MASSAGGIO TANTRICO Massaggio d’Amore Introduzione Chi sono io Il jīva Un universo tutto per noi Tra nascita e morte La forza del destino La via dell’amore Amo quindi sono Siamo (tutto) il corpo Massaggio terapeutico La via della guarigione La tecnica pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 1 2 3 7 9 9 10 10 11 11 13 14 ____o____o______ INTRODUZIONE Dopo aver ricevuto negli anni una grande quantità di doni dalla Conoscenza - per i quali in primo luogo devo esprimere tutta la mia gratitudine e devozione al dio Bhairava e alla dea Bhairavī – e grazie all’aiuto di molti sinceri ricercatori della Verità, dopo aver consacrato la mia vita alla diffusione della metafisica non duale, adesso mi pongo un interrogativo che intendo condividere con voi: possiamo legittimamente chiederci se il tantrismo può ancora insegnarci qualcosa in più di quanto abbiamo appreso finora dai nostri studi personali e nei nostri incontri di gruppo? Secondo le intuizioni arrivatemi durante il mio ultimo ritiro in India, la pronta risposta è ovviamente: sì! Una persona, tempo fa, avendomi fatto notare che il mio approccio al tantrismo era solo culturale e intellettuale, ancorché rigoroso e sistematico poiché basato sui testi sanscriti del Trika (lo Shivaismo del Kashmir), mi aveva indotto a fare una riflessione e alla fine mi era emersa chiara l’emergenza di rispondere a quella che avevo avvertito come una sottile inopportuna insinuazione. Era forse venuto il momento di dimostrare che questa supposizione, almeno nelle mie intenzioni, non era del tutto corretta? Come avrei potuto controbattere, non a parole ma con i fatti? Decisi che il percorso condiviso con i partecipanti ai corsi di sanscrito e śivaismo di Lugano, poteva essere utilmente compendiato in questa direzione, proponendo l’introduzione di una “esperienza pratica”. Detto questo, ci tenevo a non dare l’impressione di imboccare adesso una via alternativa rispetto all’approfondimento degli insegnamenti tradizionali, intendendo solo adottare un nuovo strumento di conoscenza complementare, in una prospettiva di ulteriore crescita ed evoluzione del gruppo. In effetti, c’è poco da dimostrare. Il tantrismo si dimostra da solo rivelandosi una via auto-realizzativa completa e autosufficiente. Com’è noto, il Tantra comprende sia la realtà universale che quella individuale, all’interno di un’unità inscindibile: ābheda unità, bhedābheda unità nella differenziazione, bheda molteplicità. Niente di tutto ciò che ha a che fare con il mondo in generale e l’essere umano in particolare, è trascurato dal tantrismo che vede le due cose in una. 1 Prima però di esporre le linee guida della tecnica del massaggio tantrico che sto per proporre, è necessario fare un passo indietro. Ci accingiamo a lavorare sul nostro corpo. Il trattamento sul corpo può essere altamente benefico, ma può anche nascondere delle insidie. Chi ha dimestichezza con l’esoterismo non ha alcun dubbio sul fatto che il corpo fisico sia strettamente connesso con il corpo sottile e non solo, ma in particolare intimamente collegato con la psiche, attraverso la quale si entra in un dominio estremamente fragile e delicato. In relazione a questo assunto, si possono tranquillamente fare affermazioni del tipo: i vissuti, e quindi le perturbazioni emozionali non risolte, vengono spesso “scaricati” sul corpo e i segni, più o meno distintamente individuabili, si fanno sempre sentire sia sul corpo di apparenza che nel nostro intimo. Si può anche dire che ognuno di noi ha un bambino dentro di sé al quale, anche se ha avuto i genitori più amorevoli e i fratelli più premurosi del mondo, sono state inflitte delle ferite che non si sono ancora (se mai lo saranno) rimarginate. Inoltre, il malfunzionamento del corpo non è nient’altro che la sofferenza della psiche, che non ha ancora trovato il bandolo della matassa della mancanza di una soddisfacente vita dello spirito. La questione principale sembra essere: che senso ha la mia vita? Improvvisamente sento tutta la drammatica urgenza di reimpostare la mia esistenza fondandola sulla consapevolezza dell’Essere divino, finora trascurata o male indirizzata. E molte altre simili istanze, riconducibili sempre a esperienze positive o negative - ma ci ricordiamo sempre di più quest’ultime - che ci hanno segnato nel corpo, nel cuore e nella psiche, anche quando i meccanismi di rimozione, dovuti all’insopportabilità del dolore, avevano relegato gli eventi generatori di sofferenza nel nulla profondo dell’inconscio. Per quanto la cantina sia profonda, sotto terra, buia, non ci si vada mai e la serratura della scala sia ben chiusa, il sub-conscio è sempre lì dietro la porta, in agguato, pronto a colpire facendo riaffiorare alla coscienza ciò che credevamo dimenticato e superato. A volte basta un ricordo improvviso, un volto, un gesto, una parola, un film, un libro, un dialogo, un luogo, una musica ecc. ed ecco che la cicatrice si riapre e la ferita riprende a sanguinare. Se siamo sinceri con noi stessi nel prendere in considerazione ogni passaggio critico della nostra storia personale, scopriremmo che noi sappiamo sempre da cosa è stato causato il mal-essere, e che la colpa di quello che ci è accaduto è sempre stata nostra, non è mai stata colpa degli altri. In conclusione, per compiere un lavoro sul nostro corpo, cercando la massima protezione dal rischio di farci maggiori danni, non possiamo evitare di dare prima uno sguardo a tutto il complesso dell’essere umano. Il corpo costituisce solo la punta dell’iceberg di ciò che siamo, è solo ciò che si vede di una persona, ma l’uomo è ben di più ed è soprattutto riguardo a quello che non si vede che è indispensabile approfondire l’indagine, utilizzando tutte le conoscenze offerteci dalla tradizione di cui siamo portatori. CHI SONO IO? Se, per comodità di studio, decidessimo di schematizzare ciò che, per propria natura ed essenza, è assolutamente irriducibile - l’essente è sempre qualche cosa di più, di ineffabile e trascendente - allora potremmo anche tentare una classificazione delle varie componenti che vanno a formare il mistero dell’essere vivente. E se la prima domanda che sorge spontanea è: chi siamo noi in quanto enti gettati, come dice Heidegger, sul piano della manifestazione, la risposta sarebbe, si suppone che principalmente siamo: coscienza, intelligenza, mente, cuore, energia vitale, corpo. Non lasciamoci tuttavia fuorviare da una tale suddivisione. Tra le singole parti appena elencate, vi è infatti una omogeneità ontologica assoluta e perfetta, perciò la 2 differenziazione