L`O S S E RVATOR E ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
EDIZIONE SETTIMANALE
IN LINGUA ITALIANA
Unicuique suum
Anno LXV, numero 7 (3.777)
Non praevalebunt
Città del Vaticano
Giovedì 12 febbraio 2015
Visita
in periferia
Francesco assicura preghiera e solidarietà per le vittime del Mediterraneo
Lunga catena di morte
All’udienza generale paragona i figli alle dita della mano
Di fronte alle tragiche notizie, provenienti dal Canale di Sicilia, dove non
conosce tregua la lunga catena di morte legata all’immigrazione, Papa Francesco è tornato a lanciare un appello
per fermare le quotidiane stragi. Durante l’udienza generale di mercoledì
mattina, 11 febbraio, il Papa ha detto di
seguire «con preoccupazione» le notizie che giungono da Lampedusa «dove
si contano altri morti tra gli immigrati
a causa del freddo lungo la traversata
del Mediterraneo». Il Pontefice ha
quindi assicurato la sua preghiera per
le vittime, incoraggiando «nuovamente
alla solidarietà, affinché a nessuno
manchi il necessario soccorso». In precedenza il Pontefice, proseguendo nelle
catechesi dedicate alla famiglia, si era
soffermato sulla figura dei figli e aveva
sottolineato in particolare il «legame
stretto fra la speranza di un popolo e
l’armonia fra le generazioni». Una società «avara di generazione, che non
ama circondarsi di figli, è una società
depressa», ha detto.
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opo il primo conflitto mondiale, in cui l’Italia fu coinvolta proprio cento anni fa,
nella penisola molte cose non furono
più come prima. Molte le novità dal
punto di vista politico, giuridico, sociale, culturale, del costume; novità
anche sul piano della questione cattolica, a cominciare dalla Questione romana. Anzi, come annotava con il
consueto acume Arturo Carlo Jemolo
nella sua fondamentale storia dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, già
«dopo un anno di guerra (...) le cose
erano mutate».
Sul piano giuridico gli eventi bellici avevano collaudato, e non positivamente, la legge delle Guarentigie,
mostrandone gli insuperabili limiti;
sul piano politico le élite liberali al
governo cominciavano a rendersi
conto che l’unità del Paese, come comunità politica, non poteva prescindere dall’adesione delle masse cattoliche. I cattolici da parte loro, tramontate le interdizioni del non expedit,
erano ormai maturi per l’impegno
nella vita politica del Paese, andando
oltre l’impegno culturale e sociale nel
quale si erano rinserrati nei decenni
precedenti. La costruzione della «casa comune» non poteva prescindere
dal loro apporto.
Molte le ragioni del mutamento
appena accennato. Tra queste, certamente l’esempio concreto e fattivo di
D
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11 febbraio
collaborazione solidale dato dall’istituzione ecclesiastica e dai cattolici
italiani nei tragici anni di quella che
Benedetto XV aveva definito l’«inutile
strage». L’opera della Santa Sede per
i profughi, i rifugiati e i prigionieri,
voluta proprio dal Papa; l’immane
impegno caritativo delle associazioni
cattoliche, per feriti ed invalidi, per
vedove e orfani; l’aiuto formidabile e
quotidiano, sul piano materiale e morale, oltre che spirituale, ai soldati al
fronte, dato non solo dai cappellani
militari, che a decine lasciarono la vita sui campi di battaglia, ma dai tanti
sacerdoti e religiosi chiamati a condividere, sotto le armi, la durissima vita
quotidiana della trincea: sono solo
degli esempi, ma non secondari, che
aiutano a comprendere il mutamento
di clima accennato.
Non è un caso che a Parigi, nel
1919, durante la Conferenza di pace,
ebbero luogo i noti abboccamenti tra
monsignor Bonaventura Cerretti e il
presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando, nel corso
dei quali vi furono concrete aperture
per il superamento della Questione
romana. In quella occasione si ebbero significative anticipazioni di quanto sarebbe avvenuto dieci anni dopo,
a seguito della firma dei Patti lateranensi. Si trattò di anticipazioni non
solo sul terreno delle garanzie da assicurarsi alla Santa Sede per l’esercizio della sua alta missione nel mondo, e che nel 1929 avrebbero dato
luogo al Trattato del Laterano; ma
anche sul terreno, diverso eppure al
tempo stesso contiguo e solidale, della condizione giuridica della Chiesa
in Italia, cui un decennio dopo si ovvierà con il Concordato lateranense.
Che anche una prospettiva concordataria si era aperta lo avrebbe rivelato
più tardi, nell’età dell’Assemblea costituente, lo stesso Orlando.
L’odierna ricorrenza degli accordi
stipulati l’11 febbraio 1929 nel Palazzo
del Laterano suscita la memoria delle
scaturigini lontane di un processo
volto al superamento del doloroso
dissidio tra Stato e Chiesa in terra
italiana, i cui frutti sarebbero stati
poi raccolti da altri, rispetto a quanti
quel processo avevano attivato. Ciò
che si vuole qui sottolineare però è
che detto processo prende le mosse,
nei dolenti anni di guerra, da concrete, molteplici e forti esperienze di solidarietà della Chiesa nei confronti di
un Paese dilacerato dal conflitto;
esperienze che portano a collaudare
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Cibo per tutti
C’è cibo per tutti ma non tutti
possono mangiare, mentre continuano lo spreco e lo scarto alimentare: è «il paradosso dell’abbondanza» denunciato dal Papa in un
videomessaggio alla giornata di lavoro dedicata alle «Idee di Expo»,
svoltasi il 7 febbraio a Milano.
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paradigmi istituzionali di distinzione
nella collaborazione.
A ben vedere tutta la lunga storia
dei Patti lateranensi può essere riletta, pur nelle varie sfaccettature che i
diversi passaggi epocali portano con
sé, sotto tale ottica, che dell’accordarsi svela il senso più vero e profondo:
non quello di una insana compromissione tra ciò che è di Cesare e ciò che
è di Dio; non quello di una sospettosa actio finium regundorum tra istituzioni che reciprocamente diffidano;
non quello della ricerca del vicendevole interesse istituzionale; ma quello
del servizio a vantaggio della persona
umana, a diverso titolo e nel rispetto
della indipendenza ed autonomia reciproche.
Nell’articolo 1 dell’Accordo di Villa
Madama del 18 febbraio 1984, che ha
portato alla revisione del Concordato
lateranense, dopo il richiamo al principio di indipendenza e sovranità
nell’ordine proprio di ciascuno, si afferma l’impegno della Chiesa e dello
Stato alla «collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese».
Dunque il filo rosso della solidarietà, che nel profondo ha segnato
l’esperienza di un secolo nei rapporti
tra Chiesa e Stato in Italia, è finalmente emerso nell’Accordo del 1984,
divenendo normativamente un programma vincolante per il futuro.
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giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
All’udienza generale il Pontefice parla dell’importanza dei figli
Come le dita della mano
Sono tutti miei ma tutti differenti, diceva mia madre
Una società che considera i figli
«una preoccupazione, un peso,
un rischio, è una società depressa»:
lo ha detto Papa Francesco mercoledì
11 febbraio durante l’udienza generale
in piazza San Pietro, nella quale
ha continuato la sua catechesi
sulla famiglia. I figli, ha sottolineato,
«non sono un problema di biologia
riproduttiva, né uno dei tanti modi
di realizzarsi. E tanto meno sono
un possesso dei genitori. I figli sono
un dono».
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Dopo aver riflettuto sulle figure
della madre e del padre, in questa
catechesi sulla famiglia vorrei parlare
del figlio o, meglio, dei figli. Prendo
spunto da una bella immagine di
Isaia. Scrive il profeta: «I tuoi figli
si sono radunati, vengono a te. I
tuoi figli vengono da lontano, le tue
figlie sono portate in braccio. Allora
guarderai e sarai raggiante, palpiterà
e si dilaterà il tuo cuore» (60, 4-5a).
È una splendida immagine, un’immagine della felicità che si realizza
nel ricongiungimento tra i genitori e
i figli, che camminano insieme verso
un futuro di libertà e di pace, dopo
un lungo tempo di privazioni e di
separazione, quando il popolo ebraico si trovava lontano dalla patria.
In effetti, c’è uno stretto legame
fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni. Questo
dobbiamo pensarlo bene. C’è un legame stretto fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni.
La gioia dei figli fa palpitare i cuori
dei genitori e riapre il futuro. I figli
sono la gioia della famiglia e della
società. Non sono un problema di
biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno
sono un possesso dei genitori... No. I
figli sono un dono, sono un regalo:
capito? I figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo
stesso inconfondibilmente legato alle
sue radici. Essere figlio e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato
se stesso proprio accendendo la vita
di un altro essere umano, originale e
nuovo. E per i genitori ogni figlio è
se stesso, è differente, è diverso. Permettetemi un ricordo di famiglia. Io
ricordo mia mamma, diceva di noi —
eravamo cinque —: «Ma io ho cinque
figli». Quando le chiedevano: «Qual
è il tuo preferito», lei rispondeva:
«Io ho cinque figli, come cinque dita. [Mostra le dita della mano] Se mi
picchiano questo, mi fa male; se mi
picchiano quest’altro, mi fa male. Mi
fanno male tutti e cinque. Tutti sono
figli miei, ma tutti differenti come le
dita di una mano». E così è la famiglia! I figli sono differenti, ma tutti
figli.
Un figlio lo si ama perché è figlio:
non perché è bello, o perché è così o
cosà; no, perché è figlio! Non perché
la pensa come me, o incarna i miei
desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi ma destinata a lui,
al suo bene, al bene della famiglia,
della società, dell’umanità intera.
Di qui viene anche la profondità
dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita
dell’amore, che non finisce mai di
stupirci. È la bellezza di essere amati
prima: i figli sono amati prima che
arrivino. Quante volte trovo le mamme in piazza che mi fanno vedere la
pancia e mi chiedono la benedizione... questi bimbi sono amati prima
di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima della nascita, come l’amore di
Dio che ci ama sempre prima. Sono
amati prima di aver fatto qualsiasi co-
Nuove docce per i poveri
sotto il colonnato di San Pietro
Si sono conclusi sotto il colonnato di piazza San Pietro i lavori per la realizzazione di nuove docce a disposizione dei poveri della città. Tre docce e
una piccola postazione per il barbiere sono stati inseriti, dalle maestranze
del Governatorato della Città del Vaticano, nella ristrutturazione completa
di una sezione dei bagni presenti sotto il colonnato di destra. «Il tutto —
informa l’Elemosineria apostolica guidata dall’arcivescovo Konrad Krajewski — è stato fatto con grande sobrietà e dignità, utilizzando tecniche moderne». Le docce saranno funzionanti ogni giorno, tranne il mercoledì, a
causa dell’udienza generale, e i giorni di celebrazioni in San Pietro o in
piazza. Il lunedì, il giovedì e il sabato i servizi saranno gestiti dai volontari
dell’Unitalsi di Roma. Grazie a donazioni di diverse ditte e di alcuni privati, i pellegrini bisognosi riceveranno un cambio completo per l’intimo e un
kit con asciugamano, sapone, dentifricio, rasoio, schiuma da barba e deodorante. Il servizio di barbiere sarà invece disponibile il lunedì dalle 9 alle
15 grazie a diversi artigiani volontari che rinunceranno al consueto giorno
di riposo e agli studenti della scuola per parrucchieri di Roma.
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore
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Gianluca Biccini
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sa per meritarlo,
prima di saper parlare o pensare, addirittura prima di venire al mondo! Essere figli è la condizione fondamentale
per
conoscere
l’amore di Dio, che
è la fonte ultima di
questo
autentico
miracolo. Nell’anima di ogni figlio,
per quanto vulnerabile, Dio pone il siPablo
gillo di questo amore, che è alla base
della sua dignità personale, una dignità che niente e nessuno potrà distruggere.
Oggi sembra più difficile per i figli
immaginare il loro futuro. I padri —
lo accennavo nelle precedenti catechesi — hanno forse fatto un passo
indietro e i figli sono diventati più
incerti nel fare i loro passi avanti.
Possiamo imparare il buon rapporto
fra le generazioni dal nostro Padre
celeste, che lascia libero ciascuno di
noi ma non ci lascia mai soli. E se
sbagliamo, Lui continua a seguirci
con pazienza senza diminuire il suo
amore per noi. Il Padre celeste non fa
passi indietro nel suo amore per noi,
mai! Va sempre avanti e se non può
andare avanti ci aspetta, ma non va
mai indietro; vuole che i suoi figli
siano coraggiosi e facciano i loro passi avanti.
I figli, da parte loro, non devono
aver paura dell’impegno di costruire
un mondo nuovo: è giusto per loro
desiderare che sia migliore di quello
che hanno ricevuto! Ma questo va
fatto senza arroganza, senza presunzione. Dei figli bisogna saper riconoscere il valore, e ai genitori si deve
sempre rendere onore.
Il quarto comandamento chiede ai
figli — e tutti lo siamo! — di onorare
il padre e la madre (cfr. Es 20, 12).
Questo comandamento viene subito
dopo quelli che riguardano Dio stesso. Infatti contiene qualcosa di sacro,
qualcosa di divino, qualcosa che sta
alla radice di ogni altro genere di rispetto fra gli uomini. E nella formulazione biblica del quarto comandamento si aggiunge: «perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il
Signore tuo Dio ti dà». Il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di
futuro, ed è garanzia di una storia
davvero umana. Una società di figli
che non onorano i genitori è una società senza onore; quando non si
onorano i genitori si perde il proprio
onore! È una società destinata a
riempirsi di giovani aridi e avidi. Però, anche una società avara di generazione, che non ama circondarsi di fi-
coordinatore
TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE
L’OSSERVATORE ROMANO
Redazione
via del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano
fax +39 06 698 83 675
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Picasso «Madre e figlio» (1922)
gli, che li considera soprattutto una
preoccupazione, un peso, un rischio,
è una società depressa. Pensiamo a
tante società che conosciamo qui in
Europa: sono società depresse, perché
non vogliono i figli, non hanno i figli, il livello di nascita non arriva
all’uno percento. Perché? Ognuno di
noi pensi e risponda. Se una famiglia
generosa di figli viene guardata come
se fosse un peso, c’è qualcosa che
non va! La generazione dei figli
dev’essere responsabile, come insegna
anche l’Enciclica Humanae vitae del
beato Papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non
avere figli è una scelta egoistica. La
vita ringiovanisce e acquista energie
moltiplicandosi: si arricchisce, non si
impoverisce! I figli imparano a farsi
carico della loro famiglia, maturano
nella condivisione dei suoi sacrifici,
crescono nell’apprezzamento dei suoi
doni. L’esperienza lieta della fraternità anima il rispetto e la cura dei genitori, ai quali è dovuta la nostra riconoscenza. Tanti di voi qui presenti
hanno figli e tutti siamo figli. Facciamo una cosa, un minuto di silenzio.
Ognuno di noi pensi nel suo cuore ai
propri figli — se ne ha —; pensi in silenzio. E tutti noi pensiamo ai nostri
genitori e ringraziamo Dio per il dono della vita. In silenzio, quelli che
hanno figli pensino a loro, e tutti
pensiamo ai nostri genitori. [Silenzio]. Il Signore benedica i nostri genitori e benedica i vostri figli.
Gesù, il Figlio eterno, reso figlio
nel tempo, ci aiuti a trovare la strada
di una nuova irradiazione di questa
esperienza umana così semplice e
così grande che è l’essere figli. Nel
moltiplicarsi della generazione c’è
un mistero di arricchimento della vita di tutti, che viene da Dio stesso.
Dobbiamo riscoprirlo, sfidando il
pregiudizio; e viverlo, nella fede, in
perfetta letizia. E vi dico: quanto è
bello quando io passo in mezzo a
voi e vedo i papà e le mamme che
alzano i loro figli per essere benedetti; questo è un gesto quasi divino.
Grazie perché lo fate!
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numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
L’OSSERVATORE ROMANO
Nei saluti ai gruppi anche l’invito a pregare per il concistoro
Solidarietà per Lampedusa
«Seguo con preoccupazione le notizie
giunte da Lampedusa»: durante
i saluti rivolti ai vari gruppi
linguistici presenti all’udienza generale
dell’11 febbraio, il Papa ha assicurato
la preghiera per le vittime delle recenti
tragedie dell’immigrazione e ha
incoraggiato tutti «alla solidarietà,
affinché a nessuno manchi
il necessario soccorso».
Saluto cordialmente i pellegrini di
lingua francese, in particolare i sacerdoti della Società Jean-Marie
Vianney, con Mons. Bagnard e il
Seminario di Nantes. Saluto inoltre
i numerosi giovani di Francia, in
particolare quelli della Diocesi di
Sens accompagnati da Mons. Patenôtre.
In comunione con tutti i pellegrini di Lourdes, prego la Vergine
Maria per tutte le vostre famiglie;
che sappiano sempre accogliere la
vita con generosità e fare l’esperienza gioiosa della fraternità. Che Dio
vi benedica.
Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza,
specialmente quelli provenienti da
Inghilterra, Scozia, Irlanda e Stati
Uniti d’America. Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la
pace nel Signore Gesù. Dio vi benedica!
Sono lieto di accogliere i fedeli
di lingua tedesca presenti a quest’udienza, in particolare i pellegrini della Diocesi di Eisenstadt con il
Vescovo Mons. Zsifkovics. Grazie
agli sbandieratori per il saluto dai
colori vivaci. Assicuro la mia preghiera per i vostri cari, specialmente i malati. Pregate anche per me.
