la grande tristezza

ALL’INTERNO
SPECIALE
STORIE&IMPRESE
SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI
distribuzione gratuita
Graphic designer Tony Baldini
Anno IX - numero 1/2 - febbraio/marzo 2014
LA GRANDE
TRISTEZZA
Disse: «Abbiamo liberato Napoli». Oggi è la città che desidera liberarsi di lui
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IUPPITER EDIZIONI
OBLÒ
IL RACCONTO
Chi tocca le «cajotole»
si rompe un osso
Gentile redazione, ecco il
racconto della mia caduta.
...Dopo una passeggiata con i
miei amici, raggiungo la
stazione metro più vicina,
annullo il biglietto e mi
appresto a scendere le scale fisse.
Giunto in cima alle scale, mi
trovai la strada sbarrata da
quattro “cajotole chiattone” che
disposte in orizzontale
occupavano tutto lo spazio. Ebbi
allora la stupidissima idea di
fendere il muro di grasso,
passando in una delle fessure
lasciate fra una rotondità e
l’altra; dapprima, l’idea sembrò
buona, entrai nell’ostacolo, ma,
nell’uscire, il piedino di una
“smilza” mi fece il più classico
degli sgambetti. Volai a faccia in
avanti e, dopo sette scalini,
atterrai sul pianerottolo.
L’istinto di conservazione mi
fece mettere in avanti la spalla
destra sulla quale piombarono i
miei oltre novanta chili.
L’addetto della metro, subito
accorso, gridò: «Non si muova!
Abbiamo chiamato il 118. Ce
l’ha il biglietto?”. Accennai di sì,
glielo porsi e restai steso sul
pavimento per oltre un’ora.
In ospedale la lastra chiarì tutto:
“Frattura del trochite e del collo
chirurgico dell’omero destro”.
Seguirono 11 settimane terribili,
7 di immobilizzazione - prima
fasciatura, poi tutore - e 4 di
riabilitazione in “acqua calda”,
come disse il ‘luminarissimo’
che mi visitò otto giorni dopo la
caduta (sto facendo lo spiritoso,
ma R. è veramente il più bravo
ortopedico della città). Sin dal
primo momento capii che per
tre mesi sarei andato fuori uso:
non potevo scrivere né guidare
l’auto, a tavola mi dovevano
tagliare pane, carne e
qualunque alimento avesse una
minima consistenza, di notte
dovevo dormire seduto su
poltrona o divano (meno male
non in piedi, come il fenicottero
rosa che riposa su una sola
gamba!). Dell’igiene, preferisco
tacere. Una tragedia se non fossi
stato assistito in modo
commovente da mia moglie
Ines. Durante il periodo in cui
portai il braccio appeso al collo,
i commenti furono (riporto solo
le gemme più “preziose”): “Che
fortuna hai avuto, in faccia
nemmeno un graffio!” o ancora,
un sms sentenziò: “Meglio così,
ti riposi, servito e riverito”. Un
mio caro amico, che telefonava
un paio di volte l’anno,
cominciò ad inviarmi un sms
di saluti quasi ogni giorno.
Commosso feci un
proponimento: “Appena
guarisco, pur di continuare a
ricevere tanta solidarietà,
cercherò di rompermi l’altro
braccio”. Crepi l’astrologo!
FRANCESCO IODICE
(2)
Crisi del terziario e vie senza negozi
Gentile direttore, nel numero scorso di
Chiaia Magazine ho letto con molto
interesse l’inchiesta sulla crisi del terziario
a Napoli e sul fenomeno - non solo della
nostra città - delle vie senza più negozi.
Credo che sia giusto che le istituzioni
intervengano per non far morire le città.
Credo che sia necessario prendere
provvedimenti urgenti per evitare,
soprattutto se si vuole puntare sul turismo,
di passeggiare tra saracinesche chiuse.
Bisognerebbe far capire ai proprietari dei
locali che, per pretese fuori mercato
preferiscono non fittare l’immobile a prezzi
più competitivi, che un negozio chiuso e
sfitto è un buco nero in una via e non è un
bene per la comunità. Le amministrazioni
dovrebbero, sempre nel rispetto della
legge, intervenire per far fronte a questo
problema che è sotto gli occhi di tutti. Si
potrebbe pensare, ad esempio, di far
pagare più tasse a quei proprietari che
tengono negozi fronte strada sfitti per un
tempo superiore ai 24 mesi
MARCO SANTINI
Il conto del nullatenente
BASSOLINO
Povero Bassolino! Mentre pazientemente
stava ricostruendo il suo percorso politico, attraversato e turbato da troppe inchieste, da cui è venuto fuori o per assoluzione o per qualche prescrizione, nonostante il casco protettivo di rocciatore-narratore, non ha potuto, nei giorni scorsi, schivare una nuova brutta tegola giudiziaria. Stavolta con la magistratura contabile. Nel pieno del “tour” promozionale del suo libro: «Le Dolomiti di Napoli» - che non abbiamo ancora letto ma che ci
ripromettiamo di fare presto, anche se intuiamo che sia stato scritto per illustrare le sue immani scalate di amministratore di Napoli e della Campania, di cui noi stiamo scontando errori e sprechi in ogni settore - l’ex governatore a tutto pensava, tranne che a dover rendere conto
alla Corte dei Conti di qualche conto, ancora in sospeso, circa il crack Hydrogest e la depurazione tarocca delle acque. Stavolta non si scherza. Il conto è molto salato: il danno erariale ipotizzato tocca vette, quote proibitive, per dirla con il più corretto linguaggio: circa 52 milioni di euro.
Pensate: neanche se vendesse una pila di libri, alta quanto l’Everest e il Monte Bianco, messi
insieme, riuscirebbe a raggranellare la somma necessaria per saldare il danno. Naturale e comprensibile il suo stupore, espresso in un comunicato stampa, che è anche il nostro, non tanto per la notizia ma per una significativa e colorita discussione, cui abbiamo assistito
per caso in metropolitana. Una discussione che riguardava l’ex governatore e il sequestro preventivo del suo conto in banca per il caso Hydrogest. Una signora, molto vivace, nel trarre le conclusioni, ha chiesto a noi tutti : «Scusate, ma Bassolino non è nullatenente? E allora quale cunto
e cunto vo’ truvà ’a Corte de’ Cunti!».
L’editoriale
Dalla grande speranza alla grande tristezza:
Napoli dopo 3 anni di de Magistris
pagina 3
Il paginone
30 maggio 2011: amarcord della rivoluzione
arancione tra proclami, verdetti e speranze
pagine 4-5
Primo Piano
Associazionismo civico, occhi puntati
sulle delibere dello scandalo
pagina 7
Il personaggio
Francesco Silvestre, presidente Forum della
Gioventù: «Ecco la mia politica giovane»
pagina 11
Sollecitazioni
Stati generali della musica:
magie e miti di Cantanapoli
pagina 12
Ricordi
Mizzi il luciano e il terrazzo dei sogni:
tributo ad Alvaro Mirabelli
pagina 15
Divinazione
Il sacrificio dei Gemelli e il mito di
Castore e Polluce. Il mago dell’iniziazione
pagina 19
Saper Vivere
Le grandi leggende della boxe raccontate
da Franco Esposito e Dario Torromeo
pagina 27
n u m q u a m
SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI
Anno IX n. 1/2- Febbraio/Marzo 2014
Direttore responsabile
Max De Francesco
Redazione
Laura Cocozza
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
Si ringraziano Tony Baldini per cover
e fotomontaggi, e l’archivio Ruggieri
per le fotografie
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problemi del tuo
quartiere e proponi soluzioni per
rendere più vivibile
la città. Contiamo
su di te.
Le lettere, firmate
con nome e cognome, vanno inviate a «Chiaia
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dei mille, 59
80121 Napoli, oppure alla e-mail
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L’EDITORIALE
LA GRANDE TRISTEZZA
Max De Francesco
Un anno fa servì il crollo di un palazzo per svegliare le istituzioni sulla
preoccupante situazione del sottosuolo della Riviera di Chiaia. Cambiano i
sindaci ma l’incuria di Napoli non
subisce mutamenti. Anzi, il declino di
Napoli sta bruciando le tappe. Iervolino e de Magistris: così lontani, così
vicini. Non c’è dubbio che il sindaco
arancione sia riuscito a superare l’ex
primo cittadino nello sport del pianto
magnagreco. Amante del vintage style,
de Magistris ha scelto i Righeira come
suoi bardi tutelari: la canzone che
ormai intona in ogni confronto pubblico è “non tengo dinero”, che non è
una canzone mononota ma monocorde. Il recente provvedimento “Salva
Roma” del premier Renzi per Napoli
non è una soluzione, ma il prolungamento di un’agonia che consegnerà al
prossimo sindaco una città definitivamente, per usare una terminologia
cara all’uomo con la bandana, «scassata e arrevotata». Le «opacità» individuate dai giudici della Corte dei Conti,
che hanno bocciato il piano di riequilibrio finanziario architettato a Palazzo
San Giacomo, sottolineano senza pietà
l’impossibilità dell’attuale amministrazione di dare un domani alla città. «De
Magistris non ha avuto il coraggio di
cambiare. I problemi erano noti sin
dall'inizio, ma è mancata la volontà
politica di affrontarli». Così ha detto di
recente l’economista Riccardo Realfonzo, assessore al Bilancio della
giunta de Magistris prima di uscirne
per dissidi insanabili. Non può esservi
giustificazione per chi è divenuto
sindaco di una città, già disincantata e
brutalmente sfiduciata, mostrando un
piglio gradasso e una predisposizione
strategicamente mediatica alla rivoluzione, ma dimostrando poi sul campo
un’inconsistenza amministrativa
disarmante e una fasulla apertura allo
stile democratico. Fu chiaro e preveggente su quell’ammuina orange Biagio
De Giovanni che, nel giorno del trionfo
dell’ex magistrato, non inserì alcun
gettone nel juke-box degli osanna e
disse: «A parte il mio pessimismo
cosmico, de Magistris è un caso anomalo e costituisce un rischio in sé per
Napoli con la sua demagogia populista. Non faccio previsioni chiuse, però
preoccupa anche il suo isolamento
dagli altri, considerando che non ha la
minima competenza amministrativa.
Insomma, sono più preoccupato di
prima».
Non si chiedono miracoli a un sindaco
ma si pretendono azioni concrete per
la messa in sicurezza della città.
Se si scorrono le promesse di de Magistris candidato, e di quello dei primi
fatidici 100 giorni, c’è da rabbrividire
per il fallimento di ogni passo, giustificato ora con il penoso refrain delle
casse vuote, ora con la malainformazione dei giornali locali, ora con lo
spauracchio di un complottismo
«nemico del rinnovamento» ora con le
onnipresenti mani della camorra e
della politica deviata.
Un anno fa un palazzo venne giù e per
l’intervento prodigioso di qualche
angelo caduto dal cielo, sotto le macerie non ci capitò nessuno. Eppure quel
crollo poteva essere evitato se, prima la
Iervolino e poi de Magistris, come
primi cittadini interessati alla salvaguardia e alla manutenzione di Napoli,
avessero ascoltato gli “avvisi” dei
comitati civici, avessero letto le inchieste dei giornalisti conoscitori del
territorio, avessero convocato i commercianti della Riviera costretti, dopo
ogni pioggia, a remare nei loro negozi,
avessero dato retta a esperti come il
geologo Riccardo Caniparoli che dal
2009 annunciava proprio su Chiaia
Magazine i pericoli del cantiere della
linea 6 della metropolitana. Niente.
“Avvisi” finiti nelle fogne, avvertimenti
civici sistematicamente ignorati,
nonostante la Iervolino, di tanto in
tanto lanciasse fantomatiche “campagne d’ascolto” e de Magistris professi
ancora oggi il credo delle “assemblee
di popolo”. Lo scempio della Riviera
era già scritto, documentato e ampia-
mente segnalato alle istituzioni. Ma
c’erano altre urgenze mediaticamente
spendibili (Lungomare “liberato” in
primis, l’attesa per il vanesio luna park
della Coppa America) che hanno
accelerato il decadimento della Riviera
con il dirottamento del traffico su una
strada soffocata dall’invadenza dei
cantieri e con il sottosuolo costantemente sollecitato dalle scavatrici.
L’economia della Riviera è crollata
quel 4 marzo 2013: il valore degli
immobili è precipitato, i commercianti
vivono tra segnaletiche e trivelle, le
piogge spaventano più di prima e, un
anno dopo, esistono ancora famiglie di
sfollati, quelli del palazzo crollato e
quelli del civico 66. Presto la via, in
barba ai tanti problemi che già ha, per
la Coppa Davis sarà interessata da un
traffico straordinario. Ma de Magistris
ha altre visioni da coccolare. Dà ormai
l’impressione di non vivere a Napoli.
Della città non conosce né la bellezza
estrema né la spietatezza improvvisa.
Come i trenini di Jep Gambardella, le
sue azioni non portano da nessuna
parte. O meglio, in questi tre anni sono
riuscite, in tempo record, a tramutare
una grande speranza in grande tristezza. In questa decadenza de Magistris,
c’è da dire, è riuscito a conservare il
senso della platea e l’ebbrezza di
aggiustarsi i capelli in diretta tv. Alla
fine, però, i crolli vengono al pettine.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(3)
IL PAGINONE
C’ERA UNA VOLTA LA RIVOLUZIONE ARANCIONE
Momenti di gloria
Il 30 maggio 2011 de Magistris diventa sindaco di Napoli. Una vittoria clamorosa
che riaccese le speranze in città. Le parole e le promesse di quel giorno di festa
Pino Fermento
30
maggio 2011: Luigi de Magistris stravince il
ballottaggio contro Gianni Lettieri e diventa sindaco di Napoli con il 65,37% di voti,
ovvero 264.730 napoletani che credono
nella rivoluzione arancione. Il suo avversario racimola il 34,62%, equivalente a
140.203 voti. L’altro vincitore della tornata
elettorale è l’astensionismo: degli 812.450
napoletani aventi diritto, solo 410.907
hanno votato per eleggere il nuovo inquilino di Palazzo San Giacomo, ovvero il
50,58%. Dai giornali del 31 maggio 2011
riportiamo non solo proclami, sentenze,
previsioni e promesse del sindaco ma
anche le parole di chi, allora, fu chiamato a
dire la sua sulla clamorosa e imprevista
(4)
CHIAIA MAGAZINE •FEBBRAIO/MARZO 2014
IERVOLINO
«Siamo sicuri che de
Magistris saprà
essere per la città
una guida ferma e
positiva verso
ulteriori mete di
sviluppo e
democrazia
partecipata.
Prendiamo atto che
la città, a larga
maggioranza, resta in
mano al
centrosinistra,
confermando anche
per Napoli una
tendenza ferma e
radicale contro il
centrodestra che
ormai si profila su
tutto il territorio
nazionale»
(R.R. Iervolino, 31
maggio 2011)
vittoria. A quasi tre anni da quel giorno di
delirio “orange” e di grandi speranze (non
nostre) molte di quelle parole oggi appaiono ancora più vuote e inutili.
un mandato popolare davvero significativo al di là dei partiti che mi hanno
sostenuto.
(de Magistris sul palco)
Liberiamo Napoli dalla “monnezza”
morale ed etica in cui è stata buttata per
troppo tempo.
(A. Di Pietro, leader Italia dei Valori)
Faccio a de Magistris i miei auguri e un
in bocca al lupo. Soprattutto per la città,
ne ha bisogno. Abbiamo perso forse
perché non siamo stati troppo bravi a
spiegarci, a far capire chi era davvero de
Magistris, a far capire cosa avremmo
potuto fare noi.
(Gianni Lettieri, imprenditore e candidato a sindaco per il centrodestra)
Ora è il tempo della festa. Questa città se
lo merita perché è stata liberata. L’Italia
è unita non più solo nel malaffare. È
unita sui temi dell’uguaglianza e della
libertà. È stata chiusa la pagina politica
del bassolinismo, durata vent’anni. I
giovani sono i protagonisti di una rivoluzione pacifica. Sono commosso, abbiamo scritto una pagina senza precedenti
nel modo di fare politica. Abbiamo
scassato davvero. Sento forte il peso
della responsabilità perché ho ricevuto
Il mio non è un voto di protesta. Non è
antipolitica. I napoletani hanno dimostrato cuore e cervello. Il messaggio che
viene da qui è una partecipazione straordinaria che viene dal basso: protesta
contro il sistema e proposta verso chi,
come me, dà un segnale di cambiamento della politica facendo politica. Questa
è l’occasione straordinaria anche per la
nascita di una nuova classe dirigente del
Mezzogiorno.
(de Magistris ai giornalisti)
Amm’scassato malamente e amm’ pure
arrevotato
(de Magistris con la bandana)
Ho chiamato il presidente della Repubblica. Una telefonata dovuta, del resto lui
è un napoletano e gli ho dovuto trasmettere l’entusiasmo dei giovani di questa
città. Il presidente mi ha detto che fare il
sindaco qui è una delle cose più difficili,
ma si è detto contento, mi ha fatto i
complimenti e mi ha rivolto gli auguri.
Ho ribadito il mio impegno nel dare
dignità a questa città.
(de Magistris ai giornalisti)
Apriremo le finestre per fare uscire il
puzzo del compromesso morale e fare
entrare il profumo di legalità. La nostra
sarà una nuova politica.
(de magistris a piazza Municipio)
La giunta sarà composta da metà donne
e metà uomini, tanti giovani. I partiti li
ascolterò ma non mi daranno indicazioni. Io e l’amministrazione non dovremo
dare conto a nessuno nei cinque anni
che ci attendono se non alle proprie
competenze e ai propri ideali. Sarà la
giunta più partecipata possibile, composta da persone oneste, coraggiose, credibili, dalle mani pulite. Sarò il sindaco di
tutti, anche di quelli che hanno votato
Lettieri o gli altri candidati, mi auguro
che i consiglieri di opposizione siano
concreti ad abbandonare ogni tentativo
di “metodo Boffo”, estraneo alla cultura
democratica della nostra città.
(de Magistris ai giornalisti)
Creerò le condizioni perché Roberto
Saviano torni a Napoli. Abbiamo liberato
la città anche per lui. Mi auguro di poter
camminare con lui già nei prossimi
giorni in una strada di Napoli.
(de Magistris tra i suoi fedelissimi)
Non ci saranno problemi con il presidente della Regione, Caldoro. Noi abbiamo idee concrete, ci confronteremo e
riusciremo a fargli cambiare idea sul
termovalorizzatore. Per quanto riguarda
i rifiuti, faremo decollare subito la raccolta porta a porta, togliendo anche i
cassonetti dalla strada. E per farlo impiegheremo personale dell’Asìa e chiunque
sia addestrato a farlo.
(de Magistris ai giornalisti)
So bene che troverò tante trappole, ma
Napoli non è una città forcaiola. Ho
detto fin dall’inizio che avrei rotto il
patto tra camorra e politica. Avrei voluto
essere magistrato per tutta la vita. Non lo
sono più, ma dentro lo sarò per sempre.
(de Magistris sul palco)
Non mi interessa nemmeno essere ricordata. Voglio solo che la gente di Napoli
viva meglio e se accadrà un po’ lo deve
anche a me. Vado via arricchita interiormente perché fare il sindaco è stato duro
e difficile. A Napoli c’è una cattiveria che
non ho visto da nessuna parte al mondo.
Così torno al volontariato che è stata
anche la cifra del mio mandato: ho
lavorato per aiutare i più deboli. Hanno
raccontato che porto via con me il casco
giallo degli operai dell’Italsider. Se volevano fare uno sfottò, hanno sbagliato. È
vero, vado via con tanti ricordi, ma certamente non con due ville a Capri, perché non ho mai fatto piaceri a nessuno.
(Rosa Russo Iervolino, ex sindaco
di Napoli)
Fino a questo momento a Napoli c’è
stata tolleranza totale con l’anarchia che
ha regnato sovrana. Dopo troppi anni di
malgoverno la città ha bisogno di regole
certe che siano rispettate. Il compito di
de Magistris sarà quello di adottare
decisioni impopolari, altrimenti tutta
questa “ammuina” non è servita a niente. Chiediamo normalità che non siamo
riusciti ad avere in tutti questi anni.
(Maurizio Marinella, imprenditore)
Per Napoli la vittoria di de Magistris è un
sogno che si realizza. Il mio augurio è
che sappia scegliere una giunta capace,
senza pecore zoppe, di patrioti e non di
opportunisti. Un politico si giudica per
la sua resistenza alle lusinghe, all’assalto
del blocco sociale, al coacervo di politici
corrotti, di mafia e camorra. Se de Magistris lo saprà fare si potrà costruire una
politica nuova.
(Gerardo Marotta, presidente dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici)
Povera Napoli! Spero che de Magistris
come sindaco sia diverso giuridicamente e moralmente da come è stato magistrato. Nelle sue inchieste Toghe lucane,
Why not e Poseidone ha registrato sempre innumerevoli fallimenti, nonostante
avesse disposto atti coercitivi reali quali
perquisizioni e sequestri che non hanno
portato a nulla, ma hanno leso l’onorabilità e la dignità delle persone, poi alla
fine uscite del tutto pulite. Una delle
patologie più rilevanti della sua attività è
stata la costituzione della cosiddetta
banca dati-Genchi sulla quale è stato
apposto il segreto di Stato e che non ha
precedenti nella storia delle indagini dei
pubblici ministeri in Italia. Se personaggi, come l’ex presidente di Confindustria
Antonio D’Amato, lo hanno votato è
perché non lo conoscono e non sanno
quello che ha fatto.
(Enzo Iannelli, ex Procuratore generale
di Catanzaro, consigliere di Cassazione)
Chi l’avrebbe mai detto che io avrei seguito un magistrato dal pugno di ferro e che
lui mi avrebbe fatto sedere a Palazzo?
(Pietro Rinaldi, eletto consigliere comunale ed esponente dei centri sociali)
Gli unici a fare concorrenza all’entusiasmo del vincitore sono i ragazzi di Insurgencia. Il sindaco gratifica anche loro:
«Mi accusano sempre di farmela con i
centri sociali, ma che c’è di male?». Ne
porta uno anche in consiglio comunale, e
per loro è una festa inedita: Combattino,
‘O Ciatto e tutti gli altri con i soprannomi
più improbabili hanno portato pure i
fuochi d’artificio. Sembra la scena finale
del mitico “Angeli con la pistola” di Frank
Capra, quando tutti i poveri di Brooklyn
fanno da scorta al governatore dello Stato
di New York. «Stiamo tutti con il governatore», dicono loro. E i terribili dei centri
sociali a Napoli possono dire altrettanto
«Stiamo tutti con il sindaco».
(Fulvio Bufi, giornalista, dall’ articolo
pubblicato sul Corriere della Sera)
Ho condiviso la scelta, ma all’inizio
l’avevo pregato di non farlo. Rimani a
Bruxelles, gli dicevo. Ma lui “Lo faccio
per Napoli”. E come lo fermi se ti dice
così? Farà bene. Ma spero che i napoletani gli siano vicino e non l’abbandonino.
(Marzia Russo, mamma di de Magistris)
Mi complimento con de Magistris: ha
dimostrato di essere un bomber. Sicuramente sarà molto meglio della Iervolino.
(Matteo Renzi)
«Con de Magistris
dissesto annunciato»
Dal nostro archivio abbiamo recuperato un pagina di
propaganda elettorale, che uscì due giorni prima del voto
del ballottaggio su alcuni quotidiani locali, a firma
dell’onorevole del Popolo della Libertà Paolo Russo. Il
testo, seppur dal tono elettoralistico, lancia l’allarme sul
pericolo dissesto, spiegandone origini e cause.
«A poche ore dal voto, dopo una campagna elettorale in cui
l’avversario del candidato del centrodestra Gianni Lettieri,
cedendo a un vizio antico della sinistra estremista, si è
preoccupato più di denigrare che di programmare un futuro
per Napoli, desidero con forza richiamare tutto l’elettorato
partenopeo e avverto il dovere morale di mettere in guardia
la cittadinanza: i cittadini devono sapere come stanno
realmente le cose.
