pdf - Purnananda Zanoni

MASSAGGIO TANTRICO
Massaggio d’Amore
Introduzione
Chi sono io
Il jīva
Un universo tutto per noi
Tra nascita e morte
La forza del destino
La via dell’amore
Amo quindi sono
Siamo (tutto) il corpo
Massaggio terapeutico
La via della guarigione
La tecnica
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
1
2
3
7
9
9
10
10
11
11
13
14
____o____o______
INTRODUZIONE
Dopo aver ricevuto negli anni una grande quantità di doni dalla Conoscenza - per
i quali in primo luogo devo esprimere tutta la mia gratitudine e devozione al dio Bhairava
e alla dea Bhairavī – e grazie all’aiuto di molti sinceri ricercatori della Verità, dopo aver
consacrato la mia vita alla diffusione della metafisica non duale, adesso mi pongo un
interrogativo che intendo condividere con voi: possiamo legittimamente chiederci se il
tantrismo può ancora insegnarci qualcosa in più di quanto abbiamo appreso finora dai
nostri studi personali e nei nostri incontri di gruppo? Secondo le intuizioni arrivatemi
durante il mio ultimo ritiro in India, la pronta risposta è ovviamente: sì!
Una persona, tempo fa, avendomi fatto notare che il mio approccio al tantrismo
era solo culturale e intellettuale, ancorché rigoroso e sistematico poiché basato sui testi
sanscriti del Trika (lo Shivaismo del Kashmir), mi aveva indotto a fare una riflessione e
alla fine mi era emersa chiara l’emergenza di rispondere a quella che avevo avvertito
come una sottile inopportuna insinuazione. Era forse venuto il momento di dimostrare
che questa supposizione, almeno nelle mie intenzioni, non era del tutto corretta? Come
avrei potuto controbattere, non a parole ma con i fatti? Decisi che il percorso condiviso
con i partecipanti ai corsi di sanscrito e śivaismo di Lugano, poteva essere utilmente
compendiato in questa direzione, proponendo l’introduzione di una “esperienza pratica”.
Detto questo, ci tenevo a non dare l’impressione di imboccare adesso una via alternativa
rispetto all’approfondimento degli insegnamenti tradizionali, intendendo solo adottare un
nuovo strumento di conoscenza complementare, in una prospettiva di ulteriore crescita
ed evoluzione del gruppo.
In effetti, c’è poco da dimostrare. Il tantrismo si dimostra da solo rivelandosi una
via auto-realizzativa completa e autosufficiente. Com’è noto, il Tantra comprende sia la
realtà universale che quella individuale, all’interno di un’unità inscindibile: ābheda
unità, bhedābheda unità nella differenziazione, bheda molteplicità. Niente di tutto
ciò che ha a che fare con il mondo in generale e l’essere umano in particolare, è trascurato
dal tantrismo che vede le due cose in una.
1
Prima però di esporre le linee guida della tecnica del massaggio tantrico che sto
per proporre, è necessario fare un passo indietro. Ci accingiamo a lavorare sul nostro
corpo. Il trattamento sul corpo può essere altamente benefico, ma può anche nascondere
delle insidie. Chi ha dimestichezza con l’esoterismo non ha alcun dubbio sul fatto che il
corpo fisico sia strettamente connesso con il corpo sottile e non solo, ma in particolare
intimamente collegato con la psiche, attraverso la quale si entra in un dominio
estremamente fragile e delicato.
In relazione a questo assunto, si possono tranquillamente fare affermazioni del
tipo: i vissuti, e quindi le perturbazioni emozionali non risolte, vengono spesso “scaricati”
sul corpo e i segni, più o meno distintamente individuabili, si fanno sempre sentire sia sul
corpo di apparenza che nel nostro intimo. Si può anche dire che ognuno di noi ha un
bambino dentro di sé al quale, anche se ha avuto i genitori più amorevoli e i fratelli più
premurosi del mondo, sono state inflitte delle ferite che non si sono ancora (se mai lo
saranno) rimarginate. Inoltre, il malfunzionamento del corpo non è nient’altro che la
sofferenza della psiche, che non ha ancora trovato il bandolo della matassa della
mancanza di una soddisfacente vita dello spirito. La questione principale sembra essere:
che senso ha la mia vita? Improvvisamente sento tutta la drammatica urgenza di
reimpostare la mia esistenza fondandola sulla consapevolezza dell’Essere divino, finora
trascurata o male indirizzata. E molte altre simili istanze, riconducibili sempre a
esperienze positive o negative - ma ci ricordiamo sempre di più quest’ultime - che ci
hanno segnato nel corpo, nel cuore e nella psiche, anche quando i meccanismi di
rimozione, dovuti all’insopportabilità del dolore, avevano relegato gli eventi generatori
di sofferenza nel nulla profondo dell’inconscio. Per quanto la cantina sia profonda, sotto
terra, buia, non ci si vada mai e la serratura della scala sia ben chiusa, il sub-conscio è
sempre lì dietro la porta, in agguato, pronto a colpire facendo riaffiorare alla coscienza
ciò che credevamo dimenticato e superato. A volte basta un ricordo improvviso, un volto,
un gesto, una parola, un film, un libro, un dialogo, un luogo, una musica ecc. ed ecco che
la cicatrice si riapre e la ferita riprende a sanguinare. Se siamo sinceri con noi stessi nel
prendere in considerazione ogni passaggio critico della nostra storia personale,
scopriremmo che noi sappiamo sempre da cosa è stato causato il mal-essere, e che la colpa
di quello che ci è accaduto è sempre stata nostra, non è mai stata colpa degli altri.
In conclusione, per compiere un lavoro sul nostro corpo, cercando la massima
protezione dal rischio di farci maggiori danni, non possiamo evitare di dare prima uno
sguardo a tutto il complesso dell’essere umano. Il corpo costituisce solo la punta
dell’iceberg di ciò che siamo, è solo ciò che si vede di una persona, ma l’uomo è ben di
più ed è soprattutto riguardo a quello che non si vede che è indispensabile approfondire
l’indagine, utilizzando tutte le conoscenze offerteci dalla tradizione di cui siamo portatori.
CHI SONO IO?
Se, per comodità di studio, decidessimo di schematizzare ciò che, per propria
natura ed essenza, è assolutamente irriducibile - l’essente è sempre qualche cosa di più,
di ineffabile e trascendente - allora potremmo anche tentare una classificazione delle varie
componenti che vanno a formare il mistero dell’essere vivente.
E se la prima domanda che sorge spontanea è: chi siamo noi in quanto enti gettati,
come dice Heidegger, sul piano della manifestazione, la risposta sarebbe, si suppone che
principalmente siamo: coscienza, intelligenza, mente, cuore, energia vitale, corpo.
Non lasciamoci tuttavia fuorviare da una tale suddivisione. Tra le singole parti
appena elencate, vi è infatti una omogeneità ontologica assoluta e perfetta, perciò la
2
differenziazione che ne risulta è totalmente artificiosa e virtuale. Ce ne serviamo solo per
constatare come una mente separativa può arrivare a sezionare analiticamente quella che
invece è una realtà assolutamente unitaria, non duale.
