news 492 - 4 maggio 2014

newsUCIPEM n. 492 – 4 maggio 2014
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ABORTO VOLONTARIO
ADOLESCENTI
ADOZIONE INTERNAZIONALE
ADOZIONI INTERNAZIONALI
Aborto, fecondazione eterologa e adozione.
Accoglienza degli adolescenti con disagio psichico.
Una vacanza con gli adottandi prima dell’adozione?
2013: in Italia un bambino adottato su cinque è africano.
Colombia più facile dare una famiglia a 6.440 bambini.
AFFIDO
Sempre più minori allontanati dalle famiglie mafiose.
AFFIDO DEI FIGLI
Sottrazione. Il padre prende i bambini e si allontana.
ANONIMATO
della donna che non ha riconosciuto il proprio nato. ANFAA.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO La posizione economica dell'exmoglie peggiora per una malattia.
La morte del coniuge obbligato e i diritti successori.
ASSEGNO DIVORZILE
Non esclude il diritto se il coniuge debole é iscritto ad un albo.
ASSISTENZA FAMILIARE
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare
CHIESA CATTOLICA
Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo.
Il Comitato dei cattolici tedeschi: donne al diaconato.
CINQUE PER MILLE
I grandi lo investono in pubblicità, ai piccoli restano le briciole.
C. A. I.
Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri
Renzi abdica a favore della vice presidente Silvia Della Monica.
CONSULTORI familiari UCIPEM Biella. Prevenzione dei problemi del gioco d’azzardo patologico.
DALLA NAVATA
3° domenica di Pasqua - anno A – 4 maggio 2014.
DIRITTI
Nei processi vi sia rappresentante dei diritti del concepito.
FECONDAZIONE ARTIFICIALE L'adozione come rimedio per contrastare la maternità in affitto.
FIGLI
Il riconoscimento dei figli minori nati fuori dal matrimonio.
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FISCO
Bonus anche a incapienti per detrazioni familiari.
FORUM Associazioni FAMILIARI Tre consigli a Renzi per restituire i soldi alle famiglie.
Il Forum incontra il ministro Poletti
GOVERNO
Governo, le deleghe al welfare: il terzo settore va a Luigi Bobba.
PARLAMENTO
Camera Deputati 2° Comm. Giustizia
Divorzio breve.
Senato 2° Comm. Giustizia Unioni civili
Adozione dei minori da parte delle famiglie affidatarie
SEPARAZIONE
Quale discrezionalità del giudice per le indagini patrimoniali?
SINODO DEI VESCOVI
Se muore il matrimonio
La posta in gioco.
Le diverse soluzioni delle Chiese
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ABORTO VOLONTARIO
Aborto, fecondazione eterologa e adozione.
Un’Italia schizofrenica fra chi non vuole un figlio e chi lo cerca disperatamente.
Purtroppo non bastano i medici obiettori di coscienza per salvare vite che non arrivano a nascere. Ci
vorrebbero anche gestanti ‘obiettrici’. Donne capaci di rispettare fino in fondo il mandato che la biologia ha
affidato loro: dare la Vita, non toglierla. Si può scegliere di non diventare madri, ma di compiere comunque
un gesto d’amore verso quel feto che non ha fatto domanda in carta bollata per venire al mondo. E che
potrebbe essere dato in adozione, grazie a una legge resta misconosciuta e che garantisce alle gestanti il
diritto di partorire in anonimato senza riconoscere il nascituro. E invece in Italia è una carneficina
continua. Nella sola città di Milano gli aborti che ogni anno vengono praticati sono circa 5.800 casi (in
dettaglio: Niguarda 780; Mangiagalli 1.300; Fatebenefratelli 1.200; Sacco 420; Buzzi 1.000; San Paolo 400
interventi; San Carlo 700).
Ma il nostro è un Paese sempre più schizofrenico. Da un lato c’è un esercito di donne armate di
paura, egoismo e cinismo che negano la vita ai figli che portano in grembo. Dall’altro ci sono coppie che non
riescono a dare compiutezza al loro progetto d’amore. E pur di avere un figlio, si affidano disperati a
tentativi reiterati di fecondazione, anche quando i bombardamenti ormonali diventano pericolosi per la salute
stessa della donna. Residuali sono le coppie che scoprono la grazia della sterilità feconda e trasformano la
loro condizione nell’atto di giustizia più alto che un uomo e una donna possano compiere: dare una famiglia
a un bambino abbandonato. Sono circa 3.500 le coppie che hanno fatto domanda di adozione nel 2013.
Basterebbe che il sistema Italia riuscisse a incrociare i bisogni di tutti.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione
eterologa, ovvero la Legge 40\2004, in Italia è boom di richieste per la procreazione medicalmente assistita
di tipo eterologo. Al Cecos, sigla che racchiude i maggiori centri di fecondazione assistita in Italia, nei primi
ventidue giorni seguenti alla sentenza della Consulta, sono 3.500 le coppie che hanno chiesto informazioni
per accedere alla fecondazione eterologa, per una media di 150 al giorno. E per centrare l’obiettivo, queste
coppie sono disposte a pagare migliaia di euro (stando ai dati Cecos, fino a 8mila euro per ciascun tentativo
di fecondazione). Ma sono cifre che possono essere addebitate al Sistema Sanitario Nazionale,
contrariamente a quanto avviene per l’adozione che invece resta a carico delle coppie. Perché negare alle
coppie che scelgono l’adozione, quantomeno parità di trattamento rispetto alle coppie che si rivolgono alla
fecondazione? E’ ora che anche l’adozione diventi totalmente gratuita: i genitori adottivi non possono essere
più considerati genitori di serie B.
In questi giorni si festeggia come un successo l’accordo tra l’ospedale Niguarda e il Sacco in base al
quale i medici dei due nosocomi non obiettori di coscienza mediate turni di lavoro extra riusciranno a
garantire l’applicazione della legge 194\1978, che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza.
E invece servirebbe ripensare all’intero sistema di welfare e assistenza medica, per trovare una
strategia che risponda ai bisogni di tutti, e permetta uno scambio tra i diversi bisogni in nome della vita, e
non della morte.
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Ai. Bi. 2 maggio 2014
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ADOLESCENTI
Accoglienza degli adolescenti con disagio psichico.
L’11 e 12 giugno 2014 a Roma, sede ed ospitalità auditorium San Domenico Via Casilina 235,
prende il via il primo di due seminari formativi residenziali dedicato alle forme di accoglienza degli
adolescenti con disagio psichico.
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La proposta formativa si propone di favorire la conoscenza e l'approfondimento delle problematiche
connesse alla fenomenologia del disagio psichico, come pure al tipo di risposte che è possibile mettere in atto
sotto il profilo educativo, socio sanitario, territoriale.
I posti disponibili sono 70. Iscrizioni entro il 23 maggio 2014.
Il ciclo seminariale si rivolge a operatori che hanno già esperienza in merito
all'accoglienza/accompagnamento di ragazzi/e in comunità e/o in progetti territoriali diurni.
La partecipazione al seminario ha un costo molto contenuto: 50 euro per i soci del Cnca e 60 per gli
altri.
Il programma
www.cnca.it/index.php?option=com_jtagcalendar&Itemid=378&eventId=60
Iscrizione on line
https://docs.google.com/forms/d/1eKnHFwSTd1m2wLe8IbBlRgkBjn-s8MlR4_CBWlrnM-s/viewform
CNCA Coordinamento Nazionale Comunità d’Accoglienza
Via di Santa Maria Maggiore, 148
00184 Roma [email protected]
www.cnca.it
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Una vacanza con gli adottandi prima dell’adozione?
Stanno per partire anche in Italia le cosiddette “vacanze preadottive”, promosse dall’Associazione
Amici dei bambini (Aibi). Cinque famiglie dichiarate idonee all’adozione, a partire dal prossimo mese di
agosto, ospiteranno alcuni giovanissimi colombiani per tre settimane. Le vacanze preadottive riguarderanno
bambini adottabili di età superiore ai 10 anni, di età inferiore ai 10 anni ma con particolari bisogni psicofisici
o fratelli in cui almeno uno dei bambini abbia più di 10 anni.
Perché e come. “Siamo di fronte a un male enorme, quello dell’abbandono, e dobbiamo fare di tutto
per risolverlo”. A spiegare la proposta sul sito dell’Associazione è Marco Griffini, presidente di AiBi. “Ci
sono tantissimi bambini in istituto, già grandicelli, che nessuno chiede, nessuno vuole. Vogliamo impegnarci
a trovare una famiglia anche per loro? Vogliamo almeno provarci o siamo convinti che ci si può solo
rassegnare a lasciarli diventare adulti da soli?”. Per questo, l’Aibi ha deciso di realizzare un percorso per i
genitori. Le coppie che aderiscono vengono accompagnate in tutte le fasi del programma, in un percorso che
prevede incontri e colloqui formativi con le coppie italiane, condotti da psicologi, per affrontare la gestione
della relazione e dell’affettività. I bambini, invece, verranno preparati con un programma in dieci step, a cura
dell’Instituto colombiano bienestar familiar (Icbf).
Al termine delle vacanze cosa succede? Le famiglie possono manifestare la volontà di proseguire
con l’adozione. Nel caso in cui, invece, non vogliano accogliere definitivamente il bambino come figlio, la
coppia ospitante resterà comunque un referente amicale e affettivo, “a distanza”, per il minore, impegnandosi
a mantenere i contatti con lui, informandosi sulla sua vita e sui suoi sviluppi.
Dibattito aperto. “Queste vacanze, che creeranno nei bambini forti speranze e illusioni, pongono
tanti interrogativi che riguardano soprattutto le conseguenze difficilmente riparabili derivanti dal fallimento
del possibile ‘abbinamento’”. A sollevare perplessità, in una lettera aperta, è Donata Nova Micucci,
presidente dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (Anfaa), per la quale “questi bambini,
che attraverseranno l’oceano per passare ‘tre settimane di vacanza’ con una famiglia in Italia, saranno ben
consapevoli delle reali finalità di questa iniziativa, che inevitabilmente creerà in loro forti aspettative”. Per
l’Anfaa sono diversi i motivi di criticità della proposta, per la quale si dicono “allibiti” quando riflettono sui
casi in cui la coppia, al termine della vacanza, decida di non tenere il bambino. “Come può vivere il bambino
questa esperienza su cui ha posto tante aspettative? Come potrà superare questa ennesima frustrazione e
accettare di essere un bambino che può andar bene sì per una vacanza, ma non per essere accolto e amato per
sempre?”.
Non è dello stesso parere Michela Pensavalli, psicologa e psicoterapeuta, ricercatrice presso
l’Istituto di terapia cognitivo interpersonale (Itci), che ricorda come nelle vacanze preadottive “non si può
pronunciare la parola ‘adozione’, e, per quanto i bambini siano molto sensibili alle figure surrogate,
l’esperienza, se non vi sono aspettative, può rivelarsi anche una parentesi felice. Tanto più che le statistiche
dicono che l’80% delle coppie alla fine sceglie di adottare”. Favorevole alle “vacanze”, Pensavalli le stima
come una “bella novità”, “un modo per ovviare alla grandissima difficoltà di accoppiamento tra adottanti e
adottandi. Certo - prosegue - bisogna agire con molta prudenza, soprattutto approfondire sulle fasi di start
up, valutando il livello di attitudine alla genitorialità sia attraverso il parere dello psicologo che ascoltando i
genitori, le loro paure, il loro rischio di inadeguatezza e incapacità che spesso manifestano”.
Di prudenza parla anche Fabrizio Azzolini, presidente dell’Associazione genitori (Age), tutore dei
minori nella regione Veneto. È favorevole alle “vacanze”, a patto che “vengano fatte secondo una certa
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idoneità. Non basta l’idoneità riconosciuta ai genitori, ma occorre passare dall’ufficio tutela minori perché
dichiari l’idoneità contestuale quasi attuale, degli adottanti. In certe famiglie possono sopraggiungere
problemi, soprattutto unionali, come la separazione, che poi recano problemi anche ai bambini”. L’Anfaa,
invece, tra le altre cose, propone all’Aibi di servirsi del “sostegno attento e continuativo da parte dei Servizi
socio assistenziali e sanitari” allo scopo di tutelare il minore. Il dibattito è aperto: le vacanze preadottive sono
da temperare?
Sir 7 aprile 2014
www.agensir.it/sir/documenti/2014/04/00284353_vacanze_preadottive_in_italia_si_discute_.html
vedi anche a pag. 3 di newsUCIPEM 469
www.ucipem.it/sito/attach/00363.pdf
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
2013: in Italia un bambino adottato su cinque è africano.
Aumentano in Italia i bimbi adottati di origine africana, circa 5% in più in un anno. Stando ai dati
diffusi dalla Commissione per l’Adozioni Internazionali, nel 2013 sono stati 2.825 i minori entrati nel nostro
Paese in seguito ad adozione. In costante aumento la percentuale di coppie che ricorrono all’adozione a causa
della sterilità: il 93,5% contro l’80,6% del 2009. Nel rapporto realizzato dalla CAI in collaborazione con
l’Istituto degli Innocenti emergono altri dati interessanti.
Nel 2013 l’attesa per gli aspiranti genitori, dalla domanda di disponibilità all’adozione all’arrivo del
bambino è di 3,3 anni (con punte massime di quasi cinque anni e mezzo per la Lituania, e punte minime di
2,8 dalla Federazione Russa e dall’Ungheria). Tre coppie su quattro che danno mandato a un ente
autorizzato, riescono a diventare genitori. Il rapporto conferma che lo scorso anno c’è stato un calo del 9%
dei bambini adottati, scesi da 3.106 del 2012 a 2.825. Le coppie coinvolte sono state 2.291, pari a -7,2%
rispetto all’anno precedente. Aumenta l’elevata istruzione delle coppie adottive rispetto alla popolazione
generale: le madri adottive hanno mediamente un titolo di studio superiore rispetto ai padri adottivi. Il 29,8%
dei mariti e il 36,2% delle mogli hanno una professione di tipo intellettuale a elevata specializzazione.
Nel 2013 dall’Africa arriva il 20,2% del totale (era il 16,3 l’anno precedente). In particolare sono
arrivati dall’Etiopia 293 minori, pari al 10,33% del totale. La media dell’età dei bambini è di 2 anni e 3 mesi.