che ne risulta è totalmente artificiosa e virtuale. Ce ne serviamo solo per constatare come una mente separativa può arrivare a sezionare analiticamente quella che invece è una realtà assolutamente unitaria, non duale. Il termine realtà poi, può essere reso con satyam, che di solito viene tradotto con la parola verità, ma questo è solo un significato conseguente. Il suffisso ya aggiunto a sat (part. pres. del verbo √as) dà il senso di “ciò che è”, ovvero che deve essere, dunque che è reale. Un altro vocabolo per realtà/verità è tattva, da tat+tva: la quelleità, la quiddità, la taleità, la icceità, con il significato più specifico di principio o categoria. Proviamo dunque ad esaminare uno per uno tutti gli elementi della stratificazione sopra accennata, alla luce della nostra consapevolezza. Ecco allora un breve vademecum sulla nostra identità, che necessariamente implica la definizione, per quanto possibile, anche di che cosa intendiamo per mondo e per Dio. Ripetiamo alla nausea che tutto appare all’interno della coscienza di Śiva, nulla esiste al di fuori della coscienza di Śiva. Le descrizioni che seguono sono solo l’esposizione di un’ipotesi riguardo alla proiezione emanata dalla Mente cosmica, nel tentativo di comprendere la natura della realtà nel suo complesso olomovimento all’interno di un paradigma essenziale, semplificato, ma completo, quale sintesi delle varie dottrine del passato e del presente: Sāmkhya, Yoga, Vedānta, Śivaismo del Kaśmīr, Fisica Quantistica di Bohm e Pribram e… la Legge dell’Amore. IL JĪVA Il jīva essere vivente, anima meta empirica è l’insieme di: Coscienza L’equivalente dello spirito incarnato, per usare il termine occidentale. È il jīvātman, l’ātman radioso, immanenza del Sé onnipervadente: ayam ātmā brahma1 questo ātman (è veramente) il Brahman. La coscienza individuale è il riflesso pratibimba della Coscienza universale cit oppure saṃvid (f.) la cumscientia, ovvero il sostrato che sul piano universale supporta tutta la realtà ma che non è supportato da niente. È ānanda beatitudine, sempre presente, sempre “in presa”. La coscienza non può che essere percepita e riconosciuta tramite la pratyabhijñā riconoscimento, allo scopo di identificarci istantaneamente con Essa. La coscienza individuale “è” la Coscienza universale: conoscere, sperimentare e identificarci con il Principio Supremo in questo stato di consapevolezza è lo scopo della nostra esistenza. Da dove proviene e qual è la natura intrinseca della coscienza? Paramaśiva, Śiva supremo, rappresenta il super-ordine (o pre-ordine) implicito (o implicato), perfettamente trascendente, anuttara ciò di cui non vi è nulla di superiore (ma anche che non c’è questo qualcosa che è o non è superiore), il puro nulla, lo zero metafisico. Da questa dimensione imperscrutabile e inconoscibile emerge l’UNO, la forma rūpa, infinita, eterna, non-locale: cidānandarūpaḥ śivo ‘ham sivo ‘ham2 sono la forma della coscienzabeatitudine, sono Śiva sono Śiva. Nelle traduzioni correnti il termine rūpa viene reso 1 2 Māṇḍūkya Upaniṣad II Tratto dal canto Śivo ‘ham śivo ‘ham Opere Brevi Aśram Vidyā pag. 280 3 con “essenza”, ma non è corretto, vuol dire proprio “forma”; gli antichi saggi sanscriti (forse Śankara stesso) avevano già intuito, molti secoli prima che la fisica quantistica di ultima generazione lo confermasse, come si presenta il sostrato della realtà. La forma è il trentaseiesimo tattva principio puro, Śiva-Śakti, che costituisce ciò che viene identificato anche come il potenziale sub-quantico, il cui livello di realtà è aspaziale, atemporale, non-locale, perciò eterno e infinito. Si tratta della forma che non ha forma, rappresentato nella simbologia dei sampradhāya con lo Śivaliṇgam, monolite ovaloide che rappresenta il pene di Śiva inserito in una sagoma disegnata per terra, la yoni, rappresentante la vulva della Śakti. Questo stato di pienezza pūrṇa assoluta costituisce l’ordine implicito non-locale che emana sia prakāśa splendore, onde di luce intelligenti (non probabilistiche), sia energia vibrante spanda sacra vibrazione, avente la natura delle tre śakti (f.) potenze: icchā volontà, jñāna ideazione e kriyā azione. Sono le ruote delle potenze corrispondenti alle frequenze delle energie vibranti che incontrando gli schemi di interferenza (pensiero) fanno apparire tutti i diversi oggetti dell’emanazione. Essendo illuminati dal flusso prakāśico, le differenti configurazioni manifestano i campi di realtà ai vari livelli di esistenza oscillanti tra la polarità dell’apparente dualità, il Due che prelude alla molteplicità della differenziazione, del tre, quattro… Abbiamo appena esposto quella che può essere considerata la sorgente da cui ha origine il corpo causale del jīva. Corpo causale che pervade e sostiene il corpo sottile e il corpo fisico, in un continuo rimando, istante per istante, di riverberi tra la coscienza jīvaica individuale e quella śivaica universale, paragonabile alla coproduzione condizionata contrapposta al vuoto śunya di Nāgārjuna, alternanza di saṁsāranirvāṇa mondo-estinzione. Per mezzo di questa eco, l’Essere divino conosce Se stesso nella Sua manifestazione giocosa līlā. Più precisamente il processo di autoconoscenza avviene in questo modo. La sacra vibrazione spanda-śakti, emanata dalla coscienza di Śiva, ha insita in sé la realtà universale e individuale potenziale, sia sottile che materiale. Le onde sub-quantiche, prakāśa, si rifrangono su uno specchio, lo schema di interferenza “visto” dalla mente umana. Qui si formano le immagini dell’olomovimento sia del piano sottile (pensieri, sentimenti, sogni ecc.) sia di quello grossolano (il corpo, l’universo, gli oggetti, i suoni ecc.). Queste stesse immagini ideali sono elaborate dalla coscienza individuale come vimarśa consapevolezza riflessa. Vimarśa è l’effetto di rimando all’intelligenza divina delle esperienze riflesse del corpo sottile e del corpo grossolano, ovvero la proiezione olografica di tutta la realtà su questo piano di esistenza. Si può dire che la consapevolezza è lo specchio della coscienza, mentre il pensiero ne è il riflesso. Più la configurazione è pura più il riflesso ha la stessa luminosità della luce divina prakāśa. Come vedremo più avanti, il corpo fisico appartiene alla stessa dimensione quantica che ci permette di contemplare la natura prakṛti. La coscienza śivaica crea il mondo quando la sua Luce illumina lo schema su cui interferiscono le vibrazioni che per effetto delle loro diverse frequenze determinano sia la forma pensiero nell’ordine implicito sia la condensazione, solidificazione e precipitazione quantica, che fa apparire l’ordine esplicito, il continuum spazio temporale tridimensionale della fisica newtoniana. La coscienza individuale, il corpo causale, è l’involucro denominato ānandamayakośa guaina fatta di beatitudine. 