Corriere della sera

LUNEDÌ 2 GIUGNO 2014 ANNO 53 - N. 21
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Del lunedì
Alleanze
Sul set di «Perez»
Zingaretti avvocato noir
«Dimentico Montalbano»
Alitalia, 560 milioni da Etihad
L’offerta per chiudere entro metà giugno
di Valerio Cappelli
a pagina 27
di Giuliana Ferraino a pagina 7
SENATO, UN ASSURDO BALLETTO DI IDEE
Il premier da Trento attacca l’agitazione: se l’annunciavano prima prendevo il 42 per cento
LA RIFORMA
NON È IN FORMA
Lo sciopero che divide la Rai
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40 6 0 2>
Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano
denti del Pd. Eppure nella
proposta del governo figura
una pattuglia di 21 cittadini
illustri, nominati dal capo
dello Stato. Ma il governo
stesso parrebbe averla abbandonata alla deriva, dopo
le critiche piovute da destra
e da sinistra. Non senza fondamento, quanto alla nomina affidata al presidente:
perché lo renderebbe signore d’un partito, trasformando perciò l’arbitro in un partigiano. Ma il principio no, il
principio è sacrosanto. Sui
banchi del nuovo Senato occorrerà uno sguardo lungo,
anziché incollato sulla prossima campagna elettorale.
Beni culturali, clima, energia, bioetica, innovazione
tecnologica: sono queste le
sfide che ci attendono. E per
affrontarle serve il contributo della scienza, fianco a
fianco alla politica.
Dopotutto, un tempo succedeva. Fra i 2.362 senatori
di nomina regia s’incontrano i nomi di Marconi (che
inventò la radio), Ferraris
(padre del motore elettrico),
Forlanini (cui si deve lo
pneumotorace). Oltre ad artisti e intellettuali come
Manzoni, Verdi, Carducci,
Verga, Croce, Einaudi. E il loro apporto fu spesso decisivo, per esempio durante la
malaria, nelle leggi per il
chinino di Stato approvate
fra il 1900 e il 1907. Viceversa, in questi settant’anni di
Repubblica sono stati appena 4 (su 37 nomine) gli
scienziati designati dai nostri presidenti. Curioso, proprio nell’epoca marcata dal
predominio della scienza.
Sicché pensiamoci, prima di
gettare quest’idea nel cestino dei rifiuti. In fondo, basterebbe spostare la scelta
sui Lincei (la più antica accademia scientifica del
mondo), come suggerisce
Elena Cattaneo. Perché la
rappresentanza non può divorziare dalla competenza.
Altrimenti ci terremo perennemente sul groppone competenti impolitici e politici
incompetenti.
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Prime defezioni nel fronte anti-tagli. Renzi: protesta umiliante
di PAOLO CONTI
di VIVIANA MAZZA
C
omincia a sfaldarsi il fronte dello sciopero Rai proclamato per l’11 giugno.
Al Tg3 aumenta l’insoddisfazione nella
base dei redattori che lamentano una scelta verticistica dell’Usigrai, il sindacato dei
giornalisti, e chiedono un confronto aperto. Da parte sua il premier Renzi insiste sui
tagli: «Sciopero umiliante, facciano pure».
Giannelli
In primo piano
P
Il partito della tv
perde i pezzi
ed è sotto assedio
di DARIO DI VICO
A PAGINA 5
A PAGINA 3
Il messaggio
Napolitano incalza:
basta inconcludenze
Al governo piace
lo «storytelling»
Addio narrazione
di MARZIO BREDA
di LUCA MASTRANTONIO
A PAGINA 3
A PAGINA 2
adre Frans Van Der Lugt,
gesuita, missionario,
non è risuscito a vedere la
fine dell’assedio. «Un
giorno, un miliziano con il
volto coperto è arrivato, lo
ha fatto sedere su quella
sedia e gli ha sparato alla
testa». Lo racconta Nazim
Qanawati, 50 anni,
ingegnere civile. È uno dei
24 cristiani rimasti fino
all’ultimo giorno, insieme a
200-500 civili musulmani e
2.000 miliziani ribelli.
Viaggio tra le macerie di
Homs, la città simbolo della
guerra in Siria. Domani si
vota in un Paese sconvolto.
ALLE PAGINE 12 E 13 con gli articoli
di Montefiori e Olimpio
La lista di Prandelli per il Mondiale in Brasile
Oggi il giudizio dell’Europa sui conti pubblici
Fisco, cambia il Catasto
Il piano «sblocca Italia»
per far ripartire le opere
di ENRICO MARRO
V
Nei 23 non c’è Rossi. Ci mancherà
di MARIO SCONCERTI
I
l ct della nazionale di calcio Cesare Prandelli ha scelto i 23 azzurri per il campionato del
mondo: fuori Giuseppe Rossi, che non offre sufficienti garanzie di ripresa dopo
l’infortunio, e Destro. Dentro Insigne. Ranocchia riserva in attesa di valutare le condizioni di
Barzagli e Paletta. (Nella foto, Giuseppe Rossi e Prandelli) ALLE PAGINE 28 E 29 Bocci, F. Monti, Ravelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ia libera alla riforma del
Fisco e al piano «sblocca
Italia» per far ripartire le
opere. Domani è in programma un vertice tra Renzi
e il ministro dell’Economia,
Padoan. Si partirà con il Catasto e con le semplificazioni, al centro delle quali c’è
l’invio della dichiarazione
dei redditi precompilata che
dovrebbe arrivare a casa dei
pensionati e dei lavoratori
dipendenti nel 2015. Nei
prossimi giorni dovrebbe intanto essere approvato il primo schema di decreto legislativo, quello sul Catasto.
Alla drastica semplificazione
degli adempimenti fiscali sarà dedicato il secondo decreto. Oggi il giudizio dell’Europa sui conti pubblici italiani.
T
A PAGINA 11
Oggi nel supplemento con il Corriere
Fenici, Pagliuca, Poggi Longostrevi
Con loro una suora
L’ex deputato latitante
Tornano liberi
i due preti veneti
rapiti in Camerun
due mesi fa
Parla Matacena:
resto a Dubai
Scajola? Chiara
non mi ha tradito
di CLAUDIO DEL FRATE
di FABRIZIO CACCIA
A PAGINA 16
Tasse e casa, come orientarsi tra calcoli e
scadenze. Prima i tormenti dell’Imu, ora
quelli per la Tasi, la nuova tassa sui servizi.
A due settimane dalla scadenza, l’unica
certezza riguarda l’Imu: si paga entro il 16
giugno ed è confermata l’esenzione per
l’abitazione principale. Per la maggior parte
degli italiani, invece, la Tasi slitterà a ottobre.
ALLE PAGINE 2, 3 E 4
E i militari si affidano ai metronotte
occa ai metronotte. Oggi, alla
parata militare per la festa della
Repubblica, a fare la guardia alle tribune destinate a ospitare le massime autorità dello Stato non saranno
soldati bensì guardie giurate private. Perché, pur avendo la responsabilità di gestire la parata, l’esercito
non disporrebbe delle attrezzature
per le tribune. Di conseguenza, il
ministero della Difesa deve ricorrere a un appalto esterno. Costo totale: un milione 800 mila euro.
Nel labirinto Tasi e Imu
Ecco come orientarsi
Ducci, Galluzzo, Offeddu
Festa della Repubblica La Difesa appalta la sicurezza per le tribune della parata
di SERGIO RIZZO
CorrierEconomia
ROBERTO PIROLA
S
e con un piede acceleri, mentre con l’altro schiacci il freno, il
testacoda è inevitabile. Attenzione: sta per succedere al nuovo Senato, archetipo di tutte le riforme.
Dopo il successo alle Europee, il governo ha fretta, il
Parlamento ha sonno. Il termine per la presentazione
degli emendamenti era già
slittato dal 28 al 30 maggio,
poi al 3 giugno: il rinvio del
rinvio. Ma intanto il partito
di Alfano ne ha depositati
13, quello di Berlusconi 37.
Piccoli numeri, rispetto al
diluvio universale minacciato da Calderoli: 3.550
emendamenti. Senza dire
dei grillini, dei mal di pancia all’interno del Pd, delle
febbriciattole accusate dai
partiti minori. Conclusione:
nonostante le vitamine dispensate da Napolitano
(l’ultima proprio ieri), la riforma non è in forma, anzi è
proprio acciaccata.
Per rimetterla in sesto,
urge un passaggio in farmacia. D’altronde la ricetta è
chiara: o il Senato continuerà a svolgere qualche utile
funzione, oppure tanto vale
sbarazzarsene. Non avrebbe
senso trasformarlo in un orpello delle nostre istituzioni, dopo averle alleggerite
del Cnel. Qui tuttavia diventa indispensabile il bilancino del farmacista. Se la Camera esprime la volontà legislativa, il Senato dovrà bilanciarla con poteri di
controllo. Se la prima regge
il cordone ombelicale con il
governo nazionale, il secondo potrà ben reggerlo con i
governi locali. E se i deputati
incarnano il primato della
politica sulle cose terrene, ai
senatori toccherà rappresentare un altro spazio,
un’altra esperienza umana.
In sintesi: di qua le appartenenze, di là le competenze.
Sennonché questo punto
è finito sotto un cono d’ombra, nel dibattito che si trascina stancamente attorno
alla riforma del Senato. Tutti
i contrasti vertono sull’elezione diretta dei nuovi senatori, caldeggiata dai dissi-
HOMS, FALLISCE
TRA LE MACERIE
LA RIVOLUZIONE
CONTRO ASSAD
IPP / CARLO FERRARO
di MICHELE AINIS
Il reportage
A PAGINA 18
2
Primo Piano
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Il governo Le scelte
«Sblocca Italia» e Fisco,
l’agenda di Renzi:
la Ue? Non temo pagelle
Le soprintendenze nel mirino del premier
«Trovo umiliante lo sciopero a viale Mazzini»
DAL NOSTRO INVIATO
Le scadenze
Il nuovo Senato
e la legge elettorale
Il premier Renzi ieri ha
stilato un elenco di
misure nell’agenda di
governo per il breve
periodo: prime fra tutti
le riforme istituzionali,
«la prossima settimana
riparte la discussione
sul Senato e poi
torniamo a quella sulla
legge elettorale»,
ha detto ieri a Trento
Uffici pubblici
e giustizia civile
A seguire la riforma
della Pubblica
amministrazione,
in parte per decreto
in parte per ddl delega,
che per il premier
arriverà in porto il 13
giugno. Entro il primo
luglio, poi, secondo la
road map, il ddl delega
sulla giustizia civile,
con l’introduzione delle
tecnologie telematiche
I ritardi con il fisco
e lo «sblocca Italia»
Ammettendo ritardi con
la riforma del fisco, il
premier ha annunciato
una novità in arrivo:
lo «sblocca Italia»,
un provvedimento per
liberare «interventi
fermi da 40 anni»
e per «rendere il fisco
semplice e rovesciare
il rapporto esistente
tra Stato e pubblica
amministrazione»
TRENTO — La fase due della
rottamazione di Matteo Renzi è
rivolta a 360 gradi dentro e fuori
il Paese. L’Europa, quella attuale, quella che «ci dice tutto di
come un pescatore dell’Adriatico deve fare il suo mestiere» è
anche quella dei «tecnocrati»,
che «girano la faccia dall’altra
parte quando un bambino muore» nel canale di Sicilia, in quelli
che sono anche mari europei,
ma evidentemente più per la tipologia delle lenze e le tecniche
di pesca, che per i principi morali, quelli «latitano», accusa e
insieme ironizza il capo del governo.
Ma accanto a questo tipo di
Ue c’è anche una questione interna, con altri due tipi di potere
da riformare. Quello politico, la
classe che «per anni è stata campione mondiale di alibi, quella
che non si è mai presa una responsabilità», quella che il giorno dopo le elezioni «non avevano mai perso». E quello meno
appariscente, che in parte era
seduto ieri mattina all’Auditorium di Santa Chiara, nel centro
storico di Trento, che lo applaudiva, ma che ha avuto un attimo
di sussulto quando il premier
l’ha messa giù senza perifrasi,
perché «dopo le riforme del Senato e della legge elettorale» ci
occuperemo anche «della classe
dirigente di questo Paese, che
per anni ci ha fatto la morale».
Al Festival dell’Economia
Renzi arriva in jeans sdruciti,
scoloriti, come gli capita sempre
più spesso. In prima fila ex ministri come Fabrizio Saccomanni, l’ad di Fiat Chrysler, Sergio
Marchionne, un simbolo della
sinistra come Franco Marini (in
realtà la fila è la settima). L’economista Tito Boeri gli gira una
serie lunga di domande, Enrico
Mentana sviluppa i temi di Boeri e conduce l’intervista pubblica. Alla fine, proprio Marchion-
ne dirà: «Mi è piaciuto, è l’unica
agenda che in questo momento
ha l’Italia e anche l’Europa, condivido tutto».
Agenda dice Marchionne,
quasi un manifesto dicono in
sala, sicuramente c’è un elogio
del ruolo migliore della politica,
una rivendicazione impostata
su parametri a tratti drammatici. Se negli Stati Uniti, in Asia, in
Giappone, spiega Renzi, «hanno
tutti dato una risposta alla crisi
economica, risposte diverse ma
efficaci, qui in Europa ancora
cerchiamo la formula giusta».
Conseguenza: delle raccomandazioni in arrivo dalla Ue «terremo conto, ma non sono il problema, non ho timori», come
non è un problema il nome del
futuro vertice dell’Unione, piuttosto «la Ue ha bisogno di cambiare linea economica o la politica torna a fare il suo mestiere e
riprende il suo potere di indirizzo sulla burocrazia o non ci salviamo».
Una politica diversa a Bruxelles come a Roma. Se lì manca fra
gli altri «una politica estera»,
qui da noi occorre una «rivoluzione pacifica del buon senso»,
che può significare tante cose,
tutte finora difficilissime. Per
esempio occorre smetterla di fare calcoli e cominciare a pensare
che «il risultato elettorale dimostra che possiamo andare verso
due schieramenti, che mettono
la residenza al 40%». Occorre
Tra la folla
Il presidente
del Consiglio
Matteo Renzi
si ferma
in strada
a salutare
la folla
al suo arrivo
al Festival
dell’Economia
di Trento,
organizzato
da Tito Boeri:
tra sorrisi e strette
di mano, il premier
ha posato anche
per alcune
foto ricordo
(Afp/Pierre Teyssot)
cambiare mentalità, che ci sia
«uno che abbia responsabilità, il
ballottaggio serve a dire questo,
a dire chiaramente chi ha vinto e
che deve fare delle cose che se
non gli riescono, anche per colpe non sue, gli verranno attribuite». Occorre ancora diminuire il numero dei politici, anche
con un Senato senza compensi,
perché viceversa i posti si molti-
❜❜
A me piace la tv
pubblica dei
professionisti
sganciata dalle
ansie dei partiti
plicano, «i politici sono come le
ciliege, uno tira l’altro».
Uno schema che ha anche ricadute personali: «Siamo i teorici della rottamazione, un governo di 30enni o 40enni, fra
dieci anni dovremo noi essere
rottamati, andare a fare un altro
lavoro, perché così accade negli
altri Paesi».
Se questo è il manifesto dei
❜❜
Dopo la riforma
del Senato
ci occuperemo
anche della
classe dirigente
prossimi anni ci sono anche altri tabù della sinistra da abbattere: dopo i magistrati, dopo la
Costituzione che non è la più
bella del mondo («lo sapete che
per i padri costituenti il bicameralismo perfetto fu un ripiego?»), dopo i sindacati da snobbare, entrano nel mirino le Soprintendenze, mentre annuncia
un provvedimento che chiame-
❜❜
La rottamazione
vale anche per
noi, tra dieci anni
dovremo fare un
altro lavoro
rà sblocca Italia: anche i custodi
del bello del Paese impediscono
gli investimenti, bloccano il Paese. Una volta, poco tempo fa,
erano uno dei feticci della sinistra. E invece ora «faremo entro
luglio un provvedimento che si
chiamerà sblocca Italia, chiederemo ai sindaci di dirci tutte le
opere bloccate dalla mancanza
di concerto, dai vincoli e dai divieti delle Soprintendenze. La
regia sarà a Palazzo Chigi, vi abbineremo il massimo dell’open
government, trasparenza assoluta, dobbiamo essere più trasparenti degli anglosassoni».
E figuriamoci se in questo
schema le polemiche sulla Rai,
la minaccia di uno sciopero di
fronte ai tagli chiesti dal governo, trovano il capo del governo
in posizione di difesa: «Abbiamo dato alla Rai due chance,
vendere Rai Way o riorganizzare
le sedi regionali, non mi sembra
L’analisi La tecnica di comunicazione sperimentata da Reagan negli anni 80 ha in Berlusconi, Veltroni e Vendola i suoi epigoni
Dal marketing alla politica, ascesa dello storytelling
Promuovere l’Italia attraverso la narrazione
Ecco la ricetta (americana) del premier
MILANO — La misura economica
per far ripartire l’Italia, per Matteo
Renzi, è lo «storytelling». Cioè, una
«narrazione» che migliori la capacità
di promuovere le eccellenze del Paese,
contagiando positivamente mezzi e
destinatari (una «narrazione virale»).
Lo storytelling nasce nel marketing
Usa, come capacità di vendere un prodotto o un marchio attraverso il racconto della sua storia, reale o fittizia.
Per questo Renzi non l’ha dovuto spiegare al Festival dell’economia di Trento, dove ha parlato ieri. Fu quasi necessario, invece, alla conferenza del
programma delle riforme, dove c’era
una slide con un pesce rosso, a indicare — fu poi detto — di cosa non avreb-
be parlato. I pesci, infatti, sono muti.
Lo storytelling fu sperimentato in
politica negli anni 80 in America con
Ronald Reagan, ma se ne servì anche
Bill Clinton, a dimostrazione della natura post-ideologica dello strumento.
Venuti meno i Grandi Racconti delle
ideologie novecentesche, saper raccontare è vitale per imporsi, soprattutto se non si è proprietari, o molto
legati ai proprietari dei mezzi di comunicazione: qualità intrinseca dello
storytelling è la predominanza del
«messaggio» (reso narrativo) rispetto
al «medium»: una narrazione virale
incrocia diversi media e pubblici.
Non tutte le narrazioni politiche
fanno storytelling (se suonano false,
fredde o respingenti). Quella di Nichi
Vendola è immaginifica, poetica, ma
retorica, pasoliniana, da erede di Fausto Bertinotti, il parolaio rosso. Anche
la narrazione «proverbiale» di Pier
Luigi Bersani era ricca, tra giaguari da
smacchiare e bambole da pettinare,
ma da cultore di lessicografia rurale. A
sinistra, un vero storyteller è stato
Walter Veltroni, che racconta Enrico
Berlinguer con stile hollywoodiano.
Ma il re, prima di Renzi, è stato Silvio Berlusconi: con la videocassetta
della discesa in campo, l’opuscolo
Storia di un italiano e immagini virali
tipo le «toghe rosse», con cui è riuscito, grazie anche ai capelli fulvi di Ilda
Boccassini e lo storytelling resistenziale di Saverio Borrelli con la linea del
Piave, a convincere gli italiani che nonostante la fine dell’Urss i comunisti
Protagonisti
Borrelli
Ex pm, 84
anni, nel
2002 coniò
lo slogan
«Resistere,
resistere,
resistere»
contro
Berlusconi
Baricco
Scrittore,
56 anni, tra
le presenze
al Big Bang,
convention
voluta da
Renzi alla
Leopolda
di Firenze
Farinetti
Dirigente
d’azienda,
59 anni,
fondatore
di Eataly,
catena di
alimentari
d’eccellenza
fossero ovunque, persino nella magistratura.
Renzi, a differenza di Silvio e della
vecchia classe politica molto forte in
Rai, e similmente a Beppe Grillo che
però ha un’altra storia, ha puntato sui
nuovi media e un’etica a loro associabile: accesso e partecipazione. Qualcosa di simile allo storytelling aperto,
liquido, descritto da Frank Rose in Immersi nelle storie (Codice). Con i voti
di primarie ed europee, tra rottamazione e governo, ha reso partecipi alla
vita politica e al potere nuove persone.
Così Renzi ha reso più potente sul
piano narrativo la sua storia di vita e di
successo, suo e delle persone intorno,
come Alessandro Baricco e Oscar Farinetti, proprietari di fabbriche di storie: la scuola Holden, dove si insegna
storytelling aziendale, e Eataly, dove
non si vendono prodotti alimentari,
ma la cultura che c’è dietro, facendo
credere al consumatore di farne parte.
Luca Mastrantonio
criticalmastra
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Primo Piano
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
3
Il Quirinale Il messaggio: ora il nostro Paese può parlare a voce alta in Europa
Spinta di Napolitano per le riforme:
c’è più fiducia, basta inconcludenze
Il capo dello Stato: gli italiani lo hanno capito, serve stabilità
tanto. Se poi uno dei luoghi più
politicizzati del Paese, dove ancora c’è chi scambia la carriera
con la vicinanza ad un partito,
luogo dal quale io voglio stare il
più lontano possibile, se vogliono fare lo sciopero lo facciano, è
umiliante, poi faremo due conti
sulle sedi regionali, siamo
l’azionista, a me piace la Rai dei
professionisti, con una governance sganciata dalle ansie dei
partiti, non una polemica incredibile fatta dal sindacato interno».
L’unico argomento che non si
può aggredire è quello del fisco:
«La riforma l’ho un po’ bloccata
io, è un tema molto complesso.
Abbiamo 271 forme di deducibilità, dobbiamo tornare ad essere un Paese come gli altri, dove si pagano le tasse una volta
l’anno. Ma ci vorrà del tempo».
80
10
Marco Galluzzo
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euro Il bonus Irpef
per dipendenti,
disoccupati in
cassa integrazione
o in mobilità con
un reddito fino a
24 mila euro annui
anni L’orizzonte
che si è dato
Renzi in politica:
«Noi teorici
della rottamazione
diamo il buon
esempio»
ROMA — I toni non sono
né ansiogeni né, com’è ovvio,
trionfalistici. Sono piuttosto
ispirati a una condizionata,
ma ragionevole, speranza. Ed
è la prima volta, dopo anni di
crisi devastante e di terapie
penitenziali, che gli italiani
sentono parlare di «fiducia»
in una chiave alla quale si può
credere. È Giorgio Napolitano
a evocarla, e lo fa «guardando
obiettivamente all’insieme
delle posizioni politiche che si
sono confrontate nella recente
consultazione elettorale». Voto che — non ha bisogno di
dirlo — ha visto arretrare la
retorica populista e nichilista
e affermarsi invece un’esplicita voglia di riconciliazione con
la politica. Purché seria e credibile. Un giro di boa che va
oltre l’exploit di Matteo Renzi
e le aspettative concentrate su
di lui. Infatti, è quasi un passaggio d’epoca e offre indicazioni precise, che il presidente
mette in fila nel suo messaggio per la festa della Repubblica. Con l’ansia di dare in prima
persona una spinta per la stabilità, le riforme, il lavoro, la
questione morale, il nostro
stesso ruolo a Bruxelles.
I «fatti che devono rendere
tutti noi più fiduciosi», per il
capo dello Stato si riassumono
nella «necessità di forti cambiamenti in campi fondamentali». Ecco quel che gli italiani
chiedono. Le urne lo hanno
sancito con un’evidenza tale
da consentire all’Italia — unica nazione, assieme alla Germania, dove gli euroscettici
non abbiano umiliato i governi in carica — di «parlare a voce alta in Europa e contribuire
a cambiarne le istituzioni e le
politiche». Questo il primo
punto, ma non basta. «Si sono
moltiplicate nella società, e
specialmente tra i giovani, le
manifestazioni di volontà costruttiva e di spirito d’iniziativa». C’è insomma una nuova
voglia di farla, la politica.
Reazioni impensabili solo
pochi mesi fa, quando il Paese
veniva descritto come depresso, esausto e impaurito dopo
una «pesante crisi» (sfociata
in stagnazione) che ha portato
«la realtà sociale a conoscere
✒
Il male ereditario
e i dubbi legittimi
dell’Europa
di LUIGI OFFEDDU
«N
Al Colle Il capo dello Stato Giorgio Napolitano durante la registrazione del discorso per il 2 Giugno (Ansa)
I temi
La riforme
Nel tradizionale
intervento televisivo per il
2 Giugno, il capo dello
Stato Giorgio Napolitano
(foto Ansa) ieri ha
richiamato Parlamento e
governo alle proprie
responsabilità,
commentando l’esito
delle Europee: «Gli taliani
hanno detto con
chiarezza che vogliono
stabilità e riforme
strutturali. Questa
necessità di stabilità, che
ho sempre richiamato, è
stata largamente
compresa dagli italiani»
La ripresa
Dai risultati delle elezioni,
ha detto il presidente,
non si può non capire che
gli italiani «vogliono
lasciarsi alle spalle il buio
della crisi economica e
vivere in un’Italia diversa.
Il problema è ora quello
di passare rapidamente
alle decisioni e alle azioni
per aprire la prospettiva
di un nuovo sviluppo per
l’Italia. Niente scuse o
ritardi: il da farsi è ormai
delineato»
gravi passi indietro, come dice
il livello insopportabile cui è
giunta la disoccupazione, specie quella giovanile». Ora,
spiega il presidente, «se questa deriva si è fermata, se registriamo sia pur deboli segnali
di ripresa, il problema è passare rapidamente alle decisioni e alle azioni che possono
migliorare le condizioni di
quanti hanno sofferto di più
per la crisi, e aprire la prospettiva di un nuovo sviluppo per
l’Italia». Dunque, ciò che bisogna fare «è ormai delineato».
Su tutto, ripete, senza mostrarsi spazientito per aver visto troppe volte inevasi i propri appelli, «determinanti sono le riforme strutturali, tra le
quali già in cantiere quelle per
le istituzioni e per la pubblica
amministrazione, per il lavoro
e per un’economia più competitiva».
Chiaro che per imprimere
davvero uno scatto, per «cambiare verso» come giura di saper fare il premier, serve «un
confronto civile in Parlamento». Anzi, questa è la precondizione. Napolitano la «auspica», perché «una ricerca di intese è dovuta per ogni modifica costituzionale». Però,
avverte con severità (e mutuando espressioni usate nel
giorno del suo secondo insediamento al Quirinale), «è
tempo di soluzioni, non di
nuove inconcludenze». Di più:
«La strada del cambiamento
passa per molte altre innovazioni», su altri versanti. E,
«proprio perché essa è lunga e
complessa, si richiede continuità, non instabilità; tenacia,
non ricorrente incertezza».
Del resto, la «necessità» di
dare un orizzonte adeguato all’esecutivo «è stata largamente compresa dagli italiani» e il
responso del voto europeo resta un inequivocabile memorandum. Per tutti i partiti, non
soltanto per quelli che formano la maggioranza, Pd in testa.
I giovani
«Nella società,
specialmente tra i
giovani, c’è più volontà
costruttiva»
Infine, ma certo non ultima
nell’agenda delle priorità indicate da Napolitano nel suo
messaggio, «il cammino del
nostro Paese verso un futuro
migliore passa egualmente attraverso una lotta senza quartiere alla corruzione, alla criminalità, all’evasione fiscale».
Un cammino al quale «tutte le
forze vitali dello Stato e della
società sono chiamate a cooperare» e che «non può essere
inquinato e deviato da violenze, intimidazioni, illegalismi
di nessun genere».
Marzio Breda
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Il commento
Se il premier assedia i fortini della sinistra che fu
di DARIO DI VICO
S
e lo sciopero dei dipendenti Rai
contro il governo fosse stato
indetto qualche giorno prima
delle elezioni europee, ha assicurato
Matteo Renzi dal palco del Festival
dell’Economia di Trento, sarebbe
stato meglio perché «avrei preso il
42,8 e non solo il 40,8%». La battuta
è spietata ed è diretta contro quello
che resta del glorioso «partito Rai»,
rimasto a lungo una delle constituency più influenti del centrosinistra. I sondaggisti raccontano addirittura che negli anni che vanno
dalla metà dei 90 al 2004 per connotare gli elettori di centrodestra e
centrosinistra non si usassero più i
vecchi parametri identitari come
imprenditore vs tuta blu oppure la
frequenza alla Santa Messa ma «la
fiducia in Mediaset» contrapposta
«alla fiducia nella Rai». Per tutta la
fase iniziale della Seconda Repubblica, se eri di sinistra confidavi nelle magnifiche sorti dell’azienda televisiva di Stato.
In parallelo all’interno di Viale
Mazzini si andava creando una situazione singolare: dal 2001 fino al
2012 i vertici aziendali sono stati
scelti dai governi a guida berlusconiana ma «la pancia della Rai» è rimasta sempre e comunque affezionata alle bandiere del centrosinistra. I segretari via via succedutisi a
Botteghe Oscure e al Nazareno hanno guardato con grande attenzione
a questa membership e hanno pescato a piene mani dal vivaio Rai per
intercettare il voto romano (con
Piero Badaloni, Piero Marrazzo, David Sassoli). Il primo leader che non
si è appassionato al tema ma vuole
addirittura emanciparsene è pro-
prio Renzi, conscio forse che nei
sondaggi di opinione la popolarità
di Rai e Mediaset è scesa drasticamente al livello dei partiti e delle
banche e che alla domanda «chi fa,
secondo lei, servizio pubblico televisivo» molti intervistati rispondono indicando Sky o La7.
In sostanza come la sfida portata
alle alte burocrazie dello Stato e alla
dirigenza della Cgil è servita a Renzi
per fare il pieno di voti al Nord e in
particolare in Veneto, così l’opposizione frontale al partito Rai dovrebbe aiutarlo a liberarsi di un’altra di
quelle «catene della sinistra» (come
recita il titolo del libro di Claudio
Cerasa) che sono state azioniste occulte del progressismo italiano. Come ha ribadito anche nel suo show
di Trento il premier punta a «mettere la residenza» a quota 40% e per
questo ha in mente un posiziona-
mento del suo partito che alla fine
produca un interclassismo dell’epoca di Internet. Per ottenere questo
risultato Renzi deve far guerra alle
piccole caste rosse senza rompere
con la base sociale del centrosinistra e con i suoi valori tipici come
l’attenzione alla scuola o la solidarietà verso gli immigrati. Non ripudia il voto di pensionati, operai, dipendenti pubblici e ceti urbani intellettuali — «la società bersaniana» — punta invece ad aggiungere
al voto di sempre il consenso di fette
La metamorfosi
All’inizio della Seconda
repubblica l’area progressista
si identificava nella Rai
e nei sindacati. Ora non più
consistenti dell’imprenditoria autonoma e del lavoro precario. Due
segmenti del mercato elettorale che
non amano lo Stato e tutto ciò, compresa la Rai, che rimanda ad esso. La
manovra sugli 80 euro in più in busta paga è stata da questo punto di
vista esemplare, porterà ristoro
economico ai lavoratori dipendenti
ma ha anche generato una querelle
con la Cgil dimostrando così all’elettorato chi è pragmatico (lui) e
chi è invece ideologico (Susanna
Camusso). Idem con il tetto agli stipendi degli alti burocrati presentato
come una norma desunta addirittura dalla lezione di Adriano Olivetti,
un’icona della sinistra, e nei fatti
una sforbiciata destinata a far capire
agli elettori che l’inciucio tra il centrosinistra e i grand commis di Stato
deve considerarsi archiviato.
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on ho particolari timori
sulle valutazioni che
deve fare la Commissione
europea», dice Matteo Renzi.
Non è una riflessione
comune fra gli altri leader,
e tuttavia è probabilmente
giustificata. Renzi pensa alle
raccomandazioni economiche
che la Commissione diffonderà
oggi, per i prossimi 12-18 mesi
e per tutte le nazioni Ue, e al
giudizio che esprimerà sulle
loro politiche di bilancio.
Il governo italiano è quello
uscito più rafforzato dal voto
popolare alle elezioni europee,
annuncia varie riforme vicine
a quelle invocate da Bruxelles,
promette la stabilità. Nella
riflessione di Renzi, non merita
dunque grandi reprimende.
E poi, ragionando con un altro
metro, è difficile che la
Commissione — fra l’altro alla
fine del suo mandato — voglia
metterlo troppo in difficoltà:
non per compiacenza, ma
perché non sarebbe
nell’interesse dell’eurozona.
Tuttavia, accanto ai
complimenti, qualche
strigliata anche severa è da
mettere in bilancio, perché
l’Italia, insieme con Croazia e
Slovenia, è uno degli unici 3
Stati Ue, su 28, messi sotto
osservazione per «squilibri
macroeconomici eccessivi»
(per altri 10, si parla «solo» di
«squilibri macroeconomici»).
Il suo peccato mortale ed
ereditario si chiama come
sempre debito pubblico
eccessivo, il secondo più alto in
Europa dopo quello greco. Quel
debito, per la Commissione, è
direttamente legato alla
«debole competitività
esterna»: ed entrambi «alla
fine affondano le loro radici
nella protratta crescita abulica
della produttività». E che la
preoccupazione accesa a Roma
riguardi tutta l’eurozona,
Bruxelles lo ripete da mesi: «La
necessità di un’azione decisa
per ridurre il rischio di effetti
negativi sul funzionamento
dell’economia italiana e della
zona euro, è particolarmente
importante viste le dimensioni
dell’economia italiana».
Oggi l’Ue dirà se Roma, a suo
giudizio, ha recuperato e
recupererà nella sua battaglia
contro il debito pubblico.
Diversamente, per lei come per
gli altri Stati «indiziati»
dell’eurozona, sono già
previste pesanti sanzioni che
potranno arrivare allo 0,1% del
prodotto interno lordo
nazionale. I «particolari
timori», in questo caso, ci
sono, o dovrebbero esserci.
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4
Primo Piano
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
» Approfondimenti I provvedimenti allo studio
NUOVO CATASTO E 730 PRECOMPILATO
PARTE LA RIFORMA DELLE TASSE
Valori della casa,
semplificazione
dei tributi e accise
sui tabacchi tra le
prime misure da
tradurre in decreto
ROMA — Vertice domani tra il
presidente del Consiglio e il ministro
dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per
mettere a punto i primi decreti di attuazione della riforma del Fisco, la
legge delega approvata il 28 febbraio
dal Parlamento. È stato lo stesso Matteo Renzi ad annunciarlo, spiegando
che finora ha tenuto lui ferma l’attuazione della riforma per decidere su
quali aspetti puntare. Si partirà con il
catasto e con le semplificazioni, al
centro delle quali c’è l’invio della dichiarazione dei redditi precompilata
che dovrebbe arrivare a casa dei pensionati e dei lavoratori dipendenti nel
2015, secondo i piani del premier. Che
proprio su questo sta chiedendo ai
tecnici di accelerare, per varare l’operazione nel giro di qualche settimana.
Nei prossimi giorni dovrebbe intanto
essere approvato il primo schema di
decreto legislativo (che poi andrà alle
Camere per i pareri delle commissioni
parlamentari e poi tornerà in Consiglio dei ministri per il varo definitivo), quello sul catasto.
Il provvedimento darà il via alle
nuove commissioni censuarie, che
dovranno fare la revisione delle rendite secondo le direttive della legge
delega. Il criterio guida per l’attribuzione del valore catastale delle case
non sarà più il numero dei vani ma i
Il vertice
In calendario per
domani un incontro
tra il premier e il
ministro
dell’Economia
Padoan sulla legge
delega di riforma
Agevolazioni fiscali e rendite catastali
Immobili
Persone fisiche
Casa
Famiglia
I valori delle rendite
in base ai metri quadrati
Il primo decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale potrebbe essere varato già questa settimana dal Consiglio dei
ministri. Conterrà le regole per le nuove
commissioni censuarie che dovranno revisionare le rendite catastali di 62 milioni di
immobili. Si procederà valutando non più i
vani ma i metri quadrati e le zone di ubicazione. L’operazione richiederà anni: 5 secondo l’Agenzia del demanio, ma
il governo vorrebbe stabilire tempi più rapidi. Contro le
nuove rendite catastali il cittadino potrà presentare ricorso.
Dalla riforma del catasto, promette il governo, non deriverà
un aumento delle imposte sulla casa, ma una distribuzione
del prelievo più rispettosa del valore reale degli immobili.
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Dichiarazioni
L’invio a casa dal 2015
per pensionati e dipendenti
Un altro decreto legislativo conterrà le
misure di semplificazione all’insegna del
«Fisco amico» che potrebbero comprendere anche l’invio della dichiarazione dei
redditi precompilata a casa di pensionati
e lavoratori dipendenti, dal 2015. Il modulo conterrà i dati già in possesso del fisco (stipendio, pensione, immobili) e il cittadino dovrà
aggiungere le detrazioni per spese mediche, mutui, eccetera. Una serie di semplificazioni riguarderanno le imprese. Per incentivare la fatturazione elettronica si stabilirà
la possibilità di riscuotere subito i crediti Iva e compensare crediti e debiti fiscali. Ci sarà un servizio di consulenza
online per risolvere i problemi con interpelli telematici.
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Riordino sgravi
A settembre la revisione
di detrazioni e deduzioni
È uno dei capitoli più attesi della
riforma del Fisco. Se ne parla dal
2011, quando il rapporto Vieri Ceriani censì più di 700 agevolazioni fiscali tra detrazioni (si sottraggono all’imposta lorda) e deduzioni (si sottraggono all’imponibile). Una giungla dove, accanto ai capitoli principali (detrazioni
lavoro dipendente, carichi familiari, spese sanitarie) convivono numerose duplicazioni e sprechi. Il
riordino degli sgravi, dai quali potrebbe derivare
un maggior gettito di qualche miliardo, verrà probabilmente affrontato a settembre, insieme con la
predisposizione della legge di Stabilità per il 2015.
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9,49
0,13
Imprese
Imposte
dirette
Risparmi
e investimenti
15,88
Altre imposte
indirette
TOTALE
AGEVOLAZIONI
720
253,75
pari a
Crediti
di imposta
Irap
6,90
23,67
63,96
58,10
0,22
In miliardi di euro
Consumi, imposte indirette e immobili
Imposte
Rendite catastali
Iva
su assicurazioni
private e vitalizi
Lavoro e pensioni
21,06
Erogazioni
Altre
liberali
misure
e terzo settore
metri quadrati. E si terrà conto delle
zone dove si trovano le stesse, per correggere gli squilibri attuali, con gli
immobili nelle zone centrali di pregio
che spesso godono di vecchie rendite,
inferiori a quelle di appartamenti costruiti nelle periferie. Dall’operazione,
che richiederà qualche anno, perché
ci sono 62 milioni di immobili censiti,
non deriverà un aumento del gettito
ma solo una sua distribuzione più
equa, assicurano i tecnici. E del resto
anche il capogruppo di Ncd al Senato,
Maurizio Sacconi, pone questa come
una delle condizioni fondamentali
della riforma, insieme con una drastica semplificazione degli adempimen-
miliardi
di euro
4,02
40,94
1,23
Accise
2,37
Tributi
locali
4,03
ti fiscali. E proprio a questo sarà dedicato il secondo decreto legislativo. Tra
le misure in cantiere: incentivi all’uso
della fatturazione elettronica, forte
semplificazione della contabilità per
le imprese, servizio di consulenza fiscale online. In arrivo anche la revisione delle accise sui tabacchi, necessaria dopo una recente pronuncia del
Tar, che potrebbe portare a un lieve
aumento di prezzo per le sigarette del
segmento più basso. La revisione della giungla delle oltre 700 deduzioni e
detrazioni fiscali slitta invece a settembre con la legge di Stabilità 2015.
Enrico Marro
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La differenza tra valori effettivi e valori catastali
ai fini di Imu, Tasi e imposte per l’acquisto
Valori vendita in euro/mq
Imponibili
Media
Valori
Valori
per acquisto
valori
imponibili reali/
prima casa
reali
per Imu
valori
di vendita e Tasi
fiscali
Valori
reali/
valori
fiscali
Bologna
3.384
1.410
2,4
969
3,5
Firenze
3.261
1.254
2,6
862
3,8
Genova
2.701
1.286
2,1
884
3,1
Milano
3.016
1.371
2,2
943
3,2
Napoli
2.471
988
2,5
680
3,6
Enti non commerciali
Palermo
1.543
532
2,9
366
4,2
0,39
Roma
3.370
1.685
2
1.158
2,9
Torino
2.778
1.462
1,9
1.005
2,8
ITALIA
1.626
678
2,4
466
3,5
1,39
Fonte: Elaborazione Corriere della Sera su dati Agenzia delle Entrate
Infrastrutture Da oggi le lettere ai sindaci che in 15 giorni dovranno segnalare le opere non avviate
Edilizia, ex aree industriali, cantieri fermi
entro luglio il grimaldello «sblocca Italia»
ROMA — Il modello è simile a quello
adottato per gli interventi nell’edilizia scolastica. Se non fosse che l’annuncio di ieri
del premier, Matteo Renzi, punta ad andare molto oltre le indicazioni ricevute nelle
settimane scorse da 5.200 Comuni interessati al recupero o alla realizzazione di
scuole. Questa volta Palazzo Chigi, come
spiegato da Renzi a Trento dal Festival dell’economia, invierà a tutti i Comuni italiani una richiesta dove indicare le criticità e i
vincoli che ostacolano gli investimenti in
opere ferme o in cantieri bloccati nei rispettivi territori. Tanto che i sindaci, tramite il presidente dell’Anci (Associazione
Comuni italiani) Piero Fassino, hanno subito fatto sapere di essere allineati. «Io e
tutti i sindaci italiani siamo pronti a raccogliere le richieste del presidente del Consiglio. In ogni città e Comune ci sono progetti che, se finanziati, possono decollare
in breve tempo contribuendo così al rilancio della crescita e alla creazione di lavoro».
L’Auditorium di Perugia
A Perugia il sindaco uscente, Wladimiro
Galbiati, ha colto l’invito chiedendo il
completamento della superstrada Perugia-Ancona, la realizzazione dell’Auditorium e la riconversione di un’area «immensa» come quella dell’ex carcere. Stessa
musica, per esempio, ad Ascoli, dove Guido Castelli, rieletto lo scorso 25 maggio,
chiede il recupero e la valorizzazione di
un’area di 27 ettari, finora ricoperta di materiali ferrosi e di amianto. I casi di scuola,
insomma, abbondano. Ciò che resta da capire è come sarà strutturato in dettaglio il
provvedimento che Renzi ieri ha ribattezzato sblocca Italia. L’idea del premier è ottenere nell’arco di 15 giorni le indicazioni
da parte degli enti locali con gli elenchi
delle opere bloccate, piuttosto che la lista
degli immobili abbandonati a causa di
ostacoli burocratici e inefficienze della
macchina amministrativa. Il presidente
del Consiglio, da tempo critico nei confronti delle sovrintendenze, vuole un
provvedimento ad hoc che renda possibile
l’intervento sui singoli beni, riattivando
così i cantieri impantanati da anni. Il decreto sblocca Italia, secondo il premier,
dovrebbe essere emanato entro la fine di
luglio e «sarà operativo da subito». L’annuncio è la consueta fuga in avanti di Renzi, che, peraltro, fa seguito ai colloqui della
settimana scorsa con i ministri
Pier Carlo Padoan (Economia),
Maurizio Lupi (Infrastrutture) e
Federica Guidi (Sviluppo economico).
Il ruolo di Cdp
A Palazzo Chigi durante gli incontri con i titolari dei dicasteri e
con Cassa depositi e prestiti si è
discusso delle possibili aree e degli strumenti di intervento. Va però stabilito se le
misure contenute nel decreto sblocca Italia
accoglieranno anche gli interventi in materia di competitività a cui sta lavorando il ministero dello Sviluppo
economico. Tutto potrebbe confluire in un unico maxiprovvedimento. Di certo come spiega il
sottosegretario all’Economia,
Giovanni Legnini, «si sta già operando per mettere insieme un intervento che coinvolge più ministeri. Il tema è come fare ripartire
subito le opere dotandole, dove
necessario, di risorse spendibili».
La cabina di regia
Ad agevolare l’elaborazione del decreto
dovrebbe contribuire il fatto che le competenze sulla coesione territoriale nel governo Renzi sono rimaste in capo alla pre-
sidenza del Consiglio. Non a caso, una volta ricevute le indicazioni da parte dei sindaci, sarà istituita una cabina di regia
proprio a Palazzo Chigi per svolgere un
ruolo di supervisione prima e dopo il varo
del decreto. Il provvedimento costituirà
dunque uno dei cardini della politica di
governo in materia di rilancio dell’economia e del lavoro. Il tutto transita per un
La bonifica del sito a Bagnoli
L’abbattimento nel 2003 delle torri
Italsider, prima tappa della bonifica del sito
L’autostrada Napoli-Bari
Il viadotto dell’autostrada Napoli-Bari
è in attesa di lavori di ristrutturazione
piano di alleggerimento e accorciamento
degli obblighi burocratici e amministrativi, avvicinando così l’Italia alla media degli altri Paesi Ue. «Sarà un procedimento
— dice il premier — chiaro sotto il segno
della trasparenza totale, per dare un messaggio diverso. L’Italia dovrà essere il Paese della trasparenza, più degli anglosassoni, più efficiente della Germania, più fantasioso di prima». Uno degli obiettivi, del
resto, è cercare di attrarre investimenti
stranieri. Renzi anticipando il dl sblocca
Italia ha anche suggerito quali siano le
opere o le aree che richiedono interventi
immediati.
Le urgenze di Roma
Tra gli esempi citati sono finiti la bonifica di Bagnoli: «non possiamo permetterci un posto così bello ridotto in quelle condizioni» e le interminabili lungaggini della
tratta alta velocità sulla linea Napoli-Bari.
Intanto tra le città con una lunga lista di
opere in stand by figura da tempo Roma.
Nella capitale sembrano intenzionati a
sottoporre velocemente al governo l’elenco delle opere bloccate e delle urgenze da
risolvere. Il sindaco Ignazio Marino da
mesi è in attesa di un parere del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, per completare i lavori della metro linea C. Un’altra pagina
nera è quella relativa alla Città dello sport
con il progetto le Vele dell’archistar spagnolo Santiago Calatrava. Il cantiere è partito nel 2005 ma oggi servirebbero ancora
70 milioni di euro per completare la struttura. Destino di incertezze e ritardi anche
per la Nuvola, ossia il nuovo centro congressi disegnato dall’architetto Massimiliano Fuksas, in attesa di un finanziamento da 100 milioni, previsto dalla legge di
Stabilità del 2013, ma non ancora erogato.
Andrea Ducci
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Primo Piano
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
5
#
Conti pubblici Il caso
Viale Mazzini, il fronte dello sciopero si spacca
La discussione interna al sindacato Rai. Insoddisfazione anche nella redazione del Tg3
ROMA — Comincia a sfaldarsi il fronte dello sciopero
Rai proclamato per l’11 giugno.