Napoli è sull’orlo del baratro: dopo 17 anni di forsennata
gestione delle risorse pubbliche da parte del duo BassolinoIervolino, il Comune si ritrova immerso fino al collo nel crac
finanziario. Si tratta del famigerato «dissesto contabile» sul
quale da tempo il centrodestra ha acceso i riflettori: è un
dato di fatto, finito persino sul tavolo della Corte dei Conti.
La voragine debitoria del Comune nasce innanzitutto da un
buco di oltre due miliardi di euro, rappresentato da multe e
fitti non riscossi: in teoria si tratta di entrate, cioè voci attive,
che però non sono mai arrivate nelle casse comunali.
La gestione Iervolino, però, le ha fatte figurare come entrate
effettive per costruire un bilancio in pareggio: insomma un
trucco contabile. In secondo luogo ci sono gli enormi debiti
delle società partecipate: vale a dire un miliardo di euro di
perdite, distribuite tra Anm e Metronapoli, Arin, Asia,
Napoli Sociale e Napoli Servizi che, non ricevendo da tempo
finanziamenti dal Comune, si sono indebitate con le
banche. Il Comune stesso, infine, si è a sua volta indebitato
con gli Istituti di credito i quali adesso non concedono più
prestiti né al Comune né alle partecipate. Un dramma che
ha tra le sue conseguenze un ritardo di tre/quattro anni nel
pagamento ai fornitori e alle imprese, con relativo blocco di
servizi e di opere pubbliche. Di fronte a questo scenario
apocalittico, De Magistris, come ha dimostrato
clamorosamente negli ultimi faccia a faccia televisivi,
affidandosi a un’urlata demagogia, ha confermato una
disarmante ignoranza sulla situazione reale dei conti del
Comune e ha parlato vagamente di una lotta agli sprechi.
L’unica via d’uscita, invece, seria, concreta e immediata, è
la soluzione di Gianni Lettieri: chiedere al Governo la legge
Obiettivo per Napoli, cioè un provvedimento capace di
sbloccare immediatamente fondi e procedure
amministrative, scavalcando la burocrazia.
Senza questa legge straordinaria e l’appoggio di Governo e
Regione, nel giro di 6 mesi al futuro sindaco non resterebbe
che dichiarare il dissesto finanziario perché il Comune non
garantirebbe più le funzioni e i servizi indispensabili. Per
legge, allora, ogni centesimo sarà bloccato per pagare i
debitori e potrebbe durare anni e anni; migliaia di
dipendenti comunali rischieranno di essere licenziati;
imposte e tasse locali saranno portate al massimo; scatterà
la svendita colossale dei beni immobiliari del Comune; tra
le ricadute dirette, poi, il fallimento dei creditori non in
grado di resistere. Infine: la catastrofe politica in quanto il
Consiglio Comunale verrebbe sciolto con paralisi delle
attività amministrative e di spesa e si ritornerebbe
tristemente al voto. Vogliamo tutto questo? Vogliamo
perderci dietro ai furori giustizialisti e antipolitici invece di
pensare a ridare un senso e una salvezza alla città? Lettieri è
già al lavoro per costruire con il governo nazionale un ponte
“salva Napoli” attraverso la legge Obiettivo, strumento
fondamentale per ridare slancio e possibilità di rinascita a
una città a rischio dissesto. Credo, dunque, che non sia una
questione di destra o sinistra, ma di puro buonsenso e di
realismo amministrativo, qualità che un imprenditore come
Lettieri ha nel suo Dna e che un ex magistrato come de
Magistris, tutto codici e proclami, mostra di non possedere.
Votare de Magistris significa chiudere Napoli, avviandola a
un dissesto annunciato».
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(5)
(6)
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
PRIMO PIANO
ASSOCIAZIONISMO CIVICO, LA DENUNCIA
Riflettori sulle delibere dello scandalo
Laura Cocozza
La casa di vetro promessa
da Luigi de Magistris nel
giugno del 2011, poco dopo
essere diventato sindaco di
Napoli, si è opacizzata. A
dirlo a gran voce, i rappresentanti di tre associazioni
civiche partenopee: Bona
Mustilli e Antonella Pane per
Progetto Napoli, Manfredi
Nappi per Alpi (Associazione
lotta alle piccole illegalità), e
Lucio Mauro per Cittadinanza attiva in difesa di Napoli.
Le ragioni della mancata
trasparenza vanno ricercate
nel cospicuo dossier presentato alla stampa dalle associazioni, in cui si fa luce su
una serie di delibere, approvate dal Comune di Napoli
durante il 2013 e mai rese
veramente pubbliche, riguardanti azioni amministrative
che poi avrebbero avuto un
peso rilevante sulla cittadinanza. Solo con una panziente opera di indagine, che
è passata attraverso la richiesta di documenti e atti al
Comune e alla Soprintendenza, le associazioni civiche
sono riuscite a “pulire” il
vetro di Palazzo San Giacomo
e sbirciarvi dentro. Ed hanno
scoperto, ad esempio, che il
13 agosto 2013, in un periodo
in cui l’attenzione della
stampa si allenta e la città si
svuota, il sindaco e la giunta,
lavorando al pari di uno
sciame di api laboriose,
emanavano ben 28 delibere,
sui più svariati soggetti. Tra
queste, la delibera 637 che ha
sùbito attratto l’attenzione
dell’architetto Antonella
Pane. Con essa si approvava
uno studio di fattibilità per il
restyling del tratto di costa da
largo Sermoneta al Molosi-
glio, allo scopo di pedonalizzare tutta via Caracciolo. Lo
studio era stato presentato a
marzo dall’architetto Carmine Piscopo, allora direttore
del Dipartimento di Progettazione urbanistica della Facoltà di Architettura dell’Università Federico II, che nel frattempo era divenuto assessore
alle Politiche urbane del
Comune stesso. «Una coincidenza certamente» ironizza
la Pane. Ma c’è di più. La
delibera viene trasmessa alla
Soprintendenza per i Beni
architettonici la quale, a sua
volta, la trasmette alla Direzione regionale del Ministero
dei Beni culturali, che il 14
febbraio scorso non solo
esprime parere negativo sulla
prospettata pedonalizzazione, ma bacchetta il Comune,
invitandolo non solo a ripristinare la scogliera e rimuovere i “baffi”costruiti per la
Coppa America ma anche a
intervenire sul degrado e sui
monumenti della Villa comunale. A proposito di queste
ultime due questioni, l’investigazione dei cittadini ha
portato alla luce anche una
lettera risalente al 24 settembre 2012 in cui il dirigente
della Direzione centrale
infrastrutture del Comune
segnalava la richiesta di 3
miloni e 389mila euro che
l’Ansaldo avanzava a causa
del ritardo dei lavori e degli
oneri sostenuti per l’attuazione del dispositivo di viabilità
richiesto dal sindaco per la
Coppa America. «Sono quegli
stessi lavori - precisa l’archietto Pane - che hanno
sventrato la Villa Comunale
per realizzare una strada
costruita senza caditoie
perchè doveva avere carattere temporaneo. Ci chiediamo
allora: siamo sicuri che non
ci siano legami di causa
effetto tra il protrarsi della Ztl
e gli allagamenti dell’autunno 2012? Sulla Ztl l’avvocato
Nappi rincara la dose presentando un articolato ricorso al
Tar da parte di 35 cittadini
contro il piano traffico. «Il
lungomare è inserito tra le vie
di fuga della Protezione Civile
ed è dunque impensabile la
sua pedonalizzazione» sottolinea tra l’altro. Pedonalizzazione che dal 16 giugno,
ricorda ancora Nappi, potrebbe entrare di nuovo in
vigore. Anche Lucio Mauro
ha compiuto indagini e
spulciando l’Albo pretorio
del 17 febbraio scorso ha
trovato la determina n.21 del
31 dicembre 2013 con cui il
capo di gabinetto Attilio
Auricchio autorizzava la
spesa di mezzo milione di
euro per la non meglio precisata “definizione dei rapporti
tra gli organizzatori della
Grande partenza del Giro
d’Italia”. «500mila euro sottolinea Mauro - alla Rcs
organizzatrice dell’evento,
per un Comune in dissesto ci
sembra una cifra scandalosa
su cui si dovrebbe indagare».
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CHIAIA MAGAZINE •FEBBRAIO/MARZO 2014
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
PRIMO PIANO
CRISI E LUDOPATIA, LA DENUNCIA
Usura, un giro da 15 miliardi all’anno
Carmine Zamprotta
Il vertiginoso aumento di
sale per scommesse e bingo
ha posto in evidenza un dato
sconcertante che coinvolge il
capoluogo partenopeo: sono
tantissimi i napoletani indebitatisi non solo per la crisi
economica, ma anche per
tanti e assurdi debiti di gioco.
Di conseguenza, una parte
della città rischia di essere
strozzata dall’usura. L’economia napoletana è malata,
nessuno investe in città,
mentre sono in continuo
aumento i dati sulla disoccupazione, non solo giovanile. E
così, per far fronte a necessità
reali e non, in tanti ricorrono
agli usurai per ottenere prestiti. Chi si rivolge ad uno strozzino, imbocca una strada
senza ritorno. Nell’ultimo
decennio l’usura è in forte
ascesa, soprattutto tra i vicoli
della Napoli vecchia e popolare, e in particolare ai Quartieri
Spagnoli, dove non pochi
definiscono “benefattori”
personaggi che concedono
prestiti che raggiungono
facilmente il 150 per cento di
interessi. Gli inquirenti li
definiscono “finanziarie della
camorra”, proprio perché
praticano prestiti a tassi
usurai abilmente maggiorati
rispetto a quanto pattuito
all’inizio. Dati recenti confermano che tra Napoli e provincia sono migliaia le casalinghe, i pensionati e i lavoratori
finiti in questa pericolosa
morsa. Solo nello scorso anno
sono stati segnalati oltre 637
casi, con un giro d’indagine
che coinvolge migliaia di
persone. La Campania accoglie il dodici per cento di
questo fenomeno a livello
nazionale, e ogni anno il
fatturato dei cravattari aumenta: si parla di un giro di
affari superiore ai quindici
miliardi. Dunque, nonostante
sia in atto una vera e propria
battaglia per la legalità da
parte degli inquirenti, il fenomeno continua a crescere, e
sono in aumento le fasce di
popolazione a rischio usura.
Oggi la camorra non taglieggia solo gli imprenditori in
difficoltà, pronti a cedere le
proprie attività commerciali
per pagare i debiti accumulati, ma anche i cittadini che si
ritrovano con l’acqua alla
gola. E infatti recenti indagini
hanno confermato che il 55
per cento di richieste di prestito è di operai, casalinghe e
impiegati. In questi casi, non
potendo ottenere bani di
valore, gli usurai hanno adottato nuove tecniche di pres-
sione, come le molestie o gli
abusi sessuali nei confronti
delle donne debitrici o mogli
di debitori. Non sono immuni
dal fenomeno, poi, le imprese
che trovano le porte chiuse da
parte delle banche. Associazioni di consumatori e commercianti hanno lanciato
l’allarme, e una risposta
concreta non è mancata da
parte degli organi inquirenti,
mobilitati con un apposito
pool di magistrati. Intanto,
sono in aumento denunce e
segnalazioni, grazie all’impegno di associazioni antiusura,
istituzioni e commissariato
antiracket. Stando ai dati
forniti dalla Dda sul fenome-
no usura, e grazie alle recenti
inchieste, è stato accertato
che i reati economici a Napoli
si sono trasformati in una
pericolosa piaga sociale, e
non è un caso che gli inquirenti rivolgano continui
appelli ai cittadini, contattando le vittime in modo anonimo. Si tratta di un delicato
impegno teso a convincere
chi è sfruttato a denunciare
questi reati. Purtroppo, la
collaborazione delle vittime è
difficile da ottenere, mentre
tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli l’omertà fa da scudo nei
confronti di questi “benefattori”. L’impegno delle Forze
dell’ordine è massiccio nei
confronti di questa nuova
categoria di taglieggiatori, la
cui matrice di appartenenza a
un clan è ben nota. E non è
un caso che rifioriscano
diverse finanziarie che, grazie
a una pubblicità ingannevole,
attirano sempre più clienti,
per poi praticare, in seguito,
tassi altissimi. L’unica alternativa per combattere questa
piaga sociale sta nel rendere e
facilitare l’accesso al credito
per le imprese piccole e
medie, mentre resta fondamentale l’affidamento alle
associazioni antiracket delle
vittime dell’usura.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
IL PERSONAGGIO
FRANCESCO SILVESTRE, PRESIDENTE FORUM REGIONALE DELLA GIOVENTÙ
Idee e territorio, la mia politica giovane
Livia Iannotta
«Tanto sono tutti uguali». Ci
si blinda dietro frasi stereotipate come questa quando c’è da
scommettere sulla politica. Per
la gente, i Palazzi sono covo di
venditori di fumo e illusioni,
giochetti sulla scacchiera del
potere, inciuci, corruzione. Poi
incontri giovani come Francesco Silvestre (nella foto), nuove
leve della politica che si fanno
largo tra nepotismi e malaffare
sventolando la bandiera dell’entusiasmo. E un po’ torni a
credere anche tu nell’inversione di marcia. Silvestre ha 29 anni, una laurea in giurisprudenza e un curriculum nutrito, a dispetto dell’anagrafe. Si avvicina
alla politica ad appena 15 anni,
ricoprendo il ruolo di coordinatore del movimento giovanile della Margherita, per il collegio di Casandrino-Grumo Nevano-Sant’Antimo. Oggi, membro del Nuovo Centrodestra di
Alfano, è presidente del Forum
regionale della Gioventù della
Campania, organo del Consiglio regionale che ha il compito
di promuovere sul territorio iniziative per i giovani. «Amo la politica perché la politica ha scelto me ed io la faccio con pas-
sione», ripete spesso durante
l’intervista. E basta questo a far
capire che non tutti sono disposti a sporcarsi nella “palude”. Che c’è ancora chi concepisce la politica come ascolto,
vicinanza, vocazione. «Si fa politica perché si vuole cambiare
qualcosa rispetto a quello che si
è ereditato. Io la faccio a contatto col territorio, di tasca mia,
raccogliendo dal basso le vere
esigenze. È una passione che
viene da dentro. Non ha orari, è
disponibilità verso il prossimo,
lotta al malaffare Quello che
hanno perso di vista i partiti, di
destra come di sinistra o di centro, è che il politico rappresenta l’istituzione, la collettività».
Come a dire: seppelliamo la politica traballante, sul costante filo del paradosso del passato.
«Quella che ci hanno insegnato
è una politica non vincente, che
non ha ottenuto risultati: in
Campania il tasso di disoccupazione è al 41%, la sanità non
funziona, le imprese partecipate della Regione sono al 70% in
regime di cassa integrazione, i
privati soffrono». Che la svolta
sia possibile, lo dicono i fatti. Da
ottobre 2013 quando, dopo aver
ricoperto il ruolo prima di tesoriere e poi di consigliere dell’Ufficio di Presidenza, Francesco Silvestre è stato eletto al vertice del Forum grazie al sostegno del centrodestra e di larga
parte delle associazioni, ha già
incassato risultati importanti. Il
primo: sei borse di studio, per
un totale di 5100 euro, da destinare, grazie ad un protocollo
d’intesa con la Federico II, a giovani meritevoli in condizione
economica disagiata. «Non è
giusto che possano formarsi
professionalmente soltanto coloro che possiedono una posizione agiata. Tutti i giovani sono prioritari, perché portatori
di innovazione, nuove idee e
nuove formule», commenta.
L’impegno di Silvestre su questo fronte è stato soprattutto
pungolo per le istituzioni. A inizio febbraio, infatti, la giunta regionale ha approvato una delibera che stanzia 50 milioni di
euro da investire nel sistema
universitario campano, a favore dei giovani laureati. Della
somma, 30 milioni sono destinati ai dottorati di ricerca, 10
milioni a borse di studio per le
specializzazioni in materia sa-
nitaria, 8 milioni agli assegni di
ricerca da attuare a cura degli
organismi di ricerca; 2 milioni,
sotto forma di voucher, ai laureati che intendono frequentare master di secondo livello.
«Sono vicino ai giovani perché
lo sono io in primis, per cui ho
un approccio più moderno rispetto alla visione dei politici
vecchio stampo». E il Forum, da
questo punto di vista, è un vero
e proprio incubatore di idee: «Le
proposte dei giovani non devono morire. Chi ha un progetto
su qualsiasi tematica può portarlo al vaglio del Forum. Se lo riteniamo valido, possiamo concedere un patrocinio sia morale che finanziario». Tra i progetti in cantiere, poi, una quattro
giorni su Napoli, i cosiddetti
“Stati Generali delle politiche
giovanili in Campania”, a cui
parteciperanno 305 Forum del
territorio. «Al termine dei lavori verrà fuori una proposta di
legge regionale sulle politiche
giovanili da portare sui tavoli
istituzionali - spiega - Saranno i
giovani a dire la loro sul progetto di legge. È questo il mio obiettivo, farmi portavoce delle esigenze dei giovani in materia di
imprenditoria, politiche sociali,
pari opportunità, ambiente».
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
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SOLLECITAZIONI
COSÌ FANNO MORIRE
IL MIO CILENTO
Il Cilento muore ogni giorno. Strade chiuse,
frane, smottamenti, terremoti e alluvioni. Il
mio Cilento sta naufragando come le promesse mancate di politicanti di terz'ordine che
promettono l'Eden ma poi lasciano la palude.
Da anni sotto scacco dei soliti potentati locali,
una sorta di feudalesimo barocco che ormai è
penetrato nel dna degli stessi cilentani. Le
aree interne, diceva Manlio Rossi Doria, sono
quelle che andrebbero maggiormente tutelate
e protette, sono lo scheletro vero del paese.
Definì alcune aree interne della Campania e
dell'Appennino proprio «la terra dell'osso».
La nostra «terra dell'osso» della provincia di
Salerno è l'area a Sud di Eboli. Dove Cristo si è
fermato, ma non è più ripartito. Dove per
ottenere i propri diritti bisogna urlare in uno
spazio vuoto. Dove si chiudono gli ospedali,
dove si cercano di insediare discariche, dove
si chiudono gli uffici postali, dove i servizi
essenziali di sopravvivenza vengono barattati
come patate o funghi. Dove, ancora oggi,
anno del Signore 2014, si muore sulle strade,
bagnate dal sangue di chi le percorre alla
ricerca della vita e di un futuro spezzato. Così
è morta Emma, giovane ambientalista che
tornava da Pollica. Da un paese che pochi
anni fa è stato bagnato dal sangue di un
uomo perbene. Dove c'è un parco del Cilento
che dovrebbe maggiormente tutelare il territorio e non essere una gabbia in cui lottare
per ottenere un posto da presidente. Chi vive
nei paesi interni si sente come un cittadino di
serie B, lasciato solo, come se non fosse Campania, come se non fosse Italia. Ognuno è
migrante nella propria terra, vivendo su un
barcone come i naufraghi che dalla Libia
partono per credere ancora che valga la pena
di provare a vivere. Il nostro barcone è l'inedia, l'apatia in un mare di attese. Io amo il
Cilento, amo il paese in cui sono nato, Roccadaspide, il mio posto dell'anima, il luogo della
memoria e degli affetti, molti dei quali non ci
sono più.
“Un paese abbarbicato sulla montagna come
una rana gigante”, lo avrebbe definito Maria
Teresa di Lascia, poetessa e attivista radicale
morta prematuramente e nata in un piccolo
paese della Puglia. Ho una profonda rabbia
per l'abbandono del territorio, per luoghi
piccoli ma indifesi come bambini al freddo. Il
Cilento interno è ricco di storia, di luoghi
ameni e meravigliosi, ma è in uno stato di
totale abbandono. Ci si ricorda solo d'estate
della bellezza dei luoghi, quando anche i
padroni di questa regione vanno a bagnare le
loro natiche nel mare trasparente di Acciaroli
o di Castellabate. Se girassero come ho girato
io questi paesi, si renderebbero conto della
profonda dignità di contadini e gente di
montagna che Nuto Revelli definisce in un
suo bellissimo romanzo "I vinti".
In quella terra c'è il sangue dei braccianti che
hanno lottato per il loro pane, c'è il grido
muto di generazioni di donne abbandonate
dai mariti che con la valigia di cartone partivano per le fabbriche del nord. Si sente ancora e si respira in alcune case quell'odore, quel
senso di sacrificio e di amore. Peppino ormai
ha più di 80 anni e ogni mattina con la sua
vespa va a pascolare i propri animali in montagna. Schiena diritta, sigaretta sulle labbra,
come in un quadro impressionista, non si
piega mai. Lavora e ama la sua terra. Il Cilento
è questo. Un vecchio che non si stanca mai.
Perché la terra lo nutre. Quella stessa terra che
gli ha dato la vita.
ANDREA D’AMBROSIO, regista
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
STATI GENERALI DELLA MUSICA
Magie e miti
di Cantanapoli
Umberto Franzese
La canzone napoletana non invecchia, ma neppure gode ottima
salute. Malata perché piuttosto priva di valori, di sentimenti, di essenze vive, perché si regge sul giovanilismo piazzaiolo e su temi evanescenti ed inconsistenti. Se non invecchia è perché al suo attivo conta giovani e agguerriti cantori.
Avrebbe, però, bisogno di dare spazio e fiato alle nuove promesse, ma
fin quando sulla scena vengono
proposte vecchie cariatidi passate
di moda, inefficaci, c’è poco da stare allegri. “Largo ai giovani!” è una
bestemmia. “Fare squadra” è più
che peggio, è pura finzione. La fortuna e la grandezza della canzone
napoletana e dei suoi interpreti nasce alla scuola di grandi maestri se
non addirittura fra le mura dei Conservatori. A quelli che hanno la fortuna di passare una o più volte in
TV, il successo è assicurato. E se si
tiene conto che per lo più in TV passa il peggio del peggio, cosa c’è da
sperare? I migliori non sono quelli
che possono contare più presenze
in Tv e cavalcare le piazze. Sono, viceversa, al di fuori delle operazioni
affaristiche. Vengono forgiati attraverso i recital, le atmosfere di laboratorio, le sperimentazioni, le proposte colte e raffinate delle composizioni d’autore. La canzone napoletana ha avuto modo d’imporsi e durare nonostante il mutare di
mode e l’evolversi della lingua e degli schemi musicali. Quando si è
stati tentati di esprimersi cambiando le radici e i contorni del suo sviluppo e ciò, in parte è avvenuto, si
è dovuto risciacquare i propri panni nelle bollenti acque ai piedi del
Vesuvio. Le soluzioni trovate non
affondano più nel classicismo ottocentesco, bensì in categorie innovatrici, irregolari e persino imprevedibili. Irregolari ma non estranee e lontane dalla matrice di ceppo antico. Ciò che appartiene al patrimonio comune può trovare appigli diversi, reti più ampie, ma non
improprie, snaturate. Buon gusto,
sensibilità artistica, diversità stilistiche, costituiscono la forza di una
maggiore nitidezza espressiva. La
lingua napoletana è altro oggi, perché provvista di varietà autonome.
Tutto il contesto è cambiato per una
serie di ragioni storiche e culturali.
Meno passato e più presente prossimo. Per certi versi la lingua, originale per purezza, è meticcia per costruzione, meticcia da restarne talvolta sofisticata. E i suoni, grazie ad
una esplicita compensazione, hanno subito un rigoroso imprimatur.
Esiste un filtro che genera un uso
strutturato e netto. Viene respinta
l’immobilità e la cristallizzazione e
neppure vanno favoriti l’imbastardimento e la semplificazione.
Dalla canzone popolare alla canzone più vasta di significati attraverso processi rivalutativi e senza per-
dere di vista la matrice identitaria.
Poesia e musica, musica e poesia,
l’intento è, con libertà e proprietà di
linguaggio competere degnamente
con tutte le altre arti.
Napoli era come Parigi, come Vienna, come New Orleans. Napoli è
mediterranea, Napoli in rosa, Napoli ai piedi del Monte. Come Parigi e Vienna città di grandi tradizioni musicali. Da Parigi e come Parigi, con l’Ottocento il Café Chantant
e sale di concerto, sale da ballo e
caffè Concerto. La villanella e l’opera buffa o più verosimilmente la
melocommedia, come sostiene
Gennaro Borrelli. Non da archiviare, sono la posteggia e i canti di devozione, i canti a figliola, i mottetti,
i riboboli, gli intermezzi, ritorno di
moda dell’opera seria e semiseria.