Dio vi benedica.
Saluto i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i fedeli di
Maiorca, accompagnati dal loro vescovo, Monsignor Javier Salinas Viñals, così come i gruppi provenienti
da Spagna, Colombia, Argentina,
Messico e da altri Paesi dell’America Latina. Possa l’Immacolata Vergine Maria, Nostra Signora di
Lourdes, concedere a tutti i suoi figli conforto e forza per crescere in
amore e camminare insieme verso il
traguardo del cielo. Grazie mille.
Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti! Il mondo di oggi
ha bisogno che i cristiani testimonino la loro fiducia in Dio attraverso
una generosa e responsabile apertura alla vita. Auguro che le vostre
comunità siano spazi dove le famiglie possano sentirsi appoggiate
nella loro missione di collaborare al
progetto divino nella creazione.
Dio vi benedica!
Rivolgo un cordiale benvenuto ai
pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dalla
Giordania, dalla Terra Santa e dal
Medio Oriente. I figli sono un dono che merita di essere custodito,
tutelato e protetto da parte dei genitori. Ma i figli, a loro turno, devono onorare, curare e rispettare i
propri genitori. Non c’è più bello
di una famiglia che si raduna intorno all’amore! Il Signore benedica
tutti i figli buoni e converta i negligenti e vi protegga tutti dal maligno!
Saluto cordialmente i pellegrini
polacchi, e in modo particolare le
ragazze del Centro Educativo Speciale di San Giuseppe a Częstochowa e il coro dell’Accademia di Musica di Katowice, in occasione del
90° anniversario dell’istituzione della Diocesi.
Carissimi, tutti siamo figli di
Dio, ma anche figli dei nostri genitori. Ringraziamo il Signore e i genitori per il dono della vita e preghiamo che tutte le mamme e tutti
i papà riescano ad impegnarsi pienamente nell’educare i propri figli
per farli crescere «in sapienza, età e
grazia davanti a Dio e agli uomini»
(cfr. Lc 2, 51) e che i figli sempre
dimostrino loro rispetto e amore.
Dio vi benedica! Sia lodato Gesù
Cristo!
Seguo con preoccupazione le notizie giunte da Lampedusa, dove si
contano altri morti tra gli immigrati a causa del freddo lungo la traversata del Mediterraneo. Desidero
assicurare la mia preghiera per le
vittime e incoraggiare nuovamente
alla solidarietà, affinché a nessuno
manchi il necessario soccorso.
Invito infine a pregare per il
Concistoro che avrà luogo nei prossimi giorni. Lo Spirito Santo assista
i lavori del Collegio Cardinalizio e
illumini i nuovi Cardinali e il loro
servizio alla Chiesa.
Porgo un cordiale benvenuto ai
pellegrini di lingua italiana. Saluto
i partecipanti al convegno promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi e le scolaresche, specialmente i
Licei di Ronciglione e Bassano Romano, l’Istituto Cesare Arici di
Brescia e la Scuola Martiri d’Ungheria di Scafati. Saluto i membri
delle Associazioni Genitori Oncologia Pediatrica; le piccole degenti
dell’Istituto delle Suore di San
Giuseppe e i numerosi gruppi
dell’Unitalsi. Incoraggio tutti a crescere nell’amore per il Signore, nella sapienza del cuore e nel servizio
generoso al prossimo sofferente nel
corpo e nello spirito.
Rivolgo un pensiero speciale ai
giovani, agli ammalati e agli sposi
novelli. Oggi ricorre la memoria
della Beata Vergine Maria di Lourdes e si celebra la Giornata Mondiale dell’ammalato. Cari giovani,
disponetevi ad essere “occhi per il
cieco e piedi per lo storpio”; cari
ammalati, sentitevi sempre sostenuti dalla preghiera della Chiesa; e
voi, cari sposi novelli, amate la vita
che è sempre sacra, anche quando è
segnata dalla fragilità e dalla malattia. Grazie.
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Speranze
di pace
in Terra santa
Speranze e prospettive di pace in
Terra santa sono state presentate al
Papa dai sindaci di Betlemme, di
Beit Jala e di Beit Sahour, che dopo
l’udienza in piazza San Pietro hanno
incontrato anche il cardinale
segretario di Stato Pietro Parolin. Ad
accompagnarli il rappresentante dello
Stato di Palestina presso la Santa
Sede, Issa Kassissieh.
E a raccontare a Francesco i
problemi della vita quotidiana della
gente in Terra santa c’era anche una
delegazione del Caritas Baby
Hospital di Betlemme. È proprio
all’unico ospedale pediatrico della
regione che l’Associazione nazionale
dei comuni italiani (Anci) ha donato
un ventilatore artificiale, mantenendo
così la promessa fatta direttamente al
Papa nell’udienza del 5 aprile 2014.
«Per noi questa è l’occasione di
presentare a Francesco la nostra
struttura» spiega la direttrice, suor
Donatella Lessio. Con lei il direttore
generale Issa Bondak e padre Paul
Rutz e Sybille Oetliker, responsabili
dell’associazione svizzera Children’s
Relief Bethlehem che sostiene il
nosocomio.
«Non abbiamo finanziamenti
pubblici» ricorda suor Lessio, «ma
stiamo sperimentando quanto grande
sia la Provvidenza». La religiosa ha
poi informato Francesco della
«straordinaria realtà di collaborazione
e di convivenza tra i 238 dipendenti,
per il sessanta per cento cristiani e
per il quaranta musulmani». Al
Caritas Baby Hospital di Betlemme «i
posti letti per i piccoli sono
ottantadue e ogni anno i ricoveri sono
quattromila, mentre le visite
ambulatoriali sono quarantamila».
Per la festa dell’11 febbraio, sul
sagrato è stata collocata la statua
della Madonna di Lourdes che
l’Unitalsi utilizza per le processioni.
Francesco ha anche benedetto lo
stendardo della sezione romanalaziale dell’associazione, con impressa
l’immagine della Salus populi
Romani.
E in occasione della Giornata
mondiale del malato, Yuki Hayashi
ha parlato al Papa del progetto
Africae munus «per favorire la
formazione di medici specializzati e
anche per realizzare un network tra
le facoltà di medicina delle università
cattoliche del continente». Con
particolare affetto, poi, il Pontefice
ha abbracciato tantissimi bambini
ammalati di tumore o leucemia,
accompagnati dai loro familiari e dai
sanitari che li stanno curando. A
organizzare questo particolare
pellegrinaggio è stata la Fiagop, la
Federazione italiana che riunisce
trenta associazioni costituite proprio
dai genitori dei bambini ricoverati
nei reparti di oncologia pediatrica.
Da Mallorca una delegazione ha
presentato a Francesco le
celebrazioni per i settecento anni
della morte del beato Ramon Llull,
«un mistico che seppe dialogare con
ebrei e musulmani» spiega il vescovo
Javier Salinas Viñals. Al Papa,
inoltre, è stato donato il facsimile del
manoscritto originale del libro El
Divino Impaciente, scritto dallo
spagnolo José María Pemán, autore a
lui caro.
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giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
Il Papa nella parrocchia romana di San Michele Arcangelo a Pietralata
Su quale canale parla Gesù?
Bisogna cercare la parola del Signore e lasciarsi guarire
«“Su quale canale della tv parla
Gesù?” Ti parla nel Vangelo!»:
nella messa che nel pomeriggio
di domenica 8 febbraio ha concluso
la visita alla parrocchia romana
di San Michele Arcangelo a Pietralata,
Papa Francesco ha invitato tutti
ad abituarsi ad «ascoltare la Parola
di Gesù nel Vangelo» e a lasciarsi
«guarire» da lui.
Così era la vita di Gesù: «Andò per
tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni»
(Mc 1, 39). Gesù che predica e Gesù
che guarisce. Tutta la giornata era
così: predica al popolo, insegna la
Legge, insegna il Vangelo. E la gente lo cerca per ascoltarlo e anche
perché guarisca gli ammalati. «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole,
gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. ... Guarì molti che erano
affetti da varie malattie. Scacciò
molti demoni» (Mc 1, 32.34). E noi
siamo davanti a Gesù in questa celebrazione: Gesù è quello che presiede
questa celebrazione. Noi sacerdoti
siamo nel nome di Gesù, ma Lui è il
Presidente, Lui è il vero Sacerdote,
che offre il sacrificio al Padre. Possiamo domandarci se io lascio che
Gesù predichi a me. Ognuno di noi:
«Io lascio che Gesù predichi a me, o
io so tutto? Io ascolto Gesù o preferisco ascoltare qualsiasi altra cosa,
forse le chiacchiere della gente, o
storie...». Ascoltare Gesù. Ascoltare
la predica di Gesù. «E come posso
fare questo, padre? Su quale canale
della tv parla Gesù?». Ti parla nel
Vangelo! E questa è un’abitudine
che noi ancora non abbiamo: di andare a cercare la parola di Gesù nel
Vangelo. Portare sempre un Vangelo
Un cappotto bianco tra le baracche
di MAURIZIO FONTANA
Dalla porta di lamiera spunta un
cappotto bianco: «È il Papa! È il
Papa!». Prima di arrivare alla parrocchia di Pietralata, nel pomeriggio di domenica 8 Francesco ha voluto fermarsi al campo Arcobaleno
a Ponte Mammolo, una baraccopoli
nei pressi del fiume Aniene. Accompagnato dal parroco don Aristide Sana, Francesco è arrivato al
campo che ospita nomadi e profughi assistiti dai volontari della Comunità di Sant’Egidio. Famiglie intere, commosse e incredule spuntavano dalle casupole, bambini lo circondavano. Il Papa ha chiesto
¿Quién habla castellano? e a gran voce il gruppo di latinoamericani ha
risposto ¡Todos! Francesco allora si
è fermato a scambiare qualche parola con ognuno, a regalare carezze
ai più piccoli, poi ha invitato a pregare insieme il Padre nostro e ha
concluso con la benedizione.
All’uscita il Pontefice ha incontrato una famiglia di ucraini e ha
voluto fermarsi anche con loro.
Confidando: «Prego ogni giorno
per la pace nel vostro Paese».
Successivamente ad aspettarlo in
parrocchia c’era una folla assiepata
da qualche ora dietro le transenne.
Presenti anche il cardinale vicario
Vallini e il vescovo Di Tora, ausilia-
re per il settore Nord. Il primo incontro è stato con i malati. Lo attendevano nella piccola palestra.
«Mai un padre lascia i figli da soli»
ha detto il Papa. «Ci sono i giorni
bui», difficili, dove «non si vede
niente». Ma anche nel buio Dio «è
il papà che ci ama tanto». E li ha
invitati a essere coraggiosi, suggerendo di chiamare sempre Dio «padre» e di stare certi che lui «si avvicinerà».
La cordialità di questo primo
momento si è trasformata in una
ventata di vitalità quando Francesco ha salito le scale e raggiunto la
stanza dove lo attendevano una
ventina di famiglie con i bambini
piccoli, alcuni battezzati di recente.
Come di consueto il Papa ha detto
ai genitori di non preoccuarsi per il
chiasso e il pianto dei fanciulli perché sono «una promessa di vita».
Francesco li ha salutati uno a uno,
non si è preoccupato di sporcarsi le
mani con la tempera di un quadro
che i più grandicelli avevano appena finito di dipingere e poi ha raccomandato ai papà e alle mamme
di insegnare ai figli il segno della
croce. Grande commozione, poi, c’è
stata nell’incontro avuto con un
gruppo di poveri senza fissa dimora, polacchi e romeni. Con gli occhi
pieni di lacrime di riconoscenza
hanno ascoltato le sue parole:
«Grazie — ha detto loro Francesco
— per la testimonianza di portare
avanti la solitudine, la croce». Tante volte, ha continuato, «la gente
non sa il vostro nome e vi chiama
“i senzatetto”, e voi sopportate questo, è la vostra croce e la vostra pazienza. Ma c’è qualcosa nel cuore
di tutti voi, di questo vi prego di
essere sicuri: c’è lo Spirito Santo»;
e ha spiegato utilizzando l’immagine del fuoco che sembra spento:
«Vediamo cenere, e pensiamo che
tutto è finito, che non c’è più niente; ma se viene un po’ di vento o
noi facciamo un gesto per rimuovere quella cenere, troviamo che sotto
arde ancora il fuoco», così «sotto
tanta cenere di sofferenza, di solitudine sappiate che c’è il fuoco dello
Spirito Santo, sotto, c’è l’abbraccio
dell’amore di Dio». Anche Gesù ha
vissuto la croce, perciò, ha concluso
il Papa, «Gesù vi capisce bene. Anch’io vi capisco bene e vi sono vicino». E ai clochard del quartiere,
come gesto concreto di vicinanza, il
Papa ha fatto avere un centinaio di
sacchi a pelo per difendersi dal
freddo.
Tornato nei locali vicino alla sagrestia, Francesco si è lasciato travolgere dall’entusiasmo di bambini
e ragazzi delle comunioni, delle creCONTINUA A PAGINA 5
con noi, piccolino, o averlo alla mano. Cinque minuti, dieci minuti.
Quando sono in viaggio, o quando
devo aspettare..., prendo il Vangelo
dalla tasca o dalla borsa e leggo
qualcosa; o a casa. E Gesù mi parla,
Gesù predica a me lì. È la Parola di
Gesù. E dobbiamo abituarci a questo: sentire la Parola di Gesù, ascoltare la Parola di Gesù nel Vangelo.
Leggere un passo, pensare un po’
che cosa dice, che cosa dice a me. Se
non sento che mi parla, passo ad un
altro. Ma avere questo contatto quotidiano col Vangelo, pregare col
Vangelo; perché così Gesù predica a
me, dice col Vangelo quello che vuole dirmi. Io conosco gente che sempre lo porta e quando ha un po’ di
tempo lo apre, e così trova sempre la
parola giusta, per il momento che
sta vivendo. Questa è la prima cosa
che voglio dirvi: lasciate che il Signore predichi a voi. Ascoltare il Signore.
E Gesù guariva: lasciatevi guarire
da Gesù. Tutti noi abbiamo ferite,
tutti: ferite spirituali, peccati, inimicizie, gelosie; forse non salutiamo
qualcuno: «Ah, mi ha fatto questo,
non lo saluto più». Ma questo
dev’essere guarito! «E come faccio?». Prega e chiedi a Gesù che lo
guarisca. È triste quando in una famiglia i fratelli non si parlano per
una stupidaggine; perché il diavolo
prende una stupidaggine e ne fa un
mondo. Poi le inimicizie vanno
avanti, tante volte per anni, e si distrugge quella famiglia. I genitori
soffrono perché i figli non si parlano, o la moglie di un figlio non parla all’altro, e così le gelosie, le invidie... Questo lo semina il diavolo. E
l’unico che scaccia i demoni è Gesù.
L’unico che guarisce queste cose è
Gesù. Perciò ad ognuno di voi dico:
lasciati guarire da Gesù. Ognuno sa
dove ha la ferita. Ognuno di noi ne
ha; ne ha non solo una: due, tre,
quattro, venti. Ognuno sa! Che Gesù guarisca quelle ferite. Ma per
questo devo aprire il cuore, perché
Lui venga. E come apro il cuore?
Pregando. «Ma, Signore, io non
posso con quella gente di là, la odio,
mi ha fatto questo, questo e questo...». «Guarisci questa piaga, Signore». Se noi chiediamo a Gesù
questa grazia, Lui la farà. Lasciati
guarire da Gesù. Lascia che Gesù ti
guarisca.
Lascia che Gesù predichi a te e lascia che ti guarisca. Così io posso
anche predicare agli altri, insegnare
le parole di Gesù, perché lascio che
Lui predichi a me; e posso anche
aiutare a guarire tante ferite, tante
ferite che ci sono. Ma prima devo
farlo io: lasciare che Lui predichi a
me e che Lui mi guarisca.
Quando viene il vescovo a fare
una visita alle parrocchie, si fanno
tante cose, si può fare anche un proposito bello, piccolino: il proposito
di leggere ogni giorno un brano del
Vangelo, un passo piccolo, per lasciare che Gesù predichi a me. E
l’altro proposito: pregare perché io
mi lasci guarire dalle piaghe che ho.
D’accordo? Firmiamo? D’accordo?
Ma facciamolo, perché farà bene a
tutti. Grazie.
numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 5
Francesco all’Angelus denuncia lo sfruttamento delle schiave e degli schiavi di oggi
La tratta
è una piaga vergognosa
La tratta di persone è una «vergognosa piaga,
indegna di una società civile». Lo ha ribadito
Papa Francesco al termine dell’Angelus di domenica
8 febbraio, che le superiore e i superiori degli istituti
religiosi hanno scelto come Giornata di riflessione
su questo turpe fenomeno. Prima della preghiera
mariana con i fedeli presenti in piazza San Pietro,
commentando il vangelo del giorno, il Pontefice ha
parlato del valore della sofferenza, ricordando
la Giornata mondiale del malato di mercoledì 11.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi (cfr. Mc 1, 29-39) ci presenta
Gesù che, dopo aver predicato di sabato nella sinagoga, guarisce tanti malati. Predicare e guarire:
questa è l’attività principale di Gesù nella sua vita
pubblica. Con la predicazione Egli annuncia il
Regno di Dio e con le guarigioni dimostra che esso è vicino, che il Regno di Dio è in mezzo a
noi.
Entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù vede
che sua suocera è a letto con la febbre; subito le
prende la mano, la guarisce e la fa alzare. Dopo il
tramonto, quando, terminato il sabato, la gente
può uscire e portargli i malati, risana una moltitudine di persone afflitte da malattie di ogni genere:
fisiche, psichiche, spirituali. Venuto sulla terra per
annunciare e realizzare la salvezza di tutto l’uomo
e di tutti gli uomini, Gesù mostra una particolare
predilezione per coloro che sono feriti nel corpo e
nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati,
i malati, gli emarginati. Egli così si rivela medico
sia delle anime sia dei corpi, buon Samaritano
dell’uomo. È il vero Salvatore: Gesù salva, Gesù
cura, Gesù guarisce.
Tale realtà della guarigione dei malati da parte
di Cristo, ci invita a riflettere sul senso e il valore
della malattia. A questo ci richiama anche la
Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo
mercoledì prossimo 11 febbraio, memoria liturgica
della Beata Vergine Maria di Lourdes. Benedico
le iniziative preparate per questa Giornata, in particolare la Veglia che avrà luogo a Roma la sera
del 10 febbraio. Ricordiamo anche il presidente
del Pontificio Consiglio per la pastorale della Salute, Mons. Zygmunt Zimowski, che è molto ammalato in Polonia. Una preghiera per lui, per la
sua salute, perché è stato lui a preparare questa
giornata e lui ci accompagna con la sua sofferenza in questa giornata. Una preghiera per Mons.
Zimowski.
L’opera salvifica di Cristo non si esaurisce con
la sua persona e nell’arco della sua vita terrena;
essa continua mediante la Chiesa, sacramento
dell’amore e della tenerezza di Dio per gli uomini. Inviando in missione i suoi discepoli, Gesù
conferisce loro un duplice mandato: annunziare il
Vangelo della salvezza e guarire gli infermi (cfr.
Mt 10, 7-8). Fedele a questo insegnamento, la
Chiesa ha sempre considerato l’assistenza agli infermi parte integrante della sua missione.
«I poveri e i sofferenti li avrete sempre con
voi», ammonisce Gesù (cfr. Mt 26, 11), e la Chiesa
continuamente li trova sulla sua strada, considerando le persone malate come una via privilegiata
per incontrare Cristo, per accoglierlo e per servirlo. Curare un ammalato, accoglierlo, servirlo, è
servire Cristo: il malato è la carne di Cristo.
Questo avviene anche nel nostro tempo, quando, nonostante le molteplici acquisizioni della
scienza, la sofferenza interiore e fisica delle persone suscita forti interrogativi sul senso della malattia e del dolore e sul perché della morte. Si tratta
di domande esistenziali, alle quali l’azione pastorale della Chiesa deve rispondere alla luce della
fede, avendo davanti agli occhi il Crocifisso, nel
quale appare tutto il mistero salvifico di Dio Padre, che per amore degli uomini non ha risparmiato il proprio Figlio (cfr. Rm 8, 32). Pertanto,
ciascuno di noi è chiamato a portare la luce della
Parola di Dio e la forza della grazia a coloro che
soffrono e a quanti li assistono, familiari, medici,
infermieri, perché il servizio al malato sia compiuto sempre più con umanità, con dedizione generosa, con amore evangelico, con tenerezza. La
Chiesa madre, tramite le nostre mani, accarezza le
nostre sofferenze e cura le nostre ferite, e lo fa
con tenerezza di madre.
Preghiamo Maria, Salute dei malati, affinché
ogni persona nella malattia possa sperimentare,
grazie alla sollecitudine di chi le sta accanto, la
potenza dell’amore di Dio e il conforto della sua
tenerezza materna.
Al termine della preghiera mariana il Pontefice
ha lanciato l’appello per la Giornata contro la tratta
di persone e salutato i vari gruppi presenti.
Cari fratelli e sorelle,
oggi, 8 febbraio, memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, la Suora sudanese che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima
della tratta, le Unioni delle Superiore e dei Superiori Generali degli Istituti religiosi hanno promosso la Giornata di preghiera e riflessione contro la
tratta di persone. Incoraggio quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di
piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che
quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa
vergognosa piaga, una piaga indegna di una società civile. Ognuno di noi si senta impegnato ad
essere voce di questi nostri fratelli e sorelle, umiliati nella loro dignità. Preghiamo tutti insieme la
Madonna, per loro e per i loro familiari [Ave Maria...].
Saluto tutti i pellegrini presenti, le famiglie, i
gruppi parrocchiali, le associazioni. In particolare
saluto i fedeli di Caravaca de la Cruz (Spagna),
di Anagni, Marcon, Quartirolo e Corato; le corali
dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, e i ragazzi
di Buccinasco, come pure quelli provenienti dalla
Lettonia e dal Brasile.
A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon
pranzo e arrivederci!
Nella parrocchia romana di Pietralata
CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 4
sime e del gruppo scout Roma
65. Aurora, di 9 anni, ha letto
una lettera: «Caro Papa Francesco, vorrei che tutte le guerre
finissero. Conto su di te», e lui
allora ha improvvisato una breve catechesi, fatta di domande
e risposte: «Chi è il padre della
guerra?». E i bambini in coro:
«Il diavolo!»; «Giusto! Perché
il diavolo è il padre dell’odio.
D’accordo? È il padre delle bugie, il padre delle menzogne.
Perché? Perché non vuole l’unità. Invece Dio vuole l’unità. E
per Dio, che è il nostro padre,
tutti siamo fratelli». E con parole semplici ha fatto capire ai
piccoli come la pace si costruisca nella vita di ogni giorno:
«Voi dove volete stare, nella
guerra o nella pace?», risposta:
«Nella pace!», e allora ha incalzato il Papa: «Perché litigate
tra voi?». Rispondendo poi alla domanda di una ragazza
della cresima che gli ha chiesto
come ci si accorge del dono
dello Spirito Santo, Francesco
ha spiegato: «Io non sento la
colomba che viene» ma «se ho
voglia di fare il bene, di volere
la pace, di volere bene a tutti,
chi fa questo? Lo Spirito Santo
dentro di noi».
In pochi minuti il catechismo in pillole ha toccato i temi
della preghiera, dell’Eucaristia
e della partecipazione alla messa: «C’è chi dice: io non vado
perché sono stanco», ma chi fa
così non capisce: «Perché sei tu
che perdi, perché se vai a messa ricevi Gesù e sei più forte
per lottare nella vita». Di amore e scelte per la vita, poi,
Francesco ha parlato con gli
scout e le loro famiglie. Prima
ha messo al collo il caratteristico fazzolettone, poi, dopo un
po’ di immancabili selfie, ha
ascoltato la domanda di Lucilla: «Come hai capito che la
scelta che hai fatto, con le ri-
nunce che ha comportato, era
quella giusta?». Ancora una
volta la risposta pesca nella vita di ogni giorno: «Si sente la
stessa cosa che si sente quando
un uomo e una donna si scelgono e si sposano», la sicurezza interiore viene dal fatto che
«sono sicuri di amarsi». E le rinunce non ci sono solo nella
vita consacrata, ma anche nel
matrimonio, anche «la vita del
matrimonio non è facile».
L’importante è sentire la chiamata di Gesù che dice: «Vai
tranquillo, non scoraggiarti, io
sono con voi» e non dimenticare mai, anzi ravvivare sempre
«quel primo amore» che ci si è
promessi davanti a Dio. Dopo
aver raccomandato a tutti, come già fatto in altre occasioni,
di non lasciare che in famiglia
finisca la giornata con il rancore e con il litigio, Francesco ha
confessato cinque parrocchiani
e poi ha celebrato in chiesa la
messa.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
All’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i laici
Città e anticittà
Opportunità e rischi degli spazi urbani
«Sembra proprio che ogni città, anche quella che appare più florida e ordinata,
abbia la capacità di generare dentro di sé una oscura “anti-città”»: sabato 7
febbraio Papa Francesco, ricevendo nella Sala Clementina i membri del Pontificio
Consiglio per i laici, si è soffermato sul tema della loro assemblea plenaria.
«Di fronte a questi tristi scenari — ha detto — dobbiamo sempre ricordarci che
Dio non ha abbandonato la città».
Cari fratelli e sorelle,
Con gioia accolgo il Pontificio Consiglio per i Laici riunito in Assemblea Plenaria. Ringrazio il Cardinale
Presidente per le parole che mi ha
rivolto.
Il tempo trascorso dall’ultima vostra
Plenaria è stato per voi un periodo
di attività e di realizzazione di iniziative apostoliche. In esse avete
adottato l’Esortazione apostolica
Evangelii gaudium come testo programmatico e come bussola per
orientare la vostra riflessione e la vostra azione. L’anno da poco iniziato
segnerà un importante ricorrenza: il
50° anniversario della chiusura del
Concilio Vaticano II. A tale proposito so che state opportunamente preparando un atto commemorativo
della pubblicazione del Decreto
sull’apostolato dei laici Apostolicam
actuositatem. Incoraggio questa iniziativa, che non guarda solo al passato, ma al presente e al futuro della
Chiesa.
Il tema che avete scelto per questa
Assemblea Plenaria, Incontrare Dio
nel cuore della città, si colloca nel solco dell’invito della Evangelii gaudium
ad entrare nelle «sfide delle culture
urbane» (nn. 71-75). Il fenomeno
dell’urbanesimo ha assunto oramai
dimensioni globali: più della metà
degli uomini del pianeta vive nelle
città. E il contesto urbano ha un forte impatto sulla mentalità, la cultura,
gli stili di vita, le relazioni interpersonali, la religiosità delle persone. In
tale contesto, così vario e complesso,
la Chiesa non è più l’unica “promotrice di senso” e i cristiani si trovano
ad assorbire «linguaggi, simboli,
messaggi e paradigmi che offrono
nuovi orientamenti di vita, spesso in
contrasto con il Vangelo» (ibid., 73).
Le città presentano grandi opportunità e grandi rischi: possono essere
magnifici spazi di libertà e di realizzazione umana, ma anche terribili
spazi di disumanizzazione e di infelicità. Sembra proprio che ogni città,
anche quella che appare più florida
e ordinata, abbia la capacità di generare dentro di sé una oscura “anticittà”. Sembra che insieme ai cittadini esistano anche i non-cittadini:
persone invisibili, povere di mezzi e
di calore umano, che abitano “nonluoghi”, che vivono delle “non-relazioni”. Si tratta di individui a cui
nessuno rivolge uno sguardo, un’attenzione, un interesse. Non sono solo gli “anonimi”; sono gli “anti-uomini”. E questo è terribile.
Ma di fronte a questi tristi scenari
dobbiamo sempre ricordarci che Dio
non ha abbandonato la città; Lui
abita nella città. Il titolo della vostra
Plenaria vuole proprio sottolineare
che è possibile incontrare Dio nel
cuore della città. Questo è molto
bello. Sì, Dio continua ad essere
presente anche nelle nostre città così
frenetiche e distratte! È perciò necessario non abbandonarsi mai al pessimismo e al disfattismo, ma avere uno
sguardo di fede sulla città, uno sguardo contemplativo «che scopra quel
Dio che abita nelle sue case, nelle
sue strade, nelle sue piazze» (ibid.,
71). E Dio non è mai assente dalla
città perché non è mai assente dal
cuore dell’uomo! Infatti, «la presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono
per trovare appoggio e senso alla loro vita» (ibid.). La Chiesa vuole essere al servizio di questa ricerca sincera che c’è in tanti cuori e che li rende aperti a Dio. I fedeli laici, soprattutto, sono chiamati ad uscire senza
timore per andare incontro agli uomini delle città: nelle attività quotidiane, nel lavoro, come singoli o come famiglie, insieme alla parrocchia
o nei movimenti ecclesiali di cui fan-
Udienza ai prefetti d’Italia
Autorità significa servizio
Ai prefetti di diverse città d’Italia,
ricevuti in udienza venerdì mattina,
6 febbraio, nella Sala Clementina,
il Papa ha ricordato che lo «specifico
esercizio dell’autorità» a cui sono
chiamati è «radicato nell’obbedienza»
e ha «l’unico nobile fine del servizio».
Signor Ministro,
Illustri Prefetti,
accolgo con piacere tutti voi, che
avete il delicato compito di rendere
presente in modo capillare sul territorio dello Stato l’autorità del Governo centrale, in particolare per
quanto riguarda la tutela dell’ordine e della pubblica sicurezza. Ringrazio il Signor Ministro dell’Interno per le gentili espressioni, che a
nome vostro mi ha rivolto.
La vostra istituzione, mediante le
sue differenziate competenze, la sua
ormai lunga esperienza storica e la
diffusa presenza nelle comunità locali, rappresenta un importante fattore di coesione — come opportunamente ricordato dal Signor Ministro —, interpretando nelle varie
realtà territoriali le istanze di coordinamento che provengono dal cen-
tro, e si trova nel medesimo tempo
nelle condizioni adatte a segnalare
all’autorità centrale situazioni di
particolare difficoltà o marginalità,
facendo risuonare voci che diversamente rischierebbero di rimanere
flebili e prive della dovuta attenzione.
Si tratta di un lavoro che implica
una tenace dedizione ai propri doveri, una conoscenza approfondita
delle problematiche, unita alla dut-
tilità necessaria per affrontare gli
innumerevoli casi pratici che si presentano, ciascuno con le sue proprie peculiarità.
In questi anni, caratterizzati dalla
particolare incidenza del movimento migratorio, legata all’aumento
nel mondo di violenti conflitti con
le loro tragiche conseguenze sulle
persone e sulle economie di tanti
CONTINUA A PAGINA 7
no parte, possono infrangere il muro
di anonimato e di indifferenza che
spesso regna sovrano nelle città. Si
tratta di trovare il coraggio di fare il
primo passo di avvicinamento agli
altri, per essere apostoli del quartiere.
Diventando gioiosi annunciatori
del Vangelo ai loro concittadini, i fedeli laici scoprono che ci sono molti
cuori che lo Spirito Santo ha già preparato ad accogliere la loro testimonianza, la loro vicinanza, la loro attenzione. Nella città c’è spesso un
terreno di apostolato molto più fertile di quello che tanti immaginano. È
importante perciò curare la formazione dei laici: educarli ad avere quello
sguardo di fede, pieno di speranza,
che sappia vedere la città con gli occhi di Dio. Vedere la città con gli
occhi di Dio. Incoraggiarli a vivere
il Vangelo, sapendo che ogni vita
cristianamente vissuta ha sempre un
forte impatto sociale. Al tempo stesso, è necessario alimentare in loro il
desiderio della testimonianza, affinché possano donare agli altri con
amore il dono della fede che hanno
ricevuto, accompagnando con affetto
quei loro fratelli che muovono i primi passi nella vita di fede. In una
parola: i laici sono chiamati a vivere
un umile protagonismo nella Chiesa
e diventare fermento di vita cristiana
per tutta la città.
È importante inoltre che, in questo
rinnovato slancio missionario verso
la città, i fedeli laici, in comunione
con i loro Pastori, sappiano proporre
il cuore del Vangelo, non le sue “appendici”. Anche l’allora arcivescovo
Montini, alle persone coinvolte nella
grande missione cittadina di Milano,
parlava della «ricerca dell’essenziale», e invitava ad essere prima di
tutto noi stessi “essenziali”, cioè veri,
genuini, e a vivere di ciò che conta
veramente (cfr. Discorsi e scritti milanesi 1954-1963, Istituto Paolo VI,
Brescia-Roma, 1997-1998, p. 1483).
Solo così si può proporre nella sua
forza, nella sua bellezza, nella sua
semplicità,
l’annuncio
liberante
dell’amore di Dio e della salvezza
che Cristo ci offre. Solo così si va
con quell’atteggiamento di rispetto
verso le persone; si offre l’essenziale
del Vangelo.
Affido il vostro lavoro e i vostri
progetti alla materna protezione della Vergine Maria, pellegrina insieme
con il suo Figlio nell’annuncio del
Vangelo, di villaggio in villaggio, di
città in città, e imparto di cuore a
tutti voi e ai vostri cari la mia Benedizione. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.
numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 7
Visita «ad limina apostolorum» dei vescovi greci
Solidarietà contro la crisi
«Lo spirito di solidarietà, che ogni
cristiano è chiamato a testimoniare
nella concretezza della vita quotidiana,
costituisce un lievito di speranza».
Riferendosi al periodo di grave crisi
economica e finanziaria che attanaglia
la Grecia, il Papa si è rivolto così
ai presuli della Conferenza episcopale
del Paese, ricevuti nella mattina
di giovedì 5 febbraio, in occasione
della visita «ad limina Apostolorum».
Cari Fratelli Vescovi,
vi saluto tutti con affetto in occasione
della vostra visita ad limina. Questo
vostro pellegrinaggio alle tombe degli
Apostoli è sempre occasione privilegiata per rafforzare i vincoli di comunione con il Successore di Pietro e
con l’intero Collegio episcopale, sparso in tutto il mondo. Questa unità favorisce fra di voi la comunione fraterna: essa è indispensabile anche per la
crescita della Chiesa in Grecia, così
come per il progresso dell’intera società. Ciò è ancora più vero nel vostro Paese, che in questo momento ha
più che mai bisogno di dialogo tra le
sue diverse componenti politiche e
culturali, per la salvaguardia e la promozione del bene comune. Non
mancate pertanto di spronare le persone affidate alla vostra cura episcopale a rendere ovunque una coraggiosa testimonianza di fraternità.
