Piccolo è bello in architettura del paesaggio - Ri

Dottorato di Ricerca in Architettura
Curriculum in Architettura del Paesaggio, Referente Prof. Gabriele Paolinelli
Dipartimento di Architettura - DIDA, Università degli Studi di Firenze
QUADERNI della Ri-vista
Ricerche per la Progettazione del Paesaggio
ISSN1824-3541 I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/
Quaderno 3/2014
Piccolo è bello in
architettura del
paesaggio
Firenze University Press
Pubblicazione elettronica annuale del
Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio
Università degli Studi di Firenze
Fondatore
Giulio G. Rizzo, 2004
Direttore
Gabriele Corsani
[email protected]
Redazione
Daniela Corsini, Silvia Minichino, Flavia Tiberi
Impaginazione
Daniela Corsini
Registrazione presso il Tribunale di Firenze
n. 5307 del 10 novembre 2003
ISSN 1824-3541
Quaderni della Ri-vista
Ricerche per la progettazione del paesaggio
n. 3, luglio 2014
Editore
Firenze University Press
Borgo Albizi, 28
50122 Firenze
e-press.unifi.it
In copertina
Saragozza, Estonoesunsolar 02. Foto di Daniela Corsini
© Copyright degli autori. La riproduzione degli articoli è ammessa con obbligo di citazione della fonte
3
QUADERNO 3
LUGLIO 2014
Editoriale ......................................................................................................................
di Flavia Tiberi, Silvia Minichino, Daniela Corsini
4
IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO
Una possibile risposta al mantenimento dei caratteri storico-identitari del territorio
rurale: la messa in rete dei suoi elementi .....................................................................
di Chiara Paiola
12
Piccoli elementi di urbanità nel territorio: le potenzialità degli insediamenti isolati nel
progetto di paesaggio ..................................................................................................
di Alessia Lupi
21
Riflessioni sull’architettura rurale : il ruolo della cascina nel progetto di paesaggio .....
di Ana Zilo
30
I toponimi rurali delle Cinque Terre, piccoli e grandi luoghi di ieri e di oggi ..................
di Maristella Storti
37
LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO
Piccoli spazi e piccoli cittadini. Il paesaggio come terzo educatore ...............................
di Chiara Lanzoni
46
Il Parco di Pinocchio a Collodi e il mondo dell’infanzia nella dimensione del giardino ...
di Claudia Maria Bucelli
54
Il piccolo orto di Skrudur ..............................................................................................
di Flavia Pastò
62
SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
Rallentamenti verdi ......................................................................................................
di Carlo Peraboni
68
Guerrilla Gardening e Paesaggio urbano: piccole azioni di bellezza clandestina ............
di Gaetano Cascino
80
Keep it local. I mercati urbani, spazi pubblici chiave di rigenerazione urbana e
ambientale ...................................................................................................................
di Sara Caramaschi
Urban Acupuncture. Piccoli interventi nel processo di placemaking. .............................
di Aber Kay Obwona
Progetto di parti mancanti: il ruolo dei “piccoli” interventi nella ricomposizione
urbana. Il caso di Modena ............................................................................................
di Roberta Palumbo
Piccolo è bello. Il riscatto dell’unicità di ogni paesaggio ...............................................
di Maria Cristina Treu
86
94
101
112
DIARI DI VIAGGIO
Lo spazio pubblico di Saragozza tra piccoli spazi e piccole pratiche ..............................
di Daniela Corsini
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
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| Piccolo è bello in architettura del paesaggio
EDITORIALE
Flavia Tiberi*, Silvia Minichino*, Daniela Corsini*
“Accade che nel paesaggio alcune dimensioni siano come un genere o uno stile che si
presenta a scale diverse in modo simile”. (Zagari, 2013: 62)
L’elevato grado di complessità che caratterizza il paesaggio, costituisce uno dei punti
cardinali da cui muove la progettazione e, al contempo, rappresenta il terreno di sfida
principale, perché necessita di una profonda comprensione della grande vastità degli
elementi e dei fattori di definizione del paesaggio stesso, nonché delle loro reciproche
relazioni.
Diviene, dunque, indispensabile imparare a vedere il paesaggio, a osservare
intimamente ogni sua componente e le interazioni tra le stesse, al fine di poter cogliere
il significato intrinseco che deriva dalla loro combinazione, in un rapido passaggio di
scala dal particolare al generale.
“Dal generale al particolare e viceversa in un progetto di paesaggio i temi dovrebbero
essere trattati tenendo in stretta relazione di scambio la scala del dettaglio e quella
dei grandi sistemi [...]”. (Zagari, 2013: 167).
In Architettura del Paesaggio, negli ultimi anni e, in particolar modo, in seguito
alla stesura della Convenzione europea del Paesaggio (Firenze, 2000), il dibattito
scientifico si è dimostrato prevalentemente concorde nel riconoscere l’importanza
assunta dai caratteri identitari ‘minori’ e dagli ‘elementi minuti’, di varia natura e di
differente morfologia, importanza comparabile, in termini di incidenza sulla percezione
del paesaggio, a quella derivante dai fattori di maggiore evidenza e riconoscibilità.
Questi ‘caratteri minori’ - che possono essere in primo luogo elementi di inferiore
impatto o di ridotta dimensione, ma anche elementi ordinari del vissuto quotidiano,
‘caratteri fragili’ la cui salvaguardia è minacciata dai mutamenti della società e degli stili
di vita, tracce della storia, permanenze ricche di significato nonostante la loro esiguità
o intangibilità, opere materiali o tradizioni che testimoniano la presenza di minoranze
(etniche, religiose, culturali) - rivestono un ruolo decisivo nella determinazione dei
nostri ambienti di vita e nella loro caratterizzazione.
Una riflessione simile a questa, seppure incentrata su tematiche diverse, quali la scienza
economica ed il rapporto tra questa e i cambiamenti della società, fu esplicitata più di
quaranta anni fa dall’economista e filosofo Ernst Friedrich Schumacher, che, nel 1973,
pubblicò un libro destinato a diventare uno dei capisaldi nella storia dell’economia,
Small is beautiful. Economics as if People Mattered.
Quest’opera, dal cui titolo prende spunto il tema del presente numero dei Quaderni
della Ri-Vista, mostra ancora un’evidente attualità, proprio per lo spostamento di
attenzione dal ‘grande’ al ‘piccolo’ che essa suggerisce e per le riflessioni esposte
dall’autore in merito all’opportunità di distogliere lo sguardo dalla consueta convinzione
(tipica dell’epoca contemporanea e dell’epoca della globalizzazione) celebrativa
dell’assioma “the bigger, the better” (Schumacher, 1973; ed. 1989: 68).
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Editoriale |
Già negli anni Settanta, infatti, Schumacher proponeva un radicale ribaltamento
del pensiero post-moderno, invitando a considerare il notevole valore del ‘piccolo’,
ampiamente e differentemente declinato in ogni circostanza di indagine, per
la costituzione di nuovi sistemi (economici, culturali, sociologici, urbanistici)
maggiormente efficienti ed atti a fornire risposte alle esigenze reali della società.
L’importanza di pensare a nuove forme di educazione e di sensibilizzazione, che
siano in sintonia con le mutate condizioni sociali e che sappiano ristabilire un legame
saldo con quella che Schumacher definisce “la saggezza tradizionale dell’uomo”, il
bisogno di rivolgersi ad interventi ‘piccoli’, tuttavia, messi vicendevolmente a sistema
alla scala vasta, il desiderio di superamento del dualismo tra ‘grande’ e ‘piccolo’
e le problematiche connesse alla questione dimensionale e di scala (“A Question
of Size”, come si intitola l’ultimo capitolo della prima parte del libro), il rischio del
progressivo abbandono e del degrado delle aree rurali e marginali a causa dei ripetuti
spostamenti verso le grandi città e della carenza di azioni volte alla conservazione dei
‘caratteri fragili’ di questi paesaggi ‘minori’, sono alcune delle tematiche evidenziate
ed analizzate da Schumacher già negli anni Settanta, aventi ancora oggi un’innegabile
rilevanza.
Quindi esiste una forte correlazione tra la trattazione di Schumacher e molte delle
principali argomentazioni indagate dal dibattito scientifico nel campo dell’architettura
del paesaggio che riguardano per esempio la questione della scala del progetto così
come l’uso della transcalarità nel processo di progettazione oppure l’inclusione della
cittadinanza nel processo decisionale a cui partecipa l’Architettura del Paesaggio.
“What scale is appropriate? It depends on what we are trying to do. The question
of scale is extremely crucial today, in political social and economic affairs just as in
almost everything else. What, for instance, is the appropriate size of a city? And also,
one might ask, what is the appropriate size of a country? Now these are serious and
difficult questions. It is no possible to programme a computer and get the answer.
The really serious matters of life cannot be calculated. We cannot directly calculate
what is right; but we jolly well know what is wrong!” (Schumacher, 1973; ed. 1989:
71).
Con la medesima vicinanza ideologica, rispetto alle posizioni assunte dalla ricerca
in ambito di progettazione paesaggistica, con cui Schumacher presenta l’inattuabile
univocità della questione della dimensione, l’autore propone altre riflessioni
fondamentali ancora oggi, quali la necessità di promuovere “a system based on
attention to people, and not primarily to goods” (Schumacher, 1973; ed. 1989: 79),
grazie anche alla possibilità di stabilire la priorità dell’agire locale, mirando, quindi,
alla tutela di ogni carattere peculiare ed identitario.
I motivi, dunque, per i quali questo Quaderno prende spunto dall’opera di Ernst
Friedrich Schumacher risiedono nella volontà di ricordare il quarantesimo anniversario
dalla prima pubblicazione del suo libro per discutere le nuove teorizzazioni, le nuove
visioni. In particolare la riflessione vuole essere sui contributi scientifici dell’architettura
e della progettazione paesaggistica in merito alla possibile correlazione tra i concetti
di ‘piccolo’ e di ‘bello’, esaminando anche le inaspettate similitudini tra il pensiero e
la visione critica del celebre economista.
A partire da queste considerazioni, gli autori dei saggi raccolti in questo numero
dei Quaderni hanno esplorato, approfondendo tematiche e riportando esperienze
progettuali, l’orizzonte di sperimentazione e di indagine in cui gli originari concetti di
‘piccolo’ e di ‘bello’ si fondono e trovano corrispondenza, con l’intento di verificare la
loro effettiva reciprocità e di attribuire una rinnovata importanza alla dimensione del
‘piccolo’ ed alla cura dei ‘caratteri minori’ o ‘fragili’.
La bellezza è qui intesa in senso ampio, è alleggerita dalla gravità dei canoni estetici del
passato e si volge, piuttosto, al riconoscimento di un valore simbolico ed identitario,
alla significatività, alla rappresentatività, ma anche al miglioramento della qualità
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| Piccolo è bello in architettura del paesaggio
della vita delle comunità, alla sostenibilità, all’attitudine funzionale di un intervento.
I contributi, suddivisi in tre distinte sezioni, sulla base dei contenuti espressi,
hanno principalmente ricercato il nesso tra ‘piccolo’ e ‘bello’ nell’ambito progettuale
indirizzato alla riqualificazione ed alla valorizzazione dei paesaggi, rurali ed urbani,
tramite ‘piccole azioni’ o ‘piccoli interventi’ aventi come scopo il recupero di elementi
altamente connotativi, la riprogettazione delle aree di margine e delle frange urbane,
la cura dei luoghi e l’attribuzione di nuove o rinnovate valenze identitarie. È stata,
altresì, messa in luce la vocazione educativa dei progetti di paesaggio, perseguibile
per mezzo di realizzazioni finalizzate esplicitamente a fornire specifici strumenti di
formazione che si basano sull’osservazione, sull’esperienza diretta, sulla percezione
e sulla fruizione dell’opera.
Ogni sezione è contraddistinta da una particolare interpretazione del tema del
presente numero dei Quaderni: nella prima, intitolata Il ruolo del piccolo nel processo
di trasformazione del paesaggio, sono protagonisti il paesaggio rurale e i suoi ‘piccoli’
elementi: gli iconemi (Chiara Paiola), i piccoli elementi di urbanità come borghi storici
e corti rurali (Alessia Lupi), le cascine (Ana Zilo) e i toponimi (Maristella Storti). Due
casi studio differenti, Pianura Padana e Cinque Terre, che convergono sulla necessità
di affrontare un progetto capace di fare rete tra gli elementi residuali che dimostrano
di possedere un profondo valore di resilienza.
La messa in rete di elementi e polarità può essere considerata una risposta progettuale
valida all’interno di progetti di paesaggio a diversi livelli di scala; le interazioni e le
interdipendenze che possono scaturire tra i vari elementi individuati all’interno del
paesaggio contribuiscono infatti a valorizzarne le risorse naturali, storiche e culturali
intrinseche, in un’ottica di relazione tra il “piccolo elemento” e la “complessità del
sistema paesaggio”, come asserito dalle stesse Paiola, Zilo e Lupi.
Ci si trova davanti a paesaggi che rappresentavano un’eccellenza e che oggi affrontano
situazioni di crisi, nel caso delle Cinque Terre l’abbandono dell’attività agricola, nel
caso della Pianura Padana l’alluvione edilizia, come la definisce Turri (2000), e processi
di banalizzazione e svalorizzazione, discontinuità e disgregazione.
Paiola propone che il progetto di paesaggio si occupi della messa in rete sistemica
degli elementi sopravvissuti per tutelarli e preservarli dai veloci cambiamenti che
interessano il paesaggio della Pianura Padana. Gerarchizzare gli iconemi, intesi come
portatori di valori naturali, storici, culturali e sociali, può portare a valorizzare le
qualità del sistema paesaggistico della Padania.
Secondo Alessia Lupi è necessaria la messa in rete di piccole località, borghi storici,
cascine e corti rurali nel territorio e con il territorio a cui appartengono. Il focus è
sempre sulla Pianura Padana e sulla varietà del suo paesaggio: “la diversità e la qualità
del suo territorio lo rendono unico ed incredibilmente complesso, sia dal punto di vista
della sua comprensione che della sua pianificazione” (pag. 22). L’autrice sottolinea
l’importanza di un progetto di rete in cui “la ridefinizione di gerarchie tra le parti
della città permette di configurare, al posto di un indifferenziato tessuto costellato da
elementi isolati, una struttura forte con nodi riconoscibili” (pag. 27). “Il rischio in cui
non si deve incorrere tramite l’astrazione dei modelli insediativi reticolari come quello
padano, è quello di considerare i poli come dei semplici bolli, bensì come luoghi,
tenendone presente tutte le caratteristiche e peculiarità. Il senso di appartenenza di
questi luoghi ad un sistema più ampio non deve far appiattire le loro differenze e il
significato della loro individualità” (pag. 23). “Tali progetti devono sempre poggiare
le loro basi su analisi e progetti a scala sovra locale, che ne garantiscano l’adeguato
inserimento ed interazione col contesto territoriale e paesaggistico in cui si trovano;
per poi poter sviluppare un progetto locale che sia coerente con l’individualità del luogo
e sensibile verso i propri elementi di diversità, in cui sta la ricchezza del territorio e la
potenzialità del progetto di paesaggio” (pag. 27).
Ana Zilo osserva il territorio della Pianura Padana a partire dalle cascine, che “si
inseriscono nel paesaggio elevandone la qualità”, ambientale e sociale, ma che
sempre più spesso ospitano una popolazione non agricola del tutto imprevista (pag.
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30). “Prima che di una sconfitta fisica si tratta però di una sconfitta culturale, di
quella cultura del recupero e della trasformazione che rendono la corte tradizionale
un organismo vivente in continua evoluzione e adattamento” (pag. 35).
Se è vero che il paesaggio è destinato a trasformarsi sotto le esigenze continuamente
mutevoli delle forze produttive, è anche vero che fondamentale resta il bisogno di
conservazione di quegli elementi da cui esso deriva la sua identità, le sue peculiarità,
che variano da una zona all’altra, anche in rapporto agli influssi che può avervi diffuso
la cultura urbana, o che comunque può avervi depositato la storia. (Turri, 2000)
“L’utilizzo di un progetto di rete permetterebbe di recuperare il paesaggio,
valorizzando le risorse naturali e culturali; rappresenterebbe una strategia efficace
per la pianificazione dell’assetto del territorio rurale. Inoltre sarebbe possibile
comprendere come il territorio sia stato costruito attraverso il tempo, recuperando il
senso dell’identità dei luoghi. La messa in rete e la sistematizzazione delle cascine,
attraverso un percorso di fruibilità e accessibilità consentirebbe di far conoscere e
valorizzare il sistema produttivo, alimentare, ambientale e sociale rappresentato
da questi luoghi, il loro posizionamento rispetto al territorio metropolitano, l’offerta
enogastronomica e il valore della cultura materiale, in un ottica in cui viene valorizzato
«il piccolo elemento» nella «complessità del paesaggio»” (pag. 36).
Maristella Storti afferma che i toponimi sono utili per la definizione di strategie e
mappe progettuali. In fase di analisi i toponimi restituiscono una serie di informazioni
utili alla conoscenza del paesaggio attuale. La Mappa dei Luoghi Detti, una mappa
ricca di informazioni tra cui tutti i toponimi rurali che è stato possibile localizzare,
può diventare “un utile strumento per orientare gli interventi attuali nel rispetto delle
peculiarità del paesaggio storico e della sua fruizione nel tempo” (pag. 42).
“L’auspicio è quello che la Mappa dei Luoghi Detti possa diventare uno strumento
interattivo di raccolta dati e di monitoraggio dei progetti di manutenzione e tutela
del paesaggio rurale. [...] grazie ad uno strumento come la Mappa dei Luoghi Detti
[...] anche un piccolo intervento può assumere dimensioni maggiori perché ritorna
ad essere il tassello di uno scenario in divenire, rispettoso del passato ma aperto alla
progettazione dell’oggi e del domani” (pag. 44).
Il concetto di ‘bello’ secondo queste interpretazioni può, dunque, essere così riassunto:
“Nella società odierna [...] la ricerca di una maggiore qualità della vita porta sempre
più al riconoscimento del ‘piccolo’ e del ‘bello’ come sinonimi di ‘unico’, ‘singolare’,
‘originale’: il turista apprezza la piccola ricettività dando valore alla genuinità e alla
riscoperta delle tradizioni locali, il consumatore consapevole vuole sempre più trovare
un proprio riferimento direttamente nel produttore, guardarlo negli occhi, visitare i
luoghi di produzione, riconoscere i prodotti tipici di un territorio” (pag. 42).
Più avanti, nella terza sezione, sarà possibile ritrovare il tema del paesaggio rurale,
che ritorna nell’articolo di Sara Caramaschi attraverso il mercato, inteso in quanto
luogo di connessione tra la campagna e la città.
La seconda sezione raccoglie i contributi aventi in comune una particolare attenzione
rivolta ad indagare le capacità del progetto di paesaggio di divenire forma e strumento
di educazione, come si può evincere dal titolo La dimensione educativa del piccolo
per il progetto di paesaggio.
I tre articoli raccolti nella seconda sezione declinano il tema del ‘piccolo è bello
in architettura del paesaggio’ attraverso il possibile ruolo educativo del progetto di
paesaggio: lo sguardo del piccolo e lo spazio per i bambini, il piccolo progettato
per l’esperienza dei bambini e il progetto di piccoli spazi come processo educativo.
L’interpretazione del tema di questo numero dei Quaderni che emerge dai tre articoli,
propone il concetto di educazione allo spazio, al racconto e alla cura dei luoghi per e
attraverso il progetto di paesaggio.
Tutti gli autori osservano il ruolo del paesaggio per e come educazione attraverso
progetti realizzati alla piccola scala sia nello spazio urbano (i playground realizzati nel
secolo scorso in Danimarca, Stati Uniti e Olanda nell’articolo di Chiara Lanzoni) che in
quello rurale di confine con la città storica (il parco di Pinocchio a Collodi per Claudia
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| Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Maria Bucelli) ed infine in quello completamente naturale (il giardino di Skrudur in
Islanda per Flavia Pastò).
Chiara Lanzoni ipotizza che il paesaggio sia un vero e proprio soggetto educatore,
Claudia Maria Bucelli, attraverso la descrizione di come è stato realizzato il parco itinerario di Collodi, racconta il processo di progetto per l’infanzia e per la dimensione
psicologica dei piccoli. Infine Flavia Pastò affronta il tema del progetto di paesaggio
come processo educativo per le scelte collettive.
La riflessione sulla dimensione del piccolo prevale in tutti e tre i contributi: “piccolo
può essere l’osservatore ed il fruitore, l’attore nel paesaggio” come esplicita Lanzoni
(pag. 47) che propone la questione e poi indagata, anche se implicitamente negli altri
testi della sezione, se il paesaggio può essere considerato un soggetto educatore.
In tutti i contributi questa valenza del paesaggio ed in particolare dei processi di
progettazione paesaggistica viene evidenziato. Il piccolo diventa bello assumendo un
valore principalmente etico.
La terza sezione è incentrata specificamente su tematiche ed esperienze che mirano
ad indagare l’effettiva rispondenza tra interventi a piccola scala o basati su elementi
minuti e ricadute positive sul progetto di paesaggio con lo scopo di garantire la
valorizzazione e la riqualificazione del paesaggio urbano; da qui il titolo della sezione
stessa, Smaller is better. Il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio.
Nonostante le differenti tematiche ed applicazioni affrontate dagli autori, in tutti i
contributi risulta evidente che l’attuazione di interventi concernenti elementi piccoli,
di minore rilevanza, di minore impatto o di minore estensione, ha la capacità di
produrre interessanti risultati nell’ottica del miglioramento della qualità della vita,
della ri-attribuzione di specificità identitarie ai luoghi e della condivisione sociale;
emerge, infine, in maniera esplicita che tramite questi progetti aventi come
fondamento la cura e la trasformazione del ‘piccolo’ si è in grado di stabilire nuove
connessioni e di rinnovare antiche relazioni, ormai perdute, tra i vari sistemi che
generano e caratterizzano il paesaggio. Si può, quindi, in un certo senso asserire che
la dimensione del ‘piccolo’ e la possibilità di azione su di esso rivestono molto spesso il
ruolo di strumento di ricucitura tra ambiti, contesti, realtà e margini resi frammentari
ed interrotti dai mutati stili di vita e dai cambiamenti più recenti della nostra società.
Il primo esempio di tale approccio è offerto dal contributo di Carlo Peraboni, che analizza
le prospettive progettuali offerte da nuovi sistemi mirati al rallentamento del deflusso
delle acque meteoriche: questi interventi, pur riguardando un aspetto specifico ed
apparentemente di secondaria importanza, assumono in realtà caratteristiche di grande
rilevanza, perché possono promuovere la realizzazione di peculiari infrastrutture verdi
funzionali anche per la città, configurandosi, inoltre, come mezzi di combinazione
tra il paesaggio urbano e i vari contesti ad esso limitrofi. “Gli obiettivi del progetto
risultano orientati all’integrazione tra le politiche di salvaguardia dei valori ambientali
e l’estensione di attenzione ai temi della sicurezza urbana; si tratta di obiettivi di
lavoro che si rivolgono sia agli interventi di nuova urbanizzazione che a quelli di
riqualificazione e si attuano attraverso una molteplicità di interventi che agiscono
sulle modalità di costruzione e sui sistemi di gestione delle acque meteoriche [...]”
(pag. 73). “La realizzazione di questi interventi, articolati funzionalmente e diffusi
spazialmente, permette di attivare un’ampia gamma di opportunità, di carattere
multi-funzionale, che può avere implicazioni significative su una molteplicità di aspetti
riferibili al progetto urbano [...]”, quali il miglioramento dell’ambiente naturale e
la valorizzazione di azioni atte a soddisfare molteplici esigenze, tenendo anche in
considerazione gli aspetti più strettamente economici dei bilanci di spesa (pag. 72).
La pianificazione di tali interventi che si rivolgono alla piccola scala deve, ovviamente,
essere pensata in termini di applicazione diffusa e sistemica.
Con queste parole Peraboni intende rispondere alla domanda che si pone nella prima
parte del contributo “Grande è bello, piccolo è meglio?”, interrogativo emblematico
che può considerarsi come una sorta di introduzione alle successive trattazioni:
Gaetano Cascino propone un’esplorazione delle dinamiche attuative e delle concezioni
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ideologiche sulle quali si fonda il movimento del Guerrilla Gardening, principalmente
mirati alla difesa degli spazi pubblici nel contesto urbano, alla loro riqualificazione
in caso di graduale o totale abbandono e, soprattutto, al superamento dei contrasti
tra progettisti e fruitori nel conseguimento degli obiettivi di progetto. In questo
contributo, il tema del ‘piccolo’, dunque, si rintraccia nell’indagine sulle modalità di
“[...] realizzazione di micro-interventi non pianificati che vogliono restituire dignità
ai ‘vuoti urbani’; [...] ciò è dimostrazione di quanto sia importante ripartire dalle
piccole azioni, dalla costruzione dell’immagine della città ottenuta dall’insieme di tanti
dettagli, per poter dare risposta ad una crescente domanda di partecipazione [...]”
(pag. 85). Dall’analisi critica del fenomeno del Guerrilla Gardening, assimilabile a
processi di auto-progettazione e auto-costruzione, e dall’osservazione analitica delle
realizzazioni così compiute emerge, implicitamente, il connubio tra ‘piccolo’ e ‘bello’,
tema a cui l’autore allude sottolineando, da un lato, la spontaneità degli interventi
esaminati e, dall’altro, la loro capacità di creare nuovi paesaggi urbani in cui l’identità
dei luoghi è strettamente connessa all’interpretazione percettiva dei cittadini e alla
loro partecipazione diretta nelle fasi progettuali ed esecutive.
In accordo con alcune delle tematiche già espresse dai precedenti contributi, il saggio
di Sara Caramaschi propone un’interessante riflessione sulla rinnovata visione dei
mercati urbani come spazi pubblici atti a garantire il mantenimento delle relazioni
sociali, degli scambi e della connessione tra città e campagna, nell’ottica di ristabilire
rapporti di vicendevole valorizzazione e di profonda interazione tra due contesti
spazialmente vicini ma, spesso, concettualmente troppo distanti. Similmente ai
postulati di Schumacher, anche in questo contributo il ‘piccolo’ viene inteso non soltanto
come misura spaziale ridotta o come limitata significatività dell’elemento analizzato,
ma anche in quanto manifestazione di appartenenza alla scala locale. “Questi
luoghi piccoli ma belli reagiscono a un deficit internazionale di dimensioni enormi,
innescano una serie di azioni di tutela, valorizzazione e promozione del paesaggio
urbano e agricolo, riportando la comunità urbana a mostrare interesse per i temi cari
all’ambiente e al territorio” (pag. 92). L’analisi offerta dall’autrice sul tema e sulle sue
applicazioni progettuali vuole, quindi, dimostrare l’importanza assunta dalla tipologia
architettonica del mercato urbano, che assume nuove forme e nuovi significati se
considerata in un’ottica paesaggistica e sociologica, se inteso come espediente in
grado di riqualificare il paesaggio urbano, di ristabilire connessioni tra questo ed il
paesaggio agrario, di generare un nuovo senso di comunità. Di costituire, dunque,
pur nell’esiguità della sua estensione spaziale, una “cerniera tra città e campagna”,
un fattore di resilienza dei caratteri tradizionali e consolidati del paesaggio urbano
moderno e contemporaneo: i mercati urbani “[...] offrono numerose opportunità,
rigenerano le comunità locali, sviluppano stili di vita sostenibili e danno avvio a nuove
attività produttive nelle loro vicinanze” (pag. 88).
Il tema della ‘ricucitura urbana’ per mezzo di ‘piccoli’ interventi, puntuali e al
contempo sistemici, è ripreso da Aber Kay Obwona: il contributo muove dall’esame
di ‘piccoli’ interventi nei processi di ‘placemaking’, rivolgendo particolare attenzione
alla loro capacità di intima e significativa trasformazione del paesaggio urbano
e di miglioramento della qualità della vita degli abitanti. Il legame tra ‘piccolo’ e
‘bello’, tema in questo caso fortemente rivolto alla utilità degli interventi per la
riqualificazione del paesaggio urbano, è esplicitato nel richiamo alla metafora medica
di “urban acupuncture” proposta da Manuel de Sola Morales, espressione che
racchiude intrinsecamente sia la dimensione puntuale degli interventi indagati che il
loro effetto benefico per il contesto urbano in cui si inseriscono. Attraverso l’esame di
alcune realizzazioni, l’autrice mette in evidenza come “In the context of the current
global economic crisis, the use of small interventions in landscape architecture is very
relevant because of their ability to minimize the economic costs of urban regeneration
projects and simultaneously optimize the social values and quality of urban life” (pag.
95). “This methodology of plugging in small interventions to catalyze positive changes
in the environment can be considered a reflection of the traditional oriental medical
practice of acupuncture where pain is relieved or disease treated by using needles to
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puncture specific critical points of the human body. In this same way, diseased areas
are cured at a large scale by using small scale local interventions placed in strategic
locations and positions in the urban areas” (pag. 95).
Sulla tematica della ricomposizione urbana operata per mezzo di interventi minuti
si incentra anche il contributo di Roberta Palumbo, che mira ad individuare strategie
progettuali facilmente perseguibili al fine di contrastare l’attuale fenomeno della
crisi strutturale delle città. I luoghi dello sprawl e dello shrinking rappresentano aree
privilegiate entro le quali ripensare la città contemporanea e pensare a una possibile
città futura. In questa ottica, acquisisce una particolare importanza l’opportunità di
lavorare su quelle “grey areas” definite da Olmo (2000), assimilabili a vuoti urbani
privi di specifica caratterizzazione e significato. “La presenza di questi vuoti (di
attività, di senso e di significato) costituisce un’importante occasione di rigenerazione
urbana e consente di poter riflettere sulla città contemporanea, elaborare teorie sulle
caratteristiche della città futura e sperimentare nuove metodologie di progetto” (pag.
103). Oggetto della trattazione è l’ipotesi progettuale di ricomposizione della porzione
occidentale della città di Modena, dove, in seguito a variazioni e alterazioni del tessuto
urbano e delle sue infrastrutture, si è manifestata l’esigenza di pensare a soluzioni
atte a riqualificare e riunificare l’organismo urbano; “Azioni Semplici”, costituite da
interventi puntuali, sono state definite tenendo sempre in considerazione anche
la necessità di programmazione a vasta scala degli interventi stessi e si rendono
complementari ad “Azioni Complesse”, che interessano luoghi ‘piccoli’ estremamente
problematici. “La messa in rete di interventi di diversa portata e dimensione dà vita a
un progetto per la città tenuto insieme da un disegno complessivo ma che si compone
di elementi la cui realizzazione è indipendente” (pag. 107).
Chiude la terza sezione il contributo di Maria Cristina Treu, che analizza e commenta
alcune delle tematiche maggiormente rappresentative del dibattito scientifico sul
paesaggio e sulla sua progettazione. In questo contributo, la dimensione del ‘piccolo’
può essere associata al ruolo attivo che le comunità svolgono nell’individuazione
dei caratteri identitari dei paesaggi, nella cura dei luoghi e nella valorizzazione dei
loro significati complessi. Proprio in questi elementi, spesso di ridotta estensione e
rilevanza, risiedono le basi della storia e della cultura della società contemporanea:
“Sono i progetti di associazioni locali e di piccoli gruppi di singoli che ci permettono di
riscoprire le tracce della nostra storia, [...]; sono le iniziative che ci fanno apprezzare i
tanti fattori sottovalutati e che il lavoro di più generazioni ha contribuito a realizzare la
varietà degli ambienti di cui è ricca l’Italia secondo regole consolidate e univocamente
riconosciute e trasmesse” (pag. 114). Treu sottolinea la necessità di rivolgersi alla
visione locale al fine di assicurare il mantenimento, la conservazione e la salvaguardia
dell’unicità di ogni paesaggio, dell’equipotenzialità che ogni paesaggio esprime al di là
delle consuete considerazioni espresse dalla società contemporanea.
Si può, inoltre, rintracciare nel saggio una sorta di risposta alla domanda, posta in
apertura della sezione, da Peraboni “Grande è bello, piccolo è meglio?”: nel paesaggio,
in cui si combinano aspetti ed elementi di dimensione e di portata concettuale tanto
diversi, la complessità e la dinamicità delle interazioni e delle relazioni che uniscono
i singoli componenti costituiscono il principale valore da tutelare ed è, pertanto,
indispensabile avere una duplicità di osservazione e di giudizio, finalizzata a conciliare
l’intervento sul dettaglio, sul ‘piccolo’, e le operazioni a larga scala nell’ottica di
valorizzare ciò che c’è di ‘bello’ in ogni paesaggio, vale a dire di significativo, di
identitario. “L’ambiente richiede che nell’approccio alle scelte di intervento si adotti un
rovesciamento del punto di vista urbano centrico, che vuol dire riconoscere nei valori
di unicità dei nostri luoghi l’incidenza dei fattori ambientali, fisici, sociali, economici e
culturali, che hanno permesso la formazione della bellezza dei paesaggi che abbiamo
ereditato e che per quanto attiene alle cure richieste non può fare distinzione tra
grandi e piccoli interventi” (pag. 114).
Tale visione si richiama, infine, anche se implicitamente, a quella di Schumacher,
che a riguardo della posizione dicotomica sostenuta dall’uomo nel privilegiare la
dimensione del ‘grande’ o quella del ‘piccolo’ auspica un superamento di questo
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Editoriale |
ancestrale contrasto, per giungere, al contrario, al loro connubio perseguibile grazie
alla capacità di prestare attenzione al singolo intervento mantenendo, al contempo,
una visione ampia e d’insieme: “What I wish to emphasise is the duality of the human
requirement when it comes to the question of size: there is no a single answer.”
(Schumacher, 1973; ed. 1989: 70).
Infine il numero dei Quaderni si conclude con il diario di viaggio di Daniela Corsini
che ha come soggetto la città di Saragozza in Spagna. Nel testo viene descritto come
i piccoli interventi che partono dall’iniziativa dei cittadini, a mezzo dei movimenti
vicinali, assumono il carattere di azioni fondamentali per la costruzione di un nuovo
paesaggio urbano e rappresentano una forma altra di progetto di paesaggio. Questo
modo di agire è confrontato sia nell’approccio che nella sostanza con l’organizzazione
e gli esiti del ‘grande evento’ dell’ Expo 2008 che ha avuto luogo appunto a Saragozza.
Infatti secondo Daniela Corsini in questa città si può osservare in maniera esemplare
come “La progettazione dei piccoli luoghi, spesso sentiti come una proprietà da parte
dei cittadini, può avvenire con una partecipazione attiva da parte della popolazione
che, una volta inserita nel processo, può essere coinvolta anche nella fase di gestione
del luogo” (pag. 130). In questo senso l’esperienza di Saragozza propone un caso
concreto in cui il Piccolo è Bello in Architettura del Paesaggio.
Riferimenti bibliografici
Olmo C., La città e le sue storie, in Mazzeri C. (a cura di), La città europea del XXI secolo, lezioni di
storia urbana, Skira, 2000.
Schumacher, E.F. (1973; ed. 1989), Small is beautiful. Economics as if People Mattered, IV ed.,
Harper Perennial, New York.
Turri, E. (2000), La megalopoli padana, Marsilio Editori, Venezia.
Zagari, F. (2013), Sul paesaggio. Lettera aperta, Libria, Melfi.
* Dottorato di Ricerca in Progettazione della Città, del Territorio e del Paesaggio, indirizzo Progettazione
Paesistica, Università degli Studi di Firenze.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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11
SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO
Una possibile risposta al mantenimento dei caratteri storico-identitari
del territorio rurale: la messa in rete dei suoi elementi | A possible
answer for the maintenance of rural landscape’s local and historical
identity: the networking of its elements.
Chiara Paiola*
abstract
abstract
I paesaggi rurali sono caratterizzati, sebbene
ormai in maniera esigua, da un’infinità di elementi
che fanno parte della percezione che abbiamo di
questo scenario, sono elementi iconemici. Tuttavia
le possibilità di farne strumenti per il mantenimento
delle identità storico-locali sono ridotte al minimo.
Una risposta a questo problema potrebbe essere
la messa in rete dei singoli elementi, un insieme
di nessi morfologici, funzionali e simbolici tra spazi
costruiti e spazi aperti.
The rural landscapes are characterized by an infinite
number of elements that play a central role in the
perception we have about this scenery; these are
important rural landscape’s landmarks. However the
opportunity to use them like an instrument for the
preservation of local and historical identity is now
at its lowest state. An answer to this problem could
be the networking of the single elements, which
can be expressed by morphological, functional and
symbolical links.
parole chiave
key-words
Iconemi; paesaggio rurale; rete di relazioni
Landmarks; rural landscape; networking project
* Dottoressa in Architettura, [email protected]
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
Introduzione
“Solitamente la percezione di un paese avviene
attraverso una serie di elementi costitutivi del
territorio che impressionano per la loro evidenza,
bellezza,
grandiosità,
singolarità,
o
perché
magari si ripetono come leit-motiv caratteristici
e inconfondibili. Quando si parla di elementi si fa
riferimento in particolar modo a tutto ciò che si offre
allo sguardo, cioè a oggetti visibili, rilevabili nel
paesaggio. […] Possiamo chiamare gli elementi visivi
con il termine di “iconemi”, con il quale si propone
di indicare le unità elementari della percezione che
poi, sommate con le altre in combinazione, formano
l’immagine complessiva del paese: il paesaggio
come sintesi, sommatoria e combinazione razionale
di tanti elementi, di tanti iconemi. Alcuni dei quali
diventano anche i riferimenti primari, le componenti
imprescindibili di quel paese, i dati particolari che si
memorizzano come fotografie tenute in archivio che
custodiamo nel nostro patrimonio di conoscenze, al
quale ricorriamo ogni volta che occorre ripensare a
quel paesaggio, a quel paese, per raccontarlo, per
parlarne” (Turri, 2001).
È con queste parole che Eugenio Turri apre la sua
trattazione sugli iconemi, che possiamo riassumere
come portatori di identità storica, culturale,
economica, religiosa ed artistica di un territorio
(Turri, 2001).
Il territorio rurale, e più in dettaglio il territorio della
pianura padana, di cui ci occuperemo, è ricco di questi
elementi; tuttavia il fenomeno della dispersione
insediativa, negli ultimi trent’anni, ha contribuito a
cambiarne il volto, un tempo carico di una propria
figurabilità. Questi elementi caratteristici e percettivi
infatti sono ormai stati travolti da un’alluvione edilizia
(Turri, 2000) che ha contribuito a minarne l’identità.
Le permanenze identitarie di questo territorio
risultano ormai inglobate in un continuum edilizio
che le nasconde molte volte alla vista contribuendo
a sminuire la loro presenza all’interno del territorio
agricolo. (fig. 1)
Non è solo il formarsi della megalopoli padana (Turri,
2000) che ha portato a questa perdita di figurabilità,
di valori culturali ed ecologici che si erano sedimentati
in questa terra per decenni, ma anche il veloce
passaggio da un’agricoltura specifica, fatta di luoghi
e condizioni, ad un paesaggio agricolo “dal carattere
anonimo condizionato, non dalle caratteristiche dello
specifico luogo, ma dalle necessità della macchina
[…] e da un mercato sempre meno locale” (Fabbri,
1997).
La necessità quindi di difendere il paesaggio della
Pianura Padana risulta chiara poiché esso rappresenta
un elemento fondamentale di identità, capace di
integrare aspetti naturali, storici e locali. Sarà quindi
13
necessario trovare un concetto unificante, che li ordini
secondo criteri formali, che permetterà di giungere
ad identificare delle relazioni esemplificative che ne
chiarifichino il ruolo.
Il carattere del paesaggio della Pianura Padana
Il paesaggio agricolo viene definito da molti autori,
in testi legati alla storia delle trasformazioni del
suolo agricolo italiano, che ne sottolineano sempre,
come principale caratteristica, il ruolo dinamico,
aperto, in continua trasformazione e svolgimento;
viene anche rimarcato come sia un raccoglitore
della storia passata e dei cambiamenti futuri legati
alla lavorazione della terra, poiché ci restituisce,
attraverso immagini iconiche, il vissuto delle
generazioni passate ma anche i cambiamenti che lo
hanno portato alla sua attuale forma.
Sereni infatti definisce il paesaggio agricolo come
“quella forma che l’uomo nel corso ed ai fini delle
sue attività produttive e agricole coscientemente e
sistematicamente imprime al paesaggio naturale”
(1961, ed. 2007); Paola Sereno invece descrive il
paesaggio agrario come il luogo “dell’ accumulazione
[passata, presente e futura] di oggetti che sono
segni tangibili di lavoro, di tecniche, di rapporti
di produzione, [segni] che l’uomo ha lasciato nel
territorio e che documentano la sua capacità e le
sue modalità di intervento e di organizzazione dello
spazio in cui si è insediato” (1981).
La campagna deve il suo aspetto al lungo e paziente
lavoro dell’agricoltore che ha contribuito, con le sue
tecniche e con i suoi strumenti, ad addomesticare la
natura e a renderla testimone delle identità storicoculturali locali, potrebbe quindi essere considerata un
deposito ricchissimo di memoria materiale. Troviamo
infatti al suo interno molti elementi come: i campi
coltivati, le cascine, le ville, ma anche le strade e i
sentieri per accedere ai fondi e al resto del territorio,
la rete irrigua, le rogge e i rii; questi sono tutti
elementi che potrebbero contribuire a mantenere e a
rendere manifesta la percezione di questo territorio.
È importante sottolineare come tuttavia i processi di
rapida trasformazione che riguardano il paesaggio
agricolo, portino sia a grandi cambiamenti sia a
fenomeni di abbandono e di sottoutilizzo e come
entrambi gli avvenimenti agiscano a discapito degli
iconemi della campagna, contribuendo ad impoverire
la grande complessità del paesaggio agrario.
Alcuni paesaggi infatti collassano definitivamente
e spariscono (Lanza, 2003), per esempio svanisce
il paesaggio della piantata padana, cancellato
dall’estesa urbanizzazione che ad oggi investe le
campagne, e dall’utilizzo della coltivazione estensiva
(in particolare del mais). In generale quindi il
paesaggio agrario attuale, fino a qualche decennio
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14 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 2. Aratura meccanicizzata di un campo della Pianura
Padana
Figura 1. Il fenomeno della dispersione insediativa invade con
strade e abitazioni il territorio della campagna
fa caratterizzato da un’infinita varietà di forme, “si è
semplificato nella sua costruzione organizzativa con
la sparizione di siepi, boschetti, filari di piantate, fossi
e fossati […] elementi disegnati ad una scala minuta,
quella dell’uomo e della bestia, sostituita ora da una
scala più ampia, quella della macchina. Diciamo
che a una trama fitta, ricca di elementi diversi, si
è sostituta una trama larga, contrassegnata da
pochissimi elementi diversi. È il paesaggio della
monocultura, che rappresenta un disastro dal punto
di vista ecologico oltre che percettivo” (Fabbri,
1997). (fig. 2)
Inoltre la campagna, come già sottolineato, risulta
sempre più frammentata anche a causa della crescita
costante di elementi insediativi e infrastrutturali, che
contribuiscono all’imponente “processo di abbandono
di una fittissima rete di sentieri, di cappelle votive,
di piccole canalizzazioni, di terrazzamenti, di frazioni
minori e di ricoveri temporanei che si avviano
a diventare ruderi di una superata vicenda di
antropizzazione” (Lanza, 2003).
Tutti
questi
processi
di
banalizzazione
e
svalorizzazione pertanto riducono le possibilità
intrinseche a questo patrimonio iconemico di essere
strumento conservativo delle identità storicoculturali locali.
Un esempio chiarificante di questa svalutazione lo
possiamo rintracciare nel territorio della Pianura
Padana, dove risulta molto evidente il lungo lavoro
umano, e il veloce cambiamento della fisionomia
del territorio avvenuto dall’introduzione del lavoro
meccanicizzato.
Questa terra è stata a lungo rimaneggiata dal lavoro
dell’uomo, le prime opere di bonifica risalgono al VI
secolo avanti Cristo, quando gli Etruschi si insediarono
nella Pianura Padana; durante la loro permanenza sul
territorio eseguirono opere grandiose per costringere
il fiume Po entro gli argini, così da bonificare i terreni
e sfruttare le vie navigabili. Possiamo dire che in tal
modo gli Etruschi gettarono le basi dell’orientamento
idraulico della Pianura; opera che verrà ripresa, nei
secoli successivi, dai Romani che proseguirono i
lavori di bonificazione.
È però nel X e nell’ XI secolo con i frati Benedettini
che avvengono le maggiori opere idrauliche, queste
trasformarono la piana del Po da palude a terra
agricola.(fig. 3)
Si giunge così ad un’antropizzazione della campagna,
stabilendo un controllo sulla terra, al tempo
produttrice di beni materiali; controllo che è via via
aumentato, da allora in avanti la Pianura Padana
ha visto infatti i suoi territori sempre più occupati
da presenze che potremmo definire estranee agli
usi agricoli, fino ad arrivare al fenomeno che viene
battezzato da Turri “Megalopoli Padana” (2000).
Le appendici urbane che formano la Megalopoli si
sviluppano lungo le infrastrutture, che collegano
l’alta pianura ai centri più importanti della bassa
pianura, tuttavia questa diffusione edilizia è ancora
fortemente legata al suo passato rurale. Infatti la
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
15
Figura 3. Il fiume Po con i pioppeti che ne sottolineano il corso
Figura 4. La roggia, elemento legato alla forte caratterizzazione
fluviale della pianura
crescita ininterrotta di presenze legate alla sfera
della città all’interno della campagna ha travolto
“paesaggi agrari da cui affiorano vecchie case e corti
contadine, qualche residuo lembo di campagna,
alberate che un tempo fiancheggiavano strade e
viali, le chiese e i campanili dei paesi, emergenze
antropiche nei paesaggi padani” (Turri, 2000).
La rete irrigua è quindi l’elemento connotativo di
questo territorio, che prende infatti anche il nome
dal suo principale corso d’acqua, il Po. Oltre agli altri
fiumi e torrenti, ricordiamo l’Adda, il Mincio, l’Adige,
che insieme al Po formano la rete irrigua principale,
si distendono sul territorio canali, rogge, rii e colatori
da cui attingere l’acqua per i campi, in una propria
gerarchia ordinatrice. (fig. 4)
I primi iconemi che quindi incontriamo all’interno della
Pianura Padana sono proprio i fiumi, bordati da fasce
di vegetazione ripariale. All’interno di questa rete
irrigua si appoggia lo spazio regionale accompagnato
dal suo complesso insieme di elementi puntiformi,
come gli insediamenti industriali e abitativi, che
fanno parte della dimensione del paesaggio costruito,
e i boschi e i pioppeti, che risultano più estesi ma
anch’essi generano prospettive e visuali diverse,
indirizzando o bloccando la vista verso il resto della
campagna; elementi naturali ed elementi artificiali
dunque, che sono legati all’uomo e alla sua storia,
ai suoi progetti.
Tra lo spazio interfluviale troviamo l’altro elemento
percettivo per eccellenza della Pianura, cioè l’ager;
il campo coltivato infatti, oltre ad essere l’oggetto
di attenzione, come i fiumi, dell’ingegno e del
lavoro dell’uomo ai fini della produzione, è anche
una manufatto costruito, “la cui dimensione,
orientamento e forma corrispondo a precisi requisiti
funzionali, nell’intento di migliorare la qualità
pedologica del suolo e la regimentazione delle acque
meteoriche” (Fabbri, 1997).
Queste necessità hanno portato ad una strutturazione
geometrica e regolare dello spazio che possiamo dire
essere il principio ordinatore che emerge sopra tutto il
resto; questa infatti viene percepita subito all’interno
della regione e deve la sua origine alla delimitatio
romana; l’antico quadrato di duemilaquattrocento
passi costituisce la base uniforme dello sfruttamento
agricolo, questa maglia, che poteva essere articolata
in multipli e sottomultipli, permetteva di controllare
la grande e la piccola dimensione. (fig. 5)
Questa geometrizzazione dello spazio coltivato
costituisce quindi l’origine del paesaggio planiziario
padano, ed ha generato tutta una serie di segni di
grande rilevanza paesaggistica che sono diventati
il marchio identificativo di questa regione, poiché
ricchi di un notevole valore storico.
Altro iconema simbolo è la rete delle strade, che
costituisce l’ordito del tessuto agricolo e che si
integra fortemente nel paesaggio; ovviamente
l’aggregazione dei campi deve rispondere alla
necessaria accessibilità da parte dell’uomo e dei mezzi
meccanici al campo stesso, e questa è garantita dalle
strade rurali che nascono con caratteri e funzioni
diverse rispetto alla strada di collegamento tra due
centri urbani.
In ogni caso la loro funzione era fortemente integrata
agli elementi puntuali del territorio agricolo, si pensi
per esempio alle residenze, ai campi, alle cappelle
e all’edicole votive che, grazie a questa presenza e
a questi collegamenti, risultavano appartenenti allo
stesso mondo rurale.
Così quindi come ben sottolinea Pompeo Fabbri
nel suo “Natura e cultura del paesaggio agrario”
(1997) questo reticolo, utilizzato nei secoli per il
tracciamento di canali paralleli all’asse stradale e di
confini di proprietà, ha inciso un disegno percettivo
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16 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 5. Il mosaico agricolo padano
Figura 6. La cascina
forte, cosicché ancor oggi, “alcuni vecchi sentieri
che sembrano non portare in nessun posto specifico,
sono resti di centuriazione così come edicole,
cappellette, sorgendo sullo stesso luogo di antichi
culti pagani, rientrano nel medesimo ordinamento”
(Fabbri, 1997).
Purtroppo queste caratteristiche sono andate in buona
parte perse a causa della costruzione delle nuove
arterie stradali e autostradali, che attraversando il
territorio della Pianura Padana lo frammentano; se
la strada rurale si rimetteva alle regole della natura,
sottomettendovisi, adesso la strada di collegamento
si sovrappone al paesaggio, conquistandolo.
A questi elementi maggiori che sono presenti nella
piana del Po se ne affiancano altri, non certo di
importanza minore, ma che con le loro caratteristiche
si inseriscono all’interno di questo grande reticolo
che è stato appena descritto. Reticolo che è ben
riconoscibile e distinguibile se pensiamo ad una
visione dall’alto, in cui dopo aver riconosciuto fiumi e
canali, ordinamenti colturali e rete stradale, vedremo
tutte le altre forme puntuali e di scala minore che
occupano il suolo della campagna.
Si pensi per esempio alle piantate d’alberi che
affiancano il corso di canali e fiumi, sottolineando
il loro corso; un tempo gli alberi originari della
pianura erano i salici, le querce e gli olmi, ora
sono stati sostituiti dal pioppo nero, che con la
sua altezza e maestosità forma quinte visive,
imprimendo al paesaggio un ritmo caratterizzante;
a questa categoria, che potremmo definire naturale,
appartengono anche tutta quella serie di siepi,
arbusti e filari alberati, più o meno fitti e di minore
dimensione, che ritroviamo sia sulle rive dei corsi
d’acqua, sia ai bordi dei campi e delle strade.
Passando poi alla categoria antropica non possiamo
non ricordare la cascina, azienda ed abitazione del
contadino, è alla base del sistema territoriale in quanto
centro di produzione ma anche nodo territoriale
che costruisce il paesaggio della campagna, sia dal
punto di vista produttivo che insediativo. (fig. 6)
Insieme a questo elemento vanno ricordati i piccoli
borghi e gli insediamenti isolati che con le loro
chiese e gli edifici religiosi, il castello, ma anche le
cappelle votive, le edicole, i campanili, si innestano
nello stesso sistema territoriale e ne diventano
simbolo. In questa categoria rientrano anche i segni
dell’industrializzazione passata e moderna, a partire
dai mulini e le filande e proseguendo con gli opifici e
le dighe, là dove le acque corrono veloci, arrivando
infine alla nuova realtà industriale che trova il suo
costituente nel capannone industriale.
“Le nuove edificazioni nascondono il profilo dei monti,
le piantate d’alberi sopravvissute, le antiche chiese,
i nobili palazzi e persino gli orti […] Dentro questo
proliferare di iconemi nuovi, di quartieri residenziali,
condomini, villette a schiera, capannoni […], la
scoperta del paesaggio agrario, pur così umiliato ed
escluso dagli spazi del vivere, dà ancora il senso di
qualche cosa che si è perduto.” (Turri, 2001).
Una possibile risposta progettuale
Il paesaggio della Pianura Padana è oggi
contraddistinto da una importante perdita di
significato, derivante dai fenomeni che sono stati
brevemente delineati nel paragrafo precedente;
questa crisi si potrebbe riassumere con due parole
chiave: discontinuità e disgregazione. Colpendo tutti
questi elementi iconici infatti mina alla base il loro
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
17
Figura
7.
Individuazione
delle linee visuali principali
all’interno del TSL
Figura 8. Il concept di
progetto
del
TLS
dove
vengono indicate tutte le
azioni progettuali da portare
a termine
Figura 9. Il sistema di
connessioni del TSL, sono
evidenziate: le linee degli
autobus, le fermate dei
treni, dei traghetti e della
metropolitana, gli itinerari
pedonali e quelli ciclabili
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18 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
carattere simbolico, la loro funzione rappresentativa.
La domanda quindi che sembra essere necessario
porsi è: sono i valori rappresentati da questi elementi
iconemici (Turri, 2001) recuperabili? Se si, in che
modo potranno essere rivalorizzati e risignificati,
all’interno di una progettazione del paesaggio agrario
padano che riesca a far fronte a questi fenomeni di
scollamento e perdita di identità, riconducendoli a
quel grande contenitore di significati e segni, ormai
perduti, appartenuti alla Pianura Padana?