Al secondo posto per numero d’ingresso dei minori si colloca la Repubblica Democratica del Congo, con un
totale di 159 bambini, la cui età media è di cinque anni. Altri Paesi presentano numeri significativamente
inferiori. Dal Burkina Faso sono arrivati 37 bambini, con un’età media di 4 anni e 4 mesi. Ventitré sono i
bambini provenienti dal Burundi, aventi in media 3 anni e nove mesi. Stessa età media anche per i 12
bambini provenienti dal Kenya. I più piccoli in assoluto arrivano dal Mali. Sono sette bambini e hanno in
media appena un anno e un mese. Più grandicelli i dieci bimbi del Senegal che hanno spento in media già
due candeline. Neanche gli otto bimbi nati in Benin raggiungono i tre anni d’età, ma l’età media si ferma a
due anni e nove mesi. Restano comunque sotto l’età scolare anche i 5 bimbi del Camerun e i 6 della Nigeria,
la cui età media è per entrambe le nazioni pari a cinque anni e mezzo.
Un altro dato che emerge dal Rapporto Cai è che ben il 93% delle coppie adottive adotta a causa
della sterilità, il 93,5% contro l’80,6% del 2009. Ma non mancano genitori che compiono questa scelta per
un puro desiderio adottivo (2,4%). Mentre una percentuale inferiore, pari allo 0,6%, adotta dopo aver
conosciuto il minore e aver instaurato con lui un rapporto affettivo.
Vedi pure newsUCIPEM 490 a pag. 6 Rapporto della Commissione sui fascicoli del 2013
www.ucipem.it/sito/sito/main.php?id=-1&ex=265&ir=195&it=3
Ai. Bi. 2 maggio 2014
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Colombia: da oggi sarà più facile dare una famiglia a 6.440 bambini e adolescenti adottabili
In Colombia sono 8.105 i bambini e adolescenti dichiarati adottabili, ma ancora in attesa di avere una
famiglia. Vite e destini impantanati tra carte bollate e ritardi burocratici che l’Autorità centrale colombiana,
l’Istituto Colombiano del Bienestar Familiare, vuole cercare di tirar fuori dallo stato di abbandono in cui
vivono. L’ICBF ha messo a punto una strategia sperimentale per ridare speranza a questi minori e
reintrodurli nel circuito reale dei bambini adottabili. Delle 33 regioni colombiane, 6 sono quelle ‘pilota’:
Bogotà, Cundinamarca, Antioquia, Valle, Boyacán e Meta, nelle quali comunque risiede la maggior parte dei
minori in stato di adottabilità che attualmente vivono ancora sotto la protezione dello Stato: 6.440 sui 8.105
totali.
Quando non sono legate a condizioni di salute davvero difficili, le cause della mancata adozione
sono spesso di tipo burocratico. In particolare le lungaggini del processo di dichiarazione di adottabilità,
oppure i ritardi nel concludere il processo di dichiarazione di adottabilità nonché il rimbalzo dei dossier da
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un ufficio di competenza all’altro, per il rifiuto della famiglia d’origine che nega il suo consenso alla
dichiarazione di adottabilità di minori, per i quali è ritenuta comunque inadatta a occuparsene.
Il cosiddetto piano d’urto esclude gli adolescenti d’età compresa tra i 13 e i 17 anni, che verranno
inviati direttamente all’area Progetto di vita, visto che per essi l’Autorità centrale colombiana ritiene
purtroppo preclusa la possibilità di trovare una famiglia.
I 6.640 dossier dei bambini selezionati sono allo studio di un’equipe psicosociale della sede
nazionale dell’ICBF e delle sedi regionali. Quest’ultime hanno la possibilità di verificare le condizioni dei
bambini, filtrando i casi da passare al comité adottivo regionale per i bambini che presentano condizioni tali
da permetterne l’abbinamento diretto a una famiglia in lista d’attesa. Quelli che restano esclusi passeranno
alla valutazione della sede nazionale dell’Autorità centrale colombiana, la quale elaborerà specifiche schede
da consegnare ai 53 enti autorizzati che hanno aderito al ‘piano d’urto’. Tra essi, anche Amici dei Bambini
che potrà così avere accesso alle schede di valutazione socio-sanitarie ed eventualmente proporre vari
abbinamenti alle coppie in attesa di abbinamento.
I bambini vengono inseriti in tre categorie di special needs: bambini grandicelli; oppure con
condizioni speciali di salute; oppure gruppi di fratelli. Come primo step la sede nazionale dell’ICBF
comincerà a distribuire agli enti autorizzati le lettere di valutazione dei bambini grandi, d’età compresa tra i 9
ed i 12 anni. Il secondo filtro riguarderà i bambini con qualche problema di salute. In ultima istanza verranno
studiati i gruppi di fratelli. In questo caso, le equipe multidisciplinari valuteranno le singole storie per capire
la possibilità di separare i fratelli, per permettere ai bambini di trovare più facilmente una famiglia. Le fratrie
che, nonostante il nuovo studio, non potranno essere divise, verranno date in valutazione agli enti.
Il piano d’urto concepito dall’ICBF è davvero importante per questi 6.640 bambini di poter diventare
figli, ma per tradurlo in realtà il piano ha bisogno che ad esso aderiscano anche le famiglie disponibili a
donare amore a questi bambini. Chiunque sia interessato, può fin d’ora contattare Amici dei Bambini.
Ai. Bi. 29 aprile 2014
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
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AFFIDO
Sempre più minori allontanati dalle famiglie mafiose: “È nel loro interesse”.
Sono già una ventina i provvedimenti del tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, presieduto da
Roberto di Bella, negli ultimi 18 mesi. Atti importanti secondo Marilina Intrieri, garante dell’Infanzia, che
aveva seguito anche la vicenda del piccolo Cocò, ucciso a Cassano Ionio
È giusto allontanare i minori dalle famiglie che appartengono alla criminalità organizzata? Secondo
il tribunale dei minorenni della Calabria è giusto, tanto che sono già una ventina i provvedimenti da esso
presi, per la prima volta, nell’ultimo anno e mezzo, tutti riguardanti famiglie legate alle cosche di
‘ndrangheta della Locride (il tribunale è competente solo per la provincia di Reggio, per le altre lo è quello di
Catanzaro). Ed è giusto anche per Marilina Intrieri, garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Calabria: “I
provvedimenti del tribunale sono atti molto importanti, intrapresi nel superiore interesse del minore –
sottolinea – in un quadro di bilanciamento degli interessi minorili da parte dell'autorità giudiziaria, in linea
con gli articoli 330 e 333 del Codice civile”.
La garante ricorda che “quando fu emanato il primo provvedimento si aprì un dibattito in Calabria
sulla stampa, che rischiò di confondere la pubblica opinione. Intervennero in modo inopportuno anche
rappresentanti del clero, sul fatto che quei minori venivano strappati alle loro famiglie, quindi, veniva violato
il loro diritto alla famiglia sancito dalla convenzione di New York. Come garante – puntualizza Intrieri –
intervenni immediatamente e in solitudine ricordando che la convenzione di New York riconosceva al
minore, tra i diritti fondamentali, quello all’educazione e che il magistrato, nel decidere l'allontanamento del
minore dalla famiglia di mafia, aveva giustamente valutato prevalente quello all’educazione su quello agli
affetti”. Dei provvedimenti assunti sui minori di mafia, continua Intrieri, “si stanno interessando anche gli
organi di informazione di diversi Paesi europei. La Calabria, quindi, ha bisogno innanzitutto del contributo e
della generosità del suo Paese per cercare di affrontare al meglio questa problematica”.
Intrieri si è occupata di questa spinosa problematica già alcuni anni fa, quando era deputata, in
qualità di membro della commissione Giustizia e della commissione bicamerale per l’Infanzia. “Nel corso
del mio mandato parlamentare – racconta – accadde che nella faida tra le cosche di Isola capo Rizzuto e
Papanice nel crotonese, durante l'uccisione di un boss, la figlia di questi, di soli due anni, in auto col papà fu
colpita da un proiettile rimanendo cerebrolesa”. Un episodio terribile e, al contempo, emblematico.
In una sua nota ufficiale del settembre 2102, la garante scrisse che “il magistrato attraverso
l’allontanamento dalla famiglia di origine sottrae il minore al pregiudizio subito e subendo, consentendogli
così di poter acquisire quei valori civici che lo renderanno, raggiunta la maggiore età, un uomo libero dalla
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mentalità mafiosa”. In pratica “l’allontanamento del figlio di mafia costituisce solo una possibilità offerta al
minore di ricevere aiuto da educatori, psicologi, servizi e famiglie che si dichiarano disponibili
all’affidamento eterofamiliare affinché il minore sia sostenuto nell’acquisizione di quegli strumenti che lo
aiuteranno ad uscire dall’educazione mafiosa, al posto dei genitori che si sono dimostrati inadeguati ed
incapaci, per le più svariate ragioni, a svolgere tale compito essenziale per la sana crescita psicofisica del
minore”. Nella sua nota, Intrieri non escludeva un ritorno in famiglia dei minori ma “è evidente – rimarcava
la garante - che tale rientro sarà possibile solo quando la famiglia di origine sarà in grado di non indurre il
minore, anche in termini educativi, alla vita criminale e a non trasmettergli i valori di mafia”.
La garante si era anche occupata della situazione del piccolo Nicola Campolongo, detto Cocò, che
nel gennaio 2014 a Cassano allo Ionio è stato prima ucciso a colpi di pistola e poi bruciato insieme al nonno
e alla convivente di quest’ultimo. Cocò aveva appena tre anni. “Il piccolo Nicola – spiega Intrieri – sin dalla
nascita era stato costretto a conoscere l’esperienza del carcere a causa dello stato detentivo della madre.
Nell’ottobre del 2012, in seguito agli appelli che chiedevano la scarcerazione della madre, nonostante fosse
recidiva per reati legati allo spaccio di stupefacenti, avevo segnalato che il diritto alla libertà del minore
(all’epoca Cocò era neonato) non può essere totalmente soffocato dal suo diritto a crescere ed essere educato
dalla madre, visto che in queste circostanze l’ordinamento prevede forme di affidamento eterofamiliare”.
Nicola uscì dal carcere e anche la madre riacquistò la libertà, “ma – commenta la garante – la mamma di
Cocò venne meno ai suoi doveri genitoriali rientrando in carcere e lasciando il piccolo Nicola in una famiglia
totalmente allo sbando, delinquenziale e che spacciava droga. La privazione della vita per fatto di sangue che
ha subito Nicola è la conseguenza di questi avvenimenti”.
Maria Scaramuzzino
redattore sociale
2 maggio 2014
www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/459691/Sempre-piu-minori-allontanati-dalle-famigliemafiose-E-nel-loro-interesse
vedi anche
Minori allontanati dalle famiglie di mafia per cercare di fermare il ciclo di violenza
Alan Johnston www.tribmin.reggiocalabria.giustizia.it/doc/modulistica/intervista%20traduzione.pdf
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AFFIDO DEI FIGLI
Sottrazione di minori. Il padre prende i bambini in macchina e si allontana.
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n.17799, 28 aprile 2014
dicendo che non li avrebbe riconsegnati alla madre fino alla decisione giudiziale che avrebbe deciso
sull’affidamento. E' reato: colpevole di sottrazione di minore il padre separato che trattiene il figlio per mesi
senza il consenso della madre affidataria.
Studio Sugamele –30 aprile 2014
sentenza www.avvocatopenalista.org/sentenza.php?id=8099
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ANONIMATO
Anfaa su proposte di legge su accesso identità della donna che non ha riconosciuto il proprio nato.
Riparte la discussione parlamentare sulle proposte di legge sull’accesso all’identità delle donne che
si sono avvalse del diritto alla segretezza del parto.
L’Anfaa – Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie lancia l’allarme in occasione
della ripresa della discussione parlamentare sull’accesso all’identità della donna che non ha riconosciuto il
neonato al momento del parto: «La vita e la salute di decine di migliaia di donne (oltre 90 mila dal 1950 ad
oggi!) che si sono avvalse della facoltà assicurata dallo Stato di non riconoscere il neonato che avevano
partorito è a rischio dopo la sentenza della Corte costituzionale 278/2013» Il provvedimento obbliga, infatti,
alla modifica del decreto legislativo 196/2003 «nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento,
stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la
madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata (…) su richiesta del figlio ai fini di un’eventuale
revoca di tale dichiarazione».
La sentenza ha provocato la dura reazione dell’Anfaa: «nei confronti delle donne che non intendono
riconoscere i loro nati lo Stato si è impegnato con il decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre
2000 a non rendere noto il loro nominativo. Lo Stato, attraverso il Parlamento, non può ora tradire
quell’impegno e approvare provvedimenti che avrebbero conseguenze terribili sia sulle donne, sia sui
nascituri». L’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie ha ribadito che «la motivazione della
sentenza, nel contrapporre espressamente la “genitorialità naturale” della donna che ha partorito nel segreto
alla “genitorialità giuridica” del rapporto adottivo, dimostra di aderire a una concezione della famiglia – che
con il progresso della civiltà si riteneva definitivamente superata – imperniata sulla rilevanza del legame di
sangue, così snaturando l’essenza della filiazione, la quale è invece costituita dai rapporti affettivi
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reciprocamente formativi che si instaurano e si consolidano tra i genitori (biologici o adottivi che siano) e i
loro figli (biologici o adottivi che siano)».
I pericoli del riconoscimento.
L’Anfaa ribadisce l’importanza del diritto alla segretezza del parto attraverso il quale le donne che
per qualsiasi ragione non vogliono riconoscere il neonato non solo agiscono nel rispetto della legge, ma
soprattutto non mettono in pericolo l’esistenza dei nascituri, partorendoli in strutture attrezzate e non
abbandonandoli. Inoltre l’immediato loro affidamento alle istituzioni pubbliche preposte ha consentito loro
di non subire le terribili conseguenze del ricovero in istituto e di essere subito dichiarati adottabili dal
tribunale per i minorenni e quindi inseriti nella famiglia scelta per loro.
