Fallimento 3

Corso di Diritto Commerciale (A-L)
Prof.ssa F. Vessia
Anno Accademico 2013/2014
IL FALLIMENTO: ACCERTAMENTO DEL PASSIVO,
LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO E CHIUSURA.
IL FALLIMENTO DELLE SOCIETÀ
Lezione del 14 maggio 2014
L’ACCERTAMENTO DEL PASSIVO
L’accertamento del passivo si apre con le domande di ammissione al passivo avanzate da ciascun
creditore e si chiude con la formazione dello stato passivo da parte del g.d. e con l’emanazione del
decreto di esecutività dello stesso. E’ una fase cruciale della procedura in quanto volta ad accertare
quali creditori hanno diritto di partecipare alla ripartizione dell’attivo, qual è l’ammontare dei
crediti vantati da ciascuno e le eventuali cause di prelazione (da cui dipende l’ordine di
soddisfacimento). Le fasi di questo procedimento sono:
1.
2.
3.
4.
5.
La presentazione delle domande di ammissione
La redazione di un progetto di stato passivo
L’esame dello stato passivo
La formazione dello stato passivo definitivo
Eventuali opposizioni, impugnazioni e revocazioni
1. Le domande di ammissione al passivo devono essere presentate con ricorso (anche personalmente
dai creditori senza il patrocinio di un avvocato) alla cancelleria del Tribunale fallimentare entro 30
giorni prima della data dell’udienza di esame dello stato passivo fissata dalla sentenza di fallimento.
Il termine tuttavia non è decadenziale, stante la possibilità per i creditori di presentare anche
domanda tardiva d’insinuazione al passivo, ossia dopo la scadenza dell’indicato termine.
A pena d’inammissibilità devono essere indicati nel ricorso: la procedura fallimentare a cui si
intende partecipare, le generalità del creditore, l’oggetto del credito e il titolo di prelazione con la
descrizione delle sue caratteristiche. Infine devono essere allegati i documenti dimostrativi del
credito vantato e il creditore dovrà fornire la prova anche dell’anteriorità del suo diritto rispetto alla
dichiarazione di fallimento. Analoga istanza deve essere avanzata per la restituzione dei beni in
possesso precario da parte del fallito.
2. In base alle domande presentate tempestivamente, il curatore redige un progetto di stato passivo
(art. 95 l.fall.) indicando i crediti ammessi (distinti in privilegiati e chirografari), i crediti non
ammessi (in tutto o in parte) o per i quali non si intende riconoscere il privilegio dedotto dal
creditore e infine i crediti ammessi con riserva. In un elenco separato vengono indicati i titolari di
diritti sui beni in proprietà o in possesso del fallito.
Il curatore deve motivare ogni scelta effettuata e deve sollevare le eccezioni non rilevabili
d’ufficio (come la prescrizione o la compensazione del credito con un debito di valore equivalente)
e depositare poi in cancelleria il progetto di stato passivo almeno 15 gg. prima dell’udienza di
esame, così da poter consentire ai creditori, ai terzi titolari di diritti sui beni del fallito ed al fallito
stesso di prenderne visione e presentare osservazioni scritte e documenti integrativi fino al giorno
dell’udienza.
3. L’udienza di esame dello stato passivo avviene dinanzi al g.d. il quale decide sull’ammissione di
ogni credito, valutando le domande presentate e le relative eccezioni.
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4. Concluso l’esame dello stato passivo il g.d. forma lo stato passivo definitivo e lo dichiara
esecutivo con decreto, depositandolo in cancelleria. Il decreto di esecutività preclude ogni altra
questione in ordine ai crediti vantati nel corso della procedura fallimentare.
E’ possibile proporre istanza di revocazione se si scopre che la decisione su un credito è stata
determinata da errore, dolo, falsità o ignoranza di documenti essenziali non prodotti in giudizio
tempestivamente per causa non imputabile al creditore.
Al creditore tardivo (che non abbia, cioè presentato la domanda entro i 30 gg. anteriori
all’udienza di esame) è consentito presentare domanda tardiva di ammissione entro 12 mesi
(prorogabili fino a 18) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e la sua ammissione
è subordinata alla prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile, sempre che non sia
stato nel frattempo interamente ripartito l’attivo.
5. Contro lo stato passivo reso esecutivo è possibile proporre opposizioni o impugnazioni. Le
opposizioni sono proposte contro il curatore dai creditori esclusi, da quelli ammessi come
chirografari che rivendicano una causa di prelazione e da quelli ammessi con riserva per ottenere
l’ammissione definitiva.