Al Tg3 aumenta l’insoddisfazione nella base dei redattori
che lamentano una scelta verticistica dell’Usigrai, il sindacato
dei giornalisti, e chiedono un
confronto aperto sullo sciopero
lamentando di non aver mai affidato all’organismo sindacale
alcun mandato per un’astensione così importante e significativa. Lo stesso direttore Bianca Berlinguer, con i suoi vice,
sarebbero ostili allo sciopero. E
parliamo dell’ex Telekabul. Anche un volto noto come Massimo Giletti prende le distanze:
«Sono convinto che chiudersi,
non accettando un’analisi su
una inevitabile ristrutturazione
di un’azienda come la Rai, sia
un atto di conservatorismo che
va contro un’opportunità importante che invece c’è da cogliere. Possiamo difendere una
sede come Sassari, di 900 metri
quadri con 7 dipendenti? Possiamo non pensare che si possano rivedere l’organizzazione
e le strutture delle sedi regionali?». Corradino Mineo, senatore del Pd ed ex direttore di
Rainews, ricorda: «Non si è
scioperato nemmeno quando
Berlusconi proclamò il suo
editto bulgaro», ovvero quando chiese nel 2002 l’espulsione
dalla Rai di Enzo Biagi, Michele
Santoro e Daniele Luttazzi.
Le dure parole di Matteo
Renzi («uno sciopero umiliante, facciano pure e poi confrontiamo i numeri e quanto costa-
no le sedi regionali, un Paese
civile deve fare una scommessa
culturale con la Rai. Non sfruttiamo appieno la potenzialità
dei contenuti») hanno aperto
una discussione interna nell’Usigrai. Fino al punto di immaginare una cancellazione
dello sciopero nel caso si aprisse un confronto con l’azionista ,
il ministero dell’Economia,
non tanto e non solo sul taglio
dei 150 milioni di euro richiesti
alla Rai con la spending review
quanto sul futuro dell’azienda.
Avverte Vittorio Di Trapani, segretario nazionale del sindacato: «Per noi lo sciopero non è
certo un obiettivo». Nel senso
che sareste disposti a rivedere
la vostra posizione? «Tutto si
può fare, anche ridiscutere lo
sciopero, se la strada indicata
da Renzi, quindi dall’azionista,
è davvero quella della riforma
Rai. Noi siamo pronti da tempo, assolutamente inascoltati, a
discuterne con l’azionista e
l’azienda. Proponiamo il rinnovo della concessione subito nel
2014, uscita dei partiti e dei governi dal controllo della Rai,
lotta all’evasione, canone sociale, riorganizzazione aziendale. Vogliamo combattere gli
sprechi e siamo disposti a indi-
carli: appalti, consulenze esterne, produzioni esterne, contratti di collaborazione inutili e
superpagati, mentre in azienda
continuano marginalizzazioni
e sottoutilizzazioni».
Martedì l’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi
pubblici essenziali valuterà la
legittimità dello sciopero proclamato dai sindacati Rai per il
prossimo 11 giugno. E sono in
molti ad attendere segnali dal
vertice Rai. Il direttore generale, Luigi Gubitosi, sta ridefinendo il piano industriale dopo la richiesta dei 150 milioni
da parte del governo. Molti pre-
mono perché proponga presto
anche un ridisegno dell’azienda. E c’è chi ricorda che già nel
settembre 2012 il direttore generale manifestava perplessità
sul gran numero di tg generalisti Rai (quattro: Tg1, Tg2, Tg3,
Rainews 24, più i Tg regionali).
Il Tg unico è da tempo un cavallo di battaglia del Consigliere di
amministrazione Luisa Todini.
Ma c’è chi sussurra che sul tavolo del viceministro dell’Economia, Enrico Morando, ci sarebbe più di qualche appunto
sul futuro assetto della Rai.
Paolo Conti
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I numeri
Ricavi
3.000
Tagli
in milioni di euro
Utile netto in milioni di euro
in milioni di euro
-250
2.998
2.950
-189
1.313
2012
+5,3
1.340
2.900
2013
1.151 Costi esterni
per beni e servizi
2.850
-38
2.800
2.786
2.750
2.748
-244,6
2.700
2011
2012
2013
Ascolti
share medio
in prima serata
nel 2013
2011
2012
2013
Indebitamento in milioni di euro
40%
-441
2013
-366
2012
-272
2011
Fonte: Rai
CORRIERE DELLA SERA
L’analisi Così i partiti della Prima Repubblica riuscirono a occupare l’azienda. Influendo su programmi e carriere
Quelle tv ostaggio di Dc, Psi e Pci
«capolavoro» della lottizzazione
ROMA — C’era una volta la Rai tripartita. Rai1 e Tg1 alla Dc-area cattolica, Rai2 e Tg2 al Psi-area socialista,
Rai3 e Tg3 al Pci e all’area della sinistra. Fu il capolavoro lottizzatorio realizzato, per conto della partitocrazia
della Prima Repubblica, dal direttore
generale Biagio Agnes nel 1987, quando assegnò al duo Angelo Guglielmi
(sulla tolda della nuova Rai3) e a Sandro Curzi (alla guida del Tg3, poco dopo Telekabul) il compito di rappresentare il maggior partito di opposizione. Appunto, il Pci. Era il periodo in
Linea chiara
Nel 1992 l’allora direttore del
Tg1 Bruno Vespa spiegò che
l’«azionista di riferimento»
era la Democrazia cristiana
cui il Tg2 era affidato ad Antonio Ghirelli, da poco uscito da Palazzo Chigi
come portavoce di Bettino Craxi premier. Ed era anche la stagione della
prima direzione al Tg1 di Albino Longhi, professionista di provata cultura
cattolica. Il patto era granitico. Lo confermò nell’aprile 1992, in un’intervista al Corriere della Sera, l’allora direttore del Tg1 Bruno Vespa quando sostenne che l’«azionista di riferimento» del tg ammiraglio Rai era la Dc in
quanto partito di maggioranza relativa. Poco dopo Manipulite avrebbe
spazzato via un intero mondo politico, ma allora la cultura interna Rai era
quella ben descritta da Vespa.
Erano gli anni in cui si strutturò il
famoso Partito Rai, politicamente trasversale, capace di opporsi graniticamente a qualsiasi progetto di riforma
di ciò che allora, in virtù di quella tripartizione, già di per sé appariva irriformabile. I tre partiti principali della
scena politica italiana lo sostenevano
più o meno esplicitamente, ma comunque nei fatti. E per decenni l’Usigrai, il sindacato interno dei giornalisti Rai, funzionò da intermediario e da
camera di compensazione tra le spinte
del Palazzo, le controspinte dell’azienda e le ambizioni professionali
dei singoli. Non c’era carriera interna
(dal top delle vicedirezioni dei tg nazionali alla nomina di un vicecaposervizio dello sport in una sede secondaria di un Tg regionale) che sfuggisse al
bilancino Usigrai in parallelo con i
partiti. In quel periodo il Partito Rai
(ala sinistra) sostenne senza riserve
non solo la nascita e il successo di Rai3
(un nome per tutti, Michele Santoro
con la sua nuovissima Samarcanda)
ma l’affermazione del Tg3 di Curzi.
La potenza del Partito Rai si vide
anche quando organizzò la mobilitazione «Abbonato alza la voce» nel
1995 per chiedere una riforma dei criteri di nomina del cda. A raccogliere le
firme (al potere c’era Silvio Berlusconi) scesero in piazza i volti noti: Lilli
Gruber, Carmen Lasorella, Piero Badaloni, Sandro Curzi. E quella volta si
toccò con mano quanto la Rai fosse
ancora popolare tra la gente comune,
soprattutto quella animata da sentimenti (anche) televisivamente antiberlusconiani.
Ma parliamo di vent’anni fa. Oggi
c’è un’altra Italia politica. Ma il Partito
Rai è ancora fortissimo, nonostante il
vistoso distacco da una quota crescente di abbonati e con un panorama
politico stravolto rispetto a quegli anni. Appena il 15 maggio scorso in Senato c’era la dimostrazione plastica di
I volti
Tg1 Albino Longhi, area Dc, due volte direttore
Tg2 Antonio Ghirelli e Bettino Craxi nel 1985
Tg3 Sandro Curzi l’ha diretto dal 1987 al 1993
come un nuovo Partito Rai si fosse
compattato opponendosi alla richiesta avanzata dal governo guidato da
Renzi di versare 150 milioni allo Stato
nel nome della spending review.
Emendamenti contro il taglio erano
stati presentati dalla Lega, da sempre
coinvolta nella gestione dei centri di
potere della sede milanese, che chiedeva direttamente la soppressione
dell’articolo senza alcuna alternativa.
Segnale non secondario, se si pensa
che Roberto Maroni, governatore della Lombardia, ha da tempo chiesto al
dg Gubitosi di progettare una nuova
sede Rai a Milano: «Riteniamo quella
attuale obsoleta. Noi siamo interessati, e lo dico come presidente della Regione in qualità di socio della società
Arexpo, a che la Rai in questa sua ricerca di un’area idonea per la sua nuo-
Potere trasversale
Contro i tagli da 150 milioni
di Renzi si è schierato
in Aula un fronte che va
dalla Lega ai Cinque Stelle
va sede guardi anche all’area Expo».
No ai tagli, sempre quel 15 maggio
scorso, anche da Sel: «Un taglio lineare volto a rendere più debole il servizio pubblico anche in termini di correttezza e oggettività dell’informazione». Un emendamento del Pd, primo
firmatario Salvatore Margiotta, proponeva di sostituire il taglio di 150
milioni con il 50% del recupero dell’evasione del canone, valutato intorno ai 500 milioni di euro. Per non parlare dei 5 Stelle. Il presidente della
Commissione di vigilanza, Roberto
Fico, non ha lasciato spazio a dubbi:
«Lo sciopero? Legittimo nel metodo e
assolutamente motivato nel merito». I
decenni passano, il Partito Rai resta,
con una bella plastica facciale politica.
P. Co.
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Il retroscena Il no a Camusso
L’altolà dei renziani
alla sinistra «antica»
e al partito unico
ROMA — Che cosa dovrebbe essere il Pd per Matteo
Renzi? Un partito «che si apre alla gente, il partito
degli elettori, della società, dei cittadini, una
comunità di donne e di uomini». Insomma, qualcosa
di ben diverso da quello che immaginava ieri in
un’intervista al Corriere Susanna Camusso, la quale
prefigurava una fusione tra il Pd e Sel in una sola
forza politica che prendesse a esempio il modello
Cgil. Niente di più lontano dalla mentalità di Renzi e
da quel suo atteggiamento che gli ha consentito di
oltrepassare l’asticella del 40%. Il premier non
arriverebbe mai a dire quello che osservava ieri un
renziano della prima ora: «Il Partito unico della
sinistra? Vi rendete conto di qual è l’acronimo? Pus.
Sì, proprio così, pus, come quella materia purulenta
che viene fuori quando avete un’infezione». Però è
certo che il Renzi-pensiero sia un altro rispetto a
quello di Camusso, il che non vuol dire che abbia
problemi con Vendola. Anzi i due si stanno anche
simpatici. Peccato però che il governatore della
Puglia che voleva portare Sel nel Pse abbia dovuto
cambiare linea al congresso del suo partito perché era
in minoranza e si sia dovuto accodare a Tsipras.
Comunque, il premier non mira affatto a un partito
che nasca dall’incontro-assemblaggio di gruppi
dirigenti: «Non vogliamo essere autoreferenziali, e
non vogliamo adeguarci ai vecchi metodi dei palazzi
della politica, questo non accadrà mai, su questo
potete stare sicuri, io non cambierò», è il ritornello
che i suoi interlocutori si sentono ripetere un giorno
sì e l’altro pure.
Insomma, per Renzi il
Gli scenari
Pd «non può essere
Il segretario ha ottimi un insieme di correnti
rapporti con Vendola culturali, di tradizioni
politiche diverse che
ma lavora a un partito si uniscono, perché
post ideologico
così non è spendibile,
non è credibile e non
vince». «Deve essere
una cosa nuova», come ha ripetuto tante volte, «in
grado di catturare le persone che hanno votato per
Grillo e per il Pdl». Ecco, «un partito delle persone»,
dove ognuno ha un nome e ognuno viene consultato:
e le email sulla Pubblica amministrazione, tanto per
fare un esempio, benché riguardino il governo e non
direttamente il Pd, vanno proprio in questo senso.
Dunque «un partito comunità», che rifiuta «l’idea
novecentesca dell’appartenenza». Ma c’è un secondo
motivo per cui a Renzi non basterebbe l’unione con
Sel. Il partito a vocazione maggioritaria non è un
ritorno a un simil-Pci. Al Renzi-pigliatutto
interessano per prima cosa gli elettori: ma di ogni
forza politica. Ed è grazie a questo che ha ottenuto il
risultato che ha ottenuto. Perché il «sogno» del
premier «è arrivare a un bipartitismo all’americana».
Certo ancora è presto per dirlo in pubblico con troppa
schiettezza, né si può lasciar capire che si vorrebbe
arrivare a questo traguardo già nel 2018. Perciò ieri,
intervistato da Enrico Mentana a Trento, il premier
ha affermato: «Il risultato elettorale dimostra che si
può andare verso due schieramenti (non dico due
partiti, anche se mi piacerebbe) e il centrosinistra si
sta attrezzando in questo senso». Il centrosinistra,
appunto. Quindi non solo Sel, ma anche Scelta civica,
ed ex grillini, e contatti ci sono persino con esponenti
del Ncd e di FI. Sì, perché poi Renzi è un uomo
pragmatico, e sa che oltre alle elezioni c’è il
Parlamento da conquistare. Perciò il vero «test
saranno le riforme». Su quel fronte misurerà i
comportamenti di Sel, di Scelta civica e di Ncd. E nel
frattempo continuerà a lavorare per un Pd «che possa
rendere stabile, anzi, aumentare, il risultato
europeo». È chiaro che un simile ambizioso obiettivo
non sarebbe mai possibile con la proposta di
Camusso. Del resto, quel che pensa del mondo della
sinistra «conservatrice» Renzi lo ha detto più volte.
Anche ieri, quando ha attaccato quelle che per tanto
tempo sono state roccaforti rosse, le sovrintendenze:
per lui sono stati «fattori di sottosviluppo del Paese».
O quando, criticando implicitamente i sindacati e
una certa sinistra ha osservato: «In omaggio alla lotta
alla precarizzazione in questo Paese è diventato un
incubo trovare un lavoro vero».
Maria Teresa Meli
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6
Primo Piano
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
L’industria La Fiat
Marchionne lancia la sfida all’auto tedesca
E alla Cgil: «Contratto aperto, firmi pure»
La stretta di mano con il premier a Trento: lo aspetto volentieri a Detroit
✒
Il dibattito
Da sinistra,
Giorgio Barba
Navaretti,
Sergio
Marchionne,
Roberto
Napoletano e
Gianmarco
Ottaviano
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
L’asse del pragmatismo
dopo le delusioni
di RAFFAELLA POLATO
F
eeling. O almeno: pubblici apprezzamenti da una parte,
voglia di conoscere dall’altra. Archiviate la vecchia (e
breve) parentesi di polemiche e reciproche battutacce.
Finite. Chiuse. Sergio Marchionne e Matteo Renzi non si
erano mai incontrati. Di sicuro non da quando l’ex sindaco
di Firenze è presidente del Consiglio. Ora l’amministratore
delegato di Fiat Chrysler Automobiles arriva a Trento con
un giorno d’anticipo (sabato) apposta per ascoltare il
premier (ieri mattina). E il premier, che non avrà tempo
(né sarebbe opportuno) di ricambiare la «cortesia» qui, fa
in realtà di più. Dal palco si «prenota» per Auburn Hills:
«A settembre, se Sergio Marchionne è d’accordo, nel mio
giro negli Stati Uniti voglio andare a Detroit a visitare gli
stabilimenti». Ovvio, che Sergio Marchionne è d’accordo.
Certo, che «volentieri, lo aspetto». Di diretto, tra i due, a
Trento c’è solo una stretta di mano. Ma lo scambio di
battute a distanza conferma: il governo, «questo» governo,
piace ai vertici Fiat. Non è una novità, l’amministratore
delegato e il presidente John Elkann già l’avevano
Il premier
Matteo Renzi
va a stringere la mano a
Sergio Marchionne, amministratore
delegato di
Fiat Chrysler
Automobiles
ampiamente dichiarato. Da qui i segnali sono persino più
espliciti. Sì, Renzi sta attentissimo a che non si parli di
«abbraccio» e l’accenno a Termini Imerese, fabbrica ex
Fiat, è studiato: «Io accetto le sfide, ma è evidente che lì,
come nel Sulcis o all’Ilva, c’è un tema occupazionale». E
però non suona come un’accusa a Fca. Mentre l’autoinvito
in Chrysler indica chiara voglia di conoscere e capire.
Idem per Marchionne. Che può permettersi di essere
diretto, e lo fa come mai prima con un leader politico.
Neppure Mario Monti (che l’ha deluso in fretta) si era
preso un così netto «mi piace». Ci sono, sì, delle
condizioni: «Deve andare avanti, non farsi intimidire».
Ma «deve» perché «l’agenda Renzi è l’unica che abbiamo,
in Italia e in Europa: il primo tema è il lavoro, e non lo si
crea con il calvinismo rigorista tedesco». Dirà, qualcuno:
elogi sospetti, la Fiat si prepara a chiedere qualcosa.
Sbagliato. Non è di soldi né di aiuti che discuteranno. Sarà
di come svecchiare le regole. E dell’unica richiesta già fatta
all’epoca Monti: «Eliminare la burocrazia sull’export
avrebbe dato un grosso aiuto a far ripartire l’industria e
sarebbe costato zero». Bene: «Di fronte avevamo Monti e il
ministro Passera. Concordavano. Non si è visto nulla».
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TRENTO — «Immaginatevi
tutte le vetture Bmw e, per ciascuna, una sorella Alfa che tra
cinque anni le batte». La grande sfida di Sergio Marchionne
ai tedeschi – nessuno escluso,
nell’alto di gamma: parla di
Bmw per non citare per l’ennesima volta Volkswagen, ma
Audi è compresa e con Maserati nel mirino c’è la stessa
Mercedes – non è il classico
proclama da convegno. L’ha
lanciata il 6 maggio da Auburn
Hills, con il piano industriale
2014-2018. La rilancia ora, dal
Festival dell’Economia di
Trento, dove risponde alle domande del direttore del Sole
24 Ore, Roberto Napoletano. E
ci sono, sì, le battute forti che
allargheranno il duello a colpi
di sciabola con i costruttori
teutonici.
Ieri il bersaglio pareva la sola Volkswagen, con le sue mire, provocazioni e sfottò (non
sempre esagerati) proprio
sull’Alfa Romeo. Oggi nella lista entra ufficialmente Bmw,
appunto, di cui il leader di Fca
dice: «Ne ho provata una venerdì, non è più ai livelli di
quella che avevo da giovane.
Per globalizzarsi hanno abbassato gli standard». Ed entra Daimler, dunque Mercedes, dove con superiorità ridevano della Fiat a Detroit:
«Non ci siamo riusciti noi, a
risanare…». «Già, dicevano
così. Però ciò che ho trovato in
Chrysler è osceno, se quella è
la gestione tedesca non la voglio. Hanno spogliato l’azienda di ogni tecnologia».
La concorrenza, ovunque, si
fa anche così. Le auto, però,
non si progettano e soprattutto non si vendono con le frecciate. Difatti, dal palco sul
quale viene intervistato per la
presentazione di «Made in Torino?», diario di viaggio dentro la «nuova» Fca scritto da
Giorgio Barba Navaretti e
Gianmarco Ottaviano, Marchionne qualche dettaglio
sulla strategia lo concede. Non
ha bisogno di dilungarsi su
Jeep, o sui marchi Chrysler in
generale. Uno, perché il mercato Usa va benissimo, e anzi
«è da lì che arriva la cassa per
finanziarci in Europa, dove
tutti i costruttori sono in per-
Romeo che si finisce. Sul rilancio tante volte annunciato
e mai concretizzato. Così,
quando Marchionne ripete
che «l’obiettivo Alfa è andare
ad attaccare i tedeschi», sa che
tutti pensano: ok, «ci stiamo
lavorando e credo di aver capito come lo faremo», ma perché stavolta dovrebbe essere
diverso? La risposta non è solo
una richiesta di fiducia: «Ho
visto l’ultimo “muletto” venerdì, spero di presentarlo
l’anno prossimo, siamo nella
direzione giusta». Di concreto
ci sono i 5 miliardi che sul Biscione il gruppo investirà e
una convinzione: «Ho detto e
confermo che l’impegno sarà
completamente focalizzato
sull’Italia. Motori, architetture, produzione: tutto sarà
qui». Non per patriottismo,
che nel business non conta. E'
che quel che aveva fatto dell’Alfa un mito per automobilisti di tutto il mondo era il suo
Il mercato e l’Europa
«Il mercato americano
va benissimo, è da lì che
arriva la cassa per
finanziarci in Europa»
Alfa Romeo
«Tra cinque anni i
modelli dell’ Alfa Romeo
batteranno quelli della
Bmw»
dita sui marchi mass market e
dove, se non si interverrà sull’eccesso di capacità produttiva, prevedo un’altra grande
crisi entro cinque anni». Due,
perché nella «rivoluzione premium» che è il cuore della sfida Fca, Jeep è la garanzia: ven-
de a ritmi record, ha ogni carta
in regola per sfondare pure in
quel mercato cinese sul quale
Torino ha accumulato solo ritardi – riconosciuti – ma che
proprio perciò può offrire i
margini di crescita promessi.
Morale: è sempre su Alfa
Il Festival
Manager ed economisti
60 km in bicicletta
con Francesco Moser
(m.spa.) «Avete voluto la bicicletta? E
adesso seguite Francesco». Il Festival
dell’Economia di Trento ieri si è
trasferito sulle due ruote. L’invito a
seguirlo lungo i 60 km attraverso la
Val di Cembra, con partenza e arrivo a
Trento, è del campione Francesco
Moser . Lo hanno colto tra gli altri
Vittorio Colao chief executive officer
del Gruppo Vodafone (nella foto a
sinistra con Moser), Aldo Bisio di
Vodafone Italia e Tito Boeri
responsabile scientifico del Festival.
Un’edizione, quella del Festival, che
segna anche il trentennale dal record
dell’ora (51,151 km) di Moser a Città
del Messico.
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«dna» unicamente e tipicamente italiano, «snaturato
dalla gestione Iri». Breve pausa: «E anche durante la mia
abbiamo fatto ben poco per
recuperarlo» (ammissione
non nuova: ma ribadirlo ieri,
primo giorno del suo undicesimo anno al Lingotto, forse è
stato come sottolineare una
sorta di sigillo spartiacque).
Ora la differenza non la farà
solo la rete Chrysler, 2.400
concessionari negli Usa che
mai la Fiat si sarebbe potuta
permettere. La fa quel dna irriproducibile altrove e, giura
Marchionne, «ritrovato». Se
così è, varrà per l’Alfa «quel
che vale per l’intera nostra
manifattura: essere al pari con
i tedeschi sul piano tecnico, e
avere stile e finiture italiane,
garanzia di successo». C’è,
esplicito, il riconoscimento
della nostra qualità del lavoro
e del ruolo avuto da Cisl, Uil,
Fismic e dagli altri sindacati
con cui Fiat ha «disingessato»
i contratti. Non c’è invece alcuna apertura alle richieste di
Susanna Camusso: «Il contratto Fca è stato approvato dalla
maggioranza dei lavoratori. È
aperto. Fiom e Cgil possono
firmarlo quando vogliono».
R. Po.
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
7
Trasporto aereo Il negoziato
Sì di Etihad ad Alitalia, si chiude a metà giugno
In arrivo la lettera con l’offerta: subito 500 milioni, 60 l’anno prossimo, 2.200 esuberi
MILANO — Abu Dhabi ha
detto sì: l’operazione Etihad-Alitalia si farà. Il documento con «le
condizioni e i criteri per l’investimento nel capitale», per la verità,
non c’è ancora. Ma, dopo due
settimane in attesa di un segnale
dal Golfo, ieri è arrivata la dichiarazione congiunta da parte delle
due compagnie aeree. Etihad Airways ha confermato che invierà
la lettera con i dettagli dell’accordo, negoziato in questi ultimi
mesi con Alitalia e suoi stakeholder, per chiudere la partita. Verosimilmente entro la metà di giugno. Con la benedizione del governo italiano, che riconosce
Venerdì il consiglio
Il consiglio di
amministrazione di
Alitalia è stato
convocato per venerdì
l’importanza strategica dell’operazione e, quindi, guarda favorevolmente alla collaborazione tra i
due vettori. Anzi, ancora una volta è stato proprio il ministro dei
Trasporti Maurizio Lupi (soprannominato «Wolfs» alla Magliana)
ad anticipare la notizia che la lettera di Etihad era «arrivata» ed
era «positiva», preannunciando
che «l’investimento dovrebbe essere intorno ai 600 milioni, con
un grande piano industriale di
rilancio degli aeroporti italiani
come Fiumicino e Malpensa».
L’agognata lettera con l’offerta
formale da parte della compagnia del Golfo, però, potrebbe arrivare oggi o domani (gli avvocati starebbero limando le ultime
clausole). E sarà portata all’esa-
Le due compagnie aeree
0,92 Aura Holding
12 Capital spa
0,95
Finanziaria
di part. e inv.
1,18
I numeri
di Alitalia
Fatturato
Passeggeri
(primi 9 mesi 2013) (2013)
24 mln
2,7 mld
G & C. Holding
1,24
Pirelli & Co spa
2,67
Altri
3,4
I SOCI
%
I numeri
di Etihad
Intesa
Sanpaolo
20,59
Poste spa
19,48
Fatturato
Passeggeri
(primi 9 mesi 2013)
4,8 mld
212 mln
Flotta
Dipendenti
89
17 mila
Macca srl 3,69
Odissea srl3,90
Flotta
Dipendenti
Fire spa 4,28
134
12.800
Af/Klm 7,08
me del consiglio di amministrazione di Alitalia già convocato
per venerdì 6 giugno. Dopo l’approvazione, con la conferma dell’accettazione delle condizioni da
parte del consiglio di Alitalia e
dei suoi stakeholder, le compagnie aeree procederanno alla
preparazione della documentazione finale per completare
l’operazione proposta in linea
con le regole dell’Unione europea
e gli altri requisiti normativi.
Secondo fonti vicine alla trattativa, Etihad investirebbe 500
milioni subito, e altri 60 milioni
nel 2015, per entrare con una
quota tra il 45 e il 49% del capitale
di una newco, in cui saranno
conferite le attività operative di
Alitalia, ma non i contenziosi
passati. In cambio la compagnia
degli Emirati ha chiesto 2.200
esuberi secchi, meno dei
2.600-3.000 ipotizzati finora.
Quanto al delicato nodo del debito, la soluzione trovata vedrebbe
le banche creditrici (Intesa
Sanpaolo, Unicredit, Popolare di
Sondrio e Mps, le prime due già
Atlantia7,44
azioniste rispettivamente con il
20,59% e il 12,99% del capitale)
cancellare un terzo dell’indebitamento a breve (560 milioni) e
convertire il resto in azioni.
«E’ un' eccellente prospettiva
per Alitalia. Questo investimento
Immsi
10,19
Unicredit
12,99
assicurerà stabilità finanziaria ed
è la conferma del ruolo chiave di
Alitalia quale asset infrastrutturale strategico per lo sviluppo del
settore viaggi e del turismo nel
nostro Paese», commenta l’amministratore delegato, Gabriele
CDS-D’ARCO
I due manager
Dall’alto, Gabriele Del
Torchio, amministratore
delegato di Alitalia, e
James Hogan,
numero uno di Etihad
Airways
Del Torchio, che centra un obiettivo fondamentale per la sopravvivenza della compagnia da anni
alla ricerca di un partner internazionale, dopo le nozze fallite con
Klm (prima) e con Air FranceKlm più di recente. Ma anche il
ceo di Etihad, James Hogan, si dichiara «lieto» e confida in una
conclusione positiva, sottolineando che «una partecipazione
azionaria in Alitalia sarà utile
non solo alle due compagnie, ma
darà più scelta e maggiori opportunità di viaggio a chi si muove
per affari e per turismo da e per
l’Italia». Per il governo Renzi è un
altro punto a favore: il matrimonio Etihad-Alitalia potrebbe avviare una nuova fase di importanti investimenti dall’estero, per
rilanciare la crescita nel nostro
Paese.
Giuliana Ferraino
@16febbraio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
WELCOME TO OUR WORLD
L’Authority A breve la nomina
Consob, l’ipotesi
di una donna
terzo commissario
ROMA — «Non volevamo farlo in campagna elettorale, ma lo faremo
adesso» dice a Trento il presidente del Consiglio Matteo Renzi parlando
della nomina del terzo commissario della Consob. Una settimana fa a
palazzo Chigi, nel corso della conferenza stampa per i primi ottanta
giorni di governo, aveva dato anche una data per la decisione, «entro il
15 giugno», cioè a sei mesi esatti dall’uscita, per scadenza del mandato,
di Michele Pezzinga. Sei mesi non sono pochi soprattutto se si tratta di
un’ Autorità con compiti delicati - la vigilanza sulla Borsa, sulle società
quotate e sui mercati - che è composta di sole tre persone. Lo snellimento da 5 a 3 commissari lo aveva deciso, dopo 38 anni di vita dell’organismo, il governo di Mario Monti ma la formula ridotta, per essere
pienamente operativa, deve essere al completo. Invece la sostituzione
di Pezzinga ha tardato: ha rinviato
Enrico Letta e ha finora rinviato
Matteo Renzi. Dal 16 dicembre del
2013, data dell’uscita di Pezzinga,
opera una Consob a due, compoIl premier
sta dal presidente Giuseppe Vegas
Un errore il ritardo
e dall’unico commissario Paolo
sul terzo componente, Troiano. Stando al regolamento
della commissione, è necessaria
lo risolveremo
la squadra a tre per molte scelte
organizzative e comunque poiché
settimana prossima
le deliberazioni sono adottate a
maggioranza e nel caso di parità
prevale il voto del presidente, l’assenza del terzo commissario tramuta
di fatto l’Autorità da organismo collegiale a organismo monocratico.
Di possibili candidature per la sostituzione di Pezzinga non ne sono
state ancora fatte. Alcuni nomi - Marina Brogi, docente della Luiss e
Magda Bianco, dirigente di Bankitalia - erano circolati qualche tempo fa
quando era il governo Letta a dover decidere. Bisogna vedere su chi
punterà Renzi, a cui spetta in via esclusiva il compito di formulare la
proposta di nomina, che viene adottata con un decreto del presidente
della Repubblica. Alle Commissioni di Camera e Senato viene richiesto
un parere consultivo mentre la Corte dei Conti ha conservato il potere
di ratifica diventato un passaggio solo formale visto che la Consob non
è più finanziata dallo Stato ma dai soggetti regolati.
❜❜
Stefania Tamburello
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Partner privilegiato dell’aeronautica fin dai suoi esordi,
Breitling si è imposto come la marca mitica per tutti i piloti
del mondo. Il nuovo Chronomat Airborne, serie speciale
del Chronomat creato trent’anni or sono per l’élite degli
aviatori, unisce una robustezza a tutta prova con tutte le
prestazioni di un autentico strumento per professionisti.
Progettato in vista delle missioni più estreme, ospita un
calibro manifattura Breitling 01, certificato come cronometro dal COSC – la massima autorità ufficiale in tema di
precisione e di affidabilità. Benvenuti nel mondo dell’audacia
e delle grandi imprese. Benvenuti nel mondo di Breitling.
BREIT LIN G.C OM
CHRONOMAT
AIRBORNE
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Primo Piano
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Centrodestra spaccato Le scelte
Battaglia in Forza Italia. Fitto non arretra
Romani: spero non faccia come Alfano. Lui: veleni e falsità contro di me
Mario Mauro (Per l’Italia)
«Moderati uniti
Però con la Lega
non si governa»
ROMA — L’alleanza Udc-Ncd? «Alle
elezioni, i cittadini chiedono di
riconoscersi in un’identità e noi, per
ora, abbiamo dato loro al massimo
un “codice fiscale”. Ecco, io dico che
chi non vuole morire renziano non
può mica sperare nell’armata
Brancaleone del vecchio
centrodestra, magari con la Lega,
per provare a sconfiggere il Pd. Ci
vuole di più per costruire con
umiltà e pazienza l’alternativa
popolare. E poi questo governo, che
noi appoggiamo, è destinato a
durare per tutta la legislatura per cui
c’è tempo per realizzare questo
progetto politico». L’ex ministro
della Difesa Mario Mauro (popolari
per l’Italia) immagina uno scenario
di tipo tedesco in cui i due
principali partiti non si alleano,
rispettivamente, con la destra e con
i post comunisti ma, semmai,
collaborano tra di loro. Ma
nell’immediato la famiglia dei
popolari italiani deve fare ancora i
conti con il potere di attrazione che
FI ha per i moderati: «Certo —
spiega il senatore Mauro — in
questo ventennio abbiamo
conosciuto un centrodestra
totalmente incardinato sulla
genialità di Berlusconi, molto
esteso, fatto per vincere e non
necessariamente per governare, nel
quale le parti in causa raramente si
parlavano tra di loro perché era il
Cavaliere a parlare con ognuno di
loro». Dunque, nell’era del Pd di
Il modello
«In Germania i popolari
non si alleerebbero mai
con la destra, piuttosto
trovano l’intesa con l’Spd»
Matteo Renzi al 41%, quello schema
di gioco non offre più le garanzie di
una volta. «Bisogna cercare una
strada diversa», va avanti l’ex
ministro: «L’immagine che ho in
testa è il confronto che avviene in
Germania dove i popolari non si
alleerebbero mai con partiti di
destra e i socialisti mai con i post
comunisti, in modo che, se proprio
ci sono problemi, l’intesa è tra Cdu e
Spd. Io la vedo esattamente così».
In buona sostanza, Mauro dice ai
suoi compagni di viaggio (e insieme
ad Alfano, Casini e Dellai, ci mette
anche Corrado Passera) bisogna
avere il coraggio di traghettare il
Paese da «un bipolarismo di
schieramento a un bipolarismo di
contenuti: il primo ci ha fatto
perdere venti anni perché ha come
conseguenza che si non governa». E
Matteo Renzi incarna questo
cambiamento: «Per la prima volta,
schierando il Pd nel campo dei
socialisti europei, si è liberato
dall’ossessione dell’avere un nemico
a sinistra... E ciò gli ha aperto la
prateria dell’elettorato di centro.
Ora qualcosa di simile dovrà pur
avvenire nella famiglia popolare. Ci
vuole un giovane e coraggioso che
abbia la forza di dire: “Amici miei,
con la Lega non si può governare
perché alcune idee sono
incompatibili”».
Dino Martirano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ROMA — Restano divisi, la
maggioranza e la minoranza di
Forza Italia nella domenica di
vigilia della festa della Repubblica. La «provocazione» di Raffaele Fitto, dicono i fedelissimi
di Silvio Berlusconi, è semplicemente respinta. Non è il momento di parlare di primarie,
c’è da ripartire dalla base, dai
congressi, dai club, e il Cavaliere resta il capo indiscusso. Altro
che «proposta» di primarie al
prossimo ufficio di presidenza,
con annessa richiesta di diretta
streaming per assicurare «trasparenza». Paolo Romani, capogruppo dei senatori di Forza
Italia, dopo l’intervista al Corriere, ha rimarcato a Tgcom24
che «le primarie di Forza Italia
sono premature: qualcuno ha
voluto puntare a discuterne
adesso e all’interno del partito
si sono aperte le polemiche».
Romani ha anche lanciato
una nuova frecciatina a Fitto,
«mi auguro che rimanga e non
faccia come Alfano», che non è
Il nodo
«Il problema
non sono io
Dobbiamo
riconquistare
molti elettori»
affatto piaciuta all’ex governatore della Puglia che ha replicato, sul suo blog: «Non rispondo
alle parole di Romani che, con
sprezzo del ridicolo, ha sentito
l’esigenza di andare in tv ad augurarsi che io non faccia come
Alfano». E ha poi rilanciato:
«Spaccare Forza Italia? Creare
nuovi gruppi parlamentari?
Contatti con l’attuale maggioranza di governo? Solo veleni,
bugie e falsità letteralmente
surreali».
L’esponente di Forza Italia
non torna sulla risposta che
aveva dato Berlusconi l’altro ieri alla sua richiesta di primarie
(«Chiedo a tutti di non proseguire con uno sterile dibattito a
mezzo stampa sulle primarie e a
non contribuire così all’immagine negativa che i media ostili
costruiscono ogni giorno a nostro danno»). Ma non per questo evita di ribadire la sua posi-
zione: «Il problema, vorrei fosse
chiaro, non sono io, ma il fatto
che dobbiamo rimetterci in
contatto con milioni di elettori
che stavolta si sono astenuti, a
cui dobbiamo riformulare una
proposta adeguata. Dovranno
scegliere noi la prossima volta,
non Renzi».
Ma sull’altro fronte del partito, Fitto continua a provocare
secche repliche. Renato Brunetta sposta l’attenzione sui media:
La comunicazione
L’escalation di messaggi sul blog
Il contrattacco dell’ex governatore
Raffaele Fitto, il mister preferenze di Forza Italia, ha deciso di affidarsi al suo
blog per proseguire la personale battaglia nel tentativo di emancipare il partito
da Berlusconi. Ieri ha pubblicato un post per difendersi dai molti attacchi
interni ricevuti per l’idea delle primarie: «Spaccare FI? Creare nuovi gruppi
parlamentari? Contatti con partiti della maggioranza di governo? Veleni, bugie
e falsità surreali. La discussione può fare solo bene al centrodestra».
«Sta accadendo qualcosa di paradossale, i giornaloni proprio
mentre si esercitano in una gara
di prosternazione a Renzi, ospitano in prima pagina contenuti
demolitivi del peronismo fiorentino. E che cosa dicono invece di noi? Che stiamo litigando,
che l’unica speranza è Renzi».
E Maurizio Gasparri avverte
che «le liti interne non servono
a costruire il nuovo, urgono invece regole e metodo. Le elezioni politiche non sono domani
mattina. C’è tutto il tempo per
ricreare una vasta coalizione di
centrodestra». Apre giusto uno
spiraglio, guardando lontano,
quando le alleanze saranno fatte: «Primarie per scegliere il
candidato del centrodestra destinato a sfidare Renzi ci dovranno essere a suo tempo. Non
ora che una coalizione, necessaria, non si è ancora formata, e
si ridurrebbero a una rissa interna al nostro partito». Senza
sfumature la risposta a Fitto,
con un tweet, di Daniela Santanché: «In un mondo normale
le primarie per decidere gli organigrammi di partito si chiamano #congressi».
Mariolina Iossa
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L’intervista Il consigliere politico di Berlusconi: Raffaele evidentemente ha cambiato linea
Toti: no alla conta brutale dei numeri
Le primarie servono ai vecchi potentati
«Ncd? Raccolga le firme con noi per l’elezione diretta del presidente»
ROMA — «Non devono venire a dire a
me se serve o no il cambiamento in Forza
Italia: io ho lasciato il mio lavoro e mi sono messo in gioco perché credevo nella
necessità di fare entrare aria nuova nel
partito...». Giovanni Toti — consigliere
politico di Berlusconi — volente o nolente identificato come il «rivale» di Raffaele
Fitto che chiede primarie e «scelte dal
basso», non ci sta a fare la parte del conservatore. E, nel dire no alle primarie che
sono «una scelta sbagliata, non servono a
far emergere il nuovo ma a scongelare il
vecchio facendolo passare per nuovo»,
ammette però che molto c’è da fare per rilanciare Forza Italia. Ma «con un percorso
in più tappe, graduale, equilibrato, che
non preveda l’accetta, e tantomeno la gazzarra che sta venendo fuori».
Appunto, che sta succedendo in FI?
❜❜
La base
guaggio diverso non avete ottenuto
grandi risultati alle Europee...
«Ma il percorso è appena cominciato!
Se le cose sono andate peggio di come
speravamo vogliamo dar la colpa ai nuovi
embrioni o a quello che è rimasto? L’unico
che ha creduto al 100% nella necessità di
dare una scossa è stato Berlusconi».
E se il problema fosse proprio Berlusconi?
«Tenderei decisamente a escluderlo...
Berlusconi non è un tappo ai contributi
che vengono dal basso. È lui che chiede di
rinnovare, è lui che vuole puntare sul
nuovo».
E le primarie interne non potrebbero
favorire questo percorso?
«No, non così, non in questa fase. Farle
oggi significherebbe aprire un braccio di
ferro tra macchine organizzative di vecchi
potentati e dirigenti, amministratori,
nuovi volti che pur avendo grandi capacità, in questo quadro verrebbero spiazzati
e marginalizzati. La conta brutale dei numeri non garantisce affatto una selezione
della migliore classe dirigente».
I congressi non porterebbero agli
stessi problemi?
«Anche i congressi, da soli e con vecchie logiche, non servirebbero. Ma se accompagnati da assemblee aperte sul territorio, da luoghi dove chi vale possa esprimersi e mettersi in luce, da momenti di
incontro e crescita, possono contribuire a
creare quel rinnovamento di cui abbiamo
bisogno. Che sarebbe più facile se la vecchia classe dirigente facesse passi indietro, non avanti... Preferenze e tessere non
sono l’ordalia fra bene e male. E attenti alle mere lotte di potere».
Chi è
Giovanni Toti, 45
anni, ex direttore di
Tg4 e Studio Aperto,
consigliere politico di
Berlusconi, eletto al
Parlamento Ue con FI
A un mese dalla caduta di Alenka Bratusek
Io sul territorio incontro
giovani dirigenti
che qualcuno vede
come disturbatori
«La Forza Italia che vedo io è quella che
incontro sul territorio mentre giro il Paese per i ballottaggi, quella di due giovani
sindaci che ho appena incontrato in Liguria e che hanno espugnato due Comuni
rossi, quella di dirigenti locali capaci, di
bravi amministratori, di giovani coordinatori che qualcuno vede come disturbatori dei manovratori... C’è un lavoro grandissimo da fare sul territorio, dal basso, e
noi ci perdiamo nelle liti».
Ma perché contestare come è gestito
un partito che esce da una sconfitta è
considerato da voi quasi un tabù?
«Quale tabù? Il tema si è aperto, ne
stiamo già discutendo. Ma due sono i
cantieri dai quali ripartire, quello tematico e quello del rinnovamento della classe
dirigente. Su quest’ultimo punto, che il
partito fosse asfittico lo pensavo io per
primo quando ho deciso di entrarvi, condividendo l’idea del presidente Berlusconi che si dovessero creare formule, modelli e una classe dirigente nuova».
Però con i club, i nuovi innesti, un lin-
Crisi in Slovenia
Il 13 luglio
elezioni anticipate
Il presidente della Slovenia Borut Pahor ieri ha sciolto il
Parlamento e ha indetto le elezioni anticipate per il 13 luglio. Il
primo Paese dell’Est ad adottare l’euro nel 2007 oggi spaventa
l’Europa e rischia di dover chiedere il salvataggio Ue: il mese scorso
la premier di centrosinistra Alenka Bratusek (foto) si era dimessa
dopo la scissione interna al partito maggiore della coalizione di
© RIPRODUZIONE RISERVATA
governo, Slovenia positiva, del quale faceva parte.
Come giudica l’uscita di Fitto? Lo considera un possibile traditore?
«Guardi, io non credo né voglio credere a congiure o veleni, né da una parte né
dall’altra. Certo ricordo che si oppose alle
primarie quando Alfano le chiedeva, fu lui
a chiedere che Berlusconi prendesse nelle
sue mani tutti i poteri, fu lui a pretendere
gli organi statutari...
Ha cambiato idea? Va
bene. Ora però il dibattito sugli organigrammi non può
oscurare quello che
deve occuparci davvero, e sul serio, che
è il rilancio dei nostri contenuti. Da
qui si deve ripartire,
poi penseremo pure alle poltrone...».
E ripartiamo da qui: sarete più chiari
sulla vostra opposizione a Renzi?
«Lo saremo ancor di più. La sua politica
economica è non solo timida ma anche
sbagliata, sulla Tasi si sta sbagliando tutto, il Jobs Act non decolla e offre pochissimo. Il dibattito si è impantanato sulle riforme, il Paese ha bisogno di ben altro».
Ma se questo è il vostro giudizio sul
governo, come fate a dialogare — come
dite che vorreste fare — con l’Ncd che
della maggioranza è parte integrante?
«Chiaro che per noi è più semplice e diretto stabilire un rapporto con Lega e Fratelli d’Italia che sono all’opposizione, ma
con l’Ncd si può procedere anche a piccoli
passi».
Come?
«Scendendo nel concreto, per cominciare. Cosa faranno loro sulla Tasi, daranno battaglia come faremo noi? E su “Mare
Nostrum”, come intendono muoversi?
Chiederanno a Renzi, come facciamo noi,
di andare ad alzare la voce in Europa, perché altrimenti si fa a modo nostro?».
Le riforme possono essere terreno di
incontro o di scontro con Alfano?
«Così come sono, limitate al Bicameralismo e al Senato, sono oggettivamente
poca cosa e servono molte modifiche... E
allora, è la mia proposta agli amici dell’Ncd, perché non si uniscono a noi nella
richiesta di allargarle a cose più sostanziali, come l’elezione diretta del capo dello
Stato, il rafforzamento dei poteri del premier? Noi ci muoveremo concretamente
su questi temi nei prossimi giorni. Vediamo se l’Ncd è disposta a fare una raccolta
di firme nel Paese assieme a noi. Potrebbe
essere una battaglia unificante, un nuovo
inizio per un centrodestra che pensa a un
rassemblement alla francese. Aspettiamo
risposte».
Paola Di Caro
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Primo Piano
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
9
I 5 Stelle Il bivio
Sul blog nuovi attacchi ai Verdi
Grillo richiama all’ordine i suoi
Campagna pro Farage per scongiurare i rischi del verdetto della Rete
La vicenda
Il voto delle Europee
delude le aspettative
Alle Europee del 25
maggio il M5S ottiene il
21,2%: Grillo perde 2,5
milioni di voti rispetto
alle Politiche del 2013. E
perde anche il confronto
con il Pd (40,8%), a cui
aveva lanciato la sfida
in campagna elettorale
Il nodo alleanze
per Strasburgo
Si apre la questione delle
alleanze per il Movimento
a Strasburgo (per formare
un gruppo servono 25
europarlamentari). Il 28
maggio Grillo incontra a
Bruxelles Nigel Farage
dell’Ukip per discutere
sull’ingresso nel gruppo
euroscettico Efd
La base si divide:
i Verdi l’alternativa
Sul blog cominciano ad
apparire commenti
contro l’alleanza: no con
omofobi e razzisti. Ma
anche i parlamentari
sono divisi. Spiccano le
differenze sulle politiche
ambientali. E c’è chi
propone l’alternativa
del gruppo dei Verdi
L’ultima parola
spetta alla Rete
Dai Verdi arriva
un’apertura. Si creano
contatti tra esponenti
dei due partiti. Ma i
leader preferiscono
l’alleanza con l’Ukip e la
trattativa non decolla.
L’ultima parola spetterà
agli attivisti con le
consultazioni online
MILANO — Al dibattito sulle
alleanze che divide i Cinque
Stelle, sul blog di Beppe Grillo si
risponde con una ferma bocciatura dei Verdi: deve essere l’Ukip
di Nigel Farage l’alleato del Movimento in Europa.
