Cenni storici sul Castello Longombardo

IL CASTELLO LONGOBARDO
DI MONTORO
CENNI SUL SITO
Il
castello
è
situato a 320 mt.
s.l.m.
sulla
Chiesa di
S.Matteo
collina
che
Torre colombaia
sovrasta il casale
Borgo
di
Montoro.
È
perfettamente
visibile da chi
percorre
la
superstrada SAAV in direzione
Avellino. In linea
d'aria -per antichi motivi strategici- il castello di Montoro è in asse, sia
visivo che altimetrico, con il castello di Mercato San Severino.
Quest’ultimo è posto sulla collina del Palco e si sviluppa per 10 ettari che
vanno dai 365 mt. del “Palatium” ai 250 mt. sul livello del mare della
“torre aragonese” di forma rotonda. Mentre la fortificazione di Mercato
San Severino è leggibile nel perimetro murario e può essere raggiunta
attraverso sentieri sterrati e pedonali abbastanza curati, il castello di
Montoro pur usufruendo di una carrozzabile che termina presso il vicino
Santuario di San Pantaleone non è altrettanto godibile (e visitabile) nel suo
recinto fortificato. Il frequentato Santuario e l’attiguo castello sono
raggiungibili anche dal villaggio di Borgo tramite un agevole sentiero
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pedonale a gradoni adattato a suggestiva Via Crucis. La lettura storica del
sistema fortezze della zona peggiora considerando un solitario bastione
(l'unico rimasto) del castello di Solofra che, a sua volta, a guardia del
passo del Montepergola era in contatto tramite segnali con i castelli di
Montoro e Ferrari (quest'ultimo ben tenuto e di facile accesso). Lo spurio
torrione di Solofra appare squallido dalla superstrada come ultima
sentinella di un castello sgretolatosi negli ultimi tempi in quanto finanche
incastrato in una cava attualmente in disuso. Il castello di San Severino era
in comunicazione con quello di Nocera in una lunga linea difensiva su cui
è ricalcato il tracciato ferroviario Tirreno - Adriatico via Cancello,
attraverso l’Irpinia e la Lucania. Il castello di Montoro è servito dalla
stessa ferrovia in quanto una lunga galleria ne attraversa la collina su cui è
posto. Il sito, rispettando lo sfondo delle selve, potrebbe essere attrattivo
con l’opportuna integrazione tra le diverse viabilità. Comunque il sistema
difensivo di circa 200 castelli che costellano il territorio da Molfetta a
Caserta, secondo l'imperatore Federico II di Svevia avrebbe dovuto
difendere il suo reame di Napoli e Sicilia dalle invasioni, ma così non fu.
Pertanto al viaggiatore che discenda la superstrada SA-AV da Fisciano
verso Montoro, o che comunque -per diletto, turismo o studio- segua la
linea dei castelli federiciani, basterà un distratto sguardo per valutare lo
stato di conservazione dei manieri che vanno dal rudere al ripristino
secondo criteri non oggettivi (ovviamente dal punto di vista storico e
paesaggistico).
NOTIZIE E CONSIDERAZIONI STORICHE
I Longobardi di origine germanica nel VI secolo d. C. invasero l’Italia. Il
loro regno ebbe capitale Pavia e l’attuale Regione Lombardia ne ricalca i
confini. Sconfitti dai Franchi di Carlo Magno, nel 774 ripiegarono sui loro
domini più meridionali ossia i Ducati di Spoleto e Benevento. Quindi si
parla di “Longobardia Maior” e “Longobardia Minor”. Il Ducato di
Benevento andava dal Centro Italia fino a parte della Calabria e in Irpinia
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vi sono innumerevoli testimonianze della loro presenza: S. Angelo,
Guardia, Torella dei Lombardi e –per contro- Castelfranci ricorda gli
antichi conflitti. Nel territorio montorese sono frequenti i cognomi:
Lombardi, Longobardi, Barbato, Barbarisi, Sica, Castaldo e luoghi legati
alle riunioni: Sala di Torchiati e di San Felice. Inoltre i Longobardi
introdussero le torri fortificate di struttura quadrata che, con l’avvento
della polvere da sparo, furono sostituite con quelle rotonde come