Le impugnazioni possono essere proposte dai creditori ammessi e dallo stesso curatore per
ottenere l’eliminazione dallo stato passivo di uno o più crediti ammessi o la relativa causa di
prelazione.
Entrambe vanno presentate con ricorso al Tribunale fallimentare entro 30 gg. dalla
comunicazione del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e a pena di decadenza
devono essere allegati i documenti e le prove a sostegno della pretesa vantata. Del collegio, i.e.
sezione del tribunale, che decide su impugnazioni ed opposizioni, non può far parte il g.d. emittente.
LA LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO
La conversione in denaro dei beni del fallito e la realizzazione dell’attivo fallimentare sono
operazioni imperniate intorno al programma di liquidazione, documento redatto dal curatore
(entro 60 gg. dalla redazione dell’inventario) ed approvato dal comitato dei creditori. Il programma
di liquidazione deve contenere la pianificazione di tutte le operazioni di vendita, le modalità e i
termini, per ciascun bene aziendale o in modo unitario per l’azienda. In particolare il curatore deve
indicare:
 le azioni che intende proporre a vantaggio della massa (revocatorie e risarcitorie);
 le condizioni, le modalità e i termini della vendita dei singoli cespiti patrimoniali;
 l’opportunità e i vantaggi di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero di
autorizzare l’affitto d’azienda;
 la possibilità di vendita in blocco dell’azienda o di singoli rami d’azienda;
 le proposte di concordato fallimentare, se sussistono.
Il programma di liquidazione, una volta approvato dai creditori, sostituisce le singole autorizzazioni
del comitato eventualmente necessarie per i singoli atti inclusi e deve essere comunicato al g.d. che
autorizza l’esecuzione degli atti ad esso conformi. Approvato il programma il curatore può
procedere alle vendite fallimentari, senza dover attendere il decreto di esecutività dello stato passivo
(che è invece necessario per la ripartizione dell’attivo); ma anche prima della sua approvazione può
compiere atti di liquidazione urgenti, se dal ritardo della vendita di alcuni beni possa derivare un
pregiudizio irreparabile per i creditori (ad es. se si tratta di beni deteriorabili o deperibili).
La riforma fallimentare del 2006 ha modificato la previgente disciplina delle vendite fallimentari,
mutuata dalle norme sul processo esecutivo individuale secondo le disposizioni del codice di
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procedura civile, consentendo una maggiore libertà di forme e riconoscendo al curatore
un’autonomia maggiore rispetto al passato. La legge oggi richiede solo che vengano prescelte
procedure competitive ben pubblicizzate, per garantire la partecipazione di tutti i soggetti
interessati. Il curatore può:
 avvalersi di soggetti specializzati, sempre procedendo alla stima dei beni da parte di
operatori esperti;
 fare la cessione dei crediti fallimentari, anche se futuri o contestati, per pervenire più
velocemente alla chiusura del fallimento;
 vendere l’azienda in modo unitario (art. 105 l.fall.), anziché procedere alle vendite
atomistiche. Questa scelta viene oggi favorita dal legislatore attraverso tre nuove previsioni
normative: l’acquirente non risponde delle obbligazioni pregresse (in deroga all’art. 2560
c.c.); si può prevedere una deroga all’art. 2112, concordando con le rappresentanze sindacali
aziendali che solo una parte e non tutti i lavoratori siano trasferiti alle dipendenze
dell’acquirente; i crediti ceduti insieme all’azienda conservano tutti i privilegi e le garanzie
pattuite con l’alienante.
All’esito della liquidazione il curatore informa il g.d. e il comitato dei creditori, depositando in
cancelleria la documentazione relativa.
L’ordine di ripartizione dell’attivo segue la distinzione tra crediti prededucibili, crediti
privilegiati e chirografari. I crediti prededucibili, se liquidi e non contestati, vengono pagati dal
curatore man mano che diventano esigibili previa autorizzazione del comitato dei creditori o del
giudice delegato, prelevando le somme necessarie dalle disponibilità liquide, con esclusione del
ricavato dalla vendita di beni oggetto di pegno o ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.
Sul residuo disponibile, dopo il pagamento dei crediti prededucibili e di quelli privilegiati, saranno
soddisfatti proporzionalmente i creditori chirografari ed eventualmente i creditori privilegiati per la
parte rimasta insoddisfatta del proprio credito.