Il termine realtà poi, può essere reso con satyam, che di solito viene tradotto con
la parola verità, ma questo è solo un significato conseguente. Il suffisso ya aggiunto a
sat (part. pres. del verbo √as) dà il senso di “ciò che è”, ovvero che deve essere, dunque
che è reale. Un altro vocabolo per realtà/verità è tattva, da tat+tva: la quelleità, la
quiddità, la taleità, la icceità, con il significato più specifico di principio o categoria.
Proviamo dunque ad esaminare uno per uno tutti gli elementi della stratificazione
sopra accennata, alla luce della nostra consapevolezza. Ecco allora un breve vademecum
sulla nostra identità, che necessariamente implica la definizione, per quanto possibile,
anche di che cosa intendiamo per mondo e per Dio. Ripetiamo alla nausea che tutto appare
all’interno della coscienza di Śiva, nulla esiste al di fuori della coscienza di Śiva. Le
descrizioni che seguono sono solo l’esposizione di un’ipotesi riguardo alla proiezione
emanata dalla Mente cosmica, nel tentativo di comprendere la natura della realtà nel suo
complesso olomovimento all’interno di un paradigma essenziale, semplificato, ma
completo, quale sintesi delle varie dottrine del passato e del presente: Sāmkhya, Yoga,
Vedānta, Śivaismo del Kaśmīr, Fisica Quantistica di Bohm e Pribram e… la Legge
dell’Amore.
IL JĪVA
Il jīva essere vivente, anima meta empirica è l’insieme di:
Coscienza
L’equivalente dello spirito incarnato, per usare il termine occidentale.
È il jīvātman, l’ātman radioso, immanenza del Sé onnipervadente:
ayam ātmā brahma1 questo ātman (è veramente) il Brahman.
La coscienza individuale è il riflesso pratibimba della Coscienza universale cit
oppure saṃvid (f.) la cumscientia, ovvero il sostrato che sul piano universale
supporta tutta la realtà ma che non è supportato da niente.
È ānanda beatitudine, sempre presente, sempre “in presa”.
La coscienza non può che essere percepita e riconosciuta tramite la pratyabhijñā
riconoscimento, allo scopo di identificarci istantaneamente con Essa.
La coscienza individuale “è” la Coscienza universale: conoscere, sperimentare e
identificarci con il Principio Supremo in questo stato di consapevolezza è lo scopo
della nostra esistenza.
Da dove proviene e qual è la natura intrinseca della coscienza?
Paramaśiva, Śiva supremo, rappresenta il super-ordine (o pre-ordine) implicito (o
implicato), perfettamente trascendente, anuttara ciò di cui non vi è nulla di
superiore (ma anche che non c’è questo qualcosa che è o non è superiore), il puro
nulla, lo zero metafisico. Da questa dimensione imperscrutabile e inconoscibile
emerge l’UNO, la forma rūpa, infinita, eterna, non-locale:
cidānandarūpaḥ śivo ‘ham sivo ‘ham2 sono la forma della coscienzabeatitudine, sono Śiva sono Śiva. Nelle traduzioni correnti il termine rūpa viene reso
1
2
Māṇḍūkya Upaniṣad II
Tratto dal canto Śivo ‘ham śivo ‘ham Opere Brevi Aśram Vidyā pag. 280
3
con “essenza”, ma non è corretto, vuol dire proprio “forma”; gli antichi saggi sanscriti
(forse Śankara stesso) avevano già intuito, molti secoli prima che la fisica quantistica
di ultima generazione lo confermasse, come si presenta il sostrato della realtà.
La forma è il trentaseiesimo tattva principio puro, Śiva-Śakti, che costituisce ciò che
viene identificato anche come il potenziale sub-quantico, il cui livello di realtà è
aspaziale, atemporale, non-locale, perciò eterno e infinito. Si tratta della forma che non
ha forma, rappresentato nella simbologia dei sampradhāya con lo Śivaliṇgam,
monolite ovaloide che rappresenta il pene di Śiva inserito in una sagoma disegnata per
terra, la yoni, rappresentante la vulva della Śakti.
Questo stato di pienezza pūrṇa assoluta costituisce l’ordine implicito non-locale che
emana sia prakāśa splendore, onde di luce intelligenti (non probabilistiche), sia
energia vibrante spanda sacra vibrazione, avente la natura delle tre śakti (f.)
potenze: icchā volontà, jñāna ideazione e kriyā azione. Sono le ruote delle
potenze corrispondenti alle frequenze delle energie vibranti che incontrando gli schemi
di interferenza (pensiero) fanno apparire tutti i diversi oggetti dell’emanazione.
Essendo illuminati dal flusso prakāśico, le differenti configurazioni manifestano i
campi di realtà ai vari livelli di esistenza oscillanti tra la polarità dell’apparente dualità,
il Due che prelude alla molteplicità della differenziazione, del tre, quattro…
Abbiamo appena esposto quella che può essere considerata la sorgente da cui ha
origine il corpo causale del jīva. Corpo causale che pervade e sostiene il corpo sottile
e il corpo fisico, in un continuo rimando, istante per istante, di riverberi tra la coscienza
jīvaica individuale e quella śivaica universale, paragonabile alla coproduzione
condizionata contrapposta al vuoto śunya di Nāgārjuna, alternanza di saṁsāranirvāṇa mondo-estinzione. Per mezzo di questa eco, l’Essere divino conosce Se
stesso nella Sua manifestazione giocosa līlā.
Più precisamente il processo di autoconoscenza avviene in questo modo. La sacra
vibrazione spanda-śakti, emanata dalla coscienza di Śiva, ha insita in sé la realtà
universale e individuale potenziale, sia sottile che materiale. Le onde sub-quantiche,
prakāśa, si rifrangono su uno specchio, lo schema di interferenza “visto” dalla mente
umana. Qui si formano le immagini dell’olomovimento sia del piano sottile (pensieri,
sentimenti, sogni ecc.) sia di quello grossolano (il corpo, l’universo, gli oggetti, i suoni
ecc.). Queste stesse immagini ideali sono elaborate dalla coscienza individuale come
vimarśa consapevolezza riflessa. Vimarśa è l’effetto di rimando all’intelligenza
divina delle esperienze riflesse del corpo sottile e del corpo grossolano, ovvero la
proiezione olografica di tutta la realtà su questo piano di esistenza. Si può dire che la
consapevolezza è lo specchio della coscienza, mentre il pensiero ne è il riflesso. Più la
configurazione è pura più il riflesso ha la stessa luminosità della luce divina prakāśa.
Come vedremo più avanti, il corpo fisico appartiene alla stessa dimensione quantica
che ci permette di contemplare la natura prakṛti. La coscienza śivaica crea il mondo
quando la sua Luce illumina lo schema su cui interferiscono le vibrazioni che per
effetto delle loro diverse frequenze determinano sia la forma pensiero nell’ordine
implicito sia la condensazione, solidificazione e precipitazione quantica, che fa
apparire l’ordine esplicito, il continuum spazio temporale tridimensionale della fisica
newtoniana.