Una linea che ieri, sul blog, è
stata ribadita più volte, a stretto
giro. Prima con un intervento di
Paolo Becchi, professore vicino
ai pentastellati, che attacca il
partito ecologista («non sono
un’opzione credibile e praticabile»). Poi con un post che difende Farage dalle accuse di razzismo e omofobia. Mentre, se
non fosse abbastanza chiara la
linea su chi possa essere amico
del Movimento e chi no, sul blog
veniva anche ripresa una frase
del copresidente dell’European
Green Party, Reinhard Bütikofer: «Grillo? Deve smetterla di
prendere in giro le persone».
Il leader dei Cinque Stelle
prova a serrare le fila, in vista del
voto online che deciderà con chi
sedere a Strasburgo, e continua
la campagna pro Farage. Probabilmente la consultazione sarà
subito dopo i ballottaggi nei Comuni, intorno al 10 giugno. E se
i post andavano tutti nella stessa
direzione, tra i commenti (migliaia) il dibattito era invece
sempre aperto: non mancava
chi con l’Ukip non vuole avere
niente a che fare. Va scongiurato, quindi, il rischio che il voto
della Rete bocci la linea dei leader.
Ma la campagna suona anche
da richiamo all’ordine per
quanti, tra deputati e senatori, si
sono schierati contro l’alleanza
con gli inglesi. E il dissenso dei
parlamentari, dopo le parole del
leader, si sta facendo meno
esplicito. Non che manchino gli
scontenti, anzi. Ma si abbassano
i toni: «La nostra l’abbiamo det-
In bici
Il leader del
Movimento
Cinque Stelle
Beppe Grillo,
65 anni,
ieri
in bicicletta
a Marina
di Bibbona
(Livorno),
dove si trova
per un
periodo
di riposo
dopo le
fatiche della
campagna
elettorale
(foto Ansa/
Riccardo Dalle
Luche)
17
i parlamentari eletti con
il Movimento 5 Stelle alle
elezioni del 25 maggio per
il Parlamento europeo.
Si ritroveranno a Bruxelles
entro il 10 giugno, ma la
prima seduta è prevista
all’inizio di luglio
ta, ora aspettiamo la Rete», si
sente ripetere. Giovedì dovrebbe esserci un incontro alla Casaleggio associati tra i fondatori e i
parlamentari, anche per un
chiarimento dopo le polemiche
post voto.
Sarebbero stati proprio alcuni
parlamentari, nei giorni scorsi,
a contattare i Verdi europei. Ma
la copresidente dell’European
Green Party, Monica Frassoni,
nega i contatti con José Bové:
«Lui non ne ha avuti». E nega
che le trattative stiano facendo
passi avanti. C’è stata, invece, la
risposta decisa del blog. Becchi
ha attaccato il partito ecologista:
«Non hanno fatto nulla contro le
politiche dell’austerità»; molti
di loro hanno «insultato il
M5S»; hanno «appoggiato le
guerre Nato». E ha respinto le
accuse di razzismo e omofobia
verso l’Ukip: «Ha un coordinamento Lgbt che prende posizione in materia di omofobia;
Amjad Bashir, cittadino musulmano nato in Pakistan, e Steven
Woolfe, di origine afroamericana, ebraica e irlandese, sono due
nuovi eurodeputati».
Renato Benedetto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’intervista Corrao, primo capogruppo M5S all’Ue
«Diversi dall’Ukip
Ma restare isolati
sarebbe un errore»
MILANO — «Cerchiamo una soluzione che ci permetta di mantenere la nostra identità, la nostra indipendenza nel gruppo. Lo Ukip è per
il nucleare? Io non lo voterò mai».
Ma è un loro caposaldo.
«Non importa. L’Ukip ci garantisce libertà di manovra. Il Movimento seguirà sempre le sue idee. E comunque sarà la Rete a decidere con
chi staremo in Europa».
È deciso, ma ancora incredulo
Ignazio Corrao, 30 anni, ex assistente all’Assemblea regionale siciliana,
mister 71 mila preferenze, eletto
primo capogruppo del Movimento
5 Stelle in Europa.
Lei non aveva neppure passato il
turno alle Parlamentarie, è stato
ripescato e ora si ritrova con questo ruolo.
«La mia disponibilità a candidarmi era stata richiesta da tanti attivisti e quando sono stato escluso ci
sono rimasto un po’ male. E con me
chi mi aveva sostenuto. Quando sono rientrato in corsa l’ho visto un
po’ come un riequilibrio della giustizia. E poi sono stato molto aiutato
sul territorio. Sapevo di avere buone
possibilità di essere eletto».
E anche di essere il pentastellato più votato in Italia?
«Se ci penso mi viene da ridere.
Non avevo soldi, avrò speso in tutto
1.500 euro per la mia campagna
elettorale».
Ora si ritrova a essere il primo
❜❜
Libertà di voto
Loro per il nucleare?
Io mai. Però
ci garantiscono
indipendenza
capogruppo europeo del Movimento nella sua storia.
«I miei colleghi mi hanno votato,
cercherò di rappresentare tutti al
meglio. Sarà un onere, periodo peggiore non potevo trovare (scherza,
ndr). Ho detto che il capogruppo lo
faremo insieme».
Intanto adesso si discute di alleanze. Lei cosa pensa?
«Che sono accordi solo da un
punto di vista tecnico».
Ma avrà una sua convinzione.
«Sì, che non dobbiamo andare tra
Chi è Ignazio Corrao, 30 anni, laureato in
Giurisprudenza, vive a Palermo. Ha lavorato
nell’ufficio legislativo del Movimento Cinque
Stelle all’Assemblea regionale siciliana.
È stato eletto al Parlamento Ue nella
circoscrizione Isole con 71.168 preferenze.
Sarà il capogruppo del M5S a Strasburgo
i non iscritti perché significa avere
meno possibilità di incidere. Cariche e minutaggio superiore nel parlare sono necessari».
E sui Verdi?
«Non c’è un gruppo che abbia il
100% di affinità con noi. In qualsiasi
caso ci sono punti di contrasto. Con
i Verdi condividiamo la politica ambientalista, ma non le posizioni sulla troika e sulle politiche economiche, che sono invece punti in comune con gli euroscettici».
Ma non le sembra che il M5S
stia adottando una strategia differente per Bruxelles?
«Sono d’accordo. Ma fare alleanze è necessario, qui non c’è un governo da sostenere, rischiamo di
sprecare il mandato. Vogliamo avere il maggiore concerto possibile
per farci valere nelle nostre battaglie».
Lei su quali si concentrerà?
«Dipende da come ci divideremo
nelle commissioni. Da siciliano
agricoltura e pesca sono argomenti
che mi interessano, insieme ovviamente ai grandi temi politici europei».
Ma dobbiamo aspettarci lotte e
provocazioni come abbiamo visto
alla Camera e al Senato?
«Sicuramente faremo sentire la
nostra voce. Penso di sì».
Lei ha viaggiato molto, cosa si
aspetta da questa nuova avventura?
«Io ho fatto dal lavapiatti all’organizzatore di eventi, sono un factotum (ride). In più sono un appassionato di couchsurfing, sono per la
cultura dell’integrazione. Dal Movimento ho imparato a mettere il mio
tempo e le mie competenze al servizio della collettività».
Emanuele Buzzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
#
La celebrazione ai Fori Imperiali
Volano le Frecce tricolori, paga lo sponsor
I 68 anni della Repubblica e il ricordo della Grande Guerra. Pinotti: ora un esercito europeo
✒
L
E la sicurezza
è data in appalto
ai metronotte
a Repubblica compie oggi 68 anni e ai Fori Imperiali si celebra la ricorrenza con la tradizionale parata. «Non vi partecipano solo i reparti militari — dice il ministro della Difesa Roberta Pinotti —, ma anche le associazioni civili, perché questa è la festa di tutti
gli italiani». Una festa con due temi centrali. Uno storico, i 100 anni dallo scoppio della Grande Guerra, e uno attuale, l’Italia che si prepara il 1° luglio a prendere la guida dell’Ue per un
semestre. Segna l’esordio alla parata di Matteo Renzi e della prima donna ministro della Difesa. «Donna è anche la mia collega tedesca Von der Leyen — dice Pinotti —. C’è feeling e
insieme cerchiamo di accelerare la formazione di un esercito europeo». Come sembra ormai destino, anche quest’anno attorno alla sfilata del 2 Giugno si è accesa qualche polemica.
Stavolta è toccato alle Frecce tricolori. Negli ultimi due anni si era preferito evitare il sorvolo
dei Fori Imperiali per contenere le spese. Ora i 9 jet della pattuglia acrobatica ritornano nei
cieli della capitale e c’è chi grida allo scandalo perché in tempi di crisi si spendono parecchie
migliaia di euro. In realtà da mesi i costi delle Frecce non gravano sul bilancio della Difesa.
Le loro esibizioni in Italia e all’estero sono pagate da sponsor, in particolare Fastweb. «Abbiamo ricavato utili attraverso il marchio — spiega Pinotti — ci pareva assurdo rinunciare
all’esibizione della pattuglia acrobatica migliore al mondo che è uno straordinario biglietto
da visita italiano all’estero». Le Frecce faranno due passaggi, a inizio e fine celebrazioni. A
parte le Frecce, i costi della manifestazione ammontano a un milione e mezzo di euro.
Marco Nese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di SERGIO RIZZO
La parata del 2 Giugno
Fanfara dei Bersaglieri
Compagnia dei Bersaglieri
N
CHIUSURA
Compagnia commissari Polizia di Stato
Compagnia mista Polizia di Stato, ferroviaria, stradale,
di frontiera, volanti, gruppi sportivi fiamme oro e Nocs
Compagnia Polizia Penitenziaria
Compagnia Corpo Forestale dello Stato
Compagnia Vigili del Fuoco
Compagnia CRI Volontari del Soccorso
Compagnia Polizia Roma Capitale
Compagnia Servizio Civile Nazionale
Blocco Mezzi Protezione Civile
Banda Centrale
Polizia di Stato
Comandante VII Settore della Polizia di Stato
VII SETTORE
CORPI ARMATI
E NON
DELLO STATO
Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo
Scuola Ispettori e Sovraintendenti della Finanza
Compagnia Centro addestramento e specializzazione della Finanza
Compagnia Corpo Militare della Croce Rossa italiana
Compagnia II.VV. CRI
Compagnia Ordine di Malta
Compagnia ASSOARMA
Banda Centrale
della Guardia di Finanza
Comandante VI Settore (GdF)
IL SIMBOLO
La stella
compare come
attributo dell’Italia
già nel ‘500
VI SETTORE
Scuola Ufficiali
Compagnia Parà Tuscania e Gis
Scuola Marescialli e Brigadieri e Scuola Allievi Carabinieri
Compagnia del 13° reggimento Friuli Venezia Giulia
Unità cinofile, carabinieri di quartiere, squadrone «Cacciatori»
I CORPI MILITARI E AUSILIARI
DELLO STATO
Fanfara dell’Arma dei Carabinieri
L’ARMA DEI CARABINIERI
Compagnia Scuola Militare Giulio Douhet
Accademia Aeronautica di Pozzuoli
Scuola Marescialli di Viterbo
Compagnia d’onore del 31° stormo (Ciampino)
Compagnia Fucilieri dell’aria 9° e 16° stormo
Compagnia Incursori del 17° stormo
Compagnia piloti
IV SETTORE
LA DATA
con il referendum
nasce la Repubblica italiana
Accademia Navale di Livorno
Compagnia Scuola Militare Scuola Sottufficiali
Scuola Navale Morosini di Venezia
Bandiera di guerra del San Marco
Compagnia del San Marco
Compagnia Incursori Comsubin
Compagnia-Forze aeree della Marina
Compagnia delle Capitanerie di Porto
L’AERONAUTICA
MILITARE
I partecipanti
Banda Centrale Marina Militare
Il ramo di quercia
indica la forza e la dignità
del popolo italiano
2 giugno 1946
Banda Centrale Aeronautica Militare
Comandante IV Settore
3.584
Il ramo d’ulivo
indica la volontà di
pace della nazione
La ruota dentata
traduce l’articolo
1 della Carta: l’Italia è una
Repubblica fondata sul lavoro
Comandante V Settore
V SETTORE
1,5
milioni
Il costo
della Parata
Comandante III settore
III SETTORE
2.375
1.209
militari
Compagnia della brigata Alpini Julia
LA MARINA MILITARE
Fanfara degli Alpini
civili
LA
A MAPPA
PPA
PA
A
Comandante II Settore
II SETTORE
Quirinale
Qui
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Q
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L’ESERCITO ITALIANO
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evere
vere
re
C
Circo
Massimo
assim
si
Via
le
Av
en
ti
no
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Compagnia del 9° reggimento Alpini dell’Aquila
Compagnia Scuole Militari Nunziatella e Teuliè
Scuola Sottufficiali Esercito di Viterbo
Accademia Militare di Modena
Compagnia del 1° reggimento Granatieri
Parà del Col Moschin con alpini ranger e 185° reggimento acquisizione obiettivi
Squadrone del Savoia Cavalleria
Banda dei Granatieri
di Sardegna
S. GrVe. di
gorio
on fatevi fuorviare dalle
divise, dalle fanfare e dal
rombo delle Frecce tricolori.
Oggi si festeggia la Repubblica,
e non le Forze armate. Un
particolare che al ministero
della Difesa viene sottolineato
con decisione, davanti alle
osservazioni di chi si mostra
sorpreso perché a fare la
guardia alle tribune destinate a
ospitare le massime autorità
dello Stato, che per giorni e
giorni vengono
minuziosamente montate, per
essere poi minuziosamente
smontate, non ci sono soldati
dell’esercito repubblicano bensì
guardie giurate private.
Quest’anno il compito tocca ai
Metronotte. Il fatto è che, pur
avendo la responsabilità di
gestire la parata del 2 giugno,
l’esercito non disporrebbe delle
attrezzature per le tribune
(nemmeno il Genio?). Di
conseguenza il ministero della
Difesa deve ricorrere a un
appalto esterno. Costo del
tutto, un milione 800 mila euro.
Cifra che assicurano
decisamente ridimensionata
rispetto agli anni scorsi: del
resto siamo o non siamo in
pieno clima di spending review?
L’appalto chiavi in mano
comprende anche la fornitura
dei servizi di vigilanza, e si
torna ai famosi metronotte.
Tutto logico, ma certo vedere
guardie giurate sorvegliare il
luogo dove si dovrà svolgere
una parata militare davanti
alle più alte cariche del Paese fa
un certo effetto. Perché se è
comprensibile che l’esercito,
non disponendo delle
attrezzature per le tribune
debba rivolgersi a un appalto
esterno, lo è meno il fatto che al
posto dei militari ci siano i
metronotte. Ma anche per
questo c’è una spiegazione: i
soldati non possono fare la
guardia se non alle aree
militari, e via dei Fori imperiali,
dove sfilano i militari per la
festa della Repubblica (della
Repubblica, sia ben chiaro…)
non è classificabile come tale. E
poi, viene precisato, anche se
fosse affidato ai militari il
servizio di sorveglianza non
sarebbe certamente a costo
zero. Prendiamo atto. Anche se
ricordiamo che i nostri bravi
soldati sono già impiegati
comunemente nella
sorveglianza di obiettivi civili
considerati particolarmente
sensibili. Come alcuni tribunali
in aree a rischio. O addirittura
la sede del Parlamento europeo
a Roma, in via IV novembre:
che non risulta sia zona
militare. Al ministero della
Difesa garantiscono che c’è
l’impegno a rendere la sfilata
del 2 giugno sempre meno
caratterizzata dalla presenza
militare e sempre più da quella
delle istituzioni civili.
Benissimo. Ma le perplessità
restano intatte.
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ROMA
Mezzi storici
Uniformi storiche
Onu
UE
ISAF
KFOR
(Afghanistan) (Kosovo)
16 Missioni internazionali UE
Bandiere
Comandante I settore
Comando Operativo Interforze della Difesa
I SETTORE
Organismi Internazionali e delle Missioni Ue
Labari Associazioni
Combattentistiche e d’Arma
Bandiere di
Gonfaloni delle Regioni,
dell’Upi e dell’Anci
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Organismi Internazionali
Esercito
Marina Aeronautica
Carabinieri
Forze
Guardia
Armate di Finanza
Comandante delle truppe
Banda dei Carabinieri
CORRIERE DELLA SERA
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Esteri
La strage al museo ebraico Arrestato alla stazione dei bus di Marsiglia
«Preso il terrorista di Bruxelles»
Francese, è tornato dalla Siria
Ha 29 anni, era segnalato ai Servizi di Parigi
Con sé aveva le armi e la bandiera di Al Qaeda
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — «Sono circa 700,
nel nostro Paese. Voglio dire a
questi jihadisti che li combatteremo, li combatteremo e li
combatteremo», dice François
Hollande poco dopo la notizia
dell’arresto a Marsiglia di
Mehdi Nemmouche, 29 anni,
un francese di origine algerina
reduce dalla guerra in Siria,
che in un video ritrovato nella
sua borsa si attribuisce la strage del museo ebraico di Bruxelles.
Sabato 24 maggio un uomo
ha fatto irruzione nel museo e
ha ucciso a colpi di pistola e
kalashnikov i due turisti israeliani Emanuel e Miriam Riva
(54 e 53 anni), la volontaria
francese Dominique Sabrier
(66) e il 25enne belga Alexandre Strens, che lavorava all’ingresso.
«Mi congratulo con l’efficacia delle nostre forze di polizia, che hanno catturato l’individuo appena ha rimesso piede sul suolo francese», ha
esultato Hollande. In realtà,
Nemmouche è stato trovato
Chi è
per puro caso, nella stazione
degli autobus di Marsiglia,
durante un controllo antidroga di routine, sul pullman
Eurolines che unisce Amsterdam a Marsiglia via Bruxelles.
Gli agenti si aspettavano di
trovare stupefacenti, hanno
scoperto armi e munizioni
sufficienti per compiere altre
azioni.
Controllo casuale
Il sospetto è stato fermato
per caso durante
un controllo anti droga
Origini
Mehdi Nemmouche, 29
anni, francese di origini
algerine, era noto ai servizi
segreti francesi perché era
stato a combattere in Siria
con i jihadisti
Sospetto
Arrestato a Marsiglia, con sé
aveva un mitra, una pistola
e un video di rivendicazione
Non ha fatto molto per rendersi introvabile, Mehdi Nemmouche: le telecamere di sorveglianza del museo avevano
inquadrato un uomo in giubbotto e cappellino, che usa due
armi, una borsa nera e una
piccola videocamera GoPro
attaccata alla tracolla. Quando
i poliziotti francesi gli hanno
chiesto di scendere dall’autobus e di aprire la sua borsa nera, dentro hanno trovato la pi-
stola, il kalashnikov, altre munizioni, la videocamera GoPro, il giubbotto, il cappellino,
e una bandiera dell’Isis (Stato
islamico di Iraq e Siria). In più,
in una scheda di memoria, un
video dove appaiono le immagini delle armi della strage
«accompagnate da una voce
che sembra quella del sospetto», ha detto ieri il procuratore
di Parigi François Molins.
La voce rivendica l’attentato
del 24 maggio, e spiega che si
vedono solo il kalashnikov e la
pistola ma non il massacro
«perché la GoPro non ha funzionato». È l’uso della piccola
videocamera portatile il più
impressionante, ma non l’unico, punto in comune tra l’atte n ta to re d i B r u xe l l es e
Mohammed Merah, il 23enne
francese di origine algerina
che nel marzo di due anni fa
uccise sette persone (tra le
quali quattro ebrei) a Tolosa,
filmando le sue azioni.
Mehdi Nemmouche, nato a
Roubaix, nel Nord della Francia, dopo soli tre mesi di vita è
stato tolto alla custodia della
Le indagini Un fermo immagine dell’attacco del 24 maggio (Ansa)
madre assieme alle tre sorelle
e affidato a una famiglia provvisoria. Non ha mai conosciuto il padre, e nell’adolescenza
ha cominciato a frequentare
gli ambienti della microcriminalità del Sud della Francia fino a commettere più tardi rapine a mano armata: il suo
curriculum giudiziario parla
di cinque soggiorni in carcere,
il più lungo dei quali dal 2007
al 2012. In questo periodo sarebbe avvenuta la conversione
di Nemmouche all’islam radicale, proprio come era capitato
a Merah. Uscito dal carcere,
Nemmouche è passato da
Londra, Istanbul e Beirut per
raggiungere la Siria e combattere la guerra santa islamica
contro il dittatore Bashar al
Assad. Sarebbe tornato in Europa nel marzo scorso dopo
brevi tappe in Malaysia, Thailandia e Singapore, forse per
rendere meno controllabili i
suoi spostamenti. Come
Mohammed Merah, Mehdi
Nemmouche era conosciuto
dai Servizi francesi e tenuto
sotto sorveglianza. Ciò nonostante ha potuto tornare in Europa, in Germania, e progettare probabilmente da lì l’attentato di Bruxelles, forse grazie
all’aiuto di un gruppo jihadista basato nella capitale belga.
Ieri notte erano in corso
perquisizioni negli ambienti
islamisti radicali di Bruxelles e
Tourcoing, dove vive parte
della sua famiglia. Gli inquirenti cercano di capire se
Nemmouche a Marsiglia stesse cercando di raggiungere
l’Algeria, o se si preparasse a
compiere altre stragi.
Stefano Montefiori
@Stef_Montefiori
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Una settimana
dopo
Un agente
di polizia
ieri di guardia
all’ingresso
del Museo
ebraico
di Bruxelles:
sul luogo
dell’attentato
del 24 maggio
costato
la vita a quattro
persone, sono
comparsi fiori,
fotografie, le
bandiere nazionali di Belgio e
Israele (Reuters/
Lenoir)
Il fenomeno
Il contagio
della jihad
in Europa
WASHINGTON — Un sentiero tortuoso. Un
cammino individuale di jihad che però può
trasformarsi in un problema internazionale.
Questo ci dice la vicenda di Mehdi Nemmouche, il francese ritenuto responsabile della
strage al museo ebraico di Bruxelles. I passi
percorsi dal killer sono la rappresentazione di
un fenomeno non nuovo. Mehdi è nato a Roubaix, la città che fece da scenario alle azioni
criminali della celebre gang composta da reduci del conflitto in Bosnia e guidata da un
francese, Lionel Dumont. Un impasto di terrorismo e brigantaggio. E Mehdi è anche lui un
«ritornato», in questo caso dal conflitto in Siria dove ha trascorso un anno, forse nelle file
del gruppo più forte, l’Isis.
Come altri, l’assassino si sarebbe accostato
al radicalismo in carcere. Studi in Francia e in
Gran Bretagna hanno evidenziato la pericolosità delle prigioni, veri incubatori di qaedismo. Un ragazzo con problemi familiari gravi,
precedenti per
rapina, trova moReduci
tivi di rinascita
Una volta i terroristi prima nella fede.
islamici erano reduci E fin qui nessun
problema. Solo
dall’Algeria, ora lo
che il traghettasono dalla Siria
tore incontrato in
cella non lo porta
solo dall’altra
parte del fiume ma lo convince ad andare
avanti offrendogli una missione. Una volta
erano l’Algeria o l’Afghanistan. Oggi c’è la Siria, dove il grande massacro ha suscitato una
reazione spontanea ma anche pilotata da alcuni regimi arabi. Sono così migliaia i volontari
partiti, quasi 800 solo dalla Francia.
Un movimento costante, con soggiorni sul
campo di battaglia e poi, quando è possibile, il
rientro a casa. Per raccontare e anche reclutare.
L’adesione alla rivolta mette in contatto militanti isolati con personaggi di maggiore esperienza. E se poi la fazione è ben strutturata —
come lo è l’Isis — la visione del «mujahid» supera i confini siriani. C’è un’agenda più ampia.
Non è per ora chiaro se esista un solido legame
tra Mehdi e l’Isis. Strano che se ne andasse in
giro con tutte quelle prove nella borsa, compreso il drappo del gruppo e il cappellino che
indossava nell’assalto. Particolari da esplorare.
L’attacco portato da Nemmouche ha messo
la comunità ebraica nella linea di tiro. C’è da
chiedersi se sapesse che tra i suoi obiettivi ci
fossero due israeliani con un legame (amministrativo) con l’intelligence. Il suo gesto ha poi
dato sostanza al timore che una componente
della ribellione in Siria è pericolosa. Oggi spara su Assad, il giorno dopo può farlo a Parigi.
Un allarme ripetuto in questi mesi. Una situazione ambigua. Alcuni Stati, Usa compresi, pur
sostenendo l’opposizione hanno dato aiuti limitati alla resistenza e altri hanno varato
un’attività di contrasto anti-terrorismo.
Aprire un fronte esterno può apparire una
scelta folle per gli insorti. Però è anche vero
che la realtà insurrezionale è frammentata. C’è
spazio per il gesto del lupo solitario o della micro-cellula. Sullo sfondo scissioni, leader ambiziosi e poi un insieme di individui, legati insieme dall’odio verso il «nemico». Giovani come Nemmouche, un nomade jihadista senza
radici, o Moner Abu Salha, l’americano che ha
abbandonato la vita tranquilla della Florida
per farsi saltare in Siria.
Guido Olimpio
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Esteri 13
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Il reportage
Domani si vota, ma la Siria è un Paese distrutto. I racconti degli scampati all’assedio durato tre anni
Macerie, nespole e i sopravvissuti
A Homs dove è morta la rivoluzione
Viaggio nella città simbolo della guerra. Che Assad ha (quasi) vinto
Rovine
Un ragazzino
davanti a un
blindato distrutto
dell’esercito siriano
a Homs.
Un tempo città
simbolo della
rivolta, Homs è
ormai sotto
controllo dei
lealisti. Le ultime
sacche di
resistenza sono
state fatte
evacuare tre
settimane fa. Homs
è stata il teatro di
una delle prime
manifestazioni
contro Assad, nel
marzo del 2011.
E’ tra le città siriane
che hanno pagato il
più alto tributo di
sangue, con quasi
20 mila morti.
Uccisi nei
combattimenti o
dai ribelli stessi,
negli scontri
intestini tra diverse
fazioni. E durante
l’assedio, con
mancanza di cibo,
medicine e generi
di prima necessità
(Reuters)
DALLA NOSTRA INVIATA
HOMS — Con i suoi nespoli, le palme e i gelsomini il cortile del convento dei gesuiti offre un momentaneo rifugio dal sole, dalla polvere e dalla desolazione della Città Vecchia di Homs, un po’ come lo
offrì il padrone di casa Padre Frans a molti, cristiani
e musulmani, in questa guerra fratricida. Anche
quest’ultimo quartiere della città un tempo nota come la «capitale della rivoluzione» è stato ripreso dal
governo tre settimane fa e la gente sta tornando a casa nei quartieri soprattutto cristiani di Bustan Al
Diwan, Al Malgaa e Al Hamidiyah. Ma al centro del
cortile c’è una sedia vuota, con un ciuffo di fiori rosa
di plastica appoggiati allo schienale. Proprio su
quella sedia e in quel punto, è stato assassinato quasi
due mesi fa Padre Frans Van Der Lugt. Il gesuita
76enne olandese era l’ultimo missionario europeo
rimasto nella roccaforte dei ribelli negli oltre due an-
L’anziano
Abu Rogé, un anziano che si trascina
per Al Malgaa, confessa con gli occhi
arrossati: «Forse sarebbe stato meglio
non tornare, per non vedere queste cose»
L’ingegnere
Nazim, 50 anni: «L’assassinio di Padre
Frans è diventato una grande storia,
una specie di luce che ha portato alla
riconciliazione. Ce l’ha insegnato lui»
ni in cui era stata assediata dai soldati lealisti di Assad. Non ha potuto vedere la fine dell’assedio. «Un
giorno, un miliziano con il volto coperto è arrivato,
lo ha fatto sedere su quella sedia e gli ha sparato alla
testa». Lo racconta Nazim Qanawati, 50 anni, ingegnere civile. È uno dei 24 cristiani rimasti fino all’ultimo giorno, insieme a 200-500 civili musulmani e
2000 miliziani ribelli. Nemmeno a febbraio Padre
Frans aveva voluto andarsene con gli ultimi civili
evacuati, per non abbandonare i suoi fedeli. In quel
cortile ora c’è la sua tomba. Nazim l’ha seppellito nel
punto in cui amava prendere il caffè al mattino e ha
disposto le pietre a forma di croce. Viene a trovarlo
uno stuolo continuo di pellegrini incluse coppiette e
scolaresche.
Homs, a due ore di auto a nord di Damasco sulla
strada segnata dai carri armati, è oggi il simbolo della fine della rivoluzione. Nella piazza dell’Orologio
che a lungo ha segnato una linea del fronte tra regime e ribelli, le lancette hanno ripreso a muoversi,
ritmando il ritorno della gente alle case. Lo ha sancito un accordo ai primi di maggio: i combattenti hanno lasciato la zona negli autobus forniti dal governo
e sotto supervisione dell’Onu verso i villaggi e le
campagne a nord, verso la Turchia, dove ancora si
combatte. In cambio hanno ceduto degli ostaggi sciiti e un accesso ai villaggi vicino ad Aleppo. In un
cortile sporco e pieno di detriti, dove c’era una volta
il ristorante Beit Al Agha, Elia Saman mostra il nascondiglio dell’emiro della brigata Abu Leil. Stava
nello scantinato per evitare le bombe. «Era un uomo
colto». Accanto agli strumenti per preparare bombe,
tubi e sostante chimiche, e una foto pasticciata di Assad ci sono due pile di volumi di libri, non solo religiosi. Uno è sulla prevenzione delle malattie. «È fuggito a Al Waer, l’unico altro quartiere di Homs dove
stanno ancora i ribelli e c’è una tregua e la speranza
di un accordo. Ma l’emiro l’hanno ammazzato».
Un papà in bicicletta sfreccia con un bimbo in
grembo tra le stradine su cui si affacciano le case
sventrate. Sulla soglia di ciascuna ci sono cumuli di
detriti. Tutte le chiese riportano danni insieme a recenti segni di affetto. Quella greca-cattolica, la Signora della Pace, è vuota, con la cupola crollata, un
affresco annerito dal fuoco e le vetrate in frantumi:
eppure le sedie sono in ordine davanti all’altare. Nella chiesa siro-ortodossa si celebra la messa della domenica, e il sacerdote comanda ai fedeli di andare in
pace. Ad ogni angolo stanno appostati soldati in mimetica abbastanza tranquilli da posare per le foto.
Agli angoli sventolano le bandiere delle milizie cri-
162
9
mila Le vittime di tre anni di
guerra civile siriana, scoppiata
dopo le rivolte anti-Assad del
marzo 2011. Lo stima l’Osservatorio per i diritti umani di
Londra: l’Onu ha smesso a luglio di tenere il conto per le
difficoltà di verificare i dati
milioni Gli sfollati siriani per
via del conflitto: oltre il 40%
della popolazione è stato
costretto a lasciare la propria
casa (circa la metà sono bambini). Oltre due milioni e mezzo i siriani che si sono rifugiati
all’estero
stiane, in cui molti si sono arruolati per combattere
contro gli estremisti musulmani. Bari, 21 anni, maronita, che aveva lasciato il quartiere nel 2012, racconta che lui, studente di matematica, non ha voluto
combattere. Si sente più portato per la ricostruzione.
Molti, come lui, hanno il sorriso sulle labbra ma Abu
Rogé, un anziano con un fratello a Como, si trascina
senza meta per Al Malgaa, vicino alla piazzetta dove
una volta i ragazzi si riunivano la sera nei bar. «Forse
sarebbe stato meglio non tornare, per non vedere
queste cose», confessa con gli occhi arrossati.
Davanti alla tomba di Padre Frans, Nazim non
mostra odio. «Quel gesto così atroce è stato compiuto per disperazione, per smuovere i negoziati con il
governo. La vita qui era arrivata ad un punto cruciale,
TURCHIA
mancavano il cibo, l’acqua.
Aleppo
Negli ultimi 50 giorni manHasaka
giavano le nespole di questo
Idlib
Latakia
Deir Zor
cortile, mischiandole al granApamea
Hamah
turco. Il nocciolo lo ammorS I R I A
bidivamo nell’acqua: acquista
un sapore simile ai funghi.
Homs
LIBANO
L’assassinio di Padre Frans è
Damasco
IRAQ
diventata una storia di portaDaraa
ta internazionale, una specie
C.D.S.
GIORDANIA
di luce che ha portato alla riconciliazione. Ce l’ha insegnato lui. Una volta i miliziani vennero a rubare del
Urne aperte
cibo. Padre Frans li denunciò ai loro capi che li miseDomani in Siria sono
ro in prigione. E allora lui andava a trovarli per assipreviste le elezioni
curarsi che fossero rimessi in libertà e una volta rilapresidenziali. La
sciati li invitò a pranzo».
consultazione si
La caduta o la liberazione di Homs non cancella la
svolgerà soltanto
realtà di un Paese ancora in guerra. Nel nord, nella
nelle aeree controllate
città spaccata di Aleppo, si combatte quella che è dedai lealisti
finita la battaglia decisiva. Con assedi e offensive con
l’aiuto dell’Hezbollah, il regime ha ripreso il controlEsclusi dal voto
lo di buona parte del territorio e sostiene che in poSaranno escluse vaste
chi mesi può riportare la stabilità. Secondo uno stuzone nelle mani dei
dio pubblicato a maggio dal Brookings Institution,
ribelli, tra cui parti di
c’è l’opzione americana dell’appoggio alla ribellione
Aleppo. Nemmeno i
da sud benché la Casa Bianca prometta ma continui
circa 2,5 milioni di
ad esitare nel fornire nuove armi ai ribelli, tra ansie
rifugiati nei Paesi
per i qaedisti e timori che il regime sospenda la divicini potranno votare
struzione delle armi chimiche.
Mentre molti ribelli hanno lamentato la grave
Candidati
perdita di Homs, il regime l’ha celebrata come una
Gli «sfidanti» di Assad
vittoria e può fregiarsene mentre si appresta a disono due politici pro
sputare domani nuove elezioni presidenziali destiregime: il deputato
nate a riconfermare Bashar Assad per 7 anni e preceMaher Hajjar, 46 anni,
dute da un lungo blackout che per tutto il giorno ieri
di Aleppo e Hassan
ha impedito le telefonate all’estero e l’accesso a inNuri, 54 anni, di
ternet. Ma forse, in una guerra in cui entrambi i
Damasco, ex ministro
fronti hanno pensato poco alle vittime collaterali, va
dello Sviluppo
capito che la gente di Homs come della Siria è stanca.
A Homs non ha vinto nessuno, ma il senso che il valore delle vite umane può prevalere sulle pistole offre un barlume di speranza in un conflitto su cui è
presto per mettere la parola fine.
Le elezioni
Il Paese
Viviana Mazza
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Esteri 15
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Il caso Tangenti per cinque milioni di dollari. «A favore di Doha anche forti pressioni di Francia e Germania»
L’annuncio
Il re del lusso
Pinault
vieta gli hotel
del sultano
A Ginevra il 2
dicembre 2010
il presidente della
Fifa, Joseph S.
Blatter (a sin.)
annuncia che sarà
il Qatar a ospitare
i Mondiali del
2022 (Epa). A
destra l’allora
emiro Hamad bin
Khalifa al Thani
con la moglie, la
sceicca Moza,
dopo l’annuncio,
con la coppa
(Reuters)
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Mazzette ai delegati
La grande accusa
sui Mondiali in Qatar
Appelli per riassegnare la Coppa
La Fifa: possibile nuova votazione
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA — Tutto sommato non ci
voleva una mente geniale per pensare
che l’unica ragione valida di organizzare i Mondiali di calcio 2022 nei freschissimi deserti del Qatar fosse il profumo delle tangenti. Di altre plausibili
motivazioni non ve
ne erano. Solo che
adesso la ragnatela
della corruzione internazionale, per
merito del Sunday
Times, viene a galla
mettendo i signori
che governano il football globale con le
spalle al muro. Che i
grandi eventi dello
sport (e non solo
dello sport) siano l’occasione buona per chiedere, ottenere e distribuire mazzette di dollari è noto. Ma
i disonesti che pagano e i disonesti
che intascano hanno sempre quell’abilità criminale di rendere le prove del vizio pressoché impossibili.
Questa volta, il domenicale del
gruppo Murdoch ha messo mano,
o qualcuno ha consentito che mettesse mano, su migliaia di documenti che raccontano la storia del
grande inganno. Nelle prossime
settimane, promette il Sunday Times, saranno pubblicati i nomi degli ufficiali pagatori del Qatar e i
nomi di chi, fra i gentiluomini della
Fifa, ha incassato in cambio del voto favorevole all’organizzazione
della manifestazione nell’emirato.
Gli inglesi sono amici del Qatar che
punta alle banche (Barclays), che ha i
grattacieli, i grandi magazzini (Harrods), gli alberghi di lusso londinesi. E la
Lo scoop
La prima pagina
del Sunday Times
di ieri sui
Mondiali in Qatar
famiglia Al Thani, che guida il piccolo
Stato della penisola arabica, ha con i
Windsor un rapporto strettissimo. Ma
gli stessi inglesi non hanno mandato
giù l’affronto di avere perduto la vetrina più affascinante dello sport che si
sono inventati. Li volevano per il 2018
e sono finiti a Mosca. Poi nel 2022, la
beffa: addirittura in Qatar. Allora, hanno cominciato a menare fendenti. La
Fifa è sotto accusa e la prospettiva di
una nuova assegnazione non è più peregrina. Carta canta. Così il vicepresidente del governo del calcio, Jim Boyce,
si espone con la Bbc: «Non ho difficoltà
a indire una nuova votazione». Dipenderà dal rapporto degli ispettori Fifa. Il
Mondiale è stato comperato, dice il
Sunday Times. E la storia per ridurla
all’osso è che Mohamed bin Hammam,
presidente dell’Asian Football Confe-
deration fino al luglio 2011 prima della
squalifica a vita per corruzione, ha
oliato i delegati africani e dell’Oceania
per convincerli a regalare «il sogno» al
Qatar, che poi è un sogno da 60 miliardi di dollari, tanti ne ha promessi
l’emirato per costruire strutture e infrastrutture. Probabilmente molti sapevano e non parlavano. Anche ai vertici. Le tangenti accertate (5 milioni di
dollari) sarebbero per ora una briciola
5
milioni
le tangenti
ai delegati
di Africa
e Oceania
✒
Trattare con i terroristi? La (criticata) scelta di Obama
di GUIDO OLIMPIO
S
i tratta o meno con i terroristi? In linea di principio la
risposta è no, sul piano pratico ogni Stato si arrangia. A
seconda del momento e della convenienza. Lo scontro si è
riacceso a Washington dopo lo scambio tra il sergente Bowe
Bergdahl, catturato nel 2009 in Afghanistan, e 5 alti
esponenti talebani. Il presidente Obama ha presentato la
liberazione come la prova che «non si lascia nessuno sul
campo di battaglia». Ma anche i mullah hanno gioito. Il
famigerato Omar ha parlato di grande vittoria. Per nulla
contenti i repubblicani Usa. A loro giudizio il baratto è una
violazione della legge che proibisce qualsiasi concessione ai
terroristi. Perché rappresenta un incentivo al rapimento. La
Casa Bianca si è piegata per una serie di motivi. Bowe era
l’ultimo soldato Usa ancora in mano al nemico. L’intesa può
Sharia nel Brunei
aprire altri negoziati sul futuro dell’Afghanistan. Tutte
buone ragioni che non tolgono motivi ai critici. Fare patti con
chi mette le bombe non è mai una grande idea, ma a volte
devi farlo. Un’icona della fermezza come Reagan ha avuto
l’Irangate, i contatti segreti con gli ayatollah per il rilascio
degli ostaggi in Libano. E Israele, determinato come pochi
contro i terroristi, di scambi ne ha fatti di clamorosi. Per un
suo soldato ha lasciato andare centinaia di militanti. Viene il
momento in cui un governo accetta di fare un passo costoso.
Magari pagando un riscatto. Il punto è che non bisogna
abusarne e tantomeno farne una prassi. L’avversario non
deve conoscere in anticipo la tua reazione. Altrimenti hai già
perso la sfida prima ancora di cominciarla.
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nell’oceano di banconote che muove il
Mondiale. Ma quel che conta è che il sistema, con le sue appendici di omertà e
di complicità, traballa. E non bisogna
credere che della combriccola siano
stati parte soltanto i delegati più sensibili al richiamo dell’arricchimento facile. La verità, a suo modo, l’ha rivelata
qualche settimana fa lo stesso Blatter,
presidente della Fifa, che non è uno
stinco di santo: «Il campionato del
2022 è andato al Qatar perché sono state fortissime le pressioni di Francia e
Germania». Insomma, i delegati africani hanno avuto la parte degli esecutori. I burattinai politici sarebbero in
Europa, con buona pace degli inglesi
più che mai comprensibilmente euroscettici e che già si agitano. A Westminster, la Commissione parlamentare dello sport chiede a gran voce che
la sede del Mondiale 2022 cambi.
Come finirà nessuno lo può dire. Le
tangenti ci sono state. E si aggiungono
allo scandalo dello sfruttamento della
mano d’opera che è già costato la vita a
400 operai impegnati nella realizzazione delle opere in Qatar. Il calcio meriterebbe un teatro che non sia caldo torrido, morte e mazzette. Ma non è sicuro
che alla Fifa condividano o siano capaci di un sussulto di dignità.
PARIGI — Il gruppo
francese Kering (che
comprende i marchi
Gucci e Saint Laurent tra
gli altri) boicotta gli hotel
di proprietà del sultano
del Brunei, Hassanal
Bolkiah, da quando nel
micro Stato asiatico è
stato introdotto un
nuovo codice penale
islamico che prevede la
lapidazione di adultere e
omosessuali. Il polo del
lusso diretto da
François-Henri Pinault
precisa che la decisione
di boicottare gli alberghi
della catena Dorchester
Collection «non è una
presa di posizione contro
la sharia (la legge
islamica, ndr) in
generale, ma una
protesta contro
l’applicazione del nuovo
codice penale che
include misure lesive
della dignità umana».
Tra i 10 alberghi della
Dorchester Collection,
che registrano già
cancellazioni, ci sono
due hotel di lusso
parigini (Plaza Athénée e
Meurice), il Principe di
Savoia di Milano e l’Eden
di Roma, oltre al
Dorchester di Londra.
Alla campagna
partecipano anche il
miliardario britannico
Richard Branson, la
caporedattrice di Vogue
America Anne Wintour,
la star della tv americana
Ellen DeGeneres e
l’attore inglese Stephen
Fry. Il direttore della
catena Dorchester,
François Delahaye, si
dice «stupefatto», parla
di «accanimento» e
sostiene che «le uniche
persone colpite saranno i
3500 dipendenti del
gruppo, non certo il
sultano del Brunei. Se
dovessimo sanzionare
tutti gli hotel di prestigio
che hanno nel loro
azionariato Paesi dove
viene applicata la sharia,
non rimarrebbero più
molti alberghi di lusso
dove scendere».
Nonostante questa
minacciosa prospettiva,
il boicottaggio continua.
Stefano Montefiori
Fabio Cavalera
@Stef_Montefiori
@fcavalera
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Cronache
Missionari Don Gianantonio Allegri (sinistra) e don Giampaolo Marta in Africa in una foto d’archivio
Camerun Presi il 4 aprile, oggi a Roma. Salva anche una suora
Attentato in Nigeria
Liberi i preti vicentini
rapiti da Boko Haram
«Dimagriti e provati»
Esplosione
con decine
di morti
Il vescovo: ma i musulmani ci vogliono lì
«E pensare che erano per pri- una fonte della France Presse gli
mi i capi islamici dei villaggi che ostaggi sono stati ritrovati lunchiedevano ai nostri sacerdoti go una strada poco distante daldi restare laggiù...»: sollievo e la missione di Tcherè, 800 chiloamarezza si mescolano nelle pa- metri a nord della capitale Yarole di monsignor Beniamino oundè e ai confini con la NigePizziol, vescovo di Vicenza. Ieri ria, la stessa località in cui don
mattina alle 6 una telefonata Marta e don Allegri erano stati
della Farnesina lo ha
avvertito che i due
suoi sacerdoti rapiti
Tcherè
all’inizio di aprile in
CHAD
Camerun da estremisti islamici sono
stati liberati e stanno bene. Ma se il
dramma dei religioREP.
NIGERIA
si veneti ha avuto un
C A M E R U N CENTRO
lieto fine, la situaAFRICANA
Yaoundé
zione nel nord del
Camerun, che ha
Golfo di Guinea
uno stretto legame
con la diocesi di Vicenza, resta molto tesa ed è pos- rapiti il 4 aprile scorso. «Abbiasibile che altri religiosi attivi mo lavorato a lungo e a stretto
nella zona debbano fare rientro contatto con le autorità locali,
in Italia.
riteniamo che la liberazione sia
I sacerdoti sani e salvi sono frutto di una trattativa e non di
don Gianantonio Allegri, 57 an- un blitz» confermano dalla Farni, e don Giampaolo Marta, die- nesina. Con i missionari veneti è
ci anni più giovane. Secondo stata trovata anche Gilberte
Bussier, la suora canadese che
era stata sequestrata con loro.
«Un emissario dei terroristi ci ha
avvertiti e siamo andati a prendere i prigionieri. Ci ha colpito
la quantità di armi a loro disposizione» è la versione della polizia camerunense. «Gli ostaggi
sono tutti dimagriti e molto affaticati ma stanno bene» fanno
sapere ancora dal ministero degli Esteri. Trova conferma anche
che il sequestro debba essere attribuito ai miliziani di Boko Haram, la formazione fondamentalista islamica che tiene ancora
prigioniere 40 ragazze di religione cristiana rapite in Nigeria.
Le incursioni armate di Boko
Haram anche in territorio camerunense si erano fatte frequenti
poco prima del rapimento dei
due preti vicentini e pochi giorni fa i terroristi avevano assalito
un gruppo di operai cinesi. «La
situazione di insicurezza è palpabile, l’esercito è impegnato ad
assicurare che non ci siano infiltrazioni dalla Nigeria. Hanno
chiesto a noi europei di girare
scortati dalla polizia» così aveva
scritto don Allegri nel suo diario
poco prima del blitz. «I nostri
confratelli avevano segnalato la
presenza di depositi di armi nella zona» è la testimonianza invece di don Maurizio Bolzon e
don Leopoldo Rossi, altri due
missionari vicentini attivi nella
zona di Tcherè. La liberazione,
insomma, non ha fatto cessare
la situazione di pericolo e si sta
valutando la possibilità di far
rientrare tutti gli europei che la-
Depositi di armi
I missionari avevano
segnalato depositi
di armi appartenenti
ai fondamentalisti
vorano nella zona. Una radio locale afferma che nella zona 40
miliziani islamici sono stati uccisi nelle ultime ore.
La presenza della diocesi di
Vicenza nel nord del Camerun
risale ai primi anni 80: sono stati
costruiti una scuola, un dispensario «e stavamo dimostrando
che la coesistenza pacifica tra
religioni diverse è possibile»
aggiungono dalla Curia. Don
Marta si trovava in Camerun,
salvo una breve interruzione,
dal 2004 ed era un punto di riferimento per le comunità locali.