4 Buddhi La buddhi intelligenza è la parte più nobile della mente umana, quella intuitiva, l’intelligenza risvegliata; è detta anche ragione pura (purificata), intelletto superiore, intuizione superconscia, intelligenza noetica. Viene attivata qualora si verifichino due circostanze concomitanti. La prima è soggettiva e volontaria: 1. il jīva segue la sādhanā la disciplina spirituale, cioè il lavoro sulla consapevolezza, sulla presenza e sull’attenzione continua riguardo al mistero della sacra vibrazione universale, assumendo l’atteggiamento di meravigliato stupore vismaya camatkāra di fronte alla natura non duale della realtà in cui si riconosce. Io non vedo più persone e cose, io vedo solo coscienza, vibrazioni del campo energetico ovvero l’essenza spirituale intrinseca; 2. il jīva è seriamente e sistematicamente impegnato nello studio dei testi sacri sanscriti. Si deve studiare, studiare e… studiare. Il sanscrito ascoltato, ad esempio la Bhagavad Gītā cantata da Anuradha Paudwal3, letto e recitato produce una vibrazione che ha la frequenza del DNA e con un effetto curativo sia sul piano psicologico che su quello fisico, inducendo benessere, pacificazione e gioia. 3. il jīva obbedisce ad una sola legge umana e divina, vale a dire l’amore universale, e, destrutturando l’io empirico, opera per il bene, l’equilibrio e l’armonia in sintonia con le leggi cosmiche del dharma: il sanātanadharma la legge della Tradizione eterna. La seconda è oggettiva: è indispensabile che Maheśvara elargisca la Grazia, saṃgraha ottenimento o śaktipat il potere del Signore, di svelarsi ad alcune anime4, piuttosto che ad altre, paśu armenti (animali che hanno la catena al collo) ovvero le persone implicate nell’ignoranza dell’illusione. Corrisponde all’involucro buddhimayakośa guaina fatta di buddhi. Manas manas la mente operativa razionale empirica. In realtà si dovrebbe parlare di antaḥkaraṇa organo interno, che oltre al manas comprende il citta memoria, pensiero conscio e inconscio e l’ahaṁkāra il senso dell’io, l’ego, struttura mentale illusoria, non-reale frutto dell’ignoranza ajñāna o avidyā, impedimento alla pienezza della libertà svātantrya esistenziale. La mente umana viene qualificata dai guṇa5 le qualità veicolate dal prāṇa, in particolare rajas e tamas fanno perdere all’ente il discernimento e il ricordo di ciò che è. Corrisponde all’involucro manomayakośa guaina fatta di manas. Hṛdayam 3 https://www.youtube.com/watch?v=9H-XIUq1Ldc&list=PL4D4B606F36B4B5DB&index=1 https://www.youtube.com/watch?v=jGm_ojemYpE&index=1&list=PL86DB20F143153812 4 Si tratta del quinto pañcakṛtya, gli atti della Creazione (vedi Tantra – lo Śivaismo del Kaśmīr, Kamalakar Mishra, pag. 191). 5 I guṇa, qualità, sono tre: sattva purezza, rajas attività, tamas ignoranza oscurità inerzia. Questi attributi sono costitutivi del jīva e corrispondono grossomodo al temperamento e al carattere della persona. Al momento della morte seguono il riflesso di coscienza migrando dal piano fisico al nuovo livello esistenziale di destinazione. 5 hṛdayacakra6 il cuore, la sede delle emozioni, dei sentimenti, dell’amore. Assume una grandissima importanza al momento della morte del corpo fisico, in quanto la coscienza, con tutte le sue facoltà, si concentra come pura luce nel cuore, da dove prenderà la via della nāḍī suṣumṇā il canale centrale o una delle altre cento strade.7 Prāṇa prāṇa il respiro, ma soprattutto l’energia vitale, che si attiva al momento del concepimento come estensione della madre, caratterizzando il nuovo individuo con il karman8, letteralmente azione e con i guṇa. Il prāṇa è il campo energetico che avvolge il corpo grossolano con diversi involucri stratificati (si dice siano otto), dai più densi ai più rarefatti, quasi a tutti invisibili, e sostiene la vita fino a riassorbirsi nel prāṇa universale, secondo la via cui è destinato il corpo sottile. Il jīva dopo essersi liberato dal karman residuo, rilasciato sotto forma di prāṇa individuale, si reincarna in un nuovo corpo per ritentare l’esperienza di conoscenza jñāna e realizzare l’advaita non dualità dell’essere su questo piano di esistenza duale. Il prāṇa si accumula e viene distribuito dai cakra ruote, cerchi, che risiedono lungo la colonna vertebrale. Essi sono: mūlādhāra il cakra del radicamento alla terra. Dà energia alle ghiandole surrenali, che regolano gli impulsi nervosi attraverso la produzioni di ormoni, adrenalina, noradrenalina ecc. svādhiṣṭhāṇa il cakra della sessualità e dei potenziali emotivi. Alimenta le gonadi, gli organi genitali che producono gli ormoni sessuali. maṇipura il cakra delle emozioni, del potere e della forza. Alimenta il fegato e il pancreas. anāhata il cakra dell’amore situato nel centro cuore sede dell’identificazione. Alimenta il timo, ghiandola primordiale preposta alle difese immunitarie. In realtà la sede delle emozioni non è il cuore ma il cervello, tant’è che nella tradizione lo hṛdayam non è menzionato come componente del jīva. Tuttavia il cervello, che opera indipendentemente dalla volontà per le funzioni neurovegetative e su atto volontario nell’ambito delle scelte razionali, gestisce anche i sentimenti buoni o cattivi et similia. L’organo più importante dopo il cervello è l’intestino tenue, che è la sede delle emozioni, spesso incontrollabili, con tutta una serie di effetti e conseguenze sulla persona. Per questo preferisco collocare nel cakra del cuore la sintesi mediana di questi due centri dell’interazione emozionale con la realtà. 