Valter Caiumi alla guida degli imprenditori modenesi

Eventi | Assemblea
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Dall’alto: Valter Caiumi con Pietro
Ferrari; i partecipanti al dibattito
Alberto Quadrio Curzio, professore
emerito di Economia politica
all’Università Cattolica di Milano,
Pietro Ichino, giuslavorista
e senatore della Repubblica italiana,
e Giorgio Squinzi, presidente
di Confindustria, Dario Di Vico,
editorialista del «Corriere
della Sera», che ha moderato
l’incontro; Giorgio Squinzi,
Gian Carlo Muzzarelli, sindaco
di Modena, e Valter Caiumi
54 OUTLOOK - SETTEMBRE/OTTOBRE 2014
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Eventi | Assemblea
La relazione del presidente
Il ruolo degli
IMPRENDITORI
egli ultimi due anni sono stato a fianco del presidente uscente Pietro Ferrari come vicepresidente. È stata un’esperienza che mi ha permesso di comprendere in profondità quanto sia decisivo il ruolo che
può svolgere la nostra associazione. I sei anni della presidenza Ferrari sono stati molto difficili. Ma Pietro non si è perso d’animo. Ha cambiato le priorità del suo mandato e si è concentrato nel trovare soluzioni possibili alle continue e pesantissime emergenze di questi anni: una crisi economica di dimensione globale e non ancora terminata, a cui si sono aggiunte una serie di calamità naturali che hanno messo a durissima prova il territorio, le popolazioni e le imprese.
Oggi raccolgo un’eredità di grande valore
e ringrazio gli imprenditori che mi hanno scelto come presidente. È un vero onore assumere questo incarico. Ed è presente in me la consapevolezza della responsabilità che comporta. Nel corso di questi mesi ho avuto l’opportunità di incontrare e di parlare con numerosi colleghi. Ho potuto riscontrare da un lato
una forte percezione dell’impegno profuso da
Confindustria nei confronti dei propri associati, dall’altro un altrettanto forte senso di appartenenza, quasi un attestato di orgoglio, la
coscienza di fare parte di un sistema che ha
saputo reagire di fronte alle difficoltà. E da
questi colloqui ho fatto tesoro di osservazioni e spunti per il prossimo quadriennio. Da
oggi toccherà a me rappresentare la nostra
realtà imprenditoriale. Sarà mio compito rac-
N
56 OUTLOOK - SETTEMBRE/OTTOBRE 2014
Valter Caiumi ha presentato
il suo programma.
La parola d’ordine è «miglioramento».
Sul fronte interno, per rendere
più innovative le performance
dell’associazione, e sul versante
esterno, perché l’impresa
venga riconosciuta
come motore dello sviluppo
stria Modena per far sì che ci venga riconosciuto in maniera definitiva il ruolo fondamentale di motore dello sviluppo. Il mio mandato durerà quattro anni. Mi piace pensare
che il mio lavoro possa essere realizzato pensando al dopo, a continuare naturalmente un
cambiamento che io ho iniziato ma che possa
durare nel tempo. Vorrei illustrarvi questo percorso attraverso il paradigma temporale del
«prima», del «durante» e del «dopo».
PRIMA
coglierne e amplificarne le necessità. Sarà
soprattutto mio compito agevolare la progettazione del futuro delle nostre imprese.
Ma consentitemi di interpretare questo nuovo ruolo a modo mio, scombinando, ovviamente in senso buono, i riti e le procedure istituzionali. Non aspettatevi il tradizionale discorso presidenziale con l’elenco delle buone dichiarazioni di intenti a cui si ispirerà il mio
programma. Vorrei, invece, rappresentarvi le
mie idee ragionando secondo una macro suddivisione temporale scandita in tre fasi e per
obiettivi portanti.
Vedete, quando ho accettato questo incarico, il primo pensiero è stato: «Quale deve essere il tratto distintivo del mio mandato?». La
risposta è stata immediata: «La capacità di
progettare il cambiamento». Un cambiamento, un miglioramento che dovrà riguardare sia
il fronte interno, per rendere più innovative
le performance della nostra associazione; sia
il versante esterno, «politico», di Confindu-
La «prima» fase è quella di identificazione
del vissuto delle nostre imprese negli ultimi
anni: ovvero, la crisi, la decrescita infelice, la
bassa produttività, la contrazione del manifatturiero, le avversità naturali.
La crisi
La crisi mondiale, che ha preso avvio con
l’esplosione della bolla finanziaria, ha tracciato un solco profondissimo tra ciò che eravamo e ciò che siamo. Il sistema economico e industriale è stato sottoposto a cambiamenti epocali che hanno investito anche il sistema politico e sociale nel loro insieme. Stiamo subendo un ciclo di «decrescita infelice» che non pare arrestarsi. Anche i segnali positivi che cominciamo a intravedere, per esempio la crescita del Pil, stimata per il 2014 allo 0,8 per
cento, sono ancora troppo timidi e poco incisivi. In questi anni il nostro Paese è stato sicuramente frenato da una molteplicità di fattori: una domanda interna troppo bassa, il debi-
Per contribuire all’affermazione
di un sistema imprenditoriale
internazionale e innovativo
Confindustria ha avviato
una importante e impegnativa
fase di riforma.
Anche noi siamo in prima fila
con il progetto di fusione
tra le associazioni territoriali
di Modena, Bologna
e Reggio Emilia
to pubblico fuori controllo, manovre fiscali molto pesanti e una perdurante crisi della spesa.
La bassa produttività
Ma la vera malattia che affligge il nostro Paese si chiama bassa produttività. Sembra paradossale, ma ciò che ha intaccato la dinamica della nostra produttività, e di conseguenza ha impedito l’incremento delle retribuzioni e l’allargamento di spesa delle famiglie, è
stata la nostra specializzazione produttiva. Da
un lato, come Paese a tecnologia prevalentemente intermedia, ci siamo trovati nella condizione di non riuscire a difendere i margini
delle nostre produzioni tradizionali. Dall’altro, non possiamo non constatare che negli
ultimi vent’anni siamo scivolati sul pericoloso piano inclinato della deindustrializzazione. E abbiamo perso per strada un numero
troppo elevato di aziende e di posti di lavoro.