Don Allegri, invece, era stato a
lungo parroco a Magrè di Schio
e dal 2013 aveva iniziato la sua
missione a Tcherè.
«Don Gianantonio e don
Giampaolo tornano a casa. Ben-
tornati e un abbraccio alle loro
comunità» ha scritto il premier
Matteo Renzi su Twitter. «Ringrazio il presidente del Camerun Paul Biya e il governo del
Canada per l’ottimo lavoro svolto» ha dichiarato dal canto suo il
ministro degli Esteri Federica
Mogherini.
Con un moto di felicità meno
formale e più spontaneo ieri le
campane delle 354 parrocchie
della diocesi di Vicenza hanno
suonato a festa per annunciare
la liberazione dei missionari. Il
rientro dei sacerdoti in Italia è
previsto per oggi; il vescovo Pizziol si recherà personalmente a
Roma ad abbracciarli.
Claudio Del Frate
ABUJA (Nigeria) — Sono
decine le vittime
dell’esplosione di una
bomba in un locale in
Nigeria dove una piccola
folla di persone si era
radunata per seguire un
incontro di calcio
trasmesso in televisione. Lo
hanno reso noto ieri sera le
forze di polizia del Paese
africano. L’episodio è
avvenuto a Mubi, un centro
nel Nord Est della Nigeria,
che in passato era stato
preso di mira dal gruppo
islamico Boko Haram. I
fondamentalisti sono i
principali sospettati anche
per l’attentato di ieri, visto
che l’area in cui è avvenuto
è la stessa nella quale
ultimamente si sono
concentrate le sanguinose
azioni del gruppo islamista,
che punta alla creazione di
uno stato confessionale nel
Nord Est del Paese. Alcuni
giorni fa un attentatore ha
perso la vita nell’esplosione
della sua auto carica di
tritolo. Secondo le autorità
l’uomo era in procinto di
compiere un attentato
suicida. Anche in quella
circostanza l’obiettivo
dovevano essere tifosi di
una partita di calcio.
@cdelfrate
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il raduno
In 52 mila
all’Olimpico
con il Papa
«Nessuno può dire “io
sono il capo”, non siate
“controllatori” della
fede. E portate ancora
un Vangelo in tasca?».
In questi termini il Papa
in un ampio discorso si
è rivolto ai circa 52 mila
radunati allo stadio
Olimpico (foto) da
Rinnovamento nello
Spirito.
Gran Sasso Il progetto europeo a difesa degli animali selvaggi
I team di cani addestrati
a salvare orsi, volpi e lupi
dalle polpette avvelenate
L’obiettivo è impedire una
morte. Quando ci riescono, loro
si fermano, si siedono e aspettano la ricompensa: giocare. «Loro» sono Karma, Dingo, Jonai,
Datcia e Maya, cinque cani addestrati a scovare esche avvelenate in parchi e boschi. Finora
erano gli unici, adesso non più.
Perché ieri è partito il progetto
Life Pluto, e cioè la formazione
di sei nuove squadre che avranno il compito di salvare dalle
polpette avvelenate volpi, gatti,
orsi, ricci, lepri, scoiattoli, tassi,
grifoni, aquile, cani selvatici...
Finanziato dalla Commissione europea e programmato fino
al 2019, Life Pluto è l’evoluzione
di Life Antidoto, il progetto grazie al quale Karma e i suoi quat-
tro «colleghi» arrivarono in Italia nel 2009 (dalla Spagna), voluti dal Parco Nazionale del
Gran Sasso e Monti della Laga
che, per l’occasione, dichiarò
guerra al veleno affiancato dal
Corpo forestale dello Stato.
Cinque anni di operazioni sul
territorio e una certezza: funzionano. Ogni volta che uno di loro
esce per un «pattugliamento»
attiva 200 milioni di cellule olfattive (noi umani ne abbiamo 5
milioni) che non mancano mai
l’obiettivo. Come fanno i cinque
cani a resistere alla tentazione di
mangiare una di quelle polpette? Merito dell’addestramento
che prevede per ogni ritrovamento di un boccone avvelenato un premio speciale: un po’ di
tempo da passare giocando con
il conduttore o la conduttrice.
Un bastoncino da recuperare,
una corda da addentare e tirare,
una corsa o qualunque altra cosa suoni divertente... Ed è soltanto a quello che puntano, Karma e gli altri, quando riescono
ad annusare un’esca. Mangiarla
non è contemplato. Sanno che
un pezzo di carne velenoso va
soltanto segnalato rimanendoci
seduti accanto. E così fanno.
«Rabbrividisco a pensare a
un animale che muore fra sofferenze atroci dopo aver mandato
giù uno di quei bocconi» commenta Luciano Sammarone, comandante provinciale della Forestale di Isernia. «Ci sono rapaci come i grifoni che si muovono
Cronache 17
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Pisa Lei era medico della Asl. La coppia era in crisi da tempo e si stava separando
Uccide la moglie a coltellate
poi avverte il figlio sedicenne
«Abbiamo litigato, l’ho colpita cinque o sei volte»
PISA — Un ultimo litigio
mentre il figlio più piccolo, 16
anni, stava ascoltando musica
con le cuffie nella sua camera.
Poi, Roberto Barbieri, 55 anni,
dipendente dell’Enel ed esponente politico del Pd locale, ha
afferrato due coltelli da cucina e
ha massacrato la moglie, Sandra
Fillini, 53 anni, medico. La donna non ha avuto scampo. Ha gridato aiuto ma nessuno l’ha sentita, ha tentato di raggiungere la
porta di casa, una villetta nelle
campagna toscana, ma è stata
finita con terribili colpi al torace
e alla gola. L’omicida, sempre
con i coltelli in mano e i vestiti
sporchi di sangue, ha telefonato
a una vicina di casa: «Ho colpito
mia moglie con cinque, sei coltellate. L’ho uccisa, chiamate i
carabinieri». Poi è entrato nella
camera dal letto del figlio che
ancora non si era accorto di
niente. «Vieni, andiamo fuori
che ti spiego» e insieme al ragazzo, disperato e sotto choc, ha
aspettato che arrivassero i militari ad arrestarlo.
È accaduto nel pomeriggio di
ieri a Podere il Sorbo, una frazione di Castelnuovo Valdicecina, comune pisano di 2.300 abitanti ai confini con le province
di Pisa e di Siena. Ma stavolta,
questa cronaca dell’ennesima
violenza contro le donne, nessuno avrebbe potuto prevederla
perché in passato mai vi erano
stati segnali premonitori.
«Sono sconvolto, Roberto era
un uomo tranquillo, una persone perbene e assolutamente
non violenta — racconta Massimiliano Benini, assessore ai Lavori pubblici del piccolo comune e collega di lavoro dell’omicida —. All’Enel si è sempre occupato di informatica e telefonia
con grande professionalità. So
che aveva avuto problemi con la
moglie, un anno fa si erano separati per alcuni mesi, ma poi
tutto sembrava essersi ricomposto. Si era candidato come
consigliere alle ultime elezioni,
ma non era stato eletto. In ogni
caso non aveva mai dato segni
di squilibrio».
Sandra Fillini, «la dottoressa», come tutti la chiamavano in
paese, era una donna solare ed
estroversa. Anche lei appassionata di politica. «L’avevo vista
durante le elezioni autenticare
le firme come sempre con grande entusiasmo — ricorda il sindaco Alberto Ferrini —, era un
medico stimato. Non riesco a
rendermi conto che sia stata uccisa dal marito. Nessuno qui riesce a darsi una spiegazione. È
una cosa assurda».
in gruppo. Se mangiano la carcassa di un animale morto avvelenato da sostanze come la stricnina si crea una catena mortale e
capita di trovare fino a 12-15
grifoni morti in una volta».
Anche a questo servono i cani
anti-veleno: a trovare le carcasse di chi è incappato in un boccone fatale. «I cinque di Antidoto si sono rivelati uno strumento indispensabile per le bonifiche e contro l’uso del veleno»
valuta Anna Cenerini, biologa e
coordinatrice del vecchio progetto. «Dovevano essere usati
per il solo Parco del Gran Sasso
e invece hanno girato in lungo e
in largo nelle aree limitrofe, dal
Parco nazionale d’Abruzzo a
quello della Maiella o ai monti
Sibillini. Il problema del veleno
nel nostro Paese è sottovalutato
e purtroppo molto diffuso».
«Ora Life Pluto cercherà di
mettere a sistema la buona pratica di Antidoto per fare prevenzione e controlli» dice la biologa
In paese da tempo si sapeva
della crisi che stava attraversando la coppia. Lo scorso anno
c’era stata una prima separazione. I due figli di 21 e 16 anni erano rimasti con Roberto nella villetta di famiglia, un antico podere ristrutturato alle porte del
La casa e i ragazzi
Dovevano separarsi
e vendere la casa
Lui era preoccupato
di perdere i ragazzi
Sbarchi in Sicilia
I migranti
trasferiti
in Lazio e Veneto
Sono state 3.517 le persone portate in salvo nel
weekend nel Canale di Sicilia nell’ambito
dell’operazione Mare Nostrum. Mobilitata anche
l’Aeronautica Militare per il trasferimento dei migranti
verso Lazio e Veneto. Fermati diversi scafisti
Torino In arresto un 18enne e un minore
comune, e lui aveva deciso di
rallentare l’attività politica che
lo occupava molto. Era diventato segretario del Pd locale, ma
aveva scelto di dimettersi. Poi,
un paio di mesi fa, il tentativo di
riappacificazione con la moglie.
Sembrava che la crisi fosse finita
e quella famiglia avesse riacquistato un po’ di serenità. Roberto
era tornato a fare attività politica candidandosi alle ultime elezioni per il consiglio comunale.
Sandra cercava di fare la mamma e il medico dell’Asl 5 di Pisa
con un incarico al distretto di
Volterra. Tutti giorni doveva
macinare decine di chilometri,
ma era abituata dagli anni trascorsi sulle ambulanze del 118.
«Era una dottoressa che amava
il suo lavoro — racconta un collega —, molto amata dai pazienti. Grazie alla professionalità
che aveva acquisito in anni di
gavetta, ma anche a un’ enorme
empatia verso gli altri. Era una
donna eccezionale».
Negli ultimi giorni le cose in
famiglia erano precipitate. E dopo molti litigi la coppia aveva
deciso una nuova separazione,
quella definitiva. Ieri pomeriggio erano a casa per discutere di
questo. Pare che Roberto fosse
preoccupato di perdere i figli.
Poi c’era da prendere decisioni
sulla casa da vendere. Il figlio
più grande era andato al mare
con gli amici, il più piccolo aveva preferito stare in casa, con i
genitori.
L’omicida è stato interrogato
sino a tarda sera dal pm Lydia
Pagnini. Ha confessato tutto, alternando momenti di lucidità
ad altri di grande disperazione.
«E adesso ai miei figli chi ci pensa?», sono state le ultime parole
mentre i carabinieri lo accompagnavano in carcere.
Marco Gasperetti
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L’ordinanza
L’omicidio di Mozzate
Arresti alla donna del killer
RIMINI — Duplice omicidio premeditato pluriaggravato e
occultamento di cadavere, le pesanti accuse con le quali il
gip del Tribunale di Rimini, Fiorella Casadei, ha ordinato
che Monica Sanchi resti nel carcere di Forlì. La donna
avrebbe avuto un ruolo attivo negli omicidi commessi dal
fidanzato Dritan Demiraj, il fornaio albanese di 29 anni
che il primo marzo ha ucciso l’ex compagna Lidia
Nusdorfi alla stazione di Mozzate (Como) e, il 28 febbraio,
a Santarcangelo (Rimini), il fidanzato della donna, Silvio
Mannina, 30 anni, residente a Bologna in una casa
famiglia. La Sanchi oggi sarebbe potuta tornare in libertà
ma resta in carcere soprattutto perché c’è ancora il rischio
di inquinamento delle prove.
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del parco del Gran Sasso, Monica Di Francesco.
I cani dei futuri team (all’inizio ogni squadra ne avrà due)
saranno selezionati in parte da
cuccioli (da addestrare in Italia),
in parte da adulti (già addestrati
in Spagna). Requisiti richiesti:
un olfatto perfettamente funzionante, buon carattere, buona
resistenza fisica e attitudine al
gioco. Anche le razze saranno
criterio di scelta; incideranno,
per esempio, sulla capacità di
lavorare in condizioni di freddo
o di caldo estremo. I cinque
«vecchi» sono un border collie
(Datcia), un labrador (Jonai)e
tre pastori belga Malinois (Karma, Dingo e Maya). Hanno salvato molte vite messe a repentaglio, nella maggior parte dei casi, da allevatori che pensano di
eliminare con un’esca al veleno i
predatori delle loro greggi o da
cercatori di tartufi che puntano
a uccidere i cani dei concorrenti.
Karma e gli altri sono arrivati
prima della morte e si sono seduti ad aspettare la vita: il gioco.
Giusi Fasano
@GiusiFasano
Pastore belga Maya è uno dei cinque cani addestrati
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Un giovane di 27 anni
ferito al petto nel metrò
La pista della politica
TORINO — La vittima indossava pantaloni larghi e
una felpa di un paio di taglie
più grossa. I suoi aggressori
avevano tutti un giubbotto
nero e le teste rasate o con la
cresta. È quello che i testimoni del tentato omicidio avvenuto ieri notte nella metropolitana di Torino, hanno raccontato alla polizia identificando immediatamente come
un antagonista di sinistra il
primo e militanti di estrema
destra i secondi. Proprio il
movente politico, infatti, è
una delle ipotesi al vaglio de-
giovane è scoppiata una lite,
sono volati paroloni e insulti
poi il gruppo lo ha aggredito a
calci e pugni. A un certo punto è saltato fuori un coltello a
serramanico e il giovane è
stato colpito al petto. Tutti, sia
la vittima che i suoi aggressori, sono quindi usciti dalla
metro, alla fermata Massaua,
appena fuori dal centro di Torino. Durante la fuga il coltello è stato buttato in un cestino
fuori dalla metropolitana. La
banda però non è andata lontano, raggiunta quasi subito
dalle volanti della polizia che
hanno soccorso il ferito e fermato i sei
Il racconto dei testimoni
giovani. Soltanto due
di loro, Alberto GelChi ha assistito alla scena
mi, 18 anni, e R.M.,
parla di un ragazzo dell’area
minorenne, sono staantagonista aggredito
ti arrestati per tentato
da un gruppo di estrema destra omicidio. Gli altri
quattro sono stati rilasciati con una degli investigatori che stanno nuncia per lesioni perché, seindagando sull’aggressione di condo gli investigatori, solo i
un giovane di 27 anni, ora ri- primi due hanno agito con
coverato in prognosi riservata l’intenzione di uccidere.
con un polmone perforato da
La polizia è al lavoro per riuna coltellata. Nonostante le costruire il movente dell’agferite non è in pericolo di vita. gressione. L’ipotesi che il fatto
Il giovane, che milita nel- sia nato per ragioni politiche,
l’area antagonista torinese, infatti, trova riscontro, per
sabato sera intorno all’una ora, solo nella descrizione dei
aveva preso l’ultima metro in testimoni che hanno raccondirezione della periferia occi- tato la scena e l’abbigliamento
dentale della città. Un gruppo dei protagonisti. Nessuno dei
composto da sei persone, tre ragazzi coinvolti, però, nemdei quali minorenni e due ra- meno il ferito, confermano
gazze, lo hanno notato subito, questa ipotesi.
Davide Petrizzelli
forse proprio per il suo abbi© RIPRODUZIONE RISERVATA
gliamento. Tra il gruppo e il
18 Cronache
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Milano L’attesa per l’arrivo di Cantone. Sergio Santoro, Authority sui contratti pubblici: troppe gare in deroga alle leggi
La sentenza
Expo, il nodo delle società sotto inchiesta
È stallo sulla revoca degli incarichi. Il premier: i tempi saranno rispettati
La scheda
Autorità
Raffaele Cantone
guida l’Autorità
nazionale
anticorruzione
(Anac)
MILANO — «Nelle prossime
ore e nei prossimi giorni dovremo mettere a posto alcune
cose, perché i cantieri dell’Expo finiscano in tempo». Il
presidente del Consiglio Matteo Renzi torna a parlare dell’evento che comincerà a Milano, ormai fra soli 11 mesi. E lo
fa nel giorno in cui l’Authority
per la vigilanza dei contratti
pubblici, presieduta da Sergio
Santoro, getta un’altra ombra
rendendo noto un dossier nel
quale emerge che la società
avrebbe affidato in questi anni
appalti per quasi mezzo miliardo di euro, usando procedure abbreviate ed eccezionali
che hanno escluso le autorità
competenti, compresa la Corte
dei Conti, dalla possibilità di
controlli. «L’Italia — ha spie-
gato Santoro ai microfoni della
Rai — avrebbe potuto spendere meno soldi pubblici per gli
appalti di Expo se si fossero rispettate le leggi invece di consentire le gare in deroga». La
vicenda si lega inevitabilmente all’indagine che l’8 maggio
scorso aveva portato in carcere
anche uno dei top manager di
Expo, Angelo Paris, accusato
di aver fatto parte di una sorta
di «cupola» per pilotare appalti pubblici guidata da Gianstefano Frigerio e Primo Greganti, due politici (ex dc il primo,
ex pci il secondo) già protagonisti della prima Tangentopoli.
All’indomani degli arresti e
delle rivelazioni, il premier
Renzi aveva deciso di «mettere
la faccia» su Expo ed era venuto a Milano a rilanciare l’azio-
147
I Paesi che
prenderanno parte
all’Esposizione
Universale
Milano 2015
333
I giorni che
mancano all’inizio
della manifestazione,
il primo maggio
dell’anno prossimo
Commissario
È stato indicato dal
premier Renzi
come commissario
anti tangenti per
Expo 2015. Il
governo pensa a
un decreto legge
per dargli più poteri
ne della società promettendo
fra l’altro di affiancare al commissario unico Giuseppe Sala
il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone. Un mese dopo,
l’incarico di Cantone non è ancora stato formalizzato con
l’atteso decreto del Consiglio
dei Ministri, malgrado le ripetute pressioni della società, del
sindaco Giuliano Pisapia e del
governatore lombardo Roberto Maroni. Il problema non è
da poco, anche perché ad
esempio, c’è ancora da decidere se revocare gli incarichi alla
società Maltauro (finita nel
mirino dell’indagine: Enrico
Maltauro è ancora agli arresti)
come recentemente chiesto
anche dal sindaco. Su questo
Sala è stato chiaro: «Serve che
qualcuno che ne ha autorità
formalizzi l’atto di revoca». La
prefettura, consultata a suo
tempo, ha spiegato che non ci
sono gli estremi per muovere
questo passo e Sala aveva spiegato di voler affrontare la questione proprio con Cantone. Il
magistrato, però, non ha ancora avuto l’incarico: il tempo
passa e servono certezze per
poter rispettare i tempi previsti ed evitare la figuraccia internazionale con un flop della
manifestazione che vede già
prenotati 147 Paesi di tutto il
mondo.
E Cantone? Chi gli ha parlato
racconta dello sconcerto del
magistrato di fronte alla notizia uscita oggi che in parte lo
riguarda: l’Autorità, si dice, gli
avrebbe consegnato il dossier.
In realtà a Cantone poche ore
prima dell’uscita del presidente Santoro era arrivata solo una
mail con un allegato di una pagina excel e con l’impegno a
vedersi di lì a pochi giorni per
fare il punto della situazione.
Chi pensa che l’Autorithy abbia cercato di marcare il proprio terreno e il proprio ruolo
(«non serve un superman» è
stato ieri il commento di Santoro a proposito dei poteri
straordinari che avrà Cantone)
ha fatto notare che in questi
anni la stessa Authority non ha
mai segnalato nulla, malgrado
per ogni gara e per ogni affidamento la società Expo avesse
caricato i dati sulla piattaforma dell’Authority.
Elisabetta Soglio
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Il referendum fallito
Courmayeur
non avrà
un nuovo
nome
Courmayeur non cambia
nome. Non è stato raggiunto
il quorum al referendum per
decidere se modificare il
nome della celebre località
in Courmayeur-Mont Blanc.
Solo 921 elettori, il 39,46%
degli aventi diritto, si è
presentato alle urne,
respingendo così la
proposta
dell’amministrazione
comunale. Perché la
consultazione fosse valida
avrebbero dovuto
partecipare almeno il 50%
più uno degli aventi diritto,
vale a dire 1.168 residenti.
Chi ha scelto di votare si è
trovato in mano la scheda
con il quesito: «Volete che la
denominazione del Comune
di Courmayeur sia
modificata in CourmayeurMont-Blanc?».
«Quest’iniziativa — ha
spiegato il sindaco, Fabrizia
Derriard — aveva una
duplice valenza: la prima
culturale, come
riconoscimento a una
montagna che ha dato tanto
al paese; la seconda è più
promozionale, ovvero per
dare una riconoscibilità
immediata alla località, visto
che il Mont Blanc è noto in
tutto il mondo». Come ha
fatto Chamonix, a 20
chilometri di distanza, dalla
parte francese del massiccio,
che ha abbinato il suo nome
al colosso di granito in
mezzo alle Alpi nel 1921.
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La separazione
di Pirlo
da 55 mila euro
al mese
Se 55 mila euro al mese vi
sembran tanti, beh, in realtà
sono molti di più. «Quella è la
base, cui va aggiunto il resto: la
casa a Torino, le scuole, le visite
mediche, le vacanze, le spese
extra. A Pirlo è stato rinnovato
il contratto con la Juve:
l’avvocato della moglie
(Annamaria Bernardini de
Pace, ndr) come avrebbe potuto
chiedere di meno?», così dice
un’amica di Deborah Roversi,
per dodici anni Signora Pirlo
(sopra, insieme al calciatore),
madre premurosa dei suoi due
figli Niccolò e Angela, di 11 e 8
anni. Non è per cattiveria, per
carità, è la legge a stabilire che
il tenore di vita dopo la
separazione deve restare simile
a quello precedente: se la
consorte abitava in un attico in
centro, dopo non può spostarsi
in una capanna in periferia; se
era abituata a spendere tot euro
a settimana, poi non può
scendere sotto quella soglia.
Tutto questo non ha nulla a che
vedere con la relazione del
centrocampista della Juve e
della Nazionale con Valentina
Baldini, pierre torinese, già
fidanzata con l’avvocato
Riccardo Grande Stevens il
quale in un’intervista a Chi ha
fatto intuire con scarsa
eleganza come lei abbia un
debole per lo shopping
compulsivo («certe patologie
possono obbligarci ad
allontanare alcune persone
anche dopo anni di relazione»).
La separazione consensuale tra
i coniugi Pirlo si è appena
consumata davanti ai giudici
bresciani con sguardi bassi e
musi lunghi. Ma in fondo,
poteva andare peggio: siamo
ben lontani dai tre miliardi di
euro che sta costando al
magnate Dmitrij Rybolovlev il
divorzio dalla moglie Elena.
Quelli sì che son dolori.
El. Ser.
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Il colloquio L’ex deputato latitante: la mia famiglia ce l’ha con me perché sono fuggito
Matacena: «Non ho voglia di tornare
Scajola? Chiara mi è rimasta fedele»
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Fax 080 5760 126
«Amore mio...», così comincia la lettera
che Amedeo Matacena, l’ex parlamentare di
Forza Italia latitante a Dubai, ha scritto e inviato a sua moglie, Chiara Rizzo, rinchiusa
dal 20 maggio nel carcere di Reggio Calabria.
«Io lo so che lei non mi ha mai tradito con
nessuno, né con Scajola né con Bellavista
Caltagirone né con altri — racconta al telefono Matacena —. Perciò le ho scritto che lei è
una donna magnifica e sebbene provi rancore nei miei confronti e per questo ha chiesto
il divorzio, perché all’improvviso un anno fa
la lasciai sola con i nostri due figli per rifugiarmi a Dubai, io prego ogni giorno che cessi la sua sofferenza patita per colpa mia e non
cambi mai la sua anima, così testuale le ho
scritto, perché questo no, non me lo potrei
mai perdonare...».
Matacena dice pure che ha letto l’appello
di sua madre, Raffaella De Carolis, scarcerata
48 ore fa, affinché lui si costituisca. Ma non
lo farà, almeno per il momento: «Resto a Dubai, non ho alcuna voglia di tornare in Italia,
anche se so che per questo motivo tutta la
mia famiglia ce l’ha con me. Mi consegnerò
alla giustizia italiana solo se la Cassazione
eppoi la Corte Europea di Strasburgo dovessero respingere in via definitiva i miei ricorsi
contro la condanna passata in giudicato per
concorso esterno in associazione mafiosa.
Allora sì, mi arrenderò e accetterò il carcere,
ma solo perché l’ho promesso a mia moglie,
perché spero così di poter riunire un giorno
la mia famiglia».
Matacena, da un anno in attesa di estradizione, legge su internet gli articoli dei giornali italiani. E vuole rispondere colpo su colpo: «Ho letto dei biglietti per Sanremo che
Scajola avrebbe regalato a mia moglie perché
si era invaghito totalmente di lei. Se è per
questo, i biglietti per il Festival della Canzone l’ex ministro ce li diede anche in un’altra
occasione e all’epoca c’ero io, perciò non ci
vedo niente di male. Ho letto pure che la nostra figlia più grande, Francesca, 20 anni, lavorerebbe all’ambasciata italiana di Montecarlo. Non è vero, ha fatto lì un po’ di apprendistato, ma senza essere retribuita e neppure
segnalata all’ambasciatore Morabito da me o
mia moglie. Semplicemente, Francesca è
brava, si è laureata in business e management e l’ambasciata l’ha chiamata dopo una
selezione fatta nelle scuole. Io anzi ero pure
contrario e le consigliavo di non perdere
tempo visto che non era manco retribuita.
Comunque adesso non ci lavora più».
L’ex deputato di Forza Italia, dunque, rimarrà a Dubai («Io lo sapevo che è molto più
❜❜
La scelta degli Emirati
Resto a Dubai, è più sicura
di Beirut: visto cosa
è successo a Dell’Utri?
Amedeo Matacena
sicura di Beirut, visto Dell’Utri?, perché qui
negli Emirati non esiste un accordo bilaterale con l’Italia per l’estradizione...») e tutti i
giorni così può parlare via Skype con i figli a
Montecarlo. Con sua madre Raffaella, invece,
non l’ha ancora fatto («Gli avvocati dicono
che non sono autorizzato...») ma gli preme
comunque sottolineare che i rapporti tra
suocera e nuora, malgrado i tanti pettegolezzi, sono «sempre stati buoni», «loro due si
assomigliano», «due donne nate per la famiglia», anche dopo che lui, nel 2005, trasferì a
Chiara tutti i beni del patrimonio, circa 50
milioni di euro, ora sotto sequestro giudiziario.
Infine, Matacena torna a parlare della sua
condanna definitiva per mafia: «Io vicino alla ‘ndrangheta? Allora mi dovete spiegare
perché fino a quando avevo 20 anni la mia
famiglia pagava 68 milioni di lire al mese più
Iva per stipendiare quattro guardie del corpo
armate, due per me e due per mio fratello, al
fine di scongiurare il rischio sequestri a Reggio Calabria. E nel ’95, non l’ho mai rivelato
finora, anche Chiara sfuggì per un soffio a un
tentativo di rapimento: fu ritrovata sul letto,
chiusa con le mani legate dentro a un sacco
di juta: i carabinieri scrissero nel verbale che
lei si era legata e chiusa nel sacco da sola.
Questa è la verità. Ma sono contento perché
ora Chiara, dal carcere, ha scritto a nostro figlio più piccolo per dirgli di non avercela con
suo padre. Forse, chissà, un giorno torneremo a vivere tutti insieme. Anche se temo resterà un’illusione».
Fabrizio Caccia
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Cronache 19
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Tecnologia Simkhai: «Ho iniziato nel 2009 con cinquemila dollari. In molti si sono conosciuti così e poi sposati»
Latitante da 2 anni
ILLUSTRAZIONE DI ANGELO SIVIGLIA
Arrestato
in Svezia
il fondatore
di Pirate Bay
I creatori delle app per incontrarsi:
«Eravamo timidi, servivano a noi»
Gli ideatori di Grindr e Tinder: facciamo sentire meno soli tanti ragazzi
No, la popstar Katy Perry non
gli ha ancora risposto. Né sul telefonino. Né su Twitter. Ma il ragazzo non dispera. Anche perché la cantante ha fatto sapere di
essere una grande fan di Tinder.
E lui, Justin Mateen, di Tinder è
il fondatore. Ha 28 anni, ebreo,
di origini iraniane («persiane»,
precisa). Fino a venti mesi fa era
un perfetto sconosciuto. Ora,
oltre ad andarsene in giro per
Sunset Boulevard, a Los Angeles, con un bolide da 150 mila
euro, è diventato un oggetto di
studio. O meglio: la sua app.
Tinder appunto. Secondo molti
sociologi sta rivoluzionando il
modo di approcciare. Insieme
con Grindr, destinato però a un
pubblico gay. Entrambi i programmi funzionano allo stesso
modo: si installano sul telefonino, sfruttano la geolocalizzazione degli smartphone e indicano
a quanti metri ci sono donne e
uomini che vogliono conoscere
altre persone.
Su Grindr si connettono in
dieci milioni. In Italia — ottavo
mercato della società — gli
utenti sono 175.529. Milano è al
primo posto con 45.678 iscritti,
Roma subito dopo con 39.216.
Dietro a tutto questo c’è Joel Simkhai, 36 anni, nato a Tel Aviv,
ma a New York da quando ne
aveva tre. «Ho avviato Grindr
nel 2009 con cinquemila dollari
pagati di tasca mia», racconta al
Corriere. Laureato in Relazioni
internazionali ed Economia, Simkhai è l’amministratore delegato della società. «L’idea dell’app è il risultato di una necessità: volevo conoscere altri co-
Grindr
Tinder
Joel Simkhai
Ha 36 anni, è nato a Tel Aviv,
ma risiede a New York da
quando ne aveva tre. È
l’inventore di Grindr, la app
destinata a un’utenza gay. La
schermata del programma
consiste in una griglia di foto
formata da un insieme di
profili disposti in ordine di
vicinanza, grazie alla
geolocalizzazione, rispetto
alla posizione dell’utente. In
Italia — Paese che
rappresenta l’ottavo mercato
della società — gli utenti
sono 175.529
me me. Può sembrare strano,
ma anche a New York non è
sempre facile essere gay. Quello
che mi soddisfa di più è l’aver
fatto sentire meno soli milioni
di ragazzi», ammette. Se l’aspettava? «Direi proprio di no. Fino a
Justin Mateen
È il fondatore di Tinder.
Ventotto anni, ebreo di
origini iraniane, fino a un
anno e mezzo fa era un
perfetto sconosciuto. Oggi la
sua app è diventata oggetto
di studio: secondo molti
sociologi sta rivoluzionando
il modo di approcciare.
Attraverso la
geolocalizzazione, permette
di individuare persone
disponibili a conoscersi. È
stata lanciata in un party di
un Collegge californiano, oggi
è disponibile in 24 lingue
quando, un giorno, appena atterrato a Londra, ho visto che
molti ragazzi erano su Grindr».
Del programma si parla un po’
ovunque. Da Saturday Night Live a Top Gear, dal telefilm Silicon Valley a The Office. È anche
Premi giornalistici
Il Montanelli su giovani e lavoro
È dedicato a «Giovani: lavoro, innovazione, mobilità» il
premio «Indro Montanelli» 2015 . Il riconoscimento biennale
della Fondazione Montanelli Bassi andrà ad articoli pubblicati
tra 1 gennaio 2013 e 31 dicembre 2014 su quotidiani e
periodici, anche online, o raccolti in volume. Il premio alla
carriera — in passato andato, tra gli altri, a Ettore Mo, Miriam
Mafai, Gian Antonio Stella e Domenico Quirico — è una
medaglia d’argento, mentre è di 7.500 euro il premio giovani.
per questo che i cloni non mancano. L’utente medio «ha tra i 20
e i 29 anni, si connette soprattutto sabato e domenica e il momento di picco è tra le 2 e le 3 del
pomeriggio». I ricavi, mai resi
pubblici, sono a sette zeri. «Tre
quarti dei guadagni arrivano
dalla versione a pagamento, il
resto dalla pubblicità che compare in quella gratuita».
Sull’altro versante c’è Tinder.
Funziona come Grindr. Ma a
differenza del programma di Simkhai perché due persone possano parlare c’è bisogno che entrambi dicano «sì» ai rispettivi
profili che si agganciano a quelli
su Facebook. «È un modo per
evitare scocciatori», spiega Justin Mateen. «L’idea è semplice:
offriamo il modo per superare
l’imbarazzo che uno può prova-
750
Milioni Sono le foto
viste con Tinder ogni
24 ore nel mondo. Gli
utenti aumentano tra
1 e 5% al giorno
10
Milioni Sono gli utenti
che si connettono su
Grindr. In Italia Milano
è al primo posto con
45.678 iscritti
re nel momento dell’approccio».
Quando si accede all’applicazione compaiono le altre persone attorno. Se c’è un interesse si
preme sì o si scorre a destra. Se
l’altro ricambia si apre la chat. In
Italia gli utenti aumentano tra
l’1 e il 5% ogni ventiquattro ore e
si collegano in media 11 volte al
giorno. Nello stesso periodo di
tempo le foto viste nel mondo
sono 750 milioni.
Se Mateen è l’anima commerciale — è chief marketing officer
— Sean Rad, 27 anni, amico
d’infanzia di Justin, è l’altro fondatore e l’ad. Di origini persiane
ed ebreo pure lui, Rad è fidanzato con Alexa Dell, figlia di Michael, il numero uno del colosso
dei pc. Il terzo protagonista è lo
sviluppatore Jonathan Badeen,
32 anni. «Io sono single. O meglio: ho una relazione con la mia
app», scherza Mateen.
La storia inizia nel più «classico» dei modi: un campus universitario — la University of
Southern California — e tanti
giovani che cercano di conoscersi. Per lanciare il programmino Mateen organizza una festa dove per entrare bisogna
aver installato Tinder. Nel giro
di poche settimane arriva il botto. Grazie anche all’idea di «nominare» in ogni ateneo americano un «ambasciatore di Tinder». Ai giochi olimpici invernali di Sochi, in Russia, decine
di atleti hanno detto di usarla.
Così come i personaggi famosi,
da Katy Perry a Lindsay Lohan.
«Ma non ci fermiamo qui. La
collaborazione con Facebook va
avanti». Finiranno per dirsi «sì»
anche Tinder e il social network
di Mark Zuckerberg? Mateen risponde con un sorriso. Ma promette: «Risentiamoci tra sei
mesi. Ci saranno grandi novità».
Leonard Berberi
@leonard_berberi
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Peter Sunde, uomo immagine
di Pirate Bay (baia dei pirati
ndr), la più famosa
piattaforma al mondo per la
condivisione di musica, film e
giochi, è stato arrestato nel
sud della Svezia dopo due
anni di latitanza. L’Interpol
era da tempo sulle tracce di
Sunde, 35 anni, nome di
battaglia «brokep»,
condannato a otto mesi di
reclusione nel 2010 in appello
per aver violato le leggi sul
copyright. Dopo la notizia
dell’arresto di Sunde —
candidato nella lista del
partito Pirata finlandese alle
Europee — sui social network
è partito l’hashtag
#FreeBrokep. The Pirate Bay,
che ha toccato punte di 20
milioni di visitatori al mese, è
stato creato nel 2003 in
Svezia, da Sunde, con Fredrik
Neij (latitante in Asia) e
Gottfrid Svartholme (fuggito
in Cambogia ed estradato in
Svezia due anni fa) e
finanziato da Carl Lundstrm.
Nel 2009 il tribunale di
Sul web
Peter Sunde, 35 anni,
co-fondatore di Pirate Bay
(foto Afp)
Stoccolma ha condannato in
primo grado i fondatori a un
anno di carcere e a una multa
di 2,7 milioni, per «complicità
in violazione della legge sul
diritto d’autore». Nel
novembre 2010, un tribunale
d’appello ha confermato il
verdetto, diminuendo le pene
ma aumentando la multa a
4,6 milioni. E nel 2013 la
Corte europea dei diritti
umani di Strasburgo ha
rigettato il ricorso di Fredrik
Neij e Sunde, che sostenevano
di non poter essere ritenuti
responsabili dell’uso fatto da
altri di Pirate Bay, il cui scopo
era solo facilitare lo scambio
di file su Internet. Nonostante
la continua chiusura in
diversi Paesi del mondo tra
cui l’Italia, il sito ha
continuato a riapparire con
un sistema di server «a
specchio». Dopo aver chiesto
all’Islanda di ospitare i suoi
server, Pirate Bay ha
progettato nel 2013 un
trasferimento ai Caraibi. E un
anno fa è tornato il primo sito
pirata al mondo e il 75° più
visitato della Rete.
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20
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Cultura
A confronto L’autore americano
illustra i temi del suo nuovo romanzo
Arbasino vince il premio «Il Vittoriale»
Alberto Arbasino è il vincitore del V premio «Il Vittoriale», che gli verrà
consegnato oggi (alle 16) presso il Laghetto delle Danze, nel Parco del Vittoriale
di Gardone Riviera (Brescia) dal presidente della Fondazione Giordano Bruno
Guerri. Arbasino, primo scrittore insignito del riconoscimento dedicato a
Gabriele d’Annunzio, «riceverà il premio non perché — ha spiegato Guerri — si
è occupato di d’Annunzio ma perché è Arbasino e tutti gli dobbiamo molto».
Il personaggio Protagonista assoluto
è il tormentato dottor Paul O’Rourke
La parabola del dentista
alla ricerca dell’infinito
Ferris: sono ateo, ma affascinato dalla religiosità
di PAOLO GIORDANO
Giovedì 5 giugno
O
dontoiatria e religione: un binomio
poco esplorato in
letteratura (e anche
in generale, scommetteremmo), un accostamento bizzarro e dissacrante, perfetto per
uno scrittore scalmanato come Joshua Ferris, che fin dal suo fulgido esordio
— E poi siamo arrivati alla fine (Neri Pozza,
2006) — ha messo al centro della sua produzione un miscuglio esplosivo di umorismo, disperazione, genialità e monomanie. Narratore e
protagonista incontenibile del suo terzo romanzo, Svegliamoci pure, ma a un’ora decente (Neri
Pozza), è il dentista Paul O’Rourke, scapolo, stacanovista, in lotta perenne con tutto ciò che riguarda la modernità, scettico verso ogni forma
di fede, ma sotto sotto alla ricerca di qualcosa di
più grande e nobile a cui appartenere.
L’Ebraismo, il Cattolicesimo e l’Amore, tentativi di adesione che ha fatto in passato ma che
sono tutti falliti, hanno lasciato un cratere insoddisfatto nel suo cuore, che lui ha riempito
con la dedizione alla pratica ambulatoriale.
«Quando curavo una carie o un canale radicolare o estraevo un dente insanabile, mi capitava di
pensare: questo si sarebbe potuto evitare. Ricadevo nella mia visione cinica della natura umana: non si lavano i denti, non usano il filo interdentale, non hanno cura di sé. (…) Ma se si lavavano i denti e usavano il filo interdentale e perdevano lo stesso un dente, allora dovevo dare la
colpa a qualcos’altro, e com’era prevedibile puntavo il dito contro la natura crudele o un Dio indifferente».
Guardando la vita attraverso gli occhi straordinariamente vivaci di Paul O’Rourke, non si nota troppa differenza fra il credere in un salvatore
ultraterreno e il credere nell’odontoiatria: entrambi sono sistemi di dogmi e riti, ma una corretta igiene orale ha almeno il pregio inequivocabile di prevenire l’infarto.
E tu, Ferris? Usi il filo interdentale con regolarità?
«Ogni giorno, dal 1996. Ho delle gengive molto difficili e senza filo sarei già morto».
Com’è nata l’idea di uno studio dentistico e
come hai raccolto l’infinità di dettagli tecnici
sparpagliati per il libro?
«Mi piacciono gli strumenti luccicanti e le
macchine da tortura degli studi dentistici. Volevo un personaggio che potesse tenerli in mano e
L’incontro a Roma
Esce in libreria giovedì 5 giugno il
romanzo di Joshua Ferris Svegliamoci
pure, ma a un’ora decente (pagine 368,
17), edito da Neri Pozza. Lo stesso 5
giugno Ferris sarà in Italia per
partecipare con Paolo Giordano al
Festival delle Letterature di Roma,
ideato e diretto da Maria Ida Gaeta. Nella
piazza del Campidoglio, alle ore 21, i due
romanzieri leggeranno loro testi inediti
ispirati al tema del festival: «Ognuno,
ma proprio ognuno, è il centro del
mondo». Con loro partecipa all’incontro
lo scrittore americano Benjamin Alire
Sáenz. Joshua Ferris, nato nel 1974 a
Danville, nello Stato americano
dell’Illinois, ha esordito con E poi siamo
arrivati alla fine (Neri Pozza, 2006).
giocarci, e volevo capire il loro funzionamento.
Sono stato anche ispirato dal documentario
Best Worst Movie (che racconta il destino degli
attori di uno dei film considerati più brutti della
storia, ndr), dove compare un dentista adorabile. La ricerca, poi, è stata semplice. Ho guardato
filmati di procedure odontoiatriche su YouTube
e preso appunti ogni volta che andavo dal dentista».
Mi sembra che tu abbia una predilezione
per gli ambienti chiusi: l’ufficio di «E poi siamo arrivati alla fine», la casa di «Non conosco
il tuo nome» e lo studio dentistico qui.
«Quando scrivo “studio dentistico” oppure
“cubicolo dell’ufficio”, quasi ogni lettore capisce
immediatamente dove si trova. In luoghi così familiari posso far muovere qualunque cosa e il
lettore riesce a figurarsela senza fatica. È un modo efficace per rappresentare l’inusuale o l’incredibile».
Il libro è diviso in due parti. La prima è dominata dalla lunga invettiva del dottor Paul
O’Rourke. Odia quasi tutto ciò che caratterizza la vita contemporanea, dai teatri di Broadway alla «nuova religione» del cibo a New
York, dalla religione in generale alle passeggiate notturne, e poi la sensazione umida della crema idratante sulla pelle...
«Odia veramente tutte queste cose? O piutto-
sto le desidera, ma non riesce a capire che, per
ottenerle, dovrebbe lamentarsi di meno e dimostrare maggiore iniziativa? Paul doveva essere
molto alienato perché io potessi raccontare con
forza il suo risveglio religioso e renderlo qualcosa di più assoluto di una noiosa esperienza mistica».
D’altra parte, Paul ama luoghi che la maggior parte degli adulti del suo ceto detestano,
come i centri commerciali.
«Questi spazi morti, questi terribili luoghi di
mezzo dove non accade nulla e tutti appaiono
disperati e persi sono un test efficace del proprio carattere. Se riesci a essere felice in quei
purgatori, allora puoi esserlo ovunque».
Il padre di Paul si è suicidato e lui sembra
avere ereditato la sua tendenza alla depressione. Mi sembra che anche «Non conosco il tuo
nome», il tuo romanzo precedente, potesse
essere letto come una metafora sulla depressione, o più in generale sul disagio psichico.
«No, il punto centrale per me è sempre il piacere. La lingua, l’umorismo, i personaggi, le immagini, la stranezza della storia... voglio che diano il maggior piacere possibile. Soltanto dopo il
piacere mi preoccupo del tema, che è così importante per gli insegnanti e i club di lettura, ma
Dopo l’invettiva di Paul comincia la secondi poco conto per me. Credo ci siano tante cose da parte, che ruota attorno alla fede. Paul riedeprimenti che dobbiamo superare se vogliamo voca le sue due importanti storie d’amore, enraggiungere una certa misura di soddisfazione, trambe finite male, e viene fuori che si fondao di pace, e voglio mostrare come possiamo far- vano soprattutto sul bisogno di una famiglia,
lo».
di un’appartenenza a qualcosa, proPaul bambino, dopo il suicidio del
prio come accade per la religione.
padre, non riesce a dormire, passa le
Eppure, la religione nel romanzo
notti a domandare alla madre se è
esclude molto più facilmente di
sveglia anche lei. È un passaggio molquanto non includa.
to commovente del libro, che ricorda
«Le Religioni con la R maiuscola sol’inizio della «Recherche».
no state uno spettacolo di orrore, la
«Quella parte della storia è complecausa di guerre, oppressione, pregiuditamente autobiografica. Dopo il divorzio e crudeltà. Coloro che non volevano
zio dei miei genitori non riuscivo a dorconvertirsi alle religioni predominanti
Lo scrittomire e chiamavo ripetutamente mia
venivano prima puniti sulla terra e poi
re Joshua
madre durante la notte. Non era piacecondannati all’inferno. Tuttavia, a un
Ferris
vole per nessuno».
livello più locale, quello di un uomo
(1974)
Descrivi sempre le figure femminiche si confronta con l’infinito, o di un
li — anche nei libri precedenti — cogruppo di credenti riuniti in una funme più forti, più determinate e solide delle lo- zione, a quel livello trovo la religione attraente,
ro controparti maschili. Addirittura, a volte piena di mistero e di amore. Come ateo, ho una
sembrano esistere proprio per contenere tut- tensione verso questa sorta di comunione intite le inadeguatezze e le ansie degli uomini.
ma».
«Gli uomini forti sono più forti delle donne
Il sapore biblico che si ritrova spesso nel lideboli, ma le donne forti sono molto più forti bro è anticipato dal titolo originale, «To Rise
degli uomini forti. Ed è una fortuna per me che Again at a Decent Hour».
le donne forti abbiano un debole per le inade«L’hai detto tu. Un sapore biblico».
guatezze degli uomini forti».
Nel romanzo compare anche una nuova re-
ligione, quella degli ulm, che professano la
necessità del dubbio. Dio stesso ha raccomandato loro di dubitare della propria esistenza, così hanno fondato una religione basata, paradossalmente, sull’ateismo. Ciò che è
molto interessante è come questo dogma non
sia né più né meno coerente di quelli delle Religioni-con-la-R-maiuscola («Mio caro amico, fin dall’inizio dei tempi la gente ha creduto
con tutto il cuore e tutta l’anima alle affermazioni più inverosimili»).
«Gli ulm sono un’invenzione. Sono comparsi
per confortare gli atei, il cui scetticismo ha privato del calore della comunità. L’ateismo è la
meno compresa fra le religioni. Per esempio, io
non sono un ateo praticante. Che cosa significa
questo? Dobbiamo ampliare la definizione,
«ateo», a significati più ampi, alle contraddizioni, alle sottigliezze. Camus scrisse che il segreto
dell’universo era immaginare Dio senza l’immortalità dell’anima. Quando gli chiesero di
spiegarsi meglio, disse: “Ho un senso del sacro e
non credo in una vita futura, tutto qui”».
Gli ulm sono descritti come «gli Ebrei degli
Ebrei». E il romanzo si avventura spesso in riflessioni dettagliate e controverse sulla Shoah, sul modo che abbiamo di farci i conti, riflessioni spesso venate di ironia.