La messa in rete in modo sistemico di tutti questi
valori, potrebbe essere una risposta verso la tutela e
il mantenimento degli elementi sopravvissuti a questi
veloci cambiamenti, in un’ottica che vede la relazione
tra il piccolo iconema e la complessità del sistema
paesaggistico della Pianura Padana protagonisti;
infatti le interazioni e le interdipendenze che si
possono generare attraverso la gerarchizzazione di
questi portatori di bellezza e di valori naturali, storici,
culturali e sociali possono contribuire a valorizzarne
le qualità intrinseche.
Si ambisce quindi ad arrivare alla strutturazione
di una rete di paesaggio, una rete di connessioni
cioè che raccolga varie realtà, come per esempio
i paesaggi aperti, costituiti dalle piane agricole,
caratterizzati da visuali brevi per la presenza delle
quinte alberate, i paesaggi dell’acqua, presenti in
prossimità delle zone umide, di fiumi e di canali e i
paesaggi urbani, legati ai landmarks e alle presenze
territoriali antropiche.
È necessaria innanzitutto una procedura inventariale,
attraverso la quale sia possibile individuare
una gerarchia di situazioni che presupporranno
strumenti progettuali differenti; sarà essenziale
quindi, come ben sottolinea Fabbri (1997), “una
strutturazione significativa di questi elementi in uno
spazio morfologicamente ben definito, o definibile.
Che creino cioè un luogo, così che questo spazioluogo, paesaggio, sia chiaramente identificabile nel
contesto territoriale.”
In questo progetto, che vede nelle relazioni la
sua principale mossa strategica, sarà necessario
considerare che le trasformazioni e i cambiamenti
all’interno della campagna padana non possono
essere ignorate, dovranno essere comprese pertanto
anch’esse in questo percorso di conoscenza e di presa
di posizione, al fine di giungere ad un’interpretazione
meditata del territorio, per tradurla poi in azioni
progettuali. Infatti all’interno di questa realtà,
plasmata da nuovi usi e da nuove colture, sempre più
mutevoli nel tempo, si va generando un paesaggio che
è discontinuo e disgregato, dove tuttavia è possibile
cogliere nuove unioni, nuove realtà, che certamente
non hanno la pretesa di ricadere nella sfera della
storicità e dell’identità, la sfera cioè occupata dagli
iconemi, ma che sono senza ombra di dubbio reali,
concrete e possibili generatrici di nuovi scenari di
vita. Saranno necessarie quindi molte letture dei
luoghi e delle relazioni possibili, letture complesse
ma “funzionali al costruire visioni sistemiche capaci
di contenere una pluralità di elementi di progetto”
(Peraboni, 2013).
Queste visioni sistemiche non si baseranno
solamente su relazioni fisiche o materiali, ma anche
su relazioni che potremmo definire immateriali,
visuali, percettive. Le connessioni materiali possono
essere banalmente riferite ai temi che riguardano
l’accessibilità, l’uso e lo sfruttamento del luogo
fisico; le relazioni immateriali invece ruotano
attorno a meccanismi di rete capaci di conservare la
possibilità di visione degli elementi identificati come
capisaldi per il loro valore legato all’evoluzione e alla
trasformazione del territorio.
Questa rete di relazioni si fonda quindi su due
dimensioni, una dimensione di tipo areale e/o
puntuale, ed una di tipo reticolare; la prima
dimensione è formata da tutte le presenze territoriali
rilevanti, la seconda invece è descritta dai rapporti di
interazione e interdipendenza che possono scaturire
tra queste presenze.
Il tema delle relazioni visuali e percettive assume
quindi un significato importante, che potremmo
identificare come primario all’interno delle varie
tematiche progettuali, esso infatti costituirà la
base di tutte le azioni progettuali conseguenti
alla necessaria conservazione della visione degli
elementi identificati come capisaldi, strutturando
le trasformazioni possibili che si intendono portare
avanti nella progettazione del paesaggio Padano. “Non
solo gli elementi antropici possono svolgere questa
funzione, anche elementi naturali quali grandi alberi
isolati, elementi geo-morfologici o specchi d’acqua
potranno divenire punti di riferimento significativi.
Le traiettorie visuali che permettono la visione degli
elementi rilevanti divengono componenti attive del
progetto di paesaggio” (Peraboni, 2013). Quindi i
canali, gli insediamenti isolati con le loro chiese e
ville, le cascine, i pioppeti, sono tutti elementi che
potranno essere assunti come punti di riferimento
significativi all’interno dell’ambito progettuale della
Pianura Padana.
Un progetto che appare esemplificativo delle
tematiche appena delineate è il Thames Landscape
Strategy, attivato nel 1995 e tuttora in corso,
nato dall’iniziativa di un’associazione che opera
a livello provinciale per il Tamigi, per il tratto di
fiume che va da Hampton e Kew. Questo progetto
di riqualificazione delle sponde e degli ambienti che
affacciano sul corso d’acqua ha visto l’utilizzo di scale
progettuali diversissime tra loro così da permettere
una progettazione che spazia dal piccolo elemento
alla grande area.
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
L’associazione del TLS ha ritenuto di primaria
importanza svolgere studi approfonditi su tutti gli
elementi che caratterizzano il corso del Tamigi: le sue
sponde, la città di Londra con i suoi quartieri e i piccoli
paesi extraurbani, ma anche le attività svolte da chi
vive, lavora o trae beneficio dal fiume; tutte tessere
essenziali per acquisire una solida conoscenza del
paesaggio in cui era necessario operare. Ovviamente
il Thames Landscape Strategy appoggia le sue basi
anche su tutta una serie di studi approfonditi rispetto
agli aspetti geologici, morfologici, storici e culturali;
tutti questi studi e approfondimenti sono stati ritenuti
strategici e necessari all’avvio del progetto.
Il segno caratterizzante di tutto il paesaggio è proprio
il fiume Tamigi, che pertanto rientrerà in tutta una
serie di interventi considerati primari come: la
conservazione delle sponde, delle isole, dei campi
aperti e di tutti gli elementi puntuali che si possono
trovare lungo le sue rive. Per portare avanti queste
attenzioni progettuali è stata data fondamentale
importanza al ruolo delle visuali percettive all’interno
del paesaggio fluviale che, in addizione ai punti
panoramici già presenti in alcuni tratti, andranno a
connettere e ordinare il paesaggio attraverso una
rete di relazioni immateriali.
Queste viste traggono origine da una gamma molto
vasta di elementi presenti sul territorio che sono
risultati i capisaldi su cui basare o appoggiare i
successivi interventi:
• The Avenues: i viali che si irradiano dai palazzi
e dalle ville posti sulla riva del Tamigi e che
contribuiscono a dare una strutturazione forte
al paesaggio; avendo già una chiara funzione di
carattere visuale-percettivo sono stati mappati e
riqualificati;
• Communication
sightlines:
le
linee
di
comunicazione visiva sono un’ulteriore strumento
utile alle visuali lontane, vanno perciò a supportare
i viali prospettici. (fig. 7)
• Informal views: sono utilizzati quali punti
informativi, inoltre orientano i visitatori e
connettono i landmarks lungo il fiume.
• The Landmarks: in questa categoria ritroviamo
le chiese e i campanili, i palazzi antichi e le
ville, alberi, ed elementi naturali particolari che
emergendo dal paesaggio aiutano a focalizzare
l’attenzione e a istituire dei luoghi identitari;
lo stesso fiume Tamigi per la sua importanza
evidente è un landmark.
Il piano quindi si è prefigurato, attraverso
l’identificazione di questi elementi, di conservare e
riqualificare le aree e i landmarks individuati, con
particolare attenzione a tutto ciò che riguarda le
connessioni visive e percettive. (fig. 8) Tutto ciò
che viene coinvolto, seppur marginalmente, dal
passaggio di queste visuali, è allo stesso modo
19
oggetto di attenzioni progettuali, conservative, in
modo che anch’esso diventi portatore di un elevato
grado di attenzione paesaggistica.
Tutti questi interventi sono accompagnati da una serie
di azioni minori che rientrano nella categoria delle
relazioni materiali, volte a supportare e differenziare
gli spazi; passando per esempio dall’inserimento di
una nuova fermata del trasporto pubblico, nei pressi
di un’area ritenuta strategica, e dalla costituzione di
nuovi centri di polarità (un parco giochi per bambini,
un centro sportivo), fino ad arrivare all’introduzione
di nuovo arredo urbano. (fig. 9)
Assumere dunque il patrimonio identitario come
principale protagonista del progetto di paesaggio,
per far fronte ai continui processi di degrado in atto
sul territorio rurale, per puntare su di uno sviluppo
locale, significa riscoprire e reinterpretare “quelle
regole costitutive e quegli elementi di lunga durata
su cui [esso] si è consolidato” (Finotto, 2007). La sua
riconoscibilità e la sua leggibilità infatti si fondano
su nessi materiali e immateriali che fanno capo alla
sfera della percezione, della memoria, della cultura;
è quindi altrettanto importante comprendere le
specificità locali, o i già presenti gradi di tutela, di
gestione e valorizzazione presenti sul territorio, per
arrivare a costruire uno spazio che diventi matrice,
protagonista attivo della crescita della società e della
qualità di vita. “Il codice identitario, nell’accezione
di alimento ed ancoraggio del paesaggio, deve
rappresentare, in ultima analisi, la possibilità
di orientare l’azione progettuale dinanzi ad una
produzione indefinita di alternative possibili, una
traiettoria comune lungo la quale coniugare le attese
di conservazione con l’innovazione e coi processi di
sviluppo di un territorio” (Finotto, 2007).
Riferimenti bibliografici
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indirizzi per la tutela e la progettazione, CittaStudiEdizioni,
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strumento operativo e metodo di progettazione, in «Quaderni
della Ri-vista, ricerche per la progettazione del paesaggio»,
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Lanza, A. (2003), I paesaggi italiani, Meltemi, Roma.
Peraboni, C. (2013), Temi per il progetto di paesaggio,
in Lanzoni, C. Marzorati, P. Peraboni, C. (2013, a cura di),
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20 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
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Figura 2: sistema urbano e mosaico agricolo, da La campagna
necessaria: un’agenda d’intervento dopo l’esplosione urbana,
Agnoletto, M. Guerzoni, M. (2012, a cura di), Quodlibet,
Macerata.
Figura 3: il Po a villa Saviola, di Gorgoni R. (1995).
Figura 4: tra Cremona e Mantova, di Quiresi E. (1996).
Figura 5: roggia, di Berengo Gardin G. (1984).
Figura 6:Cascina, di Jodice M. (2001).
Figura 7,8,9 : il Thames Landscape Strategy, tratto da http://
thames-landscape-strategy.org.uk/tlsreview, ultimo accesso 6
marzo 2014.
Sitografia
Thames Landscape Strategy, the review of the Thames
Landscape Strategy, http://thames-landscape-strategy.org.
uk/tlsreview, ultimo accesso 6 marzo 2014.
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Chiara Paiola, Una possibile risposta al mantenimento dei
caratteri storico-identitari del territorio rurale: la messa in
rete dei suoi elementi, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per
la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze
University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.
html, pagg. 12 - 20
Contatti: [email protected]
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SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO
Piccoli elementi di urbanità nel territorio: le potenzialità degli
insediamenti isolati nel progetto di paesaggio| Small urban elements
in the territory: the potencial of isolated settlements in the landscape
project
Alessia Lupi*
abstract
abstract
Gli insediamenti isolati di cui è costellato il territorio
italiano, come i centri urbani minori, i borghi storici
e le corti rurali, sono piccoli elementi di urbanità
strettamente legati al paesaggio che li circonda. Le
potenzialità di questi luoghi, spesso indipendenti
rispetto ai contesti urbani, riguardano la loro possibile
messa in rete nel territorio e con il territorio a cui
appartengono, valorizzandone il carattere storico ed
identitario che svolgono all’interno del paesaggio.
Small towns, historical villages and rural courts are
small urban elements closely linked to the landscape
that surrounds them. These isolated settlements
dot the italian territory and are not often related to
urban areas. The potencial of these places is their
networking in the territory and into the territory they
belong to. The networking enchanse the historical
and identifying features that these places represent
within the landscape.
parole chiave
key-words
insediamenti
isolati,
elementi
paesaggio, progetto di rete
identitari
del
isolated
settlements,
landscape
elements, networking project
* Dottoressa in Architettura, [email protected]
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indentifying
22 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Introduzione
Storici, geografi, naturalisti, oltre a poeti e scrittori,
da sempre hanno identificato un dato caratteristico
del nostro paese: la varietà del paesaggio. La diversità
e la qualità del suo territorio lo rendono unico ed
incredibilmente complesso, sia dal punto di vista
della sua comprensione che della sua pianificazione.
“Questo paesaggio costituito da microcosmi è stato
accompagnato nella storia (…) da un’opera dell’uomo
che ne ha esaltato la natura del dettaglio. Elementi
puntuali, distintivi di un ‘identità locale fatta di
culture tese alla differenziazione, caratterizzano i siti,
con netta definizione dei caratteri” (Gabrielli, 1996).
Proprio l’equilibrio tra la morfologia del territorio e le
opere di antropizzazione ha prodotto un paesaggio
di notevole valore; fino a quando l’opera dell’uomo
è stata in grado di fornire valore aggiunto all’opera
della natura, nella giusta dimensione (De Matteis,
1996).
Oggi questo equilibrio è andato perso, vittima delle
nuove urbanizzazioni all’interno del territorio rurale
e di nuovi interventi infrastrutturali e produttivi che
si sono sovrapposti al sistema esistente senza un
dialogo col contesto stesso.
Nonostante la progressiva occupazione dei terreni
da parte dell’urbanizzato, molti di questi microcosmi
conservano ancora ben riconoscibile la loro struttura
originaria, e con essa l’immagine identitaria del
territorio. Ne è un esempio l’ambito padano,
caratterizzato dalla permanenza della centuriazione
romana, che continua a sostenerne l’immagine e
costituisce la ragione della localizzazione di gran
parte dei suoi centri. All’interno di esso si può rilevare
la presenza di elementi urbani sparsi nel territorio
rurale che ancora ne caratterizzano il paesaggio:
è questo il caso di piccole località, borghi storici,
cascine e corti rurali che ne costellano il territorio.
Questi elementi di urbanità sono profondamente
connessi con il paesaggio di cui fanno parte, in quanto
si sono formati ed evoluti insieme ad esso. Per questo
possono costituire il punto di partenza attraverso il
quale recuperare il rapporto tra paesaggio ed azioni
antropiche, attraverso il loro ripensamento all’interno
del sistema, rivalutandone il ruolo e la composizione
e, soprattutto, riconoscendoli nell’ambito di un
progetto di rete nel territorio ed in sinergia con lo
stesso.
La messa in rete di elementi e polarità può essere
considerata una risposta progettuale valida
all’interno di progetti di paesaggio a diverse scale;
le interazioni e le interdipendenze che possono
scaturire tra i vari elementi possono contribuire a
valorizzarne le risorse naturali, storiche e culturali
intrinseche, in un’ottica di relazione tra il piccolo
elemento e la complessità del sistema paesaggio;
non considerando il territorio come immutabile, ma
guidandone l’evoluzione mantenendo i rapporti più
rilevanti col passato.
Una rete di poli rurali: dai modelli interpretativi di
sistema all’ambito locale
Il territorio padano è percepibile come un unico
e specifico sistema con proprie caratteristiche di
riconoscibilità nel territorio nazionale per aspetti
morfologici, sociali ed economici. Volendolo
osservare in maniera più approfondita come ambito
locale, però, si può notare come esso non sia così
omogeneo e presenti innumerevoli sfaccettature. Le
condizioni morfologiche sono varie, non solo per ciò
che riguarda gli insediamenti antropici, ma anche
in rapporto alle eredità lasciatevi dalle situazioni
naturali più antiche.
Il paesaggio padano, infatti, manifesta una grande
varietà di ambienti, tutti caratterizzati dalla presenza
di grandi opere di regimentazione idraulica. Inoltre
si distingue per una elevata qualità paesistica e,
nonostante la progressiva occupazione dei terreni
da parte dell’urbanizzato, la sua struttura originaria
è ancora ben visibile. Il geometrismo del paesaggio
padano deriva dalla centuriazione romana, e il suo
ordine si è in gran parte conservato perchè ad esso
si legava la distribuzione della proprietà. Su di esso
è stato impostato tutto l’assetto del territorio, non
solo la colonizzazione della pianura, che si realizzò
con la costruzione di strade minori e di centri legati
alla centuriazione; ma anche la creazione di grandi
assi viari e di città nodali, ancor oggi individuabili.
Con l’affermazione delle città comunali, poi, si è
andato definitivamente a costituire un sistema
urbano-territoriale che si assesta secondo le formule
christalleriane (Christaller, 1933), cioè su basi
regolari, geometriche e su rapporti di gerarchia tra
i nodi.
In sostanza, un certo numero di città mediopiccole governano una rete di città di piccole
dimensioni, formate dall’aggregazione di corti di
diverse dimensioni. Questa struttura territoriale
fondata su una fitta rete di centri gerarchizzata è
sostanzialmente quella originaria dell’organizzazione
agricola legata alle cascine, cellule elementari del
sistema territoriale (Turri, 1998).
Oggi questa struttura territoriale fondata su centri
gerarchicamente diversificati che aveva alla sua
estremità la cascina non si giustifica più e, pur
avendo conservato alcune caratteristiche del suo
assetto, la sua forma e il suo funzionamento si sono
modificati, soprattutto in conseguenza al fenomeno
dello sprawl e alle nuove urbanizzazioni di tipo
produttivo ed infrastrutturale. Ne sono un esempio
gli ambiti urbani disposti secondo un modello
bipolare attestato lungo la rete infrastrutturale: è
questo il caso dei poli di Casalmaggiore-Viadana
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
e di quelli gravitanti lungo l’asse Mantova-GoitoCastiglione delle Stiviere. In particolare il nuovo
territorio della città diffusa si arricchisce di centri
di governo e di poli di eccellenza, che si collocano
nei centri di media e piccola dimensione esistenti
al proprio interno e vedono una nuova “capacità di
protagonismo di innumerevoli insediamenti minori
associati da reti di relazioni plurime che nascono dal
basso” (Clementi, 1996). In questo modo il territorio
tende a de-gerarchizzarsi e i flussi di persone, merci
e informazioni diventano multipolari. Questo implica
che il territorio, pur mantenendo la sua struttura
reticolare, vede il modificarsi della gerarchia dei suoi
elementi, in una gerarchia di tipo “soft” (Indovina,
2009).
Il sistema reticolare conserva alcuni dei suoi nodi e
ne include di nuovi rivalutandone il ruolo all’interno
del sistema stesso.
Il mutamento del sistema ha determinato un
cambiamento del paesaggio che si presenta ora
molto “più ricco e articolato, denso di funzioni
ed esasperato nella sua mobilità. Un paesaggio
dove si possono notare: città grandi, medie e
piccole, insediamenti sparsi e piccoli borghi, zone
industriali-artigianali, ma anche attività produttive
sparse, strade mercato e poli di specializzazione
commerciale, aggregati per il divertimento, poli
sportivi, centri di governo e poli di eccellenza
non concentrati ma sparsi in tutto il territorio,
insediamenti di edilizia economica popolare, aree
agricole, campi abbandonati…”(Indovina, 2009).
È questo lo scenario dell’arcipelago metropolitano
di Indovina, ma anche della megalopoli padana
di Turri; un sistema costituito da entità separate
ma fortemente integrate, che esprimono livelli e
funzionalità di una metropoli (Indovina, 2009; Turri,
2000).
La peculiarità di questa megalopoli è quella di essere
ancora fortemente caratterizzata dalla presenza
di un territorio rurale. Il sistema urbano padano
è, infatti, secondo l’interpretazione proposta da
Insor1, costituita da poli rurali (e ruralissimi) che
però risultano avere diversa rilevanza all’interno del
territorio in maniera non strettamente legata alla
percentuale di superficie verde del comune e della
densità abitativa. Ciò mette in luce come l’importanza
dei poli non dipenda solo dalla popolazione e dalla
struttura dell’insediamento urbano, e che pur
essendo “rurali”, hanno comunque una loro rilevanza
dal punto di vista urbano.
Questo avviene perché i poli sono parte di un sistema
più ampio, di una rete, in cui ogni comune ha un
ruolo particolare, spesso legato ad una specifica
funzione. La rete riguarda i vari comuni, ma anche
i diversi poli presenti all’interno dei comuni stessi,
che interagiscono tra loro pur mantenendo una loro
23
identità. Spesso, infatti, all’interno di uno stesso
territorio comunale possono esserci diverse frazioni
e località, anche di dimensioni rilevanti; ne è un
esempio il comune di Asola nel mantovano, il cui
ambito urbano comprende il capoluogo, sei frazioni
e venti località.
Per capire il funzionamento del sistema urbano
territoriale unitario occorre guardare al locale;
se si considera la reticolarità del sistema, bisogna
guardare ai nodi. Come osserva De Matteis “solo
reintroducendo l’autonomia del locale, senza
tuttavia ignorare la potente azione delle reti globali,
possiamo aspirare a rappresentazioni sensibili del
mondo moderno” (De Matteis,2011). Il rischio in cui
non si deve incorrere tramite l’astrazione dei modelli
insediativi reticolari come quello padano, è quello di
considerare i poli come dei semplici bolli, bensì come
luoghi, tenendone presente tutte le caratteristiche e
peculiarità. Il senso di appartenenza di questi luoghi
ad un sistema più ampio non deve far appiattire le
loro differenze e il significato della loro individualità.
“Si tratta di contribuire alla costruzione di una nuova
immagine del territorio al tempo stesso globale
ma anche di grana fine, capace di dare conto del
funzionamento aggregato delle diverse parti che
emergono dalla ristrutturazione in corso ma anche
capace di restituire la particolarità delle situazioni
specifiche, colte a una scala di dettaglio molto spinto.
Un ‘immagine che sappia restituire adeguatamente
quella cultura delle molteplicità che da sempre
fa la ricchezza del nostro paese. Dove la felice
combinazione locale tra l’ambiente fisico, l’eredità
della storia e il capitale culturale esistente sembra
essere la risorsa decisiva non solo per la coesione
del sistema sociale ma anche per il suo successo
all’interno dei moderni circuiti dell’economia globale”
(Clementi, 1996).
Tentando di perseguire questo obiettivo di coniugare
il sistema all’ambito locale, alcuni elementi spesso
esclusi o non considerati nella giusta misura
nell’ambito pianificazione urbana e del territorio
potrebbero avere un ruolo decisivo nell’ottica del
progetto di paesaggio: gli insediamenti isolati.
Essi sono gli elementi urbani di dimensione più
piccola e di minor rilevanza demografica, ma spesso
di una certa rilevanza dal punto di vista culturale,
storico e identitario.
A partire dalle cascine e dalle corti rurali, elementi
urbani alla base del sistema agricolo storico,
fino ad arrivare ai borghi storici e ai centri urbani
minori con funzioni speciali o di carattere artistico,
essi potrebbero assumere il compito di costituire
un’alternativa all’invadenza delle infrastrutture e al
dilagare del costruito. “Un’alternativa che si sostiene
sul loro essere ambienti urbani preziosi, autentici
musei en plein air in grado di riverberare la propria
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24 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
qualità estetica su ampie zone del loro territorio.
Questo è il modo per far sì che la chiarezza della
struttura morfologica dell’Italia non costituisca più
un problema ma ridiventi una risorsa”( Purini, 1996).
Piccoli elementi di urbanità: una risorsa del
paesaggio rurale
Tali elementi urbani costituiscono una grande risorsa
per il paesaggio rurale, per la valorizzazione della
ricchezza e della diversità, che è il tratto distintivo
del territorio padano e italiano.
Sono elementi preziosi perché in essi si conserva
ancora quell’idea di immagine del paesaggio padano
che tanto ha ispirato scrittori, poeti, fotografi e
registi. È questa infatti l’immagine a cui fanno
riferimento foto di Luigi Ghirri e Mimmo Jodice,
film come “Novecento” di Bertolucci o “Senso” di
Luchino Visconti, testi di scrittori come Goethe nel
suo “Viaggio In Italia”.
Ciò mette in luce quanto sia importante l’aspetto
legato all’immagine e alla carica simbolica di questi
paesaggi: in esso è contenuta la loro identità e la
loro memoria. (fig. 1)
Altro aspetto da mettere in risalto è il loro stretto
legame col paesaggio a cui appartengono, che in
alcuni casi sono riusciti a conservare fino ad’ora.
Come è stato evidenziato in precedenza la ricchezza
del territorio sta nella varietà dei suoi paesaggi e dei
sui centri nodali e nell’immagine ancora fortemente
legata al suo passato rurale. Questa varietà del
territorio ha influenzato anche gli elementi legati
all’uomo e alle attività che hanno plasmato il
territorio in senso cattaneo e che si sono esplicitate
nel paesaggio in forme percepibili, iconemi, unità
elementari della percezione (Turri, 2001). In questo
senso, per quanto riguarda il rapporto tra i piccoli
insediamenti urbani e il paesaggio, abbiamo “una
varietà di situazioni locali corrispondenti a unità
di paesaggio, cioè spazi omogenei definibili anche
come micro regioni”(Turri, 1998).
È proprio a queste micro regioni a cui vogliamo
fare riferimento per meglio analizzare il tema degli
elementi isolati del territorio padano. Noteremo
infatti che ogni tipologia di elemento urbano
puntuale è correlata ad uno specifico paesaggio,
in cui sta la ragione della sua formazione e che
trae significato e qualità estetica dall’elemento
stesso. Noteremo inoltre che questi elementi, come
abbiamo evidenziato in precedenza, sono molto
spesso permanenze del passato rurale del territorio,
formatesi ed evolutesi insieme ad esso; proprio per
questo motivo in molti casi sono riusciti a mantenere
i forti caratteri di relazione col contesto ed il loro
carattere identitario.
Cercheremo di individuare ed analizzare i piccoli
elementi urbani distintivi del territorio seguendo, per
alcuni versi, la lezione braudeliana (Braudel, 1995),
partendo dalle tipologie di dimensione maggiore e
arrivando alle tipologie più elementari, descrivendole
in rapporto al contesto che li circonda e alle loro
origini storiche.
I primi elementi su cui rivolgere l’attenzione sono
i centri urbani minori: cittadine, frazioni, piccole
località. Essi hanno la stessa struttura concentrata
delle città, ma non sono caratterizzati dalla sua
densità di popolazione e dalle sue dimensioni.
Nonostante questo, come le città, si raccolgono
intorno ad una piazza, a chiese col loro campanile
o ad edifici storici, spesso degni di rilevanza. Questi
elementi oltre a raccontare il loro passato hanno una
forte carica simbolica, “impongono nel paesaggio
la forza della città”(Turri, 2001). Il campanile, in
particolare, è il primo segno di urbanità all’interno
del paesaggio, a poter esser visto da lontano.
Questi ambiti sono rilevanti, inoltre, perché hanno
promosso la valorizzazione e la trasformazione delle
campagne circostanti. Esempi di questi centri minori
sono, ad esempio, Sabbioneta e Pomponesco nel
Mantovano; nonostante le piccole dimensioni sono
centri di indiscussa rilevanza a livello territoriale per
il loro valore estetico, storico e culturale. (fig.2,3)
Come si pongano i centri minori nell’ordine
territoriale è evidente dalla loro stessa struttura, che
è fortemente correlata alla morfologia del territorio,
alla sua idrografia e alla trama delle strade. In
conseguenza a ciò possiamo notare come nell’alta
pianura la loro struttura sia quasi sempre meridiana,
con centri disposti lungo i percorsi viari o lungo i gli
elementi idrografici. Nella bassa pianura, al contrario,
l’organizzazione degli spazi avviene seguendo una
trama prevalentemente trasversale (in relazione agli
stessi fattori), ma in cui vi sono eccezioni di centri
storici con funzioni speciali che si sviluppano anche
con una trama opposta a quella prevalente (Turri,
2001).
Altri elementi di piccola urbanità sono i borghi
storici fortificati, spesso associati indissolubilmente
all’elemento del castello, apparato difensivo e
quindi con una funzione bellica, ma anche con
funzioni simboliche, del potere e del possesso
territoriale. È notevole il concentrarsi di complessi
castellani arroccati a scopo difensivo sulle colline che
delimitavano il confine dei ducati, come ad esempio
quelli che perimetravano il confine del Ducato di
Mantova nella parte settentrionale della provincia.
In altri casi sistemi di borghi si ponevano lungo
linee naturali difensive, come i corsi dei fiumi, ne
sono un esempio i borghi franchi fortificati che si
ritrovano lungo il corso dell’Oglio e dell’Adda, che
rappresentavano una forma di occupazione e di
popolamento dei territori, prima ancora del loro
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
25
Figura 1. L’immagine e la carica simbolica dei paesaggi del
territorio padano
Figura 2. Sabbioneta è un chiaro esempio di come centri
urbani minori possano avere una rilevanza a livello territoriale;
gli edifici del suo centro storico hanno un elevato valore dal
punto di vista storico, culturale ed estetico
scopo difensivo.
I castelli (o le loro rovine), quasi sempre di origine
medievale, costituiscono elementi storici permanenti,
rappresentando spesso una sorta di icona, posti
come sono, quasi sempre, su alture che dominano il
borgo storico sottostante. (fig. 4,5)
Spesso erano legati a famiglie importanti, come
gli Sforza o i Gonzaga, rappresentandone il
nome, lo stile e i princìpi. Nei secoli successivi la
manifestazione del potere sul territorio che era
rappresentata dal castello, viene assunta dai palazzi
e dalle residenze signorili di impronta urbana,
ancora più rappresentativi delle grandi famiglie che
li possedevano e delle città da sui territorialmente
dipendevano. Questa forma urbana non è più legata
al paesaggio collinare o agli elementi fluviali, al
contrario vede come suo scenario ideale il paesaggio
rurale della bassa pianura.
Infine vi è l’elemento urbano basilare del territorio
rurale: la cascina. Come la definisce Turri “essa è
insediamento e centro di produzione, fulcro dei
micro territori, delle cellule territoriali elementari, e
raccordo reticolare su cui si costruisce il territorio,
la trama organizzata delle strutture produttive e
insediative” (Turri, 2001). La cascina è l’elemento
più intimamente legato al territorio a cui appartiene,
per questo assume aspetti differenti in base al
contesto specifico, alle micro regioni, di cui fa parte.
Ciò dipende dalla sua origine e dalle corrispondenti
forme dell’organizzazione produttiva.
Nella pianura si contrappongono, in generale,
due ordinamenti che si sono progressivamente
differenziati nel tempo. Nei territori della bassa
pianura, sulla scorta di una secolare vicenda di
colonizzazione e bonifica, si è diffusa “un’impresa
di tipo capitalista organizzata in grandi cascine a
corte” (Lanzani, 2003). Gli elementi distintivi del
paesaggio sono i grandi insediamenti a corte dispersi
nelle campagne; l’orditura geometrica e ampia delle
parcelle solcate da una fitta rete di canali, l’alberatura
ai limiti dei campi e a fianco dei canali e la presenza
di piccoli borghi di servizio o di città storiche medie.
(fig. 6,7)
Nella pianura asciutta (ma anche in quella irrigua
più recentemente bonificata) troviamo un paesaggio
e una struttura agraria di origine mezzadrile, con
un ordinamento più geometrico e un insediamento
misto, talvolta assai disperso nelle campagne (nel
Veneto) talvolta concentrato in una fitta rete di borghi
(in Lombardia) più rivolti ad attività manifatturiere
che agricole. Negli insediamenti dell’area orientale
vi sono dimore unifamiliari con rustici e abitazioni
giustapposte tra loro; negli insediamenti concentrati
lombardi sono presenti edifici a corte, che differiscono
da quelli della bassa non solo perché concentrati nei
centri anziché dispersi nelle campagne, ma anche
per le dimensioni, funzioni e articolazioni differenti,
caratterizzati da un più povero sistema di annessi
rurali e dalla residenza di un’unica classe sociale
(Lanzani, 2003).
Gli insediamenti
paesaggio
isolati
nel
progetto
di
Gli elementi che abbiamo cercato di descrivere
sono quelli da cui è possibile partire per pensare ad
un progetto di paesaggio che mantenga il proprio
rapporto con la storia e che si relazioni con il sistema
territoriale e urbano, oltre che sociale, esistente.
Il territorio padano pur essendosi fortemente
modificato nell’ultimo secolo, è riuscito a mantenere
ancora ben visibile la sua struttura originaria e a
conservare la sua immagine. Non si può prescindere
il paesaggio dalla memoria, per questo è importante
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26 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 3. Sabbioneta ha mantenuto la sua struttura originaria
di città fortificata e il suo rapporto col paesaggio circostante
Figura 4. Il borgo di Castellaro Lagusello e la campagna che
lo circonda
che gli elementi iconemici che si sono conservati, a
partire dalla centuriazione romana che li ha generati,
vadano conservati ed inclusi all’interno della
progettazione del territorio, per dare un significato
preciso alle politiche di pianificazione (Turri, 1998).
Ovviamente questo intento va perseguito in un’ottica
di paesaggio in continua trasformazione, che non
può essere pensato come immutabile; per questo
non è possibile (né sarebbe corretto) salvaguardare
tutto. Ma richiamando Lynch, occorre comunque
salvaguardare un frammento, il ricordo di oggetti
e di luoghi che hanno contato per le generazioni
passate. Occorre salvaguardare nel paesaggio la
continuità sulla quale si costruisce la storia della
società (Lynch,1977), mantenere perciò dei richiami,
dei riferimenti del passato al fine “di conservare un
dialogo” con esso.
Perché ciò avvenga, non bisogna cadere nell’errore di
guardare ai singoli elementi di cui abbiamo parlato,
ma vederli all’interno del sistema di rete di cui fanno
parte, comprendendo il territorio che ne è la trama
strutturante. I progetti di paesaggio, infatti, devono
essere necessariamente progetti di relazione, sia
con gli altri elementi che col sistema territoriale che
li sottende.
Inoltre devono tenere conto delle persone che
abitano questi luoghi: non più solo contadini e
agricoltori strettamente legati al territorio dalla loro
attività lavorativa, ma anche famiglie in cerca di
luoghi più spaziosi e più a contatto con la natura che
svolgono la loro attività lavorativa altrove e persone
che vi risiedono in maniera temporanea.
In questo sistema di rete e di relazioni l’aspetto
progettuale più importante è quello che riguarda
il tema della composizione, che rifacendoci alle
lezione di Kevin Lynch potremmo definire come
“una gerarchia visiva o funzionale: un’indivi­duazione
sensibile dei canali chiave e la loro unifi­cazione come
elementi percettivi continui. Questo è il telaio per
l’immagine urbana” (Kevin Lynch, 1975). Bisogna
guardare cioè ai sistemi che legano gli elementi
strutturando il territorio, a quali sono i loro ruoli e
i loro legami all’interno di “visioni sistemiche capaci
di contenere una pluralità di elementi di progetto”
(Peraboni, 2013).
Il frammento e la discontinuità sono le figure
dominanti dell’ambiente urbano contemporaneo.
Ripensare le logiche di composizione delle parti
nell’aggregazione di un territorio già fortemente
infrastrutturato pone in luce il valore processuale
di un modello compositivo che si pone il problema
di lavorare con la frammentarietà senza rifiutarne
il ruolo innovativo nella costruzione dello spazio
urbano. Verranno proposte quindi alcune possibili
azioni progettuali attraverso le quali si possano
includere e strutturare gli insediamenti isolati
all’interno di un progetto di rete.
La prima azione è sicuramente quella di individuare
questi frammenti, gli elementi all’interno del
paesaggio che ne costituiscono una peculiarità, un
elemento caratteristico, all’interno delle tipologie
che abbiamo descritto in precedenza.
Questi elementi possono svolgere un ruolo di
strutturazione del paesaggio attivo, o semplicemente
un’azione di supporto all’interno del sistema, come
semplici elementi riconoscibili a livello visivo.
Per affidare il giusto ruolo ad ogni nodo del sistema
le azioni di riferimento sono quelle di gerarchizzare,
individuando alcuni ambiti all’interno del sistema che
possano costituire luoghi emergenti; polarizzare,
attraverso l’individuazione di ambiti guida rispetto
al sistema di appartenenza, e infine di orientare,
tramite la forma del tessuto urbano o con i percorsi
esistenti o di progetto, verso elementi rilevanti del
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
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Figura 5. I campi e i filari alle pendici di Solferino
Figura 6. Non è raro trovare cascine con tanto di torri d’angolo,
circondate da canali e filari d’alberi, che ne esaltino il senso di
chiusura verso l’esterno. Un esempio è la torre di villa Ponzone
a Rivarolo del Re, Cremona.
territorio.
La ridefinizione di gerarchie tra le parti della città
permette di configurare, al posto di un indifferenziato
tessuto costellato da elementi isolati, una struttura
forte con nodi riconoscibili. La rigerarchizzazione
è avviata a partire dall’identificazione di polarità a
differente rilevanza urbana strategica, in termini sia
di funzioni attive sia di ruolo nel contesto urbano e
all’orientamento del tessuto urbano e dei percorsi
lineari verso elementi rilevanti da mettere in
relazione col sistema gerarchico. L’individuazione
di elementi visivi nel territorio, landmarks con una
valenza identitaria e memoriale per il paesaggio,
va a costituire un sistema di supporto alla rete.
In questa categoria non vanno pensati solo gli
elementi emergenti dal punto di vista visuale, ma
anche elementi antropici e naturali dal profilo più
orizzontale, quali grandi alberi isolati, rogge, specchi
d’acqua che possano diventare punti di riferimento
significativi all’interno della rete (Peraboni, 2013).
(fig.8)
Tutte queste azioni devono essere attuate con
estrema consapevolezza del territorio su cui la rete
si struttura, cercando il più possibile di seguire la
trama dei campi, i percorsi storici esistenti, i filari di
alberi e i percorsi fluviali e di rispettare e valorizzare
le permanenze esistenti; pur tenendo conto dei flussi
di persone, delle loro attività e dei loro bisogni, che
incidono sull’ambito agricolo e periurbano. La loro
modalità di abitare il territorio è diversa da quella
di chi vi risiedeva in passato, per questo vanno
ricercati nuovi rapporti tra la sfera sociale e quella
ambientale.
Tali azioni vanno, perciò, pensate nell’ottica di poter
ancor oggi considerare la campagna come “uno
spazio alternativo allo spazio urbano, cioè spazio
verde, quindi un unico grande parco, nel senso di
parco agricolo”, in quell’idea di possibile rinascita
del triangolo verde proposta da Turri (Turri, 1998,
2004). Uno spazio in cui all’interno del tessuto
rurale debbano essere necessariamente compresi e
strutturati elementi di diverso genere e con funzioni
differenti per ricreare un nuovo spazio vivo, che
funzioni proprio grazie alla varietà dei suoi elementi
e alle loro relazioni.
La sfida di questo possibile progetto di rete è quella
di evitare che le nuove dinamiche si sovrappongano
a quelle esistenti senza instaurare con esse la
giusta relazione. I parchi agricoli e urbani, le reti
delle cascine, i sistemi storici-paesaggistici sono i
temi tramite i quali si può pensare a questo tipo di
progetto di paesaggio, ripensando l’ambiente per
mezzo dei suoi elementi e puntando sulla qualità dei
luoghi. Tali progetti devono sempre poggiare le loro
basi su analisi e progetti a scala sovralocale, che ne
garantiscano l’adeguato inserimento ed interazione
col contesto territoriale e paesaggistico in cui si
trovano; per poi poter sviluppare un progetto locale
che sia coerente con l’individualità del luogo e
sensibile verso i propri elementi di diversità, in cui
risiede la ricchezza del territorio e la potenzialità del
progetto di paesaggio.
Riferimenti bibliografici
Braudel, F. (1995), L’identità della Francia, Il Saggiatore,
Milano.
Christaller, W. (1933), Die zentralen Orte in Suddeutschland,
Gustav Fischer, Jena.
Clementi, A. et al. (1996), Le forme del territorio italiano,
Laterza, Bari.
De Matteis, G. & Lanza, C. (2011), Le città del mondo: una
geografia urbana, De Agostini Scuola, Novara.
Indovina, F. (2009), Dalla
metropolitano, Angeli, Milano.
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città
diffusa
all’arcipelago
28 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 7. In alcune corti oltre agli elementi funzionali, si possono ritrovare anche elementi di sola valenza architettonica, ispirati
ad elementi urbani. Corte Castiglioni a Casatico (Mantova) ne è un esempio, la sua struttura è caratterizzata da una torre
poligonale
Figura 8. Filari di salici nel cremonese. Anche questi elementi naturali caratteristici del territorio potrebbero essere importanti
riferimenti percettivi all’interno del progetto di paesaggio
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
29
Lanzani, A. (2003), I paesaggi italiani, Meltemi Editore, Roma.
Lynch, K. (1977), Il tempo dello spazio, Il Saggiatore, Milano.
Lynch, K. (1975), L’immagine della città, Marsilio Editori,
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Peraboni, C. et al. (2013), Attraverso paesaggi complessi,
Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna.
Turri, E. (1998), Il paesaggio come teatro: dal territorio vissuto
al territorio rappresentato, Marsilio Editori, Venezia.
Turri, E. (1998), Molti e complessi i paesaggi della pianura
lombarda, in Negri, G. et al (1998), Comprendere il paesaggio:
studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano.
Turri, E. (2000), La megalopoli padana, Marsilio Editori,
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Turri, E. (2001), Gli iconemi: storia memoria del paesaggio,
Electa, Milano.
Riferimenti iconografici
Figure 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8: fotografie di Alessia Lupi, 2014.
_________________________________________
1
L’Istituto nazionale di sociologia rurale ha proposto una
definizione che identifica il rurale come un’area caratterizzata
dalla preponderanza di superficie verde su quella edificata.
Tale definizione è stata messa a punto nella convinzione che
la densità di abitanti per km2 considerata come parametro
principale dall’Ocse e precedentemente dall’Istat, tendono
a equiparare la ruralità a una condizione di sottosviluppo e
falliscono rispetto al tentativo di cogliere la complessità dei
fenomeni esistenti nei territori rurali.
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Alessia Lupi, Piccoli elementi di urbanità nel territorio: le
potenzialità degli insediamenti isolati nel progetto di paesaggio,
in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del
paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://
www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.html, pagg. 21 - 29
Contatti: [email protected]
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SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO
Riflessioni sull’architettura rurale: il ruolo della cascina nel progetto
di paesaggio | Thoughts on rural architecture: the role of the
farmsteads in the landscape project
Ana Zilo*
abstract
abstract
Le cascine rappresentano un patrimonio di architettura
territoriale dove è possibile leggere la funzionalità
e l’organizzazione dell’agricoltura passata. Esse si
inseriscono nel paesaggio elevandone la qualità,
nella loro complessità tipologica e formale, risultato
di affinamenti secolari.
Il territorio e le cascine sono due elementi
intimamente interconnessi; si parla del manufatto
edilizio come organismo inserito in una realtà
paesistica, dove svolge il ruolo di nodo della maglia
territoriale.
The farmsteads represent an asset of local
architecture from which it is possible to extrapolate
the functionality and the organization of the past
agriculture. They fit into the landscape increasing its
value, in their formal and typological complexity, as
a result of secular refinements.
The territory and the farmsteads are two strictly
interconnected elements; the building is known as
an organism placed into a landscape reality, where it
plays the role of tangle of the territorial net.
parole chiave
key-words
cascina, architettura
territoriale
rurale,
nodi
della
maglia
farmsteads, agricultural buildings, tangle of the
territorial net
* Dottoressa in Architettura, [email protected]
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
Il paesaggio è il punto di equilibrio di un insieme
di variabili naturali e umane, e in funzione di tutte
queste variabili si configura come un’entità dinamica
in continuo divenire.
Il termine paesaggio, nel tempo, ha acquisito
almeno tre significati fondamentali: il senso che gli
attribuiscono gli artisti, quello che gli hanno conferito
i geografi, e quello attribuito dai pianificatori del
paesaggio. La sua rilevanza è affermata dalla
Convenzione Europea del Paesaggio che specifica
come il “paesaggio designa una determinata parte di
territorio, così come è percepita dalle popolazioni”;
questa è stata una delle prime modalità di approccio
al tema con una chiave interpretativa ereditata dal
paesaggio pittorico, ma è opportuno soffermarsi sul
significato di paesaggio come “bene culturale”, frutto
del recente cambiamento della sensibilità collettiva
nei confronti dell’ambiente. La concezione più
ampia di paesaggio culturale lo fa coincidere con il
paesaggio modificato dall’azione umana, il risultato
fisico del cambiamento derivante da processi
ecologici e sociali (Zerbi, 1998). Il paesaggio agrario
rientra in questa descrizione, in quanto definito come
quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle
sue attività produttive agricole, coscientemente e
sistematicamente ha impresso al paesaggio naturale
(Sereni, 1982). L’occupazione del territorio da parte
dell’uomo per l’attività agricola ha generato perciò
una serie di segni paesaggisticamente di grande
rilevanza in quanto ricchi di un notevole valore
informativo. Questo complesso di segni genera
la tessitura percettiva oltre che funzionale del
paesaggio agrario, all’interno del quale si inseriscono
altri elementi (Fabbri, 1997). Quando si parla di
architettura rurale, è quindi opportuno parlarne come
parte della più grande architettura del paesaggio, in
quanto l’architettura rurale e il paesaggio sono due
elementi intimamente interconnessi. L’approccio al
tema dunque deve partire dal manufatto edilizio
inteso come organismo architettonico inserito in una
realtà paesistica che lo ingloba e che ne è allo stesso
tempo caratterizzata e qualificata. Uno dei segni
distintivi del paesaggio agrario è rappresentato dalle
cascine, definite da Eugenio Turri iconemi, un leit
motiv della pianura lombarda e della sua identità.
Questo manufatto è sia insediamento che centro di
produzione, fulcro delle cellule territoriali elementari,
e raccordo reticolare su cui si costruisce il territorio.
Le cascine costellano le campagne, e sono i “nodi
della maglia territoriale” che caratterizza l’agricoltura
lombarda (Casati, 2004). fig. 1
Il disegno tracciato dalla maglia territoriale
è
immediatamente
individuabile,
anche
se
sottoposto
agli
sconvolgimenti
causati
dai
segni dell’urbanizzazione e delle grandi opere
infrastrutturali; le cascine rappresentano dei veri e
31
propri punti focali, e con la loro presenza sottolineano
la presa di possesso del territorio da parte dell’uomo.
Questi manufatti sono esempi di un rapporto e
di una stretta relazione tra tipologia edilizia e
organizzazione produttiva dei campi all’intorno. Le
diverse distinzioni tipologiche sono legate a questa
stretta relazione, che si è espressa attraverso
forme generalmente elementari e dettate da vari
condizionamenti, geografici, storici ed economici,
risultato di un lungo processo evolutivo che ne ha
prodotto nel corso dei secoli l’ottimizzazione e l’ha
reso un manufatto in perfetto equilibrio, in armonia,
con il paesaggio agricolo in cui è incluso.
La cascina della Pianura Padana
La bassa pianura lombarda ha i suoi elementi
distintivi nella ricchezza della sua economia agricola,
nell’originalità del suo sistema produttivo, e nei
singolari connotati del suo paesaggio agrario, dominato
dalle colture estensive di cereali e foraggere; pur
determinata da un’unica condizione geomorfologica,
dal dominio di condizioni idrografiche e pedologiche
tendenzialmente uniformi, non mancano gli ambiti
rurali di pregio, aree in cui le trame e le tessiture
costituiscono un elemento strutturale e paesaggistico
significativo (Lanzoni,2014). La nota dominante
del paesaggio lombardo è il suo geometrismo, le
prospettive che creano i rettangoli coltivati con le
loro orlature di alberi. Il geometrismo deriva dalla
centuriazione romana, e il rispetto per il suo ordine
si è conservato spesso perché a esso si legava la
distribuzione delle proprietà. Fig.2
I grandi eventi della storia hanno plasmato il
territorio, e nella Pianura Padana, dalla seconda
metà del Settecento, l’entità degli investimenti
capitalistici nell’economia terriera ha causato la crisi
dell’economia mezzadrile, e le conseguenze della
“ rivoluzione agronomica” hanno impresso, allo
sviluppo del capitalismo nelle campagne, un ritmo
ed uno slancio notevole. La classe che qui appare
come protagonista della “rivoluzione agronomica”
è quella dei grandi e medi affittuari capitalisti, che
assumono una parte decisiva nell’impresa agraria di
queste provincie. Tra le nuove forme del paesaggio
agrario, che tendono ad affermare il loro predominio
nella Pianura Padana, quella che assume in sé il
risultato di tutto il processo storico in esame è
quella della “cascina”, il nuovo centro aziendale della
grande affittanza capitalista, che diviene il centro
di riorganizzazione di tutto il paesaggio agrario. Su
settori sempre più larghi della Pianura Padana, ormai
dalla seconda metà del Settecento alla prima metà
dell’Ottocento, non è più l’azienda signorile, con la
sua tradizionale ripartizione in poderi mezzadrili,
che determina le linee di tale struttura, segnate
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32 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 1. Regolarità geometrica della trama dei campi coltivati
che funge da filo che unisce il paesaggio di ieri a quello di oggi.
La cascina si dispone come nucleo centrale del tessuto agrario.
Verrua Po (PV), Italia, Fossati Vittore (1954)
Figura 2. L’immagine della cascina è sempre accostata a
strade, fossati, filari alberati. Cascina Riposo, Luigi Ghisleri,
1970
dal percorso dei confini poderali e punteggiate
dalle sparse dimore coloniche; ma subentra l’unità
culturale della cascina, adeguata alle nuove esigenze
tecniche ed economiche di un’agricoltura che dalla
fase artigianale passa a quella della manifattura,
con considerevoli importi di capitali fissi e circolanti
e con l’impiego normale di mano d’opera salariata. Il
rinnovamento delle forme del paesaggio agrario, dei
tipi aziendali e dei rapporti di produzione all’interno
delle aziende stesse, che sono inerenti a queste
trasformazioni del sistema agrario, assumano uno
slancio ed un rilievo particolare in quei settori della
Padania dove ad accelerarne il ritmo interviene lo
sviluppo delle opere di sistemazione idraulica; è nella
Padania irrigua infatti, che dapprima si afferma e si
generalizza, come nuovo tipo aziendale dominante,
quello della cascina (Sereni, 1982). Una descrizione
significativa di questo manufatto ci viene fornita da
Gadda, che a tal proposito scrive “[…] La cascina
lombarda è il primo nucleo giurisdizionale imposto
alla terra lombarda da una “necessità” intrinseca alla
gente: il lavoro. Una cascina si distanzia dall’altra
in ragionevole misura, quanto comporta cioè la
facoltà del lavoro: quanto può adempiere di lavoro
una famiglia di contadini, o un gruppo di più famiglie
raccolte nella unità distesa del fondo. E ogni volta
che scorgiamo il fumo e poi i bruni coppi e il tetto
remoto d’una cascina, ecco un sogno è suscitato
nell’anima: un’idea di vigore, di saggezza operosa,
tenacemente fedele alle opere necessarie. Questa
dimora della vita prima e povera, della silente fatica,
sorge improvvisa dopo i salici, i pioppi, nella sua
ragione e nella sua pace, dal verde tenero della
pianura lavorata” (Gadda, 2013).
Due gli elementi da tenere in considerazione per la
costruzione di una cascina: la presenza di acqua,
quindi, la scelta di un luogo sicuro solitamente
rialzato, anche se a volte in modo impercettibile, al
riparo da eventuali pericoli di smottamenti causati
da fiumi o di altro genere; inoltre generalmente è
orientata verso sud per ricevere meglio i raggi del
sole.
La complessità tipologica e formale della cascina
lombarda è il frutto di affinamenti secolari
e
raramente si è formata come organismo unitario,
ma è cresciuta organicamente con l’aggiunta di corpi
successivi, secondo uno schema planimetrico fissato,
generalmente a corte. Più che valutare le forme della
casa rurale dal punto di vista di oggi è corretto cercare
di rintracciare nell’ambiente storico che ha prodotto
la casa rurale l’espressione più o meno cosciente
di una determinata intenzione estetica. I caratteri
estetici non sono quindi riconducibili ai particolari
decorativi, ma si riferiscono all’insieme dei rapporti
formali che regolano l’architettura della casa rurale:
dall’inserimento nelle forme del paesaggio, alle
forme volumetriche complessive, ai singoli elementi
tipologici (Barbieri & Gambi, 1970). Fig. 3
La forma esteriore della dimora a corte spesso è
davvero imponente; come detto precedentemente,
generalmente è formata da una serie di edifici ordinati
intorno ad uno spazio quadrangolare scoperto. Il
suo schema, insieme a molte varianti, è costituito
da alcuni elementi fondamentali sempre presenti
e di dimensioni ragguardevoli, dove il lato del
quadrilatero può raggiungere una lunghezza anche
di cento o centocinquanta metri. La corte è al centro
del complesso edilizio e costituisce il fulcro di ogni
attività agricola che vi viene organizzata. Lungo i suoi
margini si allinea di solito l’abitazione del proprietario
o
dell’affittuario
dell’azienda
(generalmente
caratterizzata da grande qualità estetica e da finiture
sofisticate), e situata di norma nel mezzo di un lato
minore; le dimore dei salariati, poste talora su più
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
33
Figura 3. La cascina, con la sua tipica tipologia a corte, è
il risultato di una complessa sovrapposizione di elementi,
costruiti in tempi differenti. Cremona (CR), Italia, Agostini
Giampietro (1960)
Figura 4. Zibido San Giacomo (MI), Italia, Italia, Agostini
Giampietro (1960)
piani, sono collocate di fronte alla prima; mentre
nei due lati più lunghi si trovano generalmente le
stalle, i magazzini, i rustici. Lo schema costruttivo
della corte padana è assai vario: vi sono cascine che
si raggruppano intorno a più corti, ciascuna con una
funzione produttiva diversa, oppure cascine unite a
formare un piccolo borgo; ma si incontrano anche
dimore rurali di questo tipo fortificate da torri e
fossati, in cui è evidente un’antica preoccupazione di
difesa, ed altre, in numero minore, dotate di molini
o cappelle (Pellegrini, 1979). Fig.4
Questo manufatto di architettura rurale perciò non
presenta aspetti analoghi in tutta la pianura; c’è la
cascina che rappresenta le corti più antiche legate
alla conduzione semifeudale, mezzadrile, della terra,
diffuse nell’alta pianura soprattutto, e la grande
cascina gestita secondo le regole capitalistiche
più avanzate. Questa si lega alle grandi proprietà,
mentre la prima è propria degli appoderamenti
minuti, risultato delle frammentazioni delle proprietà
e della loro valorizzazione legata ai singoli coltivatori.