7 “Il jīva aderisce al fisico denso principalmente mediante due “fili” luminosi, l’uno ancorato alla testa che esprime la coscienza e tutte le sue facoltà, l’altro al centro del cuore che dà vita alla forma corporea; quando quest’ultimo si stacca si ha quella luce splendente, segno che il jīva ha lasciato il suo strumento di contatto col piano fisico. La coscienza può anche ritirarsi, senza comunque staccarsi completamente, mentre il corpo grossolano continua ad essere vivo, come avviene nel sonno, o in altri stati inconsapevoli; per esempio, nella condizione di coma. (Brahmasūtra, ed. Aśram Vidyā, pag. 457) 8 Il karma è di tre tipi: il prārabdha, il karma di ritorno, quello già maturato, che è già in atto e va a compimento (il cui ultimo aspetto è il corpo fisico); il saṁcita, il karma pregresso accumulato in questa e nelle vite precedenti, non ancora a maturazione, dovuto a tutte le azioni (pensieri, parole, opere, omissioni) che hanno procurato merito e demerito; l’āgāmin, il karma potenziale che può essere prodotto dalle azioni future. Con la disidentificazione dall’io empirico si estingue il saṁcita e l’āgāmin non avrà sviluppo; giungendo la dissoluzione del corpo, si esauriscono i frutti dei meriti e demeriti e si ottiene la liberazione con la morte videhamukti, cui consegue (alla fine del kalpa) il riassorbimento del riflesso di coscienza nella sorgente. Per il liberato in vita jīvanmukta, che si è riconosciuto in Paramaśiva (Bhairava), la liberazione è già in atto, in quanto la sua coscienza si è identificata con Bhairava e il corpo non rappresenta nient’altro che poco più di un’ombra, non costituendo più un legame o attaccamento su questo piano esistenziale. 6 6 viśuddha il cakra della vibrazione, del suono, della parola. Alimenta la tiroide che regola tutto il metabolismo e la paratiroide, che regola il metabolismo del calcio e delle ossa. ājñā il cakra delle funzioni mentali e della visione interiore (terzo occhio). Alimenta la ghiandola pituitaria o ipofisi da cui partono gli impulsi per tutte le altre ghiandole. sahasrāra il cakra dell’unione con l’Assoluto, vi entra l’energia vitale e da qui esce la coscienza quando lascia il corpo. Alimenta la ghiandola pineale. La terza vertebra coccigea è la sede della kuṇḍalinī il serpente femmina dormiente, con la testa rivolta verso il basso. Dallo stesso punto si dipartono i due canali principali le nadī che sono la ida il canale sinistro e la piṇgala il canale destro, i due canali finiscono rispettivamente il primo nell’emisfero destro e il secondo nell’emisfero sinistro del cervello. Il canale centrale suśumna è la via percorsa dalla dea kuṇḍalinī, l’energia sessuale sublimata, quando viene risvegliata dal tantṛka praticante del tantra e risale al settimo cakra. L’involucro è prāṇomayakośa la guaina fatta di prāṇa. Śarīra - Deha Il corpo fisico sthūlaśarīra, di cui parleremo più sotto. L’involucro è annamayakośa la guaina fatta di cibo (siamo quello che mangiamo). UN UNIVERSO TUTTO PER NOI Tutti gli elementi sopra elencati, tranne il primo e l’ultimo, concorrono a formare il corpo sottile sūkṣmaśarīra, che pervade tutto il corpo nel suo complesso e l’aura circostante. Proiettato dalla mente, e quindi creato dalla coscienza, in ogni minima parte del corpo fisico, anche la più piccola, è contenuto il tutto. La sua sede è principalmente il cervello e il cuore umano. Il corpo sottile ha la funzione e lo scopo di creare non solo l’esistenza psichica dell’individuo puruṣa essere umano, ma anche di interagire con quella fisica del corpo materiale cosmico, appartenente alla sfera di prakṛti la natura. Nel corpo sottile umano si produce tutta la realtà ideativa del pensiero: immaginazione, fantasia, creatività, sentimenti, attività speculativa ecc. La realtà in generale è in effetti un dominio delle indefinite frequenze a cui vibrano le onde all’interno dell’ordine implicito, queste diverse frequenze creano la realtà della differenziazione. Il nostro cervello è una sorta di lente che trasforma le frequenze nel mondo oggettivo delle apparenze ābhāsiche riferite agli schemi di interferenza che compongono l’ordine implicito. Il cervello decodifica e “vede” le onde emanate dall’ordine implicito, che è Śiva [nome proprio e aggettivo che significa benigno], proiettate sullo schema di interferenza della coscienza come manifestazione oggettiva spazio-temporale-causale, tramite la Śakti potenza, energia di Śiva. Gli oggetti che appaiono nell’universo e le leggi che lo regolano, dal macrocosmo al quantum più infinitesimale, “dovrebbero essere considerati come campi di realtà, chimere né più né meno reali dei punti di riferimento in un sogno gigantesco reciprocamente condiviso”9. Anche il corpo fisico, il veicolo della nostra coscienza in questa vita, può apparire scarsamente reale in quanto vero e proprio prodotto della nostra coscienza che proietta la materia, lo spazio, il tempo e ogni altro campo di realtà dell’universo fisico. 9 Tutto è Uno, Michael Talbot, Ed. Urra, pag. 195. 7 Sembra che dette immagini rappresentino la realtà cosmica di questa manifestazione, una delle indefinite e potenziali. L’ambiente in cui viviamo viene percepito da ogni corpo sottile nell’ambito dell’immaginario collettivo sotto forma di oggetti materiali senzienti e insenzienti, che si presentano composti da particelle formatesi nell’ordine esplicito quantico denso prakṛtico. È il flusso della coscienza śivaica, che da sottile diventa sostanza fisica materiale, in un continuo celarsi e svelarsi secondo le leggi ipotizzate dall’epistemologia scientifica10 e dalle Leggi Cosmiche della conoscenza esoterica11. Puruṣa, intelligenza sottile, e prakṛti, materia subordinata passiva, contengono tutta la realtà apparente dell’ordine implicito-esplicito sottile e fisico, chiamata ābhāsa apparenza. Quando tutte le componenti che insistono sul piano sottile sono comprese e trascese mediante l’identificazione con l’Assoluto, tutto ciò con cui ci rimane da fare i conti è il “corpo fisico”, la più importante di tutte le configurazioni di interferenza dell’ordine esplicito, modellata alla nascita dalla natura psico-fisica (DNA) e dal condizionamento ambientale. Se lo schema che si produce nel cervello è condizionato dall’ignoranza, separazione, ego, questo rifletterà un corpo di sofferenza, essendo l’ego adharmico12 in quanto autoreferenziale, mentre l’unica realtà esistente è la Coscienza. Tutto ciò che esiste, esiste all’interno della Coscienza di Śiva, che è l’unica Realtà, assoluta non-duale. TRA NASCITA E MORTE 10 Le leggi della tridimensionalità, della relatività e della fisica quantistica. Le Leggi Cosmiche. Per quanto l’esistenza di superficie (prapañca, vyavahāra, saṃvṛtisatyam) si manifesti nell’irrealtà dei fenomeni (vaitathyam), questa non coseità è regolata dalle Leggi Cosmiche. Karma Ad ogni azione corrisponde una reazione (uguale) e contraria. Per azione si intende anche pensieri, parole, omissioni. La Legge del Karma agisce anche se uno non la conosce. L’Universo pareggia sempre i conti. È la legge fondamentale che non è legata ad una particolare religione, cultura, tradizione, area geografica ma è veramente universale. Spieghiamola a tutti, educhiamo i bambini a rispettarla, ce ne saranno grati. Impermanenza Nel divenire fenomenico tutto è movimento. A partire dalla nascita ogni ente (tutto