«Ho inventato “gli Ebrei degli Ebrei” da non-
Balcani A un secolo dall’attentato di Sarajevo che causò la Prima guerra mondiale, resta istruttiva la vicenda del letterato scomparso di recente a 92 anni
La tragedia della Serbia e il suo cantore Cosic, un’eredità ambigua
di MARA GERGOLET
T
ra tutto ciò che lo scrittore Dobrica Cosic (nella foto) ha fatto nella sua vita, una vita che copre l’arco di un secolo di tragedie serbe, il suo
nome sarà per sempre legato a una macchia. Ossia,
a quel memorandum che forse non scrisse mai o
solo in minima parte, e che però uscì quando lui era
alla guida dell’Accademia delle Scienze di Belgrado. Un testo che denunciava la condizione d’inferiorità dei serbi in Jugoslavia, chiedendo la riscossa: quel memorandum diventerà la piattaforma
ideologica delle guerre di Slobodan Milosevic. Cosic è morto il 19 maggio a Belgrado, a 92 anni, meritandosi, quando la notizia è uscita dei confini nazionali — questo grande autore che raccoglieva
l’essenza e le contraddizioni del popolo serbo —,
un necrologio-omaggio sul «New York Times».
Eppure, prima di quel famigerato atto — che lo
portò a diventare presidente di ciò che rimaneva
della Jugoslavia nel 1992 —, Cosic era stato il perfetto intellettuale dell’Est (organico, spesso libero).
Giovane comunista, nella cerchia strettissima di Ti-
to; direttore della propaganda partigiana durante la
guerra; federalista contro
chi voleva una Jugoslavia
più nazionale; dissidente ed
«emarginato» quando si
schierò contro l’autonomia
del Kosovo (e contro Tito).
Nazionalista infine, perfino
l’«ideologo» dei due partiti
serbi nati in Croazia e in Bosnia, tra cui quello di Radovan Karadzic.
In Occidente non ebbe mai la fama o il fascino
contagioso di un Danilo Kis (e dei grandi scrittori
cechi), però forse come nessun altro raccontò l’epica della sconfitta serba, che si nutre delle leggende
dei tempi dei turchi. Fu anche molto amato. Il tempo della morte, la serie di racconti sulle disgrazie
serbe durante la Prima guerra mondiale da cui il
popolo però trasse forza per la rinascita, è stato letto nelle scuole per decenni. E oggi, a cento anni
esatti dall’inizio del conflitto con l’attentato di Sarajevo, ha ancora molto da dire.
Quando diventò presidente e pronunciò il discorso d’investitura, molti serbi anti-Milosevic, indignati, gli rispedirono indietro per posta i suoi libri. Lui provò a staccarsi dal regime, accettò un primo, inutile, accordo di pace nel 1993, fu silurato da
Milosevic quasi subito. Poi nel 2000 aderì a Otpor, il
movimento di studenti che chiedeva la caduta di
Milosevic. L’ultimo trasformismo: e infatti il grande vignettista Corax lo ritrasse nella vasca da bagno, mentre cerca di darsi una ripulita, con il pugno chiuso, ma era il pugno di uno scheletro.
In una delle ultime interviste disse che nel futuro
dei serbi non ci sono più guerre, perché il popolo
«non ne ha più ne la forza demografica né patriotica». Molti omaggi in Serbia. Tra questi, a nome del
governo, il ministro Ivica Dacic (scritto probabilmente da qualche nuovo intellettuale di riferimento): «Era un partigiano e un serbo, un comunista e
un democratico, un uomo comune e uno statista.
Ci ha spiegato che il Sole è lontano (uno dei suoi libri più celebri, ndr) ha descritto la morte e il male.
Era un peccatore, un rinnegato, un credente».
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La palude degli scrittori
Su Corriere.it
Alessandro Beretta
risponde a Franco Cordelli
Continua il dibattito nato intorno
all’articolo di Franco Cordelli su «la
Lettura» #131 di domenica 25 maggio. Il critico ha accostato il panorama
della letteratura contemporanea a una palude, dividendo gli scrittori in
diverse categorie, dai «novisti» ai «conservatori». Hanno risposto in tanti,
da Gilda Policastro a Paolo Sortino, i quali hanno rimproverato a Cordelli
di non confrontarsi con il presente; Raffaella Silvestri e Andrea Di Consoli
hanno invece sottolineato una certa «stasi culturale». Sabato è
intervenuto il critico e scrittore Gabriele Pedullà, che ha preso le difese di
Cordelli. Oggi, sempre su Corriere.it, tocca ad Alessandro Beretta,
collaboratore del «Corriere della Sera» e de «la Lettura».
IN PAGINA
✒
Cultura 21
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
L’aquila e la croce di Dante
di ARMANDO TORNO
Nell’opera di Luigi Valli (1878-1931) e della sua scuola trovò spazio un
tema inattuale e denso di fascino: l’esoterismo di Dante e di buona
parte della poesia italiana delle origini. Tema che si riallacciava,tra
l’altro, alla tradizione dei Fedeli d’Amore; argomento di cui dovette
occuparsi anche Pascoli, professore di latino dello stesso Valli. Ora
uno studio documentatissimo di Stefano Salzani (École pratiques des
hautes études), dal titolo Luigi Valli. L’esoterismo di Dante (Il
Cerchio, pp. 416, 34), ricostruisce la lettura dell’opera del sommo
fiorentino con la prospettiva ermetica. La simbologia (basti pensare
alla croce e all’aquila), i rapporti con Pascoli, il linguaggio segreto
dantesco e gli studi dello stesso Valli (i più importanti sono riproposti
da Luni) e altro ancora entrano in queste pagine per mettere a punto
un’interpretazione antica e antiaccademica. Salzani ha interrogato
anche quegli ambiti religiosi che rientrano in codesta interpretazione,
soprattutto ha compulsato l’archivio di Valli (è alla Casa di Dante a
Roma) e gli epistolari. Segnala i siti internet utili e credibili.
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Biografie Giuseppe Sangiorgi racconta il leader democristiano a 60 anni dalla morte
De Gasperi senza piedistallo
Il lato discreto di uno statista
CLIFFORD MORRIS BODEL (1954), «IL DUBBIO DEL DENTISTA» (2013, TECNICA MISTA), ISPIRATO ALL’«INCREDULITÀ DI SAN TOMMASO» (1601-1602) DEL CARAVAGGIO
di GIOVANNI RUSSO
ebreo, come qualcuno che vede una ricchezza
nella tradizione ebraica e ammira diversi ebrei,
sia osservanti che no. È la prospettiva di un outsider che guarda l’invidiabile comunità di chi
condivide un pensiero».
Non avevi paura di spingerti in quel territorio?
«Certo che ne avevo. Ero spaventato a morte».
Credi che oggi un profeta si manifesterebbe
sul serio via Internet?
«Molti profeti minori lo fanno già. Veicolano
il loro messaggio con più efficacia di un tempo.
Se penso che questo possa accadere su larga scala? Sono ancora stupito che sia successo altre
volte su larga scala, perciò ne sarei sorpreso ancora. Sorpreso ma non sconvolto».
Scrivi: «Un uomo è pieno di cose che semplicemente non si possono twittare». Includere Internet e la tecnologia in generale nella
narrativa è una delle sfide più difficili. Tu riesci a farlo qui in modo molto naturale e consistente.
«Rassegnazione. Se vogliamo parlare del
mondo reale nei nostri libri, dobbiamo usare i
termini del mondo reale. Altrimenti le nostre
finzioni saranno soltanto posate sulla superficie
delle cose, non diventeranno mai qualcosa di
più di parabole e allegorie, e verranno presto dimenticate».
Paul sostiene che al giorno d’oggi «i connessi diventano più connessi mentre i disconnessi diventano più disconnessi».
«Internet, in quanto prodotto umano, è ovviamente pieno di persone tristi e miserevoli,
che si sentono disconnesse nonostante l’inclusività della piattaforma. Per fortuna io sono fra i
connessi. Ma non utilizzo i social media per sentirmi connesso. Uso la mia grande bocca e le mie
braccia spalancate».
Ci elenchi alcune cose che ti sono piaciute
nell’ultimo anno, in libreria, al cinema, in televisione?
«Mi è piaciuto un romanzo di Zachary Lazar
intitolato I Pity the Poor Immigrant, sul gangster
ebreo Meyer Lansky. Mi è piaciuta La grande bellezza. Mi è piaciuta House of Cards. Mi sono piaciuti l’album Lost in the Dream di The War on
Drugs, quello di St. Vincent chiamato St. Vincent e Trouble Will Find Me di National».
Come vivi la trasformazione rapida nel
mondo dell’editoria?
«L’umore è turbato negli Stati Uniti. Anche
fra gli scrittori c’è la convinzione che i romanzi
stiano seguendo il destino della poesia. Avremo
presto un pubblico molto ristretto e specializzato, si dice. Scriveremo l’uno per l’altro. E se anche fosse vero? Bene così».
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«D
e Gasperi va fatto scendere dal
piedistallo di marmo sul quale è stato posto e va calato tra
noi», scrive Giuseppe Sangiorgi, giornalista, saggista, già presidente
dell’Istituto Luce, in De Gasperi, uno studio
(Rubbettino, pagine 230, € 15): una biografia
quanto mai avvincente dello statista trentino, di cui il prossimo 19 agosto ricorre il sessantesimo anniversario della scomparsa.
Sangiorgi riesce infatti a ricostruire una serie di episodi che colgono De Gasperi sia nell’intimità familiare, sia sul grande palcoscenico nel quale si muovono i personaggi politici. Lo stile scorrevole e la prosa essenziale
contribuiscono a restituire al lettore quei
tratti personalissimi che contraddistinsero
uno dei padri della Repubblica, nonché iniziatore dell’integrazione europea.
Ciò che distingue il saggio di Sangiorgi
dalle altre biografie dello statista è la ricerca
minuziosa del dettaglio dimenticato, della
testimonianza trascurata, del documento
inedito, il che ha permesso all’autore di raccontare la vita di un De Gasperi sconosciuto
a partire dall’infanzia in Trentino ancora sotto il dominio austriaco. Nota è la sua aspirazione a diventare cittadino italiano anche
quando nel 1911, come suddito austriaco, è
eletto deputato al Parlamento di Vienna.
Curioso il parallelismo tracciato da Sangiorgi fra la vita di De Gasperi e quella di Togliatti, due personalità che non potevano essere più diverse, ma che il destino fece incontrare. «Tutti e due erano appassionati
dei cori di montagna, ma la tradizione trentina dell’uno non si accordava con quella
piemontese dell’altro». Non solo: il nome Alcide deriva dal greco alceis, che significa robusto ed è sinonimo di Ercole, ed Ercole Ercoli fu proprio lo pseudonimo adottato da
Togliatti, scrive Sangiorgi, nel raccontare come il mite e religioso De Gasperi si trasformò in astuto e agguerrito combattente per
fronteggiare l’avversario politico.
Nonostante la fede dichiarata e indiscussa, il rapporto con il papa Pio XII non si trasformò mai in amicizia, il loro restò un dialogo a distanza, perché, scrive Sangiorgi, la
Santa Sede giudicava l’atteggiamento del governo italiano e della Democrazia cristiana
troppo debole nei confronti del comunismo.
Eppure De Gasperi non si stancava di ripetere a monsignor Pavan, della Pontificia Università Lateranense: «Si immagini monsignore se non mi impegno a fondo: qualora
dovesse avere il sopravvento il comunismo,
anche per brevissimo tempo, il primo ad essere impiccato sarei io!». Combatté il Partito
comunista, ma non venne mai a patti né si
alleò con la destra, neppure nel 1952 in occasione delle elezioni per il Comune di Roma.
Alcide De Gasperi nel 1951 con il generale e futuro presidente Usa Dwight Eisenhower
Molto materiale inedito l’autore ha ricavato dagli appunti che De Gasperi soleva vergare su dei foglietti per fissare un giudizio o un
ricordo. Proprio dai foglietti si ricava non solo il suo giudizio sul ruolo che avrebbe dovuto svolgere la Democrazia cristiana, da lui
definita un partito di centro orientato a sinistra, ma anche l’idea che aveva del rapporto
fra politica, Chiesa e gerarchia ecclesiastica:
«I cattolici dovrebbero apprendere a stare in
ginocchio, ma anche a stare in piedi».
Fu l’artefice della ricostruzione, a partire
Raccolte in volume
Dieci conferenze
sul grande trentino
S’intitola Su De Gasperi. Dieci lezioni
di storia e di politica il volume, a cura
di Giuseppe Tognon (Fbk Press,
pagine 255, 18), in cui sono raccolti
gli interventi dei relatori agli incontri
che la Fondazione Trentina Alcide De
Gasperi organizza ogni anno a Pieve
Tesino, paese natale dello statista,
nell’anniversario della sua morte. Il
libro contiene testi di Pietro Scoppola,
Leopoldo Elia, Ugo De Siervo, JeanDominique Durand, Sergio Romano,
Iginio Rogger, Francesco Traniello,
Giuseppe Vacca, Vera e Stefano
Zamagni, Pierluigi Castagnetti.
dalla Costituente. Le sue idee sull’economia
di mercato, ispirate in parte alla dottrina sociale della Chiesa, le espresse per l’ultima
volta nel giugno del 1954 nel congresso della
Dc a Napoli: «Né capitalismo, né comunismo, ma solidarismo di popolo in cui lavoro
e capitale si associno, con crescente prevalenza del lavoro sotto il controllo o con la
propulsione dello Stato democratico». Per
aiutare la ricostruzione del Paese, De Gasperi fece sì che venisse approvata la Cassa per il
Mezzogiorno, per poi recarsi nel luglio del
1950 in visita ai «Sassi» di Matera: visita che
gli confermò in modo drammatico la giusta
politica della Democrazia cristiana contro la
povertà e l’arretratezza strutturale del Sud.
Fu molto attivo anche in politica estera:
nel gennaio 1947 si recò negli Stati Uniti, un
passo che preparò l’adesione al piano Marshall. Aveva fatto il suo esordio in un convegno internazionale il 10 agosto 1946, alla
Conferenza di pace di Parigi. In qualità di capo del governo aveva l’onere di rappresentare il proprio Paese, reduce da vent’anni di
dittatura, uscito sconfitto dalla guerra più
atroce del secolo, economicamente in ginocchio. In mano aveva due sole carte: il proprio passato — non aveva mai chinato la testa sotto il fascismo — e il ruolo svolto dalla
Resistenza. «Prendendo la parola in questo
consesso mondiale — disse — sento che
tutto, tranne la vostra personale cortesia, è
contro di me…». Il suo discorso, per la dignità e la credibilità, riuscì a fare dell’Italia un
interlocutore ascoltato.
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Delitti Gemma Beretta ha ricostruito la vita, le idee e la fine orribile di una straordinaria «caposcuola» del pensiero neoplatonico nella tarda antichità
Ipazia d’Alessandria, filosofa e scienziata martirizzata dal fanatismo
di MASSIMILIANO CHIAVARONE
U
na donna su un carro percorre le strade
di Alessandria d’Egitto per fare ritorno a
casa. Un gruppo di monaci cristiani la
sorprende, la tira giù dal mezzo, la trascina fino a una chiesa, fa del suo corpo macelleria,
uccidendola con bastoni e cocci e poi smembrandola. Infine quegli stessi uomini, sulla carta di fede, prendono i miseri resti sanguinolenti e li bruciano per cancellare ogni traccia.
È la sorte toccata a Ipazia, la filosofa e scienziata vissuta tra il IV e il V secolo. Il suo caso costituisce uno dei più efferati femminicidi di
matrice cristiana della storia. La vicenda è raccontata da Gemma Beretta in Ipazia d’Alessandria (Editori Riuniti/University Press, pp. 320,
20). Questo bel libro è una scrupolosa ricostruzione storica della vita e delle idee della
martire del paganesimo e della libertà di pensiero, supportata da un uso approfondito delle
fonti antiche. Beretta sottolinea che l’omicidio
maturò nell’ambito della lotta per la suprema-
Charles William Mitchell, La morte di Ipazia (1885)
zia tra pagani e cristiani da un lato e del prevalere del potere cosiddetto «spirituale» su quello temporale dall’altro, inteso come «scontro
senza mediazioni tra il potere ecclesiastico locale e il potere civile cittadino».
Il fulcro del conflitto nel V secolo fu Alessandria, centro della cultura pagana e dunque
«laica», cioè un barile di polvere da sparo in cui
bisognava solo innescare la miccia. In corso
epocali cambiamenti geopolitici che porteranno alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, alle invasioni barbariche che riguardavano
anche l’Impero romano d’Oriente (come la
sconfitta di Adrianopoli, nell’odierna Turchia,
del 378) e alla supremazia del Cristianesimo.
Il primo evento che ne sancì l’affermazione
fu l’Editto di Milano del 313, dell’imperatore
Costantino I: stabiliva la libertà di culto, interrompendo le persecuzioni contro i cristiani,
ma di fatto privilegiava la loro religione a scapito delle altre. Poi il Concilio di Nicea del 325
formulò i fondamenti dell’ortodossia cristiana.
L’Editto di Tessalonica del 380 dichiarò il Cri-
stianesimo religione ufficiale dello Stato nella
forma definita «cattolica». Inoltre riconosceva
il primato delle sedi episcopali di Roma e di
Alessandria in materia di teologia. E questo atto inaugurò una specie di «soluzione finale»
per il paganesimo con i decreti teodosiani
emessi tra il 391 e il 392 (il primo dei quali firmato da Teodosio a Milano) e ispirati da Ambrogio. Infatti, scrive la Beretta, «rientravano
nella politica di scambio tra Chiesa e Impero»
inaugurata proprio dai due. Cominciò la distruzione dei templi pagani insieme alle persecuzioni e prese slancio la filosofia cristiana con
Agostino.
Qui si inserisce la storia di Ipazia, nata ad
Il profilo intellettuale
Vissuta a cavallo tra il IV e il V secolo,
figlia di un matematico, è stata figura
di spicco anche nell’astronomia
Alessandria e figlia di Teone, uno dei più grandi matematici dell’antichità. Lei stessa, educata
dal padre, divenne un punto di riferimento
non solo nella filosofia, ma anche nell’astronomia, assurgendo a terza grande caposcuola del
platonismo dopo Platone e Plotino.
Ma il suo insegnamento rivolto a tutti, la sua
cultura, il fatto che a lei chiedesse consiglio il
prefetto romano Oreste, la fecero emblema di
un ideale di vita e di politica antitetico alla visione degli episcopi, basato «piuttosto che sul
potere che viene dall’essere anello di una scala
gerarchica, sull’autorità che viene dall’intelligenza sul mondo e dal coraggio nell’esporsi».
La prese di mira il vescovo Cirillo, che la riteneva responsabile della sua mancata riconciliazione con Oreste. E di fatto ispirò lo scempio
che nel 415 di lei fecero i monaci, in realtà «corpo di polizia degli episcopi». Un delitto atroce,
rimasto impunito, e di cui sarebbe il caso ora,
anche se a secoli di distanza, di riconoscere le
responsabilità morali.
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Cultura 23
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Romanzi d’Europa
Le iniziative del Corriere
Maestri Lo scrittore scozzese indaga il rapporto tra apparenza e realtà nell’aristocrazia, che esplode attraverso il duello tra due fratelli
Il piano dell’opera
1
14 aprile
Milan Kundera
L’INSOSTENIBILE
LEGGEREZZA DELL’ESSERE
Intervista di Paolo Di Stefano
a Roberto Calasso
2
22 aprile
José Saramago
MEMORIALE DEL CONVENTO
Prefazione di
Massimo Raffaeli
3
28 aprile
Claudio Magris
DANUBIO
Prefazione di
Corrado Stajano
4
5 maggio
Thomas Mann
I BUDDENBROOK
Prefazione di
Paola Capriolo
5
12 maggio
Marguerite Yourcenar
MEMORIE DI ADRIANO
Prefazione di
Mario Andrea Rigoni
6
19 maggio
Primo Levi
LA TREGUA
Prefazione di
Frediano Sessi
7
26 maggio
Ivo Andric
IL PONTE SULLA DRINA
Prefazione di
Giorgio Montefoschi
8
Oggi
Robert Louis Stevenson
IL SIGNORE DI BALLANTRAE
Prefazione di
Franco Cordelli
9
9 giugno
Nikos Kazantzakis
ZORBA IL GRECO
Prefazione di
Paolo Mereghetti
di PIETRO CITATI
C
ome tutte le intelligenze vaste, nitide e
vertiginose, quella di Robert Louis Stevenson era attratta dal male assoluto.
«Mi sembra — scrisse negli ultimi anni
di vita — di essere nato col sentimento di qualcosa di inquietante nascosto nel cuore delle cose, di un male e di un orrore egualmente senza
limiti». Con una violenza estrema, egli affrontò
il male soprattutto in due libri: scrivendo Lo
strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde (1886) e
Il signore di Ballantrae (1889). Nel primo caso
guardò la tenebra del male: quello che esso ha
di deforme, abietto, orribile, odioso, al punto
da sottrarsi all’espressione e alla parola, superando qualsiasi limite negativo. Hyde destava
una «curiosità piena di ripugnanza»: c’era, in
lui, qualcosa di anormale e di contraffatto;
qualcosa che colpiva, sorprendeva e rivoltava.
Il caso del Signore di Ballantrae era opposto.
Il grande aristocratico scozzese emanava una
specie di luce radiosa e abbacinante: emanava
un fascino senza limiti; affetto, amore, venerazione, adorazione. Era — racconta l’onesto
Mackellar, la voce narrante del libro — «un alto
e snello gentiluomo vestito di nero, con la spada al fianco, una mazza da passeggio allacciata
al polso. Agitò la mazza verso il capitano Crail
L’eroe satanico di Stevenson
in segno di saluto, con un misto di grazia e di
beffardaggine, che impresse profondamente
quel gesto nella mia memoria… Aveva il viso
olivastro, asciutto, ovale, con neri occhi, vigili e
penetranti, da uomo combattivo e avvezzo al
comando. Un grosso diamante gli brillava all’anulare… Le sue maniere erano di un’affabile
garbatezza. Ogni suo atto era così piacevole e di
aspetto così nobile che io non riuscivo a meravigliarmi vedendo suo padre e sua cognata sedere attorno alla tavola insieme a lui, con facce
radiose. Era un meraviglioso attore, che parlava all’orecchio della signora, con una grazia
diabolicamente insinuante». Ed ecco il tocco
definitivo. «Vi era in lui tutta la gravità e qualcosa dello splendore di Satana nel Paradiso
perduto di Milton».
Questo fascino era soltanto una scintillante
facciata. James, signore di Ballantrae, pretendeva di essere un cavaliere, un eroe, il fiore dell’aristocrazia europea del Settecento. Ma chi lo
conosceva bene, chi ne seguiva le azioni e ne
vedeva il volto segreto, sapeva che egli era avidissimo di denaro e di menzogne. Spargeva
sangue attorno a sé con cinica indifferenza:
torturava; ed era così intimamente brutale e
volgare che rivelò la sua natura profonda quando venne nominato capitano da una banda di
corsari. Fingeva di essere un nobile protettore
degli afflitti e dei perseguitati: mentre era una
spia, che per denaro denunciava i suoi compagni di sventura.
James aveva un fratello minore: Henry, che
sembrava modesto e mediocre, quanto egli era
demoniacamente accorto ed astuto. Henry aveva il senso del dovere mentre egli ne era privo:
leggeva poco, parlava poco, mentre egli era un
re della conversazione e della lettura: non aveva finezza: era goffo, quasi brutto, inelegante;
soprattutto incapace di ispirare amore e dedizione. Tutti lo sfuggivano: le comari del villaggio lo insultavano per strada: al massimo i buoni avevano pietà di lui, che al contrario avrebbe
voluto ricevere amore e tenerezza — la tenerezza quotidiana, che rende lieta la vita.
James odiava ferocemente, selvaggiamente
Henry: senza nessuna ragione, perché il fratello lo adorava e venerava come gli altri; lo odiava
appunto perché non possedeva né eleganza né
fascino; e lo considerava colpevole di tutte le
sue sventure, delle quali egli era invece il solo
responsabile. Lo scherniva, lo chiamava Giacobbe (mentre lui si paragonava a Esaù): gli dava dell’avaro, dell’idiota, del goffo, del contadino, del marinaio alla taverna, dello zotico, della
mignatta; non sopportava la sua ingenuità e la
sua innocenza, e la sua bontà premurosa e affettuosa.
Nel torturare il fratello, James possedeva
un’astuzia diabolica, sempre più raffinata e
sottile, che lo colpiva al cuore, e faceva affondare la sua vita in una infelicità senza misura.
Quando viveva insieme a lui con il padre e la
Il signore di Ballantrae è un nobile dall’animo oscuro
Incarna in una figura sola le psicologie di Jekyll e Hyde
cognata, James si rivolgeva al fratello nel modo
più gentile e squisito se qualcuno lo ascoltava,
ma crudelissimo quando lo incontrava a quattr’occhi. Il vecchio Lord e la Signora erano quotidianamente testimoni di ciò che avveniva:
avrebbero potuto giurare in corte di giustizia
che Mr. James era un modello di tolleranza e di
bonomia, e che invece Mr. Henry era un esempio di gelosia e di ingratitudine. Quando James
venne dato per morto, nemmeno allora Mr.
Henry poté avere sollievo. Il padre e la moglie si
riunivano insieme in segreto, per compiangere
lo scomparso, e tenevano lontano il malvagio,
l’insensibile Mr. Henry, come se fosse un crudele impostore.
Il grande romanzo precipita all’improvviso
verso il suo culmine: la notte del 27 febbraio
1757. È il cuore del freddo, al quale Stevenson si
avvicina con lievi tocchi successivi. «Al sopravvenire della notte la caligine si rinchiuse nell’alto; il buio calò da un cielo senz’aria, in un’atmosfera immobile e gelida: notte inclementissima e adatta a strani casi». «Non tirava un alito: un gelo senza vento aveva fermato l’aria; e,
mentre avanzavamo al lume delle candele, la
tenebra pendeva come una volta sul nostro capo. Non proferimmo parola; né udimmo altro
suono tranne lo scricchiolio delle nostre scarpe sul viottolo ghiacciato. Il fremito della notte
mi si ghiacciò addosso come un secchio d’acqua, accrescendo nelle mie vene il tremito provocato dal terrore».
La prossima uscita
Qui sopra, l’autore greco Nikos Kazantzakis
(1883-1957). Il 9 giugno uscirà con il
«Corriere», nella serie Romanzi d’Europa, il
suo capolavoro «Zorba il greco» (1946).
L’illustrazione in alto è di Camilla Guerra
In edicola Il nuovo volume con prefazione di Franco Cordelli
Le radici del Vecchio Continente
Con Il signore di Ballantrae, romanzo di Robert Louis Stevenson
(1850-1894) prefato da Franco Cordelli, prosegue la collana del
«Corriere della Sera» curata da Paolo Di Stefano dal titolo «Romanzi
d’Europa», dedicata alle opere che hanno contribuito a fertilizzare le
radici culturali del Vecchio Continente (in edicola a € 9,90 più il costo
del quotidiano), con prefazioni inedite. È un romanzo costruito
intorno ai conflitti di una famiglia scozzese alla metà del XVIII
secolo. Conflitti privati che sconfinano nelle lotte per il potere, con il
tentativo della dinastia Stuart di riappropriarsi del trono di Scozia e
poi di quello di Gran Bretagna. La prossima settimana ci sarà Zorba il
greco di Nikos Kazantzakis (prefato da Paolo Mereghetti), affresco di
un ritorno alla purezza del pensiero che in Grecia trovò i suoi semi.
R. Sco.
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Avvicinandosi al cuore del freddo, Henry si
trasformò: dopo aver udito una terribile offesa
di James, diventò calmo, lucido, determinato,
sicuro. Si alzò in piedi lentamente, molto lentamente, avendo l’aria di essere immerso in
profondi pensieri. «Che vigliacco!» — disse
piano come parlando a sé stesso. Poi, senza
fretta e senza speciale violenza, diede un rovescio sulla bocca di James. Mr. James balzò in
piedi, come trasfigurato: «Non mi parve mai
tanto bello», commentò Mackellar. «Le mani
addosso a me, esclamò. Non lo sopporterei da
Dio onnipotente». Poi, nel gelo, la rapidissima
scena del duello. Henry, completamente trasformato, incalzò il fratello con una furia contenuta e trionfante: finché James, menando il
colpo a vuoto, inciampò nel ginocchio del fratello e, prima di potersi riprendere, venne trafitto dalla spada di lui, guizzò per un momento
come un verme calpestato e poi giacque immobile al suolo. Mackellar e Henry lo credettero
morto.
***
Questa scena è il meraviglioso culmine tragico del libro. Poi tutto crolla, sebbene il racconto conservi la sua straordinaria bellezza.
Henry ha un lungo e terribile incubo, dal quale
esce cambiato, abbandonandosi all’odio per il
fratello. Sopporta un «grave scadimento»: subisce la pietà di se stesso, piagnucola, beve; la
faccia appare invecchiata, la bocca malinconica, la dentatura scoperta in un perpetuo rictus,
l’iride dilatata in un campo bianco iniettato di
sangue.
Intanto Mackellar si avvicina al genio del
male sconfitto: fa un viaggio con lui attraverso
l’Atlantico; talora prova nausea come davanti a
un essere immondo, talora ribrezzo, talora una
strana ammirazione piena di complicità e di
odio. Anche la Geenna, conclude Mackellar,
«può avere nobili ardori».
Nell’ultima pagina del romanzo, due lapidi.
La prima: «James Durie,/ erede di un titolo
scozzese,/ signore delle arti e delle grazie,/
ammirato in Europa, in Asia, in America,/ in
guerra e in pace,/ nelle tende dei cacciatori selvaggi/ e nelle cittadelle dei re,/ nonostante i
grandi meriti,/ le molte imprese e le dure privazioni,/ qui giace obliato». La seconda: «Henry Durie,/ fratello di lui,/ dopo una vita di immeritati affanni/ coraggiosamente sopportati,/ morì quasi al tempo stesso;/ e dorme nella
stessa tomba/ del suo fraterno avversario./ La
pietà della moglie/ e di un vecchio servo/ pose
questa memoria/ad entrambi».
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10
16 giugno
Stendhal
LA CERTOSA DI PARMA
Prefazione di
Alessandro Piperno
11
23 giugno
Charles Dickens
TEMPI DIFFICILI
Prefazione di
Sergio Romano
12
30 giugno
Albert Camus
LO STRANIERO
Prefazione di
Dacia Maraini
13
7 luglio
Miguel de Unamuno
NEBBIA
Prefazione di
Emanuele Trevi
14
14 luglio
James Joyce
GENTE DI DUBLINO
Prefazione di
Sandro Veronesi
15
21 luglio
Italo Svevo
LA COSCIENZA DI ZENO
Prefazione di
Giorgio Pressburger
16
28 luglio
Knut Hamsun
FAME
Prefazione di
Franco Brevini
17
4 agosto
Javier Cercas
SOLDATI DI SALAMINA
Prefazione di
Pierluigi Battista
18
11 agosto
Hermann Hesse
NARCISO E BOCCADORO
Prefazione di
Isabella Bossi Fedrigotti C.D.S.
24
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Idee&opinioni
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RENZI & MERKEL
✒
«Mi raccomando l’eloquenza
dei gesti» aveva detto Francesco ai vescovi italiani il 19 maggio: ed
eccolo ieri all’Olimpico che s’inginocchia per «ricevere» la preghiera dei cinquantamila su di lui. Qui l’eloquenza sta
nella capacità di quel gesto di dare
un’evidenza plastica alla sua costante richiesta «pregate per me».
Quello di ieri non è un gesto pacifico
nella Chiesa, perché tra la folla che pregava per lui c’erano anche i «carismatici» appartenenti a Chiese protestanti;
così come non sarà senza risonanze polemiche l’incontro di preghiera di domenica prossima, al quale ha chiamato
i presidenti Shimon Peres e Abu Mazen.
Papa Bergoglio sa bene che i gesti non
sono eloquenti se sono innocui, ma
parlano quando smuovono.
Il gesto di inchinarsi per ricevere la
preghiera del popolo Francesco lo compì al primo affaccio alla loggia di San
Pietro la sera dell’elezione. Quell’inchino è nuovo nella tradizione papale, ma
non era nuovo nella biografia di Bergoglio che già l’aveva sperimentarlo da arcivescovo di Buenos Aires in un’occasione per la quale i tradizionalisti l’accusarono di «apostasia», cioè di rinne-
gamento della fede, dal momento che
allora — come di nuovo ieri — si era inginocchiato per ricevere la preghiera di
un’assemblea composta anche da «eretici».
Era il 19 giugno 2006 e il cardinale
Bergoglio partecipava a un raduno ecumenico allo stadio Luna Park di Buenos
Aires. «A un certo punto il pastore
evangelico chiese che tutti pregassero
per me» racconterà il futuro Papa a pagina 197 del volume Il Cielo e la terra
che è del 2010. Mentre tutti pregavano,
dirà ancora, «la prima cosa che mi venne in mente fu di inginocchiarmi per ricevere la preghiera e la benedizione
delle settemila persone che si trovavano lì».
Per l’accoglienza di quella «benedizione» ecumenica come — e ancora di
più — per le sue iniziative di incontri di
preghiera con ebrei e musulmani, egli
era contestato in patria e forse tornerà a
esserlo ora da Papa, dopo il gesto di ieri
e in vista di quello di domenica prossima. Unire le preghiere è impresa ardua
sulla terra.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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LA «SCIENZA DEI CITTADINI», MOVIMENTO
CHE COMPENSA IL TRAMONTO DEI VERDI
✒
In Italia, i partiti verdi e i loro
programmi di politica ambientale non hanno raccolto consenso da
parte dell’elettorato. Questo risultato se
da un lato sorprende, soprattutto pensando a come l’emergenza ambientale
sia nota a tutti e riguardi l’intero pianeta,
dall’altro può, almeno in parte, spiegarsi
con la forte preoccupazione presente nel
Paese per i temi dell’economia, della stabilità finanziaria, dell’occupazione. In questa fase difficile,
il problema ambientale è
colto, erroneamente, come meno rilevante e così,
forse, anche la politica
verde nazionale ha perso
vigore e forza di convincimento.
Tuttavia c’è qualcosa
che non funziona in questo risultato e
che contrasta con quanto in realtà avviene nel Paese dove si assiste ormai da
tempo a una accresciuta, consapevole e
acculturata attenzione per i temi dell’ambiente. E non mi riferisco soltanto a
quelle benemerite azioni dei cittadini
che la domenica vanno a ripulire spiagge
o luoghi archeologici. Penso a quel fenomeno più recente ma diffuso di partecipazione attiva alla raccolta di dati scien-
tifici a supporto della ricerca, ambientale e non . È quella citizen science praticata da gente comune, non professionisti,
che semplicemente contribuisce spontaneamente alla conoscenza, al sapere,
fianco a fianco con i ricercatori. Cittadini
che con cura e disciplina fanno censimenti di fauna e di vegetali o che forniti
di appositi strumenti dai ricercatori rilevano dati di qualità dell’aria e dell’acqua. Riportano tutto su file excel e
inoltrano i dati ai ricercatori in scienze ambientali.
È una pratica che sta
crescendo, fondata sull’impegno costante e quotidiano di cittadini che
hanno capito che vivere in
un contesto ecologicamente sano è un bene ed
un diritto. E allora hanno deciso di rimboccarsi le maniche, di partecipare in
prima persona, al di fuori di ogni linea e
dettame politico. Si va creando così un
sistema di controllo forte e consapevole,
sentito come una vera e personale conquista. È, forse, una realtà come questa
fatta di conoscenza e passione che la politica verde ha perso di vista.
Danilo Mainardi
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✒
di MAURO MAGATTI
I
bene informati dicono che, quando era
cardinale di Buenos Aires, Bergoglio
fosse un attento lettore della «teologia
del popolo», secondo cui la salvezza è
un cammino non solo individuale ma
anche storico e collettivo. No, dunque, alle
fughe in avanti e agli intellettualismi: il popolo, per definizione rumoroso, contraddittorio e variopinto, avanza col suo passo e,
soprattutto, deve avanzare insieme.
Sarà un caso, ma le vicende politiche di
questa primavera possono essere utilmente
rilette proprio a partire dall’idea di popolo,
termine che etimologicamente viene fatto
risalire a due radici, «mettere insieme» e
«riempire». In effetti, oggi si deve mettere
insieme ciò che è andato in pezzi: oltre un
certo livello, la frammentazione sociale
diventa un problema, disgregando le
istituzioni e l’economia. E, d’altro canto,
si deve riempire ciò che si è andato sempre
più svuotando: di fronte alle tempeste degli
ultimi anni, i singoli individui oggi si
sentono sempre più soli e chiedono che
le istituzioni tornino dalla loro parte.
I recenti risultati elettorali confermano il
punto: in Europa la cancelliere tedesca e il
primo ministro italiano si sono riconosciuti
come i soli leader capaci di parlare al loro
popolo, sulla base di un discorso — la
prima da destra, il secondo da sinistra — di
ispirazione neo-popolarista, l’unico oggi in
grado di battere le pulsioni populistiche
sprigionate dalla crisi.
Per «neo-popolarismo» intendo una
concezione politica che non è né statalista
né liberista, né collettivista né
individualista. E dire questo è già dire
tantissimo, perché significa porsi alla
ricerca di un punto di equilibrio tra
l’iniziativa personale e la responsabilità
sociale, tra i compiti della politica e dello
Stato e la valorizzazione delle forze diffuse
nella società, tra l’obiettivo di raggiungere
un livello accettabile di integrazione sociale
e la necessità di garantire un’adeguata
efficienza sistemica. Per superare la crisi,
tanto a livello italiano quanto a quello
europeo, avere in mente il popolo è oggi
fondamentale: la pura mobilitazione
individualistica, che ha segnato il
trentennio neoliberista, non basta più.
È quello che ha cercato di fare Obama; è
quello che certamente ha fatto la Merkel; è
ciò che ha intuito Renzi, il quale vince non
perché è un socialista (pur avendo aderito
al Pse), ma perché è un neo-popolare.
stessi proposti dagli esibizionisti in cerca di pubblicità, oppure già risolti in sede giudiziaria. A sostegno della nuova
inchiesta si invoca anche la recente desecretazione dei documenti coperti da
segreto di Stato, ignorando, però, che
nei processi per terrorismo e strage, come quelli Moro, per legge non è stato
mai opposto alcun segreto. Pare proprio che i parlamentari favorevoli all’inchiesta — Pd, Fi, Gal, Sel, Popolari e Lega Nord — siano rimasti impigliati in
quel conformismo fondato sui cosiddetti «misteri d’Italia» che a lungo ha
condizionato la nostra politica.
Temiamo che anche questa inchiesta
possa essere utilizzata per sollevare polveroni. Dopo tanto tempo, sarebbe perciò opportuno lasciare agli storici il
compito di inquadrare la tragedia Moro
nella giusta prospettiva. Spesso le verità
storiche in tutte le loro sfumature risultano più attendibili delle verità giudiziarie e delle inchieste parlamentari.
Massimo Teodori
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E perché ha cambiato il Pd (a differenza di
quanto è accaduto in Francia) in questa
direzione. Sapendo così porsi in sintonia
con le esigenze concrete della popolazione
(con la mossa degli 80 euro e la centralità
data ai tagli della politica).
Che poi la sinistra italiana sia disposta a
metabolizzare questa metamorfosi è tutto
da dimostrare. Anche se, per il momento,
il dividendo derivante da vittorie elettorali
così ampie tacita qualsiasi malumore. E che
poi Renzi sia davvero all’altezza di una
leadership coerente con la sua proposta
neo-popolare deve essere, anche questo,
verificato. Di sicuro, egli ne porta addosso
— nella sua provenienza e storia personale
— alcuni tratti distintivi. Non a caso,
quando era ancora sindaco, amava citare
La Pira.
Il problema è che il neo-popolarismo
mantiene un pericoloso punto di tangenza
col populismo che gli deriva dalla
possibilità del leader di gestire
direttamente il proprio rapporto con
il popolo. Tutte le mediazioni (dal
parlamento ai sindacati, dai partiti ai
territori) tendono a venire svilite dal
contatto tra il popolo e il suo leader
(qualcosa che si verifica, ad esempio, anche
con il Papato). In una spirale comunicativa
che può portare al tradimento delle
promesse e delle aspettative.
Il neo-popolarismo, allora, è tale solo se
rispetta alcuni canoni: non separare la
sofferenza della gente comune — in nome
di un astratto dover essere — dallo sguardo
di medio-lungo periodo; far seguire alle
promesse la risoluzione concreta dei
problemi; trasformare il risentimento
diffuso in spinta per una nuova giustizia
sociale; combinare le esigenze della
crescita dell’economia con lo sviluppo
delle comunità e delle persone; usare
l’autorevolezza della leadership non per
accentrare ma per riformare le istituzioni
e riorganizzare le autonomie sociali;
affermare la centralità dell’investimento
(in ricerca, ambiente, infrastrutture) e
dell’innovazione rispetto al consumo e alla
rendita.
Si profila dunque una nuova fase in cui, in
prima battuta, la contrapposizione è tra
neo-popolarismo e populismo. Ma,
guardando avanti, la vera partita sarà tra
diverse interpretazioni della spinta neopopolare che si fa strada un po dappertutto:
a fare la differenza saranno gli accenti che
si sarà capaci di dare e soprattutto la
capacità di avviare una vera stagione di
innovazione economica, sociale e
istituzionale.
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INTERNET E LA PRIVACY
Una via italiana per il diritto all’oblio
di CATERINA MALAVENDA
C
IL VECCHIO VIZIO DEL COMPLOTTO
NELL’INCHIESTA SUL CASO MORO
La nuova commissione parlamentare d’inchiesta sul «caso
Moro» che impegna 60 deputati e senatori è l’ultimo capitolo dell’uso strumentale del Parlamento nel momento
in cui occorrerebbe convogliare tutte le
energie politiche sui problemi del Paese. Da quel tragico 16 marzo 1978 si sono
svolti cinque processi Moro che hanno
individuato gran parte degli assassini,
una commissione d’inchiesta specifica
e cinque commissioni su «stragi e terrorismo» che, dopo anni di lavoro, hanno prodotto un nulla di fatto.
È allora lecito chiedersi perché mai
continuare la ginnastica inchiestistica
utile solo a soddisfare la folta schiera
dei complottomani appassionati di
quelle rivelazioni fasulle che hanno inquinato l’aria per un terzo di secolo.
L’anno scorso, perfino un magistrato ha
preso sul serio un imbroglione finto
«gladiatore» che ha dato la sua versione
dei fatti, rivelatasi pura fantasia. Ora,
molti degli interrogativi posti alla base
dell’inchiesta parlamentare sono gli
I neo-popolari argine ai demagoghi
Ma stiano attenti ai personalismi
CHIARA DATTOLA
IL GESTO ECUMENICO DI PAPA FRANCESCO
IN GINOCCHIO DAVANTI AI NON CATTOLICI
aro direttore, il diritto all’oblio è
l’argomento del giorno, ne parla
anche chi ne sa poco, al punto che
si sono formate due fazioni contrapposte, una che vorrebbe cancellare tutto, al grido «i dati sono miei e me
li gestisco io»; l’altra che la Rete è la sola vera
forma di libertà d’espressione e, quindi, non
si tocca.
Posizioni ideologiche, radicali e inconciliabili, al punto che il professor Luciano Floridi ha auspicato un novello Dick Fosbury,
l’inventore del «salto dorsale», perché serve
un’innovazione vera, per tenere insieme il
diritto all’oblio e il diritto all’informazione.
Senza avere la pretesa di dare il colpo di
reni decisivo, qualche idea è possibile avanzarla, intanto escludendo che l’oblio possa
essere invocato, per cancellare notizie attuali, perché diffamatorie: è quello che sostengono, invece, quanti hanno scritto, in questi
ultimi mesi — sono moltissimi — alle redazioni e agli editori, per chiedere la rimozione di articoli dell’altro ieri, invece di rivolgersi al giudice perché accerti l’eventuale lesione della reputazione.
Sì, perché il problema riguarda soprattutto i giornali online o la versione online di
giornali cartacei e, comunque, i siti che diffondono notizie, seriamente controllate,
che sono l’obiettivo privilegiato di richieste,
spesso ingiustificate e la cui funzione informativa verrebbe assai penalizzata dalla ri-
mozione indiscriminata dei link di riferimento, da parte dei motori di ricerca.
Le notizie «antiche» devono, poi, riguardare vicende oramai definite: un’assoluzione in primo grado, impugnata dal pubblico
ministero, presuppone almeno un altro grado di giudizio, il che esclude la facoltà di intervenire per oscurare tutti gli articoli, che si
sono occupati del processo, fino a quel momento.
E anche i dati risalenti nel tempo possono
conservare una loro valenza informativa, la
cui valutazione non può essere rimessa a un
motore di ricerca, interessato piuttosto a sopire i conflitti.
Lo strumento per ovviare a tutti questi inconvenienti esiste già, si chiama diritto all’aggiornamento dei dati, è garantito dalla
«legge sulla privacy» e tutela sia l’interessato, sia chi fornisce o cerca un’informazione
completa.
Il vero scandalo, infatti, non è visualizzare
la notizia di un arresto, anche datato, che sia
stato davvero eseguito, ma non trovare, anche cercandole, quelle successive, sul processo e sull’eventuale assoluzione dell’imputato.
Un rimedio che, peraltro, non avendo i
giudici italiani nulla da farsi insegnare da
quelli transnazionali, è già stato individuato
dalla Cassazione e progressivamente utilizzato, con l’inserimento, a richiesta dell’interessato, nella stessa pagina web, dei neces-
sari aggiornamenti. Rimedio che, ove massicciamente adottato, consentirebbe anche
di sfuggire all’ipocrisia di cancellare il link,
conservando nell’archivio del sito la notizia
non aggiornata, comunque reperibile, con
qualche sforzo in più. Quel che residua, notizie spicciole su persone comuni, che
nuocciono loro, senza aggiungere nulla alla
completezza dell’informazione, potrà senza
rimpianti essere sottratto ai motori di ricerca, con un clic.
Infine, una domanda: quanto tempo occorre sia trascorso, per poter invocare il diritto all’oblio? Qui non c’è alcuno scontro,
ma solo, da un lato, la pretesa comprensibile dell’interessato che la notizia sgradita
sparisca dal video il più presto possibile; e,
dall’altro, l’assenza di una norma di riferimento che, come accade per la prescrizione
o per l’usucapione o per la riscossione di un
credito, stabilisca un termine minimo, prima del quale, pur sussistendone gli altri
presupposti, non si possa chiedere che cali
l’oblio.
Utile sarebbe colmare il vuoto, in sede legislativa, disegnando anche qualche regola
in più. In mancanza e ancora una volta, il
tempo potrebbe non esser galantuomo, ma
piegarsi alle sollecitazioni dei più potenti o
di chi si rivolgerà all’avvocato giusto.
Avvocato, esperta in Diritto
dell’informazione
© RIPRODUZIONE RISERVATA
25
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Lettere al Corriere
Le lettere, firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a:
«Lettere al Corriere» Corriere della Sera
via Solferino, 28 20121 Milano - Fax al numero: 02-62.82.75.79
LA DEMOCRAZIA DIRETTA
DAI SANCULOTTI A BEPPE GRILLO
Risponde
Sergio Romano
Beppe Grillo mi ricorda lo
storico leader degli Arrabbiati
(Enragés), Jacques Roux del
periodo rivoluzionario
francese 1793-1794.
