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IN-DEPTH ANALYSIS
23 settembre 2014
IFI Advisory, società di intelligence ed analisi internazionale, propone le “In-depth
Analysis” per entrare in profondità nelle logiche di eventi di rilevanza globale che, tuttavia,
non trovano spazio nella prima pagina della cronaca internazionale: analisi che rispondono
a un ricerca mirata in grado di offrire un prodotto dinamico e facilmente consultabile.
“In-depth Analysis” è un servizio usufruibile sia dal settore pubblico sia da quelle società e
aziende private che mirano ad informarsi maggiormente sulle tematiche internazionali e sui
relativi risvolti economici.
Le analisi esposte sono frutto di ricerche precise e dati verificati: le opinioni espresse dagli analisti
sono tuttavia strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di IFI S.r.l. Le
pubblicazioni online di IFI S.r.l sono opere inedite e frutto di studio approfondito. Si diffida pertanto
dal riutilizzo del materiale pubblicato senza l’autorizzazione di IFI S.r.l.
IN-DEPTH ANALYSIS
Security Issues In-Depth Analysis
23 settembre
Indice
1) L’ombra dello Stato islamico nel Sud
Ribelli Houthi in Yemen. Fonte: Businessweek
Est asiatico.
MAIN SECURITY ISSUES
2) Nigeria: Boko Haram alla conquista
del Nord Est.

3) La Turchia rifiuta il gas israeliano.
4) Al Shabaab: una minaccia ancora
credibile per i paesi della regione.
5) Corea del Nord: fuga di un
funzionario di banca con dollari e

segreti



YEMEN, 21 settembre: i ribelli houthi,
dopo aver preso il controllo di uffici
governativi, radio e tv pubblica nella
capitale Sana'a, hanno raggiunto un
accordo con il governo ed i militanti
sunniti. L'accordo è stato mediato dalle
Nazioni Unite.
MALI ,18 settembre: Cinque Caschi Blu
delle Nazioni Unite muoiono nei pressi di
Aguelhok, a causa dell’esplosione di una
bomba.
KENYA, 21 settembre: Il coprifuoco in
vigore nella Contea di Lamu è prorogato
fino al 22 ottobre, per permettere alle forze
di polizia di portare a termine le
operazioni di sicurezza nell'area.
CINA, 22 settembre: Due persone restano
uccise da una serie di esplosioni nella
Contea di Luntai, nella Regione Autonoma
dello Xinjiang
RUSSIA, 23 settembre: Russia e India
conducono l’esercitazione tattica comune,
Indra 2014, presso Prudboy, nelle
vicinanze di Volgograd.
L’OMBRA DELLO STATO ISLAMICO SUL SUD EST ASIATICO
Luigi De Martino
La partecipazione di cittadini originari del sud
est asiatico ai conflitti in Medio Oriente sotto
la bandiera dello Stato Islamico rappresenta
una minaccia per i paesi della regione. Il
cosiddetto “terrorismo di ritorno” potrebbe
vanificare gli sforzi degli apparati di sicurezza
creando situazioni di instabilità, I governi
hanno tuttavia dimostrato in questi anni
maggiori capacità di risposta alle sfide lanciate
dai gruppi terroristici.
guida sciita e i loro alleati. Sinora, era
opinione largamente condivisa che il SI
perseguisse solo un’agenda regionale,
Cittadini provenienti dall’Asia sud
orientale tra le fila dello Stato
Islamico
Indonesiani Stime ufficiali 60
Fonti intelligence: più di
Il 18 giugno 2014, alcuni giovani
indonesiani, con due video ed utilizzando
un mix di lingua bahasa e araba, hanno
chiamato i propri compatrioti a unirsi allo
Stato Islamico (SI) per combattere lo jihad
in Siria ed Iraq1. La notizia, nonostante il
numero ad oggi limitato di cittadini della
regione tra le fila del SI, ha avuto grande
risalto, mettendo in allerta le forze di
sicurezza preoccupate per la possibilità di
un aumento delle adesioni di giovani
indonesiani al gruppo terroristico guidato
da al-Baghdadi. Il SI attualmente sembra
avere, tra le masse sunnite e gli ambienti
salafiti, una maggiore capacità di
attrazione rispetto ad al Qaeda (AQ), in
primo luogo grazie alla sua abilità
nell’utilizzare i social media e, elemento
estremamente importante, al fatto di
condurre una guerra contro regimi a
200
Malesi
Stime ufficiali: più di 100
Filippini
200
Stime ufficiali: tra 100 e
Tra i “foreign fighters” dello Stato
limitata essenzialmente alla creazione di
Islamico sono presenti anche alcuni
uno
stato comprendente
sottratti
singaporiani
e almeno uni territori
cambogiano
a Damasco e a Baghdad. Tuttavia, i recenti
sviluppi hanno mostrato che il gruppo ha
ambizioni globali, che abbracciano tutto il
mondo musulmano e non solo, e in questo
è molto più simile ad AQ di quanto si
pensava in precedenza.
