Link al formato PDF

CONFIMI
Rassegna Stampa del 27/10/2014
La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o
parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue;
MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto
specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE
CONFIMI
25/10/2014 Prima Pagina - Modena
Fatturazione elettronica, ok di Confimi
12
CONFIMI WEB
24/10/2014 agenparl.com 14:10
PA: CONFIMI,BENE TOOL UNION CAMERE SU FATTURAZIONE ELETTRONICA, MA
OBBLIGO CONSERVAZIONE VA ELIMINATO PER TUTTI
14
24/10/2014 globalpress.eu 18:07
FATTURAZIONE ELETTRONICA PA: CONFIMI, BENE IL TOOL UNIONCAMERE
15
SCENARIO ECONOMIA
25/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Una spinta all'economia
17
25/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Katainen e la Cancelliera I falchi si scoprono mediatori
19
25/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Hanno scatenato la crisi ma ora sono più solide»
20
25/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
LA DEBOLEZZA DELL'EUROPA AIUTA A TROVARE UNA VIA D'USCITA
22
25/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Eni, altri indagati. «Tangenti da 197 milioni»
23
26/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Ferrovie, più chiarezza» Messori lascia le deleghe
24
26/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Camusso: pronti allo sciopero generale
26
26/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Manovra, premio fiscale alla ricerca
27
27/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Qualcuno È più uguale degli altri
29
27/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Con la riforma del lavoro l'Italia ce la farà»
30
27/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Profumo: «Pronti a qualsiasi operazione»
33
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
La dote di «riserva»
35
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
L'incremento del deficit è 10,4 miliardi
37
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
«Maastricht mai applicato, va rinegoziato»
40
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
Il meglio è nemico di ambiente ed economia
41
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
Fiducia e shopping, Italia in retromarcia
42
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
Esclusi gli interventi pubblici*
44
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Il vero test è la recessione
45
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Per il credito è l'anno zero
47
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Draghi non dà consigli di Borsa
49
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Fari Bce su nove banche italiane
51
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
53
«Ora un'autorità finanziaria europea»
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Per rilanciare il credito potrebbe non bastare
55
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Un'altra strada verso la crescita
56
27/10/2014 Il Sole 24 Ore
Il Monte si affida a Ubs e Citi
58
27/10/2014 Il Sole 24 Ore
L'Ad Viola: penalizzati in Ue valutiamo fusione
60
27/10/2014 Il Sole 24 Ore
La sfida nostra e quella degli altri
62
27/10/2014 Il Sole 24 Ore
«Bilanci rafforzati per 200 miliardi di euro»
64
25/10/2014 La Repubblica - Nazionale
La vera partita è con Berlino
65
25/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Stress test, l'ora dei verdetti 25 banche non passeranno a circa dieci serve capitale
66
25/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Del Vecchio traccia la rotta per Luxottica "Mia famiglia fuori e io lascerò la guida ai
nuovi manager"
67
26/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Mezzogiorno di fuoco per le banche in crisi oggi i verdetti della Bce Eurolandia col
fiato sospeso
68
26/10/2014 La Repubblica - Nazionale
"E' un passo radicale verso l'unione bancaria stop anche al credit crunch"
69
26/10/2014 La Repubblica - Nazionale
"Così l' 'anarconomy' salverà l'Europa"
70
26/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Ue, l'Italia rischia ancora possibile procedura sugli squilibri economici
71
27/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Il tempo degli sconti è ormai finito
73
27/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Siena, doccia gelata sulla città sconfitta
75
27/10/2014 La Repubblica - Nazionale
Esame sul rischio crac Bce boccia 25 banche e le italiane sono nove "Ma il sistema è
77
solido"
27/10/2014 La Repubblica - Nazionale
"Aiuti miliardari a Spagna e Germania noi paghiamo la debolezza del Paese"
78
25/10/2014 La Stampa - Nazionale
Vendita Sea, Gamberale assolto E Robledo in aula attacca Bruti
79
25/10/2014 La Stampa - Nazionale
Intesa vara il riassetto: al via tre nuovi poli per area di business
80
25/10/2014 La Stampa - Nazionale
Meridiana, salta il negoziato Via alla procedura di mobilità
81
26/10/2014 La Stampa - Nazionale
Parte la lettera all'Ue Renzi certo di avere la flessibilità sui conti
82
26/10/2014 La Stampa - Nazionale
"L'Italia ci preoccupa molto ma il boom tedesco è un'illusione"
83
26/10/2014 La Stampa - Nazionale
Banche, ultime mosse prima del verdetto
85
27/10/2014 La Stampa - Nazionale
"Ma fare credito sarà più facile"
87
27/10/2014 La Stampa - Nazionale
"Persino il pubblico impiego ormai ha paura del futuro La pensione? Un'incognita"
88
27/10/2014 La Stampa - Nazionale
"Spese senza controlli Bisogna cambiare testa"
89
27/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
QUEL CONFLITTO DI INTERESSI TRA STATO E CONFINDUSTRIA
91
27/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
App Economy una rivoluzione da 16 miliardi per le aziende europee
92
27/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Privatizzazioni, il grande freddo
94
27/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Fondi d'investimento la rivoluzione della Borsa
96
27/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Troppa finanza poca economia
98
27/10/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Finmeccanica Moretti anno zero
100
27/10/2014 Corriere Economia
Age
nda
digitale, due anni solo per completare il «log-in»
102
27/10/2014 Corriere Economia
La strana coppia che dovrà dare fiducia all'Italia migliore
103
27/10/2014 Corriere Economia
Effetto stress-test Da oggi riparte il risiko *
104
25/10/2014 Milano Finanza
Perché una bocciatura non minerebbe la solidità del sistema
106
25/10/2014 Milano
Finanza
Si volta davvero pagina
107
25/10/2014 Milano Finanza
Dove va la formica italiana
109
25/10/2014 Milano Finanza
Poste accelera sull'ipo. Contratto di programma in corsia preferenziale
111
SCENARIO PMI
25/10/2014 Corriere della Sera Nazionale
La nuova Fiat vara il «contratto di rete»
113
26/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale
se i «partiti deboli» minano il rilancio della produttività
114
25/10/2014 Il Sole 24 Ore
«RaiWay, Ipo possibile entro il 2014»
116
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Cerved diversifica: focus su gestione dei crediti dubbi e business dei rating
117
26/10/2014 Il Sole 24 Ore
Professione scienziato del dato
120
27/10/2014 Corriere Economia
Ho vestito il (futuro) re d'Inghilterra
122
25/10/2014 Milano
Finanza
L'ULTIMA SETTIMANA
123
CONFIMI
1 articoli
25/10/2014
Prima Pagina - Modena
Pag. 24
Fatturazione elettronica, ok di Confimi
«Ma l'obbligo di conservazione va eliminato per tutti»
«Positiva, - commenta Flavio Lorenzin, vice presidente Confimi Impresa con delega alla semplificazione e ai
rapporti con la pubblica amministrazione - l'at t ivazione del nuovo servizio di fatturazione elettronica messo a
disposizione gratuitamente dal sistema camerale, a favore delle piccole e medie imprese. Anche se in ritardo
rispetto allo start del 6 giugno, che però ha riguardato solo i fornitori di alcune amministrazioni (Stato, agenzie
ed enti previdenziali), la nuova piattaforma permetterà di affrontare con maggiore serenità lo scoglio del 31
marzo 2015 quando l'obbligo sarà esteso a 360 gradi alle forniture verso qualsiasi pubblica amministrazione
(comuni, province, regioni, Asl)». Nuovo servizio Prosegue Lorenzin: «Positivo, in particolare, che il nuovo
servizio comprenda, sempre gratuitamente, anche la conservazione sostitutiva eliminando l'i n g i u s t ificata
disparità rispetto alle Pmi fornitrici Mepa». Passo avanti» «Si tratta di un importante passo in avanti, in linea
con le osservazioni e le richieste formulate da Confimi impresa la scorsa estate; - conclude il vice presidente
di Confimi Impresa -. La soluzione riguarda, però, solo le Pmi che emetteranno poche fatture (circa 20),
mentre non potrà essere utilizzata dai fornitori che superano i limiti dimensionali delle Pmi. Per questo motivo,
quindi, è importante, dal punto di vista normativo, e l i m i n a re " t o u t cour t" l'onere della conservazione
sostitutiva in modo che il fornitore sia libero di valutare liberamente se attivare il (complesso) processo di
conservazione sostitutiva oppure di stampare e conservare su carta la fattura elettronica. Il solo invio della
fattura elettronica nel formato Xlm sarebbe, infatti, più che sufficiente a garantire gli obiettivi di efficientamento
della pubblica amministrazione, a prescindere dalla modalità di conservazione del fornitore. Dal punto di vista
tecnico, infatti, non ci sono motivi per imporre l'obbligo della conservazione sostitutiva» chiude Lorenzin.
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Nei rapporti con la pubblica amministrazione è apprezzato lo strumento di Unioncamere AZIENDE
CONFIMI WEB
2 articoli
24/10/2014
14:10
agenparl.com
Sito Web
pagerank: 5
(AGENPARL) - Roma, 24 ott - "Positiva, - commenta Flavio Lorenzin, Vice Presidente Confimi Impresa con
delega alla Semplificazione e ai rapporti con la P.A., - l'attivazione del nuovo servizio di fatturazione
elettronica (https://fattura-pa.infocamere.it) messo a disposizione gratuitamente dal sistema camerale, a
favore delle piccole e medie imprese. Anche se in ritardo rispetto allo start del 6 giugno, che però ha
riguardato solo i fornitori di alcune amministrazioni (Stato, Agenzie ed enti previdenziali), la nuova piattaforma
permetterà di affrontare con maggiore serenità lo scoglio del 31 marzo 2015 quando l'obbligo sarà esteso a
360 gradi alle forniture verso qualsiasi pubblica amministrazione (comuni, province, regioni, asl, ecc)."
Prosegue Lorenzin: "Positivo, in particolare, che il nuovo servizio comprenda, sempre gratuitamente, anche la
conservazione sostitutiva eliminando l'ingiustificata disparità rispetto alle PMI fornitrici MEPA."
"Si tratta di un importante passo in avanti, in linea con le osservazioni e le richieste formulate da Confimi
impresa la scorsa estate; - conclude il Vice Presidente di Confimi Impresa - "La soluzione riguarda, però, solo
le PMI che emetteranno poche fatture PA (circa 20), mentre non potrà essere utilizzata dai fornitori che
superano i limiti dimensionali delle PMI.
Per questo motivo, quindi, è importante, dal punto di vista normativo, eliminare "tout court" l'onere della
conservazione sostitutiva in modo che il fornitore sia libero di valutare liberamente se attivare il (complesso)
processo di conservazione sostitutiva oppure di stampare e conservare su carta la fattura elettronica. Il solo
invio della fattura elettronica nel formato XLM (D.M. 55/2013) sarebbe, infatti, più che sufficiente a garantire
gli obiettivi di efficientamento della PA, a prescindere dalla modalità di conservazione del fornitore. Dal punto
di vista tecnico, infatti, non ci sono motivi per imporre l'obbligo della conservazione sostitutiva."
