Tesi Zantedeschi

Università degli Studi di Verona
Corso di Laurea in Scienze delle Attività Motorie e Sportive
Tesi di Laurea
IL GIOCO E LO SPORT COME MEDIATORI DI PACE
Relatori:
Ch.mo Prof. Dino Mascalzoni
Ch.mo Prof. Massimo Lanza
Laureanda:
Zantedeschi Sonja
Anno Accademico 2012 /2013
INDICE
INTRODUZIONE...................................................................................................................3
LO SPORT ED IL GIOCO IN RELAZIONE AD INTENTI ED EVENTI BELLICI
NELLA STORIA......................................................................................................................7
•
Percorso storiografico..................................................................................................7
•
Alcuni episodi: lo sport intrecciato alla politica....................................................18
•
Sport di derivazione militare....................................................................................20
SPORT E GIOCO IN CONTESTI DI GUERRA..............................................................23
•
Guerra: necessità biologica o invenzione?..............................................................23
•
Proteggersi giocando: un ludobus a Gaza..............................................................24
•
L'esperienza di "War game, no more!"....................................................................25
•
"Giocare" nell'esperienza di guerra di due adulti..................................................27
•
Il contributo dello sport nei processi di pacificazione e di sviluppo.................29
•
L'esempio di Sportmeet.............................................................................................32
GIOCO E SPORT NEI CONTESTI DI DISAGIO SOCIALE.......................................35
•
Il circo sociale..............................................................................................................35
•
Sports4peace e fair play.............................................................................................37
•
Terremoti: l'esperienza dell'Università di Verona.................................................41
CONCLUSIONI: la figura del cooperante sportivo........................................................43
APPENDICE...........................................................................................................................47
BIBLIOGRAFIA....................................................................................................................59
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INTRODUZIONE
Questo lavoro vuole esplorare il tema del gioco e dello sport vissuti in contesti di
guerra e di disagio più in generale. Questa scelta è venuta da alcune esperienze che
ho fatto sul campo e anche da esperienze mancate, che hanno avuto però l'effetto di
interessarmi ancora di più all'argomento.
Durante il mio percorso universitario ho avuto l'occasione di partecipare al progetto
"Estate Insieme", di Univr in collaborazione con il Coni di Modena, che ha visto la
realizzazione di undici settimane di campi estivi per bambini e ragazzi dei paesi
emiliani colpiti dal sisma del 2012. Durante la mia settimana mi sono chiesta più
volte quale fosse il modo più efficace di stare con questi bambini, di giocare con loro,
se i giochi che proponevamo fossero adatti, se stavamo davvero tenendo conto del
loro vissuto... avevo infatti il compito di seguire più specificatamente i bambini che si
mostravano più problematici, e questo forse ha risvegliato in me più domande.
In seguito ho svolto settantacinque ore di tirocinio presso la casa circondariale di
Montorio, entrando periodicamente nella sezione femminile da marzo ad agosto. Ho
seguito un corso di aerobica in primavera, nell'aula scolastica dove le detenute fanno
di solito lezione, più tardi ho giocato con loro a pallavolo durante l'ora d'aria
pomeridiana. Forse ancora di più, questa esperienza ha suscitato in me delle
domande, perchè è ben diverso fare attività fisica con un gruppo di donne in carcere
e un gruppo di donne fuori da questa struttura. C'erano ragazze giovanissime e
donne anziane insieme, erano di molte nazionalità diverse e alcune non sapevano
l'italiano, l'ambiente non era adatto e bisognava tenere conto di molti più fattori. Mi
chiedevo quali esercizi proporre per un gruppo così eterogeneo, era difficile
soddisfare le loro richieste. Mi domandavo anche in che modo uno studente di
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Scienze Motorie potesse offrire le sue risorse in un ambiente così speciale, che
competenze avessi io per trattare con loro, che strumenti avessi e quali qualità
relazionali e professionali avrei dovuto avere. Volevo offire qualità anche in questo
contesto che, come sappiamo dai giornali, dalla qualità è ben lontano sotto molti
aspetti.
E quali erano le valenze dell'attività fisica che potevo far risaltare di più? Quali erano
le risorse dello sport che potevano essere più utili per queste persone? Quanto
contava, che posto aveva lo sport nel loro percorso in carcere? Una maggior
consapevolezza delle potenzialità dello sport e del gioco in contesti di disagio e una
programmazione più accurata avrebbero potuto essermi d'aiuto. Per questo ho
cercato di scoprire quali erano le valenze e le caratteristiche del gioco e dello sport
più importanti per queste situazioni di lavoro.
Dopo un piccolo excursus storiografico su come lo sport si è intrecciato alle guerre
durante la storia dell'uomo, ho analizzato situazioni di guerra nelle quali si è
insinuato il gioco, portando alcune esperienze concrete ad esempio.
Ho intervistato due persone che hanno vissuto dei conflitti bellici e ho indagato sulle
loro abitudini ludiche di quel periodo. Ho poi intervistato anche persone che operano
con il gioco e con lo sport in ambienti di guerra e ho evidenziato i motivi per i quali
secondo loro è importante giocare e fare sport in queste situazioni, che modo di
operare adottano, che componenti della persona vogliono stimolare e quali vengono
messe in gioco, che risultati si possono raggiugere all'interno di un processo di
pacificazione o di sviluppo.
Uno degli esempi che ho presentato è il progetto "War game, no more!", rivolto a ex
bambini-soldato del Congo, a cui avrei dovuto partecipare, attraverso una delle
missioni che sono state effettuate. Purtroppo non mi è stato possibile a causa di
nuove improvvise guerriglie nella zona.
In un capitolo successivo ho portato degli altri esempi sempre nell'area dell'attività
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fisica, ma non in ambito bellico, bensì in altri contesti di disagio, come quello socialefamiliare o quello di emergenze naturali (terremoto). Anche qui ho effettuato
un'intervista: ad un'operatrice di circo sociale.
Successivamente ho cercato di capire le competenze che deve avere un operatore
ludico, un cooperante sportivo, una persona esperta di sport e gioco che lavora in
contesti difficili, di guerra ma anche di altri disagi, ad esempio il carcere o le
emergenze per disastri naturali. In questa prospettiva ho visto un nuovo sbocco
lavorativo per il laureato della facoltà di Scienze Motorie, dipartimento che offre le
competenze, le capacità e la possibilità di fare esperienze sul campo che possono
aprire alla possibilità di scegliere di lavorare anche in questa dimensione, al fine di
promuovere buone pratiche che possono contribuire a portare alla pace.
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LO SPORT ED IL GIOCO IN RELAZIONE
AD INTENTI ED EVENTI BELLICI NELLA STORIA
Percorso storiografico
Il gioco e l'attività motoria fanno parte della natura dell'uomo come fatto biologico.
Per questo motivo è sbagliato chiedersi qual è l'utilità di questa attività, che di per sé
non ha uno scopo funzionale, non è finalizzata ad alcun prodotto, eppure è
fondamentale per il giusto sviluppo fisico e mentale di ogni uomo. Per questo
l'attività fisica è sempre stata presente nella storia fin dall'antichità, anche se spesso è
stata strumentalizzata dai popoli, o forse è meglio dire che gli è stata data
un'accezione diversa a seconda del periodo, delle esigenze, del sentire dei popoli e
dei contesti sociali.
La prima civiltà che sembra si sia ampiamente servita delle pratiche sportive è quella
cinese, nel 2700 a.C., che le usò per scopi terapeutici, contro le malattie. Questa
ginnastica medica era conosciuta anche dalla civiltà indiana.
Più tardi, nel 2500 a.C., gli egiziani usarono esercizi di lotta, di scherma e con il
bastone come addestramento alla guerra. Qui abbiamo il primo esempio del legame
tra attività fisica e guerra, ma prima di parlare delle analogie con l'evento bellico
occorre precisare la profonda diversità fra la guerra dell'antichità e quella
contemporanea.
In passato la guerra era un'attività regolata: il luogo dello scontro, il tempo, le armi
ammesse e quelle escluse.. era tutto deciso a priori ed il conflitto era finalizzato alla
gloria, ad affermare il valore e la supremazia di un popolo. Oggi nelle guerre non
esiste nessun tipo di regola o di patto prestabilito e si è perso il bisogno di dimostrare
il valore del guerriero, emergono invece finalità volte al controllo delle risorse
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economiche e al primato politico. I conflitti del passato quindi hanno molti più tratti
in comune con l'attività fisica, più intesa come attività agonistica: il fatto della
regolamentazione, l'elemento della gara ed il pieno coinvolgimento fisico 1. Questi
elementi in comune portarono spesso gli uomini lungo il corso della storia ad
accostare l'esercizio fisico, anche nell'educazione dei fanciulli, alla preparazione
militare, in previsione di inevitabili contrasti. Nell'età contemporanea invece non si
può accostare la preparazione fisica alla guerra, perchè gli scontri non avvengono più
corpo a corpo, il nemico si sta allontanando sempre di più, è un bersaglio da colpire
che non si vede, non si conosce, è indefinito. Inoltre non è più una persona con le mie
stesse capacità e possibilità (ecco un altro legame con lo sport), ma sono tutti, tutte le
persone che si trovano nel territorio bombardato, così nemmeno il luogo della
battaglia è più definito e circoscritto. In questo modo la guerra è anche più facile e
pericolosa perchè non si è più coinvolti emotivamente ed in prima persona, anche se
gli effetti sono più devastanti.
La prima civiltà che fu in grado di influenzare il mondo circostante con le sue
abitudini sportive fu quella greca, anche perchè produsse molte testimonianze, sia
figurative che scritte, sulla sua attività sportiva.
L'attività fisica era staccata da quella bellica, come dimostrano anche i poemi omerici:
si faceva esercizio nei momenti di riposo dalle battaglie, mentre le gare si tenevano in
occasioni speciali, come feste sacre, ad esempio il funerale di Patroclo.
La ginnastica si sviluppò come mezzo per la tutela della salute e dello sviluppo
psico-fisico dei giovani, che nei ginnasi trovavano la palestra per gli esercizi fisici e
altri luoghi di incontro per le attività intellettuali 2. Un esempio di questi intenti è il
pentathlon (giavellotto, disco, corsa, salto e lotta), che si sviluppò per il
conseguimento
della completezza fisica dell'atleta, sempre in tensione del
raggiungimento dell'equilibrio perfetto fra corpo e mente, che doveva essere ben
1 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 9.
2 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 31.
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supportata dal corpo per poter svolgere le sue funzioni.
Non tutte le polis davano questa valenza all'attività fisica. A Sparta per esempio era
prioritaria l'educazione militare per preparare i suoi futuri guerrieri, mentre ad Atene
lo scopo bellico era secondario, e così era in generale nel resto del territorio greco.
Anche successivamente, durante i trecento anni di Ellenismo la pratica di esercizi
ginnici era lontana da intenti di guerra, era vista come uno strumento per rendere il
corpo sano e in forze per l'attività intellettuale e tuttavia veniva spesso trascurata
anche nell'educazione dei giovani, in favore della formazione culturale e filosofica.
La pratica sportiva andò differenziandosi in discipline specifiche.
Questa lontananza con la guerra era però così vera? Le gare più seguite ed affollate
furono da sempre le corse ippiche e quelle con i carri, strumenti usati prettamente
durante le battaglie. Queste competizioni erano talmente importanti che si
svolgevano in un ambiente apposito: l'ippodromo, ed avevano successo anche nelle
regioni poco adatte all'allevamento dei cavalli 3. Di grande importanza era anche
l'oplitodromia, gara altamente spettacolare che sanciva la chiusura dei giochi
olimpici: era una corsa di resistenza, durante la quale gli atleti indossavano
un'armatura completa anche di scudo.
Un elemento che non va analizzato superficialmente e che oggi ha acquisito una
valenza diversa da quella antica è la tregua olimpica: ogni quattro anni ad Olimpia si
disputavano i giochi olimpici, e per l'occasione era indetta l'ekekeiria, la tregua d'armi.
