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CONFIMI
Rassegna Stampa del 10/10/2014
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INDICE
CONFIMI
10/10/2014 Avvenire - Nazionale
Piccole e medie imprese schierate per il «no» al Tfr in busta paga
6
10/10/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale
Export, come costruire un affare
8
10/10/2014 L'Arena di Verona
A Verona 700 addetti in meno nelle banche
9
10/10/2014 Prima Pagina - Modena
Confimi e Simest per competere sul mercato globale
10
10/10/2014 Prima Pagina - Reggio Emilia
"Adesso ripartiamo", successo per il convegno dedicato a Simest e Pmi per la
crescita e l'internazionalizzazione
11
CONFIMI WEB
09/10/2014 www.ravennawebtv.it 08:49
Efficienza, rinnovabili e metano per una nuova fase di sviluppo: sottoscritto il nuovo
documento sull'energia
13
09/10/2014 www.viaemilianet.it 13:02
Confimi e Simest per competere sul mercato globale
15
SCENARIO ECONOMIA
10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Draghi: chi non crea lavoro sparirà
17
10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Telecom punta a Metroweb E a 7 miliardi per la fibra ottica
19
10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La crisi del lavoro e i 14,7 miliardi di sussidi a carico dei contribuenti
20
10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
I dubbi delle banche sul passaggio di Giochi Preziosi a Lee
21
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
Se Berlino ritrova l'Europa per interesse
22
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
Una dote ridotta
24
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
La lezione di Clinton
25
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
Due temporali a Francoforte
27
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
Dal Lavoro risparmi per 2,1 miliardi
29
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
Jobs act, alla Camera delega «blindata»
31
10/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Draghi: i governi senza riforme saranno cacciati
33
10/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Se anche Berlino rischia la recessione
35
10/10/2014 La Repubblica - Nazionale
La frenata tedesca i tassi americani ei prezzi troppo alti bloccano le Ipo salta anche
Intercos
37
10/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Thyssen, niente accordo sul piano dell'azienda in vista 550 licenziamenti
38
10/10/2014 MF - Nazionale
CONTRATTO BANCARI, TRE MESI DA SFRUTTARE PER CAPIRE IL FUTURO
39
10/10/2014 MF - Nazionale
Ai massimi dal 2008 la domanda di prestiti delle aziende. Ma le banche ci sentono
poco
40
10/10/2014 MF - Nazionale
In Italia cresce solo il (finto) lavoro part-time
41
10/10/2014 L'Espresso
International FIAT
42
10/10/2014 L'Espresso
Cenerentola al ballo di Wall Street
45
10/10/2014 L'Espresso
Caro Piketty, di Marx non hai capito niente
46
SCENARIO PMI
10/10/2014 Corriere della Sera - Brescia
Bonomi: «Tasse al 66% Competitività a rischio per le nostre imprese»
48
10/10/2014 Il Sole 24 Ore
«Servizi e territorio urbano, ecco la ricchezza del futuro»
49
10/10/2014 ItaliaOggi
SI PUNTA ALLE PMI E AI PROFESSIONISTI
52
10/10/2014 ItaliaOggi
Navi militari Alleanza italiana
53
10/10/2014 MF - Nazionale
Fincantieri e Finmeccanica uniscono le forze per la nautica militare
54
10/10/2014 MF - Nazionale
SI PUNTA ALLE PMI E AI PROFESSIONISTI
55
10/10/2014 L'Espresso
MANUFACTURING 2.0
56
09/10/2014 Banca Finanza
II modello di banca dei sindacati
59
09/10/2014 Banca Finanza
Le nuove sfide del trading on line
62
CONFIMI
articoli
10/10/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Piccole e medie imprese schierate per il «no» al Tfr in busta paga
Allarme Il 17% delle aziende ha ordini per solo 15 giorni e il 74% soffre ritardi nei pagamenti
ANDREA ZAGHI
Arrabbiati e preoccupati, comunque decisi a non essere più, come loro stessi dicono, il "bancomat" del
Governo. L'umore delle piccole e medie imprese torinesi di fronte alle ipotesi di Tfr in busta paga e in attesa
di una politica economica nuova, non è dei migliori. Anzi, a Torino - una delle aree più calde dal punto di vista
occupazionale e produttivo -, tira aria di "ribellione". Con, tuttavia, i modi consoni ad uno stile sabaudo che
non viene abbandonato. Ma le parole sono chiarissime. «Occorre fare capire al Governo che non è possibile
compiere le riforme con i soldi delle imprese e di chi lavora», dice Corrado Alberto - presidente di Api Torino
una delle più rappresentative associazioni di Pmi (Piccole e medie imprese) in Italia -, che è netto nei
confronti della strategia sul lavoro e per lo sviluppo avviata e che aggiunge subito: «Torino e il Piemonte
stanno già soffrendo abbastanza per i problemi generati dalla situazione locale. Aggiungere altri problemi è
semplicemente assurdo e pericoloso anche dal punto di vista sociale. A questo punto è proprio da Torino che
deve partire un forte moto di ribellione contro programmi calati dall'alto che non tengono conto delle reali
condizioni delle imprese». I numeri sciorinati dall'ultima indagine dell'Ufficio studi dell'associazione, spiegano
che il 17% delle imprese ha ordini solo per 15 giorni, circa il 70% pensa di diminuire gli investimenti mentre
aumenta al 74% il numero delle aziende che soffre di ritardi nei pagamenti. L'ipotesi del Tfr in busta paga,
quindi, preoccupa e si aggiunge a tutto il resto. «Abbiamo iniziato - dice Alberto -, con il bonus di 80 euro
recuperato, di fatto, con tagli alla spesa della Pubblica amministrazione che ricadono sui fornitori e quindi
sulle imprese. L'ipotesi del Tfr in busta paga comporterebbe ulteriori problemi. Senza contare il fatto che, ad
oggi, rimangono molte incognite sul tipo di tassazione alla quale verrebbe sottoposto e sugli effetti che
potrebbe avere sul complesso del reddito percepito arrivando anche a mettere a rischio la possibilità di
usufruire del bonus degli 80 euro. Insomma, l'unico risultato sarebbe confermare il fatto che il Governo
considera le imprese una sorta di Cassa depositi e prestiti, un bancomat a disposizione di Renzi».
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
6
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Torino
10/10/2014
Gazzetta di Modena - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:10626, tiratura:14183)
Export, come costruire un affare
Export, come costruire un affare
Convegno Confimi-Simest sulle strategie d'investimento per gli imprenditori
Un giro d'affari pari a 390 miliardi di euro. È quanto vale l'export in Italia. Un dato che serva a capire quanto
importante sia questa voce nell'economia del Paese, Modena compresa, che ha da sempre una vocazione
all'export. Ed è da sempre su questo che le associazioni di categoria "spingono", affinché le imprese
scelgano sempre più la strada dell'internazionalizzazione. Ne sanno qualcosa da Apmi Confimi Impresa, che
ha organizzato un convegno dal titolo "Adesso ripartiamo. Simest e le pmi per la crescita e
l'internazionalizzazione", dove sono stati presentati una serie di progetti nati dalla collaborazione tra
l'associazione e Simest, un'alleanza per presidiare paesi difficili, nei quali la concorrenza si intensifica giorno
dopo giorno. Davanti a una platea gremita di imprenditori (giunti all'auditorium di Apmi Confimi Impresa a
Modena) il filo conduttore dei vari interventi è stata l'importanza che riveste nel nostro paese l'export che, ha
ricordato Giovanni Gorzanelli, presidente di Confimi Impresa Modena «nel 2013 ha generato un giro d'affari
di 390 miliardi di euro (+2,3%) rispetto all'anno passato, di cui ben 200 miliardi in capo alle piccole e medie
imprese». Ad illustrare l'identikit di Confimi il direttore generale Fabio Ramaioli, che ha affermato: «Siamo nati
due anni fa con l'obiettivo di riportare l'industria manifatturiera al centro del dibattito e ci stiamo riuscendo.
Non è un caso se Modena ha la delega nazionale all'internazionalizzazione». È toccato poi all'ad di Simest,
Massimo D'Aiuto, presentare il quadro di ciò che la società può offrire alle pmi: «Siamo una finanziaria di
sviluppo che propone principalmente tre filoni di attività: partecipiamo ai capitali delle società, individuiamo
opportunità di investimento all'estero e in Italia e gestiamo i fondi pubblici per l'internazionalizzazione. Alle
aziende proponiamo una vera attività di scouting, intesa come lavoro mirato di affiancamento per cercare
investimenti specifici». Altro servizio di Simest, ha proseguito D'Aiuto, «è prevedere per l'impresa una
struttura permanente in un determinato mercato. In quest'ultimo caso abbiamo strumenti che nessun'altro ha
in Europa, in primis la nostra disponibilità a partecipare al capitale di rischio attraverso un fondo di equity».
Presente all'incontro Dino Piacentini, vicepresidente nazionale di Confimi Imprese, che ha presentato la
propria personale esperienza. «Davanti a un partner di questo genere non ci sono più alibi per dire "non lo
sapevamo" - ha spiegato - Come imprenditori abbiamo il dovere di essere responsabili e svolgere il ruolo di
creazione di sviluppo tramite gli investimenti: non dobbiamo avere paura di questa sfida».
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
7
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Export, come costruire un affare Convegno Confimi -Simest sulle strategie d'investimento per gli imprenditori
10/10/2014
L'Arena di Verona
Pag. 9
(diffusione:49862, tiratura:383000)
A Verona 700 addetti in meno nelle banche
I relatori del convegno organizzato ad Apindustria Fare in modo che le banche tornino al loro ruolo originario
di intermediazione creditizia a sostegno delle piccole e medie imprese. È questo l'appello lanciato ieri nel
corso del convegno «Credito e territorio», organizzato da Unisin (Falcri-Silcea), sindacato dei bancari, nella
sede di Apindustria. «Piuttosto che dedicarsi ad attività solo di carattere finanziario, gli istituti di credito
dovrebbero riappropriarsi del loro ruolo di supporto alle imprese», è stato il commento di Emilio Contrasto,
segretario generale di Unisin, «fornendo servizi finanziari, ma anche di tipo consulenziale». Della stessa
opinione i segretari Unisin del Veneto, Luca Pinton, e nazionale, Angelo Peretti. «Verona, un tempo tra le
capitali finanziarie del Paese, ha visto negli anni affievolirsi la presenza di strutture bancarie sul territorio: dal
2008 a oggi si sono persi 700 addetti del settore su un totale di 12 mila», ha spiegato Peretti. «In tutta Italia
sono in corso riorganizzazioni, ma a Verona stanno avendo un impatto significativo, come testimoniano i casi
Ubis e Uccmb». Impatto «significativo», secondo il sindaco Flavio Tosi, perché a Verona la concentrazione di
addetti del settore è più alta che altrove, ma che è stato gestito in modo non traumatico rispetto ad altri
comparti. «Non si possono demonizzare le banche per il credit crunch, ma è chiaro che il sistema si sta
avvitando su se stesso: se le imprese non hanno accesso al credito, chiudono e ciò mette in difficoltà anche
le stesse banche. Per questo è fondamentale che il sistema bancario torni a dare respiro al sistema
imprenditoriale». Il presidente di Apindustria Arturo Alberti fa un piccolo mea culpa, ma poi rilancia. «È vero
che da parte di alcuni imprenditori non sempre c'è stata serietà nel proporsi e nell'operare, ma il problema
vero è che in questa fase le banche hanno perso il rapporto con il territorio», ha commentato Alberti. «Dopo
sei anni di crisi, le imprese rimaste sul mercato sono sane e hanno bisogno di fiducia per andare avanti».
Fiducia, ma non solo. «Il sistema bancario ha disponibilità finanziarie, ma solo per i soggetti che abbiano certi
parametri di affidabilità, legati anche al modo di presentarsi alla banca», ha concluso Giovanni Maccagnani,
membro del cda della Fondazione Cariverona. «Oggi infatti c'è grande necessità di professionisti che aiutino
gli imprenditori ad attingere al credito attraverso un linguaggio che la pmi non ha».M.Tr. © RIPRODUZIONE
RISERVATA
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
8
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
BANCHE E CRISI. In Apindustria a confronto sindacati e imprenditori
10/10/2014
Prima Pagina - Modena
Pag. 23
Confimi e Simest per competere sul mercato globale
Il presidente Giovanni Gorzanelli: «Le Pmi protagoniste dell'export italiano»
Una partnership forte per imporsi sui mercati esteri. Un'a lleanza per presidiare paesi difficili, nei quali la
concorrenza si intensifica giorno dopo giorn o. Questo il senso ultimo dei progetti presentati al convegno
organizzato da Apmi Confimi Impresa dal titolo «Adesso... r ipartiamo! Simest e le Pmi per la crescita e l'i nter
nazionalizzazione», svoltosi mercoledì pomeriggio nell'Aud it or iu m dell'a s s o c i a z i o n e. Presenti l'a m
m i n i s t r atore delegato di Simest, Massimo D'Aiuto, insieme al vice presidente nazionale di Confimi
Impresa, Dino Piacentini; il presidente di Confimi Impresa Modena, Giovanni Gorzanelli e il direttore generale
di Confimi Impresa, Fabio Ramaioli. Davanti a una platea gremita di imprenditori, il filo conduttore dei vari
interventi è stata l'i mportanza che riveste nel nostro paese l'expor t che, ha ricordato Gorzanelli, «nel 2013
ha generato un giro d'affari di 390 miliardi di euro (+2,3%) rispetto all'anno passato, di cui ben 200 miliardi in
capo alle piccole e medie imprese». Ha illustrato l'i de nt ikit di Confimi il direttore generale Fabio Ramaioli:
«Siamo nati due anni fa con l'obiettivo di riportare l'industria manifatturiera al centro del dibattito e ci stiamo
riuscendo. Non è un caso se Modena ha la delega nazionale all'inter nazionalizzazione». È toccato poi all'ad
di Simest, Massimo D'A i uto, presentare il quadro di ciò che la società può offrire alle Pmi: «Siamo una
finanziaria di sviluppo che propone principalmente tre filoni di attività: partecipiamo ai capitali delle società,
individuiamo opportunità di investimento all'e s t ero e in Italia e gestiamo i fondi pubblici per l'i nter
nazionalizzazione. Alle aziende - ha precisato - proponiamo una vera e propria attività di scouting, intesa
come lavoro mirato di affiancamento per cercare investimenti specifici». Altro servizio di Simest, ha
proseguito D'A i uto, «è prevedere per l'i mpresa una struttura permanente in un determinato mercato. In
quest'ultimo caso abbiamo strumenti che nessun'a ltro ha in Europa, in primis la nostra disponibilità a
partecipare al capitale di rischio attraverso un fondo di equity». In conclusione dell'i ncontro ha presentato la
propria personale esperienza positiva lo stesso Dino Piacentini: «Davanti a un partner di questo genere non
ci sono più alibi per dire 'non lo sapevamo' - ha spiegato -. Come imprenditori abbiamo il dovere di essere
responsabili e svolgere il nostro ruolo di creazione di sviluppo tramite gli investimenti: non dobbiamo avere
paura di questa sfida».
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
9
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ad di Simest, Massimo D'Aiuto: «Alle aziende proponiamo una vera e propria attività di scouting»
L'INCONTRO
10/10/2014
Prima Pagina - Reggio emilia
Pag. 26
"Adesso ripartiamo", successo per il convegno dedicato a Simest e Pmi
per la crescita e l'internazionalizzazione
L'INCONTRO Alcune immagini del convegno MODENA Si è svolto all'a ud it orium di Apmi-Confimi il
convegno "Adesso ripartiamo. Simest e le Pmi per la crescita e l'inter nazionalizzazione". L'incontro, molto
partecipato, ha visto la presenza del presidente di Confimi Modena, Giovanni Gorzanelli, del direttore
generale di Confimi Impresa. Fabio Ramaioli, dell'a m m i n istratore delegato di Simest, Massimo D'Aiuto, e
del vicepresidente nazionale di Confimi, Dino Piacentini. Simest, società italiana per le imprese all'estero, è
nata nel 1991 con lo scopo di promuovere società miste all'estero, fuori dell'Unione Europea e di sostenerle
sotto il profilo tecnico e finanziario. Nel corso degli anni poi la società ha allargato la propria attività,
assumendo la gestione di tutti i principali strumenti finanziari pubblici a sostegno dell'inter nazion a l i z z a z i
o n e. Simest può acquisire partecipazioni di minoranza nelle imprese all'estero sia investendo direttamente,
che attraverso il Fondo pubblico di Venture Capital. Dal 2011, poi, la società può acquisire a condizioni di
mercato e senza agevolazioni, partecipazioni di minoranza nel capitale sociale di imprese italiane o loro
controllate nell 'Unione europea che sviluppino investimenti produttivi e di innovazione e ricerca, con effetti
positivi sia sulle esportazioni che sull'occupazione. Questa nuova linea di attività ha avuto un notevole
successo tra le imprese italiane, raggiungendo volumi interessanti e ha permesso alla società di assumere il
ruolo di finanziaria per lo sviluppo della competitività delle aziende italiane. A questo si affianca la gestione
dei fondi pubblici finalizzati all'inter nazionalizzazione delle imprese italiane per lo sviluppo commerciale, gli
studi di fattibilità, l'export credit, il supporto alla patrimonializzazione delle Pmi e la partecipazione a fiere inter
nazionali.
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
10
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ESTERO Grande partecipazione all'iniziativa che si è svolta nella sede di Apmi- Confimi
CONFIMI WEB
2 articoli
09/10/2014
08:49
www.ravennawebtv.it
Sito Web
pagerank: 4
09/10/2014 - Provincia, Comune di Ravenna e Camera di Commercio assieme a Confindustria Ravenna,
Confimi Impresa Ravenna, CNA, Confartigianato, Legacoop Romagna, Confcooperative Ravenna, AGCI
Ravenna-Ferrara,CGIL-CISL-UIL hanno sottoscritto un nuovo documento sull'efficienza energetica, l'impiego
del gas naturale nazionale e delle energie rinnovabili.
In premessa, il documento afferma che "la provincia di Ravenna è un territorio dove negli ultimi 50 anni la
produzione e la distribuzione dell'energia e le politiche per l' ambiente hanno svolto un ruolo importante nello
sviluppo economico, per le imprese e il lavoro".
Sul risparmio e l'efficienza energetica e sull'impiego delle energie rinnovabili il documento auspica, in primo
luogo, il rinnovo degli ecobonus e delle detrazioni fiscali al 65 e al 50% al fine di rafforzare le politiche per
l'ambiente e per il lavoro.
Inoltre si chiede all'UE e al Governo Italiano di eliminare il vincolo del Patto di stabilità per investimenti di
Regioni ed Enti locali per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili che rappresentano un investimento
sul futuro e un notevole risparmio finanziario nel medio periodo.
"Per quanto riguarda il tema dell'utilizzo degli idrocarburi e in particolare del gas naturale nel nostro Paese e
in particolare nell' area adriatica si evidenzia la necessità che il nostro Paese, sulla base degli indirizzi
dell'Unione Europea, approfondisca la possibilità di riattivare le attività di ricerca e di utilizzo dei giacimenti di
gas naturale già individuati come previsto dal decreto Sblocca-Italia.
Il territorio ravennate è da diversi decenni estremamente attento ai temi della subsidenza e dell' erosione
costiera, legati peraltro a una pluralità di fattori naturali ed antropici, come dimostrano l'impegno pluriennale e
quasi unico di Ravenna per ridurre progressivamente gli emungimenti di acqua dal sottosuolo, causa primaria
e accertata del fenomeno della subsidenza, e la presenza di una diffusa rete di monitoraggio del fenomeno
su tutto il territorio".
"Sulla base di queste nostre esperienze noi riteniamo che l'elemento chiave sia quella di concordare tra
Ministeri Competenti e Regioni un sistema di monitoraggio trasparente, omogeneo e diffuso, predisposto e
garantito da un Ente Scientifico di elevate competenze e di assoluta autonomia, capace di comparare e
migliorare i modelli previsionali attivati presso le autorità regionali e locali, di interloquire da un lato con i
cittadini, fornendo dati certi e accessibili, e dall' altro con tutte le Autorità competenti per adottare le misure
utili per assicurare la piena tutela delle coste adriatiche e dell'intero territorio".
Le parti firmatarie propongono formalmente di modificare l'intero sistema delle cosiddette "royalties". Va
sancito che una parte consistente dei vantaggi nazionali legati alla estrazione di gas naturale debba avere
una ricaduta sui territori interessati, in particolare per predisporre un Piano aggiornato per la difesa della
costa e del territorio dell' area adriatica e per realizzare interventi e opere organiche e coerenti con gli obiettivi
dei studi GISC, sia a protezione delle coste e delle spiagge, per tutelare risorse naturali di interesse primario,
sia a protezione dell'intero territorio emiliano-romagnolo anche potenziando l'insieme del sistema della rete di
bonifica e della sicurezza idraulica, per investimenti in efficienza energetica e in energie rinnovabili.
Il documento evidenzia che l'attivazione dell'insieme delle misure proposte - in linea con la strategia dell'UE consentirebbe di attivare investimenti per almeno 10 miliardi di euro producendo centinaia di migliaia di nuovi
posti di lavoro, migliorando l'autonomia nazionale in materia energetica e contribuendo agli obiettivi europei
sul clima del 20-20-20.
Tale documento, che contiene anche precisi impegni di livello nazionale e locale in tema di energia, è stato
trasmesso ufficialmente ai ministri Federica Guidi (Sviluppo economico) e Gian Luca Galletti (Ambiente) e
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Efficienza, rinnovabili e metano per una nuova fase di sviluppo:
sottoscritto il nuovo documento sull'energia
09/10/2014
08:49
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Sito Web
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
all'assessore alle Attività produttive e green economy della Regione Emilia Romagna, Luciano Vecchi.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/10/2014
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09/10/2014
13:02
www.viaemilianet.it
Sito Web
Una partnership forte per imporsi sui mercati esteri. Un'alleanza per presidiare paesi difficili, nei quali la
concorrenza si intensifica giorno dopo giorno. Questo il senso ultimo dei progetti presentati al convegno
organizzato da Apmi Confimi Impresa dal titolo "Adesso... ripartiamo! Simest e le Pmi per la crescita e
l'internazionalizzazione", svoltosi mercoledì pomeriggio nell'Auditorium dell'associazione. Presenti
l'amministratore delegato di Simest, Massimo D'Aiuto, insieme al vice presidente nazionale di Confimi
Impresa, Dino Piacentini; il presidente di Confimi Impresa Modena, Giovanni Gorzanelli e il direttore generale
di Confimi Impresa, Fabio Ramaioli. Davanti a una platea gremita di imprenditori, il filo conduttore dei vari
interventi è stata l'importanza che riveste nel nostro paese l'export che, ha ricordato Gorzanelli, "nel 2013 ha
generato un giro d'affari di 390 miliardi di euro (+2,3%) rispetto all'anno passato, di cui ben 200 miliardi in
capo alle piccole e medie imprese". Ha illustrato l'identikit di Confimi il direttore generale Fabio Ramaioli:
"Siamo nati due anni fa con l'obiettivo di riportare l'industria manifatturiera al centro del dibattito e ci stiamo
riuscendo. Non è un caso se Modena ha la delega nazionale all'internazionalizzazione". Ètoccato poi all'ad di
Simest, Massimo D'Aiuto, presentare il quadro di ciò che la società può offrire alle Pmi: "Siamo una
finanziaria di sviluppo che propone principalmente tre filoni di attività: partecipiamo ai capitali delle società,
individuiamo opportunità di investimento all'estero e in Italia e gestiamo i fondi pubblici per
l'internazionalizzazione. Alle aziende - ha precisato - proponiamo una vera e propria attività di scouting,
intesa come lavoro mirato di affiancamento per cercare investimenti specifici". Altro servizio di Simest, ha
proseguito D'Aiuto, "è prevedere per l'impresa una struttura permanente in un determinato mercato. In
quest'ultimo caso abbiamo strumenti che nessun'altro ha in Europa, in primis la nostra disponibilità a
partecipare al capitale di rischio attraverso un fondo di equity". In conclusione dell'incontro ha presentato la
propria personale esperienza positiva lo stesso Dino Piacentini: "Davanti a un partner di questo genere non ci
sono più alibi per dire 'non lo sapevamo' - ha spiegato -. Come imprenditori abbiamo il dovere di essere
responsabili e svolgere il nostro ruolo di creazione di sviluppo tramite gli investimenti: non dobbiamo avere
paura di questa sfida".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Confimi e Simest per competere sul mercato globale
SCENARIO ECONOMIA
20 articoli
10/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il presidente della Bce: i giovani vanno assunti invece che licenziati «I politici che non aumenteranno i
posti non verranno rieletti»
Stefania Tamburello
DALLA NOSTRA INVIATA
WASHINGTON «Deve essere più facile per le aziende assumere i giovani, non licenziarli», quanto meno non
più di quanto sia ora, dice il presidente della Bce, Mario Draghi che a Washington nel corso di un dibattito alla
Brookings Institution, in occasione dei lavori dell'assemblea del Fondo monetario, parla della riforma italiana,
quel provvedimento che per il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan rappresenta «un risultato molto
importante che sarà seguito da altre riforme molto ambiziose».
