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CONFIMI
Rassegna Stampa del 12/05/2014
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INDICE
CONFIMI
10/05/2014 Corriere dell'Umbria
PICCOLE E MEDIE IMPRESE NELL'ERA DEL WEB 2.0 UNA MANO DA CONFIMI
11
11/05/2014 Il Giornale di Vicenza
Brevi
14
12/05/2014 Il Giornale di Vicenza
Candidati sindaco a Pove e Solagna
15
10/05/2014 Prima Pagina
«Bisogna cambiare le regole sulla selezione delle imprese in gara negli appalti
pubblici»
18
10/05/2014 Prima Pagina
«Ora cambiare le regole del gioco»
19
CONFIMI WEB
09/05/2014 www.agvnews.it 16:08
Expo, Aniem: Fatti dimostrano inadeguatezza sistema gare
21
09/05/2014 agenparl.com 13:55
EXPO: ANIEM, FATTI DIMOSTRANO L'INADEGUATEZZA DEL SISTEMA DI
QUALIFICAZIONE DELLE GARE
22
09/05/2014 trapaniok.it 20:55
Aniem Sicilia incontra il vice ministro per le infrastrutture
23
SCENARIO ECONOMIA
10/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Quei 79 milioni «scippati» agli enti pensioni
26
10/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Hedge fund e banche centrali, la riunione di Ginevra sul debito
28
10/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Tassi ai minimi, i Btp rendono il 2,9%
29
10/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
BlackRock spiega la Finanza in Piazza (Beccaria)
30
10/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Il risparmio non va punito Premio a chi investe per 5 anni»
31
11/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Tasse alle imprese, il piano: taglio da dieci miliardi Rischio caos per la Tasi
33
11/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Ma su Autonomi e Partite Iva sarà Assalto in Senato
35
11/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Maxi sgravi Irap e via alle privatizzazioni
36
11/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
cambia il Calcolo del Potere d'Acquisto si scoprono Trecento milioni di Poveri
38
11/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Sede a Mosca e stipendi d'oro Le mani sulla società degli sprechi
39
11/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Axa punta sul mercato italiano Montepaschi, alleanza più stretta»
41
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
«L'Italia non perda la frontiera tecnologica»
43
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Expo, corsa a tre per il dopo-Paris Tangenti anche sui padiglioni esteri
44
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Le dieci start-up che sono già nel futuro
46
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Tamagnini: «Fsi replicherà presto il modello Ansaldo»
48
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Non bastano le promesse nel semestre delle riforme
50
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Gli obiettivi sono chiari, ma ora serve una strategia
52
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Tagli del 30% ma ancora 1,1 miliardi di consulenze
54
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
56
Sopaf, arresti per truffa alle Casse
A marzo manifattura avanti piano
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
La battaglia per crescere in un ambiente ancora ostile
61
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Quel flash trading a Piazza Affari
62
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Immobili, maxi-fusione da 7 miliardi
63
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
L'area finanza Fiat-Chrysler a Londra con Marchionne
65
10/05/2014 Il Sole 24 Ore
Telefonica: restiamo in Telecom Italia con la quota attuale
66
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Non fermiamo il Cantiere
67
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Expo, oggi il vertice per la governance Renzi: avanti le opere
68
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Se la Bce fallisce sulla stabilità dei prezzi
70
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Un passo avanti e due insidie
72
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Ai fondi esteri il 38% di Piazza Affari
73
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
La pressione fiscale aiutata dal caos normativo
75
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Così la recessione russa può colpire la Ue
76
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Tempi stretti per i compiti dell'Ilva
77
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Ubi, i soci varano la riforma Più spazio ai soci di capitale
79
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
«Prove di trasmissione» per il polo Ue della pay tv
la ricerca inventa il suo mercato
81
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
84
Cercasi moroso ostinatamente
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Non solo capannoni: la Svizzera seduce anche l'e-commerce
85
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Energia, prezzi giù (non per le Pmi)
87
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Il difficile compito di rilanciare l'Europa
89
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Contratti a termine, il 20% è «mobile»
91
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Fisco, ricorsi digitali dal 2015
93
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Più immigrati pagano l'Irpef ma redditi in calo
95
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Consulenza e finanziamenti per «gemme» al femminile
96
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
TENERE D'OCCHIO I SINGOLI OBIETTIVI
97
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
«LE PMI ATTIVE SUL WEB ESPORTANO DI PIÙ»
98
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
«Subito le regole operative per la nuova finanza etica»
100
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Microcredito in Italy
102
10/05/2014 La Repubblica - Nazionale
Alla Mercedes i giovani non bastano In fabbrica torna il pensionato
104
10/05/2014 La Repubblica - Nazionale
I guai di Telecom Tim Brasil frena giù i ricavi del fisso
105
11/05/2014 La Repubblica - Nazionale
Londra terra promessa per i giovani italiani in cerca di lavoro
106
11/05/2014 La Repubblica - Nazionale
"Uscire dall'austerity non dalla moneta unica solo così Eurolandia può rialzare la
testa"
108
11/05/2014 La Repubblica - Nazionale
In Italia piccolo non è più bello Anche per l'Fmi le nostre aziende ormai arrancano
110
12/05/2014 La Repubblica - Nazionale
Debito, Tesoro in campo cedere il 10% di Eni e Enel
111
10/05/2014 La Stampa - Nazionale
L'industria frena, incognite sulla crescita
113
11/05/2014 La Stampa Nazionale
"La concertazione ha fallito"
115
11/05/2014 La Stampa - Nazionale
Murdoch prepara la "Grande Sky"
117
11/05/2014 La Stampa - Nazionale
Ernesto Franco: fare l'editore è offrire al pubblico un'identità
118
12/05/2014 La Stampa - Nazionale
Il paese che investe nel vento Pale eoliche in multiproprietà
120
12/05/2014 La Stampa - Nazionale
Cedolare secca meno cara È l'unica tassa che scende
122
12/05/2014 La Stampa - Nazionale
«Occhi su banche, energia e Cina»
123
12/05/2014 La Stampa - Nazionale
Effetto Draghi, il super•euro si indebolisce
124
12/05/2014 La Stampa - Nazionale
"Le imprese cresceranno se si lotta contro i dazi"
125
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
MANDRAKE E L'ENERGIA IL RISPARMIO IN UNA SLIDE
127
11/05/2014 La Repubblica - Nazionale
108
128
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Euro forte politica valutaria cercasi
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
L'Enel di Starace più estera e più verde
130
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Wester all'Alfa "Così batteremo Bmw e Mercedes"
132
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Bono: "Cresceremo con i soldi dell'Ipo"
135
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Il nuovo Ior di papa Francesco senza più poteri né autonomia
137
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Privatizzare per aumentare l'efficienza
139
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Arvedi, Feralpi Duferco, la nuova siderurgia post Ilva
140
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
L'effetto ottico della crescita in deficit dei Pigs
142
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Intesa SanPaolo i dipendenti azionisti col paracadute
143
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Prelios-Fortress insieme a caccia dei Npl
144
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Nuova anzi usata, l'auto che tira ancora segreti e numeri di un mercato mai in crisi
145
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Il controllo di qualità chiave di successo così le imprese italiane vanno a due velocità
147
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Dalle medicine ai funerali così gli sconti fiscali pesano sulle casse statali
149
12/05/2014 Corriere Economia
Crescita e mercati L'utilità ritrovata di un'Europa forte
151
12/05/2014 Corriere Economia
Confartigianato mette le eccellenze in vetrina (online)
152
12/05/2014 Corriere Economia
Imprese I big del pubblico Primo: trainare la ripresa
154
155
12/05/2014 Corriere Economia
La nuova sfida del seduttore è nella ripresa dell'Alfa
10/05/2014 Milano
Finanza
ORSI & TORI
156
10/05/2014 Milano Finanza
ALLORA RIDATECI L'IMU ECCO QUANTO COSTANO LA NUOVE TASSE SULLA
CASA
159
10/05/2014 Milano Finanza
La moneta unica e il futuro del Continente. Il dibattito è in libreria
163
10/05/2014 Milano
Finanza
SuperMario serve a poco
164
10/05/2014 Milano
Finanza
Il rischio paga più del 5%
166
10/05/2014 Milano
Finanza
Yaki vince a Solferino
168
10/05/2014 Milano
Finanza
Al top nella governance
170
10/05/2014 Milano Finanza
Bankitalia alle prese con la bitcoin
172
10/05/2014 Milano
Finanza
Alitalia alla conta finale
173
SCENARIO PMI
10/05/2014 Corriere della Sera - Brescia
Filosofi e designer, in Aib la rivoluzione dei «maker»
176
11/05/2014 Il Sole 24 Ore
Prada, l'obiettivo è avere più ricavi da Miu Miu e Church's
178
12/05/2014 Il Sole 24 Ore
Il programma «AdottUp» valorizza l'arte di Napoli
181
11/05/2014 La Stampa Nazionale
Imprese
182
183
11/05/2014 Libero - Nazionale
Dieci buone notizie sui conti dell'Italia
10/05/2014 Il Foglio
Le parole non producono
185
10/05/2014 Il Foglio
L'economia cinese è grande ma non è ancora da grande potenza
186
10/05/2014 ItaliaOggi
Ombrello a richiesta sul credito
188
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Gestione efficiente, più export ecco l'utilità di quella "patente"
190
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Banche e avvocati in lizza per la coppa dell'eccellenza
192
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Impreparati alla meta della fattura digitale obbligatoria dal 6 giugno
193
12/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
In Tech City le aziende dell'elettronica condividono il magazzino
195
12/05/2014 Corriere Economia
Manager a tempo. Per
esportare
196
10/05/2014 Milano
Finanza
L'ULTIMA SETTIMANA**
197
10/05/2014 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Aziende europee meno profittevoli
199
CONFIMI
5 articoli
12/05/2014
Giornale di Brescia
Pag. 38
(diffusione:48023, tiratura:59782)
PICCOLE E MEDIE IMPRESE NELL'ERA DEL WEB 2.0 UNA MANO DA
CONFIMI
PERUGIA Come si posizionano le produzioni tradizionali umbre nell'era dei social network delle nuove
frontiere di comunicazione business to consumer? E' il tema affrontato da una ricerca di cui si è parlato ieri.
Promosso da Confimi Impresa Umbria - l'Associazione delle Piccole e Medie Imprese dell'Umbria - in
collaborazione con la Luiss Business School - nell'ambito di un'iniziativa del Centro Estero - è stato
presentato, presso il Centro Servizi "Galeazzo Alessi", uno studio basato su un campione di Pmi associate a
Confimi Impresa Umbria appartenenti ai settori dell'agroalimentare, del tessile, del mobile e della ceramica.
Attraverso un'attenta analisi dei principali mezzi di comunicazione offerti dalle tecnologie social, lo studio si
propone di identificare il posizionamento competitivo di aziende a forte connotazione tradizionale in termini di
comunicazione web 2.0 e di indirizzare le imprese stesse verso un uso più consapevole e razionale del web
2.0 da cui è possibile far scaturire nuove e concrete opportunità di business. Confimi Impresa Umbria,
desiderosa di tradurre in fatti quanto discusso nel convegno di oggi, avvierà un'attività sul campo per
supportare quelle imprese che volessero aver una prima consulenza gratuita attraverso l'ausilio di Ilaria
Brocanello, responsabile scientifica del progetto, per contribuire alla definizione di strategie a portata di
piccole e medie imprese. Sono intervenuti il professore Andrea Prencipe (Ordinario in Economia e Gestione
dell'Innovazione, Luiss Business School) e Brocanello (Responsabile Scientifico del Progetto, Luiss Business
School).
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COMPETITIVITA'
11/05/2014
Il Giornale di Vicenza
Pag. 18
(diffusione:41821, tiratura:51628)
ELEZIONI EUROPEE APINDUSTRIA INCONTRA I CANDIDATI DEL NORDEST Mercoledì 14 maggio, alle
17,15, Apindustria ha organizzato nella sede di Galleria Crispi un dibattito tra i candidati alle Europee.
Interverranno Magdi Allam (An), Michele Boldrin (Se), Giorgio Burlini (M5s), Antonio Cancian (Ncd),
Elisabetta Gardini (FI), Alessandra Moretti (Pd), Nino Pipitone (Idv)) e Flavio Tosi (Lega). ANTIQUARIATO IN
PIAZZA REMAKE E VINTAGE IN CORSO FOGAZZARO Quella di oggi sarà una domenica all´insegna
dell´antiquariato e del collezionismo. Le piazze della città saranno occupate dalla bancarelle dei vari
espositori e la festa di colori, oggetti proseguirà anche lungo corso Fogazzaro fino alla chiesa dei Carmini con
oggetti vintage e anche con design del Novecento TESTAMENTO BIOLOGICO SPORTELLO APERTO A
SAN FAUSTINO Lo sportello per l´archiviazione del proprio testamento biologico sarà aperto mercoledì 14
maggio dalle 17,30 alle 19 nei locali della Chiesa metodista in contrà San Faustino. L´appuntamento , il
31esimo, è proposto dal gruppo Coscioni di Vicenza e dalla chiesa metodista. Il prossimo si terrà martedì 10
giugno. MENSA SCOLASTICA LE DOMANDE PER LA RIDUZIONE Entro il 7 giugno dovranno essere
presentate le domande per ottenere la riduzione del costo del pasto per la mensa degli alunni delle scuole
dell´infanzia comunali e statali, delle primarie e secondarie di primo grado per l´anno 2014-2015. Domande
per chi risiede in città e con un Isee che non superi gli 11.405,94 euro
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Brevi
10/05/2014
Modena Qui
Pag. 22
Candidati sindaco a Pove e Solagna
Due incontri con i candidati promossi da Confartigianato, Apindustria e Confcommercio a Solagna e Pove. Si
parte stasera da Solagna, alle 20.30 nella sala del cinema Valbrenta dove interverranno i candidati Roberto
Ferracin, Daniele Nervo, Stefano Bertoncello e Daniele Andrea Nervo. Si prosegue domani in sala polivalente
a Pove dove, sempre alle 20.30, si confronteranno i candidati Orio Mocellin, Ferruccio Galli, Galdino
Zanchetta e Antonio Gius. F.C.
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VERSO IL VOTO/3
10/05/2014
Prima Pagina
Pag. 23
«Bisogna cambiare le regole sulla selezione delle imprese in gara negli
appalti pubblici»
«Gravissimo quanto emerso intorno all'Expo». Così Dino Piacentini, presidente dell'Aniem, l'a ssociazione
nazionale imprese edili manifatturiere, aderente a Confimi Impresa, sollecita un'immedi ata modifica in fase di
conversione del decreto 66/2014. «Ancora una volta la magistratura deve sopperire ai vuoti lasciati dalla
politica prosegue Piacentini Per fortuna, almeno in questo caso, c'è stato un intervento che impedisce alla
concorrenza sleale di sconfiggere le imprese sane. Non possiamo però pensare che la salvaguardia del
sistema sia interamente e unicamente delegabile alla magistratura. La politica deve avere come priorità la
valutazione vera del sistema di qualificazione delle imprese e degli imprenditori, attraverso una controllo
attento dei lavori eseguiti dalle aziende». «E' urgente, quindi, prosegue il presidente di Aniem - una riforma
strutturale del sistema di qualificazione che responsabilizzi la stazione appaltante e le imprese eliminando
albi, società di attestazione e ogni altra forma di intermediazione». Ciò che viene richiesto è in sostanza un
rapporto diretto tra aziende e ente appaltante, una qualificazione dinamica svolta gara per gara e quindi un
sistema che preveda una verifica rigorosa sui soggetti affidatari della gara molto più di oggi. «E' arrivato il
momento - conclude Piacentini - di cambiare le "regole del gioco" sulla selezione delle imprese che
partecipano agli appalti pubblici».
Foto: IL PRESIDENTE Dino Piacentini
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ANIEM Il presidente Dino Piacentini interviene sullo scandalo relativo all'Expo
10/05/2014
Prima Pagina
Pag. 7
«Ora cambiare le regole del gioco»
«Gravissimo quanto emerso ieri intorno all'Expo», così Dino Piacentini, Presidente dell'Aniem - Associazione
Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa - sollecita un'immediata modifica in fase
di conversione del D.L. n.66/2014. E aggiunge: «Ancora una volta la magistratura deve sopperire ai vuoti
lasciati dalla politica». «Per fortuna, - dichiara Piacentini - almeno in questo caso, c'è stato un intervento che
impedisce alla concorrenza sleale di sconfiggere le imprese sane. Non possiamo però pensare che la
salvaguardia del sistema sia interamente e unicamente delegabile alla magistratura. La politica deve avere
come priorità la valutazione vera del sistema di qualificazione delle imprese e degli imprenditori, attraverso
una controllo attento dei lavori eseguiti dalle aziende». «E' urgente, quindi, - prosegue il Presidente di Aniem
- una riforma strutturale del sistema di qualificazione che responsabilizzi la stazione appaltante e le imprese
eliminando albi, società di attestazione e ogni altra forma di intermediazione». Un rapporto diretto tra aziende
e ente appaltante. Una qualificazione quindi dinamica svolta gara per gara. Un sistema quindi che preveda
una verifica rigorosa sui soggetti affidatari della gara molto più di oggi. «E' arrivato il momento - conclude
Dino Piacentini- di cambiare le "regole del gioco" sulla selezione delle imprese che partecipano agli appalti
pubblici».
Foto: Dino Piacentini, presidente Aniem
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IL COMMENTO Dino Piacentini , presidente Aniem
CONFIMI WEB
3 articoli
09/05/2014
16:08
www.agvnews.it
Sito Web
pagerank: 6
di red/asp - 09 maggio 2014 14:01 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma
"Gravissimo quanto emerso ieri intorno all'Expo". Così Dino Piacentini, Presidente dell'Aniem - Associazione
Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa - sollecita un'immediata modifica in fase
di conversione del D.L. n.66/2014. E aggiunge: "Ancora una volta la magistratura deve sopperire ai vuoti
lasciati dalla politica. Per fortuna, - dichiara Piacentini - almeno in questo caso, c'è stato un intervento che
impedisce alla concorrenza sleale di sconfiggere le imprese sane. Non possiamo però pensare che la
salvaguardia del sistema sia interamente e unicamente delegabile alla magistratura. La politica deve avere
come priorità la valutazione vera del sistema di qualificazione delle imprese e degli imprenditori, attraverso
una controllo attento dei lavori eseguiti dalle aziende". E' urgente, quindi, - prosegue il Presidente di Aniem una riforma strutturale del sistema di qualificazione che responsabilizzi la stazione appaltante e le imprese
eliminando albi, società di attestazione e ogni altra forma di intermediazione". Un rapporto diretto tra aziende
e ente appaltante. Una qualificazione quindi dinamica svolta gara per gara. Un sistema quindi che preveda
una verifica rigorosa sui soggetti affidatari della gara molto più di oggi. "E' arrivato il momento - conclude Dino
Piacentini- di cambiare le "regole del gioco" sulla selezione delle imprese che partecipano agli appalti
pubblici".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/05/2014
21
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Expo, Aniem: Fatti dimostrano inadeguatezza sistema gare
09/05/2014
13:55
agenparl.com
Sito Web
pagerank: 5
(AGENPARL) - Roma, 09 mag - "Gravissimo quanto emerso ieri intorno all'Expo", così Dino Piacentini,
Presidente dell'Aniem - Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa sollecita un'immediata modifica in fase di conversione del D.L. n.66/2014. E aggiunge: "Ancora una volta la
magistratura deve sopperire ai vuoti lasciati dalla politica". "Per fortuna, - dichiara Piacentini - almeno in
questo caso, c'è stato un intervento che impedisce alla concorrenza sleale di sconfiggere le imprese sane.
"Non possiamo però pensare che la salvaguardia del sistema sia interamente e unicamente delegabile alla
magistratura. La politica deve avere come priorità la valutazione vera del sistema di qualificazione delle
imprese e degli imprenditori, attraverso una controllo attento dei lavori eseguiti dalle aziende". "E' urgente,
quindi, - prosegue il Presidente di Aniem - una riforma strutturale del sistema di qualificazione che
responsabilizzi la stazione appaltante e le imprese eliminando albi, società di attestazione e ogni altra forma
di intermediazione". Un rapporto diretto tra aziende e ente appaltante. Una qualificazione quindi dinamica
svolta gara per gara. Un sistema quindi che preveda una verifica rigorosa sui soggetti affidatari della gara
molto più di oggi. "E' arrivato il momento - conclude Dino Piacentini- di cambiare le "regole del gioco" sulla
selezione delle imprese che partecipano agli appalti pubblici".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/05/2014
22
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EXPO: ANIEM, FATTI DIMOSTRANO L'INADEGUATEZZA DEL SISTEMA DI
QUALIFICAZIONE DELLE GARE
09/05/2014
20:55
trapaniok.it
Sito Web
L'Aniem - l'Associazione Nazionale Imprese Edili e Manifatturiere aderente a Confimi Impresa - accoglie con
enorme soddisfazione le anticipazioni provenienti dal Ministero delle Infrastrutture sul disegno di legge delega
relativo al recepimento delle direttive europee che disciplineranno il mercato dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture". Lo ha dichiarato il dottor Ninni D'Aguanno, presidente regionale dell'Aniem, nel corso del
suo intervento di questo pomeriggio, nella Sala Rossa dell'Assemblea Regionale Siciliana, in occasione
dell'incontro tra il vice Ministro per le Infrastrutture, senatore Riccardo Nencini, ed i rappresentanti del
Collegio Edile di Aniem Sicilia.
L'esponente del Governo Renzi ha infatti esposto i punti della riforma del codice degli appalti, innescata
dall'obbligo di recepire le nuove direttive europee. "Una questione che mi vede direttamente coinvolto - ha
detto il senatore Nencini - nel tavolo tecnico che è stato avviato quindici giorni fa e che tornerà a riunirisi il 14
maggio. Le nuove direttive rappresentano un'occasione per rivoluzionare l'intero assetto". Uno dei punti
chiave sta nel ridimensionamento se non addirittura nella soppressione dell'Autorità di vigilanza. "Il vecchio
albo nazionale e l'attuale sistema fondato sulle SOA - ha puntualizzato il vice ministro - hanno evidenziato
pesanti criticità e pertanto non è assurdo pensare ad una qualificazione gara per gara così come avviene
nella maggior parte dei Paesi europei". Tra le novità che potrebbero essere introdotte inoltre la formazione
obbligatoria per i funzionari incaricati di aggiudicare i contratti oltre a sfoltire il gran numero dei certificati
richiesti alle Pmi per partecipare alle gare. Il tutto regolato dalla E-certis, la banca dati europea che stabilisce
la corrispondenza tra i documenti in uso nei vari Paesi.
"Le esternazioni del Ministro Lupi e di autorevoli dirigenti del Ministero - ha dunque sottolineato il dottor
D'Aguanno - sono musica per le nostre orecchie. Sono ormai anni che, voce isolata nella rappresentanza del
sistema imprenditoriale dell'edilizia, esprimiamo la necessità di un cambiamento radicale di rotta che passi
per un superamento dell'attuale sistema di qualificazione che non è riuscito n´ a migliorare l'efficacia selettiva,
n´ a sburocratizzare la produzione di documenti".
L'Aniem Sicilia ha messo sul tavolo una serie di proposte avanzate al vice Ministro Nencini. Tra queste "il
ricorso al sistema di aggiudicazione degli appalti con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
secondo linee guida che l'Associazione ha già elaborato e sottoposto alla valutazione di diversi enti
appaltanti; l'abrogazione della "responsabilità solidale negli appalti e subappalti "norma iniqua e censurabile
perch´ si pone come ostacolo e non come aiuto alla regolarità delle operazioni di pagamento; la riduzione
drastica del costo del lavoro a favore di un aumento reale di denaro nella busta paga dei lavoratori. Al di là
delle "80 euro" elargite dal Governo attraverso il recepimento di risorse interne, la busta paga dei lavoratori
edili potrebbe realmente contenere ben più di quella cifra semplicemente razionalizzando il sistema della
bilateralità, sistema gravato da oneri superflui e modelli organizzativi e gestionali assolutamente irrazionali".
In tema di edilizia civile, abitativa e industriale, l'Aniem Sicilia ha fatto presente al vice Ministro come ormai
"sia imprescindibile la necessità di predisporre un concreto e organico piano di riutilizzo e riuso del patrimonio
edilizio, che passi attraverso la demolizione e ricostruzione degli edifici obsoleti, rispondendo ai criteri della
green economy".
In tema di edilizia abitativa, il vice Ministro Nencini ha illustrato le novità che saranno introdotte dal "Piano
casa" del Governo Renzi (decreto 47 del 28 marzo 2014) che poggia, in primo luogo, su "un dimezzamento
del valore sulla tassa sugli affitti. Si prevede infatti che da qui al 2017 si passerà ad un'imponibile del 10%
rispetto al 19% iniziale. Questa agevolazione è concessa anche per cooperative e onlus. Inoltre, il piano di
recupero immobili prevederà l'agevolazione sulla riqualificazione energetica degli edifici, antisismica e
impiantistica". Il Piano casa approderà in Senato martedì prossimo.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Aniem Sicilia incontra il vice ministro per le infrastrutture
09/05/2014
20:55
trapaniok.it
Sito Web
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/05/2014
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In proposito il presidente D'Aguanno ha sottolineato come "la strada da intraprendere sia proprio quella
dell'incentivazione e dell'agevolazione fiscale, auspicando che tali principi non vengano limitati alle abitazioni
private ma vengano estesi a scala più ampia, applicati ad interi edifici ed a trasformazioni urbane più
complesse".
SCENARIO ECONOMIA
92 articoli
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Quei 79 milioni «scippati» agli enti pensioni
I fratelli Magnoni arrestati per aver alleggerito le casse di ragionieri, medici e giornalisti La famiglia Ai vertici
da più di quarant'anni
Luigi Ferrarella
MILANO - Il turbocapitalismo divora le pensioni dei ragionieri: ben 52 milioni di euro, che dai fondi della
Cassa dei Ragionieri sono stati prelevati dai comparti del veicolo lussemburghese della Sopaf dei fratelli
Magnoni dove erano depositati, sono stati fatti transitare estero su estero in conti off-shore, poi fatti rientrare
in Italia nella disponibilità di due società e qui dirottati a pioggia verso svariate destinazioni. E quando la
Cassa ha chiesto lo smobilizzo degli investimenti nei diversi comparti in cui erano distribuite le proprie risorse,
le sono stati liquidati solo i comparti Global Bonds e Macro Trend per 91,5 milioni: sugli altri due, Equilibrium
ed Equilibrium Plus, le società di gestione Adenium Sicav e Adenium Sgr hanno comunicato che lo
smobilizzo avrebbe comportato una svalutazione del 50%.
È una - forse la più impressionante per le possibili conseguenze non solo economiche ma anche sociali delle imputazioni che ieri hanno indotto il gip Donatella Banci Buonamici, su richiesta del pm Gaetano Ruta, a
mettere agli arresti domiciliari una delle famiglie più in vista nella finanza italiana, i tre fratelli Magnoni:
Ruggero, 63enne ex vice presidente Europa di Lehman Brothers, poi attivo in Nomura Italia; Aldo, 66 anni,
che fu ideatore dell'«Oak Fund» nella scalata Telecom; e Giorgio, 74 anni, figlio di quel Giuliano che fu socio
e consuocero del bancarottiere Michele Sindona. Agli arresti anche il figlio di Giorgio, il 43enne Luca; Andrea
Toschi, che è stato presidente di Arner Bank; Alberto Ciaperoni, amministratore della società di gestione
risparmio Adenium; e Gianluca Selvi, dominus della società Hps. Le accuse sono, a vario titolo, associazione
a delinquere finalizzata a bancarotta, truffa aggravata, appropriazione indebita, frode fiscale e riciclaggio, con
l'aggravante della transnazionalità dei reati in Austria, Svizzera, Madeira, Lussemburgo, Isole Bermuda e
Mauritius.
Il fulcro è la bancarotta della Sopaf, «gestita nelle forme della più radicale illegalità: la società si è posta nelle
relazioni negoziali con le sue controparti secondo una logica truffaldina, ha lucrato vantaggi ulteriori derivanti
dalla evasione fiscale, i fondi introitati sono poi stati dirottati verso soggetti esterni» (tra i quali, per una
operazione da 5 milioni, viene indicata la «Ovo Italia» controllata da una società del conduttore tv Andrea
Pezzi). Ma spiccano i 100 milioni bruciati nella controversa avventura in Banca Network; una truffa
immobiliare, ai danni della Cassa di Risparmio di Ferrara per 17 milioni; e ipotesi di truffe per 27 milioni ai
danni degli enti previdenziali Enpam (medici) ed Inpgi (giornalisti) nella negoziazione di strumenti finanziari.
Qui per la GdF si tratta di «operazioni obiettivamente pregiudizievoli per gli enti previdenziali, se non altro
perché avvenute per valori di cui non sono chiari sul piano negoziale i criteri di determinazione, sulla base di
transazioni in cui di fatto Sopaf si è interposta maturando plusvalenze - le differenze tra il prezzo di acquisto e
quello di rivendita agli enti previdenziali - di cui manca la giustificazione economica». Nei due enti non ci sono
indagati allo stato, anche se «ancora sullo sfondo, richiedendo i necessari approfondimenti», resta «il ruolo
degli organi apicali degli enti previdenziali»: alcune mail, infatti, «documentano una consuetudine di rapporti
molto stretta dei massimi dirigenti degli enti in questione (Camporese, Parodi e Saltarelli) con i vertici di Sopaf
e Five Stars».
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Foto: Milioni La somma sottratta alla cassa dei ragionieri. In tutto è di 79 milioni l'entità del danno perpetrato,
secondo i pm, dagli arrestati ai danni delle casse di previdenza di alcune categorie professionali Milioni
L'ammontare presunto del danno per l'Enpam, l'ente previdenziale dei medici. All'Inpgi, l'ente nazionale di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Milano L'inchiesta sul crac della Sopaf: fondi sottratti al patrimonio della società e portati all'estero.
Sequestrati sessantacinque immobili
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 21
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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previdenza dei giornalisti, sarebbero invece stati «scippati» sette milioni di euro
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Foto: Gli immobili sequestrati dalla Guardia di Finanza di Milano, per lo più nel centro città, riconducibili agli
indagati (una decina oltre agli arrestati) nell'inchiesta. Sotto sequestro anche auto e oltre 250 rapporti bancari
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Foto: Milioni La somma sottratta alla cassa dei ragionieri. In tutto è di 79 milioni l'entità del danno perpetrato,
secondo i pm, dagli arrestati ai danni delle casse di previdenza di alcune categorie professionali Milioni
L'ammontare presunto del danno per l'Enpam, l'ente previdenziale dei medici. All'Inpgi, l'ente nazionale di
previdenza dei giornalisti, sarebbero invece stati «scippati» sette milioni di euro
Foto: Nella foto grande Aldo Magnoni, 65 anni, e, a destra, il fratello Giorgio, nato nel 1941. Sopra, il fratello
minore Ruggero, 63 anni. I tre sono da ieri ai domiciliari. In arresto è finito anche il figlio di Giorgio Magnoni,
Luca (foto Imagoeconomica)
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Hedge fund e banche centrali, la riunione di Ginevra sul debito
Francoforte Tra i presenti, il membro del comitato esecutivo dell'Eurotower, Benoît Cœuré La liquidità Il ruolo
dell'allentamento monetario delle banche centrali e della relativa «exit strategy»
Giovanni Stringa
Se la storia ha i suoi corsi e ricorsi, come diceva Giambattista Vico, la politica economica non è da meno. Il
secolo scorso ha visto l'altalenarsi di liberismo e socialdemocrazia, mentre quello attuale mette sotto i riflettori
la crescita e i conti pubblici. Anche loro, a fasi alterne. Con il crac Lehman l'attenzione dei politici e degli
economisti si è concentrata sul rilancio della crescita, anche attingendo alle risorse statali; poi è arrivata la
tempesta sul debito europeo, e il focus si è spostato sulla tenuta dei conti pubblici; quindi, con l'economia in
recessione-post-austerity, il fulcro della questione è tornato ad essere l'importanza della crescita, soprattutto
per combattere la pesantissima disoccupazione. Adesso, però, pur continuando a sottolineare il ruolo
fondamentale della crescita, economisti e banchieri centrali tornano ad alzare il velo sulla «spia rossa» del
debito. Che - va detto - per molti non si è mai spenta. Ieri, per esempio, a Ginevra si sono incontrati docenti
universitari, gestori di «hedge fund», esponenti dell'americana Fed e - per la Bce - il membro del comitato
esecutivo Benoît Cœuré. Le orecchie erano rivolte alla relazione di Lucrezia Reichlin della London Business
School - ed ex direttore generale della ricerca alla Bce - sul delicato argomento del debito pubblico: un lavoro
a quattro firme a cui hanno partecipato anche Luigi Buttiglione del fondo Prevan Howard, Vincent Reinhart di
Morgan Stanley e il docente Philip Lane. Il nodo della sostenibilità dei conti ha quindi raccolto l'attenzione dei
protagonisti del momento sul mercato, dai grandi fondi d'investimento fino alle banche centrali. E non poteva
essere altrimenti, visto che i primi comprano debito e le seconde cercano di fare in modo che l'offerta resti
appetibile. Uno dei punti della questione, più dibattuti nelle sale operative come nelle aule universitarie: il
debito è a valori storicamente molto alti, eppure i tassi restano bassissimi, anche per la grande massa di
liquidità pompata da molte banche centrali. Uno dei rischi è che quest'ultima allenti la presa prima che lo
faccia il peso del debito.
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Foto: Benoît Cœuré
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Il caso La relazione dell'economista Lucrezia Reichlin all'incontro svizzero. Il nodo delle politiche monetarie
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Tassi ai minimi, i Btp rendono il 2,9%
Lo spread scende a quota 145 punti, poi risale. Piazza Affari perde l'1,6%
Giuliana Ferraino
MILANO - Nuovo record, al ribasso, per lo spread tra Btp decennale e Bund tedesco, ieri sceso fino a 145
punti base, con un rendimento del 2,89%, prima di risalire di nuovo, in chiusura di seduta, fino a sfiorare
quota 150 punti (con il rendimento al 2,95%). Ma il differenziale tra i titoli di Stato di Italia e Germania resta ai
minimi storici dall'introduzione dell'euro, grazie alla spinta, sebbene ancora soltanto a parole, del presidente
della Bce, Mario Draghi. Pur lasciando fermi i tassi, Draghi ha affermato che, in mancanza di un
miglioramento della situazione, la Banca centrale europea è pronta ad agire già dalla prossima riunione del 5
giugno per contrastare la bassa inflazione e fermare la corsa dell'euro.
Ma l'effetto dell'annuncio dell'Eurotower, che giovedì aveva galvanizzato le Borse e indebolito (lievemente)
l'euro, è durato poco. E ieri hanno chiuso in rosso tutti i listini europei, con Piazza Affari maglia nera del
Continente. Anche a causa dei dati deludenti sulla produzione industriale, a marzo in calo dello 0,5% su base
mensile e dello 0,4% su base annua. A Milano l'indice Ftse Mib è sceso dell'1,56%, a Londra il Ftse 100 è
arretrato dello 0,36%, il Dax di Francoforte ha perso lo 0,27%, a Parigi il Cac 40 è scivolato dello 0,66%
mentre l'Ibex 35 di Madrid è andato giù dello 0,98%. Oltreoceano, invece, dopo un'avvio negativo, a circa
un'ora dalla chiusura, Wall Street era tornata sopra la parità.
In una giornata senza grandi di notizie, un segnale positivo per tutta l'eurozona è però arrivato da Lisbona:
Standard & Poor's ha migliorato da «negativo» a «stabile» l'outlook sul rating sovrano del Portogallo, con
rating invariato a «Bb».
All'inizio della prossima settimana ripartirà, intanto, la tornata d'aste italiane di metà mese. Si parte lunedì
con i Bot, con un'offerta di 6,5 miliardi di euro di Buoni a 12 mesi. Martedì sarà la volta dell'offerta a mediolungo, in cui il Tesoro lancerà il nuovo Btp triennale maggio 2017, cedola 1,15%, a cui aggiungeranno le
riaperture del Btp 7 anni maggio 2021, e dei due titoli lunghi febbraio 2037 e agosto 2034.
@16febbraio
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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I mercati Produzione industriale sotto le attese. Standard&Poor's migliora il giudizio sul Portogallo
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
BlackRock spiega la Finanza in Piazza (Beccaria)
Giu. Fer.
Dopo aver fatto shopping in Piazza Affari, BlackRock esce dalle segrete stanze del trading e va in una piazza
vera, a Milano, per spiegare l'alta finanza «alla luce del sole». L'evento, organizzato da Assofinance, giunto
alla sua seconda edizione, e premiato anche quest'anno dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
con la Medaglia di Rappresentanza, si svolgerà oggi dalle 10 del mattino fino alle 18 in piazza Beccaria, a
pochi passi del Duomo. Tra gli operatori, trader e manager, a rispondere alle domande dei cittadini anche
Emanuele Bellingeri, responsabile per l'italia di iShare, la piattaforma Etf (Exchange Traded Funds) di
BlackRock, tra gli sponsor principali dell'iniziativa, insieme a Invesco.
L'idea della piazza non è casuale, visto che in piazza nascono gli scambi, oggi «invisibili» perché eseguiti in
modo elettronico, sempre più veloci e spesso poco decifrabili dai non addetti ai lavori. La scelta piazza
Beccaria, legata ai grandi ideali di giustizia sociale, oltre che alle teorie economiche, riporta inoltre un altro
tema sensibile in tempi di grande crisi. Perciò si riparte da qui, perché anche i big dell'industria ormai hanno
capito che l'educazione finanziaria è alla base dello sviluppo del risparmio.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La lente
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 45
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Il risparmio non va punito Premio a chi investe per 5 anni»
Lombardo (Assogestioni): prelievo ridotto al 13% Dai grandi fondi internazionali un bellissimo segnale di
fiducia nell'Italia
Stefano Righi
L'Italia torna a risparmiare. Non lo fa come alla fine degli anni Novanta, quando metteva da parte oltre il 20%
del reddito, ma rispetto ai minimi del 2013, quando era scesa al 12%, il primo trimestre dell'anno ha segnato
l'inversione di tendenza, con una crescita di almeno un punto percentuale. Tra fondi e gestioni, in tre mesi la
raccolta ha toccato i 29 miliardi - 19 solo a marzo - e le masse gestite sono al massimo storico di 1.391
miliardi di euro. Un record che spinge il presidente di Assogestioni, Giordano Lombardo, a guardare oltre e a
chiedere al governo una normativa fiscale in grado di incentivare l'industria del risparmio. Soprattutto nel
lungo periodo.
Presidente, dal primo luglio si alzano le tasse sui proventi del risparmio, mentre altrove - Francia, Gran
Bretagna - il risparmio viene incentivato. Siamo alle solite?
«Credo sia il momento di cambiare. Il governo ha appena messo mano alla tassazione delle rendite
finanziarie. Se viene accolto il principio che il risparmio rappresenta una risorsa da investire nel Paese, mi
aspetto qualche misura a sostegno di comportamenti virtuosi dei risparmiatori».
Ma le casse sono vuote, non è tempo di incentivi. A cosa pensa?
«Penso a forme di rimodulazione nel tempo del prelievo fiscale. Ad esempio, se l'investitore non smobilizza
per almeno 5 anni paga la metà del 26 per cento di tassazione, che a breve sarà la regola. Se mantiene
l'investimento per 10 o più anni, l'aliquota scende a zero».
Ma così si favoriscono i grandi patrimoni.
«No, basta porre un limite annuale per incentivare i piccoli risparmiatori. E il maggior gettito che ne uscirebbe,
ampliando la base imponibile, ripagherebbe il Fisco dalla rimodulazione delle aliquote. Sarebbe un segnale
importante per il Paese».
Una nuova legge sul risparmio?
«Ma no! Basta una riga. Basta concentrarsi sull'opzione temporale, indipendentemente dalla tipologia degli
strumenti. Auspichiamo davvero che il governo riconsideri la tassazione degli strumenti finanziari. Anche il
presidente della Consob, Vegas, lunedì scorso, si è mosso in questa direzione».
Speranze. La certezza è che dal prossimo 1° luglio le tasse aumenteranno.
«Il quadro complessivo della tassazione sui proventi del risparmio va rivisto. Purtroppo da luglio
aumenteranno le disparità di trattamento tra gli strumenti. Alcuni al 26%, i titoli di Stato al 12,5%. Allargandosi
la forchetta, la decisione di investimento rischia di divenire una specie di arbitraggio fiscale, un fatto che
sarebbe sbagliato sia dal punto di vista teorico che pratico, ossia dell'allocazione del proprio stock di
ricchezza».
Il risparmio come risorsa per il Paese. Ma come?
«Penso a canalizzare parte del risparmio verso le aziende e l'economia reale, diversificando e minimizzando
il rischio. Anche in Italia il finanziamento alle imprese attraverso il canale bancario è destinato a scendere in
percentuale».
Pensa ai mini bond?
«Per le caratteristiche strutturali delle imprese italiane potrebbero diventare una sorta di specialità nazionale.
Ci sono già oltre venti fondi, tra lanciati e pronti a partire, con gli investimenti in mini-bond. Un segnale nella
direzione giusta».
Grandi fondi internazionali stanno investendo in Italia e nelle sue banche, da Unicredit a Intesa, da Mps al
Banco...
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Intervista Il presidente dell'associazione: dati record con masse gestite per 1.391 miliardi
10/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 45
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
«Un bellissimo segnale, tutt'altro che effimero. Sono molto fiducioso. Investimenti di queste dimensioni e di
questa forza non si vedevano da tanti anni. È un segnale di fiducia nella capacità di ripresa congiunturale
dell'Italia».
Dall'assemblea di Generali a quella di oggi di Ubi, il ruolo dei fondi è sempre più importante. Tanto da influire
anche sulla governance delle aziende, anche di quelle pubbliche.
«È un cambiamento che viene da lontano, un lavoro pluriennale in cui noi operatori del gestito abbiamo
giocato un ruolo di stimolo e di propulsione ma che ha incontrato grande apertura da parte di molti emittenti.
Soprattutto tengo a sottolineare che, in quanto investitori istituzionali, non abbiamo alcun interesse nel
contrapporci aprioristicamente al management . Il nostro obiettivo comune è che l'azienda sia gestita
nell'interesse di tutti gli azionisti».
@Righist
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L'industria del risparmio gestito Valori espressi in milioni di euro FONDI 14.450 Marzo 2014 6.435 Febbraio
2014 RACCOLTA NETTA 634.093 Marzo 2014 616.687 Retail Istituzionali 515 3.840 553 4.827 100.171
658.132 99.316 616.761 GESTIONI PORTAFOGLI 5.380 4.354 746.080 756.603 TOTALE 18.804 11.816
1.362.495 1.390.696 Febbraio 2014 PATRIMONIO GESTITO Fonte: Assogestioni D'ARCO
Foto: Fondi Giordano Lombardo
11/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Tasse alle imprese, il piano: taglio da dieci miliardi Rischio caos per la
Tasi
Marro, Menicucci Querzé, A. Sacchi, L. Salvia
Tasse alle imprese: il piano prevede un taglio da dieci miliardi. E debutta la Tasi: rischio confusione. I molti
tormenti sul tema hanno portato alla Iuc, l'Imposta unica comunale che è poi la somma di Imu (la tassazione
sulla proprietà dell'immobile, dovuta per le seconde case), Tari (tassa sui rifiuti) e Tasi (imposta sui servizi
indivisibili). I primi a pagare la Tasi saranno i proprietari e gli inquilini degli immobili dati in affitto. L'imposta si
paga in due rate: la prima va versata tra circa un mese: il 16 giugno. La maggior parte dei Comuni non ha
ancora deliberato l'aliquota dovuta. ALLE PAGINE 2 E 3
MILANO - Ci risiamo. Si avvicina il debutto della Tasi e il rischio confusione è dietro l'angolo. Moltissimi tra
proprietari e inquilini arriveranno al versamento della prima rata senza sapere come dividersi l'onere del
tributo. Inoltre, vista l'ampia discrezionalità dei comuni, la diversa composizione di aliquote e detrazioni
potrebbe portare - così stima il servizio politiche territoriali della Uil - addirittura a 75 mila Tasi diverse.
Per capire cosa sta succedendo bisogna riprendere il discorso là dove lo si era lasciato. E cioè dal grande
tormentone esistenzial-fiscale del precedente governo - Tasi, Trise, Tuc o Tul - che alla fine ha generato la
Iuc. L'Imposta unica comunale, però, di unico ha davvero poco. Il tributo, infatti, non è altro che la somma di
Imu (la tassazione sulla proprietà dell'immobile, dovuta per le seconde case), Tari (tassa sui rifiuti) e Tasi
(imposta sui servizi indivisibili).
I primi a pagare la Tasi saranno i proprietari e gli inquilini degli immobili dati in affitto. Infatti, in questo caso,
l'imposta si salda in due fasi. E la prima rata va versata tra un mese, entro il 16 giugno. Il problema è che
molti comuni non hanno ancora deliberato l'aliquota della Tasi. Per un motivo molto semplice: il termine che
in origine scadeva il 30 aprile è stata prorogato al 31 luglio (lo ha stabilito il decreto Salva Roma). Ora non c'è
più fretta. Tanto più che, con le europee alle porte, i sindaci non hanno voglia di mettersi a parlare di tasse.
Quanto si pagherà il 16 giugno? Se manca la delibera del comune, la legge di Stabilità dice che si versa il
50% dell'aliquota base, pari all'1 per mille. Il problema è che una quota della Tasi - compresa tra il 10 e il 30%
- è a carico degli inquilini. E su questo devono per forza decidere i comuni. A oggi, però, secondo una verifica
di Confedilizia, associazione che rappresenta i proprietari, i municipi che hanno deliberato le aliquote Tasi
sono poco più di 900 (erano 300 al 30 di aprile). Certo, da qui a metà giugno qualcun'altro si aggiungerà. Ma i
municipi in Italia sono oltre ottomila. Alla fine la stragrande maggioranza di proprietari e inquilini rischia di non
sapere cosa versare.
Confedilizia fa la voce grossa. «Siamo alle solite - dice il presidente, Corrado Sforza Fogliani -. Noi ai
proprietari consigliamo di pagare il 70% del dovuto e non di più. Non è colpa nostra se al momento di pagare
mancano ancora le aliquote». Su un punto l'associazione apprezza l'operato dei comuni. «Dalle nostre
verifiche sulle prime 300 delibere abbiamo visto che circa un terzo chiede ai proprietari di pagare il massimo
(il 90%). Poco meno di un altro terzo, invece, farà versare loro il minimo. Mentre tutti gli altri si sono regolati
nei modi più diversi - spiega Fogliani -. Beh, questa è stata una sorpresa. Eravamo convinti che la
maggioranza avrebbe fatto pagare il massimo ai proprietari. Invece i municipi hanno tenuto conto del fatto
che spesso tra gli inquilini ci sono anche cittadini abbienti».
Il pagamento della Tasi è il primo nodo della nuova tassazione sulla casa a venire al pettine. A monte c'è la
madre di tutte le questioni. E cioè: non sarà che con il gioco delle tre carte (anzi delle tre tasse, Imu-Tari-Tasi)
alla fine anche i proprietari di prima casa verranno a pagare di più di quanto si versava quando c'era l'Imu?
«Abbiamo fatto una verifica sui comuni capoluogo di provincia che a oggi hanno già deliberato le aliquote.
Bene: questa situazione si verificherà in un caso su quattro», stima Guglielmo Loy della segreteria Uil. «Già
nel 2007, con il governo Prodi, la riduzione del cuneo fiscale fu finanziata con lo sblocco delle addizionali -
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Interventi nell'industria con i fondi della Cassa depositi
11/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
continua Loy -. Non vorremmo che anche oggi si ripetesse la stessa cosa».
Come si diceva, la discrezionalità dei comuni è molto ampia. A Bologna, per esempio, sono previste 23
detrazioni diverse a seconda della rendita catastale dell'immobile. «Basterebbe che ogni comune optasse per
dieci tipi di Tasi e già il tributo prenderebbe più di 75 mila forme diverse», valuta Loy. Preoccupato soprattutto
di un rischio: che il beneficio del bonus da 80 euro in busta paga venga troppo presto annacquato.
Rita Querzé
rquerze
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Foto: Il 16 giugno scade il termine per pagare la rata Tasi per gli immobili in affitto. Riguarda proprietari e
inquilini, ma nella gran parte dei casi i comuni non hanno deciso le aliquote
11/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Ma su Autonomi e Partite Iva sarà Assalto in Senato
ROMA - Non sarà una passeggiata. Il decreto legge col bonus da 80 euro entrerà nei prossimi giorni nel vivo
della discussione parlamentare. E le opposizioni si preparano a presentare una serie di richieste capaci di far
saltare il già fragile equilibrio finanziario su cui si regge l'operazione. Ma anche dall'interno della maggioranza
arriveranno proposte di ampliamento della platea dei beneficiari degli 80 euro in busta paga. Ieri, per
esempio, la portavoce del Nuovo centrodestra Barbara Saltamartini, ha annunciato che il suo gruppo
presenterà «emendamenti per allargare gli 80 euro anche alle famiglie monoreddito con figli, ai lavoratori
autonomi e alle partite iva che sono sotto i 25mila euro». Il decreto comincia il percorso parlamentare dalle
commissioni riunite Bilancio e Finanze del Senato. Il termine per la presentazione degli emendamenti scade
martedì alle 14, poi partirà la discussione. Che rischia di diventare un palcoscenico per la campagna
elettorale per le elezioni europee del 25 maggio. Forza Italia è scatenata. Spiega Lucio Malan: «Noi
proporremo interventi decisi per evitare la palese incostituzionalità del bonus. Che non può essere limitato
solo ai lavoratori dipendenti, discriminando, a parità di reddito, gli altri contribuenti, dai pensionati ai lavoratori
autonomi, perché ciò è in contrasto con l'articolo 53 della Costituzione». Ora, visto che gran parte dei
pensionati e dei lavoratori autonomi (circa 19 milioni in tutto) ha un reddito fino a 28mila euro (il tetto entro il
quale viene dato il bonus), significa che l'attuale platea di beneficiari (10 milioni), rischia di triplicare o almeno
raddoppiare, escludendo gli incapienti (redditi fino a 8mila euro). Le coperture? «Non le abbiamo ancora
individuate, saranno pronte per martedì - risponde Malan - ma del resto coperture credibili non ci sono
neppure sul bonus del governo». Forza Italia proporrà anche un taglio «più incisivo» dell'Irap e la
cancellazione della norma che anticipa in un'unica soluzione il pagamento sui beni rivalutati dalle imprese,
che prima si poteva fare in tre anni: «Anche questa una norma incostituzionale perché viola il patto fatto con i
contribuenti», dice Malan.
Anche il Movimento 5 stelle prepara un pacchetto di emendamenti per rilanciare, in campagna elettorale, i
suoi cavalli di battaglia: introduzione del reddito di cittadinanza; taglio dell'Irap per le aziende sotto i 10
dipendenti; pene severe contro il falso in bilancio; abolizione di Equitalia; limiti alle pensioni d'oro; aumento
della tassazione per l'indennità dei parlamentari e tetto di 5mila euro mensili per la stessa; più tagli alla difesa.
«Aspettiamo gli emendamenti e poi decideremo cosa fare», dice Antonio D'Alì (Ncd), uno dei due relatori di
maggioranza al decreto (l'altro è Cecilia Guerra, Pd). «Noi siamo disponibili alla discussione, ma tutte le
proposte devono essere coperte». Nelle due commissioni riunite (50 senatori) il vantaggio della maggioranza
sulle opposizioni, spiega D'Alì, è di 6-7 voti. Non tantissimo. Bisognerà evitare imboscate. Per prudenza il
voto finale in commissione è previsto per il 27 maggio. Dopo il voto europeo, quindi. E in aula, se sarà
necessario, il governo ricorrerà al voto di fiducia. Perché, come ha detto il ministro dell'Economia, Pier Carlo
Padoan, il decreto non può essere stravolto.
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Foto: di ENRICO MARRO
Foto: Emendamenti Il termine per la presentazione degli emendamenti scade martedì
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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L'analisi
11/05/2014
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Morando: nel 2015 ci concentreremo sulle imprese, interventi per 10 miliardi Il bonus di 80 euro sarà
permanente. In settimana il decreto per Enav e Poste Le coperture Per la conferma del bonus nel 2015
servono 10 miliardi
Lorenzo Salvia
ROMA - Non solo la conferma del bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti, che già da solo costerà di più
perché sarà ritoccato in modo da avvantaggiare le famiglie numerose e comprendere i più poveri, i cosiddetti
incapienti. Ma anche un taglio corposo dell'Irap, la tassa più odiata dalla imprese, con una sforbiciata che non
si dovrebbe fermare ai 700 milioni di euro di quest'anno ma salire addirittura a 10 miliardi. È il vice ministro
dell'Economia Enrico Morando, di solito prudente e misurato, ad annunciare sulle tasse la fase due del
governo Renzi. «Il bonus da 80 euro, che ovviamente sarà a regime, - dice Morando - è soltanto il primo
passo. Nel 2015 dovremo concentrarci sulle tasse che pesano sempre sul lavoro ma dal lato delle imprese. E
l'obiettivo è quello di tagliare di 10 miliardi l'Irap». Una sparata da campagna elettorale, terreno dove le
promesse sulle tasse sono spesso decisive? «Niente affatto. L'obiettivo del governo è portare il cuneo fiscale
a livello dei nostri principali concorrenti europei. Lo abbiamo sempre detto e lo faremo».
A questo punto bisogna fare due conti sul 2015. Per la conferma del bonus da 80 euro servono almeno 10
miliardi di euro. Almeno perché proprio i correttivi su famiglie e poveri costeranno qualcosa in più. Aggiungere
altri 10 miliardi di taglio all'Irpef vuol dire che il governo di miliardi si impegna a trovarne più di 20. Non proprio
uno scherzo. «I soldi - dice ancora Morando - arriveranno dalla revisione della spesa pubblica. Per il 2015
l'obiettivo della spending review è di 15-17 miliardi, ai quali aggiungere i circa 3, strutturali, trovati per
quest'anno. Senza contare le somme recuperate dalla lotta all'evasione fiscale che vanno destinate proprio
all'abbattimento del cuneo fiscale». Spending review vuol dire tagli, magari non lineari cioè un tot per tutti, ma
comunque tagli. Operazione facile a dirsi, meno a farsi. Non è che per trovare quei soldi si finirà per alzare
altre tasse, come quest'anno con il mini taglio dell'Irap finanziato da un aumento delle imposte sui conti
correnti? «No, i soldi arriveranno dalla revisione della spesa. Sulle rendite finanziarie non si tornerà indietro
ma non si chiederà nemmeno di più. Per altro faccio osservare a chi accusa il governo di dare con una mano
e di togliere con l'altra, che per vedersi annullato il bonus da 80 euro dalla tassa sui conti correnti uno
dovrebbe avere in banca qualcosa come 20 milioni di euro. Non proprio i risparmi di un operaio».
Nella caccia alle risorse un aiuto non può venire dalle privatizzazioni che il governo sta per definire, visto che
le somme incassate vanno destinate al taglio del debito pubblico. Venerdì arriveranno in consiglio dei ministri
i decreti per cedere il 40% di Poste e il 49% di Enav, la società che controlla il traffico aereo. Le due
operazioni saranno fatte in più tappe, per Poste si pensa ad azioni a prezzo agevolato per i dipendenti e
anche per i semplici titolari di un libretto. Ma il percorso è più complesso di quanto sembra. Anche nel
governo c'è chi ha qualche dubbio sull'opportunità di privatizzare un'azienda che ha pur sempre in pancia un
quinto del debito pubblico italiano. Sotto traccia c'è ancora l'ipotesi di una privatizzazione light, con
l'intervento della Cassa depositi e prestiti, società a controllo pubblico ma contabilmente fuori dallo Stato. E
che sarà chiamata ad fare di più per aiutare la ripresa. Ieri a Palazzo Chigi si è discusso proprio del ruolo di
Cassa e depositi e prestiti, non solo esaminando i capitoli più caldi, a partire dalla quotazione di Fincantieri,
ma anche con l'ipotesi di piani industriali di settore per interventi che dovrebbero riguardare privatizzazioni,
immobili e società partecipate.
@lorenzosalvia
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Il bonus di 80 euro
Il bonus di 80 euro varrà al momento solo per quest'anno. Il governo intende però renderlo strutturale e il
provvedimento dovrebbe entrare a far parte della Legge di Stabilità. A partire dal prossimo anno, inoltre,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Maxi sgravi Irap e via alle privatizzazioni
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l'esecutivo intende ampliare la platea dei lavoratori che riceveranno il bonus Il taglio dell'Irap
Il taglio dell'Irap del 10% deciso dal governo sarà coperto dall'aumento dell'aliquota di tassazione sulle rendite
finanziarie, salita dal 20% al 26%. Il taglio vale circa 2,4 miliardi di euro per le imprese e le coperture previste
ammontano a 2,6 miliardi di euro Le vendite
Sono state già avviate le procedure per la valorizzazione delle quote di Poste, Enav, Fincantieri e di parte del
patrimonio immobiliare dello Stato. Le entrate stimate sono pari allo 0,7% del Pil all'anno dal 2014 e nei tre
anni successivi, arrivando a 12 miliardi complessivi I provvedimenti
11/05/2014
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cambia il Calcolo del Potere d'Acquisto si scoprono Trecento milioni di
Poveri
Guido Santevecchi
Come si possono cancellare con un tratto di penna 600 milioni di poveri dal mondo? Basta impiegare l'ultima
trovata dei «ragionieri» delle grandi istituzioni finanziarie globali: l'aggiustamento dei dati economici a «parità
di potere d'acquisto». Proprio usando questo parametro, il Programma di comparazione internazionale della
Banca mondiale, ha scoperto che il Prodotto interno lordo della Cina supererebbe quest'anno quello degli
Stati Uniti. Massimo Gaggi e Sergio Romano hanno già spiegato sul Corriere che il sorpasso in realtà non c'è,
è solo un gioco statistico con i numeri aggiustati, che tra l'altro lo stesso governo cinese respinge. Ma la
Banca mondiale si è anche resa conto che impiegando lo stesso parametro di PPP «purchasing power
parity» (calcolo della parità del potere di acquisto), chi vive con 1,25 dollari al giorno non sarebbe più sulla
soglia di povertà. Così, solo per concentrarsi sui Paesi in via di sviluppo, il sistema di calcolo farebbe
scomparire d'incanto metà dei poveri del mondo.
La soglia di povertà fu introdotta nel 1990: allora era un dollaro al giorno, 365 dollari l'anno per sopravvivere.
Nel 2008 fu alzata a 1,25 dollari. La proposta allo studio è di ritoccarla a 1,78 dollari, quei 53 centesimi in più
servirebbero ad assorbire l'aggiustamento con il PPP. Alzando l'asticella della soglia di indigenza si contano
circa 300 milioni di poveri in più (la buona notizia è che si tratta comunque di un numero inferiore di molto
rispetto a dieci anni fa). E si toglie un alibi ai Paesi sviluppati e più ricchi e alle istituzioni finanziarie
internazionali per ridurre gli aiuti. Quindi il problema non è solo da dibattito politico-accademico come per il
presunto sorpasso della Cina sugli Usa nel Pil. Il grosso di chi vive con meno di 1 dollaro e 78 centesimi al
giorno è in Asia e Africa, con gli africani subsahariani in drammatico aumento.
«C'è da aspettarsi un sacco di discussioni autoreferenziali e inutili sul sistema di misura, ma un fatto emerge
chiaro: la falsa precisione con cui si opera nel campo dello sviluppo», ha detto al Financial Times Gargee
Ghosh, direttore Development Policy per la Fondazione Bill & Melinda Gates. La Banca mondiale fa sapere
che la revisione durerà un anno.
@guidosant
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Idee& opinioni
11/05/2014
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Sede a Mosca e stipendi d'oro Le mani sulla società degli sprechi
I bilanci allegri della Sogin e le pressioni di Previti
Sergio Rizzo
Se c'è una cosa che alla Sogin non sono mai mancati, quelli sono i soldi. Soldi facili, per di più: arrivano in
automatico. Trecento, anche quattrocento milioni l'anno da destinare allo smaltimento delle scorie delle
vecchie centrali nucleari chiuse, prelevati direttamente dalle nostre bollette. Il che, se possibile, rende ancora
più insopportabile il sospetto che tutto quel denaro possa aver alimentato un giro di tangenti gestito dai soliti
noti. Al tempo stesso, però, spiega pure certi fatti. Per esempio, le indicibili pressioni che alcuni politici
avrebbero esercitato, secondo i magistrati, perché venisse riconfermato l'amministratore delegato Giuseppe
Nucci: arrivando a scomodare per raggiungere tale obiettivo persino un ex pezzo da novanta del centrodestra
ora finito in disgrazia dopo una condanna definitiva per corruzione, qual è l'ex senatore ed ex ministro della
Difesa Cesare Previti. Pressioni a quanto pare inutili, se è vero che al posto di Nucci ora c'è Riccardo Casale.
Ma che dicono tutto.
Tanti soldi, dunque. Tanti che non si riesce nemmeno a immaginarli. Miliardi di euro. La storia insegna che
quando in una società pubblica ci sono molti denari in ballo, fatalmente la politica tira i fili. Ma con la Sogin si
è andati evidentemente ben oltre. Una prova? Novembre 2003: il feeling fra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin
è all'apice e durante un vertice italo russo viene sottoscritto un accordo che dà seguito a un impegno preso
dal Cavaliere al G8 di Genova di due anni prima. Per capirci, quello segnato dalla tragica morte di Carlo
Giuliani e dai pestaggi alla caserma di Bolzaneto. L'impegno prevede lo smaltimento di un certo numero di
sommergibili atomici russi con l'assistenza dell'Italia. Costo: 360 milioni. E chi paga? I contribuenti italiani,
ovviamente. Per essere più precisi, gli utenti. Il compito viene affidato infatti alla Sogin. Una fettina delle
nostre bollette dovrebbe quindi servire a smantellare l'arsenale atomico sottomarino dei russi. Ma ovviamente
anche a coprire gli altri costi che quell'operazione si porta dietro. Per dirne una, l'affitto di una sede faraonica
a Mosca con una ventina di dipendenti supervip, fra cui la sorella del capo del personale. Tutti
generosamente retribuiti e gratificati da una diaria di 300 euro al giorno. La faccenda non sfugge all'Autorità
dell'energia, allora presieduta da Alessandro Ortis. Il quale contesta i 4,8 milioni spesi per la sede di Mosca,
con la sacrosanta motivazione che è un delitto buttare dalla finestra in quel modo i soldi degli utenti. In quel
momento il presidente della società controllata al 100 per cento dal Tesoro è il generale Carlo Jean, già
consigliere militare di Francesco Cossiga, che fa ricorso sostenendo che per foraggiare l'inutile avventura
russa sono stati utilizzati altri soldi.
E sempre lì si ritorna: ai soldi. Sono anni nei quali non si bada a spese. La Sogin assume a rotta di collo. Si
assumono parenti di amici e dipendenti, fino a toccare numeri da capogiro: 600 persone. Per non parlare di
alcuni investimenti pubblicitari piuttosto curiosi, per un'impresa pubblica che ha come ragione sociale lo
smaltimento delle scorie nucleari. Tale è la partecipazione al primo Salone del Libro organizzato alla Fiera di
Milano. Costo: 257 mila euro più Iva. Una iniziativa inspiegabile, se non forse rammentando che il patron del
Salone era un certo Marcello Dell'Utri, bibliofilo già capo di Publitalia e fondatore di Forza Italia a cui la
Cassazione ha confermato venerdì la condanna definitiva a 7 anni per i suoi rapporti con la mafia.
Ma la faccenda moscovita, unita all'andazzo discutibile, non passa certo come l'acqua fresca. Il Tesoro
decide che si deve cambiare. Ed è qui che spunta Nucci, al posto dell'amministratore delegato Giancarlo
Bolognini: il capro espiatorio. Viene dall'Enel e ha l'imprimatur del direttore del ministero Vittorio Grilli.
Siccome di poltrone non ce ne sono abbastanza, c'è spazio anche per l'incredibile ampliamento da cinque a
nove membri del consiglio di amministrazione. Con l'ingresso di un politico dell'Udc trombato alle regionali del
2005 che aveva protestato ferocemente contro la Sogin quando le scorie atomiche dovevano essere
depositate a Scanzano Jonico. E che farà presto parlare di sé: Cosimo Mele verrà pizzicato due anni dopo da
parlamentare con due prostitute in un albergo di Roma.
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Il caso L'azienda pubblica al centro delle mire dei politici secondo l'inchiesta di Milano
11/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Nel 2006, però, torna a palazzo Chigi Romano Prodi e i vertici della società vengono azzerati. Alla Sogin
viene spedito un altro manager dell'Enel. Si chiama Massimo Romano e si dà da fare per bonificare la
baracca. È una fatica di Sisifo. Che per giunta dura poco, perché nel 2008 Berlusconi rivince le elezioni e
questa volta è lui che azzera i vertici. Rimettendo in sella dopo un periodo di commissariamento, affiancato
dall'ex ambasciatore a Londra Giancarlo Aragona, il medesimo Nucci. Stipendio, 570.500 euro. Quando
nell'autunno scorso Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni sostituiscono amministratore delegato e presidente i
dipendenti della Sogin sfioravano quota 900. Ai successori spetta una bella rogna. Il piano di smaltimento dei
nostri cadaveri atomici dovrebbe chiudersi per il 2020, con una spesa preventivata di 4,5 miliardi: più di
quanto ci sia costato abolire l'Imu sulla prima casa. Ma siccome le cose non sono andate tutte per il verso
giusto e ci sono molti ritardi, ecco che il conto, come ha sottolineato anche la commissione sui rifiuti già
presieduta da Gaetano Pecorella, sono destinati inevitabilmente a salire. Di un bel po'. In una interrogazione i
grillini hanno ricordato che si stima a tutt'oggi una spesa di 6,7 miliardi con un ritmo di avanzamento dei lavori
dell'1% l'anno. A ben 26 anni dalla chiusura delle centrali.
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900 I dipendenti
Sogin, società di Stato che si occupa della dismissione degli impianti nucleari 4 Le centrali nucleari italiane,
chiuse 26 anni fa: Trino, Caorso, Latina e Garigliano 4,5 Miliardi
di euro È la spesa preventivata per smaltire
le centrali 2020 L'anno Entro il 2020 dovranno essere smaltite
le centrali
11/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 27
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«Axa punta sul mercato italiano Montepaschi, alleanza più stretta»
De Courtois: sottoscriveremo l'aumento da 5 miliardi di Siena Puntiamo alla crescita organica ma se ci sono
buone opportunità le esaminiamo
Sergio Bocconi
«L'Italia è tornata di moda». Frédéric de Courtois, amministratore delegato di Axa assicurazioni e Axa-Mps, è
il numero uno della compagnia francese nel nostro Paese. Seduto nella sala del consiglio del palazzo Axa a
Milano, dedicata al Nobel per l'economia Franco Modigliani, riassume con una battuta l'orientamento positivo
del gruppo transalpino (e non solo) verso il mercato italiano. Orientamento che si può riassumere in tre punti
principali: Axa ha in portafoglio oltre 20 miliardi di Bot e Btp e prosegue negli acquisti; seguirà l'aumento di
capitale da 5 miliardi del Montepaschi perciò, con il 3,6% si confermerà primo (e unico) socio industriale della
banca senese; il nuovo piano strategico per l'Italia prevede una riorganizzazione importante, la crescita con
aumento delle quote di mercato, l'«acquissizione» di agenti professionisti sul mercato e nuovi accordi con
istituti per la distribuzione delle polizze.
Cominciamo dal tema forse più «caldo»: Mps.
«Confermiamo quel che avevamo già detto quanto si prospettava la ricapitalizzazione da tre miliardi:
seguiremo con la nostra quota l'aumento da cinque. È un segnale di grande fiducia verso Alessandro
Profumo e Fabrizio Viola. Abbiamo un dialogo molto importante con il top management, siamo presenti in
consiglio e seguiamo con attenzione l'evoluzione della governance della banca. Siamo qualcosa di più di un
partner industriale».
Nessun dubbio quando la ricapitalizzazione è stata rivista al rialzo?
«Consideriamo giusta la decisione, così come la determinazione a fare l'operazione il prima possibile».
L'impegno è anche un segnale verso il Paese?
«Senz'altro. Dico che l'Italia è tornata di moda per due ragioni. La prima riguarda anche gli altri Paesi più
colpiti dalla crisi: grazie in particolare alla Bce è ormai fuor di dubbio che l'euro verrà difeso fino in fondo; in
particolare per l'Italia i mercati intravedono un inizio di riforme che vanno nella direzione giusta e una
maggiore stabilità politica».
Quali i progetti per il nostro Paese?
«Vogliamo crescere e rafforzarci in un mercato che presenta novità importanti. Il nuovo piano industriale
risponde alle nuove sfide».
Per novità si riferisce alle recenti operazioni che hanno coinvolto le maggiori compagnie italiane?
«Anche. Certo, la fusione Unipol Sai e l'acquisizione degli asset ex Milano da parte di Allianz hanno
determinato una maggiore concentrazione nei rami danni: le tre maggiori compagnie detengono il 60% del
mercato, uno dei più concentrati in Europa. Ma dobbiamo rispondere anche a sfide "strutturali" come quella
digitale: quasi il 60% dei clienti prima di sottoscrivere una polizza va sul web. Cinque anni fa la percentuale
era vicina allo zero. È una priorità per Axa nel mondo e anche in Italia. Puntiamo proprio sul digitale per
rafforzare la capacità dei nostri agenti di essere vicini a clienti e territorio, in un Paese dove vicinanza e
prossimità resteranno centrali. Prenderemo il meglio dei due mondi».
Il piano industriale è "unitario", riguarda cioè anche la joint venture con Montepaschi?
«In marzo i consigli di Axa assicurazioni e Axa-Mps hanno approvato il nuovo business plan e la nuova
governance del gruppo. Prima le due compagnie erano gestite in modo indipendente, con due capi-azienda.
Ebbene, dobbiamo gestirle come una sola compagnia. Non possiamo prevedere una fusione perciò nel 2015
partirà una società consortile nella quale confluiranno circa metà dei dipendenti in Italia. Metteremo a fattor
comune sistemi informatici, finanza, risorse umane, gestione sinistri e altro: la joint venture con Siena è
stabile e ne siamo pienamente soddisfatti, abbiamo una rete agenziale di grande qualità e professionalità, ora
puntiamo alla condivisione delle strategie di crescita in Italia».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Intervista L'amministratore delegato: «Con le riforme il vostro Paese è tornato di moda per i mercati»
11/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Con quali obiettivi?
