Antologia Menandro

Antologia
MENANDRO
3. ‘Tipi’ menandrei
U
na delle caratteristiche principali
della drammaturgia di Menandro è
l’accentuata caratterizzazione dei
personaggi.
I protagonisti delle commedie menandree si
presentano infatti come tipi ben definiti, dai tratti
particolarmente marcati: abbiamo il vecchio avaro,
lo schiavo intraprendente, il vecchio scontroso
e misantropo, il soldato fanfarone, la prostituta
dal cuore buono. I ‘tipi’ menandrei godranno
di grande fortuna nel teatro antico e moderno:
per citare solo qualche esempio, il soldato
fanfarone sarà protagonista del Miles gloriosus
di Plauto, mentre la ‘maschera’ del vecchio avaro
ricorrerà tanto nell’Aulularia di Plauto quanto
nell’Avaro del francese Molière.
Il misantropo
Il Duvskolo~, l’unica commedia di Menandro che ci è giunta per intero (le lacune sono minime),
ha per protagonista Cnemone, vecchio scorbutico e misantropo che vive in solitudine con sua figlia e la nutrice di questa, Sìmiche (T10-T11). Neanche il giovane Sostrato, che è innamorato della ragazza e vorrebbe chiederla in sposa, riesce ad avvicinare il vecchio. Soltanto un incidente riuscirà a trasformare la disposizione d’animo del misantropo: caduto in un pozzo nel tentativo di recuperare un’anfora e una zappa, Cnemone viene salvato da Gorgia e da Sostrato. Alla fine, Gorgia
viene adottato da Cnemone e sposa la sorella di Sostrato, mentre quest’ultimo ottiene la mano della figlia di Cnemone che, suo malgrado, partecipa alle nozze.
Percorso
TEMATICO
vol. 3, p. 239
t 10
Ritratto di un misantropo
(Il misantropo, vv. 1-49)
Il misantropo si apre con un prologo esplicativo recitato da una divinità, come
accade anche in altre commedie menandree (l’Ignoranza nella Donna tosata, la Fortuna nello Scudo, il dio nel Fantasma). Chi parla è Pan, divinità campestre, che ha un santuario vicino alla casa del
misantropo Cnemone, protagonista della vicenda. Oltre a informare sui rapporti di parentela tra i
personaggi, Pan traccia un ritratto del vecchio scorbutico e dichiara di aver causato l’innamoramento di Sostrato per la figlia del vecchio, evento motore di tutta la vicenda.
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Antologia
PAN Dovete figurarvi che questo luogo sia File1 nell’Attica; il ninfeo da dove sono uscito è l’illustre santuario dei Filasii, contadini capaci di coltivare anche le pietre 2. Il
podere alla destra è di Cnemone, un misantropo, collerico con tutti, che non ama
la gente. Ma che dico «la gente»? Da quando è nato non ha mai scambiato volentieri una parola con nessuno, non ha mai rivolto per primo la parola a nessuno, tranne a me quando mi passava davanti, costretto dalla vicinanza. E subito dopo se ne
pentiva, lo so benissimo. Con questo carattere, ha sposato una vedova, con un figlio ancora piccolo3 dal primo marito, e con lei litigava non solo tutto il giorno, ma
la maggior parte della notte. Una vita da cani. Gli nasce una bambina: peggio ancora. Resasi conto che quella vita era più che mai dolore, amarezze, dispiaceri, la
donna se ne è andata dal figlio di primo letto. Questi possiede un piccolo podere
nelle vicinanze, grazie al quale mantiene a stento sé, la madre e un unico servo, ereditato dal padre, fedelissimo. È un ragazzo che ha più cervello della sua età; perché
l’esperienza delle difficoltà fa crescere. Il vecchio invece vive con la figlia e una vecchia serva4, zappando, raccogliendo legname, faticando sempre e detestando tutti
quanti, a cominciare da sua moglie e dai vicini, per finire fino ai Colargesi5. La ragazza, grazie all’educazione ricevuta, ignora totalmente il male. La cura che si prende delle Ninfe, mie compagne, la venerazione e gli onori che rende ad esse, ci hanno persuaso a prenderci a nostra volta cura di lei. Un giovane6, figlio di un uomo
ricco7, che possiede qui terreni per parecchi talenti, ma abita in città, trovandosi una
volta a caccia con un compagno8 è capitato per caso in questo luogo e io l’ho fatto
innamorare di lei. Questa è l’azione per sommi capi. I dettagli li saprete tra poco,
se vorrete. Ma lo vorrete certamente. Ecco; vedo che stanno arrivando l’amoroso e
il suo amico e stanno parlando proprio di questo.
(trad. di G. Paduano)
1. Il demo di File si trovava fra l’Attica e la Beozia, a circa
20 km da Atene.
2. La pervicacia dei contadini attici è ribadita nella commedia anche dal servo Geta, a parziale giustificazione del caratteraccio di Cnemone (vv. 603-606).
3. È il ragazzo Gorgia.
Percorso
TEMATICO
vol. 3, p. 239
t 11
4.
5.
6.
7.
8.
Il nome della serva è Simiche.
Abitanti di Colargo, a nord di Atene.
Sostrato, protagonista della vicenda amorosa.
Callippide.
Cherea, amico di Sostrato.