Tra le due forme estreme si trovano modi di gestione
intermedi, come si ha spesso nel Mantovano, dove
manca la grande cascina estesa su proprietà. Questa
in particolare è propria delle grandi proprietà del
Cremonese, della bassa Bresciana, dove il sistema
irriguo gioca una parte importante nel sistema
produttivo. Qui il cascinaro si ritrova dentro un
cerchio palpitante di socialità, che gode di una sua
autonomia. La chiusura delle cascine verso l’esterno,
la sua immagine di edificio difeso è spesso esibita,
resa manifesta da strutture che ne fanno quasi una
sorta di fortilizio; e non è raro trovare infatti delle
cascine con tanto di torri d’angolo, proprio come i
fortilizi di età romana, come detto precedentemente
(Turri, 2001). Il punto nodale resta comunque quello
della contrapposizione fra lo schema chiuso della
cascina lombardo-milanese, e quello della corte
aperta, più proprio dell’area mantovana.
Roncai, riferendosi alla diversità tipologica delle
cascine scrive :” l’immagine del territorio lombardo
può essere percepito come un mosaico di cascine.
Il fatto che poi le cascine siano delle tessere,
una diversa dall’altra, che disegnano nel vario
accostarsi e connettersi tra loro questo territorio,
si accompagna alla constatazione documentata che
esso sia stato progettato, costruito nel tempo e
gestito coscientemente da una pluralità di individui
specializzati e diversificati per competenze.”; questi
organismi, nella loro conformazione complessiva
sono ben visibili come presidi del fondo di pertinenza
del territorio in generale. La cascina lombarda, in
considerazione della grande varietà di ambienti
che la caratterizzano, ha privilegiato sotto il profilo
delle tecniche l’utilizzo dei materiali locali, secondo
i principi di razionalità, efficienza ed economia,
caratteristica peculiare delle culture rurali (Roncai,
2004).
Per quanto riguarda la qualità estetica delle singole
parti edili della cascina da non dimenticare la
presenza di serramenti, non raramente rifiniti con
lacche e dorature, pavimenti in legno, talvolta
mosaicato, presenza di camini, ecc. Più che parlare
di edilizia rurale come edilizia povera perciò, è
opportuno parlarne come un’edilizia funzionale.
Infatti Roncai, scrivendo a tal proposito afferma :”La
cascina è una tipologia architettonica che non può
essere semplicemente definita popolare o spontanea,
ma al contrario deve essere considerata “colta”,
caratterizzata come è da essenzialità, funzionalità, da
un’estetica sempre adeguata alle risorse disponibili e
da praticità nella gestione. Il territorio, inteso come
sommatoria di cascine, appare allora come un’entità,
una costruzione formata da plurimi componenti,
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34 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 5. Nel Mantovano, 1996, Giorgio G. Negri, 1996
ciascuno diverso dall’altro: non un territorio
anonimo, bensì, si potrebbe dire, griffato in ogni sua
parte” (Roncai, 2004). Questo manufatto edilizio è
una forma in continua evoluzione che obbedisce alla
variazione delle tre cause determinanti principali:
materiale edilizio, clima ed economia agricola.
Nonostante la disparità di forme che la cascina è
andata assumendo sono riconoscibili alcuni elementi
ricorrenti che hanno svolto un ruolo importante nella
definizione di questa architettura, contribuendo alla
sua ottimizzazione in funzione dell’uso e rendendola
un manufatto in equilibrio con il paesaggio agrario.
Questi elementi sono:
• adattamento alla morfologia del sito: il manufatto
edilizio è strettamente legato all’andamento
morfologico del sito sul quale è collocato;
• uso di materiali locali: questa necessità ha
contribuito a rendere il manufatto architettonico
una parte integrante del paesaggio circostante;
• organizzazione spaziale strettamente legata
alla produzione agricola e/o silvopastorale: la
funzione produttiva dell’insediamento è sempre
chiaramente leggibile nell’insediamento di tipo
isolato.
Fig. 5
Nell’ultimo dopoguerra, sono intervenuti nella
campagna padana e nelle case rurali in cui essa
organizza il suo lavoro e la sua vita, modificazioni
rapidissime che hanno trasformato e spesso sconvolto
realtà evolute lentamente con il lavoro di secoli. La
drastica trasformazione subita negli ultimi anni dalle
campagne, con la scomparsa delle piantate alberate,
la sostituzione di una trama fitta ricca di elementi
diversi, con una trama larga contrassegnata da pochi
elementi dovuta al passaggio alla monocoltura,
ha causato una semplificazione del territorio
sia dal punto di vista ecologico che percettivo,
dove all’occhio è consentito spingersi sempre più
lontano. Dall’osservazione attuale della casa rurale
padana se ne evidenziano contemporaneamente le
antiche tradizioni, maturate in tempi anche lontani
e, insieme, le nuove funzioni sovrappostesi alle
prime in conseguenza di grandi novità intervenute
nel frattempo. Queste sono la perduta supremazia
delle produzioni agricole sull’economia del territorio,
l’abbandono dei campi da parte degli immigrati urbani,
la nuova destinazione abitativa delle antiche sedi
rurali per una popolazione la cui attività prevalente
si svolge ormai nel settore secondario e terziario. La
casa rurale deve dunque oggi porsi al servizio di una
economia agricola profondamente diversa da quella
per la quale era stata costruita e, addirittura, di
una popolazione extra-agricola del tutto imprevista.
Ciò comporta alcuni mutamenti vistosi nello stesso
aspetto delle sedi rurali, abbastanza simili in tutte
le zone della Padania, che hanno subito i fenomeni
appena elencati (Pellegrini, 1979). Da un paesaggio
a forte identità, perché molto specifico di ogni
singolo luogo e condizione, si è passati, attraverso
queste trasformazioni spesso rapide e violente, a un
tipo di paesaggio dal carattere anonimo condizionato
non dalle caratteristiche dello specifico luogo ma
dalle necessità di un mercato sempre meno locale. Il
passaggio da un tipo di paesaggio agrario tradizionale
a un tipo di paesaggio agrario moderno ha costituito,
a parte gli aspetti produttivi, una forma di degrado,
dovuta alla perdita repentina dei valori culturali ed
ecologici sedimentatisi nel corso della storia. Oggi si
assiste a un paesaggio agrario semplificato nella sua
costituzione organizzativa: a una trama fitta, ricca
di elementi diversi si è sostituita una trama larga,
contrassegnata da pochissimi elementi diversi, che
rappresenta un disastro dal punto di vista ecologico
oltre che percettivo (Fabbri, 1997).
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
Conclusioni
In questo contesto la dimora rurale, nonostante in
questi anni abbia conosciuto un rapido processo
di emarginazione in quanto non più funzionale ai
nuovi sistemi produttivi, resta l’ultimo anello di
congiungimento con quella civiltà contadina che
è fiorita per secoli nella Padania, trasmettendo
anche agli uomini d’oggi un grande messaggio di
laboriosità e di possibilità d’umanizzare la natura,
nel rispetto dei suoi equilibri essenziali (Pellegrini,
1979). Anche se i sistemi coltivati attuali sono
enormemente diversi da quelli del passato, il filo che
unisce il paesaggio di ieri e di oggi si trova nella
regolarità geometrica della trama dei campi. Questa
è la costante, il segno primario dell’antropizzazione
di un territorio. In questa trama la cascina si dispone
come nucleo centrale del tessuto agricolo, come
permanenza nella continua variazione dell’intorno
naturale, perciò l’approccio al tema progettuale deve
partire dal manufatto edilizio.
La gravità della situazione riguardante il futuro
dell’edilizia rurale è legata proprio al venir meno
dell’intimo legame evolutivo fra edificio tradizionale
e territorio. La cascina storica non è più funzionale
infatti alle tecniche produttive attuali, a quella
industrializzazione agricola che guarda al territorio
con una logica di uso e sfruttamento intensivo,
ben diversa dal rispetto originario del contadino
verso la terra. L’emarginazione e l’abbandono
conseguenti rendono difficile la possibilità di un suo
recupero, non solo dal punto di vista economico o
funzionale. Prima che di una sconfitta fisica si tratta
però di una sconfitta culturale, di quella cultura del
recupero e della trasformazione che rendono la
corte tradizionale un organismo vivente in continua
evoluzione e adattamento. Oggi gli edifici produttivi
sono sostituiti da prefabbricati in cemento armato
totalmente indifferenti all’ambiente. Le vecchie
residenze padronali sono anch’esse abbandonale.
Qualora siano state risparmiate, le corti risultano
spesso stravolte nei loro caratteri stilistici (Giovannini,
Parmigiani, 2000). Un obiettivo della pianificazione
in ambito agricolo deve essere quello di gestire lo
sviluppo di questo bene, senza snaturarlo: da un
lato ci sarà il bisogno di salvaguardare il bene, ma
dall’altro ci sarà la necessità di usarlo con finalità
spesso diverse da quelle per cui è nato, e quindi con
necessità di trasformazioni anche profonde.
La cascina, simbolo di una tradizione legata a
memorie lontane, si propone oggi più che mai
come luogo reale di equilibrio ambientale, sistema
di produzione integrata basato sulla filiera corta
che può valorizzare la qualità e la convenienza dei
materiali. Se si interviene, la cascina può diventare
avamposto di pratiche sostenibili e biodiversità e
35
reinventare il vivere ad alta qualità ambientale e
sociale. Intervenendo sulle cascine, riqualificandole
e mettendole a sistema è possibile mettere in
campo progetti di difesa attiva contro l’erosione del
territorio.
La pianura lombarda fa parte di quell’ambito
territoriale che Turri ha definito come megalopoli
padana, in cui si assiste alla mancanza del senso dello
spazio vivo e percepito, della sua unità, della sua
organicità, impoverita dalla perdita dei riferimenti
identitari. Tutt’oggi la bassa pianura possiede
una struttura fondata su una fitta rete di centri
gerarchizzati, che ricalca l’originale organizzazione
agricola legata alla cascina; perché la bassa pianura
sia vivibile e questo spazio si conservi come area
verde, deve conservare la sua identità, diversità,
e deve mantenere la produttività. Proprio le forze
produttive che spingono continuamente il paesaggio
a mutare, hanno contribuito a far emergere il bisogno
di conservazione degli elementi identitari: tutela delle
identità della pianura irrigua e difesa dall’invadenza
della urbanizzazione che emana l’alta pianura, difesa
che dovrebbe essere assicurata dagli stessi piani
territoriali-paesistici, che impongono rispetto alla
sacralità dei luoghi di valenza culturale; non solo,
ma tra i compiti dei piani territoriali-paesistici ci
dovrebbe essere anche quello di valorizzare ancor
più le qualità della campagna, in modo che essa sia
considerata non solo un territorio per la produzione
ma anche uno spazio che si distingua da quello
urbanizzato o semiurbanizzato: cioè il triangolo
verde, il cuore agricolo padano. Perciò, se è vero
che il paesaggio è destinato a trasformarsi sotto
le esigenze continuamente mutevoli delle forze
produttive, è anche vero che fondamentale resta il
bisogno di conservazione di quegli elementi da cui
esso deriva la sua identità, le sue peculiarità, che
variano da una zona all’altra, anche in rapporto agli
influssi che può avervi diffuso la cultura urbana, o
che comunque può avervi depositato la storia (Turri,
2000).
Proporre un progetto di rete significa attribuire
al sistema una funzione strutturale, in grado di
orientare le trasformazioni insediative, quelle
ecologiche (per quanto riguarda il recupero del
sistema ambientale) e una funzione relazionale
per incentivare il collegamento delle risorse. Il
disegno delle reti riveste un peso determinante nel
progetto contemporaneo per la riqualificazione. La
messa in rete di questi elementi potrebbe risultare
una risposta valida all’interno del più ampio
progetto di paesaggio. L’utilizzo di un progetto
di rete permetterebbe di recuperare il paesaggio
agrario, valorizzando le risorse naturali e culturali;
rappresenterebbe una strategia efficace per la
pianificazione dell’assetto del territorio rurale. Inoltre
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36 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
sarebbe possibile comprendere come il territorio sia
stato costruito attraverso il tempo, recuperando il
senso dell’identità dei luoghi. La messa in rete e
la sistematizzazione delle cascine, attraverso un
percorso di fruibilità e accessibilità consentirebbe
di far conoscere e valorizzare il sistema produttivo,
alimentare, ambientale e sociale rappresentato
da questi luoghi, il loro posizionamento rispetto al
territorio metropolitano, l’offerta enogastronomica
e il valore della cultura materiale, in un ottica in
cui viene valorizzato “il piccolo elemento” nella
“complessità del paesaggio”.
studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano.
Figura 3: Cremona (CR), Italia, Agostini Giampietro (1960),
immagine tratta da Negri, G. (2004, a cura di) Il campo e la
cascina, Diabasis, Reggio Emilia.
Figura 4: Zibido San Giacomo (MI), Italia, Agostini Giampietro
(1960), immagine tratta da Negri, G. (2004, a cura di) Il
campo e la cascina, Diabasis, Reggio Emilia.
Figura 5: Nel mantovano 1996, Giorgio G.Negri, immagine
tratta Negri, G. et al (1998, a cura di) Comprendere il
paesaggio: studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano.
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immagine tratta da Negri, G. (2004, a cura di) Il campo e la
cascina, Diabasis, Reggio Emilia.
Figura 2: Cascina Riposo 1970, Luigi Ghisleri, immagine tratta
da Negri, G. et al (1998, a cura di) Comprendere il paesaggio:
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Ana Zilo, Riflessioni sull’architettura rurale: il ruolo della
cascina nel progetto di paesaggio, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno
3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/
quaderni/index.html, pagg. 30 - 36
Contatti: [email protected]
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SEZIONE I - IL RUOLO DEL PICCOLO NEL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DEL PAESAGGIO
I toponimi rurali delle Cinque Terre, piccoli e grandi luoghi di ieri e
di oggi | The rural place names of the Cinque Terre, small and large
places ancient and modern
Maristella Storti*
abstract
abstract
Nelle Cinque Terre lo studio dei toponimi rurali (o
luoghi detti) permette di scoprire le trame più minute
di questo contesto agrario. Sono nomi catastali,
antichi e recenti, di spiagge, scogli, torrenti, sentieri,
vie e mulattiere, emergenze architettoniche,
appezzamenti terrieri, terrazze viticole e casette
rurali, in relazione a nomi propri, tradizioni, leggende
e miti. Sono tasselli di micro-storie locali da lente di
ingrandimento utili per la definizione di strategie e
mappe progettuali.
In the Cinque Terre the study of the rural place
names (also known as said places) allows us to
discover the smaller elements of this agricultural
context. They are ancient and modern cadastral
names of beaches, rocks, creeks, roads, paths
and mule tracks, monuments, landed properties,
terrace-cultivations and rural cottages, associated
with people names, traditions, legends and myths.
The rural place names are part of local micro-stories
for the construction of planning maps.
parole chiave
key words
paesaggio storico-agrario, toponimi rurali, Mappa
dei Luoghi Detti
historical and agricultural landscape, Rural place
names, Map of the Said Places.
* Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di
Firenze
Architetto, Insegnante
[email protected]
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38 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
La sfida lanciata dallo studio iniziato nel 2000 (Storti,
2004) è stata quella di cercare degli indicatori
storici di livello territoriale e locale da cui attingere
informazioni puntuali per avvalorare la sostenibilità di
progetti volti alla conservazione e alla valorizzazione
di un paesaggio.
L’ambito sul quale è stata testata la praticabilità e
la validità del metodo di ricerca proposto (Storti,
2007a e 2009), corrisponde al paesaggio culturale
delle Cinque Terre nella Provincia della Spezia, nel
1997 dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Mondiale
dell’Umanità (con Portovenere e isole) e nel 1999
divenuto Parco Nazionale.
Studiando in tempi differenti i sub-ambiti dei comuni
di Riomaggiore, Vernazza e Monterosso al Mare,
ci si è resi conto delle peculiarità di ogni specifico
contesto territoriale ma la volontà di elaborare uno
studio rigoroso e applicabile anche a realtà diverse
tra loro, ha indotto a cercare un denominatore
comune da cui trarre elementi di conoscenza. Poiché
un altro assunto del metodo è stato quello che la
giustificazione dell’eccezionalità di un paesaggio
e della necessità della sua conservazione attiva
va ricercata nella storia, cioè nello studio della
stratificazione degli eventi naturali ed antropici
che lo hanno modellato, le fonti documentali scelte
sono state i catasti descrittivi del passato e la
cartografia storica, a confronto con le immagini più
recenti. Ciò che ha dato avvio alle ricerche svolte
è la consapevolezza che l’esemplarità delle Cinque
Terre non si deve all’incanto suscitato dal contesto
naturale (seppur notevole), ma all’intervento
dell’uomo che ha pesantemente trasformato i
pendii naturali in terrazze pur di farne terreno
coltivabile. Se quindi le Cinque Terre sono esempio
di un paesaggio culturale altamente antropizzato,
è lecito partire dai catasti storici per sapere quale
fosse l’aspetto di questi luoghi in epoche ancora
lontane dalle prime restituzioni fotografiche e in
cui la principale fonte di sostentamento derivava
dalla coltivazione delle campagne. In particolare, i
catasti si sono rivelati uno strumento indispensabile
per conciliare una visione utilitaristica del territorio
con quella poetica e sognante che vede le Cinque
Terre come un luogo mitico. In realtà, per quanto
sia uno scenario affascinante, è nato dalla fatica
fisica di generazioni di uomini e donne che, erigendo
muretti a secco e terrazze sfidando la gravità,
hanno reso coltivabili anche i pendii più scoscesi.
Lo studio condotto, quindi, ha cercato di ridare
dignità e visibilità al nome dei luoghi, affinché non
si perda memoria di questi importanti tasselli del
paesaggio rurale. Inoltre, nell’intento di cartografare
i numerosi toponimi delle proprietà delle Cinque
Terre, si è costruita la “Mappa dei Luoghi Detti” come
il tentativo di arginare il depauperamento culturale
dell’immagine del paesaggio: associando a ciascun
nome la sua identità, si può suggerire un recupero
rispettoso del passato e attento alla fruizione futura.
Dal piccolo al grande: i nomi dei luoghi
Dall’analisi dei catasti descrittivi è stato possibile
risalire ai possedimenti (edifici e/o terreni) detenuti
da ciascun proprietario di ogni comunità delle Cinque
Terre alle epoche esaminate, ma ciò che si è rivelato
più utile è stato aggregare i dati raccolti per luoghi
detti e per tipo di destinazione d’uso. Nei catasti del
passato per luogo detto si intende la località in cui
era posto un dato bene, ma non è solo un modo
per indicare un’area al tempo in cui non esisteva
ancora il concetto di mappale per delimitare e
quantificare una proprietà immobiliare; i luoghi detti
sono i nomi delle singole proprietà di una comunità
e danno vita a quella ricchezza lessicale che
caratterizza il paesaggio della società tradizionale,
dove ogni sasso, ogni albero, ogni scoglio, ogni
angolo di terra sembra appartenere ad una precisa
denominazione areale o puntuale. Questo perché
la completa dominazione antropica del territorio un
tempo corrispondeva ad un’attenta conoscenza dello
stesso, laddove la necessità di censire a fini fiscali
tutti i beni patrimoniali privati o collettivi imponeva
l’individuazione precisa di ogni singola proprietà.
I luoghi detti si sono rivelati degli indispensabili
strumenti di lettura per andare dal “piccolo” al
“grande”, dalla storia passata all’oggi, dall’ambito
comunale a quello locale di ogni singolo patrimonio,
poiché si portano dietro tutta una serie di
informazioni utili alla conoscenza del paesaggio
attuale. Nelle ricerche svolte si è visto come i nomi
dei luoghi relativi alle campagne delle Cinque Terre
possano avere origine dalla conformazione fisica
del territorio, dall’ambiente naturale o dalle vicende
storiche attraversate oppure, ancora, come vi siano
toponimi che ricordano cognomi o soprannomi di
determinate famiglie o personaggi di rilievo per
fama, per ricchezza o perché provenienti da altre
località “esterne” alle Cinque Terre.
Mentre nei contesti urbani la toponomastica locale
ricorda i nomi di quartieri, vie, slarghi, scalinate e
piazze, quelli relativi alle proprietà coltivate sono
trascritti con sistematicità solo nelle mappe catastali
ma, di contro, nella maggioranza dei casi, queste
cartografie riportano solo una piccola percentuale
dei nomi “rurali”, cioè quelli più noti e corrispondenti
ad areali abbastanza vasti.
I sotto-toponimi, le peculiarità di ogni singolo luogo,
sono ormai individuabili solo nei catasti descrittivi del
passato o permangono nel ricordo di chi ha vissuto,
fruendolo, quel paesaggio.
Come in tutta l’area spezzina abbiamo nomi di diversa
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
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Figura 1. L’Eremo di Don Fresco presso il luogo detto Beccara
a Riomaggiore
Figura 2. Gli orti murati “montaliani” a Monterosso al Mare
provenienza1, e per quanto riguarda i toponimi delle
Cinque Terre, in particolare, sembra che si possano
ipotizzare delle distinzioni geografiche per la loro
derivazione etimologica, cosicché se a Vernazza la
maggior parte di questi risultano di origine romanza,
a Corniglia si può supporre una suddivisione
“altimetrica” degli stessi visto che salendo dalla
costa verso il crinale spartiacque, fino ai 200 m.
circa s.l.m., si hanno soprattutto toponimi di origine
romana, come Perusana, Cataschi, Cerexa, Pàstine
mentre oltre questa altitudine, l’origine risulta
prevalentemente longobarda, come Gaginara o
Fornacchi.
Per quanto concerne i borghi principali, molte fonti
riconoscono l’origine romana dei termini Corniglia
(da Cornelius) e Vernazza (da Vulnetia) ma, ai
nostri fini, sembra affascinante anche l’ipotesi di
un’origine più legata alle peculiarità morfologiche e
socio-economiche di queste terre e quindi Corniglia
da Corno, “promontorio sul mare” e Vernazza da
Vernaccia, cioè dal famoso vino esportato in epoche
remote anche in Francia e in Inghilterra. Inoltre,
mentre il termine Riomaggiore deriva dal nome del
torrente (Rivo Maggiore) che attraversa la valle e che
un tempo passava a cielo aperto all’interno del borgo
fino al mare, l’origine di Manarola è più discutibile;
il nome dialettale A Manaea deriverebbe da Manium
Aea, la penisola dei morti, oppure da Manium Aeaee,
l’isola dei morti, ossia dal nome del luogo in cui fu
fondato il nuovo borgo che probabilmente nel lontano
passato fu dedicato al culto dei defunti. Non a caso,
la più acclive delle lame rocciose che si gettano in
mare sotto al borgo, viene ancora oggi chiamata Il
salto del diavolo. Infine, per il locus di Monterosso
(Monte Russo), in questa sede si condivide l’ipotesi
che il toponimo derivi dal colore rossiccio del terreno
dei balzi che lo [Monterosso] circondano (Casalis,
1854: 265-268), piuttosto che dal colore dei capelli
del Marchese obertengo che qui edificò il suo castello
(Redoano Coppedè, 1962-63: 23; Gritta, 1972: 5052).
Molti toponimi derivano dalle caratteristiche
fisiche del territorio, come Valle Scura, Canaletto,
Vallelungo (lungo scivolo), Vaipozzi (luogo dove vi
erano sorgenti), l’Ombrido (zona poco soleggiata),
Valletto (ruscello), Monte Acuto, Costa Piatta,
Monticello. I termini “frane” e “lame” identificano
ripidi pendii tipici di quest’area costiera, così nei
catasti si trovano voci come Lama di Bansuola
(Manarola), Frana di Serra (Riomaggiore) o Lama di
Guvano (Corniglia), mentre il toponimo Le Rocche
identifica in tutte le Cinque Terre le parti scoscese
sul mare particolarmente favorevoli alla coltivazione
della vite, grazie alla buona esposizione naturale,
e richiama lo storico vitigno denominato Roccese
decantato da tanti poeti e letterati del passato.
Alcuni toponimi rivelano le dimensioni dei luoghi, come
Monte Grosso, Bricco de Costalunga (protuberanza di
una costa lunga), Campo (appezzamento di terreno
più grande del tradizionale ciàn, la tipica “terrazza”
coltivata a vite delle Cinque Terre) o Campetto,
Costa Grossa. Altri, invece, riflettono la tradizionale
destinazione colturale come Castagnoli, Ginestra,
Faggiorello, Tra la Vigna, Serra di Murte (colle di
mirto), Zunché (da salice), Cerexede (dal latino
cerasus, ciliegi), Lardarina (dal tardo-romano aridus,
terreno arido) e Olivella. Altri toponimi derivano da
nomi propri come Pagano, Bordone, Cà d’Ercole, Cà
di Zanetto, Capanna di Giona (dove “capanna” sta
ad indicare una casetta rurale), Case Rossi, Scoglio
di Galeno (Storti, 2009: 99-103).
Vi sono toponimi di livello territoriale che rimandano
al nome di un animale e, di conseguenza, ad
un’usanza antica per indicare un passo montano
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40 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 3. La Costa di Corniolo tra Riomaggiore e Manarola:
schema esplicativo dell’orografia del sito
Figura 4. L’assetto colturale della Costa di Corniolo al 1643:
anche nelle Figure che seguono, si evidenziano in nero i
sentieri storici, in rosso le casette rurali, le righe con tacchette
evidenziano le fasce coltivate a vite, i pallini verdi le piante
arboree come oliveti o impianti misti e in marrone i castagneti
dove transitava una via, usando la stessa parola
latina salto, la quale designava i passi montani
nell’epoca romana2. Nel territorio di Monterosso al
Mare si sono individuati, grazie alle testimonianze
orali, nomi di particolare interesse come il Salto della
Volpe e il Passo della Volpe che richiamano l’origine
etimologica vista sopra, mentre dai catasti descrittivi
non si rilevano voci di questo tipo ma termini che
rimandano a nomi di animali con altro significato,
come Cravamorta (o Capramorta) e Cavallaranga,
quest’ultimo forse legato ai secoli passati e ai luoghi
dove si effettuava il cambio dei cavalli.
Dal nome dei luoghi, inoltre, si traggono notizie
interessanti per quanto concerne l’organizzazione
territoriale del tempo; se fra gli elementi di
confinazione fra una proprietà e l’altra vengono citati
sovente la Valle, la Costa, il Canale, il Valetto, la
Strada, la Via e il Viarello, non mancano riferimenti a
nomi di Beni di Chiese, Cappelle e Hospitali, nonché a
luoghi di interesse collettivo come la Bandita (bosco
comunale) o l’Acquedotto, dove con quest’ultimo
termine viene indicata la presenza di un bèudo, cioè
di una condotta dell’acqua (Calvini, 1984: 65).
Dai catasti si rilevano anche riferimenti alle pratiche
religiose, come le “rogazioni”, che ricordano quanto
fossero forti un tempo i legami fra fede e lavoro,
visto che in caso di calamità naturali o di disgrazie, il
ricorrere alla preghiera individuale e collettiva (come
ricorda, ad esempio, il nome Scalinata del Rosario
a Manarola) era una prassi consolidata; il rivolgersi
al divino significava scongiurare il peggio. Per tutte
le campagne erano disseminate edicole votive,
celate talvolta da piccole nicchie in pietra: erano
punti di preghiera, di incontro o di devozione che
testimoniano quanto il forte senso religioso aiutasse
la comunità a far fronte ai disagi di una vita spesa in
luoghi così impervi e difficili da coltivare.
Vi sono, infine, luoghi evocati nei racconti degli
abitanti delle Cinque Terre a proposito di emigrazioni
di familiari, di episodi bellici, di leggende su “luoghi
magici”, come l’Eremo di Don Fresco a Riomaggiore,
lo scoglio di Galeno e gli orti murati a Monterosso al
Mare, questi ultimi tanto decantati dal poeta Montale
(figg. 1, 2); luoghi da cui emerge il forte legame
fra i caratteri del paesaggio e la quotidianità, dove
anche il bicchiere di vino”, u vìn dûŝe, chiamato poi
lo “sciacchetrà” tipico delle Cinque Terre, entra con
forza nelle descrizioni.
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze
luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/
Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
Figura 5. L’assetto colturale della Costa di Corniolo al 1799
Il racconto paesistico attraverso i catasti
Il riconoscimento dei nomi catastali del passato
richiede una sorta di progettualità condivisa che si
basa su tre operazioni fondamentali: il reperimento
dei dati di tipo archivistico; le testimonianze orali
e i rilevamenti sul campo. L’operazione di “ascolto”
è duplice, a confronto con il paesaggio reale: dalla
“voce” del passato racchiusa negli estimi catastali,
si passa a quella del presente di chi abita e fruisce
quel territorio3.
Grazie alla localizzazione e all’analisi dei dati relativi
al tipo di attività e/o colture presenti, si può seguire
la “storia” di ogni luogo detto relativo ai borghi o
alle campagne delle Cinque Terre, da quelli più
piccoli e di poco valore a quelli più vasti e di pregio,
andando a delineare in modo sempre più raffinato
lo “scenario” da cui trarre un’idea di quale fosse il
grado e il tipo di uso del suolo ad una data epoca. È
possibile quindi rilevare il “racconto” di ogni località
coltivata, o insieme di località, dove la simulazione
dei cambiamenti colturali nel tempo permette di
collegare i dati descrittivi del XVII secolo con quelli
41
Figura 6. L’assetto colturale della Costa di Corniolo al 1918-32
successivi e recenti4.
A titolo di esempio, si riportano in estrema sintesi
gli schemi interpretativi effettuati all’interno delle
ricerche svolte, che riguardano la Costa di Corniolo,
ovvero uno dei luoghi più interessanti del paesaggio
storico-agrario terrazzato delle Cinque Terre.
Situato su di un alto promontorio tra Riomaggiore e
Manarola, questo luogo è visibile da ogni punto del
territorio e individua oggi una vasta area facilmente
riconoscibile perché caratterizzata dalle nuove
terrazze viticole recentemente recuperate dal Parco
Nazionale delle Cinque Terre. La lettura diacronica
dei catasti permette di seguire i cambiamenti del
paesaggio attraverso le destinazioni d’uso attribuite
per poi passare dagli schemi esplicativi del passato
alle cartoline e alle foto d’epoca, fino alle immagini
più recenti, confrontando quindi la realtà con il
trend evolutivo proposto. Dagli schemi esplicativi si
può evincere l’estensione del vignato rispetto alle
altre colture nella Costa di Corniolo nel corso del
tempo5, fino all’assetto di monocoltura della vite e
la modellazione a terrazze che caratterizza i fianchi
del promontorio dai primi decenni del Novecento in
poi, fino ad individuare quella fase decrescente della
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42 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 7. La costa di Corniolo in una cartolina d’epoca del
1939, in primo piano il versante secondario caratterizzato dal
borgo di Riomaggiore: l’immagine evidenzia l’andamento delle
fasce terrazzate su tutti i versanti
Figura 8. La Costa di Corniolo in una cartolina d’epoca degli
anni Settanta del Novecento:l’immagine mostra la graduale
risalita della macchia mediterranea che ha caratterizzato il
luogo dagli anni Cinquanta del Novecento
metà del XX secolo che gradualmente vede di nuovo
la risalita della macchia mediterranea in conseguenza
dell’abbandono delle campagne coltivate (figg. 3-9).
La lettura diacronica per luoghi, estesa a tutto il
territorio delle Cinque Terre, permette di elaborare
gli scenari temporali sugli assetti colturali alle
epoche esaminate, per poi passare all’incrocio di
queste informazioni con i data-base più recenti, fino
al confronto con l’ultima immagine da satellite.
La sovrapposizione degli scenari temporali dà
luogo ad un’unica mappa dove la lettura diacronica
per epoche lascia il posto ad una composizione
sincronica; una “rete” sovrapposta al paesaggio
attuale, alla sua tridimensionalità.
di base su cui intervenire per ridare forza e vitalità
a questo “sistema” rurale (fig. 10). La MLD risulta
anche “mappa delle potenzialità progettuali”, cioè
un utile strumento per orientare gli interventi
attuali nel rispetto delle peculiarità del paesaggio
storico e della sua fruizione nel tempo. Questo
perché le denominazioni delle località permettono di
circoscrivere opportunamente le aree d’intervento,
andando ad approfondire la conoscenza dei siti nel
lungo periodo, i loro cambiamenti relativi all’assetto
colturale e all’uso del suolo e le peculiarità storiche
delle singole coltivazioni. La conoscenza degli assetti
colturali “storici” consente di rilevare una prima
serie di dati che devono poi essere approfonditi
in sede di progetto attraverso precise campagne
archeologiche, pedologiche e geobotaniche, mentre
per quanto riguarda i percorsi, la mappa richiama a
opportuni studi puntuali di ripristino e valorizzazione
gerarchica degli stessi, in quanto “filtri” di questi
nuovi itinerari culturali.
Nella società odierna, infatti, la ricerca di una
maggiore qualità della vita porta sempre più al
riconoscimento del “piccolo” e del “bello” come
sinonimi di “unico”, “singolare”, “originale”: il turista
apprezza la piccola ricettività dando valore alla
genuinità e alla riscoperta delle tradizioni locali, il
consumatore consapevole vuole sempre più trovare
un proprio riferimento direttamente nel produttore,
guardarlo negli occhi, visitare i luoghi di produzione,
riconoscere i prodotti tipici di un territorio. Mentre
la MLD accompagna e conclude la lettura storicocartografica e archivistica dei luoghi detti, la
costruzione su di essa di uno “straviario rurale”
potrebbe costituire lo strumento capace di condurre
all’implementazione della ricerca, rispondendo ad
una duplice funzione: da un lato la costruzione di
una “guida alle modalità di fruizione della rete
La “Mappa dei Luoghi Detti” tra memoria e
progetto
Se con la lettura dei catasti si è passati dal piccolo
al grande e viceversa, dal particolare al generale,
dal privato al pubblico, il passo successivo è stato
quello di creare la “Mappa dei Luoghi Detti” (MLD),
cioè una mappa costruita su una foto satellitare
recente sulla quale sono stati riportati tutti i luoghi
detti che ad oggi è stato possibile localizzare, tutta
la viabilità e la sentieristica in uso o che potrebbe
essere riutilizzata, le emergenze architettoniche e
quelle storico-culturali in genere, l’individuazione di
punti di particolare interesse panoramico, storico,
ambientale, paesistico. Le singole micro-storie
entrano a far parte di un “sistema” in cui ogni luogo
detto è “indicatore” di una precisa zona, grande o
piccola che sia, e della sua identità, mentre i percorsi
tradizionali rappresentano le modalità di fruizione
della stessa6.
“Polarità” (i luoghi) e “assialità” (i percorsi) risultano
allora i punti fermi e densi della “rete”, il “canovaccio”
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
43
Figura 9. La Costa di Corniolo al 2006: in primo piano il borgo
di Riomaggiore e alle spalle il promontorio del Corniolo dove
si individuano gli interventi effettuati dal Parco Nazionale delle
Cinque Terre per ripulire le terrazze viticole dalla macchia
mediterranea. L’immagine mostra l’intero panorama costiero
delle Cinque Terre
Figura 10. Stralcio della Mappa dei Luoghi Detti, particolare sul
comune di Vernazza
rurale” (sentieri e percorsi praticabili); dall’altro,
la trasposizione in ambiente GIS dei diversi “livelli”
d’informazione spazio-temporali raccolti.
Infatti, i toponimi delimitano aree sempre più vaste,
così come le coltivazioni diminuiscono in numero e
varietà, mentre le famiglie diversificano le proprie
attività lavorative, non più necessariamente legate
alla terra. Di conseguenza, lo scenario degli ultimi
anni è quello di un paesaggio “anonimo”, spoglio dei
suoi elementi strutturali, dove il grave scollamento
tra borghi e territorio circostante ha portato
all’abbandono fisico accompagnato dalla perdita
della memoria collettiva dei luoghi costitutivi del
paesaggio storico.
I paesaggi colturali analizzati dimostrano l’importanza,
per queste terre, della policoltura (che in epoche
ben precise ha affiancato la monocoltura della vite),
della “sapiente” e straordinaria commistione che si è
creata nel tempo fra condizioni naturali di partenza e
trasformazioni antropiche. Inoltre, si è approfondito
il ruolo fondamentale di quella parte territoriale “al di
là dei Monti” (oltre il crinale principale spartiacque)
per l’intero sistema economico delle Cinque Terre.
Una divisione geografica fra mare e “terra” che
ha risposto alle necessità di sussistenza in periodi
storici ben precisi: la montagna come risorsa, come
rifugio, come contatto con le valli interne; il mare
come opportunità, come via di fuga verso altri mondi
e come arrivo, come porta di accesso della notorietà
e del turismo.
La “chiave di lettura” fornita dai luoghi detti si è
dimostrata un buon filo conduttore della conoscenza,
laddove questa può essere supportata dalle
testimonianze orali. Questo perché le denominazioni
delle proprietà coltivate riflettono tutta una
cultura, raccolgono secoli di storia, si riferiscono a
fatti, persone, avvenimenti che fanno parte di un
microcosmo specifico.
L’auspicio è quello che la MLD possa diventare
uno strumento interattivo di raccolta dati e di
Considerazioni conclusive
Lo studio sui luoghi detti racchiude tutto un mondo
di frammenti legati all’identità di ogni paesaggio
rurale, apre infinite direzioni di ricerca su geografia,
geologia, storia, economia, toponomastica e
tradizioni dell’ambito specifico di riferimento7.
Perseguendo l’obiettivo di uno studio storicocartografico dei toponimi rurali delle Cinque Terre,
le diverse “immagini” raccolte lungo le tappe del
nostro racconto hanno proposto diversi sguardi sul
territorio d’indagine: dalla cartografia storica, alle
descrizioni, alle fotografie d’epoca, fino alle foto
aeree più recenti. Si è scelto di puntare lo sguardo
sul paesaggio coltivato, quello meno documentato
dal punto di vista storico, ma appunto per questo è
stato necessario associare alle varie letture le “voci”
di chi ancora ricorda e vive questa realtà. L’anello di
congiunzione fra questi livelli di conoscenza antichi
e recenti, l’indicatore per eccellenza, è risultata la
micro-toponomastica locale e, in particolare, quella
utilizzata dagli abitanti per riconoscere anche i luoghi
più minuti.
L’analisi condotta ha evidenziato che ogni luogo
detto, già dalla sua stessa denominazione,
declamava la propria identità, delimitava nello
spazio e nell’immaginario una determinata zona, con
le proprie colture variegate in qualità e quantità; era
l’ambito in cui ogni famiglia consumava la propria
esistenza perpetuando se stessa e il proprio mondo.
La situazione attuale, dove vanno scomparendo le
colture e i nomi dei luoghi, esprime l’impoverimento
lessicale del racconto identitario del paesaggio.
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44 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
monitoraggio dei progetti di manutenzione e tutela
del paesaggio rurale.
Se lo scopo di questi studi è la salvaguardia di un
paesaggio agrario d’eccezione, e se oggi purtroppo
il grado di abbandono delle terrazze viticole delle
Cinque Terre è tale che anche ingenti finanziamenti
non sarebbero sufficienti per poter intervenire su
tutto il territorio di pertinenza del Parco Nazionale,
è proprio grazie ad uno strumento come la MLD che
anche un piccolo intervento può assumere dimensioni
maggiori perché ritorna ad essere il tassello di uno
scenario in divenire, rispettoso del passato ma
aperto alla progettazione dell’oggi e del domani.
Storti, M. (2009), I luoghi detti del paesaggio rurale. Le terre
di Corniglia e Vernazza, Parco Nazionale delle Cinque Terre,
La Spezia.
Storti, M. (in corso di pubblicazione), I luoghi detti del paesaggio
rurale. Le terre di Monterosso al Mare, Parco Nazionale delle
Cinque Terre, La Spezia.
Riferimenti iconografici
Figura 1: Collezione privata A. Crovara, per gentile concessione
dell’Autore, anni Settanta del Novecento
Figura 2: Foto M. Storti, 2011
Figure 3, 6: M. Storti, 2008
Figure 7: Collezione privata A. Crovara, per gentile concessione
dell’Autore, anni Settanta del Novecento
Riferimenti bibliografici
AA.VV. (2010), Paysages d’exception, paysages au quotidien.
Une analyse comparative de sites viticoles européens du
Patrimoine mondial, Ministère de l’Ecologie, de l’energie, du
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Economia e Commercio, Università di Genova, Voll. I-II.
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nell’Età moderna e l’uso anomalo del termine ‘foce’ nell’Estrema
Liguria Orientale», per gentile concessione dell’Autore; parte
del lavoro contenuto in L’uso anomalo del termine ‘Foce’ nella
Liguria orientale e nella Toscana Occidentale tra il Medioevo e
l’Età contemporanea, Bozzi, Genova.
Storti, M. (2004), Il paesaggio storico delle Cinque Terre.
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Figura 8: Collezione privata A. Crovara, per gentile concessione
dell’Autore, anni Settanta del Novecento
Figura 9: Foto Archivio Parco Nazionale delle Cinque Terre,
2006
Figura 10: Elaborazione M. Storti-A. Maddaluno, 2009
_________________________________________
A titolo di esempio, si ricordano le provenienze seguenti:
ligure, come Bergalli, nome etnico dei liguri antichi, in luogo
di “pianta”; preromana, come Albano/a, cioè “posto in alto”;
romana, come Corsàno da Cordius/Curtius, personaggio
romano e Porciàna da Porcius, gentilizio romano; longobarda,
come Gaggiola, da Gahagi, “bosco recintato”, riservato; latina,
come Fundega, da Fundus, nel senso di cavità ampia ed
ubertosa di una certa estensione (il terreno più fertile, adatto
ad ogni tipo di coltura); araba, come Fundego da Funduq o
Fundaq, nel senso di “fondaco”, magazzino, “statio per i
mercanti e loro domicilio”, nome assimilabile a “càneva”, cioè
cantina a pianoterra o seminterrata delle case. In generale, per
lo studio della toponomastica storica, si è fatto riferimento ai
testi di: M. Cortelazzo & P. Zolli (1999), Dizionario Etimologico
della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna; C. Goggi (1967),
Toponomastica Ligure dell’Antica e della Nuova Liguria, Bozzi,
Genova; D. Olivieri (1961), Dizionario Etimologico Italiano,
Ceschina, Milano e G. B. Pellegrini (1990), Toponomastica
italiana, Hoepli, Milano.
1
2
In questo gruppo rientrano toponimi liguri e toscani come il
Salto del Cavallo, il Salto del Gatto, il Salto della Lepre ed il
Salto del Cervo, in G. Redoano Coppedè (1987), “I toponimi
viari nel Medioevo e nell’Età moderna e l’uso anomalo del
termine ‘foce’ nell’Estrema Liguria Orientale”, p. 7, per gentile
concessione dell’Autore; parte del lavoro contenuto in L’uso
anomalo del termine “Foce” nella Liguria orientale e nella
Toscana Occidentale tra il Medioevo e l’Età contemporanea,
Bozzi, Genova.
Oggi, alcuni nomi di luoghi sono ormai di difficile individuazione
e anche gli abitanti particolarmente esperti della storia locale
spesso di fronte ad un nome insolito confessano di sapere che
quel luogo esiste, perché fa parte delle narrazioni ascoltate dai
loro avi, ma non sanno più indicarlo su una carta. Nonostante
le difficoltà, conciliando le varie fonti scritte e orali, è stato
possibile individuare molti dei luoghi detti riportati sui catasti.
3
Analizzando i catasti di epoche diverse e confrontando la
lettura per luoghi detti con quella delle colture censite, si rileva
che nella maggioranza dei casi la prevalenza del tipo di coltura
per ciascun luogo detto dà ragione della vocazione specifica di
4
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Il ruolo del piccolo nel processo di trasformazione del paesaggio |
45
quell’areale.
5
Si cfr. anche AA.VV. (2010), “Paysages d’exception, paysages
au quotidien. Une analyse comparative de sites viticoles
européens du Patrimoine mondial”, Ministère de l’Ecologie, de
l’Energie, du Développement durable et de la Mer, Programme
“Paysage et Développement durable”, Appel à propositions de
recherche 2005 (Convention CV05000127). In particolare, si
veda il Cap. 3 di B. Davasse, I. Matyas, M. Storti (a cura di),
pp. 59-84.
È da sottolineare l’importanza della base catastale per
l’individuazione dei toponimi: poiché i luoghi detti sono
privi di chiari riferimenti geografici, questi possono essere
racchiusi, come si è visto nel caso di Riomaggiore, entro
i limiti dei fogli del quadro d’unione catastale, in modo che
questa suddivisione “legale” del territorio possa facilitare
l’individuazione geografica di entità così vulnerabili rispetto
alla loro collocazione nello spazio.
6
Nel caso di Riomaggiore e Manarola, si è assistito, nel corso
dei secoli, ai grandi cambiamenti colturali avvenuti tra il XVII
e il XX secolo, dove il paesaggio della monocoltura della vite
ha avuto la meglio su ogni altro, almeno fino ai primi decenni
del Novecento. A Corniglia e Vernazza, invece, lo studio ha
condotto all’approfondimento di un areale ben preciso relativo
alle “terre di confine” fra queste due antiche “corti”, andando
a ricercare vecchie demarcazioni amministrative che avevano
causato accese dispute e litigi fra le due Comunità fin dal XVI
secolo. Inoltre, si era proceduto anche alla rilevazione delle
teleferiche storicamente presenti a Corniglia; infatti, della
fine del XIX secolo è l’installazione delle prime di queste per
permettere il veloce collegamento trasversale montagnamare per il trasporto dello strame e soprattutto del legname,
quest’ultimo utilizzato in gran parte per l’esportazione. Il
fitto disegno di assi trasversali “pubblici” e “privati” delle
teleferiche connota il paesaggio coltivato fino agli anni
Settanta del Novecento quando, con i cambiamenti di tipo
socio-economico e tecnologico e la dismissione degli ultimi
impianti, nelle campagne vengono installati i primi “trenini”
a cremagliera. Anche nel caso di Monterosso, sappiamo che
lo sfruttamento della montagna è stato molto consistente nel
passato, mentre i “luoghi della devozione”, i paesaggi “del
mare”, “della villeggiatura” e quelli “montaliani” sono chiavi
di lettura per poter comprendere una varietà socio-economica
del tutto singolare.
7
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Maristella Storti, I toponimi rurali delle Cinque Terre, piccoli
e grandi luoghi di ieri e di oggi, in “Quaderni della Ri-vista.
Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno
3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/
quaderni/index.html, pagg. 37 - 45
Contatti: [email protected]
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
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SEZIONE II - LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO
Piccoli spazi e piccoli cittadini. Il paesaggio come terzo educatore |
Small spaces and young citizens. The landscape as third “bring-up
landscape”
Chiara Lanzoni*
abstract
abstract
Un piccolo giardino, un piccolo utente. Spazio che
non è mai dato neutro ma veicolo di messaggi e
relazioni. Spazio che viene “educato” dal progettista
e allo stesso tempo può costituirsi come “educatore”,
luogo di vita e di cultura, non solo per i più piccoli.
Il contributo propone alcune riflessioni sul tema, già
considerato in campo pedagogico ma poco esplorato
nell’architettura del paesaggio, dai Junk Playgrounds
di Carl Theodor Sørensen alle più recenti ricerche
pedagogiche e culturali per l’infanzia.
A small garden, a young person. A space that
is never neutral but is a vehicle of meanings and
relationships. A space that is designed and developed
by the designer and at the same time can become
an “up-bringer”, a place of life and culture, not just
for little ones. The paper proposes some reflections
about that topic, already analyzed in pedagogy, but
little explored in landscape architecture, from the
junk playgrounds by C. T. Sørensen to the latest
cultural and pedagogical researches about children.
parole chiave
key-words
bambini, spazi per il gioco, “paesaggio educatore”
children, playgrounds, “bring-up landscape”
* Architetto e Dottore di ricerca in Progettazione paesistica,
[email protected]
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
Introduzione
Questo contributo prende spunto da una duplice
suggestione che nasce intorno al concetto di piccolo
in architettura del paesaggio. Piccola può essere la
scala di lavoro e piccolo può essere l’osservatore, il
fruitore, l’attore nel paesaggio.
Da un lato la dimensione contenuta e “esteticamente
raccolta” di un luogo, come il giardino, può descrivere
in modo tangibile “la misura e il significato di un
paesaggio all’interno del quale si vive. La dimensione
palpabile che il giardino in sé possiede può inoltre
offrire un punto di partenza utile e trasparente per
maturare una percezione del paesaggio estesa, meno
cerebrale e meno estetizzante e che riconosciamo
come parte della nostra esistenza” (Latini, 2010: p.
49).
Dall’altro lato la confidenza dei bambini nei confronti
della natura (intesa anche come natura dei luoghi)
può, contestualmente alla crescita personale, sociale
e alla costruzione dell’identità dei soggetti, sviluppare
una diversa percezione del paesaggio orientata alla
produzione di nuovi significati.
Nel giardino, nel parco, negli spazi urbani, i bambini
“frugano” il paesaggio, osservando minuscoli
dettagli: superfici, colori, luci, ombre, materiali. Quel
paesaggio quotidiano che per un adulto può apparire
ordinario agli occhi dei bambini diviene straordinario.
I bambini sperimentano, osservano, toccano, sono
in continuo movimento (figg.1,2). Allora può il
paesaggio essere considerato una risorsa educativa?
Non vi sono dubbi sul fatto che oggi il paesaggio
sia al centro dell’interesse di numerose discipline
e che questo sia espressione di un sentire comune
diffuso, di quella domanda sociale di paesaggio che
negli ultimi anni molti autori hanno evidenziato. Una
domanda di paesaggio che può essere letta come
una ricerca d’identità e senso dei luoghi, che investe
i rapporti tra società e territorio e il modo in cui è
possibile ridisegnarli (Gambino, 2003).
Se da un lato esiste, ed è riconoscibile, questa
domanda di paesaggio da parte della società,
dall’altro è utile ricordare come siano gli esseri umani
che raccontano loro stessi attraverso il paesaggio
(Turri, 1998). Se il paesaggio è (anche) il risultato
della progettualità di una comunità allora la sua
trasformazione dipende in modo inscindibile dalla
comunità stessa.
Questa domanda di senso che il paesaggio attiva,
il suo essere un contesto elettivo per la costruzione
dell’identità, “che provoca processi di interpretazione
e di elaborazione simbolica, di trasformazione e di
cura, definiscono il paesaggio ad un tempo come
un pre-testo che attende interpretazione e un contesto che, nel farsi, contribuisce a costruire l’identità
personale e comunitaria” (Orlandini, 2007).
47
Il collegamento reciproco, nella considerazione del
piccolo, tra una “dimensione raccolta” del paesaggio
e i bambini, suggerisce un’interessante prospettiva
ricca di potenzialità che considera il paesaggio come
soggetto educatore, una sorta di insegnante esso
stesso.
La piccola scala e il gioco (ovvero il ruolo dei
playgrounds come luoghi per il progetto di
paesaggio)
La riflessione sulla dimensione educativa del paesaggio
nei confronti dei più piccoli deve necessariamente
considerare e interpretare quei contributi di architetti
e paesaggisti del passato sulle tematiche dello
spazio da destinare ai bambini, progetti (realizzati o
meno) accomunati dall’attenzione alle relazioni che
si instaurano tra il luogo e il bambino attraverso il
gioco.
Fra i primi paesaggisti a occuparsi di uno spazio
per il gioco, inteso come luogo per il progetto di
paesaggio, fu il danese Carl Theodor Sørensen che
nel 1931 immaginò un junk playground in cui i
bambini “potessero creare e dare forma, sognare e
immaginare una realtà”.
Dopo aver osservato il gioco dei bambini all’aperto,
Sørensen propose l’idea di un luogo in cui essi
sarebbero stati autorizzati a giocare liberamente,
con materiali di scarto, rifiuti e rottami. “Perhaps
we could try to set up (on unbuilt sites) a kind of
junk playground in appropriate large areas, where
children would be allowed to use old cars, packing
crates, branches, and that sort of thing.” (Andersson,
2001: p. 18).