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 27/10/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
PA: CONFIMI,BENE TOOL UNION CAMERE SU FATTURAZIONE
ELETTRONICA, MA OBBLIGO CONSERVAZIONE VA ELIMINATO PER
TUTTI
24/10/2014
18:07
globalpress.eu
Sito Web
ROMA (AGG) - "Positiva l'attivazione del nuovo servizio di fatturazione elettronica (https://fatturapa.infocamere.it) messo a disposizione gratuitamente dal sistema camerale, a favore delle piccole e medie
imprese. Anche se in ritardo rispetto allo start del 6 giugno, che però ha riguardato solo i fornitori di alcune
amministrazioni (Stato, Agenzie ed enti previdenziali), la nuova piattaforma permetterà di affrontare con
maggiore serenità lo scoglio del 31 marzo 2015 quando l'obbligo sarà esteso a 360 gradi alle forniture verso
qualsiasi pubblica amministrazione (comuni, province, regioni, asl, ecc)". Ha così commentato Flavio
Lorenzin, Vice Presidente Confimi Impresa con delega alla Semplificazione e ai rapporti con la PA. "Positivo,
in particolare - sottolinea - che il nuovo servizio comprenda, sempre gratuitamente, anche la conservazione
sostitutiva eliminando l'ingiustificata disparità rispetto alle PMI fornitrici MEPA. Si tratta di un importante passo
in avanti, in linea con le osservazioni e le richieste formulate da Confimi impresa la scorsa estate - conclude il
Vice Presidente di Confimi Impresa - La soluzione riguarda, però, solo le PMI che emetteranno poche fatture
PA (circa 20), mentre non potrà essere utilizzata dai fornitori che superano i limiti dimensionali delle PMI. Per
questo motivo, quindi, è importante, dal punto di vista normativo, eliminare `tout court` l'onere della
conservazione sostitutiva in modo che il fornitore sia libero di valutare liberamente se attivare il (complesso)
processo di conservazione sostitutiva oppure di stampare e conservare su carta la fattura elettronica. Il solo
invio della fattura elettronica nel formato XLM (D.M. 55/2013) sarebbe, infatti, più che sufficiente a garantire
gli obiettivi di efficientamento della PA, a prescindere dalla modalità di conservazione del fornitore. Dal punto
di vista tecnico, infatti, non ci sono motivi per imporre l'obbligo della conservazione sostitutiva".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 27/10/2014
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
FATTURAZIONE ELETTRONICA PA: CONFIMI, BENE IL TOOL
UNIONCAMERE
SCENARIO ECONOMIA
61 articoli
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Una spinta all'economia
Francesco Daveri
domani la Bce renderà pubblici i risultati della valutazione sui bilanci di 130 banche europee. Sarebbe miope
pensare che il test conti solo per gli istituti. Conta anche per imprese e famiglie: dai loro radar è scomparso il
credito. Ed è solo con banche capitalizzate e con bilanci sicuri che tornerà ad aprirsi il rubinetto del credito. a
pagina 30
D opo mesi di lavori preparatori, domani la Banca centrale europea renderà pubblici i risultati della
valutazione complessiva dello stato di salute dei bilanci di 130 grandi banche europee, l'82% degli attivi
bancari di tutta l'Unione. Si avranno così informazioni più precise su quanto valgano davvero i crediti iscritti a
bilancio dalle banche e, con i risultati degli stress test , anche quanto questi valori potrebbero scendere in
condizioni macroeconomiche e di mercato particolarmente negative. Nelle due settimane successive alla
pubblicazione, le banche con capitale insufficiente a sostenere le loro esposizioni dovranno presentare piani
per colmare la loro carenza di capitale entro la metà del 2015. I risultati degli stress test saranno usati dalla
Bce che, dal primo novembre, diventerà il supervisore unico dell'attività bancaria delle grandi banche in
Europa.
Arriva così finalmente a compimento un passo cruciale del processo di unione bancaria. L'idea di trasferire la
supervisione alla Bce deriva da una presa d'atto: negli ultimi anni i bubboni finanziari che hanno messo in
ginocchio il sistema bancario spagnolo (poi salvato con i soldi del fondo europeo Salva-Stati) come anche i
più recenti scandali del portoghese Banco Espirito Santo e della banca austriaca Hypo Alpe Adria sono usciti
dalla opacità dei bilanci bancari a sua volta consentita dalla frammentazione delle regole e delle supervisioni
nazionali. Prima di assumere la supervisione, in questi mesi Francoforte ha scritto corposi libri di istruzioni
che hanno costretto le banche a intraprendere uno sforzo per uniformare le definizioni dei loro crediti poco
liquidabili e di dubbia esigibilità. Uno sforzo che ha già prodotto risultati tangibili.
Parlando di ripulitura dei bilanci bancari, molto è già avvenuto nell'ultimo anno. In Italia, già nel 2013 sono
cominciate drastiche operazioni di pulizia dei bilanci. Unicredit ha concluso il 2013 con una maxi-perdita da
14 miliardi di euro. Intesa Sanpaolo ha chiuso l'anno con perdite da oltre 4,5 miliardi e con rettifiche di valore
per altri 6,8 miliardi. Varie manovre straordinarie hanno interessato anche le altre banche coinvolte dai test
della Bce. Domani si saprà per chi queste operazioni sono state sufficienti e a chi sarà richiesto uno sforzo
supplementare. Di sicuro le banche di tutta Europa hanno cominciato da tempo a rafforzare il proprio stato
patrimoniale in vista di un esame che punta a restituire la fiducia degli investitori internazionali nella solidità
del sistema finanziario della Ue. È solo con un recupero di trasparenza dei bilanci bancari che il capitale degli
investitori ritornerà a premiare le banche e i banchieri che fanno bene il loro mestiere di reperire fondi e di
allocare il credito all'economia, anziché riversarsi a pioggia nel settore bancario nella fondata speranza del
prossimo salvataggio pubblico.
Sarebbe però miope pensare che il test sui bilanci conti solo per banche e banchieri. Conta anche per
imprese e famiglie europee. È dai loro radar che è scomparso il credito in questi anni. Ed è solo con banche
finalmente capitalizzate e con bilanci più sicuri che il rubinetto del credito bancario tornerà ad aprirsi per
famiglie e imprese. Ma quella di domani è anche una pagina importante per l'Europa politica, per riavviare la
costruzione di un'Europa più multipolare e meno germanocentrica, basata su regole simmetriche e condivise.
Solo in un'Europa in cui anche le banche tedesche (comprese le pubbliche) possano essere valutate ed
eventualmente indotte alla ricapitalizzazione o alla fusione da un supervisore unico si può pensare che i
governi nazionali come quello italiano e francese possano accettare di sottoporre i loro bilanci
all'approvazione preventiva di Bruxelles. In ballo, da domani, non ci sarà solo il destino delle banche europee,
ma un pezzo del futuro dell'Unione Europea.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
17
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il commento
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Puoi
condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
18
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Katainen e la Cancelliera I falchi si scoprono mediatori
Profilo basso Hollande preferisce rimanere all'ombra della Germania: l'asse con Roma è ai minimi
Luigi Offeddu
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES Non si è trasformato certo in tortora, o gallina prataiola. Ma alla fine, colui che in tanti
dipingono come «falco» si è rivelato un mediatore pragmatico e posato, almeno quanto il suo interlocutore:
per ore, ieri, il nordico Jyrki Katainen ha parlato con il «nordico» Pier Carlo Padoan (romano ma di padre
torinese, e cresciuto in Canada), finché la soluzione che sembrava introvabile è stata trovata, le cifre che
volteggiavano come lucciole nel buio sono tornate sulla terra, e l'euro-litigata con l'Italia sulla riduzione del
deficit strutturale si è ricomposta in un accordo negoziato. I «capi», Matteo Renzi per il governo italiano e
Jean-Claude Juncker per la Commissione europea (testimone ormai in partenza, il suo predecessore José
Manuel Barroso), hanno certo fornito le loro idee e apposto il sigillo finale, ma da una posizione in qualche
modo defilata. E in questo fatto, si è manifestata un'altra caratteristica che sembra accomunare Katainen e
Padoan: il finlandese, nomea da rigorista inflessibile ma tempra di mediatore che sa anche quando riporre
l'elmetto, «scherma» Juncker nelle trattative più dure, proprio come Padoan scherma Renzi nelle stesse
situazioni.
Per ora, è solo un'impressione. Ma basteranno forse poche settimane o pochi mesi, per metterla alla prova.
Nel frattempo, i «niente diktat» e le intemerate di Renzi hanno anche fatto da cartine di tornasole per gli
«altri», i vari Paesi o le fazioni in cui si raggruppano. La reazione più interessante è forse quella della Francia:
colpita anch'essa dalla lettera di richiamo, e solo pochi mesi fa definita come un'alleata sicura di Roma nel
segno delle crescita e della comunanza socialista dei due leader, ora mantiene un profilo basso e soprattutto
si tiene all'ombra di Angela Merkel: se mai c'è stato, oggi il patto Renzi-Hollande sembra soffrire di pressione
bassa.
Poi, c'è la sorpresa della Germania. Sempre vista da Roma come un mastino di pronta zanna, non si è
smentita tenendo saldamente le posizioni nel dibattito della mattinata, ma alla fine Angela Merkel ha
partecipato anche lei alla mediazione con Junker e Barroso per poi riferire a Renzi: «Caro Matteo, ora siete
sulla strada giusta e dovete andare avanti».
Infine, gli antichi compagni di sventura, cioè di debito pubblico, dell'Italia: Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda.
Si limitano tutti a osservare dai bordi del campo: in parte sono usciti dalla bufera, non hanno interesse a
riattirare l'attenzione su di sé, neanche per amore di un vecchio alleato.
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Funzioni
A novembre la nuova Commissione Juncker subentrerà
alla squadra
di Barroso Ha ricevuto
il via libera del Parlamento Ue il 22 ottobre: i sì di popolari, socialisti, liberali
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
19
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'analisi
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Hanno scatenato la crisi ma ora sono più solide»
David de Rothschild: dagli stress test nessuno sconvolgimento
Fabio Tamburini
MILANO «Non prevedo sconvolgimenti e non andrà così male come qualcuno teme, anche se qualche
istituto soffrirà». La previsione sui risultati delle verifiche europee che hanno esaminato la qualità dei bilanci
bancari è di David de Rothschild, presidente del gruppo, uno dei pochi banchieri internazionali in un mondo di
manager bancari. «Sono controlli necessari», aggiunge, «perché servono banche solide che diano solidità al
sistema e che contribuiscano allo sviluppo economico». Nato 72 anni fa a New York ma cresciuto in Francia,
sposato con un'italiana, è l'erede della dinastia fondata all'inizio dell'Ottocento. In questi giorni è a Milano,
perché il gruppo Rothschild lancia anche in Italia le attività nella gestione dei grandi patrimoni. «L'entrata in
Italia, dove abbiamo una presenza consolidata nel mergers and acquisitions, è un passo logico. Ci rivolgiamo
a famiglie e imprenditori che vogliono preservare la loro ricchezza e lo facciamo grazie all'esperienza, alla
visione di lungo termine sui mercati e all'indipendenza».
Gli esami alle banche eviteranno una nuova crisi come quella del 2008?
«In effetti quella crisi è arrivata dal sistema bancario. Gli asset degli istituti di credito erano cresciuti troppo e i
rischi erano troppo grandi e fuori controllo. Oggi le banche sono molto più capitalizzate e il rischio è
decisamente inferiore, ma non sono ammesse distrazioni».
Non ritiene che la loro attività e la fiscalità nei Paesi dell'Unione europea debbano essere armonizzate?
«Sì, naturalmente»
Verrà fatto?
«Non lo so. Il sistema, in fondo, sopravvive ugualmente».
Il presidente della Bce sta facendo le scelte giuste?
«Sono, lo dico scherzando, un fanatico sostenitore di Mario Draghi. Le sue decisioni vanno nella direzione
giusta. Sta resistendo alle pressioni della Germania e lo fa per il bene dell'Europa e del sistema bancario».
La priorità assoluta al taglio del debito pubblico è un errore?
«Tutto subito non funziona. Troppa austerità fa male. Il rischio è creare più disoccupati e più povertà, con
effetti drammatici. La scommessa, per l'Italia e la Francia, è di avere e realizzare un piano di riforme
decennale. Matteo Renzi e il premier francese, Manuel Valls, sono sulla strada giusta. Stanno andando verso
un socialismo moderno in cui non cambia molto chi è al governo. La sostanza è che le scelte di fondo
rimangano favorevoli al libero mercato. Ed è quanto basta. Sono preparati e determinati, vanno incoraggiati.
Certo, sulle riforme, la Germania ha dieci anni di vantaggio».
Come può essere favorita la ripresa economica?