Anche il nostro territorio, che pure mette a
segno risultati migliori rispetto all’andamento nazionale, risente di questa condizione generale. Siamo da sempre una provincia a tasso manifatturiero molto elevato: realizziamo
quasi il 3 per cento delle esportazioni nazionali e oltre il 20 per cento di quelle della nostra regione. E sui mercati stranieri abbiamo
addirittura migliorato le nostre performance
del 2,5 per cento rispetto all’anno scorso. Tutto bene, dunque? Se osserviamo l’altro lato
della medaglia vediamo che non è così. La nostra capacità produttiva in questi ultimi anni
si è notevolmente affievolita: è vero, ci siamo
SETTEMBRE/OTTOBRE 2014 - OUTLOOK 57
Eventi | Assemblea
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2
• 1 Valter Caiumi con la moglie
Paola Ruggiero e il figlio Federico
• 2 Luciano Salda con la figlia Elena
• 3 Massimo Galassini,
Gian Luca Sghedoni
e Vincenzo Cremonini
• 4 Giuliana Gavioli, Giovanni Gobbi
e Nicoletta Razzaboni
• 5 Angelo Andrisano,
rettore dell’ateneo modenese,
e Gian Carlo Muzzarelli.
sindaco di Modena
• 6 Il questore di Modena
Oreste Capocasa con Natalia
Restuccia, comandante
provinciale dei Vigili del fuoco,
e Stefano Savo, comandante
provinciale dei Carabinieri
• 7 Roberta Caprari e Ilario Benetti
• 8 Andrea Landi, presidente
della Fondazione Cassa
di Risparmio di Modena
• 9 Franco Stefani, Ettore Caselli,
presidente di Bper, e Marcello Masi
• 10 Gian Carlo Muzzarelli,
Valter Caiumi e Maurizio Marchesini,
presidente di Confindustria
Emilia-Romagna
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4
allontanati dal -21,4 per cento del 2009, record storico in negativo, ma continuiamo tuttora a registrare il segno meno.
Le avversità naturali
Non ci hanno certo aiutato le avversità naturali che si sono abbattute sulla nostra terra e sulla nostra gente. Ma non ci siamo arresi di fronte alle calamità. Non avevamo un
modello organizzativo per affrontare l’emergenza e progettare la ricostruzione. Non avevamo procedure e leggi che ci sostenessero.
Ce li siamo creati giorno dopo giorno. Insieme: istituzioni, imprese e cittadini. Oggi stiamo uscendo da questi tristi accadimenti sicuramente più forti. E abbiamo fatto tesoro
di valori in precedenza radicati nella nostra
cultura: la coesione e la solidarietà, ultimamente troppo spesso dimenticati.
DURANTE
Ora vi illustro quella che definisco la fase
del «durante», ovvero la progettazione e la realizzazione del processo di miglioramento che
porteremo avanti nel corso del mio mandato.
I punti chiave sono: migliorare noi stessi; innovare il sistema di rappresentanza delle imprese; la fusione delle Confindustrie di Modena, Reggio Emilia e Bologna; la «manifattura intelligente»; l’Europa; il capitale umano; la ricerca e l’innovazione; l’internazionalizzazione; le infrastrutture; il rapporto con
le istituzioni; e non ultima, l’etica.
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Il miglioramento
presa, in una soddisfazione collettiva che generi scambio e collaborazione naturale fra i
diversi settori e le diverse aree e dia vita a un
network sempre più allargato. Sono fermamente convinto che anche noi, come sistema
di rappresentanza, dovremo imparare a essere un po’ meno «politici» e più capaci di calarci nel vivo dei processi produttivi e organizzativi delle imprese.
Cominciamo dal concetto di miglioramento. Sono convinto che solo cambiando e
migliorando noi stessi possiamo affrontare e
gestire la complessità. È chiaro a tutti che
non possiamo più giocare con le regole del
«prima», dobbiamo al più presto capire quali
sono le regole del «dopo». E imparare a utilizzarle al meglio.
Il sistema di rappresentanza
La fusione tra Modena,
Reggio Emilia e Bologna
A questo proposito un ruolo decisivo lo dovrà giocare il nostro sistema associativo. Che
dovrà anch’esso mutare in profondità e sintonizzarsi di più sulle esigenze delle imprese.
Per questo, mi impegnerò con tutte le forze
per accompagnare le nostre aziende in un cammino di crescita e di innovazione. Oggi non basta più mettere a disposizione buoni servizi
per gli imprenditori. Occorre dare loro il meglio, l’eccellenza. E per questo, anche il nostro
modello organizzativo dovrà riposizionarsi.
Prepareremo i nostri professionisti ad avere
una visione globale dell’impresa e li metteremo a disposizione dei nostri imprenditori per
portare efficacia ed efficienza nelle loro aziende, facendo emergere i loro tratti distintivi e
le loro peculiarità. Professionisti che sappiano sollecitare gli imprenditori verso il nuovo
e che possano aiutarli nell’anticipare i loro
problemi.
Trasformando la soddisfazione personale
e individuale del nostro «cliente», ovvero l’im-
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Per contribuire all’affermazione di un sistema imprenditoriale innovativo, internazionale e sostenibile Confindustria ha avviato un importante e impegnativo progetto di
riforma. Ecco la ragione per cui, a fianco delle attività che citavo poc’anzi, pongo con grande rilievo il progetto di fusione tra le associazioni territoriali di Modena, Bologna e Reggio Emilia. Si tratta di un traguardo non più
rinviabile sul quale dobbiamo impegnarci
tutti. Permettetemi però di sgombrare subito il campo da una preoccupazione che percepisco: creare un’unica associazione non significa perdere il contatto con i propri territori.