«Non credo che la revisione delle regole del lavoro in Italia si tradurrà in massicci licenziamenti. Dopo anni di
recessione, e tassi di disoccupazione elevati, le imprese che hanno voluto o dovuto licenziare lo hanno già
fatto» afferma il banchiere ricordando che l'eccessiva flessibilità, e non solo in Italia, ha già mostrato le sue
falle e non rappresenta quindi una soluzione. «Dal 2002 sono stati fatti contratti molto flessibili, posizioni che
la crisi ha spazzato via» dice. Bisogna ricominciare ad assumere, dunque, ma la crescita potenziale è troppo
bassa per produrre da sola la riduzione della disoccupazione, aggiunge, e quindi occorre che intervengano
subito i governi con le riforme sapendo che se non lo faranno, se non combatteranno efficacemente la
disoccupazione,«non saranno rieletti, spariranno dalla scena politica». E questo dovrebbe essere «un
importante incentivo» ad agire.
Draghi si sofferma anche sulla congiuntura europea, che secondo l'Fmi - ieri il direttore generale, Christine
Lagarde lo ha ripetuto sollecitando la stessa Bce ad acquistare i titoli di Stato se le cose non dovessero
migliorare - è sull'orlo di una nuova recessione.
«La crescita ha perso slancio» afferma il presidente dell'Eurotower, ribadendo che la Bce ha fatto già molto e
che è pronta ad adottare nuove «misure non convenzionali» in caso di necessità. Un'affermazione che ha
lasciato freddi gli investitori di Wall Street. In ogni caso non tutto è negativo visto che Draghi vede la rapida
accelerazione della ripresa del credito già dall'inizio del 2015, «perché le banche avranno una maggiore
capacità di bilancio per i prestiti».
Padoan ha invece partecipato ad una tavola rotonda con il ministro delle Finanze tedesche, Wolfgang
Schäuble, d'accordo sul piano di riforme da fare, sia con Draghi sia con Padoan. «La Germania non vuole
certo essere arrogante e non deve dire all'Italia o ad altri cosa fare» ha detto sostenendo comunque che
nessun Paese ha chiesto di cambiare le regole di bilancio europee, che contengono in sé la flessibilità
necessaria. Padoan ha ribadito che le riforme sono necessarie «ma richiedono tempo» per essere realizzate
soprattutto in Italia in presenza di bassa produttività e recessione.
A Washington anche il Commissario per la spesa pubblica Carlo Cottarelli, che presto tornerà al Fondo,
come Direttore esecutivo per l'Italia: La spending review, dice «non è né uno sprint né una maratona ma una
corsa a staffetta».
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L'agenda
Dopo la votazione
della fiducia
al Jobs act
nel corso dell'esame
al Senato,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Draghi: chi non crea lavoro sparirà
10/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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il ddl sul lavoro andrà la prossima settimana
alla Camera per la seconda lettura.
Il governo ha sei mesi di tempo dall'approva-zione definitiva della legge, per emanare i decreti delegati
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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10/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
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Il passaggio al Fondo strategico della Cassa depositi. Il gruppo: no comment Fastweb In questi giorni i rumor
della possibile vendita di Fastweb a Vodafone scaldano la Borsa
Massimo Sideri
Milano Telecom Italia «non commenta». Ma il dossier Metroweb sembra volere uscire prepotentemente dai
tombini. Il timing non è casuale. Metroweb Italia - che controlla Metroweb Milano, società compartecipata
anche da Swisscom - è per il 53,8% di F2i e per il 46,2% di FSI Investimenti , società costituita, guardacaso,
lo scorso luglio e controllata per il 77% dal Fondo Strategico di Franco Bassanini e e per il 23% dalla Kuwait
Investment Authority. Bassanini, non è un mistero, è anche alla guida di Cdp. Ma non è un mistero nemmeno
che Vito Gamberale pensasse di trasformare Metroweb nella famosa Società della rete partecipata da tutti gli
operatori. Un progetto che aveva causato un braccio di ferro con Telecom, riluttante a mollare la rete, unico
asset che garantisce il debito monstre del gruppo telefonico. Con l'uscita di Gamberale da F2i,
evidentemente, si apre una stagione nuova per il futuro della società. Il passaggio è comunque delicatissimo
se si considera che Telecom è in piena fase di transizione con gli azionisti, da Telefonica a Mediobanca a
Intesa a Generali, che hanno ampiamente fatto capire di considerarsi già fuori, psicologicamente, dal capitale
della società. E un nuovo potenziale azionista, Vivendi, che ha mostrato l'interesse a entrare ma che di fatto
ha solo un'opzione a trasformare in titoli Telecom parte delle azioni della nuova società che si sta formando
dalla fusione in Brasile tra Gvt e Vivo.
Una delle strade possibili potrebbe essere il passaggio dell'intero pacchetto Metroweb nel Fondo Strategico
per poi trattare l'eventuale passaggio a Telecom. Tra i nodi da sciogliere c'è la partecipazione di Swisscom (e
dunque Fastweb) al piano di sotto, Metroweb Milano. Fastweb ha comunque dei contratti a lunghissima
scadenza in Metroweb e, sembra, anche favorevoli alla società svizzera. Dunque, da questo punto di vista
non ci dovrebbero essere problemi. Certo, non può non colpire che sempre in questi giorni sia riemerso tra i
rumor che scaldano la Borsa la possibile vendita di Fastweb a Vodafone, dossier ormai sotto la cenere da
anni ma, comunque, mai negato (il punto è solo la valorizzazione ma se Telecom si prendesse Metroweb il
valore difensivo di Fastweb per Vodafone sarebbe sicuramente più alto. D'altra parte i contanti non mancano
al gruppo inglese che ha i famosi 3,7 miliardi del piano «molla»). Resta da capire se per Telecom ci sia un
altro tipo di molla: quello dello sblocca Italia. All'articolo 6 si legge che per accedere ai benefici da 7 miliardi
da investire in reti ultraveloci che ci aiutino a colmare il gap con l'Agenda europea 2020 non si possono
utilizzare investimenti «previsti in piani industriali o finanziari o in altri idonei atti approvati entro il 31 luglio
2014». Il passaggio in Metroweb potrebbe forse aprire uno spiraglio.
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La ragnatela Metroweb METROWEB ITALIA Fondi Italiani per Metroweb le Infrastrutture Milano Fondo
Strategico Italiano Metroweb Genova Swisscom (Fastweb) 10,6% 1,7% 53,8% 46,2% 85% 87,7% Metroweb
Management d'Arco
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Telecom punta a Metroweb E a 7 miliardi per la fibra ottica
10/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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La crisi del lavoro e i 14,7 miliardi di sussidi a carico dei contribuenti
Enrico Marro
Nel 2013 gli ammortizzatori sociali sono costati ai contribuenti ben 14,7 miliardi di euro. Su una spesa totale
di 23,8 miliardi per cassa integrazione, mobilità, disoccupazione e Aspi, di cui 13,8 per sussidi e 10 miliardi
per contributi figurativi, solo 9,1 miliardi sono stati finanziati con i contributi pagati da imprese e lavoratori. Il
resto, appunto, è stato coperto dalle tasse. I numeri del rapporto Uil sugli ammortizzatori curato dal
dipartimento diretto da Guglielmo Loy dimostrano quanto sia costata alle casse pubbliche la crisi: quasi un
punto di Pil all'anno. In particolare, la spesa per la cassa in deroga e la mobilità in deroga (a favore delle
piccole imprese e dei settori non coperti da cassa e mobilità ordinarie), che ammonta a circa 2 miliardi, è
finanziata interamente dalla fiscalità generale. Le piccole imprese, infatti, non versano nulla per gli
ammortizzatori in deroga. Passando invece ai sussidi per i quali è prevista la contribuzione e facendo la
differenza tra versamenti e spesa, solo la cassa ordinaria presenta un saldo positivo di 777 milioni. Tutte le
altre voci sono in rosso: 8,9 miliardi l'Aspi e la disoccupazione; 2,3 miliardi la mobilità; 2,2 la cassa
straordinaria. I lavoratori che nel 2013 hanno beneficiato di sussidi sono stati 4,5 milioni, in pratica un
dipendente privato su tre. In media hanno ricevuto nell'anno 5.191 euro. Prima della crisi, nel 2008, per gli
ammortizzatori la spesa era stata di 10 miliardi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La Lente
10/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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I dubbi delle banche sul passaggio di Giochi Preziosi a Lee
smarteconomy.corriere.it
(d.pol. ) Le banche frenano la Ocean Global di Michael Lee, ossia l'imprenditore di Shenzen che si è
candidato a fare la staffetta al fondo Clessidra nel capitale di Giochi Preziosi. Uno stop al negoziato, in
dirittura d'arrivo, è stato invece imposto dal pool di creditori che include anche Bnp Paribas, Barclays, Credit
Agricole, Intesa Sanpaolo, Natixis e Unicredit, le banche che hanno finanziato il proprietario Enrico Preziosi ,
oggi esposte con il gruppo attorno a 350 milioni. Le condizioni, la governance e le garanzie chieste da Lee,
storico partner commerciale di Preziosi, non sarebbero state soddisfacenti. Malgrado l'impegno a rimanere
nella compagine dichiarato dal fondo Idea capital promosso dal gruppo De Agostini e socio al 5%, nonché di
Intesa Sanpaolo, l'azionista finanziario di maggior peso con il 14,2%. L'operazione serviva a favorire il
disimpegno di Lauro 22, il veicolo partecipato da Clessidra con il 57,6%, Hvb (24,2%) e al 18,2% il fondo
Hamilton Lane. E che avrebbe ceduto a Ocean Global il 38% di Giochi Preziosi. Lee l'avrebbe rilevata per
circa 50 milioni, con l'impegno di ricapitalizzare l'azienda. Riuscirà a convincere le banche a riaprire il
negoziato?
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De Brabant e il dilemma su Borsa e Alkemy
( m. sid. ) Continua la riorganizzazione delle società in casa De Brabant. Dopo la cessione estiva a Ernst&
Young di Between - nota per l'organizzazione dell'appuntamento autunnale di Capri a cui nessuno del mondo
delle telecomunicazioni mancherebbe mai - e la fusione di Jakala con Seri ora sembra che i progetti di
François ( foto )e del figlio Matteo De Brabant si concentrino sulla meno nota Alkemy Spa, una società di
ecommerce che però non disdegna il buon vecchio metodo della vendita per corrispondenza. Alkemy è
controllata al 40,6% proprio da Jakala mentre un altro 6,53% è di Between Group. Il momento in Borsa è
delicato per l'ecommerce: Jack Ma con la sua Alibaba ha segnato un nuovo record storico nelle Ipo, ma si
trova ad anni luce di distanza. Banzai sembra sempre intenzionata a quotarsi, anche se Rocket Internet, la
fabbrica dei «cloni» dei geniali fratelli tedeschi Samwer, ha da pochi giorni fatto registrare la seconda
peggiore partenza in Borsa negli ultimi 5 anni. Dunque, il dilemma dei De Brabant è poco shakespeariano e
molto pragmatico: quotarsi o non quotarsi?
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Lisa Su prima donna alla guida dei chip di Amd
( c.d.c. ) Una donna a capo di una delle più grosse multinazionali di semiconduttori. Lisa Su, 44 anni, un
passato di studi in ingegneria al Mit, il Massachusetts Institute of Technology, è diventata il nuovo
amministratore delegato di Amd, l'Advanced Micro Devices, multinazionale fornitrice di chip per le consolle
dei videogiochi Sony. Una sorpresa per i mercati (che ha reagito buttando giù il titolo Amd fino al 7%) e a
quanto pare per lo stesso Rory Read che da appena tre anni ricopriva il ruolo di presidente e Ceo. Lisa è nota
per la sua attitudine a bruciare le tappe: nel 2002 ad appena 32 anni, finì sulla rivista del Mit perchè in cinque
anni di lavoro in Ibm, era già diventata un «executive». È arrivata in Amd nel 2012.
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Sussurri & Grida
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Se Berlino ritrova l'Europa per interesse
Adriana Cerretelli
A dispetto delle sue conclamate virtù economiche la congiuntura negativa, a quanto pare, comincia ad
accanirsi con puntiglio anche contro la Germania, non solo contro i suoi partner renitenti a rigore e riforme. E
così, molto più dei tanti vertici europei per rilanciare (a parole) crescita e lavoro, molto più delle ricorrenti
quanto finora fallimentari pressioni italo-francesi, forse alla fine saranno le crude ragioni dell'economia
tedesca che rischia la recessione tecnica a costringere Angela Merkel al dietrofront, a farle fare crescita in
Europa: non per l'Europa, s'intende, ma per il suo Paese.
Prima ordini e produzione industriale in agosto ai minimi da 5 anni. Ieri anche l'export è finito sulla stessa
china. Dopo l'Fmi, sempre ieri, anche i principali istituti tedeschi hanno drasticamente tagliato le attese di
crescita: dall'1,9 all'1,3% quest'anno, dal 2 all'1,2% il prossimo. Sono cifre che devono aver scosso anche il
cancelliere se poco dopo, invece di martellare come di solito sulla priorità del suo governo di raggiungere la
parità di bilancio nel 2015, ha annunciato l'intenzione di «fare più investimenti, tagliare la burocrazia, puntare
ai settori del futuro come digitale e energia».
Da tempo gli economisti tedeschi più attenti suonano l'allarme sulla spompata locomotiva europea, complice
anche la politica del surplace del troppo cauto cancelliere: senza un nuovo round di riforme, senza massicci
investimenti nelle reti e nell'innovazione, rischia di finire su un binario morto.
Negli anni 90 gli investimenti in Germania erano pari al 23% del Pil. Oggi sono scesi al 17 contro il 20% della
media Ocse. In soldoni ogni anno ne mancherebbero all'appello per 80 miliardi: la distanza tra forte
competitività globale e crescita robusta e la pallida realtà attuale.
Se è vero che, di questo passo, nel 2030 il 90% della crescita nel mondo avverrà fuori dall'Europa, quegli
investimenti come le riforme strutturali rappresentano anche la differenza tra continuare ad esistere e pesare
sulla scena e nei consessi globali o dissolversi a poco a poco nell'inconsistenza. Il problema è tedesco ed
europeo.
Con un distinguo: la Germania da tempo cavalca la mondializzazione dell'economia, tanto che la quota del
suo export europeo oggi è scesa al 60% del totale. Per questo il suo recupero di competitività è persino
ancora più urgente che per i suoi partner meno "aperti". Ma per questo Berlino non può ancora permettersi di
sognare il superamento, indenne, della sua dimensione europea, pur con tutti i problemi che oggi comporta.
Per questo oggi esiste ancora una finestra temporale per tentare la riconciliazione europea e il ripristino della
perduta fiducia reciproca. Per riuscirci tutti devono fare la loro parte: la Germania riforme e investimenti,
Francia e Italia rigore ragionevole e riforme strutturali presto e bene. Illudersi che, se i tedeschi oggi piangono
un po', domani gli europei rideranno finalmente felici di crescita e lavoro ritrovati, sarebbe un clamoroso
errore.
Oggi l'Europa e l'Eurozona marciano con la solidarietà al minimo. Qualsiasi Governo si muove sotto la spinta
esclusiva dell'interesse nazionale o di quello europeo ma solo quando coincide con il primo. L'Europa si
riduce a esserne la confusa sommatoria: per questo ha perso peso all'esterno e coesione all'interno, oltre che
visione condivisa
del futuro.
Se questa è l'istantanea del presente sperare, come François Hollande e Matteo Renzi l'altro ieri al vertice di
Milano sul lavoro, che la Merkel potesse accettare, istituzionalizzandolo e prolungandolo al 2020, di portare
da 6 a 20 miliardi il Fondo Garanzia per i giovani, era illusorio. Come si è dimostrato. Accontentarsi della
possibile semplificazione delle modalità di prefinanziamento era riduttivo ma inevitabile.
Sperare che da qui si salti allo scorporo dal calcolo dei deficit delle quote di cofinanziamento nazionale dei
fondi strutturali Ue sarebbe bello ma azzardato. Quando il bilancio europeo (140 miliardi all'anno) accusa un
buco cumulato di 81 miliardi di spese non coperte anche se effettuate per attuare le politiche comuni decise
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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RISCHIO RECESSIONE
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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dagli Stati membri, è realistico scommettere su una contabilità europea più comprensiva?
A sentire la congiuntura che tira e il verbo che la Merkel non cessa di predicare, «tutti devono rispettare i
patti, che pure hanno elementi di flessibilità», sembra legittimo prevedere due cose: prima o poi la Germania
userà i suoi surplus per investire massicciamente nella propria crescita e competitività. Tanto più i partner ne
beneficeranno quanto più avranno fatto i compiti a casa: riforme e conti in ordine. Se così
sarà, l'Europa potrà mettersi la crisi alle spalle. Ma sarà così?
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10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Una dote ridotta
Marco Rogari
Rispetto al target di 16 miliardi di tagli indicato nel Def di aprile, sarà una "spending" in formato ridotto quella
che troverà posto nella legge di stabilità. A confermarlo è l'obiettivo minimo di 3 miliardi, come effetto
sull'indebitamento netto Pa, che si sono dati i ministeri con le loro proposte di riduzione della spesa.
A sostenere il peso maggiore dei tagli sembrano destinati
ad essere, ancora una volta, le Regioni e gli enti locali. Dopo aver deciso di azionare la leva del deficit per
11,5 miliardi, rimanendo comunque sotto il tetto del 3%, il Governo per completare la prossima legge di
stabilità da 23-24 miliardi dalla fisionomia "espansiva" conta di recuperare almeno 10 miliardi dalla spending.
E quasi la metà dei questa dote, ovvero 4-4,5 miliardi, dovrà essere garantita dai Governatori e dai sindaci.
Questi ultimi avranno comunque in cambio un allentamento del Patto di stabilità interno per un miliardo. Il
risultato dei ministeri, anche se dovesse essere superiore all'obiettivo minimo di 3 miliardi, appare quindi al di
sotto delle aspettative, anche alla luce del pressing del premier per rendere operativa sulla maggior parte
delle voci di spesa la regola del taglio secco del 3%. Regola che comunque in molti casi è stata recepita,
come al ministero dell'Economia dove proprio con questo strumento sono fine nel mirino Agenzia fiscali e
Guardia di finanza. La mappa, ancora non definitiva, confezionata sulla base delle ipotesi di intervento mese
a punto dai singoli dicasteri, e sulla quale sono chiamati a operare le scelte finali il premier Matteo Renzi e il
ministro Pier Carlo Padoan, mette comunque in evidenza un atteggiamento non passivo come in passato
rispetto alla necessità di scovare sprechi e spesa inefficiente. Non a caso le proposte di intervento arrivate a
palazzo Chigi produrrebbe un effetto superiore ai 6 miliardi sul saldo netto da finanziare. Anche se con
contributi diversi: molto più alto e con scelte non sempre semplici da parte di ministeri come il Lavoro e
l'Istruzione che hanno elaborato un pacchetto di tagli non del tutto soft, e a volte non proprio mirati, come
dimostra l'ipotesi di intervento sugli sgravi contributivi per la contrattazione di secondo livello; ridotto al
minimo e con proposte di intervento non proprio numerose da parte dei ministeri della Salute e delle
Infrastrutture.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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L'ANALISI
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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La lezione di Clinton
Sergio Fabbrini
La battaglia per il superamento dell'articolo 18 ha forti analogie con una storia avvenuta negli Usa nella prima
metà degli anni Novanta. Il partito democratico, che aveva guidato quel Paese dagli anni Trenta e in
particolare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, era entrato in una crisi profonda nel corso degli anni
Ottanta. Sergio Fabbrini
Pur mantenendo il controllo del Congresso, il partito di Kennedy e di Johnson era divenuto sempre meno
competitivo sul piano delle elezioni presidenziali. Nonostante il controllo di alcune roccaforti elettorali negli
Stati e nelle municipalità, il partito democratico aveva perso il suo carattere di partito nazionale. Il trionfo del
repubblicano Ronald Reagan nelle elezioni presidenziali del 1980 e la sua conferma in quelle del 1984
rappresentarono la dimostrazione inequivocabile della fine dell'era democratica.
Un'era finita per una ragione precisa: il partito democratico era diventato il portavoce di una serie di gruppi di
interesse particolari, ognuno preoccupato di difendere le posizioni acquisite nella fase precedente di sviluppo
economico e politico del Paese. I leader democratici che si susseguirono negli anni Ottanta erano infatti
l'espressione dei gruppi di interesse più forti del partito (come il sindacato dei dipendenti pubblici o delle
imprese pesanti). Quei gruppi controllavano mezzi finanziari e organizzativi con cui sostenere le campagne
elettorali dei membri del Congresso a loro vicini. Tuttavia, se ciò era sufficiente per essere eletti in un distretto
elettorale, non bastava certamente per vincere le elezioni presidenziali. Tant'è che i vari candidati
presidenziali emersi in quel contesto (si pensi a Walter Mondale e a Michael Dukakis) furono
clamorosamente sconfitti in elezioni nazionali.
Prendendo atto delle batoste ricevute nel corso degli anni Ottanta, si affermò all'interno del partito
democratico una nuova leadership politica, formatasi nel governatorato degli Stati, di cui Bill Clinton ne fu
l'espressione più compiuta. Divenuto fortunosamente presidente nelle elezioni del novembre 1992, Clinton si
trovò subito ad affrontare l'opposizione dei gruppi di interesse del suo partito che avevano mantenuto il
controllo del Congresso. Lo scontro tra le due concezioni del partito democratico (quello di portavoce dei
gruppi di interesse sostenuto dai leader congressuali e quello di partito nazionale sostenuto dal presidente)
esplose il 17 novembre del 1993, pochi mesi dopo l'entrata di Clinton alla Casa Bianca. La causa dello
scontro riguardò l'approvazione legislativa dell'accordo siglato l'anno precedente, tra Stati Uniti, Canada e
Messico, per l'istituzione del North American Free Trade Agreement (Nafta). L'opposizione dei leader
democratici del Congresso all'accordo fu furiosa. Sostenuti dalle varie organizzazioni di interesse, quei leader
sostennero che l'accordo avrebbe messo in discussione i posti di lavoro degli operai americani, indebolito il
potere dei sindacati, delocalizzato le attività industriali. Al contrario, Clinton sostenne l'accordo in quanto
forniva vantaggi sistemici al Paese, creando un'area economica integrata che avrebbe reso più competitivo il
mercato del lavoro, oltre a stabilizzare i rapporti tra gli Stati Uniti e il Messico in particolare. Non diversamente
dalla battaglia parlamentare sul nostro articolo 18, lo scontro alla Camera dei rappresentanti (controllata dai
democratici) tra il presidente e una parte del suo partito fu durissimo. Alla fine l'accordo fu approvato di stretta
misura (234 contro 200) attraverso un'alleanza trasversale tra settori del partito democratico e settori del
partito repubblicano.