“l’Aragonese” di Mercato San Severino. Il tipo di torre quadrata diede
luogo ai campanili infatti in località Sant’Eustacchio, ai piedi della collina
di San Pantaleone ove sorge il castello di Montoro, si può osservare la
torre campanaria annessa alla Chiesa Madre simile alla torre colombaia del
castello. Quest’ultima in buone condizioni poteva forse ospitare piccioni
viaggiatori a scopo militare. È rimasta abbastanza intatta come altri storici
edifici montoresi perché utilizzata per impieghi rurali, mentre le pietre del
castello e dell’antico acquedotto Claudio quando i feudatari
abbandonarono il castello perché non più difendibile sono state impiegate
in altri usi. Il castello Longobardo è raggiungibile dallo stesso casale di
Sant’Eustacchio di Montoro attraverso sentieri selvosi che penetrano nelle
cinte murarie ed esiste un sistema di grotte utili probabilmente al
fabbisogno d’acqua della fortezza. In una infatti, denominata “Grotta di
Nella”, si sente uno scroscio d’acqua. A Montoro è credenza popolare che
tale acqua s’inabissi in un corso sotterraneo e abbia comunicazione con la
sorgente del fiume Sarno. “Nella” – diminutivo di “Giovannella”- fu, nelle
leggende locali una donna caduta nella grotta e poi salvata dal marito nei
pressi del fiume. Poiché il mito non è mai una falsificazione della realtà
ma piuttosto un richiamo ad un mondo arcaico, non si dovrebbe mai
ridurre tutto a leggenda ma piuttosto interpretare vecchie verità per non
tralasciare una parte di cultura montorese e di storia complessiva del
territorio. Non si possono escludere, oltre questo, altri collegamenti
sotterranei. Nell’846 il Ducato di Benevento si divise nei due Principati di
Salerno e di Benevento. Quindi la Strada dei Due Principati va dal
lungomare di Salerno, dove la città ha attribuito lo stadio al principe
longobardo Arechi, all’arco di Traiano di Benevento. Il confine tra i due
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Principati passava tra Forino e Montoro e la zona montorese ricadeva sotto
il Castaldato di Rota (da rotaticum: pedaggio imposto per il transito di
merci e persone) e, dalla dominazione normanna fino all’Unità d’Italia nel
1860, fu sottoposta alla pertinenza del Principato Citra. Quindi i castelli
fin qui menzionati compreso quello di Forino sono coevi ed erano fortezze
a guardia del territorio con caratteristiche simili. Il castello di Montoro ha
una peculiarità specifica di particolare interesse storico. Lo attesta il
ritrovamento di monete romane di bronzo, oltre un quintale, rinvenute nel
1864 nella pertinenza del castello in località “Retomuro”. Si stava
costruendo la strada ferrata che da Piano di Montoro conduce ad Avellino
e vennero alla luce anche vetusti sepolcri in tufo con scheletri ed armi
romane. Per la refertazione si può consultare il n° 6 del “Mattino” di
Napoli del 7 gennaio 1934. Per il conio, le monete vanno ritenute
appartenenti alla cassa di una Legione romana che, dopo la sconfitta ad
opera dei Sanniti a Caudium nel corso della II Guerra Sannitica, ripiegò,
valicato il “tappo – serus” di Serino, su Montoro. Secondo alcuni storici il
toponimo “Montoro” deriverebbe appunto da Mons (monte) e Torus
(rialzo) ossia un monte (o una collina) da cui si poteva osservare e
sorvegliare. Un rione del villaggio Banzano prende il nome di Tuori o –ab
antiquo- Tuoro. Ad Avellino esiste Tuoro Cappuccini; a Solofra Toro
Soprano e Sottano; il rialzo dell’agro nocerino si definisce San Valentino
Torio e così via. Tuttavia cosa dovevano osservare i legionari? Sarebbero
tornati a Roma solo dopo tre anni dalla disfatta sottoponendosi,
ulteriormente, all’umiliazione delle Forche Caudine. Certamente
attraversando il passo tra il Taburno e il Partenio non avrebbero potuto
portare seco le casse di danaro che sarebbero state requisite dai Sanniti.