Per capire lo stato d’animo di moltissime donne che a seguito della sentenza delle Corte
costituzionale hanno il timore di essere esposte, in un imprevedibile futuro, ad un’intrusione pesantissima
nella loro sfera intima, con le inevitabili ripercussioni negative sui rapporti familiari da esse instaurati,
riportiamo uno stralcio del disperato appello inviato all’Anfaa da una signora, che, restata incinta
giovanissima (a 16 anni), ha deciso di non riconoscere il neonato: «Ho letto sul vostro sito che la Corte
costituzionale ha accolto l’istanza per lo smantellamento del parto segreto. Come avrete capito, io sono una
madre segreta. Quando ho letto la notizia credo che il mio mondo si sia dissolto in un attimo, ho guardato i
miei familiari, ignari, e ho visto la fine della vita che con fatica mi sono costruita e guadagnata. Non vi
voglio raccontare il mio passato doloroso, so però che non sarei in grado di riviverlo (...). Non posso rivivere
tutto di nuovo, non ho la forza di raccontare tutto alla mia famiglia attuale, non lo posso immaginare, mi
sento morire e nell’attesa di questa condanna, io mi sento morire piano piano. Che Dio mi perdoni se a volte
vorrei farla finita, anche se poi non so se ne avrei il coraggio. La mia vita ormai dipende dal legislatore, vi
prego non smettete di lottare per il parto anonimo, per questo non vi ho mai ringraziato abbastanza, quelle
come me non possono palesarsi, non possono parlare ai dibattiti, devono solo aspettare! (...) Ho cominciato a
vivere nel terrore che un giorno arrivi a casa una raccomandata che mi obblighi a presentarmi in tribunale
(come una malvivente), ho il timore di dover ripercorrere quella esperienza terribile (…). Io ho la certezza
che non riuscirò a sopportare tutto questo (…). Uno Stato non può tradire in questo modo un patto stipulato
che mi ha portato a fare questa scelta, anche se imposta, che mi ha permesso di non abortire. Sono disperata
all’idea di poter fare soffrire i miei cari. Spero anche che la creatura che ho messo al mondo e per la quale
prego sempre (sono aiutata da un padre spirituale) sia serena, considerando le sue origini, quelle delle
persone che lo hanno adottato, loro sono i veri genitori».
Le proposte di legge
Delle sei proposte di legge presentate sull’argomento alla Camera dei Deputati, quattro, le n. 784,
1874, 1901 e 1983 non tengono in conto le criticità evidenziate e devastanti sarebbero gli effetti di questi
“rintracci” sulle donne che, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto, hanno messo al mondo il loro
nato, nella certezza che mai questo diritto sarebbe stato violato dalle Istituzioni che l’avevano garantito con
legge. Ricercare a distanza di tanti anni queste donne metterebbe in pericolo la vita che si sono costruite nel
corso degli anni, con gravi conseguenze per loro e per i loro familiari, spesso ignari di quanto avvenuto.
Questo quattro proposte di legge, infatti, non rispondono al dettato della Corte costituzionale di
assicurare «la massima riservatezza»delle donne che si sono avvalse del diritto all’anonimato in quanto
prevedono che l’accertamento della loro identità parta dalle istanze dei figli adottivi ai Tribunale per i
Minorenni, che hanno dichiarato la loro adottabilità. Infatti, le istanze sarebbero inevitabilmente prese in
esame da un numero elevato di persone: i giudici ed i cancellieri ai quali si rivolge l’interessato, i
responsabili dei reparti maternità e gli addetti alla conservazione del plico in cui sono indicate le generalità
della donna e del neonato, il personale dell’anagrafe tributaria nazionale incaricato di rintracciare l’ultima
residenza della donna, gli altri giudici e cancellieri incaricati di contattarle (è assai probabile che le donne
non abitino più nelle città in cui hanno partorito). Inoltre le lettere di convocazione, indirizzate (su carta
intesta del Tribunale o della Procura per i minorenni o da altro ente) alle donne per verificare la loro
disponibilità ad incontrare i propri nati, potrebbero molto facilmente essere aperte dai loro familiari del tutto
ignari del loro parto segreto.
La quinta proposta di legge, n. 1989, è quella firmata dall’onorevole Anna Rossomando, presentata
il 23 gennaio 2014 {congiunta alle altre proposte il 29 gennaio 2014, non ancora iniziato l’esame}:
“Modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983 n. 184, in materia di consenso della madre naturale ad
incontrare il figlio, non riconosciuto alla nascita, che ne abbia fatto richiesta”.
www.camera.it/_dati/leg17/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=17PDL0015950
La proposta – fatto importantissimo – conferma l’impegno, assunto dallo Stato con legge, di non
segnalare ad alcuno i nominativi delle donne che, proprio sulla base di questa garanzia, non sono ricorse
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all’aborto o al parto clandestino e non hanno riconosciuto i loro nati non essendo in grado di provvedere alle
loro esigenze.
Solo ad esse viene pertanto consentito, in qualsiasi momento, di revocare il diritto all’anonimato
dichiarato a suo tempo, segnalando la loro disponibilità a incontrare il loro nato al Garante per la protezione
dei dati personali. Pertanto quando un figlio adottivo, non riconosciuto alla nascita, chiede di accedere
all’identità della madre biologica, seguendo la procedura prevista all’art. 28 della L. 184/1983 e s.m.i., il
Tribunale per i Minorenni potrà accogliere la sua istanza solo nel caso in cui la madre biologica abbia,
precedentemente deciso, in forma spontanea, di tornare sulla propria decisione.
L’Anfaa condivide i contenuti di questa proposta.
In questa direzione va anche la n. 1343 presentata dagli On. Campana, Ammodio, Manzi, Marroni e
Mattiello, che prevede la segnalazione da parte della donna non al Garante per la protezione dei dati
personali ma al Tribunale per i Minorenni .
Donata Nova Micucci, Presidente Anfaa
Comunicato stampa 28 aprile 2014
http://www.anfaa.it/media/comunicati-stampa/adozione/
vedi anche a pag. 3 di
www.ucipem.it/sito/attach/00363.pdf
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
La posizione economica dell'ex moglie peggiora anche a causa di una malattia.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 9498, 30 aprile 2014
In un procedimento di divorzio l’ex moglie chiede l'assegno di mantenimento, in quanto la sua
posizione economica peggiora anche a causa di una malattia.
I Giudici respingono la domanda perché il marito aveva provveduto a fare pervenire una cospicua
somma di danaro a seguito della liquidazione ereditaria del patrimonio della famiglia di origine di
quest'ultimo.
Il giudice a quo analizza la posizione della moglie e ritiene che la quota ereditaria di immobile,
appartenente alla famiglia del marito, liquidata dal marito stesso, con versamento a lei di una cospicua
somma, può compensare le eventuali diminuzioni, peraltro non provate, di reddito della moglie (in sede di
separazione consensuale, del resto, entrambi i coniugi avevano dichiarato di essere autosufficienti
economicamente).
Quanto alla malattia della moglie, il giudice a quo ritiene che dalla documentazione emerga un
sostanziale ristabilimento, e quindi l'assenza di ogni ricaduta sulla produzione del reddito della moglie stessa.
Pertanto è rigettato il ricorso.
Studio Sugamele –1 maggio 2014 sentenza www.divorzista.org/sentenza.php?id=8106
Assegno di mantenimento: la morte del coniuge obbligato e i diritti successori.
Il diritto all'assegno di mantenimento si estingue nel momento della morte del coniuge
obbligato a versarlo. Tuttavia, sia in caso di separazione che di divorzio, il coniuge beneficiario ha la
possibilità di godere, sul piano successorio, di altre forme di tutela previste ex lege.
Eredità e assegno successorio
In materia di diritti successori, l'art. 548 c.c. introduce una vera e propria riserva di legge a favore del
coniuge separato (consensualmente e giudizialmente senza addebito di separazione), disponendo che lo
stesso, ai sensi del secondo comma di cui all'art. 151 c.c., ha gli stessi diritti successori di quello non
separato. Il coniuge beneficiario cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato,
invece, ha soltanto diritto, in base al secondo comma dell'art. 548, ad un assegno vitalizio, commisurato alle
sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, se al momento dell'apertura della
successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. La medesima disposizione si applica nel
caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.
Anche il coniuge divorziato percettore dell'assegno, pur perdendo in ragione della cessazione del
rapporto di coniugio la qualità di successore legittimo e di erede legittimario ex art. 536 c.c., ha diritto a
rivalersi sull'eredità dell'ex compagno scomparso. L'art. 9-bis della legge n. 898/1970 dispone, infatti, che al
coniuge superstite a cui è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a
norma dell'art. 5, il tribunale, dopo il decesso dell'obbligato, possa attribuire un assegno periodico a carico
dell'eredità. I presupposti affinché la richiesta dell'"assegno successorio" possa essere legittimamente
avanzata sono: la titolarità del diritto all'assegno divorzile e lo stato di bisogno, da intendersi come incapacità
a soddisfare i bisogni primari essenziali.
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La valutazione è comunque rimessa al giudice, il quale, in ordine al quantum, per espresso disposto
dell'art. 9-bis, dovrà tenere conto nella relativa determinazione: dell'importo dell'assegno divorzile, dell'entità
del bisogno, dell'eventuale presenza di pensione di reversibilità, della consistenza delle sostanze ereditarie,
del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche.
Su accordo delle parti, la corresponsione dell'assegno successorio può avvenire in un'unica
soluzione, mentre non è contemplato qualora gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 siano stati
soddisfatti secondo il disposto di cui al comma 8 dello stesso articolo.
Ad ogni modo, il diritto decade qualora il beneficiario passi a nuove nozze o cessi lo stato di
bisogno, sebbene, in caso di risorgenza dello stesso, l'assegno possa essere nuovamente attribuito.
La pensione di reversibilità
Ex art. 9, comma 2, della l. n. 898/1970 l'ex coniuge ha diritto a percepire in caso di morte dell'altro
coniuge la pensione di reversibilità. Tale diritto sorge automaticamente, purché il coniuge superstite non sia
passato a nuove nozze, sia titolare di un assegno di mantenimento ai sensi dell'art 5 e il rapporto di lavoro da
cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla pronunzia di scioglimento del matrimonio.
In presenza di un coniuge superstite (laddove il de cuius si sia risposato) all'ex coniuge spetterà solo
una quota della pensione suddivisa con l'altro beneficiario. L'ammontare dell'assegno spettante ad entrambi i
contitolari viene stabilito dal giudice con apposita sentenza, tenendo conto principalmente della durata del
matrimonio di ciascuno, per come disposto dal comma 3, dell'art. 9. Tuttavia, secondo la sentenza della Corte
Costituzionale n. 419/99, il criterio della durata temporale non può essere l'unico da seguire per la
ripartizione tra il coniuge superstite e l'ex coniuge, ma vanno presi altri elementi in considerazione (come, ad
esempio, le condizioni economiche degli aventi diritto).
Infine, il diritto alla pensione di reversibilità del de cuius pacificamente spettante al coniuge
superstite separato consensualmente, è stato esteso, a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale con
sentenza n. 286/1987, al coniuge separato giudizialmente con addebito, eliminando così la discriminazione
sussistente rispetto al trattamento previdenziale previsto per il coniuge divorziato. Pertanto, la giurisprudenza
di legittimità, uniformandosi alla pregressa statuizione della Consulta, ha affermato che "anche il coniuge
separato per colpa o con addebito della separazione, in quanto equiparato sotto ogni profilo al coniuge
superstite (separato o non), può richiedere la pensione di reversibilità, atteso che a questi fini opera in suo
favore la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte" (Cass. n. 4555/2009),
poiché la ratio della tutela previdenziale è quella di garantire, in seguito alla situazione di bisogno
determinatasi per i familiari viventi a carico del pensionato defunto conseguente al fatto naturale dell'evento
morte, la continuità del sostentamento per i superstiti, non rilevando, pertanto, la circostanza che il coniuge
defunto, in ragione dell'addebito, non fosse tenuto a versare in concreto l'assegno di mantenimento o
alimentare.
StudioCataldi.it
www.studiocataldi.it/guide_legali/assegno-di-mantenimento/assegno-di-mantenimento-la-morte-delconiuge-obbligato-e-i-diritti-successori.asp
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ASSEGNO DIVORZILE
Se il coniuge debole é comunque iscritto ad un albo professionale ciò non esclude il diritto all'assegno.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n.9493, 30 aprile 2014
Il giudice deve valutare se l'altro coniuge sia in grado di procurarsi un reddito autonomo e idoneo al
mantenimento del pregresso tenore di vita.
Avv. Barbara Pinelli briciole di diritto n. 24
studio Cataldi
4 maggio 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15733.asp
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ASSISTENZA FAMILIARE
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.)
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n.17691, 23 aprile 2014
Nello specifico, i giudici di legittimità hanno affermato i seguenti principi di diritto:
1. in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella nozione penalistica di “mezzi di
sussistenza” debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il
vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche
e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre
complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i
9
figli minori; mezzi di trasporto; mezzi di comunicazione), (così, tra le diverse, sez. 6, n. 49755 del
21/11/2012, g., rv. 253908; sez. 6, n. 2736/09 del 13/11/2008, l, rv. 242855);
2. integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore separato che non
adempie agli obblighi di versamento imposti dal giudice civile in favore dei figli minori, essendo
escluso ogni accertamento in sede penale sull’effettiva capacità proporzionale di ciascun coniuge di
concorrere al soddisfacimento dei bisogni dei minori, e spettando al solo giudice civile tale verifica,
in quanto la disposizione incriminatrìce si limita a sanzionare la condotta di inadempimento (così, tra
le molte, sez. 6, n. 46750 del 18/10/2012, c. rv. 254273);
3. ai fini della configurabilità del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il soggetto
obbligato in sede di separazione legale dei coniugi non ha la facoltà di sostituire, di sua iniziativa, la
somma di denaro stabilita dal giudice civile a titolo di contributo per il mantenimento della prole con
“cose” o “beni” che, secondo una sua scelta arbitraria, meglio corrispondano alle esigenze del
minore beneficiario, quali computer o capi di abbigliamento (Sez. 6, n. 8998 del 11/02/2010, B., Rv.
246413)
redazione giurisprudenza penale
25 aprile 2014
www.giurisprudenzapenale.com/2014/04/25/tema-di-violazione-degli-obblighi-di-assistenza-familiareart-570-c-p-cass-pen-176912014
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CASA FAMILIARE
Anche se è dell'ex marito una parte può essere revocata per essere assegnata alla moglie con i figli.