La coscienza individuale, il corpo causale, è l’involucro denominato
ānandamayakośa guaina fatta di beatitudine.
4
Buddhi
La buddhi intelligenza è la parte più nobile della mente umana, quella intuitiva,
l’intelligenza risvegliata; è detta anche ragione pura (purificata), intelletto superiore,
intuizione superconscia, intelligenza noetica.
Viene attivata qualora si verifichino due circostanze concomitanti.
La prima è soggettiva e volontaria:
1. il jīva segue la sādhanā la disciplina spirituale, cioè il lavoro sulla
consapevolezza, sulla presenza e sull’attenzione continua riguardo al mistero della
sacra vibrazione universale, assumendo l’atteggiamento di meravigliato stupore
vismaya camatkāra di fronte alla natura non duale della realtà in cui si riconosce.
Io non vedo più persone e cose, io vedo solo coscienza, vibrazioni del campo
energetico ovvero l’essenza spirituale intrinseca;
2. il jīva è seriamente e sistematicamente impegnato nello studio dei testi sacri
sanscriti. Si deve studiare, studiare e… studiare. Il sanscrito ascoltato, ad esempio la
Bhagavad Gītā cantata da Anuradha Paudwal3, letto e recitato produce una vibrazione
che ha la frequenza del DNA e con un effetto curativo sia sul piano psicologico che su
quello fisico, inducendo benessere, pacificazione e gioia.
3. il jīva obbedisce ad una sola legge umana e divina, vale a dire l’amore universale,
e, destrutturando l’io empirico, opera per il bene, l’equilibrio e l’armonia in sintonia
con le leggi cosmiche del dharma: il sanātanadharma la legge della Tradizione
eterna.
La seconda è oggettiva:
è indispensabile che Maheśvara elargisca la Grazia, saṃgraha ottenimento o
śaktipat il potere del Signore, di svelarsi ad alcune anime4, piuttosto che ad altre,
paśu armenti (animali che hanno la catena al collo) ovvero le persone implicate
nell’ignoranza dell’illusione.
Corrisponde all’involucro buddhimayakośa guaina fatta di buddhi.
Manas
manas la mente operativa razionale empirica. In realtà si dovrebbe parlare di
antaḥkaraṇa organo interno, che oltre al manas comprende il citta memoria,
pensiero conscio e inconscio e l’ahaṁkāra il senso dell’io, l’ego, struttura mentale
illusoria, non-reale frutto dell’ignoranza ajñāna o avidyā, impedimento alla
pienezza della libertà svātantrya esistenziale. La mente umana viene qualificata dai
guṇa5 le qualità veicolate dal prāṇa, in particolare rajas e tamas fanno perdere
all’ente il discernimento e il ricordo di ciò che è.
Corrisponde all’involucro manomayakośa guaina fatta di manas.
Hṛdayam
3
https://www.youtube.com/watch?v=9H-XIUq1Ldc&list=PL4D4B606F36B4B5DB&index=1
https://www.youtube.com/watch?v=jGm_ojemYpE&index=1&list=PL86DB20F143153812
4
Si tratta del quinto pañcakṛtya, gli atti della Creazione (vedi Tantra – lo Śivaismo del Kaśmīr,
Kamalakar Mishra, pag. 191).
5
I guṇa, qualità, sono tre: sattva purezza, rajas attività, tamas ignoranza oscurità inerzia. Questi
attributi sono costitutivi del jīva e corrispondono grossomodo al temperamento e al carattere della persona.
Al momento della morte seguono il riflesso di coscienza migrando dal piano fisico al nuovo livello
esistenziale di destinazione.
5
hṛdayacakra6 il cuore, la sede delle emozioni, dei sentimenti, dell’amore. Assume
una grandissima importanza al momento della morte del corpo fisico, in quanto la
coscienza, con tutte le sue facoltà, si concentra come pura luce nel cuore, da dove
prenderà la via della nāḍī suṣumṇā il canale centrale o una delle altre cento strade.7
Prāṇa
prāṇa il respiro, ma soprattutto l’energia vitale, che si attiva al momento del
concepimento come estensione della madre, caratterizzando il nuovo individuo con il
karman8, letteralmente azione e con i guṇa. Il prāṇa è il campo energetico che
avvolge il corpo grossolano con diversi involucri stratificati (si dice siano otto), dai
più densi ai più rarefatti, quasi a tutti invisibili, e sostiene la vita fino a riassorbirsi nel
prāṇa universale, secondo la via cui è destinato il corpo sottile. Il jīva dopo essersi
liberato dal karman residuo, rilasciato sotto forma di prāṇa individuale, si reincarna in
un nuovo corpo per ritentare l’esperienza di conoscenza jñāna e realizzare l’advaita
non dualità dell’essere su questo piano di esistenza duale.
Il prāṇa si accumula e viene distribuito dai cakra ruote, cerchi, che risiedono lungo
la colonna vertebrale. Essi sono:
mūlādhāra il cakra del radicamento alla terra. Dà energia alle ghiandole surrenali,
che regolano gli impulsi nervosi attraverso la produzioni di ormoni, adrenalina,
noradrenalina ecc.
svādhiṣṭhāṇa il cakra della sessualità e dei potenziali emotivi. Alimenta le gonadi,
gli organi genitali che producono gli ormoni sessuali.
maṇipura il cakra delle emozioni, del potere e della forza. Alimenta il fegato e il
pancreas.
anāhata il cakra dell’amore situato nel centro cuore sede dell’identificazione.
Alimenta il timo, ghiandola primordiale preposta alle difese immunitarie.
In realtà la sede delle emozioni non è il cuore ma il cervello, tant’è che nella tradizione lo hṛdayam non è
menzionato come componente del jīva. Tuttavia il cervello, che opera indipendentemente dalla volontà per
le funzioni neurovegetative e su atto volontario nell’ambito delle scelte razionali, gestisce anche i
sentimenti buoni o cattivi et similia. L’organo più importante dopo il cervello è l’intestino tenue, che è la
sede delle emozioni, spesso incontrollabili, con tutta una serie di effetti e conseguenze sulla persona. Per
questo preferisco collocare nel cakra del cuore la sintesi mediana di questi due centri dell’interazione
emozionale con la realtà.
