Studenti asiatici - MATEMATICA KUMON

elle reportage
i primi
della classe?
Gli asiatici,
Ma...
È
un segno dei tempi inequivocabile: la competizione asiatica
parte dai banchi di scuola. In Nord
America, dove i flussi migratori innescati dalla globalizzazione e il
numero di studenti internazionali
sono molto elevati, il fenomeno è
più evidente: gli studenti asiatici surclassano tutti gli
altri già dalle scuole elementari. E più si va avanti con
l’età, più il divario cresce: gli Asian Americans spopolano
nei test d’ingresso alle maggiori università statunitensi,
con percentuali che sfiorano il 20 per cento nelle università più prestigiose (da Yale a Harvard, a Princeton),
pur rappresentando solo il 5 per cento della popolazione. Se in alcune università particolarmente esclusive la
percentuale di studenti asiatici non riesce a sfondare il
tetto di cristallo del 20 per cento è perché, come hanno
denunciato gli studiosi di Princeton Thomas Espenshade e Alexandria Walton Radfor in un libro, gli standard
d’accesso imposti agli studenti di origine cinese o indiana
sono molto più alti rispetto a quelli richiesti ai loro pari
di origine caucasica o afroamericana. Non a caso nelle
università californiane, dato il loro approccio race-free
(libero da pregiudiziali di carattere razziale), gli studenti
asiatici ormai toccano punte del 40-50 per cento.
Lo strapotere asiatico nelle performance accademiche
emerge evidente nello studio condotto dalla ricercatrice
Gilda Ochoa, Academic Profiling: Latinos, Asian Americans,
and the Achievement Gap, ed è confermato dai dati 2010
dell’US Census Bureau, secondo cui il 49 per cento degli
Studenti modello. Sopra.
Paul Tran, 20 anni, nato
in Canada da genitori
vietnamiti: studia
Matematica. A sinistra.
Kim Nguyen, 22 anni:
anche lei è vietnamita
e studia Matematica.
È arrivata a Vancouver
solo 7 anni fa. Sotto.
Una piccola allieva
di origine asiatica.
Negli Stati Uniti (e non solo)
gli studenti asiatici sono i più
bravi, motivati dal desiderio
di non deludere i genitori
e di sfondare. I loro metodi adesso
sono copiati anche in Occidente.
Ma non tutti sono d’accordo
d i A r i a n n a Dag n i n o - f o t o S t e fa n o G u l m a n e l l i
E l l e a p r i l e 2 0 1 4 251
elle reportage
A sinistra. Il Centro
Kumon a Vancouver.
Il Kumon è un
sistema educativo
per apprendere la
matematica. A destra.
Vivian Yang, 20 anni,
studia Biologia; Elliott
To, 21 anni, Scienze
alimentari.
asiatici sopra i 25 anni ha un titolo di laurea (e il 20 per
cento di questi addirittura un Master o un PhD), rispetto
al 27 per cento del resto della popolazione.
Il trend in atto negli Usa è destinato a ripetersi anche
altrove, visto che la competizione asiatica sui banchi di
scuola ha assunto dimensioni globali. I test triennali di
valutazione dell’apprendimento scolastico PISA (Pro-
dell’Asia l’istruzione è vista come l’unica via per il
successo». Considerazioni simili si ritrovano nel
nuovo e controverso libro che Amy Chua ha scritto a quattro mani col marito, The Triple Package:
How Three Unlikely Traits Explain the Rise and Fall
of Cultural Groups in America. Questo studio non
solo identifica i gruppi etnici - con ancora una volta gli
asiatici in testa - che mostrano le migliori performance in
ambito accademico (e, di riflesso, lavorativo) negli Usa,
ma elenca anche i motivi di tale successo; fra questi sono ritenuti decisivi la disciplina ferrea, il controllo degli
impulsi e un certo senso di superiorità curiosamente
associato alla sensazione d’insicurezza instillata dal sen-
“Disciplina ferrea, controllo degli impulsi, un senso di superiorità
unito a insicurezza: sono i fattori di successo degli allievi asiatici”
gramme for International Student Assessment), condotti in 64 Paesi, sono lì a dimostrarlo. Secondo i risultati
pubblicati dall’Ocse a dicembre, sono gli studenti di
Shanghai, Singapore, Hong Kong, Taipei, Corea del Sud,
Macao e Giappone a primeggiare (in particolar modo in
Matematica e Scienze), mentre gli Stati Uniti arretrano
al 36esimo posto e l’Italia si assesta al 32esimo posto, con
punteggi più bassi della media dell’Ocse.