Questa tregua non era uno stato di pace, ma solo un armistizio, per consentire
l'arrivo degli atleti e del pubblico. Per permettere il regolare svolgimento delle gare,
le polis giuravano di assicurare l'incolumità dei partecipanti ai giochi e di rispettare
l'area protetta di Olimpia, zona sacra controllata da Sparta 4. La tregua era proclamata
dieci mesi prima dell'olimpiade per dare tempo di informare tutti. Le sue
caratteristiche erano: la durata circoscritta, la cessazione delle ostilità, la
3 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 34.
4 Maria Aiello, Viaggio nello sport attravareso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 50.
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proclamazione della neutralità del territorio dell'Elide, il divieto di portare armi e il
divieto di eseguire condanne a morte 5. L'ekekeiria, indetta anche per gli altri giochi
panellenenici, era quindi una semplice tregua, una sospensione dei conflitti. I greci
non interrompevano le guerre per disputare i giochi, li mettevano sullo stesso piano
di importanza dei conflitti in corso. Se le guerre erano considerate importanti, lo
erano altrettanto anche le competizioni, ma girando il discorso, vista la rilevanza così
grande che il mondo ellenistico dava alle gare, che avevano un significato sacro oltre
che sociale, le guerre lo erano altrettanto, tanto da non interromperle del tutto, ma
solo circoscrivere un'area protetta dagli avvenimenti violenti.
Questi giochi infatti erano delle grandi feste che non avevano solo un significato
agonistico-sportivo,
ma
erano
espressione
dell'unità
panellenica
oltre
il
particolarismo cittadino e modello di una complessa ma perfetta organizzazione.
Da questo passo di Isocrate appare chiaro che era un momento importante di
socializzazione e dialogo tra i greci, fondamentale per la dimensione sociale e
culturale:
“Dopo le libagioni che sanciscono l'inizio della tregua sacra e dopo aver
deposto le inimicizie esistenti, noi ci riuniamo ed accomunando le preghiere
ed i sacrifici, ci ricordiamo delle origini che ci uniscono, ci disponiamo a
maggior benevolenza per il futuro gli uni verso gli altri, rinnoviamo l'antica
relazione di ospitalità e ne stringiamo di nuove”6.
Dopo queste righe, viene da domandarsi come mai la guerra era messa sullo stesso
piano di eventi di tale spessore. Che patrimonio pensavano che portasse alla società
civile? Che ricchezze per la collettività ci sono nella guerra e nelle sue conseguenze
paragonabili a quelle che loro stessi attribuivano ai giochi? Che importanza davano
5 Antonella Stelitano, Le Olimpiadi all'ONU, Padova, Cleup, 2012, p. 66.
6 Isocrate, Panegirico.
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all'evento bellico se non coglievano l'occasione delle competizioni per interrompere
le ostilità?
Queste possono sembrare contraddizioni nel mondo greco, civiltà che esaltò l'uomo,
che ne scoprì e indagò i risvolti filosofici, psicologici, ma non solo, che approfondì
innumerevoli scienze, non fermandosi solo a quelle legate alla cultura umanistica, ma
capace di avere uno sguardo a tutto tondo sulla figura umana. Studiosi anche della
politica, primi inventori della democrazia.
Del resto, non sono le uniche contraddizioni che gli storiografi hanno incontrato nei
greci. Rimanendo nell'ambito dei giochi olimpici, e stando bene attenti a non peccare
di anacronismo, ci si accorge che gli esclusi dalle competizioni erano la maggior parte
degli abitanti della Grecia. Potevano accedere alle gare infatti solamente cittadini
greci, anche delle colonie, ma maggiorenni e che non avessero mai violato le leggi
della loro città. Gli schiavi erano esclusi, così come anche le donne, che non potevano
neppure assistere alle gare come spettatrici. Gli stranieri non potevano assolutamente
prendere parte alle competizioni, che erano anche un mezzo di confronto tra le polis
e di affermazione della Grecia sul mondo barbaro, escluso dalla festa. Insomma, un
evento non del tutto inclusivo.
Ma tornando alla tregua olimpica e facendo un confronto con tempi più recenti, oggi
l'ekekeiria ha assunto una diversa accezione. Con la nascita delle olimpiadi moderne,
De Coubertin diede un'impronta più pacifista a questo armistizio. Se per i greci la
tregua era funzionale alla partecipazione ai giochi, per De Coubertin i giochi stessi
sono uno strumento per costruire la pace. La tregua olimpica decoubertiana si
differenzia dall'ekekeiria perchè evoca un concetto di pace positiva, come progetto a
lungo termine, come educazione alla pace, come valore universale. Il concetto di pace
a cui il barone De Coubertin si richiama conduce alla prospettiva di ricerca di uno
stato permanente di pace, e quindi più propriamente ad un concetto di eirene7. Il
7 Antonella Stelitano, Le Olimpiadi all'ONU, Padova, Cleup, 2012, p. 67.
11
progetto di pace della nuova tregua olimpica è coltivato dal CIO (Comitato
Internazionale Olimpico), che nel 2000 ha creato l'International Olympic Truce Centre, il
cui motto è “if we can have peace for 16 days, then may be, we can have it forever” 8,
ricordando come la tregua olimpica si sia rivelata il più lungo progetto di pace
durevole nella storia, essendo stata osservata per dodici secoli nel passato.
Gli obiettivi della tregua olimpica moderna sono tre: favorire la sensibilizzazione
dell'opinione pubblica sull'argomento pace; promuovere l'educazione della gioventù
per favorire una progettualità di pace estesa e continua; agire attravareso azioni
diplomatiche e di aiuto concreto per favorire la pace nelle zone di guerra.
Oggi, ogni due anni, alla vigilia dei giochi olimpici estivi ed invernali, avviene la
proclamazione di un periodo di tregua in prossimità della celebrazione della
manifestazione. Dal 1995 è lo stato che si appresta ad ospitare i giochi olimpici che
presenta il testo del provvedimento da sottoporre all'assemblea generale dell'ONU 9.
La tregua olimpica è da considerare come un'enorme possibilità: i giochi olimpici ci
regalano un periodo di pace. Ce lo regalano, perchè i giochi non possono avvenire
senza il presupposto della pace, sono imprescindibili da essa o almeno da un piccolo
lasso di tempo. Lo sport fornisce i tempi e i modi per invitare il mondo ad osservare
un periodo di pace, ogni due anni. Converrebbe sfruttare questo tempo per cercare
nuove soluzioni ai conflitti, ed è quello che invita a fare l'assemblea generale:
approfittare del periodo di tregua per prendere iniziative che vadano nella direzione
della costruzione di una pace durevole, per tentare, attraverso iniziative
diplomatiche, soluzioni pacifiche alle guerre in corso. La nazione ospitante chiede
inoltre al segretario generale di promuovere l'osservanza della tregua mobilitando
l'opinione pubblica.
Tornando al percorso cronologico dello sport, con l'avvento dell'impero romano
l'attività fisica acquistò una dimensione utilitaristica, forse a causa della mente
8 www.olympictruce.org.
9 Antonella Stelitano, Le Olimpiadi all'ONU, Padova, Cleup, 2012, p. 76.
12
pragmatica del popolo romano. La pratica sportiva fu essenzialmente uno strumento
volto a scopi diversi: per l'addestramento militare, per l'igiene e la cura della salute e
del corpo, ma anche per la propaganda politica e per gli spettacoli pubblici. Lo scopo
della ginnastica impartita ai giovani era quello di irrobustire il loro fisico in vista
della guerra o comunque del lavoro. Anche al tempo di Augusto, che rispose
all'esigenza educativa delle nuove generazioni con i collegia iuvenum, l'attività fisica
era praticata per incoraggiare i giovani alla preparazione militare. Non è difficile
intravedere la natura bellicosa e utilitaristica del romano, e se nell'educazione c'era
un intento militare, i ludi romani divennero, durante l'impero, uno spettacolo per il
puro divertimento del popolo, perdendo la valenza sacrale e religiosa al fine di
mantenere la pace sociale e pubblica con un fitto programma di esibizioni
sfarzosissime. Augusto volle addirittura che negli anfiteatri fossero costruiti dei sedili
in legno, per maggiore comodità. Si può dire che a Roma si investiva per la guerra di
conquista e per gli spettacoli, in una vera e propria “strategia delle distrazioni” 10.
Accanto agli anfiteatri, dove vi si svolgevano soprattutto i combattimenti fra i
gladiatori e le corse dei cavalli, c'era anche un altro luogo per gli spettacoli: il circo. Il
più grande fu il circo Massimo, che raggiunse una capienza di 300000 posti a sedere,
ma era tanta l'affluenza e l'interesse del popolo (soprattutto per le gare con le
quadrighe, che anche a Roma avevano un tifo accesissimo), che era difficile
procurarsi i biglietti. Qui avevano luogo le corse con i cocchi e la caccia alle bestie
feroci. A Roma i concorrenti delle gare e coloro che si esibivano negli spettacoli, per
esempio i gladiatori o quelli che lottavano con le bestie feroci, erano gente
“specializzata”, professionisti che davano spettacolo, il loro ceto non era di solito
molto alto, ma anzi erano spesso schiavi o liberti.
Sempre in una visione pratica dell'attività fisica si collocavano anche le terme, che
fiorirono in età imperiale. Pur essendo edifici sfarzosissimi, non erano molto costose:
10 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 74.
13
ce n'erano di pubbliche e di private ed erano molto frequentate da tutti i ceti sociali
come svago dopo le occupazioni del lavoro, come luogo di incontro e di
socializzazione. All'interno si potevano praticare molte attività, dall'unzione
all'amato gioco con la palla.
Prima di passare al medioevo non si può non ricordare un evento importante: nel 392
d.C. Le olimpiadi vennero soppresse dall'imperatore Teodosio, sotto la pressione del
vescovo di Milano Ambrogio, nel contesto di una serie di norme volte a proibire tutti
i culti pagani e ad imporre la religione cristiana come l'unica ammessa nell’impero11.
In effetti la religione cristiana giocò un ruolo importante anche sull'attività sportiva
dei popoli: viene meno lo spirito pratico dell'uomo. Tutto della vita terrena deve
essere fatto in funzione della vita dopo la morte. Prevale insomma l'elemento
spirituale e si dà pochissima importanza alle attività concrete più quotidiane, anche
lo spirito sportivo si affievolisce, per vari motivi: alcune scuole filosofiche negarono il
valore dell'attività fisica e della corporeità in generale in nome del rigore morale, la
chiesa dava la sua forte impronta condannando la nudità degli atleti e la violenza dei
giochi, inoltre molti edifici e strutture adibiti per la pratica sportiva erano decaduti.
Al clero era addirittura proibito assistere agli spettacoli e la sola maniera in cui il
cristiano poteva essere uno sportivo era essere metaforicamente un “atleta di Cristo”.
Sotto a ciò si può leggere una visione dello sportivo come un lottatore, che solo se
persevera nei suoi intenti vincerà. Viene salvata la tenacia dell'agonista, il continuo
lottare, in fondo quasi come un guerriero che combatte strenuamente, però è
tralasciata e quasi soffocata la dimensione fisica della questione.
L'attività fisica nel medioevo è quindi da ricondurre a due filoni: quello dello svago e
quello finalizzato all'addestramento militare, esplicitato o meno. Soffermiamoci sul
secondo.
In vista della guerra, soprattutto i secondogeniti (che non ereditavano beni, ma si
11 I giochi olimpici nel mondo antico, www.pbmstoria.it.
14
preparavano a diventare cavalieri dall'età di sette anni) praticavano degli esercizi
introdotti dai popoli germanici.
Si svilupparono poi i tornei. Come ben descrive Maria Aiello, potevano parteciparvi
solo i nobili e all'inizio erano delle menifestazioni violente che causavano anche dei
morti, non erano molto codificate e prevedevano lo scontro di due squadre senza
limiti di spazio o di tempo, come in una vera battaglia. Lo scopo era catturare
membri della squadra avversaria per un riscatto. La brutalità dell'evento non fermò il
suo successo, anzi, ispirò la letteratura del tempo, anche se la chiesa condannò
fortemente queste pratiche. Successivamente i tornei divennero delle manifestazioni
agonistiche più codificate a cui giravano intorno molteplici altre persone che ne
traevano anche guadagno, ad esempio i ristoratori o i commercianti. Venne meno
l'originaria funzione bellica, e restò solamente una rappresentazione coreografica per
esaltare la cavalleria.