Di conseguenza, l’Agenzia Nazionale
Indonesiana di Contro-terrorismo, così
come numerosi esperti di terrorismo,
considerano il SI una possibile minaccia
futura per i paesi della regione qualora
V.A.D. Busyra, The Jakarta Globe, “ISIS-Trained
Indonesians ring alarm bells”, 20-06-2014
1
3
non fosse contrastato efficacemente oggi.
Il problema principale è rappresentato dai
jihadisti di ritorno, che una volta finita
l’esperienza sul campo di battaglia in Siria
ed Iraq, rientrano nei loro paesi d’origine
con capacità, esperienze, motivazioni e
una rete di conoscenze che potrebbero
mettere a disposizione della causa
jihadista. Questo fenomeno ripropone una
dinamica già vissuta in passato nella
regione. Durante gli anni novanta, circa
120-150 estremisti musulmani (malesi,
indonesiani, filippini e thailandesi
pattaya) avevano partecipato a diversi
conflitti in Medio Oriente e in Asia
meridionale. Molti di questi, una volta
rientrati in patria avevano creato
madrasse (scuole coraniche) e svolto
attività di indottrinamento, creando una
nuova generazione di jihadisti pronti in
futuro ad assumere la guida di
organizzazioni militanti nella regione.
Occorre ricordare, in particolare, Jemaah
Islamiyah, Lashkar Jihad, Fronte Moro di
Liberazione Islamica, Abu Sayyaf e il
Movimento
dei
Mujahidin
Islamici di Pattani. Al riguardo va
sottolineato che in 12 anni, le forze di
sicurezza indonesiane hanno arrestato 907
sospetti terroristi e portato davanti alla
giustizi 644 persone. Tuttavia, nei
prossimi 2 anni circa 200 tra questi
individui
lasceranno
le
prigioni
aumentando i rischi per la sicurezza.
In Indonesia, secondo fonti intelligence,
numerosi gruppi radicali locali hanno
dichiarato il loro appoggio al SI a Giacarta,
a Solo (Giava Centrale) e a Bima nella
provincia di Nusa Tengaara Occidentale.
L’11 agosto 2014, il Densus 88 (forze
speciali antiterrorismo indonesiane) ha
arrestato Afif Abdul Majid, leader di
Jemmah Anshorut Tauhid, gruppo
aggiunto nel corso del 2013 alla US’ Global
Terrorist List. Majid, tornato di recente
dalla Siria, aveva dichiarato il suo
sostegno al SI. La sua affiliazione seguiva
quella di Abu Bakar Bashir, esponente
clericale indonesiano e leader spirituale di
Jemaah Islamiyah, che dalla sua cella
aveva invitato i suoi seguaci ad
appoggiare il SI2. Abu Bakar Bashir è uno
dei pochi membri della dirigenza di AQ
che hanno abbandonata la rete fondata da
Osama bin Laden schierandosi con alBaghdadi.
Tuttavia, la minaccia non riguarda solo
l’Indonesia. In Malaysia, il 18 luglio, le
autorità hanno annunciato che era stato
sventato
un
progetto
terroristico
pianificato da un gruppo i cui membri
avevano cercato di recarsi in Siria
attraverso la Turchia. Questa formazione
intende
promuovere
un
network
regionale capace di creare uno califfato
comprendente
Malaysia,
Indonesia,
Singapore, Tailandia e Filippine. Proprio
nelle Filippine, il 30 agosto l’Ambasciata
statunitense ha consigliato ai propri
connazionali di evitare viaggi nella
provincia di Sulu e nel Mindanao ove è
alto il rischio di attacchi da parte di gruppi
legati al SI come Abu Sayyaf che, insieme
ad alcuni membri del Combattenti
2 R.A.Witular, The Jakarta Post, “Indonesian terrorist
convict Abu Bakar Ba’syir calls on followers to
support ISIS”, 14-07-14
4
Islamici per la Libertà del Bangsamoro,
hanno giurato fedeltà ad al-Baghdadi
Attualmente, tuttavia, per la maggior
parte di questi gruppi l’affiliazione a SI
risponde soprattutto ad esigenze di
visibilità e alla ricerca di nuovo slancio per
le loro attività più che alla reale
aspirazione di instaurare un califfato in
questa parte del mondo.
Esistono anche altri fattori che potrebbero
limitare la capacità del SI di espandersi nel
sud est asiatico. Attualmente niente fa
pensare che il numero di affiliati
all’organizzazione provenienti da questa
regione possa aumentare, grazie anche
agli sforzi dei governi locali per impedire
la partenza di volontari e monitorare i
rientri.
Inoltre,
organizzazioni
musulmane come Nahdlatul Ulama (NU)
e Muhamadiya hanno condannato il SI e la
sua idea di instaurare un califfato con la
violenza. Infine le forze di sicurezza,
grazie all’esperienza maturata a partire
dal 2002, sono molto più consapevoli della
minaccia rispetto al passato e si stanno
organizzando per contrastarla.
Infatti, i paesi interessati dal fenomeno già
hanno iniziato a prendere misure capaci di
limitare una escalation di violenza
nell’area. Il governo indonesiano appare
determinato a combattere tutti i gruppi e i
movimenti la cui ideologia non rispetta il
principio di diversità su cui si basa lo
stato. Inoltre, i leader musulmani del
paese hanno pubblicamente condannato
l’organizzazione guidata da al-Baghdadi.