Ecco allora la necessità di seppellirle in un luogo “rialzato” ma osservabile
per poi recuperarla in seguito, a meno che non fossero sorte delle
complicazioni. Visto che ce ne furono e che i Longobardi costruivano
secondo i criteri romani e che forse nel luogo del castello c’era un
precedente manufatto romano abitativo, qualsiasi recupero restaurativo
dovrebbe tener conto di queste argomentazioni e delle giuste disposizioni,
e sovrapposizioni, dei locali. Montoro fino al 884 d.C. non è nominata in
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documenti, ciò non vuol dire che non esistesse come località, solo che non
aveva una sua individualità politica, venendo definita “Locum in finibus
rotensis” ossia ricadente giuridicamente nel tenimento del Castaldato dei
Rota del Principato di Salerno. Montoro, secondo alcuni studiosi, divenne
feudo a se stante solo nel 1269. Secondo altri studiosi però Montoro già
nel 987 costituiva Castaldato a sé e ne furono conti: Malefrit (987),
Landone (1012), Polfrido (1032), Maione (1053). In ogni caso fu una terra
collegata al territorio rotense. I Longobardi erano stanziati fino al II secolo
d. C. presso il fiume Elba in Germania per poi lentamente scendere verso
l’Italia. Viaggiarono sempre per vie terrestri e una volta stabilitisi in Italia
vissero sempre da guerrieri asserragliati nelle loro fortezze, poco inclini a
mescolarsi con le popolazioni locali. Veneravano santi guerrieri e così a
Montoro sono presenti i culti di San Michele, San Leucio, Sant’Eustacchio
che si sovrapposero ai Santi barbuti (con la barba) di origine bizantina: San
Pietro, San Cipriano e San Bartolomeo. I Normanni erano guerrieri
massicci e crudeli, gente di mare e quando si spostarono dalla penisola
Scandinava subito conquistarono il Ducato di Normandia in Francia e il
regno d’Inghilterra. Una loro nave che si recava in Terrasanta naufragò
sulla spiaggia di Santa Teresa a Salerno e i quaranta (Quaranta è un
cognome salernitano) guerrieri superstiti furono assoldati come mercenari
dai Longobardi. I loro primi insediamenti furono ad Aversa e Capua. I
signori de’ Capua furono –in seguito- principi della Riccia, gran conti di
Altavilla Irpina e conti di Montoro. Proprio loro a partire dal XVI secolo
spostarono la dimora del feudo di Montoro dal castello al “palatium” o
nella vulgata popolare: il “palazzotto”, sito su un’antica villa rustica
romana del I secolo d. C. in località Figlioli. Il saccheggio della villa ad
opera dei de Capua servì ad abbellire la loro dimora napoletana l’attuale
palazzo Marigliano al Decumano Inferiore. Sui resti del palazzotto in
Piano fu edificata la villa dei de Felice, loro erariali, con attuale altro
proprietario, mentre la villa rustica versa in condizioni miserevoli. Gisulfo
II (1030-1090) fu l’ultimo principe Longobardo di Salerno e secondo
alcuni storici soggiornò nel castello di Montoro per poi essere rinchiuso
prima nel castello di Avellino e poi in quello di Sarno. Sua sorella la
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principessa Sichelgaita, ultima dei Longobardi di Salerno, fu moglie di
Roberto il Guiscardo (l’astuto) della famiglia normanna degli Hauteville
(Altavilla) il quale subentrò con la sua stirpe nel governo del Principato. È
di grande interessante storico il collegamento genealogico tra le dinastie
regnanti in Francia ed Inghilterra con le famiglie feudatarie dei territori
salernitano, rotense e montorese. Un parente di Roberto di nome Angerio,
tra i suoi figli (Filii Angerii: Filangieri) aveva Turgisio che, valoroso
compagno (comites / conte) d’armi del Guiscardo, fu il primo conte
normanno di Rota. Gloriandosi di possedere le reliquie di un santo Abate
del Norico, dette al suo casato il nome San Severino. Morì nel novembre
del 1081 e fu capostipite della potentissima famiglia dei principi
Sanseverino. Egli dal Guiscardo fu investito di tutti i possedimenti con i
relativi castelli che andavano da Serino a Sarno. Turgisio proveniva dalla
città di Troyes in Francia e il suo nome nella vulgata popolare passò come
Troisi cognome di origine normanno molto diffuso nelle vallate dell’alto
Sarno.