«Oggi, con oltre 6 miliardi di premi, abbiamo una quota di mercato pari al 5% sia nel vita sia nei rami danni.
Abbiamo l'ambizione di salire di qualche punto, sebbene senza aver predeterminato target specifici».
Anche con acquisizioni?
«Pensiamo a una crescita organica. Poi il gruppo in tutto il mondo, Italia compresa, esamina le buone
opportunità che si presentano».
Come pensate di muovervi?
«Puntiamo all'acquisizione di agenti dalla concorrenza, possibilità offerta dalla legge sul plurimandato,
continuando a valorizzare la centralità dei nostri attuali agenti. Lo abbiamo già fatto in passato e intendiamo
accelerare in questa direzione. In secondo luogo abbiamo deciso di lavorare anche con altre banche,
utilizzando due compagnie del gruppo: una già esistente nel vita e una di nuova costituzione nei rami
danni.Facciamo questo passo dopo aver raggiunto un accordo in tal senso con Mps, che è e resta il nostro
partner bancario più importante».
Avete già preso contatti?
«Sì, con istituti nazionali e locali. Nomi non posso farne».
La bancassurance in Italia ha vissuto fasi alterne.
«Non è decollata nei danni, perché i prodotti sono più complessi da studiare e proporre allo sportello. Le
banche finora non hanno investito. Ma le cose stanno cambiando rapidamente, gli istituti di credito hanno un
grande appetito di polizze danni, come si può ben vedere dall'offerta crescente di Rc auto. Noi pensiamo di
puntare anche su salute, previdenza e protezione».
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Foto: Manager Frédéric de Courtois
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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«L'Italia non perda la frontiera tecnologica»
Paolo Bricco
di Paolo Bricco u pagina 17
«Devo ammettere che quando, a febbraio, a Boston la Mit Technology Review ha dedicato il suo editoriale
alle smart company, ho provato una bella soddisfazione». Alessandro Ovi - specie rara di dirigente industriale
italiano con solida formazione da tecnologo - usa questo episodio per spiegare il contributo dato dalla nostra
cultura industriale al mainstream rappresentato dal Mit di Boston: l'innovazione non è solo disruptive, ma è
anche smart.
Ingegnere, l'11 e il 12 maggio a Bologna - l'11 al Mast e il 12 alla Villa Guastavillani dell'Alma Graduate
School - festeggiate i 25 anni di una pubblicazione influente come Mit Technology Review Italia. Alla fine, è il
nostro Paese ad avere "impollinato" l'ortodossia scientista e il razionalismo economico ultraschumpeteriano
del Mit...
Sì, è così. È merito della nostra cultura avere convinto gli americani che non esiste soltanto l'innovazione
disruptive, che distrugge un equilibrio e crea un nuovo mercato con una sorta di violenza rigeneratrice. La
forza rigeneratrice può anche essere espressa dalla componente smart, che significa innovazione
incrementale e stile, nuovi processi e intuizione dei bisogni profondi della persona. Un fenomeno
naturalmente più consono con lo spirito industriale di un Paese come il nostro, che non ha un numero elevato
di grandi imprese e che non spende una quota rilevante del Pil in ricerca scientifica.
Venticinque anni sono un pezzo importante della nostra storia. In questo periodo in Italia si è manifestata la
crisi del paradigma della grande impresa, ma si è anche affermato un nuovo orgoglio industriale, basato sulle
Pmi che dai territori si sono mosse verso le catene internazionali del valore.
È così. Allo stesso tempo, si è anche manifestata da noi la necessità di rimanere vicini alla frontiera
tecnologica più avanzata. Con la Mit Technology Review Italia abbiamo provato a fare esattamente questo.
Non solo con la tradizionale rivista cartacea, che è stata la prima fuori da Boston, ma con il quotidiano online,
le newsletter e gli incontri. Tutti questi strumenti servono a fare convergere le specificità italiane, magari poco
visibili all'occhio della comunità internazionale, e le nuove dimensioni assunte dall'innovazione di più alto
livello, che nel nostro Paese non si conoscono abbastanza.
Questo mix è ben rappresentato dalla due giorni di Bologna.
Ci saranno interventi di alcuni dei migliori scienziati italiani che lavorano a Boston. Da Carlo Ratti, specialista
di società digitale, a Bruno Coppi, che si occupa di fusione nucleare, a Luca Daniel, che si dedica alla
computer science. Al contempo, dieci giovani talenti italiani, in cinque minuti ciascuno, dovranno spiegare la
loro progettualità tecnologico-industriale, a fini di business naturalmente.
Quindi, toccherà alla premiazione di un numero considerevole di imprese. Non solo a grandi marchi del
Made in Italy come Ferrari o a gruppi storici come Pirelli. Ma anche a nuove società.
Sì. Molte caratterizzate dalla capacità di intercettare i grandi movimenti anticipatori dell'economia
internazionale, come la Protocast di Avio impegnata nella rivoluzione della manifattura a 3D, o di applicare in una funzione soltanto in apparenza micro - le innovazioni di alto livello: penso alla Zehus di Milano, con la
bicicletta ibrida.
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Foto: Alessandro Ovi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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INTERVISTA PARLA ALESSANDRO OVI
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Expo, corsa a tre per il dopo-Paris Tangenti anche sui padiglioni esteri
Monaci, Mincuzzi
Dopo lo shock dell'inchiesta giudiziaria, la società di gestione dell'Expo si riorganizzerà entro martedì, quando
è atteso a Milano il premier Matteo Renzi. Sarà quello il momento in cui il commissario unico di Expo,
Giuseppe Sala, comunicherà il nome dell'uomo che sostituirà Angelo Paris al vertice del settore progettazione
e acquisti. Probabile un avvicendamento interno. Tra i nomi possibili il vice del manager, Alessandro
Molaioni, il direttore generale di Expo, Christian Malangone, e il subcommissario Antonio Acerbo. Il nome più
plausibile sarebbe quello di Molaioni. Tangenti anche per la costruzione dei padiglioni dei Paesi ospiti.
u pagina 7
Sara Monaci
MILANO
Dopo lo shock dell'inchiesta giudiziaria, la società di gestione di Expo si riorganizzerà entro martedì, quando
arriverà a Milano il premier Matteo Renzi. Sarà quello il momento in cui il commissario unico e amministratore
delegato di Expo, Giuseppe Sala, renderà noto il nome dell'uomo che sostituirà Angelo Paris ai vertici del
settore progettazione e acquisti, di fatto il responsabile degli appalti dell'evento universale, finito in carcere
due giorni fa con l'accusa di associazione a delinquere, corruzione e turbativa d'asta.
Si parla di un possibile avvicendamento interno. Tra i nomi possibili, secondo le prime indiscrezioni, ci
sarebbe quello dello stesso vice del manager: Alessandro Molaioni. A cui si potrebbero aggiungere quelli del
direttore generale di Expo Christian Malangone e del subcommissario Antonio Acerbo. Quest'ultimo avrebbe
tuttavia il problema tecnico di essere un consulente esterno, che non può essere nominato Rup. Il nome più
plausibile sembrerebbe quello di Molaioni.
Tutto ancora in forse. C'è persino chi parla, dentro Expo, dell'opportunità di dare discontinuità con un nome
esterno, ma pare ad oggi una soluzione meno praticabile perché allungherebbe i tempi delle consegne.
Inoltre c'è un'altra questione: martedì dovrebbe arrivare anche il nome del "super" direttore dei lavori, quello
che di fatto coordinerà tutti i lavori sul sito espositivo di Rho, che sarà un professionista esterno a Expo,
provieniente da fuori Milano. Se dunque il direttore dei lavori non proviene dalla società di gestione, almeno il
responsabile dei progetti e degli appalti deve garantire la continuità delle conoscenze. Questa la ratio di
queste ore concitate.
Anche la figura del "super" direttore dei lavori è stata istituita dopo un'altra inchiesta giudiziaria, quella
relativa alla società regionale Infrastrutture lombarde, ai cui vertici c'era l'ex dg Antonio Rognoni, finito in
carcere e poi ai domiciliari per associazione a delinquere e poi di nuovo raggiunto da un'ordinanza di custodia
cautelare due giorni fa, con quest'ultima inchiesta su Expo e i grandi appalti lombardi. Rognoni era il direttore
dei lavori della piastra, uno dei progetti principali del sito espositivo di Expo. È stato subito sostituito dal suo
vice Riccardo Robuschi, ma da settimane si parla di istituire una nuova figura a capo di tutti i lavori dell'area,
non solo di quelli della piastra. Dovrebbe quindi arrivare un manager esterno, direttamente da Roma, dal
ministero dei Trasporti guidato da Maurizio Lupi.
Ieri il commissario Sala ha riunito intanto tutti i 230 dipendenti di Expo per parlare dell'accaduto e motivare la
squadra a proseguire con entusiasmo. «Penso a ciò che ho fatto e anche voi pensateci, per ritrovare dalla
settimana prossima nuove motivazioni e proseguire in un progetto unico e importante per il paese», ha detto
ieri a porte chiuse.
Il colpo per la struttura è stato enorme. Secondo la procura di Milano, Paris avrebbe favorito negli appalti
delle vie d'acqua, delle architetture di sistemi e del sito urbanistico di Cascina Merlata alcune aziende e
cooperative (tra cui principalmente la vicentina Maltauro) per assicurarsi la propria carriera, servendosi
dell'aiuto dei faccendieri Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Sergio Cattozzo, che riscuotevano mazzette
dagli imprenditori in cambio dell'intermediazione con Paris. E che a Paris promettevano di raccomandarlo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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LA NUOVA GOVERNANCE E L'INCHIESTA GIUDIZIARIA
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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presso le autorità istituzionali e politiche. La carriera a cui Paris avrebbe da subito puntato era quella ai vertici
di Infrastrutture lombarde, già al posto di Rognoni una volta arrestato. Tra i due non correva buon sangue,
come emerge dalle carte dell'inchiesta sulla società lombarda. E probabilmente anche per motivi di rivalità
professionale.
Per il commissario Sala ieri è stata di nuovo una giornata concitata, e ha deciso che rilascerà dichiarazioni
sui nuovi incarichi solo martedì. Ieri ha di nuovo incontrato il presidente della Regione Lombardia Roberto
Maroni e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. È stato Pisapia poi a confermare le voci che due giorni fa si
sono susseguite su possibili dimissioni del numero uno di Expo: «Le sue intenzioni - racconta Pisapia sicuramente all'inizio erano di lasciare per lo sconforto di essere stato tradito da un collaboratore, ma la scelta
è rientrata. Oggi senza Sala il rischio sarebbe di arrivare in ritardo, deve rimanere al comando. Inoltre - ha
aggiunto Pisapia - l'operazione della magistratura ha dimostrato che i controlli ci sono».
Intanto il premier Renzi ha difeso l'immagine dell'evento universale del 2015: «L'Expo sarà un successo per
l'Italia, è un appuntamento importante che difenderemo». Ma per quanto riguarda l'inchiesta non ha usato
mezzi termini. «Io ho sempre avuto una posizione molto garantista, e proprio perché lo sono profondamente,
dico che bisogna essere severi con tutti. Non si possono vedere immagini con quello che tira fuori una busta,
cose che ti fanno schizzare il sangue alla testa», ha dichiarato ieri nel corso della trasmissione "Virus", su Rai
2. Renzi ha sottolineato inoltre che «la garanzia per tutti è che non si fanno sconti a nessuno. Si dà
all'imputato la possibilità di difendersi e al magistrato il diritto e dovere di fare gli atti d'indagine che si
ritengono necessari. La politica deve fare un passo indietro, deve stare e guardare zitta».
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LE CIFRE DELL'EVENTO 356
I giorni al via dell'evento
L'inchiesta giudiziaria che si è abbattuta sull'organizzazione di Expo si inserisce in un quadro già complesso,
con i tempi ridotti all'osso per ultimare una serie di opere fondamentali tempo per l'ianugurazione
dell'esposizione universale, fissata per il primo maggio del prossimo anno
2 miliardi
L'indotto stimato
Secondo la ricerca della Sda Bocconi, promossa dalla Camera di commercio di Milano, l'indotto della
manifestazione a Milano sarà quantificabile in 2,05 miliardi e 20mila occupati. Più coinvolti i settori del turismo
e della ristorazione, con 1,6 miliardi di produzione aggiuntiva e 18.300 occupati; ma anche il commercio, con
quasi mezzo miliardo di produzione aggiuntiva e 700 unità di lavoro
IN CORSA ALESSANDRO MOLAIONI
Vice responsabile acquisti
Attualmente è il numero due di Angelo Paris nel settore progettazione e acquisti dell'Expo. In passato ha
ricoperto incarichi manageriali occupandosi anche di Alta velocità Milano-Bologna
CHRISTIAN MALANGONE
Dg Direzione business planning & control
Ha assunto l'incarico di Direttore generale della direzione Business Planning & Control nell'ambito di Expo
nel settembre 2011. In precedenza era vice direttore generale del Comune di Milano
ANTONIO ACERBO
Sub commissario
Acerbo affianca Giuseppe Sala in qualità di delegato, ricopre le funzioni di garanzia e controllo
dell'andamento delle opere essenziali e delle opere connesse che sono oggetto del Tavolo Lombardia e di
quelle relative al progetto Vie D'Acqua
Foto: La solitudine del commissario. Giuseppe Sala, 56 anni, è stato anche direttore generale del Comune di
Milano
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Le dieci start-up che sono già nel futuro
Romano Prodi
L'edizione italiana della rivista dell'Innovazione del Mit (Massachussets Institute of Technology) da qualche
anno si è presa il compito di presentare le aziende più innovative del nostro Paese.
Fino allo scorso anno il concorso per premiare le aziende più innovative aveva il titolo «Disruptive
Companies» ovvero aziende che stavano sviluppando qualche tecnologia così innovativa da portarle
rapidamente a forti guadagni di quote di mercato o aperture di mercati prima sconosciuti. È chiaro che essere
"disruptive" come è stato l'irrompere del mondo del digitale nella registrazione dei suoni o delle immagini,
rispetto a quello precedente delle videocassette, o internet nel mercato dei media, è un vantaggio enorme.
Romano Prodi
Un vantaggio che va comunque perseguito con una ricerca di base di grande qualità ed intensità. Ma non è il
solo modo di innovare perché esistono (e sono molto importanti) le innovazioni incrementali che non rompono
col passato ma lo migliorano. È stata perciò aggiunta al concorso la qualifica di "intelligenti": "Smart". Cercare
le aziende "Smart&Disruptive" in Italia ci ha fatto guardare il mondo industriale Italiano con occhi diversi. La
selezione è stata fatta sondando non solo i tradizionali ambienti delle Università e degli Istituti di ricerca ma
anche quelli delle organizzazioni che ne promuovono la attività.
Di qui la ricerca di un rapporto non solo con i maggiori incubatori per l'innovazione in tutta Italia : Alma Cube
a Bologna, Rieforum a Padova, fino al Parco scientifico e tecnologico della Sicilia. Poi il Trasferimento
Tecnologico di IIT a Genova, I3P al Politecnico di Torino, o Filarete a Milano per non citarne che alcuni. Ma
anche le loro aggregazioni come Netval che raccoglie i centri per l'innovazione di 54 Università. Infine la
grande Banca dati di Confindustria.
È ovvio che non sono state trascurate le poche, anzi pochissime grandi strutture di ricerca e sviluppo (con
centinaia di addetti per intenderci) quali ST Microelettronica, Enel, Eni. Per fortuna accanto a queste abbiamo
tante aziende, anche di piccolissime dimensioni che vanno a "sniffare", come diciamo cinicamente, quanto di
nuovo e utile nasce dalla grande rete di intelligenze che circonda tutto il mondo.
Data la struttura del nostro Paese, abbiamo sentito l'obbligo di andare ad ascoltare anche i "segnali deboli"
della innovazione, e, con la comunicazione, aiutarne la aggregazione. Abbiamo cioè cercato di fare
"networking", come dicono da Boston alla Silicon Valley quando vanno anche solo in due a bere un bicchiere.
È chiaro che sarebbe ideale avere alla base un nucleo trainante di aziende forti che assumono giovani
tecnici di grande qualità e permettano loro di sviluppare il meglio di quanto certamente sanno fare in un
ambiente strutturato.
Se questo non c'è, e per farlo nascere è necessario un grande sforzo di politica industriale espansiva,
bisogna puntare alla "impollinazione" e all'aiuto ai giovani che comunque vogliono farcela da soli. Abbiamo
quindi cercato di individuare, premiare e dare una mano alle varie "start up", "spin-off", "spin-in"... (Che non ci
sia una sola parola italiana che le descrive, vorrà pure dire qualcosa). L'11 e il 12 maggio le 10 imprese più
innovative, tutte di questa diligente ricerca, verranno premiate a Bologna, presso la Alma Business School e il
Mast.
Non si tratta di uno show mediatico o accademico ma di dimostrare che in un Paese in cui le spese in
Ricerca e Sviluppo sono sempre più trascurate e residuali, vi sono tuttavia imprese (grandi e piccole) che
cercano di andare contro-corrente. O meglio, che cercano di agganciarsi alla grande corrente
dell'innovazione mondiale.
E, mentre si premieranno i vincitori, si cercherà di incoraggiare tanti altri ad imitarli, spiegando cosa hanno
fatto e come hanno fatto per iniziare.
Si rifletterà anche sui limiti del sistema innovativo italiano e sull'urgenza che esso si ingrandisca e si rafforzi.
Nella nostra ricerca abbiamo infatti avuto qualche problema aggiuntivo rispetto alla rete delle riviste
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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LE AZIENDE «SMART»
10/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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consorelle dell'MIT degli Stati Uniti, di Cina e di Germania a costruirci una mappa dei luoghi e delle
organizzazioni dove l'innovazione è davvero prioritaria.
Riconoscere i meriti di queste imprese e premiarne i risultati può essere quindi utile per svegliare gli spiriti
creativi che, anche se spesso dormono, sono certamente presenti anche in Italia.
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LA PAROLA CHIAVE Start up innovative Sono società di capitali, costituite anche in forma cooperativa. I
requisiti per essere start up innovative: la maggioranza delle quote del capitale sociale e dei diritti di voto in
assemblea ordinaria deve appartenere a soci persone fisiche all'atto della costituzione e nei 24 mesi
successivi; l'oggetto sociale deve essere orientato a sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o
servizi innovativi; il valore della produzione non deve superare i 5 milioni all'anno; la società non deve aver
proceduto alla distribuzione di utili.
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Anni Da 25 anni viene pubblicata la rivista Mit Technology Review Italia
Foto: A Bologna. Alla due giorni alcuni fra i migliori scienziati italiani che lavorano a Boston e dieci giovani
talenti che presenteranno i loro progetti
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Tamagnini: «Fsi replicherà presto il modello Ansaldo»
Laura Serafini
Laura Serafini u pagina 20
ROMA
L'accordo siglato tra Fondo Strategio Italiano e Shanghai Electric (Sec) per Ansaldo Energia incarna il nuovo
modello di sviluppo che Fsi, guidato da Maurizio Tamagnini (appena riconfermato) «intende replicare presto
al altri settori come quello alberghiero». Tamagnini è stato designato dal ministero per l'Economia nel
supervisory board, che sarà rinnovato a metà giugno, di StM, società in cui lo Stato detiene una
partecipazione che sarà ceduta, secondo i rumors, a Fsi. Il manager è in pole position per diventare
presidente di StM.
L'accordo siglato con Shanghai Electric per Ansaldo Energia non era un risultato scontato. Per Fsi è un
punto d'arrivo?
È il punto di partenza, l'attuazione di un modello con cui Fsi vuole far crescere aziende italiane di eccellenza
in vari settori - e in Italia ce ne sono oltre mille - e che verrà presto replicato. Abbiamo individuato il partner
migliore per Ansaldo in 4 mesi (Fsi ha rilevato la maggioranza a fine dicembre 2013, ndr). E questo
realizzando una plusvalenza del 30% rispetto a quanto pagato: quando siamo entrati il 100% di Ansaldo è
stato valutato 777 milioni. L'accordo dei giorni scorsi lo valorizza a 1 miliardo.
Quindi il modello da replicare è la rapidità di esecuzione?
A questo tipo di aziende serve tempo per trovare un capitale "paziente" di lungo periodo per crescere
all'estero. Finmeccanica non ne aveva, il nostro ingresso ha consentito ad Ansaldo di guadagnare la calma
necessaria per scegliere il partner migliore. Un socio istituzionale come Fsi garantisce, inoltre, la stabilità che
è in grado di attirare investitori esteri: Shanghai Electric è uno dei maggiori operatori in Asia, presente in molti
settori della meccanica e con una quota di mercato in Cina del 40 per cento. Sec si è fatto avanti all'indomani
del nostro annuncio della ricerca di un partner. I motivi per cui l'abbiamo scelto sono la capacità di aprire
sbocchi su mercati esteri, asiatici e africani, ma anche la possibilità di sviluppare tecnologie per le turbine di
nuova generazione grazie anche ai contributi dei governi locali. Determinante è stata la disponibilità da subito
di acquisire quote del capitale di Ansaldo. Prima di individuare il socio, abbiamo contribuito a rinegoziare il
debito di Ansaldo, pari a 650 milioni, allungandone la scadenza a 5 anni, con un pool di banche (Intesa
SanPaolo, Unicredit e Bnp Paribas) cui si è aggiunta Hsbc.
L'operazione prevede anche una jv con i coreani di Doosan. Non sono in concorrenza con i cinesi?
Arriviamo a un altro pilastro del nostro modello: valorizzare tutto il perimetro di Ansaldo Energia. Nel mondo
si usano due tipi di frequenze elettriche, a 50 e a 60Hz: l'intesa con Doosan, concordata con Shanghai
Electric, consentirà di sviluppare ricerca (a Genova, con l'assunzione di 100 ingengeri) per turbine di nuova
generazione a 60Hz usate soprattutto in Nord e Sudamerica.
Il gruppo opera anche nel nucleare, che però non sembra avare grandi prospettive...
Si sbaglia. Abbiamo pensato anche ad Ansaldo Nucleare: si sta finalizzando l'acquisizione di una società
inglese, Nuclear Engineering Services (Nes, 45 milioni di sterline il fatturato, 6 milioni l'Ebitda) leader nello
smantellamento e messa in sicurezza di centrali nucleari. Il rafforzamento di Ansaldo Energia, che ha 3.400
dipendenti e il 67% della produzione in Italia, rappresenta un grande valore soprattutto per l'indotto: sono
circa 50 le società che lavorano nella catena di produzione delle turbine, con un fatturato di 500 milioni e 10
mila dipendenti. Il coronamento del nostro modello sarà poi l'autonomia e l'indipendenza finanziaria che il
gruppo acquisirà, nell'arco del prossimo triennio, con la quotazione in Borsa.
Qual è il prossimo target per esportare il modello?
Il settore alberghiero. Ritengo che nei prossimi mesi potremo annunciare un accordo con una società di
gestione albergheria di primo livello, una catena internazionale insomma. L'operazione rientra in un progetto
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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INDUSTRIA INTERVISTA Maurizio Tamagnini Amministratore delegato del Fondo Strategico Italiano
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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varato a dicembre e che prevede la promozione di un fondo che diventi proprietario di immobili ad uso
alberghiero aperto a investitori istituzionali italiani, come Cdp, ed esteri. Vi saranno conferiti parte degli
immobili del patrimonio demaniale delle grandi città venduti dallo Stato alla Cassa. Fsi si occupa di cercare
partner come società di gestione alberghiera specializzate in 5,4 e 3 stelle con l'obiettivo di sostenere nella
crescita gli operatori italiani: essi potrebbero individuare negli immobili del fondo strutture adatte per diventare
alberghi senza doverli comprare, ma solo per gestirli. In questa attività Fsi e il partner estero saranno
supporto finanziario e gestionale.
Il modello potrebbe valere anche per StM? Secondo i rumors sarà Fsi a comprarla
Il ministero per l'Economia mi ha designato nel supervisory board di StM. Ho accettato con piacere la
candidatura, perchè è la maggiore azienda di tecnologia avanzata Italia: qui ha 10 mila dipendenti, negli ultimi
5 anni ha investito 1 miliardo in ricerca e sviluppo, ha siti ad Agrate e Catania leader nel settore analogico a
livello globale. Una presenza importante nel nostro paese che andrà rafforzata e di cui essere fieri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA IL PORTAFOGLIO DEL FONDO STRATEGICO Dati in milioni di euro
Capitale disponibile 4.400 Capitale investito, contribuito e impegnato Risorse investite 1.270 Risorse
contribuite 880 Risorse impegnate 400 2.550 Kedrion Biopharma 100 Assicurazioni Generali 884 Metroweb
200 IQ Made in Italy Investment Company 200 Gruppo Hera 7 Ansaldo Energia 657 Valvitalia 151 Kedrion
Biopharma 50 Sia* 204 Ansaldo Energia** 147 * Closing atteso a marzo/aprile 2014 ** Pagamento differito
del 15%
La struttura L'amministratore delegato
Maurizio Tamagnini, amministratore delegato del Fondo Strategico Italiano, la holding di partecipazioni
creata con il decreto ministeriale del 2011. Azionista di controllo è il Gruppo CDP (80%), azionista di
minoranza è Banca d'Italia (20%).
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Non bastano le promesse nel semestre delle riforme
Adriana Cerretelli
«L'Europa non è un passato comune ma il nostro destino comune. A muoverla devono essere i suoi valori,
non parametri e ansie contabili»: nell'Unione di oggi, sbrindellata, sfiduciata, senza idee, alla deriva dell'antieuropeismo montante dovunque, potrebbe suonare come il manifesto di una rivoluzione stravagante, fuori
tempo massimo, senza generali per guidarla né un esercito per provare a combatterla e vincerla.
Invece sono due frasi con le quali ieri a Firenze Matteo Renzi ha voluto lanciare il suo messaggio forte
all'Europa, a poco più di 50 giorni dall'inizio del semestre europeo dell'Italia. Parole coraggiose e
controcorrente, a tratti anche appassionate nel tentativo di scuotere i suoi interlocutori, che siano gli altri
leader di governo o la gente comune, dal conformismo della negatività e della rassegnazione che sembra
aver fatto tutti prigionieri. Passivi o distratti.
È una battaglia realistica oggi o il sogno impossibile di un giovane don Chisciotte alle prese con i mulini a
vento? L'Europa che oggi l'aspetta al varco non è quella dei Padri Fondatori. È il club sfilacciato di un gruppo
di Paesi egoisti e agnostici, ripiegati sui propri interessi nazionali, da anni incapaci di visioni comuni, disposti
a riparare solo in extremis gli strappi nella tela europea ma con il minimo dei costi e della solidarietà e quando
le lacerazioni sono davvero sul punto di distruggerla senza ritorno.
C'è chi è convinto che la forte affermazione alle elezioni del 25 maggio dei partiti euroscettici sarà lo shock
provvidenziale del la rigenerazione, la leva della svolta che l'Italia di Renzi si prepara a intercettare per
rimettere l'Ue su nuovi binari più umani, sostenibili e convincenti a tutti i livelli.
C'è chi invece teme l'effetto opposto: la maggiore confusione delle lingue, degli interessi e degli obiettivi in
campo.
Dunque la paralisi politica e istituzionale di un'Unione che, già ostaggio delle proprie contraddizioni e dei
propri sistemi democratici in crisi di consenso, diventerà sempre più prona alle logiche di breve termine e
allergica ai progetti di lungo respiro.
Non c'è solo questa grande incertezza sulla strada del nostro semestre europeo e delle sue ambizioni. C'è il
rischio di una guerra inter-istituzionale all'indomani delle europee qualora il Consiglio Ue decidesse di non
nominare automaticamente il candidato alla presidenza della Commissione Ue uscito vincente dalle urne.
E c'è il grande problema della percezione dell'Italia in Europa, della sua perduta credibilità politica, tutta da
ricostruire. Riuscirà Renzi, in tempi strettissimi, a riportare indietro le lancette dell'orologio? «Se guardo agli
ultimi 30 anni, vedo che l'influenza della Spagna nell'Unione è molto aumentata, quella dell'Italia è invece
molto diminuita», ricordava giorni fa un consumato protagonista della scena europea.
La spiegazione? «In quei 30 anni la Spagna ha visto avvicendarsi alla guida del governo Felipe Gonzalez,
José Maria Aznar, José Zapatero e Mariano Rajoi. Per l'Italia ho perso il conto ma il turbine dei primi ministri
ha superato la decina. È normale che Angela Merkel, al terzo mandato, abbia una grande autorità in Europa
perché garantisce la continuità». Cioè la stabilità che oggi, nel post-eurocrisi (o quasi), è considerata il bene
supremo.
Stabilità politica ed economica sono proprio le garanzie che nessuno oggi in Italia è in grado di offrire con
solida certezza. Renzi cerca di procurarsela con i conti in ordine e le tante riforme in calendario, che però
stentano a bruciare le tappe nella palude di una politica che non riesce a perdere le sue pessime e sterili
abitudini.
L'Europa oggi ha bisogno di cavalcare le sfide che le lancia l'Italia per ritrovare a sua volta grinta, peso e
credibilità sulla scena interna e internazionale. Ancora di più dei dubbi sulla sua effettiva volontà di farle
proprie per rifarsi un futuro sicuro, il vero interrogativo riguarda però l'Italia di Renzi e la sua effettiva capacità
di riuscire ad avere tutte le carte in regola per consentire al suo credo europeo di diventare quello di quasi
tutti.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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EUROPA E ITALIA/2
10/05/2014
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10/05/2014
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Gli obiettivi sono chiari, ma ora serve una strategia
Fabrizio Forquet
Tra le figure del Vasari che assistevano potenti dalle pareti affrescate della sala dei Cinquecento, il dibattito
tra i potenziali candidati alla guida della Commissione europea ha dato il senso di qualcosa che ancora non è
ma che forse si comincia a intravedere. È quell'Europa politica da tanti evocata, che resta fuori dal disegno
costituzionale europeo, ma si fa largo nella prassi, non senza forzature rispetto a un sistema istituzionale che
non prevede alcuna elezione diretta.
Il confronto che si è tenuto ieri a Firenze è un passo avanti che non si può non cogliere. Ma per sconfiggere il
populismo che spaventa le urne di tutta l'Unione serve che l'Europa diventi innanzitutto uno spazio dove si
possa lavorare con soddisfazione, uno spazio economicamente florido e capace di crescere, rilanciando la
sua industria e la sua capacità produttiva.
Matteo Renzi, nel suo discorso, ha fatto bene a mettere questa priorità tra i primi punti. Ha affermato la
centralità della manifattura. E ha colto nel segno quando ha sottolineato l'esigenza di regole comuni, a
cominciare dal lavoro.
Ma il problema è come tradurre questi obiettivi in realtà. Su questo Renzi, con la presidenza europea, si
troverà da luglio ad avere una responsabilità diretta. Il semestre italiano coinciderà con una fase di interregno
per le altre istituzioni europee, un vuoto di potere che potrebbe offrire alla presidenza del più giovane premier
d'Europa una finestra di opportunità in più. Non va sprecata.
Serve allora una strategia complessiva che ieri nel discorso di Renzi ancora non emergeva.
C'erano le priorità e c'era la passione. Non c'era ancora la strategia. Non era forse neppure la sede adatta,
ma se una strategia per il semestre c'è, è bene che cominci ad emergere.
Fabrizio Forquet
L'errore da evitare è quello di porre le giuste priorità, a cominciare dalla questione del superamento
dell'austerità, come una trattativa bilaterale, come un do ut des tra gli Stati o, peggio, tra l'Italia e i Paesi
mediterranei, da una parte, e i Paesi del Nord dall'altra. Partire lancia in resta per chiedere il rilancio degli
investimenti e l'allentamento dei vincoli di bilancio sarebbe il modo migliore per condannare la presidenza
italiana all'irrilevanza.
La questione della crescita e del lavoro riguarda l'Europa tutta e come tale va posta. Non c'è quello che
l'Italia chiede, c'è quello l'Europa, per sé (cioè per tutti), deve fare. Le riforme europee per la crescita sono
una questione comune, una questione multilaterale, che come tale va affrontata. E in questo contesto c'è
anche quello che devono fare i singoli Paesi, a cominciare dalla Germania, che è più indietro di altri sul
fronte, per esempio, dell'integrazione di mercato e dell'energia.
Ma la crisi dell'euro ha dimostrato che è l'assetto stesso della governance economica europea a dover
essere rimesso in gioco. Qui un leader come Renzi, cha ha dimostrato di saper giocare e vincere la sua
partita contro i conservatorismi in Italia, può e deve giocarsi la sua partita.
Come ha scritto Sergio Fabbrini su questo giornale la distinzione tra la politica monetaria sovranazionale e la
politica economica intergovernativa non può essere conservata. Quest'ultima si è rivelata una continua prova
di forza tra Paesi ricchi e poveri, Stati del Nord e del Sud, indebitati e no. Un confronto che ha ingessato il
continente, che ha avuto forse un vincitore parziale e temporaneo, ma che ha trasformato l'Europa nella
zavorra della crescita del mondo.
Renzi farebbe bene a porre con chiarezza, all'esordio della presidenza italiana, un programma di
convergenza verso l'obiettivo di un governo politico dell'eurozona. Un governo legittimato dal Parlamento e
con la forza di intervenire sulla politica fiscale europea, fuori dal braccio di ferro intergovernativo, che si è
rivelato piuttosto una gabbia di ferro per coloro che, come l'Italia, pur avendo la forza industriale, non hanno
la forza politica per la difesa del proprio interesse economico.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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EUROPA E ITALIA/1
10/05/2014
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Quei quattro leader che ieri si sono confrontati a Firenze come fossero i candidati di una elezione politica
nazionale sono il segno che gli europei sono pronti a questo passo. Così come nelle parole di Renzi, poco
prima, l'Europa è tornata ad essere un progetto giovane per giovani europei. Per un giorno le sciocchezze del
populismo nostalgico della Lira sono emerse per quello che sono: sciocchezze. Sarà anche responsabilità
dell'Italia e del suo premier dimostrare che c'è davvero un'Europa in grado di archiviare quei populismi,
ridando agli europei una politica per la crescita e il lavoro.
@fabrizioforquet
10/05/2014
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Tagli del 30% ma ancora 1,1 miliardi di consulenze
Roberto Turno
(nella foto Marianna Madia) Turno u pagina 5
ROMA
Il banchetto non è (ancora) finito, anche se offre tre portate su dieci in meno ai commensali. E la festa in
qualche modo continua per tanti. Una festa che solo per consulenze è costata 825 milioni al corpaccione
della pubblica amministrazione, più altri 239 milioni di incarichi ai dipendenti, soprattutto ai dirigenti. In tutto
1,05 miliardi. Costi miliardari, ma in calo di oltre 600 milioni (-34%) nel giro di soli dodici mesi. Effetto dei tagli
alla spesa pubblica, dei primi colpi di scure ante spending review. Che hanno prodotto un dimagrimento di
31mila consulenti e un modesto aumento di 1.300 incarichi ai dipendenti pubblici. Sul campo restano 138mila
dipendenti con incarichi e 157mila consulenti. Con scuola e sanità che continuano a fare la parte del leone e
che insieme cumulano oltre 300 milioni di consulenze, poi l'universo di enti locali e regioni che sommano altri
280 milioni. Ma anche le università con 105 milioni fanno la loro parte, mentre i ministeri si sono fermati un
anno fa a 28 milioni.
Risultati che non potrà non apprezzare il Governo, e anche considerare nelle trattative in vista dei prossimi
passi che si appresta a muovere tra i tagli della spending e l'annunciata rivoluzione della burocrazia. Risultati
che arrivano dal rapporto del ministero per la Semplificazione relativo al 2012, appena trasmesso al
Parlamento dal ministro Marianna Madia ma messo a punto a fine dicembre dell'anno scorso dal suo
predecessore. Quasi buone notizie, si direbbe, anche se tra incarichi e consulenze continuano a essere
staccati assegni a nove zeri, chissà se sempre e quanto utili per i servizi della Pa, chissà quanto davvero
sempre ben spesi. Questo lo diranno anche le indagini della Corte dei conti, che dovrà mettere sotto la lente
le amministrazioni pubbliche che non hanno trasmesso, come è loro preciso dovere, tutti i dati su questi
genere di spese.
A partire dalle spese per le consulenze, che sono tuttora nel mirino della magistratura contabile. Il rapporto
del ministero parla di 156.931 incarichi in calo del 16,3% (31mila in meno) e di 273mila incarichi assegnati (1%), per un totale di 825 milioni di compensi erogati, in diminuzione del 36,3%: 467 milioni in meno rispetto
all'anno prima. Il tutto per un compenso medio per consulenza di 3.981 euro (-135) e un numero medio di
1,64 incarichi a persona.
Queste le medie. Che vanno però lette per singolo settore del corpaccione della Pa. Ecco così, ad esempio,
che Regioni e autonomie locali hanno visto scendere i compensi concessi del 49%; i ministeri, le agenzie
fiscali e Palazzo Chigi hanno tagliato intorno all'11 per cento. Meno della sanità (-34%), la regina delle
consulenze con i comuni, della ricerca (-19%) e dell'università (-37%). La scuola ha sforbiciato le spese del
17 per cento. Ma 565 milioni di tutti gli 825 milioni - quasi il 70% dell'intera torta - di compensi erogati per
consulenze continua a concentrarsi in tre grandi capitoli di spesa: servizio sanitario nazionale (223 milioni),
regioni ed enti locali (272 milioni) e scuola (71 milioni). Con 123mila incarichi su 156mila totali. Da notare che
i comuni da soli, nel 2011, assegnavano per consulenze 579 milioni. Il top in assoluto. Con la sanità "gallina
d'oro" che poteva vantare al suo attivo più consulenze di alto valore (oltre 15mila euro).
Anche gli incarichi assegnati ai dipendenti pubblici hanno fatto segnare valori in discesa, tranne che per i
138.407 dipendenti cui sono conferiti incarichi (+1% circa) e per il numero di incarichi (262mila, +6,6%). Si
attesta a 230 milioni l'ammontare dei compensi erogati, con una riduzione di 118 milioni in dodici mesi (-34%)
con valore medio per singolo compenso di 1.358 euro. A fare la sua parte, spiega la relazione, sarebbero
state le «sempre più stringenti regole di pubblicità e trasparenza» imposte per legge come il rafforzamento
dei controlli. Spicca l'aumento di incarichi tra agenzie fiscali e dogane (da 885 a 3.307), nella ricerca (da 954
a 1.389). Crescono ancora nelle università (+4,6), nelle regioni (-1,2%) e nella sanità (+2,5%). Crollano
invece dell'8,7% nella scuola. Un calo verticale che naturalmente si riflette anche sulle spese, per tutti i
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comparti. Con i maschi che hanno incassato il quasi il doppio delle colleghe femmine: 144 milioni contro 85
milioni. Le quote rosa nella Pa sono ancora un terno al lotto, anche se le donne sono ormai la maggioranza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Spending review Il significato letterale è "revisione
della spesa" (pubblica). Si considerano le tendenze della spesa e l'efficacia degli interventi che la
compongono, per attuare una razionalizzazione. Introdotta in Italia nel 2007 dall'allora ministro dell'Economia,
Tommaso Padoa Schioppa, la spending review è tornata d'attualità nel 2012 con il Governo Monti che aveva
anche nominato un commissario straordinario (Enrico Bondi). Funzione che ora sarà svolta da Carlo
Cottarelli.
Sulle consulenze l'ultimo tetto alla spesa è stato introdotto con il dl 101 del 2013 I numeri PIÙ INCARICHI AI
DIPENDENTI L'andamento delle consulenze all'interno e all'esterno della Pa Incarichi ai dipendenti pubblici
(biennio 2011-2012) 2011 2012 Var.% Dipendenti cui sono stati conferiti incarichi 137.105 138.407 0,95
Incarichi conferiti 246.130 262.336 6,58 Ammontare complessivo dei compensi erogati (€) 348.487.072
230.076.844 -33,98 Compenso medio per incarico (€) 1.466,72 1.358,57 -7,37 Consulenti e collaboratori
esterni (biennio 2011-2012) 2011 2012 Var.% Consulenti e collaboratori cui sono stati affidati incarichi
187.569 156.931 -16,33 Incarichi conferiti 277.086 273.994 -1,12 Ammontare complessivo dei compensi
erogati (€) 1.292.836.918,89 825.620.327 -36,14 Compenso medio per incarico (€) 4.565,42 3.981,35 -12,79
SANITÀ AL PRIMO POSTO Incarichi e consulenze per comparto. Dati 2012 Comparto Incarichi a dipendenti
pubblici Consulenze Incarichi Compensi (€) Collaboratori Compensi (€) Agenzie fiscali e monopoli di Stato
3.307 1.478.840,94 2.066 8.342.514 Corpo nazionale dei Vigili del fuoco 545 870.906,57 78 418.039 Enti di
vigilanza 99 119.529,51 91 609.060 Enti ex art.70 d.lgs. 165/2001 (Cnel, Unioncamere, Enac, DigitPa ecc.)
78 95.082,07 16 282.216 Enti pubblici non economici 884 4.796.574,63 5.045 79.505.212 Forze armate 117
123.273,78 0 0 Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato) 521 1.366.039,67 5 1.108 Forze di
polizia ad ordinamento civile (Corpo forestale dello Stato) 94 351.931,37 67 638.459 Forze di polizia ad
ordinamento militare 318 3.588.074,94 185 1.404.041 Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica
e musicale 1.086 3.689.899,09 2.920 7.385.535 Istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione 1.389
2.590.356,97 3.038 22.917.406 Ministeri 9.625 16.059.233,87 3.632 28.100.261 Presidenza del Consiglio dei
ministri 57 245.267,29 131 2.537.645 Province autonome 2.428 3.865.084,70 5.754 38.450.019 Regioni a
statuto speciale 1.799 3.402.307,79 2.835 14.145.308 Regioni e autonomie locali 23.714 48.106.347,15
44.814 220.795.265 Scuola 41.339 50.307.868,43 33.143 70.775.290 Servizio sanitario nazionale 33.500
51.991.911,13 17.676 223.489.489 Università 17.507 37.028.314,04 35.435 105.823.462 Totale generale
138.407 230.076.843,93 156.931 825.620.327
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Sopaf, arresti per truffa alle Casse
I fratelli Magnoni accusati di bancarotta e associazione a delinquere
Stefano Elli
Truffe con guadagni illeciti per 79 milioni nei confronti delle casse previdenziali di medici (Enpam), giornalisti
(Inpgi) e ragionieri e periti commerciali: è l'accusa che ha portato all'arresto di 7 persone, tra cui i fratelli
Ruggero, Aldo e Giorgio Magnoni, nell'ambito dell'inchiesta sulla holding Sopaf. Tra i reati ipotizzati
bancarotta e associazione a delinquere.
Servizi e analisi u pagina 6
MILANO
L'operazione che ha portato all'arresto di Ruggero, Giorgio, Aldo e Luca Magnoni è scattata alle 7 del
mattino di ieri. I finanzieri del terzo gruppo del Nucleo speciale di polizia valutaria di Milano hanno esibito a
sette dei 19 indagati gli ordini di custodia cautelare chiesti dal pm Gaetano Ruta e concessi dal gip Donatella
Banci Buonamici. Domiciliari per i Magnoni e per Gianluca Selvi, amministratore delegato della Confidi Prof.
Mentre per Andrea Toschi, ex amministratore di Arner Bank Italia e in seguito amministratore della Sgr del
gruppo, e Alberto Ciaperoni, direttore finanziario della Adenium Sgr, si sono aperte le porte del carcere.
Settanta militari impiegati in otto regioni italiane si sono concentrati poi sui sequestri preventivi disposti dal
Gip: sono stati effettuati accessi presso 60 banche e bloccati oltre 300 rapporti bancari e 60 immobili, per un
valore complessivo che si stima vicino ai 185 milioni di euro.
I reati ipotizzati dagli inquirenti vanno dalla bancarotta fraudolenta a reati fiscali e contro il patrimonio, sino
all'illecito trasferimento all'estero di somme di denaro per favorire il «riciclaggio e il reimpiego di precedenti
attività delittuose». Ma il versante socialmente più insidioso delle attività passate allo scanner dei militari di
via Pirelli sembrerebbe quello del depauperamento delle Casse degli enti previdenziali di intere categorie
professionali. Si parla, in dettaglio, dell'Enpam (medici e odontoiatri), Fasc (spedizionieri), Cassa dei
ragionieri oltre che dell'Inpgi, l'Istituto di previdenza dei giornalisti. Ed è per questa ragione che i finanzieri,
ieri, si sono presentati anche negli uffici di queste due ultime Casse per acquisire documentazione utile alle
indagini (si vedano gli articoli a lato). La truffa ipotizzata ammonta a 79 milioni.
Il cerchio intorno alla finanziaria di Foro Bonaparte ha cominciato a stringersi da tempo: il pm Ruta già nel
luglio 2013 aveva ottenuto la condanna in primo grado di Aldo e Giorgio Magnoni nella vicenda che ha
coinvolto la Cassa di risparmio di Ferrara in una truffa su due speculazioni immobiliari condotte attraverso i
fondi immobiliari Aster e Calatrava: le operazioni Santa Monica e Mi-Luce a Milano. Ma i primi segnali di un
possibile collasso della struttura patrimoniale del gruppo si erano manifestati già nel settembre del 2012,
quando UniCredit, per rientrare di un credito di oltre 19 milioni di euro, ha presentato al tribunale di Milano
istanza di fallimento. Attualmente la società è in concordato preventivo. Numerose le operazioni indicate dagli
inquirenti come illecite, distrattive e dissipatorie. Molte di queste hanno trovato posto sulle colonne di questo
giornale in tempi non sospetti. Oltre al caso Carife, ne rammentiamo due: quello di Banca Network
investimenti, la rete di promotori di cui Sopaf era azionista al 15%, sulla cui decozione è stata aperta
un'inchiesta parallela che potrebbe portare a ulteriori novità. E, appunto, tra gli indagati nella vicenda Sopaf
figura anche Maurizio Cozzolini, che prima di diventare ad di Banca Network era stato alla guida di Bipop
Carire, finita nel mirino della magistratura bresciana. I magistrati hanno poi ripercorso a ritroso anche il caso
Delta-Cassa di risparmio di San Marino che ha visto la Sopaf e i Magnoni impegnarsi in un lungo e aspro
contenzioso con i manager di Delta e che ha avuto il suo epilogo con l'apertura dell'inchiesta dei magistrati di
Forlì sulla liceità dell'effettivo controllo sammarinese del gruppo bancario.
© RIPRODUZIONE RISERVATAI numeri SOTTO INCHIESTA I soggetti sottoposti alle indagini della
magistratura
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Blitz contro i vertici della holding: profitti illeciti ai danni di Enpam, Inpgi e Cassa ragionieri
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Il Sole 24 Ore
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Oltre ai manager sottoposti alle misure cautelari tra gli indagati figurano 12 soggetti che il pm ha ritenuto
coinvolti nella vicenda. Tra loro spicca il nome di Maurizio Cozzolini, ex amministratore delegato di Bipip
Carire. Anche nei loro confronti il Gip ha deciso per il sequestro per equivalente di 54,7 milioni di euro
SEQUESTRATI 54,7 MILIONI 19 indagati CONTI VISIONATI Tra le attività eseguite ieri c'è il blocco sui conti
Nelle visite della Guardia di finanza ieri presso 60 sportelli di altrettante banche italiane è stato chiesto
l'accesso alla documentazione relativa all'inchiesta e il blocco a scopo di sequestro preventivo di 300 rapporti
bancari, tra conti correnti, di deposito dossier titoli e altre quote societarie riconducibili in varia misura agli
indagati BLOCCATI 300 rapporti BANCHE VISITATE I finanzieri si sono mossi in otto regioni italiane
Chiedendo a 60 sportelli bancari di poter accedere alla documentazione contabile relativa alle disponibilità
degli indagati e delle persone fisiche e giuridiche coinvolte nelle indagini. Ciò si è reso necessario per la
grande diversificazione dell'operatività del gruppo Sopaf in tutta Italia e anche all'estero
IN OTTO REGIONI 60 sportelli BENI SEQUESTRATI Il profitto suscettibile
di sequestro preventivo
Il pubblico ministero ha quantificato in 130 milioni di euro il profitto suscettibile - per i quattro Magnoni, Toschi
e Ciaperoni (escluso Selvi) - del sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321 del Codice di procedura
penale e dell'articolo 11 della legge 146/2006 (ratifica Convenzione Onu contro il crimine organizzato
transnazionale) A 6 DEI 7 ARRESTATI 130 milioni
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 4
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Le tensioni dei tassi monetari mettono a rischio la corsa del BTp
Vittorio
Carlini La domanda se la pongono in tanti: il rally del BTp sta arrivando alla sua conclusione? La risposta
non è così immediata. Certo, può richiarmarsi il fatto che il rendimento, ad esempio del decennale, è ai
minimi storici. Il che, anche a livello statistisco, depone a favore di chi intona il «de profundis» per il rialzo
delle quotazioni del buono italiano. Ciò detto, però, il mondo attuale non può paragonarsi a quello pre-crisi
finanziaria. Il ruolo della Banca centrale europea, soprattutto attraverso la «moral suasion» verbale di Mario
Draghi, è molto maggiore. I fondamentali di un Paese, il suo rating passano in secondo piano di fronte al
possibile quantitative easing dell'Istituto centrale.
Tanto che, in un simile contesto, individuare livelli di rendimento «appropriati» diventa difficile. E la
divergenza di opinioni tra gli esperti ne è la prova. Nulla può dirsi, quindi? Ovviamente no. A ben vedere può
essere utile esercitarsi in un facile compito numerico. Quale? È presto detto. Dapprima si deve prendere
l'Overnight interes swap con scadenza a una settimana (Ois). Cioè il derivato che, in parole semplici, indica le
attese degli operatori sugli interessi che le banche pagano (in settimana) per avere in prestito la liquidità
(overnight). Poi, si guarda al rendimento di una scadenza a breve tra i titoli di Stato: ad esempio, il BTp a un
anno. Ciò detto, si calcola il rapporto tra il saggio di quest'ultimo è l'Ois. Ebbene il numero che salta fuori è,
alle quotazioni di ieri, poco sopra il 4,2. Vale a dire un valore che è ai minimi dal 2011. In «soldoni» significa
che il margine di guadagno nel prendere liquidità a prestito per comprare il BTp è molto limitato.
Una situazione che, se non rietrano le tensioni sul tasso monetario, inevitabilmente indurrà gli investitori a
guardare verso la parte più lunga della curva dei rendimenti.
Le conseguenze? Nell'immediato, il possibile «schiacciarsi» dei tassi sulle scadenze maggiori. Poi,
replicandosi la situazione analizzata per il BTp ad un anno, un nuovo flusso di vendite: questa volta, però, sui
bond governativi con duration più lunga. In un simile scenario appare, quindi, plausibile che il nervosismo
sull'Ois possa avere un effetto domino negativo sul rally dei BTp.
L'obiezione? Ovvia: anche su questo ragionamento pende la variabile della Banca centrale europea e della
«moral suasion» verbale di Mario Draghi. [email protected]
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L'ANALISI
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A marzo manifattura avanti piano
Il Centro studi Confindustria: ad aprile è previsto un incremento dello 0,2% IL DETTAGLIO Nel primo
trimestre l'aumento dell'attività sale all'1,7% grazie alle performance dei settori della meccanica
Luca Orlando
MILANO
In prima battuta, pollice verso. La produzione industriale di marzo ingrana la retromarcia e cede terreno sia
nella velocità "di breve", con un calo dello 0,5% rispetto al mese precedente, che in termini tendenziali: -0,4%
in rapporto allo stesso mese del 2013. Scomponendo il dato, tuttavia, il discorso diventa più articolato, con un
importante distinguo legato all'energia. Il dato medio dell'output rilevato dall'Istat viene infatti trascinato verso
il basso dal crollo di oltre 11 punti della produzione energetica mentre per la manifattura, in crescita su base
annua dell'1,3%, prosegue il trend positivo avviato da alcuni mesi.
La frenata del comparto energetico (produzione di energia elettrica e gas) è legata in parte a fenomeni
strutturali e di lungo termine, con la produzione di fotovoltaico che gradualmente si sostituisce all'output delle
centrali termoelettriche. Aspetto a cui si aggiunge però negli ultimi mesi un inatteso rialzo delle temperature
medie, in grado di abbattere ad esempio a marzo quasi del 25% i consumi di gas nazionali. Il comparto è di
gran lunga il peggiore tra quelli monitorati dall'Istat, un calo dell'11,1% che su base annua rappresenta la
12esima frenata mensile consecutiva.
Escludendo l'energia dal calcolo lo scenario dell'industria diventa decisamente meno cupo, con una crescita
media annua dell'1,3% per le attività manifatturiere che sale all'1'7% allargando lo sguardo all'intero primo
trimestre. A livello settoriale bene in particolare legno e carta, chimica, gomma-plastica, mezzi di trasporto,
metallurgia e macchinari mentre a cedere terreno sono soltanto alimentari, tessile e apparati elettrici.
Scomponendo il dato per raggruppamenti principali di industrie oltre all'energia si registra il calo dei beni di
consumo (-1,6%) mentre spicca in particolare la crescita dei beni strumentali, in aumento sia su base mensile
destagionalizzata (+0,6%) che rispetto allo stesso periodo del 2013 (+2,7%).
Un aumento confortante, terzo rialzo consecutivo nel 2014, trainato dalle performance di alcuni settori chiave
della meccanica made in Italy che dopo anni di "stasi" ritrovano infine qualche refolo di ripresa anche nella
domanda interna. Tra gennaio e marzo gli ordini nazionali acquisiti dei robot, secondo le stime Ucimu vanno
quasi al raddoppio mentre i macchinari legati al packaging, nelle rilevazioni di Ucima realizzano ricavi
nazionali in crescita di oltre il 20%. Dati confortanti che tuttavia non bastano a far sorridere l'intera economia,
ancora impegnata in una lenta e faticosa risalita.
Il gap rispetto al periodo pre-crisi, ricorda il centro studi di Confindustria, sfiora ancora il 25% e il "passo"
della nostra industria non è affatto adeguato per colmare rapidamente questo divario. Anche ad aprile Viale
dell'Astronomia rileva un movimento positivo ma limitato, con l'output industriale in crescita di due decimali su
base mensile destagionalizzata, di tre decimali in rapporto allo stesso mese del 2013. Una velocità ridotta,
rileva il centro studi, che si discosta in modo evidente dalle aspettative manifestate nelle rilevazioni qualitative
dell'Istat, dove fiducia delle imprese e delle famiglie, ma anche gli ordini manifatturieri sembrano indicare
prospettive migliori. In particolare, le valutazioni dei direttori degli acquisti sugli ordini ricevuti dalle imprese
manifatturiere italiane segnalano in aprile un significativo incremento: la relativa componente del PMI si è
attestata ai massimi da tre anni, grazie agli ordini interni e soprattutto esteri. È come vedere il sole in
lontananza, avendo però sulla testa ancora nuvole e pioggia.
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Foto: PRODUZIONE INDUSTRIALE Marzo '12-marzo '14. Variazione % sullo stesso mese precedente
Foto: LE PREVISIONI CSC Italia, indice e saldi, dati destagionalizzati
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Produzione industriale. Attività in calo dello 0,5%: il crollo dell'energia (-11,1%) vanifica la risalita del
manifatturiero (+1,3%)
10/05/2014
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Foto: SETTORE DI ATTIVITÀ ECONOMICA Marzo 2014 - marzo 2013. Variazioni percentuali (indici in base
2010=100)
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Il Sole 24 Ore
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La battaglia per crescere in un ambiente ancora ostile
Carlo Andrea
Finotto In principio sono state le macchine utensili e i robot, con ordini interni in crescita del 79 per cento. Poi
è arrivato l'indice di fiducia del manifatturiero, ai massimi da tre anni a questa parte. Quindi le previsioni delle
imprese associate ad Assolombarda (Milano) e la produzione dell'intera Lombardia (+2,6%) che da sola
rappresenta circa un quarto del Pil italiano. Poi sono arrivate le macchine per l'edilizia con vendite in crescita
in Italia del 24%
nel primo trimestre
e quelle del packaging, che nello stesso periodo hanno incrementato il fatturato interno del 20 per cento.
Sono tutti mattoncini nell'ancora fragile castello della ripresa. Piccoli segnali, spesso contrastanti - perché in
alcuni casi rallenta l'export, cavallo di battaglia del manifatturiero, anche a causa del super-euro, e la voce
"energia" continua a tenere in territorio negativo il dato generale della produzione, come testimonia l'Istat -,
ma sono pur sempre segnali significativi che sarebbe sbagliato sottovalutare. Del resto, pure l'ultimo indice
Pmi - Purchasing managers index, cioè indice dei direttori agli acquisti, figure chiave che hanno ben chiare le
prospettive aziendali - ha collocato l'Italia tra i Paesi (con Germania e Irlanda) dove il manifatturiero recupera.
Il contesto richiama alla mente l'immagine di quelle piantine che spuntano in luoghi improbabili e in ambienti
ostili, a dispetto anche della logica. Il manifatturiero, in Italia, è un po' così. Combatte contro la crisi e un
ecosistema che sembra concepito per soffocarlo anziché rinvigorirlo. Il risultato è che il distacco da colmare
rispetto al periodo pre-crisi sfiora ancora il 25% e - aspetto persino più preoccupante - la ripresa, anche dove
sembra attecchire (come in Lombardia), non si porta dietro occupazione. Al massimo, un saldo in pareggio
tra ingressi e uscite. L'unica, vera incognita con cui fare i conti non è di certo se sia adeguata la capacità di
resistere delle imprese, ma se il sistema Paese sarà in grado finalmente di cambiare passo sostenendo la
competitività e favorendo nuova occupazione: senza questi elementi anche la capacità di adattamento più
evoluta e tenace potrebbe non bastare.
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L'ANALISI
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Quel flash trading a Piazza Affari
Il flash trading. Un fenomeno, anche grazie a pubblicazioni quali Dark Pools di Scott Patterson o Flash Boys
di Michael Lewis, uscito dalle discussioni tra pochi iniziati. E che, però, da anni contraddistingue le Borse.
Tanto che, in quel di Wall Street, negli ultimi esercizi si è assistito addirittura al suo ri-dimensionamento. Nel
2014, infatti, la stima della quota di azioni scambiate dagli High frequency trader (Hft) è intorno al 51%. Certo,
un numero importante. E, tuttavia, lontano dal picco del 2009 (63%).
Il trend stupisce? Non proprio. Questi investitori si trovano a loro agio in mercati ad alta volatilità. Negli anni
recenti quest'ultima è calata. E con lei l'operatività dei flash boys. I quali, finiti tra le polemiche per le accuse
di manipolazione dei mercati, hanno poi subìto anche il pressing da parte dei regulator. Fin qui gli Usa, ma
l'Italia? A Piazza Affari, secondo la Consob, nel primo semestre del 2014 la quota di scambi sull'Mta
riconducibile agli Hft è in media del 22%. Una valore, in linea con il 2013, di tutto rispetto e che richiede la
giusta attenzione.
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FINANZA E TECNOLOGIA
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Immobili, maxi-fusione da 7 miliardi
Alleanza fra i gruppi di Del Vecchio, Benetton-Nattino e Fondazione Cariplo LE TRATTATIVE L'annuncio
all'inizio della settimana entrante, Mediobanca advisor. Tra le tre società sinergie anche nell'housing sociale
Carlo Festa
Maxi-polo immobiliare tra Leonardo Del Vecchio, Gilberto Benetton, Gianpietro Nattino e Giuseppe Guzzetti,
presidente di Cariplo.
Sta per nascere in queste ore la seconda Sgr immobiliare italiana. L'annuncio della firma di un accordo
quadro verrà fatto probabilmente, secondo le indiscrezioni, all'inizio della settimana prossima.
Il piano è ormai agli ultimi dettagli, che dovrebbero essere definiti nel week end. Ma viene dato per certo. Si
fonderanno infatti Beni Stabili Gestioni, Polaris Real Estate Sgr e Investire Immobiliare. Ne nascerà la
seconda Sgr immobiliare italiana dietro Idea Fimit (con 9,4 miliardi in gestione) con attività immobiliari
amministrate per oltre 7 miliardi di euro. Nel piano che ha portato al matrimonio un importante contributo
arriverà da Polaris Real Estate, la Sgr dove socio principale è Cariplo, la Fondazione presieduta dal
presidente dell'Acri Giuseppe Guzzetti.
Il futuro si chiama infatti housing sociale, cioè l'offerta di alloggi e servizi abitativi a prezzi contenuti destinati
ai cittadini con reddito medio basso. Le gestioni della nuova realtà arriveranno così a 9 miliardi di euro alla
fine del piano.
Si potrebbe trattare di un evento fondamentale per il mercato italiano delle Sgr immobiliari che fino ad oggi
ha resistito alle spinte di consolidamento. Le trattative per il merger sarebbero durate circa tre mesi e
avrebbero visto il contributo di Mediobanca come advisor e promotore del progetto di integrazione.
Ottenuto il via libera dagli azionisti delle tre Sgr (Del Vecchio, Benetton, Nattino e Cariplo) mancavano
ancora da definire gli aspetti finanziari e operativi dell'unione. L'accordo che verrà presentato la prossima
settimana punta anche sulle sinergie tra i tre gruppi immobiliari. Tra le tre Sgr esiste infatti un forte legame sia
in termini azionari sia in termini di operatività. Beni Stabli Gestioni è controllata per il 75% dalla società
quotata capogruppo Beni Stabili, per il 10% da Iccrea Holding e per il restante 15% da Banca Finnat
Euramerica della famiglia romana Nattino.
Proprio quest'ultima è l'azionista di riferimento di Investire Immobiliare. Tra i soci della Sgr dei Nattino c'è poi
anche Gilberto Benetton che è entrato con il 20% tramite la sua holding Regia.
C'è infine Polaris, asset manager controllato da Fondazione Cariplo (48%), dalla Cassa geometri (23%),
dalla Congregazione salesiana (20%) e dalla Fondazione Cassa Forlì (9%).
Forti i legami operativi. Tra Beni Stabili Gestioni e Polaris Real Estate Sgr esistono attività comuni
nell'housing sociale .
Tra le ultime operazioni Beni Stabili ha di recente lanciato e concluso il collocamento del fondo di Housing
Sociale Cascina Merlata a Milano, la più rilevante iniziativa di edilizia sociale in fase di attuazione in Italia.
Un altro canale di crescita per la nuova realtà sarà quello del patrimonio pubblico: Investire Immobiliare ha
infatti tra i suoi fondi Fip, il fondo immobili pubblici promosso nel processo di privatizzazione realizzato dal
Ministero Economia e Finanze attraverso il conferimento di immobili a fondi comuni d'investimento
immobiliare.
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I NUMERI
7 miliardi
Il valore del nuovo gruppo
La nuova Sgr che metterà insieme Beni Stabili Gestioni, Polaris Real Estate Sgr, Investire Immobiliare e
Polaris Real Estate (la sgr con socio principale Cariplo) avrà attività immobiliari amministrate per oltre 7
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
63
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Real estate. Accordo per il matrimonio tra le Sgr: Beni Stabili Gestioni, Polaris Real Estate e Investire
Immobiliare
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.19
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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miliardi.
9,4 miliardi
Il principale competitor
Il nuovo gruppo sarà la seconda Sgr immobiliare italiana dietro Idea Fimit, che vanta 9,4 miliardi di asset
immobiliari in gestione.
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19.21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'area finanza Fiat-Chrysler a Londra con Marchionne
Il titolo rimbalza a Piazza Affari dell'1,21% a 7,53 euro
Andrea Malan
DETROIT. Dal nostro inviato
Fiat Chrysler sposta il quartier generale a Londra, per motivi fiscali e per cercare un «campo neutro» tra
l'attuale sede italiana e la controllata di Auburn Hills. «Il mio ufficio sarà a Londra, lì si terranno i consigli
d'amministrazione e da lì opereranno alcune delle funzioni aziendali» ha detto giovedì Sergio Marchionne a
Detroit.
La futura Fiat Chrysler Automobiles, che nascerà entro fine anno, avrà sede legale in Olanda e domicilio
fiscale a Londra; per ottenere il via libera, però, dovrà dimostrare di avere attività significative in Gran
Bretagna. Tra le funzioni indiziate per un rafforzamento sulla piazza di Londra c'è in primo luogo la finanza,
dato il ruolo preminente della City; Fiat, peraltro, dispone già di un presidio londinese con gli uffici di Fiat
Finance & Trade e il back office della tesoreria. In predicato per lo spostamento anche le relazioni con gli
investitori, che hanno visto proprio qui a Detroit l'annuncio di un avvicendamento tra l'italiano Marco
Auriemma (che diventerà chief financial officer di Alfa Romeo) e l'americano Joe Veltri. In ogni caso,
affermano fonti vicine al Lingotto, non è da temere un esodo di personale da Torino. Lo spostamento del
quartier generale a Londra è stato accolto con reazioni diverse in Italia. Ferdinando Uliano, della Fim Cisl,
dice che «non importa dove Marchionne decide di collocare il suo ufficio e il quartier generale: noi siamo
interessati agli investimenti in Italia, e il piano annunciato martedì è positivo e dovrebbe assicurare la piena
occupazione». Giorgio Airaudo deputato Sel ed ex responsabile della Fiom torinese, chede invece al
Governo di convocare urgentemente i vertici Fiat Chrysler per una verifica del piano «al fine di confermarne la
credibilità, la sostenibilità finanziaria e la certezza dell'impegno».
L'agenzia di rating Fitch, intanto, ha mantenuto inalterato il voto BB- per i debiti Fiat (con prospettive
"negative") nel suo commento al piano quinquennale di Fiat Chrysler Automobiles presentato martedì. Fitch
definisce il piano (che punta ad aumentare le vendite di veicoli a 7 milioni nel 2018 dagli attuali 4,4) «con
obiettivi finanziari ambiziosi e alti rischi di attuazione». Il rating non cambia perché «non ci sono a breve
termine cambiamenti strutturali nel profilo di business e il raggiungimento degli obiettivi 2018 dipenderà
dall'esecuzione». L'agenzia definisce i «bassi margini operativi del 1° trimestre 2014, particolarmente in
Nordamerica e America Latina, il free cash flow negativo e i deboli risultati complessivi» come «un punto di
partenza basso per il piano»; scrive che le mosse previste aiuteranno Fca «ad affrontare le sfide chiave» ma
avverte che centrare l'obiettivo di ripagare il debito entro fine piano "sarà difficile". A confermare le difficoltà di
esecuzione, «il piano non rappresenta il primo tentativo di rilancio per Alfa Romeo, ma i risultati sono stati
modesti, con diversi tentativi falliti» scrive l'agenzia.
Il titolo Fiat ha segnato ieri un recupero dell'1,21% a 7,53 euro dopo il tonfo di mercoledì e il lieve calo della
seduta successiva; giovedì a Borsa chiusa Fiat aveva reso noto che il presidente John Elkann e l'ad Sergio
Marchionne hanno acquistato azioni Fiat per un ammontare di 1milione di euro ciascuno.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Auto. Fitch mantiene a «BB-» il rating: «Piano ambizioso ma con alti rischi di esecuzione»
10/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19.21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Telefonica: restiamo in Telecom Italia con la quota attuale
LUNEDÌ IL CDA TELECOM Per Tim Brasil utili e ricavi trimestrali su di oltre il 20% Benello (lista
Assogestioni) presidente del comitato nomine e remunerazione
Antonella Olivieri
Telefonica non si sposta in Telecom, nè sale, né scende. «Noi stiamo bene così come siamo adesso, siamo
soddisfatti, la partecipazione rimane la stessa», hanno dichiarato i vertici del gruppo iberico nel corso della
conference call per la presentazione dei conti trimestrali. L'aspettativa è che i soci italiani di Telco, la holding
partecipata da Telefonica, Generali, Mediobanca e Intesa-Sanpaolo, che detiene il 22,4% di Telelecom,
sfruttino la finestra di opportunità per la disdetta anticipata del patto che si apre a giugno. Telefonica ha solo
precisato che al momento «i soci Telco non hanno comunicato ancora niente, anche se qualcuno ha
annunciato uscite». Se lo scenario sarà confermato, il processo di scissione di Telco dovrebbe completarsi
per fine anno con la consegna delle azioni e della quota-parte del debito della holding ai soci della stessa.
Telefonica si ritroverà ad avere in portafoglio direttamente una partecipazione intorno al 15%, senza avere
propri rappresentanti in consiglio. E sarà probabilmente più facile, in questo contesto, sostenere le proprie
ragioni a fronte della decisione dell'Antitrust brasiliano che - in seguito agli accordi Telco del 24 settembre
scorso, che concedevano al gruppo di Alierta la facoltà di rilevare l'intera quota del 22,4% - aveva imposto al
gruppo di Cesar Alierta una scelta drastica: uscire da Telco-Telecom oppure ricollocare il 50% del suo
operatore mobile Vivo che aveva conquistato sciogliendo la joint con Portugal Telecom. Delibera contro la
quale Telefonica ha promosso un appello.
Il gruppo spagnolo non può permettersi di compromettere i suoi affari in Brasile, Paese che contribuisce per
quasi un quarto ai suoi ricavi. Anche se proprio il Brasile e il resto dell'America latina hanno appesantito i
conti del trimestre, a causa del deprezzamento delle valute locali. Telefonica ha chiuso infatti il periodo con
un utile netto in calo del 23,2% a 629 milioni con ricavi in flessione del 13,5% a 12,23 miliardi. La sola
svalutazione dei cambi di Brasile, Argentina e Bolivia è "costata" una decurtazione dei ricavi in euro
dell'ordine di 1,68 miliardi. In calo anche le entrate in Spagna, dell'8%, e in Germania, dell'11%, dove
Telefonica è impegnata nell'acquisizione di Eplus. Avendo mancato il target di utili nel trimestre, Telefonica è
stata penalizzata in Borsa, dove ha ceduto il 2,57% a 11,7 euro. Per contro il target di indebitamento netto
sotto i 43 miliardi per fine anno è già stato centrato a 42,7 miliardi.
Intanto del trimestre Telecom - che riunisce il consiglio lunedì - sono stati anticipati i conti di Tim Brasil. Gli
utili della controllata carioca sono saliti del 22% a 120,3 milioni di euro con ricavi saliti del 20% a 485,4 milioni
di euro. Ieri si è riunito il comitato nomine e remunerazione che ha provveduto a nominare il presidente.