In
Malesia,
la
polizia
monitora
attentamente i social media per bloccare
messaggi e video propagandistici. A
Singapore, i militanti di ritorno di teatri di
guerra medio-orientali vengono arrestati
e, nelle Filippine, le forze di sicurezza sono
molto attente al fenomeno.
Giacarta, manifestazione di attivisti islamici in sostegno dello Stato Islamico fonte Abu Al Bawi
5
NIGERIA: BOKO HARAM ALLA CONQUISTA DEL NORD-EST
Andrea Carbonari
Boko Haram, gruppo terrorista nigeriano di
ispirazione islamica, da fenomeno endogeno si
è trasformato negli ultimi anni in una
minaccia per la sicurezza dei paesi dell’area.
Approfittando delle debolezze e degli errori
delle istituzioni, nel 2014 è riuscito ad
occupare militarmente diverse aree del Nord
Est della Nigeria. L’obbiettivo è quello di creare
un nuovo stato governato secondo la sua
interpretazione dell’islam. Le autorità
nigeriane, e quelle delle nazioni vicine, sono
intervenute per contrastare la minaccia, ma al
momento senza successo.
Le ragioni dei successi ottenuti da Boko
Haram (nome che può essere tradotto
come “L’educazione occidentale è
peccaminosa”) sono varie e talvolta
complesse. Fra queste, vi è l’oggettiva
difficoltà per le forze di sicurezza
nigeriane di controllare territori vasti e in
molti punti impervi3. Il solo stato del
Borno, che costituisce il principale teatro
di operazioni per il gruppo, è grande circa
71.000 km2 (più di Valle d’Aosta,
Piemonte, Lombardia e Veneto messi
assieme). In secondo luogo, la complessa
realtà etnica, religiosa e sociale di quei
territori permette all’ideologia del gruppo
di raccogliere consensi tra la popolazione.
Boko Haram ha ottenuto appoggi sia a
livello locale (anche da parte di politici
interessati a usarlo come arma contro gli
avversari) sia a livello internazionale (da
altri gruppi estremisti4 e da finanziatori
del jihad globale). Vi è poi la debolezza
delle istituzioni, dovuta in primo luogo
alla corruzione, che ha reso incerta,
tardiva e poco efficace la risposta dello
stato centrale e delle amministrazioni
locali alle sfide che Boko Haram pone non
solo sul piano militare ma anche su quelli
politico, economico e sociale. Al riguardo
è da sottolineare che le forze di sicurezza,
limitate nella loro azione dalla mancanza
di mezzi, si sono rese responsabili di gravi
violazioni dei diritti umani nei confronti
della popolazione. Questo ha fatto sì che
essa assumesse un atteggiamento di
sostanziale equidistanza tra i due fronti,
3
4
Dall’inizio dell’estate 2014, il gruppo
estremista islamico Boko Haram, da anni
impegnato in una guerriglia contro il
governo nigeriano, ha preso il controllo di
diverse città del Nord Est del paese (fra le
quali Gwoza, Gamboru Ngala, Marte,
Dikwa, Bama, Banki, Damboa, Buni Yadi,
Michika), negli stati del Borno, di Yobe e
dell’Adamawa. Tale formazione non è più
una minaccia solo per la Nigeria, ma per
l’intera regione, visto che i suoi militanti
hanno da tempo esteso le loro attività
anche oltre confine.
“Boko Haram claims territory in Northeastern
Nigeria”, Stratfor, 12 settembre 2014,
http://www.stratfor.com/sample/analysis/bokoharam-claims-territory-northeastern-nigeria
Remi Carayol, “Nigeria: Shekau, le fleau de Dieu”,
Jeune Afrique, 8 settembre 2014,
http://www.jeuneafrique.com/Article/JA2799p026.xm
l0/
6
facendo mancare all’esercito e alla polizia
quel sostegno che è indispensabile per la
vittoria.
Da un punto di vista politico ed
economico, le località di cui Boko Haram
si è finora impadronito non hanno in realtà
una grande importanza (salvo alcune
eccezioni). Il loro valore è quindi
soprattutto simbolico, poiché sono la
prova che il gruppo sta sconfiggendo il
governo e può creare una entità statale
BOKO HARAM
Nome ufficiale: Jama'atu Ahlis
Sunna Lidda'Awati WalJihad (Fratellanza impegnata nella
propaganda degli insegnamenti del
Profeta e nel Jihad)
Affiliati: 6.000/8.000
Collegamenti: Al Qaeda nel
Maghreb Islamico, Al-Shabaab
Attività principali: operazioni di
tipo militare, azioni di guerriglia,
attacchi
terroristici,
omicidi,
rapimenti.
autonoma o indipendente, amministrata
secondo i principi della sharia, nella sua
interpretazione più rigida. Il 24 agosto, il
leader di Boko Haram, Abubakar Shekau,
ha proclamato un califfato islamico nella
città di Gwoza, dando maggiore
5
Adrian Kriesch, “Boko Haram has taken over a whole
region”, DW, 11 settembre 2014,
http://www.dw.de/boko-haram-has-taken-over-awhole-region/a-17913936
6
Thomas Fessy, “Niger hit by Nigeria’s Boko Haram
fallout”, BBC, 22 aprile 2014,
http://www.bbc.com/news/world-africa-27111884
concretezza alle voci di contatti crescenti
tra il gruppo nigeriano e lo Stato Islamico
di al-Baghdadi. Ma solo con l’eventuale
conquista di Maiduguri, capitale del
Borno, il califfato di Abubakar Shekau
avrebbe una dimensione politicamente
rilevante Secondo fonti locali, alcuni
militanti avrebbero annunciato un attacco
contro la città per il 27 settembre5.
