che il Pifferaio (il
suo abbigliamento ricorda vagamente anche un domatore di
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Pontedera: 'Alla luce' delle carte teatrali di Michele Santeramo - Il Fatto Quotidiano
fiere ferite) che mette gli uni contro gli altri per vedere fino a
dove sono disposti a spingersi per ottenere egoisticamente il
ritorno alla luce, si sommano e si avvolgono, diventano
nebulose colme di appoggi e di appigli ma anche di zone
d’ombra che si spandono in quella lacrimosa parentesi del
paranormale, del metaforico, del simbolico, del metafisico. Il
vedere ed il non vedere trascendono dai fatti ma allo stesso
tempo il realismo di occhiali neri e bastoni bianchi è
lampante.
Una messinscena totalmente al buio, per la platea, come fu
per il “Molly Sweeney” di Andrea De Rosa, con Umberto
Orsini, avrebbe aperto più varchi nel solo ascolto di una
vicenda non da vedere con le retine ma da accogliere
origliando. I due fratelli che dopo aver riacquisito la vista non
sembrano più consanguinei e con battute sibilline instillano il
dubbio sull’effettiva parentela, il grosso nodo del figlio morto,
ucciso dalla madre, e non è chiaro se perché presentava lo
stesso problema fisico di padre e madre, cioè era cieco,
oppure perché la donna era amante del croupier. Punti
interrogativi che si assommano, tra incubo e tangibilità, su
quel filo in equilibrio precario tra il coinvolgimento e la
distanza, il vortice e la repulsione, la credenza e l’infattibilità
della vicenda. Santeramo ha nelle corde sapienti (anche
Premio Riccione) il mistero, l’irrisolto, il fumoso del non
detto, dell’indicibile ma, allo stesso tempo, vuol chiudere le
parentesi (qui troppe) aperte, cercare una definizione, trovare
le soluzioni, portare a compimento ogni linea dei personaggi.
Che è contraddittorio, disarmante.
In questa storia, tutta giocata sulla
dicotomia che chi vede è in
definitiva il cieco proprio perché
non riesce pienamente a cogliere i
multiformi aspetti del reale, cosa
che un non vedente, con intuito,
fantasia, sesto senso, invece riesce
ad annusare. Una tesi che
crediamo avrebbe bisogno di un confronto serio, reale, fattivo
con l’U.I.C.I., Unione Italiana dei Ciechi e degli
Ipovedenti (uiciechi.it), oppure avere un riscontro con
attori non vedenti come il bravo Gianfranco Berardi (“Il
deficiente”, “In fondo agli occhi”) o ancora, senza essere
blasfemi ma Pontedera è situata molto vicino
geograficamente con Lajatico (20 km), scomodando Andrea
Bocelli.
Le carte alle quali i giocatori, non dostoeskiani, si rimettono è
soltanto una trovata per l’escamotage delle pene da infliggere
ai commensali di un banchetto dove il solo capocompagnia
può ridere e giostrare a proprio piacimento le sorti dei
convenuti. In definitiva quell’antro dove si può sperare alla
risoluzione del grande problema che assilla ciascuno di loro è
l’anticamera del trapasso, l’ultimo step di uomini piccoli,
miseri e biechi che come Icaro hanno chiesto troppo a loro
stessi ed al destino e per questo saranno puniti da un Dio
rappresentato da questo luciferino Mangiafoco. A tratti
viene in mente il libro noir (poi divenuta anche pellicola) di
Carlo Lucarelli “Almost blue”, soprattutto nello splatter
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17/11/2014
Pontedera: 'Alla luce' delle carte teatrali di Michele Santeramo - Il Fatto Quotidiano
finale.
Ma potremmo trovare anche sponde nel Mito, al sapor di
Magna Grecia, per giustificare meglio l’ammasso smisurato e
l’effluvio di segni disseminati nel testo e nella regia: la donna
assassina (Silvia Pasello sempre compassata e misurata)
potrebbe essere Medea, o una delle Parche, o una Arpia, fino
a divenire Edipo che si trafigge le pupille, il croupier (l’attore
rumeno Sebastian Barbalan ha più la fisicità di un pukfolletto che di un demone diabolico) è Cassandra che dice la
verità ma non viene creduto, tutti sono Tiresia, il fratello
ingenuo (Michele Cipriani, ben incarna l’ansia e la
vulnerabilità del soggetto) potrebbe somigliare a Epimeteo
(“colui che riflette in ritardo”), maldestro per eccellenza,
consanguineo appunto di Prometeo (Francesco Puleo qui
meno fisico e trascinatore di altre precedenti prove,
leggermente con il freno a mano, solitamente è suo il ruolo
del Master), fino al marito tradito-Tazio Torrini (perde nel
confronto con la ferocia scenica della Pasello, contenuto, ma
voce di rara intensità), novello Agamennone. Se il riuscire a
vedere non ci permette di vedere fino in fondo, è questo il
dilemma amletico.
Altre repliche: fino al 9 novembre al Teatro Era, Pontedera,
»
6 e 7 marzo 2015 a Livorno, 20 e 21 marzo Scandicci.
Terza pagina
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«
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dei diritti”
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OFFTOPIC
NUOVA DRAMMATURGIA A PONTEDERA
ANDREA PORCHEDDU
16 novembre 2014
Sempre inseguendo le tracce di una possibile nuova drammaturgia italiana, sono sbarcato a Pontedera – da anni, si
sa, una tappa necessaria per chi si occupa di ricerca – andando incontro a due testi che, sulla carta, suonavano piuttosto
interessanti. Devo dire che le aspettative non sono andate deluse.