Emanuele
Romagna-Manoja
[email protected]
sovrintendere personalmente
alla carcerazione della famiglia reale nella prigione del
Tempio. Il re aveva un forte
mal di denti e chiese che gli
fosse mandato un dentista.
«Non vale la pena — disse
Roux, facendo un gesto che
simulava il taglio della gola —
in breve i vostri denti saranno
accomodati». Ebbe l’incarico
di portare il re al patibolo e di
scrivere un rapporto sulle sue
ultime ore che lesse di fronte
alla Convenzione. Ma le sue
intemperanze e certi saccheggi fatti sotto la sua autorità finirono per infastidire e irritare gli stessi Sanculotti di cui
Roux fu per qualche tempo
uno dei maggiori esponenti.
Accusato di delitti contro l’etica rivoluzionaria, fu processa-
Caro Romagna-Manoja,
rima di rispondere alla
sua domanda devo ricordare ai lettori che Jacques Roux (un prete spretato,
come parecchi altri rivoluzionari) fu un personaggio iracondo, brutale, sempre pronto ad accendere gli animi e a
scatenare moti rivoluzionari.
Fra gli episodi della sua vita
passati alla storia vi è un breve
dialogo con Luigi XVI quando
a Roux fu affidato l’incarico di
P
SISTEMA ELETTORALE
to il 25 gennaio 1794 e venne
condannato a morte. Non appena udì la sentenza si dette
cinque colpi di coltello e fu
trasportato morente all’ospedale di Bicêtre.
Quanto alla parentela ideologica che legherebbe Grillo
agli Arrabbiati e più generalmente al gruppo dei Sanculotti, il confronto è stato fatto da
uno studioso, Cesare Vetter, in
un articolo apparso sulla Rivista di politica, diretta da Alessandro Campi, nel numero
dell’ottobre-dicembre 2013.
La somiglianza è nel concetto
egiziani residenti in Italia,
recatisi al voto la scorsa
settimana presso uno dei loro
consolati. Si sono presentati
al seggio presentando un
documento con codice
elettronico e, dopo aver
votato, essi figuravano
automaticamente depennati
dagli archivi elettorali
esistenti in Egitto,
escludendo in tal modo la
possibilità di votare per la
seconda volta. Quando
potremo finalmente
abbandonare la farraginosa
modalità cartacea?
Calcolo dei quorum
Caro Romano, l’attuale
sistema elettorale per le
Europee contiene evidenti
disparità nel trattamento dei
prescelti. Così se Simona
Bonafé (Pd) e Raffaele Fitto
(FI) con meno di 300.000
preferenze ciascuno vengono
eletti, Giorgia Meloni ( Fd’I)
con ben 345.000 rimane a
casa. Sarebbe giusto dare
comunque un premio di
elezione a chi supera un certo
quorum personale a
prescindere dal
raggiungimento del 4 per
cento della sua lista.
dal Popolo delle LibertàForza Italia non aveva forse
come obiettivo quello di
evitare una crisi di governo al
buio?
Aldo Sgro
[email protected]
SINDACATI
Sciopero alla Rai
Sacrosanta la battaglia dei
dipendenti della Rai a difesa
dei loro posti lavoro. Sarebbe
tuttavia gradito un impegno
più forte dei sindacati — che
hanno proclamato lo sciopero
anti-tagli del governo —
contro gli sprechi
dell’azienda di viale Mazzini
e contro certi incredibili
mega-stipendi.
NUOVO CENTRODESTRA
Appello di Alfano
Il suo suggerimento merita
una riflessione. La preferenza
è una specie di sotto-voto,
espresso nell’ambito di una
competizione fra partiti, ma è
pur sempre una scelta di cui
occorrerebbe forse tenere
conto.
L’appello di Angelino Alfano
per ricompattare il centro
destra comporterà una
possibile crisi di governo. Ma
la scissione del neonato Ncd
La tua opinione su
sonar.corriere.it
VOTO ELETTRONICO
Confronto con l’Egitto
Alfano apre a Lega
e Berlusconi:
rimettiamoci tutti in
gioco per un nuovo
centrodestra. Ci riusciranno?
Dobbiamo rilevare che forse
siamo già ultimi in tema di
voto elettronico. Basta un
semplice raffronto con gli
riana si sbarazzò di Robespierre e Saint-Just. Termidoro non seppellì la rivoluzione,
ma dimostrò che i francesi
erano stanchi degli eccessi
degli anni precedenti.
Grillo e Casaleggio non
predicano la violenza, ma
hanno in materia di rappresentanza parlamentare e di
potere popolare idee che ricordano effettivamente quelle
degli Arrabbiati. Anzi, pensano probabilmente che la rete
consenta al popolo di fare oggi, con i suoi «mi piace» e
«non mi piace», quello che in
altri tempi sarebbe stato molto più difficile. Forse Grillo ha
visto nel risultato delle elezioni europee il fantasma di Termidoro.
DIPENDENTI PUBBLICI
del suo stesso partito che lo
avevano pesantemente e
volgarmente attaccato.
Sarebbe il caso di non
esagerare con le critiche
personali: le parole sono
macigni e non si dovrebbe
mai entrare nella sfera
personale altrimenti si corre
il rischio di smentire se
stessi. E ora qualcuno, forse,
dovrebbe scusarsi !
Diritti e doveri
Carlo Radollovich
[email protected]
Vittorio Zanuso
vzanuso@
libero.it
di democrazia diretta. Come
Grillo oggi, anche se con argomenti ancora più radicali, i
Sanculotti proponevano che
le leggi venissero ratificate da
tutti i cittadini riuniti nelle assemblee primarie, che il mandato parlamentare fosse imperativo, che il parlamentare
fosse soltanto un mandatario
e che il popolo avesse sempre
il diritto di revocarlo, che i cittadini avessero un diritto di
petizione individuale e collettivo, che il voto fosse sempre
palese. I Sanculotti erano figli
o nipoti di Jean-Jacques Rousseau, a cui dovevano una buona parte delle loro tesi. Ebbero
una considerevole influenza
sulla vita pubblica francese sino al 1794 e uscirono di scena
quando la reazione termido-
Pietro Mancini, Cosenza
La signora Susanna
Camusso, segretario generale
della Cgil, auspica che i
dipendenti pubblici siano
equiparati ai dipendenti
privati: intende per i diritti o i
doveri? E non mi risultano
nemmeno dipendenti
pubblici in cassa
integrazione e/o in mobilità a
causa del patto di Stabilità
e/o per carenze di fondi per
investimenti!
Alberto Borghi, Varese
RENZI E IL PD
Quegli attacchi
Tra i tanti vizi di noi italiani,
vi è quello di salire sul carro
del vincitore. Ultimamente
abbiamo assistito alla
santificazione del presidente
del Consiglio da parte di
molti personaggi all’interno
SUL WEB Risposte alle 19 di ieri
Sì
26
No
74
La domanda
di oggi
Il Commissario tecnico
Prandelli ha escluso
Giuseppe Rossi
dai Mondiali di calcio.
Siete d’accordo?
In merito all’articolo «Morbillo, picco di
infezioni, in troppi non si vaccinano»
(Corriere di ieri), perché, allora, si
verificano ancora tutti questi casi di
morbillo, se le vaccinazioni di massa
dovrebbero mettere in assoluta
sicurezza i già vaccinati ? O la
vaccinazione mette realmente in
sicurezza dalla malattia infettiva, o non vi
è prova che abbia effetti certi e duraturi.
Ciò ne delegittima, conseguentemente,
la prescrizione imposta come un dogma.
Simonetta De’ Negri, Perugia
Semplicemente perché la vaccinazione
non è di massa. E di massa si intende
globale. Nel 2000 gli Stati Uniti non
avevano più morbillo, ma siamo in
un’epoca in cui i via vai da un Paese
all’altro sono continui e il virus viaggia
tramite chi non si è vaccinato e non è
detto che si ammali. Detto questo, il picco
è in California dove prevale il movimento
della non vaccinazione. La poliomielite in
Italia non c’è più, ma è ancora endemica
in alcuni Paesi dove la vaccinazione non si
fa e, quindi, in Italia può tornare.
Mario Pappagallo
Il crocifisso contestato
A Noale (Ve), un signore ha preteso che
fosse rimosso altrimenti non avrebbe
votato (Corriere, 26 maggio) . È stato
accontentato non senza disagio e tutto è
DEL LUNEDÌ
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
DIRETTORE RESPONSABILE
PRESIDENTE Angelo Provasoli
Ferruccio de Bortoli
VICE PRESIDENTE Roland Berger
CONDIRETTORE
AMMINISTRATORE DELEGATO Pietro Scott Jovane
VICEDIRETTORI
Antonio Macaluso
Daniele Manca
Giangiacomo Schiavi
Barbara Stefanelli
andato a buon fine. Essere laici o
professarsi atei non significa esibire
alcun credo, ma semplicemente
affermare uno status come, ad esempio,
essere animalista, ambientalista,
vegetariano o vegano. Essere ateo o
laico è una condizione personale che
attiene solo all’individuo e al suo modo
di vedere le cose. I luoghi di culto non
sono vietati a chi non crede, anzi sono
aperti a tutti e nessuno chiede una
credenziale per accedervi. Gli edifici
pubblici, invece, sono di pertinenza dello
Stato e allo stesso modo aperti a tutti i
cittadini, sia a chi crede (di qualsiasi
religione) sia a chi non crede. Tanti edifici
espongono il simbolo della cristianità
(professata dalla maggioranza degli
Sede legale: Via Angelo Rizzoli, 8 - Milano
Registrazione Tribunale di Milano n. 5825 del 3 febbraio 1962
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DIRETTORE GENERALE DIVISIONE MEDIA
Alessandro Bompieri
di Pierluigi Battista
Incapaci di vedere
il nuovo antisemitismo
V
Converrà ricordare che la
festa della Repubblica di
oggi è soprattutto una
conquista delle donne d’Italia
che appunto quel 2 giugno
1946 votarono per la prima
volta nella storia del Paese
decretando la vittoria della
forma di governo
repubblicana su quella
monarchica. Dunque
la ricorrenza odierna è il
segno e insieme il simbolo di
quanto determinante sia
stato l’apporto femminile
nella vita d’Italia, e
rappresenta un insostituibile
valore di autentica
convivenza civile
e democratica.
Vittorio Gennarini , Napoli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sergio Guadagnolo.
[email protected]
2 GIUGNO 1946
Primo voto delle donne
❜❜
Bozzetto
© 2014 RCS MEDIAGROUP S.P.A. DIVISIONE QUOTIDIANI
Luciano Fontana
Particelle elementari
edremo se a compiere la strage al Museo ebraico di
Bruxelles è stato davvero il francese jihadista fermato ieri, il quale peraltro rivendica l’attentato a colpi
di Kalashnikov in un video-confessione sequestrato
dalla polizia. Ancora una volta si confermerebbe la
testarda incapacità di capire in che cosa consiste il nuovo feroce antisemitismo che sta insanguinando l’Europa. O la voglia di
raffigurare gli assassini antisemiti come spettri di un orrendo
passato e non come portabandiera di un nuovo odio fondamentalista in cui l’«ebreo» rappresenta un’incarnazione satanica, l’«oppressore» più crudele e dunque degno di essere
sterminato.
In fondo sarebbe più rassicurante pensare agli antisemiti
dei nostri giorni come dei mostri orribili ma conosciuti e ben
collocati nelle nostre categorie mentali. Una banda di teste rasate e vuote con le svastiche tatuate, energumeni invasati da
un’ideologia mai sepolta, epigoni di un orrore che allunga i
suoi tentacoli anche nel nuovo secolo, sempre lugubremente
uguale a se stesso. Ci fa invece più paura il nuovo antisemitismo globale perché mette in discussione le nostre certezze e
sconvolge i nostri paradigmi. Perché ci costringerebbe a riconoscere che la guerra santa contro Israele è il vero esplosivo
che arma nel mondo gli assassini degli ebrei. Per questo non
vogliamo vedere, e facciamo finta che i fatti non esistano.
Anche due anni fa, quando tre bambini e un adulto furono
massacrati in un attentato alla
scuola ebraica di Tolosa, per
qualche giorno facemmo finta di
non vedere, ci accodammo alla
teoria preconfezionata secondo
Preferiamo
la quale a uccidere bambini
raffigurare gli
ebrei sarebbero stati i soliti «razzisti», i soliti «neo-nazi», la soliassassini degli
«internazionale nera». Non ci
ebrei come spettro tapiaceva,
anche in quella occasione, riconoscere che si stava saldel passato
dando una perversa alleanza tra
antisemiti di vecchio e nuovo
stampo. E che l’odio per Israele era diventato il nuovo materiale
incendiario capace di accomunare in un’unica crociata di terrore i seguaci di un efferato neo-nazismo e i guerrieri di un antisionismo stragista e nutrito di un’avversione totale per gli
ebrei. Volevamo tracciare una linea di demarcazione in cui il
Male fosse localizzato in piccoli gruppi di mostri, non nel campo di chi dice di lottare contro l’«oppressione sionista». E anche nel 2006, quando il giovane ebreo Ian Halimi venne rapito
a Parigi, torturato in un appartamento della banlieue a maggioranza musulmana, arso vivo e gettato lungo la ferrovia, gli investigatori francesi non vollero dar credito alla pista antisemita,
salvo poi sentire la banda dei rapitori assassini gridare durante
il processo: «Allah Akbar, gli ebrei sono nemici da combattere
per il bene dell’umanità». Non vogliamo mai vedere, nemmeno l’esodo silenzioso di tanti ebrei francesi, catturati dalla paura. E continuiamo a costruire bersagli di comodo, mostri più
facili da identificare per non capire mai perché gli ebrei continuino a essere uccisi, come ebrei, nel cuore dell’Europa.
Interventi & Repliche
Vaccinazioni contro il morbillo
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italiani) appendendolo alle pareti come si
fa con i quadri, le cartine geografiche i
dipinti degli alunni ecc. La questione del
crocifisso è annosa e spinosa. Molti
ritengono che un simbolo della
cristianità come il crocefisso o l‘effigie
della Madonna non possano recare
alcun disturbo a chi non è cristiano o è
ateo. Essendo dei simboli, hanno infatti
un valore intrinseco molto elevato solo
per chi ci crede; per tutti gli altri
dovrebbero essere considerati alla
stregua di qualsiasi altra immagine.
Come può essere in qualche modo
offensivo per chi non crede o professa
altre religioni vedere un crocifisso
appeso ad una parete?
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La tiratura di domenica 1 giugno è stata di 449.670 copie
ISSN 1120-4982 - Certificato ADS n. 7682 del 18-12-2013
Thailandia THB 190; UK Lg. 1,80; Ungheria Huf. 650; U.S.A. USD 5,00. ABBONAMENTI: Per informazioni sugli abbonamenti nazionali e per l’estero tel. 0039-0263.79.85.20 fax 02-62.82.81.41 (per gli Stati Uniti tel. 001-718-3610815 fax 001-718-3610815). ARRETRATI: Tel. 02-99.04.99.70. SERVIZIO CLIENTI: 02-63797510 (prodotti collaterali e promozioni).
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26
italia: 51575551575557
Spettacoli
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Con Angelina Jolie
«Maleficent» incassa 70 milioni di dollari al debutto
Angelina Jolie batte i mutanti. Maleficent sbanca
il box office Usa con un debutto da 70 milioni di
dollari, oltre 51 milioni di euro, seguito dai
mutanti di X Men: giorni di un futuro passato
(32,6) e dal western comico di Seth MacFarlane
Un milione di modi per morire nel West (17,1).
Il personaggio Un anno dopo l’esclusione da «Quelli che...il calcio» l’ingresso nella squadra del talent. «Ho sempre paura di deludere»
39 anni Victoria
Cabello. A sinistra tra gli
altri giudici Mika,
Morgan e Fedez
L
Victoria ricomincia da X Factor:
mi preparo con il mio analista
«Sono la stalker di Simona Ventura, la inseguo nei suoi show»
L’idea sembrava funzionare. Per me
sono stati anni di grande crescita professionale. Ma poi il direttore è cambiato, ha scelto Savino e io ho scelto di
non fare le altre cose che mi aveva proposto perché non le sentivo in linea
con me». Proposte interessanti: si dice la conduzione di «The Voice» e una
seconda serata. «Sì, è vero. Ho rifiutato perché presentare “The Voice” non
mi avrebbe né aggiunto né tolto niente mentre fare il giudice a “X Factor” è
per me una nuova sfida. I programmi
che scelgo, compreso Sanremo, devono farmi crescere, questo è il mio criterio per decidere». E così oggi la conduttrice si dice «contenta che le cose
siano andate in questo modo. Ringrazio la Rai perché mi ha portato esattamente dove dovevo arrivare. Un tempo
ci sarei rimasta malissimo ma ora so
che le cose che non ti aspetti non sono
A Milano
tutte negative: anni fa Linus mi licenziò da Radio Deejay. Ci sono stata male ma aveva ragione: facevo schifo in
radio e alla fine gli devo dire grazie
perché la sua scelta mi ha preservata.
Un calcio nel sedere a volte ti può portare a esplorare posti che non immaginavi». Prima di arrivare a «X Factor»
Dice di loro
a sua entrata in Rai era stata
piuttosto rocambolesca. «E
diciamo che anche l’uscita
non è stata da meno», commenta divertita Victoria Cabello. Due anni su Rai2, alla guida di
«Quelli che... il calcio». Poi, alla fine
della seconda edizione, la rete le comunica piuttosto inaspettatamente il
cambio di conduzione. Era lo scorso
maggio e da allora alla presentatrice
non è scappata neanche una parola. «I
fatti si commentano da soli», dice
adesso che un nuovo progetto impone
di rompere il silenzio. Da settembre
sarà dietro il tavolone di «X Factor»,
vicino a Mika, Morgan e all’altro nuovo acquisto del programma di Sky
Uno, Fedez. Il lavoro è già iniziato: a
Bologna, dal 7 al 9 giugno, ci sarà la
prima tappa delle audizioni.
Come era già successo con il programma di Rai2, la conduttrice ancora
una volta subentra a Simona Ventura:
«Sia nel caso di “Quelli che... il calcio”
che adesso con “X Factor”, è stata sempre una scelta di Simona quella di fare
altro... per il resto che dire? Di sicuro
ha buon gusto in materia di programmi. Io facendo tv ho sempre sognato
di fare la carriera di Simona Ventura...
certo, non avrei mai pensato di seguirla passo passo tipo stalker. Ho paura
anche di andare alle feste ormai e pensare che magari c’è lei, mi vede e dice:
pure qui».
Oltre all’entusiasmo per la nuova
avventura, c’è però anche qualche timore: «Soprattutto di non saper dire
di no in modo diplomatico. Non so
farlo, ho sempre paura di deludere. Ci
sto lavorando con il mio analista. “X
Factor” in questo senso sarà anche terapeutico per me».
Eppure qualche no, anche piuttosto
impegnativo, nell’ultimo anno lo ha
detto: «Avrei fatto un anno in più a
“Quelli che il calcio”. I risultati c’erano
e sentivo di avercela messa tutta: avevo
puntato su una formula precisa, l’intrattenimento con al centro il calcio.
Del resto è difficile parlare da puristi
di calcio quando il calcio non ce l’hai.
«mi sono concessa il lusso di stare un
anno a casa. Fondamentalmente ho
fatto fare la pipì a Silvano, il mio cane.
Era questa la risposta che davo quando mi chiedevano cosa stessi facendo». In realtà... «Ho prodotto un film
sulla Siria, “Border”: un bel progetto,
sono entrata in corsa per portarlo a
Ventura
«Di sicuro ha
buon gusto
in materia di
programmi», dice
Victoria Cabello. «Certo, non avrei
mai pensato
di seguirla
passo passo
tipo stalker»
termine. È il primo lungometraggio di
un esordiente, Alessio Cremonini. È
stato selezionato dal festival di Toronto e dalla Festa del Cinema di Roma».
Anche in qui, un talento su cui ha
creduto: «Mi piace farlo. Sono una curiosa, giro parecchio, vado al cinema,
teatro, concerti, leggo. Annuso quello
Linus
«Anni fa mi
licenziò da
Radio Deejay. Ci sono
stata male,
ma aveva
ragione: facevo schifo
in radio e la
sua scelta
mi ha preservata»
Arisa
«Le proposi
“Victor
Victoria”: rispose che
non voleva
diventare un
pupazzo tv.
È genuina e
questo spiega lo sbotto
finale a “X
Factor”»
❜❜
Licenziata
La Rai mi ha tolto la
conduzione ma non tutte
le cose inaspettate sono
negative. Linus mi
licenziò dalla radio e
quell’esperienza fu utile
che c’è in giro». E se c’è qualche qualità innata, in genere, la riconosce: l’ha
fatto tra gli altri con Virginia Raffaele e
Arisa («Quando le avevo proposto
“Victor Victoria” mi ha risposto che
non voleva diventare un pupazzo televisivo. È una vera e bisogna vedere in
quell’ottica anche lo sbotto finale con
cui è uscita da “X Factor”»). «X Factor
mi piace molto perché ritrovo la dinamica del talent scout, un lavoro che in
futuro mi piacerebbe fare con più
continuità: non mi ci vedo a sgambettare in tv a 60 anni. In fondo vorrei diventare come Caterina Caselli ma senza saper cantare». Intanto l’obbiettivo
con “X Factor” è chiaro: «Partecipo al
programma per vincere». Ma nonostante la premessa è rimasta sorpresa
dalla competitività che c’è tra i suoi
colleghi: «Ci sono in ballo sogni che
possono diventare carriere concrete
come quella di Mengoni o Chiara. Sto
studiando i miei avversari per capire
come non prendere troppi schiaffoni
a destra e a manca». Primo bilancio:
«Mika mi piace da pazzi: ha appena
vinto l’edizione francese di “The Voice” ed è agguerritissimo. Con Morgan
spero di non litigare, nella vita andiamo d’accordo e mi piacciono molto i
suoi gusti musicali: è il giudice che a
livello mondiale ha vinto più edizioni,
una specie di highlander. Fedez è stato una bella sorpresa: giovane ma super grintoso». Lei è l’unica donna...
«Però so cambiare le gomme dell’auto
da sola: vale lo stesso?».
Ad ogni modo «sono contenta di
tornare con una cosa nuova che tratta
l’ambito musicale, quasi come ai tempi di Mtv, il che, dopo il calcio, mi rasserena molto». Anche se un’idea ce
l’ha già: «Non sempre ha vinto il migliore». «X Factor» non sarà l’unico
pensiero della conduttrice nei prossimi mesi: «Sto finalmente lavorando a
un programma nuovo ma che in realtà
ho nel cassetto da anni. Ora ho potuto
dedicarmici. Un’altra conferma che a
volte dire no fa proprio bene».
Chiara Maffioletti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nuovo spettacolo Contro «intellettuali e moderati» che criticano Bergoglio. Le lacrime ricordando Franca
Monologo di Fo in tv, elogio di Papa Francesco
L’
J-Ax apre il concerto di Radio Italia
Rap e pop: ieri sera in piazza Duomo a Milano i due mondi
della musica italiana si sono incontrati al concerto di Radio
Italia. Apertura dedicata al rap con J-Ax (a destra nella foto, con
Emis Killa al centro e Fedez ), Club Dogo, Rocco Hunt e Mondo
Marcio. «Qui sotto non vedo cappellini o tatuaggi: il rap piace
alle persone normali», ha gridato Ax ai 70 mila. Quindi, con la
conduzione di Luca e Paolo, le pop-rockstar: Pausini,
Negramaro, Antonacci, Baglioni, Emma, Bennato e Britti.
Ateo e il Papa. Il seguace di
Darwin e il vicario di Cristo.
Dario e Francesco. Un connubio
che sembra un ossimoro, eppure ieri sera è stato proprio Dario
Fo a lanciarsi in un elogio laico
di papa Bergoglio, vittima di
«linciaggio» perché in più occasioni si è schierato contro il
mondo degli affari e del business, contro le banche e i poteri
forti. La cornice è quella dell’Arena di Verona, il quadro è
popolato da personaggi diversi,
dalla pop Anastacia al dolente
urlatore Cocciante, maestra di
cerimonie Antonella Clerici che
conduce Arena di Verona 2014.
Lo spettacolo sta per iniziare, in
diretta su Rai1. Qui Dario Fo ha
recitato un’anteprima di Papa
Francesco, il suo nuovo lavoro
teatrale che verrà trasmesso
sempre da Rai1 il 22 giugno
(ospite anche Mika).
Fo — Intellettuale con la I
maiuscola — attacca i suoi consimili: «Alcuni spietati commenti che ho sentito fare su papa Francesco recentemente da
intellettuali con la I maiuscola
mi hanno indignato fortemente.
Notate bene, è risaputo, io sono
ateo, marxista, leninista e seguace di Darwin. E ora, qui, mi
trovo paradossalmente a difendere il rappresentante massimo
della Chiesa cattolica, apostolica
e romana nel mondo». Il Premio
Nobel se la prende con chi accusa Bergoglio di essere «un furbacchione» dedito al marketing
per il suo modo di porsi: «Il suo
abbigliarsi quasi sciattamente
con le scarpe nere e la tunica
bianca, sempre la stessa; il rifiu-
tare il sontuoso palazzo in Vaticano che gli è stato offerto e l’andare a vivere in una comunità di
preti di rango comune; il rifiutare la pomposa macchina di rappresentanza; l’andarsene in giro
senza scorta e invitare a tavola
con sé i barboni e le prostitute».
Fo dà la sua spiegazione del
perché di tanta acredine: «Perché troppe volte in questo primo anno egli ha preso posizione
contro il mondo degli affari e
del grande business internazio-
Premiato
nel ‘97
Dario Fo è
nato a Sangiano, in provincia di
Varese, il 24
marzo 1926.
Ha vinto
il Nobel per la
letteratura
nel 1997
nale... Ecco le ragioni del linciaggio, perché è un uomo che
tenta di migliorare questo mondo». Fo tesse le lodi del Bergoglio che dà fastidio ai politici
corrotti e sferza vescovi e cardinali tentati dalla mediocrità. Cita le parole del Papa — «Quanto
è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso» — e le ricorda
di nuovo per chiudere il suo intervento: «Quanto è sbagliato il
ripiegamento di chi vorrebbe
che un triste passato divenisse il
nostro futuro».
Un monologo appassionato.
Come il ricordo di sua moglie
Franca Rame sulle note di «Casta Diva» che Fo ha ascoltato
commosso fino alla fine e fino
alle lacrime.
Renato Franco
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Set a Napoli
Spettacoli 27
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
«L’aria che tira» su La7
L’attore gira «Perez», storia di un professionista costretto a scontrarsi con la criminalità organizzata
Zingaretti fa l’antieroe noir:
così dimentico Montalbano
«Le ambiguità di un avvocato, il ruolo più difficile»
ra» su Sky). Si presenta come un bravo
ragazzo, suo padre sconta il 41 bis in carcere, lui si pone in modo diverso, ha studiato nelle migliori università. De Angelis: «Quando la verità si fa strada, è come
se in Tea avvenisse la perdita dell’innocenza, deve decidere da che parte stare.
E comincia a diventare donna».
Il rapporto tra i due uomini è una partita di poker, dopo che il criminale entra
nel territorio affettivo di Perez si rovesceranno i ruoli, Corvino vuole conquistare la testa dell’avvocato, non gli basta
l’amore della ragazza: «Tea è il pomo
della discordia, è Elena di Troia». C’è un
impianto realistico con punte grottesche (un bottino da recuperare, frutto di
una rapina, 800 grammi di diamanti nascosti nella pancia di un toro). Il film
(prodotto da Pierpaolo Vigna e Attilio De
Razza con il regista e Zingaretti, collaborazione di Medusa) è stato girato in sequenza in una Napoli poco riconoscibile, astratta tra i grattacieli a specchi, «il
male qui rischia sempre di essere luogo
comune».
Luca Zingaretti ha seguito gli avvocati
d’ufficio nei brulicanti corridoi di varia
umanità al Tribunale di Napoli, «vivono
come se andassero a caccia, cercano di
rubarsi il ladruncolo e l’extracomunitario nei guai, spesso non li distingui dall’imputato». Perez ha perso le redini della sua vita: «Il tempo dell’azione arriva in
lui in modo insolito». Anche Luca ha lottato per liberarsi di Montalbano, un’ombra ingombrante, a cui è grato e deve
molto. Però: «Sono un attore che interpreta ruoli, ho combattuto per essere riconosciuto per mie qualità. Se ci pensate, in dodici anni ho fatto Montalbano
soltanto in 26 film, non è molto, se poi
vengono replicati all’infinito...». Dicono
che lei abbia un carattere scontroso,
mentre da piccolo era un compagnone.
«Casomai è vero il contrario». E ci saluta
affabilmente. Deve rientrare nei panni
dell’avvocato «più invisibile» di Napoli»,
fino a quando il cervello fa clic.
Il film
Il protagonista
Luca Zingaretti
(52 anni, nella
foto in una scena
di «Perez»)
interpreta un
avvocato che
DAL NOSTRO INVIATO
NAPOLI — Dietro la stazione il Centro
Direzionale con i suoi grattacieli algidi,
tutti uffici, alcuni dei quali vuoti, è una
delle «promesse mancate» di Napoli. È
lo sfondo urbanistico ideale per questo
avvocato che poteva essere un principe
del Foro, e invece... Il film che ha finito
di girare Edoardo De Angelis (candidato
alla Mostra di Venezia) si intitola come il
suo protagonista, Perez. Luca Zingaretti
presta corpo e voce al «ruolo più difficile
che abbia mai fatto, un avvocato che
conduce «una vita mediocre al riparo
dall’infelicità. È uno che tende a subire,
che ha tirato i remi in barca». Niente lo
turba fino a quando Tea, sua figlia, s’innamora di Corvino, un criminale che diventa latitante in casa sua. Il regista (35
anni, alla sua seconda opera dopo Mozzarella Stories) non ha pensato ad altri
film se non a Un borghese piccolo piccolo, che però non è un noir: «I modelli
esistenziali mi ispirano più di quelli
cinematografici, mi chiedo cosa
avrei fatto io al posto di Perez, se il
male entra in casa mia».
«Questo non è un Paese per gente
onesta — dice Zingaretti —, a volte ci
sono questioni che dovrebbe dirimere
lo Stato, e non lo fa». Incalzato dagli
eventi, Perez reagisce. L’avvocato aveva
sempre vissuto secondo le regole, «una
condotta che l’ha portato a essere sopraffatto. Tante persone faticano a avere
una vita normale, la contrazione economica non spiega del tutto questo sentimento, è come se il nostro patto sociale
non fosse sufficiente».
Un giorno scocca la scintilla: tutto
quello che Perez ha, la figlia (Simona Tabasco), si innamora della persona sbagliata, senza sospettare nulla della sua
doppia vita, cerca in lui la protezione
che il padre non riesce a darle. Perez
esce dalla legge, che per mestiere dovrebbe incarnare, ricorrerà alla violenza
per liberarsi di lui, Corvino. Il criminale
è Marco D’Amore (è nella serie «Gomor-
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Myrta Merlino:
talk in prima serata
D
a mattina a sera, nel vero senso
della parola. Perché Myrta Merlino,
tra i volti rivelazione dell’informazione
di La7, è partita in sordina nella fascia
mattutina di tre anni fa e oggi approda
alla prima serata (tra gli ospiti, Bersani,
Bonafé, De Girolamo e Feltri). Il suo
«L’aria che tira» è ormai un riferimento
per chi vuole restare aggiornato: dalle
11 alle 13.30 Merlino, con numerosi
ospiti in studio, politici, esperti,
collegamenti, servizi, commenta in
diretta le notizie. Un programma che è
cresciuto moltissimo e gode di grande
prestigio, tanto da tentare
l’esperimento. Per quattro lunedì «L’aria
che tira stasera» su La 7 alle 21.10
proverà a catturare nuovi telespettatori
e a mantenere i propri fan. «La verità è
che io faccio tutte le mattine un talk
show di prima serata — spiega Merlino,
un curriculum di tutto rispetto che
comincia con “Mixer” —. Tutti mi
dicevano che la mattina c’è un pubblico
diverso, distratto, e che quindi non si
poteva fare nulla di impegnativo. Io
invece ho dimostrato che non è così,
che, se offri argomenti interessanti, la
gente ti segue. Ho un patto di fiducia
con i miei telespettatori e loro hanno
capito che faccio sul serio». Dunque il
linguaggio non è poi così diverso tra la
mattina e la sera? «No. Io continuo a
raccontare il Paese in presa diretta».
Aspettative? «Se l’esperienza funziona
ho fatto bingo. Altrimenti continuo con
la mattina che è andata benissimo».
Valerio Cappelli
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28
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Portieri
Difensori
Sportlunedì
Ignazio
ABATE
(Milan)
Andrea
BARZAGLI
(Juventus)
Leonardo
BONUCCI
(Juventus)
Giorgio
CHIELLINI
(Juventus)
Matteo
DARMIAN
(Torino)
Mattia
DE SCIGLIO
(Milan)
Christian
MAGGIO
(Napoli)
Gabriel
PALETTA
(Parma)
Alberto
AQUILANI
(Fiorentina)
Antonio
CANDREVA
(Lazio)
Daniele
DE ROSSI
(Roma)
Claudio
MARCHISIO
(Juventus)
Riccardo
MONTOLIVO
(Milan)
THIAGO
MOTTA
(Psg)
Marco
PAROLO
(Parma)
Andrea
PIRLO
(Juventus)
Centrocampisti
Gianluigi
BUFFON
(Juventus)
Attaccanti
Mattia
PERIN
(Genoa)
Salvatore
SIRIGU
(Psg)
Pronti a partire
Cesare Prandelli,
56 anni, mostra
la direzione ai suoi:
ieri ha scelto
i 23 per il Brasile,
con rinunce dolorose
e conferme attese
(Liverani)
Mario
BALOTELLI
(Milan)
Antonio
CASSANO
(Parma)
Alessio
CERCI
(Torino)
Mattia
DESTRO
(Roma)
Ciro
IMMOBILE
(Torino)
Verso Rio Le scelte di Prandelli: promossi Verratti e Insigne. Ranocchia è il 24°. L’amarezza della punta viola
Senza signor Rossi
Pepito resta a casa: non è pronto. Destro tagliato: non voleva fare la riserva
✒
DAL NOSTRO INVIATO
L'analisi
SAREBBE STATO L’UOMO IN PIÙ
di MARIO SCONCERTI
è che l’esclusione di Rossi
L’ impressione
sia dipesa molto dall’infortunio di
Montolivo. Rossi è ancora un calciatore a
metà, non è mai stato un problema di
talento. Probabilmente sarebbe stato
accettato il suo rischio in una nazionale
normale. Rossi sarebbe stato il numero 23,
l’uomo in più. L’infortunio di Montolivo
non ha tolto solo uno dei giocatori più
importanti, ha quasi cancellato un intero
modulo, il più classico di Prandelli, il così
detto centrocampo ruotante, dove i tanti
registi dell’Italia si scambiano a turno il
dovere di cominciare l’azione di attacco.
Montolivo era l’uomo più tattico, quello
che interpretava meglio un ruolo flessibile.
Senza Montolivo questo schema ha
sempre fatto più fatica. Verratti ha grande
talento, ma è un regista puro e un
debuttante. Può sostituire la qualità di
Montolivo, non il suo senso tattico.
L’unico che gli assomiglia è Aquilani, un
normalizzatore, mai determinante ma
anche di pochi errori e buon ordine in
campo. Ma basterà? Prandelli si è trovato
in sostanza a pensare un’Italia molto
diversa. Come si arriva da Montolivo
all’esclusione di Rossi? Attraverso la
ricerca di nuovi moduli. Insigne è un
fantasista esterno, aggiunge un’ala a Cerci
e Candreva, permette cioè di rafforzare
l’ipotesi di un 4-3-3 o di un 3-5-2. Rossi è
solo un grande attaccante, per di più nelle
condizioni che sappiamo. Se si dovesse
capire che Montolivo non è davvero
sostituibile, bisognerà prepararsi a
cambiare gli schemi. Questo è il senso vero
delle scelte. Per la prima volta andiamo ai
Mondiali con una squadra inedita e molto
giovane: Verratti, Insigne, Immobile, De
Sciglio abbassano molto l’età media e
l’esperienza. Ma si fa un gran parlare di
fatica in Brasile, i giovani saranno utili. E
soprattutto sono quelli che hanno
dimostrato di star meglio. Insigne era
partito due settimane fa come trentesimo
su trenta, i test fisici hanno detto che sta
meglio di tutti. Se si è scelto la scienza,
bisogna poi anche seguirla. Dispiace per
Romulo, uno che meritava il Mondiale e sa
giocare in quasi tutto il campo. Lo
sostituisce Parolo, altro corridore, molto
interessante, ideale per un torneo intenso.
Normale e prevista l’esclusione di Maggio
a favore di Abate. Aumenta la qualità
media, sono diventati addirittura tre i
fantasisti (Cerci, Cassano, Insigne). Senza
la differenza di Rossi, sarà questa qualità
a decidere il nostro posto in Brasile.
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FIRENZE — Ha rivisto la partita con gli occhi puntati su Giuseppe Rossi. E insieme al suo
staff, riunito in una specie di
conclave, Cesare Prandelli ha deciso: Pepito rimane a casa. Una
scelta dolorosa, sofferta, ma non
sorprendente dopo aver osservato l’attaccante della Fiorentina
contro l’Irlanda. Rossi a Craven
Cottage si è impegnato, ma nei
75’ in cui è rimasto in campo non
ha mai tirato in porta e, soprattutto, ha evitato i contrasti duri.
Segno che, dal punto di vista psicologico, non è ancora pronto.
Per uno che aveva già perso il
Mondiale in Sudafrica quattro
anni fa, è un duro colpo. C’è rimasto male (come la Firenze viola): ora andrà a casa negli Usa e
tiferà per gli azzurri.
Rossi ci aveva messo l’anima
in ritiro e aveva quasi convinto
Prandelli. Sabato, prima dell’amichevole, lo scenario era diverso da quello che si è materializzato ieri sera all’ora di cena:
Rossi tra i 23 e Destro e Insigne
in ballottaggio per un ruolo da
riserva. Il test con l’Irlanda ha ribaltato le gerarchie. Il 23° azzurro è quello che non ti aspetti: Insigne ha superato Destro e partirà per il Brasile, buono come
esterno alto e come seconda
punta accanto a Balotelli. Lorenzo, quando si è presentato a Coverciano, sembrava l’ultimo della fila e a Londra non ha giocato
neppure un minuto, ma i suoi
test sono eccellenti e in allenamento si è mosso bene. Destro,
invece, bocciato per la seconda
volta dopo l’Europeo, ha vissuto
giorni difficili. La squalifica di 4
giornate nella fase cruciale del
campionato ha lasciato il segno.
Il giallorosso non ha più ritrovato la condizione che gli aveva
permesso di segnare 13 gol in 18
partite e a Coverciano ha mostrato di essere in flessione. Neppure
sul piano dei comportamenti è
stato esemplare: di fronte all’idea
di volare a Rio come attaccante di
scorta, fuori dai 23, ha fatto la
faccia di uno pronto al gran rifiuto. Gli altri attaccanti sono quelli
annunciati: Cassano, Cerci, Immobile. Soprattutto Balotelli, per
il quale è scattato un piccolo allarme: «Problemi ai flessori e
agli adduttori», ha spiegato il
professor Castellacci. Muscoli
intossicati dalla dura preparazione: bisognerà vedere se Mario
mercoledì sarà un grado di giocare l’amichevole di Perugia oppure se sarà tenuto a riposo.
Le altre scelte sono quelle previste. In difesa Abate ha vinto la
corsa su Maggio, frenato dal
pneumotorace e il rampante
Darmian ha messo all’angolo Pasqual. Paletta ha conservato il
vantaggio su Ranocchia, bocciato per la terza volta di fila e destinato a seguire la squadra
come riserva, 24° giocatore, fuori lista. L’interista
andrà in Brasile e resterà
sino alla vigilia della prima
partita, un po’ perché l’argentino del Parma è reduce
da un problema al polpaccio,
molto perché Barzagli convive da sempre con la tendinopatia. Dentro, come previsto,
Bonucci, Chiellini e De Sciglio.
A centrocampo, al di là dei sicuri Pirlo, De Rossi, Marchisio,
Candreva e Thiago Motta, gli infortuni hanno causato scelte obbligate: quello di Montolivo ha
spalancato le porte a Aquilani, gli
acciacchi di Romulo hanno rilanciato Parolo. «Prandelli mi
aveva inserito tra i 23. Gli ho risposto che ero al 70 per cento:
non mi sembrava giusto che
un compagno restasse
fuori stando bene», ha
spiegato il brasiliano.
Verratti, invece, il Mondiale se l’è conquistato sul
campo. E ora ha chance di diventare un titolare.
Alessandro Bocci
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Sport 29
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
#
La carica De Rossi
«Siamo maestri
in questi tornei»
FIRENZE — (a.b.) Daniele De Rossi, già
colpito 4 volte dal codice etico, sta
dalla parte di Chiellini che invece l’ha
schivato. «Sono contento che Giorgio
sia qui. Sarebbe stato assurdo
perdere un Mondiale così. Non è facile
giudicare cosa sia violento e cosa no.
Ma questo è un lavoro per Prandelli.
Io devo pensare ai miei falli e quando
sono stato fermato, me lo meritavo».
Arrivato al suo terzo Mondiale, il
romanista non fa questione di ruoli:
«Gioco dove servo, ho già fatto sia il
difensore sia il centrocampista in
partite importanti. Quello che conta è
il gruppo. Siamo tra le squadre che
possono vincere o, perlomeno,
arrivare sino in fondo. Siamo maestri
in queste competizioni. L’importante
è non porsi troppi limiti. Si deve
giocare per vincere, altrimenti diventa
difficile riuscirci. Per quanto mi
riguarda vorrei lasciare il segno.
Cassano? Regala alla squadra estro e
personalità. Arrivato a 32 anni deve
metterci qualcosa in più e lo sta
facendo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oggi l’operazione
Montolivo: «È stata una batosta». Starà fuori 4-5 mesi
Manuel
PASQUAL
(Fiorentina)
Andrea
RANOCCHIA
(Inter)
MILANO — «Ho sentito crac, credo
di essermi fatto molto male». L’sms
della conferma arriva dritto
dall’interessato nel pieno della cena
di Arcore, dove Silvio Berlusconi,
Adriano Galliani e l’allenatore in
pectore Filippo Inzaghi stavano
mettendo a punto il Milan del
futuro. Riccardo Montolivo ha
capito subito tutto: che aveva perso
il Mondiale a un passo dal via e che
si trovava ad affrontare l’infortunio
più brutto della carriera, frattura
I precedenti
ROMULO
Souza
(Verona)
Marco
VERRATTI
(Psg)
alla tibia sinistra, «un incidente
drammatico per lui e per la
nazionale», come lo ha definito il
dottor Castellacci che lo ha
accompagnato a Milano su un
aereo ambulanza. Oggi, dopo
l’operazione (prevista per le 10), si
capirà quanto dovrà stare fermo,
ma ci vorranno almeno 4-5 mesi.
Assistito dallo staff medico del
Milan (il professor Tavana è
rientrato dalle vacanze) è stato
ricoverato alla clinica Madonnina,
Rotto Riccardo Montolivo (Epa)
dove ha ricevuto la visita di
Galliani: «È un infortunio che non
ci voleva assolutamente, siamo
tutti vicini a Montolivo a partire dal
presidente Berlusconi». Riccardo,
nei limiti del possibile, appare
sereno e positivo, mostra insomma
tutte le qualità che lo hanno fatto
diventare capitano del Milan e
fedelissimo di Prandelli. In serata
ha twittato: «È stata una batosta,
ma il vostro affetto mi ha fatto
tornare il sorriso! Ora farò il tifo
Giuseppe
ROSSI
(Fiorentina)
Costa d’Avorio
Touré in Brasile
con la malaria
Problemi per Kolo Touré. Il difensore
della Costa d’Avorio ha contratto la
malaria, ma ciò non gli impedirà di
scendere in campo a Brasile 2014. Touré
aveva saltato l’amichevole con la Bosnia
a causa di questo problema, e tornerà ad
allenarsi soltanto la prossima
settimana. «È in cura da mercoledì
scorso — ha spiegato il medico della
Costa d’Avorio, Cyrille Dah — e gli
abbiamo detto che in questi giorni deve
pensare solo a riposarsi. Per riprendere
ad allenarsi c’è tempo».
Arianna Ravelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Quello di Montolivo a Londra è il più grave infortunio prima della partenza per un Mondiale, ma non l’unico
La maledizione del 31 maggio
Nel 1998 era toccato a Peruzzi
Il portiere costretto a saltare la Francia per uno stiramento
Lorenzo
INSIGNE
(Napoli)
con tutti voi per i miei compagni».
Quando in ospedale però sono
arrivati i genitori e la neomoglie
Cristina De Pin qualche lacrima è
scesa. Tantissime le parole di
incoraggiamento, da Zanetti a De
Rossi: «Non c’è cosa più brutta che
perdere un Mondiale così». Lo
opererà il medico della nazionale di
sci Schoenhuber, e assisterà anche
il padre Marcello, ex anestesista.
Il c.t. che guiderà l’Italia al Mondiale 2018, Prandelli o chi verrà dopo di
lui, farà bene a sciogliere il gruppo il
31 maggio: 24 ore di riposo, con divieto assoluto anche di andare al campo,
perché per l’Italia è questo il giorno
dei gatti neri. Nel 2014, la frattura alla
tibia di Montolivo; nel 1998, a Coverciano, Angelo Peruzzi viene portato
nello spogliatoio a braccia dai massaggiatori: stiramento al gemello interno della gamba sinistra, una lesione muscolare fra il secondo e il terzo
grado. Il Mondiale del portiere della
Juve finisce prima di cominciare; Pagliuca viene promosso titolare e, come
terzo portiere, viene precettato Toldo.
Siccome l’infortunio è serio, ma non
della gravità di quello di Montolivo,
Peruzzi riesce anche a scherzare: «Per
un attimo ho creduto che qualcuno mi
avesse tirato un sasso; ho pensato ad
uno scherzo di Di Livio». Il 10 giugno
1998, Ravanelli era stato costretto a
tornare a casa da Parigi, mentre la
squadra partiva per Bordeaux, a meno
di 24 ore dall’esordio mondiale degli
azzurri contro il Cile: broncopolmonite di natura batterica e non virale. Al
suo posto promosso Enrico Chiesa.
Gli infortuni degli ultimi giorni sono i più amari, perché arrivano nel
momento in cui uno pensa alla partenza e si rende conto che dovrà vede-
re il Mondiale degli altri. È un’esperienza che ha vissuto Pietro Anastasi
nel 1970, alla vigilia della partenza per
il Messico: «La notte precedente avevo
accusato forti dolori al basso ventre ed
ero stato operato d’urgenza. È una
sensazione di grande amarezza che resta addosso per sempre». Lo sa bene
Giovanni Lodetti, perché al posto di
Anastasi, Valcareggi aveva convocato
non uno, ma due attaccanti: Boninsegna e Prati (mezzo infortunato). Una
volta in Messico, uno doveva tornare a
casa. La scelta era caduta su Lodetti,
che peraltro era un centrocampista e
che nei test era apparso il più resistente alle insidie dell’altura. Ma a volte la
ragion di Stato conta più di tutto.