Il primo junk playground realizzato fu quello di
Emdrup in Danimarca, progettato e costruito nel
1943, durante l’occupazione tedesca, come parco
giochi per un complesso residenziale alla periferia
di Copenhagen (fig.3). Per identificare questi luoghi
per il gioco il paesaggista ideò una nuova parola,
“Skrammellegepladser”. A proposito di questa
esperienza Sørensen disse che, di tutte le opere che
contribuì a realizzare, il junk playground era la più
brutta, ma sicuramente la migliore. La connotazione
anti-estetica di questi luoghi è già insita nel nome e
nella volontà di utilizzare i materiali di scarto come
strumenti di gioco.1
Il junk playground di Emdrup era un luogo non
definito, privo di attrezzature ludiche già costruite,
in cui l’immaginazione e la fantasia dei bambini
avrebbero contribuito a modellare lo spazio attraverso
l’utilizzo di diversi materiali ed attrezzi messi a
disposizione; i bambini avevano così la possibilità
di costruire i loro scenari di gioco e di manipolare
materiali di diversa natura.2 La distruzione creativa
suggerita dai junk playgrounds permetteva di
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48 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 1. I bambini “frugano” il paesaggio, osservando
minuscoli dettagli
Figura 2. I bambini in movimento nel paesaggio
reintegrare il senso della comunità e favorire la
ricostruzione del legame tra i bambini e i loro luoghi
di vita. Come sottolinea Kozlovzy (2007) le attività
nei junk playgrounds (specialmente negli adventure
playgrounds inglesi) possono essere interpretate
come una strategia di ricostruzione dello stato
sociale nel dopoguerra a partire dai bambini, futuri
cittadini.3 Nei junk playground i bambini avrebbero
sviluppato contemporaneamente la loro identità
personale e pubblica utilizzando il gioco spontaneo
come occasione di aggregazione sociale ed esercizio
di democrazia.
Nel suo libro Parkpolitik del 1931 Sørensen apriva
il capitolo dedicato ai playgrounds con questa
semplice dichiarazione: “children’s playgrounds are
the city most important form of public plantation”. La
responsabilità sociale, nel significato più profondo del
termine, costituiva per il paesaggista le fondamenta
dell’ideazione dei playgrounds (Andersson, 2001: p.
18).
Questo approccio aveva un duplice significato,
sociale e politico; promuoveva le abilità sociali dei
bambini e dei ragazzi allo scopo di risolvere i conflitti
pacificamente. Come ricorda Kozlovzky (2007),
citando le parole del pedagogista progressista Inger
Merete Nordentoft, questa promozione dei valori
democratici attraverso il gioco rendeva i bambini
“cittadini democratici, esseri umani che possono
pensare indipendenti, possono essere responsabili e
in grado di mostrare tolleranza verso gli altri e avere
il coraggio e la fermezza per difendere le proprie
convinzioni.”
Negli anni in cui Sørensen proponeva il suo loosely
formulated concept e si diffondeva in Europa l’idea
dell’adventure playground come luogo per il gioco,
la crescita e l’educazione dei bambini, negli Stati
Uniti il paesaggista-scultore Isamu Noguchi dava
forma alle sue idee per i playgrounds, sicuramente
diverse da un punto di vista formale e concettuale,
ma altrettanto poco convenzionali. Solamente
uno dei progetti di Noguchi arriverà ad essere
realizzato, ma nonostante questo il paesaggista può
essere considerato un riferimento, per la qualità e
l’innovazione delle sue proposte. Con i suoi primi
progetti per i playgrounds e per le sculture di
terra stabilirà le basi per le successive esplorazioni
progettuali di parchi e giardini (Torres, 2000).
Per Noguchi il concetto di playground è chiaro:
egli parte dal presupposto che uno spazio aperto
progettato per i bambini non debba necessariamente
essere assoggettato alle regole del decoro urbano.
Ogni luogo esprime per l’artista una propria poetica
ed estetica, viene progettato per stimolare nei
bambini il senso del colore, dello spazio e della
forma. L’approccio fortemente scultoreo di Noguchi è
evidente in Play Mountain (1933), primo playground
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
49
Figura 3. Il junk playground di C.T. Sørensen a Emdrup
Figura 4. Uno dei numerosi Speelplaatsen di Aldo Van Eyck ad
Amsterdam
progettato, e primo di una serie di proposte
presentate e mai realizzate. Il progetto è basato
sull’idea di massimizzare la superficie destinata al
gioco di un dato spazio urbano inclinando le superfici
e generando nuove possibilità di movimento.
Lo stesso approccio si ritrova nel progetto del
Countoured Playground, sviluppato nel 1941: una
scultura di terra, uno spazio privo di attrezzature,
dove i movimenti sinuosi del terreno costituiscono
le forme, le depressioni, gli elementi di scalata
per il gioco dei bambini. E lo spazio, i colori e le
forme hanno anche una funzione educativa legata al
movimento.
Successivamente, tra il 1940 e il 1976 Noguchi
sviluppa un vocabolario completo di attrezzaturesculture per i playground, i cosiddetti playscapes. A
Piedmont Park ad Atlanta (1976), unico playground
realizzato negli Stati Uniti, il progetto segna una
svolta nell’evoluzione concettuale dell’artista: il
playground da scultura (intesa come modellazione
del terreno) diviene il luogo in cui le sculture vengono
collocate. In questo parco per bambini ogni elemento
viene pensato volutamente fuori scala e colorato con
tinte brillanti e luminose allo scopo di enfatizzarne la
presenza scultorea.
Il posizionamento di una serie di oggetti a metà
tra scultura e architettura non hanno l’intenzione
di risolvere il progetto attraverso una soluzione
standardizzata ma sono pensati e progettati allo
scopo di instaurare e organizzare delle relazioni e
determinare un controllo spaziale dell’ambiente.
Noguchi può a tutti gli effetti essere considerato
come un “istigatore” del progetto di paesaggio per
i bambini, i suoi disegni presagirono e provocarono
l’entusiasmo per le forme uniche e per gli ambienti
finalizzati a stimolare l’immaginazione dei più piccoli
(Larrivee, 2012).
Oltre i playgrounds, nella città come quando
cade la neve
“When snow falls on cities the child takes over the
child is everywhere rediscovering the city, whilst in
turn the city rediscovers its children. Revealing that
something permanent, if less abundant is missing,
something which can still be provided as a modest
correction where there is room […]”.
Con queste parole l’architetto olandese Aldo Van
Eyck descriveva in maniera efficace e suggestiva la
relazione che si instaura tra i bambini e il paesaggio
urbano dopo una nevicata. Quando la neve cade
il bambino ri-scopre la città e a sua volta la città
ri-scopre i bambini, rivelando possibilità inattese e
luoghi dal valore inespresso. Avviene una mutazione
temporanea (Granata, 2013) nel modo di vivere
la città, i suoi spazi e i suoi ritmi, a partire dai
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50 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 5. I bambini e il paesaggio fluviale
Figura 6. I bambini e il paesaggio urbano
comportamenti dei piccoli cittadini: la città cambia
aspetto e i bambini conquistano spazi solitamente
non destinati a loro.
La suggestione della neve in città richiamava per
Van Eyck l’esigenza di un nuovo modo di concepire
non solo gli spazi aperti dedicati ai bambini ma la
città stessa. Nella metà del secolo scorso, a partire
dal 1947 e per conto dell’Amministrazione della città
di Amsterdam che auspicava la presenza di un parco
giochi in ogni quartiere, l’architetto realizzò oltre
settecento aree di gioco, gli Speelplaatsen, concepite
come aree ludiche dalle forme semplici ispirate alle
teorie pedagogiche di Friedrich Fröbel (fig.4).
“Nei cortili ingombri di macerie e ferraglie, nelle
banchine spartitraffico, negli slarghi di risulta e ai
bordi delle strade Van Eyck e i suoi collaboratori
sgombrarono i detriti e livellarono il terreno; in
certi casi colorarono i muri degli edifici adiacenti o
vi dipinsero murales; e progettarono personalmente
le attrezzature da gioco, con lo scopo di insegnare
al bambino a prefigurarsi e a gestire le transizioni
ambigue dello spazio urbano” (Sennet, 2008: p.
221).
Gli Speelplaatsen erano disegnati e costruiti negli
spazi residuali, abbandonati, privi di qualità, spesso
nei vuoti lasciati dai bombardamenti, re-intepretati
per rispondere alle inclinazioni naturali dei bambini
e favorire la loro immaginazione. Nell’esperienza
di Amsterdam Van Eyck supera il concetto di
playground come area per il gioco e la sosta dei
bambini, e orienta nuove possibilità progettuali nella
dimensione di un paesaggio urbano inatteso: gli
Speelplaatsen punteggiavano la città ispirandosi a
un’idea di paesaggio urbano in divenire, a un’idea
di città come luogo di crescita, di creatività e di
ricostruzione.4
Nell’esperienza di Amsterdam il rapporto tra i
bambini e lo spazio del gioco viene concepito al di
fuori degli spazi progettati ad hoc, oltre i playground
definiti e pensati per attività specifiche, e rivalutato
nella sua dimensione integrata con la città. Gli
Speelplaatsen erano luoghi di transizione che
stabilivano una stretta dialettica con il paesaggio: la
loro natura interstiziale mirava all’interazione con il
tessuto urbano circostante, con la strada e l’edificio,
all’interazione tra bambini e adulti. Luoghi per il
progetto di paesaggio e luoghi in cui il paesaggio
stesso, ancora una volta, può ricoprire il ruolo di
soggetto educatore.
Bambini, paesaggi, relazioni.
come terzo educatore
Il
paesaggio
I professionisti della prima infanzia e i ricercatori
nel campo della pedagogia hanno evidenziato negli
ultimi anni il cambiamento nella natura del gioco
dei bambini nei paesi occidentali e il rapido declino
delle opportunità del gioco all’aperto. Nella città e
nella società occidentale contemporanea si assiste
a una progressiva perdita di spazi per il gioco e di
luoghi progettati per i più piccoli; le cause sono
molteplici, derivate dalla complessa interazione di
fattori legislativi, sociali, di progettazione urbana,
ecc. (Waller, 2010).
La risposta a queste problematiche non può essere
fornita idealizzando i modelli e le pratiche del passato,
strettamente legati a specifici contesti sociali e
culturali, tuttavia è opportuno rivalutare quegli
approcci alla dimensione educativa del paesaggio
realizzati attraverso il progetto degli spazi aperti
da destinare ai bambini. Non è una coincidenza che
le scuole d’infanzia ideate agli inizi dell’Ottocento
dal pedagogista tedesco Friedrich Fröebel fossero
chiamate “Kindergarten” (giardino d’infanzia). Alle
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
maestre, considerate “giardiniere”, era affidata
l’educazione e la crescita dei bambini.
È quindi possibile impostare una riflessione critica
sulle relazioni tra i bambini e il paesaggio attraverso
il tema del gioco e dell’apprendimento dei bambini
all’aperto, sul ruolo del paesaggio nei processi
educativi e nella crescita? Gli approcci tradizionali al
paesaggio sono adeguati o esistono altre opportunità
nel campo dell’architettura del paesaggio che
potrebbero essere esplorate?
Le esperienze realizzate sul tema dell’educazione
al paesaggio (Castiglioni, 2011, 2012) sono da
considerarsi significative e importanti non solo ai fini
della salvaguardia e del miglioramento della qualità
dei paesaggi, ma anche in quanto tali, nel favorire la
crescita della persona. Sul piano educativo-formativo
si rende necessario oltrepassare la logica dell’
“insegnare il paesaggio”, per giungere ad “educare
con il paesaggio”, nell’ottica dell’interpretare il
paesaggio come uno strumento.
Il ruolo del paesaggio come educatore è stato
recentemente affrontato da Regni (2009), il quale
evidenzia come l’esperienza del paesaggio abbia
a che fare con “l’imparare a usare la lentezza e
l’utilizzo di tutti i sensi di cui siamo dotati”, insegni i
valori dello spazio e del tempo, i valori dei luoghi, il
pensare per connessioni e relazioni la rete della vita,
l’identità, la diversità, la frontiera e l’ospitalità. Lo
stesso autore sottolinea come il paesaggio, secondo
una chiave di lettura pedagogica, educhi al rapporto
dell’uomo con la terra e inviti ad una riflessione sul
rapporto tra generazioni, al fine di valorizzare il
paesaggio stesso in quanto bene comune (fig. 5).
L’architetto paesaggista Robert C. Moore, impegnato
nella ricerca sulla “domanda di natura” come
diritto dell’infanzia, afferma: “i bambini vivono
attraverso i sensi. Le esperienze sensoriali collegano
il mondo esterno a quello interiore nascosto e
affettivo. L’ambiente naturale è la fonte principale
di stimolazione sensoriale e, quindi, la libertà di
esplorare e giocare con esso attraverso i sensi è
essenziale per lo sviluppo sano della vita interiore”
(1997).
In questa direzione si muovono le esperienze
educative di scuola nel bosco (con la pioggia,
la neve o il sole) che si stanno sperimentando in
alcuni contesti del nostro Paese riprendendo le già
consolidate esperienze dei Waldkindergarten di
tradizione nordica. Una tipologia di scuola dell’infanzia
che propone lo svolgimento delle attività a diretto
contatto con la natura e il paesaggio dei boschi.
Per i bambini, piccoli cittadini di oggi e di domani, i
luoghi della città contemporanea mal si coniugano
con la necessità della pratica del gioco spontaneo, così
come veniva inteso nei junk playgrounds: necessità
di manipolare lo spazio attraverso l’autocostruzione,
51
attraverso l’utilizzo (proprio o improprio) di materiali
e oggetti ri-trovati, da re-interpretare per un
nuovo uso non necessariamente conforme a quello
originario.
Le relazioni tra i bambini e il paesaggio in questo
senso non devono essere confuse con la disciplina
dell’educazione ambientale, che ha sviluppato
specifici obiettivi e attività mirate alla sensibilizzazione
e a una maggior responsabilità verso i problemi
ambientali e il concetto di sostenibilità.
Piuttosto il tema del ruolo del paesaggio come
soggetto educatore trova ispirazione nell’esperienza
pedagogica di Loris Malaguzzi e nell’interpretazione
dell’ambiente
come
interlocutore
educativo.
Malaguzzi affermava che l’ambiente è il terzo
educatore e che l’educazione è un atto d’interazioni
complesse, molte delle quali si verificano solo se
anche l’ambiente partecipa. Sulla base di questi
concetti, e a supporto delle autonomie e delle
sperimentazioni di conoscenza, esistono situazioni
che promuovono e diffondono un approccio educativo
di qualità attento all’importanza dell’ambiente in cui
i bambini crescono. È il caso di “Reggio Children –
Centro Internazionale per la difesa e la promozione
dei diritti e delle potenzialità dei bambini e delle
bambine”, che nasce nel 1994 da un’idea di Malaguzzi
e si occupa della valorizzazione e diffusione del
patrimonio di conoscenze sviluppato nei nidi e
nelle scuole comunali dell’infanzia della provincia di
Reggio Emilia.5
In questo contesto prendono forma numerosi progetti
educativi indirizzati all’importanza dello spazio
relazionale dedicato all’infanzia, anche in ambiti
molto diversi tra loro, dai luoghi più propriamente
urbani ai contesti più naturali, mediante una
progettualità che sostiene l’incontro tra i bambini, le
cose e i luoghi.
Ne è un esempio la ricerca sulla città di Reggio Emilia
pubblicata nel volume “Reggio tutta. Una guida dei
bambini alla città” che restituisce le riflessioni fatte
attorno all’identità della città. Riflessioni che si
sviluppano come narrazioni di uno spazio relazionale,
di una rete di possibili incontri, di un “luogo di
luoghi”, dove i bambini non sono nella città ma
sono la città. Certamente “Reggio tutta” non è una
guida turistica o una descrizione precisa ed esatta
della città, questo non era nemmeno il suo scopo. È
piuttosto un racconto della città attraverso le parole,
i segni e i disegni dei bambini. Uno dei grandi pregi
di questa esperienza è vedere come gli spazi urbani
della città sono visti attraverso lo sguardo dei più
piccoli e come vengono reinventati grazie a loro.
Lo sguardo dei bambini ridisegna la geografia dei
luoghi, come suggeriva Van Eyck nel secolo scorso.
E le loro competenze nel trattare con la complessità
dello spazio e del luogo, che spesso rimandano a
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52 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
significati e interpretazioni della realtà molto vicini
alla cultura e alla storia del pensiero filosofico e
scientifico, sono generalmente poco conosciute
dagli adulti (Waller, 2010). Il paesaggio può essere
strumento educatore e al contempo luogo di
sperimentazione e di progetto a partire da nuovi
punti di vista.
Contestualmente alle relazioni tra bambini e
paesaggio risulta suggestivo e significativo il
contributo offerto dal manifesto sui “Diritti naturali
di bambini e bambine” (Zavalloni, 2003):
1. Il diritto all’ozio, a vivere momenti di tempo non
programmati dagli adulti;
2. Il diritto a sporcarsi, a giocare con la sabbia, la
terra, l’erba, le foglie, l’acqua, i sassi, i rametti;
3. Il diritto agli odori, a percepire il gusto degli odori,
a riconoscere i profumi offerti dalla natura;
4. Il diritto al dialogo, ad ascoltare e poter prendere
la parola, ad interloquire e dialogare;
5. Il diritto all’uso delle mani, a piantare chiodi,
segare e raspare legni, scartavetrare, incollare,
plasmare la creta, legare corde, accendere un fuoco;
6. Il diritto ad “un buon inizio”, a mangiare cibi sani
fin dalla nascita, a bere acqua pulita e respirare aria
pura;
7. Il diritto alla strada, a giocare in piazza liberamente,
a camminare per le strade;
8. Il diritto al selvaggio, a costruire un rifugio-gioco
nei boschetti, ad avere canneti in cui nascondersi,
alberi su cui arrampicarsi;
9. Il diritto al silenzio, ad ascoltare il soffio del vento,
il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua;
10. Il diritto alle sfumature, a vedere il sorgere del
sole e il suo tramonto, ad ammirare, nella notte, la
luna e le stelle.
Un manifesto che nelle relazioni tra i bambini e i luoghi
definisce molteplici spunti utili per individuare un
nuovo ruolo del paesaggio nei confronti dell’infanzia.
I bambini elaborano teorie e le modificano, con gli
altri e individualmente, interpretano il mondo e le
cose. Il paesaggio può diventare il luogo per le loro
ricerche.
Gli esempi presentati forniscono la prova di come gli
spazi all’aperto siano essenziali nella vita dei bambini,
di come le relazioni tra spazi e bambini promuovano
nuove opportunità di approccio al paesaggio.
Tornando al tema iniziale, da cui questa riflessione
è partita: è possibile pensare al paesaggio come
terzo educatore, come uno strumento attraverso il
quale promuovere la comprensione del luogo in cui
viviamo e dei valori di cui è portatore, a partire dai
più piccoli. Il paesaggio come terzo educatore aiuta
a costruire una partecipazione attiva e costruttiva
alla vita della propria comunità (fig. 6).
Riprendendo le parole dell’educatore americano
Richard Louv (2006) “[…] la natura non è soltanto
uno spettacolo, è anche quello, e meraviglioso, ma
per entrare nel mondo naturale dobbiamo interagire
con i suoi elementi, ritrovare quel rapporto diretto
che nasce dal fare e non solo dal guardare”.
Allora il giardino, la piazza, il cortile, ma anche il
bosco e la campagna, divengono luoghi di esperienze
molteplici e continue, luoghi di ricerca e di crescita.
Il paesaggio, nel suo ruolo di terzo educatore, può
stimolare la creatività, il gioco, l’espressività e
l’estetica, ma anche il tempo della riflessione, della
conoscenza e della scoperta.
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emilia-romagna.it
Riferimenti iconografici
Figure 1, 2, 5: foto di bambini all’aperto, Scuola d’infanzia
Scutellari Soliani di Brescello (RE), coordinamento pedagogico
Bassa Reggiana.
Figura 3: il junk playground di Emdrup, immagine storica
tratta da http://architekturfuerkinder.ch/index.php?/pioniere/
c-th-sorensen/, ultimo accesso marzo 2014.
Figura 4: una delle piazze progettate da Aldo Van Eyck
ad Amsterdam, immagine storica tratta da http://www.
architekturfuerkinder.ch/index.php?/pioniere/aldo-van-eyck/,
ultimo accesso marzo 2014.
Figura 6: foto di bambini in un contesto urbano, Nido La
Rondine e Nido Pollicino di Guastalla (RE), coordinamento
pedagogico Bassa Reggiana.
Credits/Ringraziamenti
Si ringrazia la dott.ssa pedagogista Alessandra Ferrari per i
consigli e i materiali forniti durante la redazione del documento.
_________________________________________
È interessante notare come il termine danese avesse una
connotazione positiva, a differenza del corrispondente termine
inglese junk che porta con sé un’accezione negativa.
1
2
Nella proposta del paesaggista danese è riscontrabile
l’influenza delle idee pedagogiche di Friedrich Fröebel, Rudolph
Steiner e Maria Montessori riguardanti il gioco indipendente
dei bambini e l’educazione naturale.
3
Nel secondo dopoguerra i junk playgrounds divennero un
modello di successo in Inghilterra dove ebbero diffusione con
il nome di Adventure playgrounds grazie alle attività di Lady
Allen di Hurtwood che nel 1946 visitò Emdrup e ne rimase
molto colpita.
Il testo “Aldo Van Eyck: the playgrounds and the city”
(2002) restituisce in modo efficace l’importanza del ruolo dei
playgrounds all’interno dello sviluppo urbano delle città nel
dopoguerra.
4
Il riconoscimento internazionale a questa esperienza e la
collaborazione con molti Paesi hanno generato un Network
Internazionale di rilievo che oggi conta 32 Paesi.
5
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Chiara Lanzoni, Piccoli spazi e piccoli cittadini. Il paesaggio
come terzo educatore, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche
per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze
University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.
html, pagg. 46 - 53
Contatti: [email protected]
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
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SEZIONE II - LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO
Il Parco di Pinocchio a Collodi e il mondo dell’infanzia nella
dimensione del giardino | The Park of Pinocchio in Collodi and the
world of infancy in the dimension of a garden
Claudia Maria Bucelli*
abstract
abstract
‘Piccolo’ spazio di esteticità raccolta a giardino
nell’esteticità diffusa dello storico paesaggio della
Valdinievole, ‘parco-giardino’ declinato artisticamente
in finalità ricreativa ed educativa, il Parco di Pinocchio,
già ‘piccolo’ in quanto ‘frammento’, ‘parte’, ‘piccola
variazione’ del ‘parco della campagna’ circostante, è
anche ‘piccolo’ nei ‘minimi’ universi a giardino che lo
compongono e che, sulle orme delle avventure del
burattino, dialogano ludicamente ed eticamente con
la dimensione psicologica dei ‘piccoli’.
A small beautiful garden space situated in the middle
of the historical Valdinievole landscape, Pinocchio’s
Park is a garden park designed for educational and
recreational purposes. It is already ‘little’ because
it’s a ‘fragment’, a ‘part’, a ‘little variation’ of the
surrounding ‘country park’. It is also ‘little’ because
it’s made up of minimal garden universes which
recreate the puppet’s adventures and also because
it refers to the psychological dimension of the ‘little’
kids.
parole chiave
key-words
Pinocchio, arte, infanzia, giardino, piccolo
Pinocchio, art, childhood, garden, little/small
* Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica,
[email protected]
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
Introduzione
Forse nessuno dei riferimenti all’amato burattino
è tanto esplicito nella dimensione ideale e fisica
dell’infanzia quanto quel luogo-percorso in veste
di giardino costruito nel Parco di Pinocchio sulla
rievocazione delle celebri avventure. Armonizzato
nei luoghi, nelle folies, nella statuaria, negli arredi,
nel procedere da un’ambientazione all’altra in
successione di scenografie quasi cinematografiche
- separate visivamente le une dalle altre da quinte
verdi ma connesse nel continuativo stimolo al
proseguo del viaggio e costruite sulle dimensioni
fisiche e mentali dei bambini - esso traduce il
mondo ‘altro’ delle avventure pinocchiesche nel
fantastico mondo artificiale del parco. Lo traspone in
ambientazioni fittizie tagliate nella viva vegetazione
e raccoglie in un ambito spazialmente limitato una
incredibile lunghezza di narrazione. Quel racconto
“che, tradotto in tutte le lingue del mondo, è capito
da tutti i popoli della terra” (Bargellini, 1956: 7), si
srotola sotto gli occhi dei visitatori in un percorso di
salite, discese, angusti anditi e passaggi, piazzuole,
slarghi, cunicoli, sentieri sinuosi, cammini lineari,
falsi percorsi e diramazioni in un itinerario deputato
al divertimento e al favorire azione e riflessione in
modalità educative. Esso traduce la dimensione
astorica e ageografica di arguzia, velocità e diversione
delle celebri avventure, “schema universel, un
discours unique irréductible à tout autre, originale
en un mot” (Genot, 1970: 9) in spazi a giardino in
cui tutti i ‘piccoli’, di ogni cultura, possano riuscire
a ritrovare, nella misura ‘minima’ loro congeniale,
luoghi ed eventi associati al carattere irriverente,
ribelle e giocoso di Pinocchio.
Se dunque ”Pinocchio è un libro che parla di un
ragazzo ed è scritto, forse, anche per i ragazzi; offre
un «modello» di ragazzo e, come testo pedagogico,
veicola insegnamenti agli educandi” (Cambi,
1985: 33), il Parco di Pinocchio traduce l’impegno
educativo del romanzo creando un dominio tematico
caratterizzato da ambientazione paesaggistica
finalizzata a complemento dell’opera d’arte,
costituendo una forma di arte ambientale ante
litteram (Mazzanti, 2004: 88) scolpita a giardino
sulla dimensione della puerizia che, riecheggiando
gli eventi e i luoghi della favola, similmente articola
“to the measures of infancy” (Cope, 2001: 188), gli
spazi, i percorsi, i manufatti, i colori, legandosi alla
dimensione artistica ivi custodita e allo splendido
scenario del paesaggio valdinievolino.
La dimensione dell’infanzia e la ‘piccola’
scala delle avventure di Pinocchio raccontate
attraverso un giardino
55
L’infanzia è “un tema centrale nell’opera collodiana
e uno dei pochi temi (…) che la percorrono da cima
a fondo, vi occupano uno spazio al tempo stesso
filologico e simbolico” (Cambi, 1985: 36). Se l’opera
di Collodi “contiene una visione dell’infanzia, oltre
che narrare «una» infanzia” (Cambi, 1985: 33-34),
e Pinocchio, definito da Benedetto Croce come il più
bel libro della letteratura infantile italiana, “contiene
una grande allegoria dell’infanzia. Il burattino si
afferma, ad un tempo, come un fanciullo elementare
e universale” (Cambi, 1985: 49), il Parco di Pinocchio
riesce a tradurre la dimensione dei più piccoli nella
creazione architettonica, artistica e paesaggistica
di un luogo ‘altro’ rispetto a quello dell’esperienza
giornaliera, un ‘altrove’ che permette di lasciare
il paesaggio quotidiano e di vivere momenti di
fantasia in un piccolo mondo-giardino che prima
di essere costruito era già immagine mentale
per tanti bimbi che avevano letto e sognato con
l’amato burattino. Una successione di eventi, molti
dei quali dislocati lungo tornanti quasi tangenti
gli uni agli altri, così moltiplicando lo spazio e
rendendo vicinissimi, benché visivamente separati,
episodi concettualmente distanti nel percorso della
narrazione, offrono tragitti sia obbligati che arbitrari e
incontri inattesi. Rievocano le molteplici avventure di
Pinocchio lungo un itinerario variegato da percorrere
camminando su saliscendi di sentieri variamente
lastricati, dimensionati sui protagonisti di sempre,
i bambini che sulle orme del burattino rivivono le
fantasiose peripezie, sono ospitati in una realtà
dimensionalmente loro congeniale e sono soprattutto
chiamati ad interagirvi ludicamente, muovendosi fra
spazi fisici evocativi e talvolta illusori, architetture,
statuaria, arredi, oggetti modellati sulla loro piccola
taglia, rimandi mnemonici e simulazioni di paesaggi
fantastici. Il Parco di Pinocchio costituisce dunque
lo spazio della libertà necessaria all’immaginazione
nel contatto con qualcosa che diverge dal concreto
quotidiano e che permette, specie ai più piccoli cui si
rapporta in ogni dimensione, di entrare nella favola
in modalità pur fantasiosa ma reale, personale,
partecipativa, protagonista.
Questa interazione fra infanzia, gioco, arte e
paesaggio costruendo un ‘mondo altro’ misurato
sul ‘piccolo’ nel mondo già ‘altro’ del giardino –
‘piccola’ esteticità raccolta nell’esteticità diffusa
del paesaggio storico circostante - in finalità di
intrattenimento educativo dell’infanzia sulla falsariga
delle avventure di Pinocchio venne assecondata, in
termini differenziati ma complementari, sia nella
realizzazione del primo nucleo del parco che nella
successiva addizione del Paese dei Balocchi.
Spazio già ‘piccolo’ in quanto ‘frammento’, ‘parte’,
‘piccola variazione’ del ‘parco della campagna’
circostante e paesaggio in qualche modo virtuale,
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56 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 1. Collodi, Parco di Pinocchio, la piazzetta dei mosaici
ma sempre strettamente connesso al paesaggio
reale, il Parco di Pinocchio venne fondato nei suoi
caratteri costitutivi quando nel 1953 la commissione
giudicatrice del concorso nazionale per il “Monumento
ricordo di Pinocchio a Collodi”, indetto due anni
prima dal neoeletto sindaco di Pescia Carlo Anzilotti
per celebrare il settantesimo anniversario della
pubblicazione de “Le Avventure di Pinocchio” di Carlo
Lorenzini, proclamò vincitori ex aequo la scultura di
Emilio Greco e il progetto della poi ribattezzata ‘Magic
Square’ che gli architetti Renato Baldi e Lionello de
Luigi avevano concretizzato assieme a Venturino
Venturi1. Fu designato al secondo posto il percorsoparco presentato dall’architetto Marco Zanuso e dallo
scultore Pietro Consagra. Nella consecutiva prima
traduzione dei due ex aequo verrà costruito, nella
frazione di Pescia che all’autore della famosa novella
dette i natali e lo pseudonimo di Collodi, il primo
nucleo del parco. Fra il 1953 e il 1956 fu messa in
opera la piazzetta mosaicata quadrata, circondata
da una fitta piantagione quadrilatera sempreverde
di specie mediterranee e delimitata da muri a
profilo mistilineo decorati a fregio musivo continuo
polimaterico con 22 scene mosaicate evocative
degli episodi della novella. Nei pressi verrà collocata
la statua bronzea di Emilio Greco, Pinocchio che
assistito dalla Fata diventa un bambino. (fig. 1, 2, 3)
Lo spazio messo in opera nel circuito quadrilatero
della piazzetta fu decorato da Venturino Venturi
in una modalità nuova per l’artista, il mosaico,
eseguito con grandi tessere irregolari marmoree e
pietre di fiume scelte singolarmente e posizionate
affiancandole a tasselli di pasta vitrea colorata,
da lui sperimentato per la prima volta proprio a
Collodi. I pannelli mosaicati, prima montati a terra
in studio e poi incollati in verticale sui supporti in
muratura, come da documenti fotografici dell’epoca,
instaurano un dialogo compositivo con la geometrica
ripartizione del rustico lastricato nelle tonalità grigie,
rosse e bianche. Già studiato in monotipi realizzati
in acquerello e china su carta – alcuni, risalenti al
1948 e da Venturino stesso ribattezzati ‘monotipi
piazzetta’, tutti prototipi di una ipotetica piazza
quadrata, furono ripresi dall’artista per la piazzetta di
Collodi – il lastricato verrà anch’esso personalmente
tradotto dal maestro2.
Per l’altezza e per numerosi pertugi e passaggi di
diverse dimensioni la Magic Square, concepita
da Venturi come unicum volumetrico il cui muro
circuitale era finalizzato a dialogare in primis con
la dimensione dei ‘piccoli’, doveva, aprendosi alla
loro minima statura in molteplici punti, stimolarli
a sollecitazioni cinetiche, a muoversi e giocare
in uno spazio scenico racchiuso da una quinta
decorata a immagini fantasiose. Un teatro ludico
a trecentosessanta gradi che con ogni probabilità
prevedeva nella volontà di Venturi un circuito
verde mantenuto a media altezza per permettere
la continuativa connessione visiva dal paesaggio
virtuale del monumento verso il reale paesaggio
agrario storico circostante3. La piazza costituiva una
scultura mistilinea da scoprire percorrendola anche
da dietro il muro, e suggeriva ai bimbi un’interazione
attiva con il monumento, spazio ludico e di
socializzazione da interagire fisicamente in tutte le
sue parti, scalandolo, valicandolo, attraversandolo
e percorrendolo in lungo e in largo, da dentro e
da fuori. Quasi un rivivere in omologia alla fiaba,
di avventura in avventura, l’itinerario emozionale
dell’amico burattino, modalità poi riproposta anche
nell’addizione successiva.
All’attuale realizzazione Venturino Venturi pervenne
dopo un percorso creativo che lo portò a considerare
altre ipotesi per il Monumento a Pinocchio, prevedendo
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
57
Figure 2. 3. Alcuni dei monotipi -studio realizzati in acquerello e china su carta da Venturino Venturi per il Monumento a Pinocchio
in tali soluzioni alternative l’ingresso alla piazza in
corrispondenza all’ingresso di Villa Garzoni, quindi
con un orientamento, una ipotetica fruizione e una
continuità visiva all’intorno completamente diversa.
La costante in entrambe le ipotesi era l’integrazione
monumento-giardino
dimensionato
all’infanzia
per cui, riprendendo gli inconfondibili lineamenti
del burattino, il monumento si trasformava in un
caso in un bosco di lecci sagomato su Pinocchio
con al centro, in corrispondenza dell’occhio, uno
spazio aperto circuitale pavimentato. Nell’altro in
un giardino simil formale, vagamente labirintico e
ugualmente sagomato sul caratteristico profilo di
Pinocchio, da percorrere ed esplorare incontrando i
personaggi della novella in ampi mosaici su muretti
verticali.
Successivamente il progetto virò da giardino all’ariosa
piazza mosaicata poi realizzata, una ‘piccola’
geometria architettonica e artistica circoscritta dalle
scene musive e tuttavia in contemporanea peculiare
referenzialità alla densità percettiva ed evocativa
dell’ampio paesaggio circostante. Uno spaziomonumento costruito nella scala della ‘piccola’
dimensione dei ragazzi, permettendo loro una giocosa
interattività nei confronti della creazione artistica. Un
luogo d’arte da poter decifrare riconoscendovi eventi
e protagonisti ed esperire, toccare e interagire,
arrampicandovisi e attraversandolo nei numerosi
piccoli pertugi, realizzati a varie altezze nell’esclusiva
disponibilità e riferimento dimensionale ai più
‘piccoli’. (fig. 4, 5)
Inizialmente gli episodi mosaicati erano stati
progettati da Venturi come una continuità e disegnati
in successione, senza interruzioni, su un lungo
rotolo di carta. Sucessivamente materializzatasi
l’idea di un supporto murario che li raccogliesse,
fu la sorella Rina a suggerirgli di dividere il lungo
foglio in quattro parti, da cui l’idea immediatamente
successiva dei quattro setti murari attorno ad uno
spazio quadrato. Subito dopo vennero sagomate in
carta e poi anche su legno, dallo stesso Venturino,
le quattro maquettes dei muri della piazza. Furono
proprio le maquettes in legno, oggi ne sopravvivono
solo tre, a ricreare in fotografia l’illusione della piazza
con al centro il bozzetto sul quale successivamente
realizzare la statua di Pinocchio - era questa l’idea, a
lungo perseguita, di Venturino Venturi - che avrebbe
dovuto fungere da meridiana, fluendo con la sua
ombra sugli episodi tradotti artisticamente tutto
attorno e indicandoli, nello scorrere del giorno, a uno
a uno. Fu questa sorta di fotomontaggio che venne
poi pubblicato nei giornali coevi quale realizzazione
del monumento a Pinocchio, inducendo alcune
incertezze interpretative e orientando a ritenerlo il
progetto effettivamente realizzato4. (fig. 6, 7)
Visto il grande successo del Monumento a Pinocchio,
sulla base del secondo progetto classificato,
incrementato da un’ulteriore addizione a definire
l’ibrida soluzione finale completata dal sostanziale
contributo non solo paesaggistico di Pietro Porcinai,
fra il 1956 e il 1972 venne realizzato a sud-est
l’ampliamento del Paese dei Balocchi. Un luogo-
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58 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figure 4. 5. Le due alternative soluzioni per il Monumento a Pinocchio, modellate da Venturino Venturi sugli inconfondibili
lineamenti del burattino. Esse prevedevano l’ingresso alla piazza in corrispondenza all’ingresso di Villa Garzoni e, nell’integrazione
monumento-giardino, l’ipotesi di un bosco di lecci (sx) e di un giardino formale simil labirintico (dx)
itinerario in continuità concettuale con l’attiguo
spazio d’arte costruito su ispirazione di quel
paese fantastico evocato da Collodi nella novella
quale luogo finalizzato esclusivamente ad attività
ricreative. “Il luogo deputato alla gioia e al gioco, lo
spazio libero e utopico, ma realissimo nell’universo
del desiderio” (Cambi, 1985: 51), a Collodi tradotto
in un ambizioso progetto paesaggistico finalizzato
a “provocare la partecipazione attiva dei visitatori
e, soprattutto, dei più giovani di essi, alla vicenda
che si sarebbe snodata loro innanzi”, e a trasporre
in geografia analogica lo spirito della novella
offrendo ai bambini “divertiti ed eccitati per aver
appena rivissuto la fiaba meravigliosa del burattino
del Collodi […] gli ambienti sempre sognati per i
loro giuochi”5. Ulteriori ambientazioni fantastiche
quali un castello medioevale, un porticciolo con
il galeone corsaro, una grotta dei pirati difesa da
una soprastante fortificazione, il forte delle giubbe
rosse con l’antistante accampamento sioux, ispirati
all’epopea americana e a quelli che ne furono
gli avventurosi protagonisti, una pista aerea per
trasferirsi dall’altra parte del fiume ed ammirare il
grattacielo sovrastato dalla torre per il lancio del
missile in procinto di allontanarsi dalla Terra, che
avrebbe dovuto rivelare agli amici di Pinocchio le
meraviglie e i segreti del futuro, avrebbero dovuto
affiancarsi a quanto poi effettivamente realizzato
che, il nome lo testimonia, si ispirava nello spirito
ludico alla famosa descrizione collodiana del Paese
dei Balocchi. Essa dipinge le dinamiche disimpegnate
e giocose di quel luogo fantastico dove Pinocchio e
Lucignolo sono condotti dal carro tirato da dodici
pariglie di ciuchini e dove perdura la “libertà dalla
legge e della libera espressione di sé che vige, come
regola e come atmosfera” (Cambi, 1985: 51-52) in
veste di puro divertimento: “chi giocava alle noci, chi
alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede,
chi sopra un cavallino di legno: questi facevano
a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano: altri,
vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa:
chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali,
chi si divertiva a camminare colle mani interra
e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi
passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio
e lo squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava,
chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi
rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo”.
(Collodi 1881; ed. 1996: 161). Nell’addizionale area
era dunque chiamata a collocarsi l’espressione dello
spirito di Pinocchio tradotta in itinerario didatticointerattivo costruito, sulla dimensione fisica e
psicologica dell’infanzia, fra natura, statuaria e folies
architettoniche. Attraverso lo scenografico percorso
del parco plurimi stimoli orientativi, cinetici, visuali,
visivi, olfattivi, tattili, dovevano indirizzare i piccoli
immergendoli
nell’immaginario
pinocchiesco.
Non solo: veniva proposta anche una loro diretta
interazione con alcune realizzazioni a statuaria che
erano previste con movimento da indursi da parte
dei piccoli visitatori. Il Carabiniere avrebbe dovuto
abbassare le braccia e il busto evocando il tentativo
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
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Figure 6. 7. Il bozzetto di Pinocchio realizzato da Venturino Venturi quale prototipo per la statua da collocarsi al centro della
piazzetta mosaicata e il fotomontaggio del bozzetto e delle maquettes in legno dei pannelli mosaicati quale anticipo della futura
realizzazione del Monumento a Pinocchio nella completezza auspicata dal Maestro.
di cattura; il Grillo parlante alzare e abbassare le
braccia enfatizzando i propri ammonimenti al riottoso
burattino. Il Gatto e la Volpe, evocando i rimandi
collodiani che ne descrivono i caratteri, avrebbero
dovuto oscillare gli occhi da destra a sinistra e
muovere il braccio fasciato, e gli stessi, travestiti
da Assassini, alzarsi e abbassarsi a simulare una
andatura zoppicante. La Fata Bambina avrebbe
dovuto battere le mani, la Padella del Pescatore
Verde sobbalzare sul proprio supporto suggerendo
l’idea del friggere, il Ciuchino-Pinocchio ondulare
la coda, il Granchio e il Serpente, unici realizzati,
spruzzare acqua il primo, e sibilare dalla bocca,
fumando vapor acqueo dalla coda “come una cappa
di camino”, il secondo. Altri episodi poi, come la Casa
della Fata e il Pescecane, sulla cui lingua-cuscino
rossa opportunamente dimensionata i bambini
erano invitati nei primi anni di apertura del parco a
giocare e saltare, si presentano ad una differente ma
sempre diretta interattività. Possono essere percorsi,
circumnavigati, esplorati e scalati, ed altri ancora,
come la Fata e i Coniglietti, raggiunti inerpicandosi
lungo ripide salite variamente selciate, scoprendo
così una supplementare modalità di scoperta e
divertimento indirizzata ai piccoli.
Furono in realtà due gli spazi autonomi nei quali in
un primo momento venne concepita la realizzazione
dell’ampliamento del primo nucleo del parco. Il
primo destinato alla traduzione del secondo progetto
classificato al concorso, quello di Zanuso e Consagra,
percorso narrativo e interattivo di sculture, piccole
architetture, arredi evocativi dei luoghi e dei
personaggi della novella tali da far rivivere, lungo un
itinerario serpeggiante nel verde, le stesse avventure
vissute dal burattino. Il secondo, realizzazione di un
progetto aggiuntivo sempre a firma Zanuso, che
doveva consistere nella concretizzazione del Paese
dei Balocchi, un luogo chimerico mai descritto da
Collodi nella favola. Un paese fantastico in una località
misteriosa, una geografia più psicologica che reale,
associata alla pura azione ludica. Successivamente
solo il primo ambito venne realizzato, seppure con
plurime varianti. La seconda addizione si ridusse a
una integrazione della prima, con l’inserimento di
alcuni episodi contigui – Il Labirinto, La Nave dei
Corsari, La Grotta dei Pirati – a fronte degli altri mai
posti in opera – marginalmente al percorso narrativo
del parco.
L’intero progetto prevedeva una continuativa
variazione paesaggistica, specifico apporto di Pietro
Porcinai, costruita come sovrastruttura vegetale, in
modalità vigorosamente plastiche, su quanto già
parzialmente delineato da Zanuso e incrementato
da Porcinai con ulteriori sopraelevazioni sulle
quali si posizionano L’Albero degli Zecchini d’Oro,
miraggio di futura ricchezza ricorrente nella novella
e reiterato riferimento visivo da più punti del
percorso, La Fata, collocata in cima ad una sorta
di struttura totemica sulla quale i bimbi possono
divertirsi in un’avventurosa scalata e dietro la quale
emerge lo splendido quadro paesaggistico di Villa
Garzoni e del paese di Collodi, Pinocchio che saluta,
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60 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figure 8. 9. Lo stimolo interattivo sulla dimensione dell’infanzia ricreato nel supporti lapidei del primo nucleo del parco, la
piazzetta mosaicata, e dell’espansione successiva, qui nell’esempio della salita dei Coniglietti, misurati al rapporto percettivo e
spaziale dei piccoli.
da dove si intensifica la percezione dell’intorno.
Integrate l’una all’altra in un intervento equilibrante
a collegamento, giustificazione e valorizzazione, le
sculture di Consagra e le folies di Zanuso vennero
racchiuse in una successione di ‘stanze verdi’
adeguate alla dimensione percettiva e spaziale dei
piccoli, così creando una coinvolgente dimensione
fruitiva a misura di bambino. Un fantastico mondo
artificiale popolato dai personaggi della fiaba, una
serie di brani di racconto tradotti in ambientazioni
fittizie dimensionate sui piccoli visitatori cui è
destinata l’opera. Un percorso d’arte sagomato
nella vegetazione in cui ogni episodio stimola al
proseguimento e alla scoperta del successivo in un
avvicendarsi di scenografie separate visivamente le
une dalle altre e allestite, per i previsti movimenti
interattivi di alcune sculture, come teatrini di automi
protagonisti con i bambini della sequenza narrativa.
La suddivisione si ordinava inoltre in seno a tre ambiti
paesaggistici dominanti, percepiti, nella dimensione
non solo infantile, quali mondi a sé con volumetrie,
densità
e
specificità
botaniche,
luminosità,
schermature, cromatismi, profumi differenti e
caratterizzanti: una vegetazione sempreverde
mediterranea dal Villaggio al Bosco degli Assassini,
dominanza di alloro e pittosporo con fioriture di rose
e altre specie dalla Fata Bambina all’Albero degli
Zecchini d’Oro, dominanza di Bambusa in varietà
–fra cui Bambusa aurea, Bambusa mitis, Bambusa
nana e Bambusa kuamasasa - e altre specie esotiche
quali Erba della Pampas, Yucca, Cycas nana per il
percorso dal Serpente al Pescecane. (fig. 8, 9, 10)
Riferimenti bibliografici
Bargellini, P. (1956) Pinocchio, favola eterna, “Montecatini e
le sue terme”, 1.
Bucelli C. M. (2012) Committenza privata e pubblica: i
giardini di villa e il parco di Pinocchio, in Claudia Maria Bucelli,
Claudia Massi (2012, a cura di), Pietro Porcinai a Pistoia e in
Valdinievole, Leo S. Olschki, Firenze, pp. 131-180.
Cambi, F. (1985) Collodi, De Amicis, Rodari. Tre immagini
d’infanzia, Edizioni Dedalo, Bari.
Casazza O. and Moretti M., 2003. Pinocchio a Collodi 50°.
Mezzo secolo d’arte contemporanea. San Gimignano: Nidiaci
Grafiche, 2003.
Collodi C., (1996) Le avventure di Pinocchio, Firenze,
Polistampa.
Cope J., (2001) The beauty of ‘Pinocchio’, in The poetics of
place, Leo S. Olschki, Firenze.
Genot, G. (1970) Analyse structurelle de «Pinocchio»,
Quaderni della Fondazione Nazionale “Carlo Collodi”, 5,
Insustria Tipografica Fiorentina, Firenze.
Mazzanti A. (2004, a cura di), Sentieri nell’arte. Il
contemporaneo nel paesaggio toscano, Firenze, Maschietto.
88.
Riferimenti archivistici
FNCC = Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Collodi, Pescia
AVV = Archivio Venturino Venturi, Loro Ciuffenna
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
61
loro ho potuto agevolmente visionare. In particolare le inedite
notizie qui riportate derivano dall’intervista a Fabio Rovai, Loro
Ciuffenna, 22 febbraio 2014.
2
AVV, Cartella Parco di Pinocchio, carte sciolte, e intervista a
Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio 2014.
3
Intervista a Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio 2014. Cfr
in proposito anche un filmato dell’Istituto Luce del luglio 1959
dove il monumento di Venturino Venturi appare circondato da
specie botaniche in crescita, presumibilmente lecci, di media
altezza, e quindi ancora protagonista dell’interazione visiva
con il paesaggio circostante in http://goo.gl/15bRqj, ultimo
accesso 22 marzo 2014. Ringrazio l’Arch. Guido Pantani per
la segnalazione.
4
Intervista a Fabio Rovai, Loro Ciuffenna, 22 febbraio
2014; ringrazio Fabio Rovai per avere chiarito quanto
sopra, consentendomi in questa sede di rettificare quanto
erroneamente affermato al riguardo.
Figura 10. Le dimensioni modulate sui ‘piccoli’ visitatori, cui è
finalizzata l’opera, evidenziano l’atmosfera fantasiosa e irreale
del parco nel quale ritrovarsi come in una fiaba, in un ‘altrove’
dove rivivere con Pinocchio le famose avventure.
5
FNCC, Documenti, 12, Il Paese dei Balocchi a Collodi,
Relazione di Rolando Anzilotti a Giovaoirnni Michelucci, Marco
Zanuso, Pietro Consagra, s.d.
Riferimenti iconografici
Figure 1, 8, 9, 10 di Claudia Bucelli
Figure 2, 3, 4, 5 6, 7, Archivio Venturino Venturi, Loro Ciuffenna
Sitografia
Fondazione Nazionale Carlo Collodi, www.pinocchio.it/
fondazione-carlo-collodi-c3/, ultimo accesso 20 febbraio 2014.
Archivio Storico Istituto Luce, www.archivioluce.com/archivio/
ultimo accesso 22 marzo 2014.
______________________________
1
Il legame di Venturino Venturi con il personaggio di Pinocchio
viene da lontano, da quando la sua famiglia, fuggitiva dal
regime fascista, si trasferì prima in Francia, a Aix en Meuse,
vicino al confine con il Lussemburgo, e poi direttamente ad
Aixe sur Alzette, in Lussemburgo. Venturino, di idioma francotedesco, crebbe e studiò in Lussemburgo, mantenendo con
l’Italia, specie con l’identità toscana, dove volle tornare
maggiorenne per iscriversi all’Accademia di Firenze, un
profondo legame affettivo e culturale derivato dai racconti
orgogliosi del padre e da due volumi portati nell’esilio: La
Divina Commedia e Le avventure di Pinocchio. Fu su questi testi
che Venturino apprese la migliore lingua italiana e strutturò
la propria identità di italiano. L’amore al celebre burattino fu
per lui dunque qualcosa di profondo, connesso alle origini,
alla cultura, alle proprie radici identitarie ed artistiche, tanto
che anni dopo, accudito in casa dalla sorella Giuseppa, aveva
realizzato maschere di carnevale, dove la sua era quella di
Pinocchio, e quella della sorella era la Fata Turchina. Ringrazio
Fabio Rovai e Lucia Fiaschi per le preziose informazioni
generosamente elargitemi e la documentazione che grazie a
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Claudia Maria Bucelli, Il Parco di Pinocchio a Collodi e il mondo
dell’infanzia nella dimensione del giardino, in “Quaderni
della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”,
Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.
it/ri-vista/quaderni/index.html, pagg. 54 - 61
Contatti: [email protected]
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
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SEZIONE II - LA DIMENSIONE EDUCATIVA DEL PICCOLO PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO
Il piccolo orto di Skrudur | The small garden of Skrudur
Flavia Pastò *
abstract
abstract
Il mondo è insieme macro e micro. Noi interveniamo
con piccoli progetti per sollevare le sorti del paesaggio
che ci circonda, altri in futuro raccoglieranno la sfida.
Quando si manifesta, la bellezza crea dei luoghi
apparentemente diversi tra loro, in realtà ricchi di
comuni valori che solo lei è in grado di donare ed
evocare. Skrudur, un piccolo orto sulla riva dei fiordi
islandesi, è diventato il simbolo di una civiltà che vi
si identifica. Un piccolo giardino che combatte contro
le avversità della natura, in una terra di ghiaccio e
neve.
The world is composed at the same time by macro
and micro. We act with small projects to get better
the landscape around us, others in the future will reap
the challenge. When the beauty appears, it creates
some place apparently different, but in reality full of
common values. Only the beauty is able to donate
and evoke this values. Skrudur, a small garden on
the banks of the Iceland’s fjords, has become the
symbol of a civilization that is identified. A small
garden that fights against the adversities of nature,
in a land of ice and snow.
parole chiave
key-words
valore, manifestazione, identità
value, event, identity
* Architetto paesaggista, dottoranda in Progettazione
Paesistica presso Università degli studi di Firenze
[email protected]
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze
luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/
La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
Introduzione
“La nostra realtà è insieme locale e globale, macro e
micro, e a volte risposte alla difficoltà di interpretarla
ci giungono da paesi antipodici, cioè dotati di un
angolo critico che in virtù di una grande distanza,
di un estraniamento rispetto ai nostri codici abituali
di tempo e di spazio, vede il nostro mondo con
occhi ormai diversi” (Franco Zagari,2013). Viviamo
in uno spazio dove convergono allo stesso tempo
realtà enormi e microscopiche. Il paesaggio della
terra rappresenta il massimo grado di questa realtà,
è il macro per eccellenza, rigoglioso e fiorente nei
suoi tratti migliori, povero e degradato nelle zone
più distrutte dall’azione nociva dell’uomo. All’interno
di questa enorme Pangea troviamo, al contempo,
un’infinità di micro-paesaggi, esempi di minor
scala, piccoli per estensione territoriale, ma non
per l’importanza che hanno nel sistema del nostro
vivere. Essi, infatti, gravano sulla nostra esistenza
proprio come il macro paesaggio e ci permettono
di apprezzarne ogni giorno la loro infinita bellezza.
Quando però, purtroppo, ci troviamo di fronte a
paesaggio distrutti, a quell’enormità deforme la cui
causa purtroppo è da imputare solo a noi stessi, ci
rendiamo conto che è necessario risollevare le sorti
del nostro pianeta. Un intervento per fare tornare
il paesaggio alla sua bellezza iniziale non è cosa
semplice né banale, ci sono voluti secoli per ridurre il
nostro intorno come oggi ci appare e nessun progetto
unitario ci permetterà una soluzione definitiva. È
necessario procedere per gradi, con piccoli interventi
mirati a riportare lo splendore nelle piccole cose, nei
piccoli paesaggi che ci circondano, nella speranza che
si crei una sorta di network di aiuto al nostro mondo
e che i nostri figli, e chi verrà dopo di essi, possa
accettare questa sfida e prodigarsi allo stesso modo
per salvare l’ambiente e rendere i piccoli paesaggi
un grande paesaggio dotato di estremo fascino.