7
“Il jīva aderisce al fisico denso principalmente mediante due “fili” luminosi, l’uno ancorato alla testa che
esprime la coscienza e tutte le sue facoltà, l’altro al centro del cuore che dà vita alla forma corporea; quando
quest’ultimo si stacca si ha quella luce splendente, segno che il jīva ha lasciato il suo strumento di contatto
col piano fisico. La coscienza può anche ritirarsi, senza comunque staccarsi completamente, mentre il corpo
grossolano continua ad essere vivo, come avviene nel sonno, o in altri stati inconsapevoli; per esempio,
nella condizione di coma. (Brahmasūtra, ed. Aśram Vidyā, pag. 457)
8
Il karma è di tre tipi: il prārabdha, il karma di ritorno, quello già maturato, che è già in atto e va a
compimento (il cui ultimo aspetto è il corpo fisico); il saṁcita, il karma pregresso accumulato in questa e
nelle vite precedenti, non ancora a maturazione, dovuto a tutte le azioni (pensieri, parole, opere, omissioni)
che hanno procurato merito e demerito; l’āgāmin, il karma potenziale che può essere prodotto dalle azioni
future. Con la disidentificazione dall’io empirico si estingue il saṁcita e l’āgāmin non avrà sviluppo;
giungendo la dissoluzione del corpo, si esauriscono i frutti dei meriti e demeriti e si ottiene la liberazione
con la morte videhamukti, cui consegue (alla fine del kalpa) il riassorbimento del riflesso di coscienza
nella sorgente. Per il liberato in vita jīvanmukta, che si è riconosciuto in Paramaśiva (Bhairava), la
liberazione è già in atto, in quanto la sua coscienza si è identificata con Bhairava e il corpo non rappresenta
nient’altro che poco più di un’ombra, non costituendo più un legame o attaccamento su questo piano
esistenziale.
6
6
viśuddha il cakra della vibrazione, del suono, della parola. Alimenta la tiroide che
regola tutto il metabolismo e la paratiroide, che regola il metabolismo del calcio e delle
ossa.
ājñā il cakra delle funzioni mentali e della visione interiore (terzo occhio). Alimenta
la ghiandola pituitaria o ipofisi da cui partono gli impulsi per tutte le altre ghiandole.
sahasrāra il cakra dell’unione con l’Assoluto, vi entra l’energia vitale e da qui esce
la coscienza quando lascia il corpo. Alimenta la ghiandola pineale.
La terza vertebra coccigea è la sede della kuṇḍalinī il serpente femmina dormiente,
con la testa rivolta verso il basso. Dallo stesso punto si dipartono i due canali principali
le nadī che sono la ida il canale sinistro e la piṇgala il canale destro, i due canali
finiscono rispettivamente il primo nell’emisfero destro e il secondo nell’emisfero
sinistro del cervello. Il canale centrale suśumna è la via percorsa dalla dea kuṇḍalinī,
l’energia sessuale sublimata, quando viene risvegliata dal tantṛka praticante del
tantra e risale al settimo cakra.
L’involucro è prāṇomayakośa la guaina fatta di prāṇa.
Śarīra
- Deha
Il corpo fisico sthūlaśarīra, di cui parleremo più sotto. L’involucro è
annamayakośa la guaina fatta di cibo (siamo quello che mangiamo).
UN UNIVERSO TUTTO PER NOI
Tutti gli elementi sopra elencati, tranne il primo e l’ultimo, concorrono a formare
il corpo sottile sūkṣmaśarīra, che pervade tutto il corpo nel suo complesso e l’aura
circostante. Proiettato dalla mente, e quindi creato dalla coscienza, in ogni minima parte
del corpo fisico, anche la più piccola, è contenuto il tutto. La sua sede è principalmente il
cervello e il cuore umano. Il corpo sottile ha la funzione e lo scopo di creare non solo
l’esistenza psichica dell’individuo puruṣa essere umano, ma anche di interagire con
quella fisica del corpo materiale cosmico, appartenente alla sfera di prakṛti la natura.
Nel corpo sottile umano si produce tutta la realtà ideativa del pensiero:
immaginazione, fantasia, creatività, sentimenti, attività speculativa ecc. La realtà in
generale è in effetti un dominio delle indefinite frequenze a cui vibrano le onde all’interno
dell’ordine implicito, queste diverse frequenze creano la realtà della differenziazione. Il
nostro cervello è una sorta di lente che trasforma le frequenze nel mondo oggettivo delle
apparenze ābhāsiche riferite agli schemi di interferenza che compongono l’ordine
implicito. Il cervello decodifica e “vede” le onde emanate dall’ordine implicito, che è
Śiva [nome proprio e aggettivo che significa benigno], proiettate sullo schema di
interferenza della coscienza come manifestazione oggettiva spazio-temporale-causale,
tramite la Śakti potenza, energia di Śiva. Gli oggetti che appaiono nell’universo e le
leggi che lo regolano, dal macrocosmo al quantum più infinitesimale, “dovrebbero essere
considerati come campi di realtà, chimere né più né meno reali dei punti di riferimento in
un sogno gigantesco reciprocamente condiviso”9. Anche il corpo fisico, il veicolo della
nostra coscienza in questa vita, può apparire scarsamente reale in quanto vero e proprio
prodotto della nostra coscienza che proietta la materia, lo spazio, il tempo e ogni altro
campo di realtà dell’universo fisico.
9
Tutto è Uno, Michael Talbot, Ed. Urra, pag. 195.
7
Sembra che dette immagini rappresentino la realtà cosmica di questa
manifestazione, una delle indefinite e potenziali. L’ambiente in cui viviamo viene
percepito da ogni corpo sottile nell’ambito dell’immaginario collettivo sotto forma di
oggetti materiali senzienti e insenzienti, che si presentano composti da particelle
formatesi nell’ordine esplicito quantico denso prakṛtico. È il flusso della coscienza
śivaica, che da sottile diventa sostanza fisica materiale, in un continuo celarsi e svelarsi
secondo le leggi ipotizzate dall’epistemologia scientifica10 e dalle Leggi Cosmiche della
conoscenza esoterica11. Puruṣa, intelligenza sottile, e prakṛti, materia subordinata
passiva, contengono tutta la realtà apparente dell’ordine implicito-esplicito sottile e fisico,
chiamata ābhāsa apparenza.
Quando tutte le componenti che insistono sul piano sottile sono comprese e
trascese mediante l’identificazione con l’Assoluto, tutto ciò con cui ci rimane da fare i
conti è il “corpo fisico”, la più importante di tutte le configurazioni di interferenza
dell’ordine esplicito, modellata alla nascita dalla natura psico-fisica (DNA) e dal
condizionamento ambientale. Se lo schema che si produce nel cervello è condizionato
dall’ignoranza, separazione, ego, questo rifletterà un corpo di sofferenza, essendo l’ego
adharmico12 in quanto autoreferenziale, mentre l’unica realtà esistente è la Coscienza.
Tutto ciò che esiste, esiste all’interno della Coscienza di Śiva, che è l’unica Realtà,
assoluta non-duale.
TRA NASCITA E MORTE
10
Le leggi della tridimensionalità, della relatività e della fisica quantistica.
Le Leggi Cosmiche. Per quanto l’esistenza di superficie (prapañca, vyavahāra, saṃvṛtisatyam) si
manifesti nell’irrealtà dei fenomeni (vaitathyam), questa non coseità è regolata dalle Leggi Cosmiche.
Karma Ad ogni azione corrisponde una reazione (uguale) e contraria. Per azione si intende anche pensieri,
parole, omissioni. La Legge del Karma agisce anche se uno non la conosce. L’Universo pareggia sempre i
conti. È la legge fondamentale che non è legata ad una particolare religione, cultura, tradizione, area
geografica ma è veramente universale. Spieghiamola a tutti, educhiamo i bambini a rispettarla, ce ne
saranno grati.