La struttura interna di Boko Haram è al
momento difficile da ricostruire. Gli
analisti ipotizzano che esso sia diviso in
vari sottogruppi (da quattro a sei), guidati
da capi locali che hanno una notevole
autonomia rispetto a Abubakar Shekau.
Ai militanti che costituiscono il nucleo
centrale di Boko Haram, andrebbero
aggiunti, oltre che i volontari provenienti
da formazioni estere alleate, anche
mercenari originari in particolare di
Niger6 e Camerun7 e coloro che sono stati
arruolati a forza. Secondo alcune stime,
Boko
Haram
potrebbe
contare
complessivamente su 6.000 - 8.000
membri, anche se qualcuno parla di 10.000
(il solo esercito nigeriano ha 67.000
effettivi). Se nel Nord Est del paese Boko
Haram agisce ormai come un esercito
convenzionale (compiendo vere e proprie
operazioni militari), in altre aree si
comporta come un gruppo terroristico,
con attentati e attacchi contro obiettivi
istituzionali e popolazione civile, per
seminare il terrore8.
7
Aminu Abubakar, “Boko Haram under scrutiny over
foreign fighters claim”, AFP, 11 settembre 2014,
http://news.yahoo.com/boko-haram-under-scrutinyover-foreign-fighters-claim-150350774.html
8
Nigeria Security Network, “North-East Nigeria on the
brink”, 2 settembre 2014,
7
Sul piano regionale, gli attacchi di Boko
Haram si sono concentrati soprattutto
nelle zone nord-occidentali del Camerun e
in particolare nella provincia dell’Extreme
Nord. Inizialmente, quest’area è stata
utilizzata come rifugio o zona di raccolta
per organizzare altri attacchi contro le
forze nigeriane, ma successivamente Boko
Haram ha cominciato a compiere attacchi
contro obiettivi civili e militari del
Camerun. Sono stati soprattutto alcuni
rapimenti di cittadini stranieri e di
personalità di alto profilo istituzionale
(compiuti tra il 2013 e il 2014) che hanno
spinto le autorità di Yaoundé a potenziare
il dispositivo di sicurezza schierato lungo
il confine e a condurre operazioni di
contro-terrorismo. Ciò ha permesso di
ottenere alcuni successi, ma la minaccia
non è stata affatto eliminata.
Dopo il rapimento da parte di Boko
Haram di 276 studentesse di una scuola di
Chibok (nel Borno), avvenuto il 14 aprile
scorso, diversi governi occidentali (in
primo luogo gli USA) si sono impegnati a
sostenere le forze nigeriane nell’azione di
contrasto al terrorismo. Gli aiuti hanno
riguardato principalmente i settori
intelligence e logistico. Tuttavia, le criticità
indicate in precedenza continuano a
rendere inefficace la risposta delle forze di
sicurezza di Abuja.
Alcuni esponenti politici e della società
civile nigeriani propongono di trattare con
Boko Haram per risolvere la questione o,
quantomeno, per ridurre il livello di
violenza. Ma la leadership del paese
rifiuta al momento tale soluzione, anche
perché teme di perdere credibilità di
fronte all’opinione pubblica, non solo
quella degli stati centro-meridionali
abitati in prevalenza da cristiani, ma anche
quella di orientamento moderata che vice
stati prevalentemente musulmani del
centro-nord.
Boko Haram è intenzionato quindi a
proseguire nel proprio progetto di
formazione di uno stato islamico. Solo una
profonda
riforma delle
istituzioni
nigeriane potrà consentire di sconfiggere
tale nemico.
BBC, 2014 (la parte evidenziata in scuro è quella sotto il controllo di Boko Haram)
https://nigeriasecuritynetwork.files.wordpress.com/2
014/09/ne-on-the-brink-special-report.pdf
8
LA TURCHIA RIFIUTA IL GAS ISRAELIANO
Umberto Profazio
A causa della difficile situazione irachena e
dell’interruzione delle forniture di gas
dall’Egitto dovuta all’instabilità nel Sinai, si
sono aggravate le crisi energetiche di molti
paesi della regione mediorientale. La scoperta
dei giacimenti offshore israeliani potrebbe
consentire di superare tali difficoltà, ma
antiche diffidenze ed ostilità di natura politica
impediscono la conclusione di accordi
economici che potrebbero contribuire a rendere
più stabile l’intera regione.