Studio Sugamele –12 aprile 2014
sentenza
www.avvocatocivilista.net/sentenza.php?id=7999
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CHIESA CATTOLICA
Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo…
Giovedì 1 maggio 2014 Mons. Nunzio Galantino è intervenuto in apertura dei lavori della XV
Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica, in corso a Roma fino 3 maggio, commentando il tema generale
“Persone nuove in Cristo Gesù. Corresponsabili della gioia di vivere”.
Nelle parole del Segretario Generale, l’apprezzamento dei Vescovi italiani per l’AC, l’appello a
un’autentica assunzione di responsabilità, lo stupore per l’Enciclica dei gesti di Papa Francesco, lo sguardo
al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015.
Mons. Nunzio Galantino, Vescovo di Cassano all’Jonio, Segretario Generale della CEI ha
estratti
omissis
detto:
(…)
“È vero, chi sceglie di legare seriamente la propria esistenza a Cristo Gesù è una persona nuova;
della novità che solo il Vangelo può dare”.
(…) Oggi più che mai, come credenti, veniamo chiamati a vivere in modo tale che l'affermazione
"Persone nuove in Cristo Gesù" diventi sempre più una constatazione; veniamo chiamati cioè a dare sempre
di più carattere pubblico e testimoniale alla nostra esperienza di fede, spesso – troppo spesso – confinata
nella Chiesa o nei nostri circuiti piuttosto limitati e, qualche volta, tristemente asfittici e autoreferenziali.
Troppi equivoci si continuano a consumare in nome della dimensione intima (il più delle volte
intimistica) della fede in Cristo Risorto. E questi equivoci possono essere spazzati via solo se prendiamo sul
serio la seconda parte del tema scelto per questa Assemblea: corresponsabili della gioia di vivere.
(…) Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa impegnata a difendere le
proprie posizioni (qualche volta dei veri e propri privilegi) in un mondo che pullula di gente che già fa questo
in nome della politica e che, per fortuna, qualche volta viene smascherata ed esposta al ridicolo?
Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa che non trova di meglio, in alcune
circostanze, che investire energie (troppe energie) per mettere su adunate che hanno ripetutamente mostrato
il fiato corto e che alla lunga si sono mostrate assolutamente inconcludenti?
L’“Enciclica dei gesti” e lo stupore che nasce dall’incontro
La canonizzazione di Papa Roncalli e di Giovanni Paolo II - e questa inedita "Enciclica dei gesti" che
giorno per giorno va scrivendo Papa Francesco - ci stanno dicendo con chiarezza che lo stupore che è capace
di investire l'uomo contemporaneo è solo lo stupore frutto dell'incontro tra uomini capaci di uscire dal loro
egoismo, di sbattere all’aria il mantello delle loro sicurezze, come il paralitico guarito, e disposte a cingersi
con il grembiule della responsabilità per servire gli altri; facendolo, semmai, fuori da ogni deleteria - perché
deresponsabilizzante - irreggimentazione!
testo integrale in
cliccare in basso a sinistra
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www.chiesacattolica.it/chiesa_cattolica_italiana/news_e_mediacenter/00056759_Quello_stupore__nato
_da_un_incontro.html
Chiesa cattolica italiana
2 maggio 2014
www.chiesacattolica.it/chiesa_cattolica_italiana/00007238_Chiesa_Cattolica_Italiana.html
Il Comitato centrale dei cattolici tedeschi vuole l'ammissione delle donne al diaconato.
Il Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK, Zentralkomitee dei deutschen Katholilen) e le
associazioni femminili cattoliche hanno rafforzato la loro richiesta di un'ammissione di donne al diaconato.
Lo hanno spiegato a Berlino nel terzo “Tag der Diakonin” (giorno della diaconessa) comune.
Il diritto canonico cattolico esclude le donne da funzioni di persone consacrate. Tuttavia è
controverso se questo valga anche per l'ufficio del diacono. Lo scorso anno il cardinale di curia Walter
Kasper e l'allora presidente della Conferenza episcopale tedesca, l'arcivescovo di Friburgo Robert
Zollitsch, avevano invitato a riflettere su uno specifico ufficio diaconale femminile.
La presidente dell'associazione delle donne cattoliche (Katholischer Deutscher Frauenbund), Maria
Flachsbarth (CDU), richiede di attivarsi per un maggiore coinvolgimento delle donne in tutte le strutture
ecclesiali e diaconali. Questo è essenziale per un rinnovamento della Chiesa, ha affermato Flachsbarth, che è
anche segretario di Stato parlamentare nel Ministero federale per l'alimentazione e l'agricoltura.
La presidente generale della comunità delle donne cattoliche tedesche (Katholische
Frauengemeinschaft Deutschlands), Maria Thereisa Opladen, ha spiegato che nelle comunità ecclesiali
sono soprattutto le donne ad essere impegnate a livello sociale. È necessario, ha detto, confermare questo
anche da un punto di vista sacramentale con una consacrazione. Al contempo si è dichiarata contraria alla
proposta di uno specifico ufficio diaconale femminile. “Rifiutiamo un tale diaconato di seconda categoria”,
ha sottolineato Opladen. Le due associazioni rappresentano insieme indicativamente più di 700 000 donne.
La presidente regionale dei Verdi di Berlino, Bettina Jarasch, ha definito molto utile per l'impegno
diaconale femminile il fatto che la consacrazione venga confermata come “chiaro incarico da parte della
Chiesa”. La presidente della Rete diaconato della donna (Netzwerk Diakonat der Frau), Irmentraud
Kobusch ha respinto l'argomento secondo il quale la questione del diaconato femminile possa essere decisa
solo a livello di Chiesa universale. Infatti, neppure il diaconato permanente per gli uomini, introdotto dal
Concilio Vaticano II (1962-1965) esiste in tutti gli Stati in cui è presente la Chiesa cattolica.
Inoltre, papa Francesco ha esortato le Chiese locali e vivere più fortemente la loro indipendenza, ha
detto Kobusch. La vicepresidente del ZdK Claudia Lücking-Michel ha spiegato che la diaconia appartiene
alla Chiesa in maniera esistenziale e che ha anche una dimensione politica. La Chiesa deve ad esempio farsi
maggiormente carico di combattere le cause dei movimenti di persone in fuga a livello mondiale.
Katholische Nachrichtenagentur in “www.kna.de” 30 aprile 2014
traduzione: .finesettimana www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RSt201404/140430kna.pdf
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CINQUE PER MILLE
Mentre i grandi lo investono in pubblicità, ai piccoli restano solo le briciole.
La grande torta del 5 per mille: indispensabile per l’”alimentazione” di più di 30mila enti ma divisa in fette
sempre più diseguali.
Sono circa 33mila i soggetti – tra onlus, associazioni di volontariato, enti di ricerca scientifica e
università – beneficiari di un tesoretto pari a 391 milioni di euro, frutto delle donazioni effettuate dai
contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi. Ma, secondo quanto denunciato dalla Corte dei Conti, queste
risorse vengono suddivise in modo tutt’altro che equo. A fronte delle organizzazioni più grandi, che arrivano
a incassare cifre a 6 zeri, ce ne sono almeno altre mille a cui ogni anno non arriva quasi nulla. Insomma: la
torta se la dividono quasi tutta i grandi, mentre ai piccoli non restano che le briciole.
La realtà del non profit in Italia è costituito da circa 300mila soggetti. Un mondo che dà lavoro a
circa un milione di persone, impiega 4,7 milioni di volontari e fattura più del settore della moda: 64 miliardi
di euro, con 57 miliardi di uscite. Solo negli ultimi 4 anni, il numero delle organizzazioni non governative
nel nostro Paese è cresciuto del 23% e attualmente ha raggiunto quota 248.
“Il non profit – afferma Edoardo Patriarca, presidente del Consorzio nazionale del volontariato –
non è solo cresciuto, ma è stato anche capace di interpretare i cambiamenti del nostro tempo”.
Eppure, anche in questa realtà, c’è chi fa il furbo. Gli enti più grandi, forti delle loro dimensioni e
possibilità economiche, spendono fiumi di denaro in campagne pubblicitarie, promozioni e competizioni con
altre associazioni. Finisce quindi che buona parte del 5 per mille viene impiegato per finanziare l’attività
promozionale e di sensibilizzazione finalizzata a ottenere nuovi finanziamenti. Un circolo vizioso tutt’altro
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che eticamente accettabile, come sottolinea padre Zanotelli, missionario, che nella prefazione al saggio
L’industria della carità parla di “associazioni che dovrebbero aiutare gli altri e che spendono troppo per
tenere in piedi la struttura, per pubblicizzarsi. Alla fine troppo poco va allo scopo finale”.
Il 5 per mille è nato nel 2006, anno in cui la presidenza dell’Istituto italiano della donazione fu
assunta da Maria Guidotti, che rivestì questo ruolo fino al 2012. Secondo lei il 5 per mille potrebbe incidere
di più. “Il più grande limite – avverte – è l’assenza di una legge organica a stabilizzare quest’istituto e
garantire tempi certi per l’effettiva distribuzione dei fondi. Questo significa vederlo ripartito con grande
ritardo e così gli enti che ne beneficiano fanno fatica a investire su progetti di lunga durata”. Per la Guidotti
si sta quindi perdendo quell’idea di welfare e di impatto sul territorio per cui il 5 per mille era nato. “Le
realtà più piccole e locali spesso hanno mezzi ridotti per comunicare. Restano in gran parte escluse dai
contributi, mentre ne sarebbero le ideali destinatarie”.
Fonte: La Stampa (26 aprile 2014)
Ai. Bi. 29 aprile 2014
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, dott. Matteo Renzi, ha delegato la cons. Silvia Della
Monica, vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali, ad esercitare tutte le funzioni a lui
attribuite dal D.P.R. 108/2007.
Renzi affida, pertanto, a Silvia Della Monica la presidenza, la rappresentanza, il coordinamento e la
vigilanza delle attività della Commissione.
Comunicato 30 aprile 2014-05-03 www.commissioneadozioni.it/IT.aspx?DefaultLanguage=IT
Renzi “abdica” a favore della vice presidente Silvia Della Monica. estratto
Le speranze di Enti, coppie e bambini abbandonati sono ora riposte nelle “energie” della sola
vicepresidente Silvia Della Monica. Magistrato di origini partenopee, si è occupata, fra le altre cose, del
caso del Mostro di Firenze nella Procura della Repubblica del capoluogo toscano. All’apice della sua carriera
di magistrato, è divenuta consigliere della Corte di Cassazione. È stata eletta nel 2008 al Senato, nelle file del
Partito Democratico, e ha fatto parte della II commissione permanente (Giustizia) e della Giunta del
Regolamento; ha ricoperto inoltre il ruolo di vicepresidente del Consiglio di Garanzia.
Molteplici e complessi i problemi che la nuova Presidente si troverà ad affrontare, per risolvere i
temi nodali rimasti irrisolti. La lista è lunga e articolata e non può essere elusa più a lungo, a partire dal
rinnovo dell’accordo bilaterale con il governo cambogiano, il rinnovo dell’accordo bilaterale in Russia, il
sanzionamento dei trasferimenti all’estero di contanti e dei pagamenti in nero, la concessione di
autorizzazioni alle adozioni internazionali in nuovi Paesi di provenienza, l’apertura di un tavolo per la
trasparenza e il contenimento dei costi delle adozioni, l’introduzione di nuovi requisiti di trasparenza ed
efficienza per gli Enti autorizzati, l’elaborazione di un sistema di controllo efficiente sugli Enti autorizzati.
Se è necessario ripartire da un punto di positività, lo si può identificare nella risoluzione del
problema della presidenza. Ora un Presidente c’è e deve riprendere il cammino interrotto ormai da molto
tempo. L’augurio a Silvia Della Monica è di onorare al meglio il compito che Le è stato affidato, nella
consapevolezza della gravità della situazione e nel senso di responsabilità che deriva dal ruolo assunto. Per
una volta, forse, è bene auspicare un “attaccamento alla poltrona” che porti stabilità, proattività e risultati
positivi.
Ai. Bi. 30 aprile 2014
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Biella. Prevenzione dei problemi connessi dal Gioco d’Azzardo Patologico.
8 maggio 2014
città degli studi sala auditorium, via Pella 10 ore 20,30
Si tratta di un’iniziativa unica nel suo genere organizzata sul tema della prevenzione dei problemi
connessi dal Gioco d’Azzardo Patologico. E’ un’azione all’interno di un progetto più ampio da noi condotto
sul territorio in partnership con Caritas, ASL Bi, Gruppo Giocatori Anonimi e Telefono Amico Biella.
La conferenza dell’8 maggio ha più la dimensione dello spettacolo perché condotto in maniera
veramente originale e brillante da un fisico e un matematico che illustrano con esempi concreti il modo in cui
si può essere tratti in inganno da certe forme pubblicitarie. E’ rivolta a tutta la popolazione, ad ingresso
gratuito.
“Fate il nostro gioco” con Paolo Canova e Diego Rizzuto di Taxi 1729
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www.taxi1729.it/fateilnostrogioco.php
introduzione di
dr Raffaella Maioli, direttrice del consultorio familiare “la persona al centro”
dr Elisabetta Cerruti Sola, consulente psicologa
dr Loredana Acquadro e dr Caroline Xhaet, dipartimento patologie delle dipendenze – ASL
dr Daniele Albanese, caritas diocesana
dr Nicolò Gattesteschi, moderatore
www.lapersonalcentro.it
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DALLA NAVATA
Atti
Salmo
1 Pietro
Luca
3° domenica di Pasqua - anno A - 4 maggio 2014.
02, 28 «Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua
presenza».
16, 09 «Per questo gioisce il mio cuore, ed esulta la mia anima, anche il mio corpo
riposa al sicuro».
01, 21 «e voi per opera sua credere in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato
gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio».
24, 27 «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui».
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DIRITTI
Proposta di legge del MpV. Casini: nei processi vi sia rappresentante dei diritti del concepito.
Ancora in primo piano il tema della fecondazione assistita, dopo la recente pronuncia della Corte
costituzionale che sancisce l'illegittimità del divieto dell’eterologa previsto dalla legge 40\2004. Il
Movimento per la Vita ha elaborato una proposta di legge in materia di fecondazione artificiale affidandola
in particolare ai 63 parlamentari che hanno sottoscritto l’iniziativa "UnoDiNoi".
La proposta è stata presentata nel pomeriggio Roma. Quale il centro dell’iniziativa?