Catalogate seppure congelate, dopo transitorie iniezioni, le Piedigrotte, ricordo di una canzone di
un tempo rigogliosissimo. Il dialetto napoletano come lingua ufficiale del Regno sin dal periodo aragonese, fonte di vitalità artistica. Napoli dei grandi poeti e musicisti:
Goethe , Lamartine, Stendhal, Metastasio, Auber, Haydn, Bellini, Rossini, Donizetti. Napoli città d’arte
scelta come terra d’elezione. Napoli
come New Orleans, città del Sud,
città portuale, spagnola e francese,
calda e musicalmente apparecchiata. Napoli mediterranea, araba, sanguigna, popolare, senza controllo, estemporanea. Napoli ai piedi del Monte, tra tradizione e innovazione, con l’autorità dei migliori
compositori ed esecutori: Girolamo De Simone, Max Fuschetto, Vincenzo Romaniello, sacerdoti di moderni misteri. Napoli in rosa, tra il
nascere della notte e del giorno, con
motivazioni e alternanze altrettanto vere e diverse: Fiorenza Calogero, Francesca Bellofatto, Consiglia
Licciardi, Antonella Morea, pervicaci, esigenti nella ricerca e nella
sperimentazione. I canti a figliola
di zì Giannino, la posteggia di Mastro Masiello, le assonanze e dissonanze di Ciccio Papasso, Napule
antica di Fernando Galano, Gio’ Di
Sarno. Realtà diverse, accadimenti
diversi. Taluni copiutamente e straordinariamente venuti fuori nelle
Prime di microConcerti, di commedie musicali o al Premio Masaniello e, come è accaduto di recente, nel Convegno Spettacolo “La
Canzone napoletana e sue contaminazioni” nel corso degli Stati Generali della Musica al Trianon – Viviani.
SOLLECITAZIONI
la vignetta
di Malatesta
IL SUDISTA
Mimmo Della Corte
RC AUTO,
UN SALASSO
IGNOBILE
Colmo
di fulmine
Diario stupendo
LA GRANDE BELLEZZA
La vita secondo
Jap Gambardella
Il «Diario stupendo»
di questo numero è
dedicato al film «La
grande bellezza» di
Paolo Sorrentino,
vincitore del premio
Oscar 2014 come
miglior film straniero.
Di seguito alcune tra
le più significative e
pungenti citazioni di
Jap Gambardella, lo
scrittore antieroico
interpretato da Toni
Servillo.
«È tutto sedimentato
sotto il chiacchiericcio
e il rumore, il silenzio
e il sentimento,
l'emozione e la
paura… Gli sparuti
incostanti sprazzi di
bellezza. E poi lo
squallore disgraziato e
l'uomo miserabile».
«Quando, da giovane,
mi chiedevano: cosa
c'è di più bello nella
vita? E tutti
rispondevano: "la
fessa!", io solo
rispondevo: "l'odore
delle case dei vecchi".
Ero condannato alla
sensibilità!»
«So' belli i trenini
delle feste, so' belli
perchè non vanno da
nessuna parte!»
«La più grande
ambizione di Flaubert
era scrivere un
romanzo sul niente,
se ti avesse
conosciuta avrebbe
avuto un grande
spunto».
«È così triste essere
bravi, si rischia di
diventare abili».
«Io berrò molti drink,
ma non molti da
diventare molesto e
poi, quando voi vi
alzerete, io me ne
andrò a dormire!»
«La tua vocazione
civile ai tempi
dell'università non se
la ricorda nessuno.
Molti invece
ricordano
personalmente
un'altra tua vocazione
che si esprimeva a
quei tempi ma che si
consumava nei bagni
dell'Università...»
«La più sorprendente
scoperta che ho fatto
subito dopo aver
compiuto
sessantacinque anni è
che non posso più
perdere tempo a fare
cose che non mi va di
fare!»
«Sull'orlo della
disperazione, non ci
resta che farci
compagnia, prenderci
un po' in giro!»
«Diamo sempre il
meglio di noi agli
sconosciuti».
di RENATO ROCCO
L’europeo vive,
l’italiano sopravvive.
La vita è come uno
spettatore a una
partita di tennis:
è preferibile il posto
all’ombra.
La devozione è una
sceneggiata
per la divinità.
Il pessimista è uno
informato su tutte
le cose, l’ottimista è
uno informato su Dio.
Il tempo passa,
ma non mi trova.
Le parole sono
le foglie di fico
del pensiero.
L’amore
delle galline viene
sempre a gallo.
Una discriminazione
assurda ed assolutamente inaccettabile,
che va cancellata nel
più breve tempo possibile. Oggi, però, prima
di domani. Noi meridionali, e soprattutto
campani e napoletani,
visto che è proprio qui
che si paga di più,
siamo già stati costretti
a sopportare troppo a
lungo la beffa di accollarci il più alto onere
nazionale ed europeo
per il pagamento della
Rc auto, per continuare
a reggerne il peso e
l’iniquità ancora oltre.
Ci pensino il governo e
la lobby delle assicurazioni, siamo pazienti,
ma non troppo e la
nostra ira - per dirla
con l’indimenticato
principe del sorriso,
Totò - sta già raggiungendo l’eccedenza e,
quindi, non siamo più
disponibili a lasciarci
prendere per i fondelli,
con sconti orizzontali
utili a ridurre i costi per
tutti, dalle Alpi al Capo
Passero, lasciando,
però, inalterata l’enorme sperequazione a
tutto danno di Napoli e
del Mezzogiorno ed a
vantaggio dei “fichi”
nordisti.
Un’ingiustizia che è
cominciata tantissimi
anni addietro e che è
cresciuta, anno dopo
anno, sempre di più
senza soluzione di
continuità ed al punto
che, attualmente, a
Napoli per assicurarsi,
si paga ben il 400 per
cento in più di quanto
si paga nelle altre grandi città italiane.
E poiché, la forchetta fra quello che si paga in
Campania e nel Mezzogiorno e quanto si paga
nel resto del Paese ed in
Europa - è arrivata a
livelli parossistici ed
insopportabili, la stessa
Antitrust che, fino
all’anno scorso, è rimasta in religioso, ma così
assordante silenzio, da
far pensare che tacesse,
per non inimicarsi la
potente lobby delle
assicurazioni, alla fine
è stata costretta a ren-
dersene conto ed a
rimarcarla in un recente dossier sull’argomento. La giustificazione che le compagnie
pongono da sempre a
fondamento della loro
pretesa, è – teoricamente – ineccepibile, ma
non regge.
Perché, se è vero, com’è
vero, che vanno puniti
quelli che denunciano
falsi sinistri, non è
assolutamente accettabile che i signori delle
assicurazioni sparino
nel mucchio, finendo,
così, per colpire tutti gli
automobilisti meridionali, anche quelli che si
assicurano per la prima
volta e quelli virtuosi
che gli incidenti non
solo non li denunciano
ma nemmeno li fanno,
che sono la stragrande
maggioranza anche a
Napoli.
Sappiano i lombrosiani
di ritorno del terzo
millennio: Governo,
parlamentari del Nord e
lobby delle compagnie,
che l’Italia del tacco ha
le scatole piene di
passare per la banda
del buco dei bilanci dei
loro “protetti”.
Certo, non si può negare che al Sud si facciano
più incidenti (e con le
strade che ci ritroviamo
non potrebbe essere
che così), ma quelli più
pesanti per le casse
delle assicurazioni –
come conferma il dossier “Rcauto quanto ci
costi?” realizzato da
“Cittadinanzattiva” – si
registrano in Padania.
Insomma, anche sul
fronte assicurativo
(ricordate la vicenda
delle quote latte, sforate
dai “purissimi” ed
“onestissimi” allevatori
amici di Bossi e Salvini
e risarcite con i Fas
destinati allo sviluppo
del Sud?) il Nord fa i
propri comodi ed il
Mezzogiorno ne paga le
conseguenze.
A questo punto, visto
che da questo orecchio
“lorsignori” sembrano
non volerci sentire,
delle due l’una: o la
disobbedienza civile,
rifiutandoci di pagare,
oppure un trasferimento massivo di residenza
al di là del Garigliano.
«Cosi è se vi pare», ma
anche se non vi pare.
CHIAIA MAGAZINE •FEBBRAIO/MARZO 2014
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
RICORDI
QUEL TERRAZZO DEI SOGNI
IL MESTIERE DI SCRIVERE
MIZZI, IL LUCIANO
I suoi articoli erano
precisi come lame
Nel mese di ottobre è venuto a
mancare Alvaro Mirabelli,
cofondatore della Iuppiter
Group, direttore di Chiaia
Magazine dal 2006 al 2009,
giornalista di razza sempre
controcorrente, artefice di meravigliose inchieste e memorabili
ritratti. A dicembre abbiamo
pubblicato una bacheca di
pensieri scritti dai suoi amici
più cari. Continuano ad arrivare in redazione testimonianze
d’affetto e ricordi del nostro
formidabile “Mizzi”. In questa
pagina pubblichiamo i contributi di Francesco de Notaris
e di Paolo D’Angelo.
Francesco de Notaris
«N’ata vota? È sempe ‘o figlio e’
l’avvocato». Nel vecchio palazzo
di via Santa Lucia 34, ora abbattuto e ricostruito, all’angolo del
vico Storto al Pallonetto, in un
grande cortile affacciavano un
garage certamente non con le
‘carte a posto’ ma tollerato dal
condominio perché utile ai condomini, al custode, al garagista e
a qualche ‘raccomandato’, al
quale veniva custodita l’auto, e
poi un elettrauto, un meccanico,
un’agenzia immobiliare, il retro
di un bar, l’alloggio del portiere.
All’ultimo piano, al IV di quel fabbricato, oggi di sei con sopraelevazione, abitavano l’avvocato, la
moglie nobile, e Alvaro, detto
Mizzi, con il fratellino Massimo.
Il grande terrazzo della casa Mirabelli era la meta preferita dei
ragazzi di Santa Lucia, di quelli
che abitavano nei palazzi prospicienti la strada e dei tanti amici del vico, del Pallonetto e strade adiacenti.
Il terrazzo era una sorta di ‘crocevia’ di più culture, ma era considerato il campo di calcio preferito. L’altro era sul terrazzino di
copertura della Canottieri Napoli e qualche mini partita si faceva
anche sui giardinetti della Litoranea o in via Generale Orsini
dietro l’Excelsior. Si narra che qui
il Re Juan Carlos I di Spagna, nato a Roma, residente da piccolo
anche all’Excelsior, vi abbia giocato in incognito.
Il terrazzo di Mizzi era ‘zona franca’, inaccessibile ai vigili urbani e
ai camerieri del Circolo nautico
impegnati in azione di sequestro
di palloni, ai numerosi aspiranti
giocatori o competitori che ciondolavano o che occupavano gli
spazi a livello strada denominati
‘campetti’.
Il terrazzo di Mizzi era il campo
privato e per giocare bisognava
essere amici ed invitati, e alle partite non mancava l’arbitro, se si
era complessivamente in numero dispari. Dalla strada si sentivano urla, imprecazioni, qualche
cattiva parola di uso comune e
nessuno cadeva in volgarità
estreme, visto che la mamma di
Mizzi era in casa, spesso con indosso un’elegante vestaglia, e bisognava essere educati e poi tutti noi aspettavamo il bicchiere di
coca cola. L’acqua di mummara
la compravamo alla ‘banca dell’acqua’ all’angolo.
Spesso il pallone cadeva o dal lato della strada o nell’interno del
cortile. Mentre nel primo caso il
recupero non era assicurato in
quanto gli abitanti del vico lo
aspettavano come una manna,
nel secondo la restituzione era
certa. La vittima, perché il pallone gli cadeva sulla testa o su quella di un cliente o precipitava su
una macchina in sosta, non potendo dire no al figlio dell’avvocato, restituendo il pallone, minacciava bonariamente il ragazzino che aveva calciato ‘alto’ ed
incaricato dalla comunità ludica
a riprendere il vecchio e leggero
superflex: “v’o buco sto pallone!”,
poi borbottava con gli amici e ne
parlava con rispetto all’avvocato, in presenza del custode dello
stabile, garante dell’ordine auspicato.
Le competizioni calcistiche patrocinate da Alvaro non tenevano
conto dei compiti assegnati dalla scuola per il giorno dopo ed
avevano una ricaduta anche sull’andamento degli incontri programmati per i giovani da Padre
Filippo Luciani, amato vice-Parroco di Santa Lucia. Molto spesso per iniziare qualche riunione
si aspettava che Enzo il coinquilino ed ora professore, e Franco,
Luciano, Guido, Mario, Salvatore,
Michele, Tommi, Giovanni, Enrico, Geppino, Pietro, Salvatore,
Antonio, Piero, Luciano, Alfredo e
compagni terminassero le partite o addirittura si telefonava a casa Mirabelli e la mamma mandava tutti via perché il gruppo dei
ragazzi dell’Azione Cattolica doveva fare l’adunanza e non potevano mancare quei piccoli calciatori che arrivavano in Parrocchia sudati e impegnati in commenti sulle partite appena terminate.
Alvaro era un protagonista, un
leader naturale, entusiasta, determinato, combattivo, intelligente, caparbio, accanito e polemista fin da ragazzino, giocatore
bravo, velocissimo e tenace. È
stato sempre un vero luciano e
da giornalista tornava nel suo
quartiere e rivedeva il mondo
dell’infanzia e della prima giovinezza. Teneva molto a Tonino,
amico ed ottimo barbiere di via
Marino Turchi che fin da ragazzo
era ed è ancora in quel negozio.
Oggi Tonino, Antonio Montella,
dal 1989 è Cavaliere della Repubblica, rattristato per la morte di
Mizzi, al quale negli ultimi tempi andava a tagliare i capelli a casa. Non è da tutti farsi radere da
un Cavaliere! Sempre Mizzi per
noi di Santa Lucia. Una volta mi
disse che non conosceva il giorno del suo onomastico. Infatti pare che un santo Alvaro non esista.
C’è qualche Alvaro beato. Ci mettemmo d’accordo per il giorno di
tutti i Santi, il primo novembre e
non tutti gli anni gli telefonavo
per gli auguri. Quando ci vedevamo gli chiedevo della figlia e di
Massimo. Massimo era il fratellino che non giocava. Era il piccolo! Della figlia mi parlò da quando lei nacque. Era orgoglioso e
manifestava con riservatezza e
discrezione interesse e amore per
Sveva. Conservo le sue parole.
Appena nato fu Alvaro, poi sempre Mizzi. Tornò Alvaro da grande, da giornalista, da appassionato cronista che batteva il marciapiedi ed era capace di indagare e capire perché aveva gli strumenti culturali adeguati celati da
un’espressione un po’ birichina e
poi via, sempre di fretta, come
chi ha…la neve in tasca. Noi di
Santa Lucia abbiamo voluto bene a Mizzi e quel terrazzo è stato
palestra, scuola di vita, luogo di
incontro e confronto. Un terrazzo, libero docente in antropologia culturale. Esperienze di un
tempo, momenti associativi, di
condivisione e di arricchimento
che non ci sono più. Queste sono nostre radici e storia. Ora il
palazzo, il terrazzo e Mizzi non ci
sono più. Resta il ricordo di
quanti hanno conosciuto, apprezzato quel ragazzo di Santa
Lucia dal carattere dolcemente
spigoloso, fortunato, sfortunato,
scomparso troppo presto, meritevole, estroverso, introverso, capace e sincero sempre. Merita un
posto nel cuore di ognuno di noi.
Paolo D’Angelo
Quando passeggio per
il centro della mia città,
piazza del Gesù, Spaccanapoli, piazza dei Martiri, via Filangieri, via
Chiaia, via della Cavallerizza, vico Alabardieri,
via Posillipo, ogni angolo mi fa pensare a quante volte queste strade
hanno ispirato i miei
articoli ed è inevitabile
pensare a tutti gli amici
che insieme a me hanno
dato voce a questo
giornale, “Chiaia Magazine”, che mi piace
definire un giornale di
strada,un giornale dei
vicoli.
Ricordo i miei incontri,
spesso casuali, con Max
De Francesco, Laura
Cocozza, Nino De Nicola
e Alvaro Mirabelli, una
redazione a cielo aperto
come solo a Napoli si
può fare. Si parlava
prima del malessere o
della bellezza delle cose
della nostra città e poi si
finiva nel dettaglio di un
articolo da scrivere.
Spesso Max, passando al
volo, mi diceva tra un
clacson e un rombo di
motore «Paolo questo
mese parliamo dell’immondizia, fai un articolo...» e cosi io scrivevo,
scrivevo. Pensate alla
bellezza di quei momenti, eravamo tutti sulla
stessa lunghezza d’onda: l’amore per Napoli,
la passione di scrivere
per lei, solo per lei,
senza chiedere nulla in
cambio.
Ed ecco pronta una
nuova edizione carica di
verità, una verità da
regalare a chi voleva
risposte, approfondimenti sui temi più caldi
della nostra città. In
particolare ricordo le
mie lunghe chiacchierate con Alvaro, “Mizzi”
per gli amici, discorsi
lunghi e carichi di passione, tutti ispirati dai
rumori, dai suoni, dalle
gioie, dai dolori, dalle
difficoltà, dalle emozioni che Napoli ci regalava
semplicemente ogni
giorno.
Per scrivere in un giornale nato per strada devi
essere innanzitutto un
uomo di strada, un
Alvaro era un uomo
semplice, un
giornalista di talento
e di strada.
I suoi scritti erano
chiari come la luce
del sole della sua
amata città.
Era carico di passioni
e voglia di verità.
uomo esperto, sensibile,
passionale, che conosce
i segreti più oscuri e sa
come muoversi e cosa
fare in ogni situazione.
Un giornalista di strada
deve con maestrìa saper
approfondire, secondo
la propria sensibilità e
coscienza, gli argomenti
che la strada propone.
Alvaro era tutto questo,
un uomo semplice ma
solo nell’aspetto, perché
per il resto era un vero
uomo di strada ed un
giornalista di talento.
I suoi articoli, sempre
precisi e diretti, erano
come lame che trafiggevano nel centro il cuore
delle storie che raccontava.
I suoi scritti erano diretti
e documentati, chiari
come la luce del sole
della sua città, che tanto
amava. Mizzi era il figlio
nato dalla bellezza della
nostra Napoli e per me è
stato un onore e un
piacere avere avuto la
possibilità di collaborare
con lui in questi ultimi
anni della sua vita.
Ciò che Alvaro Mirabelli
ha fatto e ha scritto per
noi napoletani è inciso
nella storia del nostro
bel paese e nel cuore di
tutti quelli che lo hanno
conosciuto. Alvaro mi ha
lasciato un pensiero: «Sii
un uomo semplice ma
pensa alla grande».
Questo pensiero lo giro
a voi lettori di Chiaia
Magazine come riferimento da ricordare ogni
giorno della vostra vita e
per continuare a sperare
in ciò in cui Alvaro ha
sempre sperato: una
società migliore. Mizzi,
so che non ci incontreremo più nelle “nostre”
strade, ma quelle strade
continueranno a parlarmi anche di te.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
STORIE&TERRITORI
pagina a cura di NewMediaPress
POZZUOLI, IL DEGRADO
Recuperare
via Antiniana
La mappa dei siti abbandonati tra incuria e rifiuti
Trasporti pubblici al palo e assenza di progetti
Rosario Scavetta
V
ia Antiniana (nella foto),
zone di confine tra le città di
Napoli e Pozzuoli, ultimamente, sembra essere stata
abbandonata dalle istituzioni. Nel luogo in questione,
oggi, il degrado dilaga e i
servizi principali mancano,
così come i collegamenti di
trasporto pubblico che
sono, per così dire, “rallentati”. Eppure la zona, in
passato, ha rappresentato
un luogo di particolare
importanza per gli scambi
commerciali. L'antica via
Antiniana, infatti, conduceva in età romana da Neapolis a Puteolim e fu utilizzata
a lungo anche dopo la costruzione della Crypta
Neapolitana. Quest’ultima,
è vero, abbreviava il cammino, ma era decisamente più
disagevole e pericolosa.
La parte napoletana di via
Antiniana confina con il
quartiere Agnano, lontano
dal centro della città di
Napoli, spoglio, triste e
talvolta pericoloso in termini di sicurezza personale.
Un quartiere dove dispersione edilizia ed abusivismo
connotano fortemente la
struttura insediativa tipica
delle periferie di molte
grandi città.
Un quartiere, ricordiamo,
fortemente caratterizzato
dalla presenza della base
Nato (aree per lo più dismesse ora) e dalle concessionarie di auto che qui
hanno stabilito le loro attività commerciali. Una zona
nascosta, principale sito di
sversamento illegale dell’area flegrea, dove spesso si
scoprono vaste aree di
terreno nelle quali vengono
riversati e stoccati abusivamente rifiuti di ogni genere.
Proprio per far fronte all'emergenza ambientale,
nel 2007, nacque in via
Antiniana un nuovo Centro
regionale per monitorare i
siti contaminati. Il centro di
Pozzuoli attualmente presente è suddiviso in due
aree. Un'area tecnica, che si
occupa di presidiare le
attività connesse con le
bonifiche dei siti contaminati, attraverso analisi del
rischio, progettazione di
messa in sicurezza e bonifica, censimento di siti inquinati, potenzialmente inquinati e sistema informativo
territoriale. Ed un'altra dove
vengono effettuate le analisi
di laboratorio: contaminazioni del suolo, dei rifiuti,
delle acque, delle diossine e
dei micro inquinanti.
Ma nonostante tutto, nel
bailamme dell’emergenza
rifiuti di qualche anno fa,
qualcuno lanciò la proposta
di costruire un termovalorizzatore in zona. E questo
dovrebbe far capire come
questa “appendice” al confine tra Napoli e Pozzuoli, a
molti politici non dice nulla.
Siti come il vicino Ippodromo, le famose Terme, la
riserva WWF degli Astroni e
il Parco della Solfatara furono “azzerati” in un istante.
Fortunatamente qualcuno
di buon senso si rese conto
che il luogo non risultava
proprio idoneo ad ospitare
un termovalorizzatore. E
grazie anche all’esito dei
rilievi effettuati dalla Commissione nominata ad hoc
da Guido Bertolaso (all'epoca sottosegretario all'emergenza rifiuti in Campania)
che individuò un forte
elemento di criticità che
avrebbe prodotto l'impianto, sotto il profilo della
dispersione delle emissioni
e del rischio industriale, il
progetto sfumò. Bertolaso,
preso atto, confermò la
disponibilità ad esaminare
possibili alternative per
l'individuazione di altre
aree dove poter far sorgere il
termovalorizzatore.
E da allora, fortunatamente,
di termovalorizzatore nell’area flegrea non se n’è più
parlato, ma Agnano e la via
Antiniana hanno perso
l’attenzione delle istituzioni, ritornando nel degrado e
nel dimenticatoio.
Appuntamenti liturgici
per il beato Don Giustino
Don Giustino Russolillo,
beatificato il 7 maggio
2011, ritorna al centro
dell’attenzione grazie
all’avvio delle celebrazioni
per i 100 anni del suo
sacerdozio e della fondazione del Vocazionario, il
centro studi, sito nel quartiere Pianura di Napoli che
ricade nella diocesi di
Pozzuoli. Padre Giustino
Russolillo fu ordinato
sacerdote il 20 settembre
1913, divenne Parroco di
Pianura il 20 settembre
1920 e cominciò subito a
lavorare per realizzare il
suo sogno: fondare la
Società delle Divine Vocazioni, comunemente
chiamata dei Padri Vocazionisti. Ed è proprio
intorno al termine “vocazione” che ruota la vita del
Beato Don Giustino Russolillo. Fin dai primi anni
della sua vita sente forte e
chiara la chiamata di Dio
al sacerdozio.