Quella vicenda fu cruciale sia per gli Stati Uniti che per Clinton. Il Nafta si è rivelato un successo economico
e politico, consentendo agli Stati Uniti di beneficiare di un mercato più ampio, proprio mentre l'Europa si stava
avviando verso un'integrazione più stretta con il Trattato di Maastricht del 1992. Allo stesso tempo, il Nafta ha
aiutato il Messico a svilupparsi economicamente, riducendo quindi le pressioni dell'emigrazione clandestina e
consolidando la sua fragile democrazia. Il Nafta, poi, consentì a Clinton di ridimensionare il peso dei gruppi di
interesse particolaristici del suo partito, creando le condizioni per ricostruirlo come partito nazionale. Tant'è
che Clinton riuscì a vincere le elezioni presidenziali successive, nonostante fosse sottoposto ad un attacco
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ARTICOLO 18 E PD
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
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senza precedenti da parte dei repubblicani, che portò al suo mancato impeachment nel 1999. Clinton capì
che i tradizionali schieramenti non funzionavano più e che il partito democratico doveva liberarsi dai vincoli
dei suoi particolarismi per ritornare ad essere un partito elettoralmente vincente.
La battaglia sul superamento dell'articolo 18 ricorda molto quella sull'approvazione del Nafta. Come nel
Congresso, anche nel nostro Parlamento i rappresentanti dei gruppi di interesse particolari oppongono una
resistenza all'apertura del mercato del lavoro. Come negli Stati Uniti, i loro rappresentanti hanno l'idea di un
partito democratico inteso come coalizione di gruppi particolaristici e non già come un partito nazionale.
L'esito della battaglia sull'articolo 18 è destinato a stabilire la natura aperta o chiusa del nostro sistema
economico, ma anche la natura particolaristica o nazionale del partito democratico. Ci sono sfide che i leader,
per essere riconosciuti come tali, debbono affrontare e vincere. Clinton le affrontò e ancora oggi è un
riferimento indispensabile per il suo partito e per il suo Paese. Una simile sfida attende il premier Renzi.
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10/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Due temporali a Francoforte
Donato Masciandaro
Mario Draghi sta aprendo sempre di più l'ombrello della liquidità ed è determinato a continuare. Ma ci sono
almeno due temporali, che possono rendere vano lo sforzo che la Bce sta attuando: il temporale francotedesco e quello americano. Donato Masciandaro
Ieri il presidente della Bce ha ribadito la volontà di riportare sul sentiero di equilibrio una inflazione troppo
bassa, accentuando la manovra di espansione della liquidità, attraverso operazioni che in parte dipendono
dalla volontà delle banche di attivarle - i rifinanziamenti vincolati - in parte da un mercato di titoli privati,
ancora relativamente acerbo rispetto alle necessità di aumento della moneta, ma in cui il grado di autonomia
della manovra della Bce può aumentare. Inoltre è stato riaffermato l'intento di non lasciare alcuno strumento
inutilizzato, se il rischio disinflazionistico non verrà domato.
Serve a qualcosa un'ulteriore espansione monetaria? Dal punto di vista della ripresa economica, se
pensiamo che l'Unione Europea sia bloccata da una trappola della liquidità, l'unica speranza è che vi sia un
effetto attraverso il meccanismo delle aspettative. In una trappola della liquidità la politica monetaria
convenzionale non ha effetti diretti sulla domanda aggregata; può avere effetti indiretti sia sulla domanda che
sulla offerta se e solo se muove le aspettative di una crescita degli aggregati nominali. Si può provare a
governare le aspettative con manovre non convenzionali, che allo stesso tempo aiutino a "riparare" il
meccanismo monetario, uscendo dalla trappola. Ma le aspettative si muovono nella giusta direzione solo se i
segnali della politica economica sono univoci. Purtroppo mentre l'ombrello della Bce si apre sempre di più,
almeno due temporali continuano a impensierire: il temporale franco-tedesco ed il temporale americano.
Il temporale franco-tedesco è ripreso con forza in questi giorni: a Parigi e a Berlino si continuano a sostenere
approcci opposti alla gestione della politica fiscale. Ma l'Unione ha invece bisogno di un approccio comune.
Innanzitutto perché in una trappola della liquidità la politica fiscale è l'arma più efficace per stimolare
direttamente e indirettamente la domanda aggregata. Ma la politica fiscale è efficace solo se chi la attua è
credibile.
Quindi le sortite francesi, che di fatto minano la necessità di avere conti tendenzialmente in ordine, sono
dannose. Inoltre, per avere conti in ordine bisogna far crescere tutte quelle economie che sono in deficit di
produttività, come l'Italia. Per recuperare il deficit di produttività la condizione necessaria sono le riforme
strutturali. Da questo punto di vista, è giusta la direzione intrapresa dal governo Renzi.
Ma allo stesso tempo sono dannose quelle uscite tedesche - Bundesbank in testa - che continuano a negare
la necessità di assumersi il ragionevole rischio di trovare strade che coniughino la disciplina fiscale di medio
periodo con una azione congiunturale attiva. Il connubio tra disciplina ed attivismo è l'unico che potrebbe
consentire alla Bce di attuare in modo credibile un'ulteriore espansione monetaria che utilizzasse anche
l'acquisto di titoli pubblici.
Come è tradizione, Draghi non ha speso parole sull'azione delle altre banche centrali, Fed in testa. Ma il
temporale americano può nascondere più di una insidia. Gli osservatori più ottimisti guardano a quello che
sta accadendo negli Stati Uniti con ottimismo per l'Europa. Il ragionamento è semplice: la Fed ha iniziato una
politica restrittiva, quindi l'euro si sta svalutando, perciò ci sarà un impulso alla crescita. Peccato che sia un
ragionare superficiale.
In primo luogo, non è vero che la Fed abbia iniziato una politica monetaria restrittiva. Quello che accadrà a
ottobre sarà - se viene confermato - che l'espansione sistematica, mensile e automatica della quantità di
dollari a disposizione dei mercati si fermerà. Ma questo non significa che le banche non potranno continuare
ad alimentare i propri bilanci prendendo a prestito dollari, visto che i tassi saranno a zero per un periodo di
tempo indefinito. Il tema della "normalizzazione" del bilancio della Fed, che implicherebbe la definizione di un
percorso di ridimensionamento del suo bilancio e di riqualificazione della sua rischiosità, non viene neanche
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sfiorato.
Per quanto tempo? Non si sa. La Fed guidata dalla Yellen ha abbandonato la regole di politica monetaria
ante-crisi, che lega le scelte tattiche della banca centrale all'andamento della congiuntura. Sostituendola con
quale regola, magari strategica? Nessuna. Si aspetta qualcosa, che però non è definito.
Questa è l'ambiguità che piace a tutte le burocrazie, e le banche centrali non fanno eccezione. Avere le mani
slegale aiuta il banchiere centrale - soprattutto se come la Fed non ha un mandato specifico - ad accomodare
gli interessi della politica, o della finanza, o degli intrecci della prima con la seconda. Con vantaggi personali
ed istituzionali. La Fed è stata un pessimo vigilante; eppure i suoi vertici hanno fatto carriera, e la nuova
legge americana sulla regolamentazione la ha addirittura premiata, aumentandone poteri ed influenza.
La politica monetaria espansiva sine dine piace a Wall Street. Ma la strategia "fine espansione mai" certo
non dispiace ai repubblicani, che la vedrebbero volentieri in atto per tutto il 2015, visto che poi ci sono le
presidenziali.
Di sicuro l'ambiguità della politica monetaria provoca volatilità delle aspettative e dei prezzi, tassi di cambio
inclusi. Anche gli effetti di breve periodo - come l'attuale apprezzamento del dollaro - sono tutt'altro che
scontati. In primo luogo, non è detto che il deprezzamento dell'euro abbia effetti positivi e duraturi
sull'interscambio europeo; l'analisi economica detta tutta una serie di condizioni, ma gli ottimisti le
dimenticano facilmente. Per non parlare dei movimenti di capitale; le scelte delle banche in favore della
liquidità in dollari possono destabilizzare l'azione delle altre banche centrali, inclusa quella della Bce. Ma
questo non ditelo agli ottimisti.
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10/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Dal Lavoro risparmi per 2,1 miliardi
Allo studio il cambio dei requisiti per gli assegni sociali - Interventi su usuranti e decontribuzioni
Davide Colombo Claudio Tucci
ROMA
Un cambiamento dei requisiti di accesso a prestazioni come l'integrazione al minimo della pensione o gli
assegni sociali che garantisce oltre 700 milioni di minor spesa sul saldo netto da finanziare. Ma anche un
taglio alla decontribuzione sulla contrattazione aziendale e a fonti di spesa che risultano da qualche anno
sovrastimate nel bilancio Inps, come le pensioni anticipate per i lavoratori esposti ad attività usuranti, le
pensioni d'annata o le decontribuzioni riconosciute ai datori di lavoro che hanno conferito il Tfr alla previdenza
complementare.
Assumono una prima forma dettagliata le ipotesi di taglio modulare sulle spese "governate" dal ministero del
Lavoro e che dovrebbero portare in Legge di stabilità un risparmio di 2,1 miliardi di euro sul saldo netto, che
scendono a poco più di 600 milioni in termini di indebitamento netto. Si tratta di ipotesi allo studio dei tecnici
dell'Economia, come detto. Ma con particolari (e omissioni) che fanno capire come la quadra dei tagli
s'avvicini giorno dopo giorno al traguardo.
Il primo intervento per dimensioni riguarderebbe l'integrazione al minimo pensionistico e gli assegni sociali:
prestazioni cui oggi si accede sulla base di requisiti reddituali individuali. L'idea è di utilizzare il debutto del
nuovo Isee, l'Indicatore della situazione economica equivalente, prevista il 1° gennaio prossimo, per dare un
piccola sforbiciata alla parte meno bisognosa della platea che accede a questi sussidi.
L'operazione è delicatissima e l'attenzione del ministro Giuliano Poletti è massima; per di più non mancano le
complicazioni tecniche, visto che il nuovo Isee calcola la situazione economica e patrimoniale (agevolazioni
fiscali comprese) del nucleo familiare e non dei singoli beneficiari delle prestazioni. L'altro taglio immaginato è
sui circa 400 milioni residuati per l'anno venturo sotto la voce "sgravi contributivi per la contrattazione di
secondo livello". Si tratta di un'agevolazione nata con il Protocollo Welfare del 2007 e cifrata in circa 600-650
milioni l'anno, appostati in una voce di bilancio sempre sottoutilizzata e dalla quale s'è pescato pure per
finanziare parte delle salvaguardie per gli esodati.
Discorso analogo per la sottoutilizzata spesa prevista per i lavoratori usuranti. Il risparmio sarebbe in questo
caso attorno ai 250 milioni su un fondo di circa 380-400 il cui tiraggio non è mai stato superiore ai 100 milioni
l'anno. Il taglio sulla decontribuzione legata al Tfr ai fondi pensione varrebbe invece 170 milioni, anche in
questo caso frutto di riallineamenti contabili. E alla stessa stregua andrebbe letto un altro taglio, individuato
per le vecchie pensioni d'annata (200 milioni sul saldo netto del 2015), che riguarda bonus in via di
esaurimento ma di cui ancora beneficiano piccolissime platee.
Naturalmente le tabelle in circolazione non dicon tutto, anche perché sono figlie di un lavoro in corso da
settimane. Su questa del ministero del Lavoro che abbiamo potuto visionare mancano due voci importanti
che diverse fonti invece confermerebbero: il taglio ulteriore sui costi di funzionamento di Inps e Inail,
rispettivamente per 150 e 210 milioni. Ipotesi, queste ultime, pure molto azzardate visto che i due istituti,
dopo i tagli lineari del 2011 e la vecchia spending review del 2012, da quest'anno viaggiano con budget ridotti
del 35-40 per cento
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Isee È l'Indicatore della situazione economica
equivalente. Nella sua versione completamente rinnovata, rispetto al vecchio Isee del 1998, debutterà il 1°
gennaio prossimo. Il nuovo Isee attribuirà un peso maggiore alle componenti patrimoniali e finanziarie che
concorrono alla determinazione del reddito disponibile di una famiglia. Vengono incluse anche somme
«fiscalmente esenti»
700 milioni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La legge di stabilità I TAGLI AI MINISTERI
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Minore spesa
È il risparmio che viene ipotizzato dall'intervento sugli assegni sociali
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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10/10/2014
Il Sole 24 Ore
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Jobs act, alla Camera delega «blindata»
Il premier non esclude la fiducia - L'Ocse si «congratula» per la riforma
Claudio Tucci
ROMA
Si parte dalle parole di Matteo Renzi che punta a una rapida approvazione (fine novembre) del Jobs act che
giovedì prossimo sarà incardinato nella commissione Lavoro di Montecitorio. Il premier non vuole modifiche al
testo. E ieri sera in tv ha detto che «la fiducia è un'ipotesi» se i tempi dovessero allungarsi, confermando che
«nella legge di stabilità ci sarà uno sgravio contributivo per chi assume a tempo indeterminato». La
minoranza Pd però incalza e chiede «correttivi per migliorare il ddl», e renderlo «meno generico». Ma per
Maurizio Sacconi (Ncd) bisogna «andare avanti spediti ed evitare navette tra le due Camere, puntando subito
all'immediata produzione dei decreti delegati per rendere operative le nuove norme già con l'inizio del nuovo
anno».
Tuttavia «sicuramente ci saranno modifiche al ddl - incalza la capogruppo Pd in commissione Lavoro della
Camera, Maria Luisa Gnecchi, cuperliana -. Puntiamo a migliorarlo. Per esempio quando si parla di
semplificazione delle varie forme contrattuali il testo ora è troppo generico». Ad alcuni parlamentari dem non
piace neanche la disposizione sulla videosorveglianza. Per questo «voglio credere che ci siano spazio e
tempo per modifiche» taglia corto l'ex segretario Pd, Pier Luigi Bersani.
La settimana prossima si stabilirà il calendario delle audizioni e l'iter della discussione «che sarà regolare,
con il tempo normale a disposizione», fa sapere il presidente della commissione, Cesare Damiano (Pd).
Certo è che il testo uscito dal Senato continua a dividere. È criticato dalla Cgil («toglie diritti e apre spazio a
soprusi»). Ma riceve un plauso dall'Ocse che in una nota del segretario generale, Angel Gurria, si congratula
con Matteo Renzi per un provvedimento che «se attuato nella sua interezza contribuirà a mettere l'Italia su un
cammino di crescita più dinamico, con benefici per tutta la popolazione, rilanciando l'occupazione e riducendo
la disoccupazione».
Il governo, spiega il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, «sta già lavorando all'attuazione del
Jobs act. Un obiettivo importante sarà l'estensione della platea degli ammortizzatori sociali ai collaboratori e
anche ai lavoratori a tempo determinato con carriere discontinue, oggi esclusi da qualsiasi tutela».
Tema acceso di dibattito è l'articolo 18, con l'annunciato mantenimento del reintegro per i licenziamenti
disciplinari (ma non specificato nel ddl). Qui le posizioni sono distanti. «C'è un impegno politico di Renzi e
Poletti», dice Carlo Dell'Aringa (Pd). Ma per Damiano: «Non può essere solo verbale». E c'è l'altolà di Ncd
non disponibile «a far rientrare dalla finestra tentativi di stravolgere la riforma», spiega il capogruppo in
commissione, Sergio Pizzolante. A complicare il quadro, il fattore tempo: alla Camera partirà l'esame della
legge di Stabilità e per non subire frenate il Jobs act dovrà viaggiare come collegato.
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Le misure controverse
VIDEOSORVEGLIANZA
Generica la disposizione
sui controlli a distanza
Ad alcuni parlamentari dem non piace la disposizione generica sulla videosorveglianza (anche qui chiedono
di chiarire meglio i profili dei controlli sui lavoratori). Oggi la delega fa riferimento all'evoluzione tecnologica e
«contemperando le esigenze produttive e organizzative dell'impresa con la tutela di dignità e riservatezza del
lavoratore»
CONTRATTI
Resta il nodo su quali
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La lunga crisi LA RIFORMA DEL LAVORO
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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rapporti semplificare
Secondo la capogruppo Pd in commissione Lavoro, Maria Luisa Gnecchi, quando si parla di semplificazione
delle varie forme contrattuali il testo licenziato da Palazzo Madama è troppo generico. E quindi va precisato
meglio. Si continua a discutere di articolo 18 (conferma del reintegro per i disciplinari). Ma qui i dem sono
divisi. E c'è l'altolà di Ncd
10/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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>Il presidente Bce: "Cambiare per assumere, non per licenziare" Giallo sul debito pubblico: il Tesoro abbassa
le stime, l'Fmi le alza
ELENA POLIDORI
WASHINGTON CRISI, recessione, disoccupazione. «Se i governi non fanno la cosa giusta spariranno per
sempre dalla scena politica perché non saranno rieletti», avverte Mario Draghi, presidente della Bce. Le
riforme devono «facilitare le assunzioni dei giovani, non i licenziamenti di massa». A PAGINA 6
WASHINGTON. Crisi, recessione, disoccupazione. «Se i governi non fanno la cosa giusta spariranno per
sempre dalla scena politica perché non saranno rieletti» avverte Mario Draghi, presidente della Bce, parlando
alla Brookings Institution di Washington. E la cosa giusta ha a che fare col lavoro che non c'è, da noi come
nel resto d'Europa: combattere la disoccupazione è «la priorità» degli esecutivi, una ragione della loro stessa
sopravvivenza.
Nella sua visione le riforme del mercato del lavoro devono «facilitare le assunzioni dei giovani, non i
licenziamenti di massa». L'Italia, con il jobs act appena votato dal Senato non corre questo pericolo perché il
paese «è stato in recessione così a lungo che le imprese che volevano licenziare lo hanno già fatto».
Riforme per assumere, quindi, non per alleggerire gli organici. È un Draghi insolito quello che parla nella
capitale Usa, a margine dei lavori del Fmi. Fonti della Bce escludono che il banchiere abbia in mente un
qualche riferimento al contestato articolo 18. Giurano che la sua è una analisi tutta europea. Draghi se la
prende con il fatto che l'attuale, drammatica situazione della disoccupazione giovanile nel vecchio Continente
è connessa con le riforme fatte nel 2002 quando i giovani «sono stati assunti solo con contratti molto
flessibili». Poi però è arrivata la crisi e «queste posizioni sono state spazzate via». Così ovunque in Europa,
ma ancora di più nel Sud. Ora è giunto il momento di assumerli, questi ragazzi «non di licenziarli» o almeno
«non così facilmente». Di qui la necessità di riforme del mercato del lavoro «che rendano più facile per le
aziende fare le assunzioni». In qualche maniera gli risponde a distanza il ministro dell'economia Pier Carlo
Padoan, impegnato in un dibattito con il collega tedesco Schaeuble che chiede a Italia e Francia di
rimboccarsi le maniche: «Il si del Senato al jobs act è un segno molto importante.
Significa che il paese fa le riforme che servono a noi e all'Europa». Sembra un mantra, questo delle riforme
strutturali. Draghi non solo le rivendica ma spiega che «i governi sanno bene cosa fare, non hanno bisogno
dei nostri consigli» Devono «semplicemente attuare le loro specifiche riforme nazionali». E devono muoversi
con una certa sollecitudine. Tanto l'Italia che gli altri partner si ritrovano oggi in un contesto macro economico
che non è certo dei migliori. Ancora una volta la Bce, nel suo Bollettino, avverte che la ripresa «ha perso
slancio». Di nuovo fa notare che negli ultimi mesi s'è assistito ad un generale calo del clima di fiducia, specie
in Italia e Germania. E soprattutto, ribadisce che la crescita è troppo bassa per garantire un calo della
disoccupazione, una piaga che il numero uno del Fmi, Christine Lagarde, non esita a definire «una
emergenza globale». Draghi: «Quando hai tassi di disoccupazione al 25% con milioni e milioni di giovani
senza lavoro, questo è l'incentivo più forte per i governi a fare la cosa giusta. Quindi in un certo senso oggi
sono più ottimista sulla loro capacità di risposta di quanto lo fossi nel 2002 quando la situazione era meno
critica».
LE BANCHE Un settore bancario "ripulito" e risanato nell'area euro "sarà anche un settore bancario più
piccolo", ha detto Draghi a Washington NUOVI INTERVENTI Se l'inflazione sarà così bassa ancora per
molto, la Bce è unanime nel suo impegno a ulteriori strumenti non convenzionali nel quadro del proprio
mandato RIFORME E RIPRESA Le riforme in atto non sono sufficienti: ciò può mettere a rischio la ripresa,
che nell'eurozona sta perdendo slancio LA BCE
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it/economia www.ecb.europa.eu
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Draghi: i governi senza riforme saranno cacciati
10/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Foto: Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble
Foto: AL VERTICE Il presidente della Bce, Mario Draghi, è intervento ieri alla Brookings Institution di
Washington a margine dei lavori dell'Fmi
10/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Se anche Berlino rischia la recessione
ANDREA BONANNI
BRUXELLES L'ECONOMIA tedesca è in brusca frenata e fa registrare i risultati peggiori dal 2009. A PAGINA
6 BRUXELLES. L'economia tedesca è in brusca frenata e fa registrare i risultati peggiori dal 2009, quando si
era nel pieno della crisi economico-finanziaria. Calano le esportazioni, calano le importazioni, cala la
produzione industriale, cala l'indica di fiducia delle imprese, si riducono drasticamente le prospettive di
crescita economica.
E i principali istituti economici del Paese si uniscono al coro ormai generale in Europa e nel mondo che
chiede al governo di intervenire per stimolare la crescita e la domanda interna.
Dopo i dati diffusi l'altro giorno sul calo della produzione industriale, ieri sono stati resi noti quelli sulla
bilancia commerciale, che resta ancora fortemente attiva ma registra risultati molto inferiori alle attese.
Ad agosto l'export tedesco è sceso bruscamente del 5,8 per cento, il crollo più pesante dal 2009. Anche le
importazioni si sono ridotte, sia pure solo dell'1,3 per cento. Sull'anno, il calo dell'export made in Germany è
per ora dell'1 per cento, mentre le importazioni, che dovrebbero alimentare la crescita nel resto d'Europa,
sono contratte del 2,4 per cento.
Ancora più preoccupante di questi dati, è il rapporto congiunto presentato ieri dagli istituti di previsione
economici tedeschi, che fungono da consulenti del governo. Le prospettive di crescita della Germania sono
bruscamente tagliate. Per quest'anno si scende all'1,3 per cento dall'1,9 previsto ad aprile. Per l'anno
prossimo la crescita si dovrebbe fermare all'1,2 per cento rispetto al 2 per cento stimato in primavera. La
produzione industriale è prevista in calo nel terzo trimestre dell'anno. E secondo alcuni economisti non si può
escludere che la «locomotiva d'Europa» entri in recessione tecnica registrando due trimestri consecutivi di
calo del Pil.
D'altra parte la Banca centrale europea sottolinea che l'indice di fiducia economica registra proprio in Italia e
Germania la flessione più importante tra tutti i Paesi europei. Il rapporto degli istituti economici tedeschi
sottolinea la necessità che il governo di Berlino stimoli gli investimenti per alimentare i consumi interni e con
essi la crescita.E critica senza mezzi termini la politica di austerità della cancelliera Merkel che si è posta
come obiettivo il pareggio di bilancio per l'anno prossimo tagliando duramente sul fronte delle spese.