ciò che esiste nello spazio-tempo) si trasforma ed evolve, cresce, arriva alla maturità e dopo decade con la malattia e la morte, secondo il processo di emanazione, mantenimento, riassorbimento valido sia a livello macrocosmico universale sia a livello microcosmico individuale. Solo l’Assoluto in sé è permanente. Attrazione Quello che penso divento, anche quando dico di non volerlo. Sincronicità Nulla accade per caso, tutto è determinato, voluto e realizzato dall’Intelligenza Universale, secondo le sue leggi. Interconnessione Tutto è Uno. L’Universo è una proiezione olografica: ogni parte contiene il Tutto. Se muovo una foglia nel mio giardino si scatena un uragano alle Galapagos, se dico una parola sbagliata qui, una razza, una etnia, una specie verrà oppressa e cancellata dalla barbarie del potere canaglia. Irreversibilità Tutto tende a Dio e nulla può essere modificato, ritrattato, perdonato, cancellato ex tunc. Abbiamo la responsabilità di co-creare l’universo secondo le sue leggi. Come diceva una mia vecchia conoscenza: “Non si torna indietro”. Necessità La Mente Cosmica richiede necessariamente l’obbedienza alle leggi che il Signore della manifestazione, Maheśvara, ha fissato. Non possiamo interferire sull’esterno ma solo agevolare il processo della creazione continua. Essere ciò che siamo dicendo “sì” a tutto ciò che è. Accettare il corpo, controllare la mente, stare nel presente del corpo di beatitudine. Trascendere la polarità io/Dio nella consapevolezza di essere l’Io di Dio. Le Leggi Cosmiche sono per chi non ha compreso e il loro funzionamento va nella direzione del dharma, che è ordine, armonia, equilibrio. Si tratta di allineare la nostra frequenza all’energia della Sacra Vibrazione con l’Amore per noi stessi e il Bene degli altri. 12 Non tutto l’ego è negativo. Una funzione insopprimibile è la sopravvivenza e la conservazione del veicolo psico-fisico. 11 8 L’opposto della morte non è la vita, ma è la nascita. Il riflesso di coscienza non è mai nato e ciò che non nasce non può morire, mentre ciò che nasce, il corpo, deve per forza morire. Siamo abituati a vedere la vita come l’intervallo tra la nascita e la morte di una persona. Niente di più erroneo. Una persona è un essere eterno, perché la sua essenza è l’eternità della sorgente da cui è emanato il riflesso di coscienza che si è identificato in quel corpo-mente in quanto manifestazione. L’esperienza della vita non è facile per nessuno. Non lo è stata neanche per i Maestri. Sappiamo del dolore del Buddha, l’omicidio/suicidio di Socrate, la passione e morte di Cristo. Indiscussi santi come Ramakrishna, Ramana Maharshi e Aurobindo sono morti di tumore. Sembra che il corpo non sia poi così tanto forte e protetto da scongiurare accadimenti improvvisi, apparentemente senza causa e senza senso. Tutti i giorni siamo a contatto con la malattia e la morte. Spesso non ci facciamo più caso, perché queste vengono banalizzate dai media per fare audience, semplici notizie meno importanti dell’uscita del nuovo iPhone e, naturalmente, purché non ci riguardino da vicino. Si muore anche da bambini. Sembra paradossale. Ci si chiede perché… perché... Quando muore un figlio si prova un dolore inimmaginabile. Perché un bambino piccolo muore? Ci possono essere più ragioni. Una di queste può essere che qualcosa sia andato storto nel progetto di vita scelto dal veicolo karmico e quindi, accertata l’impossibilità di conseguire la liberazione, l’impresa viene rimandata ad una situazione più favorevole in un altro spazio, tempo o dimensione. Un’altra ipotesi è che questa anima avesse solo un piccolo residuo karmico da estinguere e quindi si sia incarnata per compiere il percorso mancante e completare l’opera di realizzazione. Un altro valido motivo è che ci sia stato il tentativo di compiere un atto sacrificale allo scopo di far capire a qualcuno qualche cosa su cui di solito non si riflette, cioè per richiamare l’attenzione sulla necessità di conseguire il risveglio, possibilmente con inderogabile urgenza. Utilizzando una metafora abusata, è come il caso in cui un uomo i cui vestiti hanno preso fuoco cerca una pozza d’acqua per buttarcisi dentro e spegnere le fiamme che lo divorano. Questi tentativi spesso non hanno un esito favorevole. LA FORZA DEL DESTINO La morte avviene anche quando sono stati conseguiti gli obiettivi di illuminazione dell’anima e a quel punto non rimane che esaurire il prārabdhakarma cioè il karma residuo che va a compimento. Le cause della morte possono essere molteplici, vecchiaia, malattia, incidente, epidemia, guerra ecc. ma sempre in un disegno che possiamo anche definire come il destino dell’individuo. In questa prospettiva assume grande importanza il grado di consapevolezza che abbiamo del nostro corpo sottile. La questione riguarda l’esercizio del libero arbitrio, ovvero la libertà svātantrya e la volontà icchā. Infatti è nostra la scelta se operare kriyā, l’azione spontanea e naturale del divino, oppure karma, azione inconsapevole nella dinamica sāṃsarica di causa-effetto. In altri termini, dovrei ridimensionare il mio libero arbitrio egoico per armonizzarlo con il dharma. Sono io che determino il mio destino. Sono io che creo la mia realtà. Poiché non esiste che Dio, si dovrà arrivare a non esercitare più il “proprio” libero arbitrio ma a far coincidere la propria volontà con quella di Dio, che è libertà assoluta. Non vale più la sentenza “sia fatta la tua volontà” che viene invece sostituita da quest’altra: “Signore fai sì che io compia, solo, la Tua volontà”. L’evento morte del corpo grossolano non significa la fine della vita, ma è solo il trasferire la propria coscienza, portandosi appresso le sue qualità guṇa, i saṃskāra semi 9 causali e le vāsanā tendenze latenti, che la persona ha modellato sul piano fisico, mediante l’accesso ad un altro livello esistenziale. Ecco perché la meditazione su Śiva non-duale, che si è praticata incessantemente su questo piano di esistenza, continuerà anche sui piani sottili, fino ad aver realizzato l’identità con Śiva. In questo percorso che l’anima compie dopo la morte del corpo grossolano, le funzioni sensoriali e la parola cessano di esprimersi, riassorbendosi nel mentale, che persiste anche dopo aver lasciato l’involucro fisico. LA VIA DELL’AMORE Per evitare di crearci un destino complicato durante questa vita e nel dopo morte, costellato di dolore fisico e sofferenza psichica, l’unica via da seguire, sādhanā disciplina spirituale, è quella del bene śreya dell’amore, prema o madana. Si deve amare tutto e tutti, a maggior