È interessante seguire l’apertura, per tappe successive, di un solido monolite come il Teatro Era: guidata da Roberto
Bacci e Luca Dini, la struttura sta dando sempre più spazio – anche e soprattutto produttivo – a gruppi e artisti della
nuova scena italiana. Investendo e investigando, come è prassi del gruppo toscano, anche i margini di una scrittura
costantemente in divenire.
Due i lavori in cartellone, diversi per impianto e esito. Ne diamo conto volentieri, proprio perché frutto di una sostanziale e
sana commissione (altri direbbero “scommessa”) su autori italiani.
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Il primo è Perché non ballate?, che Gabriele Di Luca ha riscritto partendo dalle mille suggestioni possibili che emanano
dai racconti di Raymond Carver, con la regia di Anna Stigsgaard. È intrigante notare come ci si rapporti al mito e
all’immaginario americano: la nostra cultura, diceva una volta Jack Lang, è “nazional-americana”, ovvero talmente intrisa
di americanismo da esserne mutata profondamente, addirittura geneticamente. Stigsgaard, fortunatamente, non affonda
nella palude del cliché, tiene anzi le redini di un percorso che non esclude momenti di rarefatta astrazione; ben sospinta,
in questo, dalla scrittura nervosa, pratica, “neo-realista” (occorrerà una nuova definizione per parlare di questo autoreattore-regista della compagnia Carrozzeria Orfeo) che Di Luca mette in campo. Una drammaturgia, la sua, che mescola
piani narrativi e temporali, gioca in un carillon amaro in cui storie d’amore e di alcol di coppie allo sbando si
sovrappongono e si sostituiscono; slittano continuamente per poi ritrovarsi, in una spirale che affascina. Il lavoro si
avvale di una buona coppia di attori maschili, Michele Altamura e Roberto Capaldo, ma cede un po’ nella protagonista
femminile, forse ancora acerba per un ruolo troppo impegnativo (prima giovane, poi anziana).
L’esito è ancora da far crescere, da limare, proprio perché Carver (e dunque Di Luca) richiedono un “minimalismo”
tutt’altro che semplicistico – ma questo, si sa, è il guaio che rende complicati tanti testi che vengono da oltreoceano: non
possiamo trattarli come classici, nemmeno come sit com tv, ed è la via di mezzo che spesso ancora ci manca.
Decisamente più strutturato, e complesso, il percorso che Roberto Bacci ha fatto su Alla Luce, testo del bravo Michele
Santeramo. Intanto, com’è prassi del regista, si inventa uno spazio: che è una fenditura del grande palcoscenico del
teatro, una camera rettangolare ristretta da pesanti tende nere che racchiude pubblico e attori. Un clima soffocante,
dunque, senza riferimenti o appigli. Un tavolino, e poco altro a riempire questo spazio. Poi gli attori: strani, nei loro abiti
appena definiti, una coppia elegante, due fratelli più sciatti, e un croupier-mago-imbonitore che è un po’ Cotrone, certo, in
questa storia di mezze verità e apparenti visioni.
Il fatto è che tutti sono ciechi (e forse anche il croupier, che ha in mano il loro destino, lo è) e sono là per giocarsi – in
una sfida senza esclusione di colpi – il bene per loro più prezioso: la vista. Chi vince, tornerà a vedere. Si gioca con carte
(bellissimi i disegni di Cristina Gardumi), e forse si bluffa, ma poco importa. La questione qui è altra, ovviamente
metaforica. Non so quanto Santeramo si sia ispirato a Cecità, di Saramago, romanzo che già possedeva tutte le derive
filosofico-esistenziali di questo gioco (e anche di più). Di fatto, però, bastano poche battute, qualche gesto, per essere
imprigionati in quel clima asfissiante, cupo, anche volgare. Bravi, loro, a tenere le tensioni sottili di un essere e apparire,
di un mascheramento e svelamento che lascia intendere più che dire. In scena, si notano certo Sebastian Barbalan
(inquieto e fastidiosamente sottile croupier) e la straordinaria Silvia Pasello (una figura sempre sospesa, in febbrile ma
rassegnata attesa, consapevole di sé e del proprio destino). Ma tutti hanno momenti di grande forza: Michele Cipriani,
Francesco Puleo, Tazio Torrini. Vale la pena recuperare la vista? Siamo pronti, davvero, a vedere? A tornare alla luce?
Dubbi pirandelliani, più che amletici, ma ancora e sempre imbarazzanti nella loro irrisolutezza. Roberto Bacci guida
bene il gioco, tesse questo affresco con grande nitore, senza aggiungere e senza strafare, semmai sottraendo, portando
al nero, al buio più assoluto e spaventoso, anche gli spettatori. Finito lo spettacolo, almeno alla replica cui ho assistito,
c’è stato un denso silenzio del pubblico, lunghi minuti sospesi, senza che nessuno si muovesse o applaudesse: una
tensione strana, viva, pulsante. Un’attesa che era fragorosa consapevolezza: forse amarezza.
TAG: Alla Luce, Anna Stigsgaard, Gabriele Di Luca, Josè Saramago, Michele Altamura, Pontedera Teatro, Roberto
Bacci, Silvia Pasello
CAT: Teatro
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La sadica partita di Bacci, dove la posta in gioco è la vista | Europa Quotidiano
http://www.europaquotidiano.it/2014/11/11/la-sadica-partita-di-bacci-dove-la-po...