I tempi della ripartizione dell’attivo seguono le scansioni delle ripartizioni parziali (ogni 4 mesi)
e della ripartizione finale. A partire dalla pubblicazione del decreto di esecutività dello stato passivo
il curatore presenta ogni 4 mesi al g.d. un prospetto delle somme disponibili e un progetto di
ripartizione delle medesime. Il prospetto viene depositato nella cancelleria del tribunale dandone
avviso a tutti i creditori affinché questi possano presentare reclamo al g.d. Scaduti i termini di
impugnazione il g.d. rende esecutivo il progetto e, previo accantonamento delle somme contestate,
si procede ai pagamenti. Le ripartizioni parziali non possono superare l’ammontare dell’80% delle
somme disponibili, dovendo essere accantonata la quota parte pari al 20% a titolo prudenziale per
far fronte a spese impreviste. Dovranno essere trattenute anche le somme necessarie a liquidare le
spese della procedura (il compenso al curatore e gli altri crediti prededucibili).
Conclusa la liquidazione dell’attivo il curatore presenta al g.d. il rendiconto della sua
gestione, il quale deve essere approvato dal g.d. in udienza, acquisite in merito le osservazioni dei
creditori e del fallito. Se durante il corso dell’udienza convocata appositamente per l’approvazione
del rendiconto non si raggiunge un accordo, si apre un giudizio contenzioso dinanzi al tribunale
fallimentare.
Approvato il rendiconto del curatore gli viene liquidato il compenso e si procede alla
ripartizione finale dell’attivo, andando a distribuire anche le somme precedentemente accantonate.
Le somme destinate ai creditori incerti vengono depositate secondo le modalità stabilite dal g.d. per
poter essere pagate al verificarsi dell’evento che toglie l’incertezza del credito.
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Allo stesso modo devono essere depositate presso una banca o un ufficio postale le somme
dovute ai creditori che non si presentano per la riscossione o sono irreperibili. Decorsi 5 anni dal
deposito potranno essere reclamate dagli altri creditori rimasti insoddisfatti, altrimenti sono
incamerate dallo Stato.
LA CHIUSURA DEL FALLIMENTO
Ai sensi dell’art. 118 la procedura fallimentare si chiude, oltre che nel caso di concordato
fallimentare, anche nei seguenti casi:
1. Se non sono state proposte domande di ammissione allo stato passivo nel termine stabilito
dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Questa ipotesi può presentarsi nei casi di
stipulazione di un accordo stragiudiziale tra creditori e fallito (c.d. concordato
stragiudiziale).
2. Se le ripartizioni parziali raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono
estinti in altro modo e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione.
Questa ipotesi di fallimento “ricco”, cioè con attivo cospicuo grazie alle azioni recuperatorie
poste in essere dal curatore, è piuttosto rara.
3. Quando è compiuta la ripartizione integrale dell’attivo, con soddisfazione solo parziale dei
creditori concorrenti (è l’ipotesi più frequente).
4. Quando si accerta nel corso della procedura che la sua prosecuzione non consentirà
comunque di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e
le spese della procedura. Questa ipotesi di fallimento “povero”, cioè con attivo scarsissimo,
è molto frequente.
La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto (motivato) del tribunale fallimentare, su
istanza del curatore, del fallito o d’ufficio; è assoggettato alle stesse regole di pubblicità e alle stesse
impugnative della sentenza dichiarativa di fallimento.
Con la chiusura del fallimento cessano tutti gli effetti per il fallito e per i creditori, decadono
gli organi, le azioni recuperatorie esperite dal curatore non possono essere più proseguite, salvo che
siano state cedute a terzi durante la liquidazione.
I creditori potranno esperire azioni esecutive individuali contro il debitore per la parte del
proprio credito rimasta insoddisfatta, salvo che il fallimento non si sia chiuso con un concordato
fallimentare o con l’esdebitazione, le quali producono effetto solutorio di tutti i crediti anteriori
anche in caso di soddisfacimento parziale ed anche nei confronti dei creditori che non hanno
presentato domanda di insinuazione al passivo (artt. 135, 142 e 144 l. fall.).
LA RIAPERTURA DEL FALLIMENTO
Il fallimento che si sia chiuso per insufficienza dell’attivo o per ripartizione integrale dello
stesso potrà essere successivamente riaperto se non siano trascorsi più di 5 anni dal decreto di
chiusura e se nel patrimonio del fallito siano sopraggiunte nuove attività tali da garantire il
pagamento almeno del 10% dei crediti vecchi e nuovi.