Si tratta di un timore del tutto infondato. Significa, invece, acquisire maggiore autorevolezza, integrare meglio le nostre eccellenze e
sviluppare ancora di più le nostre potenzialità. So benissimo che siamo solo all’inizio e che
c’è molto lavoro da fare. Un lavoro che porteremo avanti puntando sui grandi valori del-
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8
la condivisione e della coesione, nel nome dello sviluppo e della valorizzazione del territorio. Abbiamo lo stesso humus industriale, i settori produttivi sono trasversali: pensiamo alla meccanica, all’alimentare, alla ceramica.
Non sto qui a magnificarvi che cosa significherebbe in termini di «potere», o di «peso»
confindustriale, o di capacità di confronto con
le istituzioni e i sindacati, un’associazione che
da mille imprese passerà a contarne quattromila. Anche questo aspetto ha una sua rilevanza. Potremo, per esempio, farci sentire
di più a Roma e avere una collaborazione più
efficace. Ma non è questo il punto che mi preme di più. Vi invito, invece, a riflettere sul fatto che insieme diventeremmo la seconda territoriale italiana per capacità produttiva. Unendo le nostre eccellenze potremmo dare un
contributo ancora più consistente allo sviluppo del nostro territorio e del nostro Paese. Aggregati in un’unica realtà associativa, abbiamo maggiori possibilità di migliorare il nostro sistema industriale e dargli nuova competitività.
Con quattromila imprese diventiamo il
vero motore trainante dell’economia regionale e possiamo portare un contributo di sostanza per uscire dalla crisi. Ma avere prodotti al
top non basta. Dobbiamo moltiplicare le eccellenze e soprattutto il numero delle aziende globalizzate, oggi ancora troppo limitato. Dobbiamo ampliare, in tutti i settori, la gamma delle imprese capaci di diventare degli autenti-
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9
ci «campioni» sui mercati.
La «manifattura intelligente»
Attualmente, il settore industriale sta vivendo un’altra ondata di grande trasformazione verso la cosiddetta «manifattura intelligente». Accanto al costo dei fattori produttivi, assume crescente importanza il ruolo
dell’«intelligenza» che, come ha scritto l’economista Giuseppe Berta in un saggio recente, «non è solo incorporata nella fabbrica e
nei suoi codici operativi, ma si genera al suo
• 11 Daniele Bandiera
• 12 Valerio Scianti e Lauro Lugli,
presidente provinciale di Legacoop
• 13 Giuseppe Molinari
con la moglie Ada
• 14 Claudio Reggiani
e Gianlauro Morselli
• 15 Pietro Ferrari, Massimo Toschi
e Monica Pelliciari
• 16 Enrico Cornia e Luca Marasini
• 17 Franco Vantaggi, di Confindustra
Ceramica, con Paolo Gambuli
e Fabio Tarozzi,
direttore e presidente di Acimac
• 18 Angelica Ferri Personali
e Rossella Po
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Eventi | Assemblea
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• 19 Arrigo Po, Umberto Bernardi
e Maurizio Tironi
• 20 Claudio Castaldo, Isabel Maciag
e Ivano Bacco
• 21 Marco Arletti e il padre Giovanni
• 22 Alberto Bergamini
e Giovanni Panini
• 23 Ivano Passini e Omero Cornia
• 24 Horacio Casali
e Alessandro Verasani
• 25 Elisa Stabellini e il fratello
Gian Luca
• 26 Maurizio Rinaldi
• 27 Roberto Lancellotti con la moglie
Eleonora
• 28 I sindaci Roberto Solomita
(Soliera), Paola Guerzoni
(Campogalliano), Luisa Turci (Novi)
e Alberto Bellelli (Carpi)
• 29 Alberto Bortoli e Giorgio Mari
• 30 Gian Carlo Muzzarelli,
Valter Caiumi e Luciano Vecchi,
assessore regionale alle Attività
produttive
• 31Giuseppe Cantore,
del dipartimento di Ingegneria
di Modena
• 32 Paolo Golinelli e Andrea Bozzoli
• 33 Marco Tironi e Matteo Tironi
• 34 Massimo Bruni
• 35 Maurizio Torreggiani, presidente
di Unioncamere Emilia-Romagna
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interno». Dobbiamo sfruttare questa opportunità e trovarci preparati a entrare da protagonisti in questa nuova fase. Sappiamo tutti
che, a differenza dei nostri concorrenti internazionali più forti, il nostro Paese non ha mai
avuto una politica industriale degna di questo nome. Una politica dei fattori produttivi,
trasversale alle attività e ai settori, capace di
esaltare le leve portanti della crescita economica. Nel frattempo, non possiamo stare con
le mani in mano. Dobbiamo agire, progettare e realizzare, insieme alle parti sociali e alle istituzioni, le condizioni che ci consentano
di trattenere, o ancora meglio di richiamare
nel nostro Paese, quel manifatturiero che negli ultimi anni abbiamo perso. Se non agiamo non perderemo solo questa ricchezza, ma
occupazione e sapere.
L’Europa
Non dobbiamo dimenticare che operiamo
in un contesto europeo. Abbiamo da poco rinnovato il parlamento della Ue. A luglio il nostro primo ministro guiderà il semestre dell’Unione. Non perdiamo l’opportunità di mettere la crescita e l’occupazione al centro dell’azione europea. Il presidente Squinzi ha
invocato un «Industrial compact» che rimetta finalmente l’economia reale al centro delle
politiche europee. Abbiamo bisogno di più Europa, non abbiamo futuro percorribile al di fuori di essa. Ci serve però un’Europa più federale, con più rappresentatività, maggiore so-
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lidarietà e migliori opportunità per tutti. Abbiamo l’euro, è vero. Ma i Paesi hanno condiviso la sovranità monetaria senza mettere a
punto strumenti comuni. L’euro deve diventare un fattore di stabilità e, ancora di più, di
crescita. Non deve penalizzare le nostre imprese, come succede oggi.