«L'azzeramento del deficitè un obiettivo di prestigio, che non ha necessariamente senso da un punto di vista
economico», dice il rapporto, che invita ad «aumentare le spese pubbliche nei settori che hanno maggior
potenziale di contribuire alla crescita», come la ricerca e l'educazione. E' una richiesta, questa, che l'Europa,
nelle raccomandazioni di politica economica, rivolge da tempo alla Germania con scarsissimi risultati
invitandola a utilizzare il bilancio pubblico per stimolare la domanda interna e riportare così il proprio surplus
commerciale a livelli più sopportabili per i partner europei. Ma le cifre raccontano una storia opposta, che
vede il calo dell'import tedesco ancora superiore alla flessione dell'export. Anche il presidente della Bce,
Mario Draghi, recentemente è tornato sulla questione invitando «i Paesi che dispongono di un margine di
manovra sui conti pubblici ad utilizzarlo per stimolare la crescita». Raccomandazioni simili, in toni ancora più
pressanti, arrivano a Berlino dal Fondo monetario internazionale.
Per ora, comunque, Angela Merkel non recede dalla sua linea e dal dogma del pareggio di bilancio, che
vuole applicare in Germania per avere la giustificazione morale di poterlo imporre agli altri partner europei.
E dunque per Berlino gli unici investimenti destinati a stimolare la crescita devono essere quelli privati. Che
però non arrivano. La Commissione protesta. Ma per ora non ha gli strumenti giuridici per intervenire in tempi
brevi ed imporre ai tedeschi il rispetto delle raccomandazioni di politica economica, visto che la Germania non
si trova in una situazione di «grave squilibrio macroeconomico», come è invece l'Italia.
Ora però la pressione per una politica più espansiva comincia a crescere anche all'interno del Paese. E
questo potrebbe forse incrinare la determinazione della cancelliera.
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IL RETROSCENA/1
10/10/2014
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NESSUN ALLARME
L'economia non è in contrazione, la crescita rallenta per le tensioni geopolitiche Wolfgang Schaeuble
DATI PREVEDIBILI
I dati non meravigliano, la congiuntura economica è un po' offuscata Angela Merkel
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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10/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 34
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La frenata tedesca i tassi americani ei prezzi troppo alti bloccano le Ipo
salta anche Intercos
In Italiaè la quarta quotazione rinviata e in Franciae Germania rinunciano Spie, Tlg Immobiliene Scout24
VITTORIA PULEDDA
MILANO. Poker di rinvii, a Piazza Affari. Prima Sisal e Rottapharm; poi la pausa estiva e alla ripresa la nuova
tornata di ritiri sul filo di lana: l'altroieri Italiaonline, ora Intercos. Di sicuro il momento è pessimo, per
affacciarsi in Borsa: tassi americani in tensione, Germania in brusca frenata, volatilità dei mercati ovunque in
decisa crescita.
Esordire adesso al listino è davvero un atto di grande coraggio e, commentano alcuni operatori, in queste
condizioni chi non è proprio costretto tutto sommato fa bene a chiedersi se vale la pena di farlo a tutti i costi.
Per carità, è un processo non solo italiano: in Germania Tlg Immobilien e Scout24 hanno rinviato le Ipo di
diversi giorni, e a Parigi Spie ha citato le «condizioni di mercato volatili» per motivare il ritiro della propria
offerta.
Stesso discorso per Intercos: comunicando la marcia indietro all'ultimo momento utile «ha ritenuto che le
condizioni dei mercati finanziari, deterioratesi repentinamente nel corso degli ultimi giorni, non consentano di
ottenere una valutazione che rifletta fedelmente il reale valore intrinseco e le potenzialità della Società». Chi
invece si è quotato comunque Zalando e Rocket internet hanno perso in pochi giorni oltre il 20% dal prezzo di
Ipo.
La decisione di Intercos (la società fondata da Dario Ferrari) getta ombre anche sulle prossime candidate a
quotarsi a Piazza Affari. Anche perché uno dei punti di forza dell'ormai sfumata matricola era la
diversificazione geografica, sia produttiva sia di fatturato a differenza, ad esempio, di Ovs (ma non è la sola).
Tra le sale operative però gira anche una lettura aggiuntiva: in questo momento di mercato, proporre
matricole con prezzi pari a 7-10 volte l'Ebitda (il margine operativo lordo) non si può fare, bisogna rendersi
conto che nelle ultime settimane le Borse hanno anche il 20%. E quello che andava bene fino ad un po' di
tempo fa, ora è diventato caro.
Foto: Dario Ferrari
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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IL PUNTO
10/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Fallisce la mediazione del governo e scatta la protesta Renzi: "Sono terrorizzato, lavoro per evitare
l'irreparabile" Critica la Camusso: Delrio e il ministro Guidi si sono limitati a guardare
LUISA GRION ROMA.
Niente accordo sull'Ast: per gli acciai speciali di Terni si riapre la procedura di mobilità e il conseguente taglio
di 550 posti di lavoro si avvicina. La mediazione del governo non ha prodotto effetti: ora azienda e sindacato
hanno 75 giorni di tempo per trovare un'intesa sul piano industriale che ThyssenKrupp - proprietaria del polo
siderurgico - intende applicare allo stabilimento umbro. Se così non sarà, prima di Natale le lettere di messa
in mobilità arriveranno a destinazione.
Per la siderurgia italiana il colpo sarebbe durissimo: il premier Renzi si dice «molto preoccupato». Di più:
«Sono terrorizzato da Terni, dove, nonostante abbiamo fatto di tutto, la negoziazione non è stata accettata ha
detto - lavoreremo nei prossimi tre mesi prima che accada l'irreparabile». I vescovi dell'Umbria, allarmati dalle
«conseguenze umane e sociali dolorosissime» che nuovi licenziamenti comporterebbero, hanno firmato un
accorato appello per la ripresa della trattativa.
L'intera città ieri si è mossa a fianco dei 2.600 dipendenti che hanno proclamato 24 ore di sciopero
bloccando la ferrovia: in ballo non c'è solo lo stabilimento, ma tutto l'indotto, visto che Ast ha già convocato le
ditte appaltatrici per chiedere loro un taglio del 20% sui costi delle commesse. La tensione si taglia con il
coltello, anche perché il tentativo di mediazione messo in atto dal governo, con il sottosegretario alla
Presidenza Graziano Delrio e il ministro Federica Guidi, non ha convinto i sindacati. «Si sono limitati a
guardare», ha detto Susanna Camusso della Cgil; e anche per Annamaria Furlan, neo-leader della Cisl, la
proposta presentata in nottata «nonè stata adeguata e soddisfacente». Critiche che il governo respinge:
«Azienda e sindacati sono stati troppo rigidi», ha risposto la Guidi. Nei fatti la mediazione, ripartendo dal
punto sul quale le due parti si erano arenate, è saltata. Sul piatto prevedeva 110 milioni di investimento
dell'azienda nei prossimi 4 anni, lo spostamento a Terni della linea di laminazione di Torino, un drastico tagli
al salario aziendale per chi resta (valutato dai sindacati come la perdita secca di due buste paga l'anno) e
290 esuberi. Un tetto da raggiungere incentivando le uscite volontarie ma - nel caso in cui non si arrivasse
alla quota prefissata - con la possibilità di licenziare senza ulteriore trattativa. «Condizione che i lavoratori
all'unanimità hanno considerato inaccettabile», ha commentato Maurizio Landini che aveva annunciato la
possibilità di una occupazione delle fabbriche («Landini vuole occupare le fabbriche, noi vogliamo aprirle», ha
risposto il premier). Per il leader della Fiom «il governo deve fare politica industriale e non permettere che per
venire in Italia le multinazionali taglino salari, diritti e occupazione.
Punti ai contratti di solidarietà come ha fatto per Electrolux».
Ora ci sono due mesi e mezzo di tempo. «Non abbiamo abbandonato la trattativa, continueremo a insistere»,
ha promesso Delrio. «Il contenimento dei costi non può gravare solo sui lavoratori, la mediazione doveva
ripartire dalle misure di risanamento e rilancio delle acciaierie, non farloè stato un grave errore», secondo
Salvatore Barone, responsabile Settori produttivi della Cgil. Ma ora, scrive in una nota il sindacato «serve una
soluzione». LE TAPPE LI ESUBERI Dopo il fallimento della trattativa sul piano di risparmi presentato dalla
azienda, sono attese all'Ast di Terni 550 lettere di licenziamento per i lavoratori LA NASCITA Nel 1580, le
autorità cittadine permettono alla famiglia Buzzoleni di aprire una Ferriera Così a Terni muove i suoi primi
passi l'attività metallurgica LO SCIOPERO Gli impianti di Terni si fermano fino alle 6 di questa mattina, con
presidio degli ingressi alla fabbrica. Nelle prossime ore anche le attività cittadine si bloccheranno per
solidarietà
Foto: A TERNI RISCHIO MOBILITÀ Niente accordo sull'Ast di Terni e ora 550 lavoratori rischiano il posto
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Thyssen, niente accordo sul piano dell'azienda in vista 550 licenziamenti
10/10/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 18
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CONTRATTO BANCARI, TRE MESI DA SFRUTTARE PER CAPIRE IL
FUTURO
La soluzione trovata per il problema della isdettabilità del contratto di lavoro dei bancari, mentre la trattativa
per il rinnovo deve procedere, è stata ingegnosa ed è risultata, alla fine, di reciproca soddisfazione per le parti
negoziali. Aver guadagnato altri tre mesi per decidere la disdetta e sistemato il famoso Edr, il trattamento
distinto dalla retribuzione, con l'operazione denominata «tabellizzazione» definitiva a partire dal 2015, è stato
un modo efficace per uscire da una trappola negoziale che rischiava di danneggiare sia il versante
dell'applicazione del vigente contratto in costanza di trattative per il rinnovo, sia i lavori per quest'ultimo
obiettivo. Per i prossimi giorni sono previsti ulteriori incontri tra Abi e sindacati con l'obiettivo di affrontare
speditamente i temi del rinnovo. Il tempo guadagnato dovrà essere sfruttato perché diversamente l'impasse a
dicembre diventerebbe assai più bloccante con perdite per tutti. Vi sono temi che dividono le parti al tavolo
contrattuale, innanzitutto quello delle rivendicazioni stipendiali degli oltre 300 mila bancari che pure un
qualche fondamento lo hanno. Ma si commetterebbe un errore se si iniziasse, già nella prossima settimana, a
discutere sugli argomenti divisivi, mentre sarebbe produttivo affrontare i temi cruciali dell'occupazione nel
settore, del lavoro giovanile, del rapporto possibile, ai diversi livelli negoziali, con la produttività e le
trasformazioni, senza con ciò scindere pesantemente la struttura salariale. Gli istituti sono ora coinvolti in un
cambio di fase. Le modifiche introdotte dagli ordinamenti, dalle tecnologie, dalla globalizzazione finanziaria,
dai rapporti tra credito e debiti sovrani, per citare solo alcuni dei più potenti fattori che influiscono
sull'evoluzione degli intermediari, cambieranno il volto delle banche. L'impegno nella innovazione, nei rapporti
con il territorio, da un lato, e con il contesto italiano e internazionale, dall'altro, esigeranno modifiche nelle
professionalità, competenze, partecipazione ai processi lavorativi. L'arte del banchiere dovrà cimentarsi con
le novità come mai è finora accaduto e ciò inciderà su quanti lavorano in queste particolari comunità che sono
le banche. Se spesso lamentiamo ritardi in settori del sistema con riferimento alla progettualità, alla capacità
propulsiva dei banchieri, ai rapporti con l'utenza, al finanziamento dell'impresa, ciò significa che vi è una
nuova frontiera alla quale mirare che richiede un identikit nuovo del bancario e rinnovate relazioni industriali.
È una sorta di fase di riconversione, più o meno soft, quella che si profila, che trova punti di somiglianza in
altre epoche della recente storia bancaria e, in specie, negli anni Novanta, quando le trasformazioni furono
sostenute da nuove relazioni fra le parti sociali, da rinnovate normative contrattuali, dalla sistemazione dei
crediti deteriorati e da un ruolo fortemente propulsivo della Banca d'Italia, cui si affiancò poi il Governo. I
tempi ora sono diversi, ma molti aspetti di quei negoziati (dei quali Alessandro Profumo, ora capo della
delegazione alle trattative per l'Abi, fu protagonista) oggi andrebbero considerati come fattori ispiratori. Pur
nelle difficoltà, se si lavora bene e con impegno, la trattativa potrebbe diventare pilota per diversi settori del
mondo del lavoro. È necessaria, però, una convergenza di fondo su obiettivi che possono essere comuni, ma
che trovano differenziazioni quanto ai mezzi e ai percorsi per conseguirli.
Foto: Alessandro Profumo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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CONTRARIAN
10/10/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 18
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Ai massimi dal 2008 la domanda di prestiti delle aziende. Ma le banche ci
sentono poco
Maurizio Liuti*
L'ultimo aggiornamento dell'analisi periodica prodotta da Crif sulla base del proprio patrimonio informativo,
che raccoglie i dati relativi a oltre 77 milioni di posizioni creditizie di cui più di 8 milioni attribuite a utenti
business, mostra nel primo semestre del 2014 un'ulteriore crescita nel numero di richieste presentate dalle
imprese italiane agli istituti di credito (si tratta di vere istruttorie di credito e non semplici richieste di
informazioni o preventivi), con un aumento del 12,1% rispetto al corrispondente periodo del 2013. Malgrado il
rallentamento registrato nel secondo trimestre dell'anno, che ha fatto segnare un +8,0% rispetto al +15,9%
che aveva caratterizzato i tre mesi precedenti, complessivamente il dato del semestre rappresenta il record
assoluto a partire dall'inizio del 2008, ovvero prima dello scoppio della crisi economica, che ha pesantemente
caratterizzato gli ultimi anni. Questa performance è stata determinata in particolare dal picco di domande
presentate dalle imprese individuali, che hanno fatto registrare una forte accelerazione, seppur non sempre
per finanziare progetti di investimento quanto, più semplicemente, per sostenere l'attività corrente. Nello
specifico, nel primo semestre 2014 le imprese individuali hanno fatto registrare un aumento del numero di
domande pari al 15,9% mentre per le società la crescita si è assestata a un +9,5%. Un dato altrettanto
significativo che emerge dallo studio del Crif è rappresentato dalla crescita dell'importo medio dei
finanziamenti richiesti. Nei primi 6 mesi del 2014, infatti, nell'aggregato di imprese individuali e società,
l'importo medio si è attestato poco sopra i 67.061 euro contro i 64.500 euro del corrispondente periodo del
2013. Scendendo più nel dettaglio, le imprese individuali hanno fatto registrare un importo medio pari a
33.983 Euro (era stato di 32.441 Euro nel primo semestre 2013), mentre per le società si è attestato poco
sopra i 91 mila euro (contro gli 86.500 del 2013). Nel complesso, la fascia di richieste inferiori ai 5 mila euro
continua a essere quella in cui si concentrano maggiormente le preferenze, raggiungendo una quota del
35,5% del totale (in crescita di 3,1 punti percentuali rispetto alla rilevazione del primo semestre 2013) in virtù
del peso preponderante delle richieste effettuate da imprese di piccola e piccolissima dimensione. Ma se la
sete di credito non si è attenuata, malgrado le perduranti difficoltà delle imprese, indebolite da anni di
congiuntura economica negativa, dal lato dell'offerta le banche sono alle prese con una rinnovata
regolamentazione internazionale, più stringente in termini di capitale, liquidità e leva finanziaria.
Conseguentemente, a fronte di uno scenario improntato a un generale aumento della rischiosità, gli istituti di
credito hanno inevitabilmente dovuto adottare un atteggiamento prudente e selettivo. Indubbiamente il clima
di fiducia in miglioramento e i cenni di ripresa che si stanno manifestando, per quanto il ciclo economico si
stia rivelando più debole di quanto atteso, potrebbero incoraggiare le imprese a riprendere progressivamente
gli investimenti, e per questo avranno necessità di reperire adeguate risorse finanziarie, in particolare a
medio-lungo termine. Questo spiega la grande attenzione, anche da parte di realtà di media e piccola
dimensione, verso canali alternativi o comunque complementari a quello degli istituti di credito. In particolare,
anche grazie alla spinta normativa avviata con il Decreto Sviluppo del 2012, si stanno determinando i
presupposti affinché il mercato dei cosiddetti minibond possa definitivamente decollare anche in Italia. D'altro
canto, come evidenziato anche da uno studio realizzato da Crif Rating Agency, in Italia sono oltre 10.500 le
società di capitali che presentano le caratteristiche potenziali per poter accedere al mercato dei minibond e
più in generale delle obbligazioni, quindi con la possibilità di raccogliere le risorse finanziarie necessarie a
sostenere piani di sviluppo o di espansione anche internazionale. (riproduzione riservata) *responsabile
Corporate relations, Crif.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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COMMENTI & ANALISI
10/10/2014
MF - Ed. nazionale
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In Italia cresce solo il (finto) lavoro part-time
Marino Longoni
Continuano a crescere i rapporti di lavoro part-time. Sino a pochi anni fa questo dato sarebbe stato salutato
con soddisfazione, perché il ricorso al tempo parziale era visto soprattutto come strumento per conciliare gli
impegni lavorativi con quelli familiari, oppure come modalità per consentire l'ingresso nel mondo del lavoro
anche a chi, per vari motivi, non è in grado di impegnarsi a tempo pieno. Oggi ci si rende conto che dietro un
terzo dei contratti di lavoro part-time si nasconde una quota di lavoro non dichiarata, lavoro nero. Un recente
studio Istat ha cercato di quantificare il fenomeno: nel 2000 gli occupatia tempo parziale erano meno di 3
milioni, nel 2013 erano più di 4 milioni, il 40% in più. Ma la crescita più significativa si è vista negli ultimi anni,
quelli della crisi economica e della riforma Fornero. Secondo l'Istat, in parallelo sono cresciuti anche i falsi
part-time, contratti che nascondono un tempo pieno o uno strumento di flessibilità in grado di adattarsi, senza
troppe complicazioni, alle esigenze produttive dell'azienda. Più di un quinto di questi contratti sarebbe fasullo.