L’ingresso in scena di Cnemone
(Il misantropo, vv. 153-178)
Lo scontroso protagonista entra in scena da par suo, con un curioso exemplum
mitologico: dichiara infatti la sua invidia per l’eroe Perseo, che poteva isolarsi dagli uomini volando in groppa a Pegaso o, al limite, pietrificando i seccatori con la testa di Medusa.
metro: trimetri giambici
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KNHMWN Ei\tΔ ouj makavrio" h\n oJ Perseu;" kata; duvo
trovpou" ejkei'no", o{ti pethno;" ejgevneto
koujdeni; sunhvnta tw'n badizovntwn camaiv,
ei\qΔ o{ti toiou'to kth'mΔ ejkevkthqΔ w|/ livqou"
CNEMONE Quant’era fortunato Perseo! E per due ragioni: perché grazie alle ali non si
trovava tra i piedi quelli che camminavano per terra, e perché tutti gli scocciatori
Menandro • ‘Tipi’ menandrei
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a{panta" ejpovei tou;" ejnoclou'nta"1… ”Oper ejmoi;
nuni; gevnoitΔ: oujde;n ga;r ajfqonwvteron
liqivnwn gevnoitΔ <a]n> ajndriavntwn pantacou'.
Nu'n dΔ ouj biwtovn ejsti, ma; to;n ΔAsklhpiovn.
Lalou'sΔ ejpembaivnonte" eij" to; cwrivon
h[dh: parΔ aujth;n th;n oJdo;n gavr, nh; Diva,
ei[wqa diatrivbein: o}" oujdΔ ejrgavzomai
tou'to to; mevro" <tou'> cwrivou, pevfeuga de;
dia; tou;" pariovnta". ΔAllΔ ejpi; tou;" lovfou" a[nw
h[dh diwvkousΔ. ‘W poluplhqeiva" o[clou.
Oi[moi, pavlin ti" ouJtosi; pro;" tai'" quvrai"
e{sthken hJmw'n.
«Ara tupthvsei gev me…
SWSTRATOS
KN. ΔErhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n,
oujdΔ a]n ajpavgxasqaiv ti" ejpiqumw'n tuvch/.
SW. ΔEmoi; calepaivnei<">; Perimevnw, pavter, tina;
ejntau'qa: suneqevmhn gavr.
Oujk ejgw; Δlegon…
KN.
Touti; stoa;n nenomivkatΔ h] to; tou' Lewv…
Pro;" ta;" ejma;" quvra", eja;n ijdei'n tina
bouvlhsqe, suntavttesqe pavnta pantelw'",
kai; qw'kon oijkodomhvsatΔ, a]n e[chte nou'n,
ma'llon de; kai; sunevdrion. ‘W tavla" ejgwv,
ejphreasmo;" to; kako;n ei\naiv moi dokei'.
poteva trasformarli in pietre1. Magari potessi anch’io! Non ci sarebbero altro che statue di pietra in giro. Non si può più vivere; entrano nel mio podere e parlano, parlano. Sembra che passi il mio tempo in mezzo alla strada, quando invece non coltivo più neppure questa parte del campo per sfuggire alla gente che passa. Niente,
ora mi vengono a dare la caccia sulla collina. Una folla soffocante. E ora chi è quest’altro che se ne sta impalato davanti alla mia porta?
SOSTRATO Che mi voglia picchiare?
CNEMONE Non ci si può godere la solitudine da nessuna parte, neanche se ci si volesse impiccare!
SOSTRATO Ce l’ha con me? (a Cnemone) Sto aspettando una persona; eravamo rimasti d’accordo di trovarci qui.
CNEMONE Lo dicevo io! L’avete preso per un portico, per un luogo di riunione. Se
volete vedervi davanti alla mia porta, fate le cose per bene: costruite dei sedili, magari anche una sala. Povero me! Mi sembra che questa sia una sopraffazione bella e
buona. (entra in casa).
(trad. di G. Paduano)
1. Cnemone allude in questi versi prima al cavallo alato Pegaso, in sella al quale Perseo compì le sue imprese, e poi a
una delle più celebri di queste imprese: l’uccisione da parte di Perseo di Medusa, la mostruosa creatura che pietrificava
chiunque incontrasse il suo sguardo.
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Antologia
Il vecchio avaro
Il protagonista della commedia Lo scudo è Smicrine, un avaro pronto a tutto pur di arricchirsi. Quando suo nipote Cleostrato viene creduto morto in battaglia, Smicrine pretende di sposare la sorella di questi per mettere le mani sulla cospicua eredità lasciata dal nipote (T12), noncurante del
fatto che la ragazza è stata già promessa a Cherea, figliastro del fratello di Smicrine, Cherestrato.
L’antagonista del vecchio avaro è il servo Davo (T13): con la sua intraprendenza riuscirà a farsi beffa dell’avarizia di Smicrine, organizzando un piccolo inganno che, grazie anche all’aiuto di Tuvch,
porterà al lieto fine.
t 12
Le mire di Smicrine
(Lo scudo, vv. 149-215)
Smicrine ha messo l’occhio sull’eredità della nipote orfana e senza fratelli e ha
intenzione di sposarla; per realizzare il suo proposito si richiama a una norma del diritto attico, secondo la quale il parente più prossimo di una ragazza priva di genitori e fratelli aveva il dovere di
prenderla in moglie.
SMICRINE Perché non si dica che sono attaccato al denaro, ho fatto portare dentro tutto
subito, senza fare l’inventario dell’oro e dell’argento, senza contare niente, insomma.
Ce l’hanno con me d’abitudine, per ogni cosa. Del resto, finché chi porta la roba sono
i servi di casa, i conti torneranno. Penso che vorranno spontaneamente seguire la legge e la giustizia, perché se no, non ci sarebbe pietà per loro. Voglio andare a dire che
queste nozze non si devono fare. Ma forse è fuori luogo anche solo parlarne: dopo la
notizia che è arrivata, non c’è aria di nozze. Però voglio bussare alla porta e chiamare
Davo: almeno lui mi darà retta.