Il capitale umano
C’è poi un altro aspetto che reputo imprescindibile: la necessità di una visione dello sviluppo che si fondi sull’innovazione e sul capitale umano. Quell’insieme di competenze, saperi, attitudini sociali, carattere personale,
creatività e capacità cognitive che può essere
messo a frutto nel lavoro per produrre valore economico. Dal capitale umano dipende il
benessere di una nazione. Cioè la sua capacità di generare reddito e lavoro, di fare aumentare la produttività e di innovare, di migliorare la qualità della vita delle persone. Purtroppo, le condizioni del nostro capitale umano non brillano. Scuola, università e formazione, le principali istituzioni che ci consentono di accumulare questo capitale, non escono bene dal confronto internazionale.
Dobbiamo intervenire affinché la scuola
italiana non rimanga immobile; le nostre università si aprano alle riforme e ai cambiamenti; diventi conveniente studiare nel nostro Paese; e si attivi una reale e proficua collaborazione tra mondo dell’istruzione e delle
imprese.
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Ricerca e innovazione
Dobbiamo darci l’obiettivo di un miglioramento sensibile dei rapporti con le nostre università. Sappiamo tutti che il comparto manifatturiero ha bisogno della ricerca, ma anche la ricerca, per essere applicata, ha bisogno del manifatturiero. Pertanto, ci deve essere una corrispondenza maggiore fra l’offerta universitaria e le esigenze delle imprese. In questo senso bisogna finalizzare meglio e, se necessario, incrementare le forme
di collaborazione. Altro capitolo su cui lavoreremo riguarda il potenziamento dei rapporti con le scuole tecniche; così come proseguiremo, con azioni incisive, su tutto il segmento dell’orientamento scolastico.
Un altro segmento strategico riguarda
l’Ict. Se vogliamo sviluppare il nostro territorio in un network performante, dobbiamo
investire nell’Ict anche indirizzando, o meglio orientando, la formazione di un numero
adeguato di ingegneri informatici, oggi ancora carenti.
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ad aggregarsi, a unire le forze. Penso per esempio alle reti d’impresa, anche in forma virtuale. In questo processo di crescita risulterà
fondamentale la possibilità di accesso al credito. Mi rivolgo allora ai nostri istituti bancari. Sappiamo benissimo che le regole fondamentali sono scritte in Europa. E le ultime decisioni della Bce vanno nella direzione
giusta. Ma c’è un ambito su cui abbiamo ancora margini di manovra: mi riferisco ai sistemi di garanzia per le imprese. Dobbiamo
investire di più su questi strumenti e trovare forme di gestione più innovative.
Le infrastrutture
Infine, un accenno alle infrastrutture. E
qui l’ironia verrebbe facile, se calcoliamo gli
anni trascorsi a parlarne. Ne cito una per tutte: il polo intermodale di Marzaglia. Peccato
che si tratti di una infrastruttura indispensabile per le nostre imprese e che il ritardo
accumulato sia inqualificabile.
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so di miglioramento che stiamo per intraprendere investe anche le istituzioni. Con le
quali troveremo modalità di dialogo nuove e
più costruttive. Perché anche per le istituzioni è giunto il momento di fare più «rete». Fra
di loro e con noi. L’obiettivo è creare maggiori opportunità per lavorare insieme alla progettazione del nostro futuro.
Le relazioni industriali
Oggi sentiamo sempre più spesso parlare
della crisi dei corpi intermedi e della loro necessità di rinnovamento. Confindustria ha
già intrapreso questa strada. Mi auguro che
anche le rappresentanze sindacali possano fare altrettanto. Finora abbiamo gestito l’emergenza determinata dalla crisi economica. O-
Il rapporto con le istituzioni
L’internazionalizzazione
Dedicheremo la massima attenzione alla
proiezione internazionale del nostro sistema
produttivo. La dimensione delle imprese è il
vero punto dolente. Le nostre aziende sono
troppo piccole per affrontare la complessità
dei mercati stranieri. Dobbiamo attrezzarle
a valutare le proprie potenzialità e a progettare la crescita. Ripeto, dobbiamo aiutarle
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33
Le imprese sono attori delle comunità e
dei territori in cui sono inserite. Contribuiscono con le loro attività al benessere e alla ricchezza generale. E, ovviamente, interagiscono con chi governa il territorio, si confrontano e portano le loro istanze attraverso le associazioni che le rappresentano. Noi, a livello provinciale e interprovinciale, vogliamo essere protagonisti del cambiamento. Il proces-
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Dopo l’assemblea,
si è tenuto un cocktail
nel giardino
del Forum Monzani
per gli associati
e gli ospiti
di Confindustria Modena
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 61
Eventi | Assemblea
37
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• 36 Fabio Poli con la moglie
Tamara (a destra) e, al centro,
Claudio Stefani e Giulia Bernini
• 37 Stefano Zaccarelli, presidente
di Ance Modena, e Primo Franciosi
• 38 Natalia Restuccia
e Michele Pallini, comandante
provinciale della Guardia
di Finanza
• 39 Enrico Vento
• 40 Alessandro Rovinalti,
Arturo Poli e Davide Malagoli
• 41 Giuliana Righi e il marito
Giuliano Maggiotto
• 42 Romano Maletti
e Fausto Tarozzi
• 43 Silvana Luppi Cavalcanti
e il figlio Marco Cavalcanti
• 44 Giancarlo Vezzalini
e Federico Corradini
• 45 Sara Tinti e il padre Vanni
• 46 Marco Stella e Tiziano Neri
• 47 Massimo Toschi, Vincenzo
Cremonini, Piergiorgio Rebecchi,
Valter Caiumi, Massimo Galassini
e Gian Luca Sghedoni
44
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ra dobbiamo progettare nuove modalità di relazione. Dobbiamo costruire un mercato del
lavoro moderno a sostegno dell’occupazione.
Le regole attuali sono fuori dal tempo. Non aiutano la ripresa. E, fattore ancora più preoccupante, tengono fuori le risorse migliori: i nostri giovani. Per questo va completata la riforma della contrattazione; occorre ripensare
con coraggio il modello del contratto a tempo
indeterminato; va rivisto in profondità il tema degli ammortizzatori sociali.