più preparati, più ricchi
Il successo accademico si riflette nella sfera economica e sui salari: già oggi gli Asian Americans guadagnano
in media 10mila dollari in più all’anno rispetto al resto
della popolazione americana. Secondo Dave Breitenstein,
autore di un’inchiesta per la News-Press sul crescente
divario nei risultati accademici tra Occidente e Oriente, il gap è la conseguenza di un fattore eminentemente
culturale: «Ad alimentare l’ascesa accademica dei Paesi
asiatici è un mix di aspettative dei genitori, paura di fallire, competizione e orgoglio. Questo perché in gran parte
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Elle aprile2014
tirsi degli outsider.
Cosa fare dunque? Come affrontare la sfida accademica lanciata dai giovani del Far East? Ricette infallibili
non ce ne sono; genitori ed educatori devono perlopiù
procedere per tentativi. C’è chi, per esempio, decide di
recedere dalla competizione esasperata ritirandosi nelle
aree rurali, o comunque lontano dai quartieri urbani ad
alta concentrazione multietnica. Sono molte le famiglie
anglosassoni della Silicon Valley recentemente trasferitesi in aree anche extraurbane per far frequentare ai figli
le scuole in cui minore è il numero di studenti asiatici
ipercompetitivi.
Altri genitori cercano invece di attrezzare i figli sostenendo i loro sforzi accademici. E se la scuola non basta, li
mandano a ripetizione in centri specializzati d’impronta
asiatica. Fra questi spiccano i Kumon Center, nati in Giappone una ventina d’anni fa per volontà dell’educatore
Toru Kumon e ora in auge in 25 Paesi e in molte metropoli occidentali. Il Kumon è un sistema educativo per
l’apprendimento della Matematica e dell’Inglese basato
elle reportage
Da sinistra. Viola
Chen, 23 anni,
al primo anno di
Scienze forestali.
Un cartello in un
Centro Kumon.
su ripetitività e memorizzazione (pratiche ripudiate dai
metodi educativi anglosassoni di nuova generazione),
continuità, personalizzazione e responsabilizzazione.
Gli studenti svolgono quotidianamente degli esercizi (20
minuti al giorno per materia) assegnati settimanalmente
in base alle loro competenze individuali e avanzano di
livello solo dopo aver dimostrato di aver appreso appieno
le competenze del livello precedente. Per la Matematica,
per esempio, vi sono 23 livelli, dalle somme più elementari al calcolo fattoriale e alla statistica; per l’Inglese, si
va dall’ortografia allo studio di brani dei classici della
letteratura. Attualmente si contano 25mila Centri Kumon
nel mondo (di cui mille in Europa e uno a Brescia), frequentati da oltre quattro milioni di studenti. A crescere
«Per promuovere l’ideale di uno studente modello, i genitori asiatici assumono loro stessi il ruolo di educatori
quando i figli tornano a casa da scuola, li aiutano a fare i
compiti, celebrano i loro successi scolastici ed elaborano
piani d’azione lì dove risultano deboli».
C’è però anche chi mette in guardia contro i parossismi di un modello educativo che, soprattutto nelle
scuole cinesi, coreane e giapponesi, tende a spremere
gli studenti e a obbligarli a corsi di studi simili a tappe
forzate, con il risultato che molti di coloro che, dopo test
d’ammissione durissimi, riescono a varcare l’agognata soglia universitaria, finiscono per “spegnersi” (burn
out). Lo ammette lo stesso Tan Eng Chye, rettore della
National University di Singapore, sostenendo che so-
“I genitori asiatici assumono loro stessi il ruolo di educatori.