(entra Davo)
DAVO (rivolgendosi alle donne dentro casa) Il vostro comportamento merita ogni comprensione in queste circostanze; ma bisogna cercare di sopportare la disgrazia, tenendo presente la natura dell’uomo.
SMICRINE Venivo proprio da te, Davo.
DAVO Da me?
SMICRINE Sì. Magari fosse vissuto lui, com’era giusto, e si fosse amministrato da sé i suoi
beni, e alla mia morte avesse ereditato, secondo la legge, tutti i miei!
DAVO Magari! Ma che c’è?
SMICRINE Che c’è? Io sono il più anziano della famiglia; e devo vedere sempre ingiustizie
e prevaricazioni da parte di mio fratello; e subisco.
DAVO Hai ragione!
SMICRINE Ma non ha misura! Mi tratta come se fossi uno schiavo o un bastardo. Ha progettato queste nozze, dando la ragazza a non si sa chi, senza dirmi niente, senza chiedermi il mio parere. Eppure ha con lei la stessa parentela che ho io, è suo zio come me1.
DAVO E dunque?
SMICRINE Mi irrita vedere queste cose. E poiché lui si comporta da estraneo con me, io
farò lo stesso con lui. Non mi lascerò rubare la mia roba da questa gente, ma farò come
mi consigliano certi amici: prenderò io in moglie la ragazza. La legge dice così, pressappoco. Anche tu, Davo, dovresti pensare come si può aggiustare al meglio questa faccenda. Non sei mica un estraneo.
1. Il fratello di Smicrine, Cherestrato, ha promesso la nipote a Cherea, figlio della sua prima moglie.
Menandro • ‘Tipi’ menandrei
DAVO Smicrine, io credo che la cosa più saggia al mondo sia, come si dice, «conoscere te
stesso». Lascia che io rispetti questo principio, e dammi compiti che spettano a un servo non cattivo, e su questi chiedi il mio parere.
[...]
Se durante la sua assenza ha fatto degli affari con qualcuno; questo sono in grado di
dirlo, se me lo si chiede, posso indicare ogni dettaglio, dove, come, alla presenza di chi.
Ma sull’eredità, sul matrimonio dell’ereditiera, sulla famiglia, sui gradi di parentela, non
mettete di mezzo Davo. Le faccende degli uomini liberi sbrigatevele voi, che siete direttamente interessati.
SMICRINE Ma ti sembra che io sbagli?
DAVO Io sono frigio; molte cose che a voi sembrano giuste, a me sembrano spaventose, e
viceversa. Perché ti rivolgi a me? Ragioni meglio tu di sicuro.
SMICRINE A me pare che tu voglia dire all’incirca: «non mettermi nei guai»; o pressappoco. Capisco. Devo vedere qualcuno di questi; andrò nella piazza, se non c’è nessuno in
casa.
DAVO Sì, non c’è nessuno (Smicrine esce). O Fortuna, a quale padrone mi hai tolto e a
quale mi stai per consegnare! Che ti ho fatto di male?
(trad. di G. Paduano)
t 13
Il piano di Davo
(Lo scudo, vv. 299-390)
Il servo Davo architetta uno stratagemma per beffarsi dell’avidità di Smicrine
e impedire le sue nozze con la giovane nipote: decide di far credere a Smicrine che Cherestrato è morto di dolore alla notizia del decesso di Cleostrato. Obiettivo del piano è far sì che Smicrine sposti le
sue mire sulla figlia di Cherestrato e sulla sua più ingente eredità, lasciando libera la sorella di
Cleostrato di sposare Cherea come pattuito.
DAVO Non è giusto quello che fai, Cherestrato. Tirati su; non devi lasciarti andare, perderti d’animo. E tu, Cherea, digli una parola di conforto. Non cedere: il problema per
noi sta tutto qui. Piuttosto apri le porte, fatti vedere. Cherestrato, vuoi abbandonare i
tuoi cari così vigliaccamente?
CHERESTRATO Davo, sto male. Questi fatti mi hanno buttato a terra, non sono più padrone di me stesso, mi sembra di impazzire. La colpa è tutta di quel brav’uomo di mio fratello, e della sua cattiveria. La vuole sposare lui.
DAVO Sposarla? E tu credi che ci riuscirà?
CHERESTRATO Dice di sì, quel gentiluomo. Eppure pensa che gli ho proposto di lasciargli tutti i beni di Cleostrato.
DAVO Scellerato!
CHERESTRATO Scellerato sì. Ma per gli dei, io non resto vivo se vedo succedere questa cosa.
DAVO Come si fa a spuntarla su quest’essere diabolico? È un bel lavoro! Un bel lavoro, ma
si può fare.
CHERESTRATO Si può fare?
DAVO E ne vale la pena, per Atena!
[...]
Se gli si dà una speranza, lo vedremo subito non capire più nulla e precipitarsi nell’errore. Allora si potrà manipolarlo agevolmente, perché vede e prevede solo quello che
desidera, e sarà del tutto incapace di discernere il vero dal falso.
CHERESTRATO Che dici? Sono pronto a fare tutto quello che vuoi.
DAVO Bisogna mettere in scena la tragedia di un altro lutto, che non avete. Tu devi fingere proprio quello che dicevi poco fa, che per la disgrazia di Cleostrato, e per il matri-
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Antologia
monio della ragazza, sei caduto in uno stato di prostrazione; e inoltre nel vedere la prostrazione di Cherea, che consideri come tuo figlio… insomma per queste ragioni ti è
venuto un male improvviso. Del resto la maggior parte delle malattie hanno origine in
un dolore; e tu per natura sei incline a tristezze e depressioni. Faremo venire un grande medico, che diagnosticherà pleurite o frenite, o qualche altra malattia fulminante.