L’etica
Tutte le riflessioni e le priorità che vi ho illustrato finora, indispensabili per migliorare
e fare ripartire il nostro sistema economico, non
possono prescindere da un aspetto di carattere generale che reputo essenziale: il senso etico che deve improntare il nostro agire come uomini, come cittadini e come imprenditori. Non
vi è dubbio che anni di recessione, di perdita considerevole di posti di lavoro, di divario sempre più ampio fra le fasce sociali, abbiano indebolito le speranze del Paese. Credo che oggi si avverta sempre più forte il bisogno di rigenerare un sentimento etico e morale, per rifondare un patto tra le generazioni e gli italiani tutti. L’etica (anche nella forma della responsabilità sociale dell’impresa, ma non solo) rappresenta un fondamento e un pilastro della nostra visione dell’impresa.
La lealtà e la correttezza sono i principi a cui
da sempre mi sono attenuto come uomo e co-
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40
me imprenditore. E a cui non ho mai abdicato. L’esperienza che sto vivendo, e di cui avrete letto in questi ultimi tempi, ha rafforzato in
me la convinzione che si tratta di valori etici imprescindibili.
A mio avviso, l’etica rafforza i presupposti
dell’agire economico senza i quali non si dà il
libero mercato. L’etica dell’impresa è, a mio
giudizio, una componente autentica di quella pubblica, perché si basa sull’idea che l’imprenditore, che è un cittadino, possa e debba
fare molto per la comunità nella quale vive e
opera. E lo fa agendo e facendo impresa.
DOPO
Tutto quello che progettiamo ora e che insieme a voi riusciremo a realizzare è propedeutico alla fase successiva del mio mandato. Consentitemi ora una fuga in avanti. Una sorta di
«ritorno al futuro». Lasciatemi immaginare
che tipo di associazione vorrei consegnare a chi
verrà dopo di me.
Un’associazione più proiettata sui bisogni
reali delle imprese, l’ho già detto, ma anche
più presente sul territorio. Sicuramente una
associazione più forte e più coesa. Ma soprattutto un’associazione che sappia davvero offrire alle sue imprese gli strumenti per gestire il futuro. In un contesto in cui il fattore tempo è determinante. Perché il nostro futuro è
già oggi. Ed è questa la ragione per cui mi auguro di poterci al più presto chiamare «Confindustria Emilia».
•
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Ha guidato l’associazione degli industriali modenesi per sei anni
Il saluto
di Pietro Ferrari
In questi anni Confindustria Modena si è distinta
sia come peso all’interno del sistema confindustriale
sia per il ruolo esercitato nella dimensione economica
e nel rapporto con le istituzioni pubbliche.
Perché si deve sempre ricordare
che con imprese prospere anche il Paese cresce
Il direttore
on vi nascondo che in questo modi
Confindustria
mento provo una particolare emoModena
zione, poiché come sapete questa
Giovanni
Messori
assemblea sancisce la conclusione della mia
con Pietro Ferrari
esperienza alla guida degli imprenditori
e Valter Caiumi
modenesi. Dopo sei anni, sei anni impegnativi, in cui abbiamo lavorato insieme, sarebbe questo il momento in cui procedere a un
bilancio. Ma vorrei evitare la retorica autocelebrativa. Ho cercato di interpretare il mio ruolo in modo diretto,
non burocratico, facendo riferimento esclusivamente agli interessi
delle imprese e degli imprenditori. Avremmo potuto essere più «politici», più diplomatici, più attenti agli equilibri tradizionali e insomma a non scontentare nessuno. Ho invece voluto essere schietto, spontaneo, diretto. Ho sempre pensato che è meglio un confronto onesto, trasparente, in cui si dicono le cose che si pensano, piuttosto che l’ipocrisia delle parole sottaciute, dei giudizi non detti.
N
Non posso negare tuttavia che questi sei anni siano stati particolarmente complessi, talvolta tumultuosi. Ripensandoci, forse non
esagero a sostenere che il tratto caratterizzante della mia presidenza sia stata l’eccezionalità. Il mio mandato ha preso avvio con
l’inizio di una crisi mondiale devastante che ha messo e mette tutt’ora a durissima prova le nostre imprese. Con un alternarsi di situazioni che hanno avuto quasi dell’incredibile: da un lato abbiamo
assistito al tracollo di aziende che non sapevano resistere al peso
SETTEMBRE/OTTOBRE 2014 - OUTLOOK 63
Eventi | Assemblea
della congiuntura negativa; dall’altro abbiamo visto aziende che hanno reagito con
una veemenza inaspettata e innescato processi di crescita.
Poi si sono susseguiti eventi naturali,
anch’essi eccezionali. Mi riferisco al terremoto del 2012 e alle recenti alluvioni, che
hanno arrecato ferite gravissime alle persone, al territorio e all’economia. Noi che cosa
potevamo se non stare il più possibile vicini
alle nostre imprese? Abbiamo cercato di fare da ponte, da canale di comunicazione
diretta fra loro e le istituzioni, dapprima per
fronteggiare l’emergenza e poi per mettere
in moto la ricostruzione. Si è trattato di un
percorso molto complicato e non ancora concluso. Ma, ora possiamo dirlo, abbiamo imboccato la strada giusta. Fin dai primi momenti della tragedia del terremoto, ho avuto la percezione nettissima che se non ci fossimo immediatamente adoperati per rimettere in attività le imprese il territorio non si
sarebbe più risollevato.
E allora, tutte le risorse di Confindustria Modena si sono rivolte a questo obiettivo: sostenere gli imprenditori affinché potessero tornare a produrre nelle loro fabbriche. Devo dire che qui si è vista la tempra di
questi uomini e di queste donne. Senza timore di apparire retorico, posso affermare
davvero di avere visto tantissimi capitani
coraggiosi che con una tenuta straordinaria hanno riportato in breve tempo le loro aziende sulla rotta giusta. La vostra forza è
stata per me una grandissima occasione di
arricchimento personale. E mi ha fatto sentire particolarmente orgoglioso di avervi
rappresentati in un periodo di così forti difficoltà. Ho cercato di fare del mio meglio e
spero di non avere deluso nessuna delle vostre aspettative.