Le ore realmente lavorate sarebbero il 40% in più di quelle dichiarate. Nel 2011 gli imponibili non dichiarati
superavano i 2 miliardi di euro. Lo strumento è stato spinto dalle aziende per ridurre i costi di produzione
(sulla quota di lavoro non dichiarato non si pagano imposte e non si versano contributi) e accettato da gran
parte dei lavoratori per mancanza di alternative. Il fenomeno è consistente nelle piccole imprese, nel
Mezzogiorno, tra le qualifiche più basse, nei pubblici esercizi. Contrariamente a quanto ci si potrebbe
aspettare, interessa più gli uomini delle donne. Addirittura, non sempre le ore lavorate e non dichiarate sono
retribuite. Nel 10% dei casi, a fronte della prestazione non viene erogata alcuna retribuzione, in un altro 10%
questa è inferiorea quella dovuta per contratto. La causa principale della crescita di questo tipo di lavoro nero
va probabilmente cercata nella crisi che dal 2008 ha investito il tessuto produttivo italiano, costringendo la
maggior parte delle imprese, per sopravvivere, a consistenti tagli dei costi, che a volte sono andati oltre il
rispetto delle norme. Ma nonè da trascurare anche l'effetto Fornero. Se la riforma che porta il nome dell'ex
ministro del governo Monti ha cercato di ridurre i margini di ambiguità presenti in molti contratti, soprattutto i
co. co. co., sembra aver avuto anche l'effetto di spingere molte imprese a trasformare questi contratti in finti
part-time. Le sorprese non finiscono qui. Dalla ricerca Istat emerge anche un fenomeno opposto, i finti
contratti a tempo pieno, che nascondono rapporti di lavoro a tempo parziale. Numerose sembrano essere le
cause di questo tipo di truffa, presente soprattutto nella scuola e nell'agricoltura. Nel primo caso, molti giovani
insegnanti riescono a maturare i contributi previdenziali e i requisiti per l'acquisto di una cattedra a fronte della
rinuncia, in tutto o in parte, allo stipendio. Nel secondo caso con la maturazione di 78 giornate lavorative si
raggiungono i requisiti per l'indennità di disoccupazione. Altre volte l'espediente può servire al lavoratore per
maturare diritti come l'indennità di maternità. In molti casi è evidente che il lavoro nero svolge la funzione di
ammortizzatore sociale, consentendo ai lavoratori di restare comunque, almeno parzialmente, nel mondo del
lavoro evitando quei problemi di coesione sociale (o vere e proprie rivolte) che potrebbero manifestarsi con
una disoccupazione giovanile sopra il 44%. (riproduzione riservata)
Foto: Il commento di Paolo Bossi sul retail in Italia, apparso su MF-Milano Finanza il 7 ottobre, riassume
quanto emerso dalla ricerca Retail Trends 2014 realizzata da Cocuzza & Associati Studio Legale
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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COMMENTI & ANALISI
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L'Espresso - N.41 - 16 ottobre 2014
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International FIAT
La nuova Fca debutta alla Borsa di New York. Per diventare un gruppo mondiale. Ma centrare gli obiettivi non
è facile. E fra i manager, in vista della successione a Marchionne, non mancano le tensioni
maurizio maggi
Se è vero che Warren Buffett, detto l'Oracolo di Omaha, non ne sbaglia una (o quasi), chi scommette sulla
galoppata del gruppo Fiat Chrysler Automobiles in Nord America può fregarsi le mani. L'ottantaquattrenne
fnanziereindustriale del Nebraska ha infatti appena comprato il Van Tuyl Group, una delle più importanti
catene di concessionarie d'auto d'America. Vende macchine in dieci Stati, conta già su 78 negozi e ha in
programma di espandersi. Anche se Buffett possiede il 2 per cento di General Motors, i suoi nuovi car-shop
sono ecumenici e commercializzano vetture di parecchi brand. Sulla Marguerite Parkway di Mission Viejo,
California, per esempio, c'è la South County che tratta Fiat e Maserati, mentre a Scottsdale, in Arizona, c'è la
Airpark con in bella vista Jeep, Chrysler e Dodge. In settembre, le marche americane del gruppo Fca hanno
continuato la domestica rincorsa, regalandosi addirittura il sorpasso ai danni di Toyota. Sergio Marchionne lo
ha sottolineato soddisfatto, alla conferenza stampa del 2 ottobre al Mondial de l'Automobile di Parigi. Dopo il
2018, al termine dell'ambizioso piano quinquennale che dovrà portare il gruppo a vendere 7 milionidi auto nel
mondo, Marchionne se ne andrà. Lo ha detto a "Business Week". E mentre si scatena il toto-delfno, con Mike
Manley della Jeep in cima alla lista, il gruppo festeggia il 54esimo mese consecutivo di crescita negli Stati
Uniti e in Canada. Negli Usa in settembre ha incrementato le vendite del 19 per cento: in grande spolvero
soprattutto il marchio Jeep - il gioiello della corona - che ha registrato un vistoso più 43 per cento, seguito
dalla marca Ram, con più 30 per cento (i dati fnora disponibili relativi a tutti i mercati, fermi al mese di agosto,
si trovano nella fgura qui sopra). Marchionne ha rivelato che la produzione della prossima generazione della
minivan Town & Country della Chrysler sarà avviata nel febbraio 2015, un anno prima rispetto a quanto
indicato nel piano industriale presentato in pompa magna cinque mesi fa a Auburn Hills, Detroit. Dunque la
Fca corre, in Nord America, e lo slancio potrebbe ovviamente avere un impatto anche sulle quotazioni del
nuovo titolo, che esordisce il 13 ottobre a Wall Street. In Europa, invece, corre meno e di debutti anticipati,
per ora, non c'è ombra. La 500X, detta anche Cinquecentona, è stata la reginetta della rassegna parigina, ma
lo scetticismo ampiamente esibito da Marchionne a proposito della ripresa del Vecchio Continente non lascia
trasparire l'intenzione di sfornare in fretta troppe novità. Fa eccezione l'Alfa Romeo. Il rilancio del marchio del
Biscione è il dossier italiano che sta più a cuore al boss. Gli ingegneri al lavoro sui nuovi modelli crescono di
numero - circa 250, pare, dei 600 uomini impegnati sull'Alfa Project - e nei capannoni "segreti" di Modena si
sgobba senza pause. Anche i fornitori sono stati messi alla frusta. Tuttavia, ancora non si ha la certezza
assoluta di quando la prima new Alfa sbarcherà in concessionaria. Sulla carta la capofla delle Alfa del nuovo
corso dovrebbe debuttare il 24 giugno 2015. È lo stesso giorno in cui, nel 1910, venne fondata la casa allora- milanese e per quella data il gran capo ha promesso grandi novità. È ipotizzabile che sarà il giorno di
nascita della nuova Giulia, ma con Marchionne gli slalom sono sempre dietro l'angolo. Una cosa è certa: sulla
rinascita dell'Alfa stavolta ci ha messo la faccia. Un altro rinvio, magari motivato con la depressione del
mercato eu ro p eo , semb ra i mp en sab i l e. Per sfornare i cinque nuovi modelli promessi entro il 2018 ci
vogliono, a spanne, cinque miliardi. Marchionne, ai tempi della presentazione del piano industriale 20142018, aveva però fatto capire che i quattrini necessari sarebbero stati spesi "a rate", e che per passare alla
fase successiva sarebbe stato necessario il successo del modello precedente. A Cassino, dove si
produrranno le Alfa della nouvelle vague, incrociano le dita e si augurano che la Giulia parta alla grande. La
sfida più ambiziosa sul tappeto, tuttavia, si chiama Jeep. Perché se l'Alfa deve risalire dalle 80 mila vetture
scarse del 2013 a quota 400 mila, per il mitico marchio yankee il compito è ancora più tosto. Alla Jeep, infatti,
è stato dato l'obiettivo di salire a 1,9 milioni di immatricolazioni nel 2018. Nel 2013, la marca americana ha
venduto 732 mila veicoli. Un prodigioso balzo in avanti che prevede incrementi annui del 50 per cento in
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Economia sfide industriali
10/10/2014
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America Latina, del 45 per cento in Asia e nel Pacifco, del 35 per cento in Europa, Medio Oriente e Africa (la
cosiddetta area Emea) e del 10 per cento scarso nella zona Nafta (Usa, Canada e Messico). Nei cinque mesi
trascorsi dall'annuncio di questa escalation-monstre, Marchionne ha dedicato a Jeep il massimo sforzo e,
soprattutto, si è affdato all'indiscusso numero uno del brand, Mike Manley, che è pure capo dell'intero gruppo
Fca nell'area Asia-Pacifco e potenziale delfno del manager italo-canadese. Inglese, è entrato in Chrysler nel
2000, quando la casa di Detroit era sposata con i tedeschi della Daimler. Potrebbe portare la Jeep al milione
tondo di vendite già quest'anno. L'altro fedelissimo, l'americano Richard Tobin, con le auto non c'entra. Guida
Cnh International, che fa trattori, macchine movimento terra e camion, un business mediaticamente meno
affascinante ma redditizio. In Nord America la scommessa-Jeep è tutto sommato ragionevole, mentre in
Brasile il gruppo, nonostante le diffcoltà economiche che il Paese attraversa, quando non è il primo nella
classifca delle vendite è il secondo. Nel nuovo impianto di Goiana (Pernambuco), un investimento da 1,3
milioni, si comincerà a produrre all'inizio del 2015 la Renegade, la Suv-crossover compatta già in produzione
a Melf e sorella della 500X. Al contrario la sfda appare veramente titanica in Asia. Non per niente Manley sta
passando parecchio tempo in Cina, dove Fca nel giugno scorso ha cominciato a costruire con il socio locale
Gac lo stabilimento di Guangzhou, nel distretto di Panyu. Sarà pronto nell'estate 2016 e dovrà mettere il turbo
alla svelta, per sfornare le 160 mila vetture previste dalla sua capacità produttiva, dato che il piano "vede" la
produzione asiatica (dovrà partire pure l'India) di Jeep issarsi a mezzo milione di macchine l'anno nel 2018. In
Europa l'asticella è fssata a 200 mila unità annue - come in America Latina - e sembra giustifcato l'ottimismo
intorno alla fresca Renegade made in Basilicata. Più difficile far decollare i numeri della Cherokee, che si
deve battere con rivali temibili e viene venduta in Europa a prezzi assai più alti che in patria. D'altro canto,
abbassare i listini signifca abbattere la redditività, un atavico problema per la Fiat, con l'eccezione della
modaiola 500, al settimo anno di vita e capostipite di un "quasi-brand". Ma dove vanno reinvestiti gli utili
realizzati in Nord America? Nella stessa zona per rafforzarsi ulteriormente, nell'arrembante mercato asiatico
oppure nel Vecchio Continente, per rimettere in carreggiata la zoppicante brigata europea dell'armata
Marchionne? Un bel dilemma. In Italia, intanto, brilla la stella Maserati. La Ghibli va bene e ci sono grandi
aspettative per il Suv che si chiamerà Levante: quest'anno la Maserati venderà 35 mila auto e le 75 mila unità
programmate per il fatidico 2018 non sono più così lontane. Nonostante il boom del Tridente e dei vicini di
casa della Ferrari, comunque, il sempre più evidente spostamento del baricentro verso il Nord America
acuisce le tensioni tra i vertici in Italia. Abbondano le voci di malumori tra Alfredo Altavilla, capo di Fiat
Chrysler per l'Emea, e il tedesco Harald Wester, capo di Maserati e Alfa. E si maligna di scarso fair-play nel
sottolineare gli insuccessi ascrivibili all'altro. Del tipo: Wester che ha fatto poco per l'Alfa negli anni delle
rinascite mai avvenute, il motore twin-air bicilindrico sponsorizzato da Altavilla che sta perdendo il confronto
con i tre cilindri della concorrenza, per esempio. Sia Altavilla che Wester, si dice, hanno cullato l'idea di
essere i numeri due del boss. Poi hanno capito che, ammesso possa esistere un numero due di Marchionne,
probabilmente sta a Detroit. E non in Italia. Infografica Giacomo De Panfilis, Foto: Getty Images, NurPhoto,
Corbis Le vendite soffrono in Brasile, tirano negli Usa Italia 260,6 Spagna 19,2 Regno Unito 42,8 USA 1.284
Canada 187,5 -1% +40,5% +15,4% +14,2% +7,4% NORD AMERICA 1.457 AMERICA LATINA 633,1
RUSSIA 4,2 TURCHIA 34,8 EUROPA 28 + EFTA 505,7 ASIA-PACIFICO 117,5 Brasile 518,9 -11,1% La
variazione percentuale si riferisce alle vendite di auto Fca (in migliaia di unità) da gennaio a agosto 2014,
rispetto allo stesso periodo del 2013 Quota di mercato di Fca relativa al Paese o all'area geografica indicata.
L'area di scambio Efta include islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera Cina 74 India 4,8 Australia 21,7
+52,7% +67,1% +32%Italia 258 Spagna 27 Regno Unito 49,4 USA 1.386 Canada 201,4 27,9% 4,6% 3,2%
12,2% 15,7%
Brasile 461,2 21,7% Cina 113,1 India 7,9 Australia 28,6 1% 0,5% 4% *periodo gennaio-agosto EUROPA 28 +
EFTA 513,5 +1,5% 5,9% ASIA-PACIFICO 168,6 +43,5% n.d. RUSSIA 5,4 +28,9% 0,4% TURCHIA 23,3 33% 7,3% NORD AMERICA 1.636 +12,3% 12,2% AMERICA LATINA 557,5 -11,9% 16,2%
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Foto: uN DEttAGLIO DELLA FIAt 500X, AppENA pRESENtAtA AL SALONE DI pARIGI. SARà COStRuItA A
MELFI
10/10/2014
L'Espresso - N.41 - 16 ottobre 2014
Pag. 122
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Cenerentola al ballo di Wall Street
Vittorio Malagutti
Sostiene sergio marchionne che lo sbarco a Wall Street di Fiat Chrysler è una «Cinderella story». Il lieto fne
però non verrà scritto lunedì 13 ottobre, quando i titoli della neonata Fca esordiranno alla Borsa di New York.
Per vivere davvero «felice e contenta», come d'obbligo nei fnali delle favole, la (ex) Cenerentola a quattro
ruote ha bisogno di soldi. Servono risorse per fnanziare gli investimenti annunciati a maggio da Marchionne
nel piano industriale fno al 2018, quando il manager, come ha annunciato nei giorni scorsi, lascerà la poltrona
di numero uno «per fare qualcos'altro». I dati diffusi cinque mesi fa parlano di 9,5 miliardi di investimenti
l'anno, con un picco di 11 miliardi nel 2016. Con debiti industriali che sforano i 10 miliardi, i margini di
manovra appaiono limitati. Tanto più che Fiat, la parte più bisognosa di risorse, non può attingere alla cassa
di Chrysler. La cosiddetta clausola di "ring fencing", contenuta nei regolamenti di alcune emissioni di bond
della casa Usa, impedisce ogni trasferimento dall'azienda americana a quella italiana. Marchionne spera di
riuscire a rimborsare queste obbligazioni entro la fne del 2016, ma prima di allora dovrà trovare sul mercato i
fondi di cui ha bisogno. Va ricordato, per fare un esempio, che il rilancio di Alfa Romeo, con cinque nuovi
modelli entro il 2018, costerà almeno 5 miliardi di euro. È vero, lo sbarco a Wall Street darà maggiore visibilità
al gruppo e diventerà più facile intercettare i capitali indispensabili per sostenere piani tanto ambiziosi. D'altra
parte, però, la nuova Fca deve far ancora molta strada per recuperare il divario che la separa dalle altre
maggiori case automobilistiche. Come dimostrano i report sfornati quasi quotidianamente dalle banche
d'affari, il marchio Fiat, per quanto unito a Chrysler, fa più fatica dei concorrenti a convincere il mercato. Non
per niente, subito dopo il debutto sul listino a New York, Marchionne farà un tour da piazzista «valigetta in
mano» (parole sue) con l'obiettivo di conquistare la fducia dei grandi investitori. Nell'immediato il gruppo
cercherà di piazzare le azioni proprie in portafoglio, quelle cedute dai soci che hanno esercitato il recesso,
decidendo di non partecipare alla fusione con Chrysler deliberata ad agosto. Saranno al massimo 60 milioni
di titoli per un incasso che diffcilmente supererà i 500 milioni. Gli analisti però si attendono una manovra di
ben altra portata. A dispetto delle ripetute smentite di Marchionne non sembra ancora del tutto tramontata
l'ipotesi di un aumento di capitale. Il trasferimento della sede legale ad Amsterdam consentirebbe al socio di
controllo, la holding Exor degli Agnelli, di partecipare solo in parte all'operazione senza diluire troppo la
propria quota del 30 per cento, che può valere fno al 46 per cento grazie al meccanismo del voto doppio
previsto dalle legge olandese. L'alternativa sarebbe quella del cosiddetto convertendo, un prestito
obbligazionario che alla scadenza viene obbligatoriamente trasformato in azioni. A fne mese, quando il board
di Fca si riunirà per approvare i conti del terzo trimestre, potrebbe forse arrivare qualche indicazione sulle
prossime mosse del gruppo. Non c'è più molto tempo. Gli investitori chiedono segnali chiari. Oppure c'è il
rischio che, nell'attesa, la favola di Cenerentola a Wall Street resti senza lieto fne.
Foto: SERGIO MARChIONNE
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Economia / Follow the Money
10/10/2014
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Pag. 49
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Caro Piketty, di Marx non hai capito niente
L'economista francese dice di voler rivalutare la storia contro la teoria. Ma proprio non vede come si è
trasformato il capitalismo
Giuseppe Berta
È diffcile per uno studioso di storia non sentirsi confortato quando intraprende la lettura della ponderosa
opera di Thomas Piketty. Fin nell'introduzione scrive infatti che «la disciplina economica non è mai guarita
dalla sindrome infantile della passione per la matematica e per le astrazioni puramente teoriche, sovente
molto ideologiche, a scapito della ricerca storica e del raccordo con le altre scienze sociali». Poco oltre
Piketty rincara la dose, confessando di ammirare Lucien Febvre e Fernand Braudel, Claude Lévi-Strauss e
Pierre Bourdieu più di Robert Solow o di Simon Kuznets. Sembra davvero che il problema per lui sia di
riconciliare l'economia con le scienze sociali, un compito che diviene possibile se la ricerca torna a
concentrarsi sul «tema della distribuzione delle ricchezze e delle classi sociali», ripristinando le questioni che
una volta «fguravano ai primi posti» nei programmi d'indagine di storici e socio logi. L'errore dell'economia è
stato di «scindersi dalle altre discipline delle scienze sociali, poiché non può che svi lupparsi nel loro ambito».
Ecco perché il suo "Capitale nel XXI secolo" ambisce ad essere «sia un libro di storia sia un libro di
economia». Espressioni forti che richiamano alla memoria del lettore le indicazioni di metodo offerte nel 1942
da uno dei maggiori economisti del Novecento, Joseph A. Schumpeter, a una economista americana, Edna
Lonegan, che gli aveva chiesto consiglio per la propria formazione. Bisognava concedere «più spazio» alla
storia nel corredo intellettuale degli economisti, aveva detto Schumpeter, perché senza «un solido ancoraggio
nella storia» non ci può essere buona teoria economica. Peccato che Piketty (non Schumpeter) si sia spinto
un po' troppo in là ri spetto alle sue realizzazioni effettive: per i lettori di estrazione storica il suo libro ha in
serbo non poche delusioni. La più grave giunge alla p. 352, quando l'eco nomista francese prende di petto
Marx e lo accusa di non aver compreso che la forte intensità di capitale (non capitali stica, come riporta
erroneamente la traduzione italiana) sia una caratteristi ca di tutta l'industria inglese della sua epoca.
Secondo Piketty, Marx incorre in un errore che avrebbe potuto facilmente evitare, se solo avesse confrontato
«tra loro anche poche decine di bilanci d'impresa». E qui lo storico davvero trasecola: come avrebbe potuto
fare il povero Marx a procurarsi dei bilanci aziendali nell'Inghilterra del 1850-60? L'unico che poteva aiutarlo
era il suo amico Engels, che per tanti anni lavorò in un cotonifcio partecipato dalla sua famiglia, la ditta
Ehrmen&Engels di Manchester; diversamente non c'era modo di accedere alla contabilità d'impresa. Può
darsi che un economista consideri questo alla stregua di un peccato veniale. Ma uno storico no, perché
sarebbe come obiettare a Marx di aver perso tante ore nella grande sala circolare della British Library quando
se la sarebbe potuta cavare in fretta ricorrendo a Google. Ecco, nonostante tutto, leggendo Piketty non si
riesce a sfuggire all'impressione che la sua analisi manchi di fondamenti diacronici e che di fatto sia calata in
una sorta di eterno presente, dove ieri è uguale a oggi e sarà probabil mente uguale a domani, perché lo
scorrere del tempo non genera in fondo differenze fondamentali. l'amore Per Balzac e per i suoi personaggi
non basta a risolvere il nodo del legame con la storia, che resta irrisolto. Piketty, in realtà, non lascia scorgere
le articolazioni concrete della società attraverso le cifre delle sue serie statistiche. E non prova a spiegare come invece hanno tentato di fare Nouriel Roubini e Stephen Mihm (col loro "La crisi non è fnita", Feltrinelli
2010) - perché la globalizzazione odierna riporti d'attualità andamenti economici tipici della globalizzazione di
fne Ottocento. Il proflo dei gruppi sociali e delle loro dinamiche in rapporto alla concentrazione della ricchezza
non s'intravede, rimane purtroppo opaco. Non c'è una possente rappresentazione come quella di Keynes a
identifcare le fgure del processo economico: capitalisti, rentiers e lavoratori restano sullo sfondo, senza mai
comparire davvero sulla scena. Forse per questo la vasta ricerca di Piketty si rivela alla fne povera di
indicazioni politiche originali.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Attualità Dibattito
SCENARIO PMI
9 articoli
10/10/2014
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Bonomi: «Tasse al 66% Competitività a rischio per le nostre imprese»
Matteo Trebeschi
«Le aziende - sostiene Aldo Bonomi - sono fatte di persone capaci. Ed è per questo che continuo a investire
qui». Ieri, di fronte agli studenti della facoltà di Economia di Brescia, il vicepresidente di Confindustria ha
elogiato la professionalità degli imprenditori italiani e dei loro dipendenti, ma ha raccontato anche cosa vuol
dire passare sotto le «forche caudine» della burocrazia nostrana. Lui ha impiegato 9 anni per aprire lo
stabilimento di Gussago (quello visitato dal premier Renzi): «E se paghiamo il 66% di tasse mentre in
Germania sono al 32, mi dite come facciamo a essere competitivi?». L'errore, secondo l'industriale bresciano,
è stato quello di «abbandonare la politica a gente poco lungimirante». In questo modo «altri hanno deciso le
regole con cui oggi noi dobbiamo confrontarci». Imposte e mancate riforme non appesantiscono solo la corsa
del manifatturiero italiano, ma anche la possibilità per i giovani di trovare lavoro. «Continuate a studiare, voi
siete il nostro futuro» è stato l'invito di Bonomi ai laureandi.
Al dibattito ha partecipato anche Marco Bonometti, che è tornato a parlare dello slittamento del patto per
Brescia tra Aib e sindacati. «Chi assume - ha detto il leader degli industriali - fa un investimento. Il suo
obiettivo non è quello di licenziare. Ciò che serve è creare opportunità di lavoro. È questa la chiave di volta.
Perciò mi auguro che ognuno si assuma le proprie responsabilità».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: I mprenditori Aldo Bonomi (a sinistra), titolare delle omonime rubinetterie, col presidente Aib Marco
Bonometti: ieri hanno incontrato gli studenti di economia dell'Università
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La lezione ad Economia
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 16
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Servizi e territorio urbano, ecco la ricchezza del futuro»
L'APPELLO Il leader delle gestioni integrate lancia un manifesto in difesa delle aziende contro la finanza che
cancella il valore dell'industria e delle Pmi IL RICORDO «Luigi Einaudi nel 1960 invitava la politica ad aiutare
e non a intralciare lo spirito d'impresa: da allora le cose sono andate solo peggio»
Francesco Benucci
NAPOLI
Alfredo Romeo è uno dei maggiori esperti nella gestione di grandi patrimoni urbani, di property, facility e road
management. Un innovatore: l'ultimo suo prototipo gestionale, il "Modello Insula", è destinato a
riqualificazione e sviluppo dei servizi auto-sostenibili degli enti locali: uno strumento operativo per le
Amministrazioni locali senza risorse o sull'orlo del dissesto.
«Nelle societa avanzate dell'Occidente ma non solo, con le quali il nostro Paese si integra e compete spiega l'imprenditore - il ruolo strategico di aziende di servizi come le mie, che operano a supporto del
pubblico, e quello di soddisfare i bisogni del cittadino con elevati standard qualitativi, all'interno di processi
economici autofinanziati o che, comunque, ottimizzano le limitate risorse pubbliche, come solo la continua
innovazione di un efficiente e specializzato approccio professionale privato puo garantire».
«Un tale schema però - continua Romeo - che diviene garante di parte importante della qualita della vita
della collettivita, per essere compiutamente sviluppato necessita di una "vision strategica complessiva dei
problemi" che oggi sembra del tutto mancare alla Politica, soprattutto a livello locale dove, imbevuta di
ideologia, autoreferenzialita e timori, spesso non e piu in grado di "fare", "scegliere", perseguire in tempi certi
risultati concretamente misurabili dalle persone, nel rispetto di irrinunciabili criteri di efficienza e
sussidiarieta».
«E cio - sottolinea Romeo - invece che promuovere l'indispensabile sviluppo dei servizi a sostegno della
qualita urbana e territoriale, e del nostro vivere quotidiano, ne compromette sempre di piu un possibile
efficientamento, con il proliferare di improponibili costi improduttivi, in danno delle limitate risorse disponibili».
Avvocato, qualche esempio? «Due, per lo specifico settore di cui mi interesso. A Milano, il sindaco Pisapia
inventa la soluzione Metropolitana Milanese (che fa un altro mestiere) per la gestione delle case popolari
finora affidate con esiti disastrosi all'Aler. Morale: invece di incoraggiare chi possiede know-how, potendo
anche pretendere adeguati livelli di responsabilita sui risultati, ci si affida a chi non ce l'ha nell'astratto e
anacronistico principio che "pubblico e bello". A Napoli, invece, alla scadenza del contratto con noi per la
gestione del patrimonio immobiliare comunale (dicembre 2012), in luogo di una gara internazionale per la
selezione di un nuovo partner privato di settore, si sceglie di "internalizzare il servizio"affidandolo alla azienda
partecipata Napoli Servizi (che non ha mai fatto questo mestiere) registrando a distanza di due anni il ben
prevedibile calo di quasi il 70% degli incassi annui per canoni, la quasi totale assenza di manutenzione degli
immobili e il blocco delle dismissioni come pubblicamente riconosciuto da un imbarazzato direttore della
Napoli Servizi. Uno stallo che stride con gli impegni assunti dal Comune nel piano di riequilibrio decennale
adottato per accedere alle procedure di predissesto che prevede invece un sostanziale apporto di ricavi
proprio dalle dismissioni».
È un giudizio duro, quello di Romeo, su tecnicalità e vision delle amministrazioni comunali. «Ma questo spiega - è il punto: la politica soprattutto sul territorio non approfondisce, non progetta e sceglie in base a
criteri di astratto o presunto istantaneo consenso mediatico e populistico, e non rispetto a una concreta e
stabile prospettiva di sviluppo e crescita della collettivita che rappresenta. Invece si tratta di capire che Paese
vogliamo essere di qui a trent'anni, su quali risorse possiamo fare affidamento, come dobbiamo trasformare
mentalita e cultura degli apparati statali. Luigi Einaudi nel 1960, durante la visita a una fabbrica, pronuncio
queste parole: "...migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che
noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Sviluppo. Alfredo Romeo: servono nuove regole nei rapporti tra Pa e imprese
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 16
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
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soltanto la sete di denaro". Ebbene, in 54 anni lo Stato si e allontanato e non avvicinato a questo spirito e a
queste imprese. Con rischi di corruzione altissimi - come spiega il presidente Cantone - dovuti molto al
reticolo inestricabile e contraddittorio di norme».
Che fare? Secondo Romeo andrebbe intanto riformulata dalle fondamenta la partnership tra pubblico e
privato: «Solo così si possono recuperare risorse per riavviare l'economia. Un mercato vero per imprese
soffocate, invece, dal corto circuito determinato dal sopravvento della finanza sull'impresa. Sgr e Fondi, per
esempio, che dovrebbero gestire i risparmi dei cittadini, si avventurano sul fronte dei servizi, cercando di fare
in proprio, e male, quello che toccherebbe ad altri. La finanza che scassa tutto e un tumore che divora risorse
e competenze. Il primato invece deve tornare allfindustria. Quando Renzi non va a Cernobbio, ma visita una
fabbrica di rubinetti e il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, lo affianca, sottolineano entrambi proprio
questo. Ecco, anche noi siamo quelli che "fanno i rubinetti". Noi siamo industria, l'industria dei servizi, che va
difesa, sostenuta e rilanciata».
Un quadro fosco ma, secondo Romeo, non privo di novita interessanti: «In questi giorni, a proposito del
Decreto Sblocca Italia, si è parlato di una strategia che va nella direzione che indico: l'ipotesi è di creare
domanda interna attraverso l'individuazione di comunità di utenti omogenee, che possano chiedere servizi
concordati al mercato privato, in cambio di riduzione o di azzeramento dei tributi relativi a quei servizi.