Impermanenza Nel divenire fenomenico tutto è movimento. A partire dalla nascita ogni ente (tutto ciò che
esiste nello spazio-tempo) si trasforma ed evolve, cresce, arriva alla maturità e dopo decade con la malattia
e la morte, secondo il processo di emanazione, mantenimento, riassorbimento valido sia a livello
macrocosmico universale sia a livello microcosmico individuale. Solo l’Assoluto in sé è permanente.
Attrazione Quello che penso divento, anche quando dico di non volerlo.
Sincronicità Nulla accade per caso, tutto è determinato, voluto e realizzato dall’Intelligenza Universale,
secondo le sue leggi.
Interconnessione Tutto è Uno. L’Universo è una proiezione olografica: ogni parte contiene il Tutto. Se
muovo una foglia nel mio giardino si scatena un uragano alle Galapagos, se dico una parola sbagliata qui,
una razza, una etnia, una specie verrà oppressa e cancellata dalla barbarie del potere canaglia.
Irreversibilità Tutto tende a Dio e nulla può essere modificato, ritrattato, perdonato, cancellato ex tunc.
Abbiamo la responsabilità di co-creare l’universo secondo le sue leggi. Come diceva una mia vecchia
conoscenza: “Non si torna indietro”.
Necessità La Mente Cosmica richiede necessariamente l’obbedienza alle leggi che il Signore della
manifestazione, Maheśvara, ha fissato. Non possiamo interferire sull’esterno ma solo agevolare il processo
della creazione continua. Essere ciò che siamo dicendo “sì” a tutto ciò che è. Accettare il corpo, controllare
la mente, stare nel presente del corpo di beatitudine. Trascendere la polarità io/Dio nella consapevolezza di
essere l’Io di Dio.
Le Leggi Cosmiche sono per chi non ha compreso e il loro funzionamento va nella direzione del dharma,
che è ordine, armonia, equilibrio. Si tratta di allineare la nostra frequenza all’energia della Sacra Vibrazione
con l’Amore per noi stessi e il Bene degli altri.
12
Non tutto l’ego è negativo. Una funzione insopprimibile è la sopravvivenza e la conservazione del veicolo
psico-fisico.
11
8
L’opposto della morte non è la vita, ma è la nascita. Il riflesso di coscienza non è
mai nato e ciò che non nasce non può morire, mentre ciò che nasce, il corpo, deve per
forza morire. Siamo abituati a vedere la vita come l’intervallo tra la nascita e la morte di
una persona. Niente di più erroneo. Una persona è un essere eterno, perché la sua essenza
è l’eternità della sorgente da cui è emanato il riflesso di coscienza che si è identificato in
quel corpo-mente in quanto manifestazione.
L’esperienza della vita non è facile per nessuno. Non lo è stata neanche per i
Maestri. Sappiamo del dolore del Buddha, l’omicidio/suicidio di Socrate, la passione e
morte di Cristo. Indiscussi santi come Ramakrishna, Ramana Maharshi e Aurobindo sono
morti di tumore. Sembra che il corpo non sia poi così tanto forte e protetto da scongiurare
accadimenti improvvisi, apparentemente senza causa e senza senso.
Tutti i giorni siamo a contatto con la malattia e la morte. Spesso non ci facciamo
più caso, perché queste vengono banalizzate dai media per fare audience, semplici notizie
meno importanti dell’uscita del nuovo iPhone e, naturalmente, purché non ci riguardino
da vicino.
Si muore anche da bambini. Sembra paradossale. Ci si chiede perché… perché...
Quando muore un figlio si prova un dolore inimmaginabile. Perché un bambino piccolo
muore? Ci possono essere più ragioni. Una di queste può essere che qualcosa sia andato
storto nel progetto di vita scelto dal veicolo karmico e quindi, accertata l’impossibilità di
conseguire la liberazione, l’impresa viene rimandata ad una situazione più favorevole in
un altro spazio, tempo o dimensione. Un’altra ipotesi è che questa anima avesse solo un
piccolo residuo karmico da estinguere e quindi si sia incarnata per compiere il percorso
mancante e completare l’opera di realizzazione. Un altro valido motivo è che ci sia stato
il tentativo di compiere un atto sacrificale allo scopo di far capire a qualcuno qualche cosa
su cui di solito non si riflette, cioè per richiamare l’attenzione sulla necessità di conseguire
il risveglio, possibilmente con inderogabile urgenza. Utilizzando una metafora abusata, è
come il caso in cui un uomo i cui vestiti hanno preso fuoco cerca una pozza d’acqua per
buttarcisi dentro e spegnere le fiamme che lo divorano. Questi tentativi spesso non hanno
un esito favorevole.
LA FORZA DEL DESTINO
La morte avviene anche quando sono stati conseguiti gli obiettivi di illuminazione
dell’anima e a quel punto non rimane che esaurire il prārabdhakarma cioè il karma
residuo che va a compimento. Le cause della morte possono essere molteplici, vecchiaia,
malattia, incidente, epidemia, guerra ecc. ma sempre in un disegno che possiamo anche
definire come il destino dell’individuo.
In questa prospettiva assume grande importanza il grado di consapevolezza che
abbiamo del nostro corpo sottile. La questione riguarda l’esercizio del libero arbitrio,
ovvero la libertà svātantrya e la volontà icchā. Infatti è nostra la scelta se operare
kriyā, l’azione spontanea e naturale del divino, oppure karma, azione inconsapevole
nella dinamica sāṃsarica di causa-effetto. In altri termini, dovrei ridimensionare il mio
libero arbitrio egoico per armonizzarlo con il dharma. Sono io che determino il mio
destino. Sono io che creo la mia realtà. Poiché non esiste che Dio, si dovrà arrivare a non
esercitare più il “proprio” libero arbitrio ma a far coincidere la propria volontà con quella
di Dio, che è libertà assoluta. Non vale più la sentenza “sia fatta la tua volontà” che viene
invece sostituita da quest’altra: “Signore fai sì che io compia, solo, la Tua volontà”.
L’evento morte del corpo grossolano non significa la fine della vita, ma è solo il
trasferire la propria coscienza, portandosi appresso le sue qualità guṇa, i saṃskāra semi
9
causali e le vāsanā tendenze latenti, che la persona ha modellato sul piano fisico,
mediante l’accesso ad un altro livello esistenziale. Ecco perché la meditazione su Śiva
non-duale, che si è praticata incessantemente su questo piano di esistenza, continuerà
anche sui piani sottili, fino ad aver realizzato l’identità con Śiva. In questo percorso che
l’anima compie dopo la morte del corpo grossolano, le funzioni sensoriali e la parola
cessano di esprimersi, riassorbendosi nel mentale, che persiste anche dopo aver lasciato
l’involucro fisico.