IL CASTELLO DI MONTORO:
RETROSCENA DELLA STORIA
LA
MEMORIA
DI
UN
Nel 1999 Il Sindaco di Montoro Inferiore dott. Mario Bianchino, attuale
Primo Cittadino di Montoro, già si era speso per il ripristino del castello e,
nell’ambito di questa ed altre iniziative culturali, invitò la scrittrice Angela
Picca presso la locale biblioteca per la presentazione del libro: “Syfridina –
contessa di Caserta (1200?-1279)- La studiosa, nel suo dramma,
ricostruisce l’antefatto del retroscena di un periodo tra i più importanti
della storia d’Italia: quello del tramonto della casa normanno-sveva. Nel
1250 muore l’imperatore Federico II –stupor mundi- (lo stupore del
mondo), figlio di Enrico IV di Svevia e dell’ultima dei normanni Costanza
d’Altavilla. Gli subentra il figlio prediletto benché illegittimo Manfredi.
Costui viene scomunicato da papa Clemente IV che chiama Carlo d’Angiò
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dalla Francia per eliminare la dinastia sveva. Manfredi “biondo, bello e di
gentile aspetto …”, come lo descrive Dante nel III canto del Purgatorio,
appronta le difese in vista dello scontro e affida il ponte di Ceprano a
Riccardo Sanseverino, conte di Caserta e figlio di Syfridina. Il principe
Riccardo è cognato di re Manfredi in quanto ne ha sposato la sorellastra
Violante. Riccardo non combatte, consegna il ponte a Carlo d’Angiò che
in tal modo può aggirare, sconfiggere e uccidere Manfredi a Benevento nel
1266. Riccardo Sanseverino imbeve un fazzoletto nel sangue del cognato
e, a cavallo, percorre –furioso- tutto il campo di battaglia. Non solo, da
allora lo stemma della famiglia Sanseverino sarà una banda rossa in campo
bianco e re Carlo confermerà a Riccardo tutti i suoi titoli e feudi. La città
di Mercato San Severino nel suo stemma non ha ritenuto riferirsi alla
famiglia di riferimento ed ha assunto una fascia bianca in campo azzurro
con sovrastante il Santo. Nondimeno Syfridina è custode del segreto del
figlio e trepidante non può far nulla per contrastare gli eventi che
condizioneranno i ghibellini, tuttavia presagisce il futuro dell’Italia e del
Mezzogiorno Manfredi, secondo i cronisti del tempo, durante un’assenza
del cognato Riccardo avrebbe abusato della di lui moglie Violante, nonché
sua sorellastra, in quanto figlia naturale di Federico. Violante dopo lo
stupro rimane demente e Riccardo –appreso il misfatto- si vendica di
Manfredi. La violenza subita da Violante sembra sia avvenuta durante un
temporale nel corso di una battuta di caccia, nel castello di Montoro. Una
località tra i casali montoresi di Preturo e Borgo ancora si chiama campo
Manfredi.
DATI CARATTERISTICI
L’impianto del castello di Montoro è articolato in tre cinte murarie. La
prima delimita il mastio (o maschio) ed è la stessa struttura del castello, la
seconda: racchiude la sommità della collina e la terza ne discende le
pendici. Il castello sorge nel punto più alto della collina su un banco di
roccia, mostra un perimetro rettangolare con cortile centrale quadrato e
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torri angolari quadrate. Si accede al cortile tramite una porta posta a NordEst che presenta, tuttora riconoscibili, i principali sistemi di difesa come
feritoie laterali nella parte bassa e caditoie nelle parte alta delle pareti
laterali. La porta d’ingresso presenta due sbarramenti, a filo della volta vi
è una piombatoia circolare, mentre a filo del cortile forse una saracinesca.
Dunque si ricava che l’ingresso era provvisto di difesa sia radente che
piombante. Le porte laterali dell’ingresso non funzionano da difesa e
dall’analisi
muraria
risultano
aggiunte
quando
il
castello
acquista
funzioni
cisterna
residenziali.
cisterna
Dall’ingresso si accede
alla corte o cortile
pressoché quadrato di
13,40 x 13,90. Il
perimetro
è
caratterizzato da otto
grossi archi: quattro
aperti e quattro chiusi.
Dal cortile si accedeva
ai
corridoi
di
distribuzione e i muri
perimetrali di questo
spazio
erano
caratterizzati
da
elementi architettonici
e decorativi in tufo
grigio peculiare del
montorese; tracce di
essi permangono in
pochi frammenti seppure significativi come il notevole capitello di una
lesena scolpito con motivi floreali. La corte dunque non era solamente una
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piazza d’armi ma gli ornati lasciano intravedere un uso, per così dire,
mondano. Gli ambienti del lato Ovest sono crollati e si distinguono i livelli
sotterranei adibiti a cisterne. I locali del lato Est corrispondono alla parte
residenziale del castello e sono quelli in migliore stato di conservazione.