In questi sei anni poi, ho lavorato intensamente anche su un altro punto a mio avviso fondamentale: una maggiore integrazione del tessuto industriale con il territorio. Modena, per dirla con il linguaggio dei
motori, non riesce a scaricare a terra tutta
la sua potenza. L’esperienza alla guida di
Confindustria Modena ha significato per me
un approfondimento continuo del contesto
modenese. Osservando la nostra realtà, e
64 OUTLOOK - SETTEMBRE/OTTOBRE 2014
confrontandola con realtà diverse, ho potuto individuare i nostri punti di forza e di debolezza. Ebbene, ho provato a costruire una
rete di relazioni fra politica, economia e istituzioni affinché si provi a ragionare in maniera articolata e costruttiva della valorizzazione delle nostre eccellenze. Perché questo territorio ha bisogno di progettualità e
di una modernizzazione a tutto campo se
vuole continuare a fare passi in avanti.
Pietro Ferrari con la moglie Simona
Sono convinto che il giudizio
più adeguato verrà assegnato
non oggi, ma in futuro. Gli uomini
passano, le istituzioni restano.
Sarò felice se Confindustria Modena,
grazie anche alla mia presidenza,
dimostrerà di poter giocare un ruolo
sempre più rilevante
.
In questi anni Confindustria Modena si
è distinta sia come peso all’interno del sistema confindustriale, sia per il ruolo esercitato nella dimensione economica e nel rapporto con le istituzioni pubbliche. Perché,
non dimentichiamolo mai, con imprese prospere anche il Paese prospera. Ma il nostro
compito non si esaurisce certo qui. Anche il
nostro sistema guarda al futuro.
Ed è per questo che sono particolarmente lieto che durante la mia presidenza sia
cominciato un intenso lavoro di relazione
con le associazioni di Bologna e di Reggio
Emilia per costruire insieme le premesse
per arrivare a un progetto associativo più
ampio. Mi sento di poter dire che, nonostante tutte le avversità, gli anni del mio
mandato sono stati proficui; e di questo desidero ringraziare moltissimo gli imprenditori che hanno sacrificato il loro tempo
per aiutarmi, offrendo un contributo davvero importante e di grande qualità.
Voglio poi ringraziare tutta l’organizzazione di Confindustria Modena, che si è rivelata un’ottima squadra, guidata da un direttore di grande qualità. Ma sono convinto che il giudizio più adeguato verrà assegnato non oggi, ma in futuro. Gli uomini
passano, le istituzioni restano. Io sarò felice se Confindustria Modena, grazie anche
alla mia presidenza, dimostrerà di poter
giocare un ruolo sempre più rilevante.
Lascio il mio incarico in ottime mani.
Sono così sicuro che, come nuovo presidente, Valter Caiumi saprà interpretare in
modo efficace le esigenze delle imprese,
che in qualche modo esito a fagli un augurio di buon lavoro. Se glielo faccio, questo
augurio, e a questo punto glielo faccio di
cuore, è per un briciolo di interesse personale: perché dal suo futuro successo, dalla
qualità del suo lavoro alla presidenza, si potranno giudicare anche i risultati del mio
lavoro. Come ho accennato, le istituzioni
crescono veramente quando sanno consolidare i risultati, e renderli permanenti, facendoli diventare una caratteristica strutturale del loro essere.
Oggi lascio la presidenza, ma non lascio
Confindustria. Ho avuto l’onore di essere
stato nominato coordinatore del Club dei
15 e di essere stato invitato dal presidente
Squinzi nel direttivo di Confindustria. Due
riconoscimenti che mi rendono particolarmente orgoglioso di appartenere a un sistema, Confindustria, che costituisce un solido ponte tra le imprese e il Paese.
Un sistema associativo di cui possiamo
andare fieri, perché nessun altro in Italia è
così attivo su temi importanti come quelli
che riguardano il fare impresa e la difesa
della libertà di intraprendere.
•
Il dibattito con Alberto Quadrio Curzio, professore emerito di Economia
Politica alla Cattolica di Milano, Pietro Ichino, giuslavorista e senatore
di Scelta Civica, e Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria,
moderati da Dario Di Vico, editorialista del «Corriere della Sera»
Come rilanciare
l’Italia e l’Europa
Europa, lavoro e imprese: sono questi i temi affrontati nella tavola rotonda
che ha concluso l’assemblea generale di Confindustria Modena.
Tre elementi centrali per lo sviluppo italiano e del Vecchio Continente.
Perché le riforme dell’occupazione e il sostegno al tessuto produttivo
sono le basi per ridare vigora al progetto di un’Europa unita non solo
dal punto di vista finanziario ma anche sociale e politico
ALBERTO QUADRIO CURZIO
I pilastri dell’economia europea
’esito delle elezioni per il rinnovo del
Parlamento europeo lascia supporre
che anche nel Vecchio Continente si vada
verso una grande coalizione di governo.
Mentre i due principali contenitori del voto
popolare espresso lo scorso 25 maggio, i partiti Pse e Ppe, dovranno trovare un accordo
programmatico di massima per portare avanti le riforme, l’Europa dell’economia reale e delle forze produttive chiede a gran voce un cambio di pagina.
«Per svoltare nettamente», ha ricordato
Alberto Quadrio Curzio, «l’Europa deve ritrovare se stessa. Deve ritrovarsi nei suoi
principi ispiratori, e non cedere per forza all’emulazione del modello americano. L’Europa è una democrazia di tipo comunitario
con alcune caratteristiche dell’economia di
mercato. I pilastri della nostra democrazia
sono tre: istituzioni, società ed economia (o
mercato). Da noi non c’è una caratterizzazione così fortemente duale come negli Usa,
dove Stato e mercato si dividono il potere in
base a meri rapporti di forza di volta in volta ridiscussi. Da noi esiste un cuscinetto intermedio che si chiama società. I corpi intermedi caratterizzano e tipizzano la nostra democrazia. Non è auspicabile una Eu-
L
SETTEMBRE/OTTOBRE 2014 - OUTLOOK 65
Eventi | Assemblea
ropa che faccia strame delle tradizionali forme di rappresentanza e
associazione: ripensiamo le forme ma non la sostanza della nostra
impalcatura sociale».