Tale diaconia della fraternità da
una parte postula la custodia e il rafforzamento delle tradizioni culturali e
delle radici cristiane della società elle-
nica, dall’altra richiede apertura verso
i valori culturali e spirituali di cui sono portatori i numerosi migranti, in
spirito di sincera accoglienza verso
questi fratelli e sorelle, senza distinzione di razza, di lingua o di credo
religioso. Le vostre comunità cristiane, mostrandosi veramente unite fra
di loro e al tempo stesso aperte all’incontro e all’accoglienza, specialmente
verso i più disagiati, possono contribuire realmente a trasformare la società, al fine di renderla più conforme
all’ideale evangelico. Mi rallegra sapere che siete già impegnati in questa
azione pastorale e caritativa, soprattutto in favore degli immigrati, anche
irregolari, molti dei quali sono catto-
lici. Vi incoraggio di
tutto cuore a proseguire
con un rinnovato slancio
evangelizzatore,
coinvolgendo in questa
opera specialmente i
giovani: essi sono il futuro della Nazione.
Di fronte al perdurare della crisi economico-finanziaria, che ha
colpito in modo particolarmente duro anche
il vostro Paese, non
stancatevi di esortare
tutti alla fiducia nel futuro, contrastando la
cosiddetta cultura del
pessimismo. Lo spirito
di solidarietà, che ogni
cristiano è chiamato a
testimoniare nella concretezza della vita quotidiana, costituisce un lievito di speranza. È importante che manteniate relazioni
costruttive con le Autorità del vostro
Paese, come pure con le diverse
componenti della società, in modo
da diffondere questa prospettiva di
solidarietà, in un atteggiamento di
dialogo e di collaborazione anche
con gli altri Paesi europei.
In questo medesimo spirito, vi incoraggio a proseguire il dialogo interpersonale con i fratelli ortodossi,
al fine di alimentare il necessario
cammino ecumenico, imprescindibile
prospettiva per un futuro di serenità
Ai prefetti d’Italia
CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 6
Paesi, rivestono una particolare delicatezza le competenze prefettizie
in materia di immigrazione. Esse
comportano l’esigenza di individuare nella quotidiana gestione delle situazioni, spesso d’emergenza, quella corretta applicazione delle norme, che garantisca, insieme con la
fedeltà al dettato della legge e delle
altre disposizioni vigenti, lo scrupoloso rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona umana. E qui, rifacendomi a quanto detto dal Signor Ministro, vorrei esprimere viva
riconoscenza per l’impegno profuso
da voi Prefetti nel coordinare l’accoglienza delle migliaia di uomini,
donne e bambini giunti sulle coste
italiane.
Su questo tema, come su tanti altri, sono di notevole aiuto i rapporti di proficua collaborazione tra le
Prefetture, le Diocesi e le parrocchie, collaborazione che, nel rispetto delle distinte competenze, merita
di essere confermata, valorizzata e
approfondita. La Chiesa, essendo
una realtà divina e umana, opera
nella società al servizio delle persone sulla base dell’insegnamento di
Cristo e, desiderando svolgere la
sua missione educativa e caritativa
nella sincera collaborazione con le
istituzioni dello Stato per la promozione dell’uomo e il bene del Paese,
è lieta di trovare nelle Prefetture
uno degli ambiti in cui maggiormente si concretizza questa sinergia
per il bene di tutti i cittadini.
D’altra parte, per la piena efficacia del vostro compito di raccordo,
di ascolto e di ricerca di soluzioni
adatte alle circostanze, in sintonia
con le altre istituzioni locali e quelle a livello centrale, si rende indispensabile uno specifico esercizio
dell’autorità, radicato nell’obbedienza e avente l’unico nobile fine
del servizio.
L’obbedienza alla legge e ai criteri di umanità che la informano e
la lealtà verso le istituzioni costituiscono l’indispensabile cornice in cui
si svolge la vostra funzione. Tali atteggiamenti favoriscono l’acquisizione di quello specifico habitus che
rende idonei all’assunzione di alte
responsabilità. La crisi di autorità
che la nostra società sperimenta in
diversi ambiti, tanto pubblici quanto privati, con conseguenze di vasta
portata, specie per l’educazione delle giovani generazioni, ha infatti tra
le sue cause proprio la carenza di
queste fondamentali disposizioni
all’obbedienza, all’ascolto, alla pazienza.
L’esercizio dell’autorità, inoltre,
ha sempre come obiettivo il conseguimento del bene comune, trovando la sua più intima ragion d’essere
e la possibilità stessa della sua efficacia nel porsi quotidianamente al
servizio di coloro ai quali si indirizza la sua potestà, ad imitazione di
quanto ha fatto il Signore Gesù,
che è venuto in mezzo a noi come
Colui che serve (cfr. Lc 22, 27).
Quanto più i cittadini percepiranno che i poteri costituiti sono
generosamente rivolti a cercare di
offrire risposte ai loro bisogni e a
tutelare i loro diritti, tanto più saranno disposti ad accoglierne le indicazioni e a disporsi ad un operoso e ordinato spirito di collaborazione e di rispetto.
Siete dunque chiamati a mettere
a disposizione la vostra professionalità e la vostra umanità, le vostre
conoscenze e la vostra prudenza,
senza scoraggiamenti o pessimismi,
sapendo però che non vi confrontate con questioni astratte, ma con il
volto concreto di uomini e di donne con i loro problemi e le loro
speranze, che in questi anni di incertezza e di difficoltà economiche
si sono fatte ancora più impellenti.
Sono sicuro che il vostro senso del
dovere e la consapevolezza dell’importanza del vostro ruolo vi aiuteranno ad affrontare nel modo migliore i futuri impegni, con dedizione e spirito di sacrificio.
Con questi auspici, mentre invoco su di voi l’intercessione del vostro Patrono sant’Ambrogio, vi
chiedo per favore di pregare per me
e di cuore vi benedico. Grazie.
e di fecondità spirituale per l’intera
vostra Nazione.
Per portare avanti la missione di
evangelizzazione e di promozione
umana a cui è chiamata la Chiesa in
Grecia, è irrinunciabile la presenza di
un clero generoso e motivato. Pertanto, vi esorto ad incrementare, con
adeguati strumenti, la pastorale vocazionale, per far fronte all’insufficienza
numerica del clero. Al riguardo, vi
chiedo di trasmettere ai sacerdoti delle vostre diocesi, molti dei quali sono
anziani, tutto il mio affetto e il mio
apprezzamento per il loro zelo apostolico, nonostante la ristrettezza dei
mezzi.
Un apporto necessario e prezioso
all’annuncio del Vangelo lo offrono
gli Istituti di vita consacrata, ai quali
vi invito a prestare la giusta attenzione, perché proseguano, nonostante le
tante difficoltà, la propria missione
nel Paese. Penso soprattutto all’ambito dell’istruzione scolastica, nel quale
essi svolgono un considerevole lavoro. Allo scopo di rivitalizzare le comunità cristiane, siete chiamati a valorizzare il ruolo dei fedeli laici. La
loro cooperazione al ministero dei
Vescovi e dei presbiteri è indispensabile per affrontare le odierne sfide e
quelle del futuro. Si tratta di curare
adeguatamente la loro formazione,
anche incrementando la presenza dei
movimenti e delle associazioni ecclesiali. Questi, là dove sono ben guidati dai Pastori, suscitano dovunque apprezzamento per il loro impegno missionario e per la gioia cristiana che
diffondono, lavorando sempre in sintonia con le linee pastorali delle
Chiese particolari e ben inseriti nelle
diocesi e nelle parrocchie.
L’indebolimento della famiglia,
causato anche dal processo di secolarizzazione, richiede l’impegno della
Chiesa a perseverare nei programmi
di formazione al matrimonio, senza
dimenticare il lavoro indispensabile
con le nuove generazioni, per la loro
formazione cristiana. Anche le persone anziane non siano assenti dalle vostre preoccupazioni; molte di loro si
trovano oggi sole o abbandonate,
perché la cultura dello scarto si sta
purtroppo diffondendo un po’ dovunque. Non stancatevi di sottolineare con la parola e con le azioni che la
presenza e la partecipazione degli anziani alla vita sociale è indispensabile
per il buon cammino di un popolo.
Cari Fratelli Vescovi, desidero
esprimervi il mio apprezzamento per
il lavoro di evangelizzazione che,
nonostante molteplici difficoltà, portate avanti in Grecia. Il riconoscimento giuridico della Chiesa Cattolica da parte delle competenti Autorità è un evento di grande rilievo,
che vi aiuta a guardare con maggiore serenità al futuro, impegnandovi
nell’oggi con un fiducioso dinamismo e con l’entusiasmo di coloro che
sono testimoni del Signore morto e
risorto. Vi incoraggio a perseverare
con letizia evangelica nella vostra
missione. Affido voi, i sacerdoti, le
persone consacrate e tutti i fedeli laici delle vostre diocesi all’intercessione della Vergine Santa e, mentre vi
chiedo di pregare per me e per il
mio ministero, di cuore vi imparto la
Benedizione Apostolica.
L’OSSERVATORE ROMANO
numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
pagina 8/9
Francesco denuncia lo spreco e invoca politiche coraggiose per superare l’inequità
Il paradosso dell’abbondanza
Nel discorso conclusivo ai partecipanti all’incontro di Scholas Occurrentes
C’è cibo per tutti ma non tutti possono mangiare
Armonia nelle differenze
C’è cibo per tutti ma non tutti
possono mangiare, mentre
continuano lo spreco e lo scarto
alimentare: è «il paradosso
dell’abbondanza» denunciato
da Papa Francesco
in un videomessaggio inviato
ai partecipanti alla giornata
di lavoro dedicata alle «Idee
di Expo», svoltasi sabato
7 febbraio a Milano.
Non cambieremo il mondo se non cambiamo l’educazione
Un invito ad accettare e valorizzare le differenze nell’armonia è stato rivolto da Papa
Francesco ai partecipanti al quarto congresso mondiale di Scholas Occurrentes durante
l’incontro svoltosi nel pomeriggio di giovedì 5 febbraio, nell’aula del Sinodo in Vaticano.
Di seguito una traduzione italiana del discorso conclusivo del Pontefice.
Innanzitutto vi ringrazio per lo sforzo
che avete compiuto per partecipare a
questo IV Congresso. Vi ringrazio per i
contributi, che nascono dall’esperienza.
Una cosa che mi preoccupa molto è
ottenere armonie, che non è semplicemente raggiungere compromessi, accordi, comprensioni parziali. L’armonia, in
qualche modo, è creare comprensione
delle differenze, accettare le differenze,
valorizzare le differenze e lasciare che si
armonizzino, che non si frammentino.
Il messaggio della Lumsa che abbiamo ascoltato ricordava una mia frase:
«Non cambieremo il mondo, se non
cambiamo l’educazione». E c’è qualcosa di totalmente disarmonico. Pensavo
che fosse solo in America Latina o in
alcuni Paesi dell’America Latina, che
era ciò che conoscevo meglio. Ma è nel
mondo. È il patto educativo, patto
educativo che si crea tra la famiglia, la
scuola, la patria, la cultura. Si è rotto,
molto rotto, e non si può riattaccare. Il
patto educativo rotto significa che sia la
società, sia la famiglia, sia le diverse
istituzioni, delegano l’educazione agli
agenti educativi, ai docenti, che — generalmente mal pagati — hanno sulle
proprie spalle questa responsabilità e,
se non ottengono un successo, vengono
rimproverati. Ma nessuno rimprovera le
diverse istituzioni, che sono venute meno al patto educativo, lo hanno delegato alla professionalità di un docente.
Voglio rendere omaggio ai docenti,
perché si sono trovati con questa patata
bollente tra le mani e hanno avuto il
coraggio di andare avanti.
Scholas vuole in qualche modo reintegrare lo sforzo di tutti per l’educazione, vuole rifare armonicamente il patto
educativo, perché solo così, se tutti noi
responsabili dell’educazione dei nostri
ragazzi e giovani ci armonizzeremo,
l’educazione potrà cambiare. Per questo
Scholas cerca la cultura, lo sport, la
scienza; per questo Scholas cerca i ponti, esce dal “piccolo” e va a cercarli più
lontano. Oggi sta attuando in tutti i
continenti questa interazione, questa
conoscenza. Ma Scholas cerca inoltre di
armonizzare la stessa educazione della
persona del ragazzo, del giovane, dello
studente. Non è solo cercare informazione, il linguaggio della testa. Non basta. Scholas vuole armonizzare il linguaggio della testa con il linguaggio
del cuore e il linguaggio delle mani.
Che una persona, che un bambino, che
un ragazzo pensi quello che sente e
Di seguito una traduzione italiana
del messaggio rivolto dal Papa ai
bambini.
In tutti voi c’è uno scrigno, una
scatola, e dentro c’è un tesoro. Il
vostro lavoro è aprire lo scrigno,
tirare fuori il tesoro, farlo crescere, darlo agli altri e ricevere il tesoro degli altri. Ognuno di noi ha
un tesoro dentro. Se lo conserviamo chiuso, resta chiuso; se lo
condividiamo con gli altri, il tesoro si moltiplica con i tesori che
vengono dagli altri.
Quello che voglio dirvi è di
non nascondere il tesoro che
ognuno ha. A volte si trova subito, a volte bisogna fare come nel
gioco della caccia al tesoro, non
si trova subito. Ma una volta che
lo trovate, condividetelo! Perché,
nel condividerlo, si riceve dall’altro e si moltiplica. È questo che
voglio dirvi, ragazzi. Andate
avanti! Quello che voi fate nel
posto dove vi trovate aiuta anche
tutti noi a capire che la vita è un
bel tesoro, ma che ha senso solamente se la doniamo. Grazie!
Il Libro della Sapienza dice che Dio
giocava, la Sapienza di Dio giocava. Riscoprire il gioco come cammino educativo, come espressione educativa. Allora
l’educazione non è più solo informazione, è creatività nel gioco. Quella dimensione ludica che ci fa crescere nella creatività e nel lavoro insieme.
Infine, cercare in ciascuno di noi, nei
nostri popoli, la bellezza, la bellezza
che ci fonda, con la nostra arte, con la
nostra musica, con la nostra pittura,
con la nostra scultura, con la nostra letteratura. Il bello. Educare alla bellezza,
perché armonia significa bellezza e non
possiamo ottenere l’armonia del sistema
educativo se non abbiamo questa percezione della bellezza.
Vi ringrazio per tutto quello che fate
e per come collaborate a questa sfida,
che è creativa: creativa del patto educativo — ricrearlo perché così ricreiamo
l’educazione —; creativa dell’armonia
tra i tre linguaggi della persona: quello
delle mani, quello del cuore e quello
della mente; creativa nella dimensione
ludica di una persona, quel sano perdere tempo nel lavoro congiunto del gioco; creativo nella bellezza, che abbiamo
già incontrato nei fondamenti delle
identità nazionali, tutti insieme. È questa la sfida. Chi ha inventato ciò? Non
si sa, ma c’è. Ci sono problemi? Molti,
e molti ancora da risolvere nell’organizzazione di tutto ciò. Siamo tentati? Sì.
Ogni opera che inizia è tentata; tentata
di fermarsi, di corrompersi, di deviare.
Per questo sono necessari il lavoro congiunto e la vigilanza di tutti, affinché
questa scintilla che è nata continui a
estendersi in un fuoco che aiuti a ricostruire, ad armonizzare il patto educativo. A guadagnarci in tutto questo sono
i ragazzi. Quindi vi ringrazio per quello che fate per il futuro, perché dire
“ragazzi” è dire “futuro”. Grazie.
Oltre la scuola c’è di più
Videomessaggio ai bambini
Lo scrigno
e il tesoro
quello che fa; senta quello che pensa e
quello che fa; faccia quello che sente e
quello che pensa. Armonia nella stessa
persona, nell’educando, e armonia universale, di modo che tutti noi assumiamo il patto educativo e, così facendo,
usciamo da questa crisi della civiltà in
cui viviamo, e compiamo il passo che la
civiltà stessa esige da noi.
Ogni Paese in cui Scholas è presente
deve cercare nella sua tradizione — nella sua tradizione storica, nella sua tradizione popolare — gli elementi fondanti, quali sono gli elementi che culturalmente sono fondanti della patria. E,
partendo da ciò che ha dato senso a
quella patria, a quella nazione, trarre
l’universalità che armonizza. La cultura
italiana, per esempio, non può rinnegare Dante come elemento fondante. La
cultura argentina, che è quella che conosco, non può rinnegare il Martín
Fierro, il nostro poema fondante. E mi
viene voglia di chiedere, ma non lo farò, quanti argentini qui presenti hanno
studiato, letto, meditato il Martín Fierro. Tornare alle cose culturali che ci
hanno dato un senso, che ci hanno dato la prima unità della cultura nazionale dei popoli. Recuperare, ogni Paese,
quel che gli è proprio per condividerlo
con gli altri e armonizzare ciò che è più
grande: è questo educare alla cultura.
Inoltre, bisogna cercare ciò che fonda
la persona, la salute fondante, la capacità ludica, la capacità creativa del gioco.
Oltre la scuola c’è di più. Non è un
semplice slogan, ma un programma per
gettare ponti di dialogo, per integrare
bambini di ogni religione, cultura e
razza attraverso l’educazione. Questo è
in sintesi il messaggio di Scholas Occurrentes — realtà di cui ormai fanno
parte ben 400.000 istituti scolastici
pubblici e privati di ogni ordine e grado sparsi per il mondo — che si è ritrovata davanti a Papa Francesco giovedì
pomeriggio, 5 febbraio, in Vaticano.