Al primo livello si nota un doppio ambiente con un grande arco centrale,
probabilmente si tratta di cucine e servizi. A questo livello si accede da
due porte: una a sinistra del cortile, l’altra posto sotto la scala ubicata
nell’angolo Sud-Est del mastio. La scala conduce al livello superiore dove
è ubicata una grande sala rettangolare di circa 10x15 metri, da questa si
accede in una sala più piccola, nell’angolo Nord-Est, in cui è presente in
quest’ultima un grosso camino. Due torri quadrate angolari di 6x7 mt. si
localizzano nel lato orientale, mentre su quello occidentale rimangono
poche strutture. Sul versante a mezzogiorno permangono i muri perimetrali
del mastio e sono conservati in due livelli, qui persistono parti delle
coperture a crociera, le finestre e le feritoie per la difesa. È da sottolineare
che nel castello di Ferrari si producevano le punte in ferro per le frecce da
balestra che poi ricevevano l’impennatura dall’ormai scomparso quanto
rinomato grifone irpino (avvoltoio), il paese di Quadrelle in provincia di
Avellino prende il nome dalle quattro piume che fungevano da timone al
dardo che, solo tramite balestra, poteva essere lanciata da feritoie come
quelle del castello di Montoro. Questa lavorazione tipica delle nostre terre
era conosciuta e apprezzata in tutta Europa. Nell’angolo Sud-Ovest è
ubicata una caratteristica torre pentagonale esternamente e circolare
all’interno. È servita da scala propria e si comprende che si tratta di un
corpo aggiunto successivamente all’impianto rettangolare del mastio. Altre
strutture direttamente collegate al castello sono due muri che partono da
una bassa torre circolare dal diametro di circa 3 metri; essa presenta
feritoie per la difesa radente, ancora posizionata a Sud-Ovest e ancora
testimonianza di un’aggiunta successiva di epoca aragonese quando già si
apprestavano le armi da fuoco. La seconda cinta muraria racchiude tutta la
parte pianeggiante della collina di San Pantaleone; è costruita in materiale
calcareo locale e si può ancora ammirare lungo la moderna strada che
conduce al Santuario. La struttura muraria non supera l’altezza di 4 mt. La
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terza cinta muraria nel lato Nord si unisce con la seconda, edificata
anch’essa con materiali locali e in molti tratti si conserva ancora ad
un’altezza variabile tra i 4 e i 5 mt. Anche questa cerchia è caratterizzata
nell’angolo a Nord-Est da un bastione pentagonale e da uno quadrato
secondo uno schema presente nel castello di Nocera. In quest’ultima
recinzione muraria sono poco riconoscibili altre strutture, essa comunque
continua verso Ovest fino ad inglobare il Santuario di San Pantaleone
assieme ad altri antichi manufatti sulle estreme propaggini della collina.
Sul lato Sud, al centro del secondo e terzo circuito murario si eleva un
fabbricato di circa 6x12 mt. con parete absidata sul lato orientale e finestre
strombate rivolte a Sud. Questa struttura testimonia la presenza nel circuito
fortificato di una grande chiesa, da identificare con quella di San Matteo
così come è attestato da un documento del 1190.