L’uomo odierno, sazio e soddisfatto del benessere e
dai molteplici comfort che a fatica si è creato, stenta
a mettersi alla prova per cambiare il mondo. Solo un
piccolo gruppo di persone illuminate, una minoranza
che, come in ogni epoca storica, si è distinta per
particolari capacità, in questo caso per la propria
sensibilità verso la bellezza, ha iniziato a prendersi a
cuore l’interesse del proprio paese. Certo, si tratta di
piccoli interventi, piccoli gesti che si spera in futuro
diventino sempre più numerosi, così come la piccola
e solitaria gocciolina d’acqua che, insieme a milioni
di altre sue gemelle, ha formato con il tempo i mari
e gli oceani.
La bellezza e il paesaggio
“La bellezza del cosmo è proprio quel suo manifestarsi”
63
(J. Hillmann, 1999): dal più piccolo granello di sabbia
al cosmo stesso. E nel nostro mondo, composto da
grandi e minuscoli elementi, questo valore, a prima
vista così soggettivo e difficile da catalogare, ci si
manifesta in maniera apparentemente diversa.
Ogni singolo paesaggio rappresenta la massima
espressione di quanto la natura sia in grado di
offrirci e dimostra, spesso, le capacità dell’uomo
di trasformarla in qualcosa definibile con quel
sostantivo apparentemente ineffabile che è la
bellezza. Affermare che un paesaggio è bello significa
attribuire alla composizione che stiamo osservando,
naturale o artificiale che sia, non solo un valore di
carattere estetico, ma anche, come afferma Zagari
(2013), un alto valore di creatività, di coraggio e di
inattesa libertà al suo autore, arrivando quindi a dare
un valore etico e civile a chi ha pensato, progettato
e realizzato quell’opera così ricca. Certo, questo
comporta una grande responsabilità nei confronti di
chi si adopera a modificare la natura di un luogo,
perché questo processo deve essere guidato da
una mente ricca di talento, per evitare di rovinare
ogni singolo elemento che la compone. Uno degli
elementi più incantevoli e più piccoli che troviamo
in natura è il fiore: un’esile gambo che sostiene una
corolla, dei petali leggeri e colorati e un calice che
sembra disegnato da un artista. Ogni parte, presa
singolarmente, rappresenta una meraviglia, perfetta
nel disegno e regolata da leggi matematiche, ma
solo quando sono tutte insieme e formano il fiore
allora ci si accorge della sua bellezza. Come a teatro,
quando sul palcoscenico decine di attori mettono in
scena uno spettacolo: l’esito finale dipende dalla
bravura dei singoli, allo stesso modo succede in
natura. L’uomo osserva un fiore che fiorisce e ne
rimane estasiato. Ma se questo fiore si trovasse in
un piccolo giardino, e oltre a lui ce ne fossero altri
dieci, cento, mille, non rimarrebbe ulteriormente
colpito da questo capolavoro? Certamente un fiore
è bello, ma diventa più facile assimilarlo alla bellezza
che cogliamo nel paesaggio dove è piantato, senza
considerare più i singoli elementi che lo compongono
e che ne stanno determinando il suo aspetto così
apprezzato. In ogni giardino ciascun elemento
naturale diventa parte attiva di un’unica armonia, ed
è compito del progettista capire la trama, gli attori e
il degno finale di quest’opera che sta per realizzare.
Ogni elemento materico che vediamo nel mondo è
degno di nota per il suo carattere estetico, ma spesso
il più piccolo non è così evidente agli occhi di tutti
e non viene considerato come parte attiva che mi
determina la bellezza generale dell’insieme. Quando
però si arriva a comprendere questo sistema di
sottomultipli e ci si imbatte in qualcosa dall’indubbio
valore estetico, ecco che subito si cerca di farla
propria, di rubare quell’oggetto che a noi sembra
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64 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 1. La montagna di Núpur si erge alla sinistra della
fotografia. Il paese di Núpur con la fattoria e la scuola e più a
destra il giardino di Skrudur
così bello e di modificarlo in qualcosa di ancora più
piacevole, spesso accorpandolo con altri suoi simili
o utilizzando scale diverse. L’insieme di tutte queste
azioni per trasformare e migliorare il territorio
dove viviamo è dettata dal desiderio di progettare
il paesaggio secondo dei personali canoni estetici.
Da sempre l’uomo cerca di manipolare l’ambiente
che lo circonda, definendo così il paesaggio come la
“natura trasformata dall’uomo nel corso della storia”
(M. Venturi Ferriolo, 2002), secondo la propria idea
di piacere e bellezza. Il fascino di un panorama può
essere tale per alcuni, mentre per altre persone può
risultare assolutamente insignificante, poiché non
c’è una scala univoca in grado di stabilire il valore
estetico del paesaggio, o di comparare la bellezza di
un giardino rispetto ad un altro. Nel termine stesso
di paesaggio vi è insito il fatto che per apprezzarlo,
per comprenderlo e perché esso esista, ci deve
essere qualcuno che lo guardi o che lo vivi in un
dato momento. Come sostiene M. Augè (2004) per
parlare di paesaggio è necessario che ci siano degli
osservatori che lo guardino e che descrivano lo
spazio che vedono ad altri uomini. La bellezza di un
oggetto, la bellezza di un paesaggio e il paesaggio
stesso, sono legate alla percezione e quindi alla
soggettività di chi ammira: ogni soggetto riceverà
da uno stesso paesaggio delle sensazioni diverse,
dettate dal proprio bagaglio storico, culturale e
morale. A Skrudur la popolazione locale, restia a
dedicarsi alla coltivazione degli ortaggi a causa delle
condizioni avverse che caratterizzano il paesaggio
islandese, non riusciva a cogliere la bellezza di
quel luogo e le sue potenzialità, ma poi si è dovuta
ricredere. Ha seguito con ammirazione le azioni di
un pastore che non voleva darsi per vinto e che
grazie alle proprie conoscenze e alla forza di volontà
ha dimostrato come fosse possibile realizzare un
orto-giardino dal quale poter trarre sostentamento,
piacere e insegnamenti.
L’identità e la bellezza
Figura 2. L’orto-giardino di Skrudur
Figura 3. Particolare dell’asse all’interno del giardino con la
fontana di pietra
Ogni cosa ci identifica. Voltaire scriveva che la
bellezza, per il rospo, è la sua femmina, con i suoi
due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa,
la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno.
Quello che per il piccolo rospo è bello, per un altro
animale può non esserlo altrettanto, e allo stesso
modo avviene di fronte ad un paesaggio. Affermare,
infatti, che un giardino o una parte di esso è più o
meno bello, dipende dalla cultura che in quel luogo
si riflette e vi si riconosce, perché non vi può essere
una univoca interpretazione di ciò.
Per capirlo occorre conoscere il fondamentale
bisogno di valori estetici di ogni popolo che si riversa
nelle quotidiane azioni: dall’abbellimento dei corpi,
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
Figura 4. Il reverendo Sigtryggur e la seconda moglie Hjaltlína
al lavoro nell’orto
degli utensili, alle movenze nella danza, alla poesia
o al canto, ciascuno di noi ha un proprio modo di
esprimere la grazia e l’eleganza. Ma quando il
soddisfacimento di questo desiderio di bellezza viene
sposato nei confronti della natura, ci troviamo di
fronte ad un bivio: a seconda dell’autore di questi
gesti la natura ne può trarre giovamento o, se si
esagera, può esserne modificata a tal punto da non
riuscire più a riconoscerla, arrivando addirittura ad
una sua feroce deturpazione. Cercare di realizzare
un giardino rigoglioso, tipico delle foreste pluviali, in
territori aridi e inospitali come per esempio il deserto,
spinti dal mero desiderio contemplativo di un bel
paesaggio, non è certo operare con consapevolezza
nella natura, né tantomeno ritrovare l’identificazione
di qualche valore etico in quel luogo. È necessario,
invece, cercare di costruire paesaggi apportando
modifiche coerenti allo stato reale, unendo in un
sapiente progetto elementi del passato e del presente
per ottenere una realtà estetica, ma soprattutto etica,
65
legata all’azione dell’uomo stesso che l’ha realizzata.
Il bagaglio che porta con se, fatto di ragionamenti
legati all’ambiente, alla comunità dove risiede, alla
società a cui appartiene, è il fattore che determina
una scelta progettuale del luogo rispetto ad un’altra.
Si può sostenere che in ogni progetto di paesaggio
non vi sono solo decisioni guidate dai gusti estetici,
di moda o stile, ma soprattutto scelte di tipo etico
personale, legate alle proprie esperienze di vita, come
nel caso del pastore Sigtryggur Gudlaugsson che ha
realizzato l’orto di Skrudur guidato principalmente
dal suo sapere e dalla sue conoscenze in materia.
Cogliere la bellezza del paesaggio significa scoprire
attraverso i nostri sensi quelle peculiarità legate
al nostro bagaglio culturale che ci permettono di
percepire il valore estetico che in esso risiede. Il
riconoscimento dell’identità di un paesaggio e quindi
della sua bellezza implica l’individuazione di un
valore particolare che lo differenzia da un altro luogo.
Questo valore è la sintesi di tutte le caratteristiche
intrinseche ed estrinseche di questo paesaggio.
L’aggettivo bello, quindi, applicato ad un paesaggio,
non si lega solamente al suo lato estetico, al suo
aspetto, ma fa capo anche e soprattutto alle sue
caratteristiche di composizione formale, alle scelte
che sono state fatte a priori e che lo rendono come
noi lo cogliamo. L’ armonia di un luogo è ricercabile
anche nel legame indissolubile che esso ha con la
comunità che in lui si identifica e che lo rappresenta,
sia esso grande o piccolo. Pertanto la vera bellezza
non potrà essere colta da tutti, indistintamente,
nello stesso paesaggio, ma sarà legata alla propria
esperienza passata e alla memoria, impressa nella
storia che contraddistingue quel luogo. Il fascino non
è soltanto nei grandi giardini o nei parchi delle ville
imperiali d’Europa, ma è soprattutto nelle piccole
cose che ci circondano. Occorre spalancare i nostri
sensi, resi ormai ottusi dalle enormità del mondo e
carpire lo splendore della natura, che solo l’occhio
esperto riesce a cogliere. Che si tratti di piccoli
giardini o di paesaggi lontani, vicino a noi o negli
angoli irraggiungibili e remoti del continente, in
luoghi accessibili o ai piedi di grandi montagne, in
terre accoglienti o aspre e avverse, saranno sempre
i piccoli luoghi ad affascinarci maggiormente.
Il piccolo orto di Skrudur
Un piccolo paesaggio può essere un grande esempio
di come la natura possa manifestarsi in tutto il
suo splendore, facendosi portavoce dell’eredità
identitaria di un popolo. Come il piccolo orto di
Skrudur, vincitore del premio Internazionale Carlo
Scarpa per il Giardino nel 2013, quale luogo che
contiene patrimonio di memoria e natura. È situato
in Islanda, un’ affascinante isola dalle
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66 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 5. Vista all’interno dell’orto: il ruscello che sgorga dalle
pendici del monte scorre nel giardino in una condotta
particolari caratteristiche morfologiche che la
contraddistinguono dalle altre terre che circondano
il circolo polare artico. Essa, infatti, è costituita da
duecento vulcani, trenta dei quali ancora attivi,
seicento geyser e ghiacciai che ricoprono quasi un
quarto della sua superficie. Nella sua punta più a
ovest, su un declivio che guarda il fiume Dyrafjörôur,
si trova Núpur, una piccolissima comunità costituita
da una scuola, una chiesa e una fattoria (fig.1).
Nel 1905 il reverendo protestante Sigtryggur
Gudlaugsson, divenuto vedovo prematuramente,
decise di raggiungere il fratello Kristinn nella contea
di Myrahreppur, per occupare il posto vacante di
Pastore nella parrocchia di Núpur. Una volta giunto
in questo fiordo si insediò nella piccola fattoria
che Kristinn aveva acquistato qualche anno prima.
Accumunati dalla passione per l’insegnamento e
l’amore per la cura della terra, decisero di fondare
una scuola, che entrò in funzione nel 1907, e di
costruirci accanto un giardino didattico per tenere
le lezioni all’aperto. Il sette agosto 1909 si inaugurò
Skrudur (fig.2), l’orto-giardino ispirato alle teorie del
Pastore danese Stevain, che si stavano diffondendo
già da qualche anno anche nell’estrema Islanda.
Non si trattava, come lo stesso Sigtryggur scrisse
nel suo diario che quotidianamente aggiornava, di
un giardino ornamentale, bensì di un vero e proprio
orto che, come prolungamento della scuola, potesse
aiutare nella didattica delle discipline botaniche, per
mostrare le potenzialità di semi, alberi e arbusti
anche sui terreni brulli, tipici dell’isola. Questo
appezzamento di terreno si estendeva in un pendio
leggermente inclinato ai piedi di una montagna,
che ne garantiva una protezione contro il gelo della
terra durante i rigidi inverni islandesi. Sebbene
fosse stato più semplice e comodo costruirlo nello
spazio adiacente alla fattoria del fratello, il Pastore
decise di spostarsi verso il versante della montagna,
proteggendosi così anche dal vento marino, dagli
animali presenti nella fattoria stessa e dalle piante
erbacee infestanti. Inoltre avrebbe potuto sfruttare il
dislivello del terreno della collinetta sopra Stekkjarlag
per avere una buona pressione dell’acqua, utile per
annaffiare le aiuole attraverso un sistema di tubature.
“Ho trovato il paesaggio bellissimo per un colloquio
privato con la natura, più intimo che a casa, nella
fattoria, soleggiato dal mattino fino a mezzogiorno.
La bellezza è spesso più evidente in quel che non si
vede, che in quello che è sotto gli occhi ogni giorno”
(Sigtryggur Gudlaugsson, 1909-1949; trad. it.
2004). Nel suo manoscritto il Pastore annotava non
solo le sue vicende autobiografiche, i suoi pensieri,
ma anche tutti i lavori svolti nell’orto, i cambiamenti
climatici, le piante scelte dagli studenti e gli ortaggi
che riuscivano a superare gli inverni. E grazie a
questo preziosissimo diario oggi possiamo capire con
quanta difficoltà è stato realizzato questo splendido
angolo di terra coltivata e come si è proceduto nella
sua costruzione. Utilizzando le comuni modalità,
conosciute dai pastori che cercavano di operare sul
terreno in condizioni di particolare asperità climatica,
fu tracciato un perimetro, dissodato il suolo, recintata
l’area, convogliate le acque e iniziata la semina.
Lungo sessantasei metri e largo trentatré, l’orto
di Skrudur presenta una planimetria che sembra
ispirarsi ai giardini europei dell’epoca barocca e
rinascimentale. Con le pietre provenienti dalle pietraie
nelle vicinanze è stata realizzata la cornice esterna
dell’orto, alta circa un metro e mezzo, mentre al suo
interno le sei diverse aree di coltivazione sono state
separate sempre da muretti in pietra. Un ruscello
che sgorga dalle pendici del monte attraversa il
giardino in diverse forme, giungendo nella fontana
centrale in pietra (fig. 3). Furono poi stabiliti tre
ingressi: due realizzati in legno, e uno con le ossa
della mandibola di un’enorme balena, donata da un
contadino della zona che se le aggiudicò ad un’asta,
e fissata su dei basamenti di calcestruzzo. Negli
anni seguenti vennero poi eseguiti diversi lavori
di manutenzione: il terreno fu più volte livellato e
spianato per permettere la semina dei vari ortaggi,
tra i quali patate, rape, cavoli, carote, rabarbaro,
insalata, spinaci, cipolle e pure fragole e pomodori;
furono lasciati in alcune parti degli avvallamenti
per il riparo alle piante ornamentali, e si arrivò ad
averne quasi trenta specie diverse, cosa assai rara in
Islanda. Nell’area dell’appezzamento venne costruita
anche una piccola serra, utile per seminare piante
commestibili in primavera e proteggere le piante
ornamentali che necessitavano di temperature
particolari, e infine fu realizzato un piccolo deposito
scavato nella terra per l’inverno, costruito in pietra
all’interno. Gli studenti che frequentavano la scuola
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La dimensione educativa del piccolo per il progetto di paesaggio |
venivano portati in orto per imparare sul campo come
si coltivavano le piante, come si poteva ottenere
un buon raccolto anche da terreni aridi come quelli
islandesi, come riconoscere e consumare gli ortaggi.
Inoltre, una volta terminati gli studi, potevano
piantare alberi nel giardino e prendersene cura come
fossero una loro proprietà, garantendo così un aiuto
continuativo nella manutenzione dell’orto-giardino.
Delle specie arboree quella che crebbe meglio fu il
sorbo rosso, ma diedero una discreta soddisfazione
a ragazzi anche la Betula pendula, gli aceri, i pini
e abeti provenienti dalla Norvegia, la Caragana
arborescens, i ribes rossi e neri, il caprifoglio, le rose
e il Symphoricarpus albus. Skrudur, sotto lo sguardo
costante di Sigtryggur e della seconda moglie
Hjaltlina,(fig.4) crebbe sempre più, diventando nella
stagione estiva meta di visite di diverse centinaia
di persone che venivano a constatare con i propri
occhi le capacità di questo spettacolo della natura.
Dopo una fase di abbandono negli ultimi decenni
del Novecento, un gruppo di seguaci delle teorie
del Pastore ha deciso di rimettere in vita questo
orto botanico, restituendolo alla coltivazione e alle
esplorazioni dei turisti (fig.5).
Conclusioni
Oggi la scuola non c’è più, ma lo spirito del reverendo
Sigtryggur continua ad esserci. E il piccolo orto con
lui. Si continua a coltivare il terreno, a convogliare
le acque, a togliere le erbacce e a raccogliere i frutti
maturi. Coltivare la terra a Núpur significava allora,
ma significa anche oggi, aver cura di un processo che
porta alla conoscenza, al benessere e all’educazione
sociale di chi vi partecipa. La forza con cui gli ortaggi
riescono a cresce nell’orto-giardino, vincendo le
forze, a loro contrarie, generate dalla natura di un
luogo così inospitale , quali sono le terre del circolo
polare artico, è un prezioso insegnamento. La buona
pratica di gestione dei luoghi permette di ottenere
paesaggi belli e rigogliosi, anche in territori che ne
farebbero presagire il contrario, rimanendo fedeli
alla propria identità e senza stravolgere gli equilibri
naturali insiti in quell’ambiente. L’esperimento
coraggioso di un Pastore islandese che, dopo essersi
a lungo documentato, ha deciso di intraprendere
questa avventura, ci consente di ammirare ancora
oggi un piccolo orto botanico di straordinaria
bellezza, cresciuto in una terra a lui avversa. Da
ogni pietra che compone i recinti, come da ogni
pianta seminata e messa a dimora nel terreno,
trapela il massimo rispetto che Sigtryggur aveva
nei confronti dell’ambiente dove si accingeva a
lavorare, e contemporaneamente viene rilasciato il
fascino che li contraddistingue quali piccoli e perfetti
elementi naturali. Questa oasi educativa si manifesta
67
portando con se la storia e la cultura che l’ha fatta
nascere, cresce e giungere fino a noi, come monito
per i tempi futuri. Il rapporto tra natura e cultura,
tra il buon governo e la giusta attenzione alla natura
sia da esempio non solo per il popolo islandese, ma
anche per tutti gli altri popoli, presenti e futuri.
Riferimenti bibliografici
Augè, M. (2004), Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati
Boringhieri, Torino.
Boschiero, P. & Latini, L. & Luciani, D.(2013), Skrudur, Núpur:
Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino XXIV
edizione, ed. Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso.
Fontanari, E. (2005), Beauce. Riflessioni su paesaggio e
territorio, EdicomEdizioni, Monfalcone.
Hillmann, J. (1999), Politica della bellezza, ed. Moretti & Vitali,
Bergamo
Modica M, Che cos’è l’estetica, ed. Riuniti, 1997, Roma
Venturi Ferriolo, M. (2001), Etiche del paesaggio. Il progetto
del mondo umano, Editori Riuniti, Roma.
Zagari, F. (2013), Sul paesaggio lettera aperta, ed. Libria,
Melfi.
Riferimenti iconografici
Figure 1,2,4: foto di Brynjolfur Jonsson (1996)
Figure 3,5: foto di Luigi Latini (settembre 2012)
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Flavia Pastò, Il piccolo orto di Skrudur, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno
3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/
quaderni/index.html, pagg. 62 - 67
Contatti: [email protected]
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SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
Rallentamenti verdi | Green Stormwater Management
Carlo Peraboni*
abstract
abstract
Il tema proposto è quello della realizzazione di
interventi di nuovo paesaggio urbano a partire dalla
sistematica applicazione di strategie di progetto volte
al rallentamento del deflusso delle acque meteoriche.
L’attenzione a queste tecniche di intervento permette
un significativo rallentamento del deflusso delle
acque piovane, assicurando un rilascio graduale
ed al contempo permette la costruzione di nuovi
paesaggi urbani.
The proposed theme is the implementation of
new urban landscape actions starting from the
systematic application of design strategies aimed at
slowing down the flow of stormwater. The attention
to these intervention techniques allows a significant
slowdown of stormwater flows, ensuring a timed
release and all the while allows the construction of
new urban landscapes.
parole chiave
key-words
paesaggio urbano, infrastrutture verdi, deflusso
acque meteoriche
urban landscape, green infrastructure, stormwater
management
* Politecnico di Milano, Ricercatore, [email protected]
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
69
Introduzione
Sono spesso eventi catastrofici ad innescare processi
di ripensamento delle strategie di progetto. Nella loro
drammaticità alcune evenienze inducono riflessioni
e ripensamenti di carattere strutturale inducendo
mutamenti di direzione altrimenti non di realizzabili.
Significativo è ad esempio l’impatto avuto sulla città
di New York dall’uragano Sandy1, che ha devastato
le zone costiere della città ed ampie porzioni di
territorio del New Jersey, provocando oltre cinquanta
miliardi di danni. L’evidenza, confermata da numerosi
rapporti di ricerca, è che gli effetti del riscaldamento
climatico porteranno nel prossimo futuro ad un
accrescersi di situazioni di crisi e ad una maggiore
frequenza di questo genere di eventi.
Un rapporto della Columbia University, curato tra gli
altri dal climatologo Radley Horton (2013) che da anni
studia il fenomeno, individua tre fattori ambientali
come determinanti al verificarsi della tempesta;
l’aumento del livello del mare, il riscaldamento
delle temperature oceaniche ed il conseguente
scioglimento dei ghiacci. I modelli climatici
prevedono che a parità di incremento verificato negli
ultimi trent’anni sarà possibile registrare un ulteriore
innalzamento del livello delle acque intorno a New
York nei prossimi anni; questo potrebbe aumentare
di tre volte il rischio di inondazioni costiere. Un
secondo elemento di problematicità è rappresentato
dal progressivo indebolirsi delle correnti provenienti
dalla regione artica che hanno in passato protetto
la città deviando le tempeste e spingendole
oltre l’Atlantico. L’affermarsi di queste evidenze
scientifiche ha avviato un ampio dibattito nella città
circa le soluzioni da adottare per ridurre l’impatto
di questi eventi sul sistema urbano aprendo la
discussione intorno ad una molteplicità di posposte
che, pur partendo dalle medesime premesse, si
articolano secondo prospettive e logiche di intervento
sostanzialmente differenti.
Da evento a regola
In occasione del primo anniversario dell’uragano
Sandy, il City Panel on Climate Change ha pubblicato
un report (NYC/PCC, 2013) in cui si dava evidenza
scientifica alla teoria secondo cui fenomeni analoghi
per intensità all’uragano Sandy potrebbero diventare
un evento annuale entro il 2100.
Ecco, allora, emergere una molteplicità di proposte
– alcune orientate a percorrere soluzioni più
tradizionali, altre sicuramente più fantastiche, ma
tutte accreditate come praticabili per ridurre gli
effetti degli eventi meteorici in alcuni quartieri di
New York valutati come particolarmente vulnerabili.
(fig. 1)
Figura 1. Proiezioni della crescente esposizione ad eventi
meteorici estremi (NYC/PCC, 2013)
Il primo progetto elaborato dall’architetto Stephen
Cassell
e
dall’Architecture
Research
Office,
denominato Rising Currents, assume come ipotesi
progettuale la costruzione di un sistema di bordi
erbosi paludosi funzionali ad evitare il progredire
dell’acqua nei tessuti urbani della città. Il gruppo
di progettisti ha immaginato di proteggere Lower
Manhattan con un sistema di isole frangiflutti in
tubi di geo-tessile e coperti di impianti marini. La
realizzazione di questi avamposti potrebbe essere
costruita attraverso l’aggiunta di un intero “blocco”
– da realizzare attraverso lo stoccaggio di materiale
di discarica - per creare lo spazio per un nuovo parco
intervallato da paludi salmastre.
L’obiettivo perseguito è quello di progettare una città
meglio capace di resistere alle maree e resistente
attraverso un sistema di nuovi bordi posti a
protezione delle strade della città.
L’obiettivo di assorbire l’enorme energia generata
dall’evento meteorico viene perseguito attraverso la
predisposizione di una zona umida estesa e resistente,
in grado di assorbire l’energia e proteggere la costa.
Interventi complementari interessano le strade del
quartiere le cui sezioni vengono ridefinite al fine
di rendere l’area maggiormente sicura ed in grado
di gestire l’impatto delle onde. L’intervento viene
presentato dagli autori come in sostanziale continuità
con la storia di Manhattan, proponendosi di utilizzare
la natura dentro un contesto di infrastruttura
artificiale.
L’immagine del progetto evidenzia l’estensione
dell’intervento e il consistente impatto che lo stesso
avrebbe sull’immagine urbana della costa cittadina.
(fig. 2)
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figura 2. “Rising Currents” per trasformare Lower Manhattan
in una infrastruttura ecologica
figura 2a. “Rising Currents” per trasformare Lower Manhattan
in una infrastruttura ecologica
Il secondo progetto discusso dalla città, denominato
Marshy Edges, Absorptive Streets, è stato redatto
dall’architetto e paesaggista Kate Orff. La sua
strategia di progetto nasce dalla convinzione che la
protezione della città non possa avvenire attraverso
la messa in atto di opere infrastrutturali di tipo
convenzionale. Si tratta allora di aprire l’attenzione
progettuale ad interventi che valorizzino l’interazione
ecologica e rendano il limite della città un elemento
attivo nel controllo dell’energia marina.
La proposta, sviluppata in collaborazione con lo
studio Scape / Landscape Architecture, prevede
un articolato sistema di barriere artificiali poste
a protezione del canale e della baia. L’originalità
dell’idea è quella di prevedere come elemento
costitutivo delle barriere una coltura di ostriche da
utilizzare, secondo la progettista, come “attenuatori
naturali dell’energia marina”. Lo spirito del progetto è
quello di ottenere un effetto combinato tra elementi
propri dell’ambiente marino e del sistema urbano.
La sicurezza idraulica della città viene affidata ad
un progetto di interazione tra “assetto urbano ed
ecologia” opportunamente bilanciato e orientato alla
ricerca di soluzioni innovative. In realtà la scelta per
la localizzazione dell’intervento richiama strategie
di progetto consolidate, the Bay Ridge Flats, uno
specchio d’acqua che si trova al largo della costa del
Brooklyn Army Terminal, era in tempi passati sede
di un piccolo arcipelago di isole che proteggevano
la costa di Brooklyn. Queste formazioni, da tempo
scomparse a causa dei lavori di dragaggio, verrebbero
ricostituite con gabbie di ostriche, che nel tempo,
formerebbero una sorta di “barriera ecologica”
capace di attenuare le impetuose maree provocate
dagli uragani. (fig. 3)
Il terzo progetto, denominato Bridge in Troubled
Waters, riprende una proposta da tempo in discussione
e orientata al costruire un sistema di paratie mobili
funzionali al proteggere la parte settentrionale di
Staten Island dalle maree. Staten Island è stata una
delle parti della città maggiormente danneggiata
dall’uragano Sandy e una petroliera di 168 metri si
è schiantata provocando danni materiali e vittime.
È ritenuto dagli esperti senza dubbio il quartiere più
esposto di New York in quanto esposto alle correnti
oceaniche.
Il progetto, presentato da Murphy e Thomas
Schoettle, prevede la realizzazione di una struttura
di contenimento con torri sospese attraverso l’Arthur
Kill (il corso d’acqua che separa il New Jersy da New
York) che attraverso un sistema di paratie mobili
funzionali al controllo delle escursioni di quota delle
maree da attivare, se necessario, a protezione delle
coste. Un progetto che prevede anche la realizzazione
di generatori che sfruttando le correnti sottomarine
garantirebbe una completa autonomia energetica e
quindi la possibilità di funzionare anche in situazioni
di black-out elettrico.
L’intervento non ha trascurato anche aspetti di
carattere turistico-ricreativo e il progettista assicura
che “[…] l’inserimento paesaggistico dell’intervento
è stato molto curato e l’opera permetterà di fruire
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Figura 3. “Marshy Edges, Absorptive Streets” un tentativo di
costruire un’interazione ecologica
Figura 4. “Bridge in Troubled Waters” un’infrastruttura per la
sicurezza urbana
di molteplici opportunità ricreative”. Un intervento
dunque mirato alla risoluzione di un problema di
sicurezza idraulica ma al contempo capace di fornire
prestazioni significative anche in altre direzioni.
Questo piano (NYC/DEP, 2014) finalizzato alla
costruzione
di
infrastrutture
verdi
sviluppa
progressivamente un approccio più complessivo; al
tema della interazione tra natura e ambiente urbano
si aggiunge il tema del controllo del deflusso delle
acque meteoriche, di interventi volti a migliorare
la qualità dell’acqua, della capacità di estendere i
luoghi della connessione verde integrando elementi
differenti e prevedendo una molteplicità di interventi,
diffusi e di piccole dimensioni, mirati ad ottimizzare
il sistema esistente. Un approccio articolato e
modulare, adattivo nel processo e responsivo nelle
finalità.
Il progetto dell’infrastruttura verde si rafforza, in
questo caso, attraverso il forte sostegno pubblico
e di governo che l’iniziativa genera, aprendo la
strada ad investimenti capaci di perseguire una
molteplicità di obiettivi, attraverso interventi diffusi
e complementari. Il progetto di infrastruttura verde,
che assume come prioritaria la necessità di gestire
il deflusso delle acque meteoriche attraverso la
creazione di aree vegetate, ambiti di laminazione
e sistemi drenanti a rilascio differenziato, diviene
occasione per ripensare al rapporto tra natura e
città, al ruolo che gli interventi di infrastrutturazione
ordinaria possono avere nel costruire ambienti di
rilevante significato naturalistico.
Grande è bello, piccolo è meglio?
Se, come dicono gli esperti climatologi, il tema
della gestione delle acque meteoriche diverrà
progressivamente uno dei problemi ricorrenti della
vita urbana, la domanda a cui dare risposta diviene:
quali sono le strategie di intervento più efficaci?
E soprattutto, come fare in modo che le pratiche
quotidiane diano un contributo riconoscibile ed
alternativo all’idea di costruire nuove infrastrutture,
costose ed impattanti, grado di contrastare il
fenomeni naturali ed il loro impatto sulla città?
In questo contesto il gruppo di lavoro che da alcuni
anni lavora al Green Infrastructure Plan di NYC
(NYC/DEP, 2014) avverte l’esigenza di affrontare
la sfida inserendo il progetto entro un programma
organico, ma dal forte contenuto operativo, volto
alla riduzione degli effetti catastrofici generati dai
cambiamenti climatici. Il programma messo in atto
si fonda sulla convinzione che la pianificazione e lo
sviluppo urbano non possano prescindere, nel loro
attuarsi, dal fornire risposte efficaci e misurabili ai
rischi derivanti dal cambiamento climatico; si chiede
in particolare alla pianificazione e alla progettazione
di mettere in atto processi capaci di rendere i nostri
sistemi urbani e territoriali meno vulnerabili.
Il Green Infrastructure Plan della città si struttura a
partire da cinque obiettivi:
• migliorare l’efficacia delle infrastrutture “grigie”
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72 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 5. Schema evolutivo del processo di urbanizzazione e
possibili opere mitigative
5a) Azioni del sistema idrologico naturale
•
•
•
•
esistenti e garantire il completamento degli
interventi in corso di realizzazione;
ottimizzare il sistema esistente di raccolta e
smaltimento delle acque reflue limitando la
realizzazione di nuovi interventi infrastrutturali
“grigi”;
gestire, attraverso un deflusso controllato
mediante le infrastrutture verdi, non meno
del 10% delle acque meteoriche raccolte dalle
superfici urbane impermeabili;
istituzionalizzare una modalità di gestione
adattativa e un processo decisionale iterativo
dove l’efficacia incrementale della singole opere
realizzate possa essere monitorata alimentando
un percorso progettuale “learning-by–doing”;
coinvolgere i differenti soggetti interessati alla
gestione delle acque nella predisposizione di un
programma di sensibilizzazione culturale esteso
e differenziato, capace di raggiungere i cittadini
potenzialmente esposti ai rischi causati da questo
tipo di eventi catastrofici.
Questa serie di obiettivi muove da alcune
considerazioni di ordine generale relative alle
riconosciute interferenze che le trasformazioni
antropiche generano sui sistemi di deflusso e
drenaggio naturali.
La ridotta permeabilità dei bacini di raccolta, legata
all’introduzione di superfici impermeabili come
parcheggi, strade ed edifici, si traduce spesso in un
aumento dei volumi da smaltire e nella riduzione dei
Figura 5b. Gestione delle
caratterizzazione antropica
acque
meteoriche
a
forte
tempi di deflusso con il conseguente aumento dei
picchi di flusso a valle degli interventi.
Se a questo aggiungiamo l’effetto provocato dalla
alterazione delle falde freatiche, che può avere gravi
effetti sul funzionamento delle zone umide e sulla
sopravvivenza di molte comunità vegetali terrestri,
e l’alterazione dei regimi di deflusso naturali nei
sistemi fluviali appare evidente la necessità di
prevedere attività di carattere compensativo e
mitigativo relativamente alle prestazioni assicurate
dai sistemi idrologici naturali.
La figura 5 schematizza nell’insieme questi effetti
e prefigura l’approccio necessario per la riduzione
delle problematicità legate alla mancata gestione
delle acque piovane all’interno del contesto urbano.
La realizzazione di questi interventi, articolati
funzionalmente e diffusi spazialmente, permette
di attivare una un’ampia gamma di opportunità, di
carattere multi-funzionale, che può avere implicazioni
significative su una molteplicità di aspetti riferibili al
progetto urbano:
• migliorare la qualità dell’ambiente naturale
dentro le città e caratterizzare positivamente
il sistema urbano. L’attenzione a questi temi
permetterebbe di caratterizzare i progetti con
elementi di naturalità diffusa capaci di ridurre la
pressione antropica generata dalle trasformazioni
e consentire una migliore integrazione tra
ambiente naturale e urbano;
• valorizzare interventi multifunzionali ovvero
interventi capaci di soddisfare una pluralità di
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73
Figura 5c. Approccio di gestione delle acque equilibrato
Figura 6. Schema evolutivo del processo di urbanizzazione e
possibili opere mitigative (NYS/DEC, 2003)
6a) Esempi di interventi Micropool Extended Detention Pond
esigenze, partendo dalla gestione delle acque
meteoriche arrivando alla qualificazione dei
percorsi urbani;
• da ultimo equilibrare il rapporto, non sempre
percepito in termini corretti, tra i costi iniziali di
realizzazione di un intervento urbano e quelli da
sostenere nel lungo termine, comprensivi della
soluzione delle problematiche ambientali legate
ad uno sviluppo urbano disarmonico.
Risulta importante prevedere questi interventi in
modo contestuale alla predisposizione del progetto
prevedendo una forte integrazione tra le differenti
fasi, anche attraverso la costruzione di un piano di
azione complessivo che propone azioni e progetti
di varia natura, dalle infrastrutture alle politiche
sociali, dalle azioni per il miglioramento della
qualità della vita al sostegno al tessuto economico
e produttivo. In questo senso diventa prioritario
prevedere una forte flessibilità attuativa in modo da
tradurre progressivamente gli obiettivi nei processi
amministrativi ordinari e di governo della città,
verificando puntualmente la formula attuativa meglio
rispondente agli specifici caratteri del progetto.
urbanizzazione che a quelli di riqualificazione e si
attuano attraverso una molteplicità di interventi che
agiscono sulle modalità di costruzione e sui sistemi
di gestione delle acque meteoriche e una varietà di
tecnologie, tra cui la ritenzione nel sottosuolo, pozzi
di infiltrazione, pavimenti porosi e permeabili, tetti
verdi e blu. Una varietà di interventi che hanno
mostrato evidenti benefici nella gestione delle acque
meteoriche, la cui caratteristica è quella di potersi
gradualmente integrare con i caratteri del progetto
di infrastruttura verde.
Le strategie di intervento si possono distinguere
come articolate secondo in tre differenti tipologie:
la prima riferibile ad una ridefinizione dell’assetto
della rete idrica; la seconda riferibile ad interventi
nel sottosuolo; la terza riferibile ad interventi che
interessano le strutture edilizie.
Per quanto riguarda gli interventi di ridefinizione
dell’assetto della rete idrica, occorre ricordare come in
passato alcuni progetti hanno applicato un approccio
prevalentemente orientato al convogliamento/
allontanamento delle acque meteoriche facilitando
la rimozione rapida ed efficiente delle acque
senza considerare altri aspetti, quali ad esempio
il miglioramento della qualità delle acque lungo il
percorso, il comfort sociale ed estetico proprio dei
corridoi di acqua, la riabilitazione o la creazione di
zone umide e habitat fluviale. Interventi legati alla
realizzazione di “canali scolmatori” o di “diversivi”
hanno rappresentato spesso una soluzione incapace
di assicurare la sicurezza dei territori. La proposta
Dal dire al fare…
Gli obiettivi del progetto risultano orientati
all’integrazione tra le politiche di salvaguardia dei
valori ambientali e l’estensione di attenzione ai
temi della sicurezza urbana; si tratta di obiettivi di
lavoro che si rivolgono sia agli interventi di nuova
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6b) Esempi di interventi Wet Extended 6c) Esempi di interventi Multiple Pond 6d) Esempi di interventi Pocket Pond
Detention Pond
System
tende quindi a sostituire questi interventi con una
serie di iniziative dal forte significato paesaggistico
funzionali al gestire il deflusso delle acque ed
evitarne il rapido convogliamento nei sedimi fluviali.
Una sapiente progettazione di aree a deflusso
controllato permette il realizzarsi di combinazioni
tra bacini a ritenzione idrica prolungata ed ambiti a
deflusso programmato capaci di ospitare una varietà
di vegetazione di straordinario interesse in funzione
di un diffusione della biodiversità urbana.
Le differenti tipologie di intervento previste sono
(NYS/DEC, 2003; NYC/DEP, 2012):
Micropool Extended Detention Pond (figura 6a) –
si tratta di un sistema di regolazione del deflusso
delle acque che prevede la predisposizione di una
vasca naturale capace di assicurare una prolungata
detenzione delle acque; incorpora una vasca di
laminazione all’uscita dello per evitare eccessi di
sedimenti.
Wet Extended Detention Pond (figura 6b) - prevede la
predisposizione di una vasca naturale che tratta una
porzione rilevante del volume dell’acqua meteorica
rallentandone il deflusso. Il volume d’acqua viene
mantenuto in un sedime sagomato per favorire un
accumulo permanente per un tempo specificato.
Multiple Pond System (figura 6c) – si tratta di una
variante progettuale che prevede una maggiore
articolazione progettuale e configura un sistema di
vasche che trattano collettivamente un rilevante
volume di acque meteoriche.
Pocket Pond (figura 6d) – si presenta come
una configurazione più semplice, e pertanto più
facilamente ripetibile, che raccoglie le acque
meteoriche in corrispondenza di una zona umida
adattata per il trattamento con piccole aree di
drenaggio. Per il mantenimento di quote di acqua
permanente si sfrutta la presenza di falde sotterranee
affioranti.
Questi interventi, a prescindere dalla dimensione,
divengono opportunità per l’inserimento nello
spazio urbano di zone umide vegetate ed i terreni
circostanti, interessati da eventi di riempimento con
ricorrenze meno frequenti, possono essere modellate
con pendenze laterali adeguate ad un uso ricreativo
e piantumate con essenze resistenti agli eventuali
ristagni di acqua. La loro localizzazione permette
la costruzione di continuità ambientali dal grande
significato in termini di diffusione e mantenimento
della biodiversità urbana.
Per quanto riguarda i sistemi di intervento nel
sottosuolo, questi si presentano come interventi
di minore complessità, di più facile realizzazione
e di ampia diffusione. Ad essi è affidato il compito
di ridurre l’effetto di corrivazione delle acque
meteoriche attraverso un pluralità di soluzioni
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75
Figura 7. Esempi di impianti di accumulo posizionati nel
sottosuolo (NYC/DEP, 2012)
Figura 7b.
legate sostanzialmente a due approcci differenti:
la ritenzione ed il progressivo rilascio, la raccolta
ed il convogliamento in aree capaci di garantire un
adeguato assorbimento.
Per quanto riguarda la prima tipologia di interventi
(vedi figure 6a, b) la loro realizzazione prevede la
costruzione di una serie di vasche, prevalentemente
interrate, poste in corrispondenza di superfici
impermeabilizzate e funzionali ad accumulare volumi
d’acqua originati da eventi meteorici; le stesse
acque verranno rilasciate in tempi differiti secondo
una gradualità programmata. (fig. 7)
Di maggior interesse paesaggistico le soluzioni che
prevedono la costruzione di ambiti di assorbimento
graduale, denominati ambiti di bioritenzione.
Questi elementi, che possono assumere una forte
connotazione paesaggistica, sono costituiti da uno,
o più, invasi drenanti caratterizzati dalla presenza
di vegetazione autoctona e da elementi capaci
di rallentare il deflusso delle acque meteoriche
favorendone
l’assorbimento.
Il
sistema
di
bioritenzione prevede inoltre la possibilità che le
acque vengano filtrate in modo naturale attraverso
il transito nel terreno prima di essere convogliate a
valle da un sistema drenante (naturale o artificiale)
posto nel sottosuolo. Il ruolo della vegetazione è
duplice, da un lato di garantire un effetto di filtro
legato all’assorbimento di inquinanti e dall’altro
favorire il deflusso per assorbimento mantenendo
attraverso l’apparato radicale una buona capacità
di infiltrazione nel suolo; in questo senso le aree di
bioritenzione permettono di rimuovere una vasta
gamma di inquinanti, come ad esempio i nutrienti,
i metalli, gli idrocarburi e più in generale i batteri
contenuti nelle acque piovane.
La progettazione di queste aree prevede la
costruzione di piani di scorrimento leggermente
inclinati per favorire uno scorrimento controllato
delle acque superficiali e un adeguato bacino di
stoccaggio funzionale al favorire l’assorbimento
dell’acqua. A differenza degli interventi illustrati
in precedenza l’acqua non dovrebbe stagnare nel
sistema bioritenzione per un periodo superiore ai tre
giorni.
La lunghezza minima deve essere almeno il doppio
della larghezza. I punti di forza di queste soluzioni
possono essere schematicamente riassunti nella loro
valenza paesaggistica, nella versatilità di inserimento
in spazi residuali, come ad esempio aiuole
spartitraffico ed elementi separatori dei parcheggi,
nei ridotti costi di realizzazione e manutenzione.
Relativamente agli interventi che interessano le
strutture edilizie, i più significativi in termini di
efficacia sono sicuramente quelli che intervengono
sulle coperture degli edifici trasformando le ampie
superfici impermeabili in elementi attivi del processo
di controllo del deflusso delle acque meteoriche. Gli
interventi funzionali al rallentamento del deflusso
posizionati sul tetto degli edifici sono una pratica
potenzialmente efficace in quanto implementabili
in un’ampia varietà di situazioni urbane. Occorre
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Figura 8. Esempi di interventi orientati alla bioritenzione (PlanNYC, 2008)
tuttavia sottolineare come la progettazione di un
tetto a deflusso controllato richieda una revisione
attenta delle caratteristiche costruttive dell’edificio
e delle sue prestazioni statiche. Per alcuni edifici
gli interventi posizionati sul tetto possono essere
collegati a sistemi di raccolta collocati nel sottosuolo,
in modo da gestire in termini coordinati il deflusso.
Agli impianti posizionati sul tetto degli edifici
possono anche essere abbinati sistemi di riciclaggio
delle acque meteoriche, sistemi di raccolta dei flussi
funzionali all’utilizzo per finalità irrigue o produttive.
Dentro questa ampia gamma di tipologie di
interventi, sono schematicamente individuate due
tipologie di possibili interventi: la prima, denominata
“coperture blu”, funzionale al controllo degli scarichi
e al regolare la velocità di deflusso dalla copertura;
la seconda, definita “coperture verdi”, che prevede
la messa in opera di più strati di terreno sulla parte
superiore della copertura.
Le coperture blu si caratterizzano per la messa
in opera di un articolato sistema di controlli degli
scarichi funzionale al regolare la velocità di deflusso.
Lavorando su differenziali di quota, barriere e travasi
opportunamente collegati si ottiene una corrivazione
lenta delle acque meteoriche alle fognature. Il
ristagno dell’acqua sulla superficie del tetto è
previsto per un breve periodo successivo all’evento
e il volume accumulato viene lentamente rilasciato
attraverso uno scarico graduale.
Il numero e dimensionamento degli invasi è
da programmare con riferimento all’effetto di
rallentamento e con un rapporto predeterminato
tra lo spessore del manto d’acqua e la portata dello
scarico. Importante risulta la posa di sistemi di
impermeabilizzazione che devono essere installati
come parte integrante del sistema di copertura ed
in modo funzionale all’assicurare una corretta tenuta
delle acque meteoriche.
Le coperture verdi sono costituite da strati di terreno
coltivabile che si dispongono sulla parte superiore
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77
Figura 9. Esempi di interventi sulle coperture degli edifici (NYC/DEP, 2012)
9a) Esempi di interventi di coperture blu caratterizzati da un differenti numero di invasi
9b) Esempi di stratigrafie del manto di copertura verde
dell’edificio con lo scopo di rendere drenanti le
coperture. Le coperture verdi trattengono sul tetto le
acque meteoriche e permettono di ridurre la velocità
di deflusso durante gli eventi di pioggia; al contempo
possono anche mantenere le acque meteoriche e
ridurre in maniera consistente il deflusso delle stesse
nel sistema fognario. In questo senso non si tratta
semplicemente di un sistema di deflusso ritardato
ma di una vera e propria modalità di riduzione del
carico idrico sul sistema fognario. Le coperture
verdi non sono solitamente progettate per avere
una utenza pedonale, che potrebbe causare danni
alla vegetazione e provocare una compattazione
del suolo. In ogni caso potranno essere messe in
opera passerelle o pavimentazioni per l’accesso alle
diverse parti del tetto per le attività di manutenzione
o ripristino.
Queste soluzioni generalmente non limitano l’utilizzo
della copertura per altre funzioni o scopi, come
ubicazione di attrezzature meccaniche, uscite di
sicurezza, evacuazione fumi, accumuli antincendio.
I possibili usi della copertura dell’edificio devono
essere considerati nella progettazione e possono
comportare una specifica definizione delle modalità
d’impiego. Deve essere tenuto in conto tuttavia
che questa tipologia di impianti è progettata per
contenere solo alcuni centimetri di acqua e per brevi
periodi, che vanno da pochi minuti ad alcune ore dopo
un evento meteorico; si tratta spesso di situazioni
meteo-climatiche che rendono improbabile un uso
alternativo della copertura stessa.
Conclusioni
Il progetto di infrastruttura verde diviene
strumento per contribuire in maniera significativa
al miglioramento dell’efficienza e della sostenibilità
urbana. I percorsi di realizzazione del progetto
possono essere differenti ed articolarsi in funzione
dei caratteri ambientali del contesto urbano, dalla
presenza di ambiti di trasformazione, da condizioni
di carattere congiunturale che ne sostengano la
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78 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 10. Diagramma delle competenze e degli Enti coinvolti nel progetto (NYC/DEP, 2014)
rilevanza.
In ogni caso le esperienze realizzate segnalano come
un elemento di successo possa essere la capacità di
creare un quadro di sostegno ampio che favorisca e
incentivi l’integrazione del progetto nel quadro degli
strumenti giuridici, politici e finanziari esistenti.
plan 2008, City of New York, , New York, USA.
Riferimenti bibliografici
Figura
3:
http://www.oprah.com/spirit/Kate-Orff-MarineGardening-With-Oysters
Horton, R.M., Tiantian, L., Kinney, P. L. (2013), Projections
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Issue 8, New York: p.717 – 721
NYC/DEP - New York City Department of Environmental
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NYC/DEP - New York City Department of Environmental
Protection (2014), NYC Green Infrastructure. 2013 Annual
Report, New York, USA. http://www.nyc.gov/html/dep/pdf/
green_infrastructure/gi_annual_report_2014.pdf (consultato
nel febbraio 2014)
NYC/PCC - New York City Panel on Climate Change (2013),
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NY, USA
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Sustainability (2008), Sustainable stormwater management
Riferimenti iconografici
Figura
2:
http://archinect.com/firms/project/12183539/
new-urban-ground-rising-currents-projects-for-new-york-swaterfront/14750432
Figura
4:
https://cityofwater.wordpress.com/category/
architecture/page/4/
Sitografia
http://www.nytimes.com/2012/11/04/nyregion/protectingnew-york-city-before-next-time.html?pagewanted=all
http://www.nyc.gov/planyc2030
http://www.nyc.gov/html/dep/html/stormwater/nyc_green_
infrastructure_plan.shtml
http://www.dec.ny.gov/chemical/8468.html
_________________________________________
1
Sandy si è sviluppato da un’onda tropicale nel Mare dei Caraibi
occidentali il 22 ottobre 2012, in modo rapido rafforzato, ed è
stato aggiornato a tempesta tropicale Sandy sei ore più tardi.
Sandy si muoveva lentamente verso nord in direzione delle
Grandi Antille e gradualmente si intensificava. Il 24 ottobre,
Sandy è diventato un uragano, ha impattato vicino a Kingston,
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
79
Giamaica, poche ore dopo, riemerse nel Mar dei Caraibi e si
rinforzò diventando di categoria 2. Il 25 ottobre, Sandy colpì
Cuba, poi si indebolì a categoria 1. All’inizio del 26 ottobre,
Sandy mosse attraverso le Bahamas. Il 27 ottobre, Sandy
in breve si indebolì a tempesta tropicale e poi si rirafforzò a
uragano di categoria 1. Il 29 ottobre, Sandy curva verso nordnord-ovest e poi si spostò sulla terraferma vicino ad Atlantic
City, New Jersey, come un post-ciclone tropicale con venti
da uragano. Poco dopo, i media hanno chiamato la tempesta
“Superstorm Sandy”.
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Carlo Peraboni, Rallentamenti verdi, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno
3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/
quaderni/index.html, pagg. 68 - 79
Contatti: [email protected]
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SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
Guerrilla Gardening e Paesaggio urbano: piccole azioni di bellezza
clandestina | Guerrilla Gardening and urban landscape: small actions
of illicit beauty
Gaetano Cascino*
abstract
abstract
Il paesaggio urbano contemporaneo è disseminato
di spazi non costruiti abbandonati o sottoutilizzati:
l’esperienza del Guerrilla Gardening pone un nuovo
paradigma di azione, dove lo spazio urbano è
considerato campo di battaglia di una guerra estetica
contro l’incuria e l’abbandono; analisi delle dinamiche
di un fenomeno basato su interventi non pianificati
né progettati, improntati alla riappropriazione dello
spazio pubblico da parte dei cittadini.
Contemporary urban landscape is plenty of
abandoned or undervalued spaces: the experience
of Guerrilla Gardening introduces a new paradigm
in action, where urban spaces are considered as the
battlefield of an aesthetic war against carelessness
and negligence. this social dynamic, based on
unplanned actions, aims to let the citizens regain
public spaces.
parole chiave
key-words
Guerrilla
pubblico
Gardening,
paesaggio
* Architetto, PhD student in
Università degli Studi di Firenze
[email protected]
urbano,
Progettazione
spazio
Guerrilla Gardening, urban landscape, public space
Paesistica,
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze
luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/
Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
Introduzione
Nella vasta gamma di letture ed interpretazioni che
del paesaggio si possono fare, uno degli interrogativi
più spinosi e irrisolti riguarda il rapporto tra progettisti
e fruitori, in riferimento principalmente al diritto
di progettare e modificare l’immagine stessa del
paesaggio; tale riflessione si ritiene necessaria per
poter porre la questione, la cui risposta è di ardua
definizione, su dove sia collocato, nel campo della
progettazione del paesaggio, il limite dell’intervento
non specializzato.
In ambito urbano la spinta partecipativa dei cittadini,
profani della progettazione dal punto di vista tecnicoaccademico, è sicuramente più forte e fa emergere
delle domande pressanti: che cosa deve essere
esclusivamente appannaggio dei professionisti
nella costruzione dell’immagine di una città? E cosa
viceversa non può esulare dalle scelte degli abitanti
che vivono quotidianamente uno spazio? Qual è
la corretta reazione di fronte alle carenze di chi
progetta/amministra il territorio urbano?
Come si è detto, non è semplice dare risposte a queste
domande: l’equilibrio tra esigenze di protagonismo
dei cittadini e rigido controllo tecnico-teorico di un
progetto, l’interminabile ma necessaria negoziazione
politica delle scelte progettuali, le doverose
considerazioni di ampia prospettiva temporale, le
crescenti difficoltà economiche e la paradossale spinta
verso progetti faraonici sono tutte condizioni che
mettono in crisi molti concetti alla base del processo
progettuale; la stessa definizione di progettazione
partecipata oggi, seppur con decenni di studi e
sperimentazioni acquisite, possiede un campo
d’applicazione talmente vasto che “con disinvoltura
si utilizza il termine partecipazione sia che siano
attivate forme di comunicazione od informazione, sia
che si operino vere e proprie costruzioni del consenso,
sia che si portino avanti difficoltosi processi di self
management (autogoverno, autocostruzione, etc.)”