L’occasione è stato il quarto congresso
mondiale sul tema «Responsabilità sociale e inclusione», che il Papa ha concluso collegandosi via web con vari
Paesi del mondo e dialogando con alcuni ragazzi disabili che gli hanno raccontato la loro esperienza. La prima è
stata Isabel, 13 anni, non vedente, che
in collegamento da Madrid ha spiegato
come riesce a leggere grazie a una tastiera forgiata sul metodo Braille. Il Papa le ha augurato di progredire nel
cammino della vita utilizzando le tecnologie e dedicando tempo all’attività
sportiva. Da San Paolo del Brasile ha
parlato Pedro, 12 anni, affetto da una
malformazione genetica. Amante del
calcio, ha confessato di essere sempre
contento quando gioca, anche se non
vince, perché ha la possibilità di stare
con gli amici. «Quello che importa non
è vincere, quello che importa è giocare
e stare insieme agli amici» ha commentato Francesco.
Alicia, 17 anni, ha la sindrome di Down. Sempre da Madrid, ha chiesto al
Pontefice se ama scattare foto con il tablet e scaricarle sul computer. Il Pontefice ha confessato di non avere dimistichezza con apparecchi fotografici ed
elettronici. Ancora dalla capitale spagnola Elvira, 11 anni, anche lei con la
sindrome di down, ha confidato di essere un’ammiratrice dell’argentina Violeta. Dal Papa l’incoraggiamento a coltivare la passione per il canto.
Affetto da ipotiroidismo congenito,
lo statunitense Isaiah, 17 anni, collegato
dal Nebraska, ha parlato della sua
esperienza di programmatore. Francesco gli ha raccomandato di non perdere
la speranza di fronte alle difficoltà:
«Noi — ha detto — siamo capaci di superarle tutte, abbiamo solo bisogno di
tempo per capire; intelligenza per trovare la via e coraggio per andare avanti, per non spaventarsi mai». Manoj, 13
anni, sordo, ha dichiarato di essere un
fan di Bruce Lee, spiegando come attraverso il computer e la tecnologia riesca a superare l’handicap. A lui il Pontefice ha ricordato l’importanza della
comunicazione, spiegando che «quando non comunichiamo, restiamo soli
con i nostri limiti e questo ci fa male.
Quando comunichiamo, quello che è
più importante è la comunicazione, il
dare e il ricevere e questo ci fa bene e
non restiamo mai soli. Quindi Scholas
può aiutarvi in questo: nella comunicazione». Infine, Bautista, 14 anni, affetto
da autismo, ha raccontato della sua
passione per la fotografia coltivata grazie al tablet, che gli permette di comporre collage di immagini con programmi specifici. Il Papa gli ha confessato di non avere un tablet e gli ha fatto gli auguri per la sua attività
Successivamente, i rappresentanti degli sponsor e delle aziende che sostengono Scholas Occurrentes hanno firmato davanti al Papa il loro impegno formale. Ultimo in ordine di tempo, l’accordo sottoscritto con il Football Club
Barcelona, che provvederà a formare
insegnanti in varie nazioni. Erano presenti anche rappresentanti di quotidiani
di vari Paesi del mondo, soprattutto del
centro e del sud America, che pubblicheranno un inserto di Scholas, ripetendo la stessa iniziativa avviata in Argentina con «Clarín». È stata poi data
lettura del testo del “patto educativo”,
al quale ha aderito la Libera università
Maria Santissima Assunta (Lumsa).
Quindi un nuovo collegamento via web
con il Mozambico. L’incontro si è concluso con il messaggio ai bambini e
l’intervento finale di Papa Francesco.
(nicola gori)
Buona sera a voi tutti, donne e
uomini, che siete radunati oggi
per riflettere sul tema: Nutrire
il Pianeta, Energia per la Vita.
In occasione della mia visita
alla FAO ricordavo come, oltre
all’interesse «per la produzione, la disponibilità di cibo e
l’accesso a esso, il cambiamento climatico, il commercio agricolo» che sono questioni ispiratrici cruciali, «la prima
preoccupazione dev’essere la
persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita,
L’immagine di Elena Pinelli utilizzata per una campagna
ai rapporti familiari e sociali, e
spreco alimentare
lottano solo per la sopravvivenza» (Discorso alla FAO, 24
il più forte ha la meglio sul più debonovembre 2014).
Oggi, infatti, nonostante il molti- le. Attenzione: qui non siamo di fronplicarsi delle organizzazioni e i diffe- te solo alla logica dello sfruttamento,
renti interventi della comunità inter- ma a quella dello scarto; infatti «gli
nazionale sulla nutrizione, viviamo esclusi non sono solo esclusi o sfrutquello che il santo Papa Giovanni tati, ma rifiuti, sono avanzi» (ibid.,
Paolo II indicava come «paradosso 53).
dell’abbondanza». Infatti, «c’è cibo
È dunque necessario, se vogliamo
per tutti, ma non tutti possono man- realmente risolvere i problemi e non
giare, mentre lo spreco, lo scarto, il perderci nei sofismi, risolvere la radiconsumo eccessivo e l’uso di alimenti ce di tutti i mali che è l’inequità. Per
per altri fini sono davanti ai nostri fare questo ci sono alcune scelte prioocchi. Questo è il paradosso! Pur- ritarie da compiere: rinunciare all’autroppo questo paradosso continua a tonomia assoluta dei mercati e della
essere attuale. Ci sono pochi temi sui speculazione finanziaria e agire anziquali si sfoderano tanti sofismi come tutto sulle cause strutturali della inesu quello della fame; e pochi argo- quità.
menti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dal2) Siate testimoni
le esigenze di sicurezza nazionale,
di carità
dalla corruzione o da un richiamo
«La
politica,
tanto denigrata, è una
doloroso alla crisi economica» (ibid.).
Per superare la tentazione dei sofi- vocazione altissima, è una delle forme
più
preziose
della
carità perché cerca
smi — quel nominalismo del pensiero
che va oltre, oltre, oltre, ma non toc- il bene comune». Dobbiamo convinca mai la realtà — per superare questa cerci che la carità «è il principio non
tentazione, vi suggerisco tre atteggia- solo delle micro-relazioni: rapporti
amicali, familiari, di piccolo gruppo,
menti concreti.
ma anche delle macrorelazioni: rapporti sociali, economici, politici»
1) Andare dalle urgenze
(ibid., 205).
alle priorità
Da dove dunque deve partire una
Abbiate uno sguardo e un cuore sana politica economica? Su cosa si
orientati non ad un pragmatismo impegna un politico autentico? Quali
emergenziale che si rivela come pro- i pilastri di chi è chiamato ad ammiposta sempre provvisoria, ma ad un nistrare la cosa pubblica? La risposta
orientamento deciso nel risolvere le è precisa: la dignità della persona
cause strutturali della povertà. Ricor- umana e il bene comune. Purtroppo,
diamoci che la radice di tutti i mali è però, questi due pilastri, che dovrebla inequità (cfr. Evangelii gaudium, bero strutturare la politica economica,
202). A voi desidero ripetere quanto spesso «sembrano appendici aggiunte
ho scritto in Evangelii gaudium: «No, dall’esterno per completare un discora un’economia dell’esclusione e della so politico senza prospettive né proinequità. Questa economia uccide. grammi di vero sviluppo integrale»
Non è possibile che non faccia noti- (ibid., 203). Per favore, siate coraggiozia il fatto che muoia assiderato un si e non abbiate timore di farvi interanziano ridotto a vivere per strada, rogare nei progetti politici ed economentre lo sia il ribasso di due punti mici da un significato più ampio delin borsa» (ibid., 53). Questo è il frut- la vita perché questo vi aiuta a «servito della legge di competitività per cui re veramente il bene comune» e vi
darà forza nel «moltiplicare
e rendere più accessibili per
tutti i beni di questo mondo» (ibid.).
3) Custodi e non padroni
della terra
Ricordo nuovamente, come già fatto alla FAO, una
frase che ho sentito da un
anziano contadino, molti
anni fa: «Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio
sempre perdona. Gli uomini
perdonano a volte. La terra
non perdona mai! Custodire
la sorella terra, la madre terra, affinché non risponda
con la distruzione» (Discorso
alla FAO, 24 nov. 2014).
Dinanzi ai beni della terra siamo chiamati a «non
perdere mai di vista né l’origine, né la finalità di tali
beni, in modo da realizzare
un mondo equo e solidale»,
così dice la dottrina sociale
contro lo
della Chiesa (Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa, 174). La terra ci è
stata affidata perché possa essere per
noi madre, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere. Una
volta, ho sentito una cosa bella: la
Terra non è un’eredità che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma
un prestito che fanno i nostri figli a
noi, perché noi la custodiamo e la
facciamo andare avanti e riportarla a
loro. La terra è generosa e non fa
mancare nulla a chi la custodisce. La
terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o peggio ancora arroganza da padroni. Dobbiamo
riportarla ai nostri figli migliorata,
custodita, perché è stato un prestito
che loro hanno fatto a noi. L’atteggiamento della custodia non è un impegno esclusivo dei cristiani, riguarda
tutti. Affido a voi quanto ho detto
durante la Messa d’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma: «Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro
che occupano ruoli di responsabilità
in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di
buona volontà: siamo custodi della
creazione, del disegno di Dio iscritto
nella natura, custodi dell’altro,
dell’ambiente; non lasciamo che segni
di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro
mondo! Ma per custodire dobbiamo
anche avere cura di noi stessi! [...]
Non dobbiamo avere paura della
bontà, anzi della tenerezza». Custodire la terra non solo con bontà, ma
anche con tenerezza.
Ecco dunque tre atteggiamenti che
vi offro per superare le tentazioni dei
sofismi, dei nominalismi, di quelli che
cercano di fare qualcosa ma senza la
concretezza della vita. Scegliere a
partire dalla priorità: la dignità della
persona; essere uomini e donne testimoni di carità; non aver paura di custodire la terra che è madre di tutti.
A voi tutti chiedo di pregare per
me: ne ho bisogno. E su voi invoco
la benedizione di Dio. Grazie.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 10
giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
Messe a Santa Marta
Io avrò cura di te
Giovedì 5 febbraio
La vera missione della Chiesa non è
mettere a punto un’efficiente macchina di aiuti, sul modello di una
ong. Il profilo dell’apostolo — che
annuncia in semplicità e povertà il
Vangelo con l’unico vero potere che
viene da Dio — si riconosce invece
nella chiara espressione di Gesù ai
discepoli rientrati felici dalla missione: «siamo servi inutili». E così il
Papa — nella messa celebrata giovedì
5 febbraio, nella cappella della Casa
Santa Marta — ha riaffermato che la
vera «missione della Chiesa è guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, perdona tutto, è padre, Dio è tenero e ci
aspetta sempre».
Nel passo evangelico di Marco (6,
7-13) proposto dalla liturgia, ha esordito il Pontefice, «abbiamo ascoltato
come Gesù chiama i suoi discepoli»
e li invia a «portare il Vangelo: è lui
che chiama». Il Vangelo dice «che
chiamò a sé e mandava e dava loro
poteri: nella vocazione dei discepoli,
il Signore dà il potere: il potere per
cacciare gli spiriti impuri per liberare, per guarire. Questo è il potere
che dà Gesù». Egli infatti «non dà il
potere di manovrare o fare grandi
imprese»; ma «il potere, lo stesso
potere che aveva lui, il potere che
lui aveva ricevuto dal Padre, glielo
consegna». E lo fa con un «consiglio chiaro: andate in comunità, ma
per il viaggio non prenderete
nient’altro che un bastone, né pane,
né sacca, né denaro: in povertà!».
«Il Vangelo — ha affermato Francesco — è così tanto ricco e tanto
forte che non ha bisogno di fare
grandi ditte, grandi imprese per
essere annunciato». Perché il Vangelo «dev’essere annunciato in povertà,
e il vero pastore è quello che va
come Gesù: povero, ad annunciare il
Vangelo, con quel potere». E
«quando il Vangelo viene custodito
con questa semplicità, con questa
povertà, si vede chiaramente che la
salvezza non è una teologia della
prosperità» ma «è un dono, lo stesso dono che Gesù aveva ricevuto per
darlo».
Francesco ha riproposto «quella
scena tanto bella della sinagoga,
quando Gesù si presenta ai suoi: “Io
sono stato inviato a portare salvezza,
a portare il lieto annuncio ai poveri,
ai carcerati la liberazione, ai ciechi il
dono della vista. La liberazione a
tutti quelli che sono oppressi e per
annunziare l’anno di grazia, l’anno
di gioia”». Proprio questo, ha detto,
«è lo scopo dell’annunzio evangelico, senza tante cose strane, mondane». Gesù «manda così».
E — si è chiesto — «cosa comanda
di fare ai discepoli, qual è il suo programma pastorale?». Semplicemente
quello di «curare, guarire, alzare, liberare, cacciare via i demoni: questo
è il programma semplice». Che coincide, ha fatto notare Francesco, con
«la missione della Chiesa: la Chiesa
che guarisce, che cura». Tanto che,
ha ricordato, «alcune volte io ho
parlato della Chiesa come di un
ospedale da campo: è vero! Quanti
feriti ci sono, quanti feriti! Quanta
gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite!».
Dunque, ha proseguito il Papa,
«questa è la missione della Chiesa:
guarire le ferite del cuore, aprire
porte, liberare, dire che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio
è padre, che Dio è tenero, che Dio
ci aspetta sempre».
Dalla loro missione, ha rimarcato
il Pontefice riferendosi al Vangelo di
Luca (10, 17-20), «i discepoli sono
tornati felici» perché «non credevano che ce l’avrebbero fatta». E «dicevano al Signore: “Ma, Signore, anche i demoni se ne andavano!”».
Erano appunto «felici perché questo
potere di Gesù, fatto con semplicità,
con povertà, con amore, dava un
buon risultato».
Proprio la frase rivolta a Gesù dai
discepoli felici, secondo quanto riporta il Vangelo, «ci spiega tutto».
Essi raccontano: «Abbiamo fatto
questo, e questo, e questo, e questo...». Così, dopo averli ascoltati,
Gesù chiude gli occhi e dice: «Io ho
visto satana cadere dal cielo». Una
frase che rivela qual è «la guerra
della Chiesa: è vero, noi dobbiamo
prendere aiuto e fare organizzazioni
che aiutino, perché il Signore ci dà i
doni per questo»; ma, ha avvertito il
Papa, «quando dimentichiamo questa missione, dimentichiamo la povertà, dimentichiamo lo zelo apostolico e mettiamo la speranza in questi
mezzi, la Chiesa lentamente scivola
in una ong e diviene una bella organizzazione: potente ma non evangelica, perché manca quello spirito,
quella povertà, quella forza di guarire».
C’è di più: al loro ritorno, Gesù
porta con sé i discepoli «a riposarsi
un po’, a fare una giornata in
campagna, a mangiare panini con
una bibita». Insomma il Signore
vuole «passare insieme un po’ di
tempo per festeggiare». E insieme
parlano della missione appena compiuta. Ma Gesù non dice loro: «Voi
siete grandi, eh! Alla prossima uscita, adesso, organizzate meglio le cose!». Si limita a raccomandare:
«Quando avete fatto tutto questo
Soichi Watanabe, «Per l’ultimo di questi»
(2004)
che dovete fare, dite a voi stessi:
“servi inutili siamo”» (Luca, 17, 10).
In queste parole del Signore, ha
rimarcato Francesco, c’è il profilo
dell’apostolo. E infatti, «quale sarebbe la lode più bella per un apostolo?». Ecco la risposta: «È stato un
operaio del regno, un lavoratore del
regno». Proprio «questa è la lode
più grande, perché va su questa strada dell’annunzio di Gesù, va a guarire, a custodire, a proclamare questo
lieto annunzio e questo anno di grazia. A fare che il popolo ritrovi il
Padre, a fare la pace nei cuori della
gente».
In conclusione il Papa ha invitato
a leggere questo passo del Vangelo,
sottolineando «quali sono le cose
più importanti per Gesù, per l’annuncio del Vangelo: sono queste,
queste piccole virtù». E «poi è lui, è
lo Spirito Santo che fa tutto».
La notte buia del Battista
Venerdì 6 febbraio
Juan Fernández de Navarrete, «Giovanni Battista in carcere»
(1565-1570)
Un uomo, Giovanni, e una strada, che è quella di
Gesù, indicata dal Battista, ma è anche la nostra,
nella quale tutti siamo chiamati al momento della
prova.
Parte dalla figura di Giovanni, «il grande Giovanni: al dire di Gesù “l’uomo più grande nato
da donna”» la riflessione di Papa Francesco nella
messa celebrata a Santa Marta venerdì 6 febbraio.
Il vangelo di Marco (6, 14-29) racconta della prigionia e del martirio di quest’«uomo fedele alla
sua missione; l’uomo che ha sofferto tante tentazioni» e che «mai, mai ha tradito la sua vocazione». Un uomo «fedele» e «di grande autorità, rispettato da tutti: il grande di quel tempo».
Papa Francesco si è soffermato ad analizzare la
sua figura: «Quello che gli usciva dalla bocca era
giusto. Il suo cuore era giusto». Era tanto grande
che «Gesù dirà anche di lui che “è Elia che è tornato, per pulire la casa, per preparare il cammino”». E Giovanni «era cosciente che il suo dovere
era soltanto annunziare: annunziare la prossimità
del Messia. Lui era cosciente, come ci fa riflettere
sant’Agostino, che lui era la voce soltanto, la Parola era un altro». Anche quando «è stato tentato
di “rapinare” questa verità, lui è rimasto giusto:
“Io non sono, dietro di me viene, ma io non so-
no: io sono il servo; io sono il servitore; io sono
quello che apre le porte, perché lui venga».