LA VIA DELL’AMORE
Per evitare di crearci un destino complicato durante questa vita e nel dopo morte,
costellato di dolore fisico e sofferenza psichica, l’unica via da seguire, sādhanā
disciplina spirituale, è quella del bene śreya dell’amore, prema o madana.
Si deve amare tutto e tutti, a maggior ragione il proprio corpo. Se consideriamo,
anche inconsciamente, il corpo solo l’involucro contenitore di una mente condizionata,
che coltiva possessione, invidia, gelosia, rabbia, resistenza a ciò che è, sensi di colpa,
limitazione della libertà, costrizione in dipendenza e schiavitù, pretesa che si avverino
sempre le proprie aspettative, paure e pregiudizi, il corpo nel tempo subisce dei danni e
inaridisce, la forza vitale non lo protegge più e si ritira.
L’amore è un flusso di energia, la più potente dell’universo, è un’onda di luce e
di gioia che per alimentarsi ha bisogno di scorrere liberamente. Se rivolgo l’amore solo
verso me stesso, l’opacizzazione dovuta all’egocentrismo crea un velo d’ombra che
assorbe la luce, la luce della coscienza e infine il flusso si interrompe. Ci sono persone
che muoiono intorno ai cinquant’anni. Un’età critica per tumori, infarti, malattie
degenerative, suicidi ecc. Quando ad un certo momento risulta evidente che l’anima non
riuscirà ad ottenere il mokṣa liberazione, la sorgente ritira la sua luce da quell’ente che,
diventato opaco alla pervasione dello spirito, non è in grado di riflettere un tale splendore
e rimandare l’eco vimarśa di conoscenza alla Divinità, perché possa godere della Sua
creazione sṛṣṭi e del Suo gioco līlā.
AMO QUINDI SONO
Abbiamo visto come i guṇa concorrono a condizionare la nostra esistenza fin dalla
nascita, il cammino di conoscenza porta prima ad eliminare il tamas, poi a depotenziare
il rajas e infine a sintonizzarci sul sattva. La meta è incarnare il nirguṇa, la divinità
senza attribuzioni o qualificazioni. È un cammino di purificazione contraddistinto dal
lavoro e dallo studio delle scritture sacre, ma soprattutto amando incondizionatamente.
L’amore è l’unica fonte di gioia ānanda per il benessere psicologico e fisico.
Quindi, se la mente è separativa occorre adoperare un collante che congiunga e
integri i due piani del corpo sottile e del corpo fisico, in modo tale che i due entrino in
risonanza, non dimenticando che ogni perturbazione mentale crea un oggetto in
movimento, causando effetti sulla mente sotto forma di sofferenza psicologica, oppure
problemi di salute del corpo. Ogni guaio fisico vecchio o nuovo influenza l’integrità
mentale e viceversa. Bisogna aver cura del corpo sciogliendo la mente dalle tensioni
consce o inconsce, dovute al desiderio di tenere tutto sotto controllo e quindi trattenendo.
Liberare il corpo dalle inibizioni e dalle limitazioni, se non addirittura
dall’autolesionismo, pensiamo solo a due cose, all’uso e abuso di medicine chimiche il
più delle volte inutili (farmaci contro l’ipertensione e il colesterolo), oppure alla moda
delle ragazze che vanno in giro con tacchi alti, jeans stretti, schiene scoperte, trucchi
pesanti, fumo, alcol, droga, ore da sballi ecc.
10
Sembra che sia tutta questione di… testa, mentre il corpo appare il risultato dei
blocchi e dei coaguli energetici creati dalla psiche che li ha scaricati sul corpo per liberarsi
dalla sofferenza, dalla depressione e dal dolore. I problemi relegati nell’inconscio
dall’operazione di rimozione sistematica, una volta emersi, innescano scompensi emotivi
tali da provocare sbalzi ormonali, liberando eccessi di adrenalina, endorfina, serotonina
ecc. a carico degli organi. Non ne è responsabile solo il cervello, un ruolo rilevante è
svolto da un “secondo” cervello de-localizzato nell’intestino tenue, vera centralina di
controllo di tutte le funzioni, a volte trascurato e dimenticato, ma di cruciale importanza
per la salute.
SIAMO (TUTTO) IL CORPO
Possiamo considerare il corpo come un simbolo, lo strumento per mezzo del quale
siamo in grado di esprimere una qualità universale, come l’Amore e la Conoscenza
śivaica, e tuttavia non è consentito identificarci solo con il corpo fisico. Come abbiamo
visto ci dimentichiamo, in quanto fuori dalla portata della nostra vista, che il prāṇa, uno
degli aspetti delle frequenze della realtà, è un campo energetico che avvolge il corpo fisico
anche intorno a questo. L’aura è un sottile involucro di luce simile ad un alone, che si
trova esternamente alla normale percezione umana. Lo scopo del lavoro sul corpo è
ripristinare quell’equilibrio tra il corpo fisico e gli altri involucri, tale da portare
benessere, guarigione e speranza di vita prolungata in piena salute. In altri termini, lo
scopo del massaggio tantrico è realizzare l’armonizzazione tra il corpo fisico, il corpo
sottile e il corpo causale.
Dobbiamo lavorare sul corpo. Dobbiamo farlo convinti della sua unità con il Tutto
percepita attraverso la meditazione sul corpo, poiché ogni parte anche la più
microscopica, contiene in sé l’immagine di tutto l’universo, come pure un singolo
elettrone contiene in sé tutto l’infinito universo che lo sostanzia.
La natura del corpo è la vibrazione. Posso sentirne le frequenze ponendomi in uno
stato di fusione, alla condizione di abbandonarmi completamente. Occorre mettere alla
prova la propria fede, la propria fiducia, la consapevolezza che se vengo toccato dall’altro,
l’altro non è che me stesso e che io sono lui. Realizzo questa verità consapevole che
l’essenza dell’altro ha la natura del fascio di luce divina riflessa nella coscienza
trasfigurata, come nella narrazione del monte Tabor.
Lasciamo andare ogni pensiero, facciamo parlare il corpo, diventiamo semplici,
innocenti, indifesi, come bambini piccoli, neonati che ancora non erigono barriere o
indossano corazze, ma sorridono, tendono la manina verso la mamma sapendo che non la
respingerà mai e la terrà stretta a sé.
MASSAGGIO TERAPEUTICO
Si può chiedere a una persona di porre l’attenzione su una parte del suo corpo. È
possibile che lo faccia per un poco, ma la concentrazione non sarà profonda perché
ognuno è abituato ad avere quella parte di corpo e poco dopo l’attenzione va
all’elaborazione mentale di nuovi pensieri. Se però io prendo in mano e tocco la parte del
corpo di una persona, questo contatto obbliga la persona a tenere l’attenzione su quel
tocco e quindi su quella parte. Il massaggio non è un semplice sfioramento o una pressione
meccanica, ma è invece un penetrare nell’essenza spirituale di quella persona attraverso
quella “porta”. Tocco la parte del corpo con le dita, con la mano, con il braccio, con il
cuore (col petto), con il viso, con la bocca. Trasmetto la mia energia d’amore, sono la
mamma che tocca il suo bambino per farlo stare bene, per rassicurarlo, sono io che tocco
la parte del corpo dell’altro come se toccassi il mio corpo.