Secondo le raccomandazioni di governance della società, il presidente dei comitati dovrebbe essere
indipendente e preferibilmente di minoranza. Il nome sarà comunicato ufficialmente dopo il consiglio, ma
l'unico componente che risponde alle caratteristiche prescritte è Davide Benello, uno dei tre consiglieri
espressi da Assogestioni. Giovedì del comitato controllo e rischi è stata nominata presidente Lucia Calvosa,
capofila della lista dei fondi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Tlc. Verso lo scioglimento di Telco
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Non fermiamo il Cantiere
di Paolo Bricco
I ponteggi della storia. Solidi e sospesi verso il cielo quelli di ieri. Fragili e a rischio scomparsa quelli di oggi. Il
grattacielo Pirelli, nel cuore di Milano e dell'Italia. Il cantiere dell'Expo, alla sua periferia. Perché quest'ultimo
non si riduca al fango che si forma quando piove, il Paese deve trovare - adesso, subito - le sue energie più
intime e nascoste.
Guardate le foto in bianco e nero degli operai che, fra il 1956 e il 1961, costruivano il grattacielo Pirelli di Giò
Ponti e di Pier Luigi Nervi. Sulle impalcature si muovevano come gatti, stavano in equilibrio precario,
lavoravano duro ma sembravano sorridere al futuro. Con le loro facce di uomini della Bassa Bergamasca e
della Sila, del Polesine e della Lucania hanno fatto la "Milan, l'è on gran Milan", l'ottimismo e il piacere di
edificare, la fatica fisica e la gioia di vivere del Boom economico. È la loro energia ad avere acceso il cerino
della storia che, dalla Seconda Guerra Mondiale, ha portato il Paese nell'industrializzazione e
nell'inurbazione, fabbriche e città al posto di campi coltivati e borghi come nei duemila anni precedenti.
Adesso, immaginate i ponteggi vuoti dell'Expo e i cantieri abbandonati, le erbacce che crescono, nessuna
anima viva che cammina nei padiglioni costruiti a metà, l'umor nero che si sprigiona ovunque, le
intercettazioni telefoniche come (nuova?) tavola della legge nei rapporti fra economia e pubblica
amministrazione, una cappa in grado di espandersi da Milano al resto del Paese. Lo scenario peggiore,
dunque. Il grattacielo Pirelli è stato il Boom. L'Expo, in caso di insuccesso, sarebbe la deflagrazione. Ora
servono due cose. Occorre la rapidità che avevano, sessant'anni fa, gli operai sospesi nell'aria, nel cielo di
Milano. E c'è bisogno della loro forza fisica e morale, di ragazzi immigrati nella città che - senza retorica - dai
tempi di Bonvesin de la Riva con la sua operosità non dorme mai. Non c'è più tempo. Chi - inserito in una più
ampia macchina di sfruttamento dei punti di congiunzione fra politica e economia - ha inoculato nel giovane
organismo dell'Expo il virus di un malsano interesse privato e di una pratica manageriale non corretta, è stato
allontanato e dovrà rispondere dei suoi comportamenti personali alla magistratura. Chi resta, invece, ci deve
credere (lo ha ricordato ieri sera a Firenze il premier Matteo Renzi).
Ci deve credere perché ogni minuto trascorso aumenta il rischio di un default Italia, perché un insuccesso
dell'Expo comporterebbe una perdita di credibilità internazionale così forte da fare uscire il nostro Paese definitivamente - dai radar degli investitori internazionali. Volontà e rapidità non riguardano soltanto le
persone che lavorano nella macchina dell'Expo, in primo luogo l'amministratore delegato Giuseppe Sala,
scosso da una vicenda che ha visto macchiarsi uno dei suoi principali collaboratori. Riguarda anche la
politica, che sembra avere inteso - finalmente - l'importanza di un evento che, se ha una valenza strategica
per Milano e per l'Italia, ha negli anni scorsi rivestito una fisionomia tattica per i partiti e per i gruppi di potere,
nazionali e locali, che intorno ad esso hanno condotto guerre di posizione, effettuato cannoneggiamenti,
diviso il campo fra amici e nemici. La scarsità di tempo rende necessaria una rimodulazione fra le società
operative che devono costruire fisicamente l'Expo. E deve portare tutti - accantonate le logiche egemoniche a trovare un nuovo modus operandi, fra Milano e Roma. Ieri il grattacielo Pirelli. Oggi l'Expo. Perché il nostro
futuro non si riduca a un ponteggio disadorno e abbandonato.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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IL FUTURO DI MILANO
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Expo, oggi il vertice per la governance Renzi: avanti le opere
Appalti truccati anche sul nucleare Attesa per gli interrogatori del gip
Sara Monaci
Si terrà oggi il vertice sulla nuova governance di Expo tra l'ad Giuseppe Sala, Infrastrutture Lombarde e
Metropolitana Milanese: dovrà individuare il sostituto di Angelo Paris (arrestato con altre 6 persone
nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti truccati), e la figura del direttore dei lavori per il sito. L'organigramma
non esclude manager esterni e dovrà essere pronto per martedì, quando sarà a Milano il premier Renzi, che
ieri ha dichiarato: «Fermare i responsabili, non le grandi opere». Dall'inchiesta, intanto, emergono
condizionamenti anche per le gare legate al nucleare e gestite dalla Sogin. Domani gli interrogatori di
garanzia del gip.
Monaci, Mincuzzi u pagina 6
MILANO
Ore convulse nella società di gestione di Expo 2015. Oggi e domani si parlerà solo di come riorganizzare
l'organigramma e a chi attribuire subito le responsabilità apicali sugli appalti, dopo l'inchiesta giudiziaria che
ha travolto l'evento universale e messo in custodia cautelare in carcere il massimo dirigente della
progettazione e degli acquisti, Angelo Paris.
Il manager ricopriva un ruolo chiave e ora non c'è tempo da perdere. Per stamani è previsto un incontro
riservato tra il commissario unico e ad di Expo Giuseppe Sala e i vertici delle società Metropolitana milanese
(controllata dal Comune di Milano) e Infrastrutture lombarde (controllata dalla Regione Lombardia).
Le due grandi partecipate pubbliche rivestono un ruolo importante per i cantieri di Expo: la prima svolge la
direzione di lavori per la rimozione delle interferenze; la seconda per la realizzazione della piastra, l'appalto
più grosso del sito espositivo di Rho. Quindi Sala vuole evidentemente coinvolgere anche loro per trovare il
sostituto di Paris, e eventualmente anche per la ridefinizione di alcuni incarichi.
Prima di tutto si parla di chi sarà il nuovo responsabile della progettazione. Finora si è parlato di un
avvicendamento interno, per rendere più facile il passaggio di consegne. Non è tuttavia escluso che ci sia
anche l'arrivo di qualche nuovo manager esterno alla società, scelto direttamente da Sala.
Poi ci sarà da pensare anche all'istituzione di un nuovo direttore dei lavori per il sito. Anche in questo caso
potrebbe arrivare un professionista direttamente da Roma, che però, a quanto pare, potrebbe assumere più
incarichi contemporaneamente. Finora la direzione dei lavori è stata, come sempre avviene, affidata opera
per opera e nel caso dei cantieri della piastra c'era, appunto, Infrastrutture lombarde. Poi dopo l'inchiesta
giudiziaria di un mese fa sulla partecipata lombarda, che ha portato agli arresti domiciliari l'ex dg Antonio
Rognoni (coinvolto anche in questa nuova indagine), si è cominciato a parlare di un "super" direttori dei lavori,
figura che però ancora rimane imprecisata, anche dal punto di vista normativo. Adesso sembra che si voglia
introdurre la figura di un manager che raccordi tutte le opere e che svolga anche altre funzioni all'interno della
società di gestione.
Mettere tutte le caselle a posto non è facile, ma il nuovo organigramma dovrà essere pronto per martedì,
quando a Milano arriverà il premier Matteo Renzi per dare supporto all'evento universale e a Sala. Fino a quel
momento il commissario ha deciso di non rilasciare dichiarazioni ufficiali sul lavoro di riorganizzazione di
questi giorni.
Ieri intanto gli appuntamenti ufficiali della società di Expo sono ripresi, con l'inaugurazione dell'Expo-gate a
Milano, nel centro storico, dopo un ritardo di qualche giorno a seguito degli sviluppi dell'inchiesta giudiziaria.
Una buona notizia è anche l'arrivo del finanziamento da 530 milioni per la Tangenziale esterna ad Est di
Milano, di cui 70 pubblici e 460 stanziati dalle banche che partecipano al project financing. Teem è un'opera
inserita nel dossier di candidatura di Expo e adesso potrà arrivare in tempo per il 2015.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Possibile l'arrivo di manager esterni
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
69
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Domani Sala manterrà anche l'impegno di andare a parlare in commissione parlamentare antimafia.
L'audizione era già stata programmata dalla presidente Rosy Bindi, dopo la diffusione di notizie sulla
diminuzione dei controlli preventivi antimafia per accelerare il completamento dei lavori per l'Expo; a questo
tema si aggiungerà anche quello delle recenti operazioni della magistratura che hanno portato proprio
all'arresto di uno dei dirigenti principali della struttura.
Ieri sull'Expo è di nuovo intervenuto il premier Renzi: «Quando ci sono grandi iniziative, se ci sono delle
vicende che non vanno bene, se ci sono problemi con la giustizia, si devono fermare i responsabili e non le
grandi opere».
Un monito arriva anche dal segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin: «Non dobbiamo mai abbassare la
guardia sulla corruzione».
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11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Se la Bce fallisce sulla stabilità dei prezzi
Guido Tabellini
Ormai è evidente che la politica monetaria europea sta mancando l'obiettivo di stabilità dei prezzi, che la
stessa Banca Centrale Europea (Bce) ha definito come un'inflazione vicina e poco sotto al 2%. Quello che
forse è meno evidente è quanto alti siano i costi di questa inadempienza.
Prendendo per buone le ultime previsioni della Commissione Europea, a fine 2015 l'area euro sarà stata per
tre anni consecutivi con un'inflazione intorno all'1%, e il livello generale dei prezzi sarà circa il 3% più basso
rispetto a quanto sarebbe stato con un'inflazione del 2%. Poiché l'obiettivo del 2% è incorporato nelle
aspettative di inflazione degli operatori economici, questo vuol dire che tra il 2013 e il 2015 vi sarà stato uno
shock deflazionistico di circa il 3%. Sembra una cosa da poco, ma non lo è.
A fine anno, il debito pubblico italiano sarà circa il 135% del Pil. A parità di tutto il resto, uno shock
deflazionistico del 3% fa salire il debito pubblico di quasi 4 punti percentuali del Pil, pari a oltre 60 miliardi.
Cioè, solo con riferimento alla finanza pubblica, la minore inflazione che avremo avuto tra il 2013 e il 2015 ci
costerà ogni anno più della manovra appena varata dal governo Renzi. A questi effetti si aggiungono poi i
costi sopportati dal settore privato, che sono più gravi anche se più difficili da quantificare.
Questi calcoli approssimativi probabilmente sottostimano il costo effettivo per la finanza pubblica dello shock
deflazionistico in corso. Da un lato è probabile che non tutta la minore inflazione sia inattesa, e ciò in parte si
riflette in un minor costo degli interessi sul debito (la scadenza media del debito italiano è di oltre 6 anni).
D'altro canto, lo shock deflazionistico riduce anche la crescita economica, molto probabilmente durerà oltre il
2015 e potrebbe rivelarsi più grave di quanto stimato dalla Commissione Europea, e in Italia l'inflazione ha
rallentato più che nell'area euro.
Nelle circostanze attuali, evitare un calo prolungato del l'inflazione è obiettivamente difficile.
Guido Tabellini
Ma i problemi sono più politici che tecnici. La politica monetaria europea può ancora attivare diversi strumenti
per contrastare il rallentamento dell'economia e lo shock deflazionistico. Il taglio del tasso d'interesse e
l'applicazione di un tasso lievemente negativo sulle riserve bancarie, che tutti ora si aspettano per giugno,
poteva e doveva avvenire mesi addietro. La BCE può contrastare la riduzione della base monetaria tutt'ora in
corso attraverso l'acquisto di titoli di stato (il cosiddetto quantitative easing) e di titoli collateralizzati emessi
dal settore privato, e rinnovando l'offerta di liquidità bancaria con scadenza a lungo termine e finalizzata al
finanziamento alle imprese. Secondo l'economista di Harvard Jeffrey Frenkel, la BCE potrebbe anche
contrastare l'apprezzamento dell'Euro acquistando titoli di stato americani. Infine, per aumentare l'effetto di
annuncio di questi provvedimenti, la BCE può comunicare che l'obiettivo di inflazione sarà temporaneamente
alzato sopra il 2% per alcuni anni, almeno fino a quando il livello dei prezzi dell'area Euro non sarà tornato sul
sentiero desiderato e il divario accumulato in questi anni non sia stato colmato. A parità di tassi di interesse,
infatti, un aumento dell'inflazione attesa facilita la ripresa dell'economia e l'uscita dalla "trappola della liquidità"
in cui ci troviamo.
Molti di questi interventi hanno alcune controindicazioni tecniche, e la loro efficacia è probabilmente
modesta. Ma l'esperienza recente delle banche centrali di Stati Uniti, Inghilterra e Giappone insegna che
l'inazione è un'alternativa peggiore. Se la BCE finora ha deciso di non seguire la strada delle altre banche
centrali, ciò è soprattutto per ragioni politiche. Questi strumenti non convenzionali attenuano la distinzione tra
politica monetaria e fiscale, espongono il bilancio della BCE a dei rischi, e arrecano benefici soprattutto ai
paesi del Sud Europa dove lo shock deflazionistico è più intenso. Anche se formalmente la BCE è
indipendente dalla politica, gli interessi nazionali contrastanti si riflettono dentro il Consiglio della BCE, e il
risultato è una politica monetaria inadeguata ad affrontare le circostanze eccezionali in cui ci troviamo.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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L'EUROPA E L'ECONOMIA
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
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(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Per quanto indipendente dalla politica, anche la BCE deve comunque rendere conto del suo operato davanti
al Parlamento Europeo, in audizioni periodiche. Finora queste audizioni sono state del tutto inutili: il
Presidente della BCE sale sul podio e fa una bella lezione ai parlamentari europei. Nel Congresso degli Stati
Uniti, le audizioni del Presidente della Federal Reserve sono ben diverse: il Presidente siede a un tavolo
collocato in basso e risponde puntualmente alle domande incisive e ben preparate dei membri delle
commissioni rilevanti, che esaminano il suo operato e gli chiedono conto di come stia attuando il suo
mandato. Le prerogative del Congresso degli Stati Uniti sulla sua banca centrale sono ben diverse da quelle
del Parlamento Europeo, naturalmente. Tuttavia, l'azione di controllo dei parlamentari europei sulla BCE
potrebbe essere assai più efficace di come è.
Visto che siamo in campagna elettorale, è il momento di cercare di cambiare questa situazione. Anche se
l'area Euro riuscirà ad evitare la deflazione, cosa tutt'altro che certa, i costi di un'inflazione troppo bassa sono
davvero rilevanti. I candidati italiani al Parlamento Europeo dovrebbero promettere che, se eletti, faranno tutto
il possibile per rendere più incisivo il controllo del Parlamento sulla banca centrale, e chiederanno conto alla
BCE del suo operato, con particolare riferimento al mancato raggiungimento dell'obiettivo sulla stabilità dei
prezzi.
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Un passo avanti e due insidie
Angelo Cremonese
L'attesa per il varo del nuovo redditometro sembra essere terminata. In questi giorni nella cassetta postale di
molti contribuenti stanno arrivando le lettere con cui l'agenzia delle Entrate comunica l'esistenza di una
discrepanza fra la capacità di spesa o d'investimento e il reddito dichiarato.
Oggetto della contestazione saranno gli acquisti di beni e servizi effettuati in un determinato periodo
d'imposta per importi eccedenti il reddito dichiarato. Una prima domanda da porsi è se, sfruttando i mezzi
informatici a disposizione, l'amministrazione finanziaria abbia già tenuto conto di quella parte della capacità di
spesa derivante dal conseguimento di redditi non soggetti a dichiarazione come interessi, dividendi, capital
gain, ovvero dal disinvestimento di asset patrimoniali o da capitali pervenuti per effetto di donazioni e/o
successioni. Questo eviterebbe l'insorgere di procedimenti che sarebbero un onere per il contribuente onesto
e un inutile dispendio di risorse per la Pubblica amministrazione. Un altro interrogativo riguarda le finalità di
questo strumento che si propone come un pilastro della lotta all'evasione. In effetti nel passato il vecchio
redditometro non ha portato i frutti sperati sia in termini di gettito sia in termini di tax compliance. Questa
nuova versione dovrebbe essere applicata in maniera più semplice e diretta, basandosi sui dati di spesa
effettivi e superando i moltiplicatori. Questa nuova impostazione dovrebbe rappresentare un fattore positivo e
costituire un percorso di autoanalisi in cui il contribuente può misurare e valutare le incongruenze della
propria posizione fiscale. Puntare, però, su questo strumento come potenziale moltiplicatore del gettito
potrebbe portare a delusioni. La funzione principale del nuovo redditometro dovrebbe essere, infatti, quella di
creare un deterrente all'evasione più che ricercare nuove importanti fonti di entrate tributarie. Il rischio, da non
sottovalutare, in un contesto di congiuntura sfavorevole, è di creare uno strumento che agisca più come
deterrente sui consumi che sui comportamenti illeciti. Sarà fondamentale, per l'amministrazione, dare segnali
comunicativi, accompagnati da comportamenti concreti, che scongiurino tale pericolo.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ANALISI
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Ai fondi esteri il 38% di Piazza Affari
Il primo è BlackRock che detiene partecipazioni per 20 miliardi
Andrea Franceschi
La stagione delle assemblee societarie delle blue-chips italiane ha fatto emergere il ruolo più rilevante degli
investitori istituzionali, che controllano ormai il 38% della capitalizzazione. Blackrock, big globale, detiene
20miliardi di partecipazioni.Servizi u pagina 5
La ritrovata fiducia degli investitori stranieri è il vero elemento di svolta del rally messo a segno da Borsa e
titoli di Stato italiani nei primi mesi del 2014. Non a caso è proprio su questo tema che il presidente della
Consob Giuseppe Vegas ha incentrato il suo discorso in occasione della presentazione della relazione
annuale dell'autority. Una presenza, quella dei fondi esteri, che pare maggiormente orientata a obiettivi di
lungo periodo più che alla speculazione mordi e fuggi. La Consob fa sapere che le imprese partecipate da
investitori istituzionali esteri con quote superiori alla soglia rilevante sono cresciute, nel corso del 2013, da 52
a 69 mentre, stando alla banca dati S&P Capital Iq, il numero di soggetti esteri con partecipazioni oltre il 3%
in quotate italiane è passato da 113 a 135. La maggior presenza di investitori stranieri è peraltro un fenomeno
che influenza pesantemente la governance delle società quotate come si è visto giovedì all'assemblea
dell'Eni in cui i fondi esteri hanno bocciato i requisiti di onorabilità dei manager voluti dal Tesoro.
Ma quanto valgono queste partecipazioni? Al netto delle maggiori holding detenute all'estero da azionisti
italiani la banca dati S&P Capital IQ calcola un controvalore di oltre 200 miliardi di euro, circa il 38%
dell'attuale capitalizzazione del listino italiano, soprattutto sui gruppi a maggior capitalizzazione: il 90% è
investito nell'indice Ftse-Mib. I settori di traino sono la finanza (il 33% della torta) e l'energia (il 21,5%). Molto
ricercate anche utilities (12,5%), industria (10%) e beni di consumo (10%).
La fetta più grossa è in mano i grossi fondi americani che hanno in portafoglio azioni per un controvalore di
93,9 miliardi di euro. Cifra che andrebbe rivista al rialzo dato che molti operano con controllate nei paradisi
fiscali: dei circa 5 miliardi investiti dal colosso Fidelity, per esempio, ben due sono in capo a fondi con sede
alle Bermuda.
Il primo investitore estero, e secondo in assoluto dietro lo Stato italiano, è BlackRock che, attraverso 156
società, ha partecipazioni per 20 miliardi di euro. Il controvalore delle azioni italiane in mano al gigante Usa è
raddoppiato rispetto a un anno fa. Negli ultimi mesi il fondo ha aumentato le quote, in particolare nel settore
bancario, in cui è presente con il 5% circa di Intesa Sanpaolo e Unicredit e il 6,8% del Banco Popolare.
Subito dietro gli americani ci sono i francesi con 25 miliardi di euro in controvalore. Non sono solo asset
manager in questo caso ma anche grossi nomi dell'industria come Edf e Lactalis che controllano Edison e
Parmalat. Nella finanza spiccano le assenze di Bnp Paribas e SocGen che un anno fa risultavano essere
rispettivamente il settimo e l'undicesimo investitore estero alla Borsa di Milano ma che oggi sono fuori dalla
top 20. Stando alla banca dati S&P Capital IQ al 30 settembre 2013 Bnp aveva azioni quotate alla Borsa di
Milano 3,25 miliardi di euro. Oggi il suo portafoglio è sceso a 1,8 miliardi. Considerando che, nel frattempo
Piazza Affari è salita del 22%, è logico ritenere che la banca francese, presente a Piazza Affari con una rete
di 148 fondi, abbia deciso di vendere.
Tra i nuovi ingressi infine spiccano i cinesi dopo che la People Bank of China è salita oltre il 2% di Eni ed
Enel. Con 2,3 miliardi di investimenti a Piazza Affari la Repubblica popolare è all'undicesimo posto in
classifica. Subito dopo gli Emirati Arabi con Aabar che ha il 6,5% delle azioni Unicredit.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Governance È l'organizzazione interna d'impresa,
dalle relazioni fra i soggetti interni che a diverso titolo intervengono nello svolgimento dell'attività alle forme di
tutela dei diversi interessi esterni coinvolti. L'obiettivo di una buona corporate governance è quello di affidare
la gestione dell'impresa alle persone più adatte, tutelando nel contempo gli interessi legittimi di piccoli
azionisti, creditori sociali e dipendenti. Il sistema di governance alla tedesca, o sistema duale, divide le
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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I big internazionali, soprattutto americani e francesi, controllano 200 miliardi di capitalizzazione
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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funzioni degli organi societari fra gestione e vigilanza Dadove vengono i fondi che contano di più alla Borsa di
Milano GLI STRANIERI DI PIAZZA AFFARI Le partecipazioni estere Dati in miliardi di euro all'8/5/14 Stati
Uniti 93,9 Germania 6,7 Francia 25,0 Olanda 2,1 Svezia 2,1 Cina 2,3 Emirati A. 2,5 Canada 4,7 Spagna 5,7
Belgio 5,8 Norvegia 7,5 Svizzera 8,5 Regno Unito 22,8 MILIARDI DI EURO Australia Austria Russia
Singapore 2,1 Bermuda 2,0 Irlanda 1,2 Bahamas 1,1 Libia 1,0 Danimarca 0,7 Giappone <0,5 1 5 3 2 4
FONDI CON PARTECIPAZIONI SUPERIORI AL 3% ALLA BORSA DI MILANO Numero di fondi Q1 Q2 Q3
Q4 Q1 2013 2014 100 140 120 113 118 120 132 135 I PRIMI 5 FONDI Dati in miliardi di euro BlackRock
Vanguard Norges Bank Capital Group Comp. BPCE 20,6 8,3 7,0 6,9 5,8 1 2 3 4 5 526,8 201,1
CAPITALIZZAZIONE BORSA MILANO DI CUI IN MANO ESTERA Fonte:S&PCapital IQ
Foto: - Fonte: S&P Capital IQ
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
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La pressione fiscale aiutata dal caos normativo
Gianni
Trovati Da qualche anno il caos delle regole sul Fisco del mattone non è una novità. La notizia, semmai, è
che quest'anno la confusione aumenta ancora e che il 2013, con le sue 104mila aliquote Imu e la pioggia di
decreti per cambiare questa o quella regola, dovrà cedere la leadership di annus horribilis delle tasse sulla
casa.
Il primato 2014 è frutto della Tasi, il tributo sui «servizi indivisibili» che prova a sostituire l'Imu sull'abitazione
principale ma pare non farcela del tutto. Per i Comuni, che devono destreggiarsi in un dedalo di norme
sempre più mutevoli senza che nessuno sappia immaginare di quante risorse ogni ente potrà disporre
quest'anno; ma soprattutto per i contribuenti, che a ogni appuntamento devono ristudiare da capo i
meccanismi sempre più cervellotici delle imposte locali e, in tanti casi, rischiano di scoprire che per loro la
tanto contestata Imu era più leggera della Iuc nuova
di zecca.
I primi a farne prova saranno i proprietari di seconde case, negozi, capannoni, alberghi, uffici, centri
commerciali e così via. La maggioranza dei Comuni non è nelle condizioni di decidere nulla in queste
settimane, anche perché alle elezioni del 25 maggio si rinnovano 4.106 sindaci, e in questi casi le abitazioni
principali salteranno gli acconti del 16 giugno. Tutti gli altri, però, saranno chiamati alla cassa a versare la
prima rata in base ai parametri 2013 dell'Imu, e ad aggiungerci la metà della Tasi ad aliquota standard dell'1
per mille: per questi milioni di proprietari, quindi, l'acconto 2014 sarà più caro di quello pagato 12 mesi fa. Ma
per tanti anche il saldo di dicembre confermerà la regola, perché al sicuro da aumenti ci sono solo le
abitazioni principali di valore medio-alto: una ristretta minoranza, che però versava più della metà dell'Imu ora
abolita sulla prima casa.
La lezione di questi anni di continuo lavorio sulle tasse locali è chiara: la confusione delle regole aiuta ad
alimentare la pressione fiscale, perché la nebbia impedisce agli amministratori più attenti di fare i conti in
base alle reali esigenze del Comune e dà una mano agli altri per far crescere il conto senza assumersene la
responsabilità. I contribuenti hanno ormai capito bene questa semplice morale, parlamentari e ministri
un po' meno.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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L'ANALISI
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 9
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Così la recessione russa può colpire la Ue
Riccardo Sorrentino
Un impatto limitato, ma non per tutti. Una recessione in Russia non sarebbe, secondo un'analisi di Moody's,
un evento catastrofico per l'Unione europea. Alcuni paesi e alcune aziende, molto legate al gigante
eurasiatico, potrebbero però essere colpiti con una certa durezza.
Il tema è di attualità: tra tensioni in Ucraina e conseguenti sanzioni e i disequilibri interni alla Russia la
possibilità di una crisi è molto concreta: nel 2014, secondo Moody's, il paese potrebbe già vedere il pil calare
dell'1%: tanto, per un paese di nuova industrializzazione.
La mappa delle vulnerabilità vede ai primi posti, la Lituania per l'interscambio commerciale (seguita da
Lettonia, Estonia e, per le importazioni, Bulgaria), Cipro per le esportazioni di servizi e i flussi di capitale in
arrivo dalla Russia e l'Austria per l'esposizione delle sue banche. A essere davvero pericolosi sono però gli
effetti indiretti, soprattutto nel caso di un'escalation della crisi ucraina: «La fiducia nella ripresa della Ue
sarebbe danneggiata, i profitti aziendali sarebbero colpiti, la capacità delle banche di concedere più credito
sarebbe ridotta dalle perdite sugli attivi detenuti in Russia».
Tutto questo a prescindere dalla questione del gas: se la crisi dovesse ridimensionare l'offerta «famiglie e
aziende affronterebbero perdite nel loro potere d'acquisto e nei profitti per gli aumenti dei prezzi dell'energia.
In questo caso l'impatto complessivo sulla Ue sarebbe più ampio» rispetto allo scenario di recessione senza
tensioni geopolitiche. Un'ipotesi di dodici mesi di tagli dell'offerta di gas prevede un aumento dei prezzi del
gas del 50%.
In generale, le aziende più esposte a una recessione russa sono la Carlsberg Breweries, con un terzo delle
vendite nel paese; Renault e Nissan, presidenti nella Alliance Rostec Auto; Volkswagen; Mondi (carta e
packaging); Basf per la sua partnership con Gazprom e Glencore Xstrata per quella con Russneft. Tra le
italiane sono considerate a basso rischio Enel, che come Fortum e E.On ha centrali in Russia e, malgrado la
relativa importanza degli utili realizzati a Mosca, Unicredit, la cui controllata Unicredit Bank Austria è però
considerata a medio rischio.
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LE CIFRE DI MOODY'S
22%
La dipendenza dal gas russo
Nella Ue è pari al 22% dei consumi di combustibile fossile. La quota maggiore è quella della Lettonia (100%)
seguita da Lituania (98%), Finlandia e Slovacchia (73%) e Ungheria (55%). Tra i grandi, la Germania è al
27%, la Francia al 15% e l'Italia al 18%.
5%
Gli investimenti diretti russi
A Cipro sono pari al 5% del Pil. Il paese è la destinazione preferita dei capitali russi. Con il 9,3% di
esportazioni di servizi, e il 4,2% di investimenti in Russia, l'isola è uno dei paesi più vulnerabili a una
recessione di Mosca.
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ANALISI
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
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(diffusione:334076, tiratura:405061)
Tempi stretti per i compiti dell'Ilva
Entro un mese il progetto per coprire i parchi minerali - Altoforno 5, stop tra sei mesi IL FRONTE
ECONOMICO Le risorse per le prescrizioni vanno reperite tra aumento di capitale, banche e risorse interne.
E lunedì è previsto il pagamento degli stipendi
Domenico Palmiotti
TARANTO
Per il risanamento dell'Ilva è scattato un nuovo cronoprogramma. Lo prevede, a decorrere dall'8 maggio,
data della pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale", il piano ambientale e il relativo Dpcm approvati dal
governo il 14 marzo e registrati dalla Corte dei Conti il 29 aprile. I lavori devono essere conclusi entro 28
mesi. Scadenze impellenti che si aggiungono a quella per il pagamento degli stipendi, previsti domani, lunedì
12 maggio.
Diverse prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale di ottobre 2012 vengono quindi rimodulate nei
tempi poiché c'è «la necessità di armonizzare le proposte del comitato di esperti nel documento del 21
novembre 2013», mentre altre sono rimaste invariate. I termini del piano ambientale non sono «comprensivi
dei tempi che risulteranno necessari alle autorità pubbliche per rilasciare le autorizzazioni». Le prime
scadenze sono fissate nell'arco di un mese. Entro 30 giorni dal decreto, infatti, l'Ilva dovrà presentare il
progetto definitivo per la copertura del parco minerali primario «al fine di ottenere le autorizzazioni
necessarie». È il parco più grande, dove vengono stoccate le materie prime, e di cui l'Aia impone la copertura
per evitare la diffusione delle polveri. L'Ilva ha incaricato a novembre l'impresa friulana Cimolai del progetto,
attualmente al vaglio al ministero dell'Ambiente. L'area da coprire si estende per 700 metri di lunghezza, 260
di larghezza e ha un'altezza di 80 metri; va concluso in 28 mesi.
Sempre entro un mese, l'Ilva dovrà liberare l'area dove oggi si trova il parco nord coke avendo rinunciato alla
sua copertura. Scadenza successiva è tra 2 mesi quando l'Ilva dovrà presentare il progetto definitivo per le
autorizzazioni del parco fossile e poi concluderne la copertura entro 28 mesi. Il 3 agosto 2016, invece, è la
data entro cui il parco loppa dovrà essere coperto: 26mila metri quadrati, 280 metri di lunghezza, 98 di
larghezza e un'altezza di 35. Fra l'altro, il 3 agosto 2016 è anche la scadenza per l'adeguamento all'Aia
concesso dalla legge 89 del 3 agosto 2013 (36 mesi). Stessa data finale anche per i parchi del calcare
mentre per Omo e agglomerato nord e sud la copertura dovrà essere ultimata entro 20 mesi.
Per evitare la diffusione delle polveri durante lo scarico delle materie prime via mare, il piano prevede poi il
montaggio di 6 benne ecologiche chiuse, di cui le prime 2 dovranno essere pronte entro 5 mesi. Le altre 4
dovranno essere installate progressivamente: la terza entro l'ottavo mese, la sesta entro il diciassettesimo
mese dal Dpcm.
Nastri trasportatori: il 35% dei rulli che portano le materie prime sugli impianti va chiuso entro un mese. Poi si
dovrà salire al 55% entro 10 mesi, al 75% entro 19 e chiuderli tutti entro 28 mesi. Anche per gli edifici dove
vengono maneggiati materiali che sollevano polveri, il piano ne ribadisce la chiusura. I primi 5 edifici
dovranno essere pronti entro 2 mesi e altri 5 entro 8. I restanti 9 vanno invece chiusi entro 15 mesi. Il piano
dispone anche i tempi dei lavori alle batterie coke (l'Ilva rimarrà con sei) ma il Dpcm "raccomanda" al
commissario Enrico Bondi di considerare l'eliminazione o la riduzione del coke attraverso le nuove tecnologie.
E tra queste l'utilizzo «di materia prima ferrosa costituita da ferro preridotto acquisito all'esterno o anche della
Direct Reduction che comporta il trattamento del minerale di ferro con gas naturale». Meno cokerie in attività
significa qualità ambientale migliore. Va detto che, da alcuni mesi, l'Ilva il preridotto di ferro lo sta acquistando
dall'estero e usando negli altiforni e nelle acciaierie (per quest'anno si prevedono 600mila tonnellate). Inoltre,
nella parte di piano industriale 2017-2020 indica anche la possibilità di realizzare a Taranto il preridotto,
investendo 300 milioni.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La questione industriale. Con l'ok ufficiale al Piano ambientale riviste le scadenze: massimo 28 mesi per
completare i lavori PUGLIA
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 16
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Tornando alle misure ambientali, il piano stabilisce entro 6 mesi la fermata del grande altoforno 5 per il
rifacimento, entro 6 mesi il completamento dell'installazione dei filtri a tessuto, entro 10 mesi la conclusione
degli interventi per la riduzione delle emissioni fuggitive dei gas di cokeria e sempre entro 10 mesi
l'installazione di un sistema a cappe mobili per l'aspirazione dei fumi che si sollevano dall'area gestione
rottami ferrosi e svuotamento paiole. Le cappe sono una soluzione transitoria in quanto entro il 3 agosto 2016
andrà ultimato il nuovo sistema di trattamento delle scorie in acciaieria.
Gli interventi dell'Aia costano 1,8 miliardi e rientrano nei 3 miliardi in cantiere nel triennio 2014-2016 che
dovranno arrivare da aumento di capitale, intervento delle banche e risorse dell'azienda. I costi Aia sono così
divisi: 405 milioni i parchi minerali, 132 la chiusura dei nastri trasportatori e degli edifici, 151 l'agglomerato,
186 le cokerie, 78 gli altoforni, 74 le acciaierie, 174 le acque, 141 i rifiuti, 138 i rischi da incendi e incidenti
rilevanti, 180 l'efficienza energetica e 90 oneri vari. Su un miliardo e 800 milioni, 104 milioni sono già stati
spesi lo scorso anno.
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PARCO MINERALI
Progetto entro 30 giorni
Entro 30 giorni dal decreto l'Ilva dovrà presentare il progetto definitivo per la copertura del parco minerali
primario «al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie». Il Piano ambientale è stato pubblicato in Gazzetta
Ufficiale l'8 maggio scorso
405 milioni
TOTALE INTERVENTO
ADEGUAMENTO AIA
Scadenza 3 agosto 2016
Il 3 agosto 2016 è anche la scadenza per l'adeguamento all'Aia concesso dalla legge 89 del 3 agosto 2013
(36 mesi). La stessa dtata fissa anche il termine entro cui il parco loppa dovrà essere coperto: 26mila mq,
280 metri di lunghezza, 98 di larghezza e 35 di altezza
1,8 miliardi
COSTO COMPLESSIVO
NASTRI TRASPORTATORI
Al via entro un mese
Il 35% dei rulli che portano le materie prime sugli impianti va chiuso entro un mese. Poi si dovrà salire al 55%
entro 10 mesi, al 75% entro 19 e chiuderli tutti entro 28 mesi. Chiusura anche per gli edifici dove vengono
maneggiati materiali che sollevano polveri
132 milioni
LA SOMMA PREVISTA
ALTOFORNO 5
Fermata entro 6 mesi
Il piano stabilisce entro 6 mesi la fermata del grande altoforno 5 per il rifacimento, entro 6 mesi il
completamento dell'installazione dei filtri a tessuto, entro 10 mesi la conclusione degli interventi per la
riduzione delle emissioni fuggitive dei gas di cokeria
78 milioni
L'ADEGUAMENTO
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Ubi, i soci varano la riforma Più spazio ai soci di capitale
LA SVOLTA Moltrasio: «Da questo voto un segnale per le popolari» Il ceo Massiah: «Avviata un'analisi su un
eventuale passaggio alla banca unica»
Marco Ferrando
BRESCIA. Dal nostro inviato
Ubi completa il suo percorso di autoriforma. Con un voto giunto quasi all'unanimità, l'assemblea dei soci
riunita alla Fiera di Brescia ieri ha approvato una revisione dello statuto che assegna più peso ai soci di
capitale, riduce i consigli e rivede le regole per le assemblee.
Il Consiglio di Sorveglianza aveva già compiuto il primo passo nei mesi scorsi, introducendo il requisito del
possesso minimo di 250 azioni per restare soci: le pulizie hanno portato alla cancellazione di 20mila nomi da
un libro che oggi ne conta 75mila, e destato qualche critica espressa in assemblea. Mugugni, che non hanno
condizionato l'esito dei lavori, in un'assemblea che in prima fila ha visto schierate le grandi famiglie
imprenditoriali che da sempre fanno parte del mondo Ubi, nomi come Bombassei, Beretta, Radici, Zanetti:
alla fine, dei 6.980 soci presenti al momento del voto, 6.870 hanno dato parere favorevole, contro i 95 contrari
e i 15 astenuti. Un risultato netto, che va oltre le aspettative dei vertici: il tema dei soci di capitale è
tradizionalmente scomodo nel mondo delle popolari, e dal dibattito della mattinata era emersa la contrarietà
dei rappresentanti della minoranza in CdS.
Le nuove norme seguono alla lettera le disposizioni di Bankitalia pubblicate in settimana. Per questo il casoUbi è destinato in qualche modo a lasciare il segno nel mondo delle popolari: «Abbiamo dimostrato di essere
in grado di autoriformarci, caso raro in un Paese in cui manca la propensione al cambiamento», ha
commentato il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Andrea Moltrasio. «È un messaggio importante per le
banche cooperative: dimostriamo che si può restare popolari aprendosi ai soci di capitale e si possono ridurre
i consigli, decidendo sempre a larga maggioranza».
In futuro non si escludono ulteriori ritocchi alla governance, ma il più è fatto. Con le modifiche introdotte ieri in
assemblea si mette a punto lo statuto costruito sette anni fa alla nascita del gruppo (la «pariteticità» tra le
società partecipanti, ad esempio, ora è diventata «pari dignità») e si valorizzano allo stesso modo le quattro
componenti del corpo sociale - clienti, dipendenti, amministratori, fondi: «Ora possiamo evitare la
polarizzazione su una sola categoria», ha detto Moltrasio. Nel dettaglio, viene assegnato maggior peso ai
soci di capitale, sia nella formazione delle liste (i fondi potranno farlo presentando almeno l'1% del capitale)
sia nell'assegnazione dei posti nei consigli, un passaggio considerato importante in una banca in cui gli
investitori istituzionali detengono stabilmente il 40% del capitale. Decisa, poi, la riduzione dei board dal
prossimo rinnovo (da 23 a 17 i componenti della Sorveglianza e da un massimo di 11 a un massimo di 9 la
Gestione) e un tetto anagrafico ai consiglieri: chi siede in CdS non potrà avere più di 75 anni, in Cdg il limite
scende a 70. Innalzato fino a cinque il limite delle deleghe che i soci potranno presentare nelle assemblee,
che d'ora in avanti prevederanno anche collegamenti in video conferenza e il voto a distanza.
«Non ho paura del nuovo, purché sia nuovo davvero», ha dichiarato polemicamente il consigliere Andrea
Resti, l'anno scorso capolista della formazione espressa dai soci bergamaschi dell'associazione "Ubi, banca
popolare". Un anno fa avevano catalizzato oltre 4.500 voti, ieri invece hanno invitato a disertare l'assemblea e
il partito del dissenso si è limitato a una manciata di voti: «La banca ne esce più forte e coesa», secondo il
commento di Franco Polotti, presidente del Consiglio di Gestione. Ora «ci potremo concentrare sulla
redditività», come ha rimarcato ancora Moltrasio: l'obiettivo è quello di riservare maggiori soddisfazioni agli
azionisti, con dividendi più alti rispetto ai sei centesimi approvati proprio ieri; qui la palla di fatto passa
completamente nelle mani del consigliere delegato, Victor Massiah: in agenda c'è anzitutto l'esame Bce,
«dove noi partiamo da coefficienti patrimoniali che rappresentano un vantaggio sui nostri competitor», ma
intanto si è avviato uno studio sulla performance delle diverse banche del gruppo, visto che c'è chi corre
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
79
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Credito. In assemblea voto quasi unanime per la revisione dello statuto
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
(come la Popolare di Bergamo) e chi stenta. Anche la banca unica, cioè la possibilità di semplificare la rete
societaria, «fa parte di un'analisi che stiamo affrontando», mentre eventuali matrimoni (ieri si è accennato a
Veneto Banca) almeno per ora non sono in discussione: «Si vedrà più avanti. E comunque il successo degli
aumenti di capitale di fatto riduce la necessità di correre alle aggregazioni».
@marcoferrando77
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Foto: Tra i soci. Il presidente del CdS Ubi, Andrea Moltrasio, ieri in assemblea
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Prove di trasmissione» per il polo Ue della pay tv
Il consolidamento in un'unica realtà di BSkyB, Sky Deutschland e Sky Italia, progetto rilanciato anche dalle
colonne del Financial Times, é perfettamente adeguato alla logica del momento. Gli over-the-top fanno
sentire sempre di più la presenza sul mercato dei contenuti, dall'altra parte per 21st Century Fox la mossa di
Mediaset, con la newco sulla quale si sono concentrate le attenzioni di Vivendi e Al Jazeera, ha certamente
suonato un campanello d'allarme per le dimensioni e l'identità transnazionali del nascente polo di pay tv. In
questo quadro non ha senso per la galassia Murdoch mantenere al suo interno costellazioni distinte in cui le
attività in UK, Germania e Italia procedono per conto proprio. Delle tre, BSkyB é quella che presenta un
modello di business che appare più adeguato ai tempi, con una focalizzazione sull'ultrabroadband. É chiaro
però che nel momento in cui il mercato assume contorni quantomeno europei la massa critica e l'adeguato
modello di business faranno la differenza.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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LE MOSSE DI MURDOCH
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Se le popolari si riformano da sé
La storia e l'azionariato di Ubi di fatto rappresentavano un vantaggio rispetto ad altre banche popolari, dove la
base sociale è molto più turbolenta e meno propensa al cambiamento. Però ciò non toglie che il passaggio di
ieri in assemblea, dove i soci riuniti a Brescia hanno approvato a larghissima maggioranza la riforma dello
statuto, rappresenta un precedente importante per le banche popolari. I ritocchi allo statuto vertevano su
alcuni punti nodali come il ruolo dei soci di capitale e l'organizzazione delle assemblee, introducendo delle
innovazioni che di fatto rendono più agevole la partecipazione anche al di fuori dei soliti assidui frequentatori;
oltre al merito della riforma, però, conta anche il modo in cui è passata: il voto è stato plebiscitario, a
conferma del fatto che i malumori - se ci sono - non sono evidentemente significativi. Ubi esce dall'assemblea
di ieri non solo con uno statuto che di fatto riconosce maggiore peso agli investitori istituzionali (in una fase in
cui guardano con particolare interesse alle banche italiane) ma anche con un'immagine di banca matura e
coesa: le premesse ideali, in sostanza, per concentrarsi ora sull'operatività e soprattutto la redditività del
gruppo, che resta la prima vera istanza della Vigilanza perché rappresenta l'unica garanzia di successo per
una banca. Altre popolari, a partire da Bpm, pagherebbero l'impossibile per trovarsi nella stessa situazione,
ma in ogni caso Ubi dimostra che le banche popolari possono muoversi anche con le proprie gambe, senza
attendere per forza Via Nazionale o tanto meno il legislatore.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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IL CASO UBI
11/05/2014
Il Sole 24 Ore - Nova
Pag. 11
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la ricerca inventa il suo mercato
Luca De Biase
Ogni centro di ricerca o università dispone di un ufficio dedicato al trasferimento tecnologico. E ogni impresa
ha bisogno di accedere ai risultati della ricerca giusta per il suo modello di business. Eppure «il mercato del
trasferimento tecnologico resta largamente da creare» per Massimiliano Granieri, giurista e membro
dell'AstpProton, associazione europea del settore. Le testimonianze internazionali raccolte al convegno "4T"
organizzato da Jacobacci al Kilometro Rosso hanno dimostrato che le soluzioni per valorizzare la ricerca
soddisfacendo le esigenze delle imprese restano da sviluppare.
I problemi di incontro tra la domanda aziendale e l'offerta accademica dei risultati della ricerca sono vasti:
dalla valorizzazione dei costi alla suddivisione della proprietà intellettuale, dalla comprensione delle rispettive
liste di priorità all'informazione sulle opportunità aperte dalla ricerca, e così via. Non sembra che ci siano
ricette buone per tutti. Ma un fatto è certo: un ecosistema dell'innovazione è tanto più forte quanto meglio
valorizza le sorgenti scientifiche della capacità innovativa. Gli esempi non mancano. Cambridge è molto più
generosa di Oxford nell'attribuire ai ricercatori una quota del fatturato generato dagli accordi con le imprese: e
il distretto dell'innovazione di Cambridge è molto più ricco di quello di Oxford. In Israele gli incentivi ai
ricercatori sono tra i più elevati del mondo: e l'ecosistema innovativo israeliano è tra i più prolifici del pianeta.
Il fortissimo sistema per lo sviluppo delle startup di Silicon Valley consente alla ricerca di trovare enormi
sbocchi economici e alimenta le risorse delle sue università. Non sono strade obbligate. Ogni territorio può
cercare la sua soluzione: ma nessun territorio la può trovare se non alimenta una cultura dell'università come
fondamentale generatore di ricchezza per l'ecosistema dell'innovazione.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Crossroads
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Cercasi moroso ostinatamente
Chiara Bussi
«Sono in arretrato con le bollette della luce? Mi creda, questo è l'ultimo dei miei problemi. Avevo tre
dipendenti e ora sono rimasto solo. Da due mesi siamo fermi e non so se domani la mia attività sarà ancora
in piedi. Ho molti debiti, ma per tutti la risposta è la stessa». La scena si svolge nell'hinterland milanese in una
mattina di inizio maggio al seguito di Laura, addetta di una società di recupero crediti. Una caccia al tesoro tra
citofoni muti, telefoni che squillano a vuoto, interlocutori rassegnati che hanno fatto il passo più lungo della
gamba o che la crisi ha trasformato in insolventi loro malgrado.
Q ualche chilometro più in là inizia la ricerca di un cinquantenne che ha "saltato" dodici rate del mutuo. Ma
nessuno risponde. «È da un po' di tempo che non lo vediamo», si lascia sfuggire una vicina. Laura (il nome è
di fantasia) estrae un documento e infila nella cassetta delle lettere del "debitore" i suoi recapiti per essere
contattata «con urgenza». La meta successiva è una società immobiliare che ha contratto un prestito di
15mila euro, ma ha "dimenticato" nove rate. Nella sede legale non c'è nessuno, così Laura compone il
numero ed è più fortunata. «Domani farò il bonifico - risponde il titolare - e così inizierò a saldare il mio
debito». Laura gli ricorda che dovrà inviarle una copia dell'operazione per certificare il pagamento.
Nel paese vicino inizia la ricerca di una ragazza che ha siglato un prestito ma poi ha interrotto i pagamenti e,
dopo vari solleciti, è arrivata la «decadenza del beneficio del termine». Significa che ora, se vorrà saldare il
suo debito, dovrà pagare tutte le rate in scadenza in un'unica soluzione. Della ragazza, però, non c'è traccia e
anche questa volta i vicini, senza nemmeno chiederlo, forniscono indizi: si è trasferita in un'altra città. Non
sanno dove sia nemmeno al recapito lavorativo da lei indicato , perché era un'occupazione a termine. Per
trovarla occorreranno indagini supplementari in Comune, ma solo se la "debitrice" avrà notificato il cambio di
residenza. Tutto da rifare insomma, con molte incognite. Il giro alla ricerca dei crediti fa tappa di fronte alla
sede di un'azienda. Il titolare non ha finito di pagare un'auto acquistata nel 2010 e sembra aver rimosso
quella transazione. «Faremo il possibile per venirle incontro - dice con gentilezza Laura - possiamo
accordarci su un saldo e stralcio con lo sconto oppure su un piano di rientro». L'imprenditore scuote la testa :
«Mi dispiace - risponde - sono nullatenente e non posso pagare. La mia azienda è fallita, non so proprio dove
trovare i soldi».
C.Bu.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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LA CACCIA AGLI INSOLVENTI
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Non solo capannoni: la Svizzera seduce anche l'e-commerce
Micaela Cappellini
Se anche un colosso americano come Guess, per la sede europea del suo sito di e-commerce, ha scelto la
Svizzera, un motivo ci sarà. È la delocalizzazione 2.0: dopo i capannoni, ora a traslocare oltreconfine sono gli
imprenditori italiani dell'e-commerce. Ad attirarli non è solo una tassazione più bassa, ma anche regolamenti
più snelli per chi vende e per chi acquista. E per scontrini sotto i 150 euro, dalla Svizzera all'Italia non si
applicano dazi sulle spedizioni.
I Cantoni non sono l'unico paradiso del business online: tra le mete nel mirino di chi pensa alla "fuga"
dall'Italia ci sono anche Slovenia e Gran Bretagna.
Cappellini u pagina 16
L'headquarter europeo di Guess.ue, il sito e-commerce del colosso americano dell'abbigliamento? È a
Bioggio, in Svizzera. E se anche un gigante come Guess ha scelto i Cantoni, un motivo ci sarà.
È la delocalizzazione 2.0. Traslocare oltreconfine i capannoni, dalla Brianza al Canton Ticino, dal Veneto alla
Slovenia, potrebbe essere passato di moda. Ora a essere tentati dalle sirene svizzere sono gli imprenditori
italiani dell'e-commerce. Un mercato che oggi in Italia vale oltre 10 miliardi di euro, interessa 14 milioni di
consumatori e cresce a un ritmo del 18 per cento.
Il fenomeno, per ora, è agli esordi. Vetrine virtuali, trasloco molto più agevole. E tasse ridotte, naturalmente,
proprio come per i capannoni. In Svizzera dipende dai cantoni: in quello Ticino, per esempio, la tassazione è
al 21 per cento, e se la merce acquistata dall'internauta italiano non supera i 150 euro è anche esente dai
dazi. Ricevere la merce da un magazzino a Milano o a Lugano, insomma, per il consumatore non fa alcuna
differenza. In Slovenia, altra destinazione dei sogni per gli imprenditori dell'online, la tassazione è al 17%.
«Senza contare che tradizionalmente il Paese è buona piattaforma di lancio commerciale verso l'Est e i Paesi
di lingua germanica», sostiene Alan Rhode, partner della società Taxmen, con sede a Londra, che si occupa
di servizi fiscali e legali per l'e-commerce. Anche la Gran Bretagna ha un discreto appeal: oltre a una
pressione fiscale al 20% (per chi non supera le 300mila sterline di utile), non impone un capitale sociale
minimo e i costi di gestione societaria sono bassi.
Scegliendo la via dell'estero, l'e-commerce italiano non fugge solo dalle tasse. Scappa, soprattutto, da
regolamenti che rendono difficile le vendite online nel nostro Paese rispetto ad altre realtà europee.
Prendiamo i modelli Intrastat: «L'Italia - sostiene Rhode - è l'unico Stato europeo che non prevede una soglia
minima di fatturato per la compilazione dei modelli Intrastat: ciò implica un aggravio degli oneri amministrativi
a carico degli operatori e-commerce nel caso in cui versino l'Iva in Stati esteri su base obbligatoria o
opzionale (disciplina del "distance selling"). Gli altri Stati europei impongono tale onere solo quando si
raggiungono soglie di fatturato significative: in Germania, per esempio, 500mila euro».
Proseguiamo: mentre nella maggior parte degli Stati europei l'apertura di una posizione fiscale implica
l'immediata registrazione nel VIES, il database delle partite Iva (a cui è necessario essere iscritti per accedere
al regime di non-imponibilità Iva delle cessioni intracomunitarie), in Italia la registrazione deve essere attivata
dal contribuente con separata procedura. E poi c'è la questione del codice fiscale: l'obbligo del suo
inserimento da parte del cliente nelle vendite a consumatori italiani che siano oggetto di fatturazione è un
aggravio degli oneri amministrativi e può rappresentare un fattore di dissuasione all'acquisto.
A oggi, chi guarda con interesse alla delocalizzazione è chi commercia in abbigliamento, calzature, cosmesi,
profumeria, cartoleria, vini. Si tratta spesso di operatori che acquistano prodotti dall'estero per rivenderli in
Italia o in altri Paesi. Cui vanno aggiunti coloro che erogano servizi elettronici, il cosiddetto commercio
elettronico "diretto": applicazioni per smartphone, licenze sui contenuti di banche dati.
Ma a chi converrebbe davvero il trasloco? «Dal punto di vista fiscale e finanziario - spiega Alan Rhode - la
delocalizzazione conviene alle società che generano un fatturato non troppo esiguo, almeno un milione di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Slovenia e Gran Bretagna tra le altre mete
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Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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euro, dato che l'internazionalizzazione implica i costi di creazione del magazzino e di assunzione del
personale all'estero. Farlo fin dall'avvio dell'attività d'impresa poi ha i suoi vantaggi: sarà più difficile incorrere
in contestazioni da parte dell'erario italiano rispetto al caso di un imprenditore che, dopo decenni d'attività in
Italia, improvvisamente trasferisce all'estero parte dei suoi cespiti aziendali. Bisogna poi considerare gli altri
vantaggi che gli altri Paesi possono offrire: minor costo del lavoro, possibilità di sinergie con partner locali,
maggior propensione della popolazione autoctona verso gli acquisti online, maggior facilità di accesso a
ulteriori mercati esteri».
Attenzione però: per beneficiare legittimamente del regime fiscale di un altro Stato (anche se nella Ue)
l'imprenditore italiano deve stabilire e operare una reale attività d'impresa all'estero, con una società radicata
economicamente nel territorio di costituzione, con mezzi e personale a sua disposizione. Altrimenti,
capannoni reali o vetrine virtuali che siano, si corre il rischio di cadere nell'esterovestizione, che si verifica
quando una società è stabilita formalmente in un altro Stato ma è amministrata dall'Italia, e per questo motivo
soggetta a imposizione anche in Italia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Abbigliamento e calzature 40 Trasporti (biglietti aerei, ferroviari...) 35
Prodotti tecnologici (tablet, smartphone) ed elettrodomestici 31 Libri in formato cartaceo 29 App per dispositivi
mobili 29 Biglietti/prenotazioni (concerti, eventi...) 25 Soggiorni e vacanze 23 Prodotti di bellezza 21 Fonte:
ContactLab Il business Risposte multiple di un campione. Dati in percentuale LO SCONTRINO MEDIO
DELL'ITALIANO ONLINE In euro Fonte: Human Highway-Netcomm Acquirenti sporadici max 2 acquisti a
trimestre) Acquirenti abituali (>3 acquisti a trimestre) Scontrino medio settore moda Scontrino medio
arredamento Scontrino medio design 80 140 60 90 100 COSAACQUISTANOGLI ITALIANIONLINE
I NUMERI 150 euro
La soglia dell'esenzione
Le vendite dalla Svizzera all'Italia sotto questa cifra sono esenti da dazi. Questo consente agli imprenditori
italiani dell'e-commerce che si sono trasferiti oltreconfine di non far pagare alcun sovrapprezzo di spedizione
alla maggior parte dei propri clienti: in Italia, infatti, la media degli
scontrini online si aggira intorno ai 100 euro
17%
Le tasse in Slovenia
L'imposizione fiscale sulle società a Lubiana è molto più bassa che in Italia, dove fra Ires e Irap si raggiunge
il 31,4 per cento. In Svizzera l'aliquota varia a seconda del cantone: in Ticino, per esempio, è pari al 21 per
cento. Altra meta prediletta dagli imprenditori italiani dell'online è Londra: qui la pressione fiscale è al 20% per
chi non eccede le 300mila sterline di utile, per poi
salire al 23%
Foto: Guess va in Svizzera. A Bioggio la sede del suo sito e-commerce europeo
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Energia, prezzi giù (non per le Pmi)
Rosalba Reggio
Reggio u pagina 17
Se il prezzo dell'energia crolla, la bolletta delle piccole imprese italiane ne beneficia ben poco e, in alcuni
casi, addirittura segna un lieve rialzo.
È il grande paradosso che continua a penalizzare le Pmi del nostro Paese, che assistono a una flessione a
due cifre del prezzo della materia prima ma continuano a perdere competitività rispetto alle imprese estere
pagando una bolletta elettrica molto salata.
È quanto emerge dalle rilevazioni operate dalla Camera di Commercio di Milano, che da alcuni anni
monitora, con cadenza trimestrale, l'andamento dei prezzi medi dell'energia elettrica praticati sul mercato
libero alle micro, piccole e medie imprese. «Il doppio fenomeno della capacità inutilizzata e dell'eccesso di
offerta - spiegano Samir Traini e Fulvio Bersanetti, economisti di Ref Ricerche che elaborano i dati per la
CCIAA di Milano - ha originato una marcata flessione del prezzo della materia prima. Da circa due anni,
contrariamente al passato, il prezzo dell'energia elettrica si è andato svincolando dall'andamento dei
combustibili della generazione termoelettrica: nei primi mesi del 2014 il prezzo unico nazionale della borsa
elettrica italiana ha sperimentato un brusco ridimensionamento, con una riduzione del 20% in confronto a fine
2013, riportando le quotazioni del kilowattora all'ingrosso su valori che mancavano dal lontano 2005». Ma la
flessione del 20% si è tradotta solo in un lieve calo della spesa finale: frutto della nuova composizione della
bolletta, che ha visto, dal 2008, la continua diminuzione del peso della materia prima e il raddoppio (si veda
grafico in pagina) della componente degli Oneri di sistema e impropri. Un fenomeno che ha, di fatto,
fortemente limitato la possibilità delle imprese di negoziare il prezzo dell'energia. Un eventuale sconto del
10% sul 31,4% della bolletta si tradurrebbe infatti in uno sconto sulla bolletta totale di poco superiore al 3%.
Se poi, come è successo, le altre componenti di costo continuano a crescere, il beneficio si riduce
sensibilmente e addirittura si vanifica. Ecco due esempi concreti. Un'impresa manifatturiera che consumi 280
MWh all'anno - concentrati principalmente nelle ore diurne - nel 1° trimestre del 2014 (rispetto al 1° trimestre
del 2013) ha pagato l'energia il 21,5% in meno ma ha avuto uno sconto in bolletta solo del 4%. Nel caso del
ristorante, che consuma energia principalmente nelle ore serali, il bilancio è ben più negativo. Un locale dal
consumo annuale di 35 MWh, infatti, nonostante la flessione del 16,1% del prezzo dell'energia ha registrato
un lieve aumento della bolletta finale (+0,2%).
«La flessione della materia prima - spiegano gli economisti di Ref Ricerche - è stata più che compensata dal
forte adeguamento al rialzo di altre componenti, in particolare dei cosiddetti oneri impropri, raddoppiati
nell'ultimo biennio. Si tratta di voci di natura parafiscale che, oltre al finanziamento delle fonti rinnovabili e altri
sovvenzionamenti, hanno visto dal 1° gennaio 2014 l'introduzione di un nuovo elemento deputato a finanziare
le agevolazioni sul costo di fornitura per le imprese energivore».
Sul futuro, insomma, tanta incertezza e qualche segnale positivo: la materia prima è sempre meno costosa e
la progressione della bolletta - almeno per alcuni profili di consumo - si è quasi arrestata. Le buone notizie,
però, finiscono qui. Le imprese che nel 2013 hanno scelto il mercato libero, infatti, hanno sostenuto una
spesa per la fornitura superiore rispetto a chi è rimasto nel mercato di maggior tutela. E qui si apre un altro
elemento di incertezza che potrà condizionare il 2014. Nel dibattito si sta infatti profilando l'ipotesi che il
mercato possa avviarsi verso un cambiamento di regime tariffario - come è successo nel 2013 per il gas - che
potrebbe comportare la perdita, per le imprese, del paracadute del mercato regolato dall'Autorità di settore
(maggior tutela) a vantaggio del mercato libero. Questo renderà ancora più importante la trasparenza dei
prezzi e dei costi totali del l'energia. «È una sfida che la Camera di Commercio di Milano sente di dover
raccogliere - spiega Sergio Rossi, dirigente dell'area Sviluppo del territorio e del Mercato della CCIAA di
Milano - irrobustendo il monitoraggio sui prezzi dell'energia e del gas naturale. L'obiettivo è quello di
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IMPRESE
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
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promuovere una maggiore trasparenza e di rendere più consapevoli e informati gli utenti mediante la
definizione di un benchmark di prezzo del mercato libero che in prospettiva aiuti tutte le Pmi a valutare con
maggiore cognizione il proprio posizionamento in termini di condizioni economiche di fornitura di energia
elettrica e gas naturale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Componente A3 Con la bolletta dell'energia elettrica
si pagano, oltre ai costi del servizio e le imposte, anche alcune componenti previste per legge, il cui gettito è
destinato a finalità particolari. La più consistente, denominata A3, è destinata a promuovere la produzione di
energia da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, ecc.) e assimilate mediante un sistema di incentivi che
garantiscono una remunerazione certa per l'energia prodotta e agevolazioni per l'allacciamento degli impianti
alle reti Gli esempi DISTRIB. CONSUMI CONSUMI DETTAGLIO SPESA ELETTRICA COMPOSIZIONE
BOLLETTA 280 MWh/anno F1 75 F2 15 F3 10 Totale bolletta -4,0 Oneri impropri 16,3 Dispacciamento 9,8
Materia prima -21,5 35 MWh/anno F1 34 F2 30 F3 36 23,3 26,5 13,7 5,1 31,4 15,3 31 7,8 6,2 39,7 Totale
bolletta 0,2 Oneri impropri 15,9 Dispacciamento 10,7 Materia prima -16,1 I COSTI DI FORNITURA
ELETTRICA PER LE PMI LEGENDA Variazioni I trimestre 2014/I trimestre 2013 Dati in % Ristorante
Impresa manifatturiera Energia Infrastrutture Imposte Dispacciamento Oneri di sistema e impropri Fonte:
elaborazioni REF Ricerche su dati CCIAA Milano
Foto: Gli esempi - Fonte: elaborazioni REF Ricerche su dati CCIAA Milano
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Il difficile compito di rilanciare l'Europa
Adriana Cerretelli
Il governo di Matteo Renzi non nasconde le ambizioni italiane per il semestre europeo che debutterà il primo
luglio prossimo. Rilancio della crescita economica e dell'occupazione in Europa cambiando passo, contenuto
e priorità delle attuali politiche europee.
Unità politica e più integrazione a tutti i livelli inseguendo un'altra Europa, più coesa, più solidale e più
umana, capace di riconciliarsi con i suoi cittadini disoccupati, provati e disillusi, quando non dichiaratamente
scettici o ostili.
Anche se forse un po' velleitario nell'ansia di mettere il sale sulla coda di un'Europa svogliata, priva di visioni
comuni che non siano quella della stabilità della moneta unica e in apparenza sempre meno entusiasta di
"stare insieme in famiglia", il canovaccio delle priorità italiane sarebbe quello giusto al momento giusto se non
dovesse fare i conti con il grande ingorgo istituzionale Ue. Che questa volta rischia di ridurre al minimo i
margini di manovra della presidenza italiana.
Il secondo semestre dell'anno è già quello più breve perché è interrotto dalla pausa estiva, l'intero mese di
agosto e anche l'ultima settimana di luglio, salvo eventi eccezionali. La riforma del Trattato di Lisbona, poi,
l'ha molto depotenziato con la creazione della presidenza stabile del Consiglio Ue, riducendolo a una liturgia
più simbolica che davvero fattuale. Questa volta si incrocia con le elezioni per il rinnovo dell'Europarlamento,
molto diverse dalle precedenti per l'ondata di euroscettici che potrebbero essere catapultati nell'assemblea di
Strasburgo. Si parla di un terzo su un totale di 751 seggi. Tecnicamente una simile percentuale non sarebbe
in grado di sconvolgere la governabilità del parlamento perché i partiti tradizionali potrebbero mantenere
comunque la maggioranza e le file degli euroscettici sarebbero (almeno così molti sperano) divise tra loro e
quindi concretamente poco influenti.
P oliticamente però la constatazione irrefutabile che un cittadino europeo su tre è contrario al disegno
europeo e/o all'euro sarebbe uno shock destinato a tagliare le gambe a molte ambizioni: perché sintomo della
fuga del consenso popolare dall'Europa che, proprio perché è, si vanta e si professa democratica, non può
agire e tanto meno avanzare su progetti più integrativi prescindendo da quel consenso.
A complicare ulteriormente le cose c'è poi il fatto che questa Europa senza popoli al seguito vive al tempo
stesso una profonda crisi istituzionale, esasperatasi nel quinquennio di euro-crisi. Commissione e Consiglio
Ue, e relativi presidenti, si sono progressivamente indeboliti, hanno visto nettamente ridimensionato il loro
ruolo di garanti e mediatori nella dinamica intra-europea. A poco a poco, insomma, si sono ritrovati agli ordini
dei Governi e del metodo intergovernativo che muovono sempre più l'Unione a scapito di quello comunitario.
È questo lo scenario di fondo che attende al varco la presidenza italiana che inizierà il 1° luglio, lo stesso
giorno in cui a Strasburgo si riunirà il nuovo Parlamento. Allora si saprà quanto pesante sarà stato il plebiscito
anti-europeo e quindi con che tipo di Parlamento e di Europa bisognerà fare i conti. E si saprà anche se nel
frattempo la "guerra delle poltrone" sarà stata o no risolta.
Grazie a un'interpretazione un po' garibaldina dei Trattati Ue, quest'anno le urne eleggeranno anche il loro
candidato alla presidenza della Commissione. Questo almeno ha preteso il Parlamento uscente e il suo
presidente, il socialista tedesco Martin Shulz, che è anche il candidato socialista alla guida della
Commissione Ue. Gli altri gruppi politici si sono allineati. Ma i Governi, Angela Merkel in testa, non
sembrerebbero disposti a incassare il colpo di mano che li priverebbe del loro potere di scegliere in
autonomia, sia pure alla luce dei risultati elettorali, riconosciuto dal Trattato di Lisbona.
Se questo è vero, è però altrettanto vero che politicamente, in un'Europa in grande stress democratico,
sarebbe difficile ignorare il responso dei cittadini. In palio ci sono la guida della Commissione e del Consiglio
Ue, cioè la successione a Josè Barroso e a Herman Van Rompuy, la nomina del "ministro degli Esteri Ue" al
posto di Lady Ashton e forse quella del nuovo presidente dell'Eurogruppo.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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LE SFIDE DEL SEMESTRE
12/05/2014
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Con questi chiari di luna, la distribuzione delle poltrone si annuncia complicata e promette scontri intraeuropei al calor bianco. Con possibili strascichi di vendette politiche trasversali. Per esempio qualora il
Consiglio Ue decidesse di non nominare il candidato vincente dell'europarlamento ma qualcun altro. In
questo caso l'assemblea non sarebbe disarmata: ha infatti il potere di accettare o respingere con il voto il
nuovo presidente dell'Esecutivo Ue.
Anche se la guerra inter-istituzionale sarà evitata, a mettere alcune zeppe nelle ruote del nostro semestre
saranno i tempi lunghi di molte procedure: dall'elezione del nuovo presidente del Parlamento, che
tradizionalmente non arriva prima di metà luglio, alla sua stessa operatività che a pieno regime in genere
comincia solo con la prima sessione di settembre.
Di più. La Commissione Barroso scade a novembre. Il che significa che prima dovranno esserci le audizioni
parlamentari dei 28 nuovi commissari designati dai rispettivi Governi. Non si può escludere che qualcuno
venga bocciato, con relativo allungamento dei tempi di conclusione del processo.
Tanto che c'è chi non esclude che la Commissione attuale possa restare in carica fino alla fine dell'anno.
Ovviamente uno scenario di tensioni e lungaggini procedurali finirebbe per paralizzare la miglior buona
volontà della presidenza italiana. Che per di più, con la probabile elezione a eurodeputato dell'attuale
commissario Ue, Antonio Tajani, si ritroverà a dover sceglierne al più presto il successore per non cominciare
il semestre senza un proprio rappresentante dentro la Commissione.
Anche qui possibili complicazioni in vista: chi farà infatti le audizioni del candidato italiano e quando?
Impossibile in giugno nella vacanza del Parlamento uscente, molto difficile in luglio con il nuovo in gestazione
operativa. Si escogiteranno eccezioni alle regole? Si rimanderà a settembre l'audizione? Si inventeranno altri
escamotage? Di sicuro nemmeno queste incertezze aiuteranno l'Italia a guidare un'Europa dalle idee confuse
e dagli entusiasmi spenti.
Però c'è chi è convinto del contrario: che sarà proprio questo stato confuso e catatonico a dare al Governo
Renzi la forza di ricominciare un'Europa diversa e migliore. Speriamo abbia ragione.
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Foto: Europa verso il voto: terza puntata Servizi a pagina 7
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Contratti a termine, il 20% è «mobile»
Precedenza alle intese collettive se fissano quote diverse rispetto al decreto
Francesca Barbieri Valentina Melis
Settimana decisiva per il decreto Poletti che torna oggi all'esame della Camera per la terza lettura, in vista
della scadenza del 19 maggio per la conversione definitiva. Se il testo uscito dal Senato ha limato alcune
rigidità del decreto 34/2014, restano ancora incertezze sull'applicazione del tetto nell'uso dei lavoratori a
tempo determinato.
Il limite del 20% per l'impiego dei contratti a termine - sul totale dei lavoratori assunti a tempo indeterminato infatti, non vale per tutti. Il decreto stabilisce che, in sede di prima applicazione, se i contratti collettivi
nazionali fissano un livello massimo diverso, quest'ultimo resta efficace.
In pratica, dunque, la legge impatta su un ampio reticolato di intese contrattuali che ne potrebbero limitare
l'applicazione.