Il primo caso di infortunio vicino al
Mondiale risale al 1950, quando Benito Lorenzi si era bloccato poco prima
della partenza per il Brasile: era salito
ugualmente sulla nave, ma non aveva
mai giocato. Sedici anni dopo, William Negri, portiere del Bologna campione d’Italia nel 1964 e in corsa con
Albertosi per il posto da titolare azzurro, era stato costretto a rinunciare al
Mondiale inglese (e alla Corea) per un
grave infortunio al ginocchio (sarebbe
rimasto fermo anche per quasi tutta la
stagione successiva). Nel 1978 era stato Giacinto Facchetti a saltare il Mondiale in Argentina, per una frattura al-
Dolori pre Mondiali
1970
Pietro Anastasi
fu operato
d’urgenza
poco prima
della partenza
per il Messico
1982
Roberto Bettega
si rompe il ginocchio il 4 novembre
‘81: Bearzot spera
nel recupero fino
all’ultimo (Siccardi)
1998
Angelo Peruzzi
si fa male il 31
maggio, durante
il ritiro a Coverciano: lesione muscolare (Newpress)
le costole. Era stato lui ad annunciare
l’addio all’azzurro e anche l’addio al
calcio, dopo l’ultima partita: InterFoggia 2-1 (7 maggio 1975). Ma Bearzot l’aveva voluto in Argentina come
«capitano non giocatore».
Quattro anni dopo, Bearzot aveva
aspettato fino a lunedì 24 maggio
1982, a tre settimane dall’esordio
mondiale con la Polonia, prima di rinunciare a Bettega, che aveva subito
un gravissimo infortunio al ginocchio
destro il 4 novembre 1981 in uno
scontro con il portiere dell’Anderlecht, Munaron. Alla fine c.t. e allenatore avevano concordato la rinuncia di
fronte ad un recupero complicato, ma
è stata una delusione che Bettega non
ha mai metabolizzato, anche perché in
quel gruppo azzurro era un giocatore
fondamentale, come si era visto anche
in Argentina nel 1978. Pessotto aveva
perso il Mondiale 2002 un mese prima
della partenza per il Giappone: dopo
sette minuti di Italia-Uruguay a Milano (17 aprile, 1-1), lo juventino aveva
accusato la rottura del legamento crociato anteriore e la distrazione del collaterale esterno: operato, sarebbe
rientrato otto mesi dopo.
Quattro anni fa, 8 giugno 2010, Andrea Cossu era partito come riserva
per il Sudafrica, pronto a sostituire
Pirlo, che aveva accusato uno stiramento al polpaccio sinistro, rimediato
nella ripresa dell’amichevole di Bruxelles con il Messico. Alla fine, Lippi
aveva deciso di puntare su Pirlo, sapendo che lo avrebbe avuto a disposizione soltanto nella terza partita, quella con la Slovacchia. Il ragionamento
era giusto, il calcolo no, perché Pirlo,
entrato all’11’ della ripresa, non era
riuscito a ribaltare una partita che
l’Italia stava già perdendo.
Fabio Monti
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30 Sport
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
I favoriti Scolari punta sulla strategia dell’ottimismo e dà fiducia alla squadra che ha conquistato la Confederations
Ex portiere
Il Brasile senza dubbi: «Vinciamo noi»
Riciclaggio,
condannato
a 33 anni
il figlio di Pelé
Allenamenti tra pioggia, nebbia e freddo. E nel Paese sale la febbre Mondiale
RIO DE JANEIRO — Muscoli
al fresco e testa al caldo. A dieci
giorni dall’esordio contro la
Croazia, Felipão Scolari sceglie
per il Brasile una preparazione
alla sua maniera. Porta i 23 sulle colline di Teresopolis — dove ci si allena tra nebbia, pioggia e 10-15 gradi di temperatura — ma apre al calore della
torcida e alla curiosità dei media. Lunghe dirette degli allenamenti, molte interviste e
persino i palleggi di Neymar
con i bambini del pubblico a
bordo campo: la programmazione della tv nel Paese è già
stata sconvolta, la Seleção è
ovunque. Tutto il contrario di
quella che sarà l’opzione
bunker tropicale di Prandelli,
per fare un paragone. L’idea del
c.t. verdeoro — che dedica
buona parte del suo lavoro alla
psicologia dei suoi e della tifoseria — è riavvicinare tutti attorno alla squadra di casa, far
sì che si cominci finalmente a
parlare di calcio e vengano meno le tensioni «politiche» che
hanno accompagnato finora
questo difficile Mondiale. Caso
mai qualcuno teme l’eccesso di
fiducia. Felipão continua a dirsi sicuro della vittoria finale, il
suo vice Parreira ha addirittura
affermato di «sentir già una
mano sulla Coppa». E dire che
anche i brasiliani sono abbastanza superstiziosi. I meno
giovani ricordano che grandi
trionfi come quelli del 1970 e
del 2002 arrivarono dopo vigilie travagliate: cambi di tecnici
all’ultimo momento, qualificazioni conquistate per un soffio,
polemiche sui convocati.
Per ora la strategia dell’ottimismo sembra funzionare.
Dopo un avvio assai lento, le
strade delle città brasiliane cominciano a prendere le sembianze del «mes da Copa»,
Il personaggio
Rovesciata Neymar,
22 anni, dà spettacolo
in allenamento
(Action Images)
Condanna Edinho,43 anni (Epa)
-9
quella specie di lungo ponte
che ogni quattro anni paralizza
il Paese e lo tinge di giallo e
verde. Gli ultimi sondaggi
confermano quello che molti
prevedono. Appena il pallone
comincerà a correre, i mugugni contro le spese eccessive e
il governo passeranno in secondo piano. Nove brasiliani
su dieci assisteranno alle partite in tv e appena uno ha voglia
di scendere in strada a protestare. I dubbi sull’organizzazione persistono, probabilmente il Paese non arriva preparato all’evento, ma è giunto
il momento di tifare, organizzare bar, maxischermi e salotti
in casa, far scorte di birra.
D’altronde, attorno alla
squadra grandi discussioni
non ce ne sono. Scolari è talmente convinto delle scelte effettuate un anno fa che la for-
mazione della prima fase sarà
identica a quello che ha sconfitto in finale la Spagna alla
Confederations Cup dell’anno
scorso. Opinioni diverse non
se ne sentono. I 23 hanno passato con successo i test medici
e le partitelle in ritiro sono le
La mano sul trofeo
Il vicetecnico Parreira ha
affermato di «sentire
già una mano sulla
Coppa del Mondo»
La scaramanzia
I tifosi più superstiziosi
ricordano che i trionfi del
1970 e 2002 arrivarono
dopo vigilie travagliate
più classiche possibili: titolari
contro riserve. Il Brasile 2014 è
convinto di avere la miglior difesa del mondo — contro antichi stereotipi e qualche legittimo dubbio su Julio Cesar in
porta — e un buon mix di atleti
e fantasisti a centrocampo.
Quanto all’attacco è innegabile
che serva il miglior Neymar.
Grandi alternative al giovane
fuoriclasse non se ne vedono
in questa generazione di esordienti in un Mondiale (ben 17
su 23).
Sabato sera a Parigi Jonny ha chiuso la sua straordinaria carriera guidando il Tolone alla vittoria in campionato
«Troppi ringraziamenti, ho solo giocato: mi sento un impostore»
A volte succedono cose che nessuno si aspetta. Sabato sera allo Stade de France, per esempio, è successo che il Tolone abbia battuto il
Castres conquistando il titolo di
Francia che aspettava dal ‘92, ed è
successo che Jonny Wilkinson, alla
sua ultima partita, abbia messo in
mezzo ai pali tutti i calci tentati,
quattro punizioni e un drop. Ma
questo rientra nella normalità, seppur speciale, di una finale. Nessuno,
invece, poteva aspettarsi che, finita
Infortuni e record
Ha superato infortuni terribili
e segnato più di 5000 punti
A 35 anni ha detto basta
la partita, mentre Wilkinson si aggirava per il prato con la testa tra le
mani, quasi spaesato, come avesse
appena iniziato a realizzare che la
sua vita di rugbista era giunta al capolinea, gli 82mila che riempivano
lo stadio di St. Denis, dove batte il
cuore della grandeur sportiva francese, intonassero — seppur a mezza
voce — God Save the Queen per
quell’inglese biondo, nato a Frimley, nel Surrey, 35 anni fa.
Trentacinque anni nei quali
Wilkinson ha vissuto almeno tre vi-
te. Gli inizi col Newcastle e l’esordio
con la maglia bianca dell’Inghilterra
che guidò alla vittoria in Coppa del
Mondo nel 2003 (drop decisivo nell’overtime); i tre anni successivi
spesi tra una sala operatoria e l’altra, tra un centro di riabilitazione e
l’altro a curare un infortunio dopo
l’altro e finalmente il ritorno in
campo; infine la terza vita, iniziata
nel 2009, quando si trasferì in Costa
Azzurra, per indossare il rosso e nero del Tolone di Mourad Boudjellal,
il re dei fumetti, mezzo algerino e
mezzo armeno, che ama ingaggiare
campionissimi quasi quanto litigare con Marine Le Pen. Una terza vita
felice, impreziosita da due Coppe
Europa e dal titolo di Francia di sabato, chiusa senza rimpianti. Un bacio a Shelley, la moglie, e giusto un
paio di birre perché solo una volta
Jonny ha bevuto per davvero, dopo
la finale del Mondiale 2007, persa
contro il Sudafrica. Il compagno di
libagioni, quella notte, era William,
duca di Cambridge, e Wilko non poteva permettersi di dire «no, grazie»
al suo futuro re.
Jonny, che ha segnato più di 5000
punti, ha inciso profondamente
nelle fortune del rugby inglese (74%
di vittorie con lui in campo per i
bianchi, 47% senza), ha fatto impazzire di felicità la gente di Tolone, era
molto imbarazzato il giorno prima
Solo tre squadre
Jonny Wilkinson è nato
a Frimley, in Inghilterra,
il 25 maggio ‘79.
Ha iniziato col rugby
a 6 anni e ha giocato
solo con tre squadre:
Newcastle, Tolone
e Inghilterra (91
presenze e 1425 punti)
Trofei
Mediano d’apertura e
calciatore infallibile,
alto 178 cm per 85 kg,
ha vinto con
l’Inghilterra la Coppa
del Mondo 2003 e con
il Tolone due Coppe
Europa e un
campionato francese
Addio Wilkinson saluta, a destra la festa a Tolone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Addio all’ex terzino
Rocco Cotroneo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’ultima magia di Wilkinson, re del rugby
far cantare ai francesi l’inno d’Inghilterra
Il figlio di Pelé è stato
condannato a 33 anni di
reclusione per riciclaggio
di denaro sporco
proveniente dal
narcotraffico. Edson
Cholby do Nascimento, 43
anni, attuale allenatore dei
portieri del Santos (il club
dove il padre è diventato
famoso), è stato
riconosciuto colpevole dal
tribunale di Campo
Grande, nello Stato
brasiliano di San Paolo,
per avere avuto vincoli
con un gruppo narco
guidato da Ronaldo
Duarte Barsotti, detto
Naldinho, latitante da
cinque anni. Edinho, ex
portiere del Santos negli
anni Novanta, è
secondogenito e unico
maschio legittimo tra i
sette figli di Pelè.
Trattandosi di una
pronuncia di primo grado,
in attesa del processo
d’appello, Edinho non
dovrà comunque andare
in carcere.
della finale. Tante dimostrazioni
d’affetto, una teoria infinita di
«merci». Troppe secondo il numero
10. «Sono colpito — ha spiegato —,
contento, però, in fondo, ho solo
giocato a rugby, ho fatto la cosa che
amo. Sono stato in grandi squadre,
ho conosciuto campioni e persone
eccezionali. C’è gente che nella vita
ha dato molto più di me, ha fatto cose molto più importanti. Sono sincero, mi sento un impostore».
Una definizione sorprendente,
quasi come i francesi che cantano
l’inno di Sua Maestà, ma in linea
con il personaggio. In tutta la sua
carriera Wilkinson non ha mai fatto
nulla di discutibile, nessuna invasione di campo, nessuna parola
fuori posto. Solo tanto lavoro, tanta
dedizione. Si potrebbe discutere su
quanto sia stato grande, se davvero
è stato il miglior giocatore di sempre. Di sicuro è quello che si è allenato di più, perché tutti i risultati di Jonny, le
sue statistiche da fantascienza sono frutto di
ore e ore passate sul
campo, con i compagni
e da solo, col sole e con
la neve. Spinto da una
forza interiore straordinaria e dal terrore di
mettere in difficoltà la
sua squadra, i suoi
compagni. «Non posso sbagliare i
calci, è il mio compito, il mio dovere. Non posso deludere chi lotta sul
campo con me. Sarebbe un tradimento verso chi, in fondo, ha fatto
tutto il lavoro duro, sporco, pesante». Vero, gli altri facevano il lavoro
duro, ma Wilkinson ha fatto la cosa
più importante: li ha fatti vincere.
Domenico Calcagno
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A 62 anni
è morto
Francisco
Marinho
Lutto Francisco Marinho
A dieci giorni dal Mondiale,
il Brasile piange Francisco
Marinho, morto ieri a 62
anni per un’emorragia
interna. Negli anni Settanta
è stato uno dei difensori
più rappresentativi del
calcio brasiliano, arrivando
a giocare 27 partite nella
nazionale verdeoro e
partecipando al Mondiale
del 1974 in Germania.
Soprannominato «Diablo
louro» (diavolo biondo)
per il colore dei capelli,
Marinho ha militato dal
1972 al 1976 nel Botafogo e
fino al 1978 nella
Fluminense. Si era poi
trasferito negli Stati Uniti,
per giocare con i Cosmos di
New York, i Lauderdale
Strikers e Los Angeles Heat,
prima di concludere la
carriera nella squadra
tedesca Harlekin di
Augusta nel 1988.
Francisco Marinho ha
avuto problemi di
dipendenza da alcol e già
l’anno scorso aveva
rischiato di morire.
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Sport 31
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Mercato Inzaghi chiede a Berlusconi un difensore centrale e un attaccante
Maxi scambio Juve-Real
Ecco Marcelo e Coentrao
I campioni d’Europa interessati a Pogba e Vidal
Entrate e uscite
Portoghese Anche Fabio
Coentrao piace alla Juve (Afp)
Corteggiato Tutti vogliono
Paul Pogba: anche il Real (Ap)
Stella Arturo Vidal, 27 anni,
nazionale cileno (Afp)
MILANO — Il Milan non tornerà sul mercato per rimpiazzare Montolivo. Al momento i
piani prevedono di trattenere a
Milanello il giovane Cristante e
aspettare il pieno recupero del
capitano rossonero. La buona
notizia per il popolo milanista
è l’entusiasmo del presidente
Berlusconi che nelle tre ore e 40
di vertice tenutosi sabato sera
ad Arcore con Adriano Galliani
e Filippo Inzaghi ha mostrato
grande voglia di tornare a occuparsi in prima persona del
Milan. Superpippo ha illustrato
al presidente il Milan che vorrebbe allestire: i punti fermi sono i terzini della nazionale
Abate e De Sciglio. Nella lista
dei desideri del futuro tecnico
sono segnati con l’evidenziatore un difensore centrale e un
attaccante, circostanza che lascia presagire che con ogni
probabilità Mario Balotelli lascerà il Milan a Mondiale concluso (non è un mistero che il
presidente non abbia mai stravisto per lui).
Appuntamento a cena, intanto, questa sera tra Juventus
e Real Madrid, dopo la sfida tra
le «Leggende» delle due squadre. Piatto forte per i dirigenti
(non ci sarà il presidente dei
merengues, Perez; presente invece il mediatore Ernesto Bronzetti), il mercato. A cominciare
da Morata: il Real non vuole cedere l’attaccante a titolo definitivo, ma punta a guadagnare
attraverso un prestito oneroso
e vorrebbe inserire una clausola per poter riacquistare il giocatore. La Juve intende invece
imbastire l’affare sulla base di
un prestito con diritto di riscatto, con un contro-riscatto in fa-
vore degli spagnoli. Ma i nomi
in ballo sono anche altri: Marcelo e Coentrao per la Juve, Pogba e Vidal per il Real. Sembra
che, per ora, il cileno non sia
una priorità di Carlo Ancelotti,
che attenderebbe il Mondiale
per scegliere il nome giusto per
rinforzare il centrocampo dei
campioni d’Europa. Andrea
Agnelli, intanto, guarda al
prossimo futuro. «Non possiamo eliminare il dogma che vincere è l’unica cosa che conta ma
dobbiamo sempre essere realisti e fare i conti con gli altri. Nei
prossimi tre anni sarà impossibile colmare il gap con le grandi d’Europa. L’obiettivo è arrivare a fine del triennio 2015-18
con 300 milioni di fatturato,
esclusi i proventi Uefa, per essere più vicini. In Champions i
fatturati incidono ma noi, società e tecnico, siamo convinti
che possiamo giocarcela con
tutti. Non ho aggettivi per valutare quanto fatto negli ultimi
tre anni: dobbiamo essere grati
ai giocatori che suonano gli
strumenti, al direttore d’orchestra, Antonio Conte, alla dire-
Nel mirino
Il brasiliano
del Real Madrid
Marcelo
(nella foto
durante
l’allenamento
con la nazionale
verdeoro) piace
alla Juventus:
il terzino
sinistro,
26 anni,
potrebbe
rientrare in un
maxi scambio
con la squadra
allenata da
Carlo Ancelotti
(Epa)
zione sportiva e a chi ogni giorno ha lavorato dietro le quinte.
È qui che emerge il vero valore
aggiunto di questa squadra:
l’umiltà. La stessa che abbiamo
nel valutare serenamente il nostro percorso di crescita».
La Juve è sempre interessata
a Guarin (che l’Inter valuta 18
milioni senza Isla come contropartita tecnica). Questa settimana è previsto un incontro fra
la dirigenza nerazzurra e quella
del Borussia Mönchengladbach per trattare l’acquisto del
ce n t ro ca m p i s ta s v i z z e ro
Playoff Prima Divisione
Pro Vercelli
più vicina
alla serie B
La Pro Vercelli è più vicina alla serie B
dopo la vittoria a Bolzano, sul campo del
Sudtirol Alto Adige, nell’andata dei
playoff di Prima Divisione. Decisiva la
rete di Cosenza al 6’ del secondo tempo,
pronto a deviare in rete dopo un’uscita a
vuoto del portiere Facchin su cross da
sinistra di Scaglia. La gara di ritorno si
disputerà sabato prossimo (ore 18) a
Vercelli. Alla Pro basterà un pareggio per
sancire l’immediato ritorno in serie B.
L’Alto Adige è arrivato ai playoff dopo
aver battuto il Como e la Cremonese,
mentre la Pro Vercelli ha eliminato Feralpi
Salò e Savona. Nell’altra sfida, Lecce,
senza lo squalificato Miccoli, e Frosinone
hanno pareggiato 1-1 (padroni di casa in
vantaggio con Papini al 15’, pari di Gori al
31’). Tutto rimandato alla gara di ritorno
in programma a Frosinone sabato
prossimo.
Sassari è sempre l’incubo di Milano
Drake Diener e l’ex Green firmano l’1-1
Semifinali
Così ieri
Milano-Sassari
83-90
(1-1 nella serie)
Prossime gare:
domani, 5, 7, ev. 9, ev. 11/6
Così oggi
ore 20.30
Siena-Roma
(1-0 nella serie)
Tv: diretta RaiSport1
Prossime gare:
4, 6, ev. 8, ev. 10, ev. 12/6
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Xhaka. Il Toro si prepara all’Europa League: ha messo nel mirino Gaston Ramirez, l’ex uruguaiano del Bologna ora al
Southampton. Si tratta sulla
base del prestito. Reja ieri ha
precisato: «Non ho mai detto
che me ne vado, con Lotito ho
un ottimo rapporto. Ci vedremo fra qualche giorno». Sempre caldi i nomi di Pioli e Simone Inzaghi. Fra oggi e domani
l’Udinese sceglierà il tecnico su
cui puntare: Stramaccioni (che
sta trattando la rescissione del
contratto con l’Inter con una
buonuscita) in questo momento è in netto vantaggio su Maran. David Villa lascia l’Atletico
Madrid per la Major League
statunitense: giocherà nel New
York City Fc.
Filippo Bonsignore
Monica Colombo
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Atletica A Eugene 100 metri in 9’’76 per l’americano
Basket I sardi passano al Forum in gara 2 della semifinale. Stasera Siena-Roma
MILANO — C’è un posto, a
oriente del sole e a occidente
della luna, dopo il tramonto e
prima della notte buia, dove soffiano i venti che determinano i
destini. In quel posto strano,
prima di dominio, poi di rovinoso crollo, si è persa Milano, e
anche gara 2 di semifinale (8390), così che la serie si porta sul
1-1. Sassari torna a casa, con le
prossime due partite tra le mura
amiche, con il massimo risultato sperato. Milano, invece, che
avrebbe, non uno, ma molti
peccati originali da scontare, si
può aggrappare solo alla scaramanzia: finora ha sempre vinto
in Sardegna (6-0). E anche questo potrebbe essere pericolo, più
che conforto.
Sassari accende subito un
fuoco di paglia, il fumo fa lacrimare Milano (0-7), ma inizia il
sentiero dei carboni ardenti per
la Dinamo che ha Marques Green, 20 centimetri abbondanti
sotto il livello di guardia, contro
Daniel Hackett, che non ha
nemmeno bisogno di portarsi in
stack basso per far valere il
miss-match, tanto anche se il
folletto lo fronteggia Danni Boy
sa di poter tirare praticamente
libero, come dire? dalla cintola
in su, libero di infilare 7 punti
consecutivi che valgono il 9-0 e
il primo sorpasso milanese
(9-7). L’inquadratura successiva
della pellicola vede l’ingresso in
scena di Alessandro Gentile, e il
suo impatto è ancora devastante, non solo di punti ma anche di
Morata e Guarin
I bianconeri sono vicini
a Morata, resta sempre
aperta la trattativa
con l’Inter per Guarin
lettura di gioco. Semplice: ormai
tutti hanno eletto Ale, il figlio di
Nandokan, come pericolo pubblico numero uno, lo accerchiano, gli puntano la difesa alla testa, e lui punta il suo cannone
caricato ad assist. Anche Drake
Diener, il pirata sardo, prova la
manovra a sorpresa, tutti lo
aspettano alle mura temendo la
sua feroce colubrina e lui tenta
l’abbordaggio con il rampino
delle penetrazioni, infilzando in
controtempo le difese che escono alte. Sassari sente la marea
milanese che cresce, tenta allora
di alzare la diga foranea con la
difesa a zona 3-2, ma è Kangur a
Battuti da 3 punti
L’EA7 domina
nei primi due quarti,
grazie ai canestri
di Hackett e Gentile,
poi nella ripresa
i sardi si scatenano
da 3 punti
Con gli Spurs
Belinelli
primo italiano
alle finali Nba
San Antonio raggiunge
Miami nelle Finali Nba,
che per la prima volta
vedranno anche un
italiano: Marco Belinelli
(nella foto contro
Westbrook). Gli Spurs
hanno vinto gara 6 a
Oklahoma City (112-107
dopo 1 supplementare)
e hanno chiuso sul 4-2.
Da giovedì rivincita con
gli Heat, stavolta con il
fattore campo a favore.
sconsigliarla, e quando Gentile
riprende il filo del gioco Milano
arriva due volte a +13 (32-19 e
38-25). Sembra che sia la EA7 ad
avere saldamente tra le mani anche il filo d’Arianna, per uscire
dal labirinto della partita, mentre Sassari può soltanto raschiare il barile dei tiri liberi (9/10 per
la Dinamo e nessuno per l’Armani nel corso del primo tempo).
Eppure, tutto questo si era visto, prima che rivelasse un miraggio nel deserto della ripresa
milanese. Cancellate tutto. Sassari aveva scaltramente nascosto la cassetta dei fuochi d’artificio, per spararli tutti nella ripresa, abbagliando il cielo di Milano, avvelenando l’Armani con la
tempesta di pioggia acida da 3
punti che la Dinamo ha scatenato nella ripresa: 2/9 da 3 all’intervallo per i sardi, e 11/16 nel
secondo tempo, ben distribuiti
tra Drake Diener (20 alla fine),
suo cugino Travis, e Marques
Green (16), che costituivano un
fronte d’attacco troppo ampio
per essere adeguatamente coperto.
Pauroso soprattutto il bombardamento nel terzo quarto
con 6 siluri praticamente consecutivi che mandavano Milano
sotto le prime macerie (57-66 al
30’). Dalle quali l’Armani non
riusciva a ricostruire nulla, anche perché Cerella si mangiava 6
punti già fatti e soprattutto per
l’esplosione nell’ultimo quarto
dell’ultima mina che sassari
aveva tenuta in serbo, con i 12
punti di Drew Gordon, ultimo
crudele lanciere che colpiva il
cuore (ma c’è?) di Milano.
Werther Pedrazzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gatlin torna a volare
Giamaica non pervenuta
Quest’anno Gatlin non si è riL’atletica senza il suo Re si
riappropria del proprio regno, sparmiato, detiene la miglior
inventa gare e duelli spettacola- prestazione (9”87) stagionale
ri, sfida spazio e tempo per por- ottenuta a Pechino, seguita dal
tare alla ribalta volti noti e stuz- 9”92 di Shanghai e dal 10”02 di
zicanti novità negli ultimi tempi Tokyo che in valore assoluto
nascosti dall’ombra di Usain sembra merce dozzinale, ma che
Bolt. Il Fulmine di Giamaica corsa con 3,5 metri di tormenta
quest’anno non si è ancora fatto in faccia assume ben altra rilevivo, dovrebbe presentarsi in vanza. Il ponentino romano e la
Europa il 17 giugno a
Ostrava per poi monopolizzare la tappa della
Diamond League di Parigi (5 luglio) e allora è
festa grande per gli altri. Spettacolo e risultati in dosi industriali (10
migliori prestazioni
stagionali) sabato notte a Eugene, terzo appuntamento con la Lega dei Diamanti che
giovedì farà brillare la
pista dell’Olimpico di
Roma con il Golden
Gala Pietro Mennea.
Riscatto Justin Gatlin, 32 anni, fermaScintille sui 100 meto per doping dal 2005 al 2010 (Ap)
tri, con Justin Gatlin
che a 32 anni ci ha preso gusto a riprendere a
volare: 9”76 nel vento (+2,7 m/ gomma reattiva dello stadio
s), un tempo che non finirà nelle Olimpico potrebbero aiutarlo a
statistiche, ma che ripropone perlustrare nuovi orizzonti.
È un’atletica in fermento
l’ex primatista mondiale come
una delle attrazioni del momen- quella andata in scena oltre Oceto. Nel 2013 a Roma Bolt conob- ano, con un solo, grande, dubbe l’unica amarezza delle sue 11 bio: che fine hanno fatto le stelle
volate stagionali sui 100 metri e filanti di Giamaica? Il ciclone
a fargli ingoiare fiele fu proprio doping dello scorso anno forse
il ragazzone di Brooklyn, torna- ha lasciato una scomoda traccia
to ad alti livelli dopo aver espia- nel Paese delle frecce nere.
Valerio Vecchiarelli
to la colpa doping per 5 (2005© RIPRODUZIONE RISERVATA
2010), lunghissime, stagioni.
32 Sport
italia: 51575551575557
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Canottaggio: 3 medaglie agli Europei
World League, l’Italia fa poker
Conclusi a Belgrado gli Europei di canottaggio. L’Italia ha concluso con tre medaglie: un oro nel doppio p.l. femminile (foto) con la Milani e la Sancassani, titolo
confermato per il terzo anno di fila; un argento nel singolo p.l. maschile con Miani;
un bronzo con il 4 senza senior maschile (Gabbia, Abbagnale, Perino, Vicino).
VELA — A Viareggio è morto Valentin Mankin, 75 anni, triolimpionico con l’Urss.
La nazionale di Mauro Berruto continua la sua marcia senza intoppi nella prima fase della World League: a Verona, gli azzurri hanno battuto di nuovo l’Iran
per 3-0 (27-25, 25-18, 25-22), bissando il successo di venerdì a Trieste. In evidenza Zaytsev (18 punti) e Kovar (15 punti; nella foto un suo attacco vincente).
L’Italia nel prossimo weekend è attesa dal doppio confronto con la Polonia.
MotoGp Al Mugello sesto centro dell’iridato e rimonta di Rossi
Marquez-Lorenzo show
e Valentino ritorna
sul suo podio preferito
«Prima o poi riuscirò a battere Marc»
gli errori della vigilia, Rossi ieri
ha fatto il massimo possibile:
SCARPERIA — Valentino sul «Sabato sera ci avrei messo la
podio del Mugello è l’ordine firma e alla fine sono soddiricomposto dopo il caos. L’ul- sfatto: mi sono piaciuti i sortima volta era stata il 31 mag- passi davanti alla mia gente,
gio 2009, la stagione del suo ma quando sono arrivato vicinono titolo mondiale. Da allo- no a Marquez ormai avevo perra solo infortuni (nel 2010), so un secondo decisivo e loro
sbagli e fallimenti (il biennio davanti erano troppo forti.
Ducati), sfortune (il k.o. subito Avrebbero dovuto fare qualche Imbattibile Marc Marquez in azione con Valentino Rossi nella sua scia. Nella foto in basso il Dottore in ginocchio davanti a Romano Fenati (Afp, Ansa)
errore, ci ho
tista Dovizioso. Marquez e Losperato, non è grande stagione: sono elemenrenzo, invece, non hanno avua r r i v a t o . . . ti importanti per sperare di
to cedimenti, viaggiando su un
Peccato. Sono battere Marquez prima o poi.
Anni di delusioni
altro pianeta. Un duello rusticonvinto che Certo, non è facile, e magari
Rossi, al Mugello, non
cano, molto mugelliano, tra
se fossi parti- sarebbe meglio che lo squalifisaliva sul podio dal 2009
sorpassi, contatti, attacchi e
to in seconda cassero per qualche gara, però
contrattacchi, staccate thrilfila sarei stato siamo lì... E contro giovani che
da Bautista nel 2013), la paura con Marc e Jorge, perché avrei fanno la metà della mia fatica
ling in fondo al rettilineo più
di non sporgersi più da quel sfruttato la loro scia in rettili- per stare in forma, questo è un
eccitante del mondo, cazzotti
magico terrazzo, «la più gran- neo».
motivo di orgoglio».
leciti in pista e abbracci sinceri
de emozione che possono dare
Già, i giovani. Ieri hanno daquando tutto è finito. Jorge,
Il periodo ipotetico non è
le corse». Ieri, finalmente e mai quello dei campioni, ma to spettacolo. Iannone, tanto
forse fuori dalla crisi finalnon per caso, cinque anni poco Valentino lo usa per trasfor- atteso, ha sgomitato finché la
mente, è stato superbo: ha imvalentiniani sono stati cancel- marlo in carburante per il fu- gomma morbida (scelta erraposto il ritmo, ha resistito
lati con il terzo posto, il saluto turo: «Tre podi di fila, il secon- ta) ha retto, finendo poi settiquando Marc lo ha passato la
dall’alto al suo popolo che in- do posto nel Mondiale, una mo dietro anche al capo ducaprima volta, ha risposto, lottavade la pista, la sensazione, a
to, sperato. All’ultimo giro, pe35 anni, di averne qualcuno di
rò, il campione del mondo ha
Terzo trionfo in Moto3
meno sulle spalle e ancora
colpito ancora, dimostrando di
qualcuno davanti per fare altre
potere vincere in ogni condicose belle: «L’ho voluto fortezione (fuga o corpo a corpo),
mente, era passata una vita. E
contro chiunque e anche
se la gente mi ama così non è
quando le Yamaha rendono
solo per i risultati, ma per la
come, se non meglio, della
cinghialotto, con quel fisico e la guida un po’
maniera in cui corro, li diverto
Honda. Arrivato a sei vittorie
DAL NOSTRO INVIATO mai primi dall’ultima curva, a meno che tu
non abbia un grande vantaggio») e,
alla Marquez. Ha un grande futuro davanti,
e mi diverto».
su sei, e con la corsa di casa a
SCARPERIA — Così bravo che il maestro — e soprattutto, poco prima, alle due Arrabbiate, anche in MotoGp». Fenati, in tutto questo,
Esaurite le autopacche sulle
Barcellona nel mirino, MM
team principal della Sky-VR46 — gli si è
un clamoroso doppio sorpasso — all’esterno sembra quello più calmo di tutti. Orgoglioso
spalle, al campione resta però
galleggia ormai in un Empireo
inginocchiato davanti a fine gara. Comunque su Rins, all’interno su Vinales — che a Rossi, della tuta e della livrea tricolori, ha dedicato
il rimpianto perché nella batpersonale, anche se invita «a
vada la sua carriera, Romano Fenati un
estasiato, «ha fatto venire in mente cose a
il trionfo agli amici di Ascoli presenti in
taglia sulle colline — epica,
stare calmi». Lui forse ci riesce,
giorno potrà raccontare anche questa: «Sì,
sfondo sessuale». Esagerato? I motociclisti si collina e al nonno Romano, il suo vero
bellissima, da togliere il fiato
chi lo guarda no, ammirato e
Valentino che si inginocchia davanti a me è
eccitano anche così. Però Fenati è uno di
ispiratore di vita, che lo ha visto vincere per
— tra Marquez, il vincitore, e
esaltato di fronte a tanta belstata una grande emozione, ma
quelli che sanno abbinare sostanza a
la prima volta dal vivo, e ora aspetta di
Lorenzo, lo sconfitto per 121
lezza. Non sarà un caso se il
sinceramente dovrebbe essere il
spettacolo e la sua «Arrabbiata made in
sostenere gli esami, da bravo studente di
millesimi, poteva esserci anpopolo del Mugello ha regalato
contrario...». Il ragazzo fa il modesto, e dopo Italy», come l’ha definita lui, lo ha
liceo linguistico. Quanto al Mondiale (è
che lui. «Purtroppo però mi
un boato anche a lui, l’avversal’incredibile vittoria di ieri è un’impresa
dimostrato. Non per caso Rossi lo ha scelto
secondo a meno 5 da Miller), «non ci penso.
sono giocato tutto sabato porio del suo idolo Valentino.
anche questa: Romano è stato eccezionale
per il suo team, mettendolo poi sotto l’ala
Questa è stata la mia gara più bella e sentire
meriggio». Una qualifica sbaNon è accaduto spesso nella
non solo per il successo, il terzo in stagione,
protettiva del suo capotecnico di 16 anni fa,
l’inno di Mameli in Italia è un sogno. Ma non
gliata, la quarta fila, la rimonta
storia. E anche questo racconta
ma per il modo in cui l’ha raggiunto.
Rossano Brazzi, e del suo vecchio amico e
mi monto la testa e vado avanti gara dopo
possibile solo fino a un certo
bene che cosa sta diventando
Conduzione di gara perfetta, lucidità da
team manager Vittoriano Guareschi. Un
gara». Però, adesso, da favorito.
punto perché in questa MotoMarquez, l’aspirante leggenda,
veterano in una volata che ha portato 4 piloti gruppo che funziona. «Romano ci fa godere
al.p.
Gp spaziale bisogna essere
a soli 21 anni.
in 121 millesimi («Al Mugello non si esce
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alessandro Pasini
ogni volta — dice Rossi —. È un
perfetti, e spesso anche questo
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non basta. Così, zavorrato daDAL NOSTRO INVIATO
Le classifiche
MotoGp
1. Marquez (Spa) Honda
in 41’38’’254
2. Lorenzo (Spa) Yamaha
a 0’’121
3. Rossi (Ita) Yamaha a 2’’688
4. Pedrosa (Spa) Honda a 0’’314
5. P. Espargaro (Spa) Yamaha
a 14’’046
6. Dovizioso (Ita) Ducati
a 15’’603
7. Iannone (Ita) Ducati a 17’’042
8. Bautista (Spa) Honda
a 17’’129
9. A. Espargaro (Spa) Yamaha
a 27’’407
10. Hernandez (Col) Ducati
a 41’’886
Classifica mondiale
1. Marquez (Spa)
150
2. Rossi (Ita)
97
3. Pedrosa (Spa)
96
4. Lorenzo (Spa)
65
5. Dovizioso (Ita)
63
6. P. Espargaro (Spa)
49
Moto2
1. Rabat (Spa) Kalex
in 39’45’’660
2. Salom (Spa) Kalex
a 0’’248
3. Folger (Ger) Kalex
a 3’’600
4. Corsi (Ita) Kalex
a 8’’117
10. Morbidelli (Ita) Kalex
a 16’251
Mondiale piloti
1. Rabat (Spa)
124
2. Kallio (Fin)
102
3. M. Viñales (Spa)
69
5. Corsi (Ita)
66
Moto3
1. Fenati (Ita) Ktm in 39’46’’256
2. I. Viñales (Spa) Ktm a 0’’010
3. Rins (Spa) Honda
a 0’’011
7. Tonucci (Ita) Mahindra a 0’’597
Mondiale piloti
1. Miller (Aus)
104
2. Fenati (Ita)
99
3. Rins (Spa)
87
9. Bagnaia (Ita)
36
Prossima gara
15/6: Gp di Catalunya
(a Barcellona)
5
Il Dottore si inginocchia davanti al «suo» Fenati
Tennis Continuano le sorprese al Roland Garros: l’ex numero 1 spreca troppe occasioni e si offre al lettone con la lingua sciolta
Gulbis, il figlio di papà che trova Federer noiosetto
Se sul punteggio di 7-6, 5-3,
con due set point a disposizione, Ruggero avesse piazzato
meglio lo smash e blindato il
passaggio ai quarti di finale del
Roland Garros, ora non staremmo qui ad arrovellarci sull’importanza di chiamarsi Ernesto e
a Mirka non sarebbe andata di
traverso la baguette, insieme al
mancato guadagno del suo Federer fuori dal torneo. Ma Parigi
quest’anno è così, volubile nel
meteo e nei risultati, ragioni
storiche indurrebbero a parlare
di rivoluzione se non fosse che
— oltre a Raonic, classe ‘90, alla
Muguruza (‘93) e alla Bouchard
(‘94) — sono vivi e lottano insieme a noi Nadal e Murray (in
campo oggi negli ottavi), Djokovic (che ieri ha mortificato
Monsieur Testosterone, Jo-Wil-
fried Tsonga, lasciandogli 6 game di mancia) e Maria Sharapova, la vecchia guardia che resiste alla nouvelle vague, sempre
che Ernest Gulbis, Ernesto per
gli amici (e i genitori amanti di
Hemingway) possa essere considerato una novità. Bon vivant,
lettone della capitale (Riga), figlio di uno degli uomini più ricchi del Paese e di una famosa attrice teatrale, nipote di quell’Alvils Gulbis nel quintetto base
che vinse l’Europeo di basket
‘58-’59-’60, Ernesto fin qui era
popolare nel circuito per le sue
stravaganze, l’essere apertamente favorevole alla legalizzazione della marjuana («Non per
fumarla, ma mi piace questo
modo di pensare...» sì vabbé),
un fermo in Svezia per aver adescato una prostituta, qualche
Da Riga con furore Ernest Gulbis, 25 anni, lettone (Ap)
uscita un po’ sui generis, come
quando ha definito Federer noiosetto («Mi cascano le braccia
quando lo sento parlare») o ha
consigliato alla sorella, aspirante tennista, di restare a casa a fare altro, «perché per le donne è
meglio». Tipo non convenzionale, insomma, già capace di
battere lo svizzero a Roma nel
2010 al settimo match point
(«Mi sono ca..to nei pantaloni»), sotto i riccetti sufficientemente disinteressato ai soldi
(«Vengo da una famiglia facoltosa: per me è normale averne»)
da potersi permettere pause
lunghissime dal tennis, tanto è
vero che questa è solo la seconda volta in carriera che Gulbis
sbuca nei quarti di uno Slam.
A 25 anni, conquistati i tornei
di Marsiglia e Nizza giusto alla
Oggi Errani-Jankovic
Ottavi di finale
Singolare maschile: Gulbis
(Lat) b. Federer (Sui) 6-7, 7-6,
6-2, 4-6, 6-3; Djokovic (Ser) b.
Tsonga (Fra) 6-1, 6-4, 6-1
Singolare femminile:
Sharapova (Rus) b. Stosur
(Aus) 3-6, 6-4, 6-0; Bouchard
(Can) b. Kerber (Ger) 6-1, 6-2
Doppio femminile: Errani/Vinci
(Ita) b. Petkovic/Rybarikova
(Ger/Svk) 7-5, 3-6, 6-3
Così oggi negli ottavi
Errani-Jankovic, Nadal-Lajovic,
Murray-Verdasco, MonfilsGarcia Lopez, Ferrer-Anderson
Così in tv
ore 11: Eurosport, RaiSport 1
vigilia del Roland Garros, Ernesto ha deciso di darsi un’ultima
chance: «In passato ho fatto
scelte sbagliate e un sacco di cavolate. Ho trattato male il mio
corpo e trascurato gli allenamenti. Troppa vacanza e poco
lavoro... Questo è il mio ultimo
treno, lo so, e io voglio salirci
sopra». A rimanere giù, in un
pomeriggio di scarsa concretezza e ispirazione altalenante
(59 errori gratuiti, 63% di prime
palle a segno), è stato l’ex numero 1 del mondo, mai fuori
così presto da uno Slam negli
ultimi dieci anni, anche se la
terra di Parigi, storicamente
(una vittoria, nel 2009, su 17 titoli), resiste al suo fascino. La
restaurazione è in mano a Rafa
Nadal, che ha il mal di schiena
ma un avversario (il serbo Lajovic) disposto a sacrificarsi per il
blasone del torneo. Questa è
Parigi, parbleau.
Gaia Piccardi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sport 33
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Ciclismo Si chiude sotto il segno di un cambio generazionale e l’inquietudine sollevata da un nuovo doping
Ultimi controlli
La nuova
frontiera
del doping
Voto 9 Quintana (Ansa)
Voto 8 Aru (Ansa)
Passerella finale Lo sloveno Mezger, a sinistra, beffa Nizzolo e Farrar sul traguardo di Trieste: è l’ultimo arrivo del Giro, dopo 3.449,9 km sui pedali (Ansa)
Giro, i giovani sono diventati grandi
Quintana e Aru, scommesse vincenti
Nairo: «Ho realizzato un’impresa». Fabio: «Ho la giusta fame»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
Le classifiche
Ordine d’arrivo
21a tappa, Gemona del FriuliTrieste, di 172 km
1. Mezgec (Slo)
in 4.23’58’’
2. Nizzolo (Ita)
s.t.
3. Farrar (Usa)
s.t.
4. Bouhanni (Fra)
s.t.
5. Ferrari (Ita)
s.t.
6. Duque (Col)
s.t.
7. Paolini (Ita)
s.t.
8. Van der Sande (Bel)
s.t.
9. Bozic (Slo)
s.t.
10. Keisse (Bel)
s.t.
155. Quintero (Col)
a 4’17’’
Classifica finale
1. Quintana (Col) in 88.14’32’’
2. Uran (Col)
a 2’58’’
3. Aru (Ita)
a 4’04’’
4. Rolland (Fra)
a 5’46’’
5. Pozzovivo (Ita)
a 6’32’’
6. Majka (Pol)
a 7’04’’
7. Welderman (Ola)
a 11’
8. Evans (Aus)
a 11’51’’
9. Hesjedal (Can)
a 13’35’’
10. Kiserlovski (Cro)
a 15’49’’
12. Pellizotti (Ita)
a 26’13’’
15. Basso (Ita)
a 32’08’’
17. Rabottini (Ita)
a 46’35’’
19. Cunego (Ita)
a 49’22’’
26. Cataldo (Ita)
a 1.04’46’’
155. Bol (Ola)
a 5.15’19’’
Classifica scalatori
1. Arredondo (Col)
173
2. Cataldo (Ita)
132
3. Quintana (Col)
88
Classifica a punti
1. Bouhanni (Fra)
291
2. Nizzolo (Ita)
265
3. Ferrari (Ita)
186
Albo d’oro
2014 Quintana (Col)
2013 NIBALI (Ita)
2012 Hesjedal (Can)
2011 SCARPONI (Ita)
2010 BASSO (Ita)
2009 Menchov (Rus)
2008 Contador (Spa)
2007 DI LUCA (Ita)
2006 BASSO (Ita)
2005 SAVOLDELLI (Ita)
2004 CUNEGO (Ita)
2003 SIMONI (Ita)
2002 SAVOLDELLI (Ita)
2001 SIMONI (Ita)
2000 GARZELLI (Ita)
1999 GOTTI (Ita)
1998 PANTANI (Ita)
1997 GOTTI (Ita)
1996 Tonkov (Rus)
1995 Rominger (Svi)
TRIESTE — Il primo Giro del
mondo è finito. La scommessa
lanciata sul suolo inglese è stata
vinta: i giovani sono diventati
grandi, rispettando le attese di
un cambio generazionale sempre più evidente nelle persone e
magari anche nei fatti, nonostante l’inquietudine per il nuovo doping che avanza non abbandoni mai questo sport bello e
dannato. Nairo Quintana (voto
9) è il primo sudamericano a
conquistare la maglia rosa, che
prima di lui ha avuto come leader un canadese (Tuft), due australiani (Matthews ed Evans) e
un altro colombiano (Uran).
«Dentro di me provo una felicità enorme e difficile da spiegare — dice Nairo con il suo sorriso bianchissimo — ho realizzato
un sogno, ho vinto il mio primo
Giro a 24 anni, davanti ai miei
genitori, a mia moglie e a mia figlia. Lo dedico a loro, a tutta la
squadra e a tutti i colombiani,
che anche qui a Trieste erano
tantissimi come mai avrei immaginato. La Colombia non è sinonimo di guerra, è migliorata
tanto e deve continuare a farlo,
perché tutti i sogni si possono
realizzare». Questo figlio di
campesinos può sembrare inespressivo o quasi fuori posto
mentre saltella ingobbito sul
palco di Piazza dell’Unità. In
pubblico Nairo è timido e la sua
maschera di cuoio non fa trasparire nulla. «Ma è un leader naturale — spiega il suo procuratore,
il biellese Giuseppe Acquadro —
esigentissimo con se stesso». E
quindi molto ambizioso, anche a
parole («Dopo il secondo posto
al debutto al Tour l’anno scorso
sognavo subito qualcosa di
grande e ora l’ho realizzato») come tutti quelli che negli ultimi
cinquant’anni hanno vinto il Giro al primo tentativo: Pollentier,
Hinault, Indurain, Contador.