Sarebbe una rivoluzione: aprirebbe nuovi mercati e obbligherebbe i cittadini alla responsabilità sulla gestione
del territorio, che è in assoluto il mercato del futuro. Ma tra il dire e il fare!... Ancora un esempio da Napoli: noi
avevamo proposto un progetto basato sugli stessi concetti, l'Insula dell'Antica Dogana, in un'area cruciale
della città. Il Comune non ci ha nemmeno risposto, nonostante riqualificazione del territorio e
sperimentazione del modello prevedessero un nostro investimento a titolo gratuito di sei milioni. Ora, invece,
lo stesso Comune prospetta una spesa diretta di oltre due milioni in un'area meno strategica, affidandosi a
competenze tutte da valutare. Perché?».
«Da napoletano e imprenditore - incalza Romeo - sono ferito da come e ridotta la citta, ma alcune cose si
potevano evitare. Ad esempio: abbiamo chiuso il nostro contratto di gestione con dismissioni da record (oltre
108 milioni in otto mesi) ed entrate da canoni per 40 milioni di euro all'anno. Potrei aggiungere che i piani
presentati avrebbero garantito entrate per il Comune di 160 milioni nel 2013, 140 nel 2014, e circa 90 per il
2015. Oggi il Comune non arriva a un terzo degli incassi annuali da canone. Chiedo di nuovo, perché? Il fatto
è che la politica è diventata interdittiva e non progettuale. Come interdittiva e diventata la Giustizia, che opera
per ipotesi di reato le quali - come spesso si e visto in questi anni -vengono smontate da un sistema di
garanzia che per fortuna regge ancora. Ma per quanto? E a che prezzo per cittadini, imprese e sistema
economico? Per questo la riforma della magistratura - come ha raccomandato pochi giorni fa il presidente
Napolitano - si impone, soprattutto in termini di competenza individuale. Diversamente sviluppo e
modernizzazione restano sogni».
Questo il quadro generale, e le soluzioni? «Deve esserci certezza delle norme: il caos amministrativo è
determinato da margini interpretativi che azzerano la volonta del Legislatore. Poi va frenata la catena di
ricorsi fatti solo per bloccare la concorrenza. E soprattutto, ogni riforma dev'essere accompagnata da una
stringente norma applicativa che ne delinei il percorso in termini di risultati temporali, con il ripristino
categorico del principio di responsabilita su tutti i fronti, dall'imprenditore al magistrato».
E la leva economica del governo del territorio? Qui Romeo lancia un'altra provocazione: «Facciamo le citta
metropolitane, ma a che cosa servono? Come possono garantire nei prossimi 20 anni piu qualità ai loro
abitanti? Si risparmia? Io dico di no, senza progetti concreti, soldi certi, responsabilità chiare; e se un
amministratore non è davvero competente e il suo ufficio non sa strutturare il percorso di una pratica o di un
disegno esecutivo».
Conclusione: secondo Romeo, contro la crisi, servono più privato e più servizi sul territorio, come volani
strategici per la crescita e lo sviluppo del Paese. Con un importante distinguo: «Qualche giorno fa ho letto
una bella intervista al presidente della Consip, Domenico Casalino. Il suo ragionamento sul controllo della
10/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 16
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
spesa e sui risultati ottenuti era impeccabile. Mancava però una sottolineatura: la qualita dei servizi offerti.
Infatti, solo utilizzando questo parametro si possono riscontrare reale efficacia ed economicita dei servizi, che
per loro natura, invece, possono nascondere sprechi dietro risparmi solo apparenti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'IDENTIKIT
L'imprenditore
Alfredo Romeo (nella foto in alto) fonda nel 1979 la Romeo Immobiliare, nel 1985 la società finanziaria
Romeo Investimenti, nel 1989 la Romeo Gestioni e nel 2001 la Romeo Alberghi e la Romeo Partecipazioni
costruendo così il Gruppo Romeo, che rappresenta oggi la prima realtà in Europa nell'offerta di servizi
integrati ai Patrimoni Immobiliari.
La società
Romeo Gestioni cura e gestisce 250 mila unità immobiliari e offre servizi ad oltre 1.500.000 persone. Il valore
della produzione nel 2013 ha superato i 250 milioni. Il valore complessivo del patrimonio affidato in gestione
supera i 14,5 miliardi. Il valore del portafoglio immobiliare affidato per la vendita supera 1,5 miliardi. Romeo
Gestioni cura attualmente servizi di facility per 46 milioni di metri quadrati. Tra i principali clienti di quest'area
il Quirinale , il Senato, Palazzo Chigi, il ministero dell'Economia, la sede centrale della Corte dei Conti a
Roma, il Palazzo di Giustizia, e tutte le altri sedi giudiziali, di Napoli.
10/10/2014
ItaliaOggi
Pag. 25
(diffusione:88538, tiratura:156000)
L'obiettivo è catturare una fascia di mercato pari al 5% del totale
ENRICO SBANDI
Fanno decisamente gola quei 6,5 milioni fra professionisti e partite Iva, che quasi tutti vanno ancora in
concessionaria, provano vari modelli, scelgono l'auto e poi se la intestano. I «piccoli» sono inquadrati dalle
compagnie come un target da 5% del mercato. Non è poco. La penetrazione della formula noleggio a lungo
termine in questo panorama, particolarmente interessante per le compagnie, è sempre stata del tutto
marginale, al contrario della quasi saturazione, vicina al 90%, che esiste ormai a livello delle imprese di
grandi e medio grandi dimensioni. Lo switch dalla proprietà al noleggio dei «piccoli», insomma, resta la sfida
più interessante. Anche se comporta una serie importante di peculiarità organizzative che differenziano le
tipologie di servizi destinate ai grandi clienti, storici utenti del «lungo termine» rispetto a quelle che possono
rendere la formula del renting più gradita a professionisti e pmi. Fra le resistenze, più che altro psicologiche,
che tuttora tengono ancorate certe fasce di potenziale clientela alla proprietà diretta, c'è la percezione seppure in rapida evoluzione dell'automobile come un bene e non come un servizio, con tutto ciò che ne
consegue nella gestione dell'usato. Il cliente si trova di fronte al dilemma: se acquisto una vettura nuova,
magari il concessionario prenderà in permuta la mia vecchia, ma se mai dovessi scegliere una formula
diversa, come farò a disfarmi del mio usato? Da questi presupposti parte il ragionamento che ha portato
LeasePlan a sviluppare un nuovo servizio, espressamente destinato a professionisti e piccola e media
impresa. Si chiama «Formula Permuta» e già il nome ne esprime chiaramente il vantaggio: consente di
passare al noleggio a lungo termine in modo più semplice, per un target che, in passato, ha sempre visto
nella rivendita dell'usato un ostacolo considerevole nello scegliere soluzioni di mobilità alternative alla
proprietà. LeasePlan Italia gestisce una flotta di circa 110 mila veicoli su strada, con una quota di mercato del
18% circa. È controllata da LeasePlan Corporation, operatore leader a livello mondiale, con oltre1.3 milioni di
veicoli gestiti in 32 differenti paesi. La Formula Permuta è proposta da LeasePlan in collaborazione con BCA,
leader europeo nelle aste di auto usate. Ecco come funziona: il cliente interessato a valersi di una vettura con
il noleggio a lungo termine, ma che dispone di un veicolo di proprietà, ha modo di rivendere con semplicità e
rapidamente la sua vecchia vettura, alle migliori condizioni di mercato. A queste, si aggiunge il vantaggio di
poter utilizzare l'importo ricavato come meglio desidera: può incassare e destinarlo alla propria attività,
oppure adoperarlo come anticipo per passare al noleggio. Tempi rapidi e semplicità sono elementi chiave
della soluzione. Attraverso un intuitivo form online il cliente fornisce tutte le informazioni sulla propria vettura e
riceve, entro le 24 ore, la valutazione dell'usato. A ciò si aggiunge la convenienza, perché in caso di rivendita
a un valore superiore rispetto alla valutazione iniziale, l'intero importo sarà riconosciuto al cliente. «Negli
ultimi anni, il canale delle piccole e medie imprese si è notevolmente evoluto, è molto più informato,
aggiornato e accede al servizio anche tramite canali, che solo 5 anni fa, erano totalmente inusuali, come
appunto le App attraverso l'utilizzo di smartphone e il web», spiega Gavin Eagle, direttore commerciale Italia
del gruppo Leaseplan. «Questo particolare tipo di clientela ha bisogno di un interlocuzione completamente
differente per cui un approccio unico sarebbe certamente un errore. Abbiamo un team di esperti specializzati
nella vendita del noleggio a piccole e medie imprese e a professionisti con partita Iva, in grado di dialogare
con loro comprendendone bisogni e necessità per trovare la soluzione di noleggio che meglio gli si addice. Il
team», conclude Eagle, «si divide in diretto e indiretto, quest'ultimo a sua volta è differenziato in professionisti
che seguono i broker e professionisti che seguono i dealer». (riproduzione riservata)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
52
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SI PUNTA ALLE PMI E AI PROFESSIONISTI
10/10/2014
ItaliaOggi
Pag. 48
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Navi militari Alleanza italiana
Alleanza tra Fincantieri e Finmeccanica nel business delle navi militari. In occasione del varo del
sommergibile «Pietro Venuti» le due aziende hanno fi rmato un accordo di collaborazione nel settore delle
costruzioni navali militari «con l'obiettivo di aumentare la competitività sui mercati nazionali ed esteri,
attraverso una più effi cace ed effi ciente offerta integrata dei prodotti delle due società». La collaborazione si
svilupperà sfruttando le sinergie tecniche e commerciali tra l'unità di business Navi militari di Fincantieri e le
aziende del gruppo Finmeccanica (le controllate Selex Es, Oto Melara, Wass e la joint venture Mbda Italia).
Fincantieri agirà da interfaccia unico verso il cliente, consentendo, al contempo, di valorizzare l'offerta dei
prodotti di Finmeccanica in ambito navale. L'accordo prevede anche una collaborazione nelle attività di
ricerca e innovazione e la creazione di una rete comune di fornitori di prodotti e componenti di base, per
ottenere sinergie e contribuire allo sviluppo delle eccellenze tecnologiche delle pmi. © Riproduzione riservata
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
53
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EXPORT
10/10/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Alberto Battaglia
Assieme per diventare più competitivi nelle costruzioni navali militari: Fincantieri e Finmeccanica sono pronte
a integrare l'offerta di prodotti delle rispettive società. La collaborazione, che secondo quanto raccolto da MFDowJones dovrebbe valere un giro d'affari annuo di 1,5 miliardi, si svilupperà sfruttando le sinergie tecniche e
commerciali tra l'unità business delle navi militari di Fincantieri e le aziende del gruppo Finmeccanica, che
detengono competenze distintive nei sistemi di combattimento, nell'elettronica e nei sistemi d'arma navali e
subacquei. Considerato che tradizionalmente le Marine privilegiano il rapporto con il cantiere, Fincantieri
agirà da interfaccia unico verso il cliente, consentendo di valorizzare l'offerta dei prodotti di Finmeccanica in
ambito navale. Prevista è anche una collaborazione nelle attività di ricerca e innovazione per razionalizzare
gli investimenti, anche attraverso la promozione di attività congiunte di studio. Inoltre, Fincantieri e
Finmeccanica vaglieranno anche la possibilità di creare una rete comune di fornitori di prodotti e componenti
di base. Lo scopo è ottenere migliori sinergie e di contribuire allo sviluppo delle eccellenze tecnologiche delle
piccole e medie imprese italiane, garantendone la crescita sia dal punto di vista dimensionale che dello
sviluppo scientifico e qualitativo dei prodotti. «In questo modo intendiamo delineare un sistema industriale
realmente integrato, che conta su un volume d'affari annuo superiore al miliardo e mezzo di euro e che è in
linea con le dimensioni dei principali concorrenti internazionali», ha commentato l'ad di Fincantieri, Giuseppe
Bono. Per l'ad e direttore generale di Finmeccanica, Mauro Moretti, «l'accordo costituisce una rilevante
opportunità per rafforzare il posizionamento sui mercati internazionali delle eccellenze tecnologiche dei due
gruppi» nel quale «Finmeccanica metterà a disposizione competenze, prodotti e tecnologie nei sistemi di
combattimento, d'arma e di sorveglianza, con l'obiettivo di definire un'offerta integrata e competitiva in grado
di soddisfare al meglio i requisiti dei diversi clienti». La notizia è arrivato lo stesso giorno in cui il tribunale di
Busto Arsizio ha condannato a due anni l'ex amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e l'ex
ad di AgustaWestland, Giuseppe Spagnolini, sono stati, anche se solo per l'accusa di false fatturazioni,
mentre è decaduta la tesi dell'accusa sulla presunta corruzione internazionale per una tangente pagata a
pubblici ufficiali indiani. La borsa ieri non ha premiato i titoli delle due società: Finmeccanica ha perso il 3,6%
a 6,8 euro, mentre Fincantieri ha chiuso in calo dello 0,5% a 0,6 euro. (riproduzione riservata)
FINCANTIERI 9 lug '14 9 ott '14 0,60 0,70 0,65 0,75 quotazioni in euro 0,67 € -0,52% IERI
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
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Fincantieri e Finmeccanica uniscono le forze per la nautica militare
10/10/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 34
(diffusione:104189, tiratura:173386)
L'obiettivo è catturare una fascia di mercato pari al 5% del totale
ENRICO SBANDI
Fanno decisamente gola quei 6,5 milioni fra professionisti e partite Iva, che quasi tutti vanno ancora in
concessionaria, provano vari modelli, scelgono l'auto e poi se la intestano. I «piccoli» sono inquadrati dalle
compagnie come un target da 5% del mercato. Non è poco. La penetrazione della formula noleggio a lungo
termine in questo panorama, particolarmente interessante per le compagnie, è sempre stata del tutto
marginale, al contrario della quasi saturazione, vicina al 90%, che esiste ormai a livello delle imprese di
grandi e medio grandi dimensioni. Lo switch dalla proprietà al noleggio dei «piccoli», insomma, resta la sfida
più interessante. Anche se comporta una serie importante di peculiarità organizzative che differenziano le
tipologie di servizi destinate ai grandi clienti, storici utenti del «lungo termine» rispetto a quelle che possono
rendere la formula del renting più gradita a professionisti e pmi. Fra le resistenze, più che altro psicologiche,
che tuttora tengono ancorate certe fasce di potenziale clientela alla proprietà diretta, c'è la percezione seppure in rapida evoluzione dell'automobile come un bene e non come un servizio, con tutto ciò che ne
consegue nella gestione dell'usato. Il cliente si trova di fronte al dilemma: se acquisto una vettura nuova,
magari il concessionario prenderà in permuta la mia vecchia, ma se mai dovessi scegliere una formula
diversa, come farò a disfarmi del mio usato? Da questi presupposti parte il ragionamento che ha portato
LeasePlan a sviluppare un nuovo servizio, espressamente destinato a professionisti e piccola e media
impresa. Si chiama «Formula Permuta» e già il nome ne esprime chiaramente il vantaggio: consente di
passare al noleggio a lungo termine in modo più semplice, per un target che, in passato, ha sempre visto
nella rivendita dell'usato un ostacolo considerevole nello scegliere soluzioni di mobilità alternative alla
proprietà. LeasePlan Italia gestisce una flotta di circa 110 mila veicoli su strada, con una quota di mercato del
18% circa. È controllata da LeasePlan Corporation, operatore leader a livello mondiale, con oltre1.3 milioni di
veicoli gestiti in 32 differenti paesi. La Formula Permuta è proposta da LeasePlan in collaborazione con BCA,
leader europeo nelle aste di auto usate. Ecco come funziona: il cliente interessato a valersi di una vettura con
il noleggio a lungo termine, ma che dispone di un veicolo di proprietà, ha modo di rivendere con semplicità e
rapidamente la sua vecchia vettura, alle migliori condizioni di mercato. A queste, si aggiunge il vantaggio di
poter utilizzare l'importo ricavato come meglio desidera: può incassare e destinarlo alla propria attività,
oppure adoperarlo come anticipo per passare al noleggio. Tempi rapidi e semplicità sono elementi chiave
della soluzione. Attraverso un intuitivo form online il cliente fornisce tutte le informazioni sulla propria vettura e
riceve, entro le 24 ore, la valutazione dell'usato. A ciò si aggiunge la convenienza, perché in caso di rivendita
a un valore superiore rispetto alla valutazione iniziale, l'intero importo sarà riconosciuto al cliente. «Negli
ultimi anni, il canale delle piccole e medie imprese si è notevolmente evoluto, è molto più informato,
aggiornato e accede al servizio anche tramite canali, che solo 5 anni fa, erano totalmente inusuali, come
appunto le App attraverso l'utilizzo di smartphone e il web», spiega Gavin Eagle, direttore commerciale Italia
del gruppo Leaseplan. «Questo particolare tipo di clientela ha bisogno di un interlocuzione completamente
differente per cui un approccio unico sarebbe certamente un errore. Abbiamo un team di esperti specializzati
nella vendita del noleggio a piccole e medie imprese e a professionisti con partita Iva, in grado di dialogare
con loro comprendendone bisogni e necessità per trovare la soluzione di noleggio che meglio gli si addice. Il
team», conclude Eagle, «si divide in diretto e indiretto, quest'ultimo a sua volta è differenziato in professionisti
che seguono i broker e professionisti che seguono i dealer». (riproduzione riservata)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/10/2014
55
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
SI PUNTA ALLE PMI E AI PROFESSIONISTI
10/10/2014
L'Espresso - N.41 - 16 ottobre 2014
Pag. 130
(diffusione:369755, tiratura:500452)
MANUFACTURING 2.0
Meno imprese di famiglia e più mercato. Capitale umano col pallino per l'hi-tech. Banche che sostengono
l'internazionalizzazione. Dal Veneto al Friuli, le fabbriche cambiano faccia. E ripartono. Verso l'Est e il
Sudamerica
MAURIZIO MAGGI
All'Università Ca' Foscari di Venezia, Stefano Micelli insegna "International Management". La cattedra si
chiama così anche perché il corso si tiene in inglese. Viene quindi naturale, a Micelli - che è anche direttore
scientifco della Fondazione Nord Est - sottolineare quanto sia importante l'internazionalizzazione, per
risollevare le sorti dell'economia triveneta. «Insieme alla bravura degli studenti e alla grande spinta
all'innovazione, radicare la presenza all'estero in forma strutturata è una delle frecce che il Nord Est può
scoccare col suo arco», sostiene il professore. Secondo il quale, non basta più soltanto esportare: «Ci vuole
una presenza effettiva, con la garanzia del servizio e la vendita attraverso stabili fliali estere». Gli fa eco
Marco Fortis, presidente della Fondazione Edison che, insieme alla Gea, ha appena presentato i dati sulle
esportazioni dei 99 distretti industriali italiani, e invita a non insistere sulle dimensioni delle imprese del Nord
Est. «Il dibattito sulla necessità di aggregarsi è un po' tirato per i capelli. Qualcosa accade, la Confndustria
spinge sulle reti d'impresa, si stringono parecchi accordi consortili, però non vedo una grande mutazione
genetica secondo la quale le piccole aziende si riuniscono, si aggregano. Per le ditte davvero piccole, sotto i
20 addetti, non c'è spazio per questo tipo di aggregazioni. Impiegherebbero meno tempo a cambiare del tutto
la propria attività, prima di fondersi. Mentre quelle più strutturate, dai 50 ai 250 dipendenti, mediamente
hanno ottime performance e non avvertono questa esigenza alle fusioni che molti economisti "sentono" a
tavolino», sostiene Fortis evidenziando come ci siano centinaia di ditte che non arrivano a 30 addetti ma in
compenso esportano in oltre 30 mercati. «Non possiamo pensare di fare come la Germania, dove i primi dieci
gruppi esportatori rappresentano l'80 per cento dell'export tedesco: con i primi 10 italiani arriviamo al 5 per
cento. Certo, sarebbe bene che il numero di esportatori strabili crescesse, avendo in testa una adeguata
strategia e con un personale adeguato. Il ministero dello Sviluppo economico, di concerto con gli enti locali, la
Sace, le organizzazioni imprenditoriali, sta girando l'Italia con un road show per incontrare le piccole aziende,
per sensibilizzarle, per esempio, sull'importanza di avere all'interno un export manager. In alcuni casi un
dirigente del genere viene "prestato" per un certo periodo ed è già capitato che il piccolo imprenditore,
verifcandone sul campo l'utilità, lo abbia assunto. La conferma arriva dal campo. Racconta Federico Geremia,
titolare del San Marco Group di Marcon Venezia (220 dipendenti e 70 milioni di ricavi, per un quarto oltre
confne): «Gli imprenditori veneti sono stati dei grandi venditori, capaci di stare all'estero per settimane con la
valigetta in mano, magari senza sapere l'inglese. Oggi se non sei strutturato non reggi, non basta più la forza
di volontà e lavorare venti ore al giorno». Anche il presidente dei giovani imprenditori veneti della
Confndustria, il padovano Enrico Berto, mette sul piatto il tema dell'organizzazione: «I clienti di fascia alta dei
Paesi emergenti dell'Asia e del Sud America sono affascinati dal Made in Italy e possono dare grandi
soddisfazioni. Ma sono anche molto distanti e per raggiungerli ci vogliono una struttura solida e delle
dimensioni minime di un certo tipo». L'azienda dei Berto si chiama Berto's, ha un centinaio di dipendenti e
realizza oltre l'80 per cento dei 21 milioni di euro di fatturato vendendo all'estero le sue cucine per ristoranti e
alberghi. Indossando il cappello confndustriale per parlare delle mutazioni in atto, Berto dice che per
irrobustire le società anche gli imprenditori veneti si sono aperti alla fnanza: «Meno famiglia, più mercato,
insomma», dice sorridendo. In Borsa, dove contando tutti i segmenti del mercato azionario, le aziende del
triveneto sono una ventina, tutta questa apertura alla fnanza faticano a intravederla. Tra l'altro, il vero colosso
del Nord Est è sì quotato in Borsa, ma a Wall Street e si chiama Luxottica. Del fatto che il made in Italy
piaccia parecchio oltre confne ne è convinto anche Dennis Bordin, che i profli e i battiscopa della sua
Progress Profles di Asolo, Treviso, li vende sempre di più all'estero: «Il nostro export è in costante ascesa e
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Speciale Nordest
10/10/2014
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quest'anno varrà tra il 35 e il 40 per cento dei ricavi, che supereranno i 25 milioni. Abbiamo investito 11
milioni di euro nel nuovo stabilimento, assumiamo 5-10 persone l'anno e siamo orgogliosi di fare tutto in Italia,
anche se gli stati confnanti, Cina, Romania, Polonia, Turchia stendono i tappeti tossi a chi sposta da loro le
fabbriche». Aggiunge Daniele Marini, professore di Economia a Padova e direttore di Community Media
Research, quanto sia fondamentale, per le aziende più piccole «riuscire a entrare nella catena globale del
valore, nella fliera, essere fornitrici di altre imprese, magari di medie dimensioni però leader nel proprio
campo. Come a dire: rimango piccolo ma se rimango dentro questo circuito riesco comunque a sopravvivere
perché le altre mi aprono i mercati esteri. Nella prima metà del 2014 - quando ancora non si sentiva l'effetto
della guerra di sanzioni ed embarghi tra Unione europea e Russia - i principali distretti industriali del Nord Est
(tenendo conto anche di quelli dell'Emilia Romagna) hanno esportato per quasi 17 miliardi di euro, un miliardo
di euro in più rispetto al 2013. Il più pesante di tutti e 99, sotto l'aspetto dei numeri, è quello dell'occhialeria
del Cadore trainato dal colosso Luxottica, che ha venduto oltre confne per 1,30 miliardi, contro l'1,16
dell'anno scorso. Ma sono cresciute le macchine industriali di Padova, Treviso e Vicenza, i vini del Trentino e
della Valpolicella, le calzature di Montebelluna e del Brenta padovano e veneziano, gli apparecchi domestici
del trevigiano, i mobili di Livenza, il tessile-abbigliamento vicentino. Il manifatturiero triveneto che tiene botta e
ha un futuro è quello che ha saputo cambiare pelle, magari spinto dalla selezione provocata dalla crisi, è
l'opinione di Daniele Marini, di Community Media Research: «Il sistema manifatturiero di questo territorio era
storicamente votato alla produzione di beni fnali, con molti terzisti che lavoravano per un committente che in
genere vendeva prodotti fatti e fniti. Ora bisognerebbe sempre più spostarsi sui beni capitali, sulla produzione
di macchine, di software, quindi sulla parte di produzione poco aperta alla concorrenza di paesi come la Cina
o l'India», sostiene Marini. Micelli della Fondazione Nord Est sottolinea il fenomeno, in aumento, delle
sperimentazioni delle imprese che si cimentano con quello che defnisce nuovo manifatturiero, dove si cerca
di integrare il "saper fare" con la comunicazione, la tecnologia, la cultura, la capacità di personalizzazione.