GIACIMENTI OFFSHORE
ISRAELIANI




Il 10 settembre 2014, il Ministro
dell’energia turco Tane Yildiz ha
dichiarato alla stampa che è altamente
improbabile che il governo di Ankara
firmi un accordo per l’importazione di gas
da Israele9. Il Ministro ha indicato nella
recente operazione militare israeliana a
Gaza una delle ragioni del mancato
accordo. L’operazione “Protective Edge”
(8 luglio – 26 agosto 2014), avviata
dall’esercito israeliano a seguito del lanci
di razzi dalla Striscia di Gaza, ha
provocato più di 2.000 vittime tra i
palestinesi, causando forti proteste da
parte di Ankara. I rapporti tra Turchia ed
Israele avevano raggiunto il punto più
basso a seguito della rottura delle relazioni
9
I due governi erano in trattativa per la costruzione di
un gasdotto sottomarino dal giacimento offshore
israeliano Leviathan alla Turchia. La condotta avrebbe
avuto una portata di 10 miliardi di metri cubi e sarebbe
costato 2,2 miliardi di dollari. Turkey snubs energy
deals with Israel over Gaza op, Ynet News, 10/09/14,
Tamar
Scoperta: 2009
Consistenza: 220 miliardi di metri
cubi di gas
Leviathan
Scoperta: 2010
Consistenza: 540 miliardi di metri
cubi di gas
Attuali acquirenti
Giordania, ANP
Possibili acquirenti
Turchia, Egitto
diplomatiche avvenuta nel 201110. La
prima visita in Israele del Presidente
americano Barack Obama (marzo 2013)
aveva contribuito ad un riavvicinamento
tra le parti, consentendo la ripresa dei
rapporti
diplomatici
bilaterali.
La
successiva crisi di Gaza ha nuovamente
fatto precipitare la situazione, mettendo in
rotta di collisione le politiche dei due
Paesi.
L’aumento delle tensioni ha avuto le sue
conseguenze più dirette nel campo
energetico, impedendo temporaneamente
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L4569287,00.html .
10
La ragione principale è stata la nota vicenda della
Mavi Marmara, la nave di attivisti turca abbordata da
un commando israeliano il 31 maggio 2010 mentre
cercava di raggiungere Gaza. Gli scontri a bordo tra
attivisti e militari causarono 9 morti.
9
il raggiungimento di un accordo di
importanza cruciale per entrambi i paesi.
questo caso per un valore di 500 milioni di
dollari).
Dopo la scoperta nel 2009 del giacimento
di Tamar (situato a circa 90 km ad ovest di
Haifa e contenente secondo alcune stime
almeno 220 miliardi di metri cubi di gas),
l’ulteriore scoperta del giacimento
Leviathan (2010) ha migliorato ancor di
più le prospettive energetiche israeliane.
Situato a circa 130 km ad ovest di Haifa, il
Leviathan dovrebbero contenere più del
doppio del gas del Tamar (circa 540
miliardi di metri cubi)11. La scoperta dei
due giacimenti12 consentirà ad Israele di
passare da importatore ad esportatore
netto di gas. Il governo di Gerusalemme
sta quindi cercando di sfruttare le risorse
energetiche tramite accordi con diversi
paesi della regione.
Un altro accordo era stato firmato con
l’Autorità Nazionale Palestinese (1,2
miliardi di dollari per 20 anni), mentre
continuano le trattative per includere
anche l’Egitto nella politica energetica
israeliana. Tra maggio e giugno 2014 sono
stati firmati due accordi: uno preliminare
per la fornitura dell’impianto di gas
snaturale liquefatto (gnl) della compagnia
inglese BG proprio in Egitto; e una lettera
d’intenti per rifornire un altro impianto di
gnl operato da una joint venture formata
dalla spagnola Gas Natural e dall’ENI14.
Sono infatti parecchi quelli interessati ad
acquistare il gas israeliano: 7 giorni prima
della dichiarazione di Yildiz (3 settembre),
il governo di Netanyahu ha firmato un
memorandum of understanding con la
Giordania per un valore di 15 miliardi di
dollari per 15 anni13. L’accordo prevede la
fornitura ad Amman del gas proveniente
dal giacimento Leviathan e fa seguito ad
un precedente accordo del febbraio 2014
per la fornitura di gas, questa volta
proveniente dal giacimento Tamar (in
11
Tuttavia per il Leviathan occorrerà attendere il 2016
per iniziare lo sfruttamento, mentre la produzione del
Tamar è cominciata nel marzo 2013.
12
Per il Tamar i principali investitori sono la Noble
Energy, la Isramco e la Delek Drilling; per il Leviathan
sempre la Noble Energy, la Delek Drilling e la Avner Oil
& Gas.
13
Marissa Newman, Israel signs $15 billion gas deal
with Jordan, Times of Israel, 03/09/14,
Nonostante un’economia in piena
espansione, la decisione di Ankara di
rinunciare al gas estratto da Israele
potrebbe avere riflessi negativi per la
Turchia.
Ad un’analisi più attenta, tuttavia, essa
risulta controproducente anche per
Israele, che si vede negato l’accesso al
promettente mercato turco. Ankara infatti
sta facendo affidamento sulla sua
posizione centrale nel contesto energetico
regionale.