RILIEVI STORICI
È da rilevare come il terreno circostante tutto l’impianto del castello ha
una coloritura gialla (una contrada montorese si chiama Flavita ossia:
flavus /giallo); il fenomeno è dovuto a dei luccicanti granelli metallici
depositati in strati bituminosi. Non si può escludere che l’intera collina
fosse di natura eruttiva e che il colore molto più marcato di oggi abbia dato
fondamento anche ad altre ipotesi del toponimo Montoro: tipo Mons
Aureus o Monte d’oro. Comunque le caratteristiche recinzioni murarie e le
strutture ancora oggi affascinano per tale origine geologica. Dall’analisi
dei ruderi non si può ritenere il castello di Montoro di grande mole,
piuttosto una rocca comunque fortificata da ben tre recinzioni murarie; in
Montoro è frequente il cognome Della Rocca. Naturalmente è di grande
interesse storico-paesaggistico perché quasi inurbato nel contesto
territoriale montorese e con alcune curiosità storiche non ancora del tutto
chiarite. Esiste tra Borgo e Preturo una località detta Episcopio, tale fatto
assieme ad altre argomentazioni, fa ritenere ad alcuni storici che Montoro
fosse Sede Vescovile. L’Episcopus però nell’Alto Medioevo poteva essere
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un ufficiale o un ispettore ecclesiastico, ossia un canonico non a capo di
una Diocesi. Già all’origine del castello esisteva la chiesa di San Nicola
extra-muros (al di fuori del mastio), successivamente fu elevata, maestosa
e tuttora identificabile, la già citata chiesa di San Matteo (di chiara
devozione salernitana). Inoltre codici e antichi regesti affermano
l’esistenza di un intero casale detto Castello che, in seguito, assieme agli
scomparsi casali quali Pesculi e Fontana Vetere, finì per confluire nel
casale di Banzano. Nell’Alto Medioevo la zona al vertice della collina
risulta dunque densamente abitata, mentre ai piedi della collina si forma un
semplice suburbio (o sobborgo) di poche abitazioni, le quali avrebbero
dato vita al casale di Borgo. Il castello fortificato, la grande chiesa di San
Matteo e i casali circostanti lasciano pensare che ivi risiedesse, per quanto
riguarda Montoro, sia l’autorità religiosa che civile, la quale –in
quell’epoca- coincidevano nella stessa persona. I Normanni (nord-men /
uomini del nord) vedevano gli animali delle loro terre (lupi, alci)
accoppiarsi secondo la prevalenza del maschio dominante. Non è difficile
immaginare che tali vigorosi guerrieri, conquistando una terra di meschini
agricoltori di origine bizantina, quando i Longobardi non ne avevano
troppo mescolato il sangue, li riducessero a servi della Gleba, cioè li
asservissero alla terra e praticassero lo “Jus primae noctis” (Il diritto della
prima notte). La loro intenzione era, per così dire, genetica, ossia profanare
la sposa prima del legittimo consorte allo scopo di costituire una riserva di
guerrieri e tale intento era tollerato dalla Chiesa. Si ricorda che nel XII
secolo il feudo di Montoro fornì guerrieri (o scudieri) autoctoni alla
spedizione di Guglielmo Sanseverino in Terrasanta. Nel secolo XI, una
storia montorese, che forse l’indagine storica dovrebbe approfondire per
definirne i limiti della leggenda, narra di un normanno vescovo-conte
malvagio di nome Cennamo, il quale oltre a varie atrocità praticava
abitualmente lo Jus primae noctis. Si racconta anche che il cattivo fosse
duramente punito dai componenti della famiglia Ragno di Borgo offesi in
quanto la fanciulla Syfridina (stesso nome della contessa di Caserta) loro
consanguinea era stata rapita e condotta al castello dagli armigeri del
vescovo-conte. Mentre il feudatario celebrava messa in San Matteo con
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indosso i paramenti sacri fu introdotto in una botte chiodata che,
precipitando lungo il botro della collina, si schiantò infine contro il
cosiddetto tiglio del Mercatello. Sembra che l’oltraggio ai paramenti abbia
comportato la scomunica per l’intero territorio di Montoro. Ma questa
vicenda e il suo esito appartiene ad un’altra storia.
CONCLUSIONE
L’analisi complessiva delle strutture rimanda ad un impianto normanno
che ingloba una forte impronta longobarda su probabili persistenze
romane. Le maggiori trasformazioni riguardano il nucleo centrale del
castello. Analizzando i documenti pervenutici e i resti architettonici si può
ascrivere il castello nella sua forma finale al periodo svevo ed inserirlo a
pieno titolo nel novero dei castelli federiciani. Avendone la possibilità
quest’aspetto potrà essere contestualizzato nell’ambito comparativo con gli
altri castelli della zona e già ripulendo dalla vegetazione i ruderi –previa
messa in sicurezza delle murature con criteri storici- l’osservazione sarà
più puntuale rispetto alla presente relazione. Si potrà con maggiore
precisione delineare, qualora non esistano più accurate descrizioni, la
struttura architettonica ed eseguire un’approfondita indagine archeologica.
Solo dopo queste attività preliminari-e ciò non vale solo per il castello di
Montoro- si potrà valutare quali interventi adottare per evidenziare
l’enorme rilevanza storica senza alterare e modificare i luoghi.
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