Barbieri, Melis e Rota Porta u pagina 5 Il tetto del 20% per l'uso dei contratti a termine non vale per tutti. Il
decreto Poletti - all'esame della Camera per l'approvazione definitiva - stabilisce che, in sede di prima
applicazione, se i contratti collettivi nazionali fissano un limite massimo diverso, rispetto al totale dei rapporti a
tempo indeterminato, è quest'ultimo a conservare efficacia.
In pratica, dunque, il decreto legge impatta su un ampio reticolato di intese contrattuali che ne potrebbero
limitare l'applicazione.
Dalla mappatura realizzata da Adapt - Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del
lavoro e sulle relazioni industriali - sulla contrattazione di portata nazionale, emerge che solo tre contratti
collettivi (bancari, agenzie per il lavoro, metalmeccanici) su 18 considerati non prevedono «clausole di
contingentamento» dei contratti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato. Negli altri settori, il tetto
oscilla tra un minimo del 7% (elettrici) e un massimo del 35% (autotrasporti).
Per le aziende che superano la soglia del 20%, la legge è chiara. Chi oltrepassa il tetto, sarà punito con la
sanzione pecuniaria (si vedano gli esempi), pari al 20% della retribuzione complessiva del lavoratore, per il
primo superamento nella singola unità produttiva. La multa sale alla metà dello stipendio totale, se il numero
dei lavoratori assunti in violazione del limite è superiore a uno. I datori di lavoro hanno la possibilità di
mettersi in regola entro fine 2014, a meno che i contratti collettivi non prevedano tetti più favorevoli alle
aziende.
Così, ad esempio, agli edili e ai lavoratori del legno si applicherà il limite del 25% e agli autotrasportatori
addirittura quello del 35 per cento. Diversa la sorte degli elettrici - oltre 83mila, di cui 2.100 a termine secondo
le elaborazioni del centro studi Datagiovani - dove il limite è molto più restrittivo (7%), per i lavoratori del
tessile (circa 500mila) con un tetto del 10%, per quelli del cemento (12%), e degli alimentari (14%).
Nella maggior parte dei contratti collettivi le percentuali non sono assolute ma variano in base alla
dimensione aziendale e alla "compresenza" di rapporti di lavoro in somministrazione, che in alcuni casi sono
conteggiati nel massimale e in altri no.
L'azienda che ritenesse il regime del decreto Poletti più in linea con i propri interessi potrebbe decidere discrezionalmente - di disapplicare il contratto collettivo. Ma con quali possibili conseguenze? Secondo i
ricercatori di Adapt, la violazione della clausola di contingentamento esporebbe al rischio di conversione del
contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato. «Ciò in ragione del fatto - spiega il giuslavorista
Michele Tiraboschi, responsabile scientifico di Adapt - che la contrattazione collettiva individua un nuovo
standard che per le aziende rientranti nel relativo campo di applicazione ha forza di legge e quindi assorbe
anche il regime sanzionatorio previsto dal legislatore». Fino a oggi, infatti, la linea dettata dalla giurisprudenza
(ormai abbastanza consolidata) nei confronti dei datori che sforavano le clausole di contingentamento dei
contratti a termine, è stata quella della conversione del rapporto a tempo indeterminato.
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Restano ancora incertezze sull'applicazione del limite nell'utilizzo di lavoratori a tempo determinato
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Secondo un'altra interpretazione, invece, la sanzione del 20% - che si applicherebbe anche per la violazione
dei "tetti" diversi dal 20% stabiliti dai contratti collettivi - esaurirebbe il campo delle sanzioni applicabili al
datore non in regola.
Il Dl Poletti, però, non stabilisce in maniera diretta che la sanzione amministrativa esclude altre possibili
conseguenze per il datore. Andava in questa direzione, ad esempio, un ordine del giorno presentato dalla
Lega al Senato (ma non accolto) per impegnare l'Esecutivo a chiarire che la nuova sanzione è «interamente
sostitutiva» anche dell'indennità risarcitoria per il periodo compreso tra la scadenza del termine e l'eventuale
pronuncia del giudice che ordina la ricostituzione del rapporto, in caso di contenzioso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Contingentamento 7 Le clausole di
contingentamento fissate dai contratti collettivi nazionali stabiliscono la percentualemassima di contratti
atempo determinato rispetto al totale dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Le percentuali fissate dalla
contrattazione collettiva in alcuni casi sono differenziate, a seconda che si tratti di contratti a termine odi
somministrazione, o in relazione allasommadi entrambi. Adesempio il Ccnl Terziario fissa il tetto del20%per i
contratti a termine, del15%per quelli di somministrazione a termine e del 28%nel caso di utilizzo
contemporaneo dei due istituti. La quota massima Fonte: ADAPT, 2014 Limiti percentuali previsti dai Ccnl alla
stipula di contratti a termine Percentuale sui contratti a tempo indeterminato Limite più restrittivo rispetto alla
legge Limite uguale alla legge Limite più ampio rispetto alla legge Elettrici 7 Tessili 10 Cemento 12 Alimentari
14 Impianti sport 15 Chimici 18 Commercio 20 Energia 20 Turismo 20 Ceramica 25 Edili 25 Gomma plastica
25 Lapidei 25 Legno 25 Autotrasportatori 35
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Il Sole 24 Ore
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Fisco, ricorsi digitali dal 2015
Avvio entro aprile del prossimo anno - Si partirà da Toscana e Umbria
Marco Mobili Giovanni Parente
L'unica certezza è che bisognerà ancora aspettare. I ricorsi fiscali non potranno essere inviati (e ricevuti)
online prima di un anno. Sembrava quasi fatta dopo il via libera al regolamento quadro. Poi le contorsioni
normative tipicamente italiane e il cambio di Governo (con i conseguenti passaggi di consegne ai vertici degli
uffici di via XX Settembre) hanno rallentato l'iter del processo tributario telematico.
All'appello mancano le cosiddette regole «tecnico-operative». Più semplicemente, sono le istruzioni e le
specifiche tecniche che consentiranno l'abilitazione al Sistema informatico della giustizia tributaria (Sigit) e a
seguire la costituzione in giudizio delle parti (contribuenti e uffici del Fisco), nonché l'assegnazione dei ricorsi
fino al deposito delle sentenze. Ma si tratterà anche di indicare come dovranno essere archiviati e conservati i
documenti informatici: una questione non di poco conto se si pensa alla mole di atti.
Al momento si ipotizza di chiudere la partita dei decreti attuativi delle regole tecniche tra ottobre e dicembre
di quest'anno. I tecnici del ministero dell'Economia (competente in questo caso) e in particolare la direzione
della Giustizia tributaria stanno lavorando per essere pronti con i testi entro l'ultimo trimestre dell'anno. Ma
non dipenderà solo da loro, perché è necessario acquisire i pareri di Agid (l'Agenzia per l'Italia digitale) e del
Garante privacy per i profili strettamente connessi con la tutela dei dati personali. Un passaggio obbligato
nell'ottica di «blindare» l'effettivo funzionamento e cautelarsi da attacchi hacker a informazioni sensibili, ma
che come rovescio della medaglia potrebbe anche comportare un ulteriore rallentamento sulla tabella di
marcia. Né bisogna dimenticare che i ricorsi online non partirebbero il giorno dopo l'entrata in vigore delle
regole tecniche: il regolamento quadro ha, infatti, già fissato il calendario. Da quel momento dovranno
passare prima 90 giorni. Una volta trascorso questo tempo, dal primo giorno del mese successivo (altri 30
giorni) il contenzioso viaggerà via Internet. A conti fatti, quindi, se le regole tecniche arrivassero - come
ipotizzato - prima della fine di quest'anno, si riuscirebbe effettivamente a partire nel primo quadrimestre 2015,
ossia entro aprile.
Per farlo, però, non bastano le regole tecniche. L'altro pilastro è lo sviluppo tecnologico, ovvero la messa a
punto dell'applicativo per depositi e notifiche di parte. Si lavora, infatti, al programma che consentirà tutte le
operazioni ancora oggi svolte presso gli uffici delle Commissioni tributarie. Considerando i volumi di
contenzioso in arrivo tra primo e secondo grado, l'applicativo dovrà reggere l'onda d'urto a regime di circa
260mila nuovi fascicoli all'anno. Senza dimenticare che sarà giocoforza necessario "accompagnare" il
personale amministrativo della giustizia tributaria a utilizzare gli strumenti del nuovo processo telematico
attraverso la formazione. Aggiornamento che dovrà riguardare anche i magistrati tributari. Un'operazione non
semplice, se si considera che ancora oggi è possibile imbattersi in sentenze scritte a penna.
Un motivo in più per una partenza graduale. A debuttare saranno le Commissioni di primo e secondo grado
di Toscana e Umbria che, considerando la media complessiva dei nuovi ricorsi iscritti ogni giorno
(rispettivamente 40 e 9) in queste due regioni, consentirà di testare l'efficacia del sistema, da estendere via
via ad altre aree. L'obiettivo resta quello dell'efficienza, che significa risparmi su costi e tempi sia per lo Stato
sia per i contribuenti e i professionisti che li assistono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Sigit Il Sistema informativo della giustizia tributaria
(Sigit) è la macchina organizzativa attraverso cui partirà e si svilupperà il processo telematico in campo
fiscale. L'interfaccia del Sigit sarà il software con cui i diversi protagonisti del rito tributario daranno vita
all'invio e alla ricezione dematerializzata dei contenziosi. Il regolamento-quadro sul processo telematico ha
già stabilito che le parti (contribuenti e uffici dell'amministrazione finanziaria), i loro difensori e anche i
consulenti tecnici potranno accedere solo ai fascicoli informatici relativi ai procedimenti in cui sono costituiti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Giustizia LA SVOLTA TELEMATICA/1
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Il Sole 24 Ore
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Primo grado Secondo grado I RICORSI TRIBUTARI NEL 2013 IL TREND IN TOSCANA E UMBRIA Totale
Toscana Umbria 256.814 40 9 54.707 202.107 30 10 3 6 Numero di ricorsi al giorno Nota:Valori
calcolatiescludendoi finesettimanaeigiornifestivi Fonte:elaborazionisudati direzioneGiustizia tributaria -Mef
La road map e i numeri in gioco
LE REGOLE MANCANTI
1
Il debutto del processo tributario telematico attende le regole tecniche. Allo stato attuale, i decreti del Mef
dovrebbero essere pronti per l'ultimo trimestre di quest'anno. Sarà necessario acquisire prima i pareri di Agid
e Garante della privacy
L'ENTRATA IN VIGORE
2
La pubblicazione delle regole tecniche in «Gazzetta ufficiale» farà scattare il conto alla rovescia per l'entrata
in vigore. Bisognerà attendere che trascorrano 90 giorni dalla pubblicazione. Poi il primo giorno del mese
successivo si potrà partire con i ricorsi online
LA PARTENZA SCAGLIONATA
3
Il processo tributario online non partirà nello stesso momento in tutte le Regioni. Si pensa, infatti, a un debutto
scaglionato. Le prime a partire dovrebbero essere le Commissioni tributarie di primo e secondo grado in
Toscana e Umbria
Foto: - Nota: Valori calcolati escludendo i fine settimana e i giorni festivi Fonte: elaborazioni su dati direzione
Giustizia tributaria - Mef
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Più immigrati pagano l'Irpef ma redditi in calo
Rossella Cadeo
Sono diventati una presenza importante non solo nelle case, sui posti di lavoro e nelle città italiane. Ma anche
agli occhi del fisco: gli immigrati rappresentano oggi circa un contribuente su dieci e concorrono al 5,6% della
ricchezza totale dichiarata, con quasi 45 miliardi di euro (dai 40,4 del 2008). Una dinamica positiva, dunque,
non priva però di differenze se analizzata più nel dettaglio. «Nel 2013 i contribuenti stranieri hanno superato i
3,5 milioni - precisa Enrico Di Pasquale, tra i curatori della ricerca su "I redditi e le imposte degli stranieri in
Italia" realizzata dalla Fondazione Leone Moressa - ossia l'8,5% della platea totale. Se nel giro di un anno
sono aumentati di numero (+2,9%), non così si può dire per il valore medio dichiarato, che anzi, se rivalutato
a prezzi correnti, è andato calando, restando molto lontano rispetto all'importo medio dei contribuenti italiani:
quasi 13mila euro contro 20.400, circa 7.500 euro, un terzo abbondante, in meno. Segnale, questo, che i
lavoratori stranieri sono concentrati prevalentemente in attività a bassa qualificazione professionale o in
settori poco remunerativi, oppure guadagnano meno degli italiani o sono impiegati per un minor numero di
ore».
Ma la fotografia scattata dalla Fondazione Moressa evidenzia anche un'ampia forbice nei trattamenti
retributivi, sia tra i generi sia a livello territoriale. Partiamo dal primo aspetto. «La componente femminile spiega Di Pasquale - è cresciuta numericamente, ma resta in posizione arretrata sul versante delle
retribuzioni. Il numero di contribuenti donna è aumentato del 3,5% nel 2013 rispetto al 2012 (+1,1% la
componente maschile) e oggi costituisce oltre il 43% dei contribuenti nati all'estero, ma appena il 35% del
valore complessivo dichiarato; inoltre la dichiarazione media di un uomo si aggira sui 14.700 euro, quella di
una donna sugli 11mila, con un gap di circa 4mila euro».
Una situazione in parte spiegabile se si pensa che la manodopera femminile è fortemente concentrata nel
lavoro domestico e, all'interno di questo comparto, nei profili meno qualificati e con i livelli retributivi più bassi:
secondo elaborazioni Assindatcolf su un'indagine Censis, il 77% dei circa 1,7 milioni di collaboratori domestici
sono migranti e di questi otto su dieci donne.
Quanto alle differenze territoriali, il quadro delle dichiarazioni rispecchia la distribuzione della presenza
straniera sul territorio: in Lombardia, per esempio, si trovano un quinto dei contribuenti e un quarto del valore
dichiarato; altre regioni "forti" sono Emilia Romagna, Veneto e Lazio; Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto
Adige spiccano per il maggiore apporto in termini di importi dichiarati (intorno al 9% del totale). La ricerca
della Fondazione Moressa non poteva che confermare la distanza economica Nord-Sud: sia gli italiani sia gli
stranieri sono più "ricchi" nelle regioni settentrionali che nel Mezzogiorno, tanto che in alcuni casi gli stranieri
che vivono al Nord dichiarano più degli italiani che vivono al Sud. Ma al Nord si registrano anche le maggiori
distanze tra i redditi degli italiani e quelli dei nati all'estero, con il Trentino-Alto Adige che supera i 10mila euro
(contro la media di 7.500 citata sopra): al Sud i differenziali si riducono, per arrivare ai 3.900 euro del Molise.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Redditi dichiarati nel 2013 dai contribuenti nati all'estero Dichiarazioni
«straniere» ai raggiX Fonte:Fondazione Leone Moressa Indicatore Valore Numero contribuenti nati all'estero
3.536.735 Valore totale reddito dichiarato dai nati all'estero (in miliardi euro) 44,7 Incidenza numero
contribuenti nati all'estero su contribuenti totali (in %) 8,5 Incidenza reddito dichiarato nati all'estero sul
reddito totale (in%) 5,6 Reddito medio dichiarato dai nati all'estero (in euro) 12.930 Differenza reddito medio
nati all'estero rispetto ai nati in Italia (in euro) -7450 Variazione contribuenti nati all'estero 2011-2012 (in %)
2,9 Componente femminile sul numero di contribuenti nati all'estero (in %) 43,2
Foto: - Fonte: Fondazione Leone Moressa
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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FISCO
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
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Consulenza e finanziamenti per «gemme» al femminile
S. L.
C'è chi il soffitto di cristallo lo infrange diventando imprenditrice di se stessa. Come Gemma, architetto
senese che ha realizzato il suo sogno portando avanti una famiglia, sposata con due figli, e il lavoro. Gemma,
dopo anni da dipendente, è riuscita ad aprire una società che organizza escursioni artistiche a cavallo prima
di raggiungere la soglia dei 40 anni. L'attività, dopo un inizio difficile, grazie al suo impegno e soprattutto alla
sua determinazione oggi funziona e ora ha deciso di internazionalizzarsi, sta facendo ricerche di mercato e
conta di aprire il suo primo punto fuori dall'Italia a inizio 2015.
Si ispira a questa storia imprenditoriale il concorso «Start up al femminile - premio Gemma», organizzato
dalla società di consulenza Made Start up. Il concorso è diviso in quattro fasi. Si parte con le iscrizioni entro il
prossimo 15 luglio, in cui Made Start up supporta la preparazione dei documenti fornendo, se richiesto, un
format per il business plan. Tra il 15 luglio e il 15 settembre la giuria vaglierà i progetti e selezionerà i dieci
che accederanno alla fase finale. La terza fase è dedicata al tutoring: dal 15 settembre al 13 dicembre la
società di consulenza offrirà servizi di assistenza alle aspiranti imprenditrici finaliste. Ciascuna delle
selezionate avrà infatti sei ore di consulenza individuale da utilizzare entro fine novembre presso gli uffici a
Milano, oppure via Skype. Il weekend del 18-19 ottobre sarà organizzato un workshop a Milano dove si
lavorerà per tutti e due i giorni sui progetti.
L'evento finale si svolgerà il 13 dicembre con la premiazione dei primi tre classificati: in palio l'offerta di
pacchetti di servizi di consulenza (50 ore al primo, 30 al secondo e 20 al terzo) e un contributo nelle fasi di
costituzione o finanziamenti infruttiferi a favore della società (da 2mila a 5mila euro).
Per iscriversi e ottenere informazioni è possibile scrivere al seguente indirizzo e-mail:
[email protected].
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Innovazione/3
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Risparmio e famiglia
Pag. 9
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TENERE D'OCCHIO I SINGOLI OBIETTIVI
Marco Liera
Quando controllate l'andamento dei vostri investimenti, online o nella rendicontazione della vostra banca,
potete osservare il vostro portafoglio sotto forma di "torta", con una fetta dedicata ai titoli di Stato, una alle
obbligazioni, una alle azioni e così via. Questo è già una base di analisi, ma non basta per una buona
pianificazione finanziaria. Una ricerca ("Behavioral finance: Finance with normal people"), di Meir Statman,
professore della Santa Clara University e uno dei massimi esperti di finanza comportamentale, ha ribadito
che gli individui vanno assecondati nel loro mental accounting (contabilità mentale), che prevede che i
risparmi personali, anziché essere investiti in modo aggregato, vengano suddivisi in differenti conti (o
portafogli), ognuno destinato al raggiungimento di un obiettivo finanziario. Per chi presta consulenza
finanziaria si tratta di un passaggio molto importante: occorre comprendere non solo quali sono gli obiettivi,
ma anche quali risorse destinare a ciascuno e identificare l'orizzonte temporale associato. Ad esempio, un
investitore di 50 anni con una ricchezza di 300mila € potrebbe decidere di destinarne 100mila alla previdenza
da qui a 20 anni, 100mila all'istruzione universitaria dei figli esigibili a 5 anni e i restanti 100mila all'eredità con
un orizzonte... beh il più lungo possibile. È chiaro che il portafoglio previdenziale e quello "eredità" possono
puntare a un rendimento più alto di quello destinato all'università e richiedono all'investitore una tolleranza
maggiore alle perdite. Ogni portafoglio può essere ripartito in un mix liquidità-bond-azioni con un ottimizzatore
media-varianza, che tenga conto del rendimento atteso, della volatilità e della correlazione delle asset class.
Pertanto, è importante che l'investitore sia consapevole non solo dell'andamento della sua ricchezza
finanziaria aggregata, ma anche di quello dei singoli portafogli "comportamentali" e del grado di
avvicinamento ai rispettivi obiettivi, per operare gli opportuni aggiustamenti periodici.
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@LieraMarco
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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l'investitore saggio
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Risparmio e famiglia
Pag. 10
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«LE PMI ATTIVE SUL WEB ESPORTANO DI PIÙ»
Gaia Giorgio Fedi
L'ecommerce ha buone prospettive in Italia, soprattutto per il made in Italy, che rappresenta una delle voci più
ricercate su Google, sebbene siano ancora poche le società esponenti delle eccellenze italiane a usare la
rete e a vendere online (appena il 13%). Ad affermarlo è Simona Panseri, head of communications & public
affairs di Google in Italia. La società ha avviato un progetto, Made in Italy - Eccellenze in digitale, in
collaborazione con Unioncamere e con il patrocinio del Mise, per promuovere la digitalizzazione delle
imprese tricolori.
Qual è lo stato di salute dell'ecommerce in Italia?
È un panorama molto misto, ma ci sono ancora grandissime possibilità per il digitale e, soprattutto, per
l'ecommerce. Tra i Paesi del G20 l'economia internet pesa il 4% del Pil in media, con un contributo alla
crescita che si aggira intorno al 21%. Per alcuni Paesi avanzati sul fronte digitale i numeri salgono al 6/7%,
negli Usa ha superato il 10%. In Italia questo numero è più basso, intorno al 2% del Pil, ma prossimamente,
per il 2015, si attende una crescita tra il 3,3 e il 4,3%, secondo uno studio di Boston Consulting Group.
Quindi siamo in ritardo, ma le prospettive sono incoraggianti. Perché?
In Italia la situazione è molto cambiata negli ultimi anni, è cresciuta la quota di persone che usano internet su
base continuativa, anche per quello che riguarda l'ecommerce. Solo nel 2012 è stata registrata una crescita
del 30% tra le persone che facevano acquisti online, il 40% delle persone che usano internet. Ma non è un
quadro uniforme: se vediamo le imprese, soprattutto le Pmi, e come utilizzano internet, vediamo che c'è
tantissima strada da fare.
Quindi sono le imprese a essere indietro, più che gli utenti?
In molti casi le aziende, che sono di piccole e medie dimensioni, non hanno ancora capito che l'opportunità
data dall'ecommerce è adatta anche a loro. È un ostacolo di tipo culturale: si crede che internet sia una
specie di scaffale che non è in grado di restituire complessità delle nostre produzioni. E che l'ecommerce sia
troppo costoso. Invece per digitalizzarsi non ci vuole investimento estremamente oneroso all'inizio, i costi
aumentano man mano che crescono anche le vendite..
Quali sono gli elementi che, dal vostro osservatorio sul mondo della rete, vi inducono a ritenere che le
prospettive per l'ecommerce?
Per capire ciò che interessa agli utenti abbiamo esaminato le dinamiche sulle ricerche. Abbiamo visto che
nel 2013, sotto quell'insieme di voci che si possono aggregare sotto il concetto di Made in Italy le ricerche
sono cresciute del 12% rispetto all'anno precedente. Al primo posto nelle ricerche c'è la moda, mentre il
turismo è quello che ha i tassi di crescita più alti, ma va molto bene anche l'agroalimentare. Queste ricerche
sul Made in Italy crescono di più in 5 Paesi: Francia, Germania, Cina, Giappone e Brasile.
Quindi questo fattore può rappresentare un dato incoraggiante per le possibilità dell'export italiano?
Assolutamente. Anzi, abbiamo rilevato una stretta correlazione tra l'uso di internet e la capacità di esportare:
in una ricerca condotta in collaborazione con Doxa Digital su 5mila pmi abbiamo rilevato che quelle più attive
sul web esportano di più di quelle che non sono presenti in rete. Prima di internet, se si intendeva vendere su
Paesi esteri occorreva prima fare ricerche di mercato per individuare i mercati giusti, poi trovare i distributori,
infine allocare elevati quantitativi di merce. Tutti costi che restavano a carico dell'impresa finché non si
iniziava a vendere. Il risultato è che una piccola impresa non era nelle condizioni di esportare. Adesso invece
basta darsi all'ecommerce, senza dover cambiare l'offerta. Per allargare il mercato basta darsi al digitale.
Va meglio sul fronte degli utenti? O ci sono ancora resistenze culturali a comprare online?
Ci sono stati molti passi avanti, promossi in particolare dallo sviluppo del mobile. Tornando ai dati sulle
ricerche su Google relative al Made in Italy, abbiamo visto che il 44% arrivava da dispositivi mobili, con un
tasso di crescita in un anno superiore al 50%. L'uso degli smartphone, che aumenta in tutto il mondo ma in
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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intervista della settimana
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Risparmio e famiglia
Pag. 10
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Italia è significativo, aiuterà l'ecommerce.
E le novità normative, come la nuova direttiva sul commercio elettronico, potranno dare una mano?
In generale, ogni iniziativa volta a semplificare e migliorare il contesto è un fattore di stimolo per la diffusione
dell'ecommerce.
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Foto: Simona Panseri
Foto: Resp. comunicazione di Google Italia
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Finanza sociale
Pag. 13
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«Subito le regole operative per la nuova finanza etica»
FASE DECISIVA «La legge non serve senza decreti attuativi e occorre studiare leve fiscali per il comparto»
SFIDA-RIPRESA «Il piano "80 euro"? Con MicroPerLe Famiglie creerebbe micro-prestiti per 5mila euro»
Antonio Quaglio
Mario Baccini, 57 anni, romano, una lunga esperienza politica come parlamentare, vicepresidente del Senato
e ministro della Funzione pubblica, è presidente dell'Ente nazionale per il microcredito.
Presidente, il sistema-Italia ha scelto di dotarsi di un Ente nazionale per il microcredito: qual è il bilancio?
L'Enm nasce per volere del Parlamento sulla scia dell'attivismo Onu, per elaborare soluzioni a sostegno delle
idee e dello sviluppo della microimpresa con l'ausilio della Ue. Non si tratta solo di un prestito di piccolo
importo, ma di un'offerta integrata di servizi finanziari e non finanziari, come l'assistenza tecnica per la
realizzazione dei business plan, monitoraggio, tutoraggio. In altri termini, ciò che contraddistingue il
microcredito dal credito ordinario è l'attenzione alla persona sia nella pre-erogazione che nella posterogazione, nonché la particolare attenzione alla validità e sostenibilità del progetto. L'"ultimo miglio" è il vero
cuore del problema sul quale nessuno vuole agire per i costi elevati: né banche, né istituzioni, perché gli
investimenti sulle persone hanno costi elevati che solo un Ente pubblico può sostenere.
Il Governo sta moltiplicando le iniziative contro la recessione e il disagio delle famiglie...
Faccio una riflessione in merito agli 80 euro proposti in busta paga dal Governo. Bene, se dei 15 milioni di
aventi diritto, 10 milioni di famiglie aderissero al nostro progetto "MicroPerLe Famiglie", ogni famiglia potrebbe
accedere a un microcredito di 5mila euro. Le risorse per far fronte al piano di ammortamento sarebbero
proprio gli 80 euro. Questa possibilità si potrebbe concretizzare grazie alla capacità e agli strumenti di
ingegneria finanziaria che, come Ente unico in Europa, siamo in grado di sviluppare, attivando un effetto leva
virtuoso. Per intenderci: se 10 milioni di famiglie investissero gli 80 euro mensili, si svilupperebbero in sei anni
oltre 57 miliardi di euro (72 rate mensili a un tasso del 5% per un totale unitario di 5.760 euro lorde - 5.000
nette e 760 di competenze/interessi) da utilizzare per creare benessere sostenendo l'economia del Paese.
Inoltre, ove necessario, per sostenere questo virtuoso effetto leva le famiglie interessate potrebbero, grazie
all'Enm, accedere a una garanzia di secondo livello tramite la costituenda sezione per il Microcredito del
fondo centrale di garanzia nazionale Pmi, generando un'ulteriore sostenibilità bancaria del progetto.
Il legislatore ha provveduto già nel 2011 a dotare il settore di una normativa-quadro.
Certo, ma l'attuazione delle normative secondarie è il punto nevralgico di stallo del sistema. Con
l'approvazione dell'articolo 39, comma 7-bis della Legge 214/2011 è stato disposto che una quota delle
disponibilità finanziarie del Fondo centrale di garanzia a favore delle Pmi venga riservata a interventi di
garanzia per il microcredito. La normativa, una volta ricevuti i decreti attuativi, consentirà alle realtà
microimprenditoriali di avvalersi della garanzia del Fondo centrale che, come noto, è assistito dalla garanzia
dello Stato. Questo consentirà una serie di benefici a tutto il settore del microcredito italiano, liberando una
formidabile energia finanziaria rimasta finora inutilizzata. Stiamo definendo con il Mise la sezione dedicata del
fondo stesso, il cui effetto di leva sarà sufficiente a sostenere oltre 2.500 finanziamenti nel 2014.
L'applicazione della legge 214/2011, infatti, consentirebbe, per esempio, agli enti locali sopra i 5mila abitanti
di evitare che le garanzie per il microcredito rientrino nel computo del Patto di stabilità. Inoltre, alle banche
eroganti microcredito darebbe la possibilità di godere della ponderazione zero (sulla quota parte garantita dal
Fondo centrale) e, quindi, di abbattere l'accantonamento patrimoniale obbligatorio.
Quali sono le priorità?
In primis, è necessario individuare delle soluzioni che consentano alle future "111" di sostenere i costi del
microcredito che sono essenzialmente dovuti ai servizi complementari. Per questo bisogna prevedere dei
regimi fiscali più favorevoli per questa industria emergente, siano essi realizzati da esenzioni per le Imf o
riduzioni per i singoli o le imprese che investono nelle loro attività sotto forma di prestiti, titoli o capitale di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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L'INTERVISTA
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Finanza sociale
Pag. 13
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rischio. È vero anche che molte istituzioni pubbliche, con bandi, anche grazie alla nostra competenza tecnica
riescono ad accedere a fondi europei di 40-45 milioni. Un altro problema che stiamo affrontando riguarda la
discussione sui tassi d'interesse, perché il microcredito non può definirsi tale se il tasso d'interesse è zero: il
denaro ottenuto ha un costo che deve essere corrisposto nella restituzione del credito, non si tratta di denaro
a fondo perduto né di beneficenza. Il microcredito si divide in sociale e per l'impresa, secondo la definizione
che abbiamo contribuito a scrivere nel Tub, e raggiunge un massimo di 10mila euro di prestito per il primo e
25mila per il secondo. Il primo si misura molto con il microcredito per il consumo; l'altro per la creazione
d'impresa ed è quello sul quale le attività dell'Ente si stanno concentrando.
Il "credit crunch" è emerso negli ultimi anni come la più grave emergenza. La "ricetta" del microcredito può
rivelarsi utile anche in un Paese del G8?
Assolutamente sì, tanto che l'Enm è parte attiva dell'Advisory Board italiano della Social Impact Investment
Taskforce del G8 (vedi articolo in pagina 14). Noi abbiamo sviluppato una vera e propria "via italiana". La
ricerca che l'Ente sostiene seguendo la direttiva istitutiva della presidenza del Consiglio riguarda
principalmente lo stato dell'arte della microfinanza in Italia, modelli di analisi di fattibilità e modelli di
governance. Tra i membri del board G-8 spiccava, in tal senso, l'intervento di Giovanna Melandri, che sul
tema attraverso la sua fondazione ha lanciato l'idea del "modello italiano di Big society": non un fondo di sole
risorse pubbliche, ma uno spazio di agibilità per Social Impact Funds e Social Bonds, un moltiplicatore di
investimenti pubblici e privati (con ruolo importante di Cdp) in aree dove rendimento economico e sociale
coesistono. Peraltro questa idea che può, per esempio, trovare applicazione nel fund raising per creare e
alimentare fondi di garanzia a favore del microcredito è uno dei core business dell'Ente. I rappresentanti Enm
hanno avuto modo di esporre ai rappresentanti Ocse i risultati del primo rapporto non campionario sul
microcredito in Italia prodotto dall'Ente. Questo rapporto è stato realizzato grazie a un progetto di
monitoraggio sviluppato con fondi Fas-Fse commissionatoci dal ministero del Lavoro per sapere in Italia chi
fa che cosa, in questo settore. È un progetto che in tre anni ha sviluppato dati significativi che abbiamo
messo a disposizione del pubblico e delle imprese. Dal 2010 al 2012, secondo i dati rilevati dal monitoraggio
sugli strumenti di microfinanza effettuato dal un progetto dall'Enm, si è rilevato un incremento dell'ammontare
di microcredito erogato pari al 500% e un aumento del numero di crediti pari al 350 per cento. Nonostante
questa formidabile espansione, l'offerta di microcredito è ben lontana dal soddisfare un'elevata e crescente
domanda che abbiamo stimato attorno a 1 miliardo, a fronte di un'offerta attuale di 75 milioni.
Il microcredito è cresciuto nell'Azienda-Paese grazie a una pluralità di iniziative ed esperienze, fra le quali
spiccano quelle dell'Abi, del Credito cooperativo e delle Fondazioni di origine bancaria. Qual è, a suo avviso,
il percorso strategico più valido e utile allo sviluppo ulteriore del settore?
Per consentire di arrivare alla creazione di nuove start up abbiamo messo in piedi una serie di meccanismi di
fondi di garanzia che consentano, con accordi con il sistema bancario, con l'Abi, con l'Anci e vari enti locali di
portare al finanziamento numerose aziende. Questi fondi permettono un effetto leva importante: per esempio,
100mila euro di garanzia significano 500mila euro di microcredito. Considerando che in media i prestiti si
aggirano sui 18-20mila euro, il numero delle potenziali aziende che possono formarsi è davvero consistente.
Questo è il modello sviluppato dall'Enm che sta stipulando accordi con tutte le istituzioni bancarie locali,
banche popolari, credito cooperativo, per fornire risposte concrete. Oggi il 90% dei microcrediti per l'impresa
sono messi a disposizione dalle regioni attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali. Per incrementare la capacità
di spesa delle regioni è necessaria una formazione continua nel senso di una capacity building che operi in
parallelo sia in supporto della pubblica amministrazione sia degli operatori di microfinanza sul territorio.
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Foto: Presidente. Mario Baccini
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Finanza sociale
Pag. 13
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Microcredito in Italy
L'Ente nazionale accelera: modello utile per la ripresa interna ed estera FINO A 25MILA EURO La prima
mappa organica segnala crescite lineari sia per le iniziative che per l'operatività nel sociale e per l'impresa
Valentina Brini
E se l'Italia esportasse in Paesi emergenti un proprio modello di microcredito? «Nel ventunesimo secolo non
ci vedrei nulla di paradossale: non toglierebbe nulla all'idea pionieristica del Nobel Muammhad Yunus
nell'Asia più povera, potrebbe invece aggiungere l'esperienza di radicamento del microcredito in un paese del
G8 che sta cercando nuove strade per rimanere competitivo in un mondo globalizzato». Mario Baccini - una
lunga esperienza di parlamentare e ministro - guida oggi l'Ente nazionale microcredito (Enm) con tutt'e due gli
occhi puntati sulla crisi economica e sociale del sistema Paese, ma senza perdere di vista tutte le potenzialità
del microcredito d'impresa: a cominciare dalla possibilità che lo strumento sostenga "micro-imprenditori"
italiani - giovani, ma non solo - che vogliano misurarsi all'estero. Magari in quegli stessi Paesi in cui il
microcredito è nato. «Stiamo studiando ipotesi operative con la Cooperazione del ministero degli Esteri»
osserva Baccini. Ma cos'è il microcredito oggi in Italia? Il "rapporto di monitoraggio" presentato a fine 2013
dall'Enm nell'ambito del progetto "Monitoraggio dell'integrazione delle politiche del lavoro con le politiche di
sviluppo locale dei sistemi produttivi relativamente al microcredito e alla Microfinanza" è aggiornato a fine
2012 ma costituisce la prima fotografia organica del comparto.
Nell'anno conclusivo del triennio osservato dal rapporto sono stati erogati 7.167 microprestiti, per un
ammontare complessivo di oltre 63 milioni di euro. A prevalere è stato il valore dei microcrediti concessi con
finalità lavorative, che assorbe quasi il 60% delle risorse complessivamente impiegate, vale a dire oltre 37
milioni di euro, circa 11 milioni in più dei 26 milioni scarsi volti al microcredito sociale. Il monitoraggio ha
rivolto particolare attenzione alle aree più svantaggiate d'Italia e alle Regioni a "obiettivo convergenza"
(Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), cioè quelle con un Prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75%
della media europea.
La fotografia restituita è quella di un universo in espansione (con un aumento del 30% del numero di
microcrediti erogati e del 9% per somme concesse tra il 2011 e il 2012), orientato soprattutto verso l'avvio di
nuove attività: nell'88% dei casi, si tratta di attività di settore terziario; molto più raramente di artigianato
manifatturiero (6,5%) e, ancor meno, di attività agricole (5,4%), quasi tutte però con buone prospettive di
mercato. Il rapporto tra richieste e prestiti concessi, però, evidenzia una significativa differenza tra il
microcredito con finalità sociale e quello lavorativo: in ambito assistenziale, infatti, si riesce a soddisfare la
metà della domanda, mentre in ambito imprenditoriale solo il 37% dei richiedenti ottiene il prestito. Questo a
conseguenza dei diversi importi medi dei microcrediti: per il sociale, infatti, la somma erogata si attesta
mediamente sotto i 5mila euro, mentre i prestiti con finalità lavorativa sfiorano i 20mila euro a concessione. «I
risultati raggiunti - spiega ancora Mario Baccini - documentano quanto il microcredito si sia radicato come
strumento economico fondamentale in Italia».
I dati evidenziano che i beneficiari di microcredito per attività lavorativa sono in maggioranza uomini, giovani
con meno di 35 anni, diplomati e talvolta anche laureati, coniugati ma spesso anche single, concorrenti
insieme ad altri al reddito familiare. Gli utilizzatori di microcredito socio-assistenziale sono, invece, perlopiù
donne over 45, soprattutto diplomate, ma spesso anche in possesso di titoli di studio inferiori, coniugate ma
talvolta anche divorziate o vedove, prevalentemente unica fonte di reddito familiare. Nel dettaglio, sul totale
dei microcrediti erogati in Italia, le donne ne hanno assorbito più della metà, precisamente il 52%; i giovani
poco più di un quinto, cioè il 20,8%; e gli immigrati il 46,2%. In termini di ammontare concesso, la metà è
stato distribuito a donne, il 23,7% a giovani e il 25,8% ai cittadini immigrati.
«Il microcredito costituisce uno strumento di politica economico-sociale sussidiaria - sottolinea Baccini - e
svolge un ruolo primario nel passaggio da un welfare assistenziale a un welfare delle responsabilità
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
102
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Economia 2.0. In tre anni concessi più di 7mila prestiti per un ammontare superiore ai 60 milioni di euro
12/05/2014
Il Sole 24 Ore - Finanza sociale
Pag. 13
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
103
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condivise, in cui tutti i soggetti, enti pubblici, privati e terzo settore collaborano sinergicamente per attivare
nuovi paradigmi di sviluppo sostenibile che promuovono il passaggio dall'assistenza, dai soldi a fondo
perduto, dalle liberalità, al credito e alla responsabilità che la microfinanza comporta.
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L'ENTE E IL SETTORE
L'Ente nazionale del microcredito è nato nel 2010 sulla piattaforma del Comitato permanente nazionale
creato nel 2006 a valle dell'Anno internazionale del microcredito proclamato dall'Onu. Alla guida dell'iniziativa
è sempre stato Mario Baccini. Nel consiglio d'amministrazione siedono oggi: Sergio Vento, Mario La Torre,
Giovanni Puoti e Gianfranco Verzaro. Segretario generale è Riccardo Graziano.
L'Ente ha come obiettivo istituzionale «lo sradicamento della povertà e della lotta all'esclusione sociale in
Italia e - in ambito internazionale - nei Paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione». Ha funzioni di
coordinamento nazionale con compiti di promozione, indirizzo, agevolazione e monitoraggio degli strumenti
microfinanziari promossi dall'Unione europea.
Accanto alle attività di ricerca e formazione, l'Enm promuove anche per mezzo di fondi messi a disposizione
da operatori pubblici, nazionali, comunitari e privati, iniziative a favore di persone in stato di povertà
(microcredito sociale) e di superare i problemi di accesso al credito per progetti di sviluppo imprenditoriale
«non bancabili» presso il credito ordinario ma eticamente e tecnicamente condivisi (microcredito d'impresa). Il
bilancio 2013 gli interventi diretti dell'Ente hanno superato i 3 milioni di euro, pari al 73% delle uscite.
www.microcreditoitalia.org
@ENMItaly
Foto: ...E I FINANZIAMENTI In milioni di euro
Foto: LE INIZIATIVE DI MICROCREDITO... In numero
Foto: IL RAGGIO D'AZIONE Dati in percentuale, anno 2012
Foto: LE CLASSI DI AMMONTARE Dati in percentuale, anno 2012
Foto: - Fonte: Ente nazionale per il microcredito - Ministero del Lavoro e delle politiche sociali
10/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Alla Mercedes i giovani non bastano In fabbrica torna il pensionato
Si amplia il piano esperti senior richiamati gli iper specializzati daranno l'esempio ai neo assunti
ETTORE LIVINI
A VOLTE ritornano. Anche dalla pensione. Nell'era del precariato e del lavoro giovanile sottopagato, la
Daimler (Mercedes) recita il mea culpa e innesta la marcia indietro. In azienda - dopo gli sfoltimenti selvaggi
degli organici degli scorsi anni - mancano esperienza e competenze per i lavori più delicati. E così il colosso
automobilistico ha lanciato l'operazione "Space Cowboys" (il film di Clint Eastwood dove la Nasa mandava in
orbita un equipaggio di attempati astronauti ultrasessantenni) richiamando in servizio gli ex dipendenti usciti
dagli organici per godersi una vecchiaia di riposo.
Il primo esperimento è stato varato l'anno scorso, quando la società ha riarruolato 100 pensionati affidando
loro ruoli di responsabilità nei team impegnati sullo sviluppo di nuovi linguaggi informatici e in quelli dedicati
alle missioni all'estero.
L'esperimento ha funzionato: un ampio bagaglio d'esperienza - alla prova dei fatti - si è dimostrato ben più
importante della data di nascita sulla carta d'identità e del livello dello stipendio. E la Daimler ha deciso di
dare il bis. La nuova campagna di assunzioni è partita in questi giorni. In palio 390 posti in aree strategiche,
riservati tutti a tecnici iperqualificati. Identikit che si trova ormai quasi solo tra le file dei collaboratori tedeschi
"silurati" per motivi di età nel piano di esuberi degli ultimi anni.
«Il piano "Esperti Senior" funziona benissimo - ha detto Wilfried Porth, uno dei responsabili delle risorse
umane della -. Il vantaggio per noi è doppio: da una parte abbiamo la certezza di mettere al lavoro persone
che conoscono già i linguaggi informatici e le tradizione del gruppo. Dall'altra il loro esempio aiuta a far
crescere le nuove generazioni senza strappi». Il programma a questo punto potrebbe essere mandato in
onda in replica per un'altra tornata di rottamati. La loro retribuzione è su base giornaliera e il periodo di lavoro
supplementare è strettamente legato alle necessità dell'azienda. Poi, al limite, possono tranquillamente
tornare a godersi gli ozi della pensione.
Foto: IN FABBRICA Una linea di produzione della Daimler negli Usa
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
104
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IL PUNTO
10/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La controllata sudamericana resta in utile Tar conferma la maxi-multa dell'Antitrust
SARA BENNEWITZ
MILANO. In Brasile cresce, ma dà segnali di rallentamento. I risultati attesi in Italia sono di una
stabilizzazione del calo della telefonia mobile, ma restano in contrazione. Il Tar conferma la maxi multa
dell'Antitrust. E Telefonica resta alla finestra in attesa dello scioglimento di Telco, il veicolo capitanato dagli
spagnoli, Generali, Mediobanca e Intesa che controlla 22,4% di Telecom Italia. Novità in chiaro scuro che ieri
hanno fatto perdere al titolo del gruppo di tlc lo 0,4% a 0,93 euro.
Tim Brasil ha chiuso il primo trimestre con un fatturato stabile per colpa del calo delle vendite di telefonini (3,4%)e del taglio delle tariffe di terminazione, ma con margini in salita grazie al taglio dei costi (+8%). Tuttavia
i ricavi da servizi della telefonia mobile nel trimestre sono saliti solo dell'1,6% contro il +3,3% registrato dal
leader Vivo, che fa capo a Telefonica.
Se, quindi,i profitti di Tim Brasil sono aumentati del 22% a 120 milioni di euro, anchea San Paolo non c'è
molto da festeggiare. Il cda di Telecom che si riunirà lunedì, dovrebbe poi approvare una trimestrale che, a
detta degli analisti, a livello domestico registrerà un calo del 9% dei ricavi e della marginalità. Se è vero che si
va stabilizzando la contrazione del mobile, il fisso continua a registrare una pesante flessione. Proprio sulla
scarsa concorrenza del segmento fisso la scorsa estate l'Antitrust aveva sanzionato pesantemente Telecom,
comminando una multa record da 104 milioni, somma che è stata confermata nel merito da una sentenza del
Tar.
Anche se il gruppo guidato da Marco Patuano farà appello al Consiglio di Stato, la multa è già stata
interamente accantonata in bilancio, ma potrebbe anche creare un pericoloso precedente in favore delle
cause civili intentate da Wind, Fastweb e Vodafone. Quanto all'ammodernamento della rete Telecom, ieri è
arrivato un allarme da Roberto Viola, direttore della Direzione Connect della Commissione Europea. «C'è
bisogno di un salto di qualità per le reti in Europa, soprattutto in Italia, sul terreno della neutralità della rete ha detto Viola che ha aggiunto - è davvero inaccettabile che gli operatori mobili blocchino alcune operazioni
come la voce su Internet ( come Skype ndr )».
Infine, Telefonica: insiemea conti trimestrali in calo, ieri ha ribadito che resterà al 15% del gruppo italiano. «I
soci di Telco non ci hanno comunicato niente, anche se qualcuno ha annunciato uscite - hanno risposto da
Madrid agli analisti -.
Noi stiamo bene così come siamo adesso, siamo soddisfatti, la nostra partecipazione rimane la stessa».
I NUMERI 120 mln L'UTILE Tim Brasil nel primo trimestre ha fatto 120 milioni di utili +1,6% I RICAVI I ricavi
da servizi Tim in Brasile marciano a +1,6%. Vivo fa +3,3% 104 mln LA MULTA Il Tar ha confermato la multa a
104 milioni.
Telecom farà appello
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
105
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I guai di Telecom Tim Brasil frena giù i ricavi del fisso
11/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Londra terra promessa per i giovani italiani in cerca di lavoro
Nel 2013 il numero di emigrati verso la Gran Bretagna tra i 20 e i 40 anni di età è cresciuto dell'81 per cento
Secondo l'Aire in soli due anni è salito del 55% il flusso di connazionali che sono espatriati
LUCA PAGNI
MILANO. Dimenticatevi la perfida Albione. Nonché i luoghi comuni sulla freddezza dei suoi abitanti, l'umidità
del climao il costo della vita troppo alto. La realtà è un'altra: la Gran Bretagna e Londra, in particolare, sono il
nuovo eldorado dei giovani italiani in cerca di lavoro. Laureati e non.
Una ondata migratoria iniziata già da qualche stagione, ma che nel corso del 2013 ha polverizzato tutti i
record precedenti: il numero degli under 40 che ha varcato la Manica, rispetto all'anno precedente, è salito
dell'81 per cento. Un numero quasi raddoppiato, che ha trascinato anche il dato complessivo, visto che i
cittadini italiani espatriati, indipendentemente dall'età, in dodici mesi è salito del 71 per cento.
E se solo fino al 2012, era ancora la Germania in testa alla preferenze di chi valicava le Alpi per iniziare una
nuova vita all'estero, ora anche la super-economia tedesca deve inchinarsi all'Inghilterra, arrivata sul primo
posto del podio, mentre nel 2012 era soltanto la terza meta preferita. Ma non è il solo sorpasso che spiega i
cambiamenti in atto in Europa e nel mondo: gli italiani che si sono trasferiti nel corso del 2013 sono stati più
numerosi in Brasile rispetto agli Stati Uniti.
Sono tutti dati forniti dall'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero istituita presso il ministero degli
Esteri. Dalla fine del 2011, il numero di italiani che ogni anno si è messa la penisola alle spalle è passato da
60.635 ai quasi 100mila del 31 dicembre scorso (per l'esattezza 94.126), con un aumento del 55 per cento.
In due anni è come se fosse stata cancellata dalla mappa geografica italiana una città delle dimensioni di
Alessandria o Piacenza.
Ma quello che più preoccupa è l'esplosione dei flussi migratori riferiti ai più giovani. Per gli esperti ci sono
pochi dubbi sui motivi: gerontocrazia, minori occasioni di lavori qualificati, stipendi più bassi, ascensore
sociale che siè guastato, disattenzione della politica. E ancora più grave, il fatto che il fenomeno - che
attraversa tutte le classi sociali - ha la sua punta tra i laureati, la classe dirigente di domani. Secondo una
ricerca di Almalaurea, il consorzio di 64 atenei del nostro paese, sono almeno 5mila i giovani che ogni anno
vengono assunti da società all'estero. In sostanza, quasi tuttii migliori. Il che aggiunge ulteriore danno: perché
non solo ci priviamo dei "talenti", ma questo avviene dopo che abbiamo speso per formarli.
Il 10 per cento degli universitari che trovano lavoro a un anno dalla laurea è già fuori dalla penisola. Ancora:
secondo la Bocconi, nel corso del 2013, il 25 per cento dei loro laureati ha trovato lavoro all'estero, mentre
soltanto cinque anni fa era il 15 per cento.
Almalaurea sostiene che, nell'ultimo decennio, gli under 35 emigrati all'estero sono più che raddoppiati, da
50mila a 106mila. Tendenza confermata da altre indagini. Per Coldiretti-Swg, la maggioranza dei cittadini
sotto i 40 anni (51 per cento del campione) è pronta ad espatriare per motivi di lavoro; e Demos ha
sottolineato come i giovani tra i 25 e i 34 anni convinti che l'unica speranza di far carriera sia andare all'estero
siano passati dal 48,8% del 2008 al 63,6% del 2013. E ora sarà dura farli rientrare.
PER SAPERNE DI PIÙ www.esteri.it www.interno.gov.it
Gli italiani che se ne vanno dati Aire: Anagrafe italiani residenti all'estero 2013
94.126
56%
44% +19,2% italiani espatriati nel 2013 (ma 1 italiano su 2 non comunica il trasferimento) uomini donne in
due anni incremento del 55%
7.267 dal Piemonte 8.743 dal Veneto 8.211 dal Lazio 7.818 dalla Sicilia 6.682 dall' Emilia Romagna 6.249
dalla Campania 5.159 dalla Toscana 4.716 dalla Calabria 4.665 dalla Puglia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
106
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L'occupazione
11/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 14
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
107
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60.066
45.516 16.418 dalla Lombardia 8.342 Francia 24.001 30-40 anni 21.551 20-30 anni 11.731 Germania 12.904
Regno Unito +71,5% (+81% under 40) 10.300 Svizzera under 40 verso l'Europa 63,81% 48,3% (+ 28,4%)
11/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Uscire dall'austerity non dalla moneta unica solo così Eurolandia può
rialzare la testa"
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
NEW YORK. «I cittadini europei non accettano più l'austerity,e in questo l'opinione pubblica si sta mostrando
più saggia degli esperti. La situazione sul vostro continente è drammatica, deve cambiare. La soluzione non è
uscire dall'euro, ma uscire dalle sue politiche sbagliate. Dovete riscoprire la lezione che l'Europa applicò per
risollevarsi dopo la seconda guerra mondiale». Chi parla è probabilmente il più grande economista vivente. In
realtà la definizione di economista sta stretta ad Amartya Sen. Questo premio Nobel è forse l'unico che
all'università di Harvard ha avuto cattedre sia di economia che di filosofia. E oggi alla vigilia dei suoi 80 anni
Harvard gli ha chiesto di organizzare un nuovo corso di studi: in matematica. Nato in India, è il primo ed unico
nonamericano ad avere ricevuto la più alta onorificenza degli Stati Uniti, la National Medal for the Humanities,
conferita da Barack Obama. In Italia esce il suo ultimo libro, dedicato all'India ("Una gloria incerta",
Mondadori) dove le critiche al suo Paese sono spietate. Ma Sen conosce molto bene la realtà europea e non
si sottrae alle domande su di noi.
Mancano due settimane al voto europeo e il malcontento verso l'Unione è ai massimi.
L'austerity è diventata un Verbo inflessibile, nonostante le resistenze dei cittadini.
«L'austerity contraddice 250 anni di sviluppo economico. I più grandi pensatori dell'economia ci hanno
insegnatoa ragionare in modo diverso. Per Adam Smith il mercato e il progresso economico consentivano
agli individui di conquistare più libertà, e al tempo stesso agli Stati davano risorse per fare meglio il loro
mestiere. Oggi l'Unione europea vede gli Stati solo come un costo. David Ricardo ci insegnò l'importanza dei
prezzi relativi. Ora l'euro ha imposto la stessa parità di cambio alla Germania e alla Grecia senza
preoccuparsi dei rispettivi livelli di prezzo e competitività. Io sono a favore dell'euro.
Ma è stato un errore avere una moneta unica senza l'unione del sistema bancario, trascurando il ruolo delle
altre istituzioni, e trascurando i prezzi relativi. Infine c'è la lezione di John Maynard Keynes: in periodo di alta
disoccupazione e bassa domanda, l'ultima cosa da fare sono i tagli alla spesa pubblica. Non possono che
peggiorare la disoccupazione giovanile». Lei e` stato anche l'ispiratore di una serie di misure alternative al Pil,
per esempio l'indice dello "sviluppo umano" (Human Development Index) usato dalle Nazioni Unite. Eppure il
Pil continua ad avere un ruolo dominante. La notizia recente del possibile sorpasso Cina-Usa nel Pil, ha fatto
il giro del mondo.
«Che la Cina possa superare gli Stati Uniti nel Pilo che l'India possa diventare la terza economia mondiale in
base allo stesso criterio, io lo trovo poco significativo. Quello che conta davvero è il benessere delle persone.
L'indice dello sviluppo umano, pur imperfetto, include l'istruzione che invece non entra nel Pil. Il Bangladesh
ha un reddito pro capite inferiore all'India e tuttavia la speranza di vita è più lunga, la mortalità infantile è
inferiore.
Perchè l'indice dello sviluppo umano riceve meno attenzione? Perchè la sua importanza è fondamentale per
i ceti più poveri. I ricchi, i ceti più benestanti, s'interessano del Pil perchè la crescita economica misurata con
quell'indicatore concentra su di loro i massimi benefici».
Qualche anno fa l'India fu la super-star al World Economic Forum. Nel suo libro lei descrive l'India come un
subcontinente dove coesistono pezzi di California avanzatissima,e vaste aree più simili all'Africa subsahariana. Lei è severo non solo con i governanti ma anche coni mass media del suo Paese, per aver
privilegiato l'aspetto "glamour", i miliardari del software o le star di Bollywood. Lei denuncia l'assurdità di un
Paese dove tutti hanno i telefonini ma non le latrine.
«L'India ha degli ottimi giornali, con un lettorato di massa, perfino più diffusi che in Cina, e tecnologicamente
avanzati. Ma se si guarda alla loro capacità di produrre risultati per il progresso del Paese, è deludente. La
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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L'intervista Amartya Sen. Il premio Nobel indiano ritiene "drammatica" la situazione economica del vecchio
continente: "I tagli peggiorano la disoccupazione giovanile"
11/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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vita dei tre quarti della popolazione riceve una scarsa attenzione sui media. Narrare le condizioni di vita della
maggioranza degli indiani dovrebbe diventare una missione del giornalismo indiano». Nell'inevitabile
paragone India-Cina, lei elenca tanti settori dove il regime autoritario di Pechino ha prodotto risultati migliori.
E' una sconfitta della democrazia? «Attenzione a non trarre le conclusioni sbagliate. L'autoritarismo cinese ha
anche provocato la morte di trenta milioni di persone nella carestia più grave della storia umana, prima di
correggere i suoi errori con le riforme economiche che portarono alla crescita degli anni '80 e '90. I regimi
autoritari sottopongonoi loro cittadini a una grande incertezza. Nel sistema federalista indiano due Stati ben
governati come il Kerala e il Tamil Nadu hanno degli indicatori di sviluppo umano superiori alla Cina. Senza
contare i costi che il popolo cinese paga in termini di libertà e diritti umani. L'India è capace di grandi successi
quando mobilita le sue energie verso un progetto: lo sradicamento della polio è un esempio. Un altro esempio
fu la minaccia di un uragano sei volte più potente di Katrina, che venne affrontato evacuando un milione di
persone dalla costa».
Nelle sue opere c'e` sempre una grande attenzione alla donna. In questo nuovo libro lei analizza la reazione
dopo il terribile stupro avvenuto nel dicembre 2012: una mobilitazione nazionale ha portato a nuove leggi.
Dunque l'India sa cambiare quando vuole? «Prima di quella terribile vicenda, tantissimi stupri non venivano
neppure denunciati. E non puoi risolvere un problema se non ne riconosci neppure l'esistenza. In seguito alle
proteste è diventato un tema nazionale, la polizia è stata messa sotto accusa, ora le forze dell'ordine sanno
che non possono restare inerti. E tuttavia io noto anche qui una questione di classe. Stupri e molestie
sessuali colpiscono anche le donne istruite del ceto medio.
Chiunque conosce nel proprio ambiente una donna che è stata molestata, magari dal capufficio.
Invece la piaga dei rapimenti di bambine e del racket che le costringe alla prostituzione resta nell'ombra,
perchè qui le vittime sono le ragazze più povere. Ancora una volta, la diseguaglianza sociale è una lente che
distorce l'informazione e la percezione dell'opinione pubblica».
PER SAPERNE DI PIÙ www.harvard.edu www.europa.eu
I PENSATORI
L'austerity? I più grandi pensatori dell'economia ci hanno insegnato a ragionare in modo diverso
L'ERRORE
E' stato un errore avere una moneta unica senza l'unione del sistema bancario I DUE VOLTI DELLA
CRESCITA INDIANA Jean Drèze e Amartya Sen affrontano in "Una gloria incerta" gli squilibri della crescita
indiana, che ha lasciato indietro i poveri IL LIBRO LA POLEMICA DRAGHI AFFRONTI LA DEFLAZIONE Il
Financial Times chiede al presidente della Bce Mario Draghi di affrontare con gli strumenti necessari la
deflazione
Foto: L'ECONOMISTA Amartya Sen ad Harvard ha avuto cattedre di economia e di filosofia
11/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 20
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In Italia piccolo non è più bello Anche per l'Fmi le nostre aziende ormai
arrancano
Il Fondo spiega che il nodo non è solo il costo del lavoro ma la dimensione ridotta
LUCA PAGNI
MILANO. «Piccolo non è bello, piccolo è soltanto piccolo».
Nella sua ultima stagione alla guida di Unicredit, il banchiere Alessandro Profumo aveva coniato il uno
slogan "revisionista" per avvisare gli imprenditori di quanto stava per accadere all'economia italiana. In
pratica, le dimensioni "modeste" dei fatturati delle Pmi, da fattore positivo si sarebbe trasformato in un limite
difficilmente recuperabile.
Un allarme, in verità, ben presente anche nei piani degli ultimi governi. Che qualche strumento - a
cominciare dalla creazione del Fondo Strategico Italiano - l'hanno varato per aumentare le dimensioni delle
imprese e la loro propensione ad avventurarsi all'estero; non solo per esportare prodotti ma anche per
acquisire concorrenti in giro per il mondo e diventare più grandi.
Un invito ad accelerare su questa strada è arrivato ieri dal Fondo monetario internazionale, con un paper
firmato dall'economista Andrew Tiffin. Il quale ha scritto che a minacciare le imprese italiane non è tanto il
fardello del costo del lavoro.
Un fattore, quest'ultimo, «sempre meno importante».
Secondo al ricerca del Fondo monetario internazionale, piuttosto, è fondamentale «innovarsi ed espandersi».
L'economista dell'Fmi avvisa che siamo all'ultima spiaggia: «Va riconosciuto che il settore commerciale
italiano continua a collocarsi fra i leader mondiali, a differenza di quanto succede ad altri Paesi europei». Ma
potrebbe non bastare più, perché non sembra più in grado di affrontare «la natura mutevole della produzione
globale, dove le imprese di maggiori dimensioni hanno più successo nell'imporre un brand globale, nel
finanziarsi e nell'integrare un ciclo degli approvvigionamenti globale».
Anche per questo, forse, il premier Renzi è corso a presenziare l'alleanza di Ansaldo Energia con il colosso
cinese Shanghai Electric. Se non ce la facciamo da soli, insomma, almeno alleiamoci con chi è già grande.
Foto: AL TIMONE Il direttore generale dell'Fmi, Christine Lagarde
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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IL PUNTO
12/05/2014
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FEDERICO FUBINI
ALSESTO anno di crisi, con il debito avviato verso il 135% del Pil, per il Tesoro è il momento di rompere un
nuovo tabù.
VANNO ceduti altri pezzi importanti del capitale di Eni e di Enel. Lo Stato non ha più assoluto bisogno di
mantenersi sopra il 30%, la quota di controllo, nelle sue più grandi società quotate. Può anche scendere di un
altro 10% senza dover temere per questo scalate ostili di investitori esteri. La speranzaè che anche il premier
Matteo Renzi se ne convinca.
Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan,e la sua squadra ci stanno riflettendo seriamente, perché
conoscono alla perfezione i vincoli entro i quali il Paese si muove. Il debito pubblico era intorno al 120% del
prodotto lordo nel 2011 e, secondo le stime del Documento di economiae finanza (Def), salirà al 134,9%
quest'anno.
Se il governo vuole arrestare questa dinamica esplosiva e invertirne la tendenza, le privatizzazioni avranno
un ruolo. Per questo nella sua ultima lettera alla Commissione europea, Padoan non si è limitato a dire che il
governo rallenterà il ritmo di riduzione del deficit. Il ministro ha presentato anche un progetto di cui solo ora
iniziano a emergere le implicazioni: per cercare di ridurre comunque il debito, l'Italia accelera il programma
delle privatizzazioni. Il governo di Enrico Letta, con Fabrizio Saccomanni all'Economia, prevedeva per tre anni
entrate da dismissioni per lo 0,5% del Pil. Renzi e Padoan, nel Def, alzano invece l'obiettivo allo 0,7% del Pil
nei quattro anni fra il 2014 e il 2017. Significa trovare beni per nove miliardi in più da mettere sul mercato solo
da qui al 2016.
Quindi, per altri dieci miliardi nel 2017. In tutto è un'operazione che vale l'1% del prodotto lordo in più: senza
di essa, l'intera traiettoria di riduzione del debito risulterebbe seriamente alterata.
Il problema di Padoan è che nel pacchetto di cessioni ereditato da Saccomanni, anche rafforzato, quei 19
miliardi in più entro il 2017 non ci sono. A giugno partirà l'apertura del capitale di Fincantieri, un'operazione
che vale circa un miliardo. Quindi entro l'autunno Padoan insiste per mettere sul mercato anche una quota
importante di Poste Italiane, in modo da incassare fino a cinque miliardi supplementari. A stadi di
preparazione più o meno avanzati di sono poi le cessioni di Sace e Cdp Reti da parte di Cassa depositi e
prestiti, la quale girerebbe un dividendo straordinario al Tesoro. E forse persino prima arriverà la vendita del
49% di Enav, l'ente di controllo aereo, da cui può arrivare un altro miliardo. Poi ancora le Grandi Stazioni e
magari una quota dell'Alta velocità delle Ferrovie dello Stato.
L'algebra non lascia scampo: niente di tutto questo garantisce i 40 miliardi di entrate da privatizzazioni in
quattro anni su cui Padoan si è impegnato a Bruxelles. Né è verosimile arrivarci grazie a cessioni di immobili
pubblici o di società di servizio controllate da Comuni, Provincie o Regioni. Queste ultime spesso sono
dissestate.
Servirebbe troppo tempo per preparare le vendite e i relativi incassi risulterebbero comunque ridotti.
L'idea del Tesoro di lavorare ancora su Eni e Enel nasce di qui: mancano le alternative realisticamente
praticabili. Le quote che andrebbero sul mercato potrebbero arrivarea circa il 10% del capitale per entrambe
le aziende, in modo da alzare nettamente il flusso di entrate da privatizzazioni. Il gruppo dell'energia vale oggi
68,7 miliardi e quello elettrico 39,4 ma per entrambi, soprattutto il secondo, c'è la speranza che il recente
ricambio al vertice porti un rafforzamento in Borsa. Il ministero dell'Economia ha fiducia che la futura gestione
dell'Enel da parte di Francesco Starace si riveli misurabilmente migliore di quella di Fulvio Conti,
l'amministratore delegato uscente. Eni ed Enel non sarebbero comunque operazioni imminenti: la cessione di
quote arriverebbe nella seconda metà del piano quadriennale di privatizzazioni, a partire dal 2016. Per Eni ciò
ovviamente deve coinvolgere la Cassa depositi, che è controllata dal Tesoro e possiede il 26,4% del gruppo
dell'energia (il governo controlla direttamente solo il 3,9%).
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Debito, Tesoro in campo cedere il 10% di Eni e Enel
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Il principale problema da risolvere resta il fatto che lo Stato scenderebbe sotto il 30%, la quota che
garantisce il controllo. Quanto a questo, si pensa a un sistema di azioni con potere di voto multiplo, in modo
che anche al 20% del capitale il Tesoro continuerebbe a esercitarei suoi poteri sulle imprese. Un passaggio
del genere dovrà superare il vaglio della Commissione europea, ma non mancano i precedenti e al Tesoro lo
si ritiene possibile.