Eppure i nudi numeri sembrano deporre a favore del modello
statunitense. Dal 2009 a oggi l’economia a stelle e strisce è cresciuta del 9 per cento, quella europea (Ue a 28) dello 0,7 per cento e
quella italiana ha perso addirittura il 7 per cento. Per non parlare
del tasso di disoccupazione: Usa al 6-7 per cento, Europa tra l’8 e il
12 e Italia abbondantemente sopra il 13 per cento. Certo, i giovani
senza lavoro sono un problema comune sulle due sponde
dell’Atlantico, ma negli Stati Uniti il dato si attesta al 15 per cento,
in Ue tra il 23-25 per cento, e in Italia supera la soglia del 40 per
cento. «Inutile girarci intorno», rincara la dose Quadrio Curzio.
«Negli ultimi sei anni l’Europa ha accumulato un pesante svantaggio competitivo nei confronti degli Usa».
Nulla da eccepire invece sulle cosiddette politiche fiscali e di bilancio. Qui l’Europa ha fatto meglio degli Usa: il rapporto debito
pubblico-Pil in Usa registra il 110 per cento, in Europa il 95. Lettura analogamente positiva per il rapporto deficit-Pil: in Usa si attesta al 10 per cento, in Europa al 3,5 per cento. «L’Europa ha fatto
bene a mettere sotto controllo debito pubblico e deficit. Per fortuna
Mario Draghi e la sua Bce hanno dato manforte all’euro e consentito di ritoccare al ribasso i tassi di interesse. Ma è mancata una vera
politica a favore e a vantaggio dell’economia reale, un pacchetto di
norme e obiettivi che il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi
ha felicemente riassunto di recente con la formula “Industrial
Compact”. Perché nessuna forzatura virtuosa sulle spese del quadro finanziario pluriennale? Anziché spendere 140 miliardi all’anno per sette anni ne potremmo spendere da subito 280, per poi andare a graduale esaurimento nell’arco del settennio: più soldi all’inizio, alle prime battute, meno negli ultimi anni».
Altra grave pecca dell’ortodossa e rigorosa Europa a trazione
tedesca, ricorda il professore dell’Università Cattolica di Milano, è
stata la mancata emissione degli Eurobond. «Spero ritornino di
moda e se ne parli sempre di più. Come scrivemmo con Romano
Prodi nella famosa lettera del 23 agosto 2011 indirizzata al “Sole 24
Ore” gli EuroUnionBond servono all’unità, alla stabilità e alla crescita dell’Unione economica e monetaria, all’euro e quindi all’Europa nel suo complesso. Ovvio che questi strumenti vanno progettati molto bene, partendo primariamente da una forte e indissolubile unità politica».
PIETRO ICHINO
Disoccupazione, il fardello pesante della crisi
l grande tema dell’occupazione descritto secondo le categorie
politiche di destra e sinistra è sempre stato, a seconda del punto
d’osservazione, ora un problema di stimolo dell’offerta (destra), ora
una questione di stimolo della domanda (sinistra). A questa lettura Pietro Ichino si oppone. «L’obiettivo a cui tendere, e su cui siamo
tutti d’accordo, è un mercato del lavoro sempre più competitivo,
I
L’Europa ha messo
sotto controllo
il debito pubblico.
Ma è mancata
una politica
a favore
dell’economia
reale
che funzioni bene, che sappia stimolare la
domanda di lavoro e che al contempo agisca
sull’offerta, per garantire al lavoratore reddito, formazione e occupazione. Il decreto
Poletti, sul versante dei contratti a tempo
determinato, ha dato una prima scossa al
rapporto tra domanda e offerta di lavoro.
Ora la vera sfida è dare un nuovo quadro
normativo ai rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, liberandoli da una serie di
bardature troppo rigide e asfissianti così come a suo tempo si è
fatto con la legge Fornero e il tabù dell’articolo 18».
Finora si è sempre parlato del mercato del lavoro come di un
luogo ostile per il lavoratore, una trappola da cui tenersi a debita
distanza, e nella quale augurarsi di non ricadere mai. E invece questo luogo, che non ha nulla di metafisico ma che all’opposto dovrebbe essere assai reale e concreto, «deve diventare una parentesi
temporanea che, attraverso il sostegno al reddito e un processo di
ri-formazione pratica e teorica, ricolloca in un nuovo posto di lavoro più qualificato la risorsa umana».
Dal giuslavorista e senatore di Scelta Civica per l’Italia è arrivata anche un’importante presa di posizione sull’utilizzo degli
ammortizzatori sociali. «L’abitudine di risolvere qualsiasi crisi
aziendale con il ricorso alla cassa integrazione è sbagliata.
L’istituto, in tanti anni di pratica, è stato snaturato. E così ci si
SETTEMBRE/OTTOBRE 2014 - OUTLOOK 67
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riduce a mantenere artificialmente in vita posti di lavoro che non ci
sono più: si danneggia il lavoratore, che in questo modo è come se
venisse riposto in freezer e privato del naturale appeal che potrebbe avere se debitamente formato e messo sul mercato, e si danneggiano le casse dello Stato che ogni anno vedono uscire per questo
scopo circa 20 miliardi di euro. Che senso ha pagare per 18-20 anni
alla medesima azienda la cassa integrazione?»
Il mercato del lavoro italiano risente inoltre di un’altra grave
lacuna: la mancanza di investimenti stranieri. «Siamo poco appetibili. Dall’estero arrivano finanziamenti per un valore pari all’1 per
cento del Pil, rispetto a una media europea del 4 per cento. Il 4 per
cento del nostro Pil significherebbe 60 miliardi all’anno. Apriamoci
alle multinazionali: aiutano il nostro Paese a funzionare meglio. Il
ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, un costo
dell’energia mediamente più alto del 25 per cento rispetto al nord
Europa, un diverso senso civico e un diritto del lavoro più simile a
un ginepraio che a un chiaro e sistematizzato quadro di norme finiscono per rovinare la reputazione del nostro Paese nel mondo».