Il torneo produsse anche delle variazioni, come la cosiddetta giostra, uno scontro a
due con la lancia in resta, o lo scontro di un singolo con un bersaglio da centrare,
sempre con la lancia.
Il mondo ecclesiastico disapprovava la violenza e la preparazione militare, infatti
vietava i tornei, i duelli, persino la caccia, tuttavia li permetteva nel caso si dovesse
preparare una crociata. Questa profonda contraddizione e manipolazione non
esisteva solo all'interno della chiesa, ma anche nel mondo della politica. I potenti ai
vertici, i sovrani e i governanti determinavano le abitudini del popolo. Per esempio,
da quando gli arcieri si stavano diffondendo nelle battaglie, trovavano dei modi per
appassionare ed abituare la gente al tiro con l'arco, anche attraverso vere e proprie
leggi esplicite. Nel 1330 Edoardo III emanò un decreto che vietava agli inglesi di
dedicarsi ad altro se non al tiro con l'arco, più tardi, nel 1369 in Francia, anche Carlo
V provvide.
Nel '500 l'attività fisica si inserì nei programmi di educazione dei giovani, era presa
15
in considerazione per la formazione del corpo come supporto della mente, per
l'equilibrio.
Si svilupparono alcuni giochi, come il cricket e il golf. Quest'ultimo in particolare,
tanto che si diffuse a discapito del tiro con l'arco (ritenuto dai governanti
fondamentale per l'esercito). Così Giacomo II nel 1457 lo mise al bando, ma i cittadini
lo ignorarono a costo di finire in carcere, e dopo un secolo questo divieto fu abolito.
Il legame fra lo sport e la guerra in questo periodo si caratterizza per le nuove armi
che emergevano, ad esempio la scherma. Enrico VIII comprese che questa spada più
sottile sarebbe stata importante in guerra e istituì un'accademia, proibendone la
pratica fuori da sedi istituzionali. Questa disciplina ebbe tanto successo che superò il
tiro con l'arco.
Una pratica molto in voga tra i ceti umili era anche la lotta, in Italia S. Bernardino da
Siena consigliava di “abbandonare i coltelli” per risolvere le questioni d'onore, e
dedicarsi invece alla lotta, ugualmente idonea a soddisfare il desiderio di vendetta
ma non mortale12.
Durante il '600 sappiamo che Luigi XIV, riunendo tutti i nobili a Versailles per
controllarli, li distolse anche dalle attività atletiche perchè erano ritenute poco
consone alla classe aristocratica. Nel popolo invece si diffusero sempre più alcuni
giochi famosi e praticati ancora oggi come l'hockey.
Nel '700 è rilevante la nascita degli sport di squadra in Inghilterra: i giochi
tradizionali cruenti divennero moderati e disciplinati, forse anche a causa della
specializzazione e della mentalità della divisione del lavoro che era nata con la
rivoluzione industriale. Nacquero il rugby, il football, la boxe, giochi che ora avevano
delle regole ben precise e non erano più così violenti come nel medioevo.
Nell'800 invece, a seguito del nuovo impulso che visse l'attività sportiva e della sua
rivalutazione anche in campo educativo, si delinearono varie scuole di educazione
12 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 133.
16
fisica in diversi stati europei: in Germania fu importante la Turnplaz13, grande palestra
all'aperto vicino a Berlino, a cui potevano accedere i giovani per i loro esercizi
ginnici, in un'ottica in cui l'attività fisica era un mezzo per potenziare la volontà, per
predisporre alla guerra: è chiaro il collegamento tra sport, addestramento militare e
politica di potenza. Ecco che ritorna l'idea di preparare le nuove generazioni a
eventuali conflitti, ecco che ritorna la paura, che provoca la necessità di prepararsi a
qualche scontro.
Alcuni allievi di questa scuola parteciparono alla guerra della Germania contro la
Francia (1813-1814).
Fu così anche in Francia, che vide una formazione di tipo premilitare, molto spesso
affidata ad ex ufficiali e sottufficiali dell'esercito.
Non c'era un fine di preparazione militare invece in Svezia, che sentiva la necessità di
un'insegnamento regolare della pratica fisica da parte di docenti specializzati.
Veniamo al '900, secolo in cui lo sport si intersecò in maniera rilevante con i grandi
avvenimenti storici e le dinamiche politiche ed economiche degli stati. Pensando ai
due conflitti maggiori, le guerre mondiali, non si può non ricordare che le olimpiadi
vennero interrotte sia in corrispondenza della prima, nel 1916, che della seconda nel
1940 e nel 1944. Per fare un parallelismo, se è vero che i greci mettevano guerra e
giochi sullo stesso piano, in epoca moderna la guerra ha assunto un valore maggiore.
A seguito della seconda guerra mondiale le olimpiadi non vennero più interrotte,
però a volte diventarono uno strumento della politica di potere di alcuni paesi. In
questo senso sono da ricordare due edizioni dei giochi: Mosca 1980 e Los Angeles
1984, nella prima gli Stati Uniti, poi seguiti da circa sessanta altre nazioni, si
astennero dai giochi, mentre nella seconda furono gli stati comunisti a boicottare le
olimpiadi, con il pretesto che le misure di sicurezza non erano sufficienti.
A Mosca la Russia ebbe l'occasione di dimostrare la supremazia del modello
13 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 160.
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sovietico, ma successe che il capo del governo afgano ottenne un supporto militare
russo per sopprimere le rivolte delle forze oppositrici, così molti paesi occidentali,
dietro l'America, si astennero dalle gare. Quattro anni dopo, a Los Angeles, non
essendosi ancora calmata la tensione politica, accadde la situazione inversa. Questi
avvenimenti andarono contro la regola 25 della Carta Olimpica, che vieta qualsiasi
influenza di carattere politico e religioso14.
Un'altra olimpiade che fu segnata tristemente per l'intreccio che ebbe con le faccende
politiche e con il terrorismo fu quella di Monaco del 1972. Il 5 settembre otto uomini
appartenenti al gruppo terroristico del “settembre nero”, movimento palestinese
autonomo, eluse la sorveglianza del villaggio olimpico di Monaco, entrando nelle
stanze degli atleti israeliani e sequestrandoli, rivendicando la liberazione di circa 200
compatrioti detenuti nelle carceri israeliane e un aereo per il rimpatrio.
Il giorno seguente il presidente del CIO, Avery Brundage, annunciò la sospensione
dei giochi olimpici, per la prima volta nella storia.
L'episodio si concluse in una strage, in cui morirono cinque terroristi, i nove ostaggi
(due erano stati uccisi al momento del sequestro) e un poliziotto tedesco 15.
Alcuni episodi: lo sport intrecciato alla politica
Di seguito tre episodi del '900 in cui lo sport è stato protagonista e ha influenzato
positivamente la mediazione politica tra stati che avevano tensioni socio-politiche.
•
Tour de France 1948: Gino Bartali vince, “salvando” l'Italia dalla guerra civile.
In quel periodo, primavera del '48, l'Italia viveva un periodo difficle, dovuto
alle tensioni interne tra forza politica al potere, Democrazia Cristiana, e forza
d'opposizione, Fronte Democratico Popolare, che riuniva i partiti social-
14 Comitato Internazionale Olimpico, Carta Olimpica, 1999, Losanna, in Friuli Venezia Giulia
Sport, http://www.fvgsport.it/c/document_library/get_file?uuid=27bead07-2fa1-4db2-b49c418cd0108640&groupId=10136.
15 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 244.
18
comunisti. Il 14 luglio 1948, mentre si stava svolgendo il Tour de France, il
terrorista Antonio Pallante sparò contro Palmiro Togliatti, segretario del PCI,
ferendolo gravemente. Il popolo si riversò nelle piazze, la Cigl proclamò lo
sciopero generale e il paese era sull'orlo di una rivolta. In Francia i gregari di
Bartali erano intenzionati a tornare, preoccupati per la situazione, e si pensava
che avrebbero rinunciato. Ma arrivò una telefonata di Alcide de Gasperi che
chiese al campione se pensava di poter ancora vincere “sarebbe importante,
non soltanto per te”. Se Bartali avesse vinto, il popolo avrebbe forse rivolto per
un po' l'attenzione al Tour, per tifare l'atleta sostenuto da tutti. Due giorni
dopo Gino Bartali era in rimonta per andare a vincere la competizione a
trentaquattro anni e dieci anni dopo il suo ultimo Tour. Non fu certo solo per
merito suo che non scoppiò la guerra civile in Italia, perchè quando si fu
ripreso, Togliatti predicò la calma, contribuendo a placare gli animi16.
•
Nell'aprile del 1971 a Nagoya (Giappone), ai campionati mondiali di ping
pong fu dato un passaggio sul pullman cinese ad un giocatore americano. Lo
statunitense Glenn Cowan aveva perso l'autobus del suo paese e quello cinese
gli diede un passaggio agendo contro il protocollo. A causa dei cattivi rapporti
politici fra Stati Uniti e Repubblica Popolare infatti, era stato proibito agli atleti
cinesi anche solo di rivolgere al parola agli americani. Il campione cinese
Zhuang Zaedong però quel giorno inventò la “diplomazia del ping pong”.
Come racconta lui stesso: “Erano passati dieci minuti e nessuno della nostra
squadra aveva osato guardare lo straniero in faccia. Ma io pensai che era solo
uno sportivo, non un politico. Mi alzai, chiamai l'interprete e andai a
salutarlo”. Gli rivolse queste parole: “Anche se il governo degli Stati Uniti non
è amichevole nei confronti della Cina, gli americani sono amici dei cinesi. Ti
farò un regalo per provartelo”. Gli donò una sciarpa di seta con un'immagine
16 Nicola Sbetti, I 10 momenti sportivi che hanno fatto la storia dell'Italia, in Centro Studi CONI,
http://www.centrostudiconi.it/Approfondimenti/10%20momenti.pdf.
19
cinese. In seguito la squadra americana fu invitata in Cina e nel 1972 i due capi
dello stato si incontrarono, ricominciando un dialogo che avrebbe messo fine
alla guerra fredda17.
Il 17 dicembre 1976 Adriano Panatta e Paolo Bertolucci giocano la finale di
•
tennis di Coppa Davis allo stadio Nacional del Cile, indossando una maglietta
rossa, in onore dei desaparecidos scomparsi sotto la dittatura di Pinochet. La
finale disputata in Cile era stata boicottata da molte federazioni in segno di
protesta contro il regime di Pinochet, per questo la squadra cilena, non
particolarmente competitiva, era arrivata in finale. In Italia si discuteva se
partecipare o no, la sinistra spingeva per il ritiro, ma alla fine il capo del
governo Giulio Andreotti fece decidere al CONI, il cui presidente si fece
consigliare da Enrico Berlinguer. Il segretario generale del PCI (Partito
Comunista Italiano) maturò la decisione di giocare, suggerendo agli atleti di
vestirsi di rosso, per sottolineare comunque il loro dissenso al regime18.
Sport di derivazione militare
Di seguito un elenco di sport che hanno origini belliche e che hanno subito una
trasformazione nel corso dei secoli, dovuta soprattutto all'avanzare di nuove tecniche
di guerra.
•
Tiro con l'arco: l'arco è una strumento antichissimo, che fu usato per la caccia
prima, e poi per la guerra, era anche uno svago tra i nobili, le prime
competizioni agonistiche avvennero sul finire del 1700.
•
Scherma: anche questa fu la protagonista in guerra prima dell'avvento delle
armi da fuoco. Le migliori scuole furono quella francese, improntata più alla
17 Guido Santevecchi, Addio al campione di ping pong che avviò il disgelo fra Cina e Usa, 2013, in “Corriere
della sera”, http://www.corriere.it/esteri/13_febbraio_11/addio-campione-ping-pong-santevecchi_72619a5e7417-11e2-b945-c75ed2830f7b.shtml.