A 10 anni entra nel seminario di Pozzuoli, ma più
di una volta ha temuto di
non poter seguire la vocazione a causa della povertà
della sua numerosa famiglia e delle malattie che lo
accompagneranno per
tutta la vita. Superati i
problemi economici e
raggiunto il sacerdozio,
comincia a dare lezioni di
catechismo ai giovani,
formando due gruppi, i
“Volontari di Gesù” e i
“Fedelissimi”, con i quali
organizza veri e propri
oratori con attività di
formazione umano –
sociale. Quando in seguito
gli fu chiesto come era
nata la Congregazione dei
Vocazionisti, rispose: «La
Società Divine Vocazioni è
nata da un seminarista
che faceva catechismo
tutti i giorni e a volte tutto
il giorno». La Società ricevette la prima approvazione Diocesana il 26 maggio
1927, e divenne Congregazione di Diritto Pontificio
il 24 maggio 1947. Nel 1950
i Padri Vocazionisti aprirono la prima missione fuori
Italia, e cioè a Salvador
Bahia, Brasile. Oggi sono
presenti, oltre in Italia, in
Francia, Regno Unito, Stati
Uniti, Colombia, Ecuador,
Cile, Argentina, Nigeria,
India, Madagascar, Filippine, Indonesia e Sud Africa.
Padre Giustino fondò i
Padri Vocazionisti con
questo speciale carisma di
cercare, coltivare e promuovere le vocazioni al
Sacerdozio e allo stato
religioso, e portare alla
santità tutto il popolo di
Dio. Per questo lavoro,
ideò il Centro Studi di
Pianura (maggiormente
conosciuto come Vocazionario), una speciale casa
di formazione, per preparare e offrire vocazioni agli
ordini religiosi e ai seminari diocesani.
E proprio presso la sala
conferenze del Vocazionario di Pianura, sono state
illustrate le iniziative che
coinvolgeranno l’intera
comunità nei prossimi
mesi. Per l’occasione era
presente anche il Rev.
Antonio Rafael Do Nascimento, Padre generale dei
Padri Vocazionisti.
Le iniziative dell’anno
Giustiniano (20 settembre
2013 – 20 settembre 2014)
sono state esposte da Don
Salvatore Musella, presidente del Centro Studi
(nella foto), il quale ha
evidenziato gli appuntamenti più significativi,
ovvero, la commemorazione del primo centenario
della fondazione del Vocazionario, in programma
per il 30 aprile 2014 alla
Pagliarella (la “porziuncola” dei Vocazionisti) di
Villa Simpatia a Pianura. Il
7 maggio 2014, poi, in
occasione del III anniversario della Beatificazione
di Don Giustino, la comunità Vocazionista sarà in
udienza a Roma dal Santo
Padre. E infine, il 20 settembre 2014, per la conclusione dell’Anno Giustiniano, è prevista l’ordinazione presbiteriale dei
Diaconi provenienti dai
quattro continenti.
ROSARIO SCAVETTA
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
DIVINAZIONE
IL MITO E I GIORNI
Il sacrificio
dei Gemelli
La storia di Castore e Polluce che rappresentano
l’archetipo della scissione tra anima e corpo
Rosamaria Lentini
F
in da epoca antichissima, quando l’equinozio di primavera cadeva sotto questa costellazione,
ai Gemelli furono attribuite due
stelle alle quali i Greci, millenni
dopo, imposero il nome di Dioscuri.
Polluce è il divino, nato dal connubio di Leda con Giove; Castore è il mortale, figlio di Leda
e Tindaro. Quando Castore viene ferito a morte, Polluce invoca Giove affinché conceda l’immortalità al fratello. Il padre acconsente a patto che i due vivano alternativamente sei mesi
sull’Olimpo e altrettanti nell’Ade. I Dioscuri erano abili conduttori di cavalli e di carri, erano combattivi e sportivi, così
tanto bravi da essere designati
patroni dei Giochi Olimpici.
I Gemelli sono il primo Segno
doppio dello Zodiaco. Il numero due è un antichissimo simbolo di polarità o di separazione: la luce e il buio, il giorno e la
notte, il maschile e il femminile, l’alto e il basso, sono solo alcuni esempi, fra i tanti, che illustrano il significato di questo
numero. Alternanza, contrapposizione, separazione, polari-
tà sono i motivi principali che
permettono il movimento, quel
movimento indispensabile a
formare la vita e soprattutto a
farla progredire.
Tutto ciò è molto visibile anche
in natura, quando a giugno la
nuova vegetazione ha bisogno
di svilupparsi, di muoversi, di
crescere per portare a maturazione i suoi frutti e diventare in
tal modo un reale nutrimento. I
primi germogli nati in Ariete e
poi moltiplicatisi in Toro, devono crescere, alzarsi ed iniziare il
graduale allontanamento dal
contatto con la terra. La pianta
e il frutto sono una diversificazione della materia, perché il
getto del grano non è il seme
ma neppure la spiga, è un inizio
che deve compiere un ulteriore
passo in avanti, maturare e fornire il nuovo seme.
La separazione, il due che si forma dall’Uno, pure essendo all’origine della vita - per esempio
il neonato che nell’atto della nascita si separa dalla madre, formando un Io e un Tu - spaventa molto e tutte, o quasi tutte le
religioni, esprimono la tensione
alla riunificazione, perché nel
due si realizza la divisione fra
l’umano e il divino, fra il finito e
l’infinito.
Molto frequenti sono le rappresentazioni grafiche o scultoree
dei gemelli. A volte vengono raffigurati perfettamente identici
altre solo somiglianti. I rispettivi significati simbolici sono stati oggetto di studio: nell’identi-
tà è racchiusa la pacificazione
dei contrasti e, con un’espressione moderna, la raggiunta integrazione di una personalità
equilibrata ed armoniosa; nella
somiglianza è evidenziata la
dualità, con le sue opposizioni
e la lotta che l’individuo deve
compiere per risolvere i suoi
conflitti interni.
Molto esplicita è quella raffigurazione che vede un gemello
bianco ed uno nero, simbolo
evidente delle tendenze spirituali e materiali presenti nell’uomo, ovvero la sua parte immortale e quella mortale.
Secondo la psicologia junghiana, nei Gemelli risiede l’archetipo della scissione umana: la
dualità fra anima e corpo, fra ciò
che resta di noi e ciò che muore. Il semidivino Polluce spinge
all’interiorità, mentre il terreno
Castore si tiene ben saldo alla
materia e al suo possesso, onde
evitare qualsiasi turbamento.
Nessuno dei due può avere mai
del tutto partita vinta e, per
quanto uno possa prendere il
sopravvento sull’altro, la vittoria
non sarà mai totale e definitiva.
Periodi di euforia e di depressione si alternano nell’animo
dei Gemelli, perché l’esteriorità
verso cui inclina Castore, comprime le esigenze di Polluce,
che, a sua volta, nel momento
della sua supremazia tende a
schiacciare Castore.
Il sacrificio che devono compiere i Gemelli nasce esattamente da questo conflitto che si
palesa come un voler rimanere
giovane a tutti i costi, e può risolversi, innanzi tutto, con il divenirne consapevoli e poi con
l’accettare che il puer deve crescere e che la giovinezza dello
spirito è l’unica che a noi mortali è dato conservare.
Quest’adulta consapevolezza
rende il nativo del Segno molto
più pacato e in armonia con se
stesso e gli elimina la dipendenza che inevitabilmente, a
causa della scissione, crea con
l’esterno, in quanto le sue due
metà, se non si uniscono, hanno bisogno di un fuori che dia
quel sostegno che manca all’interno.
[email protected]
LE CARTE DEL DESTINO
Il Bagatto
IL MAGO
DELL’INIZIAZIONE
Se, come si è detto, Le Mat
rappresenta il viandante,
il Bagatto, arcano numero
uno, è colui che deve
decidere se mettersi in
viaggio per avviare il
percorso di individuazione che i tarocchi raccontano per immagini. Ha
tutto con sé: ori, coppe,
bastoni e spade. È l’artigiano che plasma la materia composta dai quattro
aspetti da integrare: il
fuoco – intuito; la terra –
sensazione; l’acqua –
sentimento; l’aria – pensiero. Due si trovano già
nelle sue mani, gli altri
appaiono sul tavolo. Infatti, il Bagatto nella mano
destra regge una bacchetta, simbolo dell’iniziazione: è il fuoco sacro che lo
muove. Nella mano sinistra mantiene una moneta, segno dell’importanza
degli aspetti materiali. Ha
a disposizione pensiero e
sentimenti. Il suo compito
è organizzare tutto ciò in
modo da dargli una forma
definita.
È l’Uno, ma non ricomincia da zero, poichè il
viaggio ha come simbolo
una spirale: tante volte
bisogna ritornare al punto
di partenza e ripartire per
un nuovo cammino, senza
dimenticare ciò che siamo
e siamo diventati in virtù
delle nostre passate esperienze. Infatti il nostro
personaggio volge lo
sguardo a sinistra e in
basso, quindi orienta il
suo pensiero al passato e
guarda verso la terra, dove
ha i piedi piantati a forma
di squadra, in segno di
concretezza. Dal punto di
vista simbolico ciò sottolinea proprio la consapevolezza del bagaglio di esperienze acquisito e l’attenta
valutazione delle proprie
reali possibilità.
In primo piano c’è il banco di un artigiano che
produce il nuovo e l’ignoto, come sottolinea il
lemnisco - il cappello a
forma di infinito - e come
indica la rappresentazione dei piedi del tavolo di
cui uno è nascosto. Siamo,
appunto, ancora nel mondo dell’attività creativa,
non della realizzazione, a
voler sottolineare che in
questa fase non possiamo
ancora sapere come evolverà la nostra creazione.
Ma se davvero si decide di
iniziare il proprio cammino, chi si svela davanti a
noi? Qual è il suo reale
compito? Qual è il grande
Viaggio della vita che si
appresta a compiere? Il
segreto è nascosto nel
nome francese - Le Bateleur - che probabilmente
proviene da batelier che
significa conducente della
barca. Il Bagatto è colui
che trasporta l’anima del
morto - Le Mat - in modo
che possa iniziare il viaggio della propria identificazione. E se il Matto
rappresenta l’anima, il
Bagatto riproduce la
personalità, composta di
quattro elementi, enfatizzando l’aspetto duale dei
Tarocchi che permea tutta
la struttura degli arcani,
sia quelli maggiori che
quelli minori.
Il grande traghettatore
non ha, dunque, un tavolo, ma la barca stessa che,
per poter essere efficacemente condotta, necessita
di una grande fiducia in se
stessi. Quindi, volontà di
andare, ma nella convinzione di poter conseguire
la propria meta. È tutto in
potenza. In sostanza deve
operare un esercizio di
volontà. Questo è il senso
più profondo di questa
lama. Chi è nella posizione del Bagatto deve innanzitutto decidere se
intraprendere il Viaggio.
Ne ha la possibilità, ma
deve stabilire se desidera
compiere questo grande
investimento e, una volta
determinata la necessità,
deve esercitarsi nella
perseveranza.
[email protected]
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
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STORIE DI MEDICI ILLUSTRI
Testo Antonio Biancospino / Illustrazione Paola Del Prete / Pagina realizzata in collaborazione con SHEDIRPHARMA
D’Esposito, l’occhio della scienza
A Piano di Sorrento c’è una strada intitolata alla memoria dell’oculista Mario D’Esposito e una lapide sulla casa
nella quale ha vissuto e lavorato. Il freddo marmo che onora questo straordinario medico, raro nel panorama scientifico italiano, dice: «Oculista insigne, coniugò cultura, scienza umanità, portò la
luce del suo sapere anche fuori dei confini nazionali».
La sua città ha onorato così la memoria
di un celebre scienziato, che davvero ha
conferito lustro e gloria non solo ai suoi
concittadini, ma all’Italia intera, sperimentando e ricercando nel campo della chirurgia oculare in tempi in cui l’innovazione scientifica era ancora una
frontiera inesplorata. Per questo scienziato la Società Italiana di Oftalmologia Pediatrica assegna, ogni anno, un
premio a suo nome (per il miglior contributo scientifico presentato al congresso della società). A lui la Società Italiana di Oftalmologia ha conferito, nel
2001, la medaglia d’oro come “Maestro
di oftalmologia” e l’Ordine dei Medici
ha conferito, nel 2002, la medaglia d’oro
alla carriera. Non poteva fare da meno
l’Ateneo Federico II di Napoli, che gli ha
intitolato un Plesso Didattico, gratificandone postumo la sua intensa e strabiliante carriera scientifica.
Mario D’Esposito, tuttavia, è stato soprattutto l’oculista di generazioni di carottesi (si chiamano così gli abitanti di
Piano) e sorrentini e, per tutti i suoi pazienti, un medico di grandissimo valore
e spessore umano, oltreché professionale. Eppure quest’uomo, nato a Piano
di Sorrento nel 1926, ha sviluppato la sua
passione professionale in un territorio
considerato da sempre ai margini della
(20)
ricerca scientifica. Nonostante questo
evidente svantaggio, con coraggio e tenacia è riuscito, invece, a raggiungere i
massimi vertici e riconoscimenti internazionali. I suoi successi sono stati tanto numerosi da consentirgli, in quegli
anni, persino una discreta presenza televisiva (come, ad esempio, nel programma scientifico “Check-up”).
Non molti scienziati italiani possono
vantare i suoi meriti scientifici. Tra i grandi successi, si ricorda quando, all’inizio
degli anni ’80, si recò a San Francisco, allo Smith-Kettlewell Institute of Visual
Sciences, presso il prof. Alan Scott, il
quale gli affidò la sperimentazione, per
primo in Europa, dell’uso della tossina
botulinica, oggi botox, nei disturbi della
motilità oculare. D’Esposito non ebbe
incertezze nell’applicare, da precursore,
la tossina alla cd. tecnica degli "aggiustamenti in giornata" dello strabismo, riducendo i problemi di sterilità ed evitando il ricovero al paziente (in tempi in
cui neppure era ancora nato il concetto,
oggi abusato, di Day Hospital).
Questa tecnica, combinata con l’uso della tossina, per anni è stata applicata presso la Clinica Oculistica dell'Università
Federico II di Napoli. Un pregio che va
tutto a Mario D’Esposito che, per molti
anni, attirò un flusso “anomalo” di pazienti, anche dal Centro e Nord d’Italia,
verso Napoli, oltreché da tutto il Meridione. Un primato mai più eguagliato da
uno scienziato meridionale, che apportò continui miglioramenti e innovazioni
in itinere a questa tecnica, sino a far durare gli interventi poco meno di mezz’ora, sbendare il paziente e, trascorsa
un' ora, consentirgli di tornare a casa!
Ma i suoi traguardi non si fermano qui:
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
nel 1982 è a Marsiglia, insieme ai maggiori strabologi europei, con i quali mette a punto il programma del “Symposium International de Strabisme” che si
terrà a Parigi l’anno seguente. Nel 1986
a Nantes (Francia) illustra in video-conferenza l’intervento di trocleotomia da
lui messo a punto per i casi di Sindrome
di Brown. In quegli anni le sue partecipazioni a congressi internazionali non
si contano più: Tel Aviv, Tokyo, Madrid,
Vienna, Washington, ovunque la sua presenza è richiestissima.
Al 5th International Congress of Orthoptics di Cannes presenta il cosiddetto Oftalmotropo, un modello di simulatore di movimenti oculari elaborato insieme con il prof F. Cennamo.
A D’Esposito si deve l’istituzione della
Scuola superiore per Ortottisti assistenti di Oftalmologia. Cosicché quando, nel 1998, si ritira, il meritatissimo titolo di professore emerito dell’Ateneo
federiciano a molti sembra addirittura
poco per un uomo della sua reputazione internazionale!
La brillante carriera, il suo talento da innovatore, sono state coltivate fin dall’inizio, in famiglia. Un uomo così ha
sempre un contorno familiare stimolante alle spalle. Lo erano i suoi genitori,
Ester e Adolfo, e lo è stata sua moglie,
Amhara Daniele, medico oculista anch’essa. Di rilievo la tradizione familiare
di navigatori: iI padre era primo ufficiale sul “Rex”, allorché vinse il Nastro Azzurro, e comandante, tra le altre navi della società Italia, del “Conte di Savoia”.
Questa tradizione a viaggiare, conoscere nuovi orizzonti, lo porterà, dopo la
laurea in medicina, nel 1951, ad imbarcarsi per alcuni viaggi sulla “Giulio Ce-
sare” come medico di bordo. Ciò gli servirà anche per affrontare, senza timori, i
fondamentali studi all’estero, dopo la sua
specializzazione in oculistica nel 1954.
Si recherà, infatti, in Svizzera (Institute Of
Pleoptics and Orthoptics di St.Gallen),
Inghilterra (Moorfields Eye Hospital di
Londra), Francia (Hôpital J. Courmont
di Lione e Fondation A. de Rothschild di
Parigi) e USA (Smith-Kettlewell Institute Of Visual Sciences di San Francisco).
L’esperienza e le competenze apprese
all’estero gli permetteranno di creare, nel
1959, presso la Clinica oculistica dell’Università di Napoli, il reparto di motilità oculare che, in seguito, diventerà,
per numero, la terza “scuola speciale per
ortottisti” d’Italia (attualmente corso di
laurea breve). Nel frattempo acquisisce
una specifica competenza in strabologia e prende due libere docenze: in Clinica oculistica (1960) e Ottica fisiopatologica (1967), divenendo poi, nel 1978,
Direttore della cattedra di Oculistica
dell’Università di Napoli Federico II. Nel
1964, tuttavia, l’evento più importante
della sua vita è il matrimonio con la sua
prima collaboratrice e la successiva nascita di Daniela, oggi architetto, e Fabiana, che ha seguito le orme del padre.
La sua morte, il 22 giugno 2007, privò sicuramente la famiglia di un affetto insostituibile e il paese di uno scienziato di
stampo antico, che avrebbe avuto ancora tanto da dire e proporre in tempi di
medicina transfrontaliera e di tecnologie
trasversali. Un uomo così, tuttavia, non
muore mai: rimane per sempre nella memoria dei colleghi, che l’hanno conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, e
dei suoi pazienti, che per sempre lo ricorderanno con riconoscenza ed affetto.
CHIAIA MAGAZINE •FEBBRAIO/MARZO 2014
(21)
STORIE&IMPRESE
“PROFESSIONISTI E CREATIVI”, L’IDEA DI ENRICO PALAZZI E DANIELA PASQUALI
Così vestiamo su misura il tuo business
Napoli pullula di creatività.
Ma spesso idee e progetti
d’impresa si bloccano. Un po’
per nodi burocratici, un po’
perché mancano guide che
possano indirizzare, consigliare. E se pure dalla teoria si
passa alla pratica, si partoriscono marchi copia e incolla,
idee già viste e riciclate, con
buona pace di originalità e
fantasia. Perché allora non
creare una squadra che accompagni i nuovi progetti step
by step, dall’ideazione alla
realizzazione? È quello a cui
hanno pensato Enrico Palazzi
e Daniela Pasquali (nella foto).
Napoletani, il primo dottore
commercialista, l’altra avvocato, hanno dato vita a “Professionisti e creativi” (www.professionistiecreativi.it), marchio
che contraddistingue una
giovane e dinamica realtà che
offre servizi innovativi per le
aziende. Il progetto nasce
dalla volontà dei due professionisti di creare a Napoli uno
studio di consulenza legale e
commerciale in materia di
diritto industriale, per assistere aziende e privati nella fase
di ideazione di un marchio, un
logo o un progetto, ma soprattutto nella tutela legale del
patrimonio industriale e
intellettuale. Da lì, al fine di
(22)
risolvere le problematiche
connesse alla vita di un’azienda, si è allargato ad un networking di professionisti e di
creativi specializzati in diversi
settori: tutela del diritto industriale, marchi, brevetti, diritto
d’autore, tutela dell’immagine, privacy, plagio, contraffazione, o ancora esperti in
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
campo giuridico, economico e
finanziario, ed infine creativi
quali artisti contemporanei,
pittori, scultori, comunicatori.
La mission? Trovare soluzioni
per ogni business: «Siamo in
grado di supportare la creazione di una nuova azienda, di un
marchio, la realizzazione di
una idea, di un progetto, di un
piano industriale, nonché di
individuare e risolvere tutte le
problematiche di un’azienda»,
spiega Daniela Pasquali. Un
prodotto sartoriale, cucito su
misura a seconda delle esigenze del cliente, con l’obiettivo
di raggiungere un alto livello
di business aziendale. «Il
nostro obiettivo - spiegano - è
creare una coesione tra due
realtà, quella creativa e quella
professionale, che oggi riteniamo fondamentale». In che
senso? «Se un’azienda intende
lanciare un prodotto sul mercato deve avvalersi di professionisti non solo tecnici ma
anche creativi: oggi la pubblicità si fa attraverso la grafica e
il web. È quindi fondamentale
avere una buona comunicazione, un buon appeal commerciale, perché è l’abito ad
attrarre. Noi curiamo l’ideazione del logo, del marchio, lo
slogan, il sito internet, la scelta
del nome». Più che semplice
agenzia di servizi, “Professionisti e Creativi” è una vera e
propria casa dei progetti, un
luogo in cui sviluppare tutte le
attività necessarie all’avvio
della start-up. Da zero, mattone dopo mattone, il singolo o
le aziende possono essere
accompagnate da figure
professionali specializzate,
tutto “in house”. «Non vogliamo vendere un servizio finito,
confezionato che una volta
fornito ci separa totalmente
dall’azienda. Quello che ci
differenzia è che puntiamo a
seguire il cliente, continuando
ad assisterlo con la nostra
consulenza per tutto l’iter di
realizzazione». Dunque, anche
nello step finale, quello della
promozione e del marketing.
Con un occhio di riguardo al
marchio, vetrina dell’azienda,
e alla sua tutela. «A Napoli
manca la cultura del brand. I
nuovi marchi si ricollegano a
qualcosa di già visto, perché
così si pensa di poter avere
successo. Noi invece vogliamo
che ogni realtà sia diversa, che
nasca ex novo, dall’ideazione
del marchio, del logo, fino allo
sviluppo», dice Enrico Palazzi.
“Professionisti e creativi” è
una realtà dinamica che può
crescere e creare sempre nuovi
progetti e sinergie con partner.
«La nostra intenzione è di
espanderci al Sud, organizzando anche eventi in cui ci sia un
rapporto stretto tra professionisti e creativi. Nel nostro
team ci sono anche giovani
artisti, fotografi, persone che
vogliono promuovere la loro
attività. Da qui possono nascere nuove collaborazioni».
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(23)
STORIE&IMPRESE
PASQUALE MARIGLIANO, AMMINISTRATORE CONDOMINIALE
Il mio lavoro? Essere un “problem solver”
Vita di condominio, croce e
delizia. In quello che forse è il
settore più litigioso della
convivenza civile, all’ordine
del giorno ci sono dissapori
tra vicini, screzi e lamentele.
Al centro del “ring”, l’amministratore condominiale. Bersaglio di sfoghi e frustrazioni di
vita comunitaria, incubatore
di lamentele e arbitro di
sfibranti discussioni tra condomini. Nell’immaginario
comune, dipinto spesso come
un approfittatore, scorbutico
e “infedele”. Eppure non tutti
sono della stessa pasta.
Pasquale Marigliano (nella
foto), amministratore condominiale dal 1998, da oltre dieci
anni opera nel quartiere di
Chiaia, dove ha uno studio di
consulenza in materia condominiale (www.studiopasqualemarigliano.it, tel.
0819804242), e dallo stereotipo del comune amministratore si allontana decisamente.
Disponibile, simpatico, giovanile, ama stare in mezzo alla
gente: per i rapporti sociali ci
è tagliato. Per uno sportivo
come lui, poi, (che può vantare la partecipazione alle
Olimpiadi di Seul 1988 e
Atlanta 1996, 8 medaglie, e
insegnamento di canottaggio
al Circolo Nautico di Posilli-
po), la tensione della “vita di
palazzo” non è un problema.