CUL T URA
ALESSANDRA BERNOCCO 11 NOVEMBRE 2014
STAMPA
La sadica partita di Bacci, dove la posta in gioco è la
vista
Al Teatro Era di Pontedera il 12 e 13 dicembre Roberto Bacci mette in scena il nuovo testo di Michele
Santeramo
La prima scena è occupata da un individuo che gesticola in modo disarticolato, come a richiamare l’attenzione. Un imbonitore, forse,
ma con lo sguardo perso, slegato dai gesti e dai pochi punti di riferimento che ci sono intorno. Non ci guarda, forse non ci vede
nemmeno. Forse è cieco. Forse lo era e ora non lo è più.
E per questo può provocare chi vorrebbe vedere.
«Credete che vedere sia meglio?» Sapete che «poi
non si potrà più tornare indietro?» Si rivolge così a
due coppie di ciechi, una formata da due fratelli,
l’altra da marito e moglie, che stanno per sfidarsi
in una singolare partita in cui la posta in gioco è
LEGGI ANCHE:
Quel Finale di partita ha i colori del Sud
La morte della drammaturgia contemporanea
Disagio, malinconia e inso#erenza: e noi non siamo guariti
proprio la vista. E vestendo i panni (sadici) del
croupier gestisce i giochi le cui regole sono
contenute in un libro che si intitola Alla luce, scenicamente collocato su un leggio al fondo del palcoscenico che si sviluppa in
profondità.
Alla luce è il titolo del nuovo testo scritto da Michele Santeramo e messo in scena da Roberto Bacci, che ha da poco debuttato al
teatro Era di Pontedera (repliche in loco il 12 e 13 dicemnbre) e poi in tournée.
Protagonisti, insieme al croupier di Sebastian Barbalan, Michele Cipriani e Francesco Puleo nel ruolo di due fratelli legati da un
rapporto di forza, in cui il più vecchio investe sul più giovane come potenziale vittima sacrificale; e Tazio Torrini e Silvia Pasello, marito
e moglie uniti e divisi in un conflitto che sarà svelato dal gioco stesso.
Sono tutti idendificati da un segno preciso, convenzionale come gli occhiali scuri o il bastone bianco, o libero, come il cappello a
cloche calato sugli occhi della signora.
Ciascuna coppia ha un passato che interferisce in modo più o meno determinante con le regole del gioco ma le regole del gioco
prescrivono che si debba sapere governare le proprie emozioni. E, come nella migliore tradizione narrativa che trova i suoi codici più
espliciti nello schema di Propp, ci sono delle prove da superare. «La luce – dirà il croupier in uno dei tanti snodi della partita – non è
per tutti».
Senza entrare nei dettagli del gioco, che consta di tre movimenti successivi, risulta subito chiara la dimensione di conflitto che permea
l’intero processo: non tanto perché a una sola coppia sarà dato vedere, ma perché ognuno è gravato da ombre, incertezze, rancori,
1 di 2
14/11/14 16:15
La sadica partita di Bacci, dove la posta in gioco è la vista | Europa Quotidiano
http://www.europaquotidiano.it/2014/11/11/la-sadica-partita-di-bacci-dove-la-po...
sospetti a cui non si può e non si deve dare seguito.
Superare le prove significa anche sorvegliare le nostre emozioni negative, riconoscerle come parte di noi invece di giustificarle sulla
base di un’autopercezione distorta e sleale, che assolve a priori.Significa, cavalcando la metafora di cui vive il testo, fare luce sulla
nostra anima nera. Partorendo verità dolorose, crudeli, nascoste o rimosse dalla coscienza.
E allora sarà so#erenza, delusione, disillusione. La cecità non è solo il velo di Maja ma la siepe dell’infinito che tutto lascia
immaginare. La realtà invece sa essere brutale, soprattutto quando ci riguarda o appartiene, e bisogna essere preparati per
accoglierla, comprenderla, riconoscerla («Tu non dovevi vedere perché non sei pronto – dirà il fratello maggiore al più giovane e
ingenuo – e adesso io ho paura di te»).
Rinunciare può essere più conveniente, più comodo, meno doloroso. Anche a costo di farsi del male: cavandosi gli occhi per
scongiurare per sempre ogni possibile rigurgito di buona coscienza. Quello della donna è un atto estremo e irreversibile, che arriva
dopo che abbiamo appreso, dall’esasperato conflitto che deflagra tra lei e il marito, del sacrificio del figlio. Un sacrificio rivendicato ad
oltranza e non già un’assunzione di colpa, non un Edipo ma una Medea consapevole, nonostante quegli occhi sporchi di sangue che
la assicurano a vita alla menzogna.
Si parla di umani sentimenti e di umane perversioni in questo testo di Santeramo, e se ne parla in modo “disturbante”, portando il
testa a testa all’interno di ogni coppia alle estreme conseguenze. E si perseguono scelte “scorrette”, antiborghesi, confidando nel
rigore della propria invenzione, che si scontra probabilmente con la sensibilità di pochi e la pruderie di molti.
L’autore si manifesta con un nichilismo debordante, persino didascalico, forse metodico, senz’altro provocatorio, che confluisce
nell’adesione alla causa della donna. Il cui atto estremo, legittimato per assurdo, è la sua personale risposta alla difficoltà di diventare
esseri umani. «Essere umani si diventa ed è difficile», aveva detto il croupier, e si può anche scegliere di chiamarsi fuori.