18 Alessandro Mastroluca, Sfida a Pinochet, 2014, in “Storie di sport”, http://www.storiedisport.it/?p=1787.
20
difesa, e quella italiana, incentrata sull'attacco. Con l'arrivo della polvere da
sparo conobbe un periodo di decadenza perchè venne meno la sua funzione
bellica, per questo si elevò a disciplina sportiva.
•
Sport equestri: all'inizio in oriente, ma poi anche in occidente, i cavalli erano
usati per finalità militari, ma successivamente, sempre a causa dello sviluppo
delle armi da fuoco, le armature dei cavalieri divennero inutili. Al posto di
preferire la potenza del cavallo, si cominciò a prediligere la sua agilità e
nacquero le corse ippiche. Oggi esistono le corse al trotto, in cui vengono
trainate piccole carrozze a due ruote, e le corse al galoppo, che per alcune
specialità prevedono gli ostacoli.
Tra gli sport invernali abbiamo:
•
Biathlon: prevede lo sci di fondo combinato con il tiro con la carabina. Dal '500
al '700 era circoscritto ad ambienti militari, nel 1766 si disputò la prima gara ad
opera di pattuglie sul confine tra Svezia e Norvegia. Quando si diffuse anche
in altri ambienti subì delle piccole modifiche, ad esempio l'avvicinamento del
bersaglio.
•
Combinata nordica: questa disciplina prevede sci di fondo e salto con gli sci,
nacque in Norvegia a metà del '800 ed era parte dell'allenamento quotidiano
degli ufficiali. Anche qui un'origine militare.
Elenchiamo anche un gioco tradizionale: il “gioco del ponte” a Pisa.
Fu riesumato nel 1568 da Cosimo I De Medici, che lo modificò leggermente rispetto
al gioco originale (il mazzascudo, caduto in disuso dopo la fine della repubblica
marinara di Pisa). In quel periodo i comuni dovevano difendere l'autonomia
dall'impero e arruolavano milizie cittadine, che tenevano allenate con giochi ludici, in
cui simulavano battaglie. Questo era un gioco che si svolgeva sul ponte e vedeva
21
scontrarsi due squadre di giocatori, una da una parte e una dall'altra della riva. Lo
scopo dei partecipanti, con indosso delle imbottiture e uno scudo leggero, era quello
di raggiungere la riva opposta nel tempo di quarantacinque minuti19.
Un altro gioco così pericoloso era la “battaglia dei sassi” a Perugia: anche qui c'era lo
scontro diretto con mazze, bastoni e scudi, ma era preceduto da una vera e propria
sassaiola. Si combatteva dall'alba fino al tramonto ed era consentito lanciare sassi
contro le persone, ma non contro le finestre e i tetti. Le autorità cittadine provarono a
sopprimere il gioco, ma senza successo, era troppo popolare fra i perugini.
19 Maria Aiello, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 106.
22
SPORT E GIOCO IN CONTESTI DI GUERRA
Guerra: necessità biologica o invenzione?
Spesso pensiamo alla guerra come un fatto inevitabile e ciclico, siamo quasi
rassegnati ad essa e in fondo siamo convinti che prima o poi tornerà, quasi come una
componente della natura umana. Ma la guerra è veramente una necessità biologica?
Come il gioco lo è per un bambino? O è invece un'invenzione dell'uomo? Secondo
Margaret Mead, nel suo libro "Antropologia: una scienza umana":
"la guerra non è che un'invenzione nota alla maggior parte delle società
umane, è un'invenzione più antica e diffusa del sistema giuridico, ma non è
che un'invenzione, e un'invenzione conforme ai bisogni umani o alle forme
sociali tende a persistere.
Se un'invenzione è stata conosciuta ed accettata, gli uomini non la
abbandonano facilmente, ma essa cede il posto ad una migliore quando se se
ne trova una più aderente alle istituzioni e alla sensibilità della gente. La
propaganda contro la guerra, la documentazione del suo terribile costo in
termini di sofferenza umana e di distruzione sociale, sono tutti fattori che
possono spianare il terreno insegnando alla gente a percepire l'inadeguatezza
della guerra come istituzione sociale. Per poter inventare forme di
comportamento che rendano obsoleta la guerra è necessario credere che sia
possibile un'invenzione"20.
Il gioco e lo sport possono essere inseriti nel processo di ricerca di nuove forme di
20 Daniele Novara, Lino Ronda, Scegliere la pace, educazione al disarmo, Torino, Gruppo Abele, 1986, p. 50 e
51.
23
comportamento.
Proteggersi giocando: un ludobus a Gaza
Quando c'è la guerra si gioca, si fa sport? A cosa si gioca, e chi lo fa?
Il gioco, come componente della biologia dell'uomo, soprattutto nei bambini, non si
ferma mai, neppure in contesti estremi come quello della guerra.
Dice il pedagogista franco-palestinese Anis Gandeel:
"i bambini in un conflitto giocano comunque, ma lo fanno con modalità
diverse. Il conflitto non ferma il gioco, lo influenza, non bisogna lasciar vincere
il conflitto sul terreno del gioco. Bisogna aiutare questi bambini a proteggersi,
ad andare oltre i conflitti, ad avere alternative, e giocare è il miglior modo per
proteggersi in un contesto difficile.
Se bambini, anche di tre anni, sanno scegliere l'attività che vogliono fare, dopo
vent'anni potranno scegliere il loro presidente"21.
Gandeel collabora con il REC (Remedial Education Center), associazione palestinese
che dal 1993 lavora per sostenere i diritti dei bambini nelle scuole, negli ospedali e
nelle strade della striscia di Gaza. Gli operatori e gli educatori che lavorano a Gaza
sono stati formati grazie alla collaborazione con EDUCAID, Onlus di Rimini, che ha
attrezzato a Gaza anche un ludobus. Gli operatori che curano il ludobus sostengono
che questo diminuisce la pressione che schiaccia i bambini che abitano lì, esposti alla
violenza. Cercano di offrire alternative, tentando di isolarli dal conflitto, creando
spazi e tempi di libertà.
Il ludobus lavora nelle scuole, negli asili, negli ospedali e nelle strade, regalando
21 Tratto dall'intervista ad Anis Gandeel in Educare a Gaza, docufilm di Alessia del Bianco, Nicola Gencarelli,
Reggio Emilia, Bottega Video, 2008.
24
momenti di gioco spensierato a bambini che sono abituati a sentire gli scoppi delle
bombe quasi quotidianamente.
Con questo furgoncino pieno di giochi, EDUCAID promuove a Gaza il gioco
educativo come strumento essenziale per imparare a proteggersi dal conflitto, non ci
sono infatti abbastanza iniziative per permettere ai bambini di vivere al di fuori del
conflitto e i responsabili del loro coinvolgimento in questo vortice di violenza sono
gli adulti22.
I bambini palestinesi, esposti continuamente a modelli violenti cosa sognano?
Sognano di diventare martiri, ma perchè non hanno altro modello, non hanno
alternative, occorre quindi aprire spazi per permettere ai bambini di continuare a
giocare come se non ci fosse la guerra.
L'esperienza di "War game, no more!"
Se quindi il gioco è il miglior modo per proteggersi e proteggere dal conflitto,
vediamo come questo è diventato realtà in un progetto dell'associazione “Confini
Vaganti” in collaborazione con il Centro Polifunzionale Don Calabria, Caritas
Italiana, Caritas Ambrosiana e Caritas Veronese, inserito all'interno di un più ampio
programma delle Nazioni Unite, denominato "Disarmo, smobilitazione e reintegro".
"War game, no more!" si rivolge a ex bambini-soldato del Congo, e si propone,
attraverso attività di gioco e di avventura, di favorire la reintegrazione sociale sia
all’interno dei villaggi di appartenenza che all’interno della scuola.
La problematica degli ex bambini soldato è definita "disturbo da stress posttraumatico" e cosiste in problemi comportamentali dovuti al vissuto della guerra, da
situazioni dominate dall'aggressività e dalla prevaricazione. La loro cattiva
reputazione e i problemi di reintegro sociale rischiano di farli tornare nelle bande
22 Tratto dall'intervista ad Anis Gandeel in Educare a Gaza, docufilm di Alessia del Bianco, Nicola Gencarelli,
Reggio Emilia, Bottega Video, 2008.
25
armate23.
Sono state realizzate tre missioni nella città di Kindu nei mesi di aprile 2008, aprile
2009, aprile 2010. Sport e attività di gioco si traducono come pratica di conoscenza e
sperimentazione di condotte sociali diversificate e varie. Attraverso le attività e le
proposte di gioco si permette ai ragazzini di sperimentare condotte sociali diverse da
quelle
che
utilizzavano
abitualmente
in
guerra
(prevaricazione,
conflitto,
aggressione, non rispetto, ecc.), quindi basate sulla collaborazione e condivisione.
Dopo il gioco si è poi arrivati alla pratica sportiva vera e propria in modo particolare
gli sport di squadra. L'obiettivo è quello di far scoprire le infinite possibilità di
relazione e comunicazione che vi possono essere tra le persone. Il gioco è inteso come
una metafora della vita, che offre la possibilità di sperimentare altre e diverse
situazioni relazionali da riproporre, poi, nella vita quotidiana. Sono stati insegnati
giochi specifici semplici, da poter essere praticati in un qualsiasi spazio libero
all’interno dei villaggi, come momento di aggregazione sociale. Sono stati valorizzati
giochi africani come patrimonio culturale24.
Questo progetto è perfettamente in linea con una pubblicazione del 2004 dell'Unicef
dal titolo "Sport, Recreation and Play", che riconosce allo sport, al gioco e alle attività
ricreative in generale il ruolo di strumento che, in tempi di conflitti ed emergenze
possono fornire ai bambini e agli adolescenti un senso di speranza e di normalità,
perchè contribuiscono a ricreare situazioni desiderabili, poichè eccitanti, giocose,
ludiche, socializzanti, attraenti e in cui è possibile favorire la gestione del conflitto e,
altresì, il superamento dei traumi e delle paure25.
Il progetto ha coinvolto 1090 bambini ex soldato inseriti in dieci scuole della diocesi
della città di Kindu. L'attività è stata molto apprezzata dai ragazzi e ha portato
benessere psicologico e fisico, ha migliorato l'autostima e le relazioni con i pari. Dal
23 Nicola Rovetti, Non gioco più alla guerra, dal dossier Giocarsi il futuro, "Nigrizia", 2012.
24 Cooperazione, solidarietà internazionale, www.confinivaganti.it.
25 Unicef, Sport, recreation and play, Unicef, 2004.
26
2008 inoltre, nelle scuole coinvolte nel progetto i maschi e le femmine hanno
cominciato a giocare insieme, cosa che prima non facevano26.
"Giocare" nell'esperienza di guerra di due adulti
Se quindi, per i bambini e per i ragazzi è fondamentale il gioco e lo sport per
proteggersi dai conflitti o da atroci esperienze di guerra vissuta in prima linea, non
dovrebbe esserlo anche per gli adulti? Sì, dovrebbe, come dice Huizinga in "homo
ludens", perchè:
"il gioco è indispensabile in quanto funzione biologica, ed è indispensabile alla
collettività per il senso che contiene, per il significato, per il valore espressivo,
per i legami spirituali e sociali che crea, insomma in quanto funzione
culturale".
Tuttavia non sembra sia così, forse perchè il gioco è naturalmente molto più
immediato e quasi continuo nei bambini. Inseriamo allora due interviste a due
persone adulte che sono state coinvolte in guerre: il primo soggetto ha vissuto la
seconda guerra mondiale come bersagliere durante la campagna italiana del
Nordafrica, in Libia. Il secondo soggetto ha vissuto invece la più recente guerra dei
Balcani come civile, da studente. L'intento è quello di portare un esempio di attività
ludica di adulti durante il loro periodo di guerra.
Gli adulti giocano molto di meno rispetto ai bambini anche in questi contesti, quasi
per niente.
Dall'intervista al primo soggetto, alla domanda "giocavate in qualche maniera?