Aiutano il figlio a fare i compiti, lo rafforzano dove è debole”
sono soprattutto i Junior Kumon, dedicati ai bambini
in età prescolare (dai tre ai cinque anni) che negli Usa
sono aumentati del 30 per cento dalla loro comparsa nel
2007. Se un tempo negli Stati Uniti e Canada, ma lo stesso
vale per l’Australia e l’Inghilterra, erano soprattutto i
figli d’immigrati - e in particolare quelli dai Paesi asiatici
(India, Cina e Giappone in testa) - a frequentare i Centri
Kumon, ora sono spesso i figli degli anglosassoni.
Nel contempo, sono sempre più numerose le scuole nordamericane che decidono di adottare metodi di
studio, soprattutto nel campo della Matematica e delle
Scienze, importati dal Far East, e in particolare da Singapore, come riporta Barry Garelick sul sito EducationNext (http://educationnext.org). Come dire, i padroni del
mondo ora vanno a ripetizione a casa del vicino povero
ma diligente.
Altri genitori si prestano a divenire loro stessi educatori, ancora una volta rifacendosi al modello asiatico
- seppure in versione ammorbidita - come racconta l’educatrice canadese di origini camerunensi Nicoline Ambe:
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vraccaricare eccessivamente gli studenti in giovane età
può avere conseguenze negative: «Non hanno la gioia
d’imparare. Sono sfiniti». La stessa Ambe, elencando i
fattori, tra cui i ritmi di studio draconiani, che portano
gli studenti asiatici a eccellere, si chiede se questo li renda
anche persone “complete”.
Come sempre, un’aurea via di mezzo sembra essere
la soluzione ottimale. Se è vero che l’attuale tendenza
delle scuole americane spinge verso una facilitazione eccessiva - quello che molti definiscono la “banalizzazione
del curriculum” per cui gli studenti non sono spronati
a sforzarsi per raggiungere il loro potenziale - è anche
vero che sull’altro versante estrema rigidità e competitività sfrenata non preparano i giovani a vivere con più
consapevolezza e capacità di analisi.
Come raggiungere allora il giusto equilibrio tra il rigore accademico che arriva da Oriente e lo sviluppo di
personalità a tutto tondo, possibilmente dotate di creatività (invocata da tutti) e di un’adeguata coscienza civica,
come ha saputo proporre il moderno Occidente? Secondo
elle reportage
Palash Ghosh, editorialista dell’International Business Times, c’è bisogno di “un cambio di marcia rivoluzionario
nella cultura degli Stati Uniti (e, verrebbe da aggiungere,
non solo degli Usa), un allontanamento da avidità, materialismo, egoismo e frivolezza”.
Anche in considerazione di ciò, da più parti si mette
in guardia contro il rischio di privilegiare l’insegnamento delle materie tecno-scientifiche a discapito di quelle
umanistiche. A livello istituzionale, in Nord America
tanto quanto in Europa due visioni del mondo si stanno
ora confrontando a viso aperto sull’arena dell’istruzione
pubblica. Una, più utilitaristica, spinge per una scuola
che fornisca il “capitale umano” in grado di sostenere la
competizione tecno-economica e la sicurezza del Paese
(non a caso il rapporto del Council on Foreign Relations
del 2012 è intitolato Riforma del sistema educativo statunitense e sicurezza nazionale). Da qui la necessità percepita
di rafforzare l’insegnamento delle materie scientifiche a
discapito di quelle umanistiche, dei classici e della let-
il processo che prepara i giovani a vivere le loro vite con
più consapevolezza e capacità di analisi e non come ingranaggi all’interno delle macchine nazionali per generare profitti e potere (il tanto osannato “capitale umano”),
allora, sostiene James Miller, docente alla New School
for Social Research, non si può prescindere dalle liberal
arts. Stiamo cioè parlando di quelle arti (incluse Storia e
Filosofia, ormai assenti dai curriculum delle scuole anglosassoni) e quelle scienze che, “nel contesto dell’antica
Roma, erano degne di un uomo libero”.