Luogo di passaggio necessario per le
condutture provenienti dal Mar Caspio e
dal Medio Oriente verso l’Europa, la
Turchia importa ingenti quantità di gas
dai Paesi confinanti15 che gli consentono,
http://www.timesofisrael.com/israel-signs-15-billiongas-deal-with-jordan/
14
John Reed, Israel to supply up to $15 bn of natural
gas to Jordan, Financial Times, 3/09/14,
http://www.ft.com/intl/cms/s/0/7744200c-336d11e4-9607-00144feabdc0.html#axzz3DeL9umx6
15
Secondo i dati dell’EIA, nel 2012 erano 45 miliardi di
metri cubi di gas, il 56% dei quali provenienti dalla
Russia, il 18% dall’Iran ed il resto da Azerbaijian e
10
quindi, per il momento di declinare le
offerte israeliane massimizzando, al
contempo, i benefici della sua ostilità al
governo Netanyahu presso l’opinione
pubblica araba.
Fonte: LNG World News
Algeria.
http://www.eia.gov/countries/cab.cfm?fips=tu
11
AL-SHABAAB: UNA MINACCIA ANCORA CREDIBILE PER I PAESI DELLA
REGIONE
Giulia Lodi
Il 1° settembre Ahmed Abdi Godane, emiro del
gruppo terroristico somalo al-Shabaab, è
rimasto ucciso durante un raid delle forze
americane. Insieme a lui sono rimasti uccisi
diversi esponenti al vertice di Al Shabaab.
L’operazione militare statunitense ha
sicuramente inferto un
duro colpo
all’organizzazione, già indebolita dalle
sconfitte e dai dissensi interni. Tuttavia alShabaab rimane ancora una minaccia credibile,
capace di riorganizzarsi e superare le attuali
difficoltà.
Nel vuoto politico della Somalia, alShabaab (La Gioventù) ha ricoperto un
ruolo primario nel contrastare l’autorità
delle forze governative somale e delle
missioni internazionali attive nel paese.
Gli obiettivi delle azioni del gruppo sono
sempre soprattutto le istituzioni politiche
e militari di Mogadiscio, i contingenti
stranieri intervenuti per riportare la pace e
la stabilità nel paese, le organizzazioni non
governative.
Nel corso degli anni, sotto la pressione
delle truppe della missione dell’Unione
Africana (AMISOM) e di quelle di altri
paesi, al-Shabaab ha progressivamente
perso il controllo di molti centri strategici.
Il rifiuto di autorizzare la distribuzione di
aiuti umanitari durante la carestia che ha
colpito il paese nel 2011, inoltre, gli è
Appena ricevuta la nomina di emiro, nel 2008,
aveva dichiarato fedeltà al Al Qaeda e al suo
leader, Osama Bin Laden.
16
Al Shabaab (Harakat al Shabaab al
Mujahidin) nasce come ala
dell’Unione delle Corti Islamiche
che controllava l’area centromeridionale della Somalia. Nel 2009
Al Shabaab era già un movimento
indipendente che controllava
Mogadiscio e la città portuale di
Kismayo.
costato il supporto della popolazione
locale che inizialmente lo sosteneva.
Ripercussioni
molto
più
pesanti
potrebbero venire dalla perdita del suo
leader, Ahmed Abdi Godane (Mukhtar
Abu al-Zubayr), ucciso in un raid
statunitense il 1° settembre 2014.
Nominato emiro di al-Shabaab nel 2007,
Godane ha cercato di cambiare il profilo e
l’organizzazione del gruppo. Sotto la sua
guida, al-Shabaab ha aderito formalmente
ad Al Qaeda nel 2012.16 Con questa
affiliazione, che peraltro non ha mai
portato a risultati concreti, Godane ha
voluto
dare
una
dimensione
“internazionale” al gruppo aderendo a
una strategia transnazionale che mirava,
da un lato, a imporre la Sharia non solo in
Somalia ma in tutta la regione e, dall’altro,
a rafforzare la collaborazione con gruppi
http://www.longwarjournal.org/archives/2012/
02/shabaab_formally_joi.php
12
che agiscono su Scacchieri molto lontani
(quali Boko Haram in Nigeria).
Tuttavia, la brutalità delle sue azioni e
l’eliminazione dei suoi oppositori hanno
alimentato
il
dissenso
alienando
l’appoggio della popolazione.
L’uccisione di Godane potrebbe aggravare
la crisi di un’organizzazione che mostrava
già segnali di debolezza, determinati dalla
frammentazione interna e dalle sconfitte
militari. La perdita di territori sotto il suo
controllo rende anche più difficile l’opera
di autofinanziamento. Tuttavia, alShabaab continua a rappresentare una
minaccia per i paesi del Corno d’Africa.
Il 6 settembre il gruppo ha annunciato la
nomina del nuovo emiro, Ahmad Umar
Abu Ubaidah, che ha prontamente
ribadito la fedeltà ad al-Qaeda. Nello
stesso annuncio non è mancata la
promessa di ritorsioni, in primis contro gli
Stati Uniti.
Gli attentati che sono seguiti all’uccisione
di Godane hanno suscitato allarme tra le
autorità somale e quelle dei paesi limitrofi.