La regia, che non si limita a mettere in scena ma rappresenta la committenza, l’idea condivisa da cui il progetto ha preso le mosse, si
so#erma sulle relazioni di coppia: non solo tra i due membri di ogni coppia tra loro, ma tra le diverse combinazioni che si vanno a
instaurare, come gioco comanda.
Lo spazio, stretto e lungo, non riproduce un ambiente verosimile ma un luogo della mente, dove il nero quasi totale viene interrotto
dalla luce di taglio che incontra i corpi e i pochi oggetti di arredo: due sgabelli, un grande libro scritto in breil, un tavolino e le enormi
carte da gioco disegnate da Cristina Gardumi che raffigurano le sette prove da superare.
Forse c’è ancora qualche interstizio da colmare, qualche raccordo da rendere più fluido, magari chiarendo meglio il rapporto tra
scene e controscene, ma lo spettacolo c’è, e c’è con un indiscutibile carico di pensieri e questioni.
@alebrej
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Alla luce
cieco
Michele Santeramo
Roberto Bacci
teatro
vista
14/11/14 16:15
Alla luce. Bacci e Santeramo nelle sfumature schiaroscure di ognuno
Scritto da Simona Cappellini - Krapp's Last Post (www.klpteatro.it)
Mercoledì 12 Novembre 2014 16:45
"Se non la si vede, la realtà può essere come la immaginiamo. La luce è una dittatura".
Questa affermazione, asserita in scena da Silvia Pasello, potrebbe rappresentare la chiave di
lettura di "Alla luce", nuovo lavoro firmato da Roberto Bacci (per la regia) e da Michele
Santeramo (per la drammaturgia).
Lo spazio scenico è raccolto e minimalista. Una sala ridisegnata per l’occasione, quasi tagliata
a metà e circoscritta da tende nere, per costruire una stanza oscura (a risaltare la condizione
dei personaggi) con un esteso effetto di profondità.
In scena solo pochi oggetti: uno sgabello, un leggio e un tavolo con un libro, quello delle regole
del gioco. Una scatola che può far pensare anche ad una mente dove si dibattono bene e
male, virtù e orrore. In poche parole, tutto il chiaro e lo scuro che regna dentro di noi.
La stanza sarà presto abitata da due coppie di ciechi, i giocatori, e dall’unico vedente (il
bravissimo Sebastian Barbalan) che dirigerà la partita come un croupier, o come il
presentatore di un circo che tenta di ammaestrare. I giocatori dovranno infatti riuscire a
dominare le loro emozioni.
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Alla luce. Bacci e Santeramo nelle sfumature schiaroscure di ognuno
Scritto da Simona Cappellini - Krapp's Last Post (www.klpteatro.it)
Mercoledì 12 Novembre 2014 16:45
Il meccanismo è retto tutto intorno alle inesorabili regole del gioco: ogni giocatore prende una
carta e chi ha quella più alta può scegliere la pena da infliggere alla coppia avversaria. Le pene
sono raffigurate in sette carte disegnate da Cristina Gardumi: tradimento, prevaricazione,
crudeltà, disprezzo, paura della morte, violenza, crudeltà. Se la pena viene eseguita dalla
coppia perdente il gioco andrà avanti, altrimenti l’altra coppia avrà vinto. Ma il premio è
proporzionale alla penitenza: chi vincerà potrà vedere.
Una drammaturgia apparentemente semplice ma in realtà ricca di spunti riflessivi, di sfumature
sottili e di risvolti che evidenziano i meccanismi contraddittori della realtà. Vedere significa
rispecchiarsi. Dunque siamo ciò che vediamo. Così, per i giocatori, la tanto bramata vista si
trasformerà in una condanna.
Molti i rimandi che possono essere colti: dal linguaggio brechtiano a "Finale di partita" di
Beckett (i due fratelli interpretati da Michele Cipriani e Francesco Puleo ricordano un po’
Hamm e Clov). Ma i giochi di forza, il destino che si gioca in una stanza e i personaggi che si
torturano a vicenda ci fanno pensare anche al Sartre di "A porte chiuse" e alla sua famosa frase
"L’enfer c’est les autres".
Molto riuscito l’assortimento dei personaggi. La coppia Cipriani/Puleo aggiunge leggerezza in
un crescendo di tensione, contrastando la profondità (anche recitativa) della coppia avversaria,
interpretata da Tazio Torrini e da una straordinaria Silvia Pasello, che sicuramente incarna il
personaggio più ambiguo e difficile, una donna lucida nella propria follia di madre assassina,
l’unica tra i personaggi che non vuole vedere, perché la realtà, se la vedi, ti delude.
Facendo emergere gli aspetti più fragili e talvolta meschini della loro vita i personaggi si
abbandonano in un gioco perverso che li condurrà all’unica importante visione da guadagnare:
la loro presa di coscienza.
Uno spettacolo ricco e non immediato, anche da rivedere, per cogliere ogni volta qualche
sfumatura in più.