ragione il proprio corpo. Se consideriamo, anche inconsciamente, il corpo solo l’involucro contenitore di una mente condizionata, che coltiva possessione, invidia, gelosia, rabbia, resistenza a ciò che è, sensi di colpa, limitazione della libertà, costrizione in dipendenza e schiavitù, pretesa che si avverino sempre le proprie aspettative, paure e pregiudizi, il corpo nel tempo subisce dei danni e inaridisce, la forza vitale non lo protegge più e si ritira. L’amore è un flusso di energia, la più potente dell’universo, è un’onda di luce e di gioia che per alimentarsi ha bisogno di scorrere liberamente. Se rivolgo l’amore solo verso me stesso, l’opacizzazione dovuta all’egocentrismo crea un velo d’ombra che assorbe la luce, la luce della coscienza e infine il flusso si interrompe. Ci sono persone che muoiono intorno ai cinquant’anni. Un’età critica per tumori, infarti, malattie degenerative, suicidi ecc. Quando ad un certo momento risulta evidente che l’anima non riuscirà ad ottenere il mokṣa liberazione, la sorgente ritira la sua luce da quell’ente che, diventato opaco alla pervasione dello spirito, non è in grado di riflettere un tale splendore e rimandare l’eco vimarśa di conoscenza alla Divinità, perché possa godere della Sua creazione sṛṣṭi e del Suo gioco līlā. AMO QUINDI SONO Abbiamo visto come i guṇa concorrono a condizionare la nostra esistenza fin dalla nascita, il cammino di conoscenza porta prima ad eliminare il tamas, poi a depotenziare il rajas e infine a sintonizzarci sul sattva. La meta è incarnare il nirguṇa, la divinità senza attribuzioni o qualificazioni. È un cammino di purificazione contraddistinto dal lavoro e dallo studio delle scritture sacre, ma soprattutto amando incondizionatamente. L’amore è l’unica fonte di gioia ānanda per il benessere psicologico e fisico. Quindi, se la mente è separativa occorre adoperare un collante che congiunga e integri i due piani del corpo sottile e del corpo fisico, in modo tale che i due entrino in risonanza, non dimenticando che ogni perturbazione mentale crea un oggetto in movimento, causando effetti sulla mente sotto forma di sofferenza psicologica, oppure problemi di salute del corpo. Ogni guaio fisico vecchio o nuovo influenza l’integrità mentale e viceversa. Bisogna aver cura del corpo sciogliendo la mente dalle tensioni consce o inconsce, dovute al desiderio di tenere tutto sotto controllo e quindi trattenendo. Liberare il corpo dalle inibizioni e dalle limitazioni, se non addirittura dall’autolesionismo, pensiamo solo a due cose, all’uso e abuso di medicine chimiche il più delle volte inutili (farmaci contro l’ipertensione e il colesterolo), oppure alla moda delle ragazze che vanno in giro con tacchi alti, jeans stretti, schiene scoperte, trucchi pesanti, fumo, alcol, droga, ore da sballi ecc. 10 Sembra che sia tutta questione di… testa, mentre il corpo appare il risultato dei blocchi e dei coaguli energetici creati dalla psiche che li ha scaricati sul corpo per liberarsi dalla sofferenza, dalla depressione e dal dolore. I problemi relegati nell’inconscio dall’operazione di rimozione sistematica, una volta emersi, innescano scompensi emotivi tali da provocare sbalzi ormonali, liberando eccessi di adrenalina, endorfina, serotonina ecc. a carico degli organi. Non ne è responsabile solo il cervello, un ruolo rilevante è svolto da un “secondo” cervello de-localizzato nell’intestino tenue, vera centralina di controllo di tutte le funzioni, a volte trascurato e dimenticato, ma di cruciale importanza per la salute. SIAMO (TUTTO) IL CORPO Possiamo considerare il corpo come un simbolo, lo strumento per mezzo del quale siamo in grado di esprimere una qualità universale, come l’Amore e la Conoscenza śivaica, e tuttavia non è consentito identificarci solo con il corpo fisico. Come abbiamo visto ci dimentichiamo, in quanto fuori dalla portata della nostra vista, che il prāṇa, uno degli aspetti delle frequenze della realtà, è un campo energetico che avvolge il corpo fisico anche intorno a questo. L’aura è un sottile involucro di luce simile ad un alone, che si trova esternamente alla normale percezione umana. Lo scopo del lavoro sul corpo è ripristinare quell’equilibrio tra il corpo fisico e gli altri involucri, tale da portare benessere, guarigione e speranza di vita prolungata in piena salute. In altri termini, lo scopo del massaggio tantrico è realizzare l’armonizzazione tra il corpo fisico, il corpo sottile e il corpo causale. Dobbiamo lavorare sul corpo. Dobbiamo farlo convinti della sua unità con il Tutto percepita attraverso la meditazione sul corpo, poiché ogni parte anche la più microscopica, contiene in sé l’immagine di tutto l’universo, come pure un singolo elettrone contiene in sé tutto l’infinito universo che lo sostanzia. La natura del corpo è la vibrazione. Posso sentirne le frequenze ponendomi in uno stato di fusione, alla condizione di abbandonarmi completamente. Occorre mettere alla prova la propria fede, la propria fiducia, la consapevolezza che se vengo toccato dall’altro, l’altro non è che me stesso e che io sono lui. Realizzo questa verità consapevole che l’essenza dell’altro ha la natura del fascio di luce divina riflessa nella coscienza trasfigurata, come nella narrazione del monte Tabor. Lasciamo andare ogni pensiero, facciamo parlare il corpo, diventiamo semplici, innocenti, indifesi, come bambini piccoli, neonati che ancora non erigono barriere o indossano corazze, ma sorridono, tendono la manina verso la mamma sapendo che non la respingerà mai e la terrà stretta a sé. MASSAGGIO TERAPEUTICO Si può chiedere a una persona di porre l’attenzione su una parte del suo corpo. È possibile che lo faccia per un poco, ma la concentrazione non sarà profonda perché ognuno è abituato ad avere quella parte di corpo e poco dopo l’attenzione va all’elaborazione mentale di nuovi pensieri. Se però io prendo in mano e tocco la parte del corpo di una persona, questo contatto obbliga la persona a tenere l’attenzione su quel tocco e quindi su quella parte. Il massaggio non è un semplice sfioramento o una pressione meccanica, ma è invece un penetrare nell’essenza spirituale di quella persona attraverso quella “porta”. Tocco la parte del corpo con le dita, con la mano, con il braccio, con il cuore (col petto), con il viso, con la bocca. Trasmetto la mia energia d’amore, sono la mamma che tocca il suo bambino per farlo stare bene, per rassicurarlo, sono io che tocco la parte del corpo dell’altro come se toccassi il mio corpo. 