Facevate dei giochi?" emerge che "durante la guerra, dopo essere stato tutto il giorno
26 Nicola Rovetti, Non gioco più alla guerra, dal dossier Giocarsi il futuro, "Nigrizia", 2012.
27
in una buca, non avevi voglia di giocare. La paura e la stanchezza ti impedivano
qualsiasi gioco. Solo nel campo prigionieri a Digione in Francia, nei momenti liberi
dal lavoro si giocava alla boxe, a calcio, alla morra o a carte, a briscola o tresette".
Del resto, nemmeno dalla seconda intervista è emerso che si giocasse molto fra adulti
civili, seppur giovani. Con la domanda "c'erano dei momenti di svago in cui anche
giocavi a qualsiasi cosa o facevi sport? (per esempio se ti trovavi con gli amici a
giocare a pallone, o a qualche altro gioco, o giocavi in altro modo..)" troviamo che
questo soggetto al massimo si trovava a ballare danze popolari con gli amici: "Non so
se questo si può considerare gioco, ma io ballavo danze popolari. Nella mia città, che
conta una maggioranza ruthena del 90%, facevamo danze di vari popoli balcanici: le
danze rutrhene/ucraine (la mia etnia), serbe, croate, macedoni, bosniache.. per ballare
ci incontravamo anche prima della guerra, e poi niente è cambiato. A Novi Sad,
all'università dove studiavo, durante la guerra giocavamo a pallone e agli altri sport
classici come al solito, tra tutti gli studenti presenti, che erano di varie etnie, serbi,
croati, ungheresi, slovacchi, rutheni... le relazioni quotidiane, almeno fra di noi
studenti, non sono cambiate, ma i mass media facevano un grande lavoro in questo
senso, nell'intento di farci odiare fra etnie".
Da queste ultime frasi però emerge un dato rilevante: all'università giocava a pallone
con compagni di etnie diverse dalla sua. Loro non ci trovavano nulla di strano, la loro
mentalità non era in linea con la propaganda di ostilità e odio fra i vari popoli messa
in atto dal governo serbo, anzi viaggiava contro gli intenti politici, perchè, almeno fra
questo gruppo di giovani, si aiutavano l'un l'altro e non solo: "ballavo con i miei
amici, che erano anche di altre etnie. Noi non sentivamo di odiarci fra noi, di dover
essere in guerra, anzi, vedendo la situazione molto difficile delle persone intorno a
noi, ci ingegnavamo insieme per trovare delle soluzioni per aiutarle, riunendo
vestiario o altre cose che potevano servire".
28
Il contributo dello sport nei processi di pacificazione e di sviluppo
Ma quali sono i motivi per cui il gioco e lo sport aiutano concretamente la
costruzione e il mantenimento della pace e dello sviluppo? Quali sono le loro risorse?
Spesse volte lo sport è stato considerato un prodotto dello sviluppo e non un suo
produttore, eppure alla fine degli anni '90 i governi, le agenzie delle Nazioni Unite e
le Organizzazioni non governative hanno iniziato ad impiegare lo sport in maniera
sistematica, con il fine di raggiungere successi in ambito sociale.
Consultando il dizionario Treccani troviamo che “pace” è:
29
“Condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia
all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali,
religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri gruppi”27.
Si vede quindi che la pace significa assenza di conflitti tra i popoli.
Uno studio sul ruolo dello sport nella promozione dell'integrazione sociale tra
diversi gruppi etnici in scuole sudafricane hanno dimostrato che ci sono diversi
fattori
che contribuiscono a far sì che lo sport riesca a portare risultati nella
costruzione di relazioni tra diversi gruppi.
Questi fattori sono:
•
i significati di comunicazione non-verbale dello sport;
•
lo sport come impegno in un'esperienza collettiva;
•
la capacità dello sport di superare le divisioni di classe.
Il ricorso alla pratica sportiva può essere una parte, non l'unica, dei programmi di
pacificazione, poiché:
•
la relazione tra pratica sportiva e salute è ormai certa. L'inattività fisica è una
tra le maggiori cause di malattie quali cancro e diabete, da cui è più facile
anche ammalarsi di obesità.
•
L'attività fisica fa registrare notevoli vantaggi anche nella riduzione dei costi
delle spese mediche. I governi hanno così la possibilità di investire in altri
contesti il denaro risparmiato in termini di salute pubblica.
Inoltre, come ritiene l'Onu, un intervento sportivo in ambito cooperativo può essere
efficace all'interno di quattro campi prinicpali28:
27 Aldo Duro, Vocabolario Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1986.
28 Simone Digennaro, Giochi di pace, saggio sul ruolo dello sport come strumento di sviluppo, Fano PU, Aras
30
•
economico, perchè lo sport è un forte catalizzatore di denaro e di
investimenti;
•
sociale, perchè le attività sportive producono adesione a valori socialmente
condivisi, promuovendo comportamenti desiderabili dal punto di vista
sociale. Inoltre la partecipazione sportiva può sostenere la lotta all'esclusione
sociale e l'integrazione armoniosa di gruppi e individui di differenti gruppi
etnici;
•
ambientale, perchè l'attività sportiva ha possibilità di diffusione solo se trova
spazio in luoghi strutturati o meno in cui sia possibile praticarla, per questo
occorre che siano puliti, desiderabili e sicuri;
•
volontariato, che è una delle risorse più importanti a disposizione dell'intero
sistema sportivo, attraverso cui gli individui acquisiscono capacità di vario
tipo, incrementano la comprensione, l'integrazione e l'auto soddisfazione.
Si può ben affermare che l'attività sportiva favorisce lo sviluppo economico e sociale,
contribuendo, dove necessario ad operazioni di peace-keeping.
Certo è che un processo che porta all'ottenimento di uno stato di pace, di nonconflitto è lungo e articolato, e alla sua base, come dice Digennaro, c'è la
riconciliazione, che in gran parte si ottiene attraverso la comunicazione 29. I
programmi sportivi in contesti di conflitto che tendono alla riconciliazione hanno
una valenza importante soprattutto rispetto all'ambito della comunicazione. Il
conflitto è un certo tipo di comunicazione, per questo la riconciliazione si ottiene con
una pulizia e con una modifica di questa comunicazione, favorendo la ricerca di altre
soluzioni. Lo sport ha i requisiti e i valori per far parte di questo percorso.
Il gesto aggressivo è incastrato in un sistema di regole, la violenza è quindi
edizioni, 2010, p. 62 e 84.
29 Simone Digennaro, Giochi di pace, saggio sul ruolo dello sport come strumento di sviluppo, Fano PU, Aras
edizioni, 2010, p. 64.
31
“addomesticata”, questo implica la pulizia dei rapporti di cui parlavamo, favorendo
la comunicazione tra le parti. Questo è reso possibile anche dal fatto che lo sport ha
un linguaggio di comunicazione non-verbale (come è già stato detto), codice che può
quindi appartenere a tutti gli uomini, perchè non serve una lingua. Questo fatto
rende lo sport un fatto totalizzante, coinvolgendo le masse, condizionando tutte le
aree che lo circondano: economia, politica, educazione...
Tutto questo può contribuire ai processi di pace.
Riguardo a questo tema, più che saggi teorici e letteratura ci sono moltissime
esperienze sul campo. Esistono delle piattaforme online che raccolgono molti
progetti realizzati in giro per il mondo usando lo sport e il gioco come modo di
operare. La più organizzata ed aggiornata è “International Platform on Sport and
Development”, in cui è registrato anche “Confini Vaganti”.
L'intento del sito è quello di essere un punto di raccolta, un centro per la
condivisione di informazioni e conoscenze, per la costruzione di buone pratiche e per
facilitare il coordinamento e la promozione tra i vari soggetti e associazioni visibili in
“Sport and Development”. La piattaforma offre l'opportunità di trovare anche
strumenti pratici, linee guida e risorse, di conoscere i diversi temi legati allo sport e
allo sviluppo, di rimanere informati su quello che succede nel mondo in questo
campo30.
L'esempio di Sportmeet
Su “Sport and Development” è registrato anche “Sportmeet”, di cui presentiamo un
progetto realizzato nel 2007 in Burundi, nella provincia di Gitega.
Il Burundi è ancora vittima degli strascichi della guerra civile, che è durata per dieci
30 www.sportanddev.org
32
anni a partire dal 1993, ma una crisi politica e sociale persiste tutt'ora. Molta gente
sopravvissuta ai massacri ha dovuto abbandonare il priprio villaggio, per andare in
esilio, per rifugiarsi in campi profughi o per emigrare all'estero. Questa situazione
provoca povertà, diffidenza e odio fra le etnie. I rifugiati cercano di tornare, ma la
reintegrazione è molto difficile. Nel comune di Gishubi, area tra le più colpite dai
massacri, tantissimi sfollati vivono ancora nel campo profughi vicino31.
Proprio in questo comune Sportmeet, in collaborazione con “Casobu”, e grazie al
finanziamento del Servizio Solidarietà Internazionale della Provincia Autonoma di
Trento, ha realizzato all'interno del campo profughi la costruzione di un campo da
calcio per attività sportive finalizzate al dialogo interetnico.
Il loro obiettivo finale era la pace e per raggiungerlo si sono proposti di aumentare la
fiducia tra le etnie promuovendo la riconciliazione: modalità che combacia
esattamente con il discorso Digennaro che abbiamo fatto prima. Per la riconciliazione
occorre una comunicazione-relazione “pulita” dalle modalità della violenza, una
comunicazione che utilizzi altri canali, basata sui rapporti. Ed è qui che lo sport può
giocare un ruolo importante, favorendo l'avvicinamento tra le parti e la risoluzione
pacifica delle controversie. Non a caso quindi gli operatori di Sportmeet, alla
domanda “quali erano i vostri obbiettivi?” parlano di dialogo: “promuovere la
riconciliazione tra gli sfollati del campo profughi e quelli che sono rimasti sulle
colline attraverso la costruzione del campo per attività sportive, far crescere la
collaborazione e la fiducia tra i gruppi etnici”.
Questa maniera di operare con lo sport prediligendo la relazione attraverso la buona
comunicazione ed il dialogo a Gishubi ha funzionato, a tal punto che hanno ricevuto
dei finanziamenti locali per costruire una recinzione del campo sportivo.
“Il vostro progetto di costruzione di uno spazio sportivo come è stato accolto dalle
istituzioni locali?”- “l'amministrazione locale ha contribuito con il dono del terreno,
31 Pregetto Casobu-Gishubi, Burundi, www.sportmeet.org.
33
delle porte da calcio e col sensibilizzare la popolazione sul valore del progetto. Finiti i
lavori, nel 2008, il campo è stato inaugurato alla presenza del Presidente della
Repubblica, insegnante di educazione fisica, che ha giocato la prima partita con la
sua squadra. Inoltre i media locali hanno dato grande rilievo al progetto”.
E riguardo ai risultati finali: “avete ottenuto dei risultati?”- “già collaborando, una
volta superata l'iniziale profonda diffidenza, nella costruzione di questo campo da
calcio, i gruppi di etnie diverse hanno cominciato a costruire rapporti interpersonali
positivi. L'accesso al campo è gratuito e si sta pensando di costruire anche una
tribuna e dei servizi igienici”.
Ora il campo da calcio è gestito da “Casobu” e dall'amministrazione locale, che per
l'alto numero di beneficiari che usufruiscono della struttura, in particolare bambini e
ragazzi, e per il fatto che appartengono a gruppi etnici diversi, sono spinti a
collaborare e a dialogare, a cercare soluzioni di mediazione pacifica, andando a
puntare proprio sugli obbiettivi di partenza del progetto. I giovani che poi si
incontrano sul campo, impareranno a crescere con una mentalità diversa da quella
che ha alimentato al guerra civile, per la quale le persone di un'etnia “diversa dalla
mia” erano nemiche. Il nuovo punto di vista sarà appunto quello basato sul
confronto e sul dialogo, da cui poi nascono collaborazione e fiducia.