«Ho iniziato per caso - racconta - Il primo fabbricato
che ho gestito era quello in cui
abitavo. Venne a mancare
l’amministrazione precedente
e io fui scelto come nuovo. Da
là è diventata la mia professione. Si può dire che sono un
“self made”, mi sono costruito
da solo». All’interno del condominio a gestire tutto o
quasi, è chiamato l’amministratore. «È un’attività molto
interessante – spiega – perché
spazia dal campo giuridico
all’edilizia, via via si acquista
una competenza sui materiali, sulle ristrutturazioni, sul-
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l’infortunistica. Facendo
questo lavoro entri anche a
contatto con la storia architettonica di Napoli, con le problematiche del sottosuolo e
delle fondamenta». Le regole
però sono dettate dal Codice
che, dopo la riforma del
condominio datata 2012, ha
ampliato le responsabilità a
suo carico, sia per quanto
riguarda il rendiconto che la
gestione della cosa comune.
«Per definizione - chiarisce
Marigliano - l’amministratore
è delegato alla risoluzione di
tutti i problemi inerenti al
fabbricato, alla manutenzione
generale e deve curare ogni
aspetto economico. Bisogna
perciò essere scrupolosi».
Marigliano è soprattutto un
“problem solver”, ovvero un
risolutore di problemi, che
per svolgere al meglio il suo
lavoro punta su flessibilità e
comprensione. «Ho scelto
questa professione perché è
molto concreta - racconta - e
mi piace il rapporto con le
persone, capire chi c’è dall’altro lato, le sue esigenze, i
problemi che eventualmente
sta affrontando. È per questo
che propongo anche una
tariffa molto economica. Il
che, in questo momento di
crisi, è un vantaggio notevo-
le». Al di là dell’aspetto tecnico, il nodo più intricato è
proprio la gestione dei rapporti con gli altri. «Il problema
è che si confonde spesso
l’attività con la persona,
sfociando nel personale. Non
si guarda tanto alla professione, quanto piuttosto all’aspetto emozionale». Un lavoro
non per tutti insomma, in cui
bisogna armarsi di pazienza,
morbidezza caratteriale e
piglio risolutore. «Sono una
persona che ascolta - confessa
Marigliano - è il mio punto di
forza. Tendo ad instaurare un
rapporto amichevole con i
condomini». Questo soprattutto perché «il condominio è
conflittuale. È come una lotta
di uno contro tutti, in cui
l’amministratore ha il ruolo di
“conciliatore”. Dirime le
questioni e trova la giusta
soluzione. Una figura improntata a quella del buon pater
familias, che gestisce la famiglia assorbendone i problemi». E, in fondo, è proprio
questo il bello dell’attività:
«Mentre al Nord si riduce ad
un lavoro di mera scrittura,
qui è concepito come un
contatto diretto con la gente,
basato sulla fiducia e sulla
comprensione. Io per questo
sono portato».
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STORIE&IMPRESE
FRANCESCA ESPOSITO, MAKE-UP ARTIST
La creatività è il “trucco” del successo
«Lascio tutto per seguire il
mio sogno». Dove quel “tutto”
è una carriera sullo start nel
mondo dell’economia e il
“sogno” ha a che fare con
trucchi e pennelli. Da fresca
laureata in economia aziendale a make-up artist e consulente d’immagine. Francesca
Esposito (nella foto di Manuela Montella), 35 anni, posillipina doc, dopo aver intascato
l’ambita pergamena, ha
messo da parte numeri e
bilanci per fare della sua
passione un lavoro. Oggi è
una make-up artist affermata,
gestisce un centro estetico
(centro estetico Koinè, via
Posillipo, 276) e di rimpianti,
neanche l’ombra: «Ho fatto la
scelta giusta - confessa - Dopo
aver studiato per dovere
materie per me sterili, finalmente posso lasciare carta
bianca al mio estro artistico».
Di solito si dice che chi non
risica non rosica. Ovvero, che
chi non rischia non mette
nulla sotto ai denti. E lei,
sognatrice e spirito creativo,
quella buona dose di coraggio
l’ha avuta, tanto da diventare
una piccola imprenditrice di
se stessa. Ha tirato fuori dal
cassetto il sogno che si stava
impolverando, ridotto a
semplice hobby negli anni
universitari, e l’ha trasformato
in una professione. «Oggi si
preferisce andare alla conquista del posto fisso - dice sacrificando i sogni e nascondendoli sotto al tappeto. È
stata una decisione che ho
preso forse con un po’ di
incoscienza, ma è stato un
bene non rimuginarci troppo
su. Mi sono buttata e ho fatto
la scelta giusta». Una passione
che bussava talmente forte,
da spingerla a rifiutare l’offerta di lavoro avanzata da una
nota banca londinese. Da
allora, la posillipina si è data
da fare: due stage alle spalle
con Pablo, truccatore romano,
Accademia con Alessandra
Amabile, tanta gavetta e corsi
di aggiornamento con Make-
up For Ever, azienda di Parigi.
Tra le varie specializzazioni,
anche un corso di extension
ciglia, servizio di lusso che
richiede un lavoro certosino,
seguito a Padova con una
make-up artist tedesca quando nello Stivale era un’arte
ancora poco diffusa. «Mi sono
messa in gioco anche in
quell’occasione e infatti sono
la prima certificata in Italia
come operatrice del settore»,
spiega. Un’inversione di
marcia coraggiosa la sua,
dettata dalla passione per la
bellezza e l’arte del creare:
«Truccare è giocare sapientemente con i colori per tirar
fuori da ciascun viso il bello
che a volte è nascosto da look
sbagliati, colori inappropriati,
trucchi che peggiorano i
lineamenti invece di migliorarli. Per questo organizzo
anche corsi di make-up. Il mio
obiettivo è quello di curare la
cliente a 360 gradi, con una
consulenza personalizzata sui
prodotti, i trattamenti migliori
in base alle esigenze. Scegliere
un trucco adatto alla persona,
all’età, ai gusti, significa immedesimarsi in chi hai di
fronte». Il segreto? «Mai esagerare, trucchi naturali che non
alterino troppo i tratti somatici e valorizzazre i punti di
forza». Insomma, sentire il
maquillage come un vestito
cucito apposta su di sé. Affettuosa, spontanea, Francesca
Esposito gioca con nuances e
sfumature con la naturalezza
di chi fa quello che ama. E,
per una romantica come lei,
non c’è gioia più grande di
illuminare il viso di una donna nel giorno delle nozze. «È
la parte che più mi piace del
mio lavoro - spiega - Riesco a
creare un clima confidenziale
con la sposa, cerco di rilassarla. È bellissmo condividere i
momenti dell’attesa in un
giorno così speciale». Passione e business si incrociano in
un incastro che soddisfa
anche le clienti più esigenti.
«In occasione del matrimonio
Francesca è stata estremamente professionale, molto
concentrata e la sua dolcezza
mi ha aiutato a rilassarmi racconta Chiara Sabino Grazie al suo lavoro il mio
viso, nonostante non avessi
dormito e fossi dimagrita, era
fresco ed elegante». Promozione a pieni voti anche da
Monica De Felice: «Il trucco di
Francesca è personalizzato,
studiato per dare forma e
correggere, armonizza con
semplicità senza stravolgere i
lineamenti. Il mio voto? 10!»
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(25)
STORIE&IMPRESE
A NAPOLI NASCE “OFFICE AD OK”
Con un clic ufficio rifornito e “rigenerato”
Un “supermarket” per uffici
e aziende, improntato ad un
modello “global service”. Un
unico fornitore per un servizio
“all inclusive”, che garantisca
convenienza e professionalità.
È la nuova idea di business che
sta prendendo piede in campo
imprenditoriale. Avere più fornitori, a seconda dei settori di
intervento, infatti, può comportare per l’azienda un dispendio di risorse e, spesso, anche di tempo. Per importare a
Napoli quella che si appresta a
diventare una vera e propria
tendenza, nasce il marchio “Office ad ok” (www.officeadok.it),
ideato da due imprenditori
(nella foto): Riccardo Sanges,
napoletano con esperienza decennale nella gestione dei servizi per le imprese, che ha aperto nel 2002 un centro di rigenerazione cartucce per la stampa,
e Marco Maniaci, laureato in
economia aziendale, che ha investito nel settore della rigenerazione con una linea di produzione tra le più evolute esistenti in commercio. Di proprietà
della Toner Ink Lab (la società
da loro messa in piedi, che vanta esperienza pluriennale nella
fornitura di materiali per uffici), “Office ad ok” ha l’obiettivo
di diffondere, tramite punti
vendita dislocati sul territorio,
(26)
servizi e prodotti necessari alle
aziende e agli uffici, tramite rivenditori diretti (negozi di proprietà) e indiretti (affiliati): dai
consumabili per la stampa,
cancelleria e arredo per l’ufficio, ad hardware, software, web
agency, print agency, fino all’assistenza tecnica. «Dopo aver
creato nel 2007 la Toner Ink Lab
- spiegano - ci siamo resi conto,
da responsabili commerciali
dell’azienda, che l’ufficio non
necessitava solo dei toner, ma
c’era altro da vendere: la cancelleria, l’informatica, i servizi».
Nasce così “Office ad ok”, mar-
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
chio con cui Sanges e Maniaci,
insieme ad uno staff che lavora
da mesi attivamente al progetto, intendono inculcare nelle
aziende una nuova mentalità:
con unico fornitore è possibile
risparmiare. «Un po’ prima degli altri - continuano - ci proponiamo come unico fornitore
per uffici, puntando a seguire i
clienti nel medio e lungo termine, creando un rapporto diretto con l’azienda e facendo
consulenza. La possibilità che
fino a ieri non era neppure paventata nelle menti degli imprenditori, di avere cioè un uni-
co fornitore che potesse servire
tutta la logistica per l’ufficio, oggi è realtà. In passato se ne avevano diversi, specializzati per
categorie, e nel momento in cui
c’era da acquistare prodotti
nuovi si indiceva una gara interna. La migliore offerta in termini di qualità-prezzo si aggiudicava la fornitura». Oggi tutto
questo non è più necessario: il
fornitore unico, avendo competenza su una gamma più ampia di prodotti e servizi rispetto
alla concorrenza, riesce, nell’ottica di una fornitura consolidata, a garantire un risparmio
reale al cliente. Con il web, poi,
basta un clic per sapere se il fornitore sta proponendo una cifra
gonfiata. «Sul portale internet è
possibile visionare l’intera offerta “Office ad ok”. C’è la trasparenza: il cliente può selezionare i prodotti di cui ha bisogno e comparare il costo totale
dei prodotti acquistati separatamente, con il risparmio che
invece si ha acquistandoli in
una sola volta, tramite un’unica azienda, con una sola consegna». Un business innovativo per la metodologia, che combacia perfettamente con l’evoluzione in senso moderno dell’ufficio. «Quello che i grandi colossi del settore non hanno capito - spiegano - è che tecnicamente l’ufficio è cambiato nelle sue esigenze e nella sua organizzazione. Per essere competitivi bisogna innovare. Noi
abbiamo cercato di assicurarci
i migliori partner nei singoli settori». Due le figure in azienda: i
partner ovvero i fornitori, e gli
affiliati, cioè i punti vendita, che
grazie alle partnership instaurate hanno allargato la propria
offerta di vendita. Oltre che sul
portale, i clienti potranno quindi rifornirsi direttamente dall’unico grande magazzino sempre disponibile in tutti i punti
vendita affiliati.
saper vivere
CULTURA • COSTUME • RELAX • MOVIDA • EVENTI • CURIOSITÀ
Mitologia del pugilato
Aldo de Francesco
D
a tempo, per una serie di sfavorevoli
ragioni, il mondo del pugilato sta
vivendo una lunga eclissi, notti
senza riflettori, senza quel fascino
magico attrattivo - sportivo e mondano - che significò sangue, sudore
e gloria. Molte di esse sono sicuramente imputabili a un business
interessato di più a spettacoli estremizzanti, diciamo anche violenti
ma di cospicui incassi; molte altre,
forse in misura maggiore, alla mancanza di palestre di naturali vocazioni, di passioni e di riscatti: una
volta fonte e vivaio di talenti, di
campioni, di mitiche scuderie.
Negli anni della mia adolescenza,
parlo degli anni Cinquanta, affascinati dai miti dell’Iliade e dell’Odissea, ribalte di scontri e duelli corruschi tra eroi mortali e intriganti
divinità, il mondo della boxe suscitò
in molti di noi - piccoli e incuriositi
alunni dei tempi - una tale suggestione epica da farci comparare i
lottatori dei ring con quelli dell’antica Grecia, patria dell’Olimpiade,
dello sport come educazione del
corpo e dell’anima.
«È l’unico sport - ci diceva sempre
un vecchio professore, citando la
scrittrice statunitense Carol Aotes in cui la rabbia è accolta, nobilitata:
la sola attività umana in cui il furore
può essere mutato in arte». Furore e
Arte, due parole immense, legate a
questo sport straordinario, la cui
Franco Esposito e Dario Torromeo
con il libro «I pugni degli eroi»
raccontano, da Robinson a Pacquiao,
le grandi leggende della boxe
grande storia è spesso specchio
speculare della vita, intrisa di indicibili emozioni, di vittorie e sconfitte,
di polvere e di stelle; comunque
alterna ribalta di una lotta leale e
senza sconti. Lascio quindi immaginare il piacere che ho provato nel
ritrovare questo mondo, in ogni suo
più intimistico o esteriore risvolto,
nel libro appena uscito «I pugni
degli eroi», sottotitolo «Robinson,
Cerdan, Alì, Chavez... Con loro
saliva sul ring una nazione» (Absolutely Free Editore) di Franco Esposito e Dario Torromeo, fondamentale non solo per chi ama questo sport
ma anche per chi cerca le buone
letture. Una narrazione avvincente
che muove dalle imprese di tanti
eroi per poi addentrarsi nei contesti
che le fecondano e ne alimentano i
miti e le cadute.
Grazie ai due autorevoli e prestigiosi
giornalisti, la cui storia professionale di giramondo, di inviati ha saputo
cogliere e raccontare nel fumo
scintillante dei “parterre” di tutto il
mondo, emozioni straordinarie, le
imprese di campioni unici, la stessa
età dell’oro di questo sport, oggi
abbiamo un vero grande romanzo
del pugilato. Nel leggerlo si ha la
sensazione di sedere a bordo ring e
di rivivere, minuto per minuto, i
match che ne hanno fatto la leggenda e la storia. Difatti è cosi forte il
coinvolgimento di questa lettura,
che non trovo modo migliore per
farlo intendere riportando pari pari
alcuni frammenti, significativi di un
affascinante mondo di eroi, cui a
ciascuno è dato un titolo quale
inconfondibile sigillo di speciali
personalità. Prendiamo, ad esempio, Robinson, lo zucchero di Harlem.
«Dolce come lo zucchero. Il re dei
ring principe di Harlem, Ray Robinson emozionava i bianchi e i neri
degli Stati Uniti. Aveva amanti in
entrambi gli schieramenti...una
postura da manuale…Tecnica sublime, Ray Robinson era un cesellatore
di Kappaò…Un eccitatore di folle,
generoso distributore di emozioni,
boxava con il libro in mano, aveva la
folgore nei pugno. Sugar non era
irresistibile solo sul ring ma lo era
anche con le donne, collezionò
cinque mogli. Sposo a sedici anni,
padre di un figlio, divorziava a
diciannove».
Passando poi da Robinson a Georges Carpentier, l’idolo di una nazione, anche se cambia il tipo di boxe,
il timbro del racconto ha sempre un
intenso calore descrittivo: «Bello,
gentile, il cocco di Francia. Amore e
passione di una nazione. Il nome di
un fiore per dirlo. Georges Carpentier era l'orchidea di Francia. Un
modello di eleganza all'interno
delle dodici corde. Il tipico viveur
parigino quando scendeva dal ring
o era in pausa allenamento. Frequentava artisti, cantanti, pittori,
scrittori. Maurice Chevalier, lo
chansonnier più popolare d'Europa,
era un suo sodale. Amico della
scrittrice Colette, aveva frequentazioni con Mistinguette, la stella del
varietà. Tutta Parigi, in piena belle
epoque.
La Francia ai suoi piedi, l'orchidea
profumava di gloria. Oui, era idolo
ed eroe… Gambe da ballerino e
diretti che erano fucilate, con il
destro dritto disegnava traiettorie
invisibili e kappaò spettacolari».
Che dire poi di Primo Carnera, del
gigante buono? Che è stato da sempre una leggenda, da poter dire
davvero che, con lui, saliva sul ring
una nazione. Quel 22 ottobre del
1933 erano in 70.000 a piazza di
Siena per assistere alla difesa del
titolo mondiale dei pesi massimi
sotto gli occhi scintillanti del Duce.
Il capitolo così comincia: «Il gigante
si faceva largo tra la gente. Le luci
illuminavano il quadrato, tutto
attorno c'era solo buio. Ma quell’omone che a busto eretto attraversava la folla non poteva passare
inosservato. Indossava un accappatoio verde, aveva i capelli impomatati e lo sguardo fisso verso il ring.
Saliva lentamente quei quattro
gradini che lo separavano dal centro
dell’azione, lì dove tutto si sarebbe
consumato. Si toglieva la vestaglia e
rimaneva in pantaloncini e camicia
nera. Era stato il suo ultimo manager, Luigi Soresi, a dirgli di indossarla. E non era l’unico consiglio che
gli aveva dato. Il gigante si era girato
guardando le prime file e aveva
steso il braccio destro in un saluto
romano verso il Duce che sedeva lì,
assieme ai tre figli Vittorio, Bruno e
Romano….».
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(27)
ARTE
ROCK!
Tempo
Timoney
Sara Giuseppina D’Ambrosio
U
n ambiente in combustione apparente. È questo lo scenario che accoglie nella prima fra le sale destinate
alla personale di Pádraig Timoney “A
lu tiempo de…”, visitabile al Madre
dall’8 febbraio al 12 maggio. Il rosso
intenso della pavimentazione, l’argento delle pareti schizzate d’oro e,
soprattutto, la vistosa presenza degli
estintori proiettano nel mezzo di un
incendio, che potremmo usare come parabola della cifra stilistica dell’artista e dell’intera esposizione.
Timoney, che con questa mostra è
alla sua prima retrospettiva in un
ambiente pubblico, è come il fuoco
che di tutto si nutre, non per la finale epifania di una peculiarità sua che
sia facilmente riconoscibile, ma per
un irrefrenabile desiderio di sondare e sperimentare le innumerevoli
forme dell’arte. Ritroviamo, pertanto, oli su tela, fotografie, sculture, immobili (“Bowed for glue”, di ceramica, metallo e gomma) o mobili
(“Spinning Sign”, in cui un’immagine c-print, montata su una struttura
in metallo e legno, è in moto perpetuo grazie ad un motore elettrico), e
molto altro.
Questo confrontarsi con molteplici
tecniche e materiali è intimamente
legato ai numerosi echi delle poeti-
(28)
che di altri artisti che arrivano a completare il quadro di un uomo fedelmente onnivoro nella ricerca di ispirazioni. Ad esempio, nella sala dedicata alle tre tele olio, acrilico e rilevatura fotografica, con “MeepMeep
Popup”, l’universo dei cartoon, dal
sentore pop alla pari dei fumetti tanto ben rappresentati da Lichtenstein
ed esplorati anche da Warhol, mescola chiare influenze dal New Dada
americano di Johns e Rauschenberg.
Reminescenze tutte italiane quelle
che si avvertono nella stanza che potremmo battezzare “degli specchi”.
In un gioco di superfici riflettenti vere, per esempio “Jovial Mirror”, e simulate, come“Broken Gold Mirror”,
(le prime ottenute con vetro dipinto
con specchiatura rame, argento oppure oro, le seconde con colla di coniglio e inchiostro, o pigmento, su
tela) il fruitore vede la propria e le
altrui immagini trasmesse sull’opera che, dunque, non è mai uguale a
se stessa, ma eternamente variabile
ed in questo non può che rimandare al piemontese Pistoletto, che già
negli anni ’60 aveva sfruttato la casualità della riflettenza in numerosi
quadri. Fortemente eterogenea, questa mostra per certi versi confonde
quel visitatore che voglia riconoscere una caratteristica distintiva o
quanto meno il filo rosso che leghi
una così violenta pluralità espressiva. Lo stesso curatore riconosce la
possibilità che si avverta la sensazione di trovarsi ad una collettiva.
Eppure, è in questo modo che l’artista irlandese si apre a convincere un
pubblico piuttosto variegato.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
Fino al 6 aprile torna
negli spazi del PAN la
mostra ROCK!, giunta
alla sua quarta
edizione, ideata e
diretta dai giornalisti
Carmine Aymone e
Michelangelo Iossa.
In esposizione migliaia
di oggetti tra
memorabilia, gadget,
vinili, audiovisivi,
fotografie, manifesti
d'epoca, strumenti
musicali (e molto altro)
provenienti da alcune
tra le più importanti
collezioni private
italiane ed europee.
Le rockstar più celebri
e la musica che ha
fatto la storia degli
ultimi decenni in una
full immersion
coinvolgente per
riassaporare il
linguaggio che, più di
ogni altro, ha cambiato
il volto della musica
contemporanea.
ROCK! ospiterà
un'ampia serie di live,
workshop,
presentazioni di libri,
di CD e incontri sulla
storia del rock.
Occhio di riguardo
Collezione russa
Trenta icone russe a Napoli. Sarà il
Museo Diocesano di Largo Donnaregina ad ospitare, fino al prossimo 5
aprile, la collezione di opere realizzate
in Russia tra il 1700 e il 1800, di proprietà di “Intesa Sanpaolo”. Di queste,
dodici sono dedicate alle grandi feste
della Chiesa ortodossa per Maria, e
diciotto alle più tradizionali rappresentazioni della Vergine e testimoniano la
forza del culto mariano in terra russa.
Si tratta di una tra le più importanti
collezioni in Occidente, sia per il
numero di opere contenute, sia per la
presenza di rarissimi capolavori. Opere
che erano, fino a poco tempo fa, conservate a Vicenza, a palazzo Leoni
Montanari, altra sede delle “Gallerie
d’Italia” della Banca. Ad apprezzare la
collezione anche il cardinale Crescenzio Sepe. «L’icona in sé - ha detto il
porporato - è un simbolo di cultura ed
umanità. Queste, in particolare, mostrano l'intercessione della Vergine e
rappresentano Maria come fonte di
vita. Davanti a tali espressioni di fede
chi visita la mostra è chiamato a elevare il proprio animo a un livello di spiritualità maggiore». L’esposizione è stata
promossa dall'Arcidiocesi di Napoli e
dall'Associazione "Amici dei Musei di
Napoli", in collaborazione con Intesa
Sanpaolo. In più, oltre alla mostra, sono
previste altre attività, sempre legate
alla Russia e alla spiritualità, come
seminari sulla cultura e la tradizione
religiosa russa, concerti di musica
slava e incontri di spiritualità tra arte,
letteratura e musica.