Eppure, oggi, dal punto di vista politico, c’è un’occasione irripetibile che, avverte Ichino, «non possiamo lasciarci sfuggire: questo
governo può procedere senza tentennamenti sulla strada del riordino e della semplificazione dei contratti di lavoro, sulla rivisitazione degli ammortizzatori sociali e sulla discussione di nuove forme
di inserimento e collocamento professionale. La concertazione è
uno strumento che può dare al governo una marcia in più: è stato
così, in effetti, nei primi anni Novanta. Grazie alla concertazione
con le parti sociali si è entrati in Europa. Quella stagione però è
cambiata: gli obiettivi dei diversi attori in campo non coincidono
più. Matteo Renzi fa bene a proseguire sulla sua strada ma sbaglia
quando trancia giudizi assoluti come “la concertazione non serve
più”. In politica e nella vita delle nostre comunità non ci sono strumenti vecchi. Tutto può ritornare».
GIORGIO SQUINZI
In Italia più crescita e più Europa
rollo dei consumi interni e grande propensione all’export: in
questo momento in Italia ci sono due picchi che non si toccano
assolutamente. Sono gli estremi della nostra economia: uno in territorio positivo, l’altro in territorio negativo. Per Giorgio Squinzi
l’inversione di tendenza, e la ripresa dei consumi domestici, sono
possibili soltanto attraverso la crescita del manifatturiero. «Solo
l’impresa manifatturiera sa creare lavoro e condizioni di sviluppo.
Questo governo, che alle passate elezioni europee ha ottenuto una
così vasta legittimazione popolare, deve assolutamente mettere mano alle riforme, liberare risorse ed eliminare inutili balzelli. Dobbiamo recuperare lo spirito del secondo Dopoguerra, riportare in
alto quei sentimenti e quei principi che ci hanno reso così famosi
nel mondo». Perché l’Italia diventi per le imprese un Paese normale ci sono alcune cose da sistemare. «Abbiamo bisogno di ritrovare
la fiducia in noi stessi e di creare un ambiente competitivo. Tanto
C
L’obiettivo
a cui tendere
è un mercato
del lavoro
sempre
più competitivo,
che funzioni
bene
per cominciare proviamo a sbloccare definitivamente la questione dei pagamenti della
pubblica amministrazione. In un momento
in cui la liquidità è un problema feroce per
le aziende, colmare i 100 miliardi di debiti
scaduti sarebbe un segnale importante. Di
quei 100 miliardi alle imprese ne sono arrivati appena 23».
In questo periodo, il Parlamento sta lavorando su diverse direttrici, «ma abbiamo bisogno urgentemente
di mettere mano alla riforma della legge delega fiscale, per avere
un fisco che non sia vessatorio e imprevedibile. Sburocratizziamo il
più possibile la pesante macchina statale, riformiamo il Titolo V
della Costituzione per agevolare i rapporti tra centro e periferia
dello Stato. Insomma di anno in anno, ormai da troppo tempo, le
priorità sono sempre le stesse, finora inascoltate, ma ci aspettiamo
davvero che Matteo Renzi faccia qualcosa di positivo. Non eravamo
esattamente d’accordo con l’incentivo degli 80 euro. Continuiamo a
pensare che un intervento sull’Irap per abbassare costo di lavoro,
in base alle elaborazioni del nostro centro studi, avrebbe dato un
risultato migliore sul medio termine. Ma era troppo importante un
risultato elettorale pro Europa e la critica me la sono risparmiata».
Per un’Italia che cambia verso ci deve essere però un’Europa
disposta a mettersi in gioco nel senso più politico della questione.
SETTEMBRE/OTTOBRE 2014 - OUTLOOK 69
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«Il mio sogno, da europeista convinto, è arrivare agli Stati Uniti
d’Europa. Ma per fare questo salto occorre una visione profondamente politica del progetto. Cinquecento milioni di consumatori, il
mercato più bello e qualificato del mondo, devono essere convinti
ogni giorno con proposte utili e concrete. Dotiamoci di un fisco e un
welfare uniforme, pensiamo insieme ai grandi investimenti nelle
infrastrutture del Continente, allentiamo un po’ le politiche del ri-
gore e concentriamoci maggiormente su una
politica energetica comune, che ci metta al
Questo governo
riparo dai veti e dai ricatti incrociati delle grandeve
di potenze energetiche. Perché per esempio
assolutamente
non cercare sul fronte delle materie prime
mettere mano
un’alleanza strategica con l’Africa?»
alle riforme,
La guerra alla moneta unica è del tutto
liberare risorse
pretestuosa. «L’euro è un fattore di stabilized eliminare
zazione per la nostra economia. All’Italia fuoinutili balzelli
ri dall’euro non voglio nemmeno pensare. Il
problema vero è fare riforme tanto in Italia
quanto in Europa. Rivendico l’orgoglio di rappresentare un sistema di 150.000 imprese e
sei milioni di lavoratori, il cuore pulsante del Paese». Per rimettere
l’impresa al centro, crescere e garantire maggiore sviluppo,
dovremmo preoccuparci di più della questione generazionale così
come prescrive la Commissione europea nel suo piano di rilancio
dell’occupazione giovanile chiamato «Youth Guarantee» (Garanzia
giovani): «In questa crisi stiamo rischiando di sacrificare tre generazioni di giovani», commenta Squinzi. «In Italia il mercato del
lavoro si muove ancora in bicicletta mentre gli altri Paesi sono in
Formula Uno. Credo che vadano riviste profondamente le relazioni industriali nel nostro Paese. Io sono a favore di un contratto di
lavoro a tempo indeterminato che però sia competitivo, con tutte le
flessibilità in entrata e uscita. La cassa integrazione in deroga, o
quella straordinaria che si prolunga per sette anni nella finzione di
mantenere dei posti di lavoro non deve più esistere, perché è un
disincentivo per il lavoratore che deve trovare un posto in una nuova azienda. Occorre una riforma, e servirà una discussione nel merito e tempo per realizzarla. Ma è indubbio che si tratta di uno strumento che va ripensato».
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