34
GIOCO E SPORT NEL DISAGIO SOCIALE:
PROSPETTIVE CONCRETE
Il circo sociale
In questo capitolo vogliamo dire che il valore dell'attività fisica, intesa come gioco e
come sport può essere un fattore rilevante non solo in situazioni di guerra, ma può
anche essere un elemento di prevenzione dei conflitti, o dei comportamenti devianti
e pericolosi che possono nascere da situazioni di disagio sociale, tra le più diverse,
senza che necessariamente sia in corso un conflitto armato. Giocare, nei modi più
diversi, può essere determinante per creare lo spazio necessario a favorire lo
sviluppo e l'invenzione di quelle nuove forme di comportamento di cui si parlava nel
capitolo precedente, di comportamenti che potrebbero costituire l'alternativa a quelli
aggressivi e violenti, anche solo nelle parole e nell'atteggiamento. Forse sono proprio
i contesti di disagio quelli più adatti a generare forme di comportamento alternative,
perchè è quando c'è la necessità che l'uomo mette in campo la creatività, quindi
perchè non iniziare dal giocare, una fra le attività più creative dell'uomo?
Proprio di creatività è intrisa la dimensione del circo sociale.
"Circo Sociale per noi significa usare il circo per sviluppare autostima e abilità
circensi, dare l’opportunità ai ragazzi di esprimere se stessi, di essere più
creativi, cambiare attitudine da vittima a protagonista, da pubblico ad artista,
essere attori della loro vita, sviluppare una pedagogia che sia nuova e una
buona opportunità per andare oltre l’esperienza delle arti circensi ed
avvicinarsi anche all’apprendimento della lettura, di aprirsi alla cultura. E’
anche l’opportunità di creare un collegamento tra le persone che vivono nel
35
disagio e la società, dare loro la possibilità di esprimersi e di venire ascoltati,
capire le proprie potenzialità e dare il loro contributo come cittadini del
mondo. Non vogliamo re-inserirli, vogliamo anzi che la loro marginalità
contribuisca ad arricchire il tessuto sociale, devono solo apprendere un
linguaggio che permetta loro di farlo e il circo, come la danza, il teatro o altro,
sono strumenti che consentono di relazionarsi con il mondo degli adulti con
un’esperienza diversa. E alla società chiediamo di venire ed ascoltarli,
percepirli in modo diverso da come hanno fatto finora. Noi siamo
un’interfaccia, gettiamo un ponte tra queste due realtà. Usiamo spesso il
concetto di Resilience, sviluppato da Boris Cyrulnik, che si interroga su come
usare le esperienze che lasci dietro per farti proiettare in avanti. Alcuni ragazzi
rimangono segnati per tutta la vita dagli ostacoli incontrati, altri li usano per
smarcarsi e andare oltre. Noi ci impegniamo per sviluppare questa capacità" 32.
Portiamo ad esempio il progetto della scuola di circo "Ludica Circo", che tra dicembre
2013 e gennaio 2014 ha realizzato dei progetti in Thailandia, nella scuola provinciale
di Klang Yai e presso la fondazione Baan Unrak in scuole e orfanatrofi. Di fronte a
bambini e ragazzi con problematiche fisiche, emotive e sociali, le operatrici del circo
hanno fatto conoscere le arti circensi ed il mondo del circo a persone che non lo
conoscevano affatto. A Sangkhlaburi hanno anche diretto la regia di uno spettacolo in
cui si esibivano i ragazzi, che si sono dimostrati molto interessati alle ore di circo,
praticato sia alla mattina che al pomeriggio. Nelle strutture di Sangkhlaburi ci sono
bambini che sono stati abbandonati dalle madri, perchè in Thailandia le donne sole
faticano a sopravvivere, tanto più se hanno un bambino piccolo a carico. Le "mamme
single" difficilmente trovano un lavoro. In più, la regione dove ha sede la fondazione
32 Tratto dall’intervista a Michel Lafortune, direttore del dipartimento del Circo Sociale, da "Juggling
Magazine" n.38, marzo 2008.
36
Baan Unrak, è vicina al confine con la Birmania, e molte persone scappano in
Thailandia per fuggire dalle repressioni militari del governo. Circa la metà di queste
persone sono bambini.
Abbiamo chiesto a una delle operatrici in che modo il circo può essere significativo
accanto agli altri bisogni primari importanti per persone che vivono situazioni
difficili. La risposta è stata che le relazioni e le emozioni compongono la psiche delle
persone, e la psiche influisce poi sia sulla vita che sul corpo quindi giocare mettendo
in campo emozioni, psiche e corpo è la chiave per la guarigione interiore del mondo
di ciascuno.
Come ha detto Shimon Peres, premio Nobel per la pace 1994:
"Nonostante le nostre differenze, siamo in grado di costruire la pace, non solo
per negoziare la pace. Possiamo creare l'ambiente adeguato, e non solo
diventare vittime dell'ambiente esistente".
In quest'ottica dunque anche il circo diventa un modo di recente esplorazione che
aiuta le persone a creare gli ambienti adatti e i presupposti per i comportamenti che
portano verso la consapevolezza di sé, l'autonomia e la cooperazione, valori necessari
a determinare la pace in ogni ambiente che ci circonda.
Sports4peace e fair play
Sportmeet, attraverso "Sports4peace" propone un metodo universale per educare alla
pace attraverso il gioco e lo sport.
37
Sportmeet è membro di New Humanity, ONG con status generale consultivo presso
il Consiglio Economico Sociale delle Nazioni Unite. L'obiettivo primario di questa
rete internazionale di sportivi, operatori e professionisti dello sport è quello di
promuovere nello sport ed attraverso lo sport una cultura che contribuisca alla
costruzione della fraternità universale.
Nel 2005, in occasione dell'Anno Internazionale dello Sport e dell'Educazione Fisica
promosso dall'Onu, Sportmeet ha presentato il suo progetto di Sports4peace alle
Nazioni Unite a Ginevra.
Gli obiettivi del progetto:
•
sensibilizzare e promuovere nei ragazzi e nei giovani, nel corso di attività
ludiche o sportive, durante una gara o in un lavoro in team, autentici valori di
condivisione, indirizzati al sociale in modo costruttivo;
•
alla base del progetto sta un atteggiamento orientato al fairplay, alla
comunicazione ed all’interazione: rispetto reciproco, attenzione verso l’altro,
aiuto reciproco, onestà nel mettere in pratica le regole di gioco, capacità di
ascolto, capacità di scusarsi per un’azione scorretta, etc.
•
lo stile di vita praticato nel gioco e nello sport vuole essere un impulso per un
impegno analogo nella vita quotidiana: impegnarsi per una società orientata
alla pace ed alla cooperazione33.
La messa in pratica si basa su un dado colorato da lanciare prima di giocare, di fare
una partita, di incominciare un'attività sportiva. Questa la prassi:
•
Decide il dado: Lanciare insieme il dado, capire cosa propone la regola,
33 Un dado e sei regole per educare alla pace attraverso lo sport, www.sportmeet.org.
38
metterla subito in atto, giocando;
•
Time-out: Un momento di riflessione per prendere consapevolezza di ogni
azione compiuta, o vista compiere dagli altri, per mettere in pratica la regola
prescelta. Ogni gesto di pace compiuto mettendo in pratica una regola del
dado è degno di un “golden ring”, un cerchio d’oro. I “golden rings” danno
visibilità al risultato raggiunto, rendono ogni attività ludica o sportiva un
momento importante, allargano gli orizzonti.
•
Lasciare la propria impronta: ogni “cerchio d’oro” rappresenta idealmente
un’azione compiuta nello spirito delle regole di gioco di Sports4Peace. Con i
“golden rings” si vuole tessere una rete mondiale di pace. I “golden rings”
possono essere raccolti a voce, disegnati su un cartellone, ritagliati ed incollati
in forma di cerchietti colorati, o in altri modi nel corso dell’evento. I “golden
rings” si possono raccogliere virtualmente nel sito www.lifestyle4peace.org o
nel sito www.teamtime.net. Lasciare la propria impronta aiuta a prendere
coscienza che la pace universale si costruisce con piccoli gesti ed inizia col
proprio insostituibile contributo.
Che regole si trovano sulle sei facce del dado?
1. DO YOUR BEST! Dare il meglio di sè, partecipare con gioia.
(l'impegno personale come una condizione, crescere nell'autostima, sviluppare
fiducia in se stessi e negli altri).
2. PLAY FAIR! Essere onesti con se stessi e con gli altri.
(comportarsi in modo giusto e corretto, rispettare gli accordi e le regole).
3. HANG IN! Non mollare mai, anche quando è difficile.
(affrontare le difficoltà con spirito d'iniziativa, porsi delle sfide).
4. TAKE CARE OF! Trattare tutti con rispetto.
39
(avere lo sguardo corretto verso gli altri giocatori, lavorare insieme in modo
costruttivo e risolvere insieme i problemi).
5. CELEBRATE! Applaudire il successo altrui come il proprio.
(vivere la gioia e condividerla con gli altri, saper perdere e saper vincere).
6. MAKE A DIFFERENCE! Grandi mete si possono raggiungere solo insieme.
(vivere
un'intensa
esperienza
di
comunità,
ognuno
è
prezioso,
indipendentemente dalla simpatia, dalle capacità sportive ecc.).
La proposta di Sports4peace, nell'intento di diffondere con lo sport ed il gioco una
cultura di fraternità ed uno spirito di reciprocità, può essere valida per molteplici
situazioni, da quelle dei più vari disagi a quelle educative nelle scuole. Vediamo che
lo sport può essere un mattone importante verso la costruzione della pace, certo non
sarà l'unico, come afferma Adolf Ogi, consigliere speciale dello Sport per la Pace e lo
Sviluppo per l'ONU:
"Lo sport da solo non saprà porre fine alle guerre o costruire la pace. Ma offre
un metodo quasi infallibile per fare i primi passi in questa direzione, perché ci
mostra con evidenza che è più quello che ci unisce che quello che ci divide".
Nel panorama del fair play c'è uno sport che spicca più degli altri: l'Ultimate fresbee.
È uno sport di squadra reso speciale dal fatto che, da regolamento, non è previsto
l'arbitro. Si basa infatti sull'auto-arbitraggio, sulla sportività, sul rispetto delle regole
e dell'avversario (quello che comunemente si definisce "Spirito Del Gioco"). In questo
modo la responsabilità della conduzione del gioco e del rispetto delle regole è posta
su ogni giocatore, che, "elevato" al rango di arbitro, è l'unico responsabile del suo
40
comportamento in campo, arrivando ad ammettere il proprio fallo34.
Questo spirito è qualcosa di imprescindibile per poter giocare a Ultimate, sport
moderno che si potrebbe definire educativo, perchè il rispetto delle regole e dei
giocatori è necessario per poter giocare.
Terremoti: l'esperienza dell'Università di Verona
Anche l'Università di Verona, in primo luogo la facoltà di Scienze Motorie, è stata
protagonista di un'iniziativa che ha usato il gioco e lo sport come risorsa in situazioni
d'emergenza, più specificatamente in occasione dei terremoti dell'Abruzzo, nel 2009 e
dell'Emilia, nel 2012. Personalmente ho preso parte al progetto del 2012: "Estate
Insieme", che ha visto la collaborazione di Univr e del Coni di Modena nella
realizzazione di undici settimane di campo estivo presso tre comuni colpiti dal sisma:
Cavezzo, Mirandola e S. Prospero. Centodieci volontari di Univr, di cui
cinquantacinque studenti di Scienze Motorie, si sono alternati nell'organizzazione e
nella gestione dell'attività ludico-motoria e ricreativa per i duecentocinquanta
bambini e ragazzi coinvolti.