ANTONIO BIANCOSPINO
ARTE
Cuba e
mostre
Senegal,
sensi e azioni
A CASTEL NUOVO SUCCESSO
DELLA MOSTRA DEI FOTOGRAFI
IHOSVANY PLASENCIA PASCUAL
E UMBERTO ASTARITA
Livia Iannotta
A separare Cuba dal Senegal ci sono
6304 chilometri, 5 ore di fuso e un pezzo di oceano Atlantico. La prima è una
Repubblica socialista, in cui soffia da
sempre vento di rivoluzione, l’altra ha
puntato al semi-presidenziale, eretto
su una società per molti versi contraddittoria. Eppure affiancare le due realtà, metterle in parallelo, capirne punti
di contatto e differenze, è un esperimento dai risultati inaspettati. La mostra “Sensi&Azioni. Da Cuba al Senegal”, rimasta in esposizione fino al 27
febbraio nella sala Carlo V di Castel
Nuovo, ha mischiato azioni e sensazioni di due popoli lontani ma complementari. Quaranta scatti, a firma di
Ihosvany Plasencia Pascual, fotografo
emergente nato a Matanzas e forma-
Magìe
L’estro
di Vettor
Pisani
AL MUSEO DONNAREGINA,
FINO AL 25 MARZO,
RETROSPETTIVA DEDICATA
ALL’ARTISTA BARESE
tosi all’Avana, e Umberto Astarita, sorrentino che da anni porta avanti, attraverso la fotografia, progetti umanitari in Senegal con l’Associazione Onlus Energia per i Diritti Umani. Immagini che catturano sulla carta frammenti dell’isola cubana e del “continente nero”, nella lettura di un Sud del
mondo che si affaccia alla modernità,
ma che ha radici ancora profonde nelle difficoltà e negli stenti. Organizzata
dall’Associazione Cryteria Project e patrocinata dal Comune di Napoli, “Sensi&Azioni” nasce come mostra itinerante. Approda a Napoli, dove ha riscosso grande successo, dopo essere
stata già esposta in alcuni ambienti di
Villa Fondi De Sangro a Piano di Sorrento e al Chiostro di San Francesco a
Sorrento, ogni volta arricchendosi di
nuovi scatti. Sullo sfondo, la vita di due
popoli: quello cubano, ancora legato a
ideologie del passato ma proiettato a
modelli di grande modernità, e quello
senegalese che con dignità e vitalismo
affronta le difficoltà di ogni giorno, in
un percorso che intende trasmettere
“sensazioni”, come chiarisce il titolo
dell’esposizione, mettendo in luce stati d’animo (i sensi intesi come sentimenti) e gesti (le azioni) di due popoli
molto simili. Si vedono i simboli che
identificano Cuba nell’immaginario
comune: la bandiera con la stella che
sventola, il sigaro, l’erma di Che Guevara, ripresi però in maniera mai scontata con inquadrature d’effetto. E ancora, donne avvolte in vestiti coloratissimi e bambini che circondano monumenti e resti della zona antica. Negli scatti di Astarita, un Senegal che sorride e la voglia di vivere che si specchia
Figure geometriche,
specchi, labirinti e
ancora violini, pianoforti accostati ad
immagini di angeli,
Cristo o Edipo. Le
opere di Vettor Pisani, artista nato a Bari
ma di origini ischitane, classe 1934,
scomparso nel 2011,
sono un frullato di
elementi più vari,
veri e propri teatri
immaginari della
memoria e della
conoscenza.
In esposizione fino al
24 marzo al Museo
d’Arte contemporanea
Donnaregina, la mostra
“Vettor Pisani- Eroica/Antieroica: una
retrospettiva”, organizzata in collaborazione
fra Fondazione Donnaregina, Napoli, e Comune di Bari, riunirà
opere e documentazioni degli anni ’70 alla
produzione più recente
di uno degli artisti più
rappresentativi dell’arte contemporanea, in
LA MOTTA
IL DUETTO
Brillante pittore
napoletano, Paolo La
Motta rende omaggio al
Museo Archeologico
Nazionale esponendo fino
al 30 giugno 2014, nella
sala conferenze, le tele e le
tavole a olio realizzate
negli ultimi cinque anni.
Opere che raffigurano, con
luce vibrante e tagli
inattesi, le sale del Museo
napoletano, senza
soffermarsi sui capolavori
che custodisce, ma
immortalandone gli
scenari con i suoi interni, i
giardini, gli oggetti,
l’illuminazione, i muri, i
pavimenti e i visitatori,
Christian Ludwig e
Hermann Nitsch sono
due artisti austriaci. In
comune non hanno solo
la loro origine. A renderli
simili, artisticamente, è la
passione per Napoli. Il
primo, in arte Attersee, ha
a lungo frequentato e
ammirato il territorio
partenopeo, il secondo ha
qui trovato la sede ideale
per il suo museo. Le opere
dei due pittori sono state
in esposizione nella
mostra dal titolo “Duetto
per Napoli”, ospitata nella
straordinaria location di
Castel dell’Ovo fino al 1
marzo e organizzata e
esaltati da giochi di luce e
colore. I lavori dell’artista,
inoltre, accompagneranno
la XIX edizione degli
“Incontri di Archeologia”.
È possibile visitare la
mostra dal lunedì al
venerdì dalle ore 9 alle
15,30 e in tutte le
occasioni di apertura al
pubblico della Sala
Conferenze del Museo.
negli occhi grandi dei bambini e nei
volti delle donne, colte nel lavoro di
tutti i giorni. Ritornano i colori vivaci
dei panneggi che brillano sulla pelle
scura, ma il paesaggio è diverso: si passa dalla città al villaggio e i colori sono
quelli caldi della terra. La strada per la
conquista dei diritti civili, in realtà come queste, è ancora in salita. È per questo che Astarita, insieme all’Associazione Energia per i Diritti Umani e al
suo amico e collaboratore Claudio Celentano, è impegnato attivamente su
questo fronte. «Ogni anno con mostre
e vendite di fotografie e calendari portiamo il nostro aiuto in Senegal – spiega il fotografo – Attualmente stiamo
costruendo un edificio di tre piani per
i diritti dei bambini e delle donne nella periferia di Dakar. Avrà il nome di
una bimba morta per l’assenza di assistenza da parte delle istituzioni locali. Raccogliamo piano piano i frutti di
questo impegno. Nei villaggi che abbiamo costruito la popolazione ha avuto modo di evolversi. Abbiamo scavato i pozzi per l’acqua, e dato luce grazie ai pannelli solari. E incentiviamo il
lavoro delle donne, portando attrezzature per creare microimprese». Quando tocchi con mano una realtà così
lontana eppure vitale, dinamica, non
puoi che restarne affascinato: «Sono
capitato per caso in Senegal ed è diventata la mia seconda casa. Con le fotografie cerco di trasmettere le sensazioni, le impressioni che quella terra
mi regala. È il modo più immediato per
fermare il tempo in un’immagine».
cui l’elemento della messa in scena
sarà il filo conduttore. Come si evince
dal titolo dell’esposizione, nelle
opere di Pisani costante è il miscuglio tra stati o entità opposte: eroe e
antieroe, umano e divino, uomo e
donna, vita e morte. Antitesi che
diventano il fil rouge di un allestimento che, ripercorrendo i principali
snodi della biografia di Vettor Pisani,
tocca i temi più disparati: le dimensioni della storia e del mito, i generi
sessuali, le differenti tradizioni culturali e l’identità dell’artista, per fondersi in un unicum di storia, psicologia, politica, indefinibile e sublime.
promossa dalla
Fondazione Morra,
insieme all’Assessorato
alla Cultura e al Turismo
del Comune di Napoli,
con la curatela di Achille
Bonito Oliva.
Entrambi hanno reso
omaggio alla città
attraverso le sessanta
opere in esposizione. La
mostra è stata dunque
frutto di un sodalizio
culturale fra due artisti
storici dell’arte austriaca
che dialogano tra loro
attraverso una
complementarietà di
linguaggi (la pittura e i
suoi sconfinamenti) con
una evidente differenza
ANTONIO BIANCOSPINO
iconografica, che oscilla
perennemente tra
formale e informale.
Hermann Nitsch teso a
valorizzare i sensi
attraverso il corpo e la
pittura, Attersee
operando nell’ambito
pittorico ma sconfinando
poi in altri linguaggi,
come quello musicale, e
in felici visioni.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(29)
LIBRI&LIBRERIE
LIBRIDINE
Aurora Cacopardo
Novità
Terro(m)nia,
il romanzo
del ritorno
LE SORPRESE
DI GARZYA
COME SI VIVE AL NORD PENSANDO A
UNA POSSIBILE RINASCITA DEL SUD:
GERARDO MAGLIACANO RACCONTA
SOGNI E IDEALI DI UN MERIDIONALE
movimento politico che lotta per garantire,
Mentre il Vesuvio continua ad essere il
campione più acclamato negli stadi e le città e i partendo dal Meridione, un futuro all’Italia e
alla vecchia e decadente Europa. Come? Con un
paesi del Meridione continuano a sacrificare il
ritorno alla terra: «Pensai che i giovani, invece
proprio capitale umano, impegnato a seminare
di emigrare o cercare fortuna nelle grandi città
ad alt(r)e latitudini, il salernitano Gerardo
del Nord, avrebbero dovuto unirsi, trasferirsi in
Magliacano, docente di storia e letteratura,
quei piccoli centri abitati e ripopolarli,
racconta un percorso inverso, il suo, con
rianimarli, ristrutturarli, farli rinascere,
Terro(m)nia – Ritorno alla mia terra (Iuppiter
strappare la terra dallo
Edizioni). Trasferitosi, dopo la
straripante mare di cemento che
laurea, nelle “fertili” terre del
tutto stava sommergendo (...).
Nord con la speranza di rifarsi
Avrebbero dovuto fondare una
una vita dignitosa, Gerardo a
società su dinamiche
un certo punto ci ripensa.
comunitarie. Avrebbero dovuto
Intanto sono passati dieci
vivere in piena armonia con la
anni, e il suo lavoro da
Natura. Fare in modo che la
insegnante resta precario. I
Cultura si riconciliasse con la
suoi semi possono
Coltura. I giovani dovrebbero
germogliare solo nella sua
riscattare quelle piccole
terra. Così inizia ad indagare
comunità, quei paesi-fantasma
la realtà quotidiana della
del Meridione, andare lì a vivere
Questione Meridionale
e a fare l’amore, a fecondare la
partendo dai ricordi, dalle
terra e una nuova umanità. Se i
domande a cui l’infanzia non
giovani riscrivessero quel passato
poteva rispondere, svelando a
che bella pagina di futuro
se stesso la dispersione e
leggeremmo». L’autore, esteta
l’altrui appropriazione di
della musica con precedenti
un’economia e dei suoi frutti,
TERRO(M)NIA
pubblicazioni di settore, alterna
ma soprattutto dei suoi semi,
convinzione e disillusione,
del suo popolo, raccontando
Gerardo Magliacano
esperienza e riflessione,
una parabola d’orgoglio e
Iuppiter Edizioni
discorsività e considerazioni
rivendicazione per una parte
204 pagine
facendo vivere il proprio
d’Italia da riscattare.
percorso di riappropriazione
Gli incontri con alcune
delle radici, la sua personale
vecchie conoscenze - la mela
rivoluzione, una battaglia che
annurca, l’aglianico,
conduce all’utopia, ovvero all’eu-topos (al buon
un’Alfasud targata SA, un album Panini
luogo): un futuro, una terra che deve rinascere,
dell’ottantasette, i libri di Silone, il vinile “Terra
insieme alle pagine della sua autentica
mia” di Pino Daniele ed altri autorevoli amici letteratura, una battaglia che si affronta
lo convincono a tornare per tentare di
impugnando falce e zappa.
risollevare le sorti del suo piccolo paese San
Mango Piemonte, arrivando a fondare un
IGNAZIO SORIANO
La perfezionista e lo scippatore
Un concentrato di dicotomie. Questo è in estrema
sintesi «La perfezionista e lo
scippatore di Rolex» (Europa
Edizioni, 2013 - collana
«Edificare universi»), romanzo di Luigi Romano
ambientato nella Napoli
contemporanea. O, in un
certo senso, in due differenti
Napoli contemporanee.
La città-bene di Posillipo e
degli studi professionali più
importanti e quella, stereotipata, della piccola e grande
malavita.
A questo primo netto contrasto, filo conduttore di
(30)
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
tutto il romanzo, si intrecciano molte altre ramificazioni, degne della più classica teoria eraclitea dell’unità
dei contrari.
A cominciare dal rapporto
tra l’avvocato Aurelio e sua
moglie, nato dalla passione
di un “colpo di fulmine” ma
trasformatosi, una volta
svanito il trasporto e smarrita la passione, in un conflitto esasperato tra le manie di
ordine e perfezionismo della
signora e l’insofferenza del
suo consorte.
La storia si complica e si
divide, ancora una volta in
Il nuovo saggio di poesie di Giacomo Garzya
ci dà modo di apprezzare la capacità con cui
ci racconta una serie di
sensazioni uniche dell’ansia metafisica e di
una inquietudine che
lo sorprende di continuo. Garzya ci offre
con il suo “corpus poetico” (“Maree”, “Solaria”, “Passato e Presente”, “Il mare dentro”,
“Il viaggio della vita”,
“L’amour et le violon”,
ed ora “Un anno”) una
compiuta immagine di
sé, della sua visione del
mondo non felice, non
idillica ma rischiarata
da lampi di spiritualità
che gli offrono la possibilità di fulminee intuizioni nell’indagare
il mistero della vita e
della morte attraverso
felici sintesi poetiche:
«...il buio è impenetrabile/ nella grotta di
Pertosa/o sotto Sant’Anna di Palazzo/
quando spengono le
lampade... così dev’essere dentro una bara/
quando si spengono
gli occhi/ per sempre».
«...uscire dal dolore/
quando le frazioni di
un minuto/ sono come ore.../ e ti sei svegliato e non riesci più a
dormire/ e tu vorresti
sbattere i pugni contro
il muro/ perché arrivi
l’aurora e l’alba e il
giorno/ perché la luce
ridia senso alla realtà
delle cose...». Dai lavori di Garzya viene fuori la figura del poeta e
dell’uomo di lettere,
dalla complessa perso-
due, quando Aurelio sventa
il furto di un prezioso orologio di proprietà di un importante membro del consolato
tedesco.
Un gesto coraggioso, che
però sconvolgerà non poco
la vita dell’avvocato.
Il giovane artefice dello
scippo decide infatti di far
pagare l’affronto della sventata rapina, dando vita ad
una vicenda che, per una
serie di incredibili coincidenze, porterà il lettore a
conoscere episodi lontani
nel tempo che getteranno
ombre su coloro che inizialmente apparivano come
vittime e che non si riveleranno poi così innocenti.
nalità come si arguisce
da liriche quali: “Saudade”, “Amici miei”,
“Homo patiens”, testi
di profonda meditazione, di armonia; ed
ancora: “Masada”,
“Eingedi”, “Kubbet al
Sakhra”, miti riletti e
reinterpretati alla luce
della sua sensibilità
storica e consegnati
nelle loro multiformi
valenze all’uomo d’oggi. Leggendo le quarantasei poesie del saggio, emerge chiaro come l’essenza e la qualità emozionale delle
immagini siano il risultato di una interiorizzazione dell’ambiente e del paesaggio,
sia esso Lisbona, Gerusalemme, Tivoli, Roma, Capri, Napoli, Salina e Lipari sentito
sempre come parte
dell’anima. Il poeta è
affascinato dall’azzurro del mar Tirreno, del
Mediterraneo, accarezzato dal lieve vento
evocatore di memorie.
Tuttavia i luoghi, senza
la magia della parola,
sarebbero nulli. E’ la
parola, la fisicità della
scrittura, a dare alla
poesia di Garzya vitalità, energia, sicurezza,
proprio attraverso il
suo immergersi nella
natura. Immagini oniriche, che tuttavia non
sempre alleviano la
sofferenza del poeta.
Apparenze misteriose
che si rincorrono,
frammenti di ricordi e
di volti, di raggi di luna
e mormorio di vento
colti e fermati dalla parola magica della poesia, unica a scorgere “la
divinità che è dentro il
paesaggio”.
Il racconto è leggero, sapientemente ironico, con qualche spunto interessante ed
una licenziosità sullo sfondo
che, talvolta, indugia su
un’intimità più prettamente
morbosa che esplicitamente
erotica.
L’intreccio delle varie storie
corre veloce, parallelo allo
scontrarsi delle rispettive
tematiche che ciascun personaggio rappresenta nella
storia. Ne viene fuori una
Napoli dalle mille sfaccettature, dipinte nei suoi stereotipi classici con un tratto più
tipico del dadaismo francese
che del realismo partenopeo.
ARMANDO YARI SIPORSO
LIBRI&LIBRERIE
Rosa Amato riscopre
Personal Player, la principessa Costanza
il juke-box
dell’anima
GIANLUCA BLADIER CONSIGLIA
UNA CANZONE DEL CUORE PER OGNI
GIORNO DELL’ANNO. L’IDENTIKIT
DI 365 BRANI INTRAMONTABILI.
mio cammino». E così ha fatto, con 105 pezzi
«La canzone è una vecchia fidanzata con cui
italiani e 260 in lingua straniera. Tutti ripescati in
passerei ancora volentieri buona parte della mia
un arco di tempo che va dal 1944 con “I’ll be
vita», confessava De Andrè in una storica
seeing you” della straordinaria voce di Billie
intervista. E anche per chi non ne ha fatto il suo
Holiday, fino a disturbare la
mestiere, quella “vecchia
musica contemporanea con
fidanzata” più che semplice
“Same Love” di Macklemore,
successione di note e accordi, è
datata 2013. Pezzi che vanno al di
un serbatoio dell’anima. Dentro
là dei gusti personali dell’autore,
ci rovesciamo emozioni, ricordi,
per spaziare dal jazz di Ella
pezzetti (belli o brutti) di noi.
Fitzgerald, al blues di John Lee
Brani che non sono scritti per
Hooker, dal rock dei Led
nessuno, ma che in qualche
Zeppelin al rap di Eminem.
modo parlano di ognuno. Così
Sfogliando le pagine si
numerosi che si potrebbe
incontrano brani intramontabili
pensare di raccoglierli in una
come “Let it be” e “Hey Jude” dei
playlist personale. Ed è proprio
Beatles o “No woman no cry” di
quello che ha fatto Gianluca
Bob Marley. Tra gli artisti italiani,
Bladier nel suo libro “Personal
in testa alla classifica: Lucio
Player. Una canzone per ogni
Battisti, Ivano Fossati, Mina,
giorno dell’anno”, pubblicato con
Fabrizio De Andrè. E, da
ilmiolibro.it. Una raccolta di 365
napoletano, non poteva mancare
canzoni a cui ha affidato il
un omaggio alla sua città con la
compito di raccontare una vita,
malinconica “Napul è” di Pino
la sua, dipingendone un anno
Daniele. Perché «Napul è ‘na
tipo, musicalmente e non. Dietro
PERSONAL PLAYER
carta sporca» e Bladier sa bene
note e melodie, l’autore
che sotto al Vesuvio la bellezza
nasconde infatti attimi,
Gianluca Bladier
mozzafiato e il degrado, la
sensazioni, memorie. Di ogni
ilmiolibro.it
signorilità e la criminalità, il
pezzo scelto, Bladier appunta
386 pagine
folclore e la disperazione, la
una breve “carta d’identità”. Ce
storia e l’ignoranza camminano
ne ricorda l’autore, l’anno di
insieme in uno spietato
pubblicazione, l’album da cui è
abbraccio. Il trecentosessantaquattresimo giorno
tratta. Ma soprattutto ogni brano è lo spunto per
la scelta cade sui The Doors con “The end”, brano
appuntare riflessioni, ricordi, motivazioni intime.
del 1967. “This is the end” cantava quell’anno Jim
«Mi sono reso conto – scrive l’autore
Morrison, ma per la band si trattava soltanto
nell’introduzione – che tutti i momenti della mia
vita, dai più insignificanti a quelli fondamentali, si dell’inizio. E forse anche per Bladier non esistono
punti fermi a tutto se a quel “The end” fa seguire
sono inconsapevolmente abbinati a canzoni.
un pezzo come “Senza fine”, duetto di Gino Paoli
Tanto che ad un certo punto ho realizzato che se,
come Pollicino, avessi raccolto le molliche di pane e Ornella Vanoni. Alla pagina successiva, bianca,
un nuovo anno, nuovi sogni. E nuove note.
fatte a forma di canzoni seminate nel corso del
tempo avrei ricostruito a suon di musica tutto il
LIVIA IANNOTTA
FRANZESE-BUFANO, IL RACCONTO DELLE FESTE
Un’antica, concreta religiosità
quella celebrata in ”Feste e
Festicciole”, libro scritto a
quattro mani da Umberto
Franzese e Laura Bufano
(Edizioni Savarese). Sentimento
religioso che si esplicava in
credenze, immagini, canti,
preghiere, a volte anche simili a
riti pagani, ma che oggi corre un
grande, serio pericolo:
l’intromissione di religioni che
non ci appartengono. E così, in
un futuro prossimo, corriamo il
rischio di abbandonare ’A festa
d’o Munacone, ’A Festa d’’o
Carmene, ’A festa ’e S. Gennaro,
arrivando a diventare estranei in casa nostra e
vedendo negate tradizioni, feste, affetti. Il libro fa
parte della collana di tascabili
Savarese, diretta da Umberto
Franzese, nata per scoprire le
nostre radici, interpretare il
nostro passato, ma anche con
l’intento di diffondersi tra gli
amanti di libri preziosi, che
ricordano l’antica Napoli. Si
compone dei filoni: Del celiare e
del cantare (il teatro d’opera, la
musica, la canzone napoletana);
Redeamus ad Neapolitanum (la
parlata e la poesia napoletana);
L’arte del vivere (tradizioni e
costumi); Luoghi e persone (il
colore locale, miti e magie, sacro
e profano); De coquinaria (il
buon mangiare); Le arti belle (Napoli, da greca
urbs a moderna fucina artistica). (a.b.)
Chi l’ha detto
che una donna di
cinquecento anni
fa non potesse
essere una buona
economista,
capace di destreggiarsi da sola tra
conti e denaro?
Partiamo da un
presupposto: che
la nobiltà d’altri
tempi non brillasse nella gestione
del denaro, lo
testimonia la storia, costellata com’è di episodi
di principi e conti che sperperano ricchezza.
Società di “grandseigneur” d’apparenza e
d’alto rango che si coprono di seta e di sfarzo,
indorando ville e castelli, ma che poi si rovinano miseramente. Eppure la principessa Costanza del Carretto Doria, vissuta a Napoli nel
XVI secolo ma di antenati genovesi, sfugge a
questa regola. Per due motivi. Il primo: la
capacità di gestire senza alcun aiuto il patrimonio di famiglia, facendolo addirittura lievitare. Il secondo: l’essere una donna. Il che, se si
considera la società infarcita di maschilismo
nella quale era inserita, appare un’eccezione
ancora più insolita. Di questo personaggio
poco conosciuto, ma affascinante e poliedrico,
e della sua vita, spesa tra due città apparentemente lontane e diverse, Napoli e Genova,
dipinge un ritratto accurato Rosa Amato,
aversana, docente presso l’istituto superiore
“Rita Levi Montalcini” di Acqui Terme, in
provincia di Alessandria, da anni appassionata
per la ricerca storica. Nelle pagine di “Costanza del Carretto Doria: un’aristocratica napoletana dall’intraprendenza economica genovese” (edito da ImpressioniGrafiche), l’autrice, al
suo primo libro, erige un profilo biografico
inedito e prezioso. E lo fa con scrupolosa
minuziosità storica, scavando tra testamenti e
inventari cinquecenteschi, redatti da notai
napoletani dell’epoca. Rosa Amato ce la descrive come una donna colta e raffinata, perfettamente radicata nella tradizione dell’aristocrazia borbonica, ma allo stesso tempo
intraprendente, perspicace, volitiva. Costanza
del Carretto Doria, nipote del noto ammiraglio
Andrea Doria, rimasta vedova dopo appena
cinque anni di matrimonio, seppe prendere in
mano le redini della famiglia e gestire da sola
le ricchezze, adoperando con consapevolezza
e dinamicità gli strumenti finanziari del tempo. E per gli affari doveva avere fiuto, dato che
fu in grado di consegnare ai suoi eredi un
patrimonio notevolmente accresciuto. A suo
modo, un’eroina cinquecentesca che seppe
anche proiettarsi all’assistenza dei più deboli e
al riscatto sociale di chi viveva di stenti e disperazione, proprio mentre i suoi contemporanei si cullavano nel lusso vano e vuoto.
Il lavoro di Rosa Amato si articola in tre sezioni. Nel primo capitolo l’autrice traccia il ritratto biografico e caratteriale della protagonista.
Nella seconda parte passa ad un’analisi accurata degli inventari dei beni di Costanza, con
una elegante descrizione del palazzo della
principessa. Per poi terminare, nell’ultimo
capitolo, con il parallelo tra i beni posseduti al
momento del matrimonio e il patrimonio che
le sue capacità di investimento fecero fruttare.
Un viaggio che, passando per castelli e dimore
nobiliari, chiese e palazzi cinquecenteschi,
disseminati tra le colline del Monferrato e
delle Langhe a Genova, prosegue discendendo
la penisola e approdando a Napoli, nei fasti
dell’assolutismo dei Borbone.