Ma il giovane-vecchio che a
12 anni ha scoperto la bici per
portare a pascolare le vacche di
famiglia non sembra l’unico
predestinato di questo Giro. Nel
giorno in cui Luka Mezgec in volata diventa il primo sloveno a
conquistare una tappa, Fabio
Aru (voto 8) è il primo sardo a
salire sul podio finale, al terzo
posto dietro a Rigoberto Uran
(7). Anche Aru è un emigrante
della bicicletta (a Bergamo): «E
anch’io sono orgoglioso di tutte
le bandiere sarde che ho visto e
del mio Giro. So che adesso aumentano le aspettative, ma non
mi spaventa: penso già al futuro,
perché in questo sport bisogna
sempre avere fame».
Anche Uran guarda avanti:
«Quello che è successo sullo
Stelvio l’ho dimenticato. Nairo
merita questa vittoria. Ma Nibali, dietro al quale sono arrivato
secondo un anno fa, era stato
più forte». Sembra un dispetto
Patriottismo
«Ho vinto a 24 anni,
dedico il successo alla mia
famiglia e alla Colombia,
un Paese migliorato»
Aru senza paura
Penso al futuro,
aumentano le attese,
ma non sono
spaventato»
Voto 7 Bouhanni (LaPresse)
tra amici-rivali, ma è la verità.
Quintana, alle prese con catarro
e mal di gola fino all’ultima settimana, ha vinto in rimonta, facendo l’impresa, dimezzata dalle polemiche, a Val Martello e legittimando il successo nella
cronoscalata del Grappa. Non è
comunque poco. Il vecchio
Evans (voto 5) ha tenuto la maglia rosa dagli Appennini alle
Langhe, perdendola nel primo
corpo a corpo, nella cronometro. Quel giorno l’ha presa Uran
che ha ragione a lamentarsi per
gli errori di comunicazione sullo Stelvio, ma doveva marcare a
uomo Quintana e non l’ha fatto.
Rolland (6,5) è stato uno dei più
creativi in salita ed è sceso dal
podio dopo la magnifica cronoscalata di Aru. Pozzovivo (6)
chiude quinto e non si può lamentare, in mezzo a tanti giovani rampanti. I vari Bouhanni (7)
tre volate vinte e maglia rossa; il
fedifrago Kittel (6) e i nostri
Battaglin (7) e soprattutto Diego Ulissi (8) con le sue due vittorie, vanno decisamente di
fretta, sulla scia di Aru. Rimettere l’Italia al centro del mappamondo rosa sarà la prossima
scommessa.
Paolo Tomaselli
TRIESTE — Schivate
imbarazzanti positività in
corso d’opera (del genere
Di Luca, 2013), il Giro
d’Italia attende l’esito
degli ultimi controlli antidoping. Se non si ripeterà
un caso Santambrogio
(ancora 2013), potremmo
parlare di una corsa rosa
pulita. Ma l’attenzione
degli osservatori resta
comunque alta e
concentrata su due fronti.
Il primo è quello dell’Epo
Theta, il doping dei
disperati. Costa 150 euro a
fiala e si prende a
colazione, assieme al tè e
alle fette biscottate, o la
notte prima di dormire. Il
secondo è quello del
doping dei ricchi: il
Sotatercept o ACE-0011,
prodotto senza prezzo che
arriva direttamente dai
laboratori farmaceutici.
L’Epo Theta è la versione
rivista e corretta della
famigerata eritropoietina.
Concepita per gli anemici
gravi, ha un vantaggio
decisivo per un atleta
truffaldino: iniettata in
vena viene smaltita
nell’arco di una tappa, tra
le quattro e le sei ore. Se,
come pare, i controlli
sull’Epo vengono fatti
solo la sera o la mattina
presto, il trucco può
riuscire. Per capire se la
burocrazia dell’antidoping
ne va realmente a caccia
bisognerebbe conoscere
orari e tipologia dei
controlli del Giro, che
l’Uci si guarda bene dal
rendere pubblici. Il
Sotatercept, invece, è una
«proteina chimerica»
rivoluzionaria che cura le
anemie gravi senza gli
effetti collaterali dell’Epo,
stimolando direttamente
la produzione di globuli
rossi. Quanto di più simile
al doping genetico
prodotto fino a oggi in
laboratorio è, per
l’antidoping, un autentico
fantasma.
Marco Bonarrigo
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Bilancio Morabito conquista i cuori, Nizzolo i secondi posti, Moser la delusione. E il bello e impossibile Kittel prima brucia poi se la fila
Pedalate, stranezze e storie (nascoste) nel segno del più
Le dieci sfumature di rosa
sulle strade da Belfast a Trieste
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
TRIESTE — Alla fine gli chiedono:
Uran, che cosa ti porti a casa da questo
Giro? «La bici!». Mica vero. In carovana
si sta tutti per caricare in sella una maglia, un gran premio, un più. Ecco
quelli che la giuria non ha assegnato,
ma la memoria sì.
IL PIÙ IN FUGA
Dicono a Marcel Kittel che la tv tedesca lo trascura, lui non se ne cura: ci
pensano le miss a mangiarselo con gli
occhi. Bello e impossibile. Brucia le
prime tappe (due), arde d’una misteriosa febbre a 39. Comincia col numero
171, finisce in pigiama nella camera
106 d’un albergo fuori Bari. Chiuso a
chiave, la bocca tappata: (brodo di)
pollo, insalatina, una tazzina di perché.
Prima se la tira, poi se la fila.
IL PIÙ TIFATO
Da Foligno ad Agliè, ma «sto Morabito chi è?» «Voglio una vita come Steve», «Morabito nei cuori». Il gregario
di Evans conquista più cuori che gare,
gli striscioni l’aspettano dappertutto.
La torcida colombiana, roba da dilettanti. «Tutti pazzi per Pirazzi» è l’unico,
fino al gesto dell’ombrello, che fa piovere tanta stima.
I PIÙ (RI)CICLABILI
La maglia verde una volta andava al
re della montagna: oggi, della Montagnetta. C’è la buona abitudine di Lotto
Belisol: le borracce, le recupera a fine
gara. C’è l’erba buona di Tjallingi, vegetariano che sembra mangi bistecche di
tigre. Ci sono i buoni pasto di Tuft che
ha sempre la sua scorta bio. EcoloGiro.
Il PIÙ SECONDO
Il tenero Giacomo, nel senso di Nizzolo, è l’argento semprevivo: secondo a
Bari, a Foligno, a Salsomaggiore e secondo anche ieri a Trieste. Volere è volata. Medaglia d’oro all’impegno.
IL PIÙ ROTTO
Dolori e Malori. Per la maglia crocerossa è una bella lotta. Le cadute di
Montecasino (con una esse, come dice
Evans) e un po’ ovunque spezzano
molte ossa. Ma su tutti risorge e arriva
in fondo il giovane Malori: una soglia
del male che nemmeno il vecchio Scarponi.
IL PIÙ ANIMALESCO
Yukiya Arashiro, in Giappone un
campione, si fa notare per la mascotte:
Ritirato Marcel Kittel, 26 anni (Ansa)
Anonimo Moreno Moser, 23 anni (Bettini)
una pincher nana d’un anno e di nome
Corinne, il cappottino rosa Giro per
proteggerla sulle nevi dello Stelvio, affidata tra le partenze e gli arrivi a una
fotografa amica. Prima di farla viaggiare sul pullman Europcar, alla cagnolina
hanno spiegato che Malacarne non è
una marca di bocconcini. Si rifiuta di
far pipì con l’antidoping.
IL PIÙ NOMEN OMEN (E AMEN)
Se l’omonimo Battaglin («smettetela
di chiedermi se sono parente!») ha
onorato tanto cognome con un’eroico
sprint in salita, il nipote vero Moreno
Moser è partito outsider e ha finito out
e basta: la sola fuga di Savona non è all’altezza del blasone. Però sa parlare
meglio e sorridere più dello zio.
IL PIÙ SUDAMERICANO
Non è Quintana, non è Uran. È Gianni Savio che comanda l’Androni: scoprì
i colombiani quando non se li filava
nessuno, ora ci prova coi venezolanos.
Il passo, la parlata con la erre ne fanno
«il Principe». A Savona, Evans l’ha accusato di lesa maestà australiana? Lui
ha risposto «non siamo vassalli di nessuno!». E un applauso l’ha accolto in
sala stampa: «Viva Savio Bolivar!».
IL PIÙ PUTINIANO
Al raduno di protesta delle squadre,
dopo lo strappo di Quintana, Oleg l’oligarca s’è presentato al solito: in bici,
caschetto e divisa gialla della Tinkoff, il
suo nome. Il milionario siberiano ha
l’età di Cipollini, insulta i suoi ciclisti
via tweet, dice che l’arrivo di Alonso
sarebbe un bene perché il ciclismo deve imparare dalla F1, divide il figliolo
tra gli studi a Oxford e le gare amatoriali in Toscana. Le sanzioni a Mosca?
«Non mi sfiorano. Ma davanti agli
americani, voi europei dovete imparare
a essere meno servi».
Arashiro e Corinne
Il giapponese Yukiya Arashiro
si presenta con la mascotte
Corinne: una pincher nana
che veste un cappottino rosa
IL PIÙ BUCATO
L’asfalto italiano, terra impossibile
di pozzangherone e rotonde. Bandiera
rossa la trionfa (si fa per dire) sullo
Stelvio innevato e pericoloso, più che
uno stop un brutto spot. A Bari bagnata
si slittava e il gruppo alzava bandiera
bianca: velocità minima, prudenza
massima. La protesta è servita: il manto
stradale lo rifaranno, ma per i baresi.
IL PIÙ VIE EN ROSE
Il sindaco di Belfast. Si presenta sul
palco coi capelli tinti di rosa. Con le
strade a posto, però.
Francesco Battistini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
CorriereMotori
Design La capacità
di progettare belle
vetture ha creato
un vero e proprio
mercato globale
delle firme tricolore
Progetti
ROMA — Una start-up chiamata tradizione. Senza neppure la necessità di inventarsi un
marchio: made in Italy, è più
che sufficiente. È l’Italia del
design dell’auto. Indebolita da
inutili guerre commerciali e
dall’incapacità di fare sistema,
rappresenta ancora, per dirla
con l’hashtag del nostro giornale, l’#Italiachecelafa. La vittoria di Flavio Manzoni, a capo
dello stile di Ferrari, del premio Compasso d’oro con la
F12 Berlinetta è l’esempio fin
troppo facile. La ripresa di Pininfarina (per la Bertone purtroppo le speranze sono al minimo) è invece il segnale atteso da tempo: nel primo trimestre ha ridotto le perdite del
56%, il margine operativo (lordo) è tornato in positivo e le
sue Ferrari T e Bmw Gran Lusso Coupé, da sole valgono il
prezzo del biglietto di un qualsiasi show. Il futuro è delineato: «C’è una crescente richiesta
di vetture esclusive e serie limitate. Vogliamo esplorare
questa opportunità perché è
un ritorno alle nostre origini e
alla nostra storia: abbiamo allo
studio la produzione di vetture in serie limitata, al massimo
6 - 8 unità, per costruttori premium», spiega Silvio Pietro
Angori, ad di Pininfarina. La
prima? «La futura Ferrari Sergio», disegnata con Flavio
Manzoni.
Un’Italia della quale il mondo dell’auto sembra non poter
fare a meno: «Senza il gran lavoro sugli interni del centro
stile di Como, i nostri nuovi
modelli non avrebbero il gran
successo che hanno», ha ammesso qualche giorno fa Dieter Zetsche, presidente Daimler-Mercedes. La stessa idea di
Martin Winterkorn, a capo di
Volkswagen, che ha pensato
bene di tenersi stretto quel
Flavio Manzoni, 49 anni,
capo del Centro Stile
Ferrari, ha ricevuto il
Compasso d’Oro 2014 per
la F12 berlinetta (a sinistra,
la vettura nei suoi disegni).
A destra, dall’alto: la
Clipper, concept di
Giugiaro; il posteriore della
PassoCorto, sportiva
realizzata dagli studenti del
Master in Transportation
Design dello Ied di Torino,
in collaborazione con la
Hyundai; la Maserati Alfieri,
nata nel centro stile del
Tridente per ricordare i 100
anni del marchio di Modena
L’auto? È griffata Italia
Momento magico
in tutto il mondo
per i nostri stilisti
nonostante la crisi
Walter de Silva, cresciuto «a
pane e Alfa», l’unico, si dice,
autorizzato a contraddirlo nelle lunghe riunioni di Wolfsburg. Non è un caso neppure
che Ferdinand Piech, padre
padrone dello stesso gruppo
tedesco, abbia voluto rilevare
l’Italdesign di Giugiaro, dal
quale negli anni 70 imparò i
segreti dell’ingegnerizzazione
del prodotto (punto forte della
Volkswagen di oggi), diventata ormai a tutti gli effetti, il
centro stile del gruppo. Razio-
nalità tedesca e cuore italiano.
Una risorsa di stile alla quale
non si sottraggono neppure i
francesi con Carlo Bonzanigo,
designer della Citroën C1.
Il segreto di questa Italia che
corre? Lo spiega Lorenzo Ramaciotti, responsabile del design FCA, Fiat–Chrysler: «Le
nostre proporzioni classiche
rendono le auto belle fuori dal
tempo, oggetti che piacciono
perché rappresentano una
bellezza destinata a durare nel
tempo». Il riferimento è alla
Maserati Alfieri (dietro c’è la
mano di Marco Tencone), il
concept del centenario della
Casa modenese, vincitore nei
giorni scorsi di uno dei premi
del Concorso d’Eleganza di
Villa d’Este. Le stesse proporzioni classiche delle Alfa degli
anni 30 di cui è innamorato
Shiro Nakamura, a capo dello
stile Nissan: le sue idee e quelle dell’allievo Alfonso Albaisa,
si plasmano in clay (una sorta
di creta sintetica) diventando
concept nelle officine torinesi
del G-Studio (vedi Infiniti
Q30).
La nuova frontiera si chiama Cina. Se Fioravanti ha ripercorso la via della Seta verso
la Baic, ora l’industria cinese
apre centri stile in Italia. La Jac
a Torino ha tra le sue file un
gruppo di ex Fiat e Bertone: il
capo è il cinese Lou Tik, il chief
designer è però un ex Alfa come Daniele Gaglione e il responsabile dell’interior design
è Giancarlo Concilio, ex Maserati e Fiat. Oggi tocca a Chan-
gan: dopo aver arruolato come
consulente Chris Bangle, americano di nascita piemontese
d’adozione, con esperienze in
Fiat e Bmw, ora (come la stessa
Jac) è alla ricerca di giovani designer. Aspiranti Giugiaro cercasi. Segno che un lavoro nel
mondo dell’auto è ancora possibile. Lo dimostrano anche i
coreani di Hyundai: il concept
PassoCorto mostrato a Ginevra, è nato grazie all’idea degli
studenti del corso Transportation Design dello Ied di Torino. Perché alla fine il segreto è
sempre lo stesso: se qualcuno
si gira a guardare un’auto, vuol
dire che è stato conquistato. E
gli italiani, questo, sembrano
ancora farlo meglio degli altri.
Alessandro Marchetti
Tricamo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Anniversari
«Quei doppi
seni della
Fiat Coupé
che fecero
scandalo»
MILANO — Oggi vive nelle
Langhe e fa vino. La sua casa in
collina è un’amichevole
accademia del gusto (arte e
design compresi), a cui bussano
studenti di ogni parte del mondo.
Chris Bangle, 57 anni, da
q
Ravenna, ma quella
americana,,
na e progetta
p g
ancora, a
Ohio, insegna
tutto campo. È lui il
«papà» della Fiat
Coupé, uno dei
modelli più
sognati del
Lingotto.
L’auto venivaa
lanciata
vent’anni fa e il designer oggi le
dedica due poster provocatori, nel
suo stile. «Il progetto — ricorda
— cominciò quando l’ingegner
Piergiorgio Tronville, il padre
della Uno, mi spiegò che alla
Pininfarina era uscita di
p
C
produzione
la Cadillac
Allanté e
nuo linea.
c’era spazio per una nuova
co
Volevano una coupé
su
base Tipo e il centro
stile Fiat,
Fi dove
lav
lavoravo, era
iin gara con
la stessa
Pinifarina
»». Chris si
L’esperimento Già operativo in un piccolo centro della Bassa Sassonia, potrebbe nei prossimi anni circolare per le strade di Savona e di Palermo
Sull’autobus elettrico che al capolinea si ricarica senza fili
BRAUNSCHWEIG (Germania) — Potrebbe arrivare a
breve in Italia. Nel frattempo,
mentre da noi ancora si discute, l’autobus elettrico che si ricarica senza fili, presentato per
la prima volta lo scorso anno
allo Uitp di Ginevra (il congresso internazionale del trasporto pubblico), è diventato
da pochi mesi una realtà in
Germania. A fine marzo, grazie
a un finanziamento del governo federale, è entrato in servizio su una linea urbana lunga
dodici chilometri di Braunschweig, 250 mila abitanti nella Bassa Sassonia. I vantaggi? È
ecologico come altri mezzi al
cento per cento elettrici. Senza
avere, di questi, i principali
handicap: invece di scaricarsi
rapidamente e di aver bisogno
di un filo per ricaricarsi a una
colonnina elettrica, questo autobus, prodotto dalla Solaris,
non perde mai energia del tutto perché è in grado di recuperarne un poco, quel tanto che
basta, durante il suo percorso.
Il segreto sta nella sua tecnologia, detta Primove, sviluppata
dalla Bombardier, la multinazionale canadese che si occupa
prevalentemente di treni.
«Perché siamo sbarcati nel
settore degli autobus? I trasporti pubblici locali devono
affrontare nuove sfide —, dice
Luigi Corradi, amministratore
delegato di Bombardier Transportation Italia —. C’è la necessità di ridurre l’inquinamento nelle città e i costi di gestione dei mezzi. La tecnologia
Primove risponde bene a que-
ste esigenze».
Ecco le sue caratteristiche:
ha una batteria ultraleggera,
che occupa poco spazio sull’autobus lasciandone parecchio ai passeggeri ed è in gra-
do di ricaricarsi tre volte più
velocemente di un’elettrica
tradizionale; ha un tipo di propulsione e controllo che ottimizza l’efficienza energetica; e,
infine, un sistema di ricarica
per induzione magnetica. Al
capolinea del tragitto, cioè,
una piastra magnetica installata sotto il veicolo scende dall’autobus e attinge energia per
induzione da una seconda pia-
L’autobus elettrico che sfrutta la tecnologia Primove, sviluppata dalla Bombardier, per ricaricarsi senza fili
stra posizionata sotto l’asfalto.
Dal momento che le due piastre non si toccano ma si avvicinano, il trasferimento di
energia è possibile anche
quando piove o nevica. Durante l’intero percorso a Braunschweig, la batteria consuma
in media il 25% della ricarica.
Poi, al capolinea, recupera tutta l’energia in circa undici minuti. In questo modo l’autobus
equipaggiato con Primove resta sempre carico nel corso
della giornata. In Germania i
lavori per installare al capolinea le piastre magnetiche sono
stati completati in tre settimane. Nei prossimi mesi, invece,
saranno sistemate altre piastre
anche in corrispondenza di alcune fermate: qui la batteria è
in grado di ricaricarsi un poco
anche in trenta secondi, il
tempo di fare salire e scendere
i passeggeri.
A proposito di costi, per ora
Bombardier non ha parlato di
cifre precise. «All’inizio l’investimento è significativo — ha
detto Luigi Corradi —. In compenso, però, Primove consente
di risparmiare sui costi di manutenzione e di gasolio. In dieci anni, perciò, l’investimento
iniziale è ripagato». Altro vantaggio: «Mentre gli e-bus tradizionali sono molto grandi,
questa tecnologia, poco spaziosa, si applica a qualunque
mezzo. Significa che gli autobus elettrici potrebbero finalmente circolare anche nei centri più piccoli come quelli italiani. Savona e Palermo potrebbero essere i primi.
Isabella Fantigrossi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’intervista L’ottimismo dell’amministratore delegato di GL Events Italia
Il riconoscimento
Dalla 500 alla Ferrari
L’eccellenza premiata
col Compasso d’oro
MILANO — Nel campo del design il Compasso d’Oro è uno dei
riconoscimenti più ambiti e sicuramente tra i primi ad essere
stati assegnati da quando, nel
lontano 1954, l’architetto Gio’
Ponti si fece promotore dell’iniziativa presso i grandi magazzini
La Rinascente. Il Compasso
d’Oro ha appena celebrato la sua
ventitreesima edizione e sessant’anni di attività con una rassegna presso gli Spazi Ansaldo di
via Bergognone a Milano (aperta
sino al 15 giugno) dove si è anche tenuta nei giorni scorsi la cerimonia di premiazione. Al di là
dei numeri — 418
oggetti individuati
come candidati su
2.290 segnalazioni
raccolte — significativi del lavoro
svolto nell’ultimo
triennio dall’Osservatorio Permanente dell’ADI,
l’Associazione per
il Disegno Industriale che dal 1964
ne gestisce l’organizzazione, è evidente come intere
generazioni di
progettisti ma anche di tecnici e imprenditori abbiano
contribuito ad affermare una tradizione italiana ancora internazionalmente apprezzata e riconosciuta quale
modello di riferimento. In questo contesto l’automobile costituisce uno degli ambiti più rappresentativi oltre che di una
evoluzione tecnologica costante,
per la funzione che riveste come
mette al lavoro pensando alla
Ford GT40 e ai carrozzieri italiani
degli anni 70 e 80: «Avevo in testa
la Chevy Ramarro di Bertone e la
Lamborghini Athon, volevo
combinare quei mondi».
Ambizione premiata: il centro
stile interno vince. Tra i dettagli
curiosi dell’auto c’è il tappo del
serbatoio. «Una sera — racconta
— stavo guardando Zozza Mary,
pazzo Gary, di John Hough. Nel
film si vede spesso il tappo della
Dodge Charger da corsa: era così
bello che decisi di far rivivere quel
concetto nella Coupé». E la forma
«a doppio seno» dei fanali? La
Motori 35
italia: 51575551575557
Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
emblema della civiltà contemporanea, indispensabile strumento di mobilità e irrinunciabile presenza, persino simbolica
ed estetica, nella nostra vita.
Tuttavia non sempre l’automobile è stata annoverata fra le altre
produzioni del design, un dato
questo al quale è possibile oggi
contrapporre l’attenzione che
essa richiama presso gli stessi
adepti e cultori delle più tradizionali tipologie, dal mondo dell’arredo a quello illuminotecnico
e in generale degli oggetti d’uso,
attratti dall’universo di applica-
Capolavori
Dall’alto, la Pininfarina
Cambiano e l’Aston Martin V12
Zagato: questi progetti hanno
ricevuto la menzione d’onore
al Compasso d’Oro 2014
zioni, tecnologie e processi produttivi, dalla ricerca e sperimentazione di nuovi materiali e soprattutto dalle relazioni sempre
più strette che con l’automobile
intratteniamo sotto il profilo ergonomico ed emozionale. E così,
dopo il Compasso d’Oro conferito alla Fiat 500 (nel 1959), all’Abarth 1000 Zagato (’60), al
prototipo di vettura aerodinamica CNR Pininfarina (’79), agli
interni della Fiat 131 Supermirafiori (’79), alle Fiat Panda (’81),
Punto (’94) e nuova Panda
(2004), all’Alfa Romeo Brera
(2004), alla Pininfarina Nido
(2008) e alla nuova Fiat 500
(2011), l’edizione 2014 ha visto
l’assegnazione del massimo riconoscimento alla Ferrari F12
Berlinetta, progettata dal Centro
Stile Ferrari di Maranello diretto
da Flavio Manzoni in collaborazione con Pininfarina, e di tre
Menzioni d’Onore: all’Alfa Romeo Giulietta, all’Aston Martin
V12 Zagato (99 esemplari) e alla
Pininfarina Cambiano, concept
per una berlina a propulsione
elettrica. La giuria internazionale li ha scelti su una rosa che
comprendeva anche l’Alfa Romeo TZ3 Stradale Zagato e il prototipo Brivido di Italdesign-Giugiaro, tutti rappresentativi di un
percorso parallelo, quello del
design italiano dell’automobile,
nel quale è possibile rintracciare
vere e proprie icone-manifesto
della capacità inventiva, creativa
e tecnica del nostro Paese. Un asse riconoscibile negli apporti di
personalità come Dante Giacosa,
Elio e Gianni Zagato, Sergio Pininfarina, Giorgetto Giugiaro,
Lorenzo Ramaciotti, Roberto
Giolito, Fabio Filippini, Alessandro Maccolini, Flavio Manzoni e
Norihiko Harada, giapponese da
molti anni in Italia e legato a Zagato, storica firma milanese che
proprio nel 2014 compie novantacinque anni di attività.
Enrico Leonardo Fagone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
spiegazione è in un vincolo
tecnico: «La linea delle luci
continuava a salire a causa della
meccanica e il volume stava
diventando troppo massiccio. I
fari retrattili costavano troppo.
Così disegnai questi doppi
volumi: per alleggerire la linea».
Alla presentazione dell’auto un
dirigente storce il naso: «“Come
pensate di pulire quei fari?”,
chiede perplesso. Il mio capo,
Ermanno Cressoni, accarezza le
luci e risponde: “Con amore
ingegnere, con amore...”».
Roberto Iasoni
Uno dei poster disegnati da Bangle
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Ancora nessun contratto
ma il Motor Show rinascerà»
Michetti: «Costi più bassi e stand personalizzati»
MILANO — Si fa?
«Si fa»
Quando?
«Dal 6 al 14 dicembre».
Mancano appena otto mesi
«Siamo nei tempi, è sempre stato
così».
Giada Michetti non molla. L’amministratore delegato della costola
italiana di GL Events è decisa a rilanciare il Motor Show di Bologna. E la
concorrenza di Alfredo Cazzola, altrettanto determinato a far diventare
l’Auto Show di Milano (sempre a dicembre) «il più bel salone del mondo» sembra non preoccuparla. Entrambi sono convinti delle proprie
ragioni. E le Case automobilistiche
ora si trovano nell’imbarazzo di dover scegliere a quale salone partecipare.
Chi ci sarà a Bologna?
«Non è questo il momento di parlare di contratti. Diciamo che arriveranno entro fine luglio».
Nel 2013 lei aveva decretato la fine del Motor Show. Come mai ora
avete cambiato idea?
«L’anno scorso è stato annullato, è
vero. Ma ora abbiamo trovato una
soluzione, una joint venture, con la
fiera di Bologna che ci consente di
andare avanti. Ed è giusto provarci
perché abbiamo una responsabilità
nei confronti di GL Events, una multinazionale che proprio da Cazzola,
nel 2007, aveva comprato questo
marchio pagandolo moltissimo».
Ma le ultime edizioni non erano
state certo esaltanti. È stata solo
colpa della crisi? Oppure siete stati
voi a non saper proporre qualcosa
di più innovativo?
«La crisi è stata e in parte è ancora
profonda. Ma diciamo che in questo
tipo di manifestazioni molto dipende dai contenuti che portano le case
automobilistiche. Però per la prossi-
ma edizione abbiamo in mente una
vera e propria rivoluzione».
Cioè?
«Stiamo presentando alle case automobilistiche un Salone taylor made, fatto su misura come un vestito.
Abbiamo studiato i marchi uno per
uno. Capito verso quali contaminazioni tendono di più. Dal life style alla moda, dal design alla tecnologia,
dal vintage al wellness fino al food:
non dimentichiamoci che nel 2015
Bologna ospiterà l’Eataly Word. Per
ciascuno verrà formulata una proposta ad hoc».
Sa che cosa si dice nell’ambiente?
«Sentiamo».
Partecipare al Motor
Show costava troppo negli ultimi anni, un’esagerazione.
«In realtà il costo per
fiera e allestimento ammontava circa al 20 per
cento rispetto al totale. Ma
abbiamo pensato anche a
questo e trovato la risposta. Ogni
spazio sarà personalizzato in partenza da noi. Creeremo vere e proprie
scenografie di base che consentiranno ai costruttori di risparmiare moltissimo sugli allestimenti».
Milano ha due aeroporti, un
grande rilancio in corso dovuto all’Expo, una Fiera moderna, in tema
❜❜
Contaminazioni
Abbiamo studiato
i marchi uno ad uno
per presentarci con
proposte su misura
di contaminazioni con moda e design è decisamente imbattibile...
Perché le case dovrebbero preferire
Bologna?
«Per la centralità geografica, molto del nostro pubblico tradizionalmente arriva dal sud. Per la vocazione motoristica della regione Emilia
Romagna. Perché la nostra è l’unica
fiera con un’uscita autostradale. Perché abbiamo un’area esterna perfetta
per i test drive e perché quest’anno
su quest’area organizzeremo il più
bel Memorial Bettega che si sia mai
visto» .
Che notizie avete da Fiat? Sarà
presente a Bologna?
«C’è un dialogo, ovviamente auGiada Michetti, 56 anni,
è l’amministratore
delegato di GL Events
Italia, la società che dal
2007 organizza il Motor
Show di Bologna
spico la loro presenza. Ma è anche
vero che il gruppo ha già preso posizione dichiarando di non ritenere
necessario che nascano altri saloni
europei oltre a quelli di Ginevra, Parigi e Francoforte».
Dica la verità, Fiat a parte che
sensazioni ha? Come hanno recepito i costruttori le vostre proposte?
«Percepisco un sentiment positivo, sono fiduciosa. Capisco anche
che nel dover scegliere, la doppia
proposta che hanno sul tavolo crea
solo confusione e imbarazzo».
Pensa che due saloni, peraltro a
distanza di una settimana l’uno
dall’altro, possano coesistere?
«No, assolutamente. Ma io resto
ottimista».
Maurizio Donelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prova Realizzata sulla piattaforma della X3, ha un carattere più stradale e sportivo. Molte funzioni in più nell’evoluzione del sistema Connected Drive
Bmw X4, dalla suv-coupé si può prenotare anche il ristorante
BILBAO — Questione di design e di stile. Gli italiani hanno buon gusto, pensano i tedeschi: per questo i coupé
hanno tanta fortuna da noi. Lo
pensa e lo dice anche Hildegard Wortmann, vicepresidente Bmw, al lancio della X4,
un inedito suv sportivo di medie dimensioni. Meglio: un
suv-coupé. Che in Italia potrebbe fare proseliti come la
sorella maggiore X6, che all’apice del successo contese i
favori del mercato perfino alla
X5. «La X4 si venderà soprattutto in Germania, Cina, Stati
Uniti e Italia. Nel vostro Paese
il design è molto importate»,
ribadisce frau Wortmann.
Forme a parte, la nuova arrivata ha buone carte da giocare
anche nei contenuti. Rispetto
alla X3, di cui riprende l’impostazione tecnica, ha un comportamento su strada più
sportivo e una reattività insospettabile sui percorsi tortuosi. L’aiuto arriva anche dal
cambio sportivo Steptronic a 8
rapporti, che asseconda bene
quando si spinge. È montato
di serie (tranne che sulla versione X420d con il sei marce
manuale), insieme allo sterzo
variabile sportivo, sempre
preciso, e al volante in pelle
con le «palette». Accessori che
arricchiscono una dotazione
standard di cui fa parte il portellone ad apertura automatica
Grintosa
Il nuovo suv sportivo
Bmw X4: motori
potenti (fino a 313
cavalli), trazione
integrale xDrive,
sterzo variabile
sportivo, volante
con «paddles» e
Performance Control
(basta allungare il piede sotto
il paraurti posteriore) e la trazione integrale, abbinata al
Performance Controller, che
differenzia elettronicamente la
coppia sui semiassi posteriori.
Da richiedere a parte, invece, il
nuovo «touch pad» che consente di comandare con un dito le varie funzioni. Non mancano il controllo del cambio di
corsia involontario, l’allarme
pedoni e il «surround view»,
che mostra l’auto dall’alto, per
agevolare le manovre.
Sulla X4 c’è pure l’evoluzione del sistema Bmw Connected Drive, che include (di
serie) la chiamata d’emergenza automatica in caso d’incidente e consente (optional) di
attivare altre funzioni tra cui il
Concierge Service, per chi
La scheda
DIMENSIONI
Lunghezza: 467 cm;
larghezza: 188 cm;
altezza:162 cm; passo:
281 cm. Peso: da
1.815 a 1.890 kg.
MOTORI
Diesel e benzina,
4 e 6 cilindri, da 184
a 313 cv. Prestazioni:
da 212 a 247 km/h.
Trazione integrale,
cambio automatico
Steptronic (manuale
sulla X420d).
PREZZI
Da 50 mila euro
a 67 mila euro
vuole togliersi lo sfizio di prenotare il ristorante o cercare la
più vicina farmacia.
L’abbondante dotazione
della X4 è condivisa con la
nuova Serie 4 Gran Coupé,
evoluzione a quattro porte
della coupé dell’anno scorso.
Stessa base, ma con un padiglione rialzato di 12 mm, 35 litri di volume in più per i bagagli e sedute più comode per i
passeggeri. In sostanza la GC
aggiunge funzionalità alla due
porte senza rinunciare a un ottimo comportamento dinamico e un’ampia scelta di motori:
4 e 6 cilindri, 2 o 3 litri di cilindrata, diesel e benzina, potenze comprese tra 143 e 306 cv.
Cambio Steptronic e trazione
integrale sono però a parte. Il
prezzo va da 38 mila a 57 mila
euro.
Paolo Lorenzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
36
italia: 51575551575557
"Camminiamo con allegria per i sentieri del Signore, con la pace nel cuore
e con la forza della fede".
(San Giovanni Paolo II)
Dopo una vita dedicata alla famiglia è serenamente mancato, circondato dall’affetto dei suoi
cari
Arnaldo Barlocco
Ti stringono in un grande abbraccio tua moglie
Gilda, i tuoi figli Valeria con Marco e Matteo, Luigi con Silvia e Federico, Roberto.- Si ringraziano
la Dottoressa Emanuela Grimi e tutto il personale
del Reparto Cure Palliative dell’Opsedale di Cuggiono per l’amorevole assistenza prestata.- Le
esequie si svolgeranno a Parabiago martedì 3
giugno alle 11 nella parrocchia dei Santi Gervaso
e Protaso. - Parabiago, 1 giugno 2014.
Partecipano al lutto:
– Angela Bongini Travaglia e figli.
– Margherita Barlocco Sormani e figli.
– Maurizio e Patrizia Berra con Andrea.
– Maria Gabriella e Federico Baldeschi Oddi.
– Gian Giuseppe e Isabella Cornaggia Medici.
Ciao
nonno Tato
mi mancherai.- Il tuo adorato nipote Federico.
- Parabiago, 1 giugno 2014.
Ciao, carissimo
zio Arnaldo
Si è spenta
Angioletta Morenghi
Castellett
moglie, mamma e nonna meravigliosa.- La piangono il marito Amerigo, la figlia Daniela, le nipoti
Stefania con Giuseppe e Valentina con Andrea
ed il piccolo Niccolò.- L’ultimo saluto glielo daremo martedì 3 giugno alle ore 14.30 nella parrocchia di Cassina de’ Pecchi.
- Milano, 31 maggio 2014.
Federica Cerami
amica perfetta sia nei momenti di sole che di
buio.- Ci mancherai.- Jennifer e famiglia.
- Carimate, 31 maggio 2014.
Cara
Federica
ricorderemo sempre il tuo entusiasmo e la tua
allegria e siamo vicini con affetto a tutta la tua
famiglia.- Paolo e Antonella Benedini con Alice e
Matilde. - Milano, 1 giugno 2014.
La famiglia Liberali è particolarmente vicina al
dottor Eligio Macchi ed alla sua famiglia per la
perdita del papà
- Pavia, 1 giugno 2014.
Il Presidente, il Consiglio d’Amministrazione, la
Dirigenza e le maestranze di Luve S.p.A. partecipano al lutto del Direttore dottor Eligio Macchi
per la morte del papà
geom. Gianpiero Macchi
- Uboldo, 1 giugno 2014.
Giorgio, Angela e Roberta Maranzana partecipano al dolore delle famiglie Cerami e Restelli
per la perdita della cara
È mancato all’affetto dei suoi cari
Marino Mochi
Federica
- Cassina Rizzardi, 31 maggio 2014.
Il Presidente, il Consiglio Direttivo e tutti i soci
del Lions Club Legnano Host partecipano commossi al lutto dei famigliari per la scomparsa del
socio fondatore, vice governatore distrettuale past presidente
Alberto Sesler
Ne danno il triste annuncio la moglie Maria, i figli
Alessandro e Andrea con le nuore e le nipoti.- I
funerali avranno luogo martedì 3 giugno nella
chiesa di Cristo Re, via Galeno 32, Milano.- Per
l’orario contattare il n. 800910473 attivo 24 ore
su 24. - Milano, 31 maggio 2014.
la
Alberto
2 giugno 2007 - 2 giugno 2014
Giorgio Polo
Antonio Redaelli
Ti penso sempre con tanta tanta nostalgia e rimpianto.- Giovanna. - Parma, 2 giugno 2014.
1999 - 2014
Gli amici ricordano con rimpianto
- Milano, 1 giugno 2014.
Giuseppe Zanaglia
Partecipano al lutto:
– Le famiglie Fanelli.
- Milano, 2 giugno 2014.
Ciao
nonnina Angioletta
ci mancherai tantissimo.- Dai un bacio al nostro
papà, adesso che sei con lui avremo due stelle in
cielo a proteggerci.- Valentina e Stefania.
- Milano, 31 maggio 2014.
RCS MediaGroup S.p.A. - Via Rizzoli,8 - 20132 Milano
Elena Piontelli con Maria Grazia e Gianni, Laura e Marco si unisce con affetto al grande dolore
di tutta la famiglia Giacosa nel caro ricordo di
SERVIZIO
ACQUISIZIONE NECROLOGIE
Anna Giacosa
- Cassina Rizzardi, 1 giugno 2014.
Dal 8 maggio
al 8 giugno 2 014
sig.ra Silvana Grani
per l’occasione si terrà una Messa in suffragio
presso la parrocchia SS. Redentore via Palestrina,
Milano il giorno 3 giugno 2014 ore 9.30.- Ne da
notizia il fratello Roberto.
- Milano, 2 giugno 2014.
- Varese, 1 giugno 2014.
Xenia e Luciano Invernizzi con Annalisa, Pietro
e Davide partecipano con tristezza al dolore di
Mari e Andrea per la perdita dell’amatissimo papà
a cura di:
Nicola Braghieri
Rosa Chiesa
Serena Maffioletti
Sofia Meda
Si ricorda nel secondo anniversario della morte
esemplare figura del lionismo italiano.
- Legnano, 1 giugno 2014.
Elide, Alberto e famiglia partecipano commossi
al dolore di Renato, Paola e Michela per la scomparsa del caro
La mostra è stata
prodotta dalla Triennale
di Milano e dal
Triennale Design Museum
con l’Università Iuav
di Venezia Archivio Prgetti,
Molteni & C, Dada, Unifor
geom. Gianpiero Macchi
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PER PAROLA:
Necrologie: € 5,00
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Solo anniversari,
trigesimi e ringraziamenti: € 540,00
Necrologie: € 1,90
Adesioni al lutto: € 3,70
Solo anniversari,
trigesimi e ringraziamenti: € 258,00
Diritto di trasmissione: pagamento anticipato € 1,67 - pagamento differito € 5,00
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Servizio fatturazione necrologie:
tel. 02 25846632 mercoledì 9/12.30 giovedì/venerdì 14/17.30
fax 02 25886632 - e-mail: [email protected]
Servizio sportello da lunedì a venerdì
Milano: Via Solferino 36 orario continuato dalle 9 alle 17.45
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G r a f i c a d i Fe l i x H u m m
Corriere della Sera
Luca Meda_
La felicità
del progetto.
ora vi ritroverete tutti e tre assieme.- Un forte abbraccio alla zia Gilda, a Valeria, Luigi e Roby.Maurizio, Patrizia e Andrea.
- San Donato Milanese, 1 giugno 2014.
Carissima
Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Triennale di Milano
Viale Alemagna 6, Milano
www.triennale.org
Main
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Triennale
Architettura
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Il Tempo
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reggimenti
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Frecce
Tricolori
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera
Tv in chiaro
Teleraccomando
di Maria Volpe
PER SORRIDERE
PER DISTRARSI
Alessia regala
Il western
quattro «sogni» diventa seriale
Al via la seconda edizione del
programma condotto da
Alessia Marcuzzi (foto) che
«regala» sogni, ovvero prova a
cambiare la vita di 4 famiglie
(una per puntata) che vivono
forti disagi, costruendo o
ristrutturando la loro casa.
Insieme alla Marcuzzi ci sono
il garden designer Luca Pirani,
l’architetto Nicola Saraceno, e
l’interior designer Fabrizio
Vilardo. Stasera è di scena la
famiglia Tognon: Maria
Grazia e Marco vivono in una
casa comunale a Hone, in
provincia di Aosta, con 4 figli.
Il programma ha ristrutturato
per loro una vecchia casa dove
finalmente possono viverci
tutti assieme.
Debutta stasera la serie
inedita che segue
l’avventurosa costruzione
della ferrovia attraverso il
continente americano,
raccontando con toni realistici
e spesso crudi la comunità
itinerante di avventurieri,
operai, capomastri,
prostitute, che viveva,
sognava e moriva seguendo
l’eterno cantiere lanciato
verso l’Ovest. Andranno in
onda le prime tre stagioni
inedite, appositamente
doppiate in italiano. Tra gli
interpreti della serie, alcuni
volti noti della cinematografia
e della serialità americana:
Colm Meaney, Anson Mount
(foto) e Dominique McElligott.
Extreme Makeover Home
Edition... - Canale 5, ore 21.10
Hell on wheels
Rai Movie, ore 21.15
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Film e programmi
Addio al celibato,
scompare lo sposo
Neeson libera
la figlia sequestrata
Quattro amici (Bradley Cooper,
Ed Helms, Zach Galifianakis,
Justin Bartha, foto insieme)
celebrano a Las Vegas l’addio al
celibato di uno di loro. Ma al
mattino il futuro sposo è sparito.
Una notte da leoni
Italia 1, ore 21.10
La figlia di un ex agente segreto
(Liam Neeson, foto) viene
rapita da un’organizzazione che
commercia in prostitute. L’uomo
ha le ore contate per mettersi
sulle tracce dei criminali...
Io vi troverò
Rete 4, ore 21.15
Amici e colleghi
raccontano Troisi
Repubblica italiana
ecco come è nata
A 20 anni dalla morte, lo
speciale realizzato da Giorgio
Verdelli racconta Massimo
Troisi, con i contributi di amici
e colleghi dell’attore e regista
napoletano.
Unici - Non ci resta che
Massimo; Rai2, ore 21.10
2 giugno 1946. Gli italiani devono
scegliere tra Monarchia e
Repubblica ed eleggere i membri
dell’Assemblea Costituente: nello
speciale le fasi salienti di quelle
votazioni.
2 giugno 1946: nascita della
Repubblica; Rai Storia, ore 20.30
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Corriere della Sera Lunedì 2 Giugno 2014
Pay Tv
Film
e programmi
Maratona di film
con l’eroe Tom Cruise
Tre kolossal celebrano Tom Cruise:
«La guerra dei mondi» (foto),
«Mission: Impossible 3» e «Jack
Reacher-La prova decisiva». Gran
finale con uno speciale sul nuovo
film della star, «Edge of Tomorrow».
In viaggio con Tom Cruise
Sky Cinema 1 HD, dalle ore 14.35
Burton riporta in vita
il cagnolino Sparky
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Tim Burton, gotico e
commovente, realizza un film in
stop motion in cui un ragazzino
fa rivivere l’amatissimo cagnolino
Sparky (nell’immagine) con un
elettrochoc e un fulmine.
Frankenweenie
Sky Family, ore 22.55
Cotillard prova
a riconquistare la vita
La complicata storia d’amore tra un
pugile spiantato e Stéphanie
(Marion Cotillard, foto con Matthias
Schoenaerts), una istruttrice di
orche che ha perso le gambe per un
incidente durante uno spettacolo.
Un sapore di ruggine e ossa
Sky Cinema Passion, ore 21
A fil di rete
di Aldo Grasso
Il Giro è come la vita:
una miniera di storie
I
l Giro d’Italia è una festa, almeno per me. Non saprei
neanche spiegarne il motivo, so solo che la corsa in sé
è più importante dei corridori. Mi spiego meglio:
quelli che ho amato, quelli in cui mi sono identificato
non ci sono più, vengono intervistati come vecchie
glorie, a volte appaiono al «Processo alla tappa». Bisogna
prendere confidenza con nomi nuovi: Quintana, Uran,
Aru... Eppure, per tre settimane, l’appuntamento del pomeriggio è quasi un dovere, un rito. Il Giro resta pur sempre una
Vincitori e vinti
miniera di storie, di emozioni,
di fatiche, di speranze, è un
Cesare
surrogato della vita in forma
Prandelli
sportivo-spettacolare.
Cesare
Il mio destino, però, non è
Prandelli
quello di partecipare alla festa,
batte Nicole
ma stendere rilievi tecnici. ParKidman. Prima serata
tiamo dalle riprese. Ho l’imper Rai1, che manda
pressione che la regia, mentalin onda la partita
mente, non sia ancora passata
amichevole «Italia all’HD. Sta troppo sulla corsa,
Irlanda»: gli spettatori
come le vecchie riprese calciper Prandelli e soci
stiche stavano troppo sulla palsono 6.977.000,
la. Salvo gli ultimi venti km, biper una share
sognerebbe fare come al Tour:
del 30,9%
dare più spazio al paesaggio,
farlo entrare, narrativamente,
Nicole
come un personaggio della
Kidman
corsa. La Rai ha affidato la teleNicole
cronaca a Francesco Pancani e
Kidman
a Silvio Martinello che ha sostisuperata
tuito Davide Cassani, diventato
da Cesare Prandelli.
nel frattempo ct della NazionaGioca in difesa,
le. Diciamo che la coppia ha
pensando a un
ancora bisogno di rodaggio.
pubblico femminile,
Non è il caso invece di Salvo
Canale 5, che manda in
Aiello
e Riccardo Magrini che
onda «Australia», con
raccontano bene da Eurosport.
la Kidman: per
L’aspetto più deludente, e mi
2.424.000 spettatori,
spiace dirlo, è il «Processo alla
e una share del 13,1%
tappa». Da Alessandra De Stefano mi aspettavo molto di più.
Il giochino di chi sta con Beppe Conti o con Stefano Garzelli
(con adolescenziale cambiamento di posti, a seconda delle
opinioni) è fragile. Bisognerebbe volare un po’ più in alto,
visto che molti corridori hanno ormai superato in eloquio
certi commentatori. Mai dimenticare che il Giro intreccia
destini, di chi corre e di chi guarda, dando vita a una cerimonia passionale e fragile come il Paese che percorre.
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Forum «Televisioni»: www.corriere.it/grasso
Videorubrica «Televisioni»: www.corriere.tv
Il tenente Wayne
si innamora di Marlene Un uomo senza scrupoli
coinvolge nelle sue losche attività
una cantante (Marlene Dietrich)
di cui si innamora un ufficiale
americano (John Wayne). Tutto si
chiarirà con un’epica rissa.
La taverna dei sette peccati
Studio Universal, ore 21.15
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Lunedì 2 Giugno 2014 Corriere della Sera