11
Nell’eseguire questo che possiamo definire come un massaggio terapeutico,
dobbiamo tener presente che noi stiamo intervenendo non sul corpo materiale ma su un
essere fatto di vibrazione e frequenze, il cui campo energetico è fatto di coscienza.
Muovendoci lungo tutta l’estensione della persona a noi affidata, sappiamo che il confine
non è la forma apparente, ma che deborda oltre al visibile con i vari involucri dell’aura ai
quali dobbiamo riportare la lucentezza dei colori. Abbiamo a che fare con un campo
elettromagnetico che vibra ad una certa frequenza. Un corpo malato fisicamente, confuso
mentalmente, infelice o depresso a causa della sua inconsapevolezza, vibra a basse
frequenze, essendo sintonizzato principalmente sul mondo materiale denso.
Il nostro intervento serve a innalzare la frequenza della vibrazione, portandola dai
livelli più bassi dell’opaco materiale a quelli più alti del sottile mentale consapevole e
infine al rarefatto spirituale della realizzazione. Si dà una preferenza al contatto con i
cakra. Lavorando sui punti dove sono localizzati i cakra, si trasmette l’energia per la
rimozione dei blocchi che impediscono alle funzioni endocrine di liberare tutte le loro
potenzialità di buon funzionamento e di benessere e di ridare dinamismo al campo
energetico di quella persona. Chi accede allo stato mistico è uno che non si è ritirato dalla
vita, ma è un conoscitore del campo e della sua interrelazione cosmica con tutte le cose,
sia rimanendo fondato saldamente nel viveka discriminazione e nel vairagya distacco,
sia rimanendo in contatto con ogni livello dell’esperienza umana.
Chi riceve il tocco è lui stesso che si tocca, si esplora e si sperimenta. La zona
toccata ha una sua storia, è la spalla che mi fa o mi faceva male perché avevo subito un
trauma, è il punto in cui mi è stata fatta una terapia di tipo allopatico, è la memoria
muscolare di una cattiva abitudine che si è cristallizzata inopportunamente, è lo sciogliersi
dei blocchi, dei nodi psicologici che si sono trasferiti su una parte del corpo: un braccio,
una spalla, il cuore, la schiena ecc., sono i coaguli energetici da dipanare. La connessione
tra chi tocca e chi è toccato parte dal cuore e arriva al cuore tramite l’energia d’amore. Io
amo quel corpo, gli do tutto me stesso, non guardo la forma, non giudico se è bello o
brutto, piacevole o non piacevole, grasso magro grande piccolo, io sono unito a quel corpo
e realizzo l’unità non-duale tra il mio e il corpo dell’altro.
Tutti quelli che fanno la stessa cosa in quel momento lavorano per realizzare
questa unità non duale che è l’ordine superiore della realtà apparente. Trasferisco
l’esistenza del corpo fisico alla presenza del corpo sottile, il corpo fisico sparisce dentro
la consapevolezza del sovra-mentale, il mentale si identifica totalmente nel corpo,
diventano l’uno l’altro, una cosa sola. L’esperienza richiede l’abbandono totale all’altro:
la fiducia incondizionata, il liberarsi totalmente dall’ingombrante dominio
dell’autocontrollo su se stessi e sugl’altri. È un atto di fede nella divinità che sta operando
su di me per il mio bene, per il risveglio adhitya alla consapevolezza di chi sono. Lo
condivido con l’altro e con gli altri che fanno, pensano e agiscono tutti allo stesso modo,
liberando un’energia empatica di forte sinergia evocativa della presenza onnipervadente
della coscienza assoluta, che appare nelle coscienze individuali che hanno vinto la
schiavitù della mente separativa.
LA VIA DELLA GUARIGIONE
Se facciamo questo ci lasciamo penetrare dall’energia dell’amore universale in
ogni cellula, in ogni parte del nostro corpo, nessuna esclusa. Quando A tocca le varie parti
del corpo di B, la zona toccata entra in risonanza e rivela la condizione di benessere o
sofferenza che è celata là dentro, come un malware o un trojan horse nel computer.
Lasciamo parlare il corpo, gli lasciamo esprimere il rimando dell’energia d’amore e di
12
guarigione. L’amore è l’energia più potente dell’universo. Se non si avranno benefici
immediatamente apprezzabili, ripetendo questa pratica si otterranno di sicuro. Si deve
lasciare andare il corpo, lasciarlo libero di “sentire” che vengono smantellate le difese,
quelle rigidità che impediscono all’amore di pervadere terapeuticamente le lesioni
presenti nelle memorie cristallizzate, retaggio di possessione, invidia, gelosia, diffidenza,
pregiudizi, controlli, divieti, quando si voleva comandare i giochi, dirigere il traffico,
guidare il pullman, pretendere di realizzare le proprie aspettative, senza fidarsi
dell’intelligenza cosmica che è la natura del potenziale quantico Śiva espressa nell’ordine
implicito, la Coscienza cit o saṃvid, che è l’unica cosa che conta, il bene la gioia l’amore.
Di non amore si muore, di controllo nevrotico della mente ci si ammala, lavorando
sul corpo si lavora sull’unica cosa oggettivamente apprezzabile con i sensi, la materia con
cui si manifesta il corpo che non può essere esclusa perché fa parte di quell’integrità
psicofisica che non può essere considerata formata da parti separate, né nella sfera
individuale personale né in quella dell’interazione con l’altro.
In questo corso tutti noi stiamo facendo una pratica di esperienza della non dualità,
se ci riusciamo è perché tutti l’abbiamo voluto, e se qualcuno ha delle perplessità
aiutiamolo a prendere coscienza che questo gruppo può raggiungere la realizzazione se
tutti danno il loro contributo. La meta finale è la liberazione, il superamento
dell’ignoranza e della schiavitù all’interno del sogno dell’illusione, non solo dal karma,
ma soprattutto la libertà della coscienza, della mente e la liberazione del corpo.