(Rimondi, 2013: pag. 19).
Tutte queste contraddizioni che animano il dibattito
contemporaneo sono riscontrabili nel fenomeno
del Guerrilla Gardening: una pratica che fonda le
sue radici nel dettaglio, nella cura del più piccolo
frammento di città come parte di un mosaico
unitario che è il paesaggio urbano; come “è oramai
un certezza che la riqualificazione degli ambiti urbani
degradati passa attraverso la riqualificazione degli
spazi pubblici aperti” (Ippolito, 2013: pag. 12),
così possiamo considerare necessario trovare un
nuovo rapporto tra città e cittadini partendo dalla
definizione dell’immagine stessa dell’agglomerato
urbano e della sua capacità di essere descritta: già
negli anni Sessanta Lynch scrisse che “un ambiente
urbano piacevole e bello è un’eccezione” e che, di
81
conseguenza, “benché la chiarezza o leggibilità non
sia la sola proprietà importante in una bella città,
essa acquista speciale importanza se l’ambiente è
esaminato nelle dimensioni urbane di estensione,
tempo e complessità. Per comprendere questo, noi
dobbiamo considerare la città non come un oggetto
a sé stante, ma nei modi in cui essa viene percepita
dai suoi abitanti” (Lynch, 1960: pagg. 23-24); oggi
la percezione della città procede dall’identificazione
di piccoli dettagli verso una costruzione complessiva
che appare sfrangiata e senza identità: il percorso
e le attività dei Guerrilla Gardeners permettono di
restituire, in una società affetta dalla ricerca perenne
di qualcosa di più grande, la giusta importanza alla
bellezza di ciò che è piccolo.
Origine e sviluppo del fenomeno
La genesi del Guerrilla Gardening risale all’inizio
degli anni Settanta, quando a New York un gruppo
di attivisti, animati dall’artista Liz Christy, organizzò
un ‘attacco armato’ in un lotto non costruito ed
abbandonato usando delle Seed Bombs (palline forate
riempite di terra e semi); grazie a questa iniziativa
simbolica cominciò un dialogo con l’amministrazione
comunale che decise di autorizzare i Peace Corpstypes from the Post-flower Power Generation (gli
attivisti si autodefinivano in questo modo) ad
accedere in quest’area tra Houston Street e Bowery
Street e trasformarla in un giardino. A seguito di
questo primo successo, convinti che fosse la strada
giusta da percorrere per riappropriarsi della città,
i Peace Corps-types nel 1973 si sciolsero per dar
vita all’associazione Green Guerrillas: inizialmente
con l’obiettivo di lavorare nel quartiere di Loisaida,
l’associazione si prodigò per permettere ad altri
gruppi di cittadini di prendere possesso dei lotti
disponibili e trasformarli in aree verdi liberamente
fruibili; quando la Christy si rese conto del successo
di tale meccanismo fondò anche l’Open Space
Greening Program per il Council on the Environment
di New York, mirando a replicare l’esperienza in altri
quartieri della città.
Parallelamente al successo di questa nuova pratica,
si cominciarono a delineare le difficoltà connesse al
Guerrilla Gardening: appropriarsi di spazi pubblici e
privati era illegale; per risolvere questo problema nel
1978 nacque l’agenzia governativa Operation Green
Thumb, con lo scopo di assegnare in affitto i terreni
di proprietà pubblica a quanti volevano intraprendere
delle operazioni di giardinaggio urbano. In seguito
alla creazione di una struttura pubblica che
legittimava la pratica del Guerrilla Gardening, tale
fenomeno si diffuse e prese campo sviluppandosi
negli anni anche al di fuori della città di New York,
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82 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
divenendo, a cavallo tra XX e XXI sec., un fenomeno
globale contemporaneo abbastanza radicato in varie
aree del pianeta.
Un ampio panorama sulle varie forme di giardinaggio
d’assalto diffuse sul pianeta è visibile, oltre che in
una sempre più vasta produzione scientifica, nel sito
internet guerrillagardening.com: il portale fondato
da Richard Reynolds permette di avere una chiara
visione d’insieme del percorso compiuto da questo
movimento negli ultimi due decenni, oltre ad essere
un grande archivio di informazioni dove azioni ed
assalti verdi sono documentati con fotografie e video
amatoriali. I portali web sono importanti non solo
come spazio comune dove incontrarsi o associarsi
ma anche come diffusori di pratiche d’azione e
fondamenti basilari di giardinaggio per i Guerrilla
Gardeners meno esperti. Insieme alla piattaforma
internet sono stati pubblicati diversi manuali pratici
in versione cartacea, con intere parti dedicate alle
tecniche di giardinaggio ed alla progettazione e
gestione del verde urbano. (fig. 1)
Con Guerrilla Gardening oggi si intende una forma di
‘giardinaggio politico’, una forma di azione non violenta
diretta, praticata soprattutto da ambientalisti che
agiscono in ambito urbano. Si è definito ‘giardinaggio
politico’perché, attraverso una veloce panoramica,
si può notare come molti di questi movimenti sono
legati anche alle battaglie per la difesa dello spazio
pubblico o alle problematiche del consumo di suolo;
la pratica degli ‘attacchi verdi’ è inserita all’interno
di un contesto più ampio che coinvolge anche lo
studio del paesaggio urbano e la sua progettazione,
chiaramente in chiave esplicitamente sbilanciata a
sfavore degli spazi costruiti.
In questa prospettiva, ma fatta propria con realistica
concretezza, gli attivisti rilevano un pezzo di terra
abbandonato, che non appartiene a loro, per farvi
crescere verde, piante, fiori, verdure. L’intento è allo
stesso tempo provocatorio, simbolico e pedagogico,
e la maggior parte dei gruppi compie le proprie
azioni durante la notte, in relativa segretezza, per
seminare e prendersi cura di un nuovo tappeto
vegetale o fiorito; altri gruppi, invece, lavorano più
allo scoperto per tentare di coinvolgere gli abitanti o
le comunità locali: questa strategia vuole privilegiare
l’intento didascalico e partecipativo, individuando
inoltre nel coinvolgimento una forma di garanzia di
successo, si potrebbe dire, di attecchimento della
pratica del Guerrilla Gardening nelle aree attaccate.
Costruzione sociale
Il paesaggio contemporaneo, nelle sue diverse
declinazioni e nelle sue singole forme, cerca e
sperimenta nuove identità. In molte grandi città
europee, ad esempio, l’immagine e l’organizzazione
Figura 1. Guerrilla Gardener
spaziale di considerevoli porzioni urbane sono
state radicalmente cambiate nel giro di pochi anni.
Possiamo affermare che l’architetto del paesaggio
oggi sia parte di un processo di costruzione
dell’identità che trasforma lo spazio in luogo; allo
stesso modo, ma con strumenti e dinamiche differenti,
lo è anche un Guerrilla Gardener, che, in modo più
o meno consapevole, considera la natura urbana
contemporanea come parte fondante del paesaggio
urbano, quasi sottolineando come quest’ultimo sia
“una determinata parte di territorio, così come è
percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro
interrelazioni” (C.E.P., 2000, art.1).
Benché il tema della costruzione sociale, ovvero della
partecipazione, presenti un indiscutibile interesse
anche sul piano teorico-architettonico,
coloro che agiscono come ‘costruttori di paesaggio
urbano’ sono da considerare innanzitutto nella loro
competenza tecnica e nella loro azione sociologica;
l’interdisciplinarietà è perciò un quadro ineludibile.
Tanto nella Convenzione Europea del Paesaggio
quanto all’interno del quadro legislativo italiano le
relazioni tra il paesaggio e le attività di partecipazione
si collocano in uno spazio di chiara evidenza e
indiscutibilità, la cui rilevanza diventa un elemento
imprescindibile dal quale partire. La significativa
apertura in direzione sociale assunta dalla
Convenzione Europea del Paesaggio non si riscontra
soltanto nei termini definitori del paesaggio ma
anche nella messa a punto di politiche del paesaggio
che mettono in stretta relazione la dimensione
paesaggistica del territorio e la partecipazione della
popolazione alla definizione di tali politiche.
In questa relazione tra paesaggio e Guerrilla
Gardening si vuole aggiungere un’ulteriore chiave di
lettura e narrazione del fenomeno urbano, ben più
audace e di difficile individuazione: la partecipazione
come autocostruzione ed iniziativa spontanea;
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
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Figura 2. Piazza Mediterraneo (Palermo)
tenuto conto della innegabile dimensione soggettiva
del paesaggio, occorre rilevare che la popolazione
è necessariamente e sistematicamente coinvolta
nel processo decisionale pubblico che la riguarda,
in quanto la partecipazione e la condivisione
(sociale) in questi processi è intimamente legata alla
definizione stessa di paesaggio, ma inoltre bisogna
affrontare con attenta analisi lo sviluppo di nuove
forme di protagonismo non mediate da strumenti
e teorizzazioni consolidate: nella costruzione
dell’immagine di una città, un giardino ottenuto con
mediante un ‘attacco verde’ è meno rilevante di
un altro progettato o inserito nel corretto percorso
decisionale?
La lettura sociologica della stretta connessione tra
il concetto di paesaggio espresso dalla Convenzione
e le attività di partecipazione più o meno normate,
si può affrontare attraverso un percorso fatto di
riflessioni e interrogativi, ma sicuramente non è
possibile non tener conto, anche nell’ottica di una
governance sempre più complessa, di quali possibili
prospettive future si possano aprire all’azione
spontanea per la definizione del paesaggio urbano.
Occorre registrare infine la forte relazione che
intercorre tra le dinamiche spontanee di intervento
dei cittadini e la conseguente riconoscibilità dello
spazio come luogo, ovvero la maggiore presenza di
un senso di appartenenza e di comunità che rende
descrivibile, all’interno della storia di una città, il suo
paesaggio.
Percezione
Individuare o costruire dei codici per riuscire a
descrivere e interpretare le caratteristiche della
città fisica è un’operazione molto complessa e di
dubbia fattibilità. Se accettiamo di guardare agli
spazi urbani come spazi di relazione, se focalizziamo
non sui singoli oggetti ma sulle relazioni che tra essi
intercorrono, ci troveremo ad affrontare la lettura di
un testo ancora più complesso, dove alla struttura
narrativa portante (rappresentata, appunto, dalla
struttura urbana), si intrecciano e si sovrappongono
le trame degli individui e dei gruppi sociali. Accanto
alla città oggettiva, basata sulla fisicità della materia
dura, esiste dunque un mondo parallelo fatto di
città soggettive, rappresentate da ciascun individuo,
che non abita solo lo spazio fisico della città, ma
vive simultaneamente anche negli spazi affettivi,
estetici e simbolici, della propria privata e personale
città mentale. Le ricerche sulla rappresentazione
soggettiva dell’ambiente hanno evidenziato come sia
possibile distinguere tra uno spazio architettonico,
inteso come realtà obiettiva e fisica del territorio,
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84 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
ed uno spazio personale, inteso come modalità
individuali di utilizzazione ed immaginazione della
realtà.
Potremmo definire la figura del Guerrilla Gardener
come quella di ‘paesaggista dello spazio personale’:
nel suo agire in gruppo raccogliendo scarti di città
e trasformandoli secondo i propri canoni esteticofunzionali, egli porta avanti un percorso di costruzione
dello spazio immaginato, una rappresentazione reale
di una fantasia immaginata. È semplice capire quanto
questa dinamica sia rischiosa, di difficile controllo e
di incerti risultati, ma rimane comunque una delle
più forti dimostrazioni fisiche misurabili di attenzione
della cittadinanza alla qualità dello spazio urbano,
all’importanza della percezione del paesaggio nella
costruzione del senso di comunità già citato.
In questo contesto appena descritto riveste una
posizione assolutamente centrale il concetto di
appartenenza ad un luogo: lo spirito del luogo
corrisponde ad un concetto articolato e difficilmente
esplicabile con una nozione lineare, in quanto dipende
sia dalle caratteristiche proprie di un territorio (che
nel loro insieme costituiscono ciò che si può definire
l’identità del luogo), che dalla connotazione che tali
lineamenti assumono nel vissuto di ciascun individuo.
È evidente la difficoltà che si incontra nel cercare
di delineare questo sentimento di appartenenza nei
confronti di un luogo, inteso come significato che
riveste per l’individuo come idea e non come spazio
fisico.
La percezione dello spazio in ambito urbano è una
complessa operazione che deve tener conto, oltre
che dell’immagine che ci si pone dinnanzi, anche della
base temporale di chi osserva: un individuo analizza
e definisce ciò che osserva anche in base a ciò che
ha visto prima e ciò che vedrà dopo, mettendo in
moto dei processi di valutazione qualitativa basati
sul confronto; di conseguenza, per comprendere la
relazione tra Guerrilla Gardening e paesaggio urbano,
è anche necessario inserire la comparazione (e, come
si è detto, internet in questo è fondamentale) come
percorso di costruzione mentale di un’aspettativa
(spazi urbani verdi di qualità) che non si incontra
con la realtà (spazi urbani verdi abbandonati).
Oggi è un dato indiscutibile, guardando al panorama
dei progetti di verde contemporaneo, la considerazione
del fatto che risulta superata la separazione tra
estetica ed ecologia, tra la Bellezza della “naturaartificiale” di un parco progettato e plasmato
secondo regole architettoniche e la non-Bellezza
della “natura-naturale” incolta e abbandonata, come
ugualmente al contrario che sia bello solamente ciò
che è “puro” mentre sia brutto ciò che è “finto”; a tal
proposito, in conseguenza delle caratteristiche del
guerrilla gardening, si pone una necessaria riflessione
sulla necessità di “riabilitare” la percezione sociale
del nostro paesaggio, soprattutto in ambito urbano
dove il termine “verde”, di tipica matrice urbanistica,
va spesso di pari passo con l’idea che un prato ben
rasato, il tipico “prato all’inglese”, sia sinonimo
di cura, decoro e qualità, mentre la presenza di
erbe e fiori spontanei denotino un’area incolta e
degradata. Emerge dunque chiaramente che il tema
della sostenibilità ambientale ed economica non
può prescindere dalla formazione, dall’educazione
e dalla partecipazione e deve puntare quindi al
riconoscimento e alla condivisione sociale. (fig. 2)
Irrazionalità
La progettazione del paesaggio condivide con altre
scienze sociali alcuni strumenti cognitivi e diverse
metodologie d’intervento, le quali spesso risultano
essere portatrici di verità parziali e molteplici; tra
questi dubbi e queste incertezze troviamo tante
questioni di fondamentale importanza, per esempio
quali sono le conoscenze necessarie per una buona
progettazione del paesaggio, chi può verificare
la qualità del progetto, cosa si intende per buon
progetto. Questo non vuol dire non tener conto del
patrimonio di conoscenza, dei riferimenti di qualità e
di una vasta normativa che la materia ha accumulato
nei secoli, ma che oggi, in una società sempre più
liquida e multiforme, è necessario considerare nuovi
fattori. Uno dei rischi maggiori è quello di “produrre”
paesaggio urbano che rispetta i canoni di qualità
tecnici e formali, ma che non viene riconosciuto
ed accettato dai cittadini chiamati a viverlo (il
vandalismo e l’incuria tipiche di molte città sono un
buon esempio); questo pericolo è conseguenza della
poca attenzione verso il tema dell’appartenenza
ai luoghi, intesa come una conoscenza locale e
identitaria prodotta dall’esperienza concreta della
città e del territorio, una conoscenza frutto di una
compromissione affettiva con i luoghi che esprimono
nuovi valori in funzione delle comunità sempre più
plurali che li fruiscono e li animano.
In questo quadro si inserisce l’aspetto irrazionale del
paesaggio urbano e la sua possibile individuazione
nelle esperienze di Guerrilla Gardening: superando
la razionalità delle norme e delle tecniche, i
cittadini che diventano ‘guerriglieri verdi’ cercano di
esprimere la loro appartenenza al paesaggio urbano
e quindi operano per far sì che esso somigli alle loro
aspettative; tutto ciò si può descrivere come un
‘racconto urbano clandestino’, dove la mancanza di un
linguaggio comune nella città contemporanea diventa
un valido motivo per procedere in autonomia. Che
tale dinamica si verifichi principalmente negli spazi
aperti urbani, oltre che per una ovvia motivazione
funzionale, è conseguenza del fatto che il disagio e le
conflittualità presenti nelle nostre città hanno come
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teatro privilegiato gli spazi non costruiti presenti sul
territorio, percepiti spesso come luoghi incontrollati,
trascurati, insicuri e quindi conquistabili.
Il paesaggio è una delle parti irrazionali dell’essere
umano che concorrono alla scrittura della propria
storia inserita in un contesto di luoghi descrivibili,
è anche tutto quello che percepiamo con i nostri
sensi ma soprattutto è una proiezione dell’immagine
nella realtà mediata anche dalla parte irrazionale
dell’uomo.
Conclusioni
Il fine ultimo dei gruppi di Guerrilla Gardening è
la realizzazione di micro-interventi non pianificati
che vogliono restituire dignità ai ‘vuoti urbani’;
facendo un parallelo con la visione contemporanea
del progetto di paesaggio, ciò è dimostrazione di
quanto sia importante ripartire dalle piccole azioni,
dalla costruzione dell’immagine della città ottenuta
dall’insieme di tanti dettagli, per poter dare risposta
ad una crescente voglia di partecipazione, perché
la domanda pressante è quella di trovare un nuovo
futuro. Si dovrebbe ripartire da un’etica e da norme di
comportamento rivolte a mettere ogni cittadino nelle
condizioni di contribuire alla qualità del paesaggio:
legare la responsabilità dei cittadini a precise
condizioni e strumenti che possano assicurare la
qualità del loro apporto nella costruzione di piccole
parti dell’immagine urbana; ripartire da ciò che
permette ai cittadini di contribuire alla qualità dei
paesaggi, anche attraverso la possibilità di scrivere
parti della narrazione urbana in modo autonomo.
Come si è detto, la costruzione del paesaggio
passa anche dall’identità dei luoghi in relazione
alla percezione dei cittadini ed alla loro capacità di
essere parte dell’insieme: il paesaggio viene fuori
dall’uomo nel suo ambiente, egli ne è spettatore
e al tempo stesso attore. Il livellamento dei
paesaggi urbani conseguente all’omologazione
delle città contemporanee tende a produrre luoghi
in cui riconoscersi è difficile perché non presentano
alcuna particolarità, tanti paesaggi simili a molti
altri che, non avendo una propria identità ben
definita, faticano ad alimentare quella degli abitanti
e a suscitare in loro sentimenti di appartenenza.
Trasformare gli spazi urbani abbandonati in giardini
attraverso l’azione diretta dei cittadini è dunque un
modo per sottolineare il valore identitario assunto dal
paesaggio urbano, spostando il punto d’osservazione
dalle caratteristiche fisiche del progetto alle variabili
culturali e sociologiche della costruzione del senso
di comunità. Inoltre è necessario tenere presente
che la popolazione urbana occidentale è sempre più
variegata e multiforme, perciò i paesaggi quotidiani
non possono più essere espressione di una estetica
85
unica e condivisa, ma necessitano di un continuo
mescolarsi di segni diversi da tanti punti di vista,
perciò tali paesaggi spontanei hanno un valore
ancora maggiore proprio perché si fanno mezzo per
affermare e rendere visibile la presenza dei tanti
gruppi sociali tra loro differenti.
In conclusione la sfida per il futuro è trovare una
nuova prospettiva in cui le conoscenze tecniche e
teoriche dei progettisti del paesaggio diventino uno
strumento che consenta ai fruitori del paesaggio –
i cittadini – di diventare responsabili e partecipi di
un’immagine urbana a cui appartengono, per poter
costruire un nuovo rapporto tra città e abitanti, con
l’obiettivo di costruire un mosaico di piccoli contributi
che restituiscano bellezza alla visione d’insieme.
Riferimenti bibliografici
Ippolito A. (2013), Il paesaggio urbano contemporaneo,
letture e prospettive. Franco Angeli Editore, Milano.
Lynch K. (1960), The image of the city. Massachusetts Institute
of Technology, USA [Edizione Italiana: Lynch K. (1964),
L’immagine della città. Marsilio Editore, Venezia].
Prampolini R., Rimondi D. (2013), Friendly Landscape – La
costruzione sociale del paesaggio. Franco Angeli Editore,
Milano.
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Gaetano Cascino, Guerrilla Gardening e Paesaggio urbano:
piccole azioni di bellezza clandestina, in “Quaderni della Rivista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno
3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/
quaderni/index.html, pagg. 80 - 85
Contatti: [email protected]
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
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SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
KEEP IT LOCAL. I mercati urbani, spazi pubblici chiave di
rigenerazione urbana e ambientale | KEEP IT LOCAL. Public Markets,
key public space for driving city regeneration
Sara Caramaschi*
abstract
abstract
Nella storia il mercato è stato luogo di relazioni e
scambi, rivelandosi centrale nell’organizzazione del
territorio e incidendo sulla qualità del paesaggio. I
mercati, ancora oggi, mettono in rapporto città e
campagna, poiché l’intima connessione tra i prodotti
e l’attività agricola risveglia la preoccupazione dei
cittadini per i problemi paesaggistici. Questo legame
è così in parte ricucito, opponendosi al fenomeno del
consumo di suolo e rigenerando lo spazio urbano.
In the history the market has been the site of
relations and exchanges, proving its centrality in
the organization of the territory and affecting the
quality of the landscape. Today markets still relate
city and countryside, since the intimate connection
between products and farming awakens the citizens’
concern for the landscape dilemma. This link is thus
recovered, protecting it from the phenomenon of the
soil consumption and regenerating the urban space.
parole chiave
key-words
piccola distribuzione, rigenerazione urbana, qualità
paesaggistica
small retailer, urban regeneration, landscape quality
* Dottoranda di Ricerca, Università degli Studi di Roma Tre,
Paesaggi della Città Contemporanea – Architettura e Studi
Visuali, [email protected]
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
Introduzione
Keep it local vuole porsi come piccolo contributo in
grado di accrescere la sensibilità paesaggistica e il
rispetto per quei luoghi che rappresentano le nostre
origini e il nostro territorio.
In una situazione come quella attuale, caratterizzata
dalla crisi dello spazio urbano e sociale, non abbiamo
bisogno di nuove immagini, ma richiediamo una
riflessione che ci porti a comprendere in quale relazione
viviamo, o in quale si potrebbe vivere, con i luoghi che ci
circondano. Questa riflessione ci porterà a comprendere
che, per porci nuovamente e direttamente in contatto
con il paesaggio e con la città, abbiamo bisogno di azioni
puntuali che giocano un ruolo vitale nella quotidianità
delle persone; azioni che, partendo da progetti minuti,
portano risposta a problemi certamente più ampi.
I mercati urbani sono stati riscoperti da molte città
come spazi pubblici importanti, aperti, dinamici,
interattivi. Luoghi del primato delle relazioni, i mercati
sono strettamente legati al territorio, radicati nella
storia e nelle abitudini delle persone, esprimendo la
città e comunicando i suoi paesaggi.
Il mercato rende possibile l’esperienza del paesaggio
senza inseguire modelli lontani o novità, grazie alla
sua capacità di riconciliare l’intimo rapporto tra città
87
e campagna e portando effettivamente a conoscere
meglio entrambi.
Come sostiene Zagari (2013) abita veramente un luogo
solo colui il quale non lo sente come qualcosa di cui
disporre e neppure come una cornice casuale di cui
potrebbe disfarsi, ma come qualcosa di essenziale alla
definizione della propria stessa identità, qualcosa che
va salvaguardato non come strumento di sopravvivenza
ma come parte di noi stessi.
I mercati, essendo luoghi urbani spontanei, densi e
complessi, offrono un rapido sguardo alla cultura della
città, esprimono la vita quotidiana e la cultura di un
territorio, producono e riproducono relazioni, cultura
locale e stili di acquisto. Questi luoghi si distinguono
dalla spazialità anonima, grazie alla loro intersezione
tra territorio e comunità, portando i cittadini a vivere
veramente la città e salvaguardando i suoi paesaggi.
Nascita, crisi e rivalutazione dei mercati urbani
(fig. 1)
Nella storia il mercato è sempre stato un luogo di
relazioni e di scambi materiali e immateriali. II suo
ruolo è stato centrale nell’organizzazione della città e
del territorio, differenziando, nel tempo, il suo modulo
insediativo per tipologia, dimensione, conduzione
Figura 1. Il mercato e la città. Evoluzione storia di un rapporto secolare
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88 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 2. L’ecosistema dei mercati urbani
e localizzazione. Quando le attività del mercato si
ponevano al servizio delle necessità quotidiane della
collettività urbana, il commercio si svolgeva in modo
diffuso nella città, separato in spazi minuti, punti di
convergenza di strade lungo le quali si sviluppavano
le medesime funzioni commerciali. Quando invece le
attività del mercato erano legate a rapporti di lunga
distanza, il mercato svolgeva la fondamentale funzione
di cerniera tra città e campagna.
Qualunque fosse la loro posizione, gli spazi del mercato
hanno rappresentato i luoghi della socialità, animati
e vitalizzanti, luoghi in cui la comunità locale si è
identificata e a cui anche un’utenza esterna ha sentito
di appartenervi. È da questa naturale familiarità che,
in seguito, ci si è concentrati sulla cura dell’ambiente
fisico e lo sviluppo del paesaggio agrario.
Per secoli la società si è organizzata e insediata in funzione
di precisi obiettivi economici, fondamentali anche per lo
sviluppo civile, ed ha impresso alla città un’impronta
organica. Anche in epoca moderna l’insediamento di
centri produttivi e commerciali, complementari ai centri
d’impronta medievale-rinascimentale, ha stimolato il
confronto, affinato i gusti senza mai produrre squilibri
alla funzionalità organica della città.
Quando il commercio si è separato però dalle altre
funzioni urbane sono nate le periferie-dormitorio, la
specializzazione della città e la segregazione sociale.
Tutta la logica di sviluppo, rapporti, funzioni ha
cominciato ad alterarsi, fratturando l’intero organismo
urbano.
L’incremento della mobilità, la dilatazione dei tempi
della città e lo scardinamento della forma tradizionale
degli insediamenti hanno portato la funzione
commerciale a insediarsi in edifici legati alle grandi
arterie automobilistiche, sempre più spogli di valori e
significato e impermeabili rispetto al sistema degli spazi
aperti.
La città ha superato i propri confini e, insieme alla
residenza, si sono diffuse anche altre funzioni e altri
centri di attività che hanno provocato fatali squilibri
funzionali nei luoghi storicamente preposti alle attività
di aggregazione, di servizio e di commercio.
Gli esiti sono una rarefazione dei negozi di prima
necessità nei centri urbani e nei quartieri più abitati, la
crescita di attrattività dei grandi centri commerciali, il
depauperamento di preziose aree edificabili a vantaggio
di un’unica funzione, danni al sistema economico e
ambientale, cambiamento negli stili di vita, aumento
degli sprechi, consumismo, omologazione, crisi
dell’agricoltura, perdita di valori.
La città del terzo millennio non è più né urbana né rurale
e, per riconoscersi, i cittadini si rifugiano in landmark,
centri storici e borghi congelati in epoche ormai
passate, parchi naturali e riserve protette; i cittadini si
rifugiano in paesaggi che riescano a stimolare un senso
di appartenenza a un luogo.
Dopo una stagione in cui spazi e pratiche della vita in
pubblico sono stati concepiti quasi esclusivamente in
relazione a grandi strutture, sembra utile tornare a
immaginare spazi urbani ordinari, componibili entro
relazioni di prossimità e di utilità con le varie situazioni
insediative di cui si costituisce la città.
Sempre più organizzazioni coinvolte nella rivitalizzazione
delle comunità e delle città hanno preso consapevolezza
che comunità sane richiedono spazi pubblici vivi. Partire
dagli spazi pubblici per rafforzare e unire una comunità
non può che essere il primo step: spazi pubblici ben
organizzati incoraggiano l’interazione sociale, l’orgoglio
locale per un luogo e migliorano la qualità della vita
nelle città.
Il mercato ha dimostrato una resistenza alle
trasformazioni urbane moderne e contemporanee,
grazie alla forza e al legame che intrattiene con spazio
urbano e comunità. Numerosi studi hanno riconosciuto
l’importanza dei mercati come parte integrante
dell’economia locale, dimostrando i benefici che essi
generano a livello paesaggistico e sociale.
Questi importanti fatti urbani offrono numerose
opportunità, rigenerano le comunità locali, sviluppano
stili di vita sostenibili e danno avvio a nuove attività
produttive nelle loro vicinanze. Il paesaggio, come
reazione collaterale, torna a essere percepito e
considerato dai cittadini, riportando i valori identitari
e il senso dei luoghi che per lungo tempo sono andati
perduti.
Il mercato e i benefici su ambiente e collettività
(fig. 2) I mercati urbani hanno molte forme e dimensioni;
coperti, all’aperto, specifici su un particolare prodotto
o genere alimentare, misti, collocati in uno stesso
luogo o itineranti. Nonostante questa eterogeneità, i
mercati urbani hanno alcuni elementi comuni: hanno
luogo tra le comunità locali, rappresentano un legame
con le produzioni agricole, coinvolgono i modi di vivere
e lavorare nelle comunità e sono vetrine per città e
quartieri. In definitiva, i mercati portano vita nelle città.
Questi luoghi avrebbero la capacità e la forza di diventare
un elemento chiave di sviluppo della rigenerazione
urbana, di stili di vita sostenibili, di recupero ambientale
e paesaggistico. Investire sui mercati significa, infatti,
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Figura 3. Infografica. Il mercato generatore di effetti benefici
investire sulla qualità delle città, sulla vita dei cittadini,
sul benessere pubblico e, più in generale, sul rispetto
e sulla valorizzazione del paesaggio urbano e agrario.
A differenza dei centri commerciali, suburbani o urbani
che siano, slegati dal contesto, sempre più studiati nei
loro interni o simili a capannoni, i mercati fanno leva sul
loro essere luoghi urbani, spontanei, densi e complessi,
luoghi che offrono un rapido sguardo alla cultura della
città. Essendo spazi di aggregazione, trascendono la
mera dimensione economica, diventando luoghi sociali
delle persone, in cui la merce principale è la parola.
Il mercato è il luogo primato della socialità, spazio
vivace ed energico, in cui la comunità locale può
identificarsi e a cui anche un’utenza esterna può sentire
di appartenervi.
I mercati, ancora oggi, sono necessari poiché
rispondono a problemi importanti delle nostre città,
quali il bisogno di rinvigorire il contesto urbano e di
realizzare spazi pubblici invitanti e sicuri, il bisogno
di supportare le attività legate alla piccola economia
e affrontare il problema degli ambulanti, il bisogno
di fornire prodotti freschi e di qualità ai cittadini che
risiedono nelle città e, ultimo ma non meno importante,
la necessità di proteggere gli spazi aperti, preservando
le attività agricole intorno alle città.
(fig. 3)
Grazie alle attività di mercato sono promossi i
prodotti alimentari locali, rafforzando il rapporto cittàcampagna e incoraggiando politiche slow food. Queste
azioni preservano l’agricoltura e le attività a essa
connesse, attivando uno spazio pubblico che attrae
un numero sempre maggiore di persone. Il risultato
è la concettualizzazione del mercato come spazio di
relazione, incontro, scambio, lavoro e ricerca. La loro
aggregazione ne aumenta l’importanza, ne migliora la
gestione e sensibilizza l’importanza di prodotti freschi
e locali nell’ambito della tutela dell’ambiente e del
paesaggio.
Molti paesi europei stanno supportando la rivitalizzazione
delle aree rurali attraverso politiche e legislazioni,
progetti di cooperazione transazionale volti a elaborare
strategie per lo sviluppo locale sostenibile ed equilibrato
dei territori periurbani.
Queste azioni si basano sulla valorizzazione,
commercializzazione e promozione del consumo delle
risorse agroalimentari locali. La via è lo sviluppo e il
consumo di prodotti di qualità, nell’auspicio che detto
consumo serva a valorizzare gli spazi periurbani non
urbanizzati e generi un contesto sociale propizio alla
loro salvaguardia.
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90 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 4. RURale+URBano+Alimentazione
Figura 5. Locandina della manifestazione Gastronomare,
Marsiglia. Appuntamento annuale dedicato all’enograstonomia
marina, organizzato dalla Conservatoria Internazionale delle
Cucine del Mediterraneo
(fig. 4)
Valorizzare le produzioni agroalimentari di qualità,
scommettere sui prodotti tipici locali, promuovere
metodi di produzione rispettosi dell’ambiente e della
salute sono solo alcuni degli effetti generati dal rilancio
dei mercati urbani che, più in generale, mirano alla
sensibilizzazione del pubblico per un consumo locale,
equo e sostenibile.
Supportando la presenza dei mercati contadini e/o la
presenza di produttori locali nei mercati, si ricongiunge
la storica ed evolutiva unione tra città e campagna,
rapporto che sta alla base dei metodi produttivi
sostenibili per la produzione di cibo.
L’aumento di produttori locali riduce inoltre la catena
logistica e, grazie alla diminuzione della distanza
percorsa da un alimento dal luogo di produzione a
quello di consumo, è ridotto l’impatto ambientale,
in particolare l’emissione di anidride carbonica che
incrementa i livelli di inquinamento. A questo proposito,
nella Charte Agriculture Périurbaine du Grand Toulouse
la città francese ha mostrato come il commercio
ecologico, sviluppato su ampia scala, possa salvare
oltre 130 tonnellate di anidride carbonica equivalente
l’anno.
(fig.5)
Le città di Barcellona, Torino e Genova, insieme
all’Associazione Conservatoria del Piemonte e al
Conservatoire des Cuisines Méditerranéennes, hanno
lanciato il progetto europeo MedEmporion, con
l’obiettivo di conoscere e coniugare idee e attività,
rafforzando così la collaborazione e individuando le
migliori soluzioni e modelli per il futuro del mercato.
L’obiettivo generale del progetto MedEmporion è
studiare l’importanza dei mercati alimentari nell’area
mediterranea come strumento di sviluppo urbano e
promozione economica, intraprendendo una ricerca
sull’importanza dei prodotti locali e sul ruolo del mercato
come strumento di coesione sociale. A questa ricerca si
affianca una serie di attività, come l’organizzazione di
festival alimentari, per diffondere la realtà dei mercati
mediterranei, i loro valori e i prodotti caratteristici, e
l’attivazione di progetti pilota per sperimentare nuove
strategie volte a incrementare le iniziative di coesione
sociale dei mercati alimentari e la responsabilità sociale.
(fig. 6)
Un altro interessante progetto è Central Markets, del
programma Central Europe. Anche in questo caso
l’obiettivo principale è sviluppare una cooperazione
territoriale promuovendo e rivitalizzando la tradizione
dei mercati dell’Europa centrale. A questo programma,
che vede Venezia come precursore, hanno partecipato
Torino, Cracovia, Bratislava e altri enti regionali, con
l’impegno comune di riscoprire l’attrattiva dei mercati
e di sviluppare innovative strategie di rivitalizzazione,
in modo da rinforzare e bilanciare la relazione tra città,
regioni e mercati.
I partner si sono focalizzati in modo specifico sulla
valorizzazione, rinforzo e integrazione del mercato in
zone centrali o marginali della città, incrementando
la coscienza, sperimentando azioni e identificando
effettive strategie d’intervento. Le attività correlate
si concentrano sullo sviluppo di concetti e piani che
spingono gli stakeholders a organizzare, coordinare
e implementare interventi di lunga durata a favore
dei mercati. Il risultato è l’aumento di attrattiva e
Progetti europei e interesse internazionale
A livello europeo il dibattito sull’importanza del mercato
è iniziato solo recentemente riscontrando comunque
ottimi risultati. Fino a questo momento, i mercati
non sono stati riconosciuti a livello europeo, essendo
combinati spesso al generico commercio, all’agricoltura
o ad altri corpi amministrativi e, soprattutto, mancando
di uno specifico ente o dipartimento a essi legato.
Tuttavia, sempre con maggiore frequenza, l’interesse
rivolto ai mercati e ai loro effetti benefici sull’organismo
urbano e sulla comunità ha spinto associazioni, enti e
autorità a stipulare programmi d’azione, a promuovere
progetti pilota e a usufruire di fondi internazionali in
modo da creare un dialogo tra città, con l’obiettivo
comune di valorizzare e rilanciare i mercati urbani.
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91
Figura 6. Central Markets. Progetto europeo di rivitalizzazione
e promozione dei mercati tradizionale europei
Figura 7. Logo del progetto Urbact Markets
di partecipazione di città e regioni, coinvolgendo
consumatori, cittadini, produttori e amministrazioni nel
processo di rivitalizzazione dei mercati, affiancato a un
obiettivo più ampio che riguarda il miglioramento dei
servizi e degli spazi per raggiungere mercati urbani e
periurbani sostenibili.
(fig.7)
Urbact II ha dato avvio nel 2012 al progetto Urbact
Markets. Urbact è un programma europeo di scambio
e apprendimento che promuove lo sviluppo urbano
sostenibile. I progetti proposti permettono alle città
di cooperare, sviluppando soluzioni per le principali
sfide urbane e riaffermando il ruolo chiave delle città
nell’affrontare sfide sociali sempre più complesse.
L’obiettivo principale del progetto Urbact Markets, cui
partecipano le città di Barcellona, Torino e Londra,
è creare e implementare piani d’azione grazie allo
sviluppo di best practice legate ai mercati urbani, col
fine di promuovere città migliori.
Barcellona guida il gruppo di lavoro focalizzato sulla
rigenerazione del centro cittadino tramite lo sviluppo
di mercati urbani, analizzando l’impatto sociale che il
rinnovamento dei mercati ha sui quartieri e precisando
come questi luoghi favoriscano l’integrazione sociale e
lo sviluppo di un senso di appartenenza a una comunità.
Londra si concentra invece sulla sostenibilità e sulle
forniture locali, dimostrando che i mercati migliorano
la qualità di vita delle comunità coinvolte e che
l’aumento delle reti urbane-rurali, essenziali alla filiera
di approvvigionamento, sono fondamentali per il
potenziamento e l’intensificazione dei rapporti urbani.
Oggetto di studio sono anche le economie a bassa
emissione di CO2, l’approccio dei sistemi di stoccaggio
nei mercati e la gestione dei rifiuti nei confronti della
sostenibilità e della filiera di approvvigionamento.
Torino analizza infine le questioni legate all’occupazione,
provando la forza dei mercati nello sviluppo di
opportunità economiche e posti di lavoro.
L’importanza del tema ha trovato riscontri non solo a
livello europeo, ma anche oltre oceano. In America,
dove i centri commerciali hanno rappresentato una
delle più solide tradizioni, si è registrato un forte calo
di interesse dovuto alla incapacità dei malls di trovare
nuove funzioni e soluzioni e all’ascesa dell’e-commerce,
che esaspera le componenti dei centri commerciali
portandoli al fallimento.
(fig.8)
Consapevoli degli effetti che la grande distribuzione
ha sullo stile di vita e sulla forma della città, PPS Project For Public Spaces, un’organizzazione no profit
di educazione, design e pianificazione, ha sviluppato
progetti pilota di grande riuscita e promosso importanti
ricerche sull’argomento.
Uno dei programmi più interessanti è il Public Market
Program, il cui obiettivo principale è incoraggiare il ruolo
dei mercati pubblici nel ricongiungimento tra economie
locali e comunità, sottolineandone il ruolo chiave nella
salute pubblica e nel sistema di consumo di prodotti
locali.
Per venticinque anni PPS ha assistito sponsor, manager
e comunità, incrementando lo sviluppo dei mercati
pubblici in più di duecento città e paesi in tutto il mondo
e aiutando i mercati a diventare centri economici
sostenibili per la vita della comunità.
Conclusioni
(fig. 9)
Nell’epoca contemporanea la parola comunità ha perso
la sua capacità di descrivere rapporti tra gruppi di
persone, se non per attività condivise molto definite. Il
decentramento della mobilità, del lavoro, del consumo
ha causato un muro di individualismo che riesce ad
essere abbattuto solo grazie all’osservazione e alla
presa di coscienza dei paesaggi che ci circondano.
Tale approccio intende liberare le energie urbane, in
modo da reagire al deficit che caratterizza il nostro
paese, promuovendo comportamenti di reciproco
rispetto fra cittadini e fra questi e i paesaggi urbani.
Le città non devono essere considerate semplicemente
i
luoghi
del
consumo
intensivo
di
risorse,
dell’inquinamento, dell’insicurezza e del disagio, ma
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92 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 8. I benefici dei mercati urbani. I mercati veicolo di
integrazione sociale e mobilità
Figura 9. Promoterroir. Programma di cooperazione territoriale
con lo scopo di realizzare una campagna promozionale
dei prodotti agro-alimentari del territorio transfrontaliero
puntando sui principi della filiera corta e del rapporto diretto
tra produttori e consumatori
deve essere riconosciuta e riproposta la loro forza, la
loro efficacia nell’organizzazione delle attività umane,
nella promozione dell’impresa, della ricerca e del lavoro,
la loro capacità di liberare la creatività e rendere fertili
gli scambi e le aggregazioni. Per questo è dalle città e
dai suoi successi che parte la costruzione di una società
che riesce a guardare al futuro.
Per tutta la storia, i mercati sono stati un campo neutro,
hanno incoraggiato persone diverse a incontrarsi
e a creare connessioni, hanno favorito la vendita
di prodotti stagionali locali, portando il territorio
urbano e periurbano a essere considerato una risorsa
insostituibile.
Ancora oggi i mercati possono giocare un ruolo vitale
nella quotidianità delle città poiché, nonostante le
dimensioni minute, hanno la forza di trovare risposta
a problemi decisamente più ampi. I mercati possono
e devono essere studiati come luoghi chiave nelle
politiche degli spazi pubblici, come opportunità non
solo per lo sviluppo economico locale e l’occupazione,
ma anche per le interazioni e l’inclusione sociale, per la
mescolanza di diverse culture e per la formazione di un
senso di comunità.
Questi luoghi piccoli ma belli reagiscono a un deficit
internazionale di dimensioni enormi, innescano una
serie di azioni di tutela, valorizzazione e promozione
del paesaggio urbano e agricolo, riportando la comunità
urbana a mostrare interesse per i temi cari all’ambiente
e al territorio.
In un periodo di crisi economica, consumo di suolo,
privatizzazione e individualismo, la proposta di spazi
pubblici puntuali, in cui la creatività e l’apporto delle
persone sono elementi fondanti, può riqualificare parti
di città ed esaltare l’importanza e l’unicità del territorio.
Il mercato incoraggia i cittadini a usare gli spazi,
creando una comunità unita e interessata alla città e ai
luoghi in cui vive.
La perdita dei paesaggi, dei luoghi appartenenti alla
nostra vita, trasforma lo spazio in qualcosa di ripetitivo
e rinvenibile a ogni latitudine e in ogni cultura. I
paesaggi della città contemporanea devono ritrovare
la loro essenziale funzione e tornare a essere parte
fondamentale della vita di ognuno di noi.
La rigenerazione della città e del paesaggio parte
anche dai mercati, da una nuova densità fatta di
persone, merci, parole, confusione; da una densità
fatta d’identità e tradizione, creatività e curiosità. La
rivalutazione del paesaggio parte da azioni che risveglino
la partecipazione cittadina, il senso di appartenenza,
l’amore per le tradizioni e la cultura locale e i mercati
urbani rispondono bene a queste necessità.
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Rururbal, Sito ufficiale di rururbal, http://www.rururbal.eu/
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Riferimenti iconografici
Figure 1,2 3: graphic design © Sara Caramaschi
Figura 4: rurale+urbano+alimentazione, tratto da http://www.
rururbal.eu/welcome/index/l_it ultimo accesso 4 marzo 2014.
Figura
5:
Locandina
Gastronomare,
manifestazione
organizzata dalla Conservatoria internazionale delle cucine del
Mediterraneo, tratto da http://www.medemporion.eu/index.
php/contents/details/the-marseille-gastronomare-festival-abig-success ultimo accesso 4 marzo 2014.
Figura 6: Central Markets Europe, tratto da http://www.
centralmarkets.eu ultimo accesso 4 marzo 2014.
Figura 7: Urbact Markets Logo, tratto da http://urbact.eu/en/
projects/urban-renewal/urbact-markets/our-project/
ultimo
accesso 4 marzo 2014.
Figura 8: Benefits of Public Markets, tratto da http://www.pps.
org/reference/the-benefits-of-public-markets/ ultimo accesso
3 marzo 2014.
Figura 9: Opuscolo Promoterroir, tratto da http://www.
cucinemediterranee.net/?page_id=43 ultimo accesso 3 marzo
2014.
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Sara Caramaschi, KEEP IT LOCAL. I mercati urbani, spazi
pubblici chiave di rigenerazione urbana e ambientale, in
“Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la progettazione del
paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze University Press http://
www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.html, pagg. 86 - 93
Contatti: [email protected]
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SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
URBAN ACUPUNCTURE. Piccoli interventi nel processo di placemaking
| URBAN ACUPUNCTURE. Small landscape interventions in the process
of Placemaking
Aber Kay Obwona*
abstract
abstract
Gli usi dei piccoli interventi per trasformare paesaggi
urbani ed effettivamente la vita degli abitanti sono
fondamentali nella progettazione del paesaggio e del
territorio in questi tempi di crisi mondiale. In questo
paper si esplorano il potere di questi piccoli interventi
e il loro ruolo nel “placemaking” e nella percezione
come una strategia sostenibile per la riqualificazione
del paesaggio urbano.
The use of small-scale interventions to transform
urban landscapes and consequentially the lives
of people at an even larger scale is becoming a
fundamental element in landscape architecture
particularly in the context of the global economic
crisis. This paper will look into the potency of smallscale design landscape interventions and their role
in placemaking and perception as a sustainable
strategy for urban regeneration.
parole chiave
key-words
placemaking, agopuntura urbana, piccoli interventi
placemaking,
interventions
urban
acupuncture,
landscape
* Dottoranda di Ricerca, Università Degli Studi di Firenze,
Progettazione della Citta, Del Territorio e del Paesaggio,
[email protected]
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
Introduction
In the context of the current global economic crisis, the
use of small interventions in landscape architecture
is very relevant because of their ability to minimize
the economic costs of urban regeneration projects
and simultaneously optimize the social values and
quality of urban life. In this paper small interventions
are described as subtle projects or small relative to
the scale of the project context. Although small,
they have a significantly big impact of creating
changes in the way the landscape is experienced and
perceived. These small interventions which can be
either temporary or permanent projects, are often
used as plug-ins in different public spaces with the
aim of healing ‘diseased neighbourhoods’ bringing to
mind the idea of acupuncture. This methodology of
plugging in small interventions to catalyze positive
changes in the environment can be considered a
reflection of the traditional oriental medical practice
of acupuncture where pain is relieved or disease
treated by using needles to puncture specific critical
points of the human body. In this same way, diseased
areas are cured at a large scale by using small scale
local interventions placed in strategic locations and
positions in the urban areas. These interventions are
sustainable owing to the fact that they cost less in
financial terms, are more effective at the local scale
and because they are often constructed using locally
available materials and appropriate technologies
can be managed by the communities. Just like in
acupuncture the projects can be singular or placed
in series in different spots resulting in a complex
rejuvenating effect on the general project area.
The paper will look into the idea of using urban
acupuncture as defined by Morales (1999) and small
landscape interventions in placemaking in the urban
landscape to improve the quality of urban life. In this
it is key to analyze the role of ‘place’ as a concept
in urban landscape dynamics and its relevance in
renewal interventions.
Placemaking
In the field of environmental psychology which
directly relates to landscape architecture, the theory
of place has evolved from a subject that reflects
on the physical aspects of the environment to one
which is more focused on the human interactive
approach as was explored by Canter in his book the
Psychology of space (1977) where he defined the
term place as not just being physical positions or
locations but place being that which is shaped and
formed as an effect of the experiences, actions and
interactions of people without being limited to the
mental representations of environments. Basing
95
on Canter’s interpretation of place, placemaking
is interpreted as the process of making place; the
process by which outdoor spaces are transformed
into places with significant meaning, character,
identity and human interaction.
Two years later Christian Norberg Schulz (1979:68) defines place as a wholistic phenomenon,“What
then do we mean with the word “place”? Obviously
we mean something more than abstract location.
We mean a totality made up of concrete things
having material substance, shape, texture and color.
Together these things determine an “environmental
character”, which is the essence of place. In general
a place is such with character or “atmosphere”. A
place is therefore a qualitative, “total” phenomenon,
which we cannot reduce to any of it’s properties,
such as spatial relationships, with-out losing it’s
concrete nature out of sight.” This definition further
emphasizes a more wholistic view of place which
supersedes just physical location, includes terms
like atmosphere and demonstrates the realm of
intangible experience as a valid component in the
composition of Place. The term place also has a
functional element to it, seen as a container where
different activities take place in specific places
that are adapted for the proper functioning of that
particular activity resulting in the multitude of places.
Placemaking is therefore the conscious intentional
act of creating place as defined above, catalysts for
deep human interaction with the landscape. In line
with this, urbanists and city planners have taken it to
mean making urban spaces and cities more liveable
and capable of enabling the communities to thrive
and generally improve the quality of their urban life.
The aim of placemaking which also encompasses
different professional disciplines like sociology,
landscape architecture, architecture, planning,
economics and politics is to transform urban spaces
into landscapes that are desirable and meaningful
to the users and eventually aid in creating healthier
communities.
Using appropriate small landscape interventions
to transform urban spaces into places is a viable
approach that brings meaning and enhances
associative tendencies in the community. To support
the role of interventions in placemaking, Hamdi
(2010) points out the relevance of place in the
process of place attachment in communities because
attachment enhances the sense of belonging and
also has an impact on the ambitions, networking
ability and the general quality of life.
Landscape Interventions
Small scale intervention has become a term that
is used in urban discourse within the context of
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96 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figure 1. New Public Space along the Waterfront of the
favela.
Figure 2. New reclaimed openspaces
urban acupuncture. The idea of Urban acupuncture
was first attributed to Spanish architect Manuel de
Sola Morales in 1999 and promoted by the Brazilian
architect and urban planner Jaime Lerner who was
also a three time mayor of Curitiba and is recognized
for implementing it in many social and urban reform
projects in Curitiba.
The medical metaphor of the traditional practice
and it’s application in urban planning and design is
explained by Lerner’s speech in 2007, “I believe that
some medicinal “magic” can and should be applied to
cities, as many are sick and some nearly terminal. As
with the medicine needed in the interaction between
doctor and patient, in urban planning it is also
necessary to make the city react, to poke an area in
such a way that it is able to help heal, improve, and
create positive chain reactions. It is indispensable in
revitalizing interventions to make the organism work
in a different way”. Urban acupuncture is therefore
a proactive approach to city planning in that it is a
method in which the immediate need is addressed
and catalyst projects are put into action in a shorter
timeframe than that required by the traditional
planning process. The essence of the theory is based
on a localized approach using strategically located
small interventions to create immediate urban
renewal through a chain reaction effect into the
larger context.
This catalyst idea or project is often initiated either
from top-down, where the authorities commission the
interventions, or bottom-up, where the community
comes up with interventions on how to address
their need and then involves the people who make
it work maintaining community participation and
involvement at the core of the project. In line with
community participation, Hamdi (2010) proposes
the strong involvement of the community in the
decision making process of finding the appropriate
interventions to address the specific problem, the
analysis of the options, trade offs, feasibility and
viability of the project. He goes on to emphasize
the importance of identifying possible stake holders
within the community and actively involving them
in the process through role assignment to create
a sense of ownership which is very vital in the
acceptance and positive welcome of the intervention.
In landscape architecture, practitioners are confronted
with projects where the use of interventions at
different scales in the rural or urban landscape in
design projects, planning, management, the use
of social strategies and the arts is the preferred
scenario. These interventions that come in the the
form of material, physical and conceptual form
are an integral part of the practice of landscape
architecture. More so in the context of the economic
crisis, the use of small interventions in landscape
architecture is more relevant by the day as a tool in
minimizing the economic costs of revitalization and
renewal projects and simultaneously optimizing the
social values and quality of urban life.
As earlier mentioned, small interventions are
technically described as small relative to the scale
of the context in which they are used. For social
rejuvenation in the urban landscape at the human
scale and experience of daily life, the small and not the
elaborate changes in the environment and landscape
are more credited to result in significant changes to
the quality of life as expressed by Thwaites, Mathers
and Simkins (2013). They go on to argue that for the
small interventions to be successful, they must be
visible, and above all meaningful to the public realm
but still maintain a level of control at the human
scale.
The strategy to cure the problem and the type of
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
97
Figure 3. New Community vegetable and fruit gardens
Figure 4. The open spaces created for the community like the
children’s playground
small landscape interventions is determined by the
underlying problem, the context, stakeholders, the
initiator of the intervention, available budget and the
chain reaction effect it is likely to have in the urban
landscape. The different types of the interventions
can be formal or informal, physical or intangible,
bold or subtle and permanent or temporary.
Formal small landscape interventions are those
that are proposed and initiated by the authorities
under urban planning and renewal projects for the
urban landscape while the informal interventions
are proactive projects initiated at the individual
or community level to address local problems and
spatial needs in the urban environment. Most urban
acupuncture projects are informal owing to the fact
they take a shorter time to implement as they cut
out the formal bureaucratic processes involved in
formal planning and procurement processes.