Intervista
all’eurodeputato Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita:
R. – La Legge 40 ha il suo punto più importante nell’articolo 1, dove dice che la legge intende
garantire i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. Allora, bisogna che nei processi venga
ascoltata la sua voce. Ci vuole un curatore speciale, qualcuno che obbligatoriamente nei processi
rappresenti i diritti e gli interessi del concepito. La legge chiede quindi che sia nominato in tutti i processi un
curatore del concepito. Non modifica la Legge 40, ma modifica le norme del Codice civile e del Codice di
procedura civile.
D. – In questi anni, alcuni contenuti iniziali della Legge 40 sono stati modificati da diversi interventi
della Corte costituzionale. In che modo principalmente?
R. – Sono fondamentalmente due: uno è la sentenza del 2009, che ha eliminato il divieto di
produzione soprannumeraria, cioè prima si diceva che tutti gli embrioni generati dovevano essere trasferiti
nel seno materno perché potessero avere una speranza di vita. Per questo motivo, non potevano essere più di
tre perché diventa pericoloso per la madre e per gli stessi embrioni. Questa parte è stata abolita. E questo è
già un grandissimo problema.
La seconda sentenza è quella recentissima, la quale ha abolito il divieto di fecondazione eterologa,
anche in quel caso, dimenticando il diritto dei figli a conoscere le proprie origini. Ma ci sono anche altri
processi in corso che vorrebbero demolire ulteriormente la Legge 40, consentendo, ad esempio,
l’utilizzazione sperimentale di embrioni congelati o eliminando il limite della coppia che può ottenere la
fecondazione artificiale. Dunque bisogna in qualche modo evitare un ritorno totale al "far west",
cominciando ad attribuire al concepito il primo diritto, che è quello di essere ascoltato attraverso un suo
rappresentante.
Bollettino radiogiornale radio vaticana
30 aprile 2014 http://it.radiovaticana.va/index.asp
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FECONDAZIONE ARTIFICIALE
L'adozione come rimedio per contrastare la maternità in affitto.
Perché molte coppie di genitori infertili scelgono la maternità in affitto piuttosto che l'adozione?
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un nuovo fenomeno: dinanzi al problema dell’infertilità che flagella
sempre più coppie, si assiste ad un drastico calo del numero delle adozioni e ad un crescente numero di
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bambini nati dalla maternità in affitto. La maternità surrogata è sempre più in crescita e rischia di diventare la
forma più utilizzata per raggiungere il desiderio di maternità e paternità.
Diversi sono i modi di reagire davanti al problema della sterilità biologica per gli uomini e le donne
raggiunti da questa piaga. Il tutto nasce dalla motivazione profonda che spinge a diventare genitori. Il rito del
matrimonio sintetizza il significato della missione genitoriale: gli sposi sono chiamati a essere disponibili ad
accogliere i figli che Dio vorrà donargli.
Sicuramente queste parole fanno riferimento ai figli biologici che Dio vorrà donare come
benedizione dell’atto coniugale tra marito e moglie, ma fanno anche riferimento ai figli adottivi che una
famiglia sarà disponibile ad accogliere.
In questa formula rituale del matrimonio, possiamo includere anche i figli che nascono da un utero in
affitto? Per rispondere a questa spinosa domanda proviamo a mettere a confronto la maternità in affitto e
l’adozione.
L’adozione è una risposta al flagello dell’abbandono. Molti bambini in tutto il mondo versano in uno
stato di abbandono totale, privi del necessario nutrimento, delle giuste cure mediche, di un’adeguata
istruzione e di quel calore umano essenziale per una sana crescita. Una famiglia che si apre all’adozione, si
prende carico di una situazione già esistente, per restituire al bambino quella dignità perduta.
La maternità in affitto parte da un presupposto diverso: far nascere un bambino per soddisfare il
proprio desiderio di maternità e paternità. E per arrivare ad avere un figlio si acconsente alla schiavitù delle
donne che prestano il loro utero, al commercio degli spermatozoi, alla compravendita degli ovuli, alla
selezione degli embrioni.
La prima differenza risiede nella centralità del bisogno: l’adozione pone al centro l’esigenza vitale
del bambino di avere una famiglia che lo educhi e lo accompagni verso la sua maturazione; la maternità in
affitto ha per centro la famiglia che vuole soddisfare il proprio desiderio di genitorialità.
Viste le notevoli differenze etiche che differenziano le due scelte per diventare genitori, quali sono le
ragioni per cui molte famiglie si rivolgono sempre di più alla maternità in affitto piuttosto che all’adozione?
Una prima risposta, che ha un peso maggiore nella decisione, è proprio il tempo di attesa. Per
adottare un bambino non esiste un tempo definito, anzi la prima cosa che si ascolta quando ci si affaccia al
mondo dell’adozione è quella di dover imparare ad esercitare la virtù della pazienza.
Il cammino adottivo è un percorso lungo che ha un inizio, ma non ha specificata una fine. Questa
lunga attesa, per una famiglia che già vive la sofferenza della sterilità, è una prova che è molto pesante da
sopportare.
La maternità in affido propone tempi molto più rapidi, tempi che si avvicinano a quelli della
gravidanza naturale, o comunque un periodo definito nel quale è possibile conoscere l’andamento della
gravidanza in affitto. L’adozione per sua natura non possiede questo controllo sul tempo e sull’andamento
della gravidanza. Una volta consegnati i documenti, si è chiamati a vivere in attesa che il Paese scelto
proponga una richiesta di abbinamento tra bambino e famiglia. E questo tempo può variare da pochi mesi a
lunghi anni.
Un altro elemento fondamentale è l’età del bambino. La maternità in affitto è un sistema concepito
per offrire ai genitori richiedenti un neonato. L’adozione non può garantire di diventare genitore di un
bambino appena nato; anzi varie volte propone di accogliere bambini non solo in età prescolare, ma anche in
età preadolescenziale o adolescenziale.
L’età del bambino da accogliere è un fattore che spaventa molte coppie. È mentalità comune
considerare quasi innaturale diventare genitori di un bambino grande, e questo avviene perché non si ha
chiara la centralità del bisogno del bambino.
Queste sono le considerazioni più comuni: i bambini sono belli quando sono piccoli; mi voglio
vivere pienamente i momenti di dolcezza tipici della fanciullezza; gli adolescenti ormai sono ribelli, mi
attendono subito contrasti da affrontare; essere genitore di un adolescente, con il suo carattere già formato, è
una missione quasi impossibile da compiere.
Considerate tutte queste differenze, l’adozione può diventare un rimedio per contrastare la maternità
in affitto, se conserva immutata la sua natura e nello stesso tempo alleggerisce la sua struttura burocratica.
Ridurre le tempistiche per l’ottenimento del decreto di idoneità, garantire il sostegno e l’accompagno
costante alle famiglie non solo nella pre-adozione ma soprattutto nella post-adozione, tagliare le spese
dell’adozione, sono fattori che sarebbero di stimolo a molte famiglie per favorire lo sviluppo di una vera
cultura dell’accoglienza.
Ma un rimedio ancora più forte sarebbe quello di far conoscere le storie delle donne che affittano i
loro uteri, il numero degli embrioni sacrificati per raggiungere il concepimento, il grido di dolore di quei figli
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al quale sarà negata la possibilità di conoscere i vari genitori biologici, il peso dell’indifferenza che i figli
dovranno sopportare da parte di coloro che hanno preso parte attivamente alla loro nascita.
Osvaldo Rinaldi, psichiatra
29 aprile 2014 Zenit.org www.zenit.org/it/articles/l-adozione-come-rimedio-per-contrastare-la-maternita-in-affitto
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FIGLI
Il riconoscimento dei figli minori nati fuori dal matrimonio alla luce della L.219/2012.
La Legge 219/2012, nell'ambito della parificazione dei figli naturali ai figli legittimi ha modificato,
tra l’altro, il procedimento per il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio. Il procedimento che
trova regolamentazione negli articoli 250 e seguenti del codice civile, pertanto, subisce alcune modifiche che
ne cambiano incisivamente la procedura.
www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2012;219
Cambia innanzitutto l'interesse perseguito e tutelato dalla norma. Ogni procedimento attinente i figli
va espiato solo ed esclusivamente nell'interesse del minore, con un'integrale accoglimento delle regole sul
diritto di ascolto, previsto per gli ultradodicenni in modo incondizionato e per i minori di tale età qualora
siano in possesso della capacità di discernere, subordinando a tale interesse ogni diritto di legittimazione
attiva al procedimento. Cambia, altresì, la soglia di età prevista per il minore per la prestazione del consenso
al suo riconoscimento che viene fissata al quattordicesimo anno, così come viene anche prevista la possibilità
di riconoscere al minore di anni sedici previa autorizzazione del giudice valutate le circostanze e avuto
riguardo l'interesse sempre del figlio.
Competente è il Tribunale Ordinario che procede ai sensi degli artt.737 e seguenti c.p.c.
Stabilisce l'art. 250 nuova formulazione del c.c. "Il figlio nato fuori dal matrimonio può essere
riconosciuto, nei modi previsti dall'art.254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con
altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto
separatamente. Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il
consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. Il consenso non può essere rifiutato se
risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro
genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro
genitore. Se non viene proposta opposizione entro 30 giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che
tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna
informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto dodici anni, o anche di età inferiore,
ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la
relazione, salvo l'opposizione non sia palesemente fondata. Con sentenza che tiene luogo del consenso
mancante il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del
minore ai sensi dell'articolo 315 bis e al suo cognome ai sensi dell'art.262. Il riconoscimento non può essere
fatto dai genitori che non abbiamo compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi,
valutate le circostanze e avuto riguardo dell'interesse del figlio."
Come si nota confrontando la norma in oggetto rispetto alla vecchia stesura cambia in modo incisivo
il procedimento. Precedentemente era previsto che in caso di opposizione alla prestazione del consenso il
tribunale decideva con sentenza, su ricorso del genitore interessato al riconoscimento ed in contraddittorio
con il genitore opponente e con la partecipazione del pubblico ministero. Con la riforma della L.219/2012,
invece, appare completamente capovolta la situazione in quanto dalla notifica del ricorso per il
riconoscimento da parte del genitore interessato decorre il termine di decadenza di 30 giorni per l'eventuale
opposizione. Qualora l'opposizione non venga proposta il giudice emette sentenza che avrà valore in luogo
del consenso non prestato. Solo ove proposta l'opposizione il procedimento si apre con i conseguenti poteri
istruttori da parte del giudice. La procedura prevista oggi è estremamente più veloce e più agevole, ma
richiede estrema attenzione in ordine ai termini di decadenza, essenzialmente ridotti, in quanto il
riconoscimento è irrevocabile.
Resta l'azione sottoposta all'autorizzazione del giudice nel caso in cui il figlio è nato da persone tra le
quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado oppure un
vincolo di affinità in linea retta. Autorizzazione che va richiesta, in questo caso, ai sensi dell'art.251 c.c. al
Tribunale dei Minori.
avv. Concetta Spatola studio Cataldi
30 aprile 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15718.asp
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FISCO
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Bonus anche a incapienti per detrazioni familiari.
Un piccolo, modestissimo riconoscimento per i familiari a carico spunta fuori nelle pieghe del
decreto-legge sul bonus da 80 euro al mese, finalmente pubblicato giovedì sera in Gazzetta Ufficiale.
Decreto-Legge 24 aprile 2014, n. 66 Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. (GU
Serie Generale n.95 del 24 aprile 2014 -in vigore dal 24/04/2014
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/stampa/serie_generale/originario
Il testo definitivo conferma quasi tutte le anticipazioni della vigilia, a partire dall’esclusione per i
lavoratori incapienti (cioè coloro che, guadagnando solo fino a 8mila euro lordi l’anno, hanno l’Irpef
azzerata dalla detrazione da lavoro e quindi non pagano imposte), gli autonomi e per i pensionati.
Ma la novità è che il bonus scatterà comunque, in un caso specifico, anche per alcuni soggetti che
non pagano l’Irpef. Questo accadrà per la precisione agli incapienti per "carichi familiari", a coloro cioè
che si ritrovano in una situazione d’incapienza determinata non dall’applicazione dello sgravio per reddito di
lavoro dipendente, ma dall’aggiunta di un’altra detrazione qualsiasi per i familiari a carico. Il testo specifica
nella sostanza, con riferimento all’entità del reddito complessivo posseduto, che il credito spetta, infatti,
anche a coloro che hanno comunque un’Irpef residua, che viene poi cancellata dallo sconto concesso per i
carichi familiari.
Un esempio fa capire meglio: un lavoratore con un reddito da 11mila euro all’anno matura un’Irpef
lorda (prodotta dall’aliquota più bassa, quella al 23%) di 2.530 euro. Una volta applicata la detrazione da
lavoro, questo dipendente paga - se single - un’imposta di 785,30 euro e, quindi, non è incapiente (la sua
imposta lorda supera, infatti, la detrazione) e quindi riceverà il bonus varato da Renzi.
Gli 80 euro arriveranno, però, anche a un altro dipendente che, pur avendo lo stesso reddito di
11mila euro, non paga poi l’Irpef perché i suoi "teorici" 785,30 euro vengono azzerati dallo sconto concesso
per il coniuge o un familiare a carico. Anche costoro avranno diritto al bonus erogato dal governo. È una
buona notizia che riguarderà diverse persone: infatti, con il coniuge e 2 figli a carico, l’Irpef oggi rimane a
zero anche fino ai 16mila euro di reddito. Si tratta di una novità che scatta anche per via del fatto che,
tecnicamente, il bonus si configura alla fine come un "credito" a se stante in busta-paga, di fatto scollegato
dall’Irpef pagata da ogni lavoratore.
Tant’è che l’intenzione del governo, come ha confermato qualche giorno fa Matteo Renzi, è che dal
2015 - quando il provvedimento dovrebbe divenire strutturale - dovrebbe avvenire sotto forma di riduzione
dei contributi sociali, e non come una norma fiscale.
Un’altra precisazione del testo è che destinatari del bonus sono anche i percettori di redditi
"assimilati", con l’esclusione però dei compensi per l’attività libero professionale intramuraria del personale
dipendente del Servizio sanitario nazionale, e anche di indennità, gettoni di presenza e altri compensi
corrisposti da Stato, Regioni, Province e Comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni, oltre alle indennità
dei membri del Parlamento europeo.