Il corpo può diventare la pattumiera della mente. Quando la psiche non ne può più
perché ne ha viste troppe, o impazzisce o si scarica sul corpo, non si sa quale delle due
sia preferibile. Qui dentro siete tutte belle persone, ma basta andare per strada, vedere la
Tv, andare negli ospedali o negli ospizi, per accorgersi come uomini e donne hanno corpi
che rivelano i segni della sofferenza a causa della loro condizione di povertà e di
ignoranza. Perché ci appaiono così degni di amore e compassione e nello stesso tempo ci
pongono la domanda come voglio essere tra dieci venti trent’anni? Progettiamo la nostra
vita; le resistenze, le opposizioni, i conflitti vengono somatizzati, e le cose più pericolose
sono quelle di cui non ci accorgiamo. Non aspettiamo a curarci quando stiamo male per
rimettere a posto le cose. Quello che c’è da fare dobbiamo farlo adesso che abbiamo la
salute. Quando saremo malati sarà troppo tardi, non potremo più fare niente, saremo preda
solo della preoccupazione della malattia. Le medicine allopatiche non avranno effetto su
di noi, ma peggioreranno solo la situazione. Inoltre, va tenuto conto che la medicina
tradizionale indiana non ha nessuna considerazione per la psicologia e la psichiatria, solo
il corpo è da curare. La malattia mentale è un coagulo energetico, un vortice,
un’increspatura del flusso energetico determinato da un’ostruzione o da un’impurità
spirituale, l’inconsapevolezza causata dall’ignoranza. Non trovandone una
decodificazione tramite la buddhi, la mente focalizza il malessere in se stessa e per non
somatizzare il dolore lo rimuove nell’inconscio, scaricando gli squilibri ormonali sul
corpo. Si deve fare un’azione a tenaglia. Dall’alto purificandosi attraverso la presa di
coscienza della realtà non duale e il ridimensionamento dell’ego, e dal basso rimuovendo
i blocchi fisici per rimandarli alla mente che, invece di nasconderli sotto il tappeto
(l’inconscio), li elabora e li trascende.
Il massaggio d’amore fa affiorare dal corpo alla coscienza le memorie cellulari,
sciogliendole prima nel cuore, ricostruendo i processi emotivi, metabolizzando le energie
pesanti a livello interiore attraverso la liberazione dalla schiavitù degli attaccamenti, dei
sensi di colpa, della mortificazione, frustrazione, disistima, inerzia, per ripartire con
l’autonomia, l’autostima e la creatività.
13
Equilibrio tra mente e corpo sì, ma senza la fede13 śraddhā e la presenza
ininterrotta nella consapevolezza che solo Dio esiste con il collante dell’amore, nemmeno
noi avremmo molte chance; subiremmo un processo automatico indipendente dalla nostra
volontà, una pericolosa deriva a cui reagire subito, senza rimandi.
LA TECNICA
I partecipanti, che sotto la tuta da ginnastica o similare, indossano un costume o
dell’intimo, due pezzi per le signore, avranno un asciugamano grande, una coperta e un
cuscino per la testa, mentre i tappetini sono già disponibili nel centro. È necessario portare
l’olio da massaggio, accendere un incenso lieve e una candela davanti alla divinità
(portata da me). Sarà opportuna anche una musica soft, possibilmente indiana, a basso
volume, quasi impercettibile.
Prima di iniziare la pratica si formano le coppie. L’ideale sarebbe uomo-donna o
donna-uomo ovviamente, ma data la scarsa presenza maschile vanno bene anche coppie
formate da sole donne.
Inizialmente le coppie saranno formate dai partner abituali se uomo-donna, mentre
nel caso di due amiche intime è preferibile non stiano insieme. Il motivo è che se c’è
molta familiarità e confidenza è evidente che la fiducia è già insita in quella relazione e
risulterà più difficile misurarsi con uno dei temi più importanti di questa pratica che è
l’affidarsi. Ci dobbiamo fidare di una persona poco conosciuta, perché dobbiamo
percepire profondamente che noi siamo quella persona e lei è noi. Negli incontri
successivi, quando si ripeterà questa pratica, le coppie, nei limiti del possibile, saranno
sempre rinnovate. Ecco le fasi della pratica:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
Si stendono i tappetini appaiati in modo casuale, non troppo allineati.
Si pone l’asciugamano sul tappetino.
La pratica inizia al gong della campana tibetana.
Ogni membro della coppia si mette l’uno di fronte all’altro e se i due non si conoscono
già si presentano.
Le coppie si sdraiano affiancate.
Si prendono per mano un minuto o due, cercando di armonizzare il respiro dell’uno con
il respiro dell’altro.
Chi viene massaggiato si sveste.
Indichiamo con la lettera A chi massaggia e B chi è massaggiato.
B si distende sul tappettino-asciugamano, abbandonando il corpo alla terra senza alcuna
tensione libero da contrazioni a livello dell’apparato scheletrico-muscolare e del sistema
nervoso.
A si porta ai suoi piedi in ginocchio con l’olio.
La coperta può essere utilizzata per ricoprire le parti da fare o già fatte e mantenerne il
calore.
A inizia a massaggiare B.
Il contatto viene fatto servendosi delle mani, del cuore, del viso.
Il tocco è dolce, carezzevole, morbido, sensibile, rassicurante, efficace, colmo d’amore.
A deve sentire il corpo di B come se sentisse il proprio.
B deve sentire il tocco di A come se fosse lui stesso a toccarsi.
A si sofferma su tutte le parti di B da massaggiare: epidermide, tessuto connettivo,
muscolatura, articolazioni, organi esterni ed interni.
13
La fede non è credere in qualche cosa che ci viene detto da qualcuno (religioni ecc.), perché vorrebbe
dire che quella cosa è falsa, se credo in una cosa vuol dire che “io sono” quella cosa. La Speranza āśā,
invece è la virtù coltivata nel proprio intimo convincimento, che l’Inconoscibile al quale accederemo per
la nostra Fede e con la Grazia divina, ci porterà a risolverci nella dimensione della non-dualità.
14
18. Dai piedi alle gambe, cosce, bacino, addome, petto, spalle, braccia, mani, collo viso,
capelli.
19. Dopo un quarto d’ora, B si gira sul dorso e A riprende dai piedi, gambe, cosce, glutei,
colonna sacrale, lombare, dorsale, cervicale, testa.
20. Dopo questo secondo quarto d’ora le coppie si scambiano i ruoli.
21. Passata la seconda mezzora, i due si ridistendono appaiati e fanno cinque minuti di
rilassamento per interiorizzare l’esperienza nel silenzio (interrotta anche la musica).
22. Al gong della campana tibetana, ci si riveste, ci si alza in piedi, ci si abbraccia un
momento e si scambia ancora un abbraccio con tutti gli altri.
La sequenza dei gesti, la pressione, la direzione del movimento ecc., saranno spiegati nel
corso della dimostrazione pratica.
Ho imparato che la calma è molto più destabilizzante della rabbia...
che un sorriso disarma molto più di un volto corrugato
ho imparato che il silenzio di fronte ad un’offesa è un grido che fa tremare la terra
ho imparato che come un amore rifiutato non si perde ma torna intatto a colui che
voleva donarlo; così accade per la rabbia e le offese...
siamo noi a decidere se farci toccare o meno da un sentimento
di qualsiasi sentimento si tratti.
Non importa se stai procedendo molto lentamente...
ciò che importa è che tu non ti sia fermato. (Confucio)
La Verità
Prima di tutto devi VOLERLA la Verità
quando diventa un’esigenza primaria ti arriva la Conoscenza, che è in sé filosofia
(metafisica), finché non ne hai fatto l’esperienza, allora diventa VERITÀ per TE
La Libertà che ne consegue non piace a tutti
non piace perché significa assumersi la responsabilità TUTTA di SE STESSI
È un percorso meraviglioso
NON È FACILE È QUESTIONE DI SCELTA.
15