CHERESTRATO E allora?
DAVO Di colpo sei morto. Noi gridiamo «Cherestrato è morto» e ci battiamo il petto davanti alle porte. Tu stai dentro ben nascosto e noi mettiamo in mezzo alla stanza il tuo finto cadavere avvolto in veli.
CHERESTRATO (a Cherea) Tu capisci cosa vuol dire?
CHEREA Io no.
CHERESTRATO Neanch’io.
DAVO Tua figlia diventa ereditiera, né più né meno che quella che è adesso oggetto della
disputa; con la differenza però che tu possiedi circa sessanta talenti, e l’altra solo quattro. Il vecchio avido ha lo stesso grado di parentela con le due ragazze.
CHERESTRATO Ora capisco.
DAVO Se non sei duro come il marmo! Sarà ben lieto di dare la ragazza al primo che gliela chiede, e alla presenza di mille testimoni. Per sé vorrà quell’altra.
CHERESTRATO Mi par di capire che andrà a finir male per lui.
DAVO Già lo vedo: si metterà ad amministrare la casa, andrà in giro con chiavi e sigilli,
fantasticando ricchezze.
CHERESTRATO E il mio simulacro?
DAVO Resta lì; e noi staremo seduti tutt’intorno, badando che non si avvicini.
[...]
CHERESTRATO Questo che dici mi sta proprio bene. Come prendersi migliore vendetta di
quello sciagurato?
DAVO È quella che gli spetta per tutti i dispiaceri che ti ha procurato. E come dice la favola, il lupo venuto a bocca aperta se ne va a bocca vuota. Ma bisogna passare all’azione.
Tu, Cherea, conosci qualche medico spiritoso e un po’ imbroglione?
CHEREA No.
DAVO Eppure bisognerebbe trovarlo.
CHEREA Perché? Porterò un mio amico, affitterò una parrucca, un mantello, un bastone e s’ingegnerà a parlare con accento straniero.
DAVO Ma facciamolo subito.
CHERESTRATO E io che devo fare?
DAVO Quel che s’è detto. Muori e tanti auguri.
CHERESTRATO Sarà fatto. Ma non lasciate uscire nessuno, e custodite il segreto, da uomini.
CHEREA Chi dovrà sapere oltre a noi?
CHERESTRATO Bisognerà dirlo a mia moglie e alle ragazze; non voglio che piangano. Gli
altri in casa lasciamo che si sbronzino, credendomi morto.
DAVO Ben detto. Qualcuno accompagni in casa il malato. Se appena insorge la malattia,
e il medico è attendibile quanto basta, lui avrà un bel passatempo e una bella lotta.
(escono)
(trad. di G. Paduano)
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4. La commedia dei
buoni sentimenti
L
a commedia di Menandro si fa portatrice
di principi etici di validità universale, come
l’amicizia, l’amore e la solidarietà.
Alla prospettiva pubblica della polis, tipica
della commedia antica e della tragedia, subentra
nella nea la dimensione privata della famiglia, intesa
come un microcosmo fatto di sicurezza affettiva,
in cui tutti collaborano solidali per resistere
alle minacce del mondo esterno e realizzare
la felicità comune.
Nell’Arbitrato spiccano, da questo punto di vista,
la generosità e la bontà d’animo della prostituta
Abrotono, come pure l’amore del giovane Carisio
per Panfila.
L’arbitrato
L’arbitrato è una commedia di equivoci e riconoscimenti. Carisio abbandona la moglie Panfila dopo aver scoperto che questa, in sua assenza, ha partorito ed esposto un bambino. Il giovane ignora però che il bambino, in realtà, è suo: prima di sposarsi, ubriaco durante una festa, aveva infatti violentato Panfila. Carisio vive adesso con la prostituta Abrotono, mentre il bambino, ritrovato
dal pastore Davo, viene da questi affidato all’amico Sirisco. Assieme al bambino si trovano alcuni
oggetti, tra cui dei gioielli, che Davo tiene per sé e che Sirisco reclama, intuendo che siano i segni
di riconoscimento della condizione libera del bimbo. I due litiganti decidono di affidarsi al giudizio di un passante, che per coincidenza è il vecchio Smicrine, il padre di Panfila, la madre del bambino abbandonato (T14). Alla fine il servo di Carisio, Onesimo, riconosce l’anello del bambino come appartenente al suo padrone (si tratta infatti di un anello che Panfila aveva sottratto al suo
violentatore); Abrotono, dal canto suo, dopo aver scoperto grazie a un abile stratagemma (vedi T15)
che il misterioso violentatore di Panfila è proprio Carisio, confida la verità alla giovane donna, facendo prova di grande bontà d’animo. Il finale della commedia segna così il trionfo dei buoni sentimenti: l’amore che lega Carisio a Panfila, la generosità e l’onestà che nobilitano la prostituta Abrotono (T16).
t 14
Il giudizio di Smicrine
(L’arbitrato, vv. 42-186)
È la scena che dà il titolo alla commedia. Davo e Sirisco stanno litigando per l’affidamento del bambino, e soprattutto per i gioielli che si trovano con il piccolo. Il vecchio Smicrine,
di pessimo umore perché la figlia Panfila è stata appena lasciata da Carisio, viene incaricato di far
da giudice nella controversia.
(sulla scena è Smicrine, entrano Davo e Sirisco con la moglie di Sirisco e il bambino)
SIRISCO Rifiuti un atto di giustizia.