Temporary interventions that are also often informal
are the community and social interactive artistic
installations in public spaces that last for a limited
period of time but have a lasting impact on the
society in that they ignite a creative artistic revival
of the public spaces that were once abandoned by
giving them a new sense of ambience and cultural
significance. More than often temporary interventions
are intangible leaving no physical impact on the
urban landscape but their role in placemaking should
not be underestimated because they create an
awareness and give an insight into the potential of
sites enabling the public to visualize and appreciate
the space which in the long run has a long lasting
impact. This aspect of small temporary interventions
in the process of placemaking, which is to say the
conversion of abandoned and underutilized places
to places that are desirable and alive is particularly
useful in contemporary urban rejuvenation projects
from a sociological perspective using the existing
public spaces and urban landscape.
Formal Interventions- Parque Royale
Close to one fifth of the population of Rio de
Janeiro lives in informal settlements commonly
known as favelas, with no particular regulations,
poor infrastructure, housing, services, social and
economic conditions. Parque Royale is one of the
smaller favelas of Rio de Janeiro bordered by the
Guanabara bay in the North and to the south the
much bigger Mare favela. The history of the favela
dates back to 1973 however it’s growth in terms of
area was physically restricted by the existence of the
bay and the highway on the southern boundary.
After many previous trials to address the urban
problem of favelas which included demolition and
relocation policies, the government of Brazil set
up the Favela-Bairros Program in 1993 with a new
approach which aimed at integrating the informal
and formal cities through community driven projects
and participation to improve the quality of life in
the favelas by providing services, infrastructure and
public spaces. Under the program, many projects
using interventions in the urban landscape and public
spaces have been able to significantly transform the
quality of urban life in the favelas resulting in the
replication of the urban-renewal model.
The renewal of Parque Royale was one of the first
projects to be undertaken using small landscape
interventions under the Favela- Bairro Program by an
architectural firm from Rio de Janeiro, Archi 5. Much
like the concept of urban acupuncture, the team
identified strategic points in which to set up small
interventions in different locations of the slum that
would have an impact on most of the slum dwellers;
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98 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
1. A permanent intervention to reclaim the
Waterfront by adding a bike lane and a walkway
effectively putting an end to the expansion of the
slum along the water. This created a new place
for gathering and interaction of the residents with
the water.(Fig.1)
2. Connecting the dead-end streets within the
favela to create continuity and permeability in
the settlement making it whole as opposed to the
fragmented zones that were as a result of the
dead-end streets.
3. Reclaiming two previously existing soccer fields
from the control of drugs and decay to healthy
public spaces. This was done through intervention
and community participation in creating smaller
soccer fields and incorporating stay areas by
inserting children landscape elements that
encourage interaction and rest for the public as
well as play areas and elements for sitting. (Fig.2)
4. Lastly a permanent architectural intervention
which was a new community centre was built.
From observing the project the new landscape
interventions used in placemaking changed the
character of the favelas by creating new wholistic
places that have aided in evoking a sense of ownership
of the landscape. For instance the waterfront area
formally a rubbish dumping ground and backyard
area to the slum that was expanding on stilts in
the water, was transformed into a place that has a
new identity, character as a gathering place where
residents take walks, ride bikes and take time to
interact with the tranquility offered by the water as
opposed to the chaos in the favela. From a backyard
place of decay to a new refreshing go-to place the
small landscape intervention has transformed the
Parque Royale waterfront.
Simple landscape interventions like introducing
benches and playgrounds within the existing
soccer fields went a long way in placemaking as
they transformed the then urban public space with
negative connotations into a place which is now
a container for healthy human interaction and
experience.
In this case the architects used five different small
interventions (taking the acupuncture metaphor
needles) inserted in critical strategic locations to
catalyze and ignite a healing process of the favela
without extensively disrupting the underlying social
and morphological character of the slum.
Although the project instigator was the government,
there was a significant amount of community
participation involved in the project with them
having an active role which made the interventions
more welcome to the community.
Informal Interventions- Kibera Slum
Located five kilometres from the city centre of Nairobi,
Kibera slum is the largest slum agglomeration in
Africa with an official population of one hundred and
seventy thousand as of the 2009 Kenya Population.
However other estimates of the population range
from five hundred thousand to over one million people
depending on the extents of the slum taken into
consideration. Like any other slum in Africa, Kibera
is no exception to the problems that are common
to the slum dwellers; insufficient basic services of
water and electricity, sanitation, infrastructure,
public spaces, accessibility to community and social
services. This is the background of the informal
settlement in which the Koukney design initiative
together with the local community launched their
landscape interventions. The design initiative was
started in 2006 by a group of design students from
Harvard as a partnership of different members in
the built sciences landscape architects, architects,
engineers and urban planners who collaborate with
affected communities to create changes through
small interventions in Kibera.
The concept of their proposals was to use a bottomup approach of participatory planning where the
communities are the instigators of the projects
which were to be flexible and integrated within the
community so the interventions do not appear alien
but fit right into the existing morphology. In the Kibera
project, the Koukney Design Initiative together with
the chosen members of the community were able to
identify the main problems and collectively come up
with small landscape interventions in strategic areas
of the slum:
1. Productive Public space and interventions for
urban agriculture by setting up vegetable gardens
for the residents.(Fig.3)
2. Creating new open spaces in the area by
reclaiming uninhabitable flood prone areas of the
settlement for use of the inhabitants for example
by designing a simple gabion system which was
then constructed by the locals so as to retain the
water.(Fig.4)
3. Interventions for making the slum more accessible
through pedestrian bridges over canals which
were previously barriers that fragmented the
settlement.
4. A community pavilion which is a sheltered public
structure that is used for community activities can
be adapted to whatever use built by the residents
using locally available materials and construction
techniques.
In this particular project the role of community
participation was fundamental in the choice,
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio |
type and location of interventions to be used as
elaborated by Hamdi (2010: 33-34) “Placemaking
could mediate the interests and values, cultural
norms and religious practices of all the different
and sometimes conflicting kinds of community
we find in place: communities of interest, culture,
practice and resistance. Engaging these groups
as partners through participatory planning would
be as if to “dance with conflict” both literally and
metaphorically, to acknowledge their role as agents
of change.” This is the case in Kibera slum which is
composed of different community groups as they
were unified in the setting up of small interventions
to create places that they could collectively use and
relate to in their day to day life.
Conclusion
In conclusion the potency of small interventions
and urban acupuncture in the revitalization and
rejuvenation or the reversal of urban decay is
highly relevant in the context of the economic
crisis. In particular their relevance in the global
south and developing world which is characterized
by the problems of rapid urbanization and informal
settlements with low budgets for urban rejuvenation
projects becomes stronger.
However care should be taken in the manner in
which these interventions are placed so as to ensure
their success. And from the case studies mentioned,
although there is no clear cut solution for the success
of small landscape interventions owing to the fact
that they should be site specific and the interventions
vary from place to place depending on the existing
set of problems, there are some key aspects to
consider so as to increase the chances of success;
human scale, context and community participation.
The human scale of the landscape intervention in
terms of it being perceived as controllable by the
average user of the space creates a level of intimacy
and closer affiliation to the place.
The adaptability and flexibility of the interventions
are also factors in the success of small interventions
in that they should be able to respect the genius loci
(Norberg-Schulz, 1979), create positive changes in
the public spaces without creating drastic changes in
the fabric, identity and character of the area in which
they are placed thus strengthening and preserving
the socio-cultural, urban and spatial identity.
Given the importance of the desired catalyst effect
of small interventions, care should be taken in
the study and identification of the character and
typology of intervention depending on the desired
impact on the urban landscape. For example in some
cases, interventions are more successful when their
relevance and creative elements are designed and
99
placed in such a manner so as to spark dialogue
and social interaction creating vibrant and intriguing
ambiences in places that were underutilized.
Context is very relevant to the success of the
intervention as it should be specific and responsive
to the spirit of the place and the human experience.
In urban acupuncture urban rejuvenation success is
closely linked to the strategic choice of location and
the choice and quality of the small intervention. So
for success in the strategy careful study and research
should be made of not only the socio-economic,
ecology, heritage and cultural elements but should
include an intensive study of the urban fabric so
as to identify the key pressure points with strategic
linkages in which to administer the interventions.
Community participation is very key in urban
rejuvenation interventions in the landscape because
it not only eases it’s integration into the sociological
space but also increases a sense of ownership and
commitment to the place. However the top-down
aspect an d in particular the role of the authorities
in small interventions should not be under-looked
and instead the ideal situation should be one where
there exists an adequate strategic balance between
the bottom-up and top-down approach.
In conclusion, small investments in the form of small
interventions in landscape architecture are a complex
and useful tool in urban regeneration; transforming
places into place because of their potency and ability
to ignite creativity and their role as catalysts and
igniters of social, cultural and community revival of
public spaces in the urban landscape. Together with
the contemporary idea of urban acupuncture, these
small interventions when incorporated in a unified
strategy are an essential and sustainable approach to
addressing inadequate, abandoned and underutilized
public spaces. It is indeed a sustainable key tool in
urban regeneration and should be explored further
in both the western and developing world as a viable
solution to the urban space decay in the context of
the economic crisis.
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Source: Parque Royal: Favelo Bairro’s Dimming Star? http://
favelissues.com/2010/04/24/parque-royal-favela-bairrosdimming-star/ last accessed 28 February 2014.
Figure 2: New reclaimed openspaces, Source: Parque
Royal: Favelo Bairro’s Dimming Star? http://favelissues.
com/2010/04/24/parque-royal-favela-bairros-dimming-star/
Figure 3: New Community vegetable and fruit gardens,
Source: Kiunkeuy Design Innitiative, Kibera Project. http://
www.kounkuey.org/Kibera_PPS1.html
last
accessed
24
February 2014.
Figure 4: The open spaces created for the community like the
children’s playground, Source: Kiunkeuy Design Innitiative,
Kibera Project. http://www.kounkuey.org/Kibera_PPS1.html
last accessed 24 February 2014.
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Aber Kay Obwona, URBAN ACUPUNCTURE. Piccoli interventi
nel processo di placemaking, in “Quaderni della Ri-vista.
Ricerche per la progettazione del paesaggio”, Quaderno
3/2014, Firenze University Press http://www.unifi.it/ri-vista/
quaderni/index.html, pagg. 94 - 100
Contatti: [email protected]
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SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
PROGETTO DI PARTI MANCANTI: il ruolo dei “piccoli” interventi nella
ricomposizione urbana. Il caso di Modena | Design missing parts: the
role of “little” projects in urban renewal strategy. The case of Modena
Roberta Palumbo*
abstract
abstract
Lo spazio della città contemporanea è dilatato e
frammentato e genera paesaggi confusi. Pensare
la città futura significa ricercare una vision (Secchi,
2003) che dia nuova conformazione alla compagine
urbana operando sul e nel costruito.
Il contributo indaga questi temi attraverso un
progetto per la città di Modena che mette a sistema
azioni semplici, piccole per definizione, e azioni
complesse che coinvolgono luoghi “piccoli”: un
monumento incompiuto, la fitta trama di un villaggio
artigiano, una ferrovia che non serve più.
Modern city is sprawling and fragmented. The space
of future cities requires a vision that gives new
meaning and order to the urban landscape whilst
working with the existing sprawl.
In the next article this vision is explored via both
simple and complex actions; the first are small as
definition, the second involve project on “small”
locations as an incomplete construction, the dense
texture of a craft village or a disused railway line.
parole chiave
key-words
CITTÀ futura, PROGETTO per parti, RIUSO del
territorio
Future CITY, DESIGN of urban parts, Land REUSE
* Dottoressa in Architettura, [email protected]
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102 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Introduzione
Questo breve testo si pone l’obiettivo di far riflettere
sull’importanza dei “piccoli” interventi nel progetto
della città futura. Per raggiungere tale scopo si
ripercorreranno le tappe principali di un percorso
di tesi che ha avuto come fine ultimo il riprogetto
di un brano consistente della città di Modena.
L’iter progettuale parte dall’inquadramento delle
principali problematiche delle città contemporanee
fino all’individuazione di alcune strategie di progetto
calate nella realtà modenese toccando tematiche
differenti
quali
l’individuazione
dello
spazio
privilegiato di progetto della città e l’identificazione
di una possibile vision per la città futura.
La forma, le caratteristiche e, più in generale,
il paesaggio delle città variano, nello spazio e nel
tempo, a seconda del mutare delle esigenze socioeconomiche e culturali dell’essere umano. Per
questi motivi è relativamente semplice riconoscere
la compattezza della città Medioevale o la “cattura
dell’infinito” (L. Benevolo, 1991) della città del
Seicento che, uscendo dalle mura cittadine, dà
vita a spazi più specializzati ma, allo stesso tempo,
teatrali o, ancora, brani di città risalenti alla prima
rivoluzione industriale, nella quale la continuità tra
gli elementi costituisce la conditio sine qua non per
la vita e l’economia della città stessa.
Lo spazio della città contemporanea è, invece,
“uno spazio molto confuso […] che non ha questa
chiarezza (tipica dei modelli precedenti di città,
n.d.a); è uno spazio che è stato quasi completamente
tecnicizzato, che viene disegnato dai servizi delle
strade, delle fognature e che è poco conviviale. La
città si è dispersa, si è frammentata […] e quindi
abbiamo questo spazio che è un po’ il residuo di
quello che è rimasto dopo che si è edificato” (B.
Secchi, 2002). Infatti, alcune delle problematiche
maggiormente trattate negli ultimi anni in letteratura
sulla città contemporanea riguardano i fenomeni di
urban sprawl e urban shrinkage. Il primo termine,
trasposto dal neologismo Sprawltown coniato da
Richard Ingersoll nell’omonimo testo, indica un
modello di crescita, e quindi di città, basato su
autostrade congestionate, centri commerciali e
grandi parcheggi tutti rigorosamente separati gli uni
dagli altri e isolati (G. Tachieva, 2010). Sono realtà
dove non esistono unità di vicinato, si riscontra
un forte utilizzo dell’automobile personale data
la distanza tra gli elementi che compongono la
città stessa, le aree urbane sono prevalentemente
monofunzionali e quelle residenziali ospitano una
limitata varietà di tipologie edilizie e relazioni. Il
secondo termine, invece, descrive un’area un tempo
densamente popolata caratterizzata, oggi, da una
forte diminuzione demografica e che è oggetto di
una trasformazione economica che presenta i primi
sintomi di una vera e propria crisi strutturale (C.
Martinez-Fernandez et al.).
Se queste sono alcune delle caratteristiche delle città
del passato, quali caratteristiche dovrebbero avere
le città del futuro? In cosa dovrebbero differire dai
modelli precedenti? E, soprattutto, quali potrebbero
essere gli strumenti attraverso i quali far divenire
realtà queste previsioni?
Un valido punto di partenza consiste nell’elaborare
una vision (B. Secchi, 2003) della città futura
che costituisca un orizzonte di senso per l’intera
collettività. Si tratta di una visione, un progetto,
un’idea di città chiara e definita come quella di Sisto
V per il futuro di Roma, o quella di Oriol Bohigas per
l’inisieme di progetti per i quali la città di Barcellona
è divenuta riferimento obbligato alla fine del XX
secolo.
Oltre alla vision occorre individuare quale sia lo spazio
di progetto di questo tipo di città e, infine, pensare a
strategie di realizzazione che non coinvolgano enormi
progetti di riconfigurazione urbana da realizzare
interamente ma che mettano in rete grandi e piccoli
interventi.
Questi tre passaggi saranno analizzati nei paragrafi
successivi.
Lo spazio del progetto della città futura
In questo ipotetico iter verso l’individuazione di
strategie di progetto per la città futura, il primo
passo da compiere è riflettere sullo spazio entro il
quale questa vision potrà trovare espressione. Le
riflessioni metodologiche, infatti, devono essere
precedute da un altro tipo di ragionamento che
prenda atto del grande cambiamento dell’oggetto
stesso del progetto di città. Venendo meno, come è
ormai largamente noto e documentato, la necessità
di consistenti espansioni urbane, principali spazi di
previsione delle epoche passate, l’oggetto dell’azione
progettuale è oggi costituito dalla riconfigurazione
dell’intera compagine urbana affidata a interventi
puntuali e limitati, collocati spesso tra gli elementi
che compongono la città stessa; interventi, in
sostanza, ”piccoli”.
La necessità di lavorare tra gli elementi che
compongono la città contemporanea, in quei luoghi
che Olmo definisce grey areas (C. Olmo, 2000)
formati sia da vuoti urbani sia da aree dismesse è
diretta conseguenza dei fenomeni di sprawltown e
urban shrinkage ai quali si è accennato in precedenza.
Infatti, tanto la diminuzione della popolazione e
la crisi del sistema economico tradizionale quanto
la dispersione degli elementi che compongono la
città, sono responsabili della formazione di spazi in
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 103
negativo, vuoti urbani o aree dismesse a carattere
prevalentemente produttivo o infrastrutturale, ma
non solo, che rappresentano, per motivi differenti,
un “futuro che gli eventi hanno scartato” (G. De
Franciscis, 1997: 10).
La presenza di questi vuoti (di attività, di senso e
di significato) costituisce un’importante occasione di
rigenerazione urbana e consente di poter riflettere
sulla città contemporanea, elaborare teorie sulle
caratteristiche della città futura e sperimentare
nuove metodologie di progetto.
Una vision per la città futura: dieci parolechiave
Il concetto di vision non si esprime attraverso gli
strumenti prescrittivi, propri dell’urbanistica moderna
europea, tesi a regolamentare l’ampliamento delle
città esistenti; non è un piano in quanto esso è,
allo stesso tempo “assai meno dettagliato e più
complesso” (B. Secchi, 2003) e mira a delineare
orizzonti di senso entro i quali il progetto della città
si deve muovere in modo aperto e flessibile.
L’individuazione di una possibile vision per la città del
futuro costituisce il secondo elemento di riflessione e
coinvolge temi differenti e di ampio respiro.
Sicuramente una posizione di rilievo è occupata
dalle tematiche ambientali in parte connesse alle
teorie della terza rivoluzione industriale che avrebbe
origine, secondo i suoi sostenitori, in seguito alla
convergenza tra i nuovi sistemi di comunicazione
legati all’informatica e la ricerca di fonti di energia
rinnovabili (J. Rifkin, 2011). I pilastri concettuali
sui quali si fondano queste teorie sono sostenibilità,
accumulo e distribuzione dell’energia mediante un
“internet dell’energia” e riduzione delle emissioni
di CO2 tramite lo studio di una mobilità sostenibile
elettrica.
A livello insediativo, sarà di grande importanza
la scelta delle tipologie abitative da inserire, con
l’intento di ridurre lo spopolamento delle città e il
conseguente invecchiamento della popolazione
(contrastando, così, il fenomeno dello shrinking) e la
creazione di spazi pubblici di qualità che incentivino
la socialità e diano modo all’Homo Sapiens di divenire
“Homo Empathicus” (J. Rifkin, 2010).
In aggiunta a quanto detto, si dovrà evitare di
ricadere in trappole progettuali già sperimentate,
come quelle che hanno portato allo shrinking e allo
sprawl urbano, problematiche che possono essere
risolte facendo ricorso al concetto di continuità fisica
e d’intenti. Infatti, per ridurre la frammentazione
e la porosità dei tessuti delle città contemporanee,
gli spazi che compongono la città futura dovranno
essere contermini, permeabili gli uni con gli altri
e accessibili da qualsiasi categoria di fruitori. Allo
stesso tempo tali interventi non potranno divenire
realtà se manca la continuità di intenti a causa dei
cambiamenti delle Amministrazioni o del fluttuare
della quantità di risorse di cui esse dispongono.
Questo strumento non prescrittivo ma d’indirizzo
preso in prestito da Bernardo Secchi e chiamato
vision può essere ragionevolmente rappresentato
da tutti i concetti ai quali si è appena accennato.
Di seguito sono elencate dieci parole-chiave che,
sulla base delle ricerche e riflessioni effettuate
durante il percorso di tesi, potrebbero costituire
l’orizzonte entro il quale il progetto di città potrebbe
verosimilmente muoversi: la vision, appunto.
• La
sostenibilità
ambientale
costituisce,
sicuramente, una delle tematiche maggiormente
inflazionate e dibattute. La sua importanza
è innegabile e rappresenta uno dei principali
obiettivi che le nostre città dovranno perseguire.
• La continuità è un utile strumento per combattere
i problemi della città contemporanea; non si tratta
solo della continuità fisica degli spazi nel tentativo
di creare una Compact city1 (M. Sorkin, 2004),
ma anche di reti di trasporto, con particolare
attenzione per la mobilità pubblica e la mobilità
lenta, e, soprattutto, d’intenti.
• L’innovazione rappresenta il motore della città del
futuro e comprende tanto l’aspetto economico
quanto l’ambito urbano con particolare attenzione
a forma, tipologia e qualità dello spazio urbano.
• L’interazione è la parola chiave che rimanda
la concetto di empatia cui si è accennato in
precedenza. Essa è ottenibile tramite lo studio
e la collocazione di aree per l’interazione sociale
a livello di quartiere con servizi condivisi e zone
comuni.
• Il
riuso
del
territorio
rappresenta,
contemporaneamente, un’opportunità e una
strategia per ripensare la città e costituisce il
principale strumento di trasformazione urbana da
adoperare.
• La storia della città rimane riferimento
imprescindibile per il progetto di città. Pensare la
città futura, infatti, non vuol dire negare il passato,
elemento di riferimento da valorizzare e tutelare,
ma, piuttosto, trarre da esso insegnamenti e
strategie operative.
• I servizi come singoli elementi attrattori di carattere
comunale e come rete consentono la vitalità della
città e ne contrastano lo spopolamento e, quindi,
la riduzione.
• Il verde, inteso sia come singolo intervento sia
come sistema messo in rete, rappresenta una
componente centrale nella progettazione dello
spazio urbano al quale conferisce qualità e
bellezza.
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104 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
• La sperimentazione è il principale strumento da
adoperare per la rigenerazione di parti urbane
“mancanti”.
• La società incarna sempre e comunque l’orizzonte
di senso entro il quale far muovere le azioni di
progetto che devono tener presente la particolare
attenzione della città per tutte le categorie, anche
quelle meno agiate.
Come si mostrerà di seguito grazie a un esempio
di progetto per la città di Modena, è importante
comprendere come queste tematiche coinvolgano
sì la grande scala urbana, ma trovino, allo stesso
tempo, espressione e concretezza in interventi di
minore portata.
Strumenti per il progetto della città futura:
l’importanza del “piccolo” nel riprogetto di un brano
della città di Modena
Un ottimo terreno sul quale studiare questi fenomeni
e sperimentare nuove tipologie di intervento è
la città di Modena sia per le sue caratteristiche
morfologiche e demografiche, sia per la sua
tendenza a “ripensarsi”, a trasformare i suoi spazi,
a sperimentare nuove soluzioni. Questa città si
trova oggi alla ricerca di una nuova identità che
spera di poter raggiungere attraverso il riuso e la
riqualificazione delle numerose aree dismesse a
carattere prevalentemente produttivo presenti
nel tessuto urbano e il riprogetto generale della
mobilità su ferro. L’amministrazione modenese,
infatti, sta lavorando da tempo sia sulla “Città del
Nord” (porzione di città sita a nord della stazione
ferroviaria e formata da grandi aree produttive oggi
in trasformazione) sia su tre diverse strategie di
riqualificazione e riassetto della mobilità su ferro
esistente che comprendono: lo spostamento dello
scalo merci, attualmente collocato presso la stazione
centrale, a Marzaglia- Cittanova, l’interramento
di parte della linea ferroviaria Modena-Sassuolo
e il definitivo spostamento del tratto urbano della
linea ferroviaria storica Bologna-Milano, realizzata
all’interno del più complessivo progetto dell’Alta
Velocità. Anche se questi tre progetti coinvolgono
tratti lineari, essi innescano politiche di recupero
e rigenerazione urbana che hanno come intento
fondamentale quello di dare vita a un nuovo assetto
urbano e a un livello di mobilità nuovo e più efficiente
che abbia come cardine il trasporto pubblico e la
mobilità dolce.
Per il progetto di tesi si è colta l’occasione offerta
dalla dismissione del tratto ferroviario della BolognaMilano per ripensare un brano consistente di città
agendo su un’area che presto perderà identità e che
verrà svuotata.
Infatti, la dismissione, nel breve periodo, del tratto
ferroviario storico che attraversa e divide da circa
centocinquant’anni la città, rappresenta per Modena
un vero e proprio big bang, una svolta epocale che
rivoluzionerà l’equilibrio su cui si è andata costruendo
questa parte di città e consentirà di cominciare a
ripensare la “Modena contemporanea” in vista di una
“Modena futura”.
Il tratto ferroviario in questione attraversa la zona
ovest della città creando una profonda fenditura
larga dai quindici ai venti metri, alta in media un
metro e mezzo rispetto alla quota della città e lunga
circa dodici km costeggiando paesaggi differenti:
aree d’interesse storico-artistico, zone residenziali
costruite durante il Novecento, quartieri specializzati,
grandi vuoti urbani, importanti aree a servizi e campi
coltivati, passando più volte sopra o sotto altre
infrastrutture. (FIG.1)
Poiché la dismissione della ferrovia, pur coinvolgendo
un tratto lineare, insiste su numerose aree, i suoi
effetti riverberano in tutto il quadrante urbano e
pertanto tale dismissione rappresenta per la città
un’irripetibile occasione da cogliere velocemente e
portare a termine in tempi rapidi in modo da evitare
che il sedime ferroviario si trasformi in una pozione
lineare di territorio vuota di attività e di significati.
Questo brano di città, definito dall’amministrazione
“Quadrante urbano di Modena Ovest” rappresenta
un territorio complesso e denso di attività e
problematiche. La sua formazione attraversa un
intero secolo e, soprattutto per quanto riguarda gli
ultimi decenni, la sua costruzione appare dettata
più da ragioni economiche che da reali disegni e
intenzioni di pianificazione urbana.
In linea con quanto è avvenuto in molte città italiane,
fino alla fine del XIX secolo, le mura della città di
Modena hanno diviso nettamente ciò che era città da
ciò che non lo era relegando nei territori esterni alle
mura quelle attività che si riteneva dovessero stare
lontane dal tessuto urbano a prevalenza residenziale;
per questo motivo la storia delle espansioni della
città di Modena, e quindi anche dell’area di Modena
ovest, ha inizio solo con l’abbattimento delle mura,
a partire dal 1890, a cui segue il piano regolatore
del 1909 che prevede, oltre all’abbattimento di
quella porzione di mura della città ancora in piedi
e al risanamento del centro storico, anche il primo
ampliamento della città esistente al di fuori del
perimetro delle mura.
Fino a quel momento fuori dalle mura della città
erano collocate prevalentemente attività non gradite
all’interno. Per quanto riguarda l’area del quadrante
urbano di Modena Ovest, già a metà Ottocento
erano presenti due elementi che diverranno caratteri
distintivi e peculiari dell’intera area: il cimitero
monumentale (collocato fuori dalle mura in seguito
all’editto di Saint Cloud) e parte della ferrovia Bologna
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 105
Figura 1. Tracciato ferroviario. Vista del sedime ferroviario dal
Cavalcavia della Madonnina. Si notino: a sinistra le case del
Villaggio artigiano, a destra il vuoto urbano, incolto, presente
nel quartiere Madonnina.
Figura 2. Villaggio Artigiano. A sinistra vista dall’alto, a destra
alcuni edifici del villaggio artigiano
– Milano. In questi anni gli insediamenti residenziali
presenti oltre le mura erano pochi, disomogenei
ed erano situati prevalentemente lungo via Emilia,
arteria distributiva principale dell’intera città. La
situazione rimase invariata fino al secondo dopo
guerra con il piano di ricostruzione del 1948 il quale
non intervenne sulla forma della città ma trasformò
aree specifiche seguendo i dettami dell’architettura
moderna di derivazione razionalista aumentando
densità e altezze degli edifici e trascurando lo spazio
pubblico con conseguenti peggioramenti della qualità
di queste parti di città.
A questi anni risalgono altri due elementi
caratterizzanti l’area: l’aeroautodromo (1949) e il
Villaggio Artigiano (1953 circa). Il primo comprendeva
contemporaneamente sia le strutture tipiche di un
aeroporto (pista in cemento lunga 3,8 km, torre di
controllo e aviorimesse) sia quelle di un autodromo
(direzione gara, box e tribune), dalla compresenza
di queste due attività deriva, infatti, la particolare
denominazione. La pista fu usata soprattutto negli
anni Cinquanta e Sessanta. All’inizio degli anni
Settanta il circuito venne dismesso e tra l’inizio degli
anni Ottanta e la fine dei Novanta fu trasformato nel
maggiore parco della città intitolato ad Enzo Ferrari
e progettato dall’architetto paesaggista Sir Geoffrey
Jellicoe.
Il Villaggio Artigiano nasce all’inizio degli anni
Cinquanta per volere del Sindaco Alfeo Corassori
e dell’assessore ai lavori pubblici Mario Pucci con
l’intento di dare lavoro e risposte a numerosi operai
che avevano perso il lavoro in seguito alla seconda
guerra mondiale. Incoraggiandoli a divenire piccoli
imprenditori, l’amministrazione ha ceduto loro a
prezzo agevolato lotti di terreno posti nella zona
ovest della città a ridosso della ferrovia con l’obiettivo
di insediare attività artigianali in edifici dalla classica
tipologia dalla casa-bottega. Questa politica ha dato
vita a quello che oggi è uno dei quartieri più densi, per
tessuto e tipo di attività dell’intera città. Nonostante
il quartiere sia stato costruito senza la supervisione
comunale in merito alle scelte architettoniche (ogni
artigiano, infatti, era libero di costruire nel proprio
lotto l’edificio che meglio rispondeva alle proprie
esigenze) tuttavia esso presenta oggi un “disordine
armonico” (Doc. degli indirizzi per Modena Ovest)
che costituisce carattere identitario dell’intero
Villaggio e che è ben distinguibile sia in pianta (il suo
tessuto denso formato da elementi puntuali lo rende
facilmente identificabile anche dal satellite) che in
alzato. (FIG.2)
A partire dal piano del 1958, poi, l’intera area di
Modena ovest si andò via via saturando completandosi
con ulteriori quartieri residenziali e un’importante
area produttiva collocata su via Emilia che hanno
conferito alla città l’aspetto odierno.
Oggi il quadrante urbano di Modena ovest comprende
cinque quartieri a prevalenza residenziale forniti di
servizi che coinvolgono differenti bacini di utenza
tra i quali molti di interesse sovra comunale,
un’importante area produttiva, la zona del cimitero
(che comprende sia il cimitero monumentale sia il
famoso cimitero progettato da Aldo Rossi) e il più
grande parco urbano della città (oltre 400.000 mq) il
tutto attraversato trasversalmente da via Emilia ovest
e longitudinalmente dalla ferrovia Bologna– Milano
che rappresenta un limite invalicabile che divide la
città in due parti distinte il cui solo collegamento è
rappresentato dall’ “imbuto” del cavalca-ferrovia di
via Emilia, unico “passaggio ad ovest” oggi esistente.
(FIG.3)
Come detto l’Amministrazione Comunale ha deciso
di dismettere il tratto ferroviario che attraversa la
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106 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 3. Il quadrante urbano di Modena Ovest. In evidenza: i quartieri che compongono questo brano di città, la ferrovia in
dismissione (in nero) e via Emilia ovest (in arancione) con il suo cavalcavia. Il perimetro rosso definisce i principali luoghi della
trasformazione. Le aree che compongono il Quadrante urbano di Modena Ovest sono: 1 Area industriale, 2 Quartiere Madonnina,
3 Cimitero San Cataldo, 4 Villaggio Artigiano, 5 Parco Enzo Ferrari, 6 Area a servizi d’interesse sovracomunale
Figura 4. Schema concettuale degli indirizzi del POC per il quadrante urbano di Modena ovest
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 107
zona ovest della città deviando il traffico su ferro
sul tracciato dell’alta velocità costruito a nord del
cimitero di san Cataldo e inaugurato nel 2008. Le
principali problematiche che investono il progetto
dell’area riguardano il destino del “sedime della
ferrovia” (Doc. degli indirizzi per Modena Ovest) in
dismissione e la relazione del tessuto urbano con le
infrastrutture, la riqualificazione delle aree esistenti
e il disegno di quelle vuote o senza vocazione.
L’amministrazione pensa, in sostanza, a un generale
progetto di ricucitura e ricomposizione urbana da
attuarsi tra il costruito tramite interventi puntuali
che coinvolgono scale e ambiti differenti.
L’idea dell’Amministrazione per questo brano di
città è racchiusa nel Documento degli indirizzi per il
quadrante urbano di Modena Ovest e ben riassunta
dalla figura 2. Il Comune identifica l’idea-base
che governa l’intero progetto di riqualificazione
nell’insediamento sul sedime della ferrovia di un
sistema di trasporto pubblico al discreto alimentato
con energia elettrica che metta in connessione
la stazione centrale esistente con il nuovo polo
commerciale-direzionale “Cittanova 2000”, collocato
appena fuori il margine della città. La dismissione
eliminerebbe la grande cesura costituita dal tratto
ferroviario ponendo fine alla separazione della città
e favorendo la nascita di un unico brano di città più
complesso e completo. (FIG.4)
In questo contesto s’inserisce il progetto di tesi che
tenta di dare forma agli intenti che l’amministrazione
ha racchiuso nello schema riportato nella figura 4
tentando contestualmente di dare nuova identità alla
città lavorando sul e tra il costruito.
Le volontà dell’amministrazione fin qui elencate
insieme con le dieci parole chiave individuate come
guida per l’elaborazione di un progetto di città futura,
hanno dato vita a un progetto di tesi che ha per
oggetto l’intero brano di Modena ovest. Si tratta di
un progetto di città per parti che opera tramite azioni
“piccole” per dimensione, costi oppure per tipologia
dei luoghi trattati. Tali strategie progettuali sono
state suddivise, nel lavoro di tesi, in Azioni Semplici
e Azioni Complesse catalogate in un abaco degli
interventi. La messa in rete di interventi di diversa
portata e dimensione dà vita a un progetto per la
città tenuto insieme da un disegno complessivo ma
che si compone di elementi la cui realizzazione è
indipendente.
Le Azioni Complesse individuate sono cinque e
coinvolgono le aree più problematiche di questa parte
di città: il sedime della ferrovia, l’area cimiteriale, il
cavalcavia della via Emilia che sovrasta la ferrovia,
la zona villaggio artigiano - quartiere Madonnina e
i vuoti urbani posti al margine sud della città. Gli
interventi comprendono trasformazioni urbane la
cui portata risulta rilevante sia per le conseguenze
che l’eventuale applicazione avrebbe sull’economia
generale della città sia per la complessità
dell’interazione tra le politiche che mette in campo.
(FIG.5)
Traslando un concetto mutuato da una riflessione di
Giuseppe Marinoni, potremmo dire che quelle che
qui vengono definite come azioni complesse possono
essere paragonate all’approccio al progetto urbano
da lui denominato “coordinato” (G. Marinoni, 2005:
13). “Il progetto urbano coordinato”, infatti, “è
finalizzato alla realizzazione di ampie parti di città,
in un arco temporale relativamente breve rispetto
ai secolari tempi di costruzione della città. Le
componenti edilizie, infrastrutturali e paesaggistiche
sono integrate per produrre un assetto morfologico
d’insieme e una complessità negli usi capace di
indurre processi di innovazione per ampie aree
urbane. […] Esso si rivela una delle poche vie ora
praticabili per dare forma a parti di città ampie e
complesse costruite nell’unità di tempo, di spazio e
di processo economico” (G. Marinoni, 2005: 14).
Le cinque azioni definite complesse (presenti nella
figura 6) ampliano e ristrutturano la città esistente
condividendo i presupposti della forma urbis e
accettando, in larga misura, l’opzione insediativa
compatta in opposizione allo sprawl. Nonostante la
complessità di cui tali strategie sono portatrici, esse
sono individuate da un semplice verbo accompagnato
da uno schema concettuale (conceptplan) che indica
le linee progettuali di massima. (FIG.6)
Le Azioni Semplici, invece, comprendono interventi
puntuali, ripetibili, riassumibili in un simbolo le cui
caratteristiche principali sono la dimensione limitata
e, appunto, la ripetibilità in modo pressoché invariato
nello spazio della città. Esse sono complementari alle
Azioni Complesse ma, allo stesso tempo, indipendenti
da esse. Nello specifico, nel progetto per l’area di
Modena ovest sono state individuate venti diverse
azioni che coinvolgono in modo analogo i sistemi
insediativo, infrastrutturale e ambientale. Tali azioni
si configurano a volte come interventi strategici
dalle dimensioni limitate che talvolta sollecitano
reazioni urbane di rigenerazione introducendo nuovi
usi e nuove modalità fruitive (Azione semplice
14 – Potenziamento dei luoghi d’interesse sovra
comunale), altre volte, invece, sono semplicemente
portatrici di nuove immagini urbane dal carattere
più simbolico (Azione semplice 1 – Localizzazione di
fermate della metrotranvia di superficie in progetto).
(FIG.7)
Dal punto di vista del sistema insediativo, particolare
attenzione è riservata nei confronti dei luoghi
di margine (che siano essi i fronti degli edifici
che affacciano su strade principali o il limite tra
urbanizzato e non urbanizzato o, ancora, tra tessuti
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108 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 5. Individuazione delle Azioni Complesse per il progetto di Modena ovest
Le azioni complesse comprendono interventi su luoghi all’apparenza non rilevanti nell’economia di un progetto di rigenerazione
urbana dalle grandi dimensioni. Esse sono cinque e comprendono: Connettere, Valorizzare, Polarizzare, Rigenerare e Ricomporre,
Urbanizzare. Ognuna di esse fa riferimento a una specifica porzione di territorio e alle sue problematiche
Figura 2.
Figura 6. Schemi concettuali di esplicitazione delle Azioni Complesse di progetto
Azioni complesse 1 Connettere, 3 Polarizzare e 4 Rigenerare e Ricomporre con relativi conceptplan
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Figura 7. Individuazione delle Azioni Semplici per il progetto di Modena Ovest
Le azioni semplici di progetto sono venti e sono suddivise in base al sistema territoriale di riferimento (sistema infrastrutturale,
insediativo ed ambientale). Le loro caratteristiche principali sono la dimensione limitata, l’economicità dell’intervento e la
ripetibilità nello spazio della città in modo pressoché invariato
con destinazioni d’uso prevalenti differenti) e della
riqualificazione dell’esistente.
Le azioni sul sistema infrastrutturale mirano in
particolar modo a conferire continuità alla rete
della mobilità e a riqualificare quella esistente.
Esse coinvolgono in primo luogo il nuovo sistema di
trasporto urbano al discreto voluto dal Comune, ma
anche la creazione di nuovi collegamenti carrabili,
l’inserimento di attraversamenti pedonali o l’utilizzo
di strategie per la fluidificazione del traffico veicolare.
Dal punto di vista delle azioni sul sistema ambientale,
invece, particolare attenzione è stata posta nei
confronti della riqualificazione di parchi e orti urbani,
presenti in gran numero in questa porzione di città,
e della loro messa a sistema. (FIG.8)
Tutte le azioni semplici individuate fanno riferimento
e sono espressione di una delle parole chiave cui si
è accennato in precedenza. Infatti, per fare qualche
esempio:
• sostenibilità e continuità possono essere
raggiungibili
tramite
l’aumento
e
la
riqualificazione delle piste ciclopedonali esistenti
e il completamento della rete stradale (Azioni
semplici del sistema infrastrutturale);
• l’interazione può essere agevolata grazie alla
valorizzazione dei piccoli luoghi di aggregazione
esistenti riqualificati tramite interventi di
autocostruzione da parte dei cittadini o politiche
che incentivino il riutilizzo dei piccoli capannoni
del villaggio artigiano inutilizzati o sottoutilizzati
inserendo, per esempio, un nuovo hub per le
imprese presenti (Azioni semplici del sistema
insediativo);
• l’attenzione per il verde può manifestarsi nei piccoli
interventi di inserimento di percorsi o allestimenti
di land art che mirano a riqualificare parco Ferrari
(Azioni semplici del sistema ambientale).
Tali osservazioni mostrano come anche i piccoli
interventi, se ben progettati e messi in rete,
concorrano a creare nuovi spazi urbani più piacevoli
e vivibili e siano fondamentali per la realizzazione di
un nuovo paesaggio urbano.
Conclusioni
L’intento di questo testo era mostrare come dalla
messa in rete di interventi piccoli, per dimensione
e costi (azioni semplici), e interventi su luoghi
“piccoli”, in quanto incompiuti o in trasformazione
o fragili perché indefiniti (azioni complesse), si
possano attivare azioni di rigenerazione urbana di
grande portata capaci di contrastare le principali
problematiche della città contemporanea e dare vita
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110 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 8. Esempi di Azioni Semplici di progetto divise per sistema territoriale
Figura 9. Estratto di Masterplan di progetto
Le aree presenti in questo masterplan fanno riferimento a tutte le azioni semplici e alle azioni complesse 1, 3 e 4 (Connettere,
Polarizzare, Rigenerare e Ricomporre)
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Smaller is better: il piccolo e il bello nei progetti di paesaggio | 111
a un nuovo e più articolato paesaggio urbano.
Per fare ciò si è fatto ricorso a un progetto di tesi
che si è posto l’obiettivo di contrastare le principali
problematiche della città contemporanea e tentare
di porre in essere un nuovo modello di città tramite
un progetto su un’area dismessa (come si è visto,
luogo privilegiato del progetto della città futura).
L’esito progettuale ha portato alla realizzazione di
un Conceptplan fatto di Azioni Complesse e Azioni
Semplici e a un Masterplan del quale si riporta una
porzione in figura 9. (FIG.9)
La messa sistema dei due elaborati mostra come nel
progetto di città sia necessaria una vision di ampio
respiro che tenga insieme l’intero progetto ma che
questa si realizza mediante interventi che possono
apparire di minore importanza.
In sostanza, in questo caso, “piccolo è bello” in
quanto concorre a creare paesaggi nuovi all’interno
di progetti di riconfigurazione d’interi brani di città;
senza l’attenzione per questi interventi, infatti,
nessuna vision della città futura potrà divenire realtà.
Riferimenti bibliografici
De Franciscis G., I vuoti lasciati dalla civiltà industriale, in
Rigenerazione urbana, il recupero delle aree dismesse in
Europa, Eidos, Napoli 1997
Olmo C., La città e le sue storie, in Mazzeri C. (a cura di) La
città europea del XXI secolo, lezioni di storia urbana, Skira,
2000.
indirizzi del quadrante urbano di Modena ovest, settore
pianificazione del comune di Modena, febbraio 2010.
Figura 4: Schema tratto dal Documento degli indirizzi per
il quadrante urbano di Modena ovest, redatto dal settore
Pianificazione del Comune di Modena, febbraio 2010.
Ringraziamenti
Si ringrazia il professor Carlo Peraboni per la guida e il supporto
sia nella fase di ricerca sia nella redazione del progetto per la
città di Modena.
_________________________________________
1
Il termine Compact city descrive quelle città caratterizzate
da un tessuto compatto. La sola densità edilizia, tuttavia,
non costituisce di per sé una qualità della città in quanto
“la densità può produrre efficienza e piacere, oppure
generare un incubo” (M. Sorkin, 2004). In quest’ottica si può
facilmente comprendere come il concetto di Compact City
da solo non possa garantire la qualità di una città e si debba
necessariamente legare a quello di Complete Community (G.
Tachieva, 2010) caratterizzata da stretti rapporti di vicinato,
mix funzionale e differenti alternative alla mobilità veicolare
grazie a un trasporto pubblico efficiente, alla vicinanza degli
elementi di interesse e alla fitta rete di piste ciclo-pedonali che
la attraversa.
Piroddi E., Le regole della ricomposizione urbana, Franco
Angeli Editore, Milano, 2000
Secchi B., Pensare la città, puntata de “Il Grillo”, RAI
Educational, mandata in onda il 2 gennaio 2002
Secchi B., Progetto, vision, scenario, Planum Magazine, n°7,
2003
Sorkin M., Pensieri sulla densità, Lotus, 2004, n°117
Marinoni G., Metamorfosi del progetto urbano, F. Angeli,
Milano, 2005
Tachieva G., Urban Sprawl Repair, Island Press, Washington,
2010
Rifkin J., La terza rivoluzione industriale: come il “potere
laterale” sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo,
Mondadori, Milano, 2011
Martinez-Fernandez C., Audirac I., Fol S., Cunningham-Sabot
E., Shrinking Cities: Urban Challenges of Globalization, in
International Journal of Urban and Regional Research, Volume
36.2, March 2012
Battistini S., Sprawltown: per una governance della città
diffusa – Intervista a Richard Ingersoll, in Globus et locus
(www.globusetlocus.org/Press/Interviste_Glocal/Richard_
Ingersoll)
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimenti iconografici
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Roberta Palumbo, PROGETTO DI PARTI MANCANTI: il ruolo
dei “piccoli” interventi nella ricomposizione urbana. Il caso
di Modena, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la
progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze
University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.
html, pagg. 101 - 111
Figure 1, 3, 5, 6, 7, 8, 9: redatte dall’autore
Contatti: [email protected]
Figura 2: Foto del Villaggio estrapolata dal Documento degli
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze
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SEZIONE III – SMALLER IS BETTER: IL PICCOLO E IL BELLO NEI PROGETTI DI PAESAGGIO
Piccolo è bello. Il riscatto dell’unicità di ogni paesaggio
Maria Cristina Treu*
* Politecnico di Milano, Professoressa
Ordinaria, [email protected]
“Campo di lotta tra Bene e Male è dappertutto dove
c’è un uomo capace di pensare: in Italia il loro
contendere ha sempre coinvolto la bellezza, l’ha
avuta come suprema moderatrice, oggi per vittima.”
dalla presentazione di Giorgio Montefoschi della
ristampa di “Un viaggio in Italia” di Guido Ceronetti1
Il progetto Ambiente e il progetto paesaggio
Negli anni Ottanta, con la legge Galasso, la
pianificazione si è trovata a doversi confrontare
con la tematica del paesaggio estesa all’intero
territorio urbanizzato e a doversi misurare con gli
strumenti di una cultura della tutela, consolidatesi
con le esperienze di conservazione di specifici beni
patrimoniali e naturalistici. Contestualmente, la
presa di coscienza delle problematiche ambientali
mette la progettazione delle grandi opere e la stessa
pianificazione di fronte all’urgenza dell’applicazione
dello strumento della VIA, seguito poi dalla VAS,
caricato di attese salvifiche e sostitutivo, secondo
più di una posizione interpretativa, degli stessi
strumenti di piano.
Un bilancio, seppure sintetico, delle esperienze
di quegli anni anche alla luce della più recente
stagione della legislazione urbanistica regionale,
maturata dopo la riforma del Titolo V2, evidenzia che
la disciplina urbanistica si trova a dover affrontare
fenomeni, vecchi e nuovi, come il consumo di suolo
e la sovra produzione edilizia, unitamente agli
aspetti ambientali e paesaggistici con strumenti
le cui difficoltà, accentuate dalla crisi e dalla più
generale caduta di autorevolezza delle politiche
urbane, cercano un riscatto con i grandi progetti di
riqualificazione urbana.
Nella valutazione ambientale prevalgono gli aspetti
analitici delle risorse e il rispetto degli standard
e delle soglie normative, spesso in assenza di
alternative reali e in presenza di una sottovalutazione
del coinvolgimento di tutti i soggetti interessati,
sopratutto dei committenti investitori, la cui assenza
comporta l’autoreferenzialità anche della più raffinata
delle valutazioni. Il paesaggio viene fa tto rientrare
nella voce cultura con analisi orientate alla tutela
delle permanenze storiche e al suggerimento delle
mitigazioni, compatibilmente con le indicazioni delle
linee guida della strumentazione urbanistica a valenza
paesaggistica e il rispetto di particolari capisaldi e
visuali, mentre rimangono invariate le difficoltà di
separare il peso delle motivazioni economiche da
quello della qualità e della funzionalità dei grandi
progetti urbani e infrastrutturali che richiedono
rilevanti investimenti pubblici e privati. D’altra
parte, il territorio e il paesaggio della città diffusa
sono sopraffatti da una moltitudine di interventi, di
grande e piccola dimensione, molti che aspirano a
distinguersi dal contesto con modelli edilizi di una
presunta modernità, altri con un linguaggio connotato
da innovazioni materiche e formali, i più senza tener
conto dei paesaggi del contesto. È la produzione
edilizia che incontriamo nelle frange urbane e nella
campagna urbanizzata e che si estende lungo ogni
tipo di viabilità con modelli indifferenti ai luoghi e
alla gerarchia dei percorsi che Jane Jacobs, ben a
ragione, definiva il sistema della rete viva dei nostri
grandi e piccoli centri abitati3.
L’approccio ambientale richiede di fare riferimento
a un sistema di risorse da misurare e da monitorare
nei tempi lunghi di ogni riqualificazione urbana e
territoriale, l’approccio del progetto di paesaggio
richiede la capacità di fare sintesi tra storia, ambiente
e modernità con un linguaggio che si distingua per
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Figura 1. Le unità geografiche provinciali. Fonte PTCP
Mantova 2000-2008, Il sistema dei comuni raggruppati
per insiemi denominati Circondari e caratterizzati da una
comunanza di tradizioni amministrative e storico-culturali
(resp.scientifico prof.MCTreu)
Figura 2. 2. Le unità tipologiche di paesaggio. Fonte PTCP
Mantova 2000-2008, Gli ambiti territoriali, denominati Unità
di paesaggio, identificati sulla base della di fattori fisici e
geomorfologici, del sottosuolo e del suolo e dei caratteri
percettivi e storico-culturali (resp.scientifico prof.MCTreu).
l’attenzione all’ambiente e per la qualità di ogni
scelta costruttiva, anche di dettaglio. I due approcci
rinviano a processi progettuali strettamente correlati:
il primo perché si fonda sui vincoli strutturali delle
leggi fisiche che regolano le relazioni tra le risorse,
il secondo in quanto espressione di una cultura dei
luoghi e della geometria dello spazio che ci può
sorprendere con soluzioni inedite. Il paesaggio è
anche una manifestazione corale che appartiene alla
cultura del fare di ogni comunità: in questo senso
è urgente ricostruire la conoscenza del valore del
paesaggio per orientare, semplificandoli, gli stessi
strumenti della progettazione urbana passando
dall’astrazione delle linee guida all’operatività delle
esperienze di intervento su tutti i temi di progetto,
anche se apparentemente piccoli e banali, come
un marciapiede o le sedute e il verde di un piccolo
spazio intercluso4. Il coinvolgimento della comunità è
la condizione perché la cittadinanza si attivi e sappia
come esprimersi anche sulla qualità dei grandi
programmi di riqualificazione urbana e territoriale .
sono quelli della perequazione urbanistica e
della incentivazione, strumenti di negoziazione
prevalentemente
volumetrica
ed
economica,
integrati dalla compensazione con cessioni di aree,
di opere e di interventi di mitigazione. Negli esiti
tende a prevalere una programmazione strategica
in cui l’idea di urbanità appare più interessata
dalla ricerca di investimenti con attese di rendite
finanziarie crescenti che alla riqualificazione e allo
sviluppo economico e sociale delle città. D’altra
parte, l’urbanistica oscilla tra più scuole, da quelle
ancorate al sapere tecnico e altre orientate da
argomentazioni estetico/formali e sociali, a quelle
che tra molte difficoltà cercano di integrare più
contributi disciplinari come, per esempio, quelli della
geomorfologia, per orientare le scelte insediative e le
tecniche costruttive e altre ancora che promuovono
l’attenzione e le azioni sulla riqualificazione del
patrimonio esistente, sottoutilizzato e abbandonato,
coinvolgendo la cittadinanza attiva. In altri
termini, l’urbanistica si deve confrontare con una
moltiplicazione degli strumenti di piano tra neologismi
esperti e esperienze di comunità alla ricerca di una
linea di continuità tra le azioni che interessano le
relazioni di area vasta e quelle locali attraverso la
ricerca della più appropriata dimensione della scala
intermedia6.
In questo contesto, le esperienze di comunità ci
impongono la rivalutazione dei fattori che hanno
influito sulla formazione dei centri abitati, come il
primato dell’acqua e la disponibilità di suolo coltivabile:
un ritorno alla terra per salvaguardare la biodiversità
in continuità con gli spazi liberi interclusi nei territori
antropizzati della espansione metropolitana. Sono i
progetti di associazioni locali e di piccoli gruppi di
singoli che ci permettono di riscoprire le tracce della
I progetti urbani tra neologismi esperti e
esperienze di comunità
I progetti che intersecano la città in estensione5
e che alimentano la concorrenza tra le grandi
capitali del mondo ripercorrono, da un lato, quelli
della grande dimensione dell’architettura e della
commercializzazione dei centri storici e di ogni nuova
centralità urbana e, dall’altro lato, le problematiche
ambientali, come la tutela del suolo agricolo e del
paesaggio e la domanda di spazi di uso pubblico.