Resta poi un ultimo, non trascurabile dettaglio: va convinto Matteo Renzi. Per il momento il premier e
Padoan hanno imparato a cooperare bene insieme, dopo essersi incontrati per la prima volta a governo ormai
formato. Ma entrambi sanno che i test più difficili arriveranno da ora in poi.ENI Venerdì scorso la
capitalizzazione di Borsa dell'Eni era pari a 68,7 miliardi 39,4 mld I NUMERI 68,7 mld
22 mag 2008 9 apr 2010 10 ago 2011 17 gen 2013 24 giu 2013 9 mag 2014 25 set 2008 13 mar 2009 29 apr
2011 24 lug 2012 15 ott 2013 9 mag 2014 17,68 5,37 4,81 2,03 2,96 3,21 12,17 17,48 15,41 Andamento Eni
Andamento Enel 18,92 4,19
PER SAPERNE DI PIÙ www.tesoro.it www.consob.it
Foto: ENEL Il colosso elettrico a Piazza Affari valeva 39,4 miliardi alla chiusura di venerdì ECONOMISTA
Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia del governo Renzi, dopo una lunga esperienza all' Fmi
10/05/2014
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L'industria frena, incognite sulla crescita
A marzo la produzione cala a sorpresa: •0,5%. Bankitalia: segnali positivi dai prestiti a famiglie e imprese La
previsione dell'Ocse di una crescita del Pil italiano dello 0,5% sarà smentita, lo scommetto Matteo Renzi
Presidente del Consiglio dei ministri
GIUSEPPE BOTTERO TORINO
Ci si aspettava un segnale positivo, è arrivata l'ennesima gelata. A marzo, certifica l'Istat, la produzione
industriale ha continuato a scendere, sia rispetto a febbraio (-0,5%) sia rispetto allo scorso anno (-0,4%). A
pesare, sottolinea l'istituto di statistica, sono state soprattutto le perdite sul fronte energia, in caduta
dell'11,1%: i consumi di elettricità e gas hanno scontato una primavera particolarmente calda. Ma non si può
spiegare tutto con il meteo: i beni di consumo hanno fatto segnare un ribasso del 3,2%, e fotografano una
domanda interna ancora debole. Non consolano le stime del Centro studi di Confindustria, secondo cui la
produzione industriale ad aprile dovrebbe segnare un ritorno in territorio positivo: i conti sul trimestre sono
chiusi e si limiterebbe allo 0,1% il vantaggio congiunturale cumulato tra gennaio e marzo sul trimestre
precedente. Nel confronto mese su mese, a un inizio d'anno col turbo sono seguiti due ribassi e ora si teme
un impatto sul Prodotto interno lordo del primo trimestre. I dubbi dureranno pochi giorni, visto che già giovedì
prossimo l'Istat diffonderà la stima preliminare sul Pil. Commentando i dati diffusi ieri il ministro del Lavoro,
Giuliano Poletti, pur ammettendo che la crescita è ancora «debole», ha spiegato: «Noi siamo convinti di
essere stati molto misurati nelle previsioni del Def, ma siamo anche convinti di fare meglio di quanto
previsto». D'altra parte in mattinata il premier Matteo Renzi aveva detto che le previsioni sulla crescita bassa
dell'Italia «saranno smentite». Restano comunque le preoccupazioni, con le paure della Cisl per una «ripresa
senza occupazione» e di Federconsumatori e Adusbef che avvertono: «Nessuno si azzardi a parlare di
ripresa». Anche gli analisti sono scettici: secondo il capo economista di Nomisma Sergio De Nardis «gli 80
euro di minore Irpef potranno dare una mano solo se le famiglie beneficiate si convinceranno che il vantaggio
non è transitorio. Per questo occorre che si definiscano al più presto le prospettive dei conti pubblici italiani,
inclusa la valutazione europea». Per il senior economist del servizio studi di Intesa SanPaolo, Paolo Mameli,
lo scenario «mette in dubbio la possibilità di una accelerazione rispetto al +0,1% registrato dal Pil alla fine
dell'anno scorso». Un piccolo segnale positivo arriva invece sul fronte del credito: a marzo il calo dei prestiti
bancari a famiglie e imprese si è attenuato, con una flessione del 2,3% contro il 3,6% di febbraio. Non è
l'unico indicatore sulla normalizzazione dello scenario fornito da Bankitalia: i dati infatti certificano un
rallentamento del tasso di crescita delle sofferenze. I depositi, saliti molto lo scorso anno, rallentano con
appena un +1,6%. Buio fitto, invece, sul fronte della raccolta obbligazionaria, che sfonda il 10% di ribasso:
una flessione che rende più complesso, per gli istituti, fornire prestiti a lungo termine. I finanziamenti alle
famiglie nel frattempo provano a recuperare qualcosa, e scendono dell'1,1% anche a seguito delle nuove
offerte degli istituti di credito. Quelli alle imprese calano ancora del 4,4% (era un -5,1% a febbraio). L'onda
lunga delle sofferenze, come detto, diminuisce un poco l'impeto (+24% il tasso a marzo) ma una vera
inversione di tendenza arriverà solo se nel 2015 il Pil prenderà a salire in maniera decisa. Fino a quella data
comunque molto dovrà accadere: arriveranno i risultati della revisione finanziaria e degli stress test (per i
quali le banche italiane hanno già dovuto varare 10 miliardi di euro in aumenti di capitale) e la Bce dovrà
intervenire contro i rischi accoppiati di bassa inflazione e euro forte. Intanto il «Financial Times» è tornato a
chiedere alle banche italiane un cambio di passo sulla governance, anche per poter convincere gli investitori
stranieri, che sono tornati in massa sui titoli del settore, a restare. Il monito è arrivato all'indomani delle nuove
regole volute dalla Banca d'Italia. Norme che, seppure rese più flessibili rispetto alla versione iniziale,
impongono una riduzione del numero dei consiglieri, un ruolo non esecutivo del presidente e un aumento
delle deleghe per i soci delle banche popolari. Tutte misure che, nelle intenzioni di Via Nazionale, dovrebbero
aumentare la trasparenza del settore e una migliore rappresentatività.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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IL MINISTRO DEL LAVORO POLETTI: SIAMO CONVINTI DI FARE MEGLIO RISPETTO A QUANTO
PREVISTO NEL DEF
10/05/2014
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Prestiti per settore di attività economica VARIAZIONI IN PERCENTUALE
MARZO Famiglie Imprese
Centimetri - LA STAMPA
-1,1
-4,4
-5,1
-1,2 % % MARZO Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia % FEBBRAIO % FEBBRAIO 2008 2009 2010
2011 2012 2013 2014 -8
11/05/2014
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"La concertazione ha fallito"
Intervista a Padoan: estendere il bonus? Vedremo in autunno
ALESSANDRO BARBERA
L'ansia da spread in teoria è finita, ma da qui alla fine dell'anno è possibile che torni a salire, anche se non
più ai livelli record La discussione con le parti sociali è essenziale per la democrazia, altra cosa è la capacità
di fare accordi e concretizzarli BARBERA ALLE PAG. 2 E 3 La scrivania è sempre la stessa: pesante,
solenne, carica di storia. Il computer potrebbe essere quello di un agente di Borsa londinese. Sullo schermo
scorre lo spread fra i titoli di Stato italiani e tedeschi. Ministro Padoan, i tempi in cui Monti controllava con
ansia quell'indice sono lontani. O no? «In teoria sì. Ma di qui alla fine dell'anno è possibile che lo spread torni
a salire, anche se non a quei livelli». Come mai? «Presto gli effetti della stretta monetaria della Banca
centrale americana inizieranno a farsi sentire. L'enorme massa di liquidità in circolazione verrà meno, e con
essa la finestra di opportunità che sta spingendo molti ad investire anche in Italia. Dobbiamo tenerne conto e
agire con rapidità». A proposito di investimenti. Si parla molto di tasse, ma la ragione che tiene lontani i
capitali dall'Italia è anzitutto la corruzione. Vicende come quella dell'Expo fanno malissimo all'immagine
dell'Italia, non crede? «In Italia c'è un problema di malcostume nella gestione della cosa pubblica. Ma la
cronaca ci dimostra che lo Stato reagisce in modo efficace». Ministro, nel 2015 il bonus da ottanta euro
cambierà? Il governo darà di più alle famiglie numerose? Quel taglio non doveva servire a ridurre il costo del
lavoro? «La manovra serve a ridurre il costo del lavoro, sul lato delle imprese con la riduzione dell'Irap e sul
lato dei lavoratori attraverso il credito Irpef. Sappiamo che c'è un problema di diseguaglianze, soprattutto in
una fase di uscita da un periodo di crisi profonda. In autunno, con la legge di Stabilità, vedremo se c'è spazio
per aumentare il reddito di altre categorie di cittadini». Lei ha preannunciato «sorprese» sulla crescita nei
prossimi mesi. Le ultime stime di Ocse e Unione europea dicono però che non raggiungeremo nemmeno lo
0,8 per cento che voi stimate possibile. «Fra le misure prese dal governo ve ne sono alcune che potrebbero
mettere in moto la fiducia in un miglioramento stabile delle prospettive, quindi produrre un miglioramento
superiore a quello associato meccanicamente all'aumento dei redditi delle famiglie». Fra le priorità del
governo Renzi non ci sono privatizzazioni e liberalizzazioni. E' così? «No, non è così. Dalle privatizzazioni ci
aspettiamo 0,7 punti percentuali di PIL da qui al 2017. Ma è vero che sulle liberalizzazioni si può fare molto di
più, a partire dai servizi pubblici locali». Uno dei problemi irrisolti sono i tempi della giustizia. Forse in Italia ci
sono troppi avvocati? «Uno studio dell'Ocse e della Banca d'Italia dice che il problema è semmai la presenza
nel sistema di incentivi ad allungare i tempi del processi, sia da parte degli avvocati che dei magistrati. Se gli
incentivi fossero a favore di chi i processi vuole invece accorciarli, sarebbe un vantaggio per tutti. Una delle
ragioni per le quali un prestito in Italia costa più che in Francia è perchè le banche italiane fanno pagare in
anticipo il costo di eventuali contenziosi, più lunghi e quindi costosi che altrove». Una volta il successo di un
governo lo si valutava dal rapporto con i sindacati. Su questo Renzi ha decisamente cambiato verso. È finito il
tempo della concertazione? «La discussione con le parti sociali è una componente essenziale della
democrazia. Altra cosa è avere la capacità di fare accordi e concretizzarli il più rapidamente possibile. In
passato la concertazione ha prodotto risultati inefficienti, o perché non si sono trovati accordi sulle regole, o
perché l'esito di quegli accordi ha prodotto vantaggi a favore di alcuni piuttosto che di tutti». Secondo alcuni
lei, in quanto "dalemiano", dovrebbe essere più attento alle ragioni della Cgil più di quanto non lo sia Renzi.
La sua risposta demolisce questa tesi. «Sono amico da molti anni di D'Alema, questo non mi impedisce di
aver maturato le cose che le ho detto». Ci tolga una curiosità: lei si sente più un tecnico o un politico?
«Lavorando per molti governi ho compreso che l'economia non è mai una questione tecnica. Non a caso
l'economia che si insegna nelle Università è definita "politica" ovvero una questione di scelte. Qualsiasi
ministro che si misuri con le scelte è un politico». ll due giugno la Commissione europea presenterà le sue
raccomandazioni ai Paesi membri. Teme un giudizio severo? «No. La Commissione dice che abbiamo alto
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Il ministro dell'Economia: in Italia c'è il problema del malcostume nella gestione della cosa pubblica
11/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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debito e scarsa crescita. È vero non da ieri ma da 15 anni. Dobbiamo rimuovere questi squilibri attuando le
riforme già avviate e quelle impostate dal governo». L'Italia è il Paese europeo che arranca di più. Cresciamo
meno della Spagna, del Portogallo, dell'Irlanda, tutti Paesi che hanno ricevuto aiuti internazionali. Fu un
errore non chiederli fra il 2011 e il 2012? O invece • come dice oggi Monti • gli italiani non avrebbero capito
l'importanza e l'urgenza delle riforme? «No, non credo sia stato un errore. È vero: spesso in Italia si
sottovaluta l'urgenza delle riforme. Ma se oggi possiamo procedere su quella strada lo dobbiamo a quel che
fu fatto da Monti e, a Francoforte, da Draghi, che affrontò la speculazione». Di recente Draghi ha detto che
negli anni della crisi ci si è concentrati sui bilanci degli Stati più che su quelli delle banche. Possibile che il
governo non possa ridurre le tasse senza dover rendere minuziosamente conto delle coperture necessarie?
«In effetti la sequenza è stata diversa dall'esperienza americana. Non si era capito come avrebbe funzionato
l'unione monetaria. È però vero che i nuovi Trattati hanno rafforzato il sistema di sorveglianza per andare al di
là delle variabili fiscali e prendere in considerazione quelle macroeconomiche. Non è un caso se oggi si parla
di squilibri della bilancia dei pagamenti tedesca e non più solo di debito e deficit». Secondo lei in Europa oggi
c'è bisogno di più Keynes? «Se la domanda è "in Europa c'è bisogno di scavare più buche?" la risposta è no.
Quando Keynes invocava un ruolo dello Stato nell'economia era per sottolineare il bisogno di una politica
coerente nel tempo, capace di coinvolgere le persone e di spingere le imprese a investire». Le elezioni
europee saranno un test importante per il governo? «Le elezioni sono sempre un test per i governi. Il
malcontento ha ragioni oggettive, a partire dalla disoccupazione. La politica e le classi dirigenti dovrebbero
prenderne atto e affrontare le questioni cruciali per la qualità della vita dei cittadini europei». Come andrà a
finire il caso AlitaliaEtihad? «Non esprimo giudizi, la trattativa è in corso. Ma posso dirle che una soluzione
positiva richiede la collaborazione di tutti». Sta parlando delle banche, alle quali è chiesto uno sforzo sulla
ristrutturazione dei debiti? «Ho detto di tutti, arrivederci». Twitter @alexbarbera
LE «SORPRESE» SULLA CRESCITA
Nel decreto del governo ci sono misure che potrebbero produrre un miglioramento più forte di quello
associato al taglio delle tasse
LO SCANDALO DELL'EXPO
In Italia continua a esserci un problema di malcostume nella gestione della cosa pubblica. Ma la
cronaca ci dimostra che lo Stato reagisce in modo efficaceLA STAMPA
Fonte: elaborazione Fonte: elaborazione Centimetri-LA STAMPA PREVISIONE DEL TASSO DI CRESCITA
DEL PIL REALE 2014 A CONFRONTO
PREVISIONE DEL TASSO DI CRESCITA DEL PIL REALE 2015 A CONFRONTOOcse (ieri) 0,0 Ocse (ieri)
FMI (apr. 14) Istat (mag. 14) FMI (apr. 14) Istat (mag. 14) Governo (apr 14) Com. Eu. (mag. 14) Governo (apr
14) Com. Eu. (mag. 14)
IL RITORNO DELLO SPREAD
Da qui alla fine dell'anno è possibile che salga perché presto gli effetti della stretta monetaria della
Federal Reserve inizieranno a farsi sentire Ma il governo reagirà in fretta
All'Fmi Dal 2001 al 2005 è stato direttore esecutivo per l'Italia del Fondo monetario internazionale
All'Ocse N el 2007 è stato nominato vice segretario generale dell'Ocse e nel 2009 ne diviene anche capo
economista
Al Tesoro I l 21 febbraio 2014 Pier Carlo Padoan (foto in alto) è stato scelto da Matteo Renzi come ministro
dell'Economia
Lo spread Italia-Germania Rendimenti dei titoli di stato decennali
Foto: Accordi difficili Ultimamente governo e parti sociali hanno fatto fatica a fare accordi e a concretizzarli
rapidamente
11/05/2014
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Pag. 21
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Murdoch prepara la "Grande Sky"
Allo studio una pay tv da 23 milioni di abbonati riunendo le società in Italia, Germania e Regno Unito Il
maxi•piano potrebbe essere annunciato quest'estate
TONIA MASTROBUONI INVIATA A BERLINO
Lo "squalo" è tornato. Secondo anticipazioni del Financial Times, Robert Murdoch starebbe pensando a una
"Grande Sky", a una pay-tv anglo-italo-tedesca che metterebbe insieme diverse controllate per formare una
mega piattaforma europea. Stando alle indiscrezioni, l'ottantatreenne tycoon australiano vorrebbe utilizzare la
sua partecipazione del 39,1% nella britannica BSkyB per fonderla con Sky Italia e Sky Deutschland,
attualmente controllate attraverso 21st Century Fox. Il quotidiano inglese cita diverse fonti, ma non sono tutte
d'accordo sullo stato di avanzamento delle trattative. Una sostiene che ancora non ci sarebbe alcun
negoziato concreto, l'altra che Fox sarebbe molto interessata a mettere ordine nei frammentati asset europei.
Una terza fonte è convinta che l'esito dell'affare dipenderà da «come si allineeranno le stelle», cioè da come
andranno a finire determinati dossier, a cominciare dalla questione dei diritti del campionato di Serie A
italiano. Anche l'agenzia di stampa Bloomberg menziona una fonte che parla di un piano talmente avanti
nelle trattative che sarà annunciato in pompa magna quest'estate. Dai tre presunti protagonisti della mega
fusione, nessun commento. La "Grande Sky" metterebbe insieme i 15 milioni di abbonati inglesi di BSkyB, i
3,5 milioni di Sky Deutschland e i 5 milioni di Sky Italia, ma consentirebbe anche di riordinare il business
europeo, creando una piattaforma televisiva aggressiva e paneuropea, e dall'altra parte un'entità che metta
assieme gli studi cinematografici e l'entertainment. La stessa Fox, del resto, è stata riorganizzata di recente
secondo un principio simile. L'operazione valuterebbe il 50 per cento della piattaforma tedesca in tre miliardi
di euro e il 100 per cento della parte italiana in cinque miliardi. Il figlio dello "squalo" austrialiano, James
Murdoch, ex capo di BSkyB che adesso guida Sky Deutschland ed è anche ai vertici di Fox, aveva dichiarato
l'anno scorso che Sky aveva bisogno di «risolvere» il nodo delle strategie di pay-tv in Europa e che la
separazione delle tre piattaforme inglese, tedesca e italiana «non è ottimale». Già nel 2010 e nell'anno
successivo, lui e il padre avevano tentato di prendere il controllo del gruppo britannico - un'operazione che
era stata bloccata quando era emerso il mega scandalo delle intercettazioni dei vip comprate
sistematicamente da alcuni giornalisti dei suoi tabloid e pubblicate sui giornali. In ogni caso la creazione di un
tale gigante televisivo dell'etere dovrà anche superare le perplessità dei regolatori europei. Infine, sostiene il
Financial Times, dovrà anche superare le riserve degli investitori, non troppo convinti della bontà di un
investimento nel mercato italiano delle televisioni a pagamento. Mentre gli abbonati della Sky tedesca stanno
infatti crescendo, quelli italiani calano. E Sky Italia non offre neanche il servizio in banda larga, che è stato
uno dei motori principali del business di BskyB. Voci citate dal giornale parlano anche della possibilità che
Murdoch faccia il suo ingresso nel mercato francese, comprandosi Canal Plus.
miliardi È il valore stimato di Sky Italia che vanta 5 milioni di abbonati
miliardi È quanto potrebbe valere il 50% della consociata tedesca Sky Deutschland che ha 3,5 milioni di
utenti
Foto: Uno studio di registrazione del gruppo Sky
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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SECONDO IL FINANCIAL TIMES, IL TYCOON AUSTRALIANO VUOLE CREARE UN SUPER NETWORK
EUROPEO
11/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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Ernesto Franco: fare l'editore è offrire al pubblico un'identità
Per il direttore della Einaudi la crisi è anche culturale "Se ne potrà uscire producendo profitti e insieme valori"
ALBERTO MATTIOLI
Nel suo ufficio è incorniciata una lettera datti lo scritta del 1942 con la quale Cesare Pavese manda a quel
paese Giulio Einaudi, accusandolo fra l'altro di avergli mandato sei sigari «pessimi». Via Biancamano, ovvero
l'Einaudi, ovvero la più intellettuale delle case editrici. Infatti di tutti i padroni dell'editoria italiana incontrati
finora, Ernesto Franco, direttore generale e editoriale dello Struzzo, è quello che parla meno di numeri e più
di cultura. Con una cortesissima severità che fa di questo genovese un torinese addirittura paradigmatico.
Dire che il Salone è la più grande libreria italiana è un luogo comune e come tutti i luoghi comuni è anche
vero. Ma per il lettore è davvero un vantaggio? «Sì. Intanto perché ci trovano il loro spazio anche gli editori
indipendenti, e questo è un bene perché il lavoro di ricerca che fanno loro giova a tutti gli editori, anche quelli
grandi. E poi perché l'immensità dell'offerta rende palese, proprio fisicamente, che il senso della lettura è
scegliere. I libri sono un labirinto dove il lettore non si perde se fa delle scelte, cioè elabora il suo profilo
intellettuale e sentimentale». E l'editore cosa deve fare per aiutarlo? «Io credo che una casa editrice debba
avere un'identità. Che vuol dire proporre al lettore una biblioteca organizzata per affinità. Del catalogo Einaudi
io rivendico questo: il filo rosso che unisce i suoi titoli, anche quelli apparentemente più lontani». Questo è
affascinante, ma fare l'editore vuol dire solo pensare? «No, certo. Lo Struzzo non è solo un marchio, ma una
filosofia. E un mestiere, riassunto in quella scritta in piccolo, "a cura di", che riassume il lavoro del redattore.
È un mestiere alchemico, misterioso e difficilissimo, quello di prendersi cura del genio degli altri». Esiste
ancora una linea Einaudi, per esempio in campo politico? «L'Einaudi si ispira alla distinzione classica di
Bobbio: non abbiamo una politica culturale, ma una politica della cultura. Io credo che noi dobbiamo restare
profondamente legati alla nostra storia. Alimentandola per trasformarla, non per ripeterla». Però da 25 anni
siete in Mondadori e il vostro proprietario si chiama Silvio Berlusconi. Quando mise le mani sull'Einaudi, la
sinistra si strappò le vesti. Aveva ragione? «A me sembra che con l'arrivo di Berlusconi non sia successo
proprio nulla. Gli editor e i redattori hanno lavorato dopo come lavoravano prima e come lavorano adesso:
con la massima libertà. Del resto, basta scorrere il catalogo per verificarlo». Con la crisi a che punto siamo?
«Ci siamo dentro. Ma più che una crisi economica a me sembra una crisi della cultura. È in crisi il magistero
delle istituzioni culturali tradizionali, la scuola, l'università, la ricerca, la stessa editoria. Però ci sono mille
luoghi alternativi, come il Salone, dove i cittadini cercano le intelligenze che esercitano questo magistero. Le
folle che vanno ad ascoltare un romanziere o un filosofo, che è poi la versione laica dei classici esercizi
spirituali, vogliono qualcuno che racconti la selezione che lui ha fatto, il suo percorso in quel mare di libri che
dicevo». L'Einaudi è un'istituzione? «E' un'azienda privata. Ma, come ci ricorda Luciano Gallino, un'azienda
non è solo contratti ma anche contatti. E produce non solo profitti ma anche valori». Ed è un'istituzione molto
torinese? «Questa è la città, come dire?, della consapevolezza istituzionale. Il che può fare insorgere una
certa rigidità. Ultimamente, però, Torino ha saputo scardinarla con il Salone, il Museo del cinema, la Scuola
Holden e così via. Credo che l'Einaudi, negli ultimi anni, abbia contribuito a colorare Torino». A proposito di
profitti: buon colpo aver portato via Paolo Giordano alla Mondadori, anche se è un po' come se Italia1
scippasse una star a Canale5... «Noi non abbiamo rubato nessuno. È lui che ha deciso di uscire da
Mondadori per venire in Einaudi. Inutile dire che ne sono felice, tanto più che Il nero e l'argento è un
bellissimo libro». Farà il botto? Quante copie prevede? «Per la prima domanda, la risposta è sì. Per la
seconda, non so. Oltre le 100 mila copie, le previsioni si rivelano quasi sempre sbagliate». Altri libri con cui
immagina che lo Struzzo farà festa? «Il 2014 sarà l'anno del nuovo Wu Ming, L'armata dei sonnambuli , e del
nuovo Murakami, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio , che esce a fine mese. Ma anche
Francesco Piccolo continua ad andare molto bene». C'è un autore che vedrebbe bene all'Einaudi? «Mi piace
moltissimo George Steiner che però in Italia pubblica con Garzanti».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
118
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INTERVISTA
11/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 27
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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GLI EDITORI E IL SALONE
Lo Struzzo non è solo un marchio, ma una filosofia. Con l'arrivo di Berlusconi non è cambiato nulla. Basta
scorrere il catalogo per verificarlo Ernesto Franco
12/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 15
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Il paese che investe nel vento Pale eoliche in multiproprietà
Tre assemblee pubbliche hanno valutato quale fosse il progetto più adatto per il territorio Rivoli Veronese, la
società: i cittadini ci hanno sostenuto, offriamo obbligazioni
ROBERTO GIOVANNINI
In cima al Monte Mesa, tra boschi e radure, c'è un parco eolico che non ha suscitato proteste. Nessun
comitato è sorto nella Val d'Adige contro i 4 aerogeneratori dell'impianto, alti 78 metri e dotati di pale da 45
metri ognuna, per una potenza complessiva di 8 MW, entrati in funzione a fine marzo 2013. Cento delle 700
famiglie della zona comprano a prezzi agevolati la corrente elettrica. E ora, se vorranno, i 2.100 cittadini di
Rivoli Veronese potranno investire nella società che gestisce il parco eolico, acquistando degli speciali bond
a sette anni a loro riservati. Se l'operazione funzionerà, è possibile che alla fine il parco eolico diventi una
«public company», e che le obbligazioni divengano azioni possedute dalla cittadinanza. Se non è l'eolico in
multiproprietà, poco ci manca. Una storia particolare quella di Rivoli, con un progetto nato 8 anni fa da una
telefonata del sindaco alla società Agsm per «parlare di eolico». C'è stato uno stretto e costante confronto
con il territorio, con tre assemblee pubbliche sulle alternative progettuali per scegliere quella più adatta, e un
percorso di condivisione, dal sopralluogo al collaudo. Sfruttando la brezza che scende dalle montagne del
Trentino, l'impianto ha prodotto nel suo primo anno di attività 15 milioni di chilowatt, un quantitativo di energia
9 volte superiore al fabbisogno dei cittadini di Rivoli. Cento famiglie hanno aderito al contratto di fornitura di
energia elettrica dell'Agsm, proprietaria dell'impianto, con uno sconto del 20%. E oggi l'azienda ha presentato
anche una proposta d'investimento «pensata esclusivamente per le 700 famiglie del territorio». La formula
dell'investimento, in partenza nei prossimi giorni e che punta a una raccolta minima di 1 milione, è quella del
«bond», obbligazioni che garantiranno un tasso di interesse del 6,5%. Gli importi riservati alle famiglie (e solo
in seconda istanza alle imprese) vanno da 1.000 a 30.000 euro per 7 anni, con possibilità in caso di necessità
di uscita anticipata. «Un progetto pilota che, se a buon fine, indurrà Agms a considerare addirittura l'ipotesi
"public company", nella quale i cittadini stessi diventerebbero azionisti del parco», dice il presidente di Agsm
Paolo Paternoster. Intanto, la comunità del parco eolico di Rivoli Veronese si è portata a casa dalla fiera
Solarexpo di Milano il premio «Buone Pratiche Comuni Rinnovabili» di Legambiente. Per il percorso di
confronto con il territorio sulle scelte di localizzazione degli aerogeneratori, ma anche per la conservazione
dei prati aridi e delle orchidee presenti nel sito, in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato. Per
realizzare il parco eolico è stato, infatti, portato avanti un lavoro «quasi maniacale», dice Marco Giusti, capo
del progetto e responsabile ingegneria e sviluppo fonti rinnovabili di Agsm Verona. «Siamo in un "sito di
interesse comunitario" - racconta - ed era quindi necessario dimostrare che avremmo lasciato il posto
addirittura meglio di com'era prima, preservando i prati aridi, quelle radure di montagna dove soffia il vento,
che si stanno perdendo e che qui ospitano ben 8 specie di orchidee selvatiche». Così le piazzole dei
generatori e le strade per giungerci sono state ridotte al minimo indispensabile. Sono state prese misure per
tutelare l'habitat della zona e mitigare al massimo gli impatti del cantiere. Due anni prima dei lavori, il Corpo
forestale dello Stato ha allargato e ripulito i preziosi "prati aridi", separando e conservando le sementi
indigene per poi ripiantarle. Sono state mappate le 8 specie di orchidee, e tutti gli esemplari presenti nell'area
sono stati estratti e successivamente ripiantati insieme a centinaia di orchidee riprodotte a partire dalle
sementi raccolte. Tutto il terreno scavato durante il cantiere per realizzare strade e piazzole è stato vagliato e
setacciato, separando la parte vegetale da quella inerte, divisa per granulometria. Accorgimenti al limite della
pignoleria, che hanno però preservato il monte. E convinto i cittadini, che forse diventeranno risparmiatori.
impianti Gli aerogeneratori sono alti 78 metri; ogni pala è lunga 45 metri
6,5%
Interesse La Agsm propone obbligazioni che garantiranno un tasso di interesse del 6,5%
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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il caso
12/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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2100
residenti Cento delle 700 famiglie che abitano a Rivoli Veronese comprano energia eolica
Così l'azienda
«Se tutto andrà a buon fine considereremo l'ipotesi della public company: i cittadini diventeranno azionisti del
parco eolico»
«Siamo riusciti a preservare un sito definito di interesse comunitario: abbiamo salvato radure particolari con
otto tipi di orchidee»
Foto: Il monte Mesa
Foto: Gli aerogeneratori sono stati installati sul monte che Sovrasta Rivoli Veronese
12/05/2014
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Cedolare secca meno cara È l'unica tassa che scende
Nelle grandi città è inapplicabile: la norma sugli affitti ignora il mercato
SANDRA RICCIO
E' l'unica tassa che scende invece di salire ma per molti non ci saranno sconti. La cedolare secca, l'imposta
una tantum sui redditi da immobili, è appena stata ridotta, nella sua versione light, al 10% dal 15%. Non è la
prima rimodulazione verso il basso: già l'anno scorso era stata rivista dal 19%. Un bel taglio soprattutto di
questi tempi di tasse sulla casa alle stelle. Eppure l'alleggerimento resta out in grandi città come Milano,
Roma e Napoli. Per poter beneficiare della cedolare light al 10% il proprietario deve infatti applicare il
contratto concordato ossia un affitto "calmierato" rispetto ai prezzi di mercato. Se non viene deciso il
concordato, l'imposta una tantum sarà del 21%, invece del 10 % . In a l c u n e grandi città l'affitto calmierato
è però completamente fuori dalla realtà. Quindi lo sconto del 10% è inattuabile perché nessun proprietario
andrà a decidere un canone lontanissimo dai prezzi di mercato. Per dirla in numeri, a Milano l'affitto libero
medio per un bilocale si aggira intorno ai 1.025 euro mentre quello concordato si ferma a una cifra
impensabile di 386 euro (dati SoloAffitti). Con la locazione "libera" si arriverà a un reddito annuo di circa 9mila
euro (a cedolare del 21%) contro i 4mila euro della cedolare al 10% con affitto convenzionato. In pratica
meno della metà. Il motivo di questa distanza? E' dovuto al fatto che negli anni a Milano non c'è stato un
aggiornamento dei valori concordati: l'ultimo adeguamento risale al 1999. Così anche in altri grandi centri
urbani come Napoli (2003) e Roma (2004). A Napoli il canone concordato, sempre per lo stesso bilocale, è di
416 euro contro i 550 in media del mercato. Più o meno la stessa differenza registrata a Roma (804 contro
986 euro). Eppure proprio nelle grandi città, questo passaggio di aggiornamento potrebbe smuovere il
mercato abitativo oltre che dare un sollievo a molte famiglie che faticano ad arrivare a fine mese e far
emergere il nero nelle locazioni. Ci guadagnerebbero anche i proprietari: con l'aliquota al 10% l'affitto è
diventato l'investimento fiscalmente più conveniente, anche più dei Btp (12,5%). Il mattone ha quindi
sorpassato i titoli di Stato grazie alla cedolare al 10%. Peccato che questa rimane inapplicata in molti casi.
«L'ulteriore riduzione dell'aliquota agevolata dal 15% al 10% per la cedolare secca sui contratti a canone
concordato - dice Silvia Spronelli, presidente di Solo Affitti - può dare un impulso al mercato dell'affitto solo se
si aggiornano contemporaneamente gli accordi territoriali sui canoni, specie nelle grandi città come Milano,
Roma e Napoli, dove i prezzi concordati sono fermi da anni perché gli attori coinvolti non si riuniscono». «Ci
aspettiamo che la rimodulazione della cedolare faccia ripartire il mercato delle locazioni - dice Angelo De
Nicola, vice presidente nazionale Uppi -. E' necessario però che i Comuni facciano la loro parte e che il
concordato venga esteso rapidamente anche ad altre aree».
Foto: Fuori dalla realtà
Foto: La condizione per lo sconto fiscale è che il contratto sia calmierato Ma nelle grandi città nessun
proprietario accetta questa clausola
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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tutto soldi/
12/05/2014
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«Occhi su banche, energia e Cina»
Massimiliano Cagliero, amministratore delegato di Banor Sim (ex Banknord), la vostra società ha una finestra
privilegiata sull'America. I listini americani sono ancora da comprare? «Senza dubbio. Con un orizzonte
temporale di un paio di anni però. L'America sta tornando a essere la potenza mondiale che è stata fino a
qualche tempo fa. E' di nuovo un gigante manifatturiero come non era più da una quindicina d'anni e presto
raggiungerà anche l'autosufficienza energetica. Ha a disposizione un mercato interno enorme che sarà la
base della sua forza futura. Sul listino vanno selezionate le storie migliori che in questo momento noi vediamo
nelle ristrutturazioni di successo come quella di General Motors o nel settore bancario. Non compriamo
invece le medium cap che sono estremamente care in questo momento. Preferiamo i grandi big Usa che
sono stati ristrutturati da poco e che producono di nuovo cassa». Per gli americani l'Italia rimane
un'opportunità da mettere in portafoglio? «Certamente. Piace molto la storia di Renzi, un giovane che si è
posto delle sfide ambiziose. Gli americani hanno riscoperto la periferia dell'Europa, da più o meno un anno. E
guardano con interesse soprattutto all'Italia. Noi dialoghiamo spesso con i fondi americani e vediamo che
vogliono conoscere meglio le storie aziendali che ci sono da noi». A quali settori e a quali aziende guardano?
«Il primo comparto che hanno di nuovo messo nel mirino, dopo una lunga lontananza, è quello delle banche
e della finanza. Li vediamo interessati agli aumenti di capitale. Ma c'è anche molto apprezzamento per le blue
chip di Piazza Affari, in particolare per quelle partecipate dallo Stato come Terna, Snam, Eni e Atlantia. Son
quelle in cui vedono minor rischio. Poi ci sono i grandi investitori Usa un po' più sofisticati che invece si
innamorano delle belle storie italiane come Luxottica e Brembo». Cosa comprate voi in questo momento?
«Noi siamo investiti sull'Italia con i campioni dell'eccellenza ad alto dividendo come, appunto, Snam, Eni e
Terna. E stiamo guardando con interesse agli aumenti di capitale delle banche che pensiamo andranno tutti
bene. Siamo investiti sulle due grosse banche nazionali. Crediamo che sul reddito fisso sia diventato più
difficile estrarre valore». E all'estero dove puntate? «Stiamo guardando con attenzione la Cina, da cui tutti
stanno scappando. Non è mai stata così a buon mercato, e con le potenzialità che ha, nel medio termine
potrebbe raddoppiare».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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INTERVISTA tutto soldi/ mercati e gestori/ 5domande a Massimiliano Cagliero ad di Banor Sim
12/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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Effetto Draghi, il super•euro si indebolisce
La ripresa del dollaro spinge al ribasso il prezzo dell'oro
CARLO ALBERTO DE CASA*
E'ancora Mario Draghi il protagonista assoluto sui mercati valutari. La conferenza del numero uno della Bce,
tenutasi giovedì scorso al termine del consueto meeting mensile della Banca Centrale, si è sostanzialmente
conclusa con un nulla di fatto. Draghi ha infatti mantenuto invariati i tassi di interesse, annunciando però
come l'Eurotower sia pronta ad intervenire, se necessario, nel meeting di giugno. A incidere sulle scelte della
Bce saranno i prossimi dati macroeconomici europei, fra cui quelli relativi all'inflazione, che verranno rilasciati
il 3 giugno, ma anche l'esito delle elezioni europee del 25 maggio, viste da molti come un vero e proprio
sondaggio sull'euro. Dal punto di vista tecnico il cambio euro/dollaro, dopo essere arrivato a sfiorare quota
1,40, aggiornando i massimi da oltre due anni e mezzo a 1,3994, ha bruscamente invertito la rotta. Le
quotazioni sono scese sotto 1,39, per poi perdere anche quota 1,38 nella giornata di venerdì. Le prossime
sedute saranno quindi decisive per comprendere se la correzione sul cambio euro/dollaro sia destinata ad
esaurirsi in area 1,3750, sui valori raggiunti venerdì sera alla chiusura settimanale, oppure se la corsa
dell'euro di questi ultimi mesi sia arrivata al capolinea. La rottura ribassista dell'area 1,375 aprirebbe spazio
per una discesa dei prezzi verso 1,37, con spazio per ulteriori correzioni verso quota 1,35. L'euro ha perso
terreno anche nei confronti della sterlina, avvicinando i minimi degli ultimi tre mesi a 0,8150. Il recupero del
dollaro ha poi indebolito l'oro, di norma inversamente correlato alla banconota verde, con le quotazioni del
metallo giallo tornate ancora una volta sotto i 1.290 dollari l'oncia. *Analista dei mercati valutari presso
ActivTrades Londra
L'andamento euro/dollaro 1.39649 - LA STAMPA Dati in dollari/oncia Le candele giapponesi sono il metodo
più usato in borsa per analizzare le quotazioni in quanto includono 4 valori per ogni seduta: apertura,
chiusura, massimo e minimo. Il corpo della candela è dato dai valori dell'apertura e della chiusura della
seduta. Candela verde : quando la chiusura di seduta è ad un valore superiore rispetto a quello dell'apertura.
Candela rossa : se la chiusura è ad un valore inferiore rispetto a quello dell'apertura. I due estremi, definiti
tecnicamente "shadow" rappresentano il massimo di giornata (la linea sul lato superiore della candela) e il
minimo di giornata (al di sotto di ciascuna candela). In caso di chiusura sui minimi o sui massimi la candela
sarà priva di una (o entrambe) le shadow. GRAFICO GIORNALIERO A CANDELE GIAPPONESI
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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tutto soldi/ LA PROMESSA DI INTERVENTI DELLA BCE la settimana dei cambi
12/05/2014
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"Le imprese cresceranno se si lotta contro i dazi"
La presidente Mattioli, ad del gruppo orafo di famiglia: servono alleanze e un'innovazione continua per avere
successo «Il made in Italy? Ha ancora fascino Ma bisogna offrire servizi completi»
MARINA CASSI
Mai delega alla internazionalizzazione - appena assegnatale dal presidente della Confindustria Squinzi - è
finita in mani migliori. Licia Mattioli - presidente dell'Unione industriale di Torino e orafa di fama mondiale ha
ben chiaro in testa che la sfida si vince sui mercati del mondo. E già a fine 2011 aveva creato a Torino la rete
Exclusive brands per portare i prodotti non da soli, ma con una presenza riconoscibile. La rete di quattordici
aziende di eccellenza dai gioielli ai profumi, dal cioccolato ai vini, dalle penne ai gelati, dalle caramelle alle
telerie, dagli yacht al design all'editoria. Che cosa farà per migliorare l'internazionalizzazione dei prodotti
italiani? «Dico sempre che si possono fare delle missioni bellissime, ma se in un Paese ci sono dazi altissimi
sarà difficile vendere. Internazionalizzare significa conoscere i Paesi e cercare con l'aiuto del governo di
combattere le barriere». Ma il made in Italy ha ancora un appeal ? «Assolutamente sì. Dire nel mondo che si
è italiani apre delle porte. Però bisogna portare dei pacchetti completi; viaggiare da soli non serve». Lo
pensava tre anni fa quando ha creato la rete del lusso, vale anche per altri prodotti? «Certo. Noi lo abbiamo
fatto per prodotti di alta gamma particolari, ma deve funzionare anche altri settori. Faccio un esempio: in
Indonesia, in un Paese in piena espansione, la componentistica italiana pesa per poco più del 2 per cento.
Ma è possibile?». Le sue considerazioni sulla componentistica ci portano dritto alla situazione della Fiat dopo
la presentazione del piano industriale. Lei è sempre stata ottimista sulla presenza Fiat in Italia anche nei
momenti più difficili. Che cosa ne pensa? «Le notizie che arrivano da Detroit mi rendono felice in quanto
delineano un piano di rilancio, a livello mondiale, di Fiat-Chrysler, nel quale gli impianti produttivi in Italia e a
Torino hanno un ruolo di grande importanza. È vero: non ho mai dubitato che da parte di Fiat-Chrysler vi
fosse un'attenzione particolare per il nostro territorio ma, oggi, questa conferma ha maggior peso perché si
iscrive in una precisa strategia produttiva, di mercato e di valorizzazione dei marchi, primo fra tutti l'Alfa
Romeo». La scelta del gruppo è l'alto di gamma, i modelli Premium. La condivide? «Sì perché la decisione di
puntare sulle auto di lusso e sul segmento Premium è l'unica in grado di dare una prospettiva reale
all'automotive in un Paese come il nostro, con alti costi di produzione, ma anche con un sistema di fornitori
altamente qualificato, come peraltro dimostrano gli straordinari risultati conseguiti dalla Maserati». Ci saranno
effetti positivi anche per il sistema automotive? «Penso assolutamente di sì. Le ricadute ci saranno e molte.
Però adesso anche le aziende devono buttarsi per cavalcare l'onda. Tutta l'offerta deve salire in attesa dei
nuovi modelli perchè bisogna essere pronti. E i risultati si ottengono solo innovando, innovando, innovando».
Lei ha sempre vantato di essere una metalmeccanica, però produce gioielli il cui vanto è di essere artigianali,
realizzati a mano pezzo per pezzo. Dove sta l'innovazione»? «Vale moltissimo anche per noi. Anzi: io posso
dire che se non avessimo fatto una continua innovazione non saremmo dove siamo adesso. Penso alla
rivoluzione delle stampanti in 3D che realizzano, dopo mesi di studi, prototipi in una notte su cui poi lavoriamo
artigianalmente». La sua innovazione più preziosa nasce però dalle sue idee; anche oggi i gioielli nascono da
cose che vede, da esperienze, viaggi? «Sì, è ancora così. Le ultime collezioni sono proprio venute fuori con
questo meccanismo. Eclissi, molto versatile un po' sul modello della iconica Puzzle, con due dischi
intercambiabili, mi è venuta in mente proprio guardando una eclissi. E anche Arcimboldo è nata così». Che
cos'è Arcimboldo? «Un anello nuovo che ho immaginato di notte in aereo dopo aver guardato i quadri. C'è
tanta verdura e cioè pietre, oro, smalti». Va sempre bene la sua avventura da metalmeccanica orafa anche
dopo la cessione di ramo d'azienda? «Dopo aver ceduto una parte a un grande gruppo internazionale del
lusso stiamo andando avanti molto bene. In un anno abbiamo quintuplicato gli addetti, esportiamo il 90 per
cento del fatturato». «Molto in Svizzera e Emirati che sono hub per altri Paesi. Perché è vero anche per noi
che sfondare nei Bric con i dazi impensabili che hanno è difficilissimo. Ero a Washington la scorsa settimana
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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L'intervista Licia Mattioli L'UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO
12/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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proprio per parlare di accordi di libero scambio. Per noi gli Usa sono il terzo Paese dopo Emirati e Svizzera
ma con il 9% mentre gli altri hanno il 20 ciascuno. È necessario accordo un accordo Usa-Europa». Ma quali
sono le caratteristiche dei suoi gioielli? «Noi abbiamo inventato il pret a porter di alta gamma. Facciamo
gioielli versatili con cui le donne possono giocare. Ho una cliente in Giappone di settant'anni che la mia
famosa collana Puzzle la mette come cintura. E adesso abbiamo realizzato una fedina in diamanti; sembra
un classico invece è elastica, ma non si vede». La sua azienda, nata nel 1995 con l'acquisto della Marchisio
con il punzone 1TO, tira. E il resto del settore? «Anche. Nel 2013 il fatturato è cresciuto del 7,4% e l'export
del 7,8. Nel mondo i gioielli italiani sono ricercati. È il mercato interno che stenta». Lei a febbraio ha lanciato
da Torino la marcia virtuale dei 40 mila, il sito dell'orgoglio industriale e la manifestazione a Roma con 5914
rose tante quante sono e imprese piemontesi. Sono passati tre mesi, la situazione è migliorata? «Non sono
più ottimista di allora. Vanno bene solo le imprese che esportano. Però è cambiato il clima, c'è fiducia nel
governo Renzi: questo potrebbe far ripartire le cose anche nel mercato interno». Crede che Renzi ce la farà?
«Lo spero tanto perchè se c'è uno che può farcela è lui. E il Paese non può tollerare un altro fallimento».
Gioielli Sopra la collezione Tiger realizzata dal gruppo Mattioli, che ha il suo quartier generale a Torino e che
ha rilevato nel 1995 la storica azienda Marchisio e il punzone 1To per la lavorazione dell'oro. A destra la
prima "invenzione" di orecchini con le madreperle colorate intercambiabili delle serie «Puzzle»
90%
export È la percentuale di vendite all'estero del gruppo Mattioli che esporta soprattutto in Svizzera e negli
Emirati arabi
+7,4%
il settore È la crescita percentuale del fatturato totalizzato dal comparto gioielli lo scorso anno
MISSIONE EXPORT
«Internazionalizzare significa conoscere i Paesi e cercare con l'aiuto del governo di combattere le
barriere, spesso ci sono dazi troppo alti»
L'ULTIMA CREAZIONE
«Arcimboldo è un anello nuovo che ho immaginato di notte in aereo dopo aver guardato i quadri: c'è
tanta verdura e cioè pietre, oro e smalti» L'anello Arcimboldo
Foto: Al lavoro
Foto: In alto la lavorazione dell'oro A sinistra la produzione di anelli
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 1
(diffusione:581000)
Massimo Giannini
Era il 12 marzo, data storica per la nuova Italia che cambia verso. Al termine del primo consiglio dei ministri
del nuovo governo, Matteo Renzi alluvionava i giornalisti convenuti con la famosa pioggia di slides. "Shock
and Awe": colpisci e stupisci, secondo la "Dottrina del Dominio Rapido" elaborata dagli strateghi militari della
Difesa americana. Tra i tanti target fissati in quell'occasione dal Mandrake di Palazzo Chigi, insieme al
sacrosanto taglio del cuneo fiscale per 10 milioni di italiani, ne spiccavano molti altri dei quali sfortunatamente
si è perduta ogni traccia. L'ultimo che viene in mente riguarda le aziende minori, che ci avevano creduto
davvero. "Energia nuova per le Pmi: -10 per cento costo dell'energia per le imprese dal 1° maggio": il titolo
della slide renziana recitava così, e preannunciava un abbattimento della bolletta energetica per le piccole
imprese da circa 1,5 miliardi di euro. Il primo maggio è passato. E insieme ad altre promesse che ormai
fluttuano nel vento, anche questa è miseramente svanita. Pare che l'intervento sia stato rimandato all'inizio di
giugno, anche se il rinvio non è stato sancito da alcun aggiornamento ufficiale del mitico crono-programma. A
suggerire lo stop - che ormai caratterizza l'insieme delle grandi riforme annunciate due mesi e mezzo fa dal
presidente del Consiglio, comprese quelle elettorali e istituzionali sarebbero stati almeno un paio di motivi.
Primo: il rischio di veder trasformata anche questa misura in una ennesima "mancia elettorale". Secondo: il
rischio di sovrapporre lo sgravio alla rimodulazione degli incentivi per le fonti rinnovabili, creando una
situazione di caos che allarma gli operatori del settore e preoccupa gli ambientalisti del Pd. Quali che siano le
cause, l'effetto dello slittamento del decreto è l'ennesimo mismatch tra obiettivi e risultati. Per il sistema
produttivo è un brutto colpo. La bolletta energetica sulle piccole e medie imprese sotto i 50 dipendenti costa
ogni anno più di 15 miliardi. Un onere folle, il 68,2% in più rispetto alla media europea. Tra i 27 Paesi
dell'Unione, solo a Cipro le utenze elettriche aziendali sono più salate. Renzi ha quindi visto giusto a indicare
questa come una delle priorità del suo "governo del fare". Ma una slide non ti salva la vita. Che fine ha fatto,
allora, quella promessa? L'ultimo indizio seminato dal premier risale al 30 aprile scorso, in un'intervista a
Radiomontecarlo: "Stamattina alle 7 ho visto il ministro Guidi e abbiamo discusso di come riuscire a ridurre
del 10% anche la bolletta energetica alle Pmi". Evidentemente era troppo presto, e devono essersi
riaddormentati. [email protected]
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
127
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MANDRAKE E L'ENERGIA IL RISPARMIO IN UNA SLIDE
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 1
(diffusione:581000)
Euro forte politica valutaria cercasi
Rainer Masera
Negli ultimi due anni l'euro si è significativamente apprezzato rispetto alle principali monete internazionali. La
forte salita rispetto allo yen è la controparte della politica economica di grande stimolo adottata in Giappone
dal primo ministro Shinzo Abe, che ha chiesto alla Banca Centrale di perseguire una politica monetaria
fortemente espansiva e di favorire il deprezzamento dello yen per invertire la deflazione e sollecitare le
esportazioni. Ma l'euro è salito anche rispetto al dollaro e al renminbi cinese. L'orientamento della presidente
della Fed Janet Yellen resta molto accomodante, anche con riferimento al valore esterno del dollaro, come
mostrato dalla forte espansione degli aggregati monetari negli Stati Uniti negli ultimi due anni. La Cina, di
fronte alle difficoltà interne, ha di fatto modificato la politica di cauta rivalutazione rispetto al dollaro e alle altre
principali monete, intrapresa a partire dal 2005. Accanto ad altri fattori, continua a operare quello che ho
definito il paradosso dell'euro. Se le prospettive di tenuta e di coesione dell'Euroarea migliorano, il valore
esterno della moneta europea tende a salire, sospinto dalla domanda di attività in euro dal resto del mondo.
segue a pagina 10 segue dalla prima L'apprezzamento dell'euro si avvia proprio con il famoso discorso a
Londra di Draghi (luglio 2012) "Whatever it takes...", che ha salvato l'Eurozona dalla dissoluzione. L'opposto
avviene quando shock interni o esterni minano la stabilità dell'Eurozona. Succede quindi che i mutamenti
asimmetrici nelle posizioni competitive dei singoli Paesi contribuiscono endogenamente a ricreare tensioni
per l'area. Nelle attuali circostanze ciò si riverbera con effetti negativi sulla crescita dei Paesi periferici, e
segnatamente dell'Italia, che continua a essere - dopo la Germania - il principale Paese manifatturiero in
Europa. A ben vedere, un euro troppo forte finirebbe col nuocere anche alla Germania, che peraltro risente
molto meno, in termini di occupazione e di crescita, dell'attuale fase di apprezzamento ed è restia ad
affrontare esplicitamente la tematica del cambio dell'euro. La Germania è caratterizzata da un surplus record
delle partite correnti, che si avvia quest'anno a raggiungere il 7,9% del Pil. Come il Ministro del Tesoro
americano, anche la Commissione Europea ha indicato che un surplus di queste dimensioni genera impulsi
recessivi in Europa e nel mondo: deve essere ridotto non con l'apprezzamento dell'euro, ma con politiche di
sostegno della domanda interna. Ma è proprio il Fiscal Compact che spinge la Germania verso l'obiettivo di
un surplus dei conti pubblici, che contribuisce a quello dei conti con l'estero. La Presidenza italiana del
Semestre europeo potrebbe sollecitare una riflessione operativa sull'argomento per indurre il Paese leader a
valutare l'esigenza di maggior simmetria. Non appare al riguardo casuale che, in vista delle attuali elezioni
europee, il solo Paese che risulta immune da significative presenze di movimenti anti-Europa sia proprio la
Germania: i cittadini tedeschi hanno ben compreso la falsità delle tesi per cui sono essi a sopportare i costi
della crisi dei Paesi periferici. Accanto al patto fiscale, alle politiche strutturali e all'Unione bancaria, si pone
l'esigenza di un "Growth Compact", coerente con il primo. Contemporaneamente, occorre che l'Europa si doti
di una politica esterna dell'Euro, nell'ambito delle scelte complessive di politica economica e della politica
esterna. Non valga la risposta tradizionale per cui il cambio dell'Euro deve essere definito dai mercati. La
politica dei cambi, al di là del ricorso a espliciti interventi delle banche centrali sui mercati valutari, è una
fondamentale estrinsecazione della politica monetaria e finanziaria. Si è già fatto riferimento alle recenti
esperienze in Giappone e in Cina. Negli Stati Uniti spetta al Tesoro, in consultazione con la Fed, definire la
politica del dollaro: in questo alveo si è svolta la serrata trattativa con le autorità monetarie cinesi in una
complessa partita che comprendeva il cambio e gli acquisti di titoli di stato americani. Il valore esterno di
qualsiasi moneta influenza il valore dei prodotti interni, di esportazioni e importazioni, e degli strumenti
finanziari; incide su crescita, occupazione e inflazione. L'interconnessione delle economie nel contesto
globale richiede coerenza e sorveglianza delle politiche di cambio nella loro definizione e implementazione.
Occorre che si crei nell'Eurozona una responsabilità unitaria e ben definita in questo settore di vitale
importanza. La Bce non ha il compito e il potere di definire tale politica, che richiede un concerto con
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[ I COMMENTI ]
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l'Euroconsiglio e un indirizzo politico. Si ripropone, anche sotto questo versante, la difficoltà connessa alla
molteplicità di voci, spesso non concordanti, che un'Europa veramente integrata non può non superare. Una
soluzione istituzionale del problema non è oggi praticabile. Ma è urgente evitare che l'Euro continui ad
apprezzarsi, pervenendo a valori non coerenti con le variabili fondamentali per la gran parte dei Paesi
dell'Eurozona e creando distorsioni all'interno dell'area. Nelle attuali circostanze, si può e si dovrebbe
convenire sul fatto che l'obiettivo di evitare tendenze deflazioniste e di favorire la stabilità finanziaria consente
comunque alla Bce di modulare i propri interventi anche per favorire andamenti coerenti dei cambi, in
collaborazione con le altre principali autorità monetarie, nel contesto della sorveglianza del Fondo Monetario
Internazionale.
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
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Luca Pagni
APalazzo Chigi raccontano che Matteo Renzi abbia dato una raccomandazione ai nuovi vertici di Enel e delle
altre società controllate dal Tesoro: tornare a fare industria. Preoccuparsi meno di finanza, ma investire in
tecnologia, ricerca e posti di lavoro. Pazienza, se questo vorrà dire, nel breve periodo, portare qualche
milione di dividendi in meno alle casse dello Stato. segue a pagina 4 con un articolo di Luca Iezzi segue dalla
prima Il compito che ricadrà sulle spalle del nuovo amministratore delegato di Enel, Francesco Starace - che
prende il posto di Fulvio Conti giunto al limite dei tre mandati appena introdotto dal Governo - sarà quello di
invertire il ciclo economico; l'aumento degli utili arriverà, di conseguenza, grazie ai nuovi business. Una
missione che si ritaglia alla perfezione per Enel, perché tutto ciò che ruota attorno all'energia è per definizione
"industria pesante". Lo è per la mole di investimenti necessari, per i tempi lunghi del ritorno dell'investimento
e per lo stretto rapporto con l'economia reale, come dimostra il calo di risultati delle utility in tutta Europa a
partire dal 2008, con l'inizio della recessione. Il calo della domanda di energia elettrica da parte dell'industria
si è - ovviamente - ribaltato sui conti della società. Basta guardare il grafico dei fondamentali di Enel degli
ultimi anni. Se il fatturato, a partire dal 2008, è cresciuto circa del 35 per cento, la redditività è rimasta
pressoché stabile, mentre gli utili sono in calo costante a partire dal 2009, fino a scendere sotto il miliardo di
euro del 2013. Una situazione in cui ha inciso - almeno per l'Italia anche l'introduzione della Robin Hood Tax,
voluta dall'ex ministro dell'economia Giulio Tremonti sulle società che hanno a che fare con l'energia e
confermata anche dagli esecutivi successivi. La prima sfida cui si troverà di fronte Starace, che si insedierà
dopo l'assemblea del 22 maggio prendendo il posto di Fulvio Conti, sarà di ribaltare la tendenza. E non potrà
che farlo certificando il calo strutturale della produzione di energia elettrica basata su fonti "tradizionali". In
Italia, in particolare, ma anche in Europa c'è un surplus di energia in offerta che sta costringendo le grandi
utility a chiudere impianti non più redditizi. Tutto ciò a causa della crisi ma anche dello sviluppo delle
rinnovabili: in Italia e Spagna - tra il 2012 e il 2013 c'è stata una riduzione di produzione di energia da fonti
termoelettrica rispettivamente di 22 e 27 terawattora, mentre nello stesso tempo la produzione di rinnovabili è
salita di 15 e 25 terawattora. Il fatto che Starace abbia guidato Enel Green Power, lo spin off in cui Enel ha
concentrato cinque anni fa tutte le sue attività nelle rinnovabili per poi quotarne in Borsa il 30 per cento dalla
fine del 2010, ha sicuramente pesato sulla scelta compiuta da Palazzo Chigi. Così come lo ha aiutato l'avere
nel curriculum un passato in multinazionali "industriali" come General Electric e Abb, poi diventata Alstom. Lo
sviluppo delle energie verdi - il cui peso all'interno del fatturato complessivo del gruppo Enel è salito dal 10 al
20 per cento nelle ultime quattro stagioni sarà sicuramente uno dei punti forti dello sviluppo aziendale.
Starace non potrà che confermare la politica che ha visto Egp concentrarsi soprattutto nei paesi in via di
sviluppo (Europa dell'est e Sud America) o nazioni in cui il livello degli incentivi è stato molto basso (Stati
Uniti) per evitare contraccolpi con la fine dei sussidi (come accaduto in Germania prima, Spagna e Italia
dopo). Il perimetro degli investimenti di Enel Green Power non potrà che allargarsi a mano a mano che lo
sviluppo della tecnologia dell'eolico e del fotovoltaico renderà i progetti sempre più economici. E, in ogni
caso, Egp ha già iniziato la fase di sviluppo in Africa, il continente che trainerà il business energetico "verde"
del prossimo decennio, partecipando e vincendo una delle gare indette dal governo del Sud-Africa. Sempre
legato alle rinnovabili, nei prossimi anni è destinato a crescere in modo rilevante il business dell'efficienza
energetica, delle città intelligenti (smart grid), nonché dei sistemi di accumulo. Con questi ultimi che dovranno
crescere di pari passo con l'affermarsi delle rinnovabili, per evitare di sprecare l'energia che si produce
quando non viene utilizzata, immagazzinandole in batterie, esattamente come avviene per le automobili.
Giusto per fare qualche esempio, Enel possiede il primo (e attualmente unico) sistema di accumulo in
esercizio in Italia, in provincia di Isernia. Altri tre sistemi sono in fase di installazione all'interno di un piano
finanziato al 50% dal ministero dello Sviluppo Economico e per il restante 50 da fondi comunitari per
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L'Enel di Starace più estera e più verde
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complessivi 8 milioni. Senza contare che Enel, disponendo di una rete di distribuzione capillare dell'elettricità
sul territorio (con l'esclusione delle grandi città controllate dalle utility locali) guarda con interesse anche allo
sviluppo delle auto elettriche, perché per la ricarica avranno bisogno di "colonnine" che prenderanno il posto
dei distributori e di batterie che sostituiranno i serbatoi. Secondo gli esperti di Anie, la federazione legata a
Confindustria che raccoglie le imprese elettrotecniche ed elettroniche, il business a livello mondiale delle
batterie, al momento, vale tra i 6 e i 7 miliardi. Ma è destinato a salire in modo esponenziale. Non per nulla, i
nuovi business dell'efficienza energetica di Enel sono destinati a crescere molto più all'estero che in Italia. È
più che probabile che nei prossimi anni il gruppo proceda ad acquisizioni di società di distribuzione locale in
Europa (dove per motivi di Antitrust non può rilevare le linee ad alta tensione), mentre nei mercati emergenti
americani e asiatici verranno prese in considerazione possibili acquisizioni di società per la trasmissione su
lunga distanza. L'Asia, oltre all'Africa, sarà il mercato da cui potranno arrivare sorprese in positivo. L'ad
uscente Fulvio Conti, il mese scorso, ha firmato un memorandum con una delle principali utility cinesi, la
State Grid Corporation, la più grande azienda al mondo - guarda caso - di distribuzione e trasmissione
elettrica, nonché principale operatore cinese del settore con oltre 2,2 milioni di dipendenti. L'accordo segue di
poche settimane il rafforzamento di Bank of China al 2 per cento di Enel. Come ha spiegato Conti a
Repubblica, l'accordo prevede «una cooperazione nel settore delle smart grid, lo sviluppo intelligente delle
città e di tutti quei sistemi che fanno risparmiare energia e diminuire il livello di emissioni di Co2. Dall'altra, ci
sarà lo scambio di esperienze nella generazione di energia rinnovabile» Tornando ai suoi primi passi da ad,
Francesco Starace non potrà comunque esimersi dal tenere sotto controllo la voce finanziaria che più
preoccupa il mercato e gli analisti. Entro la fine del 2015, il gruppo Enel ha promesso di abbassare il debito
complessivo dagli attuali 41,5 a 36 miliardi. E non potendo più tagliare gli investimenti in nome
dell'accelerazione del piano industriale, sarà inevitabile procedere a ulteriori dismissioni si asset non più
strategici o per i quali ci si troverà di fronte a una buona offerta. Durante la presentazione della prima
trimestrale dell'anno, il direttore finanziario Maurizio Ferraris ha cercato di rassicurare gli investitori. In merito
all'aumento del debito da 39,7 a 41,5 miliardi nei primi tre mesi del 2014, il cfo ha sottolineato che «è dovuto
principalmente all'usuale effetto negativo stagionale del capitale circolante». Anzi, l'incremento, ripulito da
partite straordinarie, «è inferiore di circa 300 milioni» a quello registrato nello stesso periodo del 2013.
Quanto al costo del debito «la media si aggira attorno al 5% anche dopo l'emissione del bond ibrido». Per
quanto riguarda il programma di cessioni - in vendita ci sono asset per circa 4 miliardi un'operazione
importante potrebbe essere annunciata per la fine dell'anno. La novità consiste nel fatto che non ci sono
asset che non saranno presi in considerazione. Questo significa che anche il 66% dell'ex monopolista
slovacco, Slovenské Elektrárne acquistata nel 2004 torna sul mercato.
Foto: Una centrale elettrica dell'Enel Dal 2008 il fatturato è cresciuto del 35% ma la redditività è rimasta
stabile 1 2 3 Qui sopra, il nuovo amministratore delegato di Enel, Francesco Starace (1); l'ex amministratore
delegato, Fulvio Conti (2) e l'ex ministro Giulio Tremonti (3), che introdusse la Robin Tax. Il calo della
domanda di energia elettrica da parte dell'industria si è ribaltato sui conti della società. Basta guardare il
grafico di Enel degli ultimi anni
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Wester all'Alfa "Così batteremo Bmw e Mercedes"
Paolo Griseri
Wester all'Alfa "Così batteremo Bmw e Mercedes" a pagina 6 Detroit Dicono che il suo motto sia "meno è
meglio". Perché è uno di quegli ingegneri fanatici della semplificazione, uno di quelli che pensano che
riducendo la complessità dei sistemi che governano l'automobile si guadagni in affidabilità e si possano
concentrare gli sforzi sul miglioramento della qualità. Harald Wester, 56 anni da Linz, Germania, è il tedesco
che combatte i tedeschi. È l'uomo al quale Sergio Marchionne ha affidato il compito più delicato nel piano
quinquennale della nuova Fiat Chrysler. E, se riuscirà nella mission, sarà certamente nella rosa di coloro che
potranno aspirare, non prima del 2018, a succedere al manager con il maglioncino. Chi lo conosce bene
rivela che "il successo nel rilancio della Maserati lo ha reso anche più sciolto nella comunicazione". Tedesco
preciso e schivo non era certo, ai suoi inizi nel gruppo Fiat, uno di quei manager che compaiono spesso sui
giornali. Eppure il suo curriculum è di tutto rispetto. Inizia (ovviamente) in Volkswagen e a 33 anni diventa
responsabile della divisione ricerche e prototipi. A 37 anni trasloca in Audi. Ma tre anni dopo, nel gennaio del
1999 arriva a Maranello, a dirigere la divisione sviluppo prodotto della Ferrari. Sono i mesi che precedono
l'era Schumacher. Quell'anno il Cavallino vince il titolo costruttori che mancava dal 1983. Wester non si
occupa di corse ma di auto stradali, di gran turismo, che sono poi uno dei tanti modi con cui a Maranello
trasformano il mito della Formula 1 in denaro contante. Progetta supercar per un pubblico molto esigente,
lontano anni luce dal popolo che affolla i concessionari delle utilitarie. Wester sviluppa gran turismo per tre
anni. Poi, con una scelta a sorpresa, nel 2002 migra alla Magna di Herbert Demel, a preparare la nuova Saab
turbo. Gli analisti della stampa specializzata insorgono: "Che qualcuno decida di abbandonare la Ferrari in un
periodo di successi come questo pare impossibile. Eppure accade", scrive Quattroruote. Con Demel, Wester
ha in comune gli inizi della carriera in Vw e Audi e la passione per l'ingegneria dei motori. Pochi mesi dopo
l'ingresso di Wester in Magna è Demel a fare il percorso inverso, chiamato dall'amministratore delegato di
Fiat dell'epoca, Giuseppe Morchio, a guidare l'auto del Lingotto. Ma la permanenza in sella di Demel dura
poco, in un periodo in cui, come è stato detto, "gli amministratori delegati in Fiat entrano ed escono come i
clienti degli alberghi nella porta girevole". Effettivamente è un periodo piuttosto turbolento ai vertici della casa
di Torino. Le banche stanno a guardare un'azienda sull'orlo del fallimento in attesa di spartirsene le spoglie
con una specie di spezzatino che avrebbe disgregato la più grande azienda privata italiana. Morchio non
sfugge al destino dei suoi predecessori e lascia a giugno del 2004. Una delle prime mosse del nuovo
amministratore delegato, Sergio Marchionne, è quella di richiamare in Fiat auto Harald Wester e nominarlo
responsabile dell'area tecnica. Pochi mesi dopo, a febbraio del 2005, Marchionne prende in mano anche la
guida di Fiat auto sostituendo Demel. Così, in pochi mesi, l'ingegnere di Linz diventa uno dei principali
collaboratori del manager italo-canadese. La collaborazione tra due manager con le idee molto precise sul da
farsi è fatta di confronti e scontri. Wester viene dalla scuola Ferrari e in Fiat è sempre stato abituato a
lavorare con una certa autonomia rispetto alla casa madre. Un tratto che è emerso anche martedì scorso, in
occasione della presentazione del piano Alfa Romeo: "Abbiamo pensato che per ritrovare il dna del marchio
del Biscione fosse necessario affidare il compito a un gruppo di duecento ingegneri che andassero oltre le
scelte compiute da Fiat su Alfa Romeo negli anni precedenti". Perché uno dei tratti dell'ingegnere tedesco è
la franchezza. Nella presentazione di Detroit dice con chiarezza quel che molti alfisti sostengono da anni:
"Dopo l'acquisizione da parte di Fiat nel 1987, su Alfa sono stati commessi diversi errori". Non è difficile veder
scorrere nella mente i modelli incriminati: su tutti l'Arna, un'auto brutta e squadrata nata dalla collaborazione
con i giapponesi della Nissan, eredità della gestione Iri. Ma non è molto migliore il giudizio di Wester
sull'ammiraglia 166, "un tentativo di alfizzare la Fiat Croma". La critica arriva, sia pur meno dura, a
coinvolgere anche i modelli più recenti, come la Brera, in ogni caso giudicati distanti dal dna Alfa. Quel dna
che da anni Wester va cercando negli esperimenti e nelle prove preparati nei capannoni segreti dove si
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[ IL PERSONAGGIO ]
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costruisce l'identità futura del marchio del Biscione. Come se la rinascita del brand milanese dovesse
avvenire al termine di un processo separato, a lungo tenuto nascosto, alla conclusione di una sorta di rito
celtico fatto di alambicchi, distillati e metalli incandescenti lavorati nell'oscurità. Gelosia del proprio lavoro,
timore dello spionaggio industriale? Forse c'è anche tutto questo a spiegare il modo di procedere
dell'ingegnere si Linz. Ma c'è soprattutto la voglia di vincere una sfida complicata per diverse ragioni. Una
sera del 2010, in una cena a Pebble Beach, vicino a Monterrey, lo aveva confessato al suo commensale: "Il
fatto di dover contrastare la concorrenza di costruttori tedeschi, per me è uno stimolo in più". Perché è chiaro
che se Wester vincerà la sua sfida, a farne le spese saranno Audi, Bmw e Mercedes. Proprio per questa
ragione il Ceo di Alfa e Maserati non può fallire, per questa ragione non può fare tentativi. Deve sparare a
colpo sicuro. Un primo importante risultato lo ha ottenuto con il marchio Maserati. Ha scommesso su una
fabbrica che da sette anni era ferma, la ex Bertone di Grugliasco, vicino a Torino. E l'ha trasformata in una
autentica macchina da soldi. Con il successo di Quattroporte e, soprattutto, della più economica Ghibli (un
prezzo base di "soli" 65 mila euro), Maserati sta fornendo un contributo decisivo per risanare i conti del
versante europeo di Fca. Al punto che, forse anche prima delle vendite del nuovo Suv Levante che arriverà
alla fine del 2015, il marchio del tridente potrebbe compensare da solo le perdite del Lingotto nel vecchio
continente. La sfida di Alfa è più complicata di quella di Maserati. Lo sa Wester e lo sa Marchionne. Insieme
hanno trascorso gli ultimi 24 mesi a preparare e scartare in successione diversi modelli prima di trovare la
gamma convincente per il pubblico mondiale. L'ingegnere di Linz ha cominciato a fare la spola tra Torino,
Detroit e Modena (il quartier generale di Maserati) per definire scelte progettuali e precisare dettagli. Solo
quando i nuovi modelli Alfa usciranno dai capannoni segreti ed entreranno nelle show room dei
concessionari, si capirà quante possibilità ha di essere vinta la scommessa del Biscione. Per il momento
Wester deve far fronte allo scetticismo degli analisti, gli stessi che anni fa non credevano alle possibilità di
rinascita del Tridente. Oggi che lo stabilimento Maserati di Grugliasco deve ricorrere al turni di notte per far
fronte alle commesse da tutto il mondo, Wester deve fronteggiare le ironie sull'Alfa: "Avete delle previsioni
molto ottimistiche, ingegner Wester", ha premesso martedì a Detroit un analista americano. Proseguendo
così: "Per convincere i clienti ad acquistarli, pensate di mettere sui nuovi modelli Alfa Romeo la signora
Robinson?". La signora Robinson, Anne Bancroft, non c'è più e Dustin Hoffmann non ha più l'età per girare
capelli al vento sullo spider Duetto disegnato da Pinifarina. Ma la domanda dell'analista non rivela solo
scetticismo: tradisce anche l'aspettativa degli americani per il ritorno di quello che considerano un marchio
mitico. Tocca a Wester, l'ingegnere tedesco con l'accento modenese, non deludere l'attesa.[ LA SCHEDA ]
Quell'obiettivo di 400mila auto l'anno che sembra lontano agli analisti
Otto nuovi modelli Alfa e quattro nuovi modelli Maserati. Sono questi, in base al piano presentato martedì a
Detroit, i compiti che Harald Wester deve svolgere nei prossimi cinque anni. Dodici nuovi modelli, quasi tre
all'anno: ma la gran parte arriverà tra il 2017 e il 2018. Una responsabilità notevole da cui dipende il futuro di
quattro stabilimenti (Mirafiori, Grugliasco, Modena e Cassino), dov'è concentrato il 70 per cento dei
dipendenti italiani del gruppo di Torino. Gli obiettivi di vendita sono importanti: la Maserati dovrà passare dalle
15 mila auto vendute nel 2013 alle 75 previste nel 2018. L'Alfa Romeo dovrà raggiungere le 400 mila vendite
contro le attuali 74 mila. Ma se l'obiettivo Maserati sembra raggiungibile (gli ordini per Ghibli e Quattroporte
fanno pensare che già a fine anno si possa arrivare a 40 mila consegne), quello del marchio del Biscione
appare ancora arduo. In tutto Wester, che oggi vende meno di 100 mila vetture con i due marchi da lui
guidati, dovrebbe arrivare nel 2018 a sfiorare le 500 mila, cinque volte tanto.Decisivo sarà il prossimo anno il
lancio della nuova Giulia, la berlina prodotta a Cassino che rappresenterà la testa di ponte per lo sbarco
americano dell'Alfa Romeo. Ma a seguire dovrebbero entrare sul mercato due Suv (uno più compatto e uno
di maggiori dimensioni) realizzati a Mirafiori e Cassino. L'intera operazione di rinascita dell'Alfa Romeo
costerà alle casse del Lingotto circa 5 miliardi di euro, tutti investiti in Italia perché è solo nella Penisola che
verranno costruite le Alfa destinate ai mercati di tutto il mondo.L'ulteriore salto in avanti delle vendite Maserati
dovrebbe invece arrivare nei prossimi anni dall'entrata in produzione della nuova Gran Turismo e dei due
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modelli nati dal concept Alfieri presentato al Salone di Ginevra, un coupé e una spider. (p.gr.)
Foto: Harald Wester, Ceo dell' Alfa Romeo e della Maserati , visto da Dariush Radpour
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Bono: "Cresceremo con i soldi dell'Ipo"
Paolo Possamai
«Domenica annunceremo un pezzo di futuro di Fincantieri». Così diceva Matteo Renzi giovedì scorso a
Genova, alludendo alla sua presenza alla consegna di Regal Princess, ultima nave da crociera costruita dai
cantieri di Stato. A giugno Fincantieri sarà privatizzata e quotata, e per il premier sarà l'emblema del rilancio
dell'industria italiana e della sua capacità competitiva. segue a pagina 15 segue dalla prima Giuseppe Bono,
che sta al timone del gruppo da 13 anni, si schermisce ma non trattiene l'orgoglio con un tocco di
patriottismo. «Apprezzo molto che il presidente del consiglio Matteo Renzi parli della manifattura come una
priorità - dice Bono - Ne sono felice, lo vado dicendo da tutta la vita, spesa interamente nell'industria
manifatturiera. Sono convinto che Fincantieri con questa quotazione può essere l'evidenza della forza e delle
facoltà di recupero dell'industria italiana. Quanto a noi, siamo unici al mondo poiché non esiste sul pianeta
una azienda che nella propria attività concentra tutti i settori a più alto valore aggiunto. Siamo nelle crociere,
nell'offshore, nel militare e nei mega yacht. Nessuno come noi è altrettanto diversificato, quindi con rischio più
ripartito». Ma siete persuasi di essere sufficientemente attraenti per il mercato dati i vostri indici di redditività?