DAVO E tu m’imbrogli, disgraziato. Non devi avere quello che non è tuo.
SIRISCO Affidiamo la decisione a un arbitro.
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Antologia
DAVO D’accordo.
SIRISCO E chi?
DAVO Per me può andare chiunque. (tra sé) Mi sta bene. Perché te ne ho fatto parte?
SIRISCO (indicando Smicrine) Vuoi prendere a giudice quest’uomo?
DAVO Speriamo in bene.
SIRISCO Amico, in nome degli dei, avresti un po’ di tempo per noi?
SMICRINE Per che cosa?
SIRISCO Abbiamo una disputa.
SMICRINE E a me che importa?
SIRISCO Stiamo cercando un arbitro. Se non hai niente in contrario, risolvi tu la nostra
questione.
SMICRINE Disgraziati; andate in giro a discutere cause vestiti di pelli1?
SIRISCO Che ci vuoi fare; ma la cosa è semplice e breve. Facci questo favore, per carità,
non disprezzarci. In ogni circostanza la giustizia deve trionfare, ed è comune interesse
di chiunque vi si trovi coinvolto darsi da fare per ciò.
DAVO (tra sé) Ho a che fare con un buon oratore. Ma perché gliene ho fatto parte?
SMICRINE Ma poi vi rimetterete al mio giudizio?
SIRISCO Assolutamente.
SMICRINE Allora non ho niente in contrario a starvi a sentire. Parla prima tu, che sei stato zitto finora2.
DAVO Mi rifarò più indietro, prima della controversia con lui, perché tu abbia chiari tutti
i fatti. Circa un mese fa, stavo badando alle mie pecore, nel bosco vicino a questi campi, tutto solo; e ho trovato un neonato, con una collana e altri ornamenti del genere.
SIRISCO Di questi si tratta.
DAVO Ma non mi lascia parlare!
SMICRINE Se interrompi, ti darò una bastonata.
SIRISCO Giusto3.
SMICRINE Continua.
DAVO L’ho raccolto, l’ho portato a casa e pensavo di crescerlo. Ma pensandoci la notte,
come succede, mi sono detto: perché allevarlo? perché andare in cerca di guai? E i soldi per mantenerlo dove li trovo? perché darmi tanta pena? Così pensavo. Il mattino dopo
sono tornato al pascolo. E lì è venuto quest’uomo che fa il carbonaio; stava a segare dei
tronchi. Lo conoscevo da un pezzo e spesso parlavamo insieme. Mi vede scuro in volto e mi fa: «perché sei così pensieroso, Davo?». Io, che sono un chiacchierone, gli racconto subito tutto, come ho trovato e raccolto il bambino. E lui, prima ancora di farmi finire, subito comincia a pregarmi, e ripetendo a ogni parola «gli dei ti benedicano»
mi fa: «dammi il bambino. Ti auguro fortuna e libertà: mia moglie ha appena avuto
un bambino e le è morto». È appunto lei la donna che ora lo tiene. È vero che mi pregavi, Sirisco?
SIRISCO Verissimo.
DAVO Continuò a seccarmi per tutto il giorno. Alla fine, ho ceduto alle sue preghiere e
gliel’ho dato. Se n’è andato con mille benedizioni e baciandomi le mani. È vero che hai
fatto questo?
SIRISCO Verissimo.
1. Le prime risposte di Smicrine sono improntate a rude impazienza: qui il vecchio osserva che i poveri non dovrebbero perdere tempo in cause legali.
2. Come arbitro, Smicrine dà la prima parola a Davo; come
nell’agone della commedia antica, il vincitore è colui che par-
la per secondo (qui Sirisco), che ha il vantaggio di poter riprendere e respingere le argomentazioni dell’avversario.
3. Con questo commento Sirisco riconosce di aver violato
le ferree regole che governano la contesa legale.
Menandro • La commedia dei buoni sentimenti
DAVO Se n’è andato dunque. Poi d’improvviso mi si presenta assieme alla moglie e reclama gli oggetti che stavano col bambino – roba da poco, sciocchezze – dicendo che gli
faccio torto a non darglieli e che intendo appropriarmene io. Io dico che lui dovrebbe
essermi riconoscente per avere ottenuto quello che chiedeva, e se non gli ho dato tutto, non deve farmi l’inquisizione. Anche se fosse fortuna comune, se le avessimo trovate camminando insieme queste cose, parte ne avrebbe prese lui, parte io. Ora invece
le ho trovate io solo, e tu4 che non c’eri pretendi di avere tutto e di non lasciarmi niente? In conclusione: io ti ho dato una cosa che mi apparteneva; se ti piace tientela; se
non ti piace e hai cambiato idea, ridammela. Non ci guadagni e non ci rimetti. Ma che
tu abbia tutto, in parte per mia volontà, in parte facendomi violenza, non è giusto. Ho
finito.
SIRISCO Ha finito?
SMICRINE Non hai sentito? Ha finito.
SIRISCO Bene. Ora parlerò io. È vero che ha trovato da solo il bambino e tutto il resto che
ha detto è pure vero. Le cose sono andate così, non lo nego; com’è vero che per averlo
l’ho pregato e supplicato. Ma un pastore, con cui Davo aveva parlato, uno che lavora
con lui, mi ha detto che c’erano anche dei gioielli e per reclamarli è qui il bambino stesso. Dammi il bambino, moglie mia. È lui che ti richiede la collana e gli altri segni di
riconoscimento5; sono stati messi là come ornamento per lui, non come fonte di sostentamento per te, Davo. E anch’io te li richiedo, in qualità di suo tutore. Tu stesso mi hai
fatto tale, consegnandomelo. (a Smicrine) Ora tu devi decidere se gli oggetti, d’oro o
di quel che siano, si devono tenere per il bambino, come gliel’ha dati sua madre, chiunque fosse, finché sia cresciuto, o se li deve tenere chi li ha rubati, solo perché ha trovato per primo la roba altrui. Tu potrai chiedermi perché non te li ho richiesti subito6.