Alla Luce
drammaturgia: Michele Santeramo
regia: Roberto Bacci
con: Sebastian Barbalan, Michele Cipriani, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini
costumi: "La Scaletta Creazioni" di Maria Giovanna Nardi
spazio scenico: Roberto Bacci
direzione tecnica: Sergio Zagaglia
allestimento e luci: Stefano Franzoni
immagine e grafica: Cristina Gardumi
organizzazione e produzione: Angela Colucci, Eleonora Fiori, Manuela Pennini
ufficio stampa: Micle Contorno, LeStaffette Raffaella Ilari e Marialuisa Giordano
comunicazione web: Pier Giorgio Cheli
foto: Alice Casarosa
produzione: Fondazione Pontedera Teatro
durata: 1h 15’
2/3
Alla luce. Bacci e Santeramo nelle sfumature schiaroscure di ognuno
Scritto da Simona Cappellini - Krapp's Last Post (www.klpteatro.it)
Mercoledì 12 Novembre 2014 16:45
applausi del pubblico: 2’ 60’’
Visto a Pontedera (PI), Teatro Era, il 1° novembre 2014
3/3
“Alla luce” al Teatro Era-Fondazione Pontedera Teatro |
CORRIERE SPETTACOLO
CHI SIAMO
http://corrierespettacolo.it/alla-luce-al-teatro-era-fondazione-pontedera-teatro/
REDAZIONE
“Alla luce” al Teatro Era-­‐‑Fondazione Pontedera Teatro
Una drammaturgia originale densa di spunti di riflessione per un pubblico selezionato.
Uno spazio angusto racchiuso tra enormi tendoni neri è quello in cui vengono accompagnati i pochi
spettatori del Teatro Era di Pontedera (non più di trenta) che hanno la possibilità di presenziare a una
cerimonia molto privata. Il luogo scenico è un parallelepipedo claustrofobico – un non-luogo isolato dal
resto della civiltà – dentro al quale l’uditorio è testimone di qualcosa di mai visto prima. Quattro
individui ciechi giungono per giocare a una speciale partita di carte che farà acquistare la vista al
vincitore. È questo l’inizio di “Alla luce” di Michele Santeramo per la regia di Roberto Bacci. I
contendenti sono i coniugi Mario (Tazio Torrini) e Maria (Silvia Pasello) e i fratelli Filippo (Michele
Cipriani) e Antonio (Francesco Puleo). Le prove da superare, tutte elencate nel libro “Alla luce” che
ciascun contendente ha ricevuto e ha dovuto studiare in precedenza, non sembrano particolarmente
difficili da affrontare e riguardano i principali sentimenti dell’essere umano: rivalità, tradimento,
crudeltà, disprezzo, violenza, prevaricazione, paura della morte. Ma in cosa consiste la partita?
Un croupier (Sebastian Barbalan), che gestisce il gioco e si fa arbitro della competizione, fa pescare a ogni giocatore una carta e chi si aggiudica la più alta
ha la possibilità di scegliere da un altro mazzo quella che rappresenta una delle prove di cui sopra. A quel punto proclama ad alta voce quale sia l’esame e
chi tra i suoi avversari deve sostenerlo. Per tutto il tempo i quattro devono continuare a contenere le loro emozioni, qualunque cosa succeda. Tutto qui.
Molto semplice. Quale occasione migliore, dunque, per tentare la propria sorte e avere finalmente la possibilità di poter vedere. Eppure le cose potrebbero
essere più difficili di quanto si sia messo in conto e il croupier lo annuncia subito e lo ripete senza sosta per buona parte della performance.
Di tali difficoltà si accorge subito Mario, quando Antonio vince la prima prova e, scegliendo la carta del
tradimento, decide che Maria deve avere un rapporto sessuale completo con Filippo. La donna non ha la
minima titubanza, laddove Filippo manifesta il suo disagio perché è vergine e Mario riesce a stento a
trattenere la sua gelosia. Ma non ci si può sottrarre alla prova decisa per non perdere la partita. E siamo
solo all’inizio. Col passare delle prove lo spettatore è coinvolto, insieme con i personaggi, in un vortice
implacabile di emozioni diverse che mettono a dura prova la stabilità emotiva e psicologica dei quattro,
che danno sfogo, chi più chi meno, ai loro sentimenti più profondi. Si viene quindi a conoscenza di
drammi passati e presenti che hanno distrutto, e continuano a farlo, la vita di ciascuno dei protagonisti:
a quel punto mantenere un atteggiamento di atarassia è davvero difficile, quasi impossibile. Eppure la
volontà di ottenere la vista è l’obiettivo più importante, perché, a differenza di quanto afferma più volte il
croupier («Vedere non è per tutti, sapere non è per tutti. Non vedere ha i suoi vantaggi») in fondo loro
sanno che la luce è verità e lo dice apertamente Mario: «Devo vedere per non avere dubbi, per sapere». Ma alla fine ciascuno si dovrà rendere conto che
forse le cose sono diverse da come le si erano pensate.
La contrapposizione tra luce/verità e tenebra/menzogna non è certo un argomento inedito e vanta una
tradizione plurimillenaria, pagana a cristiana. Ma al contempo c’è stata una profonda riflessione che ne
ha ribaltato il senso e se per Giordano Bruno «la tenebra è chiarezza», per Albert Camus «la verità come
la luce accieca» e «la menzogna, invece, è un bel crepuscolo, che mette in valore tutti gli oggetti». Non a
caso entrambi gli intellettuali sono stati fonte di ispirazione per Michele Santeramo. Ecco allora che
quando i vincitori acquistano la capacità di vedere, fanno fatica a guardare e non solo perché non vi sono
abituati, in quanto neo-vedenti. La cecità permetteva loro infinite soluzioni e una libertà senza confini
perché l’immaginazione poteva costruire il mondo e i suoi fenomeni senza dover sottostare alla dittatura
della luce, come riconosce Maria, che pur di non rischiare si fa strappare gli occhi dal croupier. La vista
ha il potere di rendere chiunque un essere umano, certo, e questo è ripetuto più volte nel dramma, ma
come il conduttore del gioco ci ricorda fin dall’inizio «essere umani non è per tutti, bisogna aprire gli
occhi e capire» se lo si può diventare.