Un ultimo chiarimento riguarda i contratti part time. Sempre sul piano tecnico, malgrado il
riferimento al reddito sia su base annua, l’erogazione del bonus avviene però mensilmente. Questo avrebbe
potuto comportare dei problemi per i titolari di più rapporti a tempo parziale, i lavoratori intermittenti e i
collaboratori coordinati e continuativi, ma il governo punta a far scattare il beneficio intero anche per loro.
Eugenio Fatigante
avvenire
26 aprile 2014
www.avvenire.it/famiglia/Pagine/bonus-a-incapienti-per-detrazioni-familiari.aspx
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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Tre consigli a Renzi per restituire i soldi alle famiglie.
Dobbiamo ammetterlo: siamo stati piacevolmente sorpresi dalla versione finale del decreto legge sul
bonus Irpef da 80 euro, finalmente pubblicato giovedì sera sulla Gazzetta ufficiale. Quindi definitivo. Sono
state, infatti, recepite le obiezioni che il Forum delle famiglie (e altri - pochi, per la verità) avevano più volte
sottoposto nel dibattito pubblico, sul fatto che molte famiglie con carichi familiari sarebbero state escluse dal
beneficio.
Decreto-Legge 24 aprile 2014, n. 66 Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. (GU
Serie Generale n.95 del 24 aprile 2014 -in vigore dal 24/04/2014
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/stampa/serie_generale/originario
Oggi invece risulta, dal testo definitivo, che il bonus non è misura fiscale, ma “credito a sé stante”,
svincolato quindi dalle altre possibili detrazioni: e quindi il beneficio sarà accessibile a una platea più ampia,
senza “iniquità burocratiche”.
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Bene, molto bene! Una modifica sul filo di lana, si potrebbe dire, con un doppio giudizio positivo:
non è mai troppo tardi, per migliorare una misura, e soprattutto un’innovativa dimostrazione di ascolto, da
parte del Governo, del Paese reale. Certo, non è positivamente orientato alla famiglia (per farlo avrebbe
dovuto dare uno sconto maggiore a chi ha carichi familiari più alti): ma almeno non esclude proprio le
famiglie con più carichi familiari, come sembrava fino a qualche giorno fa. Non era affatto scontato.
Quindi non ci accodiamo, oggi, ai “benaltristi”, a chi dice che 80 euro sono poca cosa, o a chi
sostiene che “ben altre sono le priorità”: siamo consapevoli che non è una misura perfetta, che molte famiglie
restano fuori da questa azione (il popolo delle partite Iva, le oltre 400.000 famiglie con figli che vivono senza
reddito da lavoro dipendente, gli “incapienti puri”, sotto gli 8.000 euro di reddito annuo…).
Però cogliamo una novità essenziale: una misura partita da un approccio esclusivamente
“lavoristico”, dal giusto obiettivo di ridurre il costo del lavoro e il cuneo fiscale, è diventata un po’ più
“family friendly”: più soldi in busta paga, ma almeno senza penalizzare le famiglie.
Le recenti parole di Renzi, e quelle del Sottosegretario Delrio, sull’equità fiscale, sul sostegno alle
famiglie, anche rispetto alle prossime discussioni sulla delega fiscale, entro l’estate, sembrano poi aprire un
ulteriore spiraglio, una possibilità questa volta più consistente: infatti, sembra di capire che “d’accordo, avete
ragione, questa diminuzione del cuneo fiscale potevamo farla meglio, abbiamo provato a farla un po’ più a
misura di famiglia: quindi ci impegniamo a farlo meglio nei prossimi mesi”. Del resto è pur vero che questa
operazione, a regime, ogni anno “restituisce” 10 miliardi di euro di minori tasse a circa 10 milioni di cittadini
con reddito medio-basso.
Usiamo intenzionalmente la parola “restituisce”, che lo stesso Renzi spesso sottolinea, quando parla
di questa misura. Ma ricordiamo che alle famiglie italiane occorre restituire ben altro, dopo anni e anni di
resistenza, e di dimenticanza della politica. È chiaro: una rondine non fa primavera, e il positivo - anche se
circoscritto - segnale lanciato dal decreto legge definitivo sugli 80 euro non consente soverchie illusioni. Il
sostegno e la promozione della famiglia nel nostro Paese sono rimasti per troppo tempo lettera morta: molte
parole, molte vuote dichiarazioni di principio, ma ben poco è stato fatto, negli ultimi decenni. Così, viviamo
in un Paese in cui di famiglia si parla molto - spesso a sproposito, come quando si parla dei cosiddetti “diritti
civili” - ma in cui rimane ben poco per l’istituzione famiglia - quella dell’art. 29 della Costituzione, per
intenderci.
Restiamo il Paese che nel mondo ha il più basso tasso di natalità; da noi la nascita di un figlio genera
spesso una “povertà familiare”, dove la famiglia non è colei che genera la povertà, ma la vittima di un
sistema iniquo. Intanto i servizi di cura diminuiscono, e si blatera tanto di servizi domiciliari e non
residenziali, per bambini, anziani, disabili, ma si fa ben poco per sostenere le famiglie che garantiscono cura
e assistenza quotidiana a milioni di persone fragili. È il Paese in cui la riforma del lavoro rischia di crollare
sul numero di proroghe dei contratti a tempo determinato, ma niente si fa per aiutare la conciliazione dei
tempi tra famiglie e lavoro. Se poi pensiamo alle condizioni per costruire un progetto di vita che vengono
offerte ai giovani, quelli che dovrebbero fare famiglia, la delusione e il cinismo diventano ancora più gravi.
Che speranza ha un Paese che non investe sulle nuove generazioni, sui bambini, sui giovani? Come
restituire alle famiglie, allora, reddito disponibile? Poche indicazioni, che intendiamo presentare al Governo
in modo organico nei prossimi giorni:
1. Ricordiamo che il costo minimo di mantenimento, per i beni essenziali, per ogni figlio, a prescindere
dal reddito minimo familiare (di “sopravvivenza dignitosa”, potremmo dire) è stato stimato in circa
300 euro mensili (Rapporto Cisf 2009). Si pretende quindi una misura che abbatta il reddito
familiare con 3.600 euro annui per ogni figlio, per recuperare un minimo di equità fiscale. Il costo
medio di allevamento (la spesa media per figlio, quindi), è pari a 800 euro mensili. Ben lontano dagli
80 euro di bonus!
2. Ricordiamo inoltre che le famiglie monoreddito sono pesantemente penalizzate dall’attuale sistema,
e lo si è visto con chiarezza anche con gli 80 euro (e questo difetto purtroppo rimane!): due redditi di
15.000 euro nello stesso nucleo possono ricevere fino a 160 euro mensili di beneficio (un bonus a
testa), un reddito di 30.000 euro resta integralmente escluso. E se su questi 30.000 euro di
monoreddito ci vivono anche due figli a carico, restano a secco anche loro!
3. Il Fattore Famiglia, modello di equità fiscale proposto dal Forum fin dalla Conferenza nazionale
sulla Famiglia del Governo di Milano 2010, consentirebbe da subito una riorganizzazione del
prelievo fiscale capace di garantire giustizia e equità alle famiglie con carichi familiari: non solo per
i figli a carico, ma anche per le condizioni di fragilità, vedovanza, presenza di disabili minori o
adulti, monogenitorialità, ecc. Un sistema applicabile da subito, senza riforme di sistema, ma che
esige un unico requisito “politico”: mettere finalmente la famiglia al centro dell’agenda di questo
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Paese, soprattutto in questo 2014, dopo una lunga crisi che ha scaricato proprio sulle famiglie, sui
loro risparmi, sulle loro capacità di cura, il peso più grave. Se non ora, quando?
Francesco Belletti
il sussidiario lunedì 28 aprile 2014
www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2014/4/28/TASSE-Tre-consigli-a-Renzi-perrestituire-i-soldi-alle-famiglie/494575
Il Forum incontra il ministro Poletti
Una delegazione del Forum ha incontrato ieri, in clima di cordialità e dialogo, il ministro del lavoro
Giuliano Poletti accompagnato dal sottosegretario Luigi Bobba. Al Ministro è stato manifestato il disagio
delle famiglie con figli in tutte le loro declinazioni che a tutt'oggi, da sessantenni a questa parte, vengono
penalizzate da politiche miopi.
La delegazione del Forum ha anche invitato il Ministro alle celebrazioni previste per il 15 maggio,
Giornata internazionale della famiglia.
Sono stati presentati documenti sulla fiscalità, sull'assistenza, sull'ISEE, etc. ribadito la necessità di
interventi strutturali che comincino veramente il percorso che porti ad un’equità fiscale.
E' stato rimarcato come la riforma del fisco con l'applicazione del FattoreFamiglia, proposta dal
Forum, possa essere graduata ed arrivare a regime senza sconvolgere i conti pubblici. E' stato rimarcato
come anche l'ultimo intervento degli “80 euro”, pur apprezzabile, abbia raggiunto solo marginalmente le
famiglie con figli andando a beneficio semplicemente dei redditi (e purtroppo solo a quelli da lavoro
dipendente) indipendentemente dai carichi familiari.
E’ stato consegnata al ministro una copia del “Piano nazionale per la famiglia”, approvato dai
governi precedenti che, seppur inopinatamente orfano della parte fiscale, rappresenta un qualificante punto di
partenza per sviluppare appropriate politiche familiari, di welfare, di conciliazione, per la casa, per il lavoro,
per la scuola e per i giovani. Il Piano, frutto anche del lavoro di associazioni e parti sociali, è in fase di
rivisitazione e verifica nell’ambito dell’Osservatorio nazionale per la Famiglia, in vista della prossima Terza
Conferenza Nazionale sulla Famiglia. Il Piano rappresenta quindi una valida guida su quel che si può e si
deve fare nel prossimo futuro per la famiglia e non solo.
Il Forum ha anche chiesto la reintroduzione nel Piano di una fiscalità equa, che tenga conto del
principio costituzionale della “capacità contributiva”, compito doveroso di governo e Parlamento. Il
FattoreFamiglia si presta a questo. Una sua introduzione graduale è possibile ed auspicata. Come? Al
ministro sono state consegnate diverse idee in proposito.
Il Ministro ha ascoltato con attenzione assicurando attenzione ed appoggio in una materia sulla quale
ha la piena responsabilità. In attesa dell’ufficializzazione della delega alla Famiglia ad uno dei sottosegretari
di questo ministero.
29 aprile 2014
www.forumfamiglie.org/news.php?news=829
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GOVERNO
Governo, le deleghe al welfare: il terzo settore va a Luigi Bobba.
Il terzo settore e il servizio civile a Luigi Bobba, la famiglia e l'integrazione a Franca Biondelli, i
temi del lavoro a Teresa Bellanova e Massimo Cassano. Due mesi dopo il giuramento del governo Renzi,
poco più di un mese e mezzo dopo la nomina dei sottosegretari, arrivano finalmente le deleghe ai singoli
sottosegretari del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. La comunicazione ufficiale da parte del
dicastero del Welfare ancora non c'è, ma i compiti sono stati definiti e cominciano ad arrivare le prime
informazioni dettagliate.
Luigi Bobba, [laurea in Scienze Politiche a Torino nel 1979, già professore a contratto all'Università
di Salerno nel 2002].già presidente delle ACLI (1998-2006) si occuperà di terzo settore e di formazioni
sociali, ma anche di servizio civile, di politiche giovanili e di formazione, orientamento e servizi per il
lavoro. “Sono – è il suo primo commento - deleghe importanti e qualificate, su temi che ho approfondito
anche negli anni passati: cercherò di mettere tutto l'impegno necessario per prendere decisioni rapide ed
efficaci”. “Sono soddisfatto del fatto – aggiunge Bobba – che il mio impegno nel sociale e l’attenzione ai
problemi dell’occupazione e del lavoro trovino continuità e riconoscimento anche ora che appartengo alla
compagine di governo”. Secondo il sottosegretario “le tematiche del welfare necessitano sicuramente di
riforme incisive e nuovi impulsi sui quali sto lavorando alacremente sin dal mio insediamento”. Fra le
priorità accennate da Bobba, l'affermazione della centralità del terzo settore, la lotta alla disoccupazione
giovanile con politiche attive che possano favorire l’occupazione, la riorganizzazione dei servizi per il
lavoro.
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A Teresa Bellanova, [sindacalista] il ministro Poletti ha affidato i temi della salute e sicurezza sul
lavoro, delle politiche attive del lavoro, dei servizi per l'impiego, degli ammortizzatori del mercato del
lavoro, dei tavoli di crisi e delle relazioni industriali, e delle pari opportunità. Quest'ultima delega è riferita
alle pari opportunità sul lavoro, quindi relativamente alle questioni di competenza del ministero del Lavoro
stesso. Come noto, infatti, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha trattenuto per sé le competenze del
Dipartimento per le Pari Opportunità, sotto la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Sono invece andate al sottosegretario Franca Biondelli, [sindacalista nella sanità] che si occuperà
fra l'altro anche di disabilità, le deleghe relative alle altre due strutture che il premier aveva deciso di
riportare sotto l'egida del dicastero del Welfare: si tratta degli uffici che si occupano di famiglia e
l'integrazione.
Se quindi è Luigi Bobba il nuovo referente politico dell'Ufficio nazionale per il servizio civile e del
Dipartimento della gioventù, sarà Franca Biondelli a rapportarsi con gli uffici del Dipartimento per la
famiglia (che sotto il governo Letta era rimasto sotto la responsabilità di Letta e del sottosegretario
Patroni Griffi), e con quelli dell'ex ministero per l'Integrazione, guidato sotto Letta dal ministro Cecile
Kyenge.
ska
redattore sociale
27 aprile 2014
www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/459371/Governo-le-deleghe-al-welfare-il-terzosettore-va-a-Luigi-Bobba
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PARLAMENTO
Camera Deputati 2° Comm. Giustizia
Divorzio breve
29 aprile 2014. Audizione nell’ambito dell’esame delle proposte di legge C. 831 Amici, C. 892
Centemero, C. 1053 Moretti, C. 1288 Bonafede, C. 1938 Di Lello e C. 2200 Di Salvo, recanti modifiche
all’articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di presupposti per la domanda di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di rappresentanti dell’Associazione italiana
degli avvocati per la famiglia e per i minori, della Lega italiana divorzio breve e dell’Associazione italiana
dei magistrati per i minorenni e per la famiglia.
www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2014&mese=04&giorno=29&view=filtered&commiss
ione=02&pagina=#data.20140429.com02.bollettino.sede00010.tit00010
Senato 2° Comm. Giustizia
Unioni civili
14 Manconi e Corsini. Disciplina delle unioni civili
197 Maria Elisabetta Alberti Casellati ed altri. Modifiche al codice civile in materia di disciplina del
patto di convivenza
239 Giovanardi ed altri. Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà
314 Barani e Alessandra Mussolini. Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi
909 Alessia Petraglia ed altri. Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto
1211 Marcucci ed altri. Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti
di convivenza
1231 Lumia ed altri. Unione civile tra persone dello stesso sesso
1360 Emma Fattorini ed altri. Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso
- e petizione n. 665 ad essi attinente
29 aprile 2014. Prosegue l'esame, sospeso nella seduta dell’8 aprile 2014.