Perché non potevo allora parlare a nome suo, e neanche adesso ti domando nulla per
me. Fortuna comune? Qui non è stato «trovato» niente, c’è invece una persona lesa nei
suoi diritti; non è ritrovamento, questo, ma furto. Considera che forse il bambino è di
condizione superiore alla nostra7, e allevato tra i contadini disprezzerà questa condizione e per impulso della sua natura cercherà di compiere qualche impresa nobile, cacciare leoni, portare armi, correre nelle gare. Tu conosci la tragedia e queste cose le capisci:
Neleo e Pelia8 sono stati trovati da un vecchio pastore, vestito di pelli come questa mia;
ma quando capì che erano di condizione superiore, raccontò come li aveva trovati e
raccolti e diede loro una borsetta coi segni di riconoscimento, grazie ai quali seppero
ogni cosa con chiarezza e da pastori diventarono re. Se queste cose le avesse trovate e
vendute Davo, per ricavarne una dozzina di dramme, personaggi così illustri avrebbero trascorso nell’oscurità tutta la loro vita. Non è giusto che mentre io lo allevo, Davo
distrugga ogni sua speranza di salvezza. C’è chi stava per sposare sua sorella e grazie ai
segni di riconoscimento si è fermato in tempo; chi ha salvato la madre o il fratello9. La
vita umana è di per sé rischiosa; bisogna proteggerla con la previdenza pensandoci, per
quanto si può, in anticipo. Lui dice: «Restituiscilo, se non ti piace più»; e questo gli
sembra un argomento decisivo. Ma ora ciò non è più giusto; per il fatto che sei costretto a restituirgli quello che gli appartiene, per di più vuoi prenderti anche lui, per meglio
4. Nella foga oratoria Davo si rivolge ora direttamente al rivale, mentre finora ne ha parlato in terza persona.
5. Malgrado siano di umile condizione, Davo e Sirisco sanno fare un abile uso di effetti retorici: prendendo in braccio
l’innocente oggetto del contendere, Sirisco passa a un registro patetico di sicuro effetto.
6. Altro espediente retorico, la praeoccupatio, che consiste
nel rispondere in anticipo a un’obiezione che probabilmente l’avversario solleverà.
7. Come spesso in Menandro, il commento accidentale di
un personaggio fa presagire lo svolgimento degli eventi.
8. Ora Sirisco passa all’uso di exempla mitologici ben noti
al pubblico. Il riconoscimento di Neleo e Pelia, figli di Tiro e
Poseidone, era rappresentato nella Tiro di Sofocle.
9. Altri exempla, questa volta generici: il rischio del matrimonio tra fratelli è inscenato da Menandro stesso nella Fanciulla tosata; la madre salvata dal riconoscimento era nella
Tiro di Sofocle (vedi la nota precedente); il salvataggio del
fratello si trova, per esempio, nell’Ifigenia in Tauride di Euripide.
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Antologia
compiere il tuo furto, una volta che la sorte ha salvato le sue cose? Io ho finito; decidi
come ti sembra giusto.
SMICRINE È molto facile; tutto quello che è stato trovato assieme al bambino appartiene
al bambino. Questa è la mia sentenza.
DAVO Bene. E il bambino?
SMICRINE Perdio, non lo assegnerò certo a te che stai cercando di fargli un torto, ma a chi
lo aiuta e si oppone alle tue intenzioni ingiuste.
SIRISCO Possa tu avere del bene!
DAVO Bella sentenza! Io che ho trovato tutto, perdo tutto e chi non l’ha trovato se lo tiene. Devo dargli le cose allora?
SMICRINE Certo.
DAVO Bella sentenza, che mi possa venire un accidente!
(trad. di G. Paduano)
Percorso
TEMATICO
vol. 3, p. 369
t 15
Il piano di Abrotono
(L’arbitrato, vv. 270-380)
Abrotono si fa consegnare da Onesimo l’anello che si trova con il bambino, al
fine di indagare se il gioiello appartenga davvero a Carisio: ha intenzione di fingere di essere lei la
donna violentata durante la festa e interrogare Carisio sull’accaduto. Una volta appurata la verità,
si metterà in cerca della vera madre del bambino.
ONESIMO Le cose stanno così; l’anello appartiene a Carisio, questo lo so con certezza; ma
esito a mostrarglielo, perché darglielo è come affibbiargli la paternità del bambino che
l’aveva.
SIRISCO Cioè?
ONESIMO L’ha perso alle Tauropolie1, in una veglia di donne. È chiaro che ha violentato
una ragazza, e questa ha avuto un bambino e l’ha esposto. Bisognerebbe trovarla e farle vedere l’anello; allora si avrebbe la prova sicura. Ora non c’è che sospetto e confusione.
SIRISCO Questo è un problema tuo. Ma se questo pasticcio lo inventi nella speranza che
per l’anello ti dia qualcos’altro, sogni. Con me non puoi dividere.
ONESIMO Neanche lo voglio.
SIRISCO Bene. Tornerò subito; ma prima vado in città a informarmi di cosa devo fare. (esce)
ABROTONO È questo il carbonaio che ha trovato il bambino, e sua moglie che lo allatta?
ONESIMO Sì.
ABROTONO Com’è carino!