LIVIA IANNOTTA
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(31)
LIBRI&LIBRERIE
Eventi
Napoli:
luoghi
letterari
AURORA CACOPARDO E FRANCESCO
D’EPISCOPO SULLE TRACCE DI REA,
BERNARI, INCORONATO E DE LUCA
IN UN SAGGIO DI IUPPITER EDIZIONI
Giacomo Garzya
Venerdì 28 febbraio si è tenuta a Napoli,
presso la sede della Fondazione Humaniter, una giornata di studi dedicata al
libro di Aurora Cacopardo e Francesco
D’Episcopo «Napoli: luoghi letterari»
(Iuppiter Edizioni). In questa pagina
pubblichiamo un ampio stralcio della
relazione del professore e poeta Giacomo Garzya, intervenuto alla presentazione insieme all’autrice e a Pino
Cotarelli.
«Aurora Cacopardo è stata una valente
docente di materie letterarie nei Licei
ed è una colta, sensibile, acuta critica
letteraria napoletana, che ho avuto
modo di apprezzare personalmente
negli ultimi anni leggendo le sue recensioni agli ultimi miei libri di poesie. Ella
ha infatti dato ottima prova di sé collaborando con riviste e giornali come il
Roma, Il Cerchio e Chiaia Magazine, un
periodico questo di grande importanza
civile, sociale e culturale non solo per il
quartiere Chiaia, ma per Napoli tutta.
Francesco D’Episcopo, autore di numerosi volumi e saggi sulla Letteratura
italiana, insegna questa materia alla
Federico II ed è un critico letterario,
con al suo attivo vari riconoscimenti
ufficiali alla sua pluridecennale attività.
Il libro che si presenta ora, riguarda
quattro autori, che hanno lasciato una
traccia profonda nella cultura napoletana, pur con esiti diversi: Carlo Bernari, Luigi Incoronato, Domenico Starnone ed Erri De Luca (nella foto), i
primi due, avendo avuto una fortuna
non proporzionata al loro effettivo
valore. Gli ultimi due, a noi contemporanei, depositari di numerosi riconoscimenti sia da parte della critica che
dal pubblico di lettori. La scelta di
Cacopardo e D’Episcopo di analizzare
l’opera di questi quattro autori, tuttavia
non prescinde dal voler mettere in
evidenza i luoghi i cui si svolgono le
storie e lo stesso narrare: via Speranzella, Scala a San Potito, via Gemito,
Monte di Dio. La Napoli, qui raccontata, è una Napoli fatta di eroi e antieroi,
penso, in particolare, da una parte, al
ragazzino protagonista in “Montedidio”, dall’altra, all’anonimo protagonista, con Giovanni, in “Scala a San
Potito”, ma anche una Napoli disperata
nella sua miseria, lontana anni luce
dalle rappresentazioni festose di certa
ben nota letteratura. Il colore della
miseria, della solitudine, che prevale in
molti passi di queste opere e nei suoi
personaggi è il grigio, un grigio che dà
poco spazio alla speranza, se si esclu-
(32)
dono le avventure salvifiche nel racconto di Erri De Luca.
In “Napoli: luoghi letterari” Aurora
Cacopardo tratta in primis della figura
letteraria e artistica di Carlo Bernari, un
autore di spessore, che Domenico Rea
non esitava a proclamare, nel 1958,
come “l’unico scrittore napoletano
degno di questo nome” e che avrà una
vita spesa tra giornalismo, riviste letterarie e sceneggiature cinematografiche.
Ebbene Carlo Bernari, autodidatta,
come non pochi scrittori negli anni ’20
e ’30, antifascista, frequentatore delle
idee crociane, nonché, durante un
breve soggiorno a Parigi, di André
Breton, padre del Surrealismo, produsse nel 1934 il suo primo romanzo “Tre
operai” in una collana diretta da Cesare
Zavattini, che non ebbe che poco
pubblico, anche se una buona critica.
“Tre operai” rappresenta il manifesto
sociale dello scrittore, che preannuncia
un lavoro di scavo ventennale sulla sua
città, che si condenserà in due volumi,
la “Bibbia napoletana” - considerato
uno dei libri più affascinanti non solo
su Napoli ma “di Napoli” - e “Speranzella”, il suo capolavoro, uscito nel
1949 e vincitore ex aequo del Premio
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
Viareggio, con buon successo, questa
volta, di lettori e di critica. La Cacopardo, dopo aver ben disegnato la biografia di Bernari senza nascondere l’astio
che nei suoi confronti aveva avuto Elio
Vittorini, come è noto, intellettuale
organico del Partito comunista e quindi diffidente nei confronti di chi conservava una propria libertà di scelta e
di giudizio, si ferma a parlare a lungo
del romanzo “Speranzella”, ambientato nella Napoli a cavallo del ben noto
Referendum Monarchia-Repubblica.
Questa disamina critica si sofferma sui
punti principali dello spirito narrativo
di Bernari, nonché sulla sua tecnica
narrativa e sull’uso del dialetto, sulla
scia dell’esperienza di Verga e di Alvaro,
senza dimenticare la lezione di Di
Giacomo, Viviani, Murolo, per non
parlare del Cortese, del Basile, del
Velardiniello. Importante è la considerazione della Cacopardo, quando dice
che “i personaggi di Bernari…non
cadono mai nel bozzetto, perché lo
scrittore vi trasferisce con naturalezza
l’elemento storico-documentario”,
cioè fa un lavoro di scandaglio di
natura storicistica, nella migliore
tradizione crociana. L’analisi di Carlo
Bernari di Aurora Cacopardo si conclude, in modo analogo, con analogo
metodo, nella trattazione della vita e
dell’opera di Erri De Luca, alla luce, in
particolare del racconto “Montedidio”,
dove, anche se in modo molto diverso,
lo scrittore mette in luce la sua visione
di Napoli rapportata al sogno salvifico
del volo a Gerusalemme di Rafaniello,
ebreo errante, che trova rifugio nella
Napoli devastata dalla guerra, dalla
fame e dalla miseria, una Napoli europea nella sofferenza per dirla con
Curzio Malaparte. Aurora Cacopardo
felicemente conclude il suo itinerario
critico dicendo che Erri De Luca “riesce, spesso, a scavare in profondità con
risoluta delicatezza”, trattando “così il
comico, il tragico, la ricerca del sacro”,
senza perdere, aggiungo io, la sua vena
poetica e fantastica. Francesco D’Episcopo, da parte sua, analizza l’opera di
Domenico Starnone e del meno fortunato Luigi Incoronato. Meno fortunato
se si considera il tragico epilogo della
sua vita, che, leggendo il suo racconto
“Scala a San Potito”, può dirsi già in
nuce tanti anni prima. Studioso di
Incoronato, D’Episcopo ne tratteggia
pienamente la biografia, elemento
primo di ogni analisi successiva, sottolineando l’anno 1960, in cui non solo
vince il Premio Napoli con il romanzo
“Il Governatore”, ma fonda la rivista
“Le ragioni narrative”, insieme a scrittori come Compagnone, Pomilio,
Prisco e Rea, nonché accademici come
Battaglia e Pacini Savoj. La notorietà di
Incoronato nasce, tuttavia, nel 1950
con “Scala a San Potito”, edito da
Mondadori, emblema della precarietà,
delle gravi difficoltà di sopravvivenza
che il popolo napoletano incontrò nel
dopoguerra. D’Episcopo, analizzando
“Scala a San Potito” nota acutamente
che l’anonimo protagonista del racconto si identifica, nella sostanza, con
l’autore stesso, il quale “sente… lo
strano bisogno di tornare…sulle scale,
che avevano ospitato una stagione
straordinaria della sua vita, legata
all’amicizia con l’altro personaggio
centrale…Giovanni”, tragicamente
ucciso da se stesso e dalla sua disgraziata vita. Non è il caso di entrare nella
trama del racconto e la stessa cosa vale
per “Via Gemito” di Starnone, per
invitarvi alla lettura di “Napoli: luoghi
letterari” che fa una lucida sintesi e
invoglia a leggere questi autori, di cui si
possono ora reperire i titoli in libreria.
Tale sorte non è quella di Bernari, che
costringe i lettori a recarsi in Biblioteca,
il che farebbe pensare come ottima
cosa la ristampa da parte di qualche
buon editore almeno di “Speranzella”».
SOCIETÀ&COSTUME
Fuschetto,
il sogno
in musica
Laura Bufano
Quando avverti nella musica la “raffinatezza” ne rimani
incantato e senza volerlo ti
estranei dallo spazio e dal
tempo. Ho sentito Massimiliano Fuschetto, Max, esibirsi in
due sue composizioni: “Fase
Rem” con il sax soprano e
“Portami con te” con l’oboe,
accompagnato in entrambi i
pezzi dalla chitarra elettrica di
Pasquale Capobianco. E sono
bastate a catturarmi. Max è
nato a San Marco dei Cavoti
(BN). Mi parla del suo rapporto con la natura e di come
essa abbia determinato il suo
approdo alla musica, quando
a soli sette anni imparava a
suonare il pianoforte. Da
allora, la musica, non l’ha
lasciata più. Si diploma in
oboe con il massimo dei voti
presso il Conservatorio Nicola
Sala di Benevento e prosegue
con il perfezionamento presso la Scuola di Musica di
Fiesole. Dal 2000 vive a Napoli
dove svolge un’attività di
compositore, concertista ed
insegnante di musica.
Com’è il tuo rapporto con
Napoli?
Positivo. Napoli è una città
aperta che mi ha permesso di
fare un sacco di cose. Agli inizi
degli anni 2000 sono stato
ospite di “Musica Millemondi”, sotto la direzione artistica
del Maestro Girolamo De
Simone, dove ho potuto
realizzare numerosi lavori. C’è
però da dire che la città nel
tempo ha vissuto un’espropriazione della produzione
musicale che negli anni ’60 ’70 la caratterizzava.
Come ti definisci?
Un inguaribile sognatore, che
ama l’avventura e l’esplorazione.
Le esperienze con l’ensemble
di musica d’avanguardia le
“Percussioni Ketoniche” e
con il gruppo Pop-Rock
“Ansiria” cosa hanno portato
nelle tue composizioni?
La capacità critica e di confronto: con gli Ansiria ho
sperimentato una scrittura
semplice e comunicativa
tipica della popular music o
Pop. Con Giulio Costanzo,
invece, ho conosciuto le
possibilità combinatorie e
costruttive della musica
africana. Un interesse che poi
si è spostato ad altre culture
nel mondo.
Sei un compositore che si
lascia ispirare dalle immagini, hai mai fatto musica per
film?
Ho realizzato le musiche per
un cortometraggio di Monica
Mazzitelli dal titolo “Midsommar”, girato a Stoccolma, con
la parte pianistica a cura di
Girolamo De Simone. Mi
piacerebbe continuare a farlo.
Max Fuschetto,
compositore, nato a
San Marco dei
Cavoti, si definisce
«un inguaribile
sognatore. Fra
qualche mese esce il
suo nuovo disco
realizzato con i
contributi artistici di
Pelilli, Chimenti e
Capobianco.
Hai partecipato al Festival
del Mondo Arabo a Tunisi. E’
stato uno scambio interessante di esperienze?
Scambio fenomenale per i
suoni, i colori della città
antica, le voci della Kasba, gli
occhi nascosti delle donne
mediorientali; il tutto l’ho
riproposto in un brano del
prossimo disco.
Parliamo di “Popular Games”, tuo lavoro del 2009.
L’uso dell’elettronica quale
esigenza soddisfa nella
realizzazione di un brano? E
l’uso di lingua balcanica?
Soddisfa quell’esigenza del
compositore di avere a disposizione tutte le combinazioni
di colori e di muovere i suoni
e le linee in maniera inusuale
e plastica. Per quanto riguarda l’uso della lingua Arberesch è stato un caso in quanto, grazie a Giulio Costanzo,
ho conosciuto Antonella
Pelilli di Montecilfoni e così
ho trovato una lingua adatta
alla mia musica che è risultata
una commissione misteriosa.
Il prossimo progetto?
Fra qualche mese esce il
nuovo disco che vede dei
contributi importanti: la
cantante Antonella Pelilli, il
cantante toscano Andrea
Chimenti e il chitarrista
Capobianco. Insieme all’arberesh userò il francese, l’inglese
e addirittura l’africano.
Sfide letterarie con «Strane coppie»
Incontri con grandi autori,
critici e storici dell’arte. La
felice formula di sfida fra
romanzi europei, narrati al
pubblico da scrittori, si allarga
alla grande pittura: uno scrittore e un pittore, maestri in arti
diverse eppure consonanti,
saranno avvicinati per tematiche, per similitudine o per
opposte scelte. Il raggio d’azione di "Strane Coppie" si estende quest’anno, in occasione
della sesta edizione, ai linguaggi non verbali, per esplorarne
consonanze e affinità con la
Alla galleria Le 4 pareti
i baretti diventano arte
La vita notturna a Chiaia
ruota intorno a loro: non solo
bar ma anche vinerie, pub,
pizzetterie, sushi point. All’interno si celebra il rito dell’happy hour, all’esterno la liturgia
tutta partenopea della conversazione en plein air. Molteplici
piccoli luoghi d’incontro
situati l’uno affianco all’altro
che il gergo quotidiano, con
semplicità e efficacia, ha
identificato in un’unica voce: i
baretti. Uno svago divenuto
consuetidine al punto da
caratterizzare una intera zona,
rientrata anche nelle guide
turistiche. Ma cosa succede
letteratura, stili, tecniche,
risposte alle diverse esigenze di
rappresentazione del nostro
mondo. «Quest’anno la rassegna punta sul rapporto fra
romanzi e pittura cercando di
esplorare i due diversi modi di
narrare le storie e cogliere la
visione del mondo», spiega
Antonella Cilento (nella foto),
fondatrice del laboratorio di
scrittura. Il programma della
rassegna, inaugurata il 15
gennaio, prevede due incontri
nel mese di marzo. Il giorno 6,
presso l’Istituto Cervantes, si
“incontreranno” la pittura di
Giorgio De Chirico e la letteratura di Silvina Ocampo sul
dopo, quando la folla chiassosa torna a casa? Ce lo dicono le
foto di Peppe Di Benedetto,
ultimo performer ospitato da
Maria Giovanna Villari nella
sua galleria “Le 4 pareti” di via
Fiorelli. Nelle foto di Di Benedetto c’è tutta l’attesa di un
mondo sospeso tra l’ultimo
happy hour e il prossimo, tra
insegne accese e luci spente,
tavoli deserti e bicchieri vuoti,
strade solitarie, bagnate di
pioggia ed ultimi avventori
randagi. Poetici scorci intimistici di luoghi che si riappropriano di sé.
LAURA COCOZZA
tema “Fantastico vs Metafisico”. Mentre il 20 marzo, al
Goethe Institut, presso la
Biblioteca Nazionale di Piazza
Plebiscito, sarà la volta del
binomio composto dal pittore
Hackett, messo a confronto
con lo scrittore Vincenzo
Consolo. «Le coppie sono
strane nel momento in cui si
formano ma alla fine di ogni
incontro diventano perfette
perché convergono nell’obiettivo di suscitare emozioni».
Così Mauro Giancaspro, direttore della Biblioteca nazionale
di Napoli, ha commentato
l’iniziativa.
ARMANDO YARI SIPORSO
CHIAIA MAGAZINE • GENNAIO/FEBBRAIO 2014
(33)
MOVIDA&RELAX
NIGHT STORM
Fabio Tempesta
WIN LUXURY,
COLLEZIONE
ARCOBALENO
Maurizio Esposito
(nella foto con Jade
Albany Pietrantonio),
imprenditore e stilista
del noto brand Win
Luxury Beachwear, ha
ideato e realizzato
creazioni di successo
nell’ambito del
beachwear.
Dopo essersi dedicato
ad altre attività,
l’amore per il
“fashion”, ereditato da
bambino e mai sopito,
è riesploso con energia
negli ultimi anni.
Grandi i successi
ottenuti: da ModaMare di Firenze a Porto
Cervo l’estate scorsa,
dalle passerelle di
Posillipo
all'incantevole Villa
Domi, fino alle ultime
sfilate sulle spiagge
dell’Adriatico.
Win Luxury si
conferma così il nuovo
brand targato made in
Naples più cool delle
passerelle italiane.
La creatività tutta
partenopea di
Maurizio Esposito
trova stimoli attraverso
l’immagine originale e
moderna della donna
moda-mare,
denominata Win
Luxury, e si arricchisce
con modelli sempre
più attuali e di
tendenza, rispondenti
alle esigenze di uno
stile semplice, ma allo
stesso tempo raffinato
e ricercato.
«Lusso, femminilità ed
eleganza - afferma
Esposito- sono le basi
del mio design,
studiato nei minimi
dettagli, elaborato
artigianalmente con
tessuti pregiati e
decorazioni alla moda.
Il mio obiettivo è
quello di portare in alto
la tradizione della
sartoria napoletana, a
livello nazionale e
internazionale».
Talento e fantasia di un
brand in continua
evoluzione.
E in questo 2014 di
speranze e desiderio di
uscire dalla crisi, Win
Luxury ha lanciato la
nuova collezione dal
titolo «ArcObAleNo».
Un collezione elegante,
sofisticata,in cui
trionfano i colori accesi
e positivi come il verde
e il giallo. La nuova
linea di costumi si
sviluppa in 9 serie ed è
un autentico «inno al
rinnovarsi, a ripartire
dopo la tempesta, a
puntare al sereno».
Bella gente
LORIS
CAPASSO
Loris Capasso ideatore del
gruppo “Amici Tutti
Vomero” operante su
Facebook, nonché
presidente della relativa
Associazione
Amicituttivomero.it, l’unico
pr che non si sa come
riesce ad organizzare serate
(34)
Festa vesuviana per
la laurea di Valeria
Nella suggestiva villa di famiglia a Torre del Greco, il
22 febbraio scorso, Valeria Palomba ha festeggiato con
i parenti e gli amici più cari il conseguimento della
laurea in legge. Ai piedi del Vesuvio, in una serata
magica tra pietanze sublimi e fiumi di champagne, si
è ballato a bordo piscina, fino a notte inoltrata, grazie
alla musica della bravissima dj Ludovica Cims. Oltre
cento invitati hanno voluto brindare insieme alla
neodottoressa. Tra i partecipanti Maria Antonio e il
papà Luigi Palomba, Paolo D’Angelo, Guglielmo
Adrasto, Andrea Dotoli, Marco Modafferi e Mina,
Tiziana Gallone, Francesco e Vittoria Cristiano,
Carmela Barbato, Nino di Gennaro, Stefania Gaudino,
Nico Parracino, Antonella e Francesco Del Bene,
Alessandra e Paola Brancaccio, Francesco Avallone,
Irma Cardano, Antonino e Raimondo Nocito, Dino
Settembre, Alberto Saggiomo. Da vera partenopea la
dottoressa Valeria Palomba, a fine serata, ha deciso di
regalare a tutti gli invitati un corno di corallo e
argento tipico della tradizione torrese. Un oggetto che
ha riscosso il meritato successo ed è stato molto
apprezzato per la sua carica di «ottimismo».
di Tommy Totaro
dal lunedi alla domenica ed
essere sempre presente.
ELENA
IAVARONE
Ha il viso dai lineamenti
delicati, illuminato da grandi
occhi chiari, e il corpo,
morbido e sensuale, dalla
pelle candida, ricordano in
modo impressionante i
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
ritratti di figure femminili
d’altri tempi. Stiamo
parlando di Elena Iavarone
che puoi trovare ogni
domenica all’aperitivo
dell’Occhi Occhi Oh.
ORSOLA
NARDUCCI
Qualche anno fa, ci poteva
stare che la gente si
attardasse a domandarsi se
lei fosse piu’ consulente
aziendale o Coach
motivazionale, adesso non
piu’. È il braccio destro di
Roberto Re ed ha il pregio di
dirigere per il quarto anno
consecutivo la sede della Fly
Napoli insegnando a
professionisti o chicchesia le
potenzialità della Pnl.
FULVIA ROSSI
GAGLIARDI
Ha da poco festeggiato il
compleanno del suo
Bambino (43 anni). Non
parliamo di un neonato un
po’ cresciuto, ma di uno dei
negozi storici del quartiere
Chiaia. Lei è Fulvia Rossi
Gagliardi, che ha vestito con
gli abiti del passato e del
futuro, i protagonisti del
Calendario Facenight 2014.
La consolle, veramente
«superlativa», è stata
affidata ad uno storico e,
fatecelo dire, mitico dj
come Justin Berkmann.
L’EVENTO
SGUARDI LONTANI
Francesco Iodice
CARAVAGGIO E LEONARDO INSIEME
La mostra
«possibile»
Fino al 21 aprile 2014
a Napoli, presso il
Convento di San
Domenico Maggiore,
è visitabile la
«Mostra
impossibile» che
consente al pubblico
di intraprendere un
viaggio tra le
riproduzioni digitali
delle opere più
conosciute di
Caravaggio,
Raffaello e Leonardo.
Grazie alle nuove
tecnologie i mostri
sacri dell’arte
finalmente
«espongono»
insieme.
Francesco Iodice
I
l caro professore di italiano al
liceo soleva ripetere che la
cultura – se racchiusa gelosamente in poche teche craniche – si inaridisce e diventa
inutile, laddove, se diffusa e
portata a conoscenza del
maggior numero di persone,
prolifica e si diffonde, facendo
da volano al turismo, e non
solo. Queste parole mi sono
venute immediatamente alla
memoria mentre ammiravo
gli oltre cento capolavori
esposti, fino al 21 aprile 2014,
nella “Mostra impossibile” al
Convento di San Domenico
Maggiore. Ma perché impossibile? È presto detto. Normalmente, non vengono raccolti
tutti gli originali di un singolo
artista in un’unica esposizione. Se l'artista è il Caravaggio,
è praticamente impossibile
pensare di esporne tutti i
dipinti. Ancora più impensa-
bile è immaginare una mostra
che esponga, in uno stesso
luogo, oltre all'opera completa di Michelangelo Merisi,
anche tutti i dipinti di Leonardo e quasi tutte le opere di
Raffaello: capolavori che sono
disseminati in decine di
musei, chiese e abitazioni
private di diversi continenti.
Tutto questo diventa possibile
mediante la riproduzione
digitale dei quadri. Qui sta la
novità introdotta da “Le
mostre impossibili”: consentire ai visitatori di ammirare, hic
et nunc, l’una accanto all’altra, tutte le opere, comprese
quelle intrasportabili come gli
affreschi. L'esposizione napoletana presenta, in rigoroso
ordine cronologico, 63 dipinti
di Caravaggio, 37 opere di
Raffaello (compreso l'affresco
de La scuola di Atene) e 17 di
Leonardo (compresa L'ultima
cena). Nell’epoca della riproducibilità digitale, l’opera
d’arte diventa fruibile da
milioni di persone, perché la
divulgazione è planetaria,
perde l’“aura” di sacralità che
spesso, allontana il grande
pubblico dai dipinti; la tecnica
e le potenzialità della “riproducibilità digitale” dimostrano quanto la cultura umani-
CARACCIOLO E LA
PERFIDA NINFOMANE
Nella chiesa della Madonna della
Catena a Santa Lucia vi è un
epitaffio, scritto da Mariano
d’Ayala, per ricordare il defunto:
«Francesco Caracciolo ammiraglio della Repubblica napoletana
fu dall’astio dell’ingeneroso
nemico impeso all’antenna il 29
giugno del 1799. I popolani di
Santa Lucia qui tumularono
l’onorando cadavere. Il Municipio
di Napoli, 1881». A Francesco
Caracciolo Napoli ha dedicato
uno dei lungomari più belli del
mondo per onorare la sua fama di
ammiraglio gentiluomo, di casata
illustre per antichi fatti e dotato di
grandi capacità, intelligenza
pronta che gli avevano consentito
di compiere nobili opere, di essere un buon cittadino amante della
patria e, nel corso degli anni,
arricchito da una grande esperienza di faccende di mare. Com’è
noto, Maria Carolina, regina di
Napoli, aveva molti amanti, uomini e donne e, tra queste, annoverava anche Emma Lyons, prostituta a Londra prima che Sir
Hamilton – ambasciatore inglese
a Napoli – la sposasse. Ma l’insaziabile regina avrebbe voluto
avere anche il bellissimo ammiraglio Francesco Caracciolo che
invece si sottraeva alle lusinghe
della ninfomane. Questa, per
indurlo in tentazione, gli mandò
Emma, ovvero Lady Hamilton,
notissima per la generosità con
cui offriva le sue grazie muliebri,
ma anche questo tentativo fallì. E
stica possa avvalersi dall’uso
delle nuove tecnologie. La
storia dell’arte è segnata dal
succedersi di svariate tecniche
di riproduzione: dalla xilografia all’acquaforte, dalla puntasecca alla litografia, dalla
fotografia analogica a quella
digitale. La riproducibilità è in
scala 1:1 e realizzata con
tecniche messe a punto in
anni di sperimentazione e
continuamente aggiornate. Le
opere sono stampate, con
sofisticate tecnologie digitali,
su un supporto trasparente
retroilluminato che consente
uno straordinario apprezzamento dei dettagli, non sempre visibili nell'opera originale, vuoi per la distanza dall'osservatore vuoi per le condizioni d'illuminazione che,
talvolta, soprattutto nei luoghi
di culto, non sono particolarmente accurate. Il punto di
partenza è stato sempre una
fotografia, digitalizzata e
verificata nella resa cromatica
delle singole areole di pittura.