L'Università di Verona ha accolto l'esigenza della popolazione emiliana come
un'opportunità di impegno sociale e noi studenti volontari di Scienze Motorie, sotto
la guida dei nostri insegnanti, abbiamo cercato di organizzare e concretizzare
l'attività fisica con una finalità ludico-motoria e ricreativa di intervento, volta ad
affrontare e gestire alcuni sintomi del disturbo post-traumatico da stress in bambini e
ragazzi colpiti da sisma. In effetti, fra tutti i bambini ce n'erano alcuni che non
volevano giocare in nessun caso con gli altri, che se ne stavano seduti in disparte, ma
non a giocare a qualcosa di diverso, semplicemente seduti. Questi comportamenti si
34 Ultimate, che cos'è, www.fifd.it.
41
possono ricondurre alle reazioni psicologiche al trauma del terremoto manifestate
anche con la perdita di interesse per il gioco 35. Altre manifestazioni specifiche dei
bambini sono forme di gioco ripetitive e compulsive 36 e, più in generale, ansietà,
depressione, ansia da separazione dai genitori, evitamento della scuola, enuresi,
problemi psicosomatici...
Secondo studi scientifici i disturbi post-traumatici dei bambini sono diversi da quelli
degli adulti, che invece hanno delle analogie con quelli degli adolescenti. È stato
rilevato che la depressione nei bambini è associata al disturbo da stress posttraumatico (PTSD), e che questo è il disagio più diffuso in bambini che sono
sopravvissuti ad un terremoto37.
Sull'utilizzo dello sport all'interno di interventi in contesti post-traumatici da
terremoto ci sono pochi studi, sono necessarie ancora molte ricerche per poter
affermare un effetto positivo rilevante dell'attività fisica in queste situazioni. Da uno
sudio effettuato nel 2010 con dei questionari proposti a ragazzi dell'Aquila tra i
quattordici e i diciotto anni, è emerso che i ragazzi che praticano sport (almeno due
volte alla settimana per un'ora ogni seduta), hanno livelli inferiori di ansietà,
depressione, comportamenti bizzarri, problemi a scuola, cinismo, alienazione e altri
elementi del PTSD, rispetto ai loro coetanei che invece non praticano sport. Per una
differenza di genere, è risultato che generalmente le ragazze hanno questi parametri
leggermente più alti. Si è visto che già in partenza, anche senza traumi particolari, chi
pratica sport riesce a tenere questi parametri più bassi, ma che in presenza di una
condizione post-traumatica, questi raggiungono livelli decisamente più alti 38.
35
Cohen J. A., Practice parameters for the assessment and treatment of children and adolescents with posttraumatic stress
disorder, in "Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry", 1998 n.37.
36 Scheeringa M. S., Zeanah C. H., Drell M. J., Larrieu J. A., Two approaches to the diagnosis of posttraumatic stress
disorder in infancy and early childhood, in "Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry", 1995
n.34.
37 Eburu Salcioglu, Metin Basoglu, Psychological effects of earthquakes in children: prospects for brief
behavioral treatment, World Journal of Pediatrics, Londra e Istanbul, 2008.
38 Marco Valenti, Maria Giulia Vinciguerra, Francesco Masedu, Sergio Tiberti, Vittorio Sconci, A before and
after study on personality assessment in adolescent exposed to the 2009 earthquake in L'Aquila, Italy:
influence of sports practice, BMJ Open, 2012 n. 2.
42
CONCLUSIONI
La figura del cooperante sportivo
Aver partecipato ad una settimana dei campi estivi in Emilia è stato davvero
importante. Esperienze come queste, all'occorrenza, non dovrebbero mancare nella
formazione di un laureato in Scienze Motorie, perchè è un'esperienza pratica reale,
che è quella che conta di più, di quello che potrebbe essere lavorare come operatore
ludico-motorio in situazioni di disagio. L'università, in particolare la nostra facoltà,
deve saper cogliere sì queste occasioni come opportunità di impegno sociale, ma
anche e soprattutto come esperienze altamente formative per i suoi studenti, che
scoprono e fanno pratica di un loro possibile futuro: quello dell'operatore ludicomotorio, o, come l'ha chiamato Simone Digennaro, del cooperante sportivo. Questa
figura, che ora non è convenzionale, è capace di saper condurre con professionalità e
competenza attività sportive, sapendole gestire in contesti difficili e disagiati,
caratterizzati da alti livelli di conflittualità. A queste competenze si aggiungono alte
capacità organizzative e gestionali39.
La nostra università non ha tralasciato l'importanza di questa esperienza come
bagaglio di conoscenze e competenze per noi studenti, ha infatti riconosciuto il
tempo trascorso in Emilia come ore del tirocinio formativo.
In attesa della nascita di un percorso formativo specifico in questo settore, la facoltà
di Scienze Motorie dovrebbe organizzarsi al meglio, pensando e realizzando, con un
progetto comune su piano nazionale, delle linee guida generali incentrate sulla
cooperazione sportiva, che siano in grado di offrire una cornice operativa a
disposizione di tutti gli operatori del settore, con indicazioni che comprendano anche
39 Simone Digennaro, giochi di pace, saggio sul ruolo dello sport come strumento di sviluppo, Fano PU, Aras
edizioni, 2010, p. 135.
43
la progettazione, il monitoraggio, la valutazione e la gestione del conflitto 40.
Si potrebbe pensare preventivamente anche ad una procedura da seguire in caso di
emergenza, che comprenda corsi di formazione e informazione specifiche per le varie
tipologie di emergenze. E una rete tra le facoltà italiane e tra la facoltà e gli enti sul
territorio, in modo che, quando si prospetti la necessità, si possano ridurre i tempi di
intervento e ottimizzare il contributo che gli esperti (ma anche gli studenti, guidati
dai professori) possono portare.
Dal sito dell'Università di Verona:
"gli obiettivi formativi specifici del Corso di laurea in Scienze delle Attività
Motorie e Sportive sono finalizzati al conseguimento di competenze culturali e
operative adeguate per la conduzione e la valutazione di attività motorie
individuali e di gruppo a carattere educativo, ludico ricreativo, sportivo
finalizzate al mantenimento del benessere psico-fisico mediante la promozione
di stili di vita attivi. Il Corso di Laurea identifica come obiettivo formativo
primario lo sviluppo di conoscenze e competenze di ambito motorio-sportivo,
biomedico e psico-pedagogico relative allo sport e alle varie forme di attività
motorie necessarie per: -condurre programmi di attività motorie e sportive
nelle forme e nei modi che meglio rispondono alle esigenze e alle capacità del
praticante e del contesto territoriale e culturale in cui si svolgono. -Assumere
autonomia di giudizio e abilità relative alle procedure di valutazione ed analisi
delle caratteristiche del praticante e del contesto che sono necessarie per una
corretta proposta di attività motoria e sportiva. -Acquisire un metodo
scientifico di lavoro che porti ad uno sviluppo ed aggiornamento continuo
delle proprie capacità culturali ed operative, che consenta il confronto con il
mondo professionale anche internazionale, che sviluppi la capacità e la
40 Simone Digennaro, giochi di pace, saggio sul ruolo dello sport come strumento di sviluppo, Fano PU, Aras
edizioni, 2010, p. 135.
44
propensione a progradire nel proprio processo formativo"41.
Queste sono le competenze di base che ci si aspettano da un laureato in Scienze
Motorie, ma un'attenzione particolare per
• i processi psicologici di una persona, quelli culturali e sociali che mette in
moto uno sport piuttosto che un altro, un'attività ludica piuttosto che un'altra;
• la progettazione in situzuazioni d'emergenza o di disagio;
• la conoscenza e l'impiego di moltissimi giochi, attività motorie e discilpine
sportive, per evitare un'omogeneizzazione culturale;
• le altre competenze e capacità del cooperante sportivo che abbiamo descritto
sopra
possono sfociare in una possibilità nuova sul panorama lavorativo del laureato della
nostra facoltà.
Esistono dei punti in comune tra le competenze del laureato in Scienze Motorie e
quelle del cooperante sportivo, o mediatore ludico, che possono essere il punto di
partenza da cui progettare un percorso di formazione specifico:
•
la capacità di pensare e progettare la conduzione di un'attività fisica tenendo
conto dell'utente nelle sue componenti: fisiche, psicologiche, di eventuali
malattie, del suo vissuto, delle sue preferenze.. tenendo conto anche
dell'ambiente in cui va a svolgere l'attività, del materiale a disposizione ma
non solo..
grazie a questa flessibilità, l'operatore è capace di adattarsi a molteplici
situazioni, e sarà capace di essere efficiente in situazioni difficili, in cui è facile
che si imbatterà.
•
la conoscenza di molti giochi, sport, attività ludico-ricreative, da proporre nel
41 Giuda ai corsi di studio, www.univr.it.
45
momento più opportuno.
•
la capacità di lavorare in gruppo;
fondamentale poi per operare insieme a colleghi di culture diverse, con utenti
diversificati non solo per etnia, ma per età, disabilità, situazione sociale,
economica, religiosa... la dimensione della relazione è importantissima per un
lavoro che è a contatto con la gente. Queste capacità relazionali permetteranno
quindi all'operatore di rapportarsi con chiunque, di saper mediare con gli enti
e le istituzioni presenti sul territorio..
Queste sono le qualità di partenza che dovrebbe avere un vero mediatore, per essere
parte attiva in contesti di disagio sociale e nei processi di pacificazione, che sono
efficaci solo se è promossa la riconciliazione attraverso azioni di buona
comunicazione, cioè relazioni vere e trasparenti anche fra persone molto diverse.
Queste qualità, aggiunte a quelle specifiche nell'ambito sportivo-motorio possono
fare dell'operatore un esperto capace, con il suo contributo, di incidere nel percorso
verso la pace, verso la ricarca di comportamenti creativi alternativi alla guerra.
46
APPENDICE
QUESTIONARIO SECONDA GUERRA MONDIALE
Nato il 16/07/1918 a Bussolengo, Verona, 95 anni.
Chiamato a svolgere il servizio militare il 29/03/1939 tra Bolzano ed il Piemonte, due
anni dopo, il 29/03/1941 in qualità di bersagliere del 7° reggimento, 1^ compagnia, 3°
plotone, è salpato da Napoli per arrivare al porto di Tripoli.
-Dove ha svolto la sua mansione di bersagliere? L'hanno spostato?
-Dove è stato mandato?
-Quali erano i suoi compiti?
Da Tripoli una continua avanzata fino a Tobruk conquistata dopo 8 mesi d’assedio,
non avanzai per mia fortuna fino a El Alamein, in quanto giunti
a Sollum fui
richiesto come bersagliere motociclista.
Catturato dagli inglesi in terra egiziana fui portato in Tunisia il 14 maggio 1943 e poi
trasferito in Algeria a Bona. Ho aderito alla richiesta americana di cooperazione,
lavorando presso il porto di Orano e poi successivamente in Francia presso il porto di
Marsiglia per un anno e mezzo. Liberato a Digione sono tornato a casa nell’ottobre
del 1945 dopo quasi sette anni.
-Avevate dei momenti di “pausa”? Cosa facevate allora?
-Giocavate in qualche maniera? Facevate dei giochi?
-Dove lo facevate e quando?
-In che momenti della gioranta lo facevate? Lo facevate spesso?
47
Durante la guerra, dopo essere stato tutto il giorno in una buca, non avevi voglia di
giocare. La paura e la stanchezza ti impedivano qualsiasi gioco.
Solo nel campo prigionieri a Digione in Francia, nei momenti liberi dal lavoro si
giocava alla Boxe, a calcio, alla morra o a carte (briscola o tresette).
-Incontravate persone civili? Che relazione avevate con loro? Avete mai giocato con
loro?
Con le popolazioni locali non avevamo nessun contatto. Nei rari incontri c’era grande
diffidenza poiché “erano nemici e traditori”.
48
QUESTIONARIO GUERRA NEI BALCANI
Nato nel 1965 a Ruski Krstur, Serbia, 49 anni.
Guerra dei Balcani 1991-1995.
Attività al tempo: studente a Novi Sad.
Fino al 1992 abitavi nel nord della Serbia.
-Durante la guerra come era la situazione in quel territorio? Tu andavi
all'università? In che città? Come ci andavi?
Già all' inizio della guerra di diffuse una forte attività propagandistica per la guerra e
l’odio: la gente non era “pronta” per la guerra e bisognava convincerla che la cosa e
giusta, necessaria alle diverse etnie che compongono il popolo del Balcani. Intanto la
situazione economica peggiorava da un giorno all' altro. L' inflazione in quel periodo
e per circa due anni era del 1000%, così i salari del valore di 500 marchi tedeschi sono
calati di colpo a 5. Questa era una politica del governo per rubare i soldi ai cittadini,
soldi necessari per costruire armi per la guerra.