Al fallimento riaperto possono concorrere sia i creditori vecchi, chiedendo la conferma del
provvedimento di ammissione allo stato passivo già conseguito nel precedente fallimento, sia i
creditori nuovi, attraverso una nuova domanda di insinuazione al passivo. Il tribunale deve
richiamare in carica il g.d. ed il curatore del precedente fallimento (se possibile) e nominare un
nuovo comitato dei creditori che tenga conto nella sua composizione dei nuovi creditori.
I termini per l’esercizio delle azioni revocatorie (in relazione agli atti compiuti dopo la
chiusura del fallimento) si computano dal decreto di riapertura.
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L’ESDEBITAZIONE
L’esdebitazione è un beneficio concesso all’imprenditore individuale (mentre non sono
ammesse a goderne le società) solo in presenza di alcune condizioni soggettive ed oggettive di
meritevolezza (art. 142 l.fall.):
1. l’imprenditore deve avere collaborato con gli organi della procedura (fornendo
informazioni, documenti ed ogni altro strumento utile) per il proficuo svolgimento della
procedura;
2. l’imprenditore non deve avere beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti;
3. l’imprenditore non deve avere distratto beni dall’attivo o aumentato fittiziamente il passivo,
né cagionato o aggravato il dissesto, rendendo difficile la ricostruzione del patrimonio;
4. l’imprenditore non deve aver ricevuto condanne per bancarotta fraudolenta, o per delitti
contro l’economia pubblica, l’industria, il commercio o altri reati relativi all’esercizio
dell’impresa;
5. il fallimento abbia consentito il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali.
Al ricorrere di tutte queste condizioni il tribunale, con il decreto di chiusura della procedura
fallimentare, dichiara d’ufficio inesigibili nei confronti dell’ex fallito i debiti concorsuali non
integralmente soddisfatti.
L’esdebitazione opera, di regola, per tutti i debiti anteriori alla dichiarazione di fallimento
(art. 142 l. fall.), anche quelli per i quali non sia stata presentata domanda d’insinuazione al passivo
(art. 144 l. fall.), ma solo per l’eccedenza rispetto alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori
di pari grado. In altre parole, anche ai creditori che non si sono insinuati al passivo, deve essere
garantito il pagamento in percentuale analoga ai creditori di pari grado che si sono insinuati allo
stato passivo. In ogni caso l’esdebitazione non opera per i debiti derivanti da responsabilità
extracontrattuale nonché per le sanzioni pecuniarie penali ed amministrative, e per gli obblighi
alimentari e di mantenimento nonché ogni altra obbligazione estranea all’esercizio dell’impresa.
IL CONCORDATO FALLIMENTARE
La proposta di concordato può essere presentata, con ricorso al g.d., dal fallito, da uno o più
creditori o da un terzo (per es. l’assuntore). Ma a differenza del terzo e dei creditori che possono
presentare istanza senza limiti di tempo, il fallito può fare domanda non prima di 1 anno dalla
dichiarazione di fallimento, al fine di incentivare il ricorso al concordato preventivo; e non oltre due
anni dal decreto di esecutività dello stato passivo, per impedire al debitore di usare il concordato
fallimentare come arma di ricatto per indurre i creditori ad accettare concordati svantaggiosi sotto la
pressione dei lunghi tempi della procedura fallimentare.
Sul piano del contenuto si distingue tra concordato remissorio, dilatorio o misto a seconda
che la proposta di concordato preveda il pagamento immediato di una percentuale, ovvero un
differimento dei pagamenti o entrambe le cose. Si può prevedere anche (così come nel concordato
preventivo) forme di soddisfacimento diverse dall’adempimento, quali la cessione dei beni ai
creditori, l’attribuzione di partecipazioni sociali o strumenti finanziari, la suddivisione dei creditori
in classi (con trattamenti differenziati ma omogenei per ciascuna classe) e l’assunzione delle
obbligazioni in capo ad un terzo assuntore obbligato in solido con il fallito (accollo cumulativo) o
in via esclusiva (accollo liberatorio). Di solito all’assuntore, come corrispettivo dell’accollo dei
debiti, viene ceduta l’intera massa attiva e su di lui grava il rischio della realizzazione oltre che
l’obbligo di adempimento del concordato.
La proposta di concordato è soggetta ad un controllo di legittimità e non di merito da parte del
g.d., ad un parere vincolante del comitato dei creditori e ad uno non vincolante del curatore.