In Somalia, il 7 settembre, è stato sostituito
il Direttore della Sicurezza Nazionale, che
era stato nominato solo due mesi prima.
Le autorità hanno precisato che tale
decisione risponde alla necessità di
rendere più efficace il sistema di sicurezza
a fronte dell’elevata possibilità di attacchi
diffusi da parte del gruppo terroristico17.
Le forze armate sono state messe in stato
di allerta. Non è stato possibile, tuttavia,
prevenire un attacco suicida contro i
militari dell’Unione Africana, che ha
provocato 12 vittime18, e l’uccisione di un
ufficiale dell’esercito somalo.
Il Kenya, già obiettivo di un attentato di
alto profilo nel 2013 (quello contro il
Westgate Mall di Nairobi, il 21 settembre,
in cui vennero uccise 67 persone), ha
adottato tempestivamente ulteriori misure
di sicurezza19.
L’Uganda, che fornisce il maggior
contributo alla missione AMISOM, il 13
settembre ha dichiarato di aver scoperto
una cellula di Al Shabaab e ha
incrementato le misure di sicurezza,
soprattutto intorno agli obiettivi strategici
della capitale20. A questa notizia è seguito
il warning rivolto dall’Ambasciata
americana in Uganda
ai
propri
connazionali residenti nel paese.
Anche Gibuti, dove recentemente sono
stati compiuti diversi attacchi attribuiti ad
al-Shabaab, teme possibili ritorsioni in
quanto
partecipa
alla
missione
dell’Unione Africana.
Sul futuro di al-Shabaab influiranno
diversi fattori, quali: la progressiva
perdita di influenza a causa delle sconfitte
subite; la diminuzione delle risorse a
disposizione; l’insufficiente compattezza
del gruppo dirigente; l’erosione di
militanti attratti dal richiamo dello Stato
Islamico21.
Il colpo subito con l’uccisione di Godane
certamente avrà delle conseguenze.
Tuttavia, è da escludere almeno per il
momento
una
netta
diminuzione
dell’attività del gruppo, che rimarrà
17http://www.reuters.com/article/2014/09/07/u
20http://www.theguardian.com/world/2014/sep
s-somalia-security-idUSKBN0H20H02014090
18 http://mobile.nation.co.ke/news//1950946/2445522/-/format/xhtml/-/nio75f//index.html
19http://www.reuters.com/article/2014/09/13/u
s-somalia-blast-idUSKBN0H80CO20140913
/13/us-embassy-uganda-warns-citizens-shelterterror
21
http://www.voanews.com/content/reu-africamilitants-may-be-inspired-by-islamic-stateofficials-told/2431373.html
13
ancora a lungo una minaccia credibile per
i paesi della regione. Ne sono prova i
provvedimenti che questi hanno preso per
prevenire possibili ritorsioni.
The Economist
14
COREA DEL NORD: FUGA DI UN FUNZIONARIO DI BANCA CON DOLLARI E
SEGRETI
Stefano Lupo
La Corea del Nord sta affrontando una
complessa
fase
di
rinnovamento
e
trasformazione delle sue istituzioni politiche ed
economiche. Questo processo non coinvolge le
strutture governative incaricate della gestione
delle finanze della famiglia di Kim Jong-un, che
proteggono l’élite al potere dalla durezza delle
condizioni di vita del resto della popolazione.
Il 29 agosto 2014, il giornale sudcoreano
Joonggang Ilbo, considerato altamente
affidabile, ha diffuso la notizia della
presunta fuga in Russia, con 5 milioni di
dollari, di Yun Tae Hyong, nordcoreano,
funzionario di una banca di Pyongyang,
“Daesong Bank”. Si presume che abbia
chiesto asilo alle autorità di Mosca ma che
intenda poi stabilirsi in un altro paese,
probabilmente la Corea del Sud.22
La comunità degli analisti si è interrogata
sulle motivazioni della fuga di Yun Tae e,
soprattutto, sulle rivelazioni che potrebbe
fornire circa il complesso sistema di
finanziamento
sotterraneo
della
Repubblica Popolare Democratica di
Corea. Occorre subito affermare che Yun
Tae Hyong non è un dirigente di alto
livello ma un direttore d’area (estremo
oriente russo), come altri cinque nella
stessa regione, e che la sua fuga da
Nakhodkar, dove risiedeva, in Russia,
Numero cittadini nordcoreani fuggiti
nella Corea del Sud, per anno
1990: 9
1995: 41
1999: 148
2005: 1.383
2009: 2.952
provocherebbe dei problemi che in ogni
caso potrebbero essere gestita con relativa
facilità dal regime di Kim Jong-un, vista
anche l’estrema compartimentazione dei
settori governativi nordcoreani. Al più, si
pensa, Yun Tae potrebbe fornire
chiarimenti
sull’organizzazione
del
Partito dei Lavoratori di Corea e dei
dipartimenti finanziari e, forse, sui
meccanismi di elusione dei controlli
sull’export clandestino condotto da
Pyongyang per sopravvivere e mantenere
l’alto tenore di vita del’establishment
intorno alla famiglia Kim. Al netto di
queste considerazioni, la fuga di Yun Tae
può risultare un valido specchio dei
sommovimenti negli ingranaggi più
nascosti del regime.