Il presidente Nitto Francesco Palma comunica alla Commissione che, nel corso della riunione dell'Ufficio
di Presidenza di questa mattina, si è convenuto di convocare, per martedì 6 maggio, una seduta notturna in
cui proseguirà l'esame dei disegni di legge in titolo. In quella sede ciascun Gruppo potrà far conoscere il
proprio orientamento in ordine all'adozione del testo unificato relativo alle unioni civili e alle coppie di fatto
Adozione dei minori da parte delle famiglie affidatarie
1209 Francesca Puglisi e altri Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozioni dei
minori da parte delle famiglie affidatarie (in sede referente)
29 aprile 2014. Prosegue l'esame, sospeso nella seduta del 3 aprile 2014.
Il presidente Nitto Francesco Palma, alla luce degli esiti dell'Ufficio di Presidenza, riunitosi questa
mattina, dispone il rinvio del termine, già fissato per martedì 13 maggio alle ore 16, per la presentazione
degli emendamenti al disegno di legge in titolo; dunque il nuovo termine per la presentazione delle proposte
emendative è fissato per il 20 maggio, alle ore 18.
Ricorda, peraltro, che sempre in sede di Ufficio di Presidenza si è convenuto di svolgere, nella giornata di
martedì 6 maggio a partire dalle ore 12, un ciclo di audizioni.
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www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=762996
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SEPARAZIONE
Quale discrezionalità del giudice nel disporre le indagini patrimoniali?
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n.8875, 16 aprile 2014
Costituisce una mera facoltà discrezionale l'esercizio del potere di ufficio del Giudice, di disporre le
indagini patrimoniali sui Redditi delle parti a mezzo Polizia Tributaria e CTU, in quanto costituisce una
deroga alle regoli generali sull'onere della prova.
Sentenza n. 23543 del 22 novembre 2013 della Prima sezione del Tribunale di Roma, Giudice
Relatore Galterio: nel processo della famiglia esiste un vero e proprio "dovere di lealtà processuale" che si
può ben esplicare "sino al dovere di fornire alla controparte elementi contrari al proprio interesse" come si
ricava dall'obbligo di legge (art.5 co. 9 lex 898/1970) di "allegare non solo la dichiarazione personale dei
redditi, ma anche ogni documentazione relativa ai loro redditi ed al loro patrimonio personale e comune".
Le Sentenze richiamate affrontano, ancora una volta, il tema estremamente dibattuto "dell'effettività
dell'esercizio" del potere di disporre idonea Consulenza Tecnica di Ufficio che, avvalendosi del contributo
della Polizia Tributaria, possa consentire al giudice di "determinare con un apprezzabile grado di esattezza i
redditi delle parti" di un processo di separazione o di divorzio.
L'arresto del 16 aprile, in buona sostanza si limita a confermare quanto più volte già espresso dalla
medesima Corte sul punto, infatti, così si esprime: "in relazione alla censura (mancato esercizio del potere di
disporre indagini patrimoniali) deve essere ribadito che l'esercizio del potere di disporre "indagini
patrimoniali" avvalendosi della Polizia Tributaria, che costituisce deroga alle regole generali sull'onere della
prova, rientra nella discrezionalità del giudice del merito; l'eventuale omissione di motivazione sul diniego di
esercizio del relativo potere, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità ove, sia pure per implicito, tale
diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell'iniziativa, per ritenuta sufficienza
dei dati istruttori acquisiti."
Ed a conferma di un tale indirizzo, la Corte si richiama ai propri precedenti costituiti dalle Sentenze
n. 16575 del giugno 2008 e n. 14336 del giugno del 2013.
Quanto alla "motivazione del diniego" ritenuta congrua nel caso de quo, rileviamo come i Giudici
dell'Appello abbiano: "esaminato le condizioni reddituali delle parti, alla luce delle risultanze processuali e –
con motivazione congrua e logica – (abbiano) rilevato che a far tempo dal 2004 la moglie non aveva reperito
un lavoro stabile, mentre il marito aveva beneficiato, negli ultimi anni esaminati, di un aumento dello
stipendio".
Circostanza questa che, secondo i Giudici della Cassazione, "ha determinato la decorrenza del diritto
all'assegno nell'anno 2006, epoca nella quale si era accentuato il divario tra le condizioni economiche dei
coniugi".
Non v'è chi non veda però come, anche solo nel ricostruire l'opera ermeneutica della Corte, manchi
ogni elemento di un'analisi che sia concreta e che compari i diverse spessori patrimoniali delle parti.
Ci si limita ad una valutazione generica, mancando appunto nel processo di merito qualsivoglia
acquisizione degli "effettivi redditi delle parti" il cui ingresso viene lasciato alla mera "discrezionalità" del
giudice, posta la ritenuta straordinarietà delle "deroga" ai principi generali dell'onere probatorio.
Diversamente ragionando, con la recentissima sentenza della Prima Sezione del Tribunale di Roma
(n. 23543 del novembre 2013) il Giudice del merito, proprio contando sull'opera di accertamento svolta dalla
Polizia Tributaria ha potuto acquisire dall'esame dei Conti correnti di una delle parti "trasmessi dalla Guardia
di Finanza all'esito delle indagini demandategli" la certezza della "sussistenza di somme in entrata … di gran
lunga superiori a quelle figuranti sotto la voce compensi del quadro RE relativo ai redditi derivanti
dall'attività professionale" svolta dal soggetto”.
Questo ad ulteriore conferma di come il mero deposito dei Modelli Reddituali, non consenta al
giudicante, alcuna analisi dei redditi delle parti
Giorgio Vaccaro
| 29 aprile 2014
www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/famiglia/2014-04-28/separazione-quale-discrezionalitagiudice-143040.php
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SINODO DEI VESCOVI
Se muore il matrimonio.
Entra nel vivo il confronto sul prossimo Sinodo sulla famiglia.
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Due voci teologiche a confronto sulle modalità delle chiese di affrontare il fallimento del matrimonio:
J. Noriega e B. Petrà. Come ha ricordato il card. Walter Kasper ai cardinali (il vangelo della famiglia,
Queriniana, 2014) il sinodo, come il concilio, può aprire nuove vie senza violare la tradizione dogmatica.
La posta in gioco.
Il santo padre ha convocato un sinodo sulla famiglia, dando prova di lungimiranza e audacia. Se,
infatti, la Chiesa è un ospedale da campo in cui curare le ferite, quelle provocate nella famiglia sono tra le
più gravi. Senza vita familiare, inoltre, si priva l’evangelizzazione della sua grammatica fondamentale: come
annunciare, senza famiglia, che Dio è Padre; che ha mandato suo Figlio per generare la Chiesa come Sposa e
per renderci fratelli?
Dopo la gioia dell’annuncio, si è però verificata una sorprendente svolta. Il dibattito sembra ora
volersi imperniare su una vecchia questione: ci si chiede se riammettere o meno alla comunione alcuni
divorziati in nuova unione civile.
La questione potrebbe sembrare marginale, tanto da accettare una soluzione senza troppo impegno:
si tratta di un tema disciplinare, che tocca solo alcuni casi, che renderà il volto della Chiesa più
misericordiosa.
In ogni modo, non si può negare che la posta in gioco, in questo dibattito, sia davvero alta. I mezzi di
comunicazione lo hanno perfettamente intuito: i cambiamenti prodotti sarebbero profondi. Qual è la posta in
gioco?
La dottrina: come viverla
Ciò che è in gioco, nella fattispecie, non è un semplice problema disciplinare e neanche una
questione dottrinale, ma piuttosto il senso stesso di quello che è la dottrina. Non vuol dire che la cosa non si
possa discutere: di fatto, il papa vuole che se ne parli. Non possiamo però illuderci, pensando che si tratti
soltanto di elementi di disciplina pratica.
Il fatto è che la dottrina cristiana non consiste soltanto in una serie di idee, né si trasmette unicamente
con le parole, come se si trattasse di formule. La dottrina si comunica mediante il linguaggio reale e
incarnato dei segni, ossia i sacramenti e, in particolare, l’eucaristia.
Soltanto così si può comprendere che la dottrina nasce dall’esperienza viva di un incontro e che non
si tratta di una speculazione astratta. La dottrina è importante perché esprime e difende la purezza
dell’incontro, la sua profondità, la sua autenticità, il suo significato. La comunione eucaristica,
partecipazione al corpo di Cristo, luogo in cui si genera la Chiesa è, pertanto, una professione visibile di
fede. Ecco perché decidere chi può e chi non può accostarsi alla comunione è un atto dottrinale. È qui che si
esprime l’identità della Chiesa, la salvezza che essa riceve da Dio, la verità che proclama e il tenore di vita
che propone.
Insieme al linguaggio eucaristico, appare un altro simbolo, un altro luogo di incontro: il matrimonio
è anch’esso un sacramento. Ancora una volta, in questo caso, la posta in gioco è più di un mero problema di
disciplina. Anche nel matrimonio, infatti, si confessa, in modo tangibile, l’identità della Chiesa, l’amore con
il quale Cristo l’ha amata e la fedeltà incrollabile della sua alleanza.
La comunione eucaristica degli sposi è, di conseguenza, una duplice testimonianza vivente –
riguarda due sacramenti – del cuore della dottrina cristiana. Di fatto, in essa si radica il legame tra il corpo di
Cristo comunicato nell’eucaristia, il corpo della Chiesa che vi si genera, e il corpo dell’uomo e della donna
uniti in una sola carne.
L’interrogativo che emerge è, dunque, il seguente: affermare l’indissolubilità del matrimonio,
secondo la parola di Gesù e ammettere alla comunione alcuni divorziati che hanno contratto una nuova
unione, non significa privare la dottrina della propria carne, ossia privare la parola di Dio del suo vincolo
concreto con la vita? Coloro che la considerano semplicemente una questione disciplinare, non dovrebbero
rivedere il loro concetto di dottrina?, o meglio, non dovrebbero rivedere il loro concetto di vita?
Le persone: come accompagnarle
Il fatto che la questione sia dottrinale, non la rende di certo meno pastorale: al contrario. La dottrina
cristiana, poiché scaturisce da un’esperienza e da una parola ricevuta, è luce che incide direttamente nella
vita delle persone. Non si tratta, certamente, di scegliere se difendere la disciplina dei sacramenti, da un lato,
o mostrare misericordia verso le persone, dall’altro. Si tratta, invece, di scegliere tra due modi diversi di
prendersi cura delle persone; tra due diagnosi e due terapie differenti.
È necessario comprendere appieno il dolore di questi battezzati. La loro ferita non è soltanto quella
del precedente fallimento matrimoniale. C’è invece, e soprattutto, una nuova piaga causata dalla nuova
unione: infatti, perché Gesù l’avrebbe proibita, se non per il male che causa al cuore umano? Volendo
ricreare un’unione dopo il divorzio, questi battezzati tendono a cancellare il passato e a ripartire da zero;
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cercano di seppellire la memoria di quella promessa radicale che avevano suggellato, promessa in cui è
contenuto per sempre il loro nome e la loro chiamata, davanti a Dio e davanti agli uomini. Ecco, in questa
nuova unione, una nuova ferita, ancor più pericolosa, poiché è più difficile da riconoscere e poiché la
tentazione di giustificarla è ancora più grande.
È possibile, nella fattispecie, identificare un criterio per comprendere quale sia il miglior modo per
guarirli? Se si consentisse a questi battezzati di accostarsi all’eucaristia, il loro cammino si concluderebbe
ipso facto; non continuerebbero a cercare oltre e non potrebbe germogliare in loro l’inquietudine necessaria
per scoprire la loro ferita aperta e per provare il bisogno di essere curati.
È vero che non c’è ferita, per quanto profonda possa essere, che la misericordia di Dio non possa
guarire. Proprio per questo però, colui che si affida al suo amore non ha bisogno di nascondere le sue piaghe.
L’importante è capire la valenza di queste ferite, al fine di ricorrere al rimedio più adatto. Il problema non è
solo che i divorziati risposati abbiano agito contro la parola di Gesù, ma piuttosto che, entrando in una nuova
unione civile, vivono in uno stato stabile contrario a questa parola. La novità risiede nella stabilità che
presuppone la loro scelta. Parlare di misericordia, in questo caso, vuol dire confondere il vero significato di
questa parola. Una misericordia di questo tipo sarebbe, infatti, incapace di guarire la ferita, di rigenerare la
persona nel suo vero protagonismo di sposo e sposa, di colmare la vita e di portarla a pienezza, di conferire
unità al racconto della loro storia.
C’è, però, una via percorribile: il fatto di non poter ricevere la comunione ricorda a queste persone la
necessità di mettersi in cammino. Per intraprendere questa via, la Chiesa le invita a pregare, ad avvicinarsi a
Dio. Solo a partire da una vicinanza a Cristo, potranno ricevere la vera misericordia: grazia potente, che
consentirà loro di cambiare le loro vite, di riconoscere la promessa, accettando che non è possibile costituire
tra di loro "una sola carne". Solo così potranno uscire da questa situazione.
Ecco, dunque, la domanda pastorale che scaturisce da questo dibattito: è possibile dare la comunione
a questi battezzati senza che pensino che la loro scelta di vita sia giustificata, che non abbiano bisogno di
conversione in questo campo, che la ferita possa essere sepolta senza essere guarita?
La cultura: come edificarla
Quando accompagna le persone, la Chiesa le apre sempre al di là di se stesse, verso il bene di tutti gli
uomini. Poiché la famiglia è il fondamento della società, il luogo originario in cui si costituiscono i legami
umani, non si può perdere di vista il risvolto sociale di questo dibattito.