ONESIMO E insieme c’era questo anello, che appartiene al mio padrone.
ABROTONO Sciagurato; e se è davvero il tuo padroncino, lascerai che venga cresciuto come
uno schiavo? Meriteresti la morte.
ONESIMO Ma se ti dico che la madre non la conosce nessuno!
ABROTONO L’ha perduto alle Tauropolie, hai detto?
ONESIMO Sì; il servo che l’accompagnava m’ha detto che era ubriaco.
ABROTONO È chiaro che è capitato nella veglia delle donne. Un fatto del genere è successo quando c’ero anch’io.
ONESIMO C’eri anche tu?
ABROTONO L’altr’anno alle Tauropolie, sì; suonavo la cetra per le altre ragazze, e scherzavo assieme a loro. Ancora non sapevo cos’era un uomo.
1. Festa in onore di Atena Tauropovlo~, cui era dedicato un santuario a Braurone, località situata sulla costa orientale
dell’Attica.
Menandro • La commedia dei buoni sentimenti
ONESIMO Davvero?
ABROTONO Sì, per Afrodite!
ONESIMO E tu sai chi era questa ragazza?
ABROTONO Potrei informarmene. Era amica delle donne con cui stavo io.
ONESIMO Sai chi era suo padre?
ABROTONO No, però se la vedessi la riconoscerei. Era carina, e dicevano che fosse anche
ricca.
ONESIMO Può darsi che sia lei.
ABROTONO Non so; era con noi; ma poi si allontanò e tornò all’improvviso di corsa piangendo e strappandosi i capelli, col vestito – ch’era bello e fine – tutto rovinato, ridotto a uno straccio.
ONESIMO E aveva l’anello?
ABROTONO Forse, ma non me l’ha mostrato. Non voglio dire bugie.
ONESIMO Che devo fare?
ABROTONO Vedi tu. Ma se hai cervello, e vuoi darmi retta, mostralo al tuo padrone; se è
una donna libera, perché lui deve ignorare quello che è successo?
ONESIMO Ma prima cerchiamo chi è, aiutami in questo.
ABROTONO Non posso, prima di sapere con certezza chi è il responsabile. Non vorrei dare
senza necessità indizi alle donne; chissà se l’anello non l’ha perso un altro che magari
l’aveva avuto in pegno da lui. Può darsi che l’abbia giocato ai dadi, o messo in palio e
perduto in una scommessa. Nei banchetti fatti come questi ne capitano a migliaia. Prima
di sapere chi è stato non voglio cercarla, né dire niente.
ONESIMO Hai ragione. Ma cosa si può fare?
ABROTONO Ascolta se ti piace quest’idea. Fingerò che la cosa sia successa a me, e andrò
da lui con l’anello.
ONESIMO Spiegati meglio; intravvedo appena cosa intendi.
ABROTONO Vedendolo in mio possesso, mi chiederà dove l’ho preso. Gli risponderò «alle
Tauropolie, quando ero ancora vergine» e riferirò a me stessa tutto quel che è successo
alla ragazza. Queste cose le conosco per lo più.
ONESIMO Benissimo, direi.
ABROTONO Se è stato lui, si precipiterà a darmene la prova. Oltretutto è brillo, e spiffererà subito tutto da solo. Io per non sbagliare confermerò tutto, senza mai dire niente
per prima.
ONESIMO Benissimo!
ABROTONO E per non sbagliare ripeterò le solite sciocchezze: «come sei stato violento, e
ardito».
ONESIMO Bene!
ABROTONO «Come m’hai buttato per terra e strappate le vesti, povera me!» Ma prima voglio
andare a prendere il bambino, e baciarlo e compatirlo, e chiedere alla donna che lo tiene dove l’ha preso.
ONESIMO Per Eracle!
ABROTONO E alla fine gli dirò «Ti è nato un bambino» e glielo mostrerò.
ONESIMO Che furfante!
ABROTONO Quando avremo appurato che il padre è lui, cercheremo con calma la ragazza.
ONESIMO C’è un’altra cosa che non dici, ed è che tu diventerai libera. Credendoti la madre
del bambino, ti affrancherà subito.
ABROTONO Non lo so; certo mi piacerebbe.
ONESIMO Ah, non lo sai? Ed io, ci guadagnerò qualcosa?
ABROTONO Lo credo bene; secondo me, il merito di tutto è tuo.
ONESIMO E se poi tu non cerchi più la ragazza, ma lasci perdere e m’imbrogli, come la
mettiamo?
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64
Antologia
ABROTONO E a che pro? Credi davvero che voglia avere dei figli? Vorrei soltanto essere
libera, come compenso per questa storia.
ONESIMO Te lo auguro.
ABROTONO Allora sei d’accordo?
ONESIMO Senz’altro. Se ti comporterai male, sarò sempre in grado di farti la guerra. Ora
cerchiamo di vedere se le cose stanno davvero così.
ABROTONO D’accordo, allora?
ONESIMO D’accordo.
ABROTONO Dammi l’anello, presto.
ONESIMO Eccotelo.
ABROTONO Persuasione, sii tu la mia alleata, e fa sì che le parole che dico vadano a buon
fine.