Gli strumenti adottati dalla progettazione urbana,
quando si passa dalle linee di indirizzo del Piano
Strategico al dimensionamento degli interventi
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Figura 3. Il sistema delle polarità urbane. Fonte PTCP di
Mantova 2000-2008, la mappa delle polarità urbane ordinate
rispetto alla struttura demografica e al grado di accessibilità
delle infrastrutture su gomma e su ferro (resp.scientifico
MCTreu)
nostra storia, i tratti dimenticati e cementificati dei
corsi d’acqua e dei sentieri che un tempo ci portavano
dalla campagna alla città, la multifunzionalità del
suolo e dei servizi dell’ambiente che resistono
all’invadenza dell’urbanizzazione; sono le iniziative
che ci fanno apprezzare i tanti fattori sottovalutati
e che il lavoro di più generazioni ha contribuito a
realizzare la varietà degli ambienti di cui è ricca
l’Italia secondo regole consolidate e univocamente
riconosciute e trasmesse. La bellezza dei nostri
paesaggi sono invenzioni della natura, non fenomeni
pittoreschi, come spesso vengono descritti i centri
abitati delle nostre regioni del sud7. Sono la sapienza
e la tecnica che hanno costruito anche i nostri
paesaggi più famosi, come quelli toscani e veneti. Le
regole dei Georgofili indicavano come il terreno più
adatto per la costruzione delle ville fosse quello delle
sommità dei rilevati collinari in quanto meno fertile
di quello situato più a valle. Nei suoi quattro libri
il Palladio si dilunga su come scegliere la posizione
delle ville e su come orientare verso sud l’esposizione
dell’ingresso principale. Sullo sfondo, il ripensamento
del ruolo della disciplina urbanistica riconoscendo le
esperienze che già indicano alcuni nuovi percorsi di
piano e di progettazione sostenuti dalle comunità
locali, come: le proposte che permettano uno
sviluppo ordinato/armonico tra le tante soluzioni
possibili, rispettando i vincoli strutturali dei rischi
naturali e antropici e evitando le scelte irreversibili
che compromettono le risorse per le generazioni
future; la ricerca di coniugare gli strumenti di piano
formali, costretti entri i confini amministrativi, con la
conoscenza delle unità di paesaggio8 e la pratica di
progetti coordinati tra enti locali che siano di guida
Figura 4. Milano, Progetto Cives 20011-2012.
Il Parco delle Risaie nell’area della città densa compresa tra il
Naviglio Grande e il Naviglio Pavese
per la negoziazione tra pubblico e privato; le tante
esperienze di cittadinanza attiva con i progetti,
avviati e gestiti che indicano più alternative d’uso,
anche temporaneo, di aree e immobili abbandonati o
sottoutilizzati e che esprimono le forme possibili del
paesaggio di un’altra città rispetto a quello della città
dei grandi progetti urbani.
L’unicità
del
paesaggio
tra
tutela
e
valorizzazione e la tragedia delle competenze
concorrenti
L’ambiente richiede che nell’approccio alle scelte
di intervento si adotti un rovesciamento del punto
di vista urbano centrico, che vuol dire riconoscere
nei valori di unicità dei nostri luoghi l’incidenza dei
fattori ambientali, fisici, sociali, economici e culturali,
che hanno permesso la formazione della bellezza dei
paesaggi che abbiamo ereditato e che per quanto
attiene alle cure richieste non può fare distinzione tra
grandi e piccoli interventi. L’accordo tra le discipline
che intersecano le scelte di progetto del territorio9
deve, inoltre, transitare dalla comunità degli esperti
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Figura 5. Milano, immagini prese dal Parco delle Risaie verso La città densa in momenti diversi dell’anno
Figura 6. Fonte. AA:VV. La città e l’altra città. ed..Palazzo Bonaretti, 2013, Novellara (R.E.).La riqualificazione da parte di
volontari e di cittadini di un parco urbano alla periferia di Roma
Figura 7. Fonte, AA.VV., La città e l’altra città, op. cit. , Edificio dismesso da riqualificare
Figura 8.Fonte, AA.VV., La città e l’altra città, op. cit., Installazione temporanea di un Box di servizi in un’area urbana
alle comunità locali mettendo a confronto, in un
unico bilancio, le attese di convenienza economica e
di equità sociale tra i cittadini con le caratteristiche
del suolo, delle acque e delle aree verdi da tutelare
e da non consumare. Si tratta di una molteplicità di
competenze, non solo tecniche, e di interessi che per
valutare e migliorare le scelte devono trovare una
convergenza operativa, responsabilizzando le azioni
delle amministrazioni e della stessa cittadinanza
attiva. Le immagini dei casi riportate, anche con
riferimento a passaggi dei paragrafi precedenti,
ci riportano esperienze di costruzione di quadri
conoscitivi di riferimento e esperienze di iniziative
di cittadinanza attiva che anticipano, come già
accennato, le forme di paesaggio dell’altra città10.
Da un lato, ci sono le mappe tematiche del sistema
di conoscenza del suolo e delle acque per sostenere
la valutazione delle idoneità insediative il cui esito
sono le unità di paesaggio che attraversano i confini
dei perimetri amministrativi degli enti locali; da
accostare alla rappresentazione delle polarità urbane
e delle reti infrastrutturali su cui generalmente
vengono valutate le attese di crescita11.
Dall’altro lato, ci sono le immagini delle iniziative di
cittadinanza attiva che rappresentano altrettante
esperienze di cura del luogo dove una comunità vive
e si riconosce rafforzando con una sequenza anche di
piccoli interventi le relazioni di vicinato, la sicurezza
e la qualità dell’abitato12.
Sullo sfondo c’è anche il travisamento del significato
originario dell’Articolo 9 della Costituzione13.
L’articolo, sostenuto fermamente da alcuni padri
costituenti e dalla mobilitazione di molte personalità
della cultura, fu inserito tra i principi fondamentali
che dovevano dare un volto alla repubblica14. Le
questioni centrali del confronto di allora furono: il
riconoscimento di un patrimonio di bellezze materiali
e immateriali che fa dell’Italia un paese unico al
mondo; la necessità di centralizzare la salvaguardia
di tali bellezze per preservare e rafforzare l’unicità
dell’identità paese; l’attribuzione al termine di tutela
del significato di prevenzione e di cura costante dei
beni storici e culturali, non assimilabile a quello della
sola conservazione. Questo è anche il significato
profondo ripreso dal testo della Commissione
Europea sul Paesaggio laddove sottolinea che la
cura dei beni materiali e immateriali deve essere
radicata nella comunità locale limitando gli interventi
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Figura 9. Immagine di una porzione di campagna coltivata a confronto con una immagine di campagna destrutturata
dall’attraversamento di una grande arteria. Foto di nostra elaborazione
Figura 10. Immagine di percorsi dalle aree rurali verso la città sede di presenze biotiche da valorizzare, foto di nostra elaborazione
di emergenza e evitando ogni valorizzazione che
tenda a riproporre stereotipi progettuali più attenti
alla resa economica che alla conoscenza della storia
e dell’identità di ogni territorio: l’economicità della
gestione dei beni culturali non è infatti l’obiettivo
della promozione della cultura, ma un mezzo utile
per la loro conservazione. Inoltre, come recita
l’articolo 6 della stesura definitiva del Codice dei beni
culturali: “La valorizzazione consiste nell’esercizio
delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a
promuovere la conoscenza del patrimonio culturale
e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione
e fruizione pubblica del patrimonio [...] al fine di
promuovere lo sviluppo della cultura”. Purtroppo
con la scoperta dei giacimenti culturali, “il petrolio
d’Italia”,come i nostri beni furono definiti negli anni
Novanta, si fece strada la rivendicazione di valorizzare
il nostro patrimonio, condannando l’immobilismo
della tutela e sostenendo l’opportunità di riqualificarli
con la loro messa sul mercato. Questa posizione,
che tace sulla cronica scarsità di risorse destinate al
giovane Ministero dei beni culturali, viene ratificata
con la modifica del Titolo V della Costituzione che
tra le competenze concorrenti assegna la tutela allo
Stato e la valorizzazione alle Regioni, poi estesa
anche ai singoli Comuni con una delle modifiche del
Codice dei beni Culturali del 2008. L’articolazione
della attribuzione di competenze apre la strada a
più interpretazioni di uno stesso bene paesaggistico
e, più di recente, con la cessione a privati di pezzi
unici del nostro patrimonio a ripetute offerte di
pregiate residenze di ospitalità temporanea in nome
della scoperta di un rinnovato ruolo economico del
turismo15.
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Figura 11. Immagini di tessuti peri urbani conservati e alterati dalla dispersione insediativa. Fonte PGT di Suzzara 2012 (resp.
scientifico prof.MCTreu)
capitolo, L’importanza dei marciapiedi.
_________________________________________
1
Il testo, ristampato nel 2014 dalla casa editrice Einaudi, è il
resoconto scritto tra il 1981 e il 1983 di un viaggio attraverso
grandi città e piccole località di provincia, ricco di osservazioni
storiche e sociali sulle visite di piazze, di monumenti, di
musei, ma anche di carceri, di cimiteri, di distretti di polizia,di
manicomi. Inoltre. ci sono le molte annotazioni sui manifesti
affissi sui muri, sulle insegne dei negozi, e sui tanti innesti di
edilizia contemporanea e che sono altrettante denuncie sulle
volgarità che, equamente ripartita in tutte le nostre regioni,
feriscono il nostro paesaggio come se la bellezza dai luoghi
fosse sparita e le persone fossero abbrutite e istupidite da una
ricorsa della modernità.
2
cfr., la legge costituzionale n.3 del 2001
3
cfr., Jane Iacobs, Vita e morte delle grandi città,Saggio sulle
metropoli americane,Piccola biblioteca Einaudi, 2009, cfr., il
4
cfr., Lewis Mumford, Storia dell’utopia , universale Donzelli,
1997. L’autore, nel capitolo XII, “ I mondi incompleti
scompaiono e può sostituirli l’utopia; quello che dobbiamo fare
prima di potere costruire Gerusalemme in una terra verde e
ridente”, parla dell’obbligo degli scienziati di non fermarsi alla
stesura di un rapporto scientifico così come invita gli artisti
di occuparsi di tutti i temi anche di quelli che non sono di
moda. Un piccolo progetto può avviare un ” eutopiano” come
un tempo il primo insediamento industriale ha aperto la strada
alla diffusione della” coke town”.
5
cfr., M.C.Treu, Margini e bordi nella città in estensione in
M.C.Treu e D.Palazzo(a cura di) Margini. Descrizioni, strategie,
progetti, Alinea editore 2006, pagg.11-61 e le immagini 5, 6,
10, 11,12,13
6
A proposito della scala intermedia: per capire il luogo su cui si
deve intervenire è necessario allargare il campo di studio così
come se si deve intervenire su un oggetto, per quanto piccolo,
si deve approfondirne le caratteristiche interne, cfr., M.C.Treu,
Riferimenti e ipotesi per una procedura di pianificazione
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Figura 12. Progetto di ricucitura del tessuto perturbano
Fonte Esercitazione del Laboratorio di Urbanistica,
aa
mctreudi23Suzzara.
maggio 2011
64
2008/2009 studenti Valeria Fervorari, Andrea Guatta Caldini e Alice Negretti, prof. MC Treu
ambientale, in AA.VV., Territorio sistema complesso, Franco
Angeli , 1993, pagg. 211-235
Sulla bellezza dei nostri paesaggi, cfr., Astolphe De Custine
che descrivendo i terrazzamenti della Costa Viola, smentisce
il carattere pittoresco e dice”le forme e la luce di questi siti
sfarzosi sono quasi troppo belli per essere veri e tuttavia
non sono quadri, ma sono campagne reali, invenzioni della
natura”in, S.Di Fazio e G.Modica, Le pietre sono parole, Liriti
editore, Reggio Calabria, 2008
7
e il patrimonio storico e artistico della Nazione”
cfr.,Tomaso Montanari, L’articolo 9: una rivoluzione (promessa)
per la storia dell’arte in, Leone, Maddalena,Montanari,Settis,
Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente, Einaudi,
2013, pagg.9-55
14
15
cfr., M.C.Treu, Opportunità e vincoli per le aree demaniali, in
WWF, Riutilizziamo l’Italia , Rapporto on line 2014
8
Per un confronto tra gli ambiti geografici provinciali e le unità
tipologiche di paesaggio si vedano le immagini 1 e2
9
cfr., M.C.Treu, Le discipline che attraversano il territorio
(Ita.),Trans–territorial disciplines (Ingl.) in, Ritorno alla terra,
n°2, 2014, Rivista delle Scienze del Territorio, SdT, on line,
Firenze university Press
Si veda il testo di AAVV, La città e l’altra città. Racconti
ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile,
Palazzo Bonaretti editore, ottobre 2013 e le immagini 7, 8,9,
10
Si vedano le immagini 3 e 4, il processo di costruzione delle
mappe tematiche e le polarità urbane
11
crf., Daniela Monaco Avantgarden, Il paesaggio dei
Community gardens, Palazzo Bonaretti editore, ottobre 2013
e le immagini 14,15 e 16
12
cfr., Il testo dell’art.9 “La repubblica promuove lo sviluppo
della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio
13
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Figura 13. Fonte D. Monaco Avantgarden., op.cit., La Plaza
Cultural, East 9th Street and Avenue C
Figura 14. Fonte D. Monaco Avantgarden.Il paesaggio dei
community gardens, ed.Palazzo Bonaretti,Novellara.(R.E.).
Liz Christy Bowery-Houston Garden, 110 East Houston Street
At Bowery
Figura 15. Fonte D. Monaco Avantgarden. All People’s Garden,
293 - 295 East 3rd Street
Figura 16. Fonte D. Monaco Avantgarden., op.cit., Liz Christy
Bowery-Houston Garden, 110 East Houston Street At Bowery
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Maria Cristina Treu, Piccolo è bello. Il riscatto dell’unicità di
ogni paesaggio, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche per la
progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze
University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.
html, pagg. 112 - 119
Contatti: [email protected]
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DIARI DI VIAGGIO
Lo spazio pubblico di Saragozza tra piccoli spazi e piccole pratiche |
Small spaces and small practices in Zaragoza’s public space
Daniela Corsini*
abstract
abstract
La struttura capillare e complessa formata da piccoli
spazi e piccole pratiche contribuisce alla vita sociale
della città di Saragozza molto più che i grandi
interventi realizzati in occasione dell’Expo 2008.
Nell’articolo sono presentati e analizzati il progetto
del Jardin en Altura (2008), un piccolo spazio dilatato
dal progetto, e il programma Estonoesunsolar (20082009), che nella sua prima fase ha agito su spazi
interstiziali della città con interventi light e piccoli
budget.
In Zaragoza there is a capillary and complex structure
of small spaces and small practice. This structure
contributes to the social life of the city much more
than the great interventions made ​​on the occasion
of Expo 2008. This paper presents and analyzes
the project of the Jardin en Altura (2008), a small
space expanded by the project, and the programme
Estonoesunsolar (2008-2009), that in its first phase
acted on the interstitial spaces of the city with light
action and small budgets.
parole chiave
key-words
piccoli spazi, piccole pratiche, budget limitati
small spaces, small practices, limited budget
* Architetto, Dottoranda in Progettazione Paesistica, Università
degli Studi di Firenze
[email protected]
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121 | Diari di viaggio
Figura 1. La stazione intermodale di Zaragoza-Delicias,
una delle grandi opere infrastrutturali incluse nel Plan de
Acompañamento de la Expo 2008.
Figura 2. Interno del Pabellón Puente, una delle principali opere
all’interno del Recinto Expo 2008. Disegnato dall’architetto
Zaha Hadid, attualmente è poco utilizzato sia come ponte che
come padiglione.
Introduzione
Asociaciones de Cabezas de Familia (associazioni
dei capi famiglia), come risposta alla mancanza di
servizi nei quartieri operai e come reazione a una
situazione politica che si traduceva con l’assenza dei
diritti fondamentali. Queste associazioni costituirono
il germe delle Associazioni dei Vicini, che si estesero
negli anni a tutti i quartieri di Saragozza e che nel
1978 si consorziarono formando la Federaciòn de
Asociaciones de Barrios de Zaragoza «Saracosta»
(FABZ).
Principale obiettivo dei movimenti delle associazioni
di vicinato è stato da sempre migliorare le condizioni
di vita degli abitanti, ma la lotta per i diritti nel tempo
si è evoluta e adattata ai cambiamenti economici,
sociali e politici. Alle sue origini, il movimento
vicinale esigeva il riconoscimento dei diritti politici e
civili più basilari, poi ha richiesto un miglioramento
delle condizioni abitative, ha reclamato servizi
ed attrezzature pubbliche di qualità per i barrios
(scuole, centri di salute, attrezzature sportive,
culturali, assistenziali, ecc.), rivendicato migliorie
dello spazio pubblico (strade, piazze, parchi) e una
mobilità equilibrata e sostenibile.
In particolar modo dagli anni Ottanta, il movimento
vicinale ha avuto un ruolo attivo nella definizione
della città e ha proposto alternative costruttive che
hanno avuto un impatto sull’attuale configurazione
della città. L’urbanistica è stata una preoccupazione
del movimento vicinale sin dalle sue origini.
Inizialmente i vicini rivendicarono strade asfaltate,
copertura dei fossati e illuminazione pubblica. In
La città di Saragozza, Spagna, è diventata nota
al grande pubblico in occasione dell’Esposizione
internazionale del 2008 soprattutto per le sue grandi
opere: il recinto Expo, il Parque del Agua, la stazione
intermodale firmata dall’architetto Ferrater (figure
1-4).
Ho scelto questa città come caso studio per la tesi
di dottorato sugli spazi pubblici per la diversità e la
ricchezza di situazioni individuabili, e vi ho trascorso
alcuni mesi. Quello che mi ha maggiormente colpito
non sono i grandi interventi, ma la struttura capillare
di piccoli spazi e piccole pratiche che, con la loro
complessità ed eterogeneità, vanno a comporre la
vita pubblica della città.
L’articolo tratta del modo in cui le associazioni
cittadine abbiano contribuito enormemente alla
qualità e alla vitalità dello spazio pubblico e descrive
come abbiano influito, con modalità ed esiti
differenti, nel progetto del Jardin en Altura di Calle
Delicias e nel programma Estonoesunsolar. Come il
caso di Saragozza interpreta il concetto di “piccolo è
bello” in architettura del paesaggio, offrendo spunti
per la progettazione, la pianificazione e la gestione
dei luoghi?
La nascita dei movimenti cittadini
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli
anni Settanta a Saragozza vanno comparendo le
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122 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 3. Dopo la Expo 2008, lo spazio aperto tra i padiglioni
è diventato un grande spazio pubblico. In Plaza Lucas Miret
Rodriguez, nella foto, si svolgono numerose attività fisiche e
sportive ed è luogo di ritrovo dove andare con lo skate e sui
rollerblade.
Figura 4. Le plazas tematicas della Expo dopo l’evento sono
state trasformate in un grande spazio pubblico con affaccio
sul fiume Ebro. Alcune più verdi, altre attrezzate con giochi
per bambini o attrezzi sportivi per adulti, sono un luogo amato
soprattutto dagli abitanti del Distrito de Actur.
particolar modo il movimento vicinale ha impedito
o ridotto la costruzione di residenze nei lotti liberi
ritenuti rilevanti per la localizzazione di servizi ed
attrezzature necessarie (scuole e asili, centri culturali
e civici, parchi e zone verdi e ricreative, residenze
per anziani e centri diurni, centri di salute, ecc.).
Sin dalle origini, il movimento vicinale appoggiò
attivamente l’integrazione sociale delle donne
(Comisiones de Mujer nei barrios, Edicaciòn de
Adultos, ecc.), successivamente dei giovani (Talleres
Ocupacionales y empresas de inserciòn, programmi
di prevenzione della tossicodipendenza, Casas de
Juventud, Centros de Tiempo Libre, ecc.) e in tempi
più recenti della popolazione immigrata.
Le associazioni di vicinato e la FABZ hanno da
sempre cercato di coinvolgere attivamente tutti i
cittadini in processi partecipativi. Uno strumento di
comunicazione importante a tal scopo è la rivista
“La Calle de todos” che, come organo di espressione
ufficiale della FABZ, informa delle sue attività, dei
dibattiti e delle proposte che scaturiscono nelle
associazioni vicinali. La FABZ è stata promotrice
anche della stesura del Reglamento de Participiaciòn
Ciudadana.
Nei due progetti che verranno di seguito presentati,
i temi sopra citati si declinano in azioni concrete.
Il progetto del Jardin en Altura è stato promosso
dall’Associazione di Vicinato Manuel Viola che, a
seguito della demolizione di un edificio fatiscente,
reclamò quello spazio per la costruzione di uno spazio
pubblico, un luogo rappresentativo che potesse
convertirsi in un punto di incontro per la comunità
e in uno spazio per il tempo libero, di integrazione
sociale e di relazione con la natura. Situato in un
quartiere fortemente multietnico, negli spazi del
Jardin si svolgono numerose iniziative a favore
della integrazione della popolazione immigrata. Nel
programma Estonoesunsolar, il coinvolgimento delle
associazioni e degli abitanti che avrebbero vissuto
quei luoghi è stata la chiave di volta per individuare le
funzioni di cui si sentiva maggiormente la mancanza,
e, una volta realizzate le attrezzature per svolgerle,
la popolazione e le associazioni rivestono un ruolo
importante nella gestione e nell’animazione dei solar.
La dilatazione di un piccolo spazio: il caso del
Jardin en Altura di Calle Delicias
Las Delicias è il barrio più densamente popolato di
Zaragoza e con la popolazione più eterogenea. Negli
anni Cinquanta e Sessanta, l’arrivo di emigranti dalle
zone rurali di tutta la Spagna provocò una crescita
rapida e disordinata del tessuto urbano, che da
allora soffre un deficit manifesto di attrezzature,
zone verdi e luoghi riconoscibili. Negli anni Ottanta
vennero realizzate alcune opere di miglioria, come
la pedonalizzazione del suo asse principale, la calle
de Las Delicias, o la attuazione di alcune aree verdi
e ricreative. Tuttavia, nel corso delle due decadi
successive, il barrio ha ricevuto una nuova ondata
di migrazioni provenienti da tutto il mondo e ha
visto incrementare la sua densità, i suoi conflitti e
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123 | Diari di viaggio
Figura 5. Plaza Delicias e il Jardin en Altura, gli spazi pubblici
più amati del Distrito di Delicias.
Figura 1.
Figura 2.
Figura 6. Particolare di una rampa del Jardin en Altura.
Figura 7. Plaza Delicias e il Jardin en Altura visti da Calle
Delicias (incrocio Calle Caspe), una delle strade commerciali
più importanti della città di Saragozza.
il deterioramento di molti dei suoi edifici, alcuni dei
quali presentavano un elevato rischio di crollo.
Tra gli edifici a rischio di crollo vi era anche la
costruzione posta alla confluenza tra calle Caspe e
calle de Las Delicias, che alla fine del secolo venne
demolita preventivamente. L’associazione dei vicini
del barrio di Las Delicias promosse così un intervento
per convertire il lotto dell’edificio abbattuto in uno
spazio pubblico. Date le carenze del barrio, si trattava
di approfittare della superficie del lotto, tangente
alla principale strada del quartiere, per costituire
un nuovo spazio pubblico rappresentativo per il
quartiere. Lo spazio vuoto risultante lasciò scoperte
le facciate cieche dei due edifici adiacenti e questo si
aggiungeva alle sfide che il progetto avrebbe dovuto
risolvere.
L’Associazione dei Vicini espresse le proprie
esigenze all’architetto Joaquin Sicilia. Obiettivi
principali riguardavano la costituzione di una “piazza
verde”, un luogo identitario dove svolgere attività
ludiche e ricreative e ritrovarsi coi vicini. A questi
punti l’architetto Sicilia aggiunse come obiettivi la
massima semplicità dell’attuazione (dato il carattere
innovativo del progetto si avvertiva la necessità di
limitare il rischio di fallimento) e la necessità di una
manutenzione minima nel tempo.
Con un costo di costruzione di 1.319.000 euro,
l’intervento ha dato luogo a una nuova piazza
pubblica e a una struttura metallica che supera i
quattordici metri di altezza che supporta un giardino
pensile, il Jardin en Altura (figura 5). La struttura è
addossata alle due facciate cieche che rovinavano
il paesaggio urbano e in questo modo le nasconde
completamente.
Sotto al livello della piazza c’è un seminterrato nel
quale sono collocati i nuovi uffici dell’associazione
di vicinato Manuel Viola, responsabile della gestione
del giardino e del suo uso come spazio educativo.
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124 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 8. Un pomeriggio di settembre in Plaza Delicias: bambini
che giocano, persone sedute, sdraiate, che consumano un
gelato, intente in una conversazione.
Figura 9. Tre volontarie del comitato di limpieza. Ogni martedì
mattina compiono una profonda pulizia del Jardin e della
piazza, comprendente la rimozione della sporcizia, la cura
delle essenze vegetali e la manutenzione ordinaria del luogo.
A partire dalla quota zero, la struttura può essere
attraversata mediante una serie di rampe (figura
6) che ruotano attorno a un patio triangolare e
che sono completamente accessibili a persone con
mobilità ridotta (l’accessibilità del giardino doveva
completarsi con un ascensore da alloggiarsi nella
torre verticale, ma che poi non è stato realizzato).
La sequenza delle rampe forma un percorso in
salita concepito come una passeggiata botanica che
permette di contemplare più di ottanta specie vegetali
differenti1 . I parapetti delle rampe contengono
fioriere lineari provviste di un sistema di irrigazione a
pioggia. Sopra alle fioriere ci sono maglie metalliche
riciclate da altre costruzioni - demolite - che fanno
le veci della gelosia e che facilitano la crescita
delle piante rampicanti. Gli sbarchi che separano le
differenti sezioni di rampa formano ampliamenti che
costituiscono zone di riposo dotate di sedute.
Come afferma il progettista Joaquin Sicilia, il giardino
verticale è una metafora dell’albero sul quale i
bambini si arrampicano per evadere dal mondo di
routine degli adulti, e fornisce ai residenti di un
quartiere carente di spazi aperti e riconoscibili un
luogo ludico ed educativo nel quale si impartiscono
lezioni di botanica e si possono allestire installazioni
artistiche.
Il progetto del Jardin ha dilatato lo spazio pubblico
a disposizione lungo Calle Delicias, una delle strade
più frequentate del barrio. L’Associazione di Vicinato
Manuel Viola è molto attiva nell’organizzazione di
attività che coinvolgono anche la piazza e il barrio.
Il Jardin e la piazza sono un luogo importante per il
quartiere e per l’intero distrito di Delicias, di incontro
e di svago, frequentato sostanzialmente da tutti:
bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani, di ogni
sesso e provenienza (figura 8).
In molti considerano la piazza e il Jardin, insieme alla
sede dell’associazione Manuel Viola, spazi importanti
per le politiche di integrazione tra le differenti etnie
che vivono il distrito. La comunità è però divisa su
questo intervento: le critiche maggiori riguardano la
mancanza di privacy delle abitazioni adiacenti, altri
si lamentano per il rumore e per la sporcizia generati
dall’uso intensivo del luogo (e da un comportamento
non sempre civile di chi lo frequenta).
Il servizio Parchi e Giardini attua una manutenzione
ordinaria del sito, ma questo non è uno spazio
ordinario e necessita di attenzioni specifiche1. Un
gruppo di volontari, il “comitato di limpieza”, ogni
martedì mattina si occupa della cura del luogo, con
una pulizia profonda del Jardin e la manutenzione
del verde (figura 9), ma non hanno un budget a
disposizione e i volontari sono pochi (circa sette).
Sempre ad opera di un gruppo di cittadini volontari,
nell’aprile 2012 venne fatta una manutenzione
straordinaria per rimuovere un murales dalla
facciata, opera di un atto vandalico. I venti volontari
approfittarono delle due giornate di manutenzione
straordinaria per fare una pulizia completa del Jardin
con acqua a pressione, per ripiantare le specie
vegetali morte e per prendersi cura di quelle rimaste.
Anche grazie a questa manutenzione aggiuntiva
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125 | Diari di viaggio
Figura 10a. Un esempio di solar, in questo caso il lotto di
Estonoesunsolar 2 prima dell’intervento.
Figura 10b. Estonoesunsolar 2 in calle Las Armas 92, uno spazio
produttivo dove promuovere la coesistenza di gruppi diversi. Il
tema dell’orticoltura è stato inserito nel piano didattico di una
scuola pubblica, nella più importante associazione di infanzia
del quartiere, e in altri importanti collettivi. L’orto è stato
suddiviso in sei parcelle, ognuna offerta per la gestione ad un
centro o associazione distinta del Rione di San Pablo.
da parte di gruppi di cittadini volontari, il progetto
risponde molto bene al trascorrere del tempo.
quelle del programma Estonoesunsolar, ma i concetti
erano gli stessi.
I lotti erano stati scelti con cura e strategicamente,
in modo da rendere appetibili certi percorsi che
avrebbero permesso di promuovere flussi insoliti;
scopo ultimo era che queste infiltrazioni temporanee
nel tessuto urbano avessero la capacità di rivitalizzare
zone altamente degradate.
Fu un primo momento in cui sperimentare la
reazione dei cittadini davanti a una serie di spazi
inattesi. Da queste proposte si trassero una serie
di considerazioni che permisero di affrontare il
programma Estonoesunsolar con strategie concrete
per facilitare l’appropriazione degli spazi pubblici da
parte dei cittadini. Gli interventi artistici di “Vacios
Cotidianos” erano provocatori e non erano stati
concordati con i collettivi cittadini; questo portò a
un effetto successivamente denominato “un extraño
en mi vida” (“un estraneo nella mia vita”). Questa fu
una grande lezione: non bastava l’idea dell’architetto
per dar risposta alle necessità di un quartiere,
qualunque proposta doveva nascere da un processo
di partecipazione cittadina4.
In seguito all’iniziativa “Vacios Cotidianos” e alle sue
proposte, le associazioni di vicinato presentarono
delle petizioni al Comune affinché si continuassero
ad utilizzare i solares come spazi pubblici di uso
transitorio. La Giunta Municipale del Casco Histórico
decise di appoggiare i progetti di futuri interventi nei
lotti; l’incarico della gestione dell’iniziativa venne
conferito alla Società Municipale Zaragoza Vivienda
Rivitalizzare la città con piccoli spazi e piccoli
budget: il caso di Estonoesunsolar
Estonoesunsolar è un programma sperimentale a
livello nazionale in cui, per la prima volta, un Piano di
Occupazione si lega ad un Progetto di Riqualificazione
Urbana. Il programma Estonoesunsolar ha origine
nel 2009 con l’obiettivo iniziale di elaborare un Piano
di occupazione (Plan de Empleo) per cinquanta
lavoratori disoccupati da lungo tempo. Il programma
prevedeva la pulizia e la chiusura dei solares3 (figura
10a) presenti nel Casco Historico (centro storico)
della città di Saragozza. In breve si mostrò la
possibilità di aggiungere agli obiettivi del programma
l’occupazione transitoria di questi lotti non edificati,
offrendo una serie di riusi a carattere temporaneo
con lo scopo di rendere questi spazi utilizzabili. Per
la prima volta si propone la riqualificazione di quanti
più vuoti urbani possibili, sulla base di accordi con
i proprietari dei lotti stessi che, a breve termine,
non siano interessati ad una loro edificazione e
conseguente risanamento.
Queste proposte hanno origine nel programma “Vacios
Cotidianos” (vuoti quotidiani) realizzato nell’ambito
del festival di arte urbana “En la Frontera 2006”
a Saragozza. In quella occasione si cominciarono
a esplorare le opportunità date dall’occupazione
temporanea di lotti urbani, in un contesto artistico.
Le caratteristiche di realizzazione differivano da
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Figura 11. Estonoesunsolar 5 “San Agustin”: in collaborazione
con la Associazione Ludica Infantile Gusantina si è deciso
di realizzare un playground dove i giochi sono disegnati
direttamente sulla pavimentazione: in particolare sono molto
amati il grande gioco dell’oca e la pista per i tricicli. L’area è
delimitata da una serie di sedute a forma di mattoncino per le
costruzioni, a richiamare il carattere ludico del lotto.
Figura 12. Estonoesusolar 5 durante un festival di danza.
L’assenza di oggetti tridimensionali all’interno della piazza
permette una grande flessibilità nel suo utilizzo: i bambini
possono giocare a palla, si possono praticare attività di gruppo,
e può anche ospitare eventi e manifestazioni come mercatini
e spettacoli di danza.
e permise di dare inizio a questo progetto con il
nome di Estonoesunsolar.
La scelta dei lotti su cui sarebbe intervenuto
Estonoesunsolar fu il frutto di un’attenta analisi dei
luoghi degradati della città che, per la loro posizione,
si sarebbero potuti trasformare in nuove potenzialità
riconsegnando luoghi di vita comune alla popolazione.
Già in occasione di “Vacíos Cotidianos” erano stati
presentati una serie di studi incentrati sul centro
storico di Saragozza nei quali si trasmettevano alle
istituzioni pubbliche le grandi possibilità offerte dalle
irregolarità della trama urbana, dai luoghi degradati
o marginali, che potevano offrire una nuova visione
della città e recuperare l’energia latente nei numerosi
spazi dimenticati. Per questo motivo si realizzò un
Piano Integrato del Centro Storico (PICH) nel quale
si riflettevano i possibili punti strategici di intervento
che potevano diventare una fonte di nuova vitalità.
Ai lotti “strategici” si aggiunsero poi le aree indicate
dalle associazioni e dagli enti attivi nei quartieri in
questione.
I primi esperimenti si fecero nei quartieri periferici
del centro storico, il barrio di San Pablo e il barrio
de la Magdalena, altamente degradati, socialmente
destrutturati e con un’alta domanda di attrezzature e
spazi pubblici. Si trattava di quartieri che avevano a
disposizione associazioni vicinali e gruppi di cittadini
molto attivi e fortemente coinvolti nelle azioni
proposte.
Una volta scelto il lotto, è stato definito un
meccanismo che permette di realizzare semplici
servizi di quartiere in breve tempo:
• in caso di lotti di proprietà privata, si stabilisce un
accordo con il proprietario che cede gratuitamente
il suo lotto per un tempo determinato, la cui data di
fine resta legata alla decisione del proprietario del
lotto stesso, ed é pertanto soggetta a variazioni;
• si avvia un nuovo processo di analisi, urbana e
socio-economica, che studia i servizi esistenti e
quelli maggiormente utilizzati, gli spazi verdi, la
popolazione che li vive e vi abita, così come le
carenze di ogni zona e gli spazi reclamati;
• si contattano le associazioni di quartiere, le scuole,
i centri anziani, si ascoltano le loro proposte e
i suggerimenti, fino ad arrivare alla definizione
di un progetto concreto che si realizza in tempi
brevi, con un budget ridotto e con il frequente
ricorso a materiale riciclato.
• in seguito alla realizzazione, si stabiliscono
gli organismi responsabili della gestione e del
mantenimento degli spazi di nuova formazione.
In questo meccanismo gli attori coinvolti sono
numerosi: uno degli aspetti più appassionanti di
tutto il programma risiede nella volontà di mettere
d’accordo sensibilità diverse e apparentemente
contrapposte. I lotti sono di proprietà sia pubblica
che privata, tutti gli usi proposti sono pubblici.
Questo è un aspetto di grande importanza, perché
ha implicato un mix di sensibilità diverse che alla
fine sono state convogliate in un’unica direzione; in
ogni spazio confluiscono attori differenti e relazioni
complesse, per ogni lotto sono stati portati avanti
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127 | Diari di viaggio
Figura 13. Estonoesunsolar 11 “Calle Coso 182”: il teatro
della fortuna, esito del concorso di progettazione urbana per
bambini. Elemento protagonista dello spazio è un palcoscenico
a forma di quadrifoglio, circondato da alberi illuminanti e
sedute a forma di foglia d’albero.
Figura 14. Estonoesunsolar 8 “Calle Boggiero 20-22” dimostra
che si può giocare a calcio anche in un campo angolare.
accordi intricati e mai facili con i proprietari per la
cessione temporanea dello spazio. Allo stesso modo
gli interventi sono stati frutto del coinvolgimento di
associazioni di quartiere, asili, scuole, eccetera, con
la mediazione della Sociedad Municipal Zaragoza
Vivienda che ha gestito il processo di partecipazione
cittadina, processo intenso e delicato ma dal quale in
gran parte dipendeva l’esito delle proposte.
Infine i lavoratori del Piano di Occupazione, per la
loro uniforme, sono facilmente associabili al lavoro
che stanno svolgendo: questo chiude il circuito di
interazione con i cittadini, e si cerca il riscatto sociale
di queste persone, lavoratori disoccupati da lungo
tempo spesso disadattati. Ad ogni operaio è infatti
stata data una maglietta da indossare, con riportata
sopra una delle parole del nome del programma:
“esto”, “no”, “es”, “un”, “solar”. A seconda delle
combinazioni che si venivano a creare nelle squadre
di lavoro, potevano comporsi frasi diverse, dettate
dal caso (“esto no”, “un solar no es esto”, “este solar
no es”, “esto es un solar”, “un solar no es un solar”...).
Attraverso questo gioco semantico si è cercato di dare
visibilità a concetti come frammentazione, disordine o
casualità, interpretati come valori capaci di apportare
nuovi significati. Per il successo del programma,
è stato importante mantenere un atteggiamento
ludico durante tutte le fasi del processo. Il nome
stesso del programma, Estonoeunsolar (“questonon-é-un-lotto-abbandonato”), è una provocazione
per generare suggestioni e sollecitare un nuovo
sguardo: “questo non è un lotto abbandonato, non
è quello che sembra, guardalo con altri occhi”. In
definitiva, si tratta di un invito a pensare in modo
nuovo, a immaginare possibili contenuti, a proporre
nuove situazioni e a realizzare spazi coinvolgenti.
Tutti gli aspetti relativi alla comunicazione sono
stati attentamente ponderati. Estonoesunsolar
mira ad essere una piattaforma di unione tra i
differenti soggetti ed etnie presenti nei quartieri
ove si interviene, attraverso un intenso processo
di partecipazione cittadina. Il rapporto si è stretto
incontrando personalmente i possibili fruitori di
questi spazi, dialogando con loro, rendendoli parte
integrante del progetto esecutivo, attraverso la
trasformazione in disegni tecnici dei loro desideri,
ma si è cercato di catturare anche virtualmente
altri interlocutori. Per facilitare su un altro piano
il processo di partecipazione cittadina, diffondere
informazioni e creare un altro livello di comunicazione,
è stato realizzato un blog (http://Estonoesunsolar.
wordpress.com/). Si tratta di uno strumento
attivo, che ha consentito di saggiare il polso di
ogni intervento. Il blog incentiva la partecipazione
degli abitanti, divulga le informazioni sugli sviluppi
progettuali, crea un nuovo ambito di comunicazione
e scambio di idee tra proponente e fruitori degli
spazi. Si tratta di un forum aperto, dove qualunque
cittadino può entrare in contatto in maniera veloce e
agile con l’amministrazione.
Molte energie sono state impiegate nella diffusione
delle informazioni, con lo scopo di condividere questa
esperienza con altri forum di discussione, altre città
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128 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
Figura 15. Estonoesunsolar “Calle Santa Rosa”, nel Distrito di San Josè. Lo spazio è situato nei pressi di un centro per la cura
dell’Alzheimer e di un asilo infantile. Sembrò pertanto interessante lavorare con i concetti di ricordo e di memoria. Si poteva
interpretare lo spazio come un punto di contatto tra quei bambini, che cominciavano a memorizzare ricordi, e gli anziani, che
cominciavano a perderli. Dopo aver parlato con i responsabili del centro e aver raccolto indicazioni sui problemi dell’Alzheimer
e i metodi di lavoro, i progettisti misero a punto una serie di dispositivi che sarebbero potuti servire ad attivare ed esercitare
la memoria. Un percorso attraversa il lotto: parte da una pavimentazione in cemento e poi progressivamente va perdendo
materialità e si diluisce come i ricordi, per tornare di nuovo al punto di partenza. Un percorso che con cui si attraversano varie
tappe, tra piante aromatiche, cartelli con immagini ed esercizi mnemonici.
Figura 16. Embarcadero de Vadorrey. L’intervento ha sfruttato il dislivello presente tra il fiume e il Paseo de la Ribera per
impiantare un ampio pendio verde che unisce i due livelli e che accoglie tre grandi “morsicature” sul terreno. Questi tre spazi
van formando differenti piazze che si connettono attraverso una passerella di legno che favorisce un percorso alternativo tra le
piante aromatiche e la vegetazione preesistente. Le tre piattaforme hanno texture e usi differenti: una zona di gioco con gradoni
di cemento (antiteatro) e pavimentazione ammortizzante in gomma; una zona centrale con un bosco autoctono e un passerella
sinuosa; una terza zona di relax con una piazza-spiaggia attrezzata con lettini, con struttura in ferro rivestiti in legno, orientati
verso il sole e il fiume, nuovo protagonista della città.
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129 | Diari di viaggio
Figura 17. Estonoesunsolar Embarcadero de Vadorrey, la
piattaforma destinata a spiaggia urbana. Questo è uno dei
luoghi preferiti lungo il fiume degli abitanti di Saragozza,
che vengono a prendere il sole o che, durante la loro attività
sportiva sul lungofiume (corsa, bicicletta, camminata), fanno
qui una sosta.
Figura 18. Estonoesunsolar “Octavio Paz”, Distrito di Actur.
Il progetto venne sviluppato in forte connessione con il Centro
de Tiempo Libre Os Mesaches, che oggi utilizza questo spazio
per lo sviluppo delle sue attività con i bambini e i ragazzi.
Questo spazio pubblico è oggi un luogo importantissimo per il
quartiere, frequentatissimo nel dopo scuola dai bambini, ma
anche dagli adulti che alla sera si ritrovano a giocare a basket.
e altri paesi, attraverso conferenze e pubblicazioni.
In questo senso, il programma Estonoesunsolar
ha suscitato interesse in ambito professionale,
universitario e istituzionale e ha ottenuto numerosi
riconoscimenti e premi internazionali.
Entrando nel merito delle proposte, occorre
distinguere due fasi di realizzazione dei progetti,
quella del 2009 e del 2010, che hanno un carattere
diverso pur trattandosi sempre di interventi
temporanei su vuoti abbandonati. A queste fasi
vanno ad aggiungersi gli interventi estemporanei
che sono stati portati avanti negli anni successivi e
che sono tuttora in corso.
Nei primi 13 mesi di durata (dal giugno a dicembre
2009 e da maggio a dicembre 2010), il programma
è intervenuto su 28 spazi aperti, per un totale di
più di 42.000 metri quadrati di superficie urbana
rigenerata (9.800 m² nel 2009 e 32.000 m² nel
2010), collaborando con sessanta associazioni di
vicinato e con i consigli e gli uffici dei quattordici
municipi (distritos) della città.
Nel 2009 sono stati spesi 800.0000 euro (di cui
240.000 euro per il costo dei materiali, il resto
stipendi) e nel 2010 un totale di 1.840.000 (di cui
700.000 euro per il costo dei materiali, il resto
stipendi), con una media di 25 euro al m² mano
d’opera inclusa (oppure 20 euro al m² mano d’opera
esclusa).
operativa assai ridotta, che in molti casi interessava
piccoli spazi aperti interstiziali del tessuto storico.
L’intenzione dei progettisti era di dare coerenza a
questi spazi, considerata la vicinanza fisica tra i vari
lotti, così che si potesse ottenere una leggibilità di
sistema formando una rete di vuoti, per risolvere una
serie di problemi specifici all’interno di un progetto
complessivo per il quartiere. Per enfatizzare questi
sottili legami i progettisti hanno deciso di utilizzare
una simbologia comune, e alcune caratteristiche che
rendono gli spazi facilmente leggibili e riconoscibili.
Ad esempio, si è proceduto a segnalare ciascun
lotto assegnandogli un nome e un numero da 1 a
14, assegnato in base all’ordine di occupazione.
Una volta collocato il punto di Estonoesunsolar nelle
coordinate, lo spazio è pronto per essere colonizzato
dagli abitanti e diventa “100% utilizzabile”.
Questa strategia è stata adottata in particolare
nei quartieri di San Pablo, Magdalena e Arrabal,
i più carenti di spazi pubblici e servizi. Tutte le
proposte sono consapevoli della loro temporaneità
e lo trasmettono tanto nei materiali quanto nel
sistema costruttivo, proponendo un linguaggio
leggero, legato alla sua “data di scadenza”. Sono
interventi che devono essere effettuati dagli operai
assunti, escludendo così qualsiasi acquisto di mobili
appositamente progettati. Le proposte presentano
diverse intensità di intervento sulla base delle
previsioni di cessione dei terreni, divenendo più
leggeri quanto minore è l’aspettativa di durata.
Il primo intervento (Estonoesunsolar 1), realizzato
Le operazioni del 2009, iscritte esclusivamente
all’interno del centro storico, riguardavano una scala
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130 | Piccolo è bello in architettura del paesaggio
nel Quartiere di San Pablo nella calle San Blas,
ha avuto un carattere speciale, considerato che
rappresentava il momento di contatto iniziale con i
cittadini nell’ambito di un programma sperimentale.
Si decise così di realizzare un giardino urbano
composto da piattaforme realizzate con pallet di
legno alternate ad essenze come lavanda, rosmarino
e varie specie di piante, come in un giardino botanico.
Dopo questo intervento, accolto dagli abitanti con
grande entusiasmo, si passò alla realizzazione di un
orto urbano che, proprio come il giardino, è stato
ideato come luogo in cui mescolare insieme differenti
componenti (Estonoesunsolar 2, figura 10b).
Anche altri interventi della prima fase hanno cercato
di portare elementi vegetali nel tessuto denso del
Casco Historico, talvolta anche solo collocando
alberature in forma temporanea, all’interno di
contenitori. Si completò anche il solar già iniziato
durante “Vacíos Cotidianos” con un campo da
calcetto, gestito da una associazione ludica per
l’infanzia (Estonoesunsolar 9).
Molti progetti di questa prima fase sono interventi
minimi in piccoli spazi, come nel caso della costruzione
di un campo di bocce in un vuoto abbandonato
in prossimità di un circolo per pensionati: ora
quello spazio è diventato il luogo di ritrovo dove i
frequentatori del circolo si riuniscono e organizzano
attività (Estonoesunsolar 4).
Nel Barrio de la Magdalena sono state realizzate
diverse azioni di infiltrazione urbana, destinate
soprattutto ai bambini e ai più giovani abitanti del
quartiere. In un lotto è stato creato uno spazio
ludico con un gioco dell’oca formato gigante e
una pista per tricicli dipinti sulla pavimentazione
(Estonoesunsolar 05, figure 11 e 12). Oggi questo
spazio viene utilizzato da varie associazioni del
quartiere (soprattutto associazioni di infanzia), ma
resto aperto a tutta la città.
Il primo anno del programma si è concluso con un
concorso di progettazione urbana per bambini. La
proposta vincitrice doveva essere realizzata con
la massima coerenza possibile rispetto all’idea
originale. Il progetto scelto, dal titolo “il teatro
della fortuna”, proponeva uno spazio a forma di
quadrifoglio, con alberi illuminanti e sedute a forma
di foglia d’albero. Tradotto in soluzioni costruttive
dal team di “Estonoesunsolar”, il nuovo giardino è
stato realizzato in pochi giorni, con la supervisione
dei bambini, che hanno potuto vedere realizzata in
breve tempo la loro idea (Estonoesunsolar 11, figura
13).
Alla fine del 2009, considerato il successo
dell’operazione, l’amministrazione comunale decise
di continuare il programma, estendendolo questa
volta ad altri quartieri della città e applicandolo
esclusivamente a lotti di proprietà pubblica. Nella fase
del 2010 Estonoesunsolar lavorò pertanto su spazi
più eterogenei, con differenti geometrie, dimensioni
e contesti urbani; la filosofia del programma, basata
sul principio della partecipazione cittadina, rimase
invariata.
La volontà dell’Amministrazione era di realizzare un
intervento Estonoesunsolar in ogni distretto della
città; ciascun distretto della città propose una serie
di lotti disponibili che vennero valutati attentamente
dall’equipe di Estonoesunsolar e, dopo le riunioni
con la giunta del distretto di ciascun quartiere,
le associazioni vicinali e i gruppi di cittadini, si
selezionarono i più adeguati.
Particolarmente amato è il progetto della spiaggia
urbana sul Fiume Ebro a Vadorrey (Embarcadero di
Vadorrey), con il solarium, l’area gioco per i bambini e
uno spazio verde (figure 16 e 17). Nelle belle giornate
vi si trova sempre qualcuno intento a prendere il sole
e molti ciclisti o corridori ne approfittano per una
pausa durante la loro attività sportiva.
Oltre alla spiaggia urbana sono stati costruiti
alcuni parchi (Parque de la Cruz Roja, Rubì), piazze
(Monasterio de Pueyo, Estonoesunsolar Oliver, Calle
Santa Rosa), aree per il gioco o per lo sport in zone
carenti (Rosales del Canal, Valdespartera, Octavio
Paz, Valle del Broto, Rebolledo), aree per la sosta e
il relax (Calle Antonio Labordeta, Avenida Movera) e
orti urbani (Caminos de las Huertas).
Nel 2011 l’ufficio Estonoesunsolar ha chiuso, ma il
programma è faticosamente continuato attraverso
Zaragoza Vivienda e gli architetti Patrizia di Monte e
Ignacio Gravalos. Nel 2013 sono stati realizzati altri
quattro interventi temporanei in tre quartieri della
città, nel 2014 due interventi sono già stati conclusi
e altri quattro sono in programma. A causa della crisi
economica moltissimi altri lotti attendono di essere
edificati e sarebbero nel frattempo disponibili per
utilizzi temporanei, ma è sempre più difficile trovare
le risorse per attrezzarli.
Conclusioni
Come il caso di Saragozza interpreta il concetto
di “piccolo è bello” in architettura del paesaggio,
offrendo spunti per la progettazione, la pianificazione
e la gestione dei luoghi?
Le esperienze presentate mostrano come gli spazi
interstiziali e abbandonati presenti nel contesto
urbano possano essere riutilizzati attuando interventi
capaci di rispondere ai bisogni ed alle necessità dei
cittadini di attrezzature e spazi per l’incontro e per
il tempo libero. Come afferma l’architetto Patrizia
di Monte, con il programma Estonoesunsolar si
vuole sottolineare che il riciclaggio, oltre al riuso dei
materiali, avviene anche per gli spazi. Dall’attuazione
di questo programma emerge la predilezione per
Quaderni della Ri-vista I ricerche per la progettazione del paesaggio
Dottorato di Ricerca in Architettura, Curriculum in Architettura del Paesaggio I Università degli Studi di Firenze
luglio 2014 I ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/
131 | Diari di viaggio
lo sviluppo della città compatta, che concretizza le
soluzioni ai propri problemi all’interno del contesto
urbano, rifuggendo da uno sviluppo spaziale troppo
spesso inefficace. I piccoli luoghi possono essere
fondamentali, da soli o meglio in rete, per rivitalizzare
e riqualificare interi quartieri della città.
La progettazione dei piccoli luoghi, spesso sentiti
come una proprietà da parte dei cittadini, può
avvenire con una partecipazione attiva da parte
della popolazione che, una volta inserita nel
processo, può essere coinvolta anche nella fase di
gestione del luogo, come avvenuto nel programma
Estonoesunsolar.
Nel caso di Estonoesunsolar il “bello” si riferisce
più alla funzionalità e al piacere di vivere il luogo,
che all’estetica dello spazio. I progettisti Ignacio
Gravalos e Patrizia di Monte si riferiscono a una
poetica dell’indeterminatezza, a un carattere
fondamentalmente neutro degli spazi che permette
il verificarsi di eventi imprevisti; l’indeterminatezza
genera varietà e di conseguenza vitalità della scena
urbana pubblica. I murales realizzati da numerosi
artisti internazionali durante diverse edizioni del
Festival Asalto, festival di arte urbana di Saragozza,
contribuiscono ad arricchire il carattere dei luoghi,
unici nel loro genere.
La bellezza del luogo, il piacere della contemplazione
e della passeggiata botanica si concretizzano nel
progetto del Jardin en Altura, un luogo molto
amato dalla maggior parte degli abitanti del
barrio di Delicias. È proprio dall’attaccamento
al luogo che nasce in alcuni volontari la voglia di
manutenzione del luogo. Come ha affermato Silvia
Ortín, tecnico dell’associazione di vicinato Manuel
Viola, in un’intervista su Heraldo: “Se trata de una
construcción única en Europa que no debemos dejar
que acabe degradándose. Es muy bonito y, como
tal, así queremos que se conserve. Limpiarlo es una
forma de concienciar a los vecinos de que hay que
cuidar nuestro barrio para mejorar el bienestar en el
mismo” (T. Martìn, 12/04/2012, Zaragoza).
anche di lotto vuoto, abbandonato.
Le prime attuazioni di Estonoesunsolar confermarono che gli
interventi concordati con le associazioni di quartiere erano ben
accolti e gli spazi erano vissuti e curati con attenzione.
4
_________________________________________
1
Il verde è opera del giardiniere Lazaro Vela.
Il progettista Joaquin Sicilia aveva anche realizzato un
manuale per la manutenzione del luogo con particolare
attenzione al verde pensile; delle ottantadue specie vegetali
inizialmente presenti molte sono morte perché necessitavano
di una maggiore manutenzione.
2
Secondo il dizionario de la Real Academia Espanola, “solar” è
una porzione di terreno destinato a essere edificato. A causa
della crisi economica molti di questi lotti sono abbandonati,
non si ha certezza di se e quando verranno edificati e versano
spesso in condizioni igieniche precarie (alcuni sono ad esempio
ricoperti di spazzatura o utilizzati come piccole discariche).
Nella quotidianità il termine “solar” diviene quindi sinonimo
3
Testo acquisito dalla redazione nel mese di luglio 2014.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia
correttamente citata la fonte.
Riferimento per la citazione con numero di pagine
Daniela Corsini, Lo spazio pubblico di Saragozza tra piccoli
spazi e piccole pratiche, in “Quaderni della Ri-vista. Ricerche
per la progettazione del paesaggio”, Quaderno 3/2014, Firenze
University Press http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/index.
html, pagg. 120 - 131
Contatti: [email protected]
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Quaderno 3/2014
Piccolo è bello in architettura del paesaggio
ISSN1824-3541 I Firenze University Press I http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/
Dottorato di Ricerca in Architettura
Curriculum in Architettura del Paesaggio
Referente Prof. Gabriele Paolinelli
http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ | [email protected]
Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Architettura - DIDA
QUADERNI della Ri-vista
Ricerche per la Progettazione del Paesaggio