A questo punto il Pontefice ha introdotto il
concetto di strada, perché, ha ricordato: «Giovanni è il precursore: precursore non solo della entrata del Signore nella vita pubblica, ma di tutta la
vita del Signore». Il Battista «va avanti nel cammino del Signore; dà testimonianza del Signore
non soltanto mostrandolo — “È questo!”— ma anche portando la vita fino alla fine come l’ha portata il Signore». E finendo la vita «col martirio» è
stato «precursore della vita e della morte di Gesù
Cristo».
Il Papa ha continuato a riflettere su queste strade parallele lungo le quali «il grande» soffre «tante prove e diventa piccolo, piccolo, piccolo, piccolo
fino al disprezzo». Giovanni, come Gesù, «si annienta, conosce la strada dell’annientamento. Giovanni con tutta quella autorità, pensando alla sua
vita, comparandola con quella di Gesù, dice alla
gente chi è lui, come sarà la sua vita: “Conviene
che lui cresca, io invece debbo diminuire”». È questa, ha sottolineato il Papa, «la vita di Giovanni:
diminuire davanti a Cristo, perché Cristo cresca».
CONTINUA A PAGINA 11
L’OSSERVATORE ROMANO
numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
Al lavoro con Dio
ma, questo secondo lavoro è più
meraviglioso».
C’è poi, ha proseguito Francesco, «un altro lavoro: il lavoro della perseveranza nella fede, che Gesù dice che lo fa lo Spirito Santo:
“Io vi invierò il Paraclito e Lui vi
insegnerà e vi ricorderà, vi farà ricordare quello che ho detto”». È
«il lavoro dello Spirito dentro di
noi, per fare viva la parola di Gesù, per conservare la creazione,
per garantire che questa creazione
non venga meno». Dunque «la
presenza dello Spirito lì, che fa viva la prima creazione e la seconda».
Insomma «Dio lavora, continua
a lavorare e noi possiamo domandarci come dobbiamo rispondere a
questa creazione di Dio, che è nata dall’amore perché Lui lavora
per amore». Così «alla “prima
creazione” dobbiamo rispondere
con la responsabilità che il Signore ci dà: “La terra è vostra, portatela avanti; fatela crescere!”». Perciò «anche per noi c’è la responsabilità di far crescere la terra, di far
crescere il creato, di custodirlo e
farlo crescere secondo le sue leggi:
noi siamo signori del creato, non
padroni». E non dobbiamo «impadronirci del creato, ma farlo andare avanti, fedeli alle sue leggi».
Proprio «questa è la prima risposta al lavoro di Dio: lavorare per
custodire il creato, per farlo fruttificare».
In questa prospettiva, ha sostenuto il Papa, «quando noi sentiamo che la gente fa riunioni per
pensare a come custodire il creato,
possiamo dire: “Ma no, sono i verdi!”». Invece, ha rilanciato, «non
sono i verdi: questo è cristiano!».
Ed «è la nostra risposta alla “prima creazione” di Dio, è la nostra
responsabilità!». Difatti «un cristiano che non custodisce il creato,
che non lo fa crescere, è un cristiano cui non importa il lavoro di
Dio, quel lavoro nato dall’amore
di Dio per noi». E «questa è la
prima risposta alla prima creazio-
ne: custodire il creato, farlo crescere».
Ma «alla “seconda creazione”,
come rispondiamo?» ha domandato Francesco, rilevando che, in
proposito, «l’apostolo Paolo ci dice una parola giusta, che è la vera
risposta: “Lasciatevi riconciliare
con Dio”». Si tratta, ha spiegato,
di «quell’atteggiamento interiore
aperto per andare continuamente
sulla strada della riconciliazione
interiore, della riconciliazione comunitaria, perché la riconciliazione è opera di Cristo». E Paolo dice ancora: «Dio ha riconciliato il
mondo in Cristo». E «questa è la
seconda risposta». Dunque «alla
“seconda creazione” noi diciamo:
“Sì, dobbiamo lasciarci riconciliare
col Signore”».
Francesco ha poi proposto
un’altra questione: «E al lavoro
che fa lo Spirito Santo in noi, di
ricordarci le parole di Gesù, di
spiegarci, di fare capire quello che
Gesù ha detto, come rispondiamo?». È stato proprio «Paolo a
dirci» di non rattristare «lo Spirito
Santo che è in voi: state attenti, è
il vostro ospite, è dentro di voi, lavora dentro di voi! Non rattristate
lo Spirito Santo». E questo «perché noi crediamo in un Dio
personale. Dio è persona: è persona Padre, persona Figlio e persona
Spirito Santo». Del resto «tutti e
tre sono coinvolti in questa creazione, in questa ricreazione, in
questa perseveranza nella ri-creazione». Così «a tutti e tre noi rispondiamo: custodire e far crescere il creato, lasciarci riconciliare
con Gesù, con Dio in Gesù, in
Cristo, ogni giorno, e non rattristare lo Spirito Santo, non cacciarlo via: è l’ospite del nostro cuore,
quello che ci accompagna, ci fa
crescere».
In conclusione il Papa ha pregato perché «il Signore ci dia la
grazia di capire che Lui è all’opera; e ci dia la grazia di rispondere
giustamente a questo lavoro di
amore».
Ottava riunione del Consiglio di cardinali
L’ottava sessione del Consiglio di cardinali si è svolta
dal 9 all’11 febbraio, con riunioni sia al mattino, sia al
pomeriggio. Erano presenti tutti i membri del Consiglio — nove porporati e il vescovo segretario Semeraro — e Papa Francesco ha partecipato a tutti gli incontri, tranne il mercoledì mattina (come nelle precedenti circostanze) a motivo dell’udienza generale.
La prima riunione di lunedì mattina è stata dedicata alla preparazione della Relazione sul lavoro svolto
dal Consiglio e sul tema della riforma della Curia,
che viene presentata giovedì 12 al concistoro del Collegio cardinalizio. Monsignor Semeraro ha illustrato
il contributo da lui preparato.
La riunione di lunedì pomeriggio è stata caratterizzata da un incontro con il cardinale Ravasi a proposito del Pontificio Consiglio della Cultura nel quadro
della riforma della Curia.
La mattina di martedì è stata dedicata per la maggior parte a un’audizione di monsignor Paul Tighe,
segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e del comitato per la riforma dei media
vaticani, che ha presentato un rapporto con le princi-
Venerdì
6 febbraio
CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 10
Lunedì 9 febbraio
Dio è sempre all’opera per amore
e sta a noi rispondergli con
responsabilità e in spirito di
riconciliazione, lasciando campo
allo Spirito Santo. È l’invito
rivolto dal Papa nella messa celebrata lunedì mattina, 9 febbraio,
nella cappella della Casa Santa
Marta.
«La liturgia della Parola di oggi
— ha spiegato subito Francesco riferendosi al passo della Genesi (1,
1-19) — ci porta a pensare, a meditare sui lavori di Dio: Dio lavora».
Tanto che «Gesù stesso ha detto:
“Mio Padre ancora lavora, ancora
agisce, ancora opera; anche Io!”».
E così, ha ricordato il Papa, «alcuni teologi medievali spiegavano:
prima Dio, il Creatore, crea l’universo, crea i cieli, la terra, i viventi. Lui crea. Il lavoro di creazione». Però «la creazione non finisce: Lui continuamente sostiene
quello che ha creato, opera per sostenere quello che ha creato perché vada avanti».
Proprio nel vangelo di Marco
(6, 53-56), ha fatto notare il Papa,
«vediamo “l’altra creazione” di
Dio» cioè «quella di Gesù che viene a “ri-creare” quello che era stato rovinato dal peccato». E «vediamo Gesù fra la gente». Scrive
infatti Marco: «Scesi dalla barca,
la gente subito lo riconobbe e accorrendo da tutta quella regione
cominciò a portargli sulle barelle i
malati, dovunque udiva Egli si
trovasse; e quanti lo toccavano venivano salvati». È «la “ri-creazione”», appunto e «la liturgia esprime l’anima della Chiesa in questo,
quando fa dire in una bella preghiera: “Oh Dio che Tu così meravigliosamente hai creato l’universo, ma più meravigliosamente lo
hai ricreato nella redenzione”».
Dunque «questa “seconda creazione” è più meravigliosa della pri-
pagina 11
pali risultanze e proposte per la riorganizzazione del
complesso dei media vaticani. Il Consiglio di cardinali ha manifestato apprezzamento per il lavoro svolto dal Comitato e ne ha confermato i principali
orientamenti.
Nel pomeriggio sono state riprese in considerazione questioni riguardanti la Segreteria e il Consiglio
per l’economia in vista della finalizzazione degli Statuti di tali nuovi organismi.
La prima parte della riunione di mercoledì mattina
è stata nuovamente dedicata alla preparazione del
Concistoro del giorno seguente, in particolare al contributo del coordinatore del Consiglio, cardinale Rodríguez Maradiaga, mentre nella seconda parte si è
avuto un aggiornamento sull’organizzazione e le attività della Segreteria per l’economia. Nell’ultima riunione, mercoledì pomeriggio, sono state riprese le
considerazioni della mattina insieme al Papa ed è stato ascoltato il cardinale O’Malley sulla recente plenaria della Commissione per la tutela dei minori. La
prossima sessione del Consiglio di cardinali si svolgerà dal 13 al 15 aprile.
È «la vita del servo che fa posto, fa strada perché venga il Signore».
La vita di Giovanni «non è stata facile»: infatti, «quando Gesù ha incominciato la sua vita pubblica», egli era «vicino agli Esseni, cioè agli osservanti della
legge, ma anche delle preghiere, delle
penitenze». Così, a un certo punto, nel
periodo in cui era in carcere, «ha sofferto
la prova del buio, della notte nella sua
anima». E quella scena, ha commentato
Francesco, «commuove: il grande, il più
grande manda da Gesù due discepoli per
domandargli: “Ma Giovanni ti domanda:
sei tu o ho sbagliato e dobbiamo aspettare un altro?”». Lungo la strada di Giovanni si è affacciato quindi «il buio dello
sbaglio, il buio di una vita bruciata
nell’errore. E questa per lui è stata una
croce».
Alla domanda di Giovanni «Gesù risponde con le parole di Isaia»: il Battista
«capisce, ma il suo cuore rimane nel
buio». Ciò nonostante si presta alle richieste del re, «al quale piaceva sentirlo,
al quale piaceva portare avanti una vita
adultera», e «quasi diventava un predicatore di corte, di questo re perplesso».
Ma «lui si umiliava» perché «pensava di
convertire quest’uomo».
Infine, ha detto il Papa, «dopo questa
purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada
all’annientamento di Gesù, finisce la sua
vita». Quel re da perplesso «diventa capace di una decisione, ma non perché il
suo cuore sia stato convertito»; piuttosto
«perché il vino gli dà coraggio».
E così Giovanni finisce la sua vita
«sotto l’autorità di un re mediocre,
ubriaco e corrotto, per il capriccio di una
ballerina e per l’odio vendicativo di
un’adultera». Così «finisce il grande,
l’uomo più grande nato da donna», ha
commentato Francesco che ha confessato: «Quando io leggo questo brano, mi
commuovo». E ha aggiunto una considerazione utile alla vita spirituale di ogni
cristiano: «Penso a due cose: primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri
giorni, quegli uomini, donne, bambini
che sono perseguitati, odiati, cacciati via
dalle case, torturati, massacrati». E questa, ha sottolineato, «non è una cosa del
passato: oggi succede questo. I nostri
martiri, che finiscono la loro vita sotto
l’autorità corrotta di gente che odia Gesù
Cristo». Perciò «ci farà bene pensare ai
nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo
Miki, ma quello è successo nel 1600.
Pensiamo a quelli di oggi, del 2015».
Il Pontefice ha proseguito aggiungendo che questo brano lo spinge anche a
riflettere su se stesso: «Anche io finirò.
Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita
“comprata”. Anche noi, volendo o non
volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita». E
ciò, ha detto, lo spinge «a pregare che
questo annientamento assomigli il più
possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento».
Si chiude così il cerchio della meditazione di Francesco: «Giovanni, il grande,
che diminuisce continuamente fino al
nulla; i martiri, che diminuiscono oggi,
nella nostra Chiesa di oggi, fino al nulla;
e noi, che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo». In questo senso la preghiera finale
del Papa: «Che il Signore ci illumini, ci
faccia capire questa strada di Giovanni, il
precursore della strada di Gesù; e la strada di Gesù, che ci insegna come deve essere la nostra».
L’OSSERVATORE ROMANO
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giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
Due carte d’identità
Martedì 10 febbraio
Per conoscere la nostra vera identità non possiamo essere «cristiani seduti» ma dobbiamo avere il
«coraggio di metterci sempre in cammino per cercare il volto del Signore», perché noi siamo «immagine di Dio». Nella messa celebrata a Santa
Marta martedì 10 febbraio, Papa Francesco, commentando la prima lettura liturgica — il racconto
della creazione nel libro della Genesi (1, 20 - 2, 4)
— ha riflettuto su una domanda essenziale per
ogni persona: «Chi sono io?».
La nostra «carta d’identità», ha detto il Papa, si
ritrova nel fatto che gli uomini sono stati creati
«all’immagine, secondo la somiglianza di Dio».
Ma allora, ha aggiunto, «la domanda che noi
possiamo farci è: Come conosco, io, l’immagine
di Dio? Come so com’è lui per sapere come sono
io? Dove trovo l’immagine di Dio?». La risposta
si trova «certamente non sul computer, non nelle
enciclopedie, non nei libri», perché «non c’è un
catalogo dove c’è l’immagine di Dio». C’è solo
un modo «per trovare l’immagine di Dio, che è la
mia identità» ed è quello di mettersi in cammino:
«Se non ci mettiamo in cammino, mai potremo
conoscere il volto di Dio».
Questo desiderio di conoscenza si ritrova anche
nell’Antico testamento. I salmisti, ha fatto notare
Francesco, «tante volte dicono: io voglio conoscere il tuo volto»; e «anche Mosè una volta l’ha
detto al Signore». Ma in realtà «non è facile, perché mettersi in cammino significa lasciare tante sicurezze, tante opinioni di come è l’immagine di
Dio, e cercarlo». Significa, in altri termini, «lasciare che Dio, la vita, ci metta alla prova», significa «rischiare», perché «soltanto così si può arrivare a conoscere il volto di Dio, l’immagine di
Dio: mettendosi in cammino».
Il Papa ha attinto ancora all’Antico testamento
per ricordare che «così ha fatto il popolo di Dio,
così hanno fatto i profeti». Per esempio «il grande Elia: dopo aver vinto e purificato la fede di
Israele, lui sente la minaccia di quella regina e ha
paura e non sa cosa fare. Si mette in cammino. E
a un certo punto, preferisce morire». Ma Dio «lo
chiama, gli dà da mangiare, da bere e dice: conti-
nua a camminare». Così Elia «arriva al monte e lì
trova Dio». Il suo è stato dunque «un lungo cammino, un cammino penoso, un cammino difficile», ma ci insegna che «chi non si mette in cammino, mai conoscerà l’immagine di Dio, mai troverà il volto di Dio». È una lezione per tutti noi:
«i cristiani seduti, i cristiani quieti — ha affermato
il Pontefice — non conosceranno il volto di Dio».
Hanno la presunzione di dire: «Dio è così, così...», ma in realtà «non lo conoscono».
Per camminare, invece, «è necessaria quella inquietudine che lo stesso Dio ha messo nel nostro
cuore e che ti porta avanti a cercarlo». La stessa
cosa, ha spiegato il Pontefice, è successa «a Giobbe che, con la sua prova, ha incominciato a pensare: ma come è Dio, che permette questo a
me?». Anche i suoi amici «dopo un grande silenzio di giorni, hanno incominciato a parlare, a discutere con lui». Ma tutto ciò non è stato utile:
«con questi argomenti, Giobbe non ha conosciuto
Dio». Invece «quando lui si è lasciato interpellare
dal Signore nella prova, ha incontrato Dio». E
proprio da Giobbe si può ascoltare «quella parola
che ci aiuterà tanto in questo cammino di ricerca
della nostra identità: “Io ti conoscevo per sentito
dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”». È
questo il cuore della questione secondo Francesco: «l’incontro con Dio» che può avvenire «soltanto mettendosi in cammino».
Certo, ha continuato, «Giobbe si è messo in
cammino con una maledizione», addirittura «ha
avuto il coraggio di maledire la vita e la sua storia: “Maledetto il giorno che sono nato...”». In effetti, ha riflettuto il Papa, «a volte, nel cammino
della vita, non troviamo un senso alle cose». La
stessa esperienza è stata vissuta dal profeta Geremia, il quale «dopo essere stato sedotto dal Signore, sente quella maledizione: “Ma perché a
me?”». Egli voleva «restarsene seduto tranquillo»
e invece «il Signore voleva fargli vedere il suo
volto».
Questo vale per ognuno di noi: «per conoscere
la nostra identità, conoscere l’immagine di Dio,
bisogna mettersi in cammino», essere «inquieti,
non quieti». Proprio questo «è cercare il volto di
D io».
Papa Francesco si è quindi riferito anche al
passo del Vangelo di Marco (7, 1-13), nel quale
«Gesù incontra gente che ha paura di mettersi in
Udienza al presidente
della Repubblica di Kiribati
Nella mattina di giovedì 5 febbraio Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica di Kiribati, Anote
Tong, che in seguito ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Paul
R. Gallagher, segretario per i
Rapporti con gli Stati.