«Per esempio lanciando programmi d'investimento su larga scala».
Con quali finanziamenti?
«Anche aumentando un po' il debito».
Condivide la proposta di utilizzare eurobond?
«L'idea è buona, ma l'argomento è complicato e in Europa manca l'accordo. Sul mercato, invece, c'è una
liquidità enorme, disponibile per progetti interessanti».
C'è da preoccuparsi per le sbandate delle Borse?
«Fare previsioni è sempre molto difficile e, quando si rileggono, sono spesso disattese. Ma oggi mancano
alternative e gli investimenti rimarranno sull'azionario».
Perché è ottimista?
«Le società quotate stanno molto meglio di tre, cinque anni fa e non ci sono segnali di crisi strutturale dei
mercati».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
20
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'intervista
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
21
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Perché avete nominato Paolo Scaroni, l'ex amministratore delegato Eni, in Rothschild group?
«Sono stato diversi anni con lui nel board della banca olandese Abn Amro. E' molto professionale, brillante,
sofisticato, con un network di relazioni internazionali nell'energia che pochi hanno. Porterà un contributo
importante alle nostre attività internazionali».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Armoniz-zare la fiscalità Ue? Il sistema, in fondo, sopravvive ugualmente
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:619980, tiratura:779916)
LA DEBOLEZZA DELL'EUROPA AIUTA A TROVARE UNA VIA D'USCITA
La voce grossa La strategia della voce grossa e l'appoggio del Quirinale aprono una breccia nel partito
dell'austerità guidato dalla Germania
Massimo Franco
Il compromesso, forse, sta prendendo forma. E quando nelle prossime ore il ministro dell'Economia, Pier
Carlo Padoan, spiegherà per iscritto all'Europa come pensa di correggere la legge di Stabilità, il problema
potrebbe essere già quasi risolto. Per quanto azzardata, la «strategia della voce grossa» di Matteo Renzi
sembra aver funzionato al Consiglio Ue. Il risultato non c'è ancora ma il presidente del Consiglio può tornare
in Italia con l'aria del vincitore. Gli avvertimenti della Commissione sull'eccesso di spese rimangono;
bilanciati, però, dalla volontà di trovare una via di mezzo tra la correzione dello 0,5 per cento chiesto da
Bruxelles e lo 0,1 di Palazzo Chigi.
Si parla di un salomonico 0,3, frutto di una trattativa ruvida. Le nazioni nordeuropee continuano a dichiarare
che ogni Paese deve rispettare i vincoli imposti dai trattati. Il comandamento, però, è stato indebolito dal «no»
esplicito della Francia e da un mezzo arretramento del fronte dell'austerità: almeno nell'immediato. La parola
d'ordine della ripresa e della crescita, abbinata a 300 miliardi di euro di investimenti, ha reso lo sfondo diverso
dal passato. Le concessioni che il governo starebbe per ottenere sono legate alla realizzazione delle riforme
promesse.
Padoan pensa probabilmente a questo, quando spera che in Parlamento la legge di Stabilità sia migliorata
ma «non ci sia uno stravolgimento». D'altronde, quando ieri gli è stato chiesto se esiste una questione Italia
in Europa, il premier ha risposto che «c'è anche una questione Europa in Italia». E il presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, ha offerto di nuovo una sponda a Palazzo Chigi, sostenendo che «è grave ci
si accapigli tutti quanti - competenti, meno competenti e per nulla competenti - sullo 0,1 per cento».
È stato un invito a riprendere in mano le ragioni dell'integrazione europea, senza sacrificarle sull'altare dei soli
numeri. Il tentativo, pare riuscito, è di spostare la discussione dalle questioni tecniche a quelle politiche,
perché «le risorse per trovare la soluzione sono ampiamente a portata di mano», ha ribadito Renzi. È in
nome di questo primato politico che sono potuti passare in secondo piano il pasticcio del mancato «via
libera» della Ragioneria generale dello Stato alla legge di Stabilità; e una certa confusione.
Se il risultato sarà quello annunciato ieri, la stessa accusa a Napolitano di avere firmato un testo
impresentabile, rivoltagli da FI, va ridimensionata. E la reazione di giovedì del presidente del Consiglio alla
lettera della Commissione, apparsa scomposta ed eccessiva, riletta su questo sfondo. «La decisione sarà
presa la settimana prossima», insiste il presidente della Commissione uscente José Manuel Barroso: come
se nulla fosse ancora deciso sull'Italia. «Non si viene qui a prendere lezioni o reprimende», avverte Renzi.
Forse, la trattativa non è ancora chiusa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
22
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La Nota
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Due manager chiamano in causa l'ex amministratore delegato Scaroni per i soldi versati a politici algerini
L'accusa: «Saipem pagò il ministro dell'Energia e un manager petrolifero». Chiesto l'incidente probatorio
Luigi Ferrarella
MILANO Due indagati ex manager di Saipem puntano il dito contro l'ex amministratore delegato di Eni Paolo
Scaroni al punto che la Procura di Milano chiede al giudice delle indagini preliminari di cristallizzare le loro
dichiarazioni accusatorie in un «incidente probatorio», cioè in una sorta di anticipazione di un segmento di
dibattimento nel quale Pietro Varone e Tullio Orsi potranno essere controinterrogati dai difensori delle altre
cinque persone - nonché delle due persone giuridiche Eni e Saipem, pure loro indagate - che anche sulla
scorta delle loro parole, oltre che delle rogatorie internazionali, sono accusate dai pm milanesi di corruzione
internazionale: e precisamente di aver tra il 2007 e il 2010 fatto pagare alla Saipem 197 milioni di tangenti a
politici e burocrati dell'Algeria (su conti a Dubai, Libano e Svizzera) per assicurare alla società controllata dal
cane a sei zampe contratti petroliferi del valore di 8 miliardi di euro, che alla fine del 2012 avevano fruttato un
profitto netto (prima delle imposte) di un miliardo di euro.
Assieme a Scaroni (e ovviamente a Orsi e Varone) risultano indagati Alessandro Bernini, direttore finanziario
di Saipem sino all'agosto 2008 e poi di Eni sino a dicembre 2012; Antonio Vella, già responsabile Eni per il
Nord Africa; Pietro Tali, tra il 2007 e 2012 presidente e amministratore delegato di Saipem; Farid Bedjaoui, il
fiduciario algerino (con base a Dubai) dei politici algerini ritenuti corrotti; e il suo braccio destro Samyr
Ouraied.
Rogatorie condotte non solo in Algeria ma anche in Libano consentono ai pm Fabio De Pasquale, Sergio
Spadaro e Isidoro Palma di individuare, come destinatari delle tangenti intermediate da Bedjaoui, l'allora
ministro dell'Energia algerino, Chekib Kelil; il capo di gabinetto dell'ente petrolifero statale algerino
(Sonatrach), Rèda Hemce, al quale viene ricondotto ad esempio un conto con 1,7 milioni di dollari sulla
Banque Privée Edmond Rothschild di Ginevra; e un soggetto qualificato dai pm come «faccendiere» per
conto sempre dell'entourage del ministro, Omar Habour, di cui a Beirut è stato afferrato il filo di un conto da
34,3 milioni di dollari presso la Banca Audi Saradar.
I pm stilano per la prima volta una formale imputazione di corruzione internazionale contro Scaroni, di cui
vengono evidenziati gli «incontri informali» organizzati da Tali e Varone, grazie all'intermediazione di
Bedjaoui, «a Parigi e Vienna con il ministro dell'Energia»; e sempre delle tangenti si sarebbe discusso anche
in altri «incontri riservati all'Hotel Bulgari di Milano» con Bedjaoui, Bernini, Varone e Orsi. In questa inchiesta
sulle tangenti Saipem in Algeria non è indagato l'attuale amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi,
che invece lo è nell'altra indagine aperta su tangenti Eni a politici della Nigeria.
[email protected]
Giuseppe Guastella
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
8 Miliardi
Il valore
dei contratti
L'ex
L'ex amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, è anche indagato nell'ambito dell'inchiesta per corruzione
internazionale su una presunta maxi tangente per l'acquisto della concessione di un giacimento in Nigeria
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
23
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Eni, altri indagati. «Tangenti da 197 milioni»
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Ferrovie, più chiarezza» Messori lascia le deleghe
Daniele Manca
Marcello Messori ha deciso di riconsegnare al cda delle Ferrovie dello Stato le sue deleghe di presidente,
tranne quelle al controllo interno. Spiega al Corriere : «Nessuna polemica, è un atto di chiarezza. Sta ora al
governo e a tutti noi operare affinché la privatizzazione sia avviata e arrivi a compimento nel 2015». a pagina
6
«Nessuna polemica, ma serviva un atto di chiarezza. Sta ora al governo e a tutti noi operare affinché la
privatizzazione delle Ferrovie dello Stato possa essere avviata e arrivare a compimento nel 2015».
Marcello Messori ha da poche ore riconsegnato al consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato (FS)
le sue molte deleghe mantenendo solo quelle al controllo interno. Classe 1950, Messori è docente alla Luiss
di Roma, un passato al MIT americano, esperto di moneta, banche e governance societaria oltre che
dell'Unione Europea. Dal 30 maggio scorso è stato nominato presidente delle FS con l'incarico specifico,
conferito dal governo guidato da Matteo Renzi, di arrivare alla parziale cessione di uno dei gruppi più
importanti del Paese: 70 mila dipendenti, quasi 37 miliardi di patrimonio netto, una holding e una quarantina
di controllate tra società operative e di gestione.
«Una società di queste dimensioni e complessità ha bisogno di una chiarezza nei ruoli e nella direzione
strategica soprattutto in vista di un'operazione complessa come il processo di privatizzazione».
Ma riconsegnare le deleghe è un atto molto forte, solitamente esprime un dissenso sul modo di condurre la
società che spesso prelude alle dimissioni.
«Nessuna dimissione in vista. Ho tenuto la delega al controllo interno e rimango Presidente dell'organo che
prende le decisioni finali proprio perché non ritengo affatto concluso il mio compito; anzi, spero che la mia
scelta funga da spinta per l'evoluzione di FS».
Allora scusi, dov'è il problema?
«In una privatizzazione si deve decidere cosa cedere. Le Ferrovie gestiscono la rete ferroviaria con Rfi,
forniscono i servizi ai passeggeri con Trenitalia, controllano molte altre società. Cosa ci si sta avviando a
cedere?».
C e lo dica lei quali fossero le intenzioni del governo...
«Facciamo l'esempio della rete. Di norma, è bene mantenere la proprietà pubblica della infrastruttura di
base».
Quindi niente cessione di Rfi ossia della società che gestisce la rete.
«E' questo uno dei punti. Oltre a gestire la rete, Rfi incorpora molte altre attività che possono essere cedute.
Pensi al caso della Germania».
La Germania?
«Sì, in Germania la gestione pubblica della rete ferroviaria è più circoscritta. In Italia Rfi ha invece un ampio
patrimonio immobiliare, che non comprende solo beni funzionali al servizio ferroviario (i cosiddetti beni
strumentali); ci sono parti della logistica; ci sono la rete elettrica e quella di telecomunicazioni. Se si deve
attuare una privatizzazione finalizzata non solo a fare cassa ma anche a rendere più efficiente FS e a
sviluppare il mercato e la concorrenza, bisogna scorporare quelle attività: RFI andrebbe asciugata. E
problemi di riorganizzazione, anche se diversi, valgono per Trenitalia e per le altre società controllate».
E non si poteva fare?
«La riorganizzazione è un compito che spetta all'amministratore delegato. Ma processo di privatizzazione e
riorganizzazione devono andare insieme. E' una questione di strategia aziendale».
Sarà anche questione di strategia; ma quando ci sono di mezzo immobili e svariate attività, è evidente che si
toccano interessi e occorre la massima trasparenza...