E a buon intenditor poche parole!
Pontedera – TEATRO ERA, 1 novembre 2014.
Diego Passera
ALLA LUCE. UNA PARTITA A CARTE TRA QUATTRO CIECHI, AL CONFINE DELLA NOSTRA NOTTE – Autore: Michele Santeramo;
Regia: Roberto Bacci; Costumi: La Scaletta Creazioni di Maria Giovanna Nardi; Spazio scenico: Roberto Bacci; Direzione tecnica: Sergio Zagaglia;
Allestimento e luci: Stefano Franzoni; Immagine e grafica: Cristina Gardumi; Organizzazione e produzione: Angela Colucci, Eleonora Fiori,
Manuela Pennini; Ufficio stampa: Micle Contorno, LeStaffette Raffaella Ilari e Marialuisa Giordano; Comunicazione web: Pier Giorgio Cheli; Foto:
Alice Casarosa; Produzione: Fondazione Pontedera Teatro.
Interpreti: Sebastian Barbalan (Croupier), Michele Cipriani (Filippo), Silvia Pasello (Maria), Francesco Puleo (Antonio), Tazio Torrini (Mario).
Foto: Roberto Palermo.
1 di 1
05/11/14 13:20
fermataspettacolo.it
http://www.fermataspettacolo.it/teatro/alla-luce-sfida-ombre-contemporanee
Alla luce, una sfida tra ombre contemporanee
Massimo Gonnelli
★★★★★ Cosa spinge due coppie di ciechi al cospetto di un
misterioso croupier? Moglie e marito e due fratelli con la
smania di giocare una partita a carte del tutto singolare. Il
vincitore potrà tornare a vedere. Si, ma per farlo dovrà
superare una serie di prove, sette, come i vizi o le virtù,
mantenendo saldo il controllo emozionale tra le ombre
ripugnanti della società moderna.
Rivalità, tradimento, crudeltà, disprezzo, violenza,
prevaricazione, paura della morte, sono le sfide racchiuse
nelle carte che emergono come monolitiche cime da scalare. Il
vincitore riacquisterà la vista, ma per “vedere” cosa?
Questo è l’ambiente dall’evidente valore simbolico di Alla
luce, spettacolo che ha debuttato in prima nazionale al
Teatro Era di Pontedera, fuoriuscito dalla drammaturgia
originale di Michele Santeramo, dipanata nella regia di
Roberto Bacci con gli attori della Compagnia Laboratorio di
Pontedera.
Una luce metaforica, quella del titolo, frutto di una ricerca
interiore più che esteriore, come il raggiungimento di una consapevolezza spirituale che sfocia nell’illuminazione
orientale.
Come spiega Roberto Bacci «Se riuscissimo a vedere ciò di cui siamo capaci come individui, come società,
come nazioni, come esseri religiosi, come ospiti di questo pianeta, come creatori di economie, molto
probabilmente ci stupiremmo per l’orrore della nostra reale condizione.»
Così gli individui della commedia, accecati dal desiderio di tornare a vedere, una volta arrivati alla luce si trovano
smarriti, di fronte ad un uno specchio riflettente il loro inconscio e un destino solitario e meschino .
Il testo di Michele Santeramo è in gran parte avvincente e inquietante, come la gara che ne nasce. Entra a
fondo nelle pieghe dei personaggi, attraverso dialoghi feroci, spunti comici e giochi sadici, sviscera i vecchi rancori
e il disprezzo sopito tra moglie e marito e il rapporto fatto di insicurezza e prevaricazione dei due fratelli. Due
ambiti familiari complessi e perversi, con “ombre” che sovrastano la “luce” del calore umano. La meccanicità e la
prevedibilità fanno capolino in una narrazione che a tratti perde corpo e che lascia al vago momenti salienti dello
spettacolo, come il finale.
La messa in scena di Roberto Bacci, come ormai ci ha abituato, è minimalista. Pochi gli oggetti: due sgabelli, un
tavolino, un leggio, il libro delle regole (in braille) e grandi carte da gioco disegnate da Cristina Gardumi raffiguranti
le prove.
Lo spazio, orientato in verticale verso il pubblico, delimitato da tendaggi, è un non luogo, una proiezione mentale
del subconscio, dove David Lynch potrebbe ambientarvi una scena da film.
La regia di Bacci invece è incentrata sulla corporalità e sull’energia sottaciuta, come la prova da superare
nelle regole del gioco, con scatti d’ira (fin troppo strillati) e di ritmo (con qualche caduta) che percuotono una pièce,
anche come performance attoriale, non sempre in luce.
La nota più lieta dal cast viene da Michele Cipriani, già apprezzato ne La rivincita (leggi la recensione), che dona
quel pizzico di comicità e fragilità alla rappresentazione, trovando un ottimo amalgama con la dirompenza del
fratello maggiore, interpretato dal convincente Francesco Puleo.