«Gli investitori ragionano non solo sul ritorno immediato ma anche su un più lungo periodo. Ci auguriamo che
torni tra gli investitori istituzionali l'attitudine a occuparsi di economia reale e in particolare del manifatturiero
italiano, che richiede competenze complesse ed è tra le caratteristiche peculiari dell'economia nazionale.
Fincantieri è tra i campioni di tali abilità, competenze, patrimonio e ciò ci viene largamente riconosciuto a
livello globale». A quali obiettivi è finalizzato l'aumento di capitale e quale piano industriale sottende?
«L'aumento di capitale e la quotazione sono funzionali a sostenere l'ulteriore processo di crescita e sviluppo
dell'azienda. Ricordo che abbiamo realizzato con mezzi propri sia l'acquisizione di Vard, lo scorso anno, che
quella dei cantieri americani nel 2009. Oggi riteniamo di essere alla vigilia di una nuova situazione di mercato
che ci consente di crescere e dobbiamo afferrarla. Mi sembrava allora, e lo penso a maggior ragione oggi,
che un'azienda come la nostra i capitali li debba trovare sul mercato, non chiederli allo Stato azionista. Lo
sentiamo come un dovere prima ancora che come un'opportunità». Intende dire che siamo alla vigilia di una
fase di consolidamento nel settore? Solo qualche mese fa lei parlava di acquisizioni per esempio di aziende
di componentistica. «In verità, non lo sappiamo con certezza, lo vedremo. Ma noi cerchiamo di cogliere le
occasioni che si presentano e siamo convinti che potremo crescere in termini di volumi e redditività anche a
perimetro invariato. Nei prossimi anni la ripresa si manifesterà in modo più netto e graduale e noi puntiamo a
saturare tutti i nostri cantieri italiani». Torniamo al tema della redditività, che è ovviamente centrale dal punto
di vista degli investitori. «In primis vorrei sottolineare che offriamo una forte stabilità di fondo, basta andare
nei nostri cantieri e emerge evidente l'importanza degli impianti. Guardiamo poi ai numeri e dunque vediamo
che abbiamo chiuso il 2013 con 85 milioni di utile netto e 300 milioni di ebitda, a fronte di 3 miliardi e 800
milioni di ricavi consolidati. Ricordo anche che al 31 dicembre scorso abbiamo registrato oltre 8 miliardi di
euro di carico di lavoro e 12,9 miliardi di portafoglio ordini. Posto che gli investitori e i grandi fondi premiano i
gruppi capaci di anticipare il mercato e privilegiano chi ha visione e progetti di sviluppo seri, noi ci siamo.
Abbiamo avuto, e avremo, numerosi contatti con potenziali investitori. Dovevamo far conoscere un'azienda
unica al mondo, che in questo Paese ha il proprio quartier generale. Abbiamo registrato molto interesse, tutti
si sono detti stupiti del fatto che l'Italia avesse queste capacità industriali. Sono fiducioso che questa
quotazione potrà essere un successo per noi e per l'Italia». Nella logica di recupero della profittabilità può
venire in campo un piano di riduzione del personale? Fincantieri quotata avrà la stessa forma mentis di una
azienda di Stato? «Voglio premettere che operiamo da anni in un mercato globale, non assistito, con una
gestione che già oggi è improntata a criteri "privatistici". Detto questo, post quotazione non apriremo alcun
tavolo per la riduzione dei dipendenti, ma dovremo continuare a discutere di flessibilità e formazione. Non
servono altre cure dimagranti. Il recupero di efficienza ha a che fare con la flessibilità e con il mix delle
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INTERVISTA ALL'AD DI FINCANTIERI
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professionalità, e dipende dalla capacità di spostare lavorazioni meno pregiate fuori dall'azienda e di portare
dentro quelle a maggior valore aggiunto». Come legge il fatto che la quotazione stia maturando oggi, in un
dibattito del tutto differente rispetto al 2007 quando l'obiettivo fu mancato? «Questo è un paese che ha paura
dei cambiamenti, ha tempi di reazione troppo lenti e un'articolazione macchinosa e inefficiente. Ci sembra
però che stia iniziando a maturare la consapevolezza che certe cose non possiamo più permettercele, e che
quindi bisogna introdurre elementi di dinamicità, che già in passato hanno consentito all'Italia di diventare una
delle nazioni più importanti. La cultura si è evoluta, e si va verso il superamento del conservatorismo tout
court. Insomma, siamo alla soglia di un nuovo Rinascimento».
LE TAPPE La quotazione dovrebbe avvenire a giugno. L'assemblea degli azionisti ha deliberato l'Ipo e un
aumento di capitale fino a 600 milioni a servizio dell'offerta pubblica di sottoscrizione. Ma l'emissione di nuove
azioni andrà accompagnata anche da un'offerta di titoli in vendita da parte del socio Cdp (tramite Fintecna
controlla il 99,4%). Appare probabile che la società non sfrutterà tutto lo spazio consentito dalla delibera
relativa alla ricapitalizzazione, altrimenti Cdp si diluirebbe fino a una soglia prossima al 50%.
Foto: Nella foto a sinistra, Giuseppe Bono , amm. delegato di Fincantieri, al timone del gruppo da ben 13 anni
Un momento della costruzione di una nave in uno dei cantieri di Fincantieri
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
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Il nuovo Ior di papa Francesco senza più poteri né autonomia
Orazio La Rocca
Riformare le istituzioni finanziarie pontificie, a partire dallo Ior (Istituto per le opere di religione), la banca
vaticana, ritornando allo spirito originario del Concordato del 1929. Sembra un paradosso, ma è così. Il primo
importante obiettivo centrato dalla rivoluzione finanziaria di papa Francesco durante il suo primo anno di
pontificato è stata la riconsegna dell'Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica),
attualmente presieduta dal cardinale Domenico Calcagno, all'originario ruolo di Banca Centrale della Santa
Sede, così come era stato stabilito negli accordi pattizi stipulati 85 anni fa tra Italia e Vaticano. segue alle
pagine 8 e 9 segue dalla prima Ruolo in seguito svolto sostanzialmente dallo Ior, che fu fondato da papa Pio
XII nel 1942, 13 anni dopo la firma del Concordato. E con l'Apsa "ridotta" ad amministrare i soli beni
immobiliari di proprietà della Santa Sede, stimabili attualmente sui diecimila appartamenti distribuiti dentro e
fuori l'area vaticana, con proprietà ubicate anche in Italia e all'estero. «E' stato quasi naturale ritornare alla
primaria impostazione prevista dai Patti lateranensi, riportando l'Apsa ad essere la vera banca Centrale
vaticana, con funzioni di guida per le politiche economiche della Santa Sede e di controllo sullo stesso Ior», si
apprende riservatamente dai cardinali che negli ultimi mesi hanno lavorato per ridare un nuovo assetto agli
organismi finanziari del Vaticano. E grazie, quindi all'applicazione piena del Concordato se all'inizio del mese
scorso Bergoglio - sulla base del lavoro svolto dalla Commissione referente sullo Ior presieduta dal cardinale
salesiano Raffaele Farina - ha potuto annunciare, senza nessun apparente contraccolpo curiale, che l'Istituto
per le opere di religione "non chiude", ma che continuerà a "fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa
cattolica in tutto il mondo" con "criteri di trasparenza e serietà". Ma senza essere più la Banca centrale
vaticana. Con questo provvedimento, in definitiva, lo Ior torna ad essere esclusivamente lo "sportello"
bancario al servizio dei dipendenti della Santa Sede, del personale ecclesiastico, dei diplomatici accreditati e
delle congregazioni religiose, sotto la supervisione della nuova commissione cardinalizia di controllo
presieduta dal cardinale spagnolo Santos Abril y Castellò, che ha preso il posto dell'ex segretario di Stato, il
cardinale Tarcisio Bertone. Fa parte della stessa Commissione anche il nuovo segretario di Stato Pietro
Parolin. Dallo scorso mese di febbraio, intanto, è terminata la verifica (screening e analisi antiriciclaggio) dei
18.900 conti correnti (5.200 di istituzioni cattoliche, 13.700 di persone fisiche) avviata nel 2011 dall'allora
presidente Ettore Gotti Tedeschi (improvvisamente licenziato lo scorso anno per una serie di dissidi maturati
col consiglio di sovrintendenza e con il segretario di Stato, il cardinale Bertone) e proseguita dal successore
Ernst von Freyberg, con l'aiuto per le verifiche sui conti e delle analisi anti-riciclaggio garantito dal Promontory
Group. All'inizio della cosiddetta operazione di pulizia, i conti ammontavano a 21.000. Ne sono stati cancellati
oltre 2000, "in gran parte conti vecchi e inattivi", specificano allo Ior, dove ammettono però che sono stati
individuati anche un certo numero di "situazioni anomale" segnalate all'Aif (Autorità di informazione
finanziaria) guidata dal nuovo presidente, il vescovo Giorgio Corbellini, e al promotore di giustizia, per
sottoporre i nominativi alle dovute inchieste che hanno portato alla cancellazione dei conti non in linea con le
norme di antiriciclaggio. L'obiettivo primario dello Ior - assicurano alla banca vaticana - è tagliare
definitivamente con gli scandali. Senza andare troppo indietro nel tempo col caso Marcinkus, l'ex presidente
coinvolto nel crac del vecchio banco Ambrosiano, l'ultima vicenda su cui stanno lavorando gli inquirenti è
quella di monsignor Nunzio Scarano, ex funzionario Apsa, accusato di riciclaggio, al quale nei giorni scorsi si
è aggiunto un altro caso legato a un bonifico da 2,8 milioni di euro su cui la Procura di Roma ha aperto una
inchiesta e che ha portato i pm romani a contestare a un anziano vescovo e a due laici il reato di riciclaggio.
Ed ancora sul fronte delle inchieste giudiziarie, continua il lavoro degli inquirenti su Paolo Cipriani e Massimo
Tulli, rispettivamente ex direttore generale e vice direttore dello Ior, accusati di aver autorizzato operazioni
finanziarie tra la banca vaticana e istituti di credito italiani senza il rispetto di norme di trasparenza e di
antiriciclaggio. Accuse per le quali il mese scorso è stato completamente scagionato l'ex presidente Gotti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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[ IL REPORTAGE ] Città del Vaticano
12/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Tedeschi. Incidenti di percorso a parte, il progetto di riforma dello Ior è ormai in dirittura d'arrivo, assicurano in
Vaticano. Lo scorso anno per la prima volta è stato pubblicato il bilancio, dal quale è emerso che
nell'esercizio 2012, l'Istituto per le opere di religione con i suoi 114 dipendenti, gestiva 6,3 miliardi di euro di
beni degli utenti (2,3 miliardi in depositi, 3,2 miliardi in gestioni patrimoniali, 0,8 miliardi in custodia titoli), con
un utile netto pari a 86,6 milioni di euro (20,3 nel 2011). E con un patrimonio netto di 769 milioni di euro. Il
secondo bilancio sarà pubblicato il mese prossimo. Impensabile fino a un paio d'anni fa, quando lo Ior era
considerato a livello internazionale una sorta di buco nero, un luogo dove depositare soldi con controlli scarsi
o nulli. Con papa Francesco la musica è cambiata. Ed i primi frutti già si vedono: l'organismo contro il
riciclaggio della Ue, Moneyval, ha di fatto già riconosciuto i passi realizzati dalla Santa Sede in materia di
trasparenza e di lotta al riciclaggio, pur sollecitando qualche ulteriore "aggiustamento". E per questo commentano soddisfatti Oltretevere - l'inserimento del Vaticano nella white list , la lista dei paesi più affidabili
dal punto di vista economico-finanziario, è ormai in dirittura d'arrivo. Ior a parte, la nuova architettura dei
dicasteri economici pianificata da Bergoglio ha assunto ormai una fisionomia abbastanza chiara col varo di
due nuovi organismi. A conclusione dei lavori di due commissioni ad hoc istituite all'inizio del Pontificato,
quella sullo Ior guidata dal cardinale Farina e la Commissione referente di Studio e Indirizzo per gli Affari
economici e amministrativi della Santa Sede (Cosea) guidata dal maltese Joseph F.X. Zahra, a febbraio il
Papa argentino ha creato un Consiglio per l'Economia (presidente il cardinale Marx, membri sette cardinali e
sette laici), che coadiuverà una Segreteria per l'economia, nuovo superdicastero composto, sinora, dal
presidente, il cardinale australiano George Pell, e dal segretario, il monsignore maltese Alfred Xuaereb, fino
alla nomina segretario particolare del Papa. Sotto questo dicastero finiranno tutti gli altri organismi economici
(Governatorato, Prefettura degli Affari economici, Propaganda fide, la stessa Apsa). George Pell, comunque,
è il vero uomo "forte" in materia di finanza ed economia dello staff cardinalizio varato da Bergoglio che lo
ritiene la persona giusta al posto giusto. E forse proprio per questo c'è chi, nella Curia romana, vorrebbe ora
ritirare fuori vecchie vicende di preti pedofili australiani per screditare il porporato. Proprio nei giorni, peraltro,
nei quali di fronte al comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, l'Osservatore della Santa Sede a Ginevra, il
vescovo Silvano Tomasi, ha citato quello australiano e quello statunitense, come esempio "positivo di
risposta efficace al dramma della pedofilia". Una precisazione fatta, forse più per motivi interni al Vaticano. Da
parte sua Pell, ancora poco prima di trasferirsi a Roma, ha affrontato senza esitazione la Royal Commission
into Institutional Responses to Child Sexual Abuse, una commissione governativa sugli abusi sessuali sui
minori, rispondendo a tutti i quesiti senza negligenza. E papa Francesco - che definisce Pell "tenace come un
giocatore di rugby, lo sport del suo paese" - ha apprezzato.
Foto: Il presidente dello Ior, il banchiere tedesco Ernst von Freyberg
Foto: Il nuovo presidente dello Ior, Ernst von Freyberg: completerà il ridimensionamento dei ruoli per l'Istituto
Foto: Il torrione di Niccolò V, sede dello Ior , all'interno della Città del Vaticano, di fronte alla Porta S. Anna
(sullo sfondo, il Palazzo Apostolico) A destra, Papa Francesco : ha avviato una profonda revisione della
finanza vaticana
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
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Alberto Pera
La ripresa dei programmi di privatizzazione da parte del governo e il rinnovo dei consigli di molte imprese
controllate dallo Stato ha riacceso l'attenzione sul tema della governance delle imprese pubbliche. In un
articolo su AF, Stefano Micossi ha suggerito che, una volta compiuta una perimetrazione degli interessi
pubblici affidati alle imprese, un'accorta selezione degli amministratori sia sufficiente per assicurarne una
gestione "di mercato". segue a pagina 10 segue dalla prima Tuttavia è lecito il dubbio che, ferma restando
l'esigenza di scegliere amministratori eccellenti, l'incentivo dato dalla privatizzazione sia invece necessario. Il
punto è in che misura lo stato azionista sia in grado di imporre alle imprese il perseguimento dell'efficienza. Il
tema non è nuovo, ed è sempre stato controverso. Negli anni '60, l'economista Pasquale Saraceno
sosteneva che gli amministratori delle imprese pubbliche dovevano perseguire l'efficienza esattamente come
quelli delle imprese private. Le finalità di interesse pubblico eventualmente imposte avrebbero dovuto essere
ben determinate e i loro costi contenuti entro le risorse specificamente allocate agli "enti di gestione" (Iri ed
Efim). In sostanza, attraverso la scelta di amministratori adeguati, sottoposti al controllo degli "enti di
gestione", lo Stato poteva essere sia attore di politica economica, determinando i settori e gli obiettivi degli
interventi, che azionista, garantendo che le imprese operassero efficientemente. Invece Luigi Einaudi non
aveva alcuna fiducia nello stato azionista, e riteneva che anche oculatissimi amministratori di imprese
finanziate e protette dallo Stato non avrebbero potuto resistere alle pressioni dei sindacati, dei partiti e degli
interessi locali e particolari. L'esperienza delle partecipazioni statali suggerisce che aveva ragione Einaudi.
Negli anni '80, il sistema delle imprese a partecipazione statale fu portato al collasso dall'accumulo dal debito
dovuto alle perdite dell'Efim e dell'Iri: da lì seguirono le grandi privatizzazioni degli anni '90. Alla base delle
quali c'era non solo l'esigenza di "fare cassa", ma anche la constatazione che è illusorio pensare che lo stato
possa efficacemente svolgere il ruolo di imprenditore. Per disperdere l'illusione occorreva che le imprese
fossero esposte alla pressione di mercati concorrenziali dei beni e dei capitali. Al di là della sfortunata storia
della Telecom, le privatizzazioni italiane hanno ottenuto il risultato sperato: Lottomatica, Autogrill, Autostrade
(ora Atlantia), Enel, si sono trasformate da monopoli pubblici concentrati sui mercati nazionali in imprese
multinazionali tra i leader mondiali nei rispettivi settori, mentre lo Stato ha ridefinito gli strumenti del suo
intervento, attraverso la liberalizzazione dei mercati, la definizione delle aree eventualmente sottratte alla
concorrenza, l'istituzione (spesso purtroppo tardiva) delle Autorità di regolazione. E la duplice pressione della
liberalizzazione o ri-regolazione del mercato e della privatizzazione appare essere stata efficace anche
quando lo Stato ha mantenuto il controllo attraverso quote minoritarie del capitale, come nel caso di Eni ed
Enel, Terna e Snam. In particolare, il fatto che la maggioranza del capitale sia sul mercato (a differenza del
"modello Iri"), e spesso faccia capo a investitori istituzionali internazionali, ha contribuito alla gestione
efficiente delle imprese: gli investitori votano "con i piedi" (vendendo le azioni) e le imprese che hanno
bisogno di capitali debbono garantire la massimizzazione del valore. Tuttavia, le stesse valutazioni non
sembrano potersi fare per le moltissime imprese ancora a partecipazione pubblica maggioritaria, statale o
locale. In particolare, in molti casi la capacità di tali imprese di stare sul mercato e di esplorare attività e
settori nuovi, di innovare a beneficio dei consumatori e dell'economia del paese, è fortemente condizionata
da obiettivi diversi dall'efficienza; in particolare dal problema della ridondanza del personale e della rigidità
nella sua utilizzazione: con la conseguenza di riserve di attività e aree di protezione eccessive o non
giustificate se non dalla preoccupazione che l'apertura al mercato imponga azioni di dimagrimento
politicamente indesiderabili. Ecco perché è importante che i processi di privatizzazione ora annunciati dal
governo siano portati a termine: la scelta di amministratori eccellenti non è da sola sufficiente; occorre aiutarli
con lo stimolo della concorrenza e della decisa apertura al capitale privato.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Privatizzare per aumentare l'efficienza
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
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Arvedi, Feralpi Duferco, la nuova siderurgia post Ilva
Giorgio Lonardi
Arvedi, Feralpi Duferco, la nuova siderurgia post Ilva a pagina 20 Milano Ci vuol poco a rallegrarsi per gli
ultimi dati disponibili sull'andamento dell'acciaio made in Italy. Nei primi due mesi del 2014, infatti, la
produzione è cresciuta del 10,2% sfiorando i 4,3 milioni di tonnellate. E invece bisogna essere cauti. Secondo
Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, l'associazione imprenditoriale di settore, si tratta di un rimbalzo
tecnico che segue al calo registrato nel 2013 quando la produzione annua (-11,6%) scese a quota 24 milioni
di tonnellate, il risultato peggiore dopo il 2009. In ogni caso già i dati di marzo, infatti, registrano un
rallentamento della crescita che scende sotto il 10%. E allora? La realtà è un'altra. Fra il 2011 e l'anno scorso
la siderurgia italiana ha perso oltre 4,5 milioni di tonnellate di prodotto. Inoltre il comparto si sta dividendo in
due "classi" ben distinte. In serie A troviamo un manipolo d'imprenditori lombardi, veneti e friulani che hanno
investito in tecnologia puntando sulle esportazioni o su mercati ad alto valore aggiunto. Gente come Giovanni
Arvedi, o come Giuseppe Pasini con la sua Feralpi, o ancora Alessandro Banzato di Acciaierie Venete, quindi
la bresciana Ori Marten, e la Duferco che fa capo al presidente di Federacciai Gozzi. In serie B, invece, non
troviamo solo l'Ilva di Taranto che ai tempi d'oro valeva un terzo di tutta la produzione nazionale o la Lucchini
di Piombino che ha chiuso il suo altoforno ormai fuori mercato ma anche quei piccoli produttori che non
hanno saputo innovare. "Oggi in Europa", osserva Gozzi, "c'è una capacità produttiva di 200 milioni di
tonnellate ma la produzione non supera i 145 milioni. E se l'Europa soffre l'Italia non sta meglio, anzi". Una
paralisi che colpisce il tondino, le travi per l'edilizia e molte altre produzioni. A bloccare il rilancio del
comparto, spiega sempre il presidente di Federacciai, è il crollo dell'edilizia e la rinuncia a costruire nuove
infrastrutture. Dice: "Speriamo che il piano da 2 miliardi per l'edilizia scolastica promesso da Renzi decolli al
più presto. Per il nostro settore sarebbe una boccata d'ossigeno senza contare che si tratta di un
investimento sulla sicurezza dei nostri figli e dei loro insegnanti". Di crisi dell'edilizia ne sa qualcosa Giuseppe
Pasini a capo di Feralpi: un miliardo di euro di fatturato stimato nel 2013, in calo del 15% sull'anno
precedente. Un imprenditore che da tempo si è rimboccato le maniche, Pasini, e ha trovato nuovi sbocchi per
i suoi prodotti. Spiega: "Noi abbiamo puntato sull'internazionalizzazione del gruppo; ancora nel 2008 l'export
pesava sui ricavi per il 25% ma oggi siamo a quota 55%. Senza contare che abbiamo impianti in altri paesi
come la Germania in cui la situazione è ben diversa da quella dell'Italia". Un'area che si sta rivelando
preziosa per Feralpi è il Nordafrica dove l'anno scorso ha esportato 400 mila tonnellate di acciaio per un
valore di 200 milioni di dollari. "Proprio in Nordafrica - precisa Pasini - stiamo valutando la possibilità di
costruire uno stabilimento per servire un mercato in rapida crescita". Ad ogni modo si va all'estero anche per
comprare aziende. Un bell'esempio è la bresciana Aso Group che ha recentemente acquistato
dall'imprenditore italiano Paolo Mennini l'azienda romena Cromsteel Industries raddoppiando così le
dimensioni del gruppo che passa dai 160 milioni di ricavi del 2013 ai circa 330 milioni attesi per quest'anno.
Accanto all'export e all'internazionalizzazione non mancano i progetti di acquisizioni che hanno come
obiettivo il Bel Paese. Emblematico il caso del Caleotto, il laminatoio di Lecco che fa parte del gruppo
Lucchini in amministrazione straordinaria. Lo stesso Caleotto per cui si registra l'interesse di una cordata
composta dalla Duferco di Gozzi e dalla Feralpi di Pasini. Lo scopo: diversificare la produzione puntando
sulla ricca nicchia del filo d'acciaio utilizzato dalle bullonerie e dalle viterie della Brianza e di tutto il Norditalia.
Quanto alla Ferriera di Servola, un altro stabilimento della Lucchini, piantato nell'area metropolitana di
Trieste, ha suscitato la manifestazione di interesse del gruppo Arvedi. Se tutto andrà bene, quindi, entro
giugno l'azienda siderurgica giuliana con l'annessa banchina portuale passerà all'imprenditore lombardo. Ed
è proprio il gruppo guidato da Giovanni Arvedi, quasi 2,2 miliardi di ricavi nel 2012, uno degli esempi più
avanzati di innovazione tecnologica nel settore siderurgico. Lo conferma la mini acciaieria di Cremona, di
sicuro la più competitiva d'Europa per quanto riguarda la produttività, il ridotto impatto ambientale e la qualità
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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economia italiana
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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dei prodotti. E lo certifica la tecnologia "endless strip", capace di sfornare nastri super sottili a ciclo continuo
con spessori inferiori a frazioni di millimetro; un business difeso da oltre 400 brevetti e considerato la nuova
frontiera del settore. La nostra siderurgia a forno elettrico, come sottolinea Gozzi, "è senza dubbio la migliore
del mondo" però quando si passa all'altoforno iniziano i guai. E se la chiusura del forno di Piombino, troppo
vecchio e troppo piccolo per essere competitivo appare inevitabile, il futuro di Taranto, più che mai incerto,
preoccupa imprenditori e sindacati. "Quello stabilimento", spiega Gozzi, "è strategico per il futuro dell'industria
meccanica del nostro Paese, che senza l'acciaio prodotto a Taranto rischia di uscire dal mercato". Poi
aggiunge: "Nessuno lo dice ma oggi l'Ilva rischia di fallire. E questo l'Italia non può permetterselo. Ecco
perché ci vuole la fine del commissariamento e l'arrivo di un imprenditore che ci metta la faccia, evitando che
il patrimonio rappresentato da Ilva venga bruciato".
Foto: Nei grafici in questa pagina la fotografia della siderurgia italiana. C'è stata una ripresa a inizio 2014 ma
va presa con molta cautela Qui sopra, Antonio Gozzi (1) presidente di Federacciai e ad della Duferco;
Giovanni Arvedi (2): sta per rlilevare la Ferriera di Servola Giuseppe Pasini (3) ad di Feralpi; Alessandro
Banzato (4) ad di Acciaierie Venete
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
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L'effetto ottico della crescita in deficit dei Pigs
Carlo Clericetti
L'austerità funziona? Gli ultimi dati, secondo cui tutti i paesi in cui questa "cura" è stata più feroce
cresceranno più di noi, potrebbero aver convinto qualcuno. Ma quel qualcuno si lascerebbe convincere da un
malinteso, alimentato da chi ha interesse a valorizzare certi dati e metterne in ombra altri che sono poi più
importanti. Tutti i nostri compagni di sventura nella sigla Piigs (ma chiamiamoli Gipsi) hanno applicato con
grande durezza l'austerità sociale, tagliando welfare, stipendi e pensioni e distruggendo i diritti dei lavoratori,
ma niente affatto l'austerità dei conti pubblici, che noi abbiamo invece perseguito. Nel 2013, dice Eurostat,
l'Irlanda ha avuto un deficit del 7,2%, la Spagna del 7,1, il Portogallo del 4,9, la Grecia addirittura del 14,7,
contro il nostro 3%. E in modo simile è andata in precedenza: il Sole24Ore aveva calcolato il deficit cumulato
2011-13, che per l'Irlanda è stato del 28,3% e per la Spagna del 27,1. E per l'Italia? Solo 9,8. In altre parole,
gli altri hanno alimentato la loro economia con il debito pubblico, noi quasi per niente. In compenso la Grecia
ha ormai mortalità infantile da quarto mondo, dall'Irlanda è emigrato quasi il 10% della popolazione, in
Spagna la disoccupazione è arrivata oltre il 26%. Ma vuoi mettere la soddisfazione di uno zero-virgola di
crescita più di noi?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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[ LE OPINIONI DELLA SETTIMANA ]
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 10
(diffusione:581000)
Vittoria Puledda
Lo schema è innovativo e, realizzato in modo così capillare, inedito per l'Italia. Con l'accordo sindacale
appena siglato infatti tutti i dipendenti di Intesa diventeranno anche azionisti della banca. Potranno venderle
subito o aderire, bloccandole, ad un Piano triennale, che con modalità diverse porterà i dipendenti ad avere
altre azioni. Ovviamente in questo modo si rinuncia ad eventuali premi "di produzione" di periodo. Ma visti i
tempi, non è detto che un pagamento in denaro sia certo (e non a caso anche i sindacalisti sono soddisfatti).
La soluzione sembra infatti coniugare esigenze diverse: quelle della banca, che realizza il programma in
parte attraverso un aumento di capitale gratuito (ma la prima tranche di azioni viene acquistata sul mercato) e
quella dei neo-azionisti. Per loro c'è un pagamento in titoli, ma con un rischio di mercato attutito: a fine
periodo, un triennio, nella peggiore delle ipotesi avranno indietro l'importo complessivo versato; in caso di
apprezzamento dei titoli, parteciperanno invece ai rialzi. Tranquilli anche gli azionisti attuali, perché l'effetto
diluitivo sulle loro quote sarà omeopatico: al massimo verranno emesse 500 milioni di nuove azioni (un po'
gratuite e un po' a sconto) mentre per la prima fase verranno comprati sul mercato fino ad un massimo di 54
milioni di titoli (sui 15 miliardi di azioni ordinarie Intesa).
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Intesa SanPaolo i dipendenti azionisti col paracadute
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 18
(diffusione:581000)
NASCE UNA NUOVA ALLEANZA CON DUE FUSIONI CHE HANNO LO SCOPO DI ACCAPARRARSI LA
RICCA TORTA, ALMENO 30 MILIARDI, DEI NON PERFORMING LOANS DELLE BANCHE ITALIANE
Adriano Bonafede
Nemici prima, amici oggi. Perché pecunia non olet. E il piatto dei crediti incagliati ( non perfoming loans )
delle banche italiane è davvero ricco, con almeno una trentina di miliardi da spartirsi. Nasce così la nuova
alleanza fra Gruppo Fortress e Massimo Caputi - che due anni fa lottarono senza esclusione di colpi per
l'acquisizione da Pirelli di Prelios, andata alla fine a Caputi - con il benestare di Unicredit. L'alleanza si articola
in due operazioni. La prima, che arriverà a conclusione soltanto il prossimo luglio, prevede la fusione tra
Torre sgr, la società di gestione del risparmio controllata da Fortress al 70 per cento (attraverso Italfondiario)
e da Unicredit al 30 (attraverso Pioneer), e la sgr del gruppo Prelios. Le masse amministrate arriveranno a
circa 7 miliardi (5 di Prelios e 2 di Torre) e comunque Prelios avrà la maggioranza delle quote. Il nodo del
prezzo dei concambi non è ancora stato affrontato anche perché siamo indietro: entro fine maggio dovrà
infatti essere svolta l'analisi di fattibilità, a cui poi seguirà la definizione dei concambi. La chiusura
dell'operazione è prevista per fine luglio, quando dovrà essere sottoposta all'esame della Banca d'Italia. Il
seocndo tassello dell'intesa passa da un'altra fusione perché, a monte, Prelios Credit Services, la società di
gestione dei crediti del gruppo che fa capo a Caputi, si fonderà con Italfondiario, anche questa specializzata
nella gestione degli Npl. L'intreccio azionario che ne verrà fuori è piuttosto complesso perché - oltre ai vari
attori nominati finora - c'è da considerare anche la presenza di Intesa Sanpaolo, che ha il 12,5 per cento di
Italfondiario. L'obiettivo di questo nuovo rimescolamento di carte è chiaramente - oltre alla gestione dei fondi
immobiliari sottostanti in una dimensione maggiore, il che comporta significative economie di scala - anche il
ricco piatto dei non performing loans delle banche italiane. L' asset quality review i cui esiti sono previsti per il
prossimo ottobre sta costringendo gli istituti di credito - spronati dalla Banca d'Italia - a fare quella completa
pulizia di bilancio rimandata o ritardata per troppo tempo. Il che le obbligherà a far emergere tutte le
minusvalenze sui crediti. Il mercato si aspetta quindi una gran quantità di non performing loans in vendita ed
è questo che spiega l'interesse di un gruppo come Fortress, pronto a mettere sul piatto la sua forza
finanziaria pur di fare buoni affari nel mercato italiano. Ma non è tutto. Il puzzle si completa prendendo in
considerazione anche la gara per la vendita di Uccmb, la società del gruppo di Unicredit specializzata proprio
nella gestione dei crediti problematici. Con questa iniziativa, l'istituto guidato da Federico Ghizzoni ha deciso
in pratica di uscire dalla gestione diretta dei non performing loans. L'advisor Ubs ha individuato, fra le tredici
proposte iniziali, cinque candidati per la short list. Si tratta delle cordate Tpg-Deutsche Bank-Goldman Sachs;
di Cvc-Jupiter-Cerberus, del fondo Usa Apollo, assistito da Eidos Partners; di Blackstone; e, last but not least,
della nuova cordata-alleanza tra Italfondiario e Prelios, con in più Rothschild e con l'assistenza di
Mediobanca. È chiaro che se Fortress-Prelios riuscissero a vincere questa gara si creerebbe un colosso in
grado di attirare business anche dalle altre banche (tra l'altro Uccmb lavora già anche per altri istituti). Da
questa vendita, Unicredit potrà ricavare tra 700 milioni e 1 miliardo di euro. Ma poi entrerà in ballo la vendita
di almeno una parte dei 4,4 miliardi di euro di sofferenze che l'istituto guidato da Ghizzoni vuole cedere,
sembra a un valore vicino al 10 per cento del nominale. Dentro Uccmb ci sono però almeno una trentina di
miliardi di sofferenze di altre banche, un piatto ghiotto per chiunque. A escludere la strada di una cessione dei
crediti problematici dovrebbe restare soltanto Intesa Sanpaolo, che invece vuole gestirseli per conto suo.
Foto: 1
Foto: Qui sopra, Massimo Caputi (1), vice pres. Prelios Spa e Federico Ghizzoni (2), ad di Unicredit
Foto: A sinistra, la nuova alleanza tra Prelios e Fortress
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Prelios-Fortress insieme a caccia dei Npl
12/05/2014
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Nuova anzi usata, l'auto che tira ancora segreti e numeri di un mercato mai
in crisi
OLTRE QUATTRO MILIONI DI VETTURE VENDUTE OGNI ANNO MA ORA A FARE LA PARTE DEL
LEONE NON CI SONO PIÙ I CONCESSIONARI MA I SITI INTERNET E DA QUALCHE MESE ANCHE UN
MOTORE DI RICERCA. LA CONTROFFENSIVA DELLE CASE E L'OFFERTA PREMIUM
Tommaso Tommasi
Il mercato dell'auto usata resiste meglio alle intemperie della crisi, ma chi compra ha scelto di cambiare
negozio. Non più i piazzali dei concessionari ma Internet, dove oggi si trova di tutto. Il mercato virtuale,
dunque, ha aggredito con successo anche il mondo dell'auto usata. Ci sono le cifre proposte nel corso del
convegno organizzato a Roma per LeasePlan da Fleet&Mobility a confermarlo: confrontando le vendite
dell'usato del 2007 con quelle del 2013 si registra una flessione del 19% (contro quasi il 50% per le auto
nuove) mentre negli stessi anni le vendite di usato attraverso i concessionari sono precipitate del 58%. L'auto
di seconda mano, insomma, continua ad avere un mercato da oltre 4 milioni di unità (dove sono comprese
anche le mini volture, ovvero le vetture consegnate al concessionario e non ancora vendute) che però è
passato largamente in altre mani, in buona parte virtuali, come Autoscout24, Automobile.it, Subito.it o e-Bay
(la stessa che ha messo all'asta le auto blu "rottamate" da Renzi). In aggiunta, ora si è affacciato un nuovo
attore che mette a disposizione dei consumatori italiani, sullo schermo del computer, ben 850.000 proposte
trovate sui 14 principali siti dediti alla vendita dell'usato. Si chiama Autouncle.it, è nato in Danimarca nel 2011
è arrivato da poco in Italia, ma è già operativo in 8 Paesi, dove monitora i prezzi dell'usato di oltre 6,2 milioni
di vetture presenti in 102 siti specializzati. È un motore di ricerca che facilita la scelta dell'usato migliore in
base a ben 100 parametri, ovviamente prezzo incluso. Autouncle.it si aggiunge dunque alle altre proposte
informatiche presenti sul mercato dell'usato, sottraendo terreno al classico modo di acquistare un'auto di
seconda mano, costituito dalla trattativa diretta fra privati. In realtà, però, sono gli stessi privati che una volta
andavano nelle piazze con la loro vettura completa della scritta "vendesi", che ora, seduti a tavolino, cliccano
sui siti per vendere o comprare le loro auto. Sta di fatto che mentre il mercato del nuovo langue, la domanda
di usato è sempre piuttosto sostenuta. «Il parco circolante invecchia - dice Tavernese, concessionario
multimarche romano - e ormai una fetta importante è composta da auto con più di 10 anni. C'è dunque un
cliente potenziale che in questo periodo si avvicina più facilmente ad un'auto di seconda mano». Raffaele
Porzio, manager di Renault, sottolinea il cambiamento: «Il business dell'usato sta sfuggendo dalle mani dei
concessionari mentre cresce quello fra i privati, anche se uno dei problemi è quello della garanzia». C'è
anche un aspetto molto concreto che riguarda il business, poiché i margini sulla vendita del nuovo sono ormai
bassissimi e c'è chi parla addirittura di poche decine di euro: «In Italia si sta sviluppando sempre di più
l'attività dei commercianti che portano l'usato all'estero - spiega Adolfo De Stefani Cosentino, concessionario
Mercedes - perché specie in alcuni paesi dell'est europeo il mercato è molto più remunerativo rispetto a
quello italiano». La vendita di un buon usato delle marche generaliste frutta attorno ai 650 euro, mentre quello
delle marche premium consente di guadagnare anche 1.800 euro, cifre decisamente lontane dai piccoli
margini consentiti dalla vendita del nuovo. Il timore manifestato da chi compra una vettura di seconda mano è
sempre legato alla qualità dell'acquisto, perché se l'auto nuova garantita per almeno tre anni è la stessa se la
compri a Milano o a Viterbo, ogni auto usata ha la sua storia, generando nel compratore l'inevitabile dubbio
sul chilometraggio effettivamente percorso, sull'uso del veicolo fatto dal precedente proprietario, sui possibili
interventi di carrozzeria effettuati in seguito ad un incidente. In questa ottica i concessionari di due marche
premium offrono interessanti opportunità. Recentemente Bmw ha lanciato il programma Premium Selection,
con usato al massimo di 5 anni o 120.000 km, 92 controlli, 24 mesi di garanzia, controllo gratuito dopo i primi
3.000 km, assistenza stradale 24 ore gratuita, rispondendo così al Firsthand della Mercedes, i cui dealer
offrono usato della marca sino a 6 anni di età o 160.000 km. tutte sottoposte a 100 controlli e con 36 mesi di
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Roma
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garanzia. INTERAUTONEWS UNRAE CED MINISTERO DEI TRASPORTI PRA ANFIA ACI CENTRO STUDI
UNRAE
Foto: L'escalation del mercato dell'usato passato da 3,2 milioni di pezzi del 2000 ai 4 del 2013. La Punto la
più richiesta
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Il controllo di qualità chiave di successo così le imprese italiane vanno a
due velocità
EMERGE DAL RAPPORTO CHE È STATO PROMOSSO DA ACCREDIA COL SUPPORTO TECNICO E
SCIENTIFICO OFFERTO DAL CENSIS. LA RICERCA SI È BASATA SULL'USO DI 4 INDICATORI CHE
COSTITUISCONO DIVERSE AREE DELLA STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE
Vito de Ceglia
La crisi non abbassa la qualità del sistema produttivo italiano. Come dimostra la progressiva crescita delle
nostre esportazioni, determinata dall'elevata capacità competitiva delle imprese tricolori, molte delle quali
vere e proprie multinazionali "tascabili", che all'estero si sono fatte largo sfuggendo al pantano della
recessione italiana. Per contro, diminuiscono la qualità della vita e del contesto socio-economico,
dell'ambiente e dell'offerta di servizi pubblici. È quanto emerge dal 2° rapporto Accredia-Censis su "Qualità,
Crescita, Innovazione", promosso da Accredia, l'ente unico nazionale di accreditamento che verifica la
competenza degli organismi che certificano ISO 9001, per indagare la qualità che l'Italia esprime in alcune
dimensioni della sua struttura economica e sociale. Oggi, sono più di 83.000 le aziende dotate di un sistema
di gestione della qualità Uni En Iso 9001. Il rapporto si è basato sull'utilizzo di 4 indicatori di qualità che
rappresentano diverse aree della struttura economica e sociale del Paese, con dati relativi al periodo
compreso tra il 2009 e il 2012. La prima dimensione presa in considerazione riguarda il sistema produttivo.
Sistema che evidenzia fenomeni di propensione all'innovazione e di crescita abbastanza intensi, sebbene
questo comparto abbia subito nel corso degli anni un deterioramento che non lascia pensare ad una robusta
capacità di ripresa. L'indicatore (71,5 su 100 nel 2012) è il risultato del confronto di 18 diverse variabili: natimortalità delle imprese, brevetti e marchi depositati in Italia da aziende nazionali, produttività del lavoro,
ricorso all'Ict, fallimenti, assunzioni di figure professionali specializzate e andamento delle certificazioni del
sistema di gestione della qualità. Il trend, durante l'arco di tempo considerato, muta di poco. Ma nel 2012
rispetto al 2009 si registra una flessione. A livello regionale troviamo la Lombardia al primo posto, seguita da
Piemonte, Emilia Romagna, TrentinoAlto Adige e dal Veneto. Toscana, Marche e Friuli-Venezia Giulia,
regioni importanti dal punto di vista produttivo e caratterizzate da elevati livelli di specializzazione in alcuni
comparti manifatturieri, presentano valori leggermente sotto la media italiana. Mentre va segnalato, come
spesso accade, il Meridione agli ultimi posti soprattutto con Basilicata, Sicilia e Sardegna. Inoltre,
confrontando gli indici di bilancio di un campione di 1.000 aziende certificate ISO 9001 con altrettante non
certificate, risultano migliori le performance delle prime. Tra i principali fattori di crescita c'è proprio il controllo
di qualità delle fasi a monte e a valle del processo produttivo (sui fornitori e sulla catena logistica) e l'adozione
di un sistema di gestione della qualità dei processi interni secondo gli standard Uni En ISO 9001. Si tratta per
lo più di aziende che, pur nell'attuale fase di crisi, esprimono livelli di efficienza e capacità competitiva
maggiori rispetto alla media nazionale. Il secondo aspetto riguarda la qualità dell'offerta di servizi pubblici e
prende in considerazione 12 variabili, come per esempio servizio pubblico e servizio socio-assistenziali. In
questo caso, l'indicatore assume valori piuttosto elevati (77,3 su 100 nel 2012), mostrando alcune punte di
eccellenza ma un andamento decrescente e ampi margini di miglioramento. Il Friuli si prende la sua "rivincita"
come regione migliore in termini di qualità dei servizi pubblici offerti. Seguono a poca distanza l'Emilia
Romagna, il Trentino-Alto Adige, la Valle d'Aosta e la Lombardia. Restano buoni i risultati di Umbria, Liguria,
Lazio, Toscana, Veneto, Marche e Piemonte. Mentre, ad eccezione dell'Abruzzo, il resto del Mezzogiorno si
pone al di sotto della media nazionale. Il terzo ambito, strettamente connesso con quello precedente,
riguarda la qualità della vita e del contesto socio-economico. L'indicatore si pone ad un livello abbastanza
elevato (72,2 su 100 nel 2012), sebbene in diminuzione. Il Paese non registra certamente fenomeni di
degrado diffuso, ma occorre senza dubbio migliorare. In questo ambito vengono considerate 16 variabili,
quali la povertà regionale delle famiglie, la spesa dei consumi, la disoccupazione, che hanno visto un
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focus certificazione Milano
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deterioramento, seppur contenuto, dato soprattutto dall'alto tasso di mancanza di lavoro tra i giovani, la
riduzione dei consumi pro-capite ed il progressivo allargamento di situazioni di disagio sociale tra le famiglie,
non hanno permesso un'evoluzione positiva. Anche qui, come nelle classifiche precedenti, troviamo una
differenza netta tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud: la prima in classifica è il TrentinoAlto Adige,
seguita da Valle d'Aosta, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e l'Emilia Romagna. Il quarto, ed ultimo aspetto
considerato, è la qualità dell'ambiente. L'indicatore assume un valore più contenuto rispetto agli altri (46,1 su
100 nel 2012), evidenziando un ritardo in gran parte del Paese rispetto a pratiche ottimali. Sono 10 le variabili
considerate che vanno dai consumi energetici delle famiglie, alle opinioni delle stesse sulla qualità dell'aria,
sulla pulizia delle strade e sull'inquinamento acustico della zona di residenza, fino ai dati relativi alla
disponibilità di verde urbano e di servizi di raccolta differenziata dei rifiuti. La regione più virtuosa è la Valle
d'Aosta, seguita a poca distanza dal Trentino-Alto Adige e, a una considerevole distanza, dalla Basilicata,
dalla Sardegna e dal Friuli-Venezia Giulia. Pochi territori hanno investito sul fronte della tutela ambientale o
messo in campo strategie e pratiche efficaci in ambiti come quello del risparmio energetico e della corretta ed
efficace gestione dei rifiuti. ACCREDIA CENSIS
Foto: I dati presi in esame sono relativi al periodo compreso tra il 2009 e il 2012 e danno una spiegazione del
successo nell'export di molte imprese italiane
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Dalle medicine ai funerali così gli sconti fiscali pesano sulle casse statali
TRA DEDUZIONI E DETRAZIONI È UNA GIUNGLA DI 720 VOCI LA MANO PUBBLICA PERDE OGNI
ANNO CIRCA 254 MILIARDI DI EURO IL GOVERNO HA L'OBIETTIVO DI METTERE ORDINE NEI 720
CAPITOLI A COMINCIARE DALLA CASA
Sibilla Di Palma
Deduzioni e detrazioni, un esercito di 720 voci. Con gli sconti fiscali lo Stato perde ogni anno circa 254
miliardi di euro Ammontano in tutto a 720 gli sconti a vario titolo che ogni anno alleggeriscono come per
magia il conto di 730 e Unico. Comportando però al contempo mancati incassi da parte del sistema tributario
per una somma complessiva di circa 254 miliardi di euro. Una cifra non da poco che, non a caso, è da diversi
anni nel mirino di Agenzia delle Entrate e ministero dell'Economia. Da tempo si discute infatti di una
razionalizzazione di queste voci per recuperare risorse e dare ossigeno alle malmesse casse statali messe a
dura prova dalla crisi. Anche se l'operazione non sembra facile e tutti i tentativi di riorganizzazione avviati
finora si sono risolti con un nulla di fatto, considerato che buona parte di questa cifra non può essere toccata
in quanto destinata a sostenere la spesa sociale, dalla famiglia al lavoro. Lo stesso governo Letta, nel
tentativo di reperire risorse da destinare ad altri fini, aveva ipotizzato di ridurre la percentuale di detraibilità
degli oneri al 19% di un punto percentuale nel 2014 e di due punti percentuali a partire dal 2015. Ma anche in
questo caso il tentativo non era andato a buon fine e anche la prima ipotesi di riforma del fisco avanzata dal
governo Renzi, in base alla quale il sistema delle detrazioni avrebbe dovuto essere rivisto facendo aumentare
gli sconti fiscali per chi guadagna fino a 28mila euro lordi annui escludendo i redditi di importo superiore, non
ha avuto seguito. A occupare maggior spazio nella giungla dei 720 sconti fiscali, il cui elenco venne censito
nel 2011 da un gruppo di lavoro guidato dall'allora sottosegretario al ministero dell'Economia e delle Finanze
Vieri Ceriani, sono le agevolazioni, ossia le detrazioni e deduzioni di cui beneficiano i contribuenti persone
fisiche. Ma del paniere fanno parte anche le aliquote Iva ridotte, gli incentivi alle imprese, i regimi agevolati,
gli sconti sui tributi locali, le accise e le altre imposte indirette. Tra gli oneri detraibili rientrano quelli al 19%
per spese mediche e sanitarie; spese per l'asilo, la scuola o l'università e la formazione; interessi passivi del
mutuo acquisto abitazione principale; premi per l'assicurazione vita e infortuni; spese per il funerale;
erogazioni liberali a associazioni sportive dilettantistiche. Ci sono poi le detrazioni al 24% per le erogazioni
liberali versate a favore di organizzazioni non lucrative, quelle al 50% per la ristrutturazione casa e l'acquisto
di mobili e al 65% per le opere di riqualificazione energetica degli immobili. Altro capitolo per le deduzioni, tra
le quali rientrano l'assegno al coniuge in caso di separazione legale; i contributi previdenziali e assistenziali
corrisposti a colf e badanti; i contributi versati a forme pensionistiche complementari; le erogazioni liberali a
istituzioni religiose, le donazioni a enti di ricerca pubblici, università o fondazioni universitarie; le rette per la
degenza in istituti di cura per persone disabili. Per dare qualche numero, in base alla relazione stilata da
Ceriani, solo di deduzioni e detrazioni per la casa lo Stato ogni anno dice addio a 9,48 miliardi di euro tra
deduzione della rendita catastale dell'abitazione principale (3,27 miliardi), detrazioni per ristrutturazioni (1,96
miliardi), detrazioni degli interessi sui mutui prima casa (1,33 miliardi) e bonus sulle ristrutturazioni
energetiche. Mentre sul fronte "famiglia" le casse statali perdono altri 21 miliardi tra i quali 10,5 di detrazioni
(coniuge a carico, figli), 4,3 di deduzione contributi, 2,3 miliardi di spese sanitarie, 1,8 di deduzione degli
assegni famigliari, 128 milioni per spese funebri e così via. Un esercito di mancati incassi sul quale si proverà
a intervenire nuovamente. La legge sulla delega fiscale recentemente approvata dal Governo impone infatti di
agire con un riordino selettivo sulle agevolazioni ingiustificate, superate o comunque doppie rispetto ad altre
misure. Secondo stime recenti del Fondo monetario internazionale la quota "aggredibile" ammonterebbe a
circa 60 miliardi di euro. La strada però si preannuncia in salita, considerato che i tagli devono garantire la
tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, delle imprese minori e di pensione e proteggere la
famiglia, la salute, i soggetti svantaggiati, il patrimonio artistico, l'ambiente, la ricerca e l'innovazione. Le
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Milano
12/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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agevolazioni facilmente eliminabili o comunque semplici da sfoltire si contano dunque sulle dita di una mano.
MINISTERO DELLE FINANZE
Foto: Secondo stime recenti del Fondo monetario internazionale la quota "aggredibile" ammonterebbe a circa
60 miliardi di euro
12/05/2014
Corriere Economia - N.17 - 12 maggio 2014
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Crescita e mercati L'utilità ritrovata di un'Europa forte
DANILO TAINO
I tassi d'interesse sui Btp decennali straordinariamente sotto al 3% raccontano due storie. La prima dice che
rispetto ai punti acuti della crisi - le estati 2011 e 2012 - la situazione sui mercati è rovesciata. Il collasso
dell'Eurozona non c'è stato: Mario Draghi e la Bce hanno avuto un ruolo di primo piano nell'evitarlo, ma anche
i salvataggi organizzati dai governi della Ue, le riforme introdotte in alcuni Paesi, il patto di Stabilità e l'Unione
bancaria hanno radicalmente cambiato lo scenario. Il quadro internazionale, in particolare la riduzione del
programma di acquisti di titoli della Federal Reserve americana, ha fatto il resto: parecchi capitali sono usciti
dai Paesi emergenti e sono finiti nella zona euro, soprattutto nella periferia; Draghi ha segnalato giovedì
scorso che nell'Eurozona potrebbe anche essere arrivata una parte dei 160 miliardi di euro che si stima siano
usciti di recente dalla Russia di Putin. La seconda storia è conseguenza della prima. Tassi d'interesse bassi
sui titoli di Stato (sempre buoni ma meno eclatanti se si considera che nel frattempo l'inflazione è crollata)
sono positivi per il debito pubblico. Però il nuovo scenario crea tre problemi seri. Innanzitutto, i debiti pubblici
restano altissimi, più di quanto lo fossero all'inizio della crisi: Italia verso il 135%, Spagna verso il 100% e via
dicendo. Secondo, il venire meno della pressione dei mercati ha tolto dal tavolo l'urgenza di fare riforme, che
infatti un po' in tutta Europa si stanno fermando: problema particolarmente serio in Italia dove ben poco,
pensioni a parte, si è fatto. Terzo, il pericolo di deflazione è reale, come indica la Bce: significa che, nella
relazione debito/Pil nominale, il denominatore salirà meno e quindi abbassare il rapporto sarà più difficile e
costoso.
Riconoscere di avere vinto la sfida contro il crollo dell'euro, dunque, oggi significa riconoscere che la strada
della stabilità finanziaria e delle riforme non può essere abbandonata. Così come sono diventati all'improvviso
benevoli, i mercati sono rapidi a tornare ostili.
@danilotaino
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IL PUNTO
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Pag. 1
Confartigianato mette le eccellenze in vetrina (online)
A pagina 16
L a nuova frontiera è digitale. Le imprese italiane, dopo aver esportato in tutto il mondo, vanno alla conquista
del sesto continente: il web. Confindustria ha da poco annunciato Storytalia, Amazon da tempo sta studiando
un progetto per l'ecommerce, così come Yoox che già propone grandi marchi del lusso ai navigatori online.
Anche Google ha avviato un programma sui distretti del made in Italy da valorizzare in Rete, segnale
evidente che il brand funziona e che gli utenti internazionali (più avvezzi agli acquisti sul web) offrono ottime
risposte di mercato. Il filone aureo (almeno potenzialmente) non poteva sfuggire a Confartigianato che da
tempo studia questo settore è adesso presenta il suo progetto tutto tarato sull'ecommerce.
L'associazione artigiana ha siglato un accordo con Digital Magics, incubatore certificato di startup innovative
quotato sul mercato Aim Italia di Borsa Italiana, e ulaola, startup incubata che promuove e vende in Italia e
all'estero prodotti made in Italy. L'obiettivo dichiarato è quello di favorire l'internazionalizzazione e la
digitalizzazione di attività e di prodotti che rappresentano l'eccellenza. «Il futuro artigianale passerà sempre
più per il digitale- afferma Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato - L'Italia sarà sempre di
più un Paese di esportazione e le nostre eccellenze saranno i veri ambasciatori di questa realtà. Le imprese
dovranno utilizzare le nuove tecnologie per accompagnare lo sforzo di vendita nei Paesi stranieri. Ulaola ci
sembra uno degli strumenti più adatti per iniziare questo processo. L'accordo prevede inoltre per
Confartigianato e per Digital Magics una collaborazione continuativa allo scopo di rafforzare l'anima digitale
della Confederazione».
Su misura per il web
In Italia però l'ecommerce ha ancora una diffusione minoritaria anche se l'obiettivo concreto è superare lo
spread di piccole imprese italiane che vendono online, fermo oggi al 5% a fronte della media europea del
14%, con punte del 22% in Germania, mentre la Francia è all'11%. Più Italia quindi ma soprattutto più estero
per piccole realtà che, spendendo meno di mille euro, potranno avere una vetrina che si affaccia su mercati
privilegiati: la previsione nel piano a 5 anni è di coprire l'Europa, a partire dai «Nordics» che hanno il
maggiore numero di online shopper, per arrivare agli Stati Uniti nel 2018.
«La caratteristica che ci distinguerà dagli altri - spiega Fumagalli - è che il nostro ecommerce è fatto su
misura anche per piccoli artigiani che non avrebbero altro modo per saggiare mercati esteri. Lo stesso vale
per chi realizza pezzi unici e quindi non ha un magazzino a disposizione. Il nostro obiettivo non è quello di
presentare un freddo catalogo dell'artigianalità ma di proporre eccellenze italiane che abbiano alle spalle una
storia, un territorio e aspetti immateriali».
I mercati di riferimento
Per raggiungere mercati lontani e complessi servirà una rete logistica capace di sostenere anche piccole
realtà. «La stiamo allestendo e sarà sperimentata già durante l'Expo - annuncia il segretario generale di
Confartigianato - a Milano avremo una location Fuori Expo che proporrà ai visitatori stranieri il meglio
dell'artigianalità italiana. Quella stessa rete logistica aiuterà le nostre imprese a recapitare i prodotti dove
saranno richiesti. Cercheremo, tra l'altro di rafforzare la nostra presenza on line anche per aree di prodotto:
nel Regno Unito hanno una mercato interno della ceramica molto forte e quindi conviene puntare su moda e
design. Nei paesi nordici i brand italiani sono molto apprezzati ed è per questo che quello sarà il primo
mercato che aggrediremo con il nostro portale». Sul web finiranno le storie e i prodotti di eccellenze italiane
nel settore del design, del fashion, del vintage, del cooking design e del food (escluso il fresco) in una
piattaforma tecnologica speciale. Basterà a internazionalizzare le piccole imprese? Di sicuro è un buon inizio,
un veicolo importante per coinvolgere chi all'estero non arriverebbe in altro modo.
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Piccole imprese
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180É il numero di aziende che operano nella blue economy. Il settore negli ultimi 5 anni, secondo il
terzo rapporto di Unioncamere sull'economia del mare, ha registrato diversi segnali positivi. Il numero
delle imprese è aumentato di 3.500 unità dal 2011 al 2013 (+2%). In crescita, anche il numero di
lavoratori che operano nel comparto (+3,1%), in particolare nelle attività di ricerca e tutela ambientale.
Sono aumentate dell'8% le vendite di moto nel primo trimestre del 2014. In crescita, le immatricolazioni di
moto e scooter over 50 (+8,9% sul 2013). Il risultato migliore è quello dei 125cc (+14,5%). In controtendenza,
i cinquantini che sono ancora in perdita. È in calo, per la prima volta rispetto al trend positivo degli ultimi anni,
il numero di aperture di microbiriffici. Sono solo 11 i nuovi locali aperti nel primo quadrimestre del 2014. Incide
negativamente l'aumento delle accise: potrebbero crescere del 50% nel 2015.
Foto: DI isidoro trovato
Foto: Artigiani Cesare Fumagalli, segretario generale Confartigianato
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Imprese I big del pubblico Primo: trainare la ripresa
stefano agnoli, e FABIO tamburini
G ran vento di cambiamento ai vertici delle maggiori imprese nazionali. I vecchi capi azienda sono stati
sostituiti, trascinati via dall'onda della «rivoluzione culturale» renziana. Ha risposto con entusiasmo il mondo
della finanza (banche e investitori istituzionali). Adesso però i benefici della rivoluzione devono arrivare
all'economia reale cavalcando l'onda della ripresa. Dall'Eni a Terna, da Finmeccanica a Poste ed Enel, ecco
le criticità che dovranno affrontare i nuovi vertici. E i piani al vaglio. Alle pagine 2 e 3
Di certo in un gruppo complesso come l'Eni non mancano le questioni aperte. Ma Claudio Descalzi, il
successore di Paolo Scaroni alla guida del Cane a sei zampe, ha dalla sua un semplice ma indiscutibile dato
di fatto: quello di conoscerle quasi tutte molto bene. La prima, indicata l'altro giorno in assemblea anche dal
ceo uscente Paolo Scaroni, è quella del maxi-giacimento kazako di Kashagan. Forse non molto conosciuto al
di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, ma ormai trasformatasi in una sorta di Vietnam del gruppo
pubblico. La supercommessa strappata ai tempi della gestione Mincato nei primi anni Duemila ha bloccato
per anni ingenti risorse nella convinzione che venire a capo delle difficoltà ambientali, tecniche, gestionali e
finanziarie della più grande scoperta degli ultimi trent'anni potesse definitivamente proiettare l'Eni nell'Olimpo
mondiale del petrolio e del gas. Ora è ferma per l'ennesimo problema (tubi «sciolti» dal gas troppo acido) e
per evitare di uscirne con ammaccature rilevanti la diplomazia e i tecnici del gruppo dovranno lavorarci
ancora con impegno, insieme ai soci del consorzio internazionale.
Un'altra eredità del passato che potrebbe riemergere già dal prossimo inverno è quella dell'«emergenza
gas», e in generale dei rapporti con la Russia. Anche se l'Eni non è direttamente responsabile della sicurezza
dell'approvvigionamento dell'Italia, è certo che sarebbe al gruppo di Metanopoli che il governo si rivolgerebbe
in caso di difficoltà sul fronte russo-ucraino, come sempre è accaduto in passato. Data la situazione in Libia
(e i problemi non rari sul versante algerino) si tratta pur sempre di un'eventualità da monitorare con
attenzione. Ma con la Russia che cosa accadrà? Quando gli Usa hanno messo l'Iran alla berlina anche l'Eni
ha dovuto pagare dazio. Teheran, però, non ha lo stesso peso di Mosca nel portafoglio globale del Cane a
sei zampe. Si potrebbe continuare: «shale gas», Nigeria e, appunto, Libia sono altre questioni delicate da
affrontare, tra strategia e contingenza. Se si resta sul piano della strategia che cosa farà Descalzi?
Proseguirà nella focalizzazione sul core business dell'esplorazione e produzione di idrocarburi e, per fare un
altro esempio, dopo la Snam venderà anche un gioiellino tecnologico come la Saipem? Che cosa ne diranno,
e che cosa gli chiederanno l'azionista Tesoro e i fondi di investimento internazionali?
STEFANO AGNOLI
@stefanoagnoli
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Foto: Eni Claudio Descalzi
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Dopo le nomine I piani (nascosti) da Eni a Poste
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Corriere Economia - N.17 - 12 maggio 2014
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La nuova sfida del seduttore è nella ripresa dell'Alfa
raffaella polato
I l grande seduttore ha perso il tocco magico? Sergio Marchionne investitori e mercati li ha sempre
conquistati con i fatti e, quando i fatti erano ancora solo previsioni, con il maggior capitale che un manager
possa avere: la credibilità. Esattamente ciò che gli analisti presenti a Auburn Hills martedì scorso hanno
messo in dubbio alla fine della maratona, traducendo subito - dal giorno dopo - quei dubbi in pratica con
massicce dosi di vendite in Borsa.
Vero, Fiat aveva corso talmente tanto che anche così resta un guadagno del 27% da inizio gennaio, del 30%
sui sei mesi, del 53% sull'anno. In tre giorni Piazza Affari ha però bruciato tutti i rialzi degli ultimi trenta. E
colpito Marchionne dritto dritto in uno dei suoi pochissimi lati deboli. Ditegli di tutto, e certo: magari (non è
detto) si infurierà. Ma quello che sul serio non accetterà mai è che a finire in discussione sia la sua - appunto
- credibilità.
Per carità, è stato il primo ad avvertire e rimane il primo ad ammettere che il piano Fca 2014-2018 «comporta
dei rischi, di timing ed esecuzione». Dopodiché: «Ridevano anche nel 2004, a Balocco, quando ho detto che
saremmo arrivati a tre miliardi di utili nel 2007. Però è quel che abbiamo fatto, no?». Sì. E tuttavia, oggi,
l'asticella pare più alta persino del 2004, quando nessuno credeva in una Fiat fuori dal fallimento, o della
replica 2009, quando al centro di scherni e scetticismi c'erano i brandelli di Chrysler. È più alta perché c'è un
intero gruppo da riconvertire sulla fascia premium: per la sola Audi, Volkswagen ci ha messo un decennio
abbondante. È più alta perché, ora come allora, il debito è elevato e Marchionne promette 55 miliardi di
investimenti - con i debiti azzerati per fine piano - ma «riservandosi» ancora di spiegare da dove arriveranno i
soldi. È più alta, infine, perché almeno altrettanto ambiziose sono le stime di vendita su cui ogni tassello del
piano si incastra: 7 milioni di auto, dai 4,4 del 2013. È qui, in definitiva, che si gioca la partita.
La scommessa, si è detto e stradetto, si chiama Alfa Romeo: saltasse il suo rilancio, sarebbero dolori per
tutto il gruppo e tutta la strategia. La carta non nascosta, né segreta, semplicemente per qualche strana
ragione finita in secondo piano si chiama invece Jeep e davvero può essere l'asso. A patto che Marchionne
vinca la sfida Cina: il raddoppio previsto là per il marchio Usa dipende in buona parte dallo sbarco concreto,
dopo decenni di ritardi e false partenze, di Fca nell'ex Celeste Impero. Quello è un mercato da 20 milioni di
auto che, per il 2021, la società di analisi Ihs vede in crescita di altri 10-11 milioni (la metà della crescita
mondiale). Tutta Fca, nel 2013, non ne ha piazzate più di 90 mila. Jeep - che non a caso ha lo stesso
responsabile dell'area Asia, Mike Manley - la differenza la può fare.
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L'analisi
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Paolo Panerai
Alì Babà (staccato e con gli accenti) era sempre rappresentato con i 40 ladroni. Senza accento e tutto
attaccato ( Alibaba) è il più grande sistema di e-commerce al mondo. Cinese, ma di fatto ormai americano e
giapponese. Non solo perché a possedere le quote più importanti sono l'americana Yahoo e la banca online
giapponese SoftBank, rispettivamente con il 22,6 e il 34%, ma anche perché, ormai, il collocamento è
avviato, si quoterà al Nasdaq di Wall Street e fra le banche che effettueranno il collocamento non c'è neppure
una banca cinese o di Hong Kong. Tutte americane ( Goldman Sachs, Jp Morgan, Morgan Stanley, Citigroup)
e solo una tedesca, Deutsche Bank. Si può pensare che il governo cinese sia contento di queste scelte del
fondatore, Jack Ma (nome tutto cinese, Ma Yung) e dei suoi soci? La domanda è retorica. A Pechino, sia
pure con diplomazia, nelle stanze del potere politico, economico e bancario, non si fa mistero che veder
trasformare in una società di fatto americana la piattaforma di e-commerce usata da 600 milioni di cinesi e
attraverso la quale passano circa 240 miliardi di dollari di transazioni non sia il miglior spettacolo che
avrebbero voluto vedere. Anche per un'altra ragione specifi ca: i vertici cinesi sanno che in futuro Alibaba si
orienterà sempre di più nella fi nanza. Le prove generali le ha fatte nell'imminenza dell'ultimo Capodanno
cinese che è caduto alla fi ne di gennaio. La piattaforma ha lanciato l'emissione di quote di un fondo
monetario, con taglio minimo anche di pochi renminbi, cioè l'equivalente di 2 o 3 euro. Cogliendo il desiderio
di fare regali a parenti e amici, che è tipico dei cinesi prima di Capodanno, quelle quote del fondo
(ribattezzato Yu'ebao) sono state un successo immediato. In un brevissimo lasso di tempo sono stati raccolti
49 miliardi di dollari, battendo ogni record di tempo per una tale raccolta. Pensare che Alibaba di fatto
americano possa raccogliere risparmio cinese da impiegare al di fuori dalla Cina non piace certo ai vertici
cinesi. Come non piace che di fatto, sia pure con un business model che trae il 60% dei ricavi dalla pubblicità,
Alibaba abbia una quota di mercato dell'e-commerce cinese pari all'80%. Non è certo l'ideale per uno Stato
che a partire dagli anni 90 ha smantellato molti monopoli, a cominciare da quello delle poste che
controllavano anche le telecomunicazioni, facendo nascere China Unicom, il primo a introdurre il cellulare
Gsm in Cina, e a seguire China Telecom, che ha gemmato China Mobile. Per tutti questi motivi, come nella
favola araba il taglialegna Alì Babà, nascosto sopra un albero ascolta il capo dei 40 ladroni e scopre la parola
magica (Apriti Sesamo) per entrare nella caverna dove i ladroni avevano ammassato tesori immensi, le
società più vicine allo Stato da tempo stanno studiando Alibaba per catturarne i segreti e costruire una
piattaforma B2B e una Bt2C assolutamente più performanti di Alibaba e capaci di diventare il riferimento
dell'e-commerce cinese. In cinque anni l'obiettivo è di arrivare a un giro d'affari reale di 150 miliardi di dollari,
ma con un business model assolutamente diverso da quello creato da Ma, basato non tanto sugli introiti dalla
pubblicità (solo il 20%) quanto sui ricavi per la vendita a 3 milioni di retailer (negozi) e a 170 milioni di famiglie
che hanno in casa i decoder di China Telecom. La sfi da inizierà a ottobre, poco tempo dopo la quotazione a
Wall Street di Alibaba. E sarà una sfi da senza esclusione di colpi. Anche perché l'idea agevolata dal governo
cinese si pone l'obiettivo di avere una sistema di distribuzione capillare che oggi in Cina non esiste. Lo sanno
bene gli esportatori italiani (e non solo) con quale diffi coltà si riesce a coprire tutta la Cina. Un'operazione fi
nora impossibile per la vastità del territorio e per la particolarità del sistema di abitazione al di fuori delle città.
Con la piattaforma agevolata dal governo che è in avanzata preparazione, sfruttando la rete a banda larga di
cui il vecchio Impero celeste si è dotato, sarà possibile coprire ogni parte della Cina. Sarà quindi una vera
rivoluzione di segno completamente opposto al tentativo fatto dal governo della Turchia, che ha investito
capitali enormi senza riuscire a ottenere risultati di vendita adeguati dei prodotti turchi. Semplicemente per un
motivo: perché c'era la piattaforma di distribuzione ma mancavano e mancano i compratori, che possono
essere privati cittadini (e allora occorre avere la capacità di attrarli con un servizio perfetto) oppure negozi
anche atipici come un albergo, un circolo del golf e via dicendo. A un probabile fallimento appare indirizzata
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anche la piattaforma Storytalia fatta nascere dalla Confi ndustria per aiutare le piccole e medie aziende a
esportare, avendo come operatore le Poste Italiane, che sicuramente sono preparate sul piano tecnologico
(grazie all'ex ad, Massimo Sarmi) ma non su quello commerciale fuori dall'Italia. La piattaforma è stata in
gestazione quattro anni e contrariamente a quanto era stato dichiarato un anno fa non comincerà a operare
in Cina (il più grande mercato del mondo) bensì in Europa. Per fortuna degli aderenti alla Confi ndustria è
stata abbandonata, dopo alcune aperture sperimentali, l'idea di vendere attraverso una serie di negozi.
L'esito del test è stato fortemente negativo e per questo si è passati al web per il tessile-abbigliamento,
calzature, profumeria e occhialeria. La gestione del sito sarà affi data a Postecom, la società di Poste
specializzata nei servizi web e di logistica. Nel 2016 dovrebbe esserci lo sbarco un Usa, ma le previsioni di
ricavi sono modeste: 10 milioni di euro in più anni. Se vogliamo, quello di Storytalia è un esempio
emblematico di come, escluso Yoox, realizzato con grande abilità da Federico Marchetti, in Italia la cultura
dell'e-commerce sia ancora agli albori. A parte Yoox ci sono alcune piattaforme che imitano quanto fatto
all'estero, come Saldi Privati, che imita Vente Privée francese, oppure altri piccoli che imitano Saldi Privati.