Nel corso dei cordiali colloqui ci si è soffermati, in particolare, sull’importanza della
tutela dell’ambiente e sulla
questione dei cambiamenti climatici, i cui effetti negativi sul
Paese, come pure su altri Stati
del Pacifico, sono preoccupanti. Al riguardo, si è formulato
l’auspicio che in occasione
della COP-21, prevista a Parigi
nel mese di dicembre prossimo, la comunità internazionale possa adottare misure condivise ed efficaci per affrontare
tale sfida.
Rembrandt, «Testa di Cristo» (1648, particolare)
cammino» e che costruisce una sorta di «caricatura di Dio». Ma quella «è una falsa carta d’identità» perché, ha spiegato il Pontefice, «questi noninquieti hanno fatto tacere l’inquietudine del cuore: dipingono Dio con i comandamenti» ma così
facendo «si dimenticano di Dio» per osservare solo «la tradizione degli uomini». E «quando hanno un’insicurezza, inventano o fanno un altro comandamento». Gesù dice a scribi e farisei che accumulano comandamenti: «Così voi annullate la
Parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi, e di cose simili ne fate molte». Proprio
questa «è la falsa carta d’identità, quella che possiamo avere senza metterci in cammino, quieti,
senza l’inquietudine del cuore».
In proposito il Papa ha messo in evidenza un
particolare «curioso»: il Signore infatti «li loda
ma li rimprovera dove c’è il punto più dolente. Li
loda: “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione”», ma poi «li rimprovera lì dove è il punto più
forte dei comandamenti con il prossimo». Gesù
ricorda infatti che Mosè disse: «Onora tuo padre
e tua madre, e chi maledice il padre o la madre
sia messo a morte». E prosegue: «Voi invece dite:
se uno dichiara al padre o alla madre che “ciò con
cui dovrei aiutarti, cioè darti da mangiare, darti
da vestire, darti per comprare le medicine, è Korbàn, offerta a Dio”, non consentite loro di fare
più nulla per il padre e la madre». Così facendo
«si lavano le mani con il comandamento più tenero, più forte, l’unico che ha una promessa di benedizione». E così «sono tranquilli, sono quieti,
non si mettono in cammino». Questa dunque «è
l’immagine di Dio che loro hanno». In realtà il
loro è un cammino «fra virgolette»: ossia «un
cammino che non cammina, un cammino quieto.
Rinnegano i genitori, ma compiono le leggi della
tradizione che loro hanno fatto».
Concludendo la sua riflessione il vescovo di
Roma ha riproposto il senso dei due testi liturgici
come «due carte d’identità». La prima è «quella
che tutti noi abbiamo, perché il Signore ci ha fatto così», ed è «quella che ci dice: mettiti in cammino e tu avrai conoscenza della tua identità, perché tu sei immagine di Dio, sei fatto a somiglianza di Dio. Mettiti in cammino e cerca Dio». L’altra invece ci rassicura: «No, stai tranquillo: compi
tutti questi comandamenti e questo è Dio. Questo
è il volto di Dio». Da qui l’auspicio che il Signore «dia a tutti la grazia del coraggio di metterci
sempre in cammino, per cercare il volto del Signore, quel volto che un giorno vedremo ma che
qui, sulla terra, dobbiamo cercare».
L’OSSERVATORE ROMANO
numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
pagina 13
Sadao Watanabe
«Gesù e i bambini» (1977)
Il Papa chiede collaborazione piena e attenta
Per sradicare
la piaga degli abusi
«Fare tutto il possibile per sradicare
dalla Chiesa la piaga degli abusi
sessuali sui minori e aprire una via
di riconciliazione e di guarigione in
favore di coloro che sono stati
abusati»: lo chiede Papa Francesco
ai vescovi e ai superiori degli ordini
religiosi in una lettera inviata
in occasione della plenaria
della Pontificia Commissione per
la tutela dei minori, riunitasi
in Vaticano dal 6 all’8 febbraio.
Ai Presidenti delle Conferenze
Episcopali
e ai Superiori degli Istituti di vita
consacrata
e le Società di vita apostolica
Nel marzo dell’anno scorso ho istituito la Pontificia Commissione per
la Tutela dei Minori, annunciata già
nel dicembre 2013, con lo scopo di
offrire proposte e iniziative orientate
a migliorare le norme e le procedure
per la protezione di tutti i minori e
degli adulti vulnerabili, e ho chiamato a farne parte personalità altamente qualificate e note per il loro impegno in questo campo.
Nel luglio successivo, l’incontro
con alcune persone che hanno subito abusi sessuali da parte di sacerdoti mi ha offerto l’occasione di essere
diretto e commosso testimone
dell’intensità delle loro sofferenze e
della solidità della loro fede. Ciò mi
ha ulteriormente confermato nella
convinzione che occorre continuare
a fare tutto il possibile per sradicare
dalla Chiesa la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di
riconciliazione e di guarigione in favore di coloro che sono stati abusati.
Per questi motivi, lo scorso dicembre ho aggiunto alla Commissione
alcuni nuovi membri, in rappresentanza delle Chiese particolari di tutto il mondo. E fra pochi giorni, tutti
i membri si incontreranno a Roma
per la prima volta.
In questo contesto, ritengo che la
Commissione potrà essere un nuovo,
valido ed efficace strumento per aiutarmi ad animare e a promuovere
l’impegno dell’intera Chiesa — ai vari livelli: Conferenze Episcopali,
Diocesi, Istituti di vita consacrata e
Società di vita apostolica, ecc. — a
mettere in atto le azioni necessarie
per garantire la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili e dare risposte di giustizia e di misericordia.
Le famiglie devono sapere che la
Chiesa non risparmia sforzi per tutelare i loro figli e hanno il diritto di
rivolgersi ad essa con piena fiducia,
perché è una casa sicura. Non potrà,
pertanto, venire accordata priorità
ad altro tipo di considerazioni, di
qualunque natura esse siano, come
ad esempio il desiderio di evitare lo
scandalo, poiché non c’è assolutamente posto nel ministero per coloro
che abusano dei minori.
Occorre altresì vigilare con attenzione affinché si dia piena attuazione alla Lettera circolare emanata dalla Congregazione per la Dottrina
della Fede, il 3 maggio 2011, per aiutare le Conferenze Episcopali nel
preparare linee-guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei
confronti di minori da parte di chierici. È importante che le Conferenze
Episcopali si dotino di uno strumento per la revisione periodica delle
norme e per la verifica del loro
adempimento.
Al Vescovo diocesano e ai Superiori maggiori spetta il compito di
verificare che nelle parrocchie e nelle
Conclusa la plenaria della Pontificia commissione per la Tutela dei minori
Una casa sicura
I membri della Pontificia Commissione per la Tutela
dei minori si sono riuniti in assemblea plenaria a Roma
dal 6 all’8 febbraio. L’incontro ha rappresentato la prima occasione per i 17 membri della Commissione, allargata di recente, di riunirsi e di far conoscere i progressi compiuti nel compito affidato loro dal Papa, ovvero di consigliarlo nella salvaguardia e nella protezione dei minori nella Chiesa. Durante gli incontri, i
membri hanno presentato le relazioni dei loro gruppi
di lavoro di esperti, preparate durante lo scorso anno.
La Commissione ha poi completato le proprie raccomandazioni relative alla sua struttura formale e ha approvato diverse proposte da sottoporre all’attenzione
del Papa.
I gruppi di lavoro sono parte integrante della struttura operativa della Commissione. Tra una sessione
plenaria e l’altra, essi promuovono ricerche e progetti
in ambiti centrali alla missione di rendere la Chiesa
una “casa sicura” per bambini, adolescenti e adulti vulnerabili. Tra questi vi sono: cura pastorale delle vittime
e delle loro famiglie, educazione, linee guida di miglior
pratica, formazione per i sacerdoti e i religiosi, norme
ecclesiastiche e civili che regolano le accuse di abusi e
responsabilità delle persone in posizioni di responsabilità nella Chiesa quando si tratta di accuse di abuso.
La Commissione è consapevole che la questione della responsabilità riveste una grande importanza. Durante l’assemblea, i membri hanno approvato una proposta iniziale da presentare all’attenzione di Papa Francesco. Inoltre, la Commissione sta sviluppando processi per assicurare la responsabilità di tutti coloro che
nella Chiesa — clero, religiosi e laici — lavorano con i
minori. Per assicurare tale responsabilità, occorre suscitare consapevolezza e comprensione a tutti i livelli della Chiesa riguardo alla gravità e all’urgenza di attuare
procedure di salvaguardia corrette. A tal fine, la Commissione ha anche concordato di elaborare seminari
per educare le guide della Chiesa nell’ambito della
protezione dei minori.
In seguito alla lettera del Papa datata 2 febbraio, la
Commissione attende con piacere di collaborare con le
Chiese a livello locale, rendendo disponibili le competenze per assicurare le migliori pratiche nelle linee guida per la protezione dei minori. La Commissione sta
inoltre preparando del materiale per una Giornata di
preghiera per tutti coloro che sono stati feriti da abusi
sessuali. Ciò sottolineerà la responsabilità dei membri
della Commissione a operare per la guarigione spirituale e aiuterà a suscitare consapevolezza nella comunità cattolica circa la piaga degli abusi verso i minori.
altre istituzioni della Chiesa venga
garantita la sicurezza dei minori e
degli adulti vulnerabili. Come
espressione del dovere della Chiesa
di manifestare la compassione di Gesù verso coloro che hanno subito
abusi sessuali e verso le loro famiglie, le Diocesi e gli Istituti di vita
consacrata e le Società di vita apostolica sono esortati ad individuare
programmi di assistenza pastorale,
che potranno avvalersi dell’apporto
di servizi psicologici e spirituali. I
Pastori e i responsabili delle comunità religiose siano disponibili all’incontro con le vittime e i loro cari: si
tratta di occasioni preziose per
ascoltare e per chiedere perdono a
quanti hanno molto sofferto.
Per tutti questi motivi, chiedo la
vostra collaborazione piena e attenta
con la Commissione per la Tutela
dei Minori. Il lavoro che ho affidato
loro comprende l’assistenza a voi e
alle vostre Conferenze, attraverso il
reciproco scambio di “prassi virtuose” e di programmi di educazione,
formazione e istruzione per quanto
riguarda la risposta da dare agli abusi sessuali.
Il Signore Gesù infonda in ciascuno di noi, ministri della Chiesa,
quell’amore e quella predilezione per
i piccoli che ha caratterizzato la Sua
presenza fra gli uomini e che si traduce in una speciale responsabilità
per il bene dei minori e degli adulti
vulnerabili. Ci aiuti Maria Santissima, Madre della tenerezza e della
misericordia, a compiere con generosità e rigore il nostro dovere di riconoscere umilmente e di riparare le
ingiustizie del passato e ad essere
sempre fedeli al compito di proteggere coloro che Gesù predilige.
Dal Vaticano, 2 Febbraio 2015
Festa
della Presentazione del Signore
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 14
Per riflettere sulla Scrittura
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato Nunzio
Apostolico nella Repubblica Araba
d’Egitto e Delegato presso l’O rganizzazione della Lega degli Stati Arabi
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Bruno Musarò, Arcivescovo titolare di Abari, finora Nunzio Apostolico in Cuba.
(5 febbraio 2015)
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Vescovo
di Wewak (Papua Nuova Guinea) il
Reverendo Padre Józef Roszyński,
S.V.D., Missionario polacco nella medesima Diocesi.
Nomina di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato Ausiliare dell’Arcidiocesi di Onitsha (Nigeria)
il Reverendo Monsignore Denis Chidi
Isizoh, del clero di Onitsha, Officiale
presso il Pontificio Consiglio per il
Dialogo Interreligioso, assegnandogli
la Sede titolare vescovile di Legia.
(6 febbraio 2015)
Chris Cook, «Gesù tentato»
22 febbraio,
I
domenica di quaresima
Stile di sobrietà
di LEONARD O SAPIENZA
Notizie dai giornali. — Un milione di persone frequenta scuole e corsi yoga (il 65 per cento sono donne) per raggiungere la serenità. —
Diete, sport, amore: c’è il mental coach per allenare l’anima. Adesso
in Italia sono 5.000; un fenomeno che non riguarda solo le star! —
Consumismo: viviamo al di sopra delle nostre possibilità, come se
avessimo a disposizione quattro pianeti. Consumiamo male e troppo!
— Grazie alla medicina e agli stili di vita: più alti, più sani, più intelligenti. Così siamo cambiati in cento anni. — Industria del benessere:
è record! Negli ultimi due anni gli italiani hanno speso sedici miliardi fra massaggi e maschere di bellezza, 275 euro a testa!
Tutto questo per il benessere e la bellezza esteriore! E per la bellezza interiore?
Saremo anche diventati più sani, più belli e più intelligenti. Ma saremo anche diventati migliori, più
buoni, più cristiani, più santi?
Un proverbio cinese recita: «La Genesi 9, 8-15: L’alleanza
gente si rimette i capelli in ordine fra Dio e Noè liberato
dalle acque del diluvio.
ogni mattina. Perché non il cuore?».
È tornata la Quaresima, a ricordar- Salmo 24: Tutti i sentieri
ci i suoi antichi valori: il silenzio, del Signore sono amore
l’ascolto, la preghiera, la rinuncia, la e fedeltà.
penitenza, il digiuno, la lotta contro
1 Pietro 3, 18-22:
le tentazioni, la conversione, la vigiQuest’acqua, come
lanza, le opere di misericordia. Inimmagine del battesimo,
somma: uno stile di vita più sobrio.
Uno stile che ci ricorda che a nulla ora salva anche voi.
servono le nostre operazioni di esteti- Marco 1, 12-15: Gesù, tentato
ca di facciata, se non corrisponde an- da satana, è servito
che un’operazione di conversione in- dagli angeli.
teriore. A nulla serve una plastica
facciale, se siamo incapaci di un sincero cambiamento.
Non possiamo non cambiare: perché cambia la vita. L’abitudine è
una rete che incatena mente, cuore, mani, rendendoci alla fine schiavi
e inerti.
Stesse abitudini, stessi percorsi, stessi ritmi, stesse persone: così la
vita diventa grigia, e non siamo più capaci di rischiare, di migliorare,
di cercare la novità, di diventare persone nuove.
È facile cambiare faccia; adeguarsi alla moda; il difficile è cambiare
mentalità, cambiare cuore. Ma è solo questa l’operazione da fare, se
vogliamo vivere in pienezza la nostra vita cristiana, e risorgere a vita
nuova con Cristo.
Questa Quaresima ci viene offerta proprio per questo.
giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
Il Santo Padre ha nominato l’Eminentissimo Cardinale Cormac Murphy-O’Connor, Arcivescovo emerito di
Westminster, Suo Inviato Speciale alle
solenni celebrazioni in onore di Saint
John Ogilvie, S.I., nel IV centenario del
martirio, previste a Glasgow il 9 e il 10
marzo 2015.
Il Santo Padre ha nominato Membro della Congregazione delle Cause
dei Santi l’Eccellentissimo Monsignore
Luigi Marrucci, Vescovo di Civitavecchia-Tarquinia.
Il Santo Padre ha nominato Comandante della Guardia Svizzera Pontificia, col grado di Colonnello, l’Illustrissimo Signor Tenente Colonnello Christoph Graf.
Il provvedimento è stato reso noto
in data 8 febbraio.
Il Santo Padre ha accolto la rinuncia
al governo pastorale della Diocesi di
Díli (Timor Orientale), presentata da
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Alberto Ricardo Da Silva, in
conformità al Canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato vescovo
della Diocesi di Lichinga (Mozambico) il Reverendo Atanasio Amisse Canira, Vicario Generale di Nacala e Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie.
La nomina è stata resa nota in data
8 febbraio.
(9 febbraio 2015)
Nomina di Arcivescovo
Coadiutore
Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Coadiutore di Warmia (Polonia)
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Józef Górzyński, trasferendolo
dalla sede titolare di Lentini e dall’ufficio di Ausiliare di Warszawa.
(10 febbraio 2015)
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Malabo (Guinea Equatoriale),
presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Ildefonso Obama
Obono, in conformità al canone 401 §
1 del Codice di Diritto Canonico.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi
di Lisala (Repubblica Democratica del
Congo), presentata da Sua Eccellenza
Reverendissima
Monsignor
Louis
Nkinga Bondala, C.I.C.M., in conformità al Canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Nomina di Vescovo Ausiliare
Provviste di Chiese
Il Santo Padre ha nominato Vescovo
Ausiliare dell’Arcidiocesi di Ljubljana
(Slovenia) il Reverendo Monsignor
Franc Šuštar, finora Rettore del Seminario Maggiore di Ljubljana, assegnandogli la Sede titolare di Ressiana.
(7 febbraio 2015)
Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Malabo (Guinea Equatoriale)
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Juan Nsue Edjang Mayé, finora
Vescovo di Ebebiyin.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi
di Lichinga (Mozambico), presentata
da Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Elio Greselin, S.C.I., in
conformità al Canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo
di Lisala (Repubblica Democratica del
Congo) il Reverendo Padre Ernest
Ngboko Ngombe, C.I.C.M., Vicario
Generale della Congregazione dei Missionari di Scheut.