Per questo, secondo Miller, le scuole dovrebbero essere concepite come incubatori dove “tutti i ragazzi sono
incoraggiati a sviluppare il più ampio ventaglio dei loro
talenti, assimilando quello che di meglio è stato scritto e
pensato nel campo delle arti, delle lettere e delle scienze”. Altrimenti, come notato a suo tempo dalla giornalista
Cinzia Zuccon sul sito dell’Istituto di studi sulla paternità,
“popoleremo il mondo di uomini e donne-tigri e il mondo
finirà per divorare se stesso”.
Arianna Dagnino
“Le scuole dovrebbero essere incubatori dove sviluppare i talenti
dei giovani e trasmettere il meglio di arti, lettere e scienze”
teratura creativa.
L’altra visione, consolidatasi attorno alla pubblicazione di What is Education? dell’Association of Literary
Scholars, Critics, and Writers americana, si pone invece
in contrasto con il modello competitivo, meccanicistico
e “disumanizzato” che si sta delineando sugli orizzonti
accademici del globo. È quella che ribadisce la necessità
di una pedagogia d’impronta umanistica che includa
l’emulazione di buoni modelli nella scrittura e, soprattutto, lo studio di grammatica, filosofia e storia.
Rientrano fra i paladini di questa visione tanto coloro
che in Francia sostengono la ministra per l’Università,
Geneviève Fioraso, intenzionata a rilanciare le facoltà
umanistiche, quanto coloro che in Italia si sono espressi
contro la riduzione dell’insegnamento di filosofia nei licei
da tre a due anni (in base alla sperimentazione di un ciclo
abbreviato di quattro anni) e la sua totale scomparsa dai
corsi di laurea di Pedagogia e Scienza dell’educazione.
«Il rinnovamento della scuola italiana non può essere
affidato a sbrigative potature come quelle che già si sono
abbattute su geografia, diritto, storia dell’arte, e che ora
guardano minacciosamente verso il ridimensionamento
della filosofia», ha scritto Stefano Rodotà su Repubblica.
«Il rischio di questa deriva è lo spegnersi dello spirito
critico, la cui costruzione è inscindibile dall’idea stessa
di istruzione».
Insomma, se davvero intendiamo l’istruzione come
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Elle aprile2014
MATERIE UMANISTIche alla riscossa
Non solo ingegneri e tecnici. Da qualche tempo, i trend internazionali nelle ricerche di personale e le richieste delle
aziende evidenziano una piccola, ma interessante inversione
di tendenza. Nuovi orizzonti sembrano aprirsi per i laureati
in materie umanistiche, spesso condannati a lavori precari,
sottopagati o addirittura non attinenti al loro curriculum di
studi. «Un fenomeno legato all’emergere di nuove professioni
creative», spiega Marina Verderajme, presidente di Sportello
Stage Actl a Milano.
Cosa sta succedendo? «Sul piano istituzionale», continua Verderajme, «è stato lanciato un programma importante dall’Ue,
Creative Europe, che prevede lo stanziamento di 1,46 miliardi
di euro per creare occupazione promuovendo cultura e professioni creative fino al 2020. Poi ci sono le aziende che, in
ambiti nuovi o in crescita - per esempio, la green economy,
il web, la comunicazione, il design -, sono alla ricerca di laureati anche in materie umanistiche. Un recente rapporto di
Unioncamere evidenzia un aumento dello 0,5 per cento di
occupati nel 2013 nel sistema produttivo culturale in Italia».
Naturalmente, per stare al passo con le richieste, non basta la
laurea. «Oltre all’inglese, serve una conoscenza del settore in
cui si vuole entrare, acquisita svolgendo uno stage o seguendo un corso». Info: www.sportellostage.it, www.cliclavoro.
gov.it, http://ec.europa.eu/culture/creative-europe.
Maria Tatsos