La disciplina della Chiesa offre un’opportunità ai divorziati in nuova unione di aprirsi, al di là dei
loro problemi specifici, al bene comune degli uomini. Accettare di non ricevere la comunione significa
abbandonare il desiderio di far sì che la loro situazione sia riconosciuta come valida; significa testimoniare,
in un certo senso, l’indissolubilità del matrimonio e la possibilità concreta di un amore per sempre. Si tratta
di una testimonianza che potranno trasmettere anche ai loro figli: essi apprenderanno il potere della fedeltà di
Dio e la stabilità delle loro promesse. Il messaggio è chiaro dunque: siamo noi, non il Signore, ad essere
cambiati. Lui continua ad essere fedele.
Ecco che appare un altro aspetto della misericordia, quello della “misericordia nei confronti della
cultura”: è questa la misericordia che consente di insegnare ai giovani che è possibile amarsi per sempre;
quella che consente di dire alle coppie in difficoltà che ha un senso continuare a lottare per il loro amore;
quella che consente di testimoniare al mondo la grazia del perdono di Gesù.
Arriviamo così alla terza domanda: se si affermasse l’indissolubilità del matrimonio, ma si
ammettessero alla comunione alcuni divorziati, come evitare che la società pensi che, in pratica, la Chiesa ha
ceduto dinanzi al divorzio? E poi, come evitare l’effetto valanga?
La vera posta in gioco nel sinodo
La posta in gioco qui, non è una semplice questione marginale. Nel colloquio a tu per tu con la
Samaritana, Gesù mette il dito nella sua piaga: «Hai detto bene, infatti, hai avuto cinque mariti e quello che
hai ora non è tuo marito».
Ma non si tratta neanche di una semplice questione disciplinare. È quello che intendevano i farisei,
guardando sempre alle eccezioni. Gesù, invece, risveglia la loro memoria intorpidita, chiarendo il dialogo
culturale.
La posta in gioco, qui, è il disegno originario del Padre su ogni persona e la potenza della sua grazia
nel guarire le nostre ferite. Quando si parla dell’unicità di ogni persona e di ogni situazione, e si dice che è
necessario distinguere e decidere caso per caso, non si sta forse seguendo un cammino diverso da quello
indicato da Gesù? Sarà feconda questa via?
Cosa possiamo aspettarci dal sinodo? C’è chi si è spinto fino ad affermare che, se non si affronta la
questione della comunione dei divorziati risposati con coraggio e franchezza, sarà meglio non avere nessun
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sinodo. Strana conclusione. Dinanzi al naufragio della famiglia in Occidente, la Chiesa non ha forse una
parola di speranza da pronunciare?
Invece sì, insieme al santo padre, noi vogliamo un sinodo sulla famiglia: un sinodo che generi
speranza nei giovani, affinché si sappiano accompagnati nell’avventura del “sì” al matrimonio. Un sinodo
che generi speranza negli sposi, affinché vedano una Chiesa viva che non li lascia soli. Un sinodo che
avvicini la Chiesa ai genitori nel difficilissimo compito di generare i figli alla vita grande e bella. Un sinodo
che, nell’inverno demografico, sia capace di suscitare una cultura della generatività. Un sinodo che
promuova l’ospedale da campo nel quale le famiglie ferite possano trovare guarigione. Qui c’è fecondità.
È questa la vera posta in gioco per il prossimo sinodo: la fecondità o la sterilità.
prof. José Noriega,
Ordinario di teologia morale speciale presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Roma.
Basilio Petrà: le diverse soluzioni delle Chiese.
I matrimoni talora falliscono e muoiono. Tutte le culture ne hanno avuto percezione e il cristianesimo
non ha fatto eccezione. Storicamente – ha ricordato mons. Basilio Petrà in un’ampia e accurata relazione a
Padova (Facoltà teologica, 14 novembre 2012) – le strategie adattate sono state due.
1. La strategia orientale interpreta le eccezioni di Matteo (Mt 5,32; 19,9) come vere eccezioni
all’indissolubilità del matrimonio. Questa interpretazione facilita il formarsi di una peculiare mentalità:
da una parte, il divorzio non è buono e non corrisponde al progetto originario di Dio; dall’altra, però,
esiste la possibilità del fallimento matrimoniale con un nuovo inizio, almeno per il peccatore di
porneia o adulterio (si tratta di coniugi), una possibilità che si ritiene sia stata riconosciuta dal
Signore stesso. La posizione riduce il rilievo delle nullità matrimoniali e non richiede un particolare
sviluppo della dottrina canonistica.
2. Esiste una seconda strategia, quella latina. Per questa interpretazione, le eccezioni matteane non
sono vere eccezioni, giacché si consente sì la separazione ma non il divorzio, cosicché non sono
possibili nuove nozze vivente il primo coniuge. Centrale in questa strategia è che l’uomo non ha il
potere “oggettivo” di sciogliere qualcosa che Dio ha congiunto. Unica soluzione è la separazione,
senza nuove nozze. La posizione ha fatto sviluppare molto la dottrina canonica centrata sulla validità
del consenso coniugale, quindi la prassi giuridica delle nullità matrimoniali. Riconoscendo, tuttavia,
sempre il potere del romano pontefice sul matrimonio rato e non consumato e sullo scioglimento dei
matrimoni naturali validi in favorem fidei. (ndr “Settimana”)
Strategia orientale e latina
La prima strategia è diretta, giacché parte dall’idea che il fallimento può essere riconosciuto come
tale e che è possibile alla Chiesa aprire – a certe condizioni – a nuove nozze: infatti, Dio stesso nelle parole
del Signore Gesù riconosce la possibilità del fallimento sostanziale e offre una nuova possibilità. Il
fallimento non è secondo il disegno originario di Dio, ma una volta che si dà e l’ideale non è più
raggiungibile, allora si apre una nuova possibilità. È un atto di benignità e condiscendenza pastorale, di Dio e
della Chiesa: non è un diritto del fedele e non si estende a tutti i casi di divorzio ma solo a quelli che la
Chiesa ritiene fondati su “giuste cause”. Tuttavia, è un atto che offre una reale nuova possibilità di accedere
ai beni del disegno di Dio sul matrimonio. Percorrendo questa via, chiaramente, c’è minor bisogno di
sviluppo canonistico, così come un minor bisogno di una rilevante presenza dei tribunali ecclesiastici
matrimoniali.
La seconda modalità è indiretta, giacché, di fronte al fallimento del matrimonio valido, sa solo
indicare originariamente (escluso il caso, anch’esso originario, del privilegio paolino [codice diritto
canonico § 1143, § 1147]) la separazione e si sviluppa per insufficienza “pratica” della separazione come via
di soluzione. È una via che richiede un notevole sforzo intellettuale, giacché deve riuscire a far spazio al
fallimento in un contesto nel quale l’unico fallimento che apre a nuove nozze è quello della morte
(ovviamente non per colpa del coniuge), cioè un tipo di fallimento che non pone eccessivi problemi pastorali
e che non si potrebbe chiamare davvero fallimento. Lo sforzo intellettuale è stato ed è indubbio: si è
elaborato un modello di consenso matrimoniale ideale e si è tratto il più possibile dallo sviluppo della
riflessione sul potere del romano pontefice.
Con la categoria di nullità e con le articolazioni del potere del romano pontefice si è coperto un
numero cospicuo di casi, dal fallimento dei matrimoni naturali fino al fallimento dei matrimoni sacramentali
(quando non siano consumati e quando siano dimostrabili nulli). Ma ciò ha significato una presenza
rilevantissima del diritto canonico nella gestione del matrimonio e una forte consistenza delle strutture
giudiziarie matrimoniali.
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Si tratta, dunque, di due strategie modali aventi strutturalmente la stessa funzione ma inevitabilmente
diverse nell’ampiezza di capacità, dato il punto di partenza diverso. Infatti, mentre la prima include anche le
unioni sacramentali valide ma fallite aprendo a nuove opportunità, la seconda via non può giungere a tanto,
perché le unioni sacramentali valide e consumate, non essendo appunto nulle o inconsumate, consentono
solo la separazione senza nuove nozze.
In questo senso, c’è una radicale diversità di capacità nella seconda rispetto alla prima. E ciò spiega
come il passaggio dall’una all’altra strategia non è possibile: il passaggio ad una include la negazione
dell’altra.
La questione attuale della strategia latina: esiste per essa un modo per riconoscere senza
contraddizione il fallimento di un matrimonio rato e consumato e l’apertura di una nuova possibilità?
Come si sa, oggi c’è una notevole ricerca in ambito cattolico: si vuole trovare una possibilità di
accoglienza dei fallimenti matrimoniali in generale, aprendo ad una qualche forma di riconoscimento delle
nuove unioni, anche nel caso in cui non si possa mostrare in foro esterno l’invalidità e l’inconsumazione né
si possa applicare il favor fidei.
Ciò spiega perché si diano oggi, nella Chiesa latina, tre posizioni o livelli di considerazione delle
coppie che si sono civilmente ricostituite dopo il fallimento di un primo matrimonio valido e consumato.
Sono livelli, come vedremo, non ugualmente recepiti.
Fallimento: i tre livelli
1. Il primo livello è accettato da tutti ed è quello che il magistero stesso propone e offre all’impegno
pastorale delle comunità locali: è il livello del coinvolgimento di tali coppie irregolari nella vita della
Chiesa, giacché non sono da ritenersi scomunicate. Anche se la loro condizione non può essere
considerata coerente con la fede, tuttavia esse sono in comunione con la Chiesa e la Chiesa le invita
a prendere parte alla vita ecclesiale seppure in situazione di digiuno eucaristico o di sola comunione
spirituale.
2. Il secondo livello è quello dell’ammissione di tale coppie alla comunione eucaristica. Questo
secondo livello è permesso chiaramente dal magistero solo nel caso in cui la coppia mostri
concretamente di non considerarsi veramente sposata, rinunciando – almeno in linea di principio –
all’esercizio degli atti dottrinalmente propri dei coniugi, cioè gli atti di unione sessuale. Si può
ritenere ancora oggi non incompatibile con il magistero anche il caso nel quale il ministro ammetta
una coppia o un suo membro all’eucaristia, avendo raggiunto la certezza morale dell’invalidità della
prima unione e, insieme, della sua non dimostrabilità in foro esterno per giusti motivi. Non recepite
dal magistero romano – ma talvolta utilizzate a livello locale – sono proposte diverse, come
l’ammissione all’eucaristia in seguito a valutazione “accompagnata” della situazione di coppia alla
luce dell’epikeia [equità, benigna interpretazione], oppure in seguito all’assolvimento di percorsi di
tipo penitenziale o all’applicazione – spesso non precisata – dello spirito dell’economia orientale e
della benevolenza pastorale. In generale, si deve dire che il magistero romano non ritiene di poter
ammettere all’eucaristia una coppia di divorziati risposati ogni qualvolta con questo atto si configuri
come una simultanea accettazione di due matrimoni validi, perché non vede come possa essere data
accoglienza ad una tale situazione senza ferire la verità. Qualunque sia la posizione che uno può
personalmente avere, questa preoccupazione del magistero cattolico è certamente legittima.
3. Il terzo livello è quello della possibilità che si diano nuove nozze nella Chiesa anche per i divorziati
risposati. Riguardo a questo livello, che appare di primo acchito come assolutamente chiuso da parte
del magistero, è opportuno fare alcune distinzioni. Tra chi lo propone, c’è chi considera questa
possibilità semplicemente come un ampliamento del percorso penitenziale: se il percorso conduce
alla riammissione al sacramento dell’eucaristia, perché non consentire l’accesso al sacramento del
matrimonio? Il magistero, ovviamente, non accettando il percorso semplice, non ammette nemmeno
l’ampliamento.
Altri propongono di operare nella continuità della strategia tipicamente latina, allargando la sua capacità
risolutiva sul piano canonico, lavorando su nozioni come consumazione, fede, fedeltà, donazione, amore
coniugale e approfondendo le condizioni che validificano l’atto di assunzione delle responsabilità coniugali.
Il magistero non sembra totalmente chiuso a questa via, anche se procede con molta attenzione e cautela.
Di fatto, fino ad oggi, è la via che ha avuto qualche effetto significativo. La preferibilità magisteriale per tale
via è mostrata anche dall’insistenza con la quale Josef Ratzinger, prima come cardinale, poi come
Benedetto XVI, è tornato a porre la questione del rapporto tra fede e sacramento del matrimonio. Il
magistero sembra inoltre su tale piano disponibile a cercare di alleggerire il possibile peso giudiziario delle
procedure oggi ammesse.
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prof. Basilio Petrà, Ordinario di morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale (Firenze).
La soluzione proposta dall’autore va oltre i tre livelli indicati e radicalizza un potere che la Chiesa già esercita
nel caso della morte del coniuge. Il matrimonio, di per sé, non finisce con la morte, giacché costituisce – oltre
che un vincolo giuridico – un legame personale che viene sanzionato dal diritto ma va oltre il diritto, e le
persone in quanto tali non muoiono; se la Chiesa, dunque, consente le nuove nozze dei vedovi, può
analogamente legittimare le seconde nozze in alcuni casi di fallimento irreversibile del rapporto coniugale. La
raffinata argomentazione suppone i testi per esteso ed è stata recentemente ripresentata nel volume
“Divorziati risposati e seconde nozze nella Chiesa. Una via di soluzione” (Cittadella 2012). (ndr “Settimana”)
settimana n. 17
4 maggio 2014
www.dehoniane.it/php/view_pdf_riviste.php?md5=4d496e2cf51cf928320c9aedd8b9c75e
{Non si può trascurare il fatto che la (modesta per lo più) preparazione al matrimonio
sacramento è raramente adeguata alla complessità e alla profondità dei cambiamenti che esso
comporta e riversa nella vita degli sposi (Matteo 19, 10). Si potrebbe allora ipotizzare, a livello
preventivo, una distinzione nel tempo fra il matrimonio e civile e quello canonico. Nell’intervallo
intercorrente fra i due momenti così impegnativi, l’esperienza concretamente vissuta dell’unione
coniugale e, talora anche della genitorialità, e una preparazione religiosa specifica al sacramento meglio
condurrebbero alla visione cristiana della vita di famiglia aperta al prossimo, alla socialità, al servizio
agli altri, anche negli aspetti politici. ndr}.
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