Quindi i pixel dell’immagine
sono trasferiti su un supporto
unico, trasparente, omogeneo
e a grana finissima, delle
stesse dimensione dell’originale. La storia dell’arte, da
cent’anni a questa parte, è
allora scattò la vendetta. La regina
Carolina si rivolse il 19 giugno per
iscritto al cardinal Ruffo «insinuando a costui la necessità di
metterlo a morte». E il giorno
dopo, il Re faceva eco al sentimento della moglie. Pertanto,
Nelson subito dichiarò che il
patto sottoscritto da Ruffo era
“infame”, che non ne avrebbe
permesso l'esecuzione e lo stracciò. L’ammiraglio fu impiccato
dagli Inglesi sulla nave di Nelson
che, ordinando l'impiccagione
del Caracciolo, nel contravvenire
a dei patti debitamente firmati,
dimostrò di non possedere neanche quel sentimento di fratellanza
che normalmente accomuna gli
uomini di mare. Spergiuro e
sanguinario, non si contentò di
eliminare l'avversario, lo volle
anche umiliare, negandogli il
diritto di morire fucilato, come si
addice ad un vero soldato, facendolo impiccare all’albero della
nave britannica “Minerva”; così
come su quella flotta si usava fare
per i pirati e i ribelli. Ma, il corpo,
gettato in mare, riemerse vicino
alla chiglia del Foudroyant, nave
ammiraglia di Nelson, dinanzi
agli occhi del Re, di Emma Hamilton, amante di Nelson. Raccolto
da alcuni pietosi pescatori, il
corpo fu deposto nella chiesa
dove tuttora riposa. Finì così nel
sangue il tentativo dei nobili e
coraggiosi eroi che intendevano
sottrarre Napoli allo sciagurato e
tragico dominio dei Borbone che
non si chiesero mai i motivi della
rivolta e ignorarono del tutto le
conseguenze di tanta cattiveria
verso il popolo e gli intellettuali.
storia di quanto è fotografabile. Ci sarebbe da chiedersi: ma
cosa avevano visto, fino al
1900, coloro le cui riflessioni
rimangono per noi rivelatrici?
Il confronto di un quadro del
Louvre o del Prado, era il
confronto di un ricordo. Ecco
allora che, mettendo in un
solo luogo tutta la produzione
artistica di Leonardo, Raffaello
e Caravaggio, viene realizzata
un’esperienza artistica e
didattica unica nel suo genere. E sarebbe riduttivo se si
parlasse di “copie”, di “fac-simili”, termini che nascondono un senso dispregiativo di
distacco, repulsione e rifiuto.
Si potrebbe parlare di “sostituti” di opere che hanno, a
tutti gli effetti, dignità artistica
e sono esposte invece degli
originali. La realizzazione di
grandi mostre è resa sempre
più problematica dalla crescente contrarietà dei direttori
dei musei a concedere il
prestito delle opere ma anche
dagli esorbitanti costi delle
assicurazioni e delle speciali
misure di sicurezza, inevitabili
per dipinti d'incalcolabile
valore. Viceversa, questa
nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima
definizione e a grandezza
naturale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in
cui normalmente si trovano,
sia nei musei sia nelle sedi
proprie, non consentono. Le
cosiddette “copie” o “sostituti” sono molto utili anche nel
salvare alcuni monumenti
importanti dall’aggressione
degli agenti inquinanti. In
Giappone si conservano –
nell’isola di Shikoku – moltissime copie di arte occidentale,
per la maggior parte italiana.
Per i giapponesi, che vivono
così lontano dai luoghi dove si
trovano gli originali, una visita
all’isola costituisce un’occasione straordinaria di conoscenza. Fra i duecentomila
che ogni anno visitano quel
museo, non c’è dubbio che
molti vorranno poi vedere gli
originali. La copia vale in
quanto rimanda all’originale,
non per sé. I visitatori sono
stati, finora, diverse centinaia
di migliaia. Aveva, pertanto,
perfettamente ragione l’ottimo docente liceale quando
parlava di “eccezione culturale”, nel senso che la cultura è
l’unico bene dell’umanità che
se diviso fra tutti, piuttosto
che diminuire diventa più
grande.
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(35)
LAPILLI
Terni&Favole. A Largo Ferrandina a Chiaia
nella tabaccheria Postiglione il tempo scorre tra
gratta&vinci, chiacchiere e pronostici calcistici.
Mentre il cielo continua a fare le bizze e la crisi,
imperterrita, non molla la presa, al banco di Alberto
Postiglione c’è un via vai per tentare la fortuna.
«Secondo le previsioni, l’aroma della primavera
giungerà dopo la metà di marzo. Comunque,
consiglio il terno delle mimose che comprende i
seguenti numeri: 8 - 57 - 20. Da giocare con estrema
fiducia sulle ruote di Genova, Napoli e Roma
almeno per 12 estrazioni». Un ambo, invece, che
merita di essere inseguito per 6 estrazioni è l’ambo
del papà che fa 4 e 32. Da giocare sulla ruota
Nazionale e su quella di Napoli». Intanto, tra una
giocata e l’altra, il calcio tiene banco. Il battibecco
del giorno è tra un signore arciconvinto che con
Mazzarri il Napoli sarebbe stato già secondo in
campionato e un ragazzo dai capelli arruffati che,
invece, sostiene che Benitez l’anno prossimo
dimostrerà tutto il suo valore vincendo lo scudetto.
Mentre la querelle pallonara continua senza
esclusione di colpi, Postiglione lancia un altro treno
di numeri: «Consiglio, contro gufi e pessimisti, il
terno della rinascita che fa 81 - 44 - 77. Da giocare
rigorosamente sulle ruote di Napoli e Roma».
Formisano vince il «d’Alterio»
Armando Yari Siporso
Sono stati conferiti, lo
scorso 14 gennaio, presso il
Tennis Club Napoli, i riconoscimenti della prima
edizione del Premio Emilio d’Alterio - “A Chi” destinato alle eccellenze
napoletane che significativamente rappresentano,
con la propria attività, la
nostra città nel panorama
italiano e internazionale.
Il premio, realizzato da
Lello Esposito, è stato
consegnato dallo stesso
artista, allo stilista delle
cravatte “made in Naples”
Maurizio Marinella, all’artigiano dei presepi Marco
Ferrigno e al Direttore
marketing del Calcio Napoli Alessandro Formisano
(nella foto). La cerimonia è
stata allietata dalla musica
del maestro Pino Di Maio
che ha accompagnato, con
le note della propria chitarra, la voce dell’imprenditore Giovanni Cimmino, che
ha aperto la serata intonando la canzone di Fau-
sto Leali tanto cara a Emilio d’Alterio e da cui il
premio stesso, a lui dedicato, prende il nome.
Presenti in sala i familiari
di d’Alterio, che fortemente
hanno voluto istituire
questa manifestazione per
ricordare, ogni anno, nel
giorno del compleanno
dell’ingegnere, le sue passioni e la sua grande generosità. Tra questi, il consuocero Dino Alinei ed il
cognato Edoardo Vivard,
da sempre legati a lui da
affetto fraterno.
«È intenzione della famiglia perpetuare questa
tradizione nei prossimi
anni e far partecipare, ad
ogni nuova edizione del
Premio, una fondazione
napoletana che si impegni
concretamente sul nostro
territorio per aiutare coloro
che soffrono, nel rispetto
dei valori spesso oggi dimenticati, di cui nostro
padre era una bandiera
invisibile».
Così la figlia di Emilio,
Claudia d’Alterio, ha ricor-
dato la generosità del padre «tanto discreta da
essere scoperta solo dopo
la sua scomparsa» e ha
motivato la presenza alla
manifestazione della Fondazione “Carmine Gallo”
che si impegna da anni per
aiutare i bambini malati di
leucemia dell’ospedale
Pausilipon di Napoli.
«I cardini ineludibili di
famiglia, lavoro e amicizia,
su cui era fondata la vita di
mio padre – ha continuato
Claudia d’Alterio – sono il
fondamento di questo
premio che, grazie alla
professionalità e soprattutto al cuore dell'amico Gigi
Porcelli e dell'ingegnere
Giuseppe Montanino, ha
assunto ed assumerà sempre maggiore spessore».
Malvarosa lancia la «bibbia» della vera pizza
Nel 1984 un Disciplinare Internazionale sanciva gli ingredienti da usare
e le regole da seguire per preparare, in
tutto il mondo, la vera pizza napoletana. Era quello l’atto di nascita dell’Associazione verace pizza napoletana costituitasi, per volere di pizzaioli partenopei, al fine di salvaguardare la ricetta autentica e quelle pizzerie che offrono un prodotto genuino, figlio di un
dialogo ininterrotto con la tradizione.
Arrivata al suo trentennale, l’Associazione lo celebra con un volume «Farina, acqua, lievito, sale, passione» (Malvarosa edizioni). Il titolo in copertina,
cui fa da corollario la foto della mano
audace di un pizzaiolo, elenca quei cinque imprescindibili ingredienti che
fanno nascere da un impasto, modellato con decisione e maestria, l’originale pizza napoletana. Un intero capitolo, il primo, è riservato proprio agli
ingredienti basilari ed ai condimenti
più universali (olio, pomodoro e mozzarella). Elementi certamente semplici,
ma che si è obbligati a scegliere con cura e attenzione se non si vuole compromettere il risultato finale. Sono presenti anche utili consigli per l’impasto,
come in ogni prontuario culinario che
(36)
si rispetti, perché «Farina, acqua, lievito, sale, passione», in effetti, è un ricettario dedicato interamente alla pizza e
alle sue molteplici declinazioni. Grandi classici, rosse, bianche e verdi sono
le basi da cui si parte per un numero
crescente e stimolante di ricette, che
possono soddisfare perfino i palati più
esigenti. In questo modo, accanto all’intramontabile margherita, s’impara
anche come preparare una più inedita
pizza zucca e porcini o ancora una mar-
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
gherita alla cocca, in cui l’uovo primeggia sulla ricetta tradizionale. Il libro
si arricchisce, poi, d’intermezzi che raccontano interessanti curiosità sulla storia di una pietanza così fortemente
amata. Si scopre, ad esempio, la pratica del recupero dei cornicioni o, ancora, la lingua in codice, la parlesia, utilizzata dai camerieri per non farsi capire dai clienti. Grandi foto corredano
l’intero lavoro mostrando non solo immagini esplicative per ogni ricetta, ma
anche scorci di Napoli e della napoletanità. Il volume cerca, pertanto, di narrare e diffondere, quelle «emozioni gastronomiche», delle quali parla Carlo
Petrini, presidente di Slow Food Internazionale, nell’introduzione, ben conosciute da tutti gli amanti di questo
emblema della cucina napoletana. Un
culto, quello della pizza, che, ormai, ha
ferventi e appassionati estimatori in
tutto il mondo.
SARA GIUSEPPINA D’AMBROSIO
LAPILLI
Dance Studio
A Chiaia
si danza
A VIA CAPPELLA VECCHIA 8/A
SUCCESSO DELLA SCUOLA DI
BALLO DI RAFFAELE ESPOSITO,
CHE SI ISPIRA AL FILM DI GERE
Secondo uno studio di
un gruppo di neurologi
americani, il ballo stimola il
cervello e, soprattutto, è un
efficace e divertente antidepressivo. Non è un caso
che in televisione siano
aumentati i programmi
dedicati alla danza come
«Ballando sotto le stelle» o
come i vari format di talent
show che, riempendo i
palinsesti, sono riusciti a
conquistare un pubblico
non solo di giovani. Insomma il ballo aiuta a vivere
meglio. A Napoli, città
sempre aperta alle sperimentazioni e alle nuove
tendenze, la passione per la
danza (per tutte le danze)
negli ultimi tempi sembra
essersi diffusa maggiormente. Nel cuore di Chiaia,
precisamente a via Cappella Vecchia 8/a, grazie all’intraprendenza di Raffaele
Esposito è nata l’esperienza
di Dance Studio, scuola di
ballo, anzi di balli. Infatti, il
nuovo spazio «danzante» è
stato preso d’assalto da
uomini e donne che alla
monotonia della palestra
hanno preferito l’imprevedibilità e il brivido del ballo.
Raffaele Esposito nel dar
vita a Dance Studio si è
ispirato al film con Richard
Gere e Jennifer Lopez «Shall
we dance»: nella sua scuola
di ballo, infatti, viene utilizzato lo stesso metodo
d’insegnamento descritto
nel lungometraggio. E
stando ai risultati, il metodo americano funziona.
Ovviamente chi decide di
intraprendere l’esperienza
di Dance Studio non solo
impara a danzare ma può
anche scegliere in quali
balli specializzarsi. (Per
info: latinsocialclub.net
tel. 081.19575855)
ANTONIO BIANCOSPINO
L’ORA LEGALE
Adelaide Caravaglios
IN CARCERE NIENTE ABITI
LUSSUOSI E ALLA MODA
Chi lo avrebbe mai detto che uno dei
problemi della vita carceraria sarebbe
addirittura il vestiario? Intendiamoci: non
quello “corrisposto dall’Amministrazione”,
ma quello personale. Eh sì! Perché secondo i
giudici della I Sezione penale della
Cassazione (sentenza n. 42605/2013)
“l’adozione, da parte di alcuni detenuti, di
un vestiario particolarmente pregiato ed
anche francamente lussuoso, adatto ad
alcuni ambienti e scenari, sicuramente
darebbe origine a contrasti e gravi
disarmonie nella popolazione carceraria” e
risulterebbe “d’intralcio (si pensi solo alla
necessità di plurimi cambi d’abito nella
stessa giornata) nella scansione esplicativa
delle normali attività intramurarie”. Detto
altrimenti, il vestire capi d’abbigliamento
lussuosi e griffati andrebbe ad alterare –
spiegano, all’uopo, gli ermellini – “la
tendenziale par condicio che deve
presiedere alla condizione carceraria […]” e
“finirebbe per riproporre ed esaltare in
ambito carcerario posizioni di predominio”.
E questo perché “il vestiario che solo un
boss può permettersi, che lo ha
contraddistinto in libertà e che un mero
affiliato non si sarebbe mai ardito di
indossare (per rispettare le ineludibili
gerarchie interne), costituirebbe motivo di
distinzioni, vassallaggi, ossequi o invidie”
piuttosto pericolosi per l’ordine e la
sicurezza interne.
Niente abiti alla moda, dunque, per quel
detenuto, sottoposto al regime del 41 bis
ord. pen., che aveva chiesto ed ottenuto, dal
magistrato di sorveglianza, la
disapplicazione della circolare ministeriale
relativa al divieto imposto di ricevere e
detenere capi di abbigliamento ed accessori
particolarmente costosi e di tipo lussuoso.
Montedidio
la creatività
è tratta
INTERNO A 14, IL NUOVO
SPAZIO ASSOCIATIVO
DEDICATO ALLA CULTURA
E AI GIOVANI TALENTI
PIADINAILÒ, L’ARTE DEL GUSTO
A VIA ALABARDIERI
La magia di una piadina si può provare in zona baretti
nell’accogliente e sorprendente PiadinAilò, in via
Alabardieri 26 (tel. 081 414676). Location total white,
quadri d’arte contemporanea alle pareti, servizio ai tavoli
ultrarapido, ma soprattutto una lista infinita di piadine, le
migliori, anche secondo i giudizi della rete, che si
possano mangiare a Napoli. Il miracolo del gusto di
PiadinAilò lo si deve a Ernesto e Maria, imprenditori
speciali che hanno creato questa realtà vincente a Napoli
e in Emilia Romagna. Oggi a continuare l’arte della
piadina ci sono i figli Pasquale e Carmen, sempre
sorridenti e pronti a tutte le esigenze del cliente. Tra le
piadine «super» consigliamo quella salmone e rucola o
quella sublime con speck tirolese e squacquerone. Per chi
non è a dieta da provare la piadina pancetta e provola.
L’arte trova casa. Si
chiama “Interno A 14”,
ed è una vera e propria
fucina di talenti artistici.
In uno dei luoghi simbolo della città di Napoli
e della sua storia, Palazzo Serra di Cassano (via
Monte di Dio, 14), nasce
uno spazio associativo,
un centro culturale
indipendente, sul modello di quelli francesi.
“Interno A 14” è gestito
dall’omonima associazione culturale presieduta da Vincenza Donzelli, che è anche responsabile amministrativo e del settore arti
visive. Insieme a Barbara Rubolino, vicediretto-
re e responsabile del
settore moda, e ai consiglieri Francesco Donzelli, Liliana Pellegrino,
responsabile del settore
editoria e letteratura,
punta a rendere “Interno A 14” un centro
permamente dell’offerta
culturale cittadina.
Duecento metri quadri
del Palazzo Serra di
Cassano, rimessi a nuovo e oggi a disposizione
della comunità di artisti
e operatori culturali
della città. Gli artisti
locali alla ricerca di
spazi in cui lasciare a
briglia sciolta la propria
creatività, possono così
esprimere il proprio
talento in un luogo
polivalente e aperto alla
contaminazione tra le
arti e le esperienze.
“Interno A 14” si propone non solo come pazio
espositivo e performativo per iniziative legate
all’arte contemporanea,
alla fotografia, alla moda, al design, alla letteratura, all’enogastronomia, al teatro, al cinema,
ma anche come centro
di produzione di contenuti culturali, con organizzazione di corsi di
formazione in ambito
artistico. (Per info:
www.internoa14.it, tel.
08118892847).
IGNAZIO SORIANO
CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
(37)
IUPPITER i libri del mese
DIVERSI AMORI
Viaggio illustrato contro l’omofobia
HO SCRITTO IL MIO NOME NEL SANGUE
La vita e il genio di Caravaggio
Autore: E. Silvestrini - B. Balbi
Costo: 14 euro
Pagine: 70
Autore: Mariano Marmo
Costo: 12 euro
Pagine: 124
Mettere a punto la propria identità, nel periodo adolescenziale, è esercizio difficile e spesso doloroso, perché risente dell’approvazione degli altri. E la sessualità è uno dei cardini per il riconoscimento di sé. Quando l’adolescente
scopre di avere un orientamento sessuale diverso dal consueto, può sentirsi
emarginato, aver paura di essere rifiutato dalla società e spesso anche dalla
famiglia. Un libro illustrato contro l’omofobia e per la parità dei sentimenti.
Da Roma a Napoli, poi a Malta e in Sicilia, tra taverne, liti, chiese, prostitute, prelati, cavalieri dell’Ordine di Malta, l’autore racconta la vita di Michelangelo Merisi detto “Caravaggio”. Una vita che appare come un turbinio di eventi, in cui creazione artistica, morte, senso di colpa e voglia di
riposo si sovrappongono, avvolgendo la storia dell’uomo in un’inestricabile ombra, la stessa che ha reso immortale le sue tele.
LA GUERRA DEI SESSI
Dalla promiscuità al sesso virtuale
LIBRERIA BELLA ESTATE
Inno alla giovinezza
Autore: Gloria Persico
Costo: 12 euro
Pagine: 122
Autore: Sergio Califano
Costo: 10 euro
Pagine: 123
Indagine sull’origine della sessualità e sulla sua evoluzione, dal periodo promiscuo dei nostri antenati, al cybersex nei nostri giorni. Dalla sessualità finalizzata alla procreazione alla prospettiva di una procreazione senza sessualità. Analisi ragionata di una mutazione antropologica che sta alterando un ordine sociale che sembrava immutabile. Nella lotta tra maschi e femmine è l’amore la struttura emotiva ed intellettuale che investe il sesso dei
significati, infinitamente espandibili, che lo rendono imprevedibile.
Esplorazione di sé e del mondo che il protagonista attraversa in uno spazio tempo circolare, tra nostalgia e bellezza, spalancando memorie e costruendo realtà. Coincidenze, appuntamenti dati o mancati, vite diverse che
si sfiorano, si perdono o si ritrovano, all’incrocio delle sottili trame della sorte, invisibile e onnipotente. Uno stile avvolgente, sostanziato da una prosa intensamente limpida, conduce il lettore nell’universo dei possibili.
Dentro la vita stessa, attraverso un inno alla giovinezza più selvaggia.
LA CASA DI ASSOS
Una storia d’amore
IL GIARDINO DEI SILENZIOSI
Organi nelle chiese napoletane
Autore: Gerardo Russo Krauss
Costo: 10 euro
Pagine: 76
Autore: Mauro Castaldo
Costo: 10 euro
Pagine: 68
Nel mezzo del golfo di Cefalonia si erge una casa gialla con le persiane azzurre. La casa è stata per generazioni il perno della vita della famiglia Christacopoulos. Quando Kristina rimane sola, allora, la solidità di quelle mura rappresenta l'unica certezza fino all'arrivo di Kate. In un attimo, però,
anche l'ultimo baluardo sembra sgretolarsi come un castello di sabbia. La
casa di Assos si trasforma in un uragano inarrestabile di passioni.
Inchiesta tra storia e provocazione sugli organi nelle chiese napoletane,
strumenti nobilissimi che rinnovano l’antica arte della composizione musicale. Monsignor Vincenzo De Gregorio, organista titolare e maestro di
Cappella del Duomo di Napoli così scrive nella prefazione: «È un percorso
affascinante, quello dell’Autore, che ci fa desiderare di riavere più suono,
quello dell’organo, ad accompagnare i momenti tersi o oscuri della vita».
I LIBRI IUPPITER EDIZIONI POSSONO ESSERE ACQUISTATI NELLE MIGLIORI LIBRERIE TRA CUI:
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Feltrinelli (Via S. Caterina a Chiaia 23 - Napoli)
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EXIT
Diamo i numeri
Prezzi in calo
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0,2
la percentuale di
calo dei prezzi a
Napoli a febbraio,
rispetto al mese
precedente.
Diminuzioni per
comunicazioni (-0,8),
prodotti alimentari (0,6) e trasporti (-0,5)
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Terra dei fuochi
6
mila circa i roghi
tossici registrati tra il
2012 e il 2013,
secondo un dossier di
Legambiente.
Nessuna bonifica per
il 74% dei siti
inquinati sul litolare
domitio flegreo
Pompei
2
IL RITARDO
$SCUSATE
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i milioni di euro
sbloccati dal
Ministero dei beni
culturali e del
turismo da destinare
alla manutenzione
ordinaria di Pompei,
dopo gli ultimi
crolli nel sito
370
i costumi di Carnevale
sequestrati dalla
Polizia municipale
perché privi del
marchio Cee, delle
avvertenze e dell'età
d'uso, prescrizioni
tassative del
Ministero della Salute
Frode
3
i pastifici di
Gragnano
denunciati per frode
in commercio.
Vendevano pasta
non prodotta da
loro, ma comprata
da altre aziende, al
di fuori della città
la BACHECA
Carnevale
A CHIAIA MAGAZINE
$ ABBONATI
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CHIAIA MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2014
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