«Sono certo che il successo di alcune iniziative metterà in moto quei meccanismi emulativi che spingeranno
tanti altri, oggi magari alla fnestra in attesa di capire la strada da imboccare». Cita due esempi, Micelli. La
"Fabbrica Lenta" di Giovanni Bonotto, «imprenditore globale di Marostica che ha riscoperto i tessuti per il
lusso con un raffinatissimo progetto che sposa artigianalitòà e arte contemporanea», e la HSL di Trento, che
stampa componenti per l'industria in 3D «e oggi è uno dei leader mondiali nella creazione di auto one-off,
pezzi unici su misura, realizzati con il digital manufacturing». Stessa zona ma business più tradizionale,
quello di Mauro Franzoni, patron della Levico Acque, che imbottiglia acqua minerale esclusivamente in vetro
a rendere, ci tiene a precisare, e ha investito, insieme agli enti locali della zona, oltre 2 milioni di euro per
ammodernare lo storico stabilimento dell'acqua che sgorga dalla fonte dell'Alta Valsugana. «Il mercato della
minerale è in calo ma noi più che sui volumi puntiamo sulla redditività», spiega Franzoni, sottolineando che la
sua acqua la si trova nei supermercati solo in Trentino, mentre nel resto d'Italia è distribuita porta a porta. Il
Triveneto vale l'80 per cento delle vendite della Levico. E se lassù a 1.600 metri, l'ansia da export è una
sensazione sconosciuta, Geremia del Gruppo San Marco, che le sue vernici le vende un po' ovunque,
compresi Nigeria e Kenya, ricorda la telefonata del suo cliente di Erbil, la città curda al centro della zona più
drammaticamente calda del pianeta, qualche settimana fa: «Mi sa che per il prossimo ordine dovrò aspettare
un po'». Foto: pagine 30 - 31: M. Lombezzi - Contrasto, pagine 32 - 33: A. Griesch - Finanzen Verlag Gmb Laif / Contrasto, P. Cerroni - Imagoeconomica, M. Lombezzi - ContrastoAvanti a piccoli passi Dati economici
del Triveneto (valori in milioni di euro) 2007 2013 Prodotto Interno Lordo (Pil) 208.166,4 190.401,3 Consumi
famiglie 118.201,7 110.648,9 Export 66.024,1 62.221,5 Investimenti 47.424,9 37.697,6 Fonte: Elaborazione
Uffcio Studi Cgia su dati Istat e Prometeia Da Udine al mondo Livello di apertura ai mercati esteri delle
imprese del Nord-Est Mercato domestico Apertura febile Apertura sostenuta (valori in %) 35,7 41,1 23,2
Trentino Alto Adige 45,8 25,7 28,5 Veneto 73,8 14,3 11,9 Friuli Venezia Giulia 53,2 22,3 24,5 Emilia
Romagna 47,6 27 25,4 Totale Nord-Est
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Fonte: Community Media Research-FriulAdria Crédit Agricole, aprile 2014. Numero casi: 1.149 Non solo
bollicine Fatturato delle imprese del settore agroindustriale nel 2013 (valori in %) Aumentato Stabile Diminuito
Saldo 39,3 46,4 14,3 Trentino Alto Adige +25% 34,4 45,5 20,1 Veneto +14,3% 18,6 44,2 37,2 Friuli Venezia
Giulia -18,6% 33,2 45,6 21,2 Totale Nord-Est +12% Fonte: Community Media Research-FriulAdria Crédit
Agricole, aprile 2014. Numero casi: 1.149
Foto: produzione alla veneta cucine di treviso
Foto: LA Geox dI MontebeLLunA; I teLAI benotto dI MoLVenA
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Banca Finanza - N.10 - ottobre 2014
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II modello di banca dei sindacati
Mentre l'accordo sembra ancora lontano, le rappresentanze sindacali avanzano una loro proposta per la
riorganizzazione del settore del credito.
MARIO LOMBARDO
Del contratto si parla, ma la firma non sembra dietro l'angolo. Da una parte le organizzazioni sindacali
chiedono di rivedere retribuzioni, organizzazione del lavoro, qualifiche del personale e tra l'altro anche gli
obiettivi e l'attività del sistema bancario italiano. Dall'altra l'Abi ribatte che i ricavi sono quello che sono ed è
estremamente difficile, nel momento che stiamo attraversando, che si possano mantenere ancora gli attuali
livelli occupazionali, anche in conseguenza del sempre più ampio utilizzo di tecnologie che possono in molti
casi sostituire il lavoro umano. Le parti restano distanti, come si poteva immaginare dal momento che
nell'incontro di giugno con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la delegazione dell'Abi aveva subito
fatto presente che gli istituti italiani si trovano a dover affrontare una «insostenibile situazione di disparità» sui
temi fiscali, quando si vogliono confrontare con le consorelle europee. La situazione del settore, secondo
l'associazione bancaria, potrebbe anche peggiorare come diretta conseguenza dell'applicazione della nuova
regolamentazione unica per tutte le banche europee. Quale sia la realtà delle banche italiane sarà chiaro tra
pochi giorni, quando nella seconda metà di ottobre l'analisi degli stress test applicati per Yasset quality review
verrà resa pubblica dalla Bce. Che ha già annunciato come le comunicazioni sui conti dei nostri istituti
verranno rese note di venerdì, a Borse chiuse e con due giorni davanti per elaborare i giudizi ed evitare che il
mercato reagisca in modo irrazionale. Perché solo tre (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Ubi) sono le banche
chiaramente al riparo da possibili speculazioni: le altre invece, a diverso titolo, devono restare in attesa del
giudizio della Banca centrale europea. Nel frattempo l'Abi fa notare come, in seguito all'accordo sul credito
2013, siano 27.151 le Pmi che hanno sospeso le rate dei propri finanziamenti nel periodo compreso tra
l'ottobre 2013 e il giugno 2014. Le operazioni di sospensione del pagamento dei ratei da parte dell'Abi ha un
controvalore complessivo di debito residuo di 9,7 miliardi di euro, mentre il rinvio dei pagamenti lascia a
disposizione delle imprese 1,2 miliardi, secondo i calcoli delle banche che mostrano da un lato la loro
disponibilità a offrire aiuto alle aziende in crisi, dall'altro come le loro entrate in questo modo si siano ridotte in
modo consistente. Al di là del bicchiere mezzo vuoto che vuole mostrare, la stessa Abi ammette che in alcuni
settori del mercato le cose non vanno poi così male. Ai primi di settembre l'associazione ha infatti rilevato
come il mercato dei mutui italiani stia ripartendo. Su un campione di 84 banche, pari all'80% del totale
italiano, tra gennaio e luglio le erogazioni di mutui hanno raggiunto i 14,6 miliardi, mentre l'anno scorso, nello
stesso periodo di tempo, era stata pari a 11,4 miliardi. Su base annua, per l'Abi l'incremento è del 29,2%
mentre la richiesta di mutui nell'agosto 2014 è cresciuta del 14,7% rispetto allo stesso mese del 2013, a
testimoniare che sembra davvero in atto una ripresa del mercato dei finanziamenti per l'acquisto di abitazioni.
SINDACATI UNITI Dal lato sindacale si è messa a punto addirittura una proposta unitaria dal titolo Per un
modello di banca al servizio dell'occupazione e del paese per discutere concretamente della piattaforma
rivendicativa e del contratto nazionale. Alla stesura hanno partecipato tutte le sigle (Fabi, Fiba Cisl, Fisac
Cgil, Uilca, Discredito, Ugl credito. Sinfub) e «siamo convinti che la ricetta per curare il nostro paese non sia
la compressione dei salari e dei posti di lavoro», ha detto Giulio Romani, segretario di Fiba Cisl, alla
presentazione del documento. «Occorre ripartire dalla ridistribuzione della ricchezza che l'Italia è ancora in
grado di produrre e le banche, in tal senso, hanno un ruolo determinante perché sono la leva attraverso cui
l'economia si rimette in moto», ha proseguito Romani. «Nel nostro paese, e non solo, negli ultimi anni le
banche si sono concentrate su attività commerciali che producono utili a breve periodo e attività finanziare
per utili di brevissimo periodo, e scelto il gruppo dirigente remunerandolo in modo esorbitante. Mantenere
questo modello è distruttivo per l'economia». CONTRO I SUPERCOMPENSl Al centro delle critiche del
sindacato è da tempo il taglio dei costi, che dovrebbe partire dalla riduzione dei compensi dei top manager,
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Risorse Umane / CONTRATTO / IL BRACCIO DI FERRO CONTINUA
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Banca Finanza - N.10 - ottobre 2014
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accusati di percepire in vario modo (benefit, azioni e così via) somme sproporzionate rispetto alle loro
effettive capacità. Ma occorre anche riqualificare il personale (i bancari italiani sono circa 310 mila),
soprattutto assumere giovani. Vi si potrebbe arrivare se si comprimessero per esempio i costi eccessivi delle
consulenze e si riducesse il numero delle poltrone all'interno dei consigli di amministrazione. Nei primi 15
gruppi italiani, quelli retti da un solo cda hanno mediamente 17,6 consiglieri; quelli dove vige il sistema
dualistico 27,3 tra gestione e sorveglianza. Dal confronto internazionale emerge una differenza significativa:
le prime 25 banche europee ne hanno in media 14,8, fanno notare i sindacati citando dati Bankitalia e
suggerendo la riduzione del numero complessivo dei cda e dei consiglieri, insieme al taglio dei compensi dei
top manager. FATTORI DI CAMBIAMENTO II settore bancario sta vivendo un processo di trasformazione
che dipende sia dalle nuove regolamentazioni europee e nazionali sia da profonde modifiche del modello di
business. Di conseguenza si è determinata una situazione in cui «la necessità di garantire la stabilità del
sistema sta pesantemente mettendo in discussione il ruolo di intermediazione del sistema bancario, come
elemento di sviluppo del sistema economico». Mentre le banche sembrano in grado di reagire solo con
modifiche marginali, dettate dalla congiuntura e inadeguate per aprire percorsi adatti al nuovo contesto. Sono
tre soprattutto i fattori ambientali esterni che stanno all'origine del cambiamento: le nuove necessità dei
clienti, l'impatto della nuova tecnologia informatica e delle tecniche di valutazione del credito, il confronto con
il livello di competizione che si è innalzato anche in conseguenza dell'intervento di operatori non finanziari.
Ma il settore fatica a ripensare al proprio ruolo e non è capace di reagire ai cambiamenti strutturali se non in
una logica di riduzione dei costi, con la drastica contrazione del numero degli sportelli e dei dipendenti. Per il
nuovo modello di banca, i sindacati non hanno trascurato di elencare dati economici di riferimento, dopo aver
ricordato che nei piani industriali di Unicredit e di Intesa Sanpaolo si prevede un utile per il settore già a
partire dal 2014, con risultati che dovrebbero essere triplicati nel 2017 e un Roe che, a fine periodo, dovrebbe
superare il 10% per tornare quindi ai livelli precedenti la crisi economica. Nonostante questo continua la
stretta creditizia delle banche nei confronti di imprese e famiglie: la riduzione media del credito prosegue a un
ritmo del 4% (il che significa meno 70 miliardi) su base annua, secondo i dati rilevati fino al dicembre 2013 da
Bankitalia. Aumenta la raccolta in favore del sistema bancario, sempre secondo dati di Bankitalia citati dai
sindacati, con un tasso di crescita del 5% (circa 60 miliardi) riferito al 2013 per quanto riguarda i depositi
presso le banche dei residenti. In Italia però le «attività sottostanti a contratti derivati» sono di circa 200
miliardi, rispetto ai 5.854 dei primi 15 gruppi bancari europei; quindi a riguardo il numero dei contratti italiani
risulta largamente inferiore a quello delle banche tedesche e francesi, fanno notare i sindacati, questa volta
citando come fonte la Banca dei regolamenti internazionali. Il documento sindacale riconosce che, in
confronto a quanto avviene nel contesto internazionale, il sostegno pubblico alle nostre aziende di credito è
stato contenuto. Sostiene però: «la banca commerciale, quando gestita in modo efficiente, produce ricavi e la
forza del nostro sistema sta appunto nel fatto di essere banca tradizionale». A conferma, cita le stime 2016 di
Prometeia, secondo cui nei prossimi anni la ripartizione dei ricavi sarà per il 49,6% determinata da privati; per
il 29,8% da società non finanziarie; per 1*8,3% da attività di servizio per la pubblica amministrazione; per il
12,3% da attività svolte in conto proprio. In pratica, secondo queste previsioni, fino al 2016 le banche
gestiranno ricavi che per oltre l'80% proverranno da clienti tradizionali, vale a dire privati e società non
finanziarie. Per Agostino Megale, segretario generale di Fisac Cgil, serve però «un diverso approccio che
rilanci il ruolo della banca commerciale, tale da scacciare la finanza cattiva all'origine della crisi. Un modello di
banca più attento alla crescita e all'occupazione, che faccia dell'attività di consulenza il core business, che
intercetti e non subisca le innovazioni tecnologiche, puntando sulla formazione e la riqualificazione dei
dipendenti, bloccando la logica dei tagli lineari insieme all'emorragia occupazionale, creando l'occasione per
l'ingresso dei giovani». NO Al TAGLI LINEARI Nel ricevere il documento delle organizzazioni sindacali
Francesco Micheli, che fino allo scorso luglio è stato a capo della delegazione Abi (ora lo ha sostituito
Alessandro Profumo) , ha insistito sulla necessità da parte delle banche di aumentare i ricavi, attività su cui le
parti in causa possono incidere soltanto in modo parziale. Micheli ha aggiunto che i deboli segnali di ripresa
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Banca Finanza - N.10 - ottobre 2014
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sono ancora lontani dal consolidamento e che solo un aumento dei ricavi può consentire di mantenere il
livello dell'occupazione così com'è ora, anche per «l'impatto dirompente dell'innovazione tecnologica». Ma
per Megale, «bisogna uscire dall'egoismo dei banchieri di questi anni e bloccare il calo dell'occupazione,
anche se per tornare comunque a far crescere il Pii vanno rilanciati gli investimenti», mentre Mauro Bossola
(Fabi) aggiunge: «Proponiamo alle banche di uscire da una posizione puramente difensiva e di retroguardia
per mettersi in gioco, insieme ai propri dipendenti, nell'interesse del paese. È possibile recuperare risorse
interne e già si sta facendo, per esempio nel comparto recupero crediti, in parte per destinarli a servizi di
consulenza». «Dieci anni fa la filiale era molto diversa, ora i cassieri sono protetti Wwf», commenta
ironicamente Massimo Masi, segretario nazionale di Uilca. «Noi del sindacato la nostra parte l'abbiamo fatta.
Ora bisogna uscire dalla logica dei tagli orizzontali del personale e l'Abi, anche se attualmente è divisa al suo
interno, deve scegliere quale modello adottare». Quello proposto dai sindacati prevede la rinuncia alla banca
universale per tornare alla specializzazione, con lo scorporo tra banca commerciale e banca di investimento e
la creazione di consorzi per la realizzazione di grandi infrastrutture nazionali. Inoltre una maggiore offerta di
servizi con un migliore utilizzo del capitale umano (i dipendenti) per mettere al centro la crescita industriale
del paese. E tra le riforme di sistema che ritengono indispensabili indicano anche la costituzione di consorzi
di back office per contrastare le esternalizzazioni e rafforzare l'area contrattuale; la costituzione di consorzi di
banche per la realizzazione di infrastrutture utili al paese; la regolamentazione dei conflitti di interesse. •
CONVINZIONE «Siamo convinti che la ricetta per curare il nostro paese non sia la compressione dei salari e
dei posti di lavoro», ha detto Giulio Romani, segretario di Fiba Cisl, «ma la ridistribuzione della ricchezza».
PROCESSO DI TRASFORMAZIONE II settore bancario sta vivendo un processo di trasformazione che
dipende sia dalle nuove regolamentazioni europee e nazionali sia da profonde modifiche del modello di
business.
RITORNO ALLE ORIGINI Per Agostino Megale, segretario generale di Fisac Cgil, serve «un diverso
approccio che rilanci il ruolo della banca commerciale, tale da scacciare la finanza cattiva all'origine della
crisi».
BASTATAGLI «Noi del sindacato la nostra parte l'abbiamo fatta. Ora bisogna uscire dalla logica dei tagli
orizzontali del personale e l'Abi deve scegliere quale modello adottare» dice Massimo Masi, segretario
nazionale di Uilca.
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Banca Finanza - N.10 - ottobre 2014 - tradeing on line
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Le nuove sfide del trading on line
II settore va verso una maggior concentrazione e investe in tecnologia e formazione. Se ne è parlato in una
tavola rotonda organizzata da BancaFinanza. Dalla quale è emerso anche...
ACHILLE PEREGO
Vstata una prima parte dell'anno molto positiva /sia per il mercato azionario, sia per chi, a partire dalla Borsa
di Milano, compra e vende tìtoli on line. Non solo i professionisti (gli heavy trader, 10-20 mila specialisti che
fanno tra i 500 e i 1.000 eseguiti all'anno) ma anche quelli che hanno un'attività un po' più ridotta o
occasionale. Complessivamente, secondo l'ultima ricerca presentata aU'ItForum di Rimini, in Italia il mercato
del trading on line interessa circa 600 mila investitori. Un numero in crescita, grazie anche al buon
andamento dei mercati (Borsa Italiana nel primo quarter ha registrato il più alto incremento dei flussi cash dal
1998 con 25 miliardi di euro di raccolta) nonostante il settore abbia registrato una riduzione e concentrazione
delle sim che offrono servizi di puro trading. In compenso è aumentata l'attenzione del settore bancario a
questo mercato, offerto sempre più spesso con realtà che inglobano il servizio di trading online, 11iome
banking e la consulenza finanziaria delle reti di promotori. I trader del 2014, che non sono più quelli degli anni
Duemila e della febbre di internet, devono essere forniti servizi sempre più tecnologicamente avanzati, ma le
strategie di banche, sim e broker non trascurano i neofiti e di chi si approccia al trading con l'ottica
dell'investitore tradizionale. Se le prospettive per l'evoluzione del trading restano positive - seppure il mercato
si mostri maturo e non certo euforico come 15 anni fa - non va trascurata la concorrenza dei broker
internazionali che in alcuni casi sfuggono alle normative sempre più stringenti introdotte dalla Mifìd, facendo
leva sulle politiche di pricing. Allo stesso modo, proprio le nuove normative stanno selezionando gli operatori
perché solo le realtà più grandi e solide possono essere adeguate alle normative. Ma il futuro del trading on
line passa anche dal costante investimento in nuove tecnologie (con la prospettiva di una forte crescita del
trading in mobilità) e dal sapere rispondere alla maggiore richiesta di formazione e informazione. Sono questi
gli aspetti più importanti emersi dalla tavola rotonda Le nuove sfide del trading on line organizzata da
BancaFinanza. All'incontro, coordinato da Angela Maria Scullica, direttore responsabile di BancaFinanza,
Giornale delle Assicurazioni ed Espansione, e moderato da Achille Perego, caposervizio economia e finanza
di QN-Quotidiano Nazionale, hanno partecipato: Roberto Del Conte, responsabile gestioni mercati azionali e
dei derivati di Borsa Italiana; Mario Fabbri, amministratore delegato di Directa sim; Andrea Gorlato,
responsabile area commerciale di IwBank (gruppo Ubi) ; Stefano Iimonta, amministratore delegato di Mine;
Antonello Rendina, trader indipendente, Mauro Vicini, responsabile di Websim (gruppo Intermonte), Gabriele
Vedani, managing director di Fxcm Italia. E, in collegamento da Londra, Carlo Alberto De Casa, senior
market analyst di ActivTrades. Ed ecco che cosa è emerso. Domanda. Dopo la lunga crisi finanziaria iniziata
nel 2008, qual è lo stato di salute del trading on line? Del Conte. Da inizio anno i mercati azionari e dei
derivati italiani stanno vivendo un periodo molto positivo in termini di volumi scambiati. Nel primo quarter del
2014 abbiamo registrato il più alto incremento di flussi cash dal 1998 con 25 miliardi di euro di raccolta e una
crescita su base annua del 18%. In particolare, soddisfacenti i flussi su Mta con 1300 investment firms di 45
paesi che rappresentano circa 7.000 fondi e che investono in tìtoli delle società incluse nell'indice FtseMib.