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
24
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
l'intervista il presidente fs e la privatizzazione difficile
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
25
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
«Certo, ed è per questo che mantengo la delega sul controllo interno, volto a verificare che ogni operazione
risponda a regole rigorose. Ciò è cruciale per una società che ha vissuto forti cambiamenti e ora deve
sedimentarli. Negli ultimi anni FS è diventato un gruppo innovativo grazie all'Alta Velocità».
Ma come influisce l'Alta velocità in tutto ciò?
«Bè, è soprattutto grazie all'Alta velocità e al suo indotto che le FS si sono aperte al mercato e hanno
ottenuto risultati positivi. Ora anche gli altri servizi ferroviari devono fare salti di qualità, il gruppo va
razionalizzato, la governance diventare efficace. In quest'ottica, la privatizzazione è un'imperdibile occasione
di politica e di strategia industriale. Non sarebbe stato possibile portarla avanti in modo isolato».
Insomma il suo è anche un invito al governo ad accelerare sulla cessione ma con obiettivi chiari?
«Esattamente; e da presidente, nonostante la delega alla privatizzazione, mi sarei trovato in una condizione
di impotenza».
Daniele Manca
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La vicenda Le Ferrovie dello Stato controllano Rfi( Rete ferroviaria italiana) e Trenitalia, la società per il
trasporto passeggeri alla quale fa capo l'Alta Velocità Il governo ha annunciato l'intenzione di procedere alla
privatizzazione Fs ma non sono stati definiti modalità e tempi della cessione delle quote
Foto: Il presidente delle Ferrovie dello Stato, Marcello Messori
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Camusso: pronti allo sciopero generale
Stai sereno Matteo stai sereno, noi vogliamo solo risposte e soluzioni La legge di Stabilità non cambia verso
Ideologia L'articolo 18 non è una questione ideologica ma fa la differenza tra il lavoro servile e quello
moderno Patrimoni Si deve fare una tassa sulle grandi ricchezze ispirata a principi di giustizia sociale per
creare più lavoro
Fabrizio Caccia
ROMA Lo dice subito, Susanna Camusso, dal palco di San Giovanni ha da poco iniziato l'intervento e sono
parole, le sue, rivolte chiaramente a Matteo Renzi: «Se qualcuno pensa che questa sia una fiammata si
sbaglia. E non s'illuda che basterà chiedere la fiducia in Parlamento, perché noi ci siamo e ci saremo ancora.
Con gli scioperi articolati e anche con lo sciopero generale...». Sciopero generale: ecco la parola che la
piazza aspettava. Boato. «Siamo un milione», fanno sapere quelli dell'organizzazione.
La Cgil, in questo sabato 25 ottobre, sfida da sola il governo di centrosinistra e le sue politiche del Jobs act. E
lo fa - sottolinea il suo segretario - in nome del lavoro, della dignità e dell'uguaglianza, «parola antica - chiosa
la Camusso in polemica continua con il premier - ma vero motore della modernità e del futuro».
Sono venuti in tanti a Roma, così da riempire due cortei, lavoratori da tutta Italia ma anche pensionati,
precari, immigrati, studenti. Con i loro striscioni e le loro storie: i Grandi Salumifici di Modena, la Candy di
Brugherio, la Moto Guzzi di Lecco. La penitenziaria di Brescia tira su uno stendardo tagliato a forma di slip:
« P o l i z i a in m u t a n d e » . F i s c h i per R e n z i e un h a s h t a g su T w i t t e r d e d i c a t o a l u i :
#tucamiciabiancaiomagliettarossa. Anche la Camusso se la prende con la camicia del premier: «Noi
sventoliamo i nostri abiti da lavoro...». Poi invoca una tassa sulle grandi ricchezze e difende l'articolo 18:
«Non è un totem. Tutto lo Statuto dei lavoratori è fatto di tutele concrete e non di ideologia. Sono le tutele
concrete che fanno la differenza tra il lavoro servile e il lavoro moderno. Perciò l'articolo 18 dev'essere
esteso, anziché tolto, anche a chi non ce l'ha...».
Il segretario della Cgil attacca pure Confindustria: «Perché non va dalla Thyssen di Terni a dire: in questo
Paese bisogna investire, non ridurre?». Gli operai dell'acciaieria (500 i tagli annunciati) sono sul palco
(insieme al coro licenziato dell'Opera di Roma che intona «All'alba vincerò») e oggi andranno alla Leopolda
da Renzi: «Se lui non viene da noi, noi andremo da lui, resisteremo fino all'ultimo bullone». Camusso ricorda
che il 5 novembre si rivà in piazza con i pensionati, l'8 con i lavoratori pubblici. «E lunedì (domani, ndr)
torneremo a incontrare il governo sulla legge di Stabilità. Ma noi non abbiamo rimpianti, noi vogliamo solo
confronto e contrattazione. Matteo stai sereno...».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Bandiere rosse La piazza della manifestazione contro il governo organizzata dalla Cgil ieri a Roma.
Nella pagina accanto Susanna Camusso in piazza San Giovanni (Insidefoto, Granati)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
26
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La Cgil in piazza San Giovanni sfida il governo. «Siamo un milione» Il leader e la camicia di Renzi: «Noi
sventoliamo i nostri abiti da lavoro»
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Così il calo delle imposte su investimenti e brevetti. Squinzi: meno Imu sui capannoni Il tetto di 5 milioni La
misura si può applicare fino a un importo massimo annuale di 5 milioni
Francesco Di Frischia
ROMA Cambiano con la legge di Stabilità le norme per stimolare la ricerca attraverso bonus per investimenti
su personale e attrezzature di laboratorio. E arrivano misure di defiscalizzazione per l'uso di brevetti e marchi.
Non si tratta di grosse cifre, infatti ieri il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha chiesto di «sostenere
maggiormente la ricerca e l'innovazione», ma è comunque un segnale di attenzione. Che Squinzi reclama
anche sul lato della tassazione, perché è vero che la manovra «dà speranza» ma bisogna ancora «tagliare
l'Imu su impianti e capannoni».
Nuove norme
L'esecutivo ha stabilito nuove regole, rispetto al decreto Destinazione Italia del 2013, per il credito d'imposta
che verrà applicato dal 2015 al 2019 a tutte le categorie di imprese che effettuano investimenti in attività di
ricerca e sviluppo, anche in termini di personale: riguarderà il 25% delle spese sostenute in eccedenza
rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi precedenti al 2015. La misura si può
applicare fino a un importo massimo annuale di 5 milioni di euro per ciascun beneficiario, a patto che siano
sostenute spese per ricerca e sviluppo almeno pari a 30 mila euro in ciascuno dei periodi d'imposta. Il credito
arriva al 50% per le spese relative al personale altamente qualificato in possesso di un titolo di dottore in
ricerca (iscritto a un ciclo di dottorato in un ateneo italiano o estero, oppure in possesso di laurea magistrale).
Laboratori e contratti
Il governo ha così accolto le istanze di chi chiedeva aiuti per investire in nuove attrezzature di laboratorio o
contratti con università ed enti di ricerca (comprese privative industriali relative a un'invenzione), ma ha
accontentato pure chi era interessato a assumere personale altamente qualificato (in una quarantina di
discipline: dalle biotecnologie alla sicurezza informatica). Insomma sono stati fusi il bonus investimenti e
quello per le assunzioni, previsti nella precedente normativa, ma solo sugli incrementi. Secondo i calcoli
dell'esecutivo, e in attesa dei dati ufficiali che saranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale dopo l'approvazione in
Parlamento della legge di Stabilità, le risorse disponibili per il credito d'imposta dovrebbero raggiungere
complessivamente i 256 milioni il prossimo anno, per salire a 429 nel 2016, fino a 520 nel 2017 e 547 nel
2018, per toccare i 580 milioni nel 2019 per un totale di 2,3 miliardi.
Beni immateriali
Altre agevolazioni e incentivi, su base opzionale, riguardano marchi, brevetti e know how che assumono alla
luce della globalizzazione dell'economia un ruolo fondamentale nella creazione di valore aggiunto: il Patent
Box defiscalizza del 50% i redditi che derivano dall'utilizzo di alcune tipologie di beni immateriali, sull'esempio
di quanto già avviene in altri Paesi europei e in coerenza con standard internazionali condivisi. Si mira così a
spingere soprattutto le multinazionali più innovative a investire in Italia.
Scelta irrevocabile
Le imprese, a prescindere dalla forma giuridica, dalle dimensioni e dal regime contabile, possono scegliere
questa opzione che dura per cinque esercizi contabili ed è irrevocabile. Il regime di tassazione agevolata vale
per i redditi che derivano dall'uso di brevetti industriali, marchi d'impresa che equivalgono a brevetti, processi,
formule e informazioni acquisite in campo industriale, scientifico e commerciale giuridicamente tutelabili.
Sono in ogni caso esclusi dall'agevolazione i marchi esclusivamente commerciali. L'uso del regime opzionale
è possibile, oltre che per i redditi derivanti dalla concessione in uso a terzi dei beni immateriali, anche
nell'ipotesi di utilizzo diretto di brevetti e marchi: in questo caso, però, la defiscalizzazione scatta dopo un
apposito accordo di ruling internazionale tra l'azienda interessata e l'amministrazione fiscale per garantire
trasparenza ed evitare contenziosi infiniti.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
27
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Manovra, premio fiscale alla ricerca
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
28
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ILLUSTRAZIONI DI ROBERTO PIROLA
La vicenda
La legge di Stabilità 2015 è stata depositata giovedì scorso alla Camera, in commissione Bilancio, dove
comincerà il suo cammino parlamentare. Il calendario di massima prevede l'approdo in Aula, e il primo via
libera, entro la terza settimana di novembre, e già la prossima settimana (probabilmente da giovedì) si partirà
con le audizioni. Il Parlamento ha tempo di esaminarla, emendarla e approvarla entro il 31 dicembre di
quest'anno. Le misure Ristrutturazioni Aumentata ritenuta d'acconto su ristrutturazioni dal 4 all'8%. Viene
però confermato il bonus previsto in passato Sconto sull'Irap La componente lavoro diventa deducibile
dall'imponibile Irap. Viene però annullato il taglio del 10% introdotto nel 2014 Tfr in busta paga Dal marzo
2015 si potrà optare per il Tfr in busta paga, assoggettato a tassazione ordinaria. Esclusi i lavoratori pubblici
e agricoli Assunzioni agevolate Sale il tetto per l'azzeramento triennale dei contributi sui neoassunti: dai
6.200 euro ipotizzati inizialmente a 8.060 euro Fisco e partite Iva Si introduce un regime forfettario unico pari
al 15% del reddito
che racchiude Irpef, addizionali regionali, comunali e Irap
Foto: Il ministro dell'Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan. Il Tesoro invierà la lettera di risposta all'Ue
sulle osservazioni alla legge di Stabilità domani
27/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Qualcuno È più uguale degli altri
Nicola Saldutti
Per certi versi l'esame superato ieri dalle banche assomiglia a una Maastricht del credito: allora i parametri
servirono a valutare chi aveva i requisiti per entrare nell'euro, oggi abbiamo la fotografia del sistema bancario.
Una cosa mai accaduta. La Bce e le singole autorità di vigilanza nazionali hanno sottoposto i bilanci di 131
istituti ai cosiddetti stress test, come se le banche fossero ponti sospesi per i quali verificare il grado di
resistenza al vento forte dei mercati.
L'Italia, a ben guardare, si è guadagnata una pagella rassicurante: due bocciature su quindici sono un buon
risultato. Soprattutto perché in gran parte previste: Monte dei Paschi e Cassa di Risparmio di Genova.
Qualche fragilità è stata individuata nelle banche popolari, che in molti casi hanno superato la prova d'un
soffio. Sono state verifiche di due tipi, la cosiddetta asset quality review , cioè la valutazione degli attivi, la
bontà dei crediti e la probabilità di ottenerne la restituzione. E gli stress test veri e propri: cosa accadrebbe
ipotizzando una discesa a precipizio del prodotto interno lordo.