L’approvazione dei creditori avviene senza adunanza (a differenza del concordato
preventivo) mediante il meccanismo del silenzio-assenso: il g.d. comunica la proposta ai creditori e
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fissa un termine per la manifestazione delle dichiarazioni di dissenso. Chi non comunica il suo
dissenso entro il termine indicato si considera consenziente. Per l’approvazione è necessario il
consenso dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Non possono
votare i creditori privilegiati, se gli si offre l’integrale pagamento, salvo che non rinuncino al loro
privilegio.
Una volta approvato dai creditori il concordato è soggetto all’omologazione da parte del
tribunale, il quale, a differenza del passato, non può valutare la convenienza e la meritevolezza della
proposta ma solo valutarne la regolarità nella procedura, salvo che non sia stata sollevata
contestazione da parte dei creditori appartenenti ad una classe dissenziente. Allora il tribunale potrà
valutare la convenienza del concordato ed emettere il decreto di omologazione qualora siano
soddisfatti i creditori in misura non inferiore rispetto ad altre alternative praticabili.
Il concordato produce effetti nei confronti di tutti i creditori anteriori anche di quelli che non
hanno presentato domanda di insinuazione al passivo, ma a loro sarà dovuta la percentuale
concordataria riconosciuta ai creditori di pari grado. Resta preclusa ogni azione esecutiva dei
creditori verso il fallito (o verso l’assuntore) per la parte non soddisfatta del credito.
Il concordato fallimentare può essere soggetto a risoluzione e ad annullamento.
La risoluzione fa cessare gli effetti del concordato a causa dell’inadempimento del debitore ed
è pronunciata dal tribunale con sentenza.
L’annullamento è disposto dal tribunale se si scopre che il passivo era stato dolosamente
esagerato ovvero sottratto o dissimulato l’attivo in parte rilevante.
IL FALLIMENTO DELLE SOCIETÀ
Il primo problema che si pone, in caso di fallimento di una società, è a chi spetti l’esercizio
del potere di iniziativa per l’istanza di fallimento da parte del debitore. La legge fallimentare non lo
specifica ma, mentre nelle società di capitali, la disciplina societaria attribuisce tale potere
inequivocabilmente agli amministratori, invece nelle società di persone è controverso se spetti agli
amministratori ovvero a ciascun socio illimitatamente responsabile. Si può ritenere preferibile la
soluzione che individua negli amministratori anche delle società personali i soggetti legittimati,
estendendo analogicamente le norme che prevedono che gli effetti del fallimento sul fallito si
verifichino nei confronti degli amministratori o dei liquidatori (obblighi di residenza e di
presentazione agli organi fallimentari, audizioni e informazioni da fornire agli organi, sanzioni
penali).
Invece per l’approvazione del concordato è necessaria l’approvazione dei soci che
rappresentano la maggioranza del capitale, nelle società di persone, e una decisione degli
amministratori verbalizzata da notaio, nelle società di capitali. In entrambi i casi la decisione deve
essere iscritta nel registro delle imprese.
Il fallimento è causa legale di scioglimento nelle società di persone; mentre non lo è più (dopo
la riforma del 2006) nelle società di capitali. Però la disciplina che prevede la cancellazione della
società dal registro delle imprese in caso di chiusura del fallimento per integrale ripartizione
dell’attivo o per insufficienza dello stesso, porta sempre a configurare il fallimento come una
“probabile” causa di estinzione dell’ente societario.
Nel caso di società con soci illimitatamente responsabili, l’art. 147 prevede l’estensione del
fallimento ad essi, sia che siano soci palesi sia che siano soci occulti e la loro presenza venga
scoperta nel corso della procedura.
Con la dichiarazione di fallimento in estensione si aprono procedure fallimentari parallele:
una per la società e una per ciascuno dei soci illimitatamente responsabile. Il tribunale nomina un
unico g.d. ed un solo curatore; ma sono diversi i comitati dei creditori poiché al fallimento di
ciascun socio partecipano oltre ai creditori sociali anche i creditori personali del socio, mentre al
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fallimento della società partecipano solo i creditori sociali. Si formano, pertanto, masse passive
distinte (anche se l’istanza di insinuazione al passivo nel fallimento della società vale
automaticamente anche per il fallimento di ciascun socio) e masse attive distinte.
Il concordato fallimentare della società produce effetti anche per i soci e fa chiudere anche i
loro fallimenti; invece i concordati particolari che ciascun socio può concludere individualmente,
con i propri creditori e con quelli sociali, fanno cessare solo il fallimento di quel singolo socio.
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