L'Mta mantiene una market share di circa l'80%, un valore elevato rispetto ai nostri competitor, probabilmente
anche perché la clientela preferisce negoziare titoli italiani sul mercato di riferimento. Il 2014 si sta
caratterizzando come un anno molto positivo anche per l'Idem, il mercato dei derivati, con una crescita di
volumi tanto per i prodotti su indice quanto sui single natne. Da inizio anno registriamo un incremento dei
volumi pari al 15% per il Fib, al 36% per il miniFib e al 25% per le Mibo, le opzioni sull'indice. A marzo
abbiamo registrato il record storico di volumi sul Fib da quando è stato introdotto nel 1994 con ben 133 mila
contratti scambiati in una sola giornata. Un altro risultato eccezionale è rappresentato dai volumi scambiati
dalle opzioni settimanali sull'indice FtseMib, introdotte nel dicembre del 2011, un prodotto pensato per la
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DIBATTITO / PROSPETTIVE E OPPORTUNITÀ DI CRESCITA
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clientela retail e che consente di prendere un'esposizione sul mercato in occasione di elevata volatilità. A oggi
i volumi sulle weekly Mibo rappresentano l'8%-10% di tutti i volumi scambiati sulle opzioni su indice, con
picchi di 1.000-1.200 contratti al giorno e un massimo di volumi scambiati a giugno pari a 12 mila contratti. Un
successo tutto italiano, tanto che a breve amplieremo l'offerta con le opzioni settimanali su singole azioni. La
crescita dei volumi, però, ha interessato anche il mercato delle stock options, +22% rispetto all'anno
precedente. Il volume degli scambi su Mta rappresenta invece il 17%20%, che sale al 37% per il Tah con un
40% di retail. I trader on line rappresentano oggi il 10% dei volumi del Fib e il 22% del miniFib: si tratta di
percentuali leggermente più basse rispetto al passato, ma va considerato che l'incremento dei volumi è
avvenuto con un forte contributo di investitori istituzionali, con una buona parte di clientela internazionale;
stimiamo in 30% il flusso dal mercato americano, sempre più presente in Europa e in particolare sui mercati
più efficienti. limonta. In base a quanto vediamo sul mercato (siamo una società che sviluppa piattaforme e
software) , posso confermare l'analisi di Borsa Italiana. In linea generale i numeri del trading on line sono
rimasti invariati: sono aumentati i volumi e, percentualmente, sono diminuite le transazioni. Ma è cambiato
anche il modo in cui i trader affrontano i mercati. Dieci anni fa erano più veloci, cercavano di sentire quello
che vedevano con gli occhi, operavano a volte anche in maniera bizzarra. Oggi sono più sofisticati, più
professionali e richiedono una serie di strumenti che permetta loro di operare in maniera più mirata. Per
rispondere a queste esigenze, negli ultimi due anni è aumentata l'offerta di software per Yalgotrading, la
connessione tra le società di risparmio gestito che agiscono direttamente sui mercati ed è aumentato il
numero di fondi e sicav che operano in maniera quantitativa sempre sui mercati. E registriamo anche molti
clienti londinesi e americani che portano parecchia liquidità sul mercato: la maggior parte però sono fondi e
pochissimi invece i trader. La loro contrazione è fisiologica e dovuta anche da una parte all'incremento
dell'imposizione fiscale e dall'altra all'aumento dei costi generali di accesso al mercato e delle modalità di
funzionamento. De Casa. In questi ultimi anni è cresciuto notevolmente il numero degli investitori che si
dedicano al trading on line, fino a superare il mezzo milione di unità. Un decimo di loro sono trader attivi, cioè
operano sui mercati con cadenza giornaliera o quasi. È un fenomeno che riguarda ogni regione del territorio
italiano, come ha confermato uno studio realizzato dall'analista Anna Ponziani, già manager di Kpmg, sui
trader che hanno preso parte al penultimo ItForum di Rimini (vedi articolo a pagina 6, ndr). D. Qual è il profilo
del trader medio? De Casa. Se risulta relativamente facile definirlo in media di sesso maschile (nove volte su
dieci il trader è uomo), il quadro è invece differente sotto il profilo della sua istruzione e dell'età. Nel 52% dei
casi è diplomato, nel 34% è laureato, nel 6% dei casi ha un master, mentre nell'8% dei casi ha concluso i
suoi studi dopo la scuola media inferiore, mentre per quanto riguarda l'età il 60% dei trader si concentra fra i
35 e i 55 anni. D. Quali sono le ragioni di questo crescente interesse verso il trading? De Casa. Senz'altro
internet ha favorito notevolmente lo sviluppo del settore. Con pochi click è ora possibile negoziare l'indice
giapponese Nikkei, piuttosto che acquistare lire turche o speculare sulle fluttuazioni dell'oro. Al tempo stesso
è cresciuta in modo significativo la preparazione dell'investitore medio, che ha scoperto nuove e innovative
modalità e tecniche di investimento, con commissioni più basse e maggiore flessibilità. Le azioni e le
obbligazioni rimangono il piatto forte del mercato, ma al tempo stesso è aumentato notevolmente l'interesse
per il settore delle valute e delle commodity, cioè le materie prime. In particolare i volumi del mercato
valutario, negli ultimi anni, sono cresciuti in maniera esponenziale, fino a superare i 5.000 miliardi di dollari al
giorno su scala mondiale, secondo i dati forniti a fine 2013 dalla Banca Mondiale dei regolamenti. Parimenti è
cresciuto anche l'interesse dei trader privati per il settore. Gorlato. È opportuno partire dal dato più recente
sull'andamento del comparto del trading on line presentato alTItForum 2014, che riportava circa 600 mila
trader attivi in Italia. Il 20% di questi è caratterizzato da un'operatività moderatamente frequente e da circa
10-20 mila heavy trader che operano con un numero di eseguiti annuo superiore agli 8001.000. In IwBank
rileviamo un'evidenza molto positiva per la prima parte del 2014. Specificamente nel primo quarter abbiamo
registrato un'importante operatività quotidiana da parte dei nostri clienti, un numero di eseguiti al giorno che
non ricordavamo da un paio di anni. I numeri del secondo e terzo trimestre mostrano un parziale
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rallentamento. Nei prossimi mesi molto dipenderà dall'attrattività delle storie che si presentano sul mercato.
Quando, per esempio, la Bce opera sui tassi, in quei giorni registriamo un innalzamento di attività sui mercati.
Nella prima parte dell'anno ci sono state storie interessanti e sappiamo che soprattutto gli heavy trader,
quando c'è più turbolenza sui mercati, vanno alla ricerca di opportunità mentre il cassettista si muove di più
sull'onda di un trend positivo consolidato del mercato. Come ulteriore elemento di riflessione, anche
guardando al futuro del comparto trading in Italia, aggiungerei che nella prima parte dell'anno è aumentato
l'approccio al trading da parte dell'investitore più occasionale, che ha operato in maniera selettiva su alcune
storie di mercato. E se questa indicazione dovesse permanere nel tempo, è chiaro che anche l'offerta degli
operatori dovrà adeguarsi a questo cambiamento. D. Come vede l'evoluzione del mercato un trader
indipendente? Rendina. Posso dire che il modo di operare sul mercato dei trader è cambiato notevolmente
dal 2000 a oggi. Allora si approcciava il trading utilizzando piattaforme basiate e con una totale
discrezionalità: se l'operazione era considerata interessante si entrava. In questi anni invece si sono
sviluppate l'analisi tecnica, le conoscenze, la divulgazione finanziaria. Difficilmente il piccolo trader, quello per
intenderci che fa 100 eseguiti all'anno, si avvicina al mercato senza conoscenza, senza avere cioè alle spalle
un minimo background. E questa esigenza è stata recepita dai broker che hanno ampliato l'offerta
informativa. Noi trader indipendenti abbiamo subito anche qualche batosta, per esempio l'aumento della
tassazione prima dal 12,5% al 20% e ora al 26%. L'inasprimento fiscale ha inevitabilmente determinato una
scrematura nel popolo dei trader. Le statistiche, però, ci dicono che, complice la crisi, è cresciuta la
propensione al risparmio e questo spingerà nuovi trader ad affacciarsi sul mercato. Quando si parla di
operatività fai da te, però, mi viene spesso da sorridere perché quello che una volta era considerato il trader
da piccionaia oggi, grazie all'evoluzione dei software e delle tecnologie, può usufruire di servizi evoluti quasi
allo stesso livello di una sala operativa. E sono gli stessi trader che chiedono agli intermediari soluzioni utili
per migliorare il trading. Infine, sempre rispetto al cambiamento dell'operatività, se nei primi anni Duemila il
mercato era monotrend (o saliva o scendeva) oggi è notevolmente aumentata la volatilità con turbolenza
quando vengono diffusi i dati della Bce o partono storie interessanti e poi periodi di piatta. E quindi il trader va
alla ricerca, anche su altri mercati, delle opportunità. Del resto qualsiasi broker oggi offre l'accesso a 360
gradi a qualsiasi mercato del mondo. D. A livello di operatori si registrano gli stessi cambiamenti? Fabbri. La
mia impressione è che il mercato del trading retail sia in una fase stagnante. Siamo molto lontani dalle
crescite registrate nel 1999 e 2000 e questo, del resto, è anche logico. Come Directa non siamo insoddisfatti
e abbiamo la sensazione che forse stiamo aumentando la nostra quota di mercato. Del resto rischiamo di
rimanere l'unica sim che si occupa solo di trading perché le altre realtà o sono sparite o sono state assorbite
o associate a iniziative bancarie all'interno di società che offrono non solo il servizio di puro trading, ma anche
lriome banking e la consulenza finanziaria con reti di promotori. Noi siamo stati i primi a operare solo per il
trading on line e, ripeto, rischiamo di essere gli ultimi di fronte a questa compressione e concentrazione del
settore. H nostro posizionamento ci ha permesso di chiudere sempre i bilanci in attivo ma il mercato del
trading non mi sembra così promettente. È già stato evidenziato l'effetto negativo prodotto dall'aumento della
tassazione. La stima, per quanto riguarda l'introduzione della Tobin Tax, era di una riduzione dei volumi del
10%-15%. Dal nostro punto di vista non ci sembra che la maggiore tassazione abbia creato enormi problemi
al trading, tranne che per il fisco che non ha raccolto quello che la demagogia dei politici aveva immaginato.
Quindi, cercando di spiegare questa fase stagnante, credo che più che l'effetto fiscale pesino la crisi
economica e l'umore negativo. Se una persona ha problemi a far quadrare il bilancio e arrivare a fine mese,
fa anche bene a non buttarsi nel trading dove, normalmente, uno perde. Venendo più nello specifico
all'andamento del 2014, devo dire che è il terzo anno consecutivo che il mercato parte bene ma poi, dopo trequattro mesi promettenti, si spegne. Quanto al peso del trading sui volumi di Borsa, posso dire che noi prima
registravamo un 4% dell'intermediato totale. E anche di più. Ora siamo poco sopra il 2% e se va bene
arriviamo al 3%. Questo indica non una riduzione dei nostri volumi ma una contrazione del trading on line nei
confronti in generale del mercato. Vedani. Il nostro punto di vista, essendo specializzati sul mercato Forex, è
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un po' differente. Abbiamo un osservatorio più internazionale essendo un gruppo globale con sedi in dodici
paesi. In Italia sicuramente abbiamo registrato un processo di polarizzazione molto forte della clientela. Uno
specchio, del resto, di un'economia in contrazione. La fascia media del mercato, infatti, corrisponde a quella
borghesia che oggi si ritrova più in difficoltà. La polarizzazione si è verificata anche tra gli heavy trader che
vivono di questa attività, una popolazione con numeri limitati ma con alti volumi, e i neofiti che si affacciano
sul mercato e, per questo, sono alla ricerca prima di tutto di formazione. Anche in questo caso, questo
fenomeno rispecchia l'andamento dell'economia perché i nuovi acquisti spesso sono pensionati o persone al
termine della carriera lavorativa che ricercano un extra reddito o, sempre di più, giovani qualificati e
neolaureati con master che non trovando un'occupazione tentano di crearsi una nuova professione con il
trading facendo fruttare gli asset di famiglia o i piccoli risparmi. Questo fenomeno impone una grande
responsabilità per noi operatori del mercato sul fronte dell'adeguatezza dei prodotti che offriamo e sui temi
legati alla formazione e all'educazione per i quali posso dire che siamo all'avanguardia. Un po' tutti fanno
formazione, a un livello più o meno alto. D problema è che il trader neofita non vuole imparare il mestiere ma
copiare le tecniche che reputa possano garantirgli il successo. E questo atteggiamento deve fare alzare il
nostro livello di guardia. D. Quanto è importante questa nuova richiesta di conoscenze e informazione? Vicini.
Per la mia esperienza il trader online è un investitore "domestico". In gran parte acquista azioni italiane. La
crisi del 2007-2008 quindi ha provocato una forte cesura: ha fatto sparire sotto i piedi il suo mercato di
riferimento. La crisi però ha creato anche nuove, forti opportunità. Quindi la richiesta di un'informativa su
mercati che non siano solo azionari, su prodotti evoluti, Borse straniere. E ha costretto anche il trader online a
evolversi, a crescere. Questo, come Websim, ci ha un po' complicato la vita. Una volta parlavamo solo di
Tiscali e Seat Ma anche oggi è più facile che un investitore acquisti mille azioni Fiat che non Bmw o
Volkswagen, anche se il mercato italiano è ancora tramortito. Non si è convinti di potere investire
serenamente sulla nostra Borsa anche se io mi sento di essere un po' più fiducioso, soprattutto se riusciremo
a realizzate le riforme tanto attese. Comunque qualche segnale positivo si vede già. Penso all'interesse verso
l'Aim, il mercato delle piccole e medie imprese che ormai registra una cinquantina di titoli quotati. Quando
diamo informazioni su una di queste società, vediamo subito un'esplosione dei volumi. Quando non se ne
parla, sono quasi ridotti a zero. Questo significa che esiste il problema, rivelato peraltro anche da Borsa
italiana, di una maggiore informazione. D. Quanto hanno inciso e incideranno le nuove normative, dalla Mifidl
alla 2? Gorlato. Credo che solo i player con una forte solidità, specializzati, e soprattutto quelli appartenenti
ad altrettante solide realtà bancarie, riusciranno, in un contesto che vede un grande peso della
regolamentazione, a implementare e monitorare quanto richiesto dal regulator e a essere adeguati alla
normativa. È verosimile che le realtà più piccole facciano più fatica. Credo che un mercato più chiaro,
trasparente e regolamentato faccia bene a chi vuole fare business. Ovviamente questo comporta un grande
lavoro anche a casa nostra e sui clienti con paletti di operatività più stretti, certo, ma anche meno aree grigie.
Fabbri. Devo confessare che tutte queste regole ci fanno comodo. Ogni nessun privato può venire a farci
concorrenza. La normativa è talmente complicata e costosa la sua implementazione che di fatto crea una
sorta di monopolio tra le società che possono permettersi di essere adeguate alla normativa. Aumentare e
complicare le regole crea solo burocrazia e complessità. Ripeto, può favorire i broker più grandi e consolidati,
e addirittura avvantaggiarli rispetto agli altri, ma fa male all'efficienza dei mercati. Vedani. Le nuove normative
stanno spaccando in due il mercato. Da una parte c'è chi può e riesce a fare business rispettando le regole e
dall'altra chi gioca sporco. Così, però, il consumatore è esposto a un doppio rischio. 0 si rivolge ai grandi
player del mercato, sperando che non facciano mai un cartello oppure si affida a operatori, spesso
internazionali, che, non rispettando le regole, costano meno, applicano discutibili politiche di marketing, con
bonus e annunci ammiccanti sulle possibilità di guadagno, rischiando poi di non recuperare più i soldi
investiti. Per questo credo che il legislatore abbia perso un po' di vista il vero obiettivo che non è quello di
complicare le regole, aumentando il tasso di burocrazia, ma favorire la trasparenza del mercato. E quindi il
consumatore. D. Quali sono le opportunità offerte dal mercato del trading online e come si svilupperà in futuro
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la concorrenza? Del Conte. Per noi il target del trader online è strategico. Tanto che Borsa Italiana organizza
numerosi eventi con la clientela finale in collaborazione con i broker on line e diverse tavole rotonde proprio
con i principali clienti web per acquisire e recepire proposte e suggerimenti finalizzati a sviluppare il mercato e
individuare nuove opportunità di business. In questa prospettiva, Borsa Italiana è costantemente attenta a
ridurre i costi per i clienti puntando all'eccellenza operativa e incrementando l'offerta di prodotti e servizi. In
particolare, lavoriamo costantemente al continuo aggiornamento della tecnologia per essere più competitivi
rispetto ai nostri concorrenti. Non solo: il nostro impegno è orientato a nuovi prodotti e servizi. Come ho già
ricordato, a breve introdurremo le opzioni settimanali sui single nome; dal 22 settembre invece sono entrati in
negoziazione i contratti di opzione su azioni Amplifon, Banca popolare Sondrio, Credito Valtellinese e Piaggio
& C; sempre dalla stessa data, abbiamo introdotto i contratti futures con scadenza oltre i 12 mesi sulle azioni
ordinarie Assicurazioni Generali, Enel, Eni, Fiat, Intesa Sanpaolo, Telecom Italia e Unicredit. Negli ultimi 12
mesi l'Idem ha incrementato il numero di stock option, introducendone, per esempio, su società del lusso,
una peculiarità del mercato italiano che fa della moda uno dei settori più conosciuti al mondo. Una peculiarità
e un'eccellenza che, ci auguriamo, possano essere riconosciute anche ai nostri mercati. Limonta. Chi fa
trading, oltre a richiedere tecnologie e software sempre più sofistificati sta anche aumentando la domanda di
servizi di asset management, cioè di calcolo del rischio di portafoglio. Oggi la richiesta del retail, del resto, è
indirizzata, anche per l'alta volatilità dei mercati azionari, verso l'obbligazionario. E quindi, ripeto, c'è una
richiesta di strumenti per il calcolo dei rendimenti, il timing, la duration del portafogli. Un'altra tendenza nuova
che abbiamo registrato riguarda l'ambito industriale. Cioè, grandi società che operano estero su estero e sulle
materie prime una volta non facevano coperture finanziarie, adesso invece richiedono strumenti di gestione
del rischio. Gorlato. È possibile identificare quattro linee di azione lungo le quali ci si dovrà muovere. La prima
riguarda la clientela. Bisognerà prestare grande attenzione ai modelli di servizio e all'offerta di prodotti e
servizi. Nel comparto del trading online retali operano gli heavy trader, i trader e gli investitori più occasionali.
Per un player che vuole essere protagonista in questa area di business è necessario riuscire a servire tutti i
differenti target di clienti, allargandone la base operativa, con modelli differenziati. Il secondo aspetto riguarda
il livello del servizio. Spesso i trader sono identificati come persone che lavorano in autonomia. In realtà
hanno un costante bisogno della controparte che non entra nelle strategie ma è in grado di risolvere
immediatamente le problematiche che riguardano l'operatività e l'accesso ai mercati. In questo senso in
IwBank abbiamo identificato referenti specialisti a supporto dei nostri clienti caratterizzati da operatività
significativa, che sono in costante contatto tra loro, direi su base quotidiana. Il terzo aspetto riguarda invece
l'evoluzione dell'offerta di prodotti, servizi e piattaforme di trading on line, in costante arricchimento. Oggi
l'innovazione è costante, i clienti la richiedono, i player devo rispondere con puntualità. Infine, la quarta, ma
non ultima in ordine di importanza, nostra linea di azione riguarda gli investimenti in tecnologia. H trading on
line è un business dove lo sviluppo tecnologico riveste un ruolo fondamentale. Oggi parlare di mobile, app,
social, cloud è imprescindibile in questa area di business. E sempre più lo sarà negli anni a venire. D. Ci sarà
una sempre maggiore richiesta anche di trading in mobilità? Vedani. Le richieste sono sempre più sofisticate,
compreso il ricorso alle app. Sempre di più il trader evoluto sfrutta il flusso informativo e poi genera, tramite i
suoi strumenti, gli ordini. In questo senso direi che il broker sta tornando a fare il servizio di taxista puro. Porta
informazioni al mercato senza fornire le funzionalità operative che il cliente si costruisce in casa. Anche noi
registriamo una forte richiesta di operatività on line che ormai è indispensabile fornire al cliente. E anche
l'heavy trader apprezza la possibilità di collegarsi in mobilità piuttosto che i servizi di allarmistica. Ma, più che
gli eseguiti, notiamo che la connettività via smartphone o tablet serve per informarsi sul broker e sceglierlo.
Per questo stiamo facendo importanti investimenti in quello che si chiama responsive design, per offrire la
stessa visibilità del sito o delle mail sia dal pc fisso sia dal telefonino. Vicini. La crisi ci ha costretti a un grande
lavoro di allargamento dell'offerta di servizi di consulenza e informativi sia a livello orizzontale sia verticale
ampliando, nei limiti delle nostre possibilità, la panoramica dal mercato italiano a tutto il mondo.
L'allargamento della base di investitori e i nuovi strumenti finanziari e tecnologici a disposizione, del resto,
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
hanno permesso per esempio di scommettere contro o sulla sterlina, al momento del referendum scozzese,
non solo agli heavy trader. E proprio per consentire operazioni come questa abbiamo dovuto allargare la
nostra panoramica anche in senso verticale, cioè temporale, perché le opportunità di investimento possono
avere un orizzonte di sei o 12 mesi o, cavalcando una notizia, di cinque minuti operando intraday. L'heavy
trader comunque è il cliente meno adatto per questo tipo di informazione, perché difficilmente opera sulle
notizie o legge ricerche di analisi fondamentale. Noi offriamo un'informazione tempestiva, sul nostro sito, via
sms, con le e-mail o attraverso i social network ma ripetiamo sempre ai nostri clienti che, scommettendo sulle
notizie, non potranno mai arrivare prima dei desk di Merrill Lynch o Goldman Sachs. D. Nel mare magnum
del trading quali sono i consigli per i neofiti? De Casa. Senz'altro quello di iniziare con un capitale che
rappresenti soltanto una minima frazione del patrimonio complessivo a disposizione, conoscendo al meglio il
proprio profilo di rischio, e limitando l'utilizzo della leva, non adatto a ogni profilo di rischio. A tal proposito,
come ActivTrades organizziamo una serie di appuntamenti formativi (con webinar e seminati gratuiti) al fine di
aiutare i trader nella gestione della loro operatività. Un consiglio aggiuntivo che ritengo fondamentale riguarda
poi la scelta del broker: è importante operare con aziende che siano regolamentate in Italia o a Londra, paesi
europei dove la normativa è particolarmente stringente per tutelare al meglio il trader. •
PARTECIPANTI Alla tavola rotonda Le nuove sfide del trading on line organizzata da BancaFinanza.
All'incontro, coordinato da Angela Maria Scullica, direttore responsabile di BancaFinanza, Giornale delle
Assicurazioni ed Espansione, e moderato da Achille Perego, caposervizio economia e finanza di QNQuotidiano Nazionale, hanno partecipato: Roberto Del Conte, responsabile gestioni mercati azionari e dei
derivati di Borsa Italiana; Mario Fabbri, amministratore delegato di Directa sim; Andrea Gorlato, responsabile
area commerciale di IwBank (gruppo Ubi); Stefano Limonta, amministratore delegato di Kline; Antonello
Rendina, trader indipendente, Mauro Vicini, responsabile di Websim (gruppo Intermonte), Gabriele Vedani,,
managing director di Fxcm Italia. E, in collegamento da Londra, Carlo Alberto De Casa, senior market analyst
di ActivTrades.
PIÙ SOFISTICATI «Dieci anni fa i trader erano più veloci, cercavano di sentire quello che vedevano con gli
occhi, operavano a volte anche in maniera bizzarra», dice Stefano Limonta, amministratore delgato di Kline.
«Oggi sono più sofisticati, più professionali e richiedono una serie di strumenti che permetta loro di operare in
maniera più mirata».
EFFETTO-CRISI «Più che l'effetto fiscale, sulla stagnazione pesano la crisi economica e l'umore negativo»,
dice Mario Fabbri, amministratore delegato di Directa sim. «Se una persona ha problemi a far quadrare il
bilancio e ad arrivare a fine mese, fa anche bene a non buttarsi nel trading dove, normalmente, uno perde».
MERCATO SPACCATO IN DUE «Le nuove normative stanno spaccando in due il mercato. Da una parte c'è
chi può e riesce a fare business rispettando le regole e dall'altra chi gioca sporco», dice Gabriele Vedani,
managing director di Fxcm Italia.
PERIODO POSITIVO «Da inizio anno i mercati azionar! e dei derivati italiani stanno vivendo un periodo molto
positivo in termini di volumi scambiati», dice Roberto Del Conte, responsabile gestioni mercati azionari e dei
derivati di Borsa Italiana. «Nel primo "quarter" del 2014 abbiamo registrato il più alto incremento di flussi cash
dal 1998 con 25 miliardi di euro di raccolta e una crescita su base annua del 18%».
SELEZIONE «Nella prima parte dell'anno è aumentato l'approccio al trading da parte dell'investitore più
occasionale, che ha operato in maniera selettiva su alcune storie di mercato», sostiene Andrea Gorlato,
responsabile area commerciale di IwBank. Se questa indicazione dovesse permanere nel tempo, è chiaro
che anche l'offerta degli operatori dovrà adeguarsi a questo cambiamento».
SERVIZI EVOLUTI «Quando si parla di operatività fai da te mi viene spesso da sorridere perché quello che
una volta era considerato il trader da piccionaia oggi, grazie all'evoluzione dei software e delle tecnologie,
può usufruire di servizi evoluti quasi allo stesso livello di una sala operativa», dice Antonello Rendina, trader
indipendente.
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PROSPETTIVA GLOBALE «La crisi ci ha costretti a un grande lavoro di allargamento dell'offerta di servizi di
consulenza e informativi sia a livello orizzontale sia verticale ampliando, nei limiti delle nostre possibilità, la
panoramica dal mercato italiano a tutto il mondo», sostiene Mauro Vicini, responsabile di Websim (gruppo
Intermonte).