Eppure gli esami, a leggere la lista di promossi e bocciati, non sono stati uguali per tutti. C'è più di qualche
sospetto sull'equidistanza dei giudizi, se è vero che solo una banca tedesca non è riuscita a superare il test.
Tutte promosse, mentre non è un mistero che le Landesbank, le banche regionali di proprietà pubblica, non
abbiano brillato in questi anni per i loro bilanci. Segno che i numeri e i criteri sono oggettivi, ma l'applicazione
non sempre lo è. C'è poi da considerare un altro aspetto: nella fase più acuta della crisi, dal Regno Unito alla
Germania, gli Stati sono intervenuti pesantemente per salvare le loro banche. La Spagna, ad esempio, dovrà
restituire a Bruxelles 70 miliardi utilizzati per rimettere in sesto le sue banche. Mentre gli istituti italiani hanno
fatto ricorso solo in rarissimi casi ai prestiti messi a disposizione dal governo, poi restituiti (come nel caso del
Monte dei Paschi). Come dire: se la sono cavata da soli ricorrendo al mercato e agli investitori.
Questo naturalmente non può bastare agli istituti italiani. Che a questo punto dovranno ricostituire in fretta il
capitale che la Bce ritiene necessario e ripensare ad una fase di possibili aggregazioni. È probabile che, con
il pieno rispetto dell'autonomia del mercato, possa rivelarsi cruciale il ruolo della Banca d'Italia, che non ha
nascosto la sua irritazione per gli scenari particolarmente severi previsti per valutare la solidità del sistema
italiano. Nonostante questo, il capitale complessivo delle quindici istituzioni prese in considerazione supera il
minimo necessario di 22-25 miliardi. Una soglia di sicurezza che potrebbe rivelarsi preziosa. Perché non va
dimenticata un'altra svolta: dal 4 novembre la vigilanza verrà trasferita da Roma a Francoforte.
Calato il sipario degli esami, nonostante il mercato sia unico, avere un sistema creditizio nazionale solido si
conferma un interesse vero dell'economia reale. Delle imprese e delle famiglie. Tenendo conto di questo
fatto: il cuore dell'attività bancaria restano i prestiti. Che vogliono dire investimenti e crescita. Istituti con il
bollino della solidità non possono più tirarsi indietro.
Nicola Saldutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
29
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL COMMENTO
27/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Con la riforma del lavoro l'Italia ce la farà»
Paolo Lepri
Una mossa «decisiva»: il ministro delle Finanze tedesco Schäuble promuove il Jobs act di Renzi. a pagina 6
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO Wolfgang Schäuble è molto soddisfatto. L'accordo sullo scambio automatico di informazioni fiscali
che verrà firmato mercoledì a Berlino da oltre quarantasei Paesi (sarà presente anche Pier Carlo Padoan) è
un po' una sua creatura. L'iniziativa - lanciata nel 2011 a Dublino da Germania, Italia, Gran Bretagna, Francia
e Spagna - è arrivata finalmente al suo varo ufficiale, dopo un lungo lavoro compiuto nel Global Forum
dell'Organizzazione per sicurezza e sviluppo economico (Ocse) da oltre un centinaio di nazioni, molte delle
quali si aggiungeranno ben presto ai battistrada, gli Early Adopters . Sarà vita dura, dal 2017, per gli evasori
che nascondono denaro all'estero.
«Si tratta di un notevole successo», afferma il ministro delle Finanze tedesco in questa intervista rilasciata a
Corriere della Sera , Times , El País e Les Echos alla vigilia della Berlin Tax Conference . «Siete i
rappresentanti dei principali Paesi europei» dice sorridendo in una saletta vicina al suo studio nell'immenso
palazzo di Wilhelmstrasse. Per quanto riguarda le vicende di casa nostra, la sua opinione è che la riforma del
mercato del lavoro voluta dal governo Renzi «sia decisiva per fare avanzare l'Italia», una nazione amica che i
tedeschi vogliono «forte e di successo». Da Schäuble viene anche un giudizio netto sulla situazione
economica della Germania: «Una crescita dell'1,2-1,3% non è un fatto negativo. Non siamo assolutamente in
recessione. L'unico pericolo è che se ne parli a vuoto».
Signor ministro, lei ha un'idea di quante tasse finora non pagate verranno scoperte, per esempio in
Germania, dopo la firma dell'accordo?
«Mi sono sempre rifiutato di indicare una somma, perché ritengo che un ministro delle Finanze debba fare
attenzione al fatto che la gente si fidi della serietà di quello che dice. Qualcuno parla di un numero a due cifre
di miliardi, altri parlano di un numero a tre cifre di miliardi. Io dico che non lo so. Perché se sapessi
esattamente quanto viene evaso, allora avrei le prove di chi è stato ad evadere le tasse. Non posso fornirvi
nessuna somma. Ma siamo su rilevanti ordini di grandezza. Ci sarà poi un effetto preventivo, che già
abbiamo visto da anni. Aumenta velocemente in Germania il numero delle persone che dicono di aver portato
soldi all'estero all'insaputa dell'amministrazione fiscale (o affermano che questo è stato fatto dai genitori o dai
nonni) e che adesso vogliono mettersi in regola».
Secondo alcune stime, l'ammontare dei patrimoni occultati all'estero da cittadini italiani sarebbe di almeno
200 miliardi di euro. Pensa che questa svolta nella cooperazione internazionale contro l'evasione possa
apportare un contributo significativo al miglioramento dei conti pubblici italiani?
«Sono convinto che lo scambio automatico di informazioni diminuirà la possibilità di sfuggire in misura legale
alle tasse. Riguardo alla quantificazione delle somme che si potranno incassare, non lo posso fare per la
Germania e nemmeno per l'Italia. Il mio consiglio è quello di non basarsi sul principio della speranza ma più
su quello della realtà delle nostre decisioni sulle politiche finanziare, di bilancio e strutturali. Per questa
ragione penso che il percorso che il governo Renzi sta compiendo con la riforma strutturale della legislazione
del mercato del lavoro sia decisivo per fare avanzare l'Italia».
Si potrebbe dire che l'accordo di Berlino contribuirà al raggiungimento del pareggio di bilancio in Germania
grazie anche alle autodenunce dei cittadini?
«Ho già dato al collega italiano il consiglio che vale anche per me. Dobbiamo realizzare la nostra politica
finanziaria con presupposti seri e non ipotetici. Non ne abbiamo bisogno. Devo aggiungere che siamo
attualmente nella discussione finale in Palamento sul bilancio 2015. Se lo sviluppo economico dovesse
rimanere così come appare in questo momento non ci sarà nessun pericolo per la nostra politica finanziaria.
Le previsioni per la nostra crescita sono state recentemente ridotte, ma una crescita dell'1,2-1,3% non è un
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
30
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista a Schäuble
27/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
31
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
fatto negativo. Non siamo assolutamente in recessione. Il vero pericolo è che si parli a vuoto di recessione.
Le prospettive economiche in Germania sono stabili. Non siamo in crisi. Abbiamo una previsione di crescita
leggermente ridotta. Manterremo ferma la nostra linea, un'ancora per la fiducia».
Cosa è cambiato in questi ultimi anni nella valutazione del segreto bancario?
«Si è verificato un grande cambiamento in un tempo relativamente breve. Il segreto bancario non può
continuare ad esistere nell'epoca dei mercati finanziari globalizzati, perché altrimenti sempre più soggetti
fiscali evaderebbero i loro obblighi. In Europa tutto ciò è stato già fatto in larga misura grazie al trattato Facta
con gli Stati Uniti che ha accelerato il processo. Adesso stiamo proseguendo su questa strada a livello
globale con lo standard sullo scambio automatico di informazioni al quale speriamo che un giorno partecipino
tutti i Paesi del mondo più forti economicamente».
La crisi ucraina e il raffreddamento delle relazioni tra l'Europa e Mosca hanno influito sulla collaborazione
della Russia in questo campo?
«La Russia collabora nel Global Forum, ma non fa parte dei firmatari. Presumo che questo sarebbe accaduto
anche se non ci fosse stata la crisi ucraina. Per di più, anche gli Stati Uniti non firmeranno a causa delle
difficoltà che si registrano nel Congresso sulle questioni legate alla reciprocità. Ma partecipano Paesi che
vengono indicati come oasi fiscali. Singapore non è tra gli "Early Adopters" ma ha già annunciato che firmerà
l'accordo. Anche la Svizzera lo farà presto. Altri Paesi come le isole Vergini, le Bermuda, le isole Cayman
sono presenti. Si tratta di una iniziativa molto forte».
È d'accordo con il suo collega dell'Economia Sigmar Gabriel che ha sostenuto recentemente che qualsiasi
artigiano tedesco paga più tasse di Google o Apple?
«Questo è esattamente il punto. Si tratta di una questione di giustizia. Noi siamo per la globalizzazione. Tutte
le economie dipendono in modo decisivo per il loro successo dai mercati finanziari globali. Questo Sigmar
Gabriel lo sa tanto bene quanto me. Ma quando la globalizzazione porta al fatto che chi opera a livello
internazionale paga molte meno tasse di quelli che operano a livello nazionale, si pone una questione di
giustizia. È il motivo per cui ci occupiamo di questo. Il problema non si risolve con la descrizione delle cose
che non vanno bene, perciò lavoriamo per trovare le soluzioni».
I problemi finanziari della Francia sono noti. Però c'è ancora la fiducia dei mercati perché anche la Germania
la sostiene. Qual è il limite di questo sostegno?
«La questione non si pone. La Francia è un Paese grande e forte. Ogni Paese ha talvolta difficoltà. Come
sanno tutti, anche la Germania ha un grande interesse per una Francia forte. Altrettanto per una forte Spagna
e una forte Italia che raggiungano il successo. In Europa è così. Il successo di uno non è un danno per l'altro,
mentre il problema di uno è anche un problema per tutti gli altri. Questo è il principio del processo di
unificazione europea. Bisogna spiegarlo sempre di nuovo al proprio elettorato e alla popolazione. Faremo
quello che dobbiamo fare nel nostro interesse comune. Di questo parliamo in modo aperto e con fiducia».
Il governo tedesco è disponibile ad appoggiare alcune restrizioni della libertà di movimento in Europa, come
chiede la Gran Bretagna?
«Il principio della libera circolazione delle persone e delle merci è un principio fondante dell'unificazione
europea. Non può essere limitato. Una cosa del genere sarebbe incompatibile con i Trattati europei. Il
problema, che tutti abbiamo in Europa, che può diventare più grande se si guarda agli avvenimenti in altri
parti del mondo, deve essere risolto con uno sforzo comune europeo. Non può essere risolto ristabilendo i
confini nell'Ue. Sarebbe impensabile».
Paolo Lepri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Profilo
Wolfgang Schäuble,
72 anni, cristiano-democratico,
27/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
32
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
è diventato ministro delle Finanze
nel 2009 con il 2° governo Merkel Con Kohl cancelliere è stato ministro degli Affari speciali e capo della
Cancelleria (1984-1989). Poi da ministro degli Interni (1989-1991) , è stato l'architetto della riunificazione
tedesca È uno dei protagonisti dell'europei-smo tedesco2011 L'anno in cui
il piano contro l'evasione
fiscale è stato lanciato5 i promotori: Germania, Gran Bretagna, Italia, Francia
e Spagna200 miliardi
la stima
dei patrimoni occultati all'estero da cittadini italiani46 i Paesi che mercoledì firmeranno l'accordo
(in vigore dal 2017)
Foto: Wolfgang Schäuble, 72 anni, ministro delle Finanze tedesco dall'ottobre del 2009, in un incontro con i
giornalisti a Bruxelles. Dal 1990 è in sedia a rotelle, dopo essere sopravvissuto a un attentato (Ap / Geert
Vanden Wijngaert)
27/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Profumo: «Pronti a qualsiasi operazione»
Il presidente Mps: «Non si è voluto considerare il lavoro fatto, ma abbiamo le risorse» Non si è valutato che
siamo all'inizio della ristruttura- zione La banca non ha bisogno di essere salvata, il piano funziona
Daniele Manca
La voce di Alessandro Profumo appare tranquilla. Ma traspare il disappunto per trovarsi a essere a capo della
banca europea messa in castigo nonostante quei 5 miliardi di aumento di capitale a giugno, la restituzione di
3 su 4 miliardi di Monti bond, l'aver rimesso in carreggiata un istituto che a pochi mesi dalla crisi finanziaria
presuntuosamente aveva strapagato l'Antonveneta e aveva consentito alla politica di usarla se non proprio
come bancomat come qualcosa di molto simile.