In sintesi
Critico / recensore
Massimo Gonnelli
Data recensione
2014-11-05
Titolo
Alla luce - drammaturgia originale di Michele Santeramo, regia di Roberto Bacci
Valutazione
TeatroeCritica.net
Alla luce: Santeramo/Bacci e il teatro esistenzialista
2014- 11- 11 17:11:16 Andrea Pocosgnich
Alla luce. Recensione dello spettacolo con la drammaturgia di Michele
Santeramo e la regia di Roberto Bacci, visto al T eatro Era di Pontedera
f ot o R. Palermo
Quat t ro ciechi accet t ano un invit o e scelgono di giocare, le regole sono
semplici, si pesca una cart a e si gioca, ma in ballo c’è qualcosa di più prezioso
del denaro, i sent iment i sono inf at t i la merce di scambio di Alla luce, un gioco
al massacro scrit t o da Michele Santeramo su commissione del T eatro Era di
Pont edera, dove ha replicat o f ino al 9 novembre. L’allest iment o di Roberto
Bacci inst alla la plat ea sul palcoscenico chiudendo scena e sguardo in un
parallelepipedo recint at o da pesant i t ende nere che f ungeranno anche da
ingressi: spazio segret o dell’anima? Una scena vuot a nella quale i personaggi
si consumeranno alla ricerca di ciò che mai hanno avut o: la vist a.
“Governare le proprie emozioni”, quest a è la prima regola del gioco,
l’at t it udine ad anest et izzare i propri sent iment i e dunque a rivolgere verso gli
alt ri quello che pot rebbe f are più male: crudelt à, disprezzo, rivalit à,
prevaricazione, t radiment o, paura della mort e, violenza. Chi est rae la cart a più
alt a sceglie la prova a cui dovranno sot t oporsi gli alt ri.
La scrit t ura dell’aut ore pugliese, solit ament e radicat a nelle vicende quot idiane
di personaggi sf ort unat i, molt e volt e incapaci o impossibilit at i ad af f ront are le
sf ide della societ à, sf uma in un impast o f ilosof ico dagli echi sart riani. Anche
qui d’alt ronde «l’inf erno sono gli alt ri», lo sono al punt o da det erminare la
sof f erenza alt rui pur di avere un preciso benef icio: le due coppie, marit o e
moglie (Michele Cipriani, Silvia Pasello) e due f rat elli (Francesco Puleo,
T az io T orrini), si dist ruggono lent ament e.
f ot o R. Palermo
Come spesso avviene nei t est i di Sant eramo gli accadiment i det erminano la
rif lessione sulle relazioni, f amiliari e amorose, ma in quest o caso essi sono già
specchio di qualcosa di impalpabile come i sent iment i; manca la concret ezza
dei personaggi che hanno conquist at o la giuria del Premio Riccione, capaci sì
di f ar emergere poet icament e st raziant i int errogat ivi, ma con i piedi ben
piant at i nella vit a. In Alla luce invece assist iamo a una sort a di purgat orio che
però t roppo poco lascia int endere del passat o di quest i spirit i sof f erent i e la
rif lessione f ilosof ica, f olgorant e nell’idea di part enza, rischia di appiat t irsi in un
est enuant e ripet ersi di concet t i quasi banalizzat i, come la classica met af ora
sulla cecit à che nasconde una vist a int eriore più ef f icace, e ancora, vedere ciò
che è giust o e ciò che non lo è, dist inguere il bene dal male, ciechi di dolore,
ciechi di amore. Per f inire con l’immancabile dolore procurat o dalla vist a
riacquisit a, che equivale anche a get t arsi nel mondo, a rinascere e a dover
sopravvivere alla violenza. Test o e regia insomma che neppure aiut ano gli
at t ori (spesso presi da int emperanze e ire incont rollabili): non capiamo ad
esempio per quale mot ivo in una delle scene f inali emerga una relazione t ra la
donna e il croupier (Sebastian Barbalan), che nulla ha a che vedere con quella
impalpabile at mosf era met af isica creat a f ino a quel moment o.
Andrea Pocosgnich
T wit t er @Andreapox
T eat ro Era, Pont edera
da giovedì 23 ot t obre a domenica 9 novembre 2014
ALLA LUCE
Compagnia Laborat orio di Pont edera
produz ione Fondazione Pont edera T eat ro 2014
con Sebast ian Barbalan, Michele Cipriani
Silvia Pasello, Francesco Puleo, T azio T orrini
drammaturgia Michele Sant eramo
regia Robert o Bacci
I nostri consigli, dello stesso argomento:
Nella carne il silenzio. L'
Amleto di Roberto Bacci
in un deserto di spade e
f antasmi
Alcesti alle Murate.
Conversazione con
Massimiliano Civica
Per una drammaturgia
del presente, La rivincita
di T eatro Minimo
T eatro NEWS - "La
Rivincita" Incontro con
T eatro Minimo al Valle.
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Alla luce
All’ombra di Pontedera, l’astro dickensiano declinato tra Oriente e Occidente. Quali
orrori si nascondo alla luce?
Già nel 1956 Peter Szondi propugnava nel suo Theorie des modernen Dramas (Teoria del dramma
moderno) l’impossibilità di attuare oggi la tragedia classica perché, nella società odierna, sembra
impossibile affrontare l’assoluto.