Io studiavo a Novi Sad, ma siccome la Serbia subiva le sanzioni, anche se non c'era la
guerra proprio sul nostro territorio, il combustibile per le macchine non c’era e i
pullman andavano quando andavano, non erano regolari. Così per andare a
sostenere un esame da dove abitavo a Novi Sad, aspettavo il pullman che non sapevo
se sarebbe arrivato o no. Poi, se lo prendevo, arrivavo sicuramente in ritardo di 3, 4
ore all' esame, ma i professori lo sapevano, vivevano anche loro questa situzaione e
non facevano problemi.
-C'erano dei momenti di svago in cui anche giocavi a qualsiasi cosa o facevi sport?
(per esempio se ti trovavi con gli amici a giocare a pallone, o a qualche altro gioco,
49
o giocavi in altro modo..)
Non so se questo si può considerare gioco, ma io ballavo danze popolari. Nella mia
città, che conta una maggioranza ruthena del 90%, facevamo danze di vari popoli
balcanici: le danze rutrhene/ucraine (la mia etnia), serbe, croate, macedoni,
bosniache.. per ballare ci incontravamo anche prima della guerra, e poi niente è
cambiato. Anche a Novi Sad, all'università dove studiavo, durante la guerra
giocavamo a pallone e agli altri sport classici come al solito, tra tutti gli studenti
presenti, che erano di varie etnie, serbi, croati, ungheresi, slovacchi, rutheni... le
relazioni quotidiane, almeno fra di noi studenti, non sono cambiate, ma i mass media
facevano un grande lavoro in questo senso, nell'intento di farci odiare fra etnie.
-Da solo o in compagnia? Con chi? Forse hai giocato anche con amici di altre etnie
che in quel momento erano in guerra?
Ballavo con i miei amici, che erano anche di altre etnie. Noi non sentivamo di odiarci
fra noi, di dover essere in guerra, anzi, vedendo la situazione molto difficile delle
persone intorno a noi, ci ingegnavamo insieme per trovare delle soluzioni per
aiutarle, riunendo vestiario o altre cose che potevano servire. Anche se l'atmosfera
era pesante, io e i miei amici eravamo ottimisti e, più che incontrarci a fare sport,
organizzavamo delle feste a cui partecipavano molte persone.In quelle occasioni
stavamo insieme e anche ballavamo.
-Nel corso della tua esperienza di guerra, hai mai visto dei militari che giocavano a
qualcosa? O con qualcosa?
No, non ho avuto contatti con loro.
50
QUESTIONARIO SPORTMEET
Sportmeet con Casobu.
Progetto in Burundi, provincia di Gitega.
Attraverso la pratica sportiva nel comune di Gishubi, colpito dalle conseguenze della
guerra civile, aumentare la fiducia e il dialogo tra le etnie, promuovere la
riconciliazione e rinforzare la pace.
Paolo Crepaz, responsabile del Centro Studi di Sportmeet (una rete internazionale di
sportivi, operatori e professionisti dello sport), che in collaborazione con CASOBU
(un’organizzazione senza scopo di lucro del Burundi che intende promuovere un
completo sviluppo umano e comunitario, affrontando la lotta a tutte le forme di
povertà materiale per dare piena dignità ad ogni persona), ha realizzato nell'estate
del 2007 la costruzione di un campo da calcio per attività sportive finalizzate al
dialogo interetnico nel campo profughi di Gishubi.
-Chi e quanti sono i beneficiari?
Nel comune di Gishubi ci sono 75.600 abitanti, di cui 41.000 donne. I beneficiari del
progetto sono i 1200 bambini che frequentano la scuola elementare e i 350 studenti
della scuola secondaria del comune, oltre ai circa 360 adulti che si trovano nel campo
profughi e sulle colline.
-Venendo in contatto con questa realtà difficile, dove spesso non sono soddisfatti
neanche i bisogni primari, perchè pensate che possa servire subito anche un
campo sportivo?
51
La priorità rilevata dai promotori di Casobu non era tanto quella legata ai bisogni
primari che in un contesto agricolo sono in parte superabili, ma quella legata ad anni
di guerra fra le etnie con migliaia e migliaia di morti: l'impegno comune nella
costruzione e nell'utilizzo del campo, condizione voluta e condivisa da Casobu e
Sportmeet, ha portato inattesi risultati di apertura di dialogo nella popolazione.
-Quali erano i vostri obbiettivi?
Promuovere la riconciliazione tra gli sfollati del campo profughi e quelli che sono
rimasti sulle colline, rinforzare la pace attraverso la costruzione del campo per
attività sportive finalizzate al dialogo tra le etnie, far crescere la collaborazione e la
fiducia tra i gruppi etnici.
-Il vostro progetto di costruzione di uno spazio sportivo come è stato accolto dalle
istituzioni locali?
L'amministrazione locale ha contribuito con il dono del terreno, delle porte da calcio
e col sensibilizzare la popolazione sul valore del progetto. Finiti i lavori, nel 2008, il
campo è stato inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica, insegnante
di educazione fisica, che ha giocato la prima partita con la sua squadra, donando alla
città anche un finanziamento per costruire una recinzione. Inoltre i media locali
hanno dato grande rilievo al progetto.
-Come avete gestito all'apertura l'utilizzo del campo? Per esempio organizzavate
delle partite, c'erano degli orari di apertura e il gioco era libero, proponevate voi
degli sport? O proponevate anche giochi? Come gestivate l'affluenza? Ora è
autogestito?
52
Durante i mesi di estivi di luglio e agosto è stata data a tutti i giovani della città la
possibilità di giocare sul campo sportivo. E' stata l'occasione per iniziare la seconda
fase del progetto organizzando attività sportive per contribuire all'obiettivo di
riconciliazione e di educazione alla pace. Un comitato di giovani provenienti da
gruppi che hanno contribuito e collaborato al progetto fin dall'inizio attraverso il
campo di lavoro, ha preparato un torneo che ha portato sei squadre di giovani da 34
colline della città. Il torneo promosso da CASOBU è stato realizzato in collaborazione
con il Comune Gishubi e il Ministero della Gioventù, dello Sport e della Cultura ed è
stato chiuso 30 agosto 2008 da una finale che ha opposto le due migliori squadre
spesso antagoniste. Alla fine è stato distribuito ai partecipanti al torneo del materiale
scolastico grazie ad un finanziamento delle Nazioni Unite. Si noti che questo torneo
ha visto anche la partecipazione di gruppi di donne, sostenitrici delle loro squadre di
diversi gruppi etnici, un precedente positivo per le azioni di riconciliazione e di
partecipazione della regione.
Come è stato il caso per i giovani adulti che hanno prestato servizio per il campo di
lavoro così anche i giovani hanno potuto fare la stessa esperienza giocando a calcio.
La popolazione di Gishubi, ed in particolare i giovani, hanno scelto il sito sportivo
comunale come luogo di incontro privilegiato per il calcio e per le attività culturali e
ora ospita delegazioni sportive da tutta la provincia di Gitega.
Da allora l'affluenza al campo è regolamentata da Casobu insieme con
l'amministrazione comunale di Gishubi, promuovendo attività calcistiche regolari,
con allenamenti e tornei rivolti soprattutto ai più giovani delle diverse etnie.
-In che modo pensate che il gioco e lo sport possano influire positivamente in
contesti come questi, dove la gente ha appena passato un periodo di guerra?
Lo sport è un elemento catalizzatore per smorzare i pregiudizi e gettare le basi per
53
una più approfondita educazione alla pace e alla tolleranza, a sostegno della
formazione e dello sviluppo.
-Avete ottenuto dei risultati?
Già collaborando, una volta superata l'iniziale profonda diffidenza, nella costruzione
di questo campo da calcio, i gruppi di etnie diverse hanno cominciato a costruire
rapporti interpersonali positivi. L'accesso al campo è gratuito e si sta pensando di
costruire anche una tribuna e dei servizi igienici.
-Cosa c'è da migliorare?
Il campo sportivo e le sue attività, è bene precisarlo, sono solo una parte di un
progetto globale di cooperazione allo sviluppo: il calcio ha permesso e permette
l'incontro. Su questa base si sono sviluppate e si sviluppano altre azioni.
54
QUESTIONARIO CIRCO SOCIALE
Circo sociale all'estero.
Progetti in Thailandia, nella scuola provinciale di Klang Yai e presso la fondazione
Baan Unrak in scuole e orfanatrofi.
Il circo sociale è un approccio dinamico basato sull'arte-educazione che mira ad
insegnare le competenze necessarie alla relazione con se stessi e con gli altri;
attraverso il circo sociale viene data una nuova possibilità per esprimersi e di venire
ascoltati, capire le proprie potenzialità e dare il proprio contributo come cittadini del
mondo.
L'obiettivo del Circo sociale è quello di sviluppare e incrementare nei giovani la
consapevolezza di sé, l'autonomia, la cooperazione, l'autodisciplina e molti altri
valori.
Stefania Garaccioni, della cooperativa sociale onlus “Hermete” e di “Ludica Circo”,
in collaborazione con “ads i cinque elementi” e la fondazione “Baan Unrak” di
Bankok, ha portato alla realizzazione di un primo viaggio in Thailandia nei mesi di
dicembre 2013 e gennaio 2014.
-In quanti e quali posti siete stati? Per quanto tempo in ognuno?
Nel dipartimento e nella scuola provinciale di Klanjg Yai e fondazione Baan Unrak a
Sangkhlaburi. Siamo stati sei giorni nel primo luogo e dieci nel secondo.
-Quanti bambini/ragazzi c'erano in ogni posto? Che età avevano?
55
Ce n'erano 500 nel primo e 150 nel secondo, avevano dai 6 mesi ai 18 anni.
-Quali erano i vostri obiettivi?
Nel primo luogo i ragazzi erano molti e l'obiettivo è stato di far conoscere le arti
circensi e il mondo del circo e del clown che loro non conoscono affatto. Nel secondo
abbiamo insegnato e fatto la regia di uno spettacolo, i ragazzi erano meno e siamo
andati in profondità con tutti gli obiettivi pedagogici del circo sociale.
-In che modo operavate? Come era distribuita l'attività durante il giorno?
Svolgevamo lezioni di un ora e mezza ciascuna , di solito una la mattina e due al
pomeriggio, nel primo progetto eravamo inseganti in orario scolastico, nel secondo
eravamo accolti nell'orfanotrofio e nei loro progetti.
-Che problematiche avevano i bimbi?
Fisiche, emotive, sociali... di tutto, come in Italia ma con problematiche diverse.
-A seconda del vissuto dei bambini che incontravate mettevate in atto un diverso
intervento? Magari proponendo un gioco piuttosto che un altro?
Sì.
-Secondo voi il gioco/circo come può essere significativo accanto agli altri bisogni
primari importanti per persone che vivono situazioni difficili?
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Le relazioni e le emozioni compongono la psiche delle persone e la psiche influisce
poi sia sulla vita che sul corpo quindi giocare mettendo in campo emozioni, psiche e
corpo è la chiave per la guarigione interiore del mondo di ciascuno.
-Avete ottenuto dei risultati? Come hanno risposto i bambini?
Sì, i bambini erano molto interessati.
-Il gioco/circo così utilizzato può avere delle ripercussioni sociali più al largo?
Oltre l'esperienza dei singoli bambini?
La società che non gioca libera è malata.
-In che modo credete che possa incidere il circo sulla vita delle persone che avete
incontrato e che incontrate? Credete che sia l'attività del circo che opera o pensate
che sia importante anche il modo in cui viene proposto, l'approccio degli
operatori? Se si, qual è questo modo?
Il circo in sé è un elemento positivo , ciascuno lo propone col suo modo, per noi è
importante fare attenzione alla relazione che instauriamo.
-Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato?
Le difficoltà sono state soprattutto l'organizzazione e il recupero dei materiali.
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