Ma oggi vi trovate a dover annunciare che esplorerete tutte le opzioni, e quindi anche una fusione con altri:
appare come una resa, Mps è arrivato a fine corsa e potrebbe avere bisogno di un partner che tenti il
salvataggio?
«Intanto la banca non ha bisogno di essere salvata, lo ha detto con chiarezza anche Banca d'Italia nella sua
conferenza stampa. Siamo convalescenti e ci viene chiesto di correre i 100 metri in condizioni estremamente
avverse. Abbiamo passato l'Aqr (il primo esame sulla qualità degli attivi, ndr), ma non lo stress test che
prevedeva uno scenario avverso. Ora stiamo lavorando al Capital Plan, con l'obiettivo di renderlo solido, e
valuteremo tutte, dico tutte, le opzioni strategiche».
Il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, la sta buttando in politica: colpa della sinistra - dice - che ha
amministrato città e banca...
«La Banca centrale europea ci dice: "La qualità degli attivi della banca è ancora influenzata da tre elementi:
la crescita degli impieghi nel periodo 2008-2010, la qualità dell'attivo della ex banca Antonveneta, il peso e
qualità dell'attività creditizia sul territorio di riferimento della banca". Insomma le scelte fatte nel passato
pesano ancora molto. Penso che un rappresentante delle istituzioni oggi dovrebbe essere più focalizzato sul
fatto che la banca in questi anni ha ottenuto questi risultati: un deleverage di oltre 45 miliardi di euro, rispetto
a un attivo di oltre 240 miliardi a fine 2011; accantonamenti per perdite su crediti per circa 6,6 miliardi dal
2012 al 30 giugno 2014; una riduzione dei costi operativi per oltre 760 milioni; più commissioni per 200i.
Operazioni che ci hanno consentito di rendere 3 dei 4 miliardi di Monti Bond».
Si dice che il premier stia seguendo in prima persona la vicenda che rischia di gettare ombre sulla capacità
del nostro Paese di chiudere con un passato poco edificante.
«Il premier segue tutte le vicende che possono avere un impatto sulla credibilità del paese».
Ma lei se l'aspettava un giudizio così severo?
«Onestamente no, anche perché dobbiamo ricordarci che dal novembre 2013 siamo soggetti a un Piano di
Ristrutturazione e che il manuale pubblicato a maggio diceva che lo stress test sarebbe stato effettuato sulla
base di quel Piano. Banca d'Italia stessa dice che lo stress test non è stato basato sul piano. Inoltre, non mi
pare che si sia tenuto conto del fatto che non tutte le banche sono allo stesso stadio del percorso di
ristrutturazione. Noi siamo appena partiti, mentre alcune lo stanno applicando da più anni, anche da sei».
Si sente bocciato?
«No, penso che senza quello che abbiamo fatto in questi due anni e mezzo la banca non esisterebbe.
Abbiamo passato, ricordiamocelo, l'Aqr con un Cet1 (il voto sul patrimonio ndr) del 9,5% che è più di quello
che sarebbe previsto dal piano di ristrutturazione. La situazione di partenza era compromessa, tale da
imporre un totale cambiamento di management e di governance. Sono 2 anni che lavoro per rimediare a
questa situazione. No, non mi sento bocciato».
Discriminato?
«Perché dovrei sentirmi discriminato. Ho passato 15 anni del mio lavoro sognando un mercato unico con
regole omogenee è un singolo supervisore, oggi che ci siamo, non cado nell'errore di dire stavamo meglio
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
33
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista
27/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
34
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
quando stavamo peggio».
Nel comunicato Bankitalia si intuisce un certo fastidio per gli scenari troppo severi per il sistema italiano?
«Certamente l'Italia esce da tre anni di recessione e pensare ce ne siano altri tre mi sembra francamente
poco sostenibile. In questo caso il problema non sarebbe solamente il Monte dei Paschi, ma la tenuta sociale
del Paese e dello stesso progetto europeo. Colgo l'occasione per ringraziare l'Autorità di Vigilanza nazionale
per aver ricordato oggi le azioni intraprese durante la nostra gestione».
Lei conosce molto bene la Germania. Non ha la sensazione che ci sia stato una sorta di favoritismo nei
confronti del sistema tedesco?
«Posso dire che in Germania gli aiuti pubblici alle banche sono stati di 250 miliardi, da noi di 4 e 3 li abbiamo
resi».
Forse restituire prima i Monti bond è stato un errore?
«Abbiamo fatto un aumento di 5 miliardi, migliorando molto la qualità della nostra base di capitale e
aumentandola di 2 miliardi. Se siamo stati autorizzati al rimborso vuol dire che tutti eravamo convinti che si
potesse fare».
Quando ha deciso di tornare in una banca se l'aspettava una situazione così?
«No non me la aspettavo, ma questo mi dà ancora di più la convinzione di aver fatto bene. Senza il lavoro
fatto, questa banca non ci sarebbe più».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Alessandro Profumo, 57 anni, una carriera in Unicredit, dal 2012 è presidente del Monte dei Paschi.
Ricopre anche la carica di vice presidente Abi
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La dote di «riserva»
Dino Pesole
L'impianto della manovra "espansiva" sarà salvaguardato nella sua integrità e nei saldi nel corso dell'esame
parlamentare. Il governo è pronto, se necessario, a mettere in campo la «dote di riserva» inserita nella
Stabilità.
Dino Pesole
Questa l'intenzione del governo, fermo restando la piena riaffermazione delle motivazioni che lo hanno
indotto alla «deviazione temporanea» dagli obiettivi concordati, per quel che riguarda il deficit strutturale.
Viene altresì riaffermato con forza il rispetto del target del deficit nominale, che comunque resterà al di sotto
del 3% del Pil sia quest'anno che nel 2015, nell'ambito di una strategia di politica economica in cui il ricorso
alle circostanze eccezionali è pienamente motivato dal perdurare (il terzo anno consecutivo) di una
recessione da cui solo nel 2015 si comincerà a uscire. Le clausole di salvaguardia valgono come garanzia,
ma il governo lavorerà per neutralizzarle.
Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, d'intesa con palazzo Chigi, sta mettendo a punto la lettera di
risposta da inviare a Bruxelles. Con ogni probabilità, considerato che nel fine settimana gli uffici della
Commissione sono chiusi, la missiva verrà recapitata lunedì mattina.
Nel testo non si farebbe esplicito riferimento alla «correzione aggiuntiva» che il governo è pronto a mettere in
campo attingendo anche alla riserva di 3,4 miliardi inserita in legge di stabilità, anche se il punto di caduta
sarebbe stato sostanzialmente già individuato nel potenziamento della riduzione del deficit strutturale nei
dintorni dello 0,3 del Pil, vale a dire 4,8 miliardi. «Stiamo dialogando con la Commissione europea», ha
ribadito Padoan in mattinata a Napoli. «La Legge di stabilità è stata inviata a Bruxelles, la Commissione la sta
valutando, la stiamo valutando assieme».
I prossimi passaggi vedono ora la Commissione uscente esprimere un primo giudizio il prossimo 29 ottobre,
alla luce delle osservazioni contenute nella lettera di risposta del governo italiano. Come ha ribadito ieri Josè
Manuel Barroso, la valutazione sarà espressa «più che altro» sulla presenza o meno di una «deviazione
particolarmente grave dalle regole». Poi la palla passerà alla nuova Commissione Juncker, con la quale
l'intesa sarebbe appunto sostanzialmente raggiunta. I dettagli saranno all'esame dell'Ecofin il prossimo 7
novembre, e poi confluiranno nel parere che verrà formalizzato entro la fine dello stesso mese di novembre
dalla Commissione Juncker. La correzione dei saldi richiesta sarebbe a quel punto inserita già nel primo
passaggio parlamentare alla Camera, in tempo utile per il contemporaneo pronunciamento di Bruxelles.
Chiusa questa fase negoziale, l'appuntamento per una valutazione a tutto campo della manovra sarà fissato
alla primavera del 2015. Per ora dunque ci si limita formalmente a uno scambio reciproco di richieste e
informazioni, ma è chiaro che già da settimane il confronto "vero" è con Jean-Claude Juncker.
Trattativa dai risvolti "tecnici", come ha ribadito il presidente del Consiglio, Matteo Renzi al termine del
summit dei Capi di Stato e di governo a Bruxelles, ma all'interno di un confronto che è politico a tutto tondo. È
vero che Roma "forza" le regole della disciplina di bilancio, ma all'interno di un contesto di "flessibilità" per
certi versi obbligata, cui non pare insensibile il nuovo numero uno dell'esecutivo comunitario.
Se il ricorso alle circostanze eccezionali motiva lo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio, il focus (che
verrà ribadito nella lettera) è sull'impatto atteso dalle riforme strutturali in cantiere, che secondo il governo
dovrebbe garantire una maggiore crescita dello 0,1% nel 2015, in graduale aumento allo 0,4% nel 2018.
Il richiamo al dispositivo previsto dall'attuale disciplina è esplicito, laddove appunto si segnala, all'interno
delle modalità applicative del cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità, proprio il mix di un
perdurante ciclo negativo e un accertato percorso di riforme strutturali. In sostanza, l'apertura di credito da
parte della nuova Commissione Juncker - questa la tesi del governo - sarebbe «pienamente in linea» con le
attuali regole di bilancio.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
35
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CONFRONTO CON BRUXELLES
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
36
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'incremento del deficit è 10,4 miliardi
Davide Colombo Marco Mobili
Le misure messe in campo dal Governo avranno un impatto, in termini di maggior indebitamento sul prossimo
anno, di 10,4 miliardi. Un miliardo e 100 milioni in meno rispetto alla presentazione a Palazzo Chigi.
Colombo e Mobili u pagina 5
ROMA
Di sicuro, a nove giorni dal varo della manovra economica 2015-2017, c'è che l'insieme di misure espansive
messe in campo dal Governo avranno un impatto, in termini di maggiore indebitamento sull'anno venturo, di
10,4 miliardi. Un miliardo e cento milioni in meno di quanto raccontato fino a ieri sulla base delle slides di
Palazzo Chigi. Il dato è confermato sia nelle tabelle allegate al testo del ddl "bollinato" inviato alla Camera dei
Deputati con tanto di Relazione tecnica e allegati vari, sia nella tabella di sintesi che il ministero dell'Economia
ha pubblicato ieri sera sul sito, riferendo di una manovra che comprende interventi complessivi per 36,1
miliardi.
Eppure nella tabella sulle coperture della legge di stabilità allegata al ddl depositato a Montecitorio il totale
degli oneri da coprire si ferma a 30,9 miliardi, con 24,3 miliardi di nuove e maggiori spese correnti e minori
entrate per 6,2 miliardi. Numeri che appaiono ben distanti da quelli annunciati dal Governo una settimana fa.
Per farvi fronte la stessa tabella indica maggiori entrate per 14,7 miliardi e riduzioni di spese correnti per soli
5,7 miliardi di euro. La somma si ferma a 20,5 miliardi confermando di fatto i -10,4 miliardi di manovra a
deficit.
Ma è proprio sull'impatto in termini di indebitamento netto della Pa, peraltro il solo parametro di riferimento
per la verifica sulla compatibilità della stabilità con i vincoli dei trattati europei, che la prima manovra
economica targata Renzi sembra riavvicinarsi al programma dichiarato dall'Esecutivo di tagliare le spese e
ridurre le tasse.