11 Nell’eseguire questo che possiamo definire come un massaggio terapeutico, dobbiamo tener presente che noi stiamo intervenendo non sul corpo materiale ma su un essere fatto di vibrazione e frequenze, il cui campo energetico è fatto di coscienza. Muovendoci lungo tutta l’estensione della persona a noi affidata, sappiamo che il confine non è la forma apparente, ma che deborda oltre al visibile con i vari involucri dell’aura ai quali dobbiamo riportare la lucentezza dei colori. Abbiamo a che fare con un campo elettromagnetico che vibra ad una certa frequenza. Un corpo malato fisicamente, confuso mentalmente, infelice o depresso a causa della sua inconsapevolezza, vibra a basse frequenze, essendo sintonizzato principalmente sul mondo materiale denso. Il nostro intervento serve a innalzare la frequenza della vibrazione, portandola dai livelli più bassi dell’opaco materiale a quelli più alti del sottile mentale consapevole e infine al rarefatto spirituale della realizzazione. Si dà una preferenza al contatto con i cakra. Lavorando sui punti dove sono localizzati i cakra, si trasmette l’energia per la rimozione dei blocchi che impediscono alle funzioni endocrine di liberare tutte le loro potenzialità di buon funzionamento e di benessere e di ridare dinamismo al campo energetico di quella persona. Chi accede allo stato mistico è uno che non si è ritirato dalla vita, ma è un conoscitore del campo e della sua interrelazione cosmica con tutte le cose, sia rimanendo fondato saldamente nel viveka discriminazione e nel vairagya distacco, sia rimanendo in contatto con ogni livello dell’esperienza umana. Chi riceve il tocco è lui stesso che si tocca, si esplora e si sperimenta. La zona toccata ha una sua storia, è la spalla che mi fa o mi faceva male perché avevo subito un trauma, è il punto in cui mi è stata fatta una terapia di tipo allopatico, è la memoria muscolare di una cattiva abitudine che si è cristallizzata inopportunamente, è lo sciogliersi dei blocchi, dei nodi psicologici che si sono trasferiti su una parte del corpo: un braccio, una spalla, il cuore, la schiena ecc., sono i coaguli energetici da dipanare. La connessione tra chi tocca e chi è toccato parte dal cuore e arriva al cuore tramite l’energia d’amore. Io amo quel corpo, gli do tutto me stesso, non guardo la forma, non giudico se è bello o brutto, piacevole o non piacevole, grasso magro grande piccolo, io sono unito a quel corpo e realizzo l’unità non-duale tra il mio e il corpo dell’altro. Tutti quelli che fanno la stessa cosa in quel momento lavorano per realizzare questa unità non duale che è l’ordine superiore della realtà apparente. Trasferisco l’esistenza del corpo fisico alla presenza del corpo sottile, il corpo fisico sparisce dentro la consapevolezza del sovra-mentale, il mentale si identifica totalmente nel corpo, diventano l’uno l’altro, una cosa sola. L’esperienza richiede l’abbandono totale all’altro: la fiducia incondizionata, il liberarsi totalmente dall’ingombrante dominio dell’autocontrollo su se stessi e sugl’altri. È un atto di fede nella divinità che sta operando su di me per il mio bene, per il risveglio adhitya alla consapevolezza di chi sono. Lo condivido con l’altro e con gli altri che fanno, pensano e agiscono tutti allo stesso modo, liberando un’energia empatica di forte sinergia evocativa della presenza onnipervadente della coscienza assoluta, che appare nelle coscienze individuali che hanno vinto la schiavitù della mente separativa. LA VIA DELLA GUARIGIONE Se facciamo questo ci lasciamo penetrare dall’energia dell’amore universale in ogni cellula, in ogni parte del nostro corpo, nessuna esclusa. Quando A tocca le varie parti del corpo di B, la zona toccata entra in risonanza e rivela la condizione di benessere o sofferenza che è celata là dentro, come un malware o un trojan horse nel computer. Lasciamo parlare il corpo, gli lasciamo esprimere il rimando dell’energia d’amore e di 12 guarigione. L’amore è l’energia più potente dell’universo. Se non si avranno benefici immediatamente apprezzabili, ripetendo questa pratica si otterranno di sicuro. Si deve lasciare andare il corpo, lasciarlo libero di “sentire” che vengono smantellate le difese, quelle rigidità che impediscono all’amore di pervadere terapeuticamente le lesioni presenti nelle memorie cristallizzate, retaggio di possessione, invidia, gelosia, diffidenza, pregiudizi, controlli, divieti, quando si voleva comandare i giochi, dirigere il traffico, guidare il pullman, pretendere di realizzare le proprie aspettative, senza fidarsi dell’intelligenza cosmica che è la natura del potenziale quantico Śiva espressa nell’ordine implicito, la Coscienza cit o saṃvid, che è l’unica cosa che conta, il bene la gioia l’amore. Di non amore si muore, di controllo nevrotico della mente ci si ammala, lavorando sul corpo si lavora sull’unica cosa oggettivamente apprezzabile con i sensi, la materia con cui si manifesta il corpo che non può essere esclusa perché fa parte di quell’integrità psicofisica che non può essere considerata formata da parti separate, né nella sfera individuale personale né in quella dell’interazione con l’altro. In questo corso tutti noi stiamo facendo una pratica di esperienza della non dualità, se ci riusciamo è perché tutti l’abbiamo voluto, e se qualcuno ha delle perplessità aiutiamolo a prendere coscienza che questo gruppo può raggiungere la realizzazione se tutti danno il loro contributo. La meta finale è la liberazione, il superamento dell’ignoranza e della schiavitù all’interno del sogno dell’illusione, non solo dal karma, ma soprattutto la libertà della coscienza, della mente e la liberazione del corpo. Il corpo può diventare la pattumiera della mente. Quando la psiche non ne può più perché ne ha viste troppe, o impazzisce o si scarica sul corpo, non si sa quale delle due sia preferibile. Qui dentro siete tutte belle persone, ma basta andare per strada, vedere la Tv, andare negli ospedali o negli ospizi, per accorgersi come uomini e donne hanno corpi che rivelano i segni della sofferenza a causa della loro condizione di povertà e di ignoranza. Perché ci appaiono così degni di amore e compassione e nello stesso tempo ci pongono la domanda come voglio essere tra dieci venti trent’anni? Progettiamo la nostra vita; le resistenze, le opposizioni, i conflitti vengono somatizzati, e le cose più pericolose sono quelle di cui non ci accorgiamo. Non aspettiamo a curarci quando stiamo male per rimettere a posto le cose. Quello che c’è da fare dobbiamo farlo adesso che abbiamo la salute. Quando saremo malati sarà troppo tardi, non potremo più