Sicuramente il più avanti di tutti, a parte l'imitazione del sito di maggior successo francese ora sbarcato anche
in Italia, è Paolo Ainio con Saldi Privati, ma nonostante la sua esperienza di pioniere (è stato il fondatore di
Matrix e di Virgilio) ha qualche diffi coltà a raggiungere una dimensione signifi cativa. E quando Ainio parla di
borsa, lo fa per Banzai, la holding che include non solo Saldi Privati ma una serie di siti o portali, da Zafferano
(cucina) a Studenti.it, al Post, in cui per sostenerne l'audience è stato fuso Soldionline, che faceva utenti unici
con molte altre cose al di là della fi nanza. In Cina il fenomeno e-commerce è esploso ed esploderà molto
presto, ancora di più perché di fatto il Paese ha saltato vari passaggi della tecnologia e oggi è, come succede
in questi casi, all'avanguardia. Soprattutto i suoi abitanti fanno quasi tutto con gli smartphone, quindi in
movimento. I cinesi che hanno un computer non sono moltissimi, perché la scelta degli smartphone è
(continua a pagina 4) stata indirizzata dalla bravura di Samsung, la grande casa coreana che ha prodotto
telefoni di dimensione nettamente superiore a quelli in uso in Occidente, a metà strada fra il tablet e il
telefono, quindi con uno schermo suffi ciente a vedere la televisione o appunto a fare tutte le operazioni di ecommerce. Ma i cinesi sono un po' diffi denti e quindi quando con lo smartphone hanno individuato il prodotto
che gli interessa, se è un prodotto di qualità e costoso cercano di andare a vederlo fi sicamente in un
negozio. Il dato emerge da una approfondita analisi condotta da Havas, la grande società di pubblicità e
marketing, controllata da Vincent Bolloré. Per questo la formula a cui sta pensando il governo cinese con 3
milioni di retailer sembra avere grandi chance di tagliare la strada ad Alibaba. Se l'Italia è in arretrato per
l'esistenza di forti piattaforme di e-commerce multi prodotto, è invece al passo per le piattaforme private dei
grandi brand, specialmente del fashion. Sta avendo un signifi cativo successo The Luxer, realizzato da Tod's.
Il fatturato dei primi mesi è stato già di alcuni milioni. In questo caso è stata capitalizzata l'esperienza
negativa fatta alcuni anni fa da Diego e Andrea Della Valle in società con Luca Cordero di Montezemolo: il
portale che avevano creato fu chiuso dopo alcuni mesi e perdite non indifferenti. Sulla scia di Tod's ci sono
molti altri marchi italiani che cercano di pareggiare i conti con iniziative e-commerce dei grandi brand
stranieri. Il più forte di tutti, come pure nel commercio fi sico con centinaia e centinaia di boutique, è Bernard
Arnault, il quale con la enorme disponibilità di capitali che ha, da anni aveva creato fondi specializzati nella
nuova tecnologia e in particolare nell'e-commerce. Mentre Giorgio Armani si è appoggiato per primo su Yoox,
ora anche Prada ha un ecommerce dinamico esclusivamente per i suoi brand. Naturalmente con l'ecommerce si sviluppa anche l'attività internazionale. Proprio per questo motivo i progetti cinesi non
prevedono di inserire sulle loro piattaforme i grandi brand, ma i secondi di qualità. Una straordinaria
opportunità, in questo caso vera, per le centinaia di migliaia di piccole e medie aziende italiane. Purché
possano dire che i loro prodotti sono made in Italy. (riproduzione riservata) segue da pagina 3
FTSE MIB DELLA SETTIMANA
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Atlantia -0,11 Autogrill -2,91 Azimut -8,41 A2a -2,32 B Pop Milano -6,10 Bco Popolare -11,55 Bper -8,94
Buzzi Unicem -0,54 Campari -0,40 Cnh Industrial -5,78 Enel +3,20 Enel G. Power +3,37 Eni +1,12 Exor -4,67
Ferragamo -0,66 Fiat -13,55 Finmeccanica -9,70 Generali -1,31 Gtech +0,05 IntesaSanpaolo -2,60 Luxottica
-1,05 Mediaset -6,37 Mediobanca -8,80 Mediolanum -2,20 Moncler -2,28 Mps -4,22 Pirellie C. -1,81 Prysmian
-13,45 Saipem +0,30 Snam +3,51 Stm +1,39 Telecom Italia +1,02 Tenaris -0,68 Terna +0,46 Tod's +0,40 Ubi
Banca -6,11 Unicredit -2,89 UnipolSai -2,41 World D. Free -3,57 Yoox -10,07 FTSE All Share -1,89 FTSE Mid
Cap -2,76
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ALLORA RIDATECI L'IMU ECCO QUANTO COSTANO LA NUOVE TASSE
SULLA CASA
Teresa Campo
ALLORA RIDATECI L'IMU ECCO QUANTO COSTANO LA NUOVE TASSE SULLA CASA alle pagine 24 e
25 Premesso che le nuove tasse non piacciono a nessuno, la debuttante Tasi è riuscita come nessun'altra
imposta a fare subito il pieno di critiche. Intanto non si capisce come funziona, ma bisognerà chiarirsi le idee
in fretta perché la prima rata scade il 16 giugno e chiunque possiede un immobile dovrà pagarla. Non solo:
sull'abitazione principale la Tasi verrà in molti casi a costare più della precedente Imu che va a sostituire e
comunque presenterà differenze ingiustificate da un Comune all'altro a seconda delle detrazioni fissate. Infine
la Tasi (sommata alla Tari e all'Imu) farà aumentare del 28% il carico fiscale che grava complessivamente
sugli immobili, ovvero considerando anche le imposte sull'acquisto e sull'affitto di un cespite. Uno strano
risultato per una riforma che si proponeva di eliminare la tassazione almeno sulla prima casa. Più in dettaglio,
la Tasi (Tassa sui Servizi Indivisibili) insieme con la Tari (la ex Tares, ovvero l'imposta sui rifiuti) e con l'Imu
vanno a costituire la Iuc, l'Imposta Unica Comunale (detta anche service tax), che accorpa tutte le tasse locali
relative agli immobili commerciali e abitativi. Dovrà pagarla chiunque possieda un immobile o lo occupi in
affitto. Come premesso, prima ancora di pagarla, la tortura è capire come funziona: si paga l'1 per mille
l'anno, aumentabile fino al 2,5, che può però salire di un ulteriore 0,8 arrivando al 3,3, ma lo 0,8 deve essere
ripartito tra abitazioni principali e non. Sulle seconde case invece la Tasi si somma all'Imu ma non deve
superare l'1,06%, anche se poi può arrivare fino all'11,4, sempre per mille. Insomma un bel rebus. Per
capirne di più occorre procedere per gradi. L'imposta va calcolata sulla stessa base imponibile dell'Imu,
ovvero il valore catastale rivalutato del 5% e poi del 60. Per l'abitazione principale la Tasi sostituisce l'Imu,
mentre sugli altri immobili si somma all'Imu. Lo Stato ha fissato le aliquote minime e massime applicabili,
lasciando però molta libertà ai Comuni nel fissare sconti e agevolazioni. Il risultato è che per la prima casa
l'aliquota può variare dall'1 al 2,5 per mille, ma i Comuni possono aggiungere un ulteriore 0,8 per mille
portandola al 3,3. L'eventuale 0,8 è destinato al cosiddetto fondo per le detrazioni, un gruzzoletto da cui i
Comuni possono attingere per eventuali detrazioni alle fasce più deboli della popolazione, tanto più che la
Tasi non prevede sgravi di sorta, mentre l'Imu prima casa godeva di detrazioni di 200 euro più 50 euro per
ogni figlio convivente sotto i 26 anni. Anche per le seconde case la Tasi può andare dall'1 al 2,5 per mille, ma
la somma delle aliquote di Tasi e Imu non può superare il 10,6 per mille. Anche in questo caso i Comuni
possono applicare lo 0,8 per mille aggiuntivo portando il totale all'11,4. Lo 0,8 per mille deve però essere
ripartito tra prime e seconde case: i Comuni non possono alzare entrambe le aliquote di tale percentuale,
quindi se la utilizzano tutta per l'abitazione principale, non possono toccare l'aliquota degli altri immobili e
viceversa. In soldoni il risultato è che paradossalmente, rispetto alla precedente Imu, a bocce ferme (ovvero
senza le detrazioni) il nuovo meccanismo favorisce le abitazioni di maggior valore, che andranno a spendere
meno rispetto a prima. Per esempio, una casa A/2 a Bologna pagava 643,3 euro di Imu (detrazioni incluse),
mentre ora scenderà a 556,6. Al contrario una casa di classe A/3, quindi in genere di minor valore, salirà da
225 a 280 euro. Tutto può cambiare però a seconda di aliquote e detrazioni previste dai Comuni, che hanno
tempo fino al 31 maggio per renderle note. Se allo scadere del termine il Comune di riferimento non lo avrà
fatto, l'imposta sulla prima casa si pagherà in unica rata a dicembre 2014, mentre per le seconde case si
applicherà un'aliquota standard dell'1 per mille con conguaglio sempre a dicembre. Fare i calcoli non sarà
facile: a Bologna, per esempio, sono state fissate 23 detrazioni diverse in base alla rendita catastale
dell'immobile. Quanto alle aliquote, da una prima proiezione della Uil, su una ventina di capoluoghi che hanno
già deliberato in merito risulta che solo Aosta e Pordenone hanno optato per l'1 per mille di base, mentre tutti
gli altri hanno deciso degli aumenti. Milano ha scelto il 2,5 per mille, Cagliari il 2,1, Bologna e Piacenza
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GIUNGLA FISCALE
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pensano addirittura al 3,3 per mille. Del resto è noto che le casse dei Comuni sono vuote. Attenzione infine:
per gli immobili affittati all'ente locale spetta anche definire in che misura gli inquilini devono contribuire al
pagamento della Tasi, considerando che la loro quota può spaziare dal 10 al 30%. L'imposta si paga
attraverso il modello F24, ma diversi Comuni invieranno a casa dei contribuenti i modelli già compilati per il
versamento dell'imposta. Ci sono poi Imu e Tari. Scomparsa per le prime case (tranne che quelle di lusso,
cioè categorie A/1, A/8 e A/9), l'Imu resta per le altre abitazioni di proprietà. Per l'abitazione principale di lusso
si paga il 4 per mille più una possibile addizionale del 2 per mille a discrezione dei Comuni. Sono previste
detrazioni fino a 600 euro a seconda del reddito e del numero di figli a carico. Le seconde case e gli immobili
commerciali pagano invece il 7,6 per mille, che scende al 2 (più l'1 per mille eventuale) per i fabbricati rurali e
i terreni. Anche l'Imu si paga il 16 giugno e il 16 dicembre 2014. Quanto alla Tari, la tassa sui rifiuti che ha
sostituito la Tares, si applica su tutti gli immobili suscettibili di produrre rifiuti urbani eccetto le aree scoperte
pertinenziali. È composta di una quota fissa e di una variabile. La prima va a coprire i costi fissi del servizio, la
seconda la sua fruizione da parte del contribuente. Le utenze domestiche pagano in funzione dei metri
quadrati e del numero dei componenti il nucleo familiare. L'imposta si paga alle scadenze stabilite dal
comune che deve assicurare almeno due rate semestrali (non coincidenti con Imu a Tasi) e che invierà i
bollettini precompilati. Entro il 30 giugno 2014 il ministero dell'Ambiente dovrebbe approvare un nuovo
regolamento per determinare le nuove tariffe della Tari. Dunque il passaggio dall'Ici all'Imu e poi lo split in
Tasi e Tari costerà caro al contribuente. Quanto caro lo ha calcolato la Cgia Mestre che rispetto al 2013, per i
proprietari di immobili quest'anno stima un aggravio di 4,6 miliardi di euro (in buona parte dovuti alla Tasi),
arrivando a 32,5 miliardi. Ma oltre a quelle sul possesso, sulla casa gravano anche imposte legate all'acquisto
e all'affitto. Sommandoli il carico fiscale rischia di superare i 53 miliardi qualora l'aliquota media della Tasi
sulle prime case si attestasse al 2 per mille. In realtà le altre due tipologie di imposta sono aumentate di poco,
se non si sono addirittura ridotte. Negli ultimi sette anni il prelievo complessivo legato all'affitto degli immobili
è aumentato di poco (+1%), mentre quello riferito ai trasferimenti di proprietà è sceso del 23%, a seguito della
fortissima crisi che il mercato immobiliare ha subito in questi ultimi anni. Tra l'altro da gennaio sono state
anche ridotte le tasse per l'acquisto dell'abitazione principale, compensate però dall'aumento per l'acquisto di
altri immobili. Dunque solo il gettito riconducibile al possesso dell'immobile ha subito un vera e propria
impennata: ipotizzando che nel 2014 l'aliquota media Tasi sull'abitazione principale si attesti al 2 per mille, dal
2007 a oggi il prelievo risulta quasi raddoppiato. Buona parte dell'aumento deriva dall'introduzione della Tasi
che appesantirà il prelievo fiscale soprattutto su seconde case e immobili a uso produttivo. (riproduzione
riservata) Fonte: Cgia Mestre
IL PESO TOTALE DEL FISCO SUGLI IMMOBILI
Ma sulle spese di ristrutturazione edilizia il Fisco è alquanto generoso
Asorpresa esiste anche un volto generoso del fisco. Si chiama bonus per le ristrutturazioni edilizie. In realtà
esiste da molti anni, e ha sempre riscosso grande successo, ma per dare una mano ulteriore al settore
dell'edilizia e ai consumi, a partire dalla metà del 2012 e per tutto il 2014 è stato innalzato dal precedente 36
fino al 50 e addirittura al 65% per i lavori finalizzati al risparmio energetico. Non solo, è anche stato esteso a
elettrodomestici e mobili fino a un massimo di 10 mila euro di spesa. Il tutto con risultati entusiasmanti. La
spesa delle famiglie per ammodernamenti edilizi e per lavori volti a risparmiare sull'energia consumata dalle
proprie abitazioni (accrescendone, così il valore) nel 2013 è arrivata a 28 miliardi di euro, ovvero circa due
punti di pil. Di questi, 4,8 sono andati allo Stato sotto forma di gettito Iva. Ancora meglio è andata nei primi
due mesi del 2014, che ha visto un'ulteriore impennata del ricorso ai bonus. A oggi, al netto dell'Iva, sono
stati effettuati lavori per 5,7 miliardi di euro, di cui 4,5 solo a gennaio, il 54% in più rispetto ai primi due mesi
del 2013. Il tutto, secondo l'autore del bonus ristrutturazione, il ministro delle Infrastrutture e
Dati in milioni di euro * Con aliquota media Tasi sull'abitazione principale all'1‰ ** Con aliquota media Tasi
sull'abitazione principale al 2‰ Gettito legato alla redditività IRPEF IRES Registro e bollo (locazioni) Cedolare
secca Totale (a) Gettito legato al trasferimento IVA Registro e bollo (trasfer.ti) Ipotecaria e catastale
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Successioni e donazioni Totale (b) Gettito legato al trasferimento Totale generale (a)+(b)+(c1) TOTALE
GENERALE (a)+(b)+(C2) Gettito legato al possesso IMU/ICI Imposta di scopo Maggiorazione TARES
Prelievo rifiuti TASI 1‰ TASI 2‰ Totale (c1) Totale (C2)
dei Trasporti Maurizio Lupi, con la creazione di 226.339 posti di lavoro. Non a caso all'esame delle
commissioni Lavori pubblici e ambiente del Senato sono già una serie di emendamenti al Piano Casa che
ampliano le modalità di utilizzo del bonus per mobili ed elettrodomestici; in particolare, la detrazione del 50%
per il loro acquisto non sarà più subordinata al valore di ristrutturazione dell'immobile. Potrebbe sparire, poi, il
tetto dei 10 mila euro di spesa. Ecco comunque, relativamente all'anno 2013, e quindi alla dichiarazione dei
redditi che ci si appresta a compilare, quali sono le spese che è possibile portare in detrazione. Hanno diritto
all'aliquota premiante del 50% di detrazione su quanto pagato i contribuenti che hanno effettuato:
•manutenzione straordinaria su singole unità immobiliari residenziali (o di diversa categoria, se oggetto di
trasformazione in residenziale); •manutenzione ordinaria e straordinaria su parti comuni di edifici residenziali
(parti condominiali); •restauro e risanamento conservativo; •ricostruzione o ripristino dell'immobile a seguito di
eventi calamitosi; •costruzione di autorimesse o posti auto con vincolo di pertinenzialità (esclusivamente il costo sostenuto per la realizzazione). Possono
beneficiare della detrazione i proprietari o titolari di altro diritto reale (come usufrutto e diritto d'abitazione)
dell'immobile oggetto di ristrutturazione, conduttori o comodatari (con l'accordo ai lavori da parte del
proprietario) o coloro che abbiano la piena disponibilità del bene se familiari conviventi (con residenza fiscale
coincidente) del proprietario. Come accennato nel corso degli anni, l'entità della detrazione ha visto numerosi
cambiamenti, con aliquote più o meno vantaggiose: •36% per spese sostenute nel 2004 e 2005 e dall'ottobre
2006 a giugno 2012; •41% per spese sostenute da gennaio a settembre 2006; •50% per le spese sostenute
da giugno 2012 (aliquota tuttora in vigore). Anche l'importo massimo detraibile per ogni singola unità
immobiliare ha subito variazioni nel corso degli anni, portandolo dai 48 mila euro massimi per le spese
sostenute entro il 25 giugno 2012 ai 96 mila euro per le spese sostenute a partire dal 26 giugno 2012 (limite
tuttora valido).
La spesa è detraibile in dieci rate annuali (se sostenuta nel 2013 la prima rata sarà riportata appunto nella
dichiarazione 2014, quella di quest'anno, mentre l'ultima sarà detratta nella dichiarazione del 2023). La
facoltà di portare in detrazione negli anni tali spese è legata all'effettiva disponibilità di tale bene, quindi se
l'immobile viene ceduto le detrazioni si trasferiscono all'acquirente, salvo diversi accordi tra le parti che vanno
indicati per iscritto, mentre in caso di morte del proprietario i diritti alla detrazione sono trasferiti unicamente
all'erede che entra in disponibilità del bene. Quanto ai documenti da conservare e alla modalità di pagamento
per maturare il diritto alla detrazione, il procedimento è diventato più snello rispetto al passato: scompare
l'obbligo della comunicazione al Centro operativo di Pescara e il dettaglio della manodopera pagata. Occorre
avere invece regolare fattura ed effettuare il pagamento con bonifico ad hoc per le spese di ristrutturazione
(con relativa ritenuta d'acconto effettuata dalla banca al beneficiario) ove sono indicati i dati di chi sostiene la
spesa e chi riceve il pagamento. (riproduzione riservata)
LE IMPOSTE DA PAGARE CON L'INTRODUZIONE DELLA TASI
Fonte: Nomisma BOLOGNA FIRENZE MILANO NAPOLI PALERMO ROMA 643,3 274,1 585,9 290,3 77,3
422,6 1.787,8 1.005,1 1.666,1 1.039,4 587,8 1.319,8 556,6 312,9 518,7 323,6 183,0 410,9 1.922,7 1.080,9
1.791,9 1.117,8 632,2 1.419,4 421,6 237,0 393,0 245,1 138,6 311,3 1.787,8 1.005,1 1.666,1 1.039,4 587,8
1.319,8 474,6 179,3 428,7 192,2 21,8 298,0 1.619,1 910,3 1.509,0 941,3 532,4 1.195,3 168.659,03
94.819,28 157.183,41 98.055,16 55.453,14 124.511,84 BOLOGNA FIRENZE MILANO NAPOLI PALERMO
ROMA 225,4 176,0 139,1 65,4 266,2 901,9 797,2 718,8 562,7 347,2 988,4 280,8 248,2 223,8 175,2 108,1
307,7 969,9 857,4 773,0 605,2 373,4 1.063,0 212,7 188,0 169,5 132,7 81,9 233,1 901,9 797,2 718,8 562,7
347,2 988,4 140,3 100,8 71,2 12,3 173,0 816,8 722,0 651,0 509,6 314,5 895,1 85.081,64 75.207,09
67.811,27 53.086,17 32.756,09 93.243,46 4 per mille* 9,6 per mille Base imponibile media UNITÀ A2 5 per
mille* 10,6 per mille 2,5 per mille 10,6 per mille 3,3 per mille 11,4 per mille 4 per mille* 9,6 per mille Unità A3
10/05/2014
Milano Finanza
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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UNITÀ A3 5 per mille* 10,6 per mille 2,5 per mille 10,6 per mille 3,3 per mille 11,4 per mille GRAFICA MFMILANO FINANZA Abitazione principale Altre abitazioni Abitazione principale Altre abitazioni * Detrazione
200 euro Dati in euro TASI-IMU 2014 IMU 2013
10/05/2014
Milano Finanza - N.91 - 10 maggio 2014
Pag. 8
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Antonio Satta
Dovrebbe essere il tema centrale della campagna elettorale, ma a riportare l'attenzione sulla partita in gioco
con le prossime elezioni europee più che le parole dette dai politici nei comizi o in tv, sono quelle scritte sulla
carta dei libri appena usciti. La saggistica in materia si è fatta ricca a ridosso della prova elettorale. Ha
cominciato l'ex ministro, Giulio Tremonti, con il suo Bugie e Verità La ragione dei popoli, un volume che in
parte è manifesto politico per un nuovo centrodestra. Ma al netto delle motivazioni palingenetiche, Bugie e
Verità è l'occasione per l'ex ministro di togliersi dalle scarpe un'intera carriola di ghiaia, contro i governi di
Prodi e Ciampi che portarono dentro l'euro un'Italia impreparata e con conti manipolati da «manovre di
estetica contabile», per lasciarla poi «intrappolata e spiazzata dalla nuova moneta che si sarebbe dimostrata
troppo forte per un'economia debole». E tutto questo sarebbe avvenuto sotto la regia della Germania e dei
Paesi satelliti. Tremonti, però, ce l'ha soprattutto contro «il golpe dolce», dell'estate 2011, che per forzare la
mano all'Italia (e quindi allo stesso Tremonti) che si opponeva al meccanismo del Fondo Salva-stati, costruì
una «falsa catastrofe» finanziaria. Tanto per dirne una, dopo il G20 di Cannes del novembre 2011, «la
principale piattaforma elettronica per la negoziazione dei titoli pubblici italiani Lch-Clearnet senza ragione e
improvvisamente ha alzato i richiesti margini di garanzia sui titoli italiani». E del «golpe dolce» l'elemento
chiave fu la lettera della Bce del 5 agosto 2011, sulla genesi della quale però è più illuminante un altro libro,
La lunga notte dell'euro, racconto della lunga crisi da cui non siamo usciti fatto da due giornalisti attenti, come
Alessandro Barbera della Stampa e di Stefano Feltri del Fatto quotidiano. Quella lettera, ricordano, spiazzò
Tremonti, che non era stato informato, ma non Silvio Berlusconi, che ne trattò parte dei contenuti tramite
Gianni Letta. Non solo, nei passaggi successivi del «golpe dolce» mentre Tremonti si opponeva al pressing
delle diplomazie continentali e delle istituzioni finanziarie Ue perché Italia e Spagna chiedessero l'aiuto del
Fmi (alla fine a cedere sarà Madrid). Una pressione alla quale Berlusconi stava per dire di sì, bloccato in
extremis dal ministro, convinto che esistessero «forme migliori di suicidio». Una strategia divergente, quella
fra premier e il suo plenipotenziario all'Economia, che quel golpe l'ha sicuramente favorito e che nasce anche
da retroscena (smentiti da Tremonti, ma avvalorati da altre fonti), che vedevano il ministro pronto a succedere
al Cavaliere. Gelosie e complotti più o meno reali, sono però solo uno dei tanti errori compiuti dall'Italia che si
aggiungono alla moltitudine di altre scelte sciagurate del resto delle cancellerie che hanno portato, come
ricordano Barbera e Feltri, alla situazione attuale di un'Unione che ha compiuto la più grande cessione di
sovranità nazionale (monetaria e fiscale) mai realizzata in tempo di pace, senza però dar vita a una politica e
soprattutto ad un governo comuni. Un quadro che emerge anche da un terzo libro suscito in questo giorni.
L'autore è Lorenzo Bini Smaghi, già membro del direttivo Bce. In Europa, sostiene è «diventato sempre più
complicato capire chi esercita il potere. Quando qualcosa va male, invece, è facile addossare all'Europa
responsabilità che non ha, ed è facile cadere nell'inganno per chi non ha una piena com prensione dei
meccanismi decisionali europei». Ed è per questo motivo che Bini Smaghi ha deciso di sfatare 33 false verità
sull'Europa. Uno sforzo, quello di sfrondare il dibattito da demagogie elettorali e preconcetti, compiuto anche
da Roberto Sommella, direttore della Comunicazione dell'Antitrust, che le vicende dell'euro ha seguito a
lungo da condirettore di MF-Milano Finanza. L'euro è di tutti è il titolo del suo e-book, scaricabile da
europaquotidiano.it, e introdotto da una prefazione di Matteo Renzi. «L'euro è di tutti ma ancora nessuno lo
sa perché con la moneta unica ci hanno guadagnato in pochi», è la tesi di Sommella, che aggiunge
«nonostante tutto deve prevalere l'ottimismo, facendo tesoro di quanto avvenuto negli Stati Uniti dopo la
guerra di indipendenza, quando il ministro del Tesoro dell'epoca, Alexander Hamilton, riuscì a far passare la
linea della condivisione dei debiti e dell'emissione di titoli federali: nacque in quel momento l'America che
conosciamo. L'Europa deve seguire la stessa strada». (riproduzione riservata)
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La moneta unica e il futuro del Continente. Il dibattito è in libreria
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SuperMario serve a poco
Guido Salerno Aletta
Igesti di eroismo restano nella cronaca; la storia è fatta di vittorie e sconfitte. All'intera Unione europea, anche
in politica monetaria, serve una nuova intelligenza strategica che metta al bando improvvisazioni ed errori di
questi anni. Non solo i danni inferti al sistema produttivo e all'occupazione dalle politiche deflazionistiche
sono irreversibili, ma l'inflazione nell'eurozona, mai così bassa, mina profondamente le stesse capacità
operative della Bce. Ci siamo affidati troppo ai salvataggi in extremis compiuti dal presidente della Bce Mario
Draghi, a cominciare dalle due Ltro varate a cavallo tra dicembre 2011 e febbraio 2012 per evitare il collasso
delle banche di alcuni Paesi, tra cui l'Italia, che avevano subito un drenaggio di capitali inusitato. Il sistema
Target 2 evidenziava per l'Italia un saldo attivo per 9 miliardi di euro nel maggio 2011 (ed era in surplus dal
2001),e un disastroso -289 miliardi ad agosto. Il secondo intervento, anche questo fatto in condizioni di
allarme rosso sui mercati, fu il discorso di Londra del 26 luglio 2012, quando sfidò la speculazione a non
proseguire negli attacchi a taluni titoli pubblici, annunciando che nei limiti del proprio mandato avrebbe
assunto ogni decisione possibile. Il settembre successivo, la Bce varò il programma Omt, vera a propria
«arma fine di mondo» che consentiva alla Bce di comprare senza limiti i titoli di alcuni Stati se le tensioni sul
mercato avessero portato i rispettivi rendimenti a livelli incompatibili con la politica monetaria. Da allora, la
Bce si è occupata più di stabilità del sistema bancario e di coinvolgimento dei privati in eventuali dissesti,
concentrandosi su un esercizio preventivo e straordinario di sorveglianza unificata, che si concluderà a
novembre di quest'anno. In politica monetaria si è limitata a ridurre il tasso di riferimento, portandolo prima
allo 0,5% e poi allo 0,25% con due decisioni assunte l'8 maggio ed il 13 novembre 2013. Da allora, e sono
passati sei mesi, si è in attesa di immissioni straordinarie di liquidità. Nessuno sa esattamente di cosa si
potrebbe trattare: si va da un rinnovo delle Ltro a un sistema di funding for lending stile Banca d'Inghilterra,
dall'acquisto di crediti bancari alle pmi già cartolarizzati ai tassi negativi sui depositi a riserva non obbligatoria.
Comunque sarà l'ennesimo palliativo, se mancherà una nuova strategia economica nell'Eurozona. Dai numeri
emergono tre paradossi. Anzitutto c'è un conflitto latente tra politica valutaria e decisioni prese per chiudere il
gap dei conti con l'estero, anche infra-Ue, di molti Paesi dell'euro. Se giovedì scorso, al termine del Direttivo
Bce, anche Draghi si è detto molto preoccupato di un euro troppo forte, va rilevato che il saldo complessivo
delle bilance dei pagamenti correnti dell'Eurozona è in attivo del 3,5% del pil dell'area e che ciò deriva non
solo dall'attivo del 6% della Germania, ma dall'enorme contrazione dell'import europeo determinata dalle
manovre restrittive di questi ultimi anni. Si è fatto della deflazione competitiva il driver per risanare i conti con
l'estero, dentro e fuori l'Eurozona. Un attivo strutturale dei conti con l'estero è difficilmente conciliabile con
una svalutazione tout court dell'euro; anzi è il miglior viatico per un ulteriore indebolimento del dollaro. Il fatto
invece che l'attuale cambio, stabilizzatosi intorno a 1,40, sia penalizzante per l'economia italianae premiante
per quella tedescaè un problema tutto interno all'Eurozona. Non sono certo gli Usa a poterlo risolvere. C'è
quindi una contraddizione ancora più generale: se si rimprovera ancora alla Cina di non fare abbastanza per
il riequilibrio globale dei saldi con l'estero sebbene abbia fatto crollare l'avanzo di parte corrente sul pil dal
10,1% del 2007 al 2,3% del 2012,è incredibile che la strategia europea punti a sua volta a un avanzo
strutturale. L'Europa concorre agli squilibri planetari e scarica all'esterno le sue contraddizioni. Il secondo
paradosso riguarda le relazioni tra un'inflazione strutturalmente più bassa rispetto all'obiettivo del 2% e le
strategie di riduzione prospettica dei rapporti debito/pil adottate con il Fiscal Compact. L'inflazione
nell'Eurozona è in costante calo dal 2012, passando dal 3 allo 0,5% di quest'anno. Gli effetti di tale situazione
sono evidenti. Si pensi all'Italia: sebbene sia quasi in pareggio strutturale, il rapporto debito/pil cresce ancora,
soprattutto per via della bassa inflazione. Se questa fosse al 2 anziché all'1% come si prevede per il 2014, e
considerando che il pil crescerà dello 0,8% in termini reali, ne deriva che il pil nominale crescerebbe del 2,8%
e non dell'1,8%. Il rapporto debito/pil sarebbe automaticamente inferiore. Poiché nel Def 2014 si prevede che
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PARADOSSI
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il deflatore del pil italiano cresca all'1,2% nel 2015 e si stabilizzi all'1,5% fino al 2018, c'è da mettere in conto
un aumento ancora notevole del rapporto debito/pil legato alla sola bassa inflazione. In pratica, un
meccanismo di riequilibrio basato sui rapporti tra debito e pil nominali, con un'inflazione a lungo sotto
l'obiettivo del 2%, rende ancora più oneroso stabilizzare e ridurre il debito. Il terzo e ultimo paradosso è la
quello tra la caduta dell'inflazione nell'Eurozona e il ribasso del tasso di riferimento da parte della Bce. Infatti,
quando a maggio 2013 questo tasso fu portato dallo 0,75 allo 0,50%, l'inflazione nell'Eurozona era dell'1,4%:
il tasso di riferimento era quindi più basso dell'inflazione dello 0,9%.A novembre scorso, quando il tasso fu
ridotto allo 0,25%, l'inflazione era calata allo 0,9%. Il differenziale si era ridotto quindi allo 0,65%. Lo scorso
aprile, ultimo dato comparabile fornito dalla Bce, l'inflazione è stata dello 0,7% (dopo aver toccato lo 0,5% in
marzo), per cui il differenziale è sceso ancora, allo 0,45%. Il vantaggio di un tasso di riferimento molto basso
si è dimezzato: in meno di un anno, lo spread sull'inflazione è passato dallo 0,9 allo 0,45%. L'inflazione è
scesa più velocemente dei tassi, fermi da novembre, e quindi anche l'efficacia di tale decisione si è molto
ridotta. Nemmeno il sistema bancario ha ricevuto aiuti dalla Bce: la supervisione straordinaria sui bilanci ha
reso ancora più prudenti le banche; l'aumento delle sofferenze si è fermato solo perché ormai sono calcolate
al netto di assete crediti inesigibili; gli aumenti di capitale in programma serviranno a rafforzare i ratio, non ad
aumentare il credito. Non si possono sanare gli squilibri sull'estero dei Paesi in deficit con la deflazione,
registrare quindi un attivo commerciale verso il resto del mondo e ritenere che l'euro troppo forte sia frutto di
un destino cinico e baro. Non si possono risanare i conti pubblici e ridurre il debito nominale con politiche
depressive che abbattono l'economiae anche l'inflazione, spingendola ben sotto il 2%. Non si possono
comprimere salari e prezzi per essere più competitivi e poi accorgersi che con un'inflazione così bassa i tassi
rasoterra della Bce non servono. A giugno si prevede che la Bce prenda altre decisioni straordinarie. Ma se
prima non si eliminano le contraddizioni di fondo delle politiche europee, sarà solo un beau geste.
(riproduzione riservata)
PERCHÈ L'EURO NON VUOLE SAPERNE DI INDEBOLIRSI Surplus corrente di Eurolandia in % sul pil
GRAFICA MF-MILANO FINANZA
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Milano Finanza - N.91 - 10 maggio 2014
Pag. 14
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Il rischio paga più del 5%
Stefania Peveraro
Continua la discesa dei rendimenti dei bond governativi dell'area euro. Quelli dei Paesi periferici ogni giorno
segnano nuovi minimi. Tanto che gli investitori internazionali sono sempre più propensi a comprare titoli high
yield, cioè ad alto rischio e quindi ad alto rendimento, per portare a casa guadagni più ricchi di quelli ormai
risicati offerti anche dagli emittenti dei Paesi più indebitati, siano questi i governi o le società o banche con un
buon merito di credito. Per questo l'attenzione è sempre più spostata sugli emittenti con rating sotto
l'investment grade o su emissioni subordinate o ibride. Corsa ai fondi specializzati. Così non stupisce che nei
primi quattro mesi dell'anno gli afflussi di capitali ai fondi che investono in titoli high yield europei continuino a
crescere. Secondo i calcoli settimanali di JP Morgan, l'ultima settimana di aprile questi fondi hanno raccolto
l'equivalente di altri 120 milioni di dollari, compresi 36 milioni di afflussi netti agli Etf sui titoli ad alto
rendimento. Si tratta della 34a settimana consecutiva in cui si registrano afflussi netti a questi fondi, per un
totale da inizio anno di ben 6,35 miliardi di dollari contro gli 8,3 miliardi raccolti in tutto il 2013. D'altra parte,
come si evidenzia nelle tabelle in pagina, i fondi specializzati hanno già dato grandi soddisfazioni ai
sottoscrittori. I rispettivi rendimenti in soli 4 mesi si sono collocati, per i migliori gestori, tra il 5 e il 6% e in un
anno hanno superato il 12%. In particolare, nella classifica brillano i fondi dell'italiana Anima sgr, secondi per
rendimento da inizio anno soltanto ai fondi di Petercam e primi invece per performance a un anno. Quella dei
fondi high yield d'altra parte è l'unica soluzione praticabile per gli investitori retail che non siano dotati di
un'importante liquidità, perché nella maggior parte dei casi le singole emissioni prevedono tagli minimi di
investimento di 100 mila euro o di 200 mila dollari. Cifre, cioè, alla portata di poche tasche. Solo in pochissimi
casi si segnalano casi di obbligazioni in valuta Usa per i quali il taglio minimo sia di 2mila dollari (per esempio
il bond di Telecom Italia Capital in scadenza nel 2038 o quelli di Arcelor Mittal e di HCA Holdings). Per chi
invece abbia la possibilità di investirvi, in circolazione ci sono parecchi bond che rendono più del 5% per
scadenze a 5-7 anni (considerando la prima di esercizio dell'opzione call da parte dell'emittente). E questo
nonostante il fatto che i titoli high yield in media in tutto il mondo si sono già apprezzati in misura sensibile
negli ultimi mesi. Le emissioni italiane non hanno fatto eccezione. Ciò detto, restano ancora molto
interessanti se si pensa che per scadenze analoghe, 5-7 anni, oggi i Btp non offrono più dell'1,6% e del 2,3%.
Tassi ai minimi storici. Proprio nei giorni scorsi, infatti, il rendimento dei Btp a 10 anni è sceso per la prima
volta sotto la soglia psicologica del 3%, per chiudere venerdì 9 maggio attorno al 2,9%, quindi inferiore di più
di 100 punti base ai livelli di 5 mesi fa, cioè di inizio anno. Contemporaneamente lo spread sul Bund si è
portato sotto 150 punti base, livello che non si vedeva dal maggio 2011. La stessa discesa si è verificata su
tutte le scadenze brevimedie, mentre per quelle più lunghe (in particolare per il Btp a 30 anni) resiste ancora il
minimo del 2005, che però si avvicina sempre di più. La fiducia degli investitori esteri nell'Italia in questo
momento è impressionante. Gli ordini piovono sia dal resto d'Europa che dagli Stati Uniti e dal Far East,
sollecitati dai primi deboli segnali di ripresa economica, dall'orientamento accomodante della Banca centrale
europea e dalle aspettative che vengono riposte nella capacità del governo Renzi di portare a termine le
riforme e tutto quello che altri prima di lui, forte di un largo consenso in Parlamento, non sono riusciti a fare.
Ma la stessa euforia si registra anche sulle emissioni di Paesi Ue come la Grecia o la Slovenia (sulla
scadenza decennale i tassi sono passati rispettivamente dal 7,6% al 6% e dal 4,8% al 3,69%) o di Paesi
emergenti come la Turchia. I bond di Istanbul in dollari, per esempio, oggi rendono il 4,57% a 10 anni contro il
5,57% di 5 mesi fa e offorno il 2,83% a 5 anni in euro, contro il 3,86% di inizio gennaio. (riproduzione
riservata)
UNA MAPPA DEI RENDIMENTI DI BOND E FONDI HIGH YIELD RENDIMENTI DEI BOND GOVERNATIVI
DI ALCUNI PAESI EMERGENTI A CONFRONTO CON L'ITALIA Fonte: Bloomberg - dati aggiornati al 9
maggio 2014 Grecia Russia dollaro Turchia dollaro Brasile dollaro Slovenia Portogallo Messico dollaro Italia
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OBBLIGAZIONI
10/05/2014
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Messico euro Turchia euro Caa3/B-/BBaa1/BBB/BBB Baa3/BB+/BBBBaa2/BBB-/BBB Ba1/A-/A+
Ba3/BB/BB+ A3/BBB+/BBB+ Baa2/BBB/BBB+ A3/BBB+/BBB+ Baa3/BB+/BBB- 2,227% 0,879% 1,098%
0,218% 0,739% 0,032% 1,499% 2,629% 2,704% 1,573% 1,284% 1,339% 0,965% 1,990% 4,729% 3,698%
3,446% 2,602% 2,178% 2,351% 1,628% 2,836% 4,067% 2,336% 2,973% 2,878% 3,019% 2,269% 1,817%
6,017% 4,987% 4,566% 4,153% 3,693% 3,528% 3,524% 2,904% 2,632% 6,539% 5,847% 5,517% 5,050%
4,292% 4,784% 4,015% Rating 2 anni 3 anni 5 anni 7 anni 10 anni 30 anni Emittente I MIGLIORI FONDI
EURO SPECIALIZZATI IN BOND HIGH YIELD Petercam Anima sgr Anima sgr Aberdeen Schroder Fidelity
Funds Henderson Horizon Ubs Lux Pictet Candriam L Bonds eur corporate high yield E Dis Fix High Yield A
Obbligazionario High Yield D Global Select High Yield A Interl Selection Fund euro High Yield C Inc
European High YieldY Acc eur Euro High Yield Bond Fund I2 eur Acc Euro High Yield eur K-1 acc Eur High
Yield-P Euro High Yield C eur Acc 5,98% 5,87% 5,65% 4,92% 4,76% 4,51% 4,29% 4,28% 4,18% 4,17% nd
12,27% 12,31% 9,12% 9,45% 8,76% 8,17% 9,02% 9,63% 8,86% nd 8,25% nd 8,49% nd 9,33% 8,76%
10,22% 7,48% 10,57% Nome del fondo Rend. inizio anno Rend.a un anno Rend.a 3 anni Società di gestione
Fonte: Morningstar (categoria Obbligazionari high yield euro) QUANTO RENDONO ALCUNI DEI BOND
ITALIANI PIÙ RISCHIOSI Fonte: Bloomberg - Note: (1) call 15/11/2016; (2) call 01/08/2015; (3) call
15/05/2016; (4) call 01/11/2016; (5) call 01/08/2016; (6) call 01/04/2016; (7) call 15/01/2016; (8) call
10/07/2022; (9) 30/04/2017; (10) call 15/11/2015; (11) 01/08/2014; (12) call 04/11/2014; (13) call 01/02/2015;*
bond in dollari; **calcolato a scadenza o, nel caso di opzione call, alla data della call Rating Scadenza Cedola
Rend. ask** Taglio min in euro o $ Emittente Telecom Italia Capital* Marcolin Gamenet Teamsystem hld
Rhino Bondco Manutencoop Facility IVS Fin Banco Popolare (sub) Cerved Tech. (sub) Fiat Fin&Trade
Generali (sub) Piaggio&C Rottapharm Italcementi Unicredit (sub) Intesa Sanpaolo Bormioli Sisal holding
Zobele holding Gcl Hld (Guala Closures) Ba21/BB+/BBBB2/B-/nd B1/B+/nd B2/B/nd B2/B/nd B2/B+/nd
nd/BB-/nd Caa1/CCC+/BBBB3/CCC+/nd B2/BB-/BBBaa3/BBB/BBBBa3/BB-/nd Ba3/BB-/nd Ba3/BB+/nd
Ba2/BB+/BB+ Ba2/BB+/BB+ B3/B+/nd B1/B/nd B2/B/nd B3/CCC+/nd 04/06/38 15/11/2019 (1) 01/08/2018 (2)
15/05/2020 (3) 15/11/2020 (4) 01/08/2020 (5) 01/04/2020 (6) 05/11/20 15/01/2021 (7) 22/03/21 10/07/2042
(8) 30/04/2021 (9) 15/11/2019 (10) 19/03/20 05/06/18 08/05/18 01/08/2018 (11) 30/09/2017 (12) 01/02/2018
(13) 15/04/2018 (14) 7,72% 8,50% 7,25% 7,38% 7,25% 8,50% 7,13% 6,00% 8,00% 4,75% 10,13% 4,63%
6,13% 6,63% 6,70% 6,63% 10,00% 7,25% 7,88% 9,38% 6,87% 6,45% 5,46% 5,35% 4,90% 4,55% 4,48%
4,32% 4,12% 4,02% 4,01% 3,80% 3,67% 3,66% 3,17% 2,96% 2,62% 2,02% 1,59% -5,46% 2.000 100.000
100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 50.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 50.000
50.000 50.000 100.000 100.000 100.000 100.000 QUANTO RENDONO ALCUNI DEI BOND CORPORATE
ESTERI PIÙ RISCHIOSI Lecta Vimpelcom Holdings* Altice Finco* Wind Acquisition Finance Numericable
group* Portaventura Entertainment Darty Financement ArcelorMittal* Alcatel-Lucent* HCA Holdings B2/B/nd
Ba3/BB/nd B3/B-/nd Caa1/B/B Ba3/B+/nd B3/B-/nd nd/BB-/nd Ba1/BB+/BB+ B3/CCC+/nd B3/B-/B15/05/2019 (1) 13/02/23 15/01/2024 (2) 23/04/2021 (3) 15/05/2024 (4) 01/12/2020 (5) 01/03/2021 (6)
01/06/19 01/01/2020 (7) 15/05/2021 (8) 8,88% 5,95% 8,13% 7,00% 6,25% 7,25% 5,88% 9,85% 8,88%
7,75% 7,98% 6,99% 6,80% 5,96% 5,63% 5,51% 4,83% 4,54% 4,53% 3,40% 200.000 200.000 200.000
100.000 200.000 100.000 100.000 2.000 200.000 2.000 Rating Scadenza Cedola Rend. ask** Taglio min in
euro o $ Emittente Fonte: Bloomberg - Note: (1) call 15/05/2015; (2) call 15/12/2018; (3) call 23/04/2013; (4)
call 15/05/2019; (5) 01/12/2016; (6) call 01/03/2017; (7) call 01/07/2016; 88) call 15/11/2015; * in dollari
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bond
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Yaki vince a Solferino
Andrea Montanari
Il prossimo consiglio d'amministrazione di Rcs Mediagroup, che, salvo novità tipo lo scioglimento anticipato,
decadrà nella primavera 2015, vedrà la Fiat, attuale primo socio del gruppo editoriale milanese, nei panni
dell'asso pigliatutto, cui andranno due terzi delle poltrone in ballo: cinque su sette in caso di cda ridotto, otto
su undici nel caso di board allargato. Mentre la lista di minoranza si dovrà accontentare delle briciole e
dunque gli azionisti Rcs con posizioni diverse da Fiat, da Diego Della Valle a Intesa Sanpaolo, dalla famiglia
Rotelli a Urbano Cairo, probabilmente saranno costretti a sfidarsi all'ultima delega. Questo è il principale
risultato emerso dall'assemblea di giovedì 8 maggio che ha approvato (a maggioranza,a dimostrazione che
non c'è ancora compattezza nella compagine azionaria) la modifica dell'articolo dello statuto relativo alle
modalità del voto di lista. Si è trattato di un passaggio essenziale per rafforzare la presa di Fiat su Rcs, cada
editrice che pubblica anche il Corriere della Sera, il più influente quotidiano italiano. Questo è il risultato della
manovra d'accerchiamento avviata dalla Fiat,e in particolare del suo presidente, John Elkann (numero uno
anche de La Stampa e della holding Exor e titolare della maggior quota azionaria nella Dicembre (la società
semplice che sta sopra l'accomandita di famiglia), già due anni fa.È nel maggio del 2012 che Pietro Scott
Jovane, finoa quel momento amministratore delegato di Microsoft Italia, la branch commerciale del gigante
tecnologico statunitense fondato a Bill Gates e Paul Allen, venne scelto dai soci del patto di sindacato di Rcs
per guidare il gruppo editoriale. Il maggior sponsor di Jovane, che la spuntò in volata sull'ex manager
dell'azienda milanese Giorgio Valerio, fu proprio Elkann. La seconda mossa della manovra del Lingotto è
stato il raddoppio della partecipazione nel capitale Rcs, realizzato in concomitanza con l'aumento di capitale
da 400 milioni del luglio 2013. In quell'occasione, e con il sindacato di blocco già in fase di scioglimento, Fiat
scoprì le carte. A Torino si contrappose da subito Della Valle in una lunga battaglia mediatica che venerdì 9
maggio sembra essere terminata con un armistizio. Data la spallata decisiva agli altri soci- Mediobanca,
storicamente il socio di riferimento del patto Rcs, ha quasi dimezzato la quota -, Elkann ha avviato un lento
ma profittevole lavoro di avvicinamento delle due piattaforme editoriali di La Stampa e Rcs-Corriere. Prima
che si chiudesse il 2013 da Torino è arrivata in via Rizzoli, come una delle più strette collaboratrici di Jovane,
la direttrice finanziaria della Editrice La Stampa, Raffaella Papa. Dopodiché le due case editrici hanno stretto
un accordo strategico in campo pubblicitario. Ora, in attesa che prenda davvero corpo il progetto per la
creazione di un grande polo di stampa del Nord Italia (Rcs ha scorporato l'attività con lo stabilimento milanese
per aggregare altri soci), ecco che sta per materializzarsi il terzo affondo targato Torino. Ossia il cambio di
direzione del Corriere della Sera dopo gli undici anni di guida, tra primo e secondo mandato, di Ferruccio de
Bortoli. Quest'ultimo, in lite da mesi con l'amministratore delegato Jovane (i due non si parlano più), però non
vuole mollare la poltrona. Del resto soci di peso come Intesa Sanpaolo (e il suo presidente Giovanni Bazoli) o
la Pandette dei Rotelli, oltre che la redazione del quotidiano, sono con lui. Ma la strada appare ugualmente
segnata: il cambio di direzione sarà una questione di un paio di mesi al massimo. Sicuramente al ricambio si
lavorerà, come rivelato venerdì 9 da MF-Milano Finanza, dopo le elezioni europee del 25 maggio. Da almeno
un paio d'anni il più accreditato successore di de Bortoli è Mario Calabresi, attuale direttore proprio de La
Stampa. Se finora il ricambio non c'è stato, è perché più d'un azionista ha messo i bastoni tra le ruote a
Elkann, che ora però sembra essersi costruito una posizione sufficientemente solida per imporre la propria
linea. In caso di approdo al Corriere (le alternative sono rappresentate da due ipotesi di successione per vie
interne: l'inviato speciale ed editorialista Aldo Cazzullo o il direttore del Corriere del Mezzogiorno Antonio
Polito) Calabresi come disegnerebbe il quotidiano-ammiraglia di Rcs? Ridefinirebbe gli equilibri interni al desk
centrale e alla redazione, punterebbe su e-commercee marketing e darebbe l'ok all'aumento di prezzo (a 1,50
euro) del giornale appena bocciato da de Bortoli. Inoltre nonè esclusi che inizia lavorare al chiacchierato
progetto di fusione con La Stampa. Che cosa potrebbe far andar storto il piano di Elkann? L'eventualità che si
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RCS MEDIAGROUP
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formi un Della Valle-Cairo si coalizzino (o che uno dei due azionisti decida di dar vita a una cordata anti-Fiat)
e si presentino alla prossima assemblea con un pacchetto di voti superiore al 20,55%. In tale scenario, il
patron del Torino Calcio potrebbe avviare l'integrazione tra la Cairo Communication e Rcs e prenderne così le
redini. Magari piazzando Enrico Mentana, oggi direttore de La7 e da tempo vicino a Della Valle, al Corsera.
Ovviamente defenestrando Jovane. (riproduzione riservata)
COME CAMBIERANNO I PESI NELL'AZIONARIATO RCS MEDIAGROUP GRAFICA MF-MILANO
FINANZA Mercato 27,2% Pirelli & C. 5,44% Intesa Sanpaolo 5,12% Invesco 4,51% Urbano Cairo 3,67%
Fam. Pesenti 3,38% Famiglia Rotelli 3,37% Neptune Funds 2,16% Mittel 1,2% UnipolSai 5,65% Mediobanca
8,76% Diego Della Valle 8,99% Fiat 20,55% PRE -CONVERSIONE AZIONI RISPARMIO Mercato 41,29%
Pirelli & C. 4,36% Intesa Sanpaolo 4,1% Invesco 4,05% Urbano Cairo 2,94% Fam. Pesenti 2,7% Famiglia
Rotelli 2,7% Neptune Funds 1,73% Mittel 0,96% UnipolSai 4,52% Mediobanca 7,01% Diego Della Valle 7,2%
Fiat 16,44% POST -CONVERSIONE AZIONI RISPARMIO
Foto: John Elkann
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Al top nella governance
Angela Antetomaso Class Cnbc
Gabriele Galateri, presidente delle Assicurazioni Generali, nei giorni scorsi è stato a Londra per parlare di
corporate governance alla conferenza di Assonime ed Emittenti titoli al London Stock Exchange. È un tema
importante perchè tante cose stanno cambiando anche in Italia e «perchè si parla delle regole e
raccomandazioni che consentono un buon funzionamento dei consigli d'amministrazione delle società
quotate». In un momento di grande cambiamento come quello che stiamo vivendo in Italia, anche i
cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo delle regole dei mercati finanziari, che danno più credibilità e
più stabilità ai mercati, hanno notevole portata. Domanda. Quante cose stanno veramente cambiando? Le
riforme di Renzi hanno sicuramente portato una ventata d'aria fresca. Abbiamo visto molti cambiamenti anche
ai vertici delle grandi società quotate. Risposta. Il clima economico che si è visto negli ultimi anni in Italia e
non solo ha costretto tutti a riposizionarsi e a mettersi davanti allo specchio per vedere che cosa si può fare
per migliorare l'ambiente, i risultati del Paese, del sistema industriale. Ognuno sta facendo un lavoro nel suo
campo. Noi lo stiamo facendo nel campo aziendale: Mario Greco sta facendo una grande rivoluzione
all'interno delle Generali con risultati che si sono visti. Io come presidente lo sostengo il più possibile, e poi
come presidente del comitato corporate governance sto spingendo con i miei colleghi perché queste regole
diventino sempre più chiare, trasparenti e soprattutto applicate. Su questo fronte oggi possiamo dire che
l'Italia è ormai a livelli totalmente paragonabili con gli altri mercati finanziari europei. D. Dieci anni fa non si
vedevano novità sul fronte della corporate governance, ora invece vediamo molte donne all'interno dei
boardoa capo di grandi società. R. È questo è molto importante, perché s'inserisce in uno dei temi del codice
che è la composizione dei cda, dove già da alcuni anni si sosteneva che era necessario che fossero più
rappresentativi di esperienze diverse, di conoscenze diverse, di internazionalità. Mancava una spinta decisa
nei confronti del genere femminile. Lì è intervenuta una legge, abbastanza astuta nel suo genere, perché
fissa un certo numero di donne obbligatoriamente nei prossimi tre mandati delle società. A quel punto
scompare la legge e si spera che aver acquisito donne nei consigli sia diventato una pratica abituale. Nel cda
delle Generali, su 11 membri quattro sono donne, quindi è già una percentuale anche superiore a quella
chiesta dalla legge. Per l'esperienza che ho direttamente con le donne, devo dire che la professionalità,
l'impegno, la dedizione che hanno sono notevoli. Questo contribuisce anche ad alzare il livello di competenza
complessiva dei consigli e rende la dialettica molto più animata. Poi in fondo le donne sono le principali
responsabili di processi d'acquisto e dei consumi per oltre il 70%. Come si può non avere nei consigli chi poi
è il responsabile per il 70% delle decisioni economiche? D. Parliamo della rivoluzione Generali, con le novità
portate dal nuovo amministratore delegato. Quali sono i cambiamenti più significativi che lei come presidente
ha visto e vissuto? R. Ci sono molti cambiamenti portati da Mario Greco ma anche dagli azionisti, perché
bisogna dire che l'azione dell'ad è stata sostenuta, voluta e spinta (compresa la scelta dello stesso ad) dagli
azionisti. E non dimentichiamo che tra questi azionisti ci sono anche pezzi storici del sistema economico
italiano. Tutto questo a me sembra in fondo determinato proprio da questa esigenza assoluta di essere i
migliori per eccellere in un mondo che non è più protetto e che è comunque diventato globale. D. Tra l'altro
questo viene anche riconosciuto dal mercato. Generali è stata recentemente anche promossa dalle agenzie
di rating. R. Certo, e si può fare ancora di più, sia per quanto riguarda Generali sia per quanto riguarda quello
che si sta facendo nel Paese. Se si riesce ad andare avanti e a consolidarsi questo può rappresentare una
grandissima prospettiva per il futuro degli italiani. Non c'è nessun motivo per cui gli italiani e l'Italia debbano
essere considerati differenti dagli altri Paesi europei. E mi dispiace quando vedo queste statistiche secondo
cui arranchiamo sempre dietro gli altri. Il mio obiettivo è che un giorno si possa dire che siamo nel plotone di
testa. E posso dire che, per esempio sul tema della governance, lo siamo. D. Le banche, invece... Si parla
molto di quest'Italia con un altissimo debito, con rapporto debito/ pil intorno al 135%, però è anche vero che il
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PARLA GALATERI Intervista
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debito privato è molto basso e anche le nostre banche hanno vissuto rivoluzioni nell'ultimo periodo. R. Io non
opero direttamente in quel mondo. A me sembra che oggi si debba dire che le banche sono molto
coraggiose, stanno prendendo decisioni importanti e stanno facendo il lavoro giusto, con spirito di dedizione e
forse anche umiltà. Non dimentichiamo che il mercato ha bisogno del sostegno delle banche. D. Come vede
gli i n v e stitori intern a zionali a l l ' i n terno di alcune delle nostre società? Vegas ha sottolineato
l'importanza di aprire le porte a questi investitorie già alcune società lo hanno fatto, tra cui Telecom Italia che
lei conosce molto bene. R. Su questo fronte si sta producendo qualcosa di estremamente interessante. L'ho
visto nell'ultima assemblea delle Generali, dove gli investitori istituzionali, soprattutto quelli internazionali,
sono cresciuti in maniera notevole. Credo che non ci sia da sorprendersi. Se noi gestiamo le cose in maniera
corretta, trasparente, credibile, costante, perché gli investitori esteri non dovrebbero venire qui? È il Paese
più bello del mondo, ha tutte le qualità per eccellere e comunque ha un grande potenziale. Non mi stupisce
che ci siano molti investitori internazionali che vengono in Italia. Io stesso ho incontrato per esempio Larry
Fink, che è a capo di Blackrock, durante la sua ultima visita in Italia e i commenti che faceva sul Paese mi
sembravano molto favorevoli. Il problema è che dobbiamo dimostrare nel tempo di meritarci questa fiducia,
realizzando i fatti. E mi sembra che il momento sia tale per cui sia le imprese sia i politici al governo abbiano
quest'intenzione. D. Una società come Fiat ha avuto il coraggio di prendere una società come Chrysler,
rimetterla in sesto e spostarsi all'estero. R. Fiat è molto cambiata. Io ho lavorato per moltissimi anni nel
gruppo Agnelli, con grandissima soddisfazione. Devo dire che è straordinaria la trasformazione che la Fiat ha
avuto dagli ultimi anni in cui ero nell'azienda fino a oggi. Non soltanto perché Marchionne ha fatto una lavoro
straordinario insieme a John Elkann per rimettere in sesto patrimonialmente l'azienda ma perché, proprio
attraverso passaggi anche complicati come l'accordo con gli Stati Uniti e l'apparente uscita dall'Italia - che poi
non era tale -, in realtà ha creato adesso un'azienda globale che è posizionata nei mercati mondiali ed è
pronta a competere con tutti i concorrenti nel mondo. Io penso che anche per Generali, senza perdere
nessuna radice italiana che è nostra e che rimarrà nostra, in particolare quella di Trieste, dobbiamo avere in
testa lo stesso spirito. Siamo un'azienda globale che per fortuna ha le proprie radici in Italia ma che lavora nel
mondo. Quando ero alla Fiat, ancora molto italiana e poco europea, si diceva «Siamo italiani ma il nostro
mercato è l'Europa». Oggi noi dobbiamo dire: «Siamo europei ma il nostro mercato è il mondo». Ovviamente
sempre restando il nostro attaccamento, anche emotivo, all'Italia. D. Che cosa l'ha colpita di più dell'operato
di Marchionne? R. Ciò che mi colpisce di tutte le persone di grande successo: il coraggio inizialmente, poi la
visione strategica, la capacità di delivery e il fatto di aver fatto sempre tutto con molta serenità e con molta
sicurezza. Credo che i leader debbano avere queste caratteristiche, cioè di dare fiducia a chi gli viene dietro,
perché c'è una terra promessa davanti e naturalmente bisogna arrivarci. E mi sembra che Marchionne lo stia
facendo. D. Guardando la sua carriera, lei ha visto tanti di leader e ha lavorato con grandissimi nomi. C'è
qualcuno che l'ha colpita in maniera particolare? R. Devo dire che qualcuno c'è stato sicuramente perché,
soprattutto se penso ai primi tempi della mia vita, devo dire di aver imparato molto sia da Gianni che da
Umberto Agnelli, con cui ho convissuto per 25 anni. Ho avuto i primi suggerimenti anche da Enrico Cuccia,
quando non ero ancora in Mediobanca. Sono certamente personaggi che hanno avuto una statura che, con
tutte le criticità del periodo in cui vivevano, con tutte le arretratezze che l'Italia anche in quel periodo poteva
avere su più fronti, sono stati dei punti di riferimento per visione, per coraggio, per determinazione. Poi ne ho
incontrati molti dopo, che evidentemente sono stati di grande importanza per la mia vita ma onestamente è
difficile metterli a confronto con personaggi di quel livello, di quella qualità. D. Cosa c'è adesso dietro l'angolo
per Galateri di Genola, allora? R. Concentrarsi sulle Generali: sostenere l'ad Greco e fare sì che le Generali
siano veramente la miglior impresa assicurativa non solo italiana, non solo europea ma mondiale.
(riproduzione riservata)
Foto: Gabriele Galateri
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/galateri
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Milano Finanza - N.91 - 10 maggio 2014
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Bankitalia alle prese con la bitcoin
Giovanni Barbara Partner KStudio Associato (Kpmg)
Banca d'Italia prende posizione su bitcoin. È questa, la novità più rilevante che emerge dal Rapporto sulla
stabilità finanziaria appena pubblicato da Palazzo Koch. Il documento che punta a garantire al mercato
finanziario un'adeguata informazione (al di là della pura e semplice definizione di bitcoin come moneta
virtuale) fornisce interessanti approfondimenti per sensibilizzare gli intermediari sui temi della stabilità del
sistema finanziario e del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. La bitcoin è l'esempio più
conosciuto e quantitativamente più rilevante di criptomoneta, cioè di moneta virtuale vigilata non da
un'autorità terza ma dagli stessi utenti riuniti in network. È un tipo di moneta digitale non regolamentata,
emessa e controllata in base ad algoritmi informatici. Accettata e scambiata, su base volontaria, dalle
controparti di transazioni finanziarie come mezzo di pagamento alternativo rispetto alla moneta legale, la
bitcoin presenta alcuni inconvenienti, analizzati nel dettaglio da Banca d'Italia. In particolare, nella visione di
Palazzo Koch, la bitcoin, comporta notevoli rischi per il valore puramente fiduciario e quindi molto variabile,
dato dalla mancanza di controllo da parte di alcuno istituto di emissione centrale. Non solo. Da ricerche
condotte a livello internazionale emerge inoltre che la maggior parte delle unità di bitcoin sarebbe detenuta
per fini speculativi in virtù dell'anonimato che caratterizza le transazioni, facilitando la possibile elusione dei
vincoli normativi al trasferimento di fondi, rendendo questa valuta virtuale agevolmente utilizzabile per finalità
illecite. Inoltre, la criticità più rilevante dell'attuale sistema è senz'altro riconducibile al profilo della tutela del
consumatore. Infatti, attualmente, in caso di perdita di unità di bitcoin (ad esempio furto da parte di hacker,
chiusura delle piattaforme di scambio dove sono detenute), gli utenti sono privi di qualsiasi forma di tutela. In
linea generale, comunque, da quanto osservato sinora da Banca d'Italia, non sono state riscontrate
conseguenze per la stabilità del sistema finanziario o per il meccanismo di trasmissione della politica
monetaria. Alla luce delle considerazioni emanate da Banca d'Italia, rimangono ancora dubbi e incertezze
interpretative che, a tutt'oggi, non rendono serena la scelta di utilizzare la cyber moneta. Il prossimo passo
sarà la predisposizione di una disciplina ad hoc a tutela dei consumatori, utile anche nell'ottica di un
progressivo processo di armonizzazione internazionale su questo tema.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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ROSSO & NERO
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Alitalia alla conta finale
Angela Zoppo
Un pressing discreto ma efficace, e soprattutto rapido. Il governo ha deciso che non starà a guardare e visto
che il destino dell'alleanza Alitalia-Etihad è nelle mani delle banche, è su queste che si sta concentrando la
moral suasion per convincerle ad alleggerire il più possibile la zavorra del debito e garantire così la nascita
della newco a maggioranza Cai (51%), gradita anche ad Abu Dhabi. Nessuna ingerenza diretta, su questo a
palazzo Chigi non si transige, ma insomma, dove si vuole andare a parare è chiaro. Tanto che come fanno
notare fonti bancarie, gli istituti di credito cercherebbero di riscuotere il dividendo politico che il salvataggio di
Alitalia avrebbe sul governo Renzi, finora poco generoso col settore. Sta di fatto che la situazione della cassa
di Alitalia è nuovamente critica, i debiti verso i fornitori sono segnalati in aumento, e il tempo stringe. Dietro le
strette di mano tra l'ad Gabriele Del Torchio, il presidente Roberto Colaninno e il ceo di Etihad, James Hogan,
c'è la consapevolezza di dover chiudere l'accordo in tempi brevi, brevissimi. Quella che si apre perciò è
davvero la settimana decisiva. Entro il 16 maggio Alitalia dovrà inviare la nuova bozza di intesa ad Etihad,
che a sua volta risponderà a strettissimo giro. Nelle carte che prenderanno il volo per Abu Dhabi dovrà
esserci l'ammontare esatto della dotazione patrimoniale della newco, che Etihad è pronta ad acquisire fino
alla quota massima del 49%, con un esborso intorno ai 550 milioni di euro. In questi giorni, perciò, Del
Torchio e Colaninno torneranno a confrontarsi con Intesa Sanpaolo e Unicredit, azioniste e assieme maggiori
creditrici della compagnia per capire quanto dell'indebitamento potrà essere destinato alla nuova società,
quanto resterà nella vecchia (chiamata bad company solo per comodità) e quanto infine potrà essere
convertito in strumenti finanziari, come nuove azioni senza diritto di voto. I numeri giocano a sfavore. La
posizione finanziaria netta dell'Alitalia è negativa per circa 951 milioni, 600 dei quali però coprono i
finanziamenti della flotta di proprietà. In pratica, a quei 951 milioni concorrono: 813 milioni di debito con le
banche, 400 dei quali sono a breve e sono già stati rinegoziati), l'esposizione verso altri finanziatori, come le
società di factoring per altri 202 milioni, e il prestito soci di 95 milioni, che nel frattempo è stato convertito. Dal
totale vanno sottratti 161 milioni di crediti finanziari e disponibilità, ma vanno aggiunti anche i 165 milioni di
finanziamenti concessi sempre dalle banche dopo l'aumento di capitale, sotto forma di linee di credito
revolving, e in particolare 70 milioni ciascuna da Intesa Sanpaolo e Unicredit, altri 25 milioni da Popolare di
Sondrio e Montepaschi. Ora, secondo i negoziatori italiani, i debiti che riguardano i finanziamenti degli
aeromobili andrebbero trasferiti nella newco, perché in capo alla nuova società sarà la titolarità della flotta,
insieme alle attività industriali, agli slot e alla controllata Alitalia Loyalty, che gestisce il programma
Millemiglia. Ma anche su questo finora non c'è identità di vedute. Anzi, proprio quei debiti erano già finiti nel
mirino di Air France-Klm ai tempi delle tentate nozze.I franco-olandesi non li volevano o, meglio, chiedevano
di stornarne almeno la metà. Il fattoè che di quei 600 milioni, circa la metà sono eredità dell'Airone di Carlo
Toto, che all'atto del conferimento in Cai-Compagnia Aerea Italiana, AirOne risultava proprietaria di 20 Airbus
A320 e di 10 aerei regionali CRJ900, con un valore di carico di 670 milioni di euro in bilancio, a garanzia del
debito di 500 milioni trasferito nel frattempo all' Alitalia. La cifra siè via via assottigliatae ora sarebbero rimasti
poco più di 300 milioni di euro legati alla flotta Toto. Il debito che insiste invece sulla flotta della sola Alitalia si
limiterebbe perciò soltanto agli altri 300 milioni circa, edè questa la cifra che, secondo fonti vicine al dossier,
gli emiratini potrebbero accettare come unico indebitamento della newco. Insomma, le posizioni restano
distanti e il tempo per avvicinarle è poco. Ballano ancora circa 700 milioni (400 di debiti verso le banche e ciò
che resta di quelli della flotta Toto) che dovrebbero finire parcheggiati nella cosiddetta bad company, insieme
alle vertenze legali. Ma la zavorra della vecchia Alitalia risulterà comunque ben più onerosa, perché vi
andranno sommati anche i debiti verso i fornitori, che dagli ultimi dati disponibili si aggirano sugli 800 milioni.
Dal governo intanto arrivano segnali di ottimismo sull'esito della nuova tornata di trattative. Stando alle
dichiarazioni rilasciate dal ministro dei Trasporti Maurizio Lupi dopo aver incontrato Del Torchio al ritorno
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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ALLEANZE
10/05/2014
Milano Finanza - N.91 - 10 maggio 2014
Pag. 26
(diffusione:100933, tiratura:169909)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
dalla missione chiarificatrice ad Abu Dhabi, «i soci privati di Alitalia hanno colto l' invito del governo e quindi
stanno lavorando intensamente, nella loro autonomia per dare le risposte. Il governo ha chiesto con forza ai
soci privati di dare risposte in tempi certi», ha spiegato Lupi. «Mi auguro che tutto questo possa avvenire
entro la prossima settimana in modo che poi la valutazione dell' accordo, perché ancora non siamo a un
accordo, possa essere fatta finalmente sul piano industriale, di sviluppo di Alitalia, che è la cosa che più ci
interessa». (riproduzione riservata)
Foto: Gabriele Del Torchio
SCENARIO PMI
15 articoli
10/05/2014
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 9
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Filosofi e designer, in Aib la rivoluzione dei «maker»
Ghidini: «L'industria ha bisogno di idee chiassose»
Massimiliano Del Barba
C'è un termine, frutto di una crasi, in grado di raccontare la svolta digitale del manifatturiero. È fab-lab , che
mischia il luogo del lavoro manuale della fabbrica allo spazio del pensiero sperimentale del laboratorio. Una
piccola officina, il fabrication laboratory , dotata di frese a controllo numerico, tagliatrici laser e stampanti 3d
pronte a realizzare i prototipi pensati dai creativi e industrializzati dagli imprenditori.
In Italia, ormai, ce ne sono una cinquantina e rappresentano la connessione fra le conoscenze empiriche
dell'uomo artigiano - che, per usare Sennet, «sa fare le cose» - alla fantasia «irriverente e chiassosa» delle
nuove generazioni di creativi. Designer, programmatori, esperti di comunicazione e - perché no - filosofi: li
chiamano maker , tutta una nuova tribù di barbe lunghe, capelli corti e occhiali anni Cinquanta (le donne ci
sono, eccome, ma sono meno appariscenti) pronta a mettere le proprie conoscenze immateriali a
disposizione dell'industria produttrice di oggetti.
Ieri, in occasione dell'annuale assemblea dei Giovani imprenditori che ha anche segnato, alla presenza del
numero uno nazionale Marco Gay, l'inizio del secondo corso di Isup, il master dedicato alle start-up
innovative, il presidente Federico Ghidini ha cercato di materializzare sul palco di via Cefalonia i capi di due
narrazioni da riannodare con urgenza. Da un lato i maker vestiti da hipster, dall'altro gli imprenditori con le
loro grisaglie confindustriali. Due mondi inconciliabili? Non proprio. «I Giovani di Aib - ha esordito Ghidini non sono i figli di papà, ma coloro ai quali la società chiede di esprimere un'idea innovativa di realtà. E oggi
questo significa ripartire dal manifatturiero attraverso il digitale, e cioè tornare a fare alta tecnologia».