Sul fronte della spending review l'impatto del solo articolato sul deficit si ferma complessivamente a 4,8
miliardi per il 2014, 3,7 per il 2016 e 3 miliardi per il 2017. Mentre in termini di riduzione delle entrate il saldo
finale sul 2015 si attesta a 1,9 miliardi. Se a questi si volessero aggiungere i 3 miliardi di taglio delle
agevolazioni fiscali previsti dal Governo Letta come clausola di salvaguardia, dunque a legislazione vigente e
ad ora scongiurata, si arriverebbe ai 5 miliardi di minori entrate indicate ieri sera dal Mef. Sulle nuove clausole
di salvaguardia per 12,8 miliardi su Iva e accise, poi, il ministero dell'Economia con un messaggio via twitter
ha confermato l'impegno politico a non farle scattare dal 2016.
Per fare un esempio puntuale di impatto sull'indebitamento della manovra prendiamo il taglio dei contributi
per i nuovi assunti a tempo indeterminato nell'anno 2015 e a valere sul triennio successivo. Si tratta
indiscutibilmente di una riduzione di 1,8 miliardi del carico contributivo per le imprese e come tale classificato
per lo Stato in termini di minori entrate. Ma se la stessa misura la si guarda in termini di saldo netto da
finanziare questa rappresenta una maggiore spesa che, nella tabella delle coperture, andrebbe a far parte di
24 miliardi di spese correnti. Stesso discorso si potrebbe fare per i quattro miliardi di mancati trasferimenti alle
regioni: in termini di saldo netto da finanziare e dunque di coperture da reperire per sostenere la crescita o il
taglio delle tasse, la posta è cifrata come una maggiore entrata, mentre in termini di deficit si trasforma
oggettivamente in una minore spesa.
Su questi numeri, in serata, è arrivata la nuova tabella "provvisoria" del ministero dell'Economia. In questo
modo il Mef ha provato a rimettere in fila gli aggregati fondamentali della manovra ora al vaglio delle autorità
europee. Gli interventi sono cifrati, come detto, in 36,2 miliardi e le coperture in 25,4 miliardi. Per arrivare al
saldo negativo di 10,4 miliardi (in termini di indebitamento netto) si passa per 9,6 miliardi di minori entrate e
16,1 miliardi di minori spese (13,3 correnti e 2,8 in conto capitale).
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
37
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
FOCUS LEGGE DI STABILITÀ
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
38
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Si tratta, spiega il ministero di Via XX Settembre, di una tabella provvisoria, appunto, estratta dalla nota
tecnico-illustrativa al Ddl Stabilità 2015 «in via di completamento», e si promette che «questi dati
approssimati verranno pubblicati e corredati del dettaglio che contribuisce a comporre i saldi». Il ministero si
congeda, per il momento, con un "nota bene" metodologico che consente di confermare i saldi del primo
annuncio di mercoledì 15 ottobre: il bonus da 80 euro destinato ai lavoratori dipendenti viene conteggiato, per
ragioni di classificazione Eurostat, come maggiore spesa anziché minori entrate. Se fosse classificato come
sgravio fiscale le minori entrate diventerebbero 24,2 miliardi e le maggiori spese diventerebbero 12,0 miliardi.
Ora la parola passa al Parlamento dove il confronto si annuncia incisivo su più di una misura a partire dal Tfr.
«Mi auguro che il dibattito parlamentare possa portare miglioramenti, ma non ci deve essere uno
stravolgimento», si è augurato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SPESE ED ENTRATE (Dall'allegato n.3 alla legge di stabilità) L'indebitamento netto dellaPa nel2015sulla
base della manovra. In milioni di euro L'impatto della manovra2015 Totale indebitamento Misure per la
crescita 10.740 -3.206,7 13.946,6 Misure per l'occupazione, la famiglia e il sociale 1.000 -1.731 2.731,0
Misure per il finanziamento di altre esigenze 3.243 -2.994,9 6.237,9 Enti territoriali -4.539,5 0 -4.539,5 di cui
Misure di razionalizzazione e riduzione di spesa dello Stato -2.399 218,6 -2.617,6 Misure aggiuntive -3.201,6
5.741,2 -8.942,8 Totali 4.842,9 -1.972,8 6.815,6 Misure trasversali Valorizzazione -298,295,7 immobiliare e
mobiliare -2.013,8 314,3 Ottimizzazione della gestione di Tesoreria -87 0 Spese Entrate COPERTURE (Dal
quadro coperture allegato alla Legge di stabilità) Importi in milioni di euro Oneri di natura corrente Nuove o
maggiori spese correnti Minori entrate Altro Nuove o maggiori entrate Riduzione spese correnti Altro 14.780
5.739 39 Differenza -10.371 Differenza 321 Mezzi di copertura 24.365 6.293 270 Nuove o maggiori spese
correnti 2016 Minori entrate Altro Nuove o maggiori entrate Riduzione spese correnti Altro 30.983 8.806 36
30.488 8.693 322 Nuove o maggiori spese correnti 2017 Minori entrate Altro Nuove o maggiori entrate
Riduzione spese correnti Altro 38.491 8.626 35 30.407 8.324 372 Differenza 8.049 2015 TOTALE 30.928
TOTALE 20.557 TOTALE 39.503 TOTALE 39.825 TOTALE 39.103 TOTALE 47.152I PRINCIPALI
INTERVENTI DELLA STABILITÀ
IRAP
Tolta la componente lavoro dal calcolo dell'imposta
La componente lavoro (solo però per i dipendenti a tempo indeterminato) diventa deducibile dall'imponibile
Irap, l'imposta regionale sulle attività produttive. Allo stesso tempo, si cancella il taglio del 10% introdotto con
il dl Irpef approvato l'aprile scorso. L'aliquota torna quindi al 3,9% già da quest'anno. La riduzione dell'Irap è
stata una richiesta da tempo avanzata da parte delle imprese, che la hanno sempre vista come una dei
principali ostacoli agli investimenti
DECONTRIBUZIONE Meno contributi sui nuovi contratti di lavoro stabili
Per promuovere forme di occupazione stabile, la legge di stabilità prevede l'esonero dal versamento dei
contributi a carico dei datori di lavoro - per un periodo massimo di trentasei mesi e nel limite di un importo di
esonero pari a 8.060 euro su base annua - per quel che riguarda le nuove assunzioni con contratto di lavoro
a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico,
decorrenti dal 1° gennaio 2015 e stipulati entro il 31 dicembre 2015
BONUS 80 EURO Sconto reso strutturale,
ma non si amplia la platea
Il bonus Irpef di 80 euro diventa strutturale: l'importo di 960 euro anni è fisso se il reddito complessivo non è
superiore a 24mila euro, ma decresce una volta superato il limite fino ad azzerarsi a 26mila euro. Il decreto
legge che istituiva il bonus prevedeva lo sconto per i lavoratori con un reddito compreso tra gli 8 e i 24mila
euro. In un primo tempo si era parlato anche della sua estensione ad altre platee (come i pensionati o le
partite Iva), ma per mancanza di risorse l'ipotesi è stata poi accantonata
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
39
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
AMMORTIZZATORI Due miliardi annunciati
per la riforma e le deroghe
Per far fronte agli oneri derivanti dall'attuazione dei provvedimenti normativi di riforma degli ammortizzatori
sociali, e per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, vengono stanziati 2 miliardi per il 2015.
Questi oneri si riverberano sull'indebitamento netto in termini di maggiori prestazioni sociali per 1.500 milioni
a decorrere dal 2015, tenuto conto che si stima che i restanti 500 milioni annui siano destinati a finanziare le
contribuzioni figurative
TAGLIO REGIONI Dalle Regioni in arrivo risparmi per 4 miliardi
La legge di stabilità chiede un contributo anche agli enti locali per quel che riguarda i risparmi nella finanza
pubblica. Per le Regioni, in particolare, sono previsti tagli per 4 miliardi. La ripartizione tra gli enti, e gli ambiti
di spesa da coinvolgere, dovranno essere individuati dalle Regioni stesse entro il 31 gennaio 2015. In caso di
mancata intesa, sarà il governo a decidere la ripartizione tenendo conto del Pil e della popolazione residente
I DOCUMENTI
Tutti i numeri nelle tabelle allegate al Ddl Stabilità Sono le tabelle allegate alla Legge di stabilità e inviate
alla Camera, dopo la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato, a rivelare voce per voce le misure
della manovra (nella foto sopra, la prima pagina dell'allegato 3 al testo del disegno di legge). È qui che
vengono esemplificate, ad esempio, gli impatti della stabilizzazione del bonus di 80 euro, del Tfr nelle buste
paga o della eliminazione dalla base imponibile dell'Irap della componente lavoro. Ma è anche qui che
vengono individuate (nel complesso in questa tabella ma nello specifico anche nelle altre allegate alla
Stabilità) i risultati ottenuti con i tagli alle spese dei ministeri
Il punto della situazione sulle entrate e sulle spese Dalle stesse tabelle allegate al disegno di Legge di
stabilità che presto Montecitorio comincerà ad esaminare si può avere il punto della situazione su quanto si è
fatto nel complesso per mettere a punto una manovra che il governo stesso ha definito "di crescita" e sulla
quale si è articolata la discussione all'interno dell'Unione europea. È da questi dati che si evince, ad esempio,
che sul fronte della spending review l'impatto del solo articolato sul deficit si ferma complessivamente a 4,8
miliardi per il 2014, 3,7 per il 2016 e 3 miliardi per il 2017. Oppure che in termini di riduzione delle entrate il
saldo finale sul 2015 si attesta a 1,9 miliardi
Il nodo delle coperture e il documento del Mef Nella tabella sulle coperture della Legge di stabilità,
allegata anch'essa al Ddl depositato a Montecitorio (e che riproduciamo fotograficamente qui sopra e nello
specifico in pagina) il totale degli oneri da coprire si ferma a 30,9 miliardi, con 24,3 miliardi di nuove e
maggiori spese correnti e minori entrate per 6,2 miliardi. Numeri che appaiono ben distanti da quelli
annunciati dal Governo una settimana fa. Nella serata di ieri, tuttavia, il ministero dell'Economia ha diffuso
un'ulteriore tabella in cui prova a rimettere in fila gli aggregati fondamentali della manovra ora al vaglio delle
autorità europee. Gli interventi sono cifrati in 36,2 miliardi e le coperture in 25,4 miliardi
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Maastricht mai applicato, va rinegoziato»
Giovanni Minoli
In Italia c'è un "grande vecchio", il Professor Giuseppe Guarino, che da tempo porta avanti la sua battaglia
sull'Europa. Secondo il professore, il trattato fondativo dell'Europa, cioè il Trattato di Maastricht, firmato nel
'92, non è mai stato applicato, ma in realtà è stato sostituito dal Patto di Stabilità, che è successivo alla
nascita dell'euro, patto che in realtà il professore considera un vero e proprio colpo di Stato.
Professore, perché?
La disciplina approvata da Kohl, Delors, da Carli, ed approvata da tutti gli Stati, con la procedura di
approvazione dei trattati, era fondata su due poteri: perché non si può dire "la crescita", bisogna conferire i
poteri per realizzare la crescita. E questi poteri erano esattamente individuati: ciascuno Stato poteva e
doveva elaborare la propria politica economica in funzione della crescita, e nell'elaborare questa politica
avrebbe potuto indebitarsi. La cosa importante è che sono stati sostituiti da due doveri: il primo dovere di
realizzare il pareggio di bilancio a medio tempo; il secondo dovere, di realizzare questo pareggio seguendo
un programma prestabilito dalla Commissione.
Dunque due doveri hanno sostituito due poteri, ma questo obbligo non era assolutamente previsto dal
trattato. Ma allora in realtà cosa diceva il trattato?