22
“Kim Jong-un’s banker defects in Russia, say
reports”, The Guardian, 29 agosto 2014,
http://www.theguardian.com/world/2014/aug/29/ki
m-jong-un-banker-defects-russia
15
Sembra che le autorità nordcoreane
abbiano richiesto a quelle russe l’arresto di
Yun Tae: se la notizia fosse confermata, ciò
denoterebbe una certa agitazione da parte
dell’élite governativa, ancora alle prese
con la transizione da Kim Jong Il a Kim
Jong-un, almeno per quanto concerne la
ridefinizione degli equilibri di potere. Il
lavoro di Yun Tae alla Daesong Bank, creata
nel 1978 principalmente per gestire i
pagamenti delle società commerciali,
focalizzandosi in pratica sulle transazioni
valutarie internazionali, rientra nel
quadro d’azione del Daesong Group
(Daesong General Trading Corporation), da
molti considerato il braccio finanziario
dell’Ufficio 39 (creato nel 1974 e inserito
nel 2010 dal Dipartimento del tesoro
americano
nella
blacklist
del
finanziamento
al
terrorismo).23
Il
collegamento tra Yun Tae e l’Ufficio 39 è
l’aspetto che rende rilevante la fuga del
funzionario.
La storia dell’Ufficio 39, che oramai si
occupa quasi esclusivamente di assicurare
l’alto livello di benessere della famiglia
Kim, segue di stretto passo quella della
Corea del Nord stessa, con un passato,
soprattutto negli anni ‘90 (dopo il crollo
dell’URSS), coincidente in gran parte con
la gestione dei proventi della produzione
e
dell’esportazione
di
narcotici
(anfetamine e metamfetamine) e, nel
23
Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti d’America:
18 Novembre 2010, http://www.treasury.gov/presscenter/press-releases/Pages/tg962.aspx
24
Nel 2005 sono stati congelati dalle autorità
internazionali 25 milioni di dollari a Macao, presso il
Banco Delta Asia.
25
Andrei Lankov, “The Shadowy World of North
Korea’s palace economy”, Aljazeera, 3 settembre
periodo contemporaneo, con un approccio
focalizzato soprattutto sulla speculazione
bancaria e sui depositi offshore24. La
gestione e l’acquisto di valuta forte da
integrare nelle ingenti riserve monetarie
amministrate, circa 6 miliardi di dollari,
insieme al controllo della piramide di
conglomerati commerciali riconducibili
direttamente ai vertici del paese, rende
prioritario il ruolo dell’Ufficio 39, così
come la sua stabilità politica25. Occorre
aggiungere che l’attività dell’Ufficio 39 si è
molto diversificata negli ultimi anni,
allargando il portafoglio di gestione anche
alla vendita di materiale energetico e
minerario così come al commercio di
prodotti ittici e tabacchi lavorati e alla
parafarmaceutica. Questa evoluzione è
stata rilevata anche dall’Asia/Pacific Group
on Money Laundering, che ha inserito la
Corea del Nord tra i paesi osservatori26. Se
la gestione illegale di alcuni settori è
diminuita, di certo non è sparita del tutto
e, anzi, mescolandosi con attività lecite,
rende ancor più difficile l’individuazione
degli asset critici, pur escludendo che
l’Ufficio 39 si occupi di estendere il suo
operato anche al finanziamento dei settori
missilistico e nucleare. Rimane comunque
il fatto che l’Ufficio 39 e tutte le sue
diramazioni occupano una posizione di
primaria grandezza per quanto concerne
le strutture vitali più nascoste del regime,
in pratica la catena di sostentamento.
2014,
http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2014/09/
shadowy-world-north-korea-palac201493132727658119.html
26
North Korea joins OECD anti-money laundering
group”, Korea Joongang Daily, 19 luglio 2014,
http://koreajoongangdaily.joins.com/news/article/Arti
cle.aspx?aid=2992228
16
Alcuni centri studi che si occupano di
ricerca sulla Corea del Nord hanno
sollevato il dubbio sul un possibile
collegamento tra la fuga di Yun Tae e
l’arresto (e conseguente uccisione), nel
dicembre 2013 di Jang Song Taek, zio di
Kim Jong-un ed elemento di spicco
dell’Ufficio 39: pare addirittura che molti
ufficiali e dirigenti dell’Ufficio siano
coinvolti in un meccanismo di ampio
rinnovamento e trasformazione delle
strutture di potere e di controllo. Queste
rimangono solo supposizioni, anche se
l’imbarazzo
mostrato
dal
regime
nordcoreano nel gestire la fuga di Yun Tae
denota una certa inesperienza nella
gestione di crisi interne. In tale quadro,
alcuni ipotizzano nuovi sconvolgimenti
politico-militari che potrebbero anche
mettere in pericolo la stabilità del regime
di Pyongyang, qualora i vertici del potere
statale divenissero la posta in palio tra il
vecchio apparato e i nuovi leader del
partito.
The Wall Street Journal
17