(esce)
(trad. di G. Paduano)
t 16
Il carattere, vero dio degli uomini
(L’arbitrato, vv. 720-755)
Nel respingere l’ennesimo tentativo di Smicrine di riportarsi a casa la figlia
Panfila, il servo Onesimo invita il vecchio a non attribuire comodamente tutto alla volontà degli dèi,
ma anzi ad assumersi le proprie responsabilità comportandosi da persona ragionevole. Onesimo usa
un’argomentazione ironicamente ‘statistica’ per mostrare che gli dèi non hanno il tempo di occuparsi di tutte le miserie degli uomini, ed esalta la funzione del trovpo~ («carattere, modo di comportarsi») al di là della convenzione sociale del «decoro». Significativamente, Menandro pone l’importante dichiarazione ideologica in bocca a un servo.
metro: trimetri giambici
720
725
ONHSIMOS Tiv" ejsqΔ oJ kovptwn th;n quvran… “W, Smikrivnh"
oJ calepov", ejpi; th;n proi'ka kai; th;n qugatevra
h{kwn.
“Egwge, triskatavrate.
SMIKRINHS
Kai; mavla
ON.
ojrqw'": logistikou' ga;r ajndro;" kai; sfovdra
fronou'nto" hJ spoudhv, tov qΔ a{rpasmΔ, ÔHravklei",
qaumasto;n oi|on.
SM.
Pro;" qew'n kai; daimovnwn. <
ON. Oi[ei tosauvthn tou;" qeou;" a[gein scolh;n
w{ste to; kako;n kai; tajgaqo;n kaqΔ hJmevran
nevmein eJkavstw/, Smikrivnh…
Levgei" de; tiv…
SM.
ONESIMO Chi bussa alla porta? Oh, è quel rompiscatole di Smicrine che viene a reclamare la figlia e la dote.
SMICRINE Sì, sono io, maledetto.
ONESIMO Bravo. Fai bene a preoccuparti; è da uomo saggio e prudente. E poi ti stanno
rapinando in modo indegno!
SMICRINE In nome degli dei...
ONESIMO Credi davvero che gli dei abbiano il tempo di distribuire a ognuno il bene e il
male, tutti i giorni?
SMICRINE Ma che dici?
Menandro • La commedia dei buoni sentimenti
730
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755
ON. Safw'" didavxw sΔ. Eijs i;n aiJ pa'sai povlei",
o{moion eijpei'n, civliai: trismuvrioi
oijkou'sΔ eJkavsthn. KaqΔ e{na touvtwn oiJ qeoi;
e{kaston ejpitrivbousin h] swv/zousi… Pw'"…
Levgei" ga;r ejpivponovn tinΔ aujtou;" zh'n [bivon.
Oujk a\ra frontivzousin hJmw'n oiJ qeoiv,
fhvsei"1… ÔEkavstw/ to;n trovpon sun[wv/kisan
frouvrarcon: ou|to" e[ndo[n] ejp≥[
ejpevtriyen, a]n aujtw'/ kakw'" crh≥[swvmeqa,
e{teron dΔ e[swsen. Ou|tov" ejsqΔ hJmi'n qeo;"
o{ tΔ ai[tio" kai; tou' kalw'" kai; tou' kakw'"
pravttein eJkavstw/: tou'ton iJlavskou pow'n
mhde;n a[topon mhdΔ ajmaqev", i{na pravtth/" kalw'".
SM. Ei\qΔ ouJmov", iJerovsule, nu'n trovpo" poei'
ajmaqev" ti…
Suntrivbei se.
ON.
Th'" parrhsiva".
SM.
ON. ΔAllΔ ajpagagei'n parΔ ajndro;" auJtou' qugatevra
ajgaqo;n su; krivnei", Smikrivnh…
SM.
Levgei de; tiv"
tou'tΔ ajgaqovn… ΔAlla; nu'n ajnagkai'on.
Qea'/…
ON.
To; kako;n ajnagkai'on logivzeqΔ ouJtosiv.
Tou'tovn ti" a[llo", oujc oJ trovpo", ajpolluvei…
Kai; nu'n me;n oJrmw'ntΔ ejpi; ponhro;n pra'gmav se
taujtovmaton ajposevswke, kai; katalambavnei"
diallaga;" luvsei" tΔ ejkeivnwn tw'n kakw'n.
Au\qi" dΔ o{pw" mh; lhvyomaiv se, Smikrivnh,
propeth' levgw soi: nu'n de; tw'n ejgklhmavtwn
ajfei'so touvtwn, to;n de; qugatridou'n labw;n
e[ndon provseipe.
ONESIMO Te lo spiego subito. Al mondo ci sono all’incirca mille città; in media ognuna
ha trentamila abitanti; secondo te gli dei danno del bene o del male a tutti questi, uno
per uno? Avrebbero davvero una vita molto faticosa. Tu mi dirai: allora gli dei non si
occupano per niente di noi1? Non è così: hanno dato a ciascuno un custode, che è il
nostro carattere. È lui che ci dà del male se lo usiamo male, e viceversa. Questo è per
noi il vero dio, responsabile della fortuna e della sfortuna. E questo devi propiziarti;
per vivere bene, non devi fare gesti fuori luogo o irragionevoli.
SMICRINE Sicché, farabutto che non sei altro, il mio carattere mi farebbe compiere gesti
irragionevoli.
ONESIMO Ti rovina.
SMICRINE Che insolenza!
ONESIMO Ma ti pare una buona cosa portare via una figlia a suo marito, Smicrine?
SMICRINE E chi dice che sia una buona cosa? Però è necessario.
ONESIMO Vedete? Lui considera necessario il male. E cos’altro lo rovina, se non il suo carattere? Ma mentre stavi per compiere un’ingiustizia, il caso ti salva di colpo e ti ritrovi
fuori dai guai e liberato. Fa’ però che non ti colga più ad agire così precipitosamente.
Ora smetti di recriminare e va’ in casa a salutare il tuo nipotino.
(trad. di G. Paduano)
1. Per l’uso della praeoccupatio in bocca a un personaggio umile, vedi T14, nota 6.
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