Un'alleanza, insomma, quella proposta da Ghidini, fra la solidità che crea Pil (e posti di lavoro) e la
distruzione creatrice che prima mette in discussione e poi reinventa la società.
Così, accanto alla presentazione di quattro nuovi progetti che, grazie a Isup, potrebbero diventare start-up
(una personal stylist virtuale, un centro di psicomotricità per la crescita ispirato all'approccio Pikler, un
innovativo canale per l'advertising e uno studio di co-design bio-ispirato) si è aggiunta la testimonianza di
Piero Ferrari, figlio di Enzo e vice presidente dell'azienda di Maranello, il quale ha ricordato come la fabbrica,
nata già controcorrente nel 1929 della Grande Depressione, contro corrente ci andò anche nei primi anni
Cinquanta quando, mentre l'Italia viveva la sua prima, parca motorizzazione a due ruote da paese
sottosviluppato, Ferrari si mise a fare sportivissime dodici cilindri e poi ancora vent'anni dopo, ingaggiando
per sostituire Niki Lauda un canadese senza curriculum in Formula Uno di nome Gilles Villeneuve.
Controtendenza che è la direttrice che ha ispirato l'esperienza delle Officine Arduino, produttrici di hardware
con licenza creative common (senza copyright): «Abbiamo prodotto una scheda elettronica - ha raccontato
l'ad Davide Gomba - ma lo schema lo abbiamo lasciato open source. Il che vuol dire che tutti ci potevano
copiare. E l'hanno anche fatto, apportando anche delle migliorie. E qui viene il bello, perché l'unica regola è
che chiunque può copiarci ma rispettando la licenza aperta. In questo modo si alimenta un circolo virtuoso
che ci ha permesso di mantenere il 60% del mercato».
Insomma, pare fantascientifico, ma dire addio ai brevetti per fare del networking la propria strategia di R&S a
volte funziona. Così come, a volte, funzionano le buone idee. È il caso del «mattone di plastica» di Cristian
Fracassi. Presentato dodici mesi fa, il progetto recentemente è stato «noleggiato» per cinque anni da un
imprenditore il quale, fra due mesi, trasformerà la start-up in un'azienda in carne e oss a.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
4
Le start-up presentate ieri in occasione della seconda edizione di Isup, il master dedicato alle idee innovative
di Aib
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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I giovani di Confindustria Ieri la presentazione del secondo anno di Isup
10/05/2014
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 9
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Foto: Presidente Ghidini
Foto: Fab-lab Un'officina di prototipazione che utilizza strumenti hi-tech
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Prada, l'obiettivo è avere più ricavi da Miu Miu e Church's
Vittorio Carlini
Prada, di recente, ha presentato il piano industriale 2014-2016. Il progetto, tra le altre cose, punta ad una
maggiore diversificazione e valorizzazione dei suoi marchi. In tal senso, è prevista (soprattutto grazie alla
moda maschile) l'ulteriore crescita dell'omonima griffe. Cui deve aggiungersi il focus su Miu Miu. E, poi, il
rafforzamento di Church's. La strategia, peraltro, sarà supportata anche dallo sforzo sul fronte industriale.
Sono previsti 5 (uno in Inghilterra e 4 in Italia) nuovi siti produttivi finalizzati anche, e soprattutto, a ottimizzare
la logistica e rafforzare nella Penisola il know-how manifatturiero. Fin qui alcune indicazioni sul piano. Quali,
però, le reazioni degli esperti? Diversi lo hanno accolto positivamente. Altri hanno espresso dubbi. In
particolare, è stato articolato il seguente ragionamento: il progetto industriale prevede, a detta del consensus,
circa un miliardo (tra il 2014 e il 2016) di investimenti. L'esborso non è da poco. A fronte di ciò, al di là della
capacità del management, la crescita dei ricavi va rallentando. In un simile contesto il rischio è che, visti i
Capex, i margini possano ridursi. La società non condivide il pensiero. La crescita annua prevista dei ricavi, a
livello organico (like for like), è tra il 4-6%. Un valore che, è l'indicazione del gruppo, permette di evitare la
contrazione della marginalità. Così: è vero che l'ebit margin nel 2014 è in linea con quello del 2013. Tuttavia,
nel 2015-2016 la previsione è di un suo miglioramento.
u pagina 18
Vittorio Carlini
Prada, di recente, ha presentato il piano industriale 2014-2016. Il progetto, tra le altre cose, punta ad una
maggiore diversificazione e valorizzazione dei suoi marchi (escludendo operazioni per linee esterne) .
In tal senso, è prevista (soprattutto grazie alla moda maschile) l'ulteriore crescita dell'omonima griffe. Cui
deve aggiungersi il focus su Miu Miu: nel 2016 il target è arrivare a circa 800 milioni di fatturato. E, poi, il
rafforzamento di Church's: qui, in 5 anni, si vuole raggiungere un giro d'affari intorno a 250 milioni. La
strategia sarà supportata non solo dall'incremento del network di negozi (circa 190 tra Prada e Miu Miu); ma
anche dallo sforzo sul fronte industriale. Sono 5 (uno in Inghilterra e 4 in Italia) i nuovi siti produttivi finalizzati
anche, e soprattutto, a ottimizzare la logistica e rafforzare nella Penisola il know-how manifatturiero.
Analisi e progetti industriali
Fin qui alcune indicazioni generali sul piano di sviluppo: quali però le reazioni del mercato?
A ben vedere l'andamento del titolo in Borsa dice ben poco. Per un duplice motivo. Il primo è che la
presentazione del progetto (2 aprile) ha coinciso con la pubblicazione dei dati del 2013. In bilancio i ricavi
(+8,8%) e l'ebitda (+8,6%) sono andati a «braccetto». L'ebit, seppure sempre in rialzo, è invece salito meno
(+5,6%) mentre l'utile netto è risultato in linea con il 2012 (+0,3%). Ebbene proprio quest'ultima redditività
inferiore al consenso, e non la valutazione del piano, può avere indotto le vendite sul titolo.
Quel titolo peraltro, e questo è il secondo motivo, che dopo la presentazione del progetto è sì calato. Per poi,
però, ritornare agli stessi livelli da cui il ribasso era partito in avvio di aprile. Insomma, la dinamica del
mercato non pare così rilevante. Più interessante, quindi, è tastare il polso agli esperti. In generale, diversi
operatori hanno accolto positivamente il piano industriale. Altri, invece, hanno avanzato dei dubbi.
In particolare, alcuni hanno articolato il seguente ragionamento: il progetto industriale prevede, a detta del
consensus, circa un miliardo (tra il 2014 e il 2016) di investimenti. L'esborso, insomma, non è da poco. A
fronte di ciò, al di là della capacità del managent, la crescita dei ricavi va rallentando. Dopo aver corso tanto,
è inevitabile. Così: nel 2012 il fatturato era salito del 29% sul 2011; l'anno scorso, invece, l'incremento è stato
per l'appunto dell'8,8%. In un simile contesto il rischio è che, visti i Capex, i margini possano ridursi.
La società non condivide il pensiero. La crescita annua prevista dei ricavi, a livello organico (like for like), è
tra il 4-6%. Un valore che, è l'indicazione del gruppo, permette di evitare la contrazione della marginalità.
Così: è vero che l'ebit margin nel 2014 è confermato in linea con quello del 2013. Tuttavia, nel 2015-2016 la
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LETTERA AL RISPARMIATORE
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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previsione è di un miglioramento del rapporto tra utile operativo e ricavi. In tal senso peraltro, sottolinea
sempre Prada, non deve dimenticarsi l'apporto di Miu Miu: la sua crescita è fondamentale all'intero piano.
L'affermazione è corretta. E, però, proprio rispetto alla dinamica di questo marchio può esprimersi un altro
dubbio.
Nello scorso esercizio, da un lato, le vendite di Miu Miu, a cambi correnti, sono salite sui 12 mesi solo dell'1%
(+11% quelle di Prada); e, dall'altro, il suo ebitda margin è sceso dal 19,5% nel 2012 al 17,1% del gennaio
scorso. Un mix di fattori che induce a pensare come l'obiettivo indicato (per l'appunto, circa 800 milioni di
fatturato nel 2016) sia troppo ambizioso.
La società di nuovo rigetta la considerazione. Gli spazi di crescita ci sono. Miu Miu è un marchio conosciuto
ma più a livello di singoli mercati. Così c'è ampio margine, attraverso anche la leva di pubblicità e marketing,
per migliorarne la percezione globale. In questo modo, ad esempio, potrà sfruttarsi maggiormente il
fenomeno del cliente-viaggiatore (soprattutto in Europa) che, nel mondo del lusso, ha assunto notevole
rilevanza. Inoltre, ricorda il gruppo, nel 2015 ci sarà il lancio del nuovo profumo a marchio Miu Miu. Il che, sul
fronte della stessa comunicazione, aiuterà. Quindi, è la conclusione, il target rispetto ai ricavi è ragionevole.
Peraltro, sottolineano diversi esperti, l'odierna struttura dei costi di Miu Miu non si giustifica con l'attuale
dimensione del fatturato. Quindi la crescita dimensionale costituisce pure uno step necessario.
Già, necessario. Al di là degli sforzi strategici e di marketing, l'incremento del fatturato di Miu Miu passa
(ovviamente) anche attraverso l'apertura dei negozi. Nel 2014 sono previsti 30 nuovi punti a gestione diretta
(Dos), di cui 5 trasformati dal wholesale in retail. Poi, altri 20 rispettivamente nel 2015 e 2016. Il totale?
Intorno a 70 Dos. La road map dell'espansione del network retail, ovviamente, riguarda la stessa griffe Prada.
Qui, secondo quanto indicato dall'azienda, tra il 2014 e il 2016 l'attesa è intorno a 120 nuovi negozi. Circa 50
nell'anno in corso (di cui 15 conversioni). A seguire, intorno a 35 aperture annue fino al 2016. In totale,
nell'arco di piano, sono previsti sui due marchi per l'appunto circa 190 Dos.
Punti vendita che richiedono, è evidente, nuovi investimenti. Ebbene i Capex, tra il 2014-2016, dovrebbero
essere così scadenziati: circa 400 milioni nell'esercizio in corso e, poi, 300 milioni l'anno fino al 2016. Si tratta
di esborsi (anche per manutenzione) sostenuti dai flussi di cassa aziendali.
Investimenti che, nel 2014, a livello geografico vedranno un focus sull'Europa: dal recente sbarco in Svizzera
a nuovi Paesi quali, ad esempio, il Benelux o gli Stati scandinavi. Senza dimenticare altri mercati. Così in
Messico, tra il 2014 e il 2015, dovrebbero essere aperti 6 Dos (4 di Prada e 2 di Miu Miu).
Al di là delle indicazioni di massima sull'espansione geografica del canale retail, rispetto ai Dos a marchio
Prada il gruppo sottolinea una particolarità: dei nuovi negozi a gestione diretta, circa 50 saranno dedicati
all'uomo, aggiungendosi così ai 30 già presenti.
Si tratta, a ben vedere, di una parte della più ampia strategia di crescita del marchio che vuole fare leva sulla
moda maschile. Allo stato attuale, le vendite legate ai prodotti «for man» rappresentano circa il 25% del giro
d'affari della griffe. Vale a dire intorno a 800 milioni. Ebbene, l'obiettivo è di spingere, in 5 anni, questo valore
fino a 1,5 miliardi. Per alcuni esperti, il target è aggressivo.Cioè, potrebbero esserci problemi nel
raggiungerlo. Prada ribatte che le dinamiche su questo fronte sono chiare. Tra i nuovi ricchi uomini la
richiesta, ad esempio, di accessori in pelle è in forte aumento. E così è anche per scarpe ed abbigliamento.
Quindi, analogamente a quanto affermato per Miu Miu, l'obiettivo deve considerarsi sensato.
Se queste alcune considerazioni sui due marchi principali, quali però le mosse rispetto a Church's? Anche
qui, per l'appunto, si vuole spingere il fatturato: attualmente a 69 milioni, il target è 250 milioni nel
quinquennio. La marginalità, a fine 2013 al 6,4%, deve anch'essa aumentare. L'ipotesi, nel giro di 3 anni, è di
arrivare ad un'alta doppia cifra percentuale. A sostegno di questi obiettivi gli investimenti saranno focalizzati
sulla nuova organizzazione (il quartier generale a Londra) e, soprattutto, l'espansione del sito produttivo.
L'impegno, in questo caso, dovrebbe essere inferiore a 10 milioni di sterline. Un'esborso finalizzato ad
aggiungere 30-40% di potenziale capacità produttiva per fronteggiare gli auspicabili nuovi volumi.
11/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Già, i nuovi volumi. Rispetto agli investimenti sulla struttura industriale in Italia, Prada precisa che non ci sarà
un sostanziale aumento della quota percentuale di produzione interna. L'obiettivo, infatti, è soprattutto
rafforzare il know-how produttivo del «made in Italy». Oltre che ottimizzare ulteriormente la logistica. Ciò
detto, non si esclude una maggiore integrazione verticale della produzione. In tal senso, ad esempio, nella
pelletteria alto di gamma il gruppo Prada ha al vaglio l'ipotesi dell'acquisizione di una conceria per pelli
pregiate. Le opportunità sono diverse. Sul timing del possibile shopping (di piccole dimensioni), la società non
offre però indicazioni.
Così come non dà troppe precisazioni sull'andamento dell'anno in corso. Viene indicato che l'avvio del 2014
è ancora volatile. Soprattutto, a causa della debolezza del mercato europeo. Più ottimismo, invece, viene
espresso sulla secondo metà del 2014.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte: Bloomberg Fonte: Società Conversioni da wholesale in retail
Gennaio 2014 Gennaio 2013 Dati in milioni Inumeri diPrada 2012 2013 81% 16% 2% 1% Prada Miu Miu
Church's Car Shoe Altri 0% 83% 15% 2% Prada Miu Miu Church's Car Shoe 0% Altri 0% I NUMERI DI
BILANCIO DEL GRUPPO DIVISIONE GEOGRAFICA DEL FATTURATO PESO DEI MARCHI SU VENDITE
NETTE I GIUDIZI DEGLI ANALISTI Ebit 889,8 939,2 Ebitda 1.052,5 1.143,2 Ricavi netti 3.297,2 3.587,3
625,7 627,8 Utile netto Note: (*) Prc, Hk, Macau; (**) Giappone e Hawai 3% Italia 16% 23% Europa Americhe
14% 10% Giappone (**) Medio Oriente Altro 0% 2013 16% 23% 14% 36% 10% 1% Italia Europa Americhe
Far East (di cui Greater Cina * 23%) Giappone (**) Medio Oriente Altro 0% 36% Far East (di cui Greater Cina
* 23%) 2012 NUOVI NEGOZI A GESTIONE DIRETTA 9,4% 34,4% Buy 56,2% Hold Sell 2014 2015 2016
2014 2015 2016 PRADA MIU MIU 30 ~20 ~20 5 ~35 ~35 15 ~50
I numeri di Prada
I NUMERI DI BILANCIO DEL GRUPPO
Dati in milioni
Gennaio 2014
Gennaio 2013
DIVISIONE GEOGRAFICA DEL FATTURATO
PESO DEI MARCHI SU VENDITE NETTE
NUOVI NEGOZI A GESTIONE DIRETTA
Conversioni da wholesale in retail
Fonte: Società
I GIUDIZI DEGLI ANALISTI
Fonte: Bloomberg
12/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il programma «AdottUp» valorizza l'arte di Napoli
Dai caratteristici autobus a due piani dei tour cittadini a un'applicazione per percorsi turistici d'arte. Sono i
protagonisti della prima "adozione" nel Mezzogiorno nell'ambito del programma «AdottUp» di Confindustria.
Nel ruolo di tutor c'è City Sightseeing Napoli, franchisee del marchio City Sightseeing, che gestisce il servizio
di trasporto turistico. L'"adottata" è Apptripper, realtà napoletana che ha realizzato una piattaforma social di
itinerari d'arte. Il tutto avviene sotto l'egida dell'Unione industriali di Napoli a cui entrambe le imprese sono
associate.
L'accordo, siglato venerdì scorso, prevede che City Sightseeing Napoli promuoverà il logo della start up che,
a sua volta, corrisponderà una quota degli incassi della app effettuati sul territorio partenopeo. La piattaforma
di Apptripper sarà disponibile da giugno e, dopo avere mappato le principali città italiane, la start up sta
completando la mappatura di Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bruxelles, Istanbul, Monaco di Baviera, Parigi
e Praga.
«Con Adottup, programma lanciato la scorsa primavera da Piccola industria Confindustria, puntiamo a
ricercare idee imprenditoriali innovative, da sviluppare e far crescere sotto la guida di chi questo mestiere già
lo fa da tempo - afferma Alvise Biffi, vice presidente di Piccola Industria Confindustria -. Le start up trovano
supporto e competenze in contesti già maturi e consolidati e le Pmi possono acquisire innovazione o
diversificare il proprio business. Tra l'altro, per quelle che operano in settori maturi, adottare una start up può
significare rivitalizzare la presenza anche su mercati che superano i confini nazionali».
In tutta Italia sono state 160 le idee d'impresa che hanno partecipato ad «AdottUp», a cui collaborano i
Giovani imprenditori, le associazioni del sistema confindustriale con il supporto di Intesa Sanpaolo. E. N.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Innovazione/2
11/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Imprese
Marco Zatterin e Piero Bertoglio
Piano marketing n Decolla il progetto europeo «Farm Inc», che aiuta le imprese agricole a mettere a punto
strategie di marketing a livello globale. E' un programma dalla durata di 23 mesi di cui sarà capofila
l'Università di Macerata, per il partenariato a cui partecipano sette istituzioni partner di cinque Stati: Italia,
Belgio, Cipro, Grecia e Lettonia. Si cercherà di aiutare le piccole e medie imprese agricole europee che
devono trovare nuovi modi per competere con la rete internazionale.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Europa &Italia
11/05/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Dieci buone notizie sui conti dell'Italia
CARLO CAMBI
E se scoprissimo che l'Italia non è affatto (...) segue a pagina 2 segue dalla prima CARLO CAMBI (...) il
grande malato d'Europa? Anzi: è il Paese che ha il maggiore avanzo primario, è tra i meno indebitati ed è
quello che ha resistito meglio alla sfida della globalizzazione. Non solo: è il Paese europeo più verde, quello
che attrae più turisti extra-Ue ed ha la leadership in moltissimi segmenti di export. Non sono le perorazione di
un manipolo di inguaribili ottimisti. È l'intelligente lettura dei dati Eurostat che è stata fatta da Unioncamere,
Fondazione Symbola e Fondazione Edison, che hanno pubblicato nei giorni scorsi un dossier
significativamente intitolato: 10 verità sulla competitività italiana. Ferruccio Dardanello (Unioncamere) nel
presentare questi dati ha calcato la mano: il sistema delle nostre imprese è sanissimo, sconta enormi
difficoltà ma è forte. Ermete Realacci - presidente di Symbola - ha notato: se l'Italia continua a fare l'Italia
abbiamo davanti un futuro positivo. Ciò non significa che l'Italia non abbia bisogno di riforme radicali: di meno
burocrazia, meno fisco, meno vincoli. Insomma di una rivoluzione davvero liberale. Ma significa anche che
siamo ancora tra le prime e più dinamiche economie del mondo e che i governi di centrodestra che si sono
succeduti dal '96 in poi non hanno fatto disastri. Anzi con Berlusconi al governo il debito pubblico è diminuito,
il deficit è migliorato, e così le esportazioni e l'occupazione. A dirlo sono - sia pure in maniera indiretta proprio i dieci comandamenti del nostro ottimismo economico declinati da Unioncamere, Symbola ed Edison.
Vediamoli. L'Italia è tra i soli cinque pPaesi che hanno mantenuto un surplus commerciale con l'estero anche
nell'annus horribilis 2012. Abbiamo chiuso con un surplus di 113 miliardi di dollari: unici in Europa con il
segno più insieme con la Germania. In deficit sono Francia, Gran Bretagna e Usa. Secondo motivo di
ottimismo: le industrie italiane sono tra le più competitive: su 5117 prodotti scambiati nel mondo l'Italia ha la
leadership in 935. L'Italia è dopo la Germania e insieme con gli Usa il Paese che ha conservato la maggior
quota di mercato nell'esportazione (71%). E per quanto riguarda il turismo che peraltro nei primi mesi del
2014 dà confortanti segni di ripresa - siamo il primo Paese per pernottamenti di turisti extra-Ue. Diamo un
occhiata ai conti. Siamo il Paese che ha ridotto di più l'incidenza del proprio debito su quello europeo: nel '95
detenevamo il 28,7% del debito Ue, nel 2007 era sceso al 26,8 nel 2013 siamo arrivati al 22,1. Ma siamo
anche campioni di risparmio visto che dal 1996 al 2013 abbiamo fatto il più alto avanzo primario cumulato:
591 miliardi. La Germania si ferma a 371, la Spagna invece ha un disavanzo di 192 miliardi, la Francia di 311
e la Gran Bretagna di 364. Infine, considerando il debito aggregato (quello pubblico sommato a ricchezza
delle famiglie e delle aziende) siamo con il 261% del Pil tra i meno indebitati: meglio di noi fanno solo
Germania (195%) e Francia (255%). L'analisi Unioncamere-Symbola poi mette in evidenza come la nostra sia
l'industria più verde del vecchio Continente: con 104 tonnellate di anidride carbonica e 41 di rifiuti per ogni
milione di euro prodotto siamo i migliori d'Europa, siamo campioni anche nel riciclo (24,1 milioni di tonnellate
di prodotti recuperati) e quelli dove la green economy produce più lavoro e valore: nel 2015 il 51% delle pmi
italiane avrà almeno un "lavoro verde", il doppio della Germania. E allora? Allora viene il sospetto che alcune
teorie complottiste sull'utilizzo dello spread come arma politica non siano solo dietrologia. Viene il sospetto
che la Germania ci abbia aggredito attraverso i diktat europei per frenare la corsa dell'unico Paese che
davvero le fa concorrenza sul mercato globale, e che spesso quelle degli economisti del Fmi siano parole al
vento. Appena ieri Cristine Lagarde ha ribadito che il problema dell'Italia è la mancanza di competitività e non
il costo del lavoro. Forse madame Lagarde non conosce i dati del nostro export né sa che anche in settori
maturi - ad esempio il tessile o l'agroalimentare - abbiamo comunque aumentato il fatturato estero. Piuttosto
perché l'Fmi non s'interroga sulla perdita di competitività della Francia nel turismo, nel fatturato e nelle quote
di mercato estero? E allora viene un altro sospetto: che Mario Draghi il signor Bce - tentenni nel raffreddare il
cambio euro/dollaro per imposizione dei Paesi del Nord al fine di non favorirci. Quei Paesi del Nord che fanno
i primi della classe, ma che hanno economie finanziarizzate, producono poco e male mentre l'Italia
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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VERSO IL VOTO UE
11/05/2014
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Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
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nonostante tutto corre. C'è anche una prova indiretta del fatto che l'Italia sia stata aggredita: l'unica vera
zavorra al nostro sviluppo è stato il crollo dei consumi interni conseguenza di politiche fiscali draconiane che
ci sono state imposte dall'Europa. Lo studio Unioncamere-Symbola-Edison evidenzia come a fronte di un
fatturato estero cresciuto del 16,5% abbiamo perso il 15,9% del fatturato interno. La Germania ha perso
appena lo 0,3% di domanda interna espandendosi oltre confine dell'11,6%, la Francia ha fatto più 4,6% e più
5,9%. Non è peregrino perciò pensare che chi vive solo di finanza avendo scoperto che l'Italia è un Paese
ricco ha chiesto - e sciaguratamente ottenuto a partire dal governo di Mario Monti: e non è un caso - che il
fisco diventasse un aggregatore di questa ricchezza diffusa per poterla aggredire. Per farlo meglio hanno
cominciato a dire in giro che siamo un Paese inaffidabile. È così? No: siamo un Paese rigoroso visto che i
famosi compiti a casa li abbiamo fatti mentre gli altri hanno fatto i furbi. La dimostrazione sta ancora nelle
cifre di Eurostat. A sostenere le economie dei nostri partner europei dall'inizio della crisi ha contribuito un
disinvolto allargamento del debito aggregato (quello pubblico più quello delle aziende e delle famiglie). Quello
italiano è aumentato dal '95 a oggi del 61% anche perché le famiglie e le aziende hanno intaccato i risparmi
riversandoli nelle casse pubbliche attraverso le imposte, in Spagna il debito è cresciuto del 141%, in Francia
dell'81%, in Inghilterra del 93%, la Grecia ha sfondato il 147%, ma anche la maestrina Merkel ha messo
mano ai debiti che sono comunque cresciuti del 24%. Forse è bene che qualcuno - per primi i politici italiani spieghi alla prossima Commissione europea che se l'Italia fa l'Italia possono anche descriverla come
Cenerentola ma alla fine il principe se la sposa!
Foto: La sede della Banca centrale europea a Francoforte [LaPresse]
10/05/2014
Il Foglio
Pag. 3
(diffusione:25000)
Le parole non producono
I tormenti dell'industria produttiva (in calo) riportano Renzi alla realtà
Il calo di mezzo punto della produzione industriale misurato dall'Istat a marzo è un segnale che riporta tutti
alla realtà. A partire dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Finora infatti per la crescita nel 2014-2015 si
è molto discusso di stime sulla carta: con Unione europea, Fondo monetario internazionale, Ocse e lo stesso
Istat meno ottimisti del governo. Tranne Moody's, che pronostica un pil in rialzo fino all'uno per cento, e fino al
due nel prossimo anno; meglio della media europea. Il mantra di Renzi è che "gufi e rosiconi" saranno
smentiti, ma il dato di ieri è peggiore delle attese degli esperti e riguarda il primo mese di attività del governo,
quello del cronoprogramma e delle slide. Il tutto in attesa che del primo trimestre si conosca anche il pil, dopo
il mini-rialzo di fine 2013: un indicatore chiave che sarà reso noto a breve e sul quale girano voci discordi.
Tornando alla produzione industriale, resta ancora in crescita (0,1 per cento) sul trimestre precedente e su
base annua (0,3). Sul calo di marzo pesano energia e carburanti per via della stagione mite, ma anche i beni
di consumo restano in rosso dell'1,6. Vanno bene metallurgia, trasporti e automobili. Le aziende continuano a
essere trainate dall'export, e non si vedono ancora segni evidenti di ripresa dei consumi interni. Non è un
problema solo italiano: anche Germania e Spagna hanno segnato una contrazione imprevista della
produzione industriale, particolarmente nel settore manifatturiero. Ma poiché ognuno guarda in casa propria,
per Renzi le parole non bastano più: si tratta di accelerare sulle riforme. A cominciare dalla burocrazia e dal
mercato del lavoro.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
EDITORIALI
10/05/2014
Il Foglio
Pag. 3
(diffusione:25000)
ALESSIA A. AMIGHINI
La scalata cinese nella classifica delle economie più grandi del mondo - che sarebbe confermata ora dal
sorpasso del pil di Pechino rispetto a quello di Washington anticipato a quest'anno - fa scalpore, ma non è
affatto sorprendente: con un tasso di crescita medio annuo intorno al 10 per cento per oltre 15 anni, il primato
cinese è da tempo scritto nei numeri. E non sarà di certo il primo: la Cina è primo produttore di manufatti dal
2008 e il primo esportatore mondiale dal 2010. E' anche il primo importatore di molti beni, non soltanto
materie prime e commodities. E' il primo partner commerciale degli Stati Uniti, dell'Unione europea e di molti
altri paesi del mondo. E' da oltre due decenni il primo paese tra gli emergenti a essere scelto come sede per
l'apertura di filiali estere delle maggiori multinazionali del mondo ed è diventato recentemente il primo
investitore all'estero tra i paesi emergenti. La Cina ha trainato l'economia mondiale dal 2009 e in pochi anni
ha contribuito a scalzarne il primato nella composizione geografica del pil del pianeta, ma il prossimo primato
cinese sarà solo il simbolo di uno spostamento nel baricentro dell'economia mondiale. Senza dubbio il mondo
si è spostato in Asia, soprattutto in Cina, dove si trova oggi la domanda più dinamica di tuttempo sarà
sostenibile soltanto se fondata maggiormente sul consumo interno. E' proprio la forte domanda estera di beni
cinesi che ha portato il paese a raggiungere tanti primati sul piano economico. Per questo è utile inquadrare
meglio il ruolo della Cina nella domanda mondiale. La crescita della produzione cinese è avvenuta
specialmente nei beni di largo consumo di settori manifatturieri a intensità tecnologica medio-bassa e nei beni
intermedi di molti settori manifatturieri a tecnologia medioalta, tra cui l'elettronica e l'automotive. In tutti questi
settori i produttori cinesi dipendono pesantemente dalla domanda estera, senza la quale non potrebbero
sopravvivere. Anche in tal senso la crescita cinese dipende totalmente dal resto del mondo, soprattutto dalle
economie avanzate, strutturalmente molto più di quanto la crescita della domanda mondiale non dipenda da
quella cinese. Nella classifica delle economie più competitive del mondo stilata ogni anno dal World
Economic Forum, la Cina compare al primo posto soltanto per la sua dimensione del mercato estero, vale a
dire è il paese che più di tutti dipende dal resto del mondo per crescere. Segna invece il passo su molti altri
fronti, principalmente quello dello sviluppo istituzionale e tecnologico. L'efficienza delle sue istituzioni
pubbliche e private è molto distante da quella dei paesi avanzati e anche di molti paesi non avanzati: è
rispettivamente al 46° e 66° posto su 148. Il livello delle sue infrastrutture la vede al 74° posto. In quanto a
efficienza dei mercati dei beni e del lavoro, occupa rispettivamente il 61° e il 34° posto. Sul fronte tecnologico
per trovare la Cina dobbiamo scendere all'86° posto in quanto ad adozione di nuove tecnologie e al 105° in
quanto a disponibilità delle stesse. Ciò è dovuto a una scarsa capacità di innovare - 30° posto - derivante a
sua volta da un confronto schiacciante sulla qualità degli scienziati (41° posto) e sulla qualità dell'istruzione
superiore (44°). Anche se oggi la Cina si appresta a diventare l'economia più grande del pianeta, è ben
lontana dal diventare una vera e propria potenza economica perché il suo primato dipende in larga misura
dalle eccellenze altrui. Gli Stati Uniti sono la prima potenza mondiale dalla fine dell'Ottocento perché hanno
sommato su di sé una lunga serie di primati: politico, militare ed economico, quest'ultimo sostenuto a sua
volta da altri primati - istituzionale, scientifico e tecnologico. Il Celeste Impero oggi è diventato numericamente
grande, e farà leva sul suo ennesimo primato per rivendicare maggior potere economico e politico. Ma la
potenza di un'economia non si misura di certo e soltanto con la sua dimensione. * Università del Piemonte
Orientale to il pianeta, con una classe media in rapida crescita. Ma è bene mettere le cose nella giusta
prospettiva. Non solo per i dettagli statistici imposti dai confronti internazionali che in parte ridimensionano
l'ampiezza dell'economia cinese, e per le considerazioni doverose sul livello del pil pro capite che in Cina non
raggiunge i 6.000 dollari l'anno. Anche prendendo l'economia cinese nella sua dimensione aggregata, non
possiamo dimenticarne le caratteristiche strutturali e il suo peculiare profilo nelle relazioni economiche
internazionali. Il fattore "dipendenza" Partiamo dalle prime. La Cina sarà anche l'economia più grande del
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L'economia cinese è grande ma non è ancora da grande potenza
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Il Foglio
Pag. 3
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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pianeta, ma la grandezza di un'economia può derivare da varie fonti. Ciò che differenzia strutturalmente i
paesi avanzati dagli altri è la quota della domanda per consumo (che nei primi rappresenta mediamente circa
due terzi del pil ma solo il 35 per cento in Cina) rispetto alla domanda per investimento (il 45 per cento in
Cina). La rapida crescita degli investimenti ha creato una capacità produttiva che ha permesso alla Cina di
soddisfare la domanda mondiale di molti beni, non invece la domanda interna dei cittadini cinesi, ancora
limitata dall'elevata propensione al risparmio delle famiglie. In questo senso la crescita cinese dipende in
larga misura dalla domanda estera e nel
10/05/2014
ItaliaOggi
Pag. 21
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Ombrello a richiesta sul credito
A banche e confi di garanzie sui portafogli di fi nanziamenti
CINZIA DE STEFANIS
Adisposizione della banche e dei confi di dall'8 maggio la nuova modulistica e il nuovo regolamento per la
richiesta di concessione di garanzia da parte del fondo sui portafogli di fi nanziamenti pmi (si veda ItaliaOggi
di ieri, che ha anticipato i contenuti del decreto dello Sviluppo economico). La garanzia del fondo gestito dal
Ministero dello sviluppo economico è concessa alle pmi nei limiti delle risorse fi nanziarie disponibili. In
un'apposita area ad accesso riservato del sito internet del fondo di garanzia pmi (www. fondodigaranzia.it)
rubricato «normativa e procedure per banche e confidi» gli istituti di credito e i confi di possono presentare e
gestire la richiesta di garanzia per i portafogli fi nanziamenti pmi. La nuova disciplina si applica alle domande
presentate al gestore dall'8 maggio 2014, data di pubblicazione nella Gazzetta Uffi ciale dell'annuncio del
decreto del ministro dello sviluppo economico del 24 aprile 2014 (il cui testo corredato di allegati è disponibile
su www. ItaliaOggi.it ). Questo è quanto stabilito nella circolare del Mediocredito centrale dell'8 maggio 2014
n. 669. Doppia può essere la garanzia del fondo a favore delle pmi. Garanzia diretta, in favore del soggetto fi
nanziatore, responsabile dell'erogazione dei finanziamenti ai soggetti beneficiari fi nali e della strutturazione e
gestione del portafoglio di finanziamenti. Oppure controgaranzia, in favore dei confi di, garanti di primo livello
del soggetto fi nanziatore con il quale collabora per la strutturazione e gestione del portafoglio di
finanziamenti. RESENTAZIONE DELLE RI CHIESTE DI GARANZIA - La richiesta di garanzia sul portafoglio
di fi nanziamenti deve essere inoltrata al gestore del fondo utilizzando l'apposito modulo di richiesta (allegato
23 modulo di ammissione) comunicato dal gestore del fondo, mediante fax (al n. 06.4791.5005), posta
elettronica certificata (all'indirizzo fdgammissione@ postacertifi cata.mcc.it) o posta (raccomandata a/r). In
sede di domanda, i soggetti richiedenti devono indicare la data di chiusura del portafoglio di finanziamenti e
fornire tutte le informazioni tecniche connesse alla operazione di costruzione e gestione del portafoglio di
finanziamenti. Il gestore del fondo assegna alle richieste pervenute un numero di posizione identificativo e
comunica ai soggetti richiedenti, mediante fax, posta (raccomandata a/r) o posta elettronica certificata, entro
15 giorni lavorativi dall'arrivo delle richieste, il numero di posizione assegnato e il responsabile dell'unità
organizzativa competente per l'istruttoria, ovvero comunica l'improcedibilità. La documentazione ricevuta dal
gestore del fondo dopo le ore 17,00 è considerata pervenuta il primo giorno lavorativo successivo. I termini di
scadenza che cadono in un giorno di chiusura degli uffi ci si considerano automaticamente prorogati al primo
giorno lavorativo successivo. Le proposte di delibera relative alle richieste di garanzia del fondo complete dei
dati e delle informazioni previste nel modulo di richiesta comunicato dal gestore del fondo sono presentate
dal gestore del fondo al comitato, nel rispetto dell'ordine cronologico di arrivo o di completamento dei
medesimi dati e informazioni. Le proposte sono deliberate dal comitato entro 45 giorni dalla data di arrivo o di
completamento della richiesta. ICHIESTA DI INCLUSIONE DEI FINANZIAMENTI NEL PORTAFO - I soggetti
richiedenti, a partire dalla data di delibera del comitato di gestione di ammissione del portafoglio di
finanziamenti all'intervento del fondo e fi no alla data di chiusura del portafoglio di fi nanziamenti, possono
presentare richiesta di inclusione (allegati 24 e 24-bis) dei fi nanziamenti nel portafoglio. Con frequenza
settimanale a partire dalla data di delibera di ammissione del portafoglio di fi nanziamenti all'intervento del
fondo, le richieste di inclusione dei fi nanziamenti nel portafoglio devono essere inoltrate al gestore del fondo
via posta elettronica certifi cata, mediante la trasmissione di un elenco dei fi nanziamenti stessi, redatto sulla
base del modulo comunicato dal gestore del fondo ed elaborato in forma digitale.
Come richiedere l'ammissione del portafoglio di fi nanziamenti Fondo garanzia pmi Dall'8 maggio sono
entrate in vigore le nuove modalità operative che consentono la concessione di garanzie del Fondo su
portafogli di fi nanziamenti. Doppia garanzia Doppia può essere la garanzia del fondo a favore delle pmi.
Garanzia diretta, in favore del soggetto fi nanziatore, responsabile dell'erogazione dei fi nanziamenti. Oppure
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Dall'8 maggio via libera alle richieste al fondo di garanzia pmi . Le istruzioni MCC
10/05/2014
ItaliaOggi
Pag. 21
(diffusione:88538, tiratura:156000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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controgaranzia, in favore dei confi di. Modulistica per portafogli di fi nanziamenti All. 23 - modulo ammissione
portafogli fi nanziamenti All. 24 - richiesta inclusione dei fi nanziamenti nei portafogli All. 24-bis - modulo
inclusione fi nanziamenti nel portafoglio All. 25 - modulo chiusura del portafoglio All. 26 - modulo
monitoraggio portafoglio pre chiusura All. 26-bis - modulo monitoraggio portafoglio post chiusura La circolare
MCC sul fondo di garanzia pmi per i portafogli di fi nanziamenti e gli allegati con la modulistica delle domande
da presentare al gestore sul sito www.italiaoggi.it/documenti A sinistra l'anticipazione su ItaliaOggi di ieri
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 34
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Gestione efficiente, più export ecco l'utilità di quella "patente"
SECONDO L'OSSERVATORIO IL "BOLLINO" DI QUALITÀ MIGLIORA LA REDDITIVITÀ. E LE DITTE
CERTIFICATE FANNO AFFARI ALL'ESTERO PIÙ DI TUTTE LE ALTRE
(v.d.c.)
Il trend degli ultimi anni dell'export dei prodotti più forti del made in Italy dimostra che investire nella
certificazione del processo produttivo risulta decisivo per il recupero di competitività su mercati turbolenti,
come quelli attuali. A confermarlo è l'Osservatorio di Accredia che, con il supporto tecnico-scientifico del
Censis, ha confrontato gli indici di bilancio di un campione di 1000 aziende certificate ISO 9001 nel periodo
2005-2012 con un campione di 1.000 aziende non certificate. Le analisi condotte evidenziano in primo luogo
come la certificazione di qualità migliori la reddittività e la gestione corrente delle imprese. Indici come il Roi e
il Roe, o la rotazione del capitale circolante e la gestione dei crediti, si rivelano sistematicamente migliori nelle
imprese certificate rispetto alle imprese prive di certificazione. Analizzando i dati di Accredia-Censis, si vede
però come in Italia la competitività sui mercati internazionali sia scesa, tra il 2007 e il 2013, dal 3,6% al 2,7%.
Colpa non solo della prima crisi finanziaria - quella del 2007 - che ci ha trascinato verso il fondo fino al 2009.
Ma anche dell'incremento delle quote di mercato di Paesi con maggiore spinta manifatturiera, specie quelli
del Sud-Est asiatico. Poi, dal 2009 ad oggi, l'Italia è tornata a crescere sul fronte delle esportazioni. Dunque,
se la perdita di competitività è innegabile, perché testimoniata dal progressivo ridimensionamento delle
vendite di prodotti italiani sui mercati esteri, il nostro Paese si mantiene comunque ai primi posti nel mondo
per operatività sull'estero. L'Italia, infatti, continua ad essere il secondo Paese esportatore in Europa - dopo la
Germania - e il settimo a livello globale. E', inoltre, al primo posto per competitività dei prodotti del tessile,
dell'abbigliamento e della pelle. Al secondo posto, dopo la Germania, nel campo della meccanica e di prodotti
miscellanei (sport, occhialeria, alimentari) e di manufatti di base. Al sesto posto per i prodotti alimentari
confezionati e al ventunesimo per quelli dell'Ict. Se poi si considerano dati più articolati relativi al periodo
2007-2013, come il rapporto tra quote di export di un determinato settore e quota italiana sul commercio
mondiale, si evidenzia come in molti casi alcuni comparti produttivi italiani hanno addirittura incrementato la
propria competitività. Questo tipo di indicatore, che può essere considerato come un indice di competitività
settoriale negli interscambi con l'estero, ha registrato una flessione solo in 5 dei 19 comparti manifatturieri più
rilevanti. Viceversa, il posizionamento italiano migliora in molti ambiti: in particolare, nel comparto
farmaceutico, in quello dei prodotti della metallurgia, in quello della produzione di carta, della meccanica e dei
prodotti alimentari. L'indice, infine, conferma che le principali specializzazioni manifatturiere hanno, negli
ultimi anni e nonostante tutto, rafforzato il proprio posizionamento. Ciò è accaduto, in primis, per il settore
calzaturiero, la meccanica, i prodotti in metallo, l'abbigliamento, i prodotti in gomma. Certamente molte delle
produzioni appena indicate, puntualizza l'analisi di Accredia, si collocano in una fase di maturità del proprio
ciclo di vita. Ma nonostante tutto, esse restano produzioni trainanti della manifattura italiana sui mercati esteri.
La radiografia del settore è sintetizzata in altri dati: tra il 2010 e il 2013 i prezzi di vendita all'estero di prodotti
agricoli e manifatturieri sono aumentati del 13%. Tra i prodotti più apprezzati non vi sono solo quelli dei
comparti tradizionali, ovvero delle cosiddette "4 A del made in Italy" (abbigliamentotessile-moda, apparecchi
per la casa, alimentari, arredo-mobili), che rappresentano quasi un quarto del totale dell'export italiano, ma
iniziano a farsi strada anche prodotti a più elevato contenuto tecnologico. Infatti, tra il 2010 e il 2012 le
esportazioni dei comparti ad alta tecnologia (farmaceutico, produzione di Pc, meccanica di precisione e
produzioni aerospaziali) sono cresciute del 17%, A ruota sono aumentati anche i prodotti dei comparti a
media tecnologia (chimica, meccanica strumentale e produzione di autoveicoli) con un +14, passando da 72
miliardi a 81 miliardi di euro e superando in valore l'export del made in Italy tradizionale (78 miliardi di euro).
ACCREDIA CENSIS
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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[ LA RICERCA ] Milano
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 34
(diffusione:581000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Foto: A fronte di un oggettivo calo di competitività del nostro Paese determinato dalla crisi, la certificazione ha
aiutato le imprese all'estero
Foto: Indici come il Roi e il Roe , o la rotazione del capitale circolante e la gestione dei crediti, si rivelano
migliori nelle imprese certificate rispetto alle imprese prive di certificazione
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 46
(diffusione:581000)
Banche e avvocati in lizza per la coppa dell'eccellenza
STUDI LEGALI COME BONELLI EREDE PAPPALARDO, CBA, FRESHFIELDS, IL COLOSSO DELLA
FARMACEUTICA SANOFI, YVES ROCHER, UNICREDIT E GENERALI SONO TRA I GRUPPI IN GARA
PER IL PREMIO LE FONTI
(st.a.)
Ancora non si conoscono i nomi dei vincitori, ma tra i finalisti che si giocano quest'anno il podio del premio
internazionale Le Fonti, ci sono studi legali come Bonelli Erede Pappalardo, Freshfields, Cba, il colosso della
farmaceutica Sanofi, la società dei cosmetici Yves Rocher, e gruppi bancari come Unicredit e Banca
Generali. «Giunto ormai all'ottava edizione, il nostro riconoscimento vuole mettere in luce le eccellenze
italiane ed estere. - spiega il presidente di Editrice Le Fonti, Guido Giommi - Piccole e medie imprese e
grandi gruppi che si sono distinti per aver prodotto fatturati in crescita, prestato attenzione all'ambiente,
investito in formazione, assistito il cliente e puntato su una forte internazionalizzazione». I nomi dei premiati a
livello nazionale si conosceranno solo il 10 e il 27 giugno. Mentre quelli europei il 10 ottobre durante la
cerimonia a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, a Milano. Tra i finalisti di quest'anno, ritornano realtà
che si sono distinte anche in altre edizioni, come Banca Generali, già premiata nel 2013 per i suoi numeri
record. «A cominciare dalla raccolta - sottolinea Giommi - che è stata di 2,26 miliardi di euro, in crescita del
40% rispetto al 2012 e del 64% sulla media dell'ultimo triennio. Il risultato più alto di sempre per la banca, che
ha aumentato la sua solidità complessiva». Altra società già insignita del riconoscimento come "Migliore
studio legale italiano" è stato Bonelli Erede Pappalardo. «Uno dei motivi principali, anche se non l'unico spiegano dal Centro studi del premio - è stato il suo fatturato di 128 milioni di euro». Tra le aziende premiate
da Edizioni Le Fonti in passato ci sono poi realtà che hanno investito nella green economy come la
multinazionale giapponese Panasonic. «Dopo tre anni difficili, - spiega Giommi - questo gigante
dell'elettronica aveva visto il proprio titolo crescere del 70 per cento». Ma aveva anche avviato progetti
ecosostenibili, investendo ben 480 milioni nella costruzione di pannelli solari in Malesia e siglando una
partnership con Tesla Motors, azienda che produce auto elettriche, per una fabbrica (dal valore di 5 miliardi di
dollari) di produzione di batterie per auto. Vincitrice per ben tre edizioni di fila, è stata TerniEnergia. «L'ultima
vittoria - raccontano dall'Editrice Le Fonti - l'anno scorso, grazie ai ricavi cresciuti del 12%, a un utile triplicato
e alla capacità di esportare i suoi impianti fotovoltaici in tutto il mondo». Il premio punta ha ad incoronare
aziende innovative. Così anche quest'anno gli organizzatori hanno ottenuto il patrocinio della Regione
Lombardia, della provincia di Milano, ma soprattutto quello della Commissione Europea. Il premio è stato
portato come ad ogni edizione all'estero, dove è conosciuto come Iair Awards. Le ultime tappe internazionali
sono state New York (allo Yale Club) e Hong Kong (in partnership con l'Hong Kong Exchanges). «Ci
consideriamo ambasciatori dell'eccellenza italiana e internazionale nel mondo - spiega il presidente della
Editrice Le Fonti - e garantiamo visibilità e opportunità di networking nelle più strategiche piazze finanziarie
del pianeta». Chi si occupa della parte più operativa e cioè di selezionare le aziende meritevoli di un
riconoscimento, è il Centro Studi, che sta raccogliendo i voti dei lettori del quotidiano online FinanzaeDiritto.it.
CONSORZIO CBI
Foto: Il presidente di Editrice Le Fonti Guido Giommi
Foto: Il premio va ad aziende che si sono distinte per fatturati in crescita, attenzione all'ambiente, formazione,
presenza sui mercati esteri
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Milano
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 46
(diffusione:581000)
Impreparati alla meta della fattura digitale obbligatoria dal 6 giugno
L'IMPOSIZIONE RIGUARDA I RAPPORTI TRA FORNITORI E PA. RISPARMIEREMO 60 MILIARDI MA
FINORA È ELETTRONICO SOLO IL 5% DEI 3MILA MILIONI DI DOCUMENTI FISCALI CHE CIRCOLANO
OGNI ANNO. INDIETRO SONO LE IMPRESE DI PICCOLE DIMENSIONI
Sibilla Di Palma
Dal prossimo 6 giugno scatterà l'obbligo della fatturazione elettronica nei rapporti tra fornitori e Pubblica
Amministrazione. Se l'appuntamento non coglie impreparate le grandi imprese italiane, per le quali la fattura
virtuale non rappresenta in molti casi una novità ma è in uso ormai da diverso tempo, il discorso è invece del
tutto diverso per le piccole e medie imprese italiane che appaiono ancora indietro su questo fronte.
Attualmente in Italia sono circa 3 miliardi le fatture che circolano ogni anno; di queste, però, soltanto il 5%
sono elettroniche e quindi c'è ancora molto margine da colmare prima di essere a regime. Ma la nuova
direttiva, che entrerà dunque a breve in vigore promette, di dare una spinta in ottica più generale di
dematerializzazione del processo di approvigionamento. Nella pratica, a decorrere dal prossimo 6 giugno,
ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza non potranno più accettare fatture emesse o
trasmesse in forma cartacea. Inoltre, a partire dai tre mesi successivi, le PA non potranno più procedere ad
alcun pagamento, neppure parziale, per fatture emesse in formato non elettronico. Un processo che, secondo
uno studio condotto dall'Osservatorio fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano,
coinvolgerà complessivamente 21.200 enti pubblici, oltre a tutti i soggetti che entreranno in relazione con
queste realtà. Con un effetto benefico, in termini di costi gestionali e operativi risparmiati sia per la Pa che per
i fornitori (i quali spendono mediamente tra le 30 e le 80 euro per la gestione manuale delle fatture), stimato
attorno ai 60 miliardi di euro. Un supporto per aiutare le Pmi ad assolvere l'obbligo arriva da Infocert, azienda
specializzata nello sviluppo di soluzioni informatiche per la dematerializzazione dei processi documentali
attraverso componenti di gestione documentale, conservazione sostitutiva, firma digitale, posta elettronica
certificata ed enterprise content management (che nel 2013 ha fatturato circa 32 milioni di euro). «Le piccole
e medie imprese hanno lavorato per decenni con la fattura tradizionale e adesso mostrano una naturale
inerzia al cambiamento», sottolinea Danilo Cattaneo, direttore generale di Infocert. Molte Pmi, dunque, non
sono ancora pronte per questa scadenza, «ma si stanno attrezzando. Gli ordini negli ultimi mesi sono infatti in
aumento». Una realtà, quella della fattura elettronica, diffusa ancora soprattutto tra le grandi aziende. Come
conferma Cattaneo: «Negli ultimi due anni abbiamo infatti gestito più di due milioni di fatture elettroniche
soprattutto per conto di grandi realtà del mondo agroalimentare. Adesso l'intento è di aiutare anche le Pmi a
digitalizzare i propri processi, rendendo accessibili in termini di costi e complessità anche per loro le nostre
soluzioni». Per far sì, insomma, che la fattura elettronica, com'è già accaduto per la posta elettronica
certificata o per la firma digitale, da obbligo normativo diventi un'opportunità per semplificare le procedure e
ridurre i costi. Considerato che la digitalizzazione applicata sia alle fatture attive, che a quelle passive (ossia,
rispettivamente, quelle emesse e quelle ricevute dall'azienda) «permette di ottenere un abbassamento dei
costi fino al 60%». La società, che attualmente gestisce più di cinque milioni e mezzo di certificati di firma
digitale, un milione e quattrocentomila caselle di posta elettronica certificata e circa quattrocentocinquanta
milioni di documenti conservati in modalità sostitutiva, ha lanciato in particolare una soluzione specifica per la
fatturazione elettronica verso la PA, abilitando tutti gli attori - imprese private ed enti pubblici all'adempimento dell'obbligo che scatterà dal prossimo 6 giugno. Nel dettaglio, quest'ultima consente il
dialogo con il Sistema di Interscambio di Sogei (Sdi), l'infrastruttura che si occupa di ricevere i flussi di fatture
elettroniche destinate alla PA e di destinarli verso gli uffici competenti. E comprende tutti i livelli di notifica
previsti dalla regole tecniche, integrando in modo nativo i servizi di firma digitale, di posta elettronica
certificata e di conservazione a norma richiesti per lo svolgimento della procedura. Il sistema, che può essere
erogato in modalità Cloud oppure ibrida (grazie a una virtual appliance distribuita presso il cliente) è
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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Milano
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 46
(diffusione:581000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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disponibile sia in una versione per le piccole aziende, che emettono un numero contenuto di fatture all'anno,
sia in versione per medie aziende. «In quest'ultimo caso è presente un maggior livello di automazione»,
specifica Cattaneo. La soluzione, il cui costo è determinato dal livello di utilizzo e che comporta un
bassissimo impatto sui sistemi informativi, è infine disponibile come libreria di processo sviluppata su
LegalCloud, piattaforma di servizi in cloud con cui InfoCert offre la possibilità di integrare le tecnologie di
dematerializzazione nei processi aziendali. WWW.OSSERVATORI.NET
Foto: "Così aiutiamo le imprese ad attrezzarsi" spiega Danilo Cattaneo (foto), dg di Infocert
12/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza
Pag. 47
(diffusione:581000)
In Tech City le aziende dell'elettronica condividono il magazzino
I SERVIZI SU PIATTAFORMA PER PIÙ CLIENTI NASCONO IN CASA DI CEVA LOGISTICS,
MULTINAZIONALE USA PRESENTE IN 170 PAESI CHE FATTURA 8,5 MILIARDI DI DOLLARI DI CUI IL
10% NELLA PENISOLA ITALIANA
(ch.ben.)
Dopo la città del Libro e quella del Pharma, arriva Tech City. È la prossima capitale logistica per le pmi (ma
non solo) dell'elettronica che puntano ai mercati esteri ma hanno bisogno di un sostegno (per magazzino e
consegne) di un partner industriale nella filiera della distribuzione delle merci. Il servizio nasce in casa di
Ceva Logistics, la multinazionale americana presente in 170 paesi che fattura 8,5 miliardi di dollari, di cui il
10% in Italia, e che punta allo sviluppo dei servizi export e a piattaforme multicliente dedicate a una tipologia
di merce. Tech City, che verrà inaugurata presto alle porte di Milano, nasce per servire meglio le aziende
dell'elettronica sia sul mercato italiano che oltre confine. «Il nostro obiettivo - spiega Giuseppe Chiellino,
managing director di Ceva in Italia - è diffondere il concetto di logistica collaborativa per sfruttare al meglio le
economie di scala e la sostenibilità, anche ambientale, del servizio. Il che significa che le aziende, anche
competitor, condivideranno lo stesso magazzino e magari lo stesso camion nel corso di una spedizione. Un
evidente risparmio di tempo e di denaro, soprattutto per le pmi, ma non solo». La logistica collaborativa, con
spazi dedicati a un solo comparto, è già realtà nel sito di Stradella, dove dedica 80mila metri quadrati
all'editoria (Città del Libro) e ventimila metri quadrati a temperatura controllata al settore farmaceutico (Città
dei Farmaci). E Tech City è solo un altro passo in questa direzione. Non manca qualche resistenza (di tipo
culturale) di fronte a questa proposta, soprattutto in settori come la moda, dove le imprese sono molto gelose
delle proprie creazioni, ma Chiellino è convinto che questo modello sia il futuro, la terza grande evoluzione,
della logistica moderna. «In particolar modo in Italia, dove per via della complessa conformazione geografica,
il sistema di magazzino e consegne presenta più di una difficoltà». L'altro canale in rampa di lancio è quello
d'e-commerce, che oggi vale circa il 5% del fatturato di Ceva Logistics. «Noi ci proponiamo come un
integratore a 360 di servizi logistici. Siamo partner delle aziende e curiamo tutti gli aspetti della supply chain ,
sia in Italia che all'estero. Perciò l'ecommerce è una leva di sviluppo in più grazie alla quale cui contiamo di
crescere».
Foto: Nella foto Giuseppe Chiellino , managing director di Ceva in Italia
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Milano
12/05/2014
Corriere Economia - N.17 - 12 maggio
2014
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Manager a tempo. Per esportare
Co.Mark, consulenza ai piccoli per varcare le frontiere senza
paura PAOLA CARUSO
Anche le piccole e medie imprese puntano tutto sull'export. Ed è in crescita il numero di aziende con pochi
dipendenti che si rivolgono a specialisti in outsourcing per uscire dai confini nazionali.
Soltanto la società di consulenza Co.Mark, con 130 temporary export manager, segue 600 imprese proesportazioni (l'anno scorso erano 480) proponendo strategie ad hoc e suggerendo le piazze più appetibili per
ogni singola realtà produttiva, da quella meccanica a quella chimica, da quella tessile a quella
agroalimentare. Ogni settore ha il suo specialista di riferimento. E così, queste 600 imprese l'anno scorso
hanno realizzato 650 milioni di euro, soltanto in export, grazie alla consulenza. «Molte Pmi non hanno le
risorse per avere un export manager interno - spiega Massimo Lentsch, fondatore e presidente di Co.Mark -.
Per cui si rivolgono a noi che abbiamo skill e strumenti per centrare gli obiettivi».
L'anno scorso la società di consulenza, che nel 2013 ha fatturato 13 milioni di euro (15 milioni è la stima del
2014), ha messo radici al Sud con ottimi risultati: il 70% dei suoi nuovi «clienti» si trova al Centro e al
Meridione. Ma tra le aziende con temporary manager non ci sono soltanto le piccole. Certo, il 95% dei
contratti di consulenza è firmato da imprese con un fatturato tra uno e 20 milioni di euro. Ma molte hanno
bilanci tra 200 e 400 milioni.
«Il nostro contratto è di un anno - sottolinea il top manager -. E in quel lasso di tempo il temporary manager
deve garantire il risultato atteso, studiando strategie accattivanti e innovative. Cosa che magari non fa un
export manager interno, perché non ha un'esperienza su più fronti e non lavora su diverse tipologie di
business, di conseguenza ci può mettere il doppio o il triplo del tempo per arrivare agli obiettivi».
Per aiutare il made in Italy a esportare, Co.Mark è stata chiamata dal ministero dello Sviluppo economico a
partecipare al road show «Italia per le imprese» in 25 città. Si tratta di incontri e seminari informativi per
spiegare agli imprenditori gli approcci da usare sui mercati stranieri. Il tour è già iniziato. «Finora siamo andati
a Biella, Bari e Milano - aggiunge Lentsch -, e domani saremo ad Ancona. La partecipazione è molto alta.
Parliamo di circa 600-700 imprese per ogni tappa». I vantaggi? «Non ci sono soltanto workshop informativi e
formativi - commenta Lentsch -, ma c'è anche la possibilità di avere incontri con un funzionario Ice e un
nostro temporary manager che presenta un microbusiness plan mirato e basato sulle caratteristiche
individuali di ogni azienda».
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25Le tappe del tour «Italia per le imprese», promosso dal ministero dello Sviluppo economico per aiutare
l'internazionalizzazione delle Pmi. Previsti workshop, incontri formativi e operativi
Foto: Export Massimo Lentsch, fondatore di Co.Mark, società di consulenza
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/05/2014
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LUNEDÌ Consob. Ben vengano gli investitori esteri in una fase in cui arretra il vecchio capitalismo di relazione
colpito dalla crisi. Questo il pensiero di Giuseppe Vegas, presidente della Consob, intervenuto alla relazione
annuale della commissione di controllo. MARTEDÌ Fiat. Il piano industriale 2014-2018 illustrato da Sergio
Marchionne prevede investimenti per 55 miliardi di euro e punta a vendere oltre 7 mln di auto nel 2018 e a
raggiungere i 5 miliardi di utile entro fine periodo. Per migliorare la redditività del gruppo, Marchionne
scommette su alfa Romeo, Maserati, Jeep, 500 e Ferrari. MERCOLEDÌ Pirelli. Il gruppo guidato da Marco
Tronchetti Provera ha chiuso il primo trimestre con ricavi in crescita organica dell'8% a 1,47 miliardi di euro e
un util enetto di 90,4 mln (+26,1%). GIOVEDÌ Bce. L'Istituto di Francoforte lascia i tassi in variati allo 0,25%,
ma il presidente Mario Draghi dice che il Consiglio direttivo è orientato ad agire il mese prossimo dopo che
avrà visto le previsioni su economia e inflazione che arriveranno a inizio giugno. VENERDÌ Ftse Mib -1,6%.
Dopo il forte rimbalzo della vigilia a seguito delle dichiarazioni del presidente della Bce Mario Draghi su un
possibile taglio dei tassi di interesse a giugno, Piazza Affari torna a scendere. In rosso Prysmian (-5,3% a
16,09 euro), colpita da una raffica di downgrade all'indomani dei conti trimestrali. Vendite anche su Azimut H.
(-4,5% a 21,01 euro) con Equita Sim e Kepler Cheuvreux che hanno ridotto rispettivamente i target price a
26,5 euro da 28 euro (rating buy) e a 21,8 euro da 23 euro (hold). Pesante Mediaset (-4% a 3,79 euro).
Negative le banche: Ubi -4,9%, Mediobanca -5,4%, Mps -2%. In controtendenza Fiat (+1,2% a 7,53 euro).
Denaro su Autogrill (+1,5% a 6,68 euro). Wall Street moderatamente positiva, indice Dow Jones +0,2%, S&P
500 +0,15% e Nasdaq +0,5%. Portogallo. L'agenzia di rating Standard & Poor's ha alzato l'outlook sul merito
di credito del Portogallo da negativo a stabile grazie al miglioramento delle condizioni economiche e di
mercato e ha confermato il giudizio a BB, a due gradini dal livello spazzatura. S&P ha spiegato che
l'economia e il mercato del lavoro si stanno riprendendo più velocemente delle attese. Secondo l'agenzia di
rating il Portogallo, che rimane il Paese più povero dell'Europa occidentale, incontrerà delle difficoltà nel
riguadagnare lo status di investment grade. Cina. L'indice dei prezzi al consumo è salito dell'1,8% ad aprile
rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Il dato è inferiore al +2% atteso. A livello mensile, l'indicatore è
sceso dello 0,3% (+2,4% a marzo su base annua). Energy Lab. L'assemblea degli azionisti di Energy Lab,
società attiva nel settore delle energie rinnovabili, ha nominato il consiglio di amministrazione funzionale al
progetto di quotazione sull'Aim Italia gestito da Borsa Italiana. Il cda è costituito da cinque membri Giovanni
Dorbolò (presidente e amministratore delegato), Walter Giovanni Ballandino, Maurizio Conti, Lara Dorbolò e
David Armanini. La quotazione di Energy Lab, destina a collocare sul mercato un flottante del 20% del
capitale, è curata da Integrae Sim come Global Coordinator e Nomad, Legance come consulente legale,
Mazars come revisore legale dei conti. Icbpi. L'Istituto centrale delle banche popolari italiane ha chiuso il
2013 con un utile di 73,1 mln. Ricavi a 658,7 mln, con ebitda a 168,4 mln. Il patrimonio netto è salito del 9,7%
a 849,5 mln. Centrale del latte Torino. Il gruppo ha chiuso il trimestre con ricavi di 25,9 milioni di euro (+4,6%)
e un ebitda di 402 mila euro contro i 580 mila anno su anno. Frendy Energy. Sottoscritto l'aumento di capitale
di Alfa Idro, società del gruppo Bona, per il 51% della società. Il restante 49% rimane del gruppo. Anima
Holding. La società ha chiuso il primo trimestre con un utile di 17,7 milioni di euro, in crescita del 28% rispetto
ai 13,8 milioni dell'analogo periodo del 2013. A2A. Cinque banche in finale per collocare il 5% del capitale
della multiutility. Sono Banca Imi, Goldman Sachs, Unicredit, Société Générale e Mediobanca. Buzzi Unicem.
La società ha chiuso il trimestre con una perdita di 53,4 mln, in ripresa dai 66,9 mln. Il fatturato è aumentato
da 444,9 a 496,4 mln. Il mol è stato di 10,3 mln, in crescita di 18,7 mln. DiaSorin. La società ha registrato nel
trimestre un utile di 19,7 mln, -4% rispetto ai 20,5 mln nel primo trimestre 2013. Ricavi da 105,8 a 105,9 mln,
l'ebitda è stato di 38,6 mln. Credito Valtellinese. Il gruppo ha scelto le banche per consorzio di garanzia
dell'aumento di capitale fino a 400 mln, che è così garantito interamente. Banca Finnat. Nel primo trimestre
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utile netto in crescita del 10% a 1,33 milioni di euro. Margine di interesse a 3,46 mln (3,44 mln), le
commissioni nette si attestano a 5,34 mln (5,43 mln) e il margine di intermediazione sale a 12,42 mln (10,11
mln). Ima. Collocati bond da 80 milioni di euro presso investitori istituzionali europei. Verranno emesse due
tranche, a cinque e sette anni, con interessi rispettivamente del 3,875% e 4,375%. Carige. L'aumento di
capitale fino a 800 milioni «andrà in esecuzione a giugno, Consob permettendo, contiamo di partire nella
seconda settimana per finire la prima settimana di luglio». A dare la tempistica è il presidente del gruppo,
Cesare Castelbarco. Dividendi. Quotano ex stacco cedola (in pagamento dal 15 maggio) le seguenti azioni
quotate a Piazza Affari: Aeroporto di Firenze (0,04 euro), Amplifon (0,043), Ascopiave (0,12), Astaldi (0,19),
Beni Stabili (0,022), Brembo (0,5), Cairo Communication (0,27), Datalogic (0,16), Vittoria Assicurazioni (0,18),
Zignago Vetro (0,22), Compagnia della ruota (0,0388), Ki Group (0,19), Rosetti Marino (0,5), Wm Capital
(0,003).
MARTEDÌ
13 Assemblee. Unicredit. Roma, ore 10.30. Enel Green Power. Roma, ore 14.00. Incontro. «Investire in Italia
uno strumento unico per puntare sulle nostre eccellenze». Milano, Sala Consiglio, ore 11.30
MERCOLEDÌ
14 Incontro. Promosso da Alliance & Bernstein, «Smart Investing Investire in modo efficace nei Mercati
Europei» con Massimo Dalla Vedova, Director Financial Institutions e Michele Patrì, gestore fondo European
Flexible Equity. Milano, Sheraton Diana Majestic, ore 15.30
GIOVEDÌ
15 Incontro. Presentazione dati annuali Osservatorio Acquisti CartaSi 2014. Milano, Palazzo Parigi, ore 10.00
VENERDÌ
16 Convegno. «Come muovere gli i n g r a n a g g i dell'economia, proposte e scelte per far crescere le pmi».
Organizzato da Confcommercio Ravenna. Ravenna, Teatro Alighieri, ore 10.00
Gli eventi chiave In collaborazione con
Giorno Ora Paese Evento Periodo Consensus Precedente Rilevanza Fonte consensus: Bloomberg Rilevanza: bassa; media; buona; alta Martedì 7:30 CIN Vendite al dettaglio a/a APR 12,20% 12,20% 13/05
7:30 CIN Produzione industriale a/a APR 8,90% 8,80% 10:00 ITA Inflazione armonizzata APR F 0,60%
0,60% 14:30 USA Vendite al dettaglio m/m APR 0,40% 1,20% Mercoledì 11:00 EUR Produzione industriale
m/m MAR -0,10% 0,20% 14/05 11:30 GBR BoE: presentazione report trimestrale sull'inflazione 16:30 USA
DOE scorte greggio (000) 9 MAG -1781 Giovedì 8:00 GER PIL t/t 1T P 0,70% 0,40% 15/05 8:00 GER PIL a/a
1T P 2,20% 1,40% 10:00 EUR BCE: pubblicazione report mensile 10:00 ITA PIL t/t 1T P 0,10% 10:00 ITA PIL
a/a 1T P -0,90% 11:00 EUR Inflazione APR F 0,70% 0,50% 11:00 EUR PIL t/t 1T A 0,40% 0,20% 11:00 EUR
PIL a/a 1T A 1,10% 0,50% 14:30 USA Inflazione APR 2,00% 1,50% 14:30 USA Nuove richieste
disoccupazione (000) 10 MAG 319 14:30 USA Richieste continue (000) 3 MAG 2685 15:00 USA Flussi TIC
netti l/termine Mld$ MAR 85,7 15:15 USA Produzione industriale m/m APR 0,00% 0,70% 16:00 USA
Philadelphia Fed MAG 12,5 16,6 16:00 USA NAHB fiducia costruttori MAG 48 47 Venerdì 1:00 USA Yellen
(governatore FED): discorso 16/05 11:00 EUR Bilancia commerciale (Mld€) MAR 15 14:30 USA Nuove
costruz. abitative m/m APR 3,90% 2,80% 14:30 USA Permessi edilizi m/m APR 1,80% -1,70% 15:55 USA
Fiducia consumatori Università del Michigan MAG P 84,5 84,1
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Il Sole 24 Ore - PLUS 24
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L'appeal dei listini è legato soprattutto agli alti dividendi
- An.Gen.
Le società del Vecchio Continente fanno fatica a seguire gli Stati Uniti sul terreno della profittabilità. La
diffusione delle trimestrali è più indietro in Europa: secondo le prime indicazioni gli utili nel primo trimestre
sono saliti poco al di sotto dell'1% ma soprattutto con un segno meno davanti ai ricavi. Un recente studio di
BofA Merrill Lynch evidenzia inoltre che prosegue inesorabilmente la revisione al ribasso della stima di
crescita degli utili per azione nell'intero 2014 (oggi si attesta all'8,7% contro il 13% di inizio anno). La ripresa
resta ancora un'incognita, ma il mercato ci crede.
«In Europa - spiega Paola Bianco, market strategist di Euromobiliare Am Sgr - sono oramai due anni che
assistiamo a una continua revisione al ribasso degli utili. Negli ultimi tempi comunque registriamo alcuni
segnali di miglioramento, penso ad esempio agli indici di confidenza e all'indice Pmi. Sono due termometri
che di solito preludono alla crescita degli utili. Oggi il gap con gli Stati Uniti è rilevante ma il mercato tende ad
anticipare i futuri movimenti e sicuramente le aziende del Vecchio Continente potranno trarre maggiore
beneficio da una ripresa globale. In tutto questo l'euro è il vero elemento di cautela, soprattutto perché solo la
Germania può sostenere una divisa unica sopra 1,40 mentre la periferia no. Pensiamo comunque che la
divisa continuerà a muoversi all'interno del range degli ultimi due anni tra 1,27 dollari e 1,40».
Tra i fattori che rendono più competitivo l'azionario europeo a quello statunitense c'è sicuramente la
componente dei dividendi. «I dividendi dello Stoxx 600 - spiega Raffaele Zenti, co-fondatore e partner di
Advise Only - oggi hanno un rendimento in media del 3,4% contro il 2% circa degli Stati Uniti. È una
differenza importante che pesa nelle scelte di investimento. Per il resto a inizio anno c'era maggiore
convinzione nel sostenere l'azionario del Vecchio Continente rispetto a quello americano. In Europa gli utili
faticano a crescere, così come i ricavi, manca ancora una vera ripresa». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Aziende europee meno profittevoli