fare niente, saremo preda solo della preoccupazione della malattia. Le medicine allopatiche non avranno effetto su di noi, ma peggioreranno solo la situazione. Inoltre, va tenuto conto che la medicina tradizionale indiana non ha nessuna considerazione per la psicologia e la psichiatria, solo il corpo è da curare. La malattia mentale è un coagulo energetico, un vortice, un’increspatura del flusso energetico determinato da un’ostruzione o da un’impurità spirituale, l’inconsapevolezza causata dall’ignoranza. Non trovandone una decodificazione tramite la buddhi, la mente focalizza il malessere in se stessa e per non somatizzare il dolore lo rimuove nell’inconscio, scaricando gli squilibri ormonali sul corpo. Si deve fare un’azione a tenaglia. Dall’alto purificandosi attraverso la presa di coscienza della realtà non duale e il ridimensionamento dell’ego, e dal basso rimuovendo i blocchi fisici per rimandarli alla mente che, invece di nasconderli sotto il tappeto (l’inconscio), li elabora e li trascende. Il massaggio d’amore fa affiorare dal corpo alla coscienza le memorie cellulari, sciogliendole prima nel cuore, ricostruendo i processi emotivi, metabolizzando le energie pesanti a livello interiore attraverso la liberazione dalla schiavitù degli attaccamenti, dei sensi di colpa, della mortificazione, frustrazione, disistima, inerzia, per ripartire con l’autonomia, l’autostima e la creatività. 13 Equilibrio tra mente e corpo sì, ma senza la fede13 śraddhā e la presenza ininterrotta nella consapevolezza che solo Dio esiste con il collante dell’amore, nemmeno noi avremmo molte chance; subiremmo un processo automatico indipendente dalla nostra volontà, una pericolosa deriva a cui reagire subito, senza rimandi. LA TECNICA I partecipanti, che sotto la tuta da ginnastica o similare, indossano un costume o dell’intimo, due pezzi per le signore, avranno un asciugamano grande, una coperta e un cuscino per la testa, mentre i tappetini sono già disponibili nel centro. È necessario portare l’olio da massaggio, accendere un incenso lieve e una candela davanti alla divinità (portata da me). Sarà opportuna anche una musica soft, possibilmente indiana, a basso volume, quasi impercettibile. Prima di iniziare la pratica si formano le coppie. L’ideale sarebbe uomo-donna o donna-uomo ovviamente, ma data la scarsa presenza maschile vanno bene anche coppie formate da sole donne. Inizialmente le coppie saranno formate dai partner abituali se uomo-donna, mentre nel caso di due amiche intime è preferibile non stiano insieme. Il motivo è che se c’è molta familiarità e confidenza è evidente che la fiducia è già insita in quella relazione e risulterà più difficile misurarsi con uno dei temi più importanti di questa pratica che è l’affidarsi. Ci dobbiamo fidare di una persona poco conosciuta, perché dobbiamo percepire profondamente che noi siamo quella persona e lei è noi. Negli incontri successivi, quando si ripeterà questa pratica, le coppie, nei limiti del possibile, saranno sempre rinnovate. Ecco le fasi della pratica: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. Si stendono i tappetini appaiati in modo casuale, non troppo allineati. Si pone l’asciugamano sul tappetino. La pratica inizia al gong della campana tibetana. Ogni membro della coppia si mette l’uno di fronte all’altro e se i due non si conoscono già si presentano. Le coppie si sdraiano affiancate. Si prendono per mano un minuto o due, cercando di armonizzare il respiro dell’uno con il respiro dell’altro. Chi viene massaggiato si sveste. Indichiamo con la lettera A chi massaggia e B chi è massaggiato. B si distende sul tappettino-asciugamano, abbandonando il corpo alla terra senza alcuna tensione libero da contrazioni a livello dell’apparato scheletrico-muscolare e del sistema nervoso. A si porta ai suoi piedi in ginocchio con l’olio. La coperta può essere utilizzata per ricoprire le parti da fare o già fatte e mantenerne il calore. A inizia a massaggiare B. Il contatto viene fatto servendosi delle mani, del cuore, del viso. Il tocco è dolce, carezzevole, morbido, sensibile, rassicurante, efficace, colmo d’amore. A deve sentire il corpo di B come se sentisse il proprio. B deve sentire il tocco di A come se fosse lui stesso a toccarsi. A si sofferma su tutte le parti di B da massaggiare: epidermide, tessuto connettivo, muscolatura, articolazioni, organi esterni ed interni. 13 La fede non è credere in qualche cosa che ci viene detto da qualcuno (religioni ecc.), perché vorrebbe dire che quella cosa è falsa, se credo in una cosa vuol dire che “io sono” quella cosa. La Speranza āśā, invece è la virtù coltivata nel proprio intimo convincimento, che l’Inconoscibile al quale accederemo per la nostra Fede e con la Grazia divina, ci porterà a risolverci nella dimensione della non-dualità. 14 18. Dai piedi alle gambe, cosce, bacino, addome, petto, spalle, braccia, mani, collo viso, capelli. 19. Dopo un quarto d’ora, B si gira sul dorso e A riprende dai piedi, gambe, cosce, glutei, colonna sacrale, lombare, dorsale, cervicale, testa. 20. Dopo questo secondo quarto d’ora le coppie si scambiano i ruoli. 21. Passata la seconda mezzora, i due si ridistendono appaiati e fanno cinque minuti di rilassamento per interiorizzare l’esperienza nel silenzio (interrotta anche la musica). 22. Al gong della campana tibetana, ci si riveste, ci si alza in piedi, ci si abbraccia un momento e si scambia ancora un abbraccio con tutti gli altri. La sequenza dei gesti, la pressione, la direzione del movimento ecc., saranno spiegati nel corso della dimostrazione pratica. Ho imparato che la calma è molto più destabilizzante della rabbia... che un sorriso disarma molto più di un volto corrugato ho imparato che il silenzio di fronte ad un’offesa è un grido che fa tremare la terra ho imparato che come un amore rifiutato non si perde ma torna intatto a colui che voleva donarlo; così accade per la rabbia e le offese... siamo noi a decidere se farci toccare o meno da un sentimento di qualsiasi sentimento si tratti. Non importa se stai procedendo molto lentamente... ciò che importa è che tu non ti sia fermato. (Confucio) La Verità Prima di tutto devi VOLERLA la Verità quando diventa un’esigenza primaria ti arriva la Conoscenza, che è in sé filosofia (metafisica), finché non ne hai fatto l’esperienza, allora diventa VERITÀ per TE La Libertà che ne consegue non piace a tutti non piace perché significa assumersi la responsabilità TUTTA di SE STESSI È un percorso meraviglioso NON È FACILE È QUESTIONE DI SCELTA. 15
© Copyright 2024 Paperzz