Eppure, Michele Santeramo (come dramaturg) e Roberto Bacci (in veste di regista) tentano questa
sfida apparentemente impossibile, proponendo il ritratto di una Medea contemporanea che divora i
figli del suo Giasone (in questo caso, uno solo) e che rimanda, nel finale, alla figura edipica quando
vaga cieca perché incapace di sopportare l’orrore, dato che nel buio è più facile nasconderlo. A
interpretare questo difficile personaggio, una straordinaria Silvia Pasello, supportata in un ruolo
volutamente antinaturalistico da un altrettanto bravo Sebastian Barbalan.
Intrappolati in una camera nera (che, se estremizzata, nel finale potrebbe giungere ai virtuosismi
scenografici del teatro nero di Praga), quattro giocatori, hic et nunc, dovranno sfidarsi per diventare
finalmente dis-umani. Un gioco al massacro, ovviamente, nel quale il croupier (Barbalan) è insieme
moderatore e aizzatore, direttore di un circo da operetta, di un carrozzone di esistenze alla deriva.
Marchingegno complesso che suscita ansie in un crescendo di disvelamenti e lancinanti verità, Alla
luce possiede grandi qualità e carte valide da giocare. Quello che però non convince è la differenza
di registro interpretativo tra la tragicità brechtiana (dove lo straniamento epico rende l’orrore
contemporaneo quanto la maschera greca rendeva il mito) di Pasello/Barbalan e la recitazione
naturalistica di Cipriani/Puleo, che trasformano il dramma assoluto in una farsa tragicomica. In
parole semplici, sarebbe come se Volonté avesse interpretato il dirigente di polizia di Indagine su
un cittadino al di sopra di ogni sospetto con il registro dello statista democristiano de Il caso
Moro (o viceversa). A metà strada – troppo sopra le righe nella prima parte, credibile e spontaneo
nella seconda – Tazio Torrini nel ruolo di Mario.
A seguire, nella stessa serata, Roberto Bacci – questa volta nelle vesti di direttore artistico – propone
(e tanto di cappello a farlo) un secondo spettacolo, accomunato al primo dai temi portanti
(luce/infanticidio).
Dots and Lines, and the Cube Formed. The Many Different Worlds Inside. And Light - dei
giapponesi Mum&Gypsy – è un esempio di nuovo teatro del Paese del Sol Levante, che si distanzia
dalla tradizione pur riproponendone alcuni stilemi.
Utilizzando un fatto realmente accaduto (anche qui, l’uccisione di un bambino), Takahiro Fujita
(dramaturg e regista) attinge ad alcuni elementi propri del teatro Kabuki, quali l’enfasi sul
movimento o la proposizione di scene drammatiche poco connesse le une con le altre, innestandole
su un’interpretazione che si avvale di una caratteristica propria del Bunraku (il teatro delle
marionette giapponese), ossia la recitazione, oltre che delle battute, dei pensieri e delle didascalie.
Takahiro Fujita attinge però anche ad altre componenti dell’immaginario collettivo, di matrice
decisamente occidentale, come il montaggio sonoro Altman style che dà libertà ai personaggi di
interloquire liberamente e contemporaneamente ricreando quel chiacchiericcio tipico dei giovani
quasi frastornante (per intenderci, da Wasabi – film, non pasta verde); una ripetizione delle battute
che, sebbene propria del suo stile, è tipica del teatro occidentale contemporaneo almeno da Beckett
in poi; una serie di elissi temporali che ritroviamo anche a livello cinematografico – con esempi quali
Pulp Fiction, solo per citare uno dei film più pop degli ultimi anni; la moltiplicazione dei punti di
vista per raccontare e reinterpretare la medesima situazione – in tv, la serie Boomtown, tanto bella
quanto sfortunata e, al cinema, The Killing (Rapina a mano armata) di Kubrick o il più recente
Slevin di Paul McGuigan. Costumi e iconografia, infine, tipici degli Anime e lunghi capelli neri in
stile Ju-On ma senza effetti horror.
Il risultato è un teatro decisamente pop, contemporaneo e intrigante, di respiro internazionale, con
note agrodolci e un’insistenza feroce nel proporre le domande fondamentali (da dove veniamo,
chi/cosa siamo, dove andiamo), oltre a quelle proprie di una generazione cresciuta tra l’attacco alle
Torri Gemelle e il terremoto con conseguente tsunami del 2011 (senza nominare, però, il disastro
nucleare di Fukushima, sul quale sembra che i giapponesi abbiano calato una cortina di ferro
persino più invalicabile di quella originale).
Gli spettacoli continuano:
Teatro Era
Parco Jerzy Grotowski, Pontedera (Pisa)
da giovedì 23 ottobre a domenica 9 novembre, orari diversi
Compagnia Laboratorio di Pontedera presenta:
Alla luce
produzione Fondazione Pontedera Teatro 2014
drammaturgia Michele Santeramo
regia e spazio scenico Roberto Bacci
con Sebastian Barbalan (il croupier), Michele Cipriani (Filippo), Silvia Pasello (Maria),
Francesco Puleo (Antonio) e Tazio Torrini (Mario)
costumi “La Scaletta Creazioni” di Maria Giovanna Nardi
direzione tecnica Sergio Zagaglia
allestimento e luci Stefano Franzoni
immagine e grafica Cristina Gardumi
organizzazione e produzione Angela Colucci, Eleonora Fiori, Manuela Pennini
in concomitanza con Alla luce
venerdì 24, ore 22.30, e sabato 25 ottobre, ore 18.30
Mum&Gypsy (Giappone) presentano:
Dots and Lines, and the Cube Formed. The Many Different Worlds Inside. And
Light
testo e regia di Takahiro Fujita