(11 febbraio 2015)
Christoph Graf comandante
della Guardia svizzera
Christoph Graf è il trentacinquesimo comandante della Guardia Svizzera Pontificia. Finora ricopriva l’incarico di vice comandante e, come tale, era capo dello
stato maggiore del Corpo e ufficiale di collegamento con le altre forze armate.
Originario di Pfaffnau, nel cantone di Lucerna, dove è nato il 5 settembre 1961,
ha iniziato il suo servizio come alabardiere il 2 marzo 1987. È stato poi istruttore
e ha ricoperto anche il ruolo di sergente maggiore e responsabile della pianificazione e dell’organizzazione dei servizi. Da ufficiale ha guidato una delle tre sezioni del Corpo prima di divenire vice comandante. È sposato e ha due figli.
numero 7, giovedì 12 febbraio 2015
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 15
Felice Casorati, «Le sorelle Pontorno»
(1937, particolare)
Occorre «studiare criteri e modalità
nuovi affinché le donne si sentano non
ospiti, ma pienamente partecipi dei vari
ambiti della vita sociale ed ecclesiale»:
lo ha detto Papa Francesco ai membri
del Pontificio Consiglio della cultura
ricevuti sabato 7 febbraio, nella Sala
del concistoro, al termine dell’assemblea
plenaria che è stata dedicata al tema
«Le culture femminili: uguaglianza e
differenza».
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo con piacere al termine
della vostra Assemblea Plenaria, che
vi ha visti impegnati nella riflessione
e nella ricerca sul tema Le culture
femminili: uguaglianza e differenza.
Ringrazio il Cardinale Ravasi per le
parole rivolte anche a nome di tutti
voi. Desidero esprimere la mia riconoscenza in particolare alle donne
presenti, ma anche a tutte quelle — e
so che sono tante — che hanno contribuito in diversi modi alla preparazione e alla realizzazione di questo
lavoro.
L’argomento che è stato da voi
scelto mi sta molto a cuore, e già in
diverse occasioni ho avuto modo di
toccarlo e di invitare ad approfondirlo. Si tratta di studiare criteri e
modalità nuovi affinché le donne si
sentano non ospiti, ma pienamente
partecipi dei vari ambiti della vita
sociale ed ecclesiale. La Chiesa è
donna, è la Chiesa, non il Chiesa.
Questa è una sfida non più rinviabile. Lo dico ai Pastori delle comunità
cristiane, qui in rappresentanza della
Chiesa universale, ma anche alle laiche e ai laici in diversi modi impegnati nella cultura, nell’educazione,
nell’economia, nella politica, nel
mondo del lavoro, nelle famiglie,
nelle istituzioni religiose.
L’ordine delle tematiche da voi
programmato per lo sviluppo del lavoro di questi giorni — lavoro che
certamente proseguirà anche in futuro — mi permette di indicarvi un itinerario, di offrirvi alcune linee-guida
per sviluppare tale impegno in ogni
parte della terra, nel cuore di tutte le
culture, in dialogo con le varie appartenenze religiose.
La prima tematica è: Tra uguaglianza e differenza: alla ricerca di un
equilibrio. Ma un equilibrio che sia
armonico, non solo bilanciato. Questo aspetto non va affrontato ideologicamente,
perché
la
“lente”
dell’ideologia impedisce di vedere
bene la realtà. L’uguaglianza e la
differenza delle donne — come del
resto degli uomini — si percepiscono
meglio nella prospettiva del con, della relazione, che in quella del contro.
Da tempo ci siamo lasciati alle spalle, almeno nelle società occidentali,
il modello della subordinazione sociale
della donna all’uomo, un modello
secolare che, però, non ha mai esaurito del tutto i suoi effetti negativi.
Abbiamo superato anche un secondo
modello, quello della pura e semplice parità, applicata meccanicamente,
e dell’uguaglianza assoluta. Si è configurato così un nuovo paradigma,
quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza. La relazione
uomo-donna, dunque, dovrebbe riconoscere che entrambi sono neces-
Le donne nella vita sociale ed ecclesiale secondo Francesco
Non ospiti
ma protagoniste
sari in quanto posseggono, sì,
un’identica natura, ma con modalità
proprie. L’una è necessaria all’altro,
e viceversa, perché si compia veramente la pienezza della persona.
La seconda tematica: La “generatività” come codice simbolico. Essa rivolge uno sguardo intenso a tutte le
mamme, e allarga l’orizzonte alla
trasmissione e alla tutela della vita,
non limitata alla sfera biologica, che
potremmo sintetizzare attorno a
quattro verbi: desiderare, mettere al
mondo, prendersi cura e lasciar andare.
In questo ambito, ho presente e
incoraggio il contributo di tante
donne che operano nella famiglia,
nel campo dell’educazione alla fede,
nell’attività pastorale, nella formazione scolastica, ma anche nelle strutture sociali, culturali ed economiche.
Voi donne sapete incarnare il volto
tenero di Dio, la sua misericordia,
che si traduce in disponibilità a do-
Cordoglio del Papa
È morto il cardinale Becker
Il cardinale gesuita tedesco Karl Josef Becker, docente emerito
della Pontificia Università Gregoriana, già consultore della Congregazione
per la dottrina della fede, è morto nelle prime ore di martedì 10 febbraio,
all’ospedale romano dei Fatebenefratelli. Aveva 86 anni. Nato il 18 aprile
1928 a Colonia, era stato ordinato sacerdote il 31 luglio 1958. Benedetto
XVI lo aveva creato cardinale nel concistoro del 18 febbraio 2012,
assegnandogli la diaconia di San Giuliano martire. Appresa la notizia
Papa Francesco ha inviato al preposito generale della Compagnia di Gesù,
padre Adolfo Nicolás Pachón, il seguente telegramma.
La notizia della pia dipartita del
venerato Cardinale Karl Joseph
Becker suscita nel mio animo affettuoso rimpianto e desidero
esprimere sentimenti di profondo
cordoglio a Lei e all’intera Compagnia di Gesù, ricordando con
profonda gratitudine l’intenso ed
esemplare servizio svolto per molti anni dal compianto Porporato
nell’insegnamento, nella formazione delle nuove generazioni, specialmente dei sacerdoti, nella ricerca teologica, come pure nel servizio alla Santa Sede. Innalzo fervide preghiere al Signore affinché,
per intercessione della Vergine
Santa e di Sant’Ignazio di Loyola,
voglia donare al defunto Cardinale il premio eterno promesso ai
suoi fedeli discepoli e di cuore invio a Lei e a quanti lo hanno conosciuto, apprezzandone le doti
di mente e di cuore, la confortatrice Benedizione Apostolica.
FRANCISCUS
PP.
Analogo telegramma è stato inviato
dal cardinale Pietro Parolin,
segretario di Stato.
nare tempo più che a occupare spazi, ad accogliere invece che ad escludere. In questo senso, mi piace descrivere la dimensione femminile
della Chiesa come grembo accogliente che rigenera alla vita.
La terza tematica: Il corpo femminile tra cultura e biologia, ci richiama la
bellezza e l’armonia del corpo che
Dio ha donato alla donna, ma anche
le dolorose ferite inflitte, talvolta con
efferata violenza, ad esse in quanto
donne. Simbolo di vita, il corpo
femminile viene, purtroppo non di
rado, aggredito e deturpato anche
da coloro che ne dovrebbero essere i
custodi e compagni di vita.
Le tante forme di schiavitù, di
mercificazione, di mutilazione del
corpo delle donne, ci impegnano
dunque a lavorare per sconfiggere
questa forma di degrado che lo riduce a puro oggetto da svendere sui
vari mercati. Desidero richiamare
l’attenzione, in questo contesto, sulla
dolorosa situazione di tante donne
povere, costrette a vivere in condizioni di pericolo, di sfruttamento,
relegate ai margini delle società e rese vittime di una cultura dello
scarto.
Quarta tematica: Le donne e la religione: fuga o ricerca di partecipazione
alla vita della Chiesa? Qui i credenti
sono interpellati in modo particolare. Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi alle donne nella vita della
Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. È auspicabile,
pertanto, una presenza femminile
più capillare ed incisiva nelle Comunità, così che possiamo vedere molte
donne coinvolte nelle responsabilità
pastorali, nell’accompagnamento di
persone, famiglie e gruppi, così come nella riflessione teologica.
Non si può dimenticare il ruolo
insostituibile della donna nella famiglia. Le doti di delicatezza, peculiare
sensibilità e tenerezza, di cui è ricco
l’animo femminile, rappresentano
non solo una genuina forza per la
vita delle famiglie, per l’irradiazione
di un clima di serenità e di armonia,
ma anche una realtà senza la quale
la vocazione umana sarebbe irrealizzabile.
Si tratta, inoltre, di incoraggiare e
promuovere la presenza efficace delle donne in tanti ambiti della sfera
pubblica, nel mondo del lavoro e nei
luoghi dove vengono adottate le decisioni più importanti, e al tempo
stesso mantenere la loro presenza e
attenzione preferenziale e del tutto
speciale nella e per la famiglia. Non
bisogna lasciare sole le donne a portare questo peso e a prendere decisioni, ma tutte le istituzioni, compresa la comunità ecclesiale, sono chiamate a garantire la libertà di scelta
per le donne, affinché abbiano la
possibilità di assumere responsabilità
sociali ed ecclesiali, in un modo armonico con la vita familiare.
Cari amici e care amiche, vi incoraggio a portare avanti questo impegno, che affido all’intercessione della
Beata Vergine Maria, esempio concreto e sublime di donna e di madre.
E per favore vi chiedo di pregare per
me e di cuore vi benedico. Grazie.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 16
giovedì 12 febbraio 2015, numero 7
Tra uguaglianza e differenza
di GIULIA GALEOTTI
oco lontano da qui, Caterina da Siena prese la parola durante un sinodo:
se lo ha fatto una donna sola nel
Trecento, non si vede perché pensare
di far parlare oggi le donne in un
consesso ecclesiastico rilevante dovrebbe essere percepito come un gesto eretico». Così, nella mattinata
«P
Senza le donne
non è possibile
del 7 febbraio, Lucetta Scaraffia ha
chiuso i lavori dell’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della
cultura, dedicata a «Le culture femminili tra uguaglianza e differenza».
Invitate e moderate dal cardinale
Gianfranco Ravasi, a partire dal 4
febbraio sono intervenute ai lavori
Consuelo Corradi, Ulla Gudmundson, Donna Orsuto, Laura Bastianelli, Micol Forti, suor Eugenia Bonetti, Fiona May, Anne-Marie Pelletier e suor Mary Melone. Di quest’ultima, rettore della Pontificia
Università Antonianum, pubblichiamo in pagina parte dell’intervento.
Nella relazione conclusiva alla
plenaria, Lucetta Scaraffia ha innanzitutto compiuto un excursus storico
— tra donne dei vangeli, significato
autentico dell’incarnazione e implicazioni rivoluzionarie del matrimonio cristiano — che spiega perché
l’emancipazione femminile sia avvenuta solo in quei Paesi che, sebbene
ormai secolarizzati, hanno però alla
loro origine una matrice cristiana.
Oggi, del resto, al di fuori dell’occidente, la sola presenza che aiuta e
affianca concretamente le donne umiliate, maltrattate, martoriate e schiavizzate in Africa e Asia è la Chiesa,
attraverso le tante religiose e missionarie che vivono e lottano quotidianamente con le donne e per le donne.
Perché — si è chiesta Scaraffia — la
Chiesa non si accorge di questa presenza femminile così cruciale per le
donne? Perché ignora questa meravigliosa testimonianza della capacità
del cristianesimo di accogliere?
Restituire alla donna il ruolo che
le compete nella Chiesa — ha proseguito Scaraffia — è anche una que-
stione teologica. Un punto, del resto,
su cui Papa Francesco è tornato più
volte. «Per sciogliere questo nodo e
aprire la porta alla presenza femminile non basta nominare donne in posti
autorevoli, è necessario un ripensamento complessivo del ruolo della
donna nella storia della Chiesa, cioè
un lavoro di approfondimento teologico serio, che permetta di rifondare
la Chiesa sulle sue due anime, quella
femminile e quella maschile, conducendole a una unità non più fondata
sulla supremazia maschile. Un approfondimento necessario non solo per
risolvere la questione femminile, ma
anche per riformare la Chiesa nel
senso che vuole il Papa, cioè per farne luogo di accoglienza, compassione
e amore fraterno. Senza le donne
questo non è possibile».
E non dimentichiamo — ha proseguito Scaraffia — che quando nel libro della Genesi Dio crea l’uomo e la
donna, li crea entrambi a sua immagine: «Questo non significa solo che
maschio e femmina vengono creati
con la stessa identica dignità, significa anche che in entrambi c’è l’immagine di Dio e che quindi Dio ha elementi dell’uno e dell’altra».
La plenaria del Pontificio consiglio della cultura si è dunque conclusa. Ma il cammino da compiere è
lontanissimo dall’essere esaurito. Lo
ha ricordato il cardinale Gianfranco
Ravasi nel suo intervento finale. E lo
ha ribadito, poco dopo, lo stesso Papa Francesco ricevendo la plenaria
in udienza: «Si tratta — ha detto il
Pontefice — di studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale. Questa è una sfida
non più rinviabile».
Fuga o partecipazione?
Alfredo Ramos Martínez, «Mexican Adam & Eve» (1933)
di MARY MELONE
Perché dare particolare risalto all’elezione di una donna a capo di
un’università pontificia come rettore? I criteri per l’elezione dovrebbero essere accademici, legati alla competenza, al contributo scientifico, alla partecipazione alla vita dell’università eccetera, e pertanto dovrebbero prescindere dalla distinzione tra
uomo e donna. La sorpresa per la
mia nomina, invece, dice forse che
non si ritiene sia questa la normalità
delle università pontificie.
Il paradosso esiste e ci pone la
domanda su quali sono gli spazi
proposti alle donne, su quale tipo di
partecipazione viene offerta loro.
La possibilità di una risposta a tali interrogativi passa anzitutto attraverso la consapevolezza che le donne nella Chiesa ci sono, ci sono sempre state. Ci sono e sono sempre state una presenza attiva, sempre, anche nelle epoche più buie. Credo
che questo punto sia da enfatizzare.
Noi donne nella Chiesa ci siamo
non perché qualcuno ci ha concesso
uno spazio o una partecipazione: ci
siamo perché siamo Chiesa.
Credo che per valorizzare la presenza delle donne nella Chiesa sia
necessario operare un ripensamento
profondo. E dove deve portare questo ripensamento? Al loro riconoscimento. Uso questo termine in una
duplice accezione. In primo luogo,
credo sia necessario riconoscere il
valore della vita di fede delle donne,
lavorando a livello ecclesiale per ridurre quella mentalità che considera
questa vita di fede sempre di livello
inferiore.
Se le donne fanno teologia, è teologia femminile. Perché c’è bisogno
di questo aggettivo? Forse perché si
dà per scontato che la teologia per
antonomasia, quella che non ha bisogno di aggettivi, è maschile? Se le
donne chiedono di insegnare, normalmente si pensa subito che lo spazio più adatto per loro sia l’insegnamento della religione nelle scuole o il
catechismo. Perché? Se le donne en-
trano nelle istituzioni ecclesiali, o negli organismi diocesani, lo spazio che
si ritiene naturale per loro è quello
assistenziale o comunque il volontariato e la beneficenza. Perché?
Queste e altre situazioni molto
concrete e molto quotidiane dicono
una cosa semplice: la vita di fede
della donna non sempre è considerata autorevole.
Credo inoltre che il riconoscimento di cui hanno bisogno le donne
nella Chiesa debba tradursi in scelte
concrete. Quando la Chiesa si interroga su se stessa, non dovrebbe farlo
a una voce sola. I sinodi, le conferenze episcopali e gli altri momenti
collegiali dovrebbero trovare modalità che riconoscano uno spazio maggiore di ascolto delle donne.
Un ambito privilegiato per realizzare un vero riconoscimento della
presenza delle donne nella Chiesa è
quello della formazione, soprattutto
dei futuri sacerdoti.
Sostenere il contributo che le donne possono dare come insegnanti alla
formazione dei seminaristi è molto
importante, sia perché le donne hanno un approccio didattico e contenutistico peculiare, che può arricchire
l’esperienza di apprendimento, sia
perché questa esperienza abitua i seminaristi a riconoscere la serietà e la
competenza delle donne, in vista di
una futura collaborazione con loro.
Bisognerebbe valorizzare in modo
serio quell’enorme mole di lavoro
pastorale affidata alle donne, religiose e non, che attraverso scuole, università, ospedali, case di accoglienza
sono spesso in prima linea per difendere chi soffre rappresentando così il
volto reale della Chiesa, che è a servizio dell’uomo e della sua dignità.
Cosa pensano queste donne? Come vedono il futuro dell’evangelizzazione? Cosa significa la loro attività
per le comunità cristiane? Dove è
orientato il loro pensiero? Valorizzare
significa, ancora una volta, dare importanza a questa esperienza, farla
divenire significativa dove può tradursi in decisioni operative.
Penso che ci sia anche un altro
ambito che richieda riconoscimento:
si tratta del mondo delle donne in
quanto tale, della loro situazione,
delle loro attese e sofferenze. Il rapporto donna e Chiesa non è solo
una questione di ruoli decisionali da
ricoprire: è anche saper affrontare le
domande delle donne, ritenerle importanti.
Quale Chiesa si mette in ascolto
della donna? Molti progetti pastorali
partono da obiettivi prestabiliti, da
principi giustissimi e ineccepibili su
matrimonio e famiglia, ad esempio,
che però non tengono conto della
concretezza del mondo delle donne.