Puoi superare il valore di riferimento, riguardo all'indebitamento, se esistono condizioni eccezionali e
temporanee. Se ci sono, puoi superarlo. Ma intanto il problema dell'Europa è qui e non lo si vuol capire: la
eccezionalità e la temporaneità esistono in Europa per tutti gli Stati a partire dal 1 gennaio 1999. Da allora,
invece di applicare l'articolo 104 del Trattato all'epoca in vigore, che peraltro è identico a quello attuale; hanno
fatto applicare qualcosa che è assolutamente contrario. Cioè non l'indebitamento al 3% come valore di
riferimento che puoi superare, ma l'indebitamento zero. Cosa significa? Che non ci si può indebitare neanche
per un euro. È stata introdotta senza che nessuno se ne accorgesse una norma diversa dal trattato.
Ma chi l'ha introdotta?
Purtroppo devo dirlo con dolore, specialmente da parte mia, è stato per l'Italia Carlo Azeglio Ciampi, e per la
Germania è stato Waigel. Anzi, è stato Waigel che ha trascinato Ciampi.
Ha ragione Renzi quando fa riferimento alla flessibilità e alla temporaneità come elementi per superare
questo 3%?
Certo, ma la temporaneità e la flessibilità sono partite dal 1999.
Quindi non è più nemmeno eccezionale e temporaneo, è definitivo.
È temporanea se e fino a quando si applica quella norma. bisogna non applicare più quelle norme...
Cioè, applicando quelle norme non si va da nessuna parte, detto in maniera semplice.
Si va sempre più giù.
Si va verso un disastro garantito.
Si va sempre più giù, come in effetti siamo andati sempre più giù. E non solo l'Italia ma tutti i paesi. Perché
qui c'è un'anomalia che generalmente sfugge. I paesi che avevano il bilancio non in pareggio, al 1 gennaio
1999 erano noti con nome e cognome.
Cioè quali erano?
Erano quasi tutti tranne forse la Germania e l'Olanda. E allora conoscendo già le condizioni dei paesi hanno
imposto una norma uguale per tutti. Era una norma retroattiva, la massima ipotesi di retroattività.
E quindi oggi cosa bisogna fare?
Oggi bisogna rinegoziare politicamente il Trattato. Bisogna avere il coraggio di dire: è questo il problema.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
40
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA Giuseppe Guarino Giurista
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il meglio è nemico di ambiente ed economia
Jacopo Giliberto
Iproverbi sono apprezzati per la loro efficacia icastica e l'accordo di Bruxelles sul clima può essere raffigurato
da due detti popolari. Il primo dice: «Piuttosto che niente, è meglio piuttosto». Il secondo proverbio è: «Il
meglio è nemico del bene».
L'intesa europea sul clima prevede entro il 2030 l'impegno di ridurre del 40% le emissioni di anidride
carbonica (il gas accusato di cambiare il clima del mondo), di portare al 27% il ricorso a fonti rinnovabili di
energia e di migliorare del 27% l'efficienza energetica.
Non è l'intesa migliore nel migliore dei mondi possibili. Non raggiunge appieno l'obiettivo europeo di ridurre la
CO2 (a maggior ragione quando il resto del mondo gonfia di emissioni l'atmosfera), né evita limitazioni e
sovraccosti al sistema economico e produttivo, né infine riesce a promuovere quanto si potrebbe il
cambiamento tecnologico e le energie pulite (che conciliano ambiente ed economia). L'accordo dei Ventotto
fa un pochino tutte queste cose, ma nessuna in modo perfetto.
Le alternative sono quelle dei proverbi citati sopra: non fare nulla (ma allora piuttosto che niente è meglio un
accordo di compromesso) oppure cercare ogni mezzo per salvare il clima (ma obiettivi irraggiungibili sono un
disastro per tutti, anche per chi li millanta).
L'Europa ha la tendenza a pretendere da sé il meglio-nemico-del-bene. L'Italia ha questa stessa tendenza,
ma raddoppiata. Quando in Italia arriva una direttiva europea già sfidante, non si accontentano del bene e
pretendono il meglio i parlamentari e i ministri, gli assessori e i consiglieri regionali, provinciali e comunali, e
infine le schiere di funzionari pubblici e magistrati che eseguono controllano autorizzano indagano. Sono tutti
bravi a esigere il meglio dagli altri.
Dopo il trattamento migliorista, un limite ambientale, una regola fiscale, un adempimento amministrativo, una
norma alimentare o uno standard tecnico diventano un tormento inapplicabile.
Il rischio c'è anche stavolta sulle emissioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
41
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ANALISI
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 11.12
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Fiducia e shopping, Italia in retromarcia
Più pessimiste le famiglie ad ottobre - Mai così male l'indice Istat dallo scorso febbraio L'ALLARME
Federdistribuzione chiede azioni a favore della domanda Cobolli Gigli: «Estate drammatica, chi vorrebbe
aumentare l'Iva ora rifletta»
Luca Orlando
MILANO
Quattro su cento ci credono, tutti gli altri no. La già sparuta pattuglia di ottimisti sulle prospettive
dell'economia italiana a ottobre si assottiglia ancora, spingendo verso il basso l'indice di fiducia delle famiglie.
Per trovare un livello più basso dell'attuale (101,4) occorre tornare al mese di febbraio, cioè all'ultima
rilevazione effettuata prima dell'insediamento del Governo Renzi.
Con l'eccezione di settembre - mesi in cui il dato era rimasto fermo - la discesa prosegue ormai ininterrotta
da giugno, in parallelo con l'indebolimento progressivo di tutti gli altri indicatori, dal prodotto interno alla
produzione, dai ricavi industriali all'export.
Il peggioramento dei giudizi sull'economia nazionale è solo uno dei tanti dati negativi registrati dall'Istat,
perché a ottobre le famiglie vedono un po' più "nero" anche con riguardo alle prospettive future, all'evoluzione
della propria condizione economica e della disoccupazione. Emblematico degli umori attuali è il dato sulle
intenzioni d'acquisto di beni durevoli: a prendere in considerazione l'ipotesi di mettere mano al portafoglio è il
5,4% degli italiani; esattamente un decimo rispetto a quanti escludono tale possibilità. Una debolezza nei
consumi che si riverbera ormai da tempo nelle stesse statistiche Istat, confermate ieri dalla rilevazione delle
vendite al dettaglio di agosto. Scorrendo i numeri si trovano solo un paio di eccezioni: a fatica resistono
discount e negozi specializzati mentre per il resto la lettura dei dati offre il quadro desolante ormai stabilizzato
da tempo.
In termini mensili destagionalizzati l'indice cede lo 0,1% mentre in termini tendenziali la riduzione è
particolarmente pesante, con un calo del 3,1% su base annua. Una frenata, la quarta consecutiva,
equamente distribuita tra alimentari e non, più marcata per i negozi (-4,8%) ma presente anche nelle superfici
maggiori, con un calo che sfiora i due punti per le realtà oltre i 50 addetti. La necessità di contenere le spese
resta evidente nelle scelte delle famiglie, che continuano a sostenere i ricavi del canale discount, in crescita
dello 0,4% nel mese. Anche qui, tuttavia, la debolezza dei consumi inizia a farsi sentire, perché il dato di
agosto rappresenta un evidente rallentamento rispetto alla crescita del 2,2% realizzata dall'inizio dell'anno
all'interno del canale low cost. Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, considera
«drammatica» l'estate dei consumi e chiede al Governo di procedere con la Legge di Stabilità realizzando
tutte le misure annunciate nelle dimensioni tali da poter realmente incidere sulla situazione. «Ci auguriamo prosegue - che questi dati siano uno spunto di riflessione per chi sta pensando a un futuro ulteriore aumento
dell'Iva».
Scorrendo le categorie merceologiche dei prodotti non alimentari ad agosto non si trova un solo segnale
positivo: il dato migliore è per i giocattoli, in frenata di un punto percentuale. I settori più penalizzati sono
cartoleria, libri e giornali, elettrodomestici e informatica, con flessioni annue tra il 5 e il 6%. Va detto, tuttavia,
che soprattutto nel settore non alimentare le rilevazioni Istat nel tempo leggono una realtà che
inesorabilmente diventa sempre più piccola. Questo perché le vendite al dettaglio oggi sono minacciate non
soltanto dal calo dei consumi ma anche dalla crescente canalizzazione dello shopping attraverso il web, area
esclusa da questa misurazione statistica. Parte della riduzione degli indici è dunque legata al successo delle
vendite online, arrivate oltre i tredici miliardi di euro (più del doppio rispetto al 2007), con tassi di crescita che
procedono ancora oggi a doppia cifra.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
42
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Congiuntura. Le vendite al dettaglio di agosto crollano del 3,1% su base annua - Giù tutti i settori
merceologici, resiste solo il discount
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 11.12
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
43
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il polso dei consumi I PRODOTTI Variazioni percentuali delle vendite (base 2010=100). Agosto 2014 -5 0
Alimentari Non alimentari Prodotti farmaceutici Abbigliamento e pellicceria Calzature e articoli in cuoio
Arredamento Elettrodomestici Informatica e telecom. Foto-ottica Generi casalinghi Utensileria ferramenta
Profumeria Cartoleria, libri e giornali Giochi, giocattoli e sport Altri prodotti TOTALE -3,7 -2,5 -2,9 -1,2 -1,1 2,3 -4,6 -5,0 -3,0 -2,6 -1,3 -3,2 -6,4 -1,0 -2,9 -3,1 I CANALI DISTRIBUTIVI Var. % delle vendite al dettaglio
(base 2010=100). Agosto 2014 TOTALE -3,1 Alimentari GRANDE DISTRIBUZIONE IMPRESE OPERANTI
SU PICCOLE SUPERFICI -3,7 -3,2 -5,1 Non alimentari GRANDE DISTRIBUZIONE IMPRESE OPERANTI
SU PICCOLE SUPERFICI -2,5 -2,1 -2,9 L'ANDAMENTO CONGIUNTURALE Agosto 2012 - Agosto 2014.
Var. % sul mese precedente. Dati destagionalizzati L'ANDAMENTO TENDENZIALE Agosto 2012 - Agosto
2014. Var. % sullo stesso mese dell' anno precedente. Dati grezzi -0,9 -0,6 -0,3 0,0 0,3 0,6 0,9 A S O N D G
F M A M G L A S O N D G F M A M G L A 2012 2013 2014 A S O N D G F M A M G L A S O N D G F M A M
G L A 2012 2013 2014 -5,5 -2,5 2,5 0 5,0
Foto: - Nota: per prodotti e canali distributivi le variazioni sono tendenziali - Fonte: Istat
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Alessandro Merli
Le lettere, o meglio le email, della Banca centrale europea sono arrivate, rinnovando la speculazione dei
mercati finanziari su promossi e bocciati della valutazione approfondita delle 130 Banche dell'eurozona, di cui
la Bce assumerà il 4 novembre prossimo la vigilanza diretta.
Continua u pagina 21 Secondo le indiscrezioni più attendibili della vigilia - i risultati verranno finalmente
pubblicati domani alle 12 - le banche che non passeranno l'esame saranno circa 25, ma di queste solo una
dozzina dovrebbe ricevere la richiesta di aumentare il capitale.
La Bce infatti ha compiuto le sue valutazioni sulla base dei dati di bilancio al 31 dicembre 2013, ma
ammetterà gli aumenti di capitale realizzati nei nove mesi successivi.
Continua u pagina 23 u Continua da pagina 21
Il che consentirà ad alcuni istituti di uscire dalla lista e ad altri di ridurre le richieste della nuova autorità di
vigilanza. In questo modo, sempre secondo le stesse indiscrezioni, nessuna banca tedesca o francese
dovrebbe essere coinvolta. Ad ogni buon conto, qualche "fonte" si è premurata di far sapere che Deutsche
Bank è a posto. Semmai c'è da chiedersi come avranno fatto a uscire dall'elenco alcune landesbanken, a
partire da Hsh Nordend, che non brillano né per solidità, né per trasparenza.
Le spagnole sono a loro volta garantite dal fatto di aver appena ristrutturato, grazie al piano concordato con
l'Europa (e fondi per 40 miliardi di euro).
Il che lascia le banche italiane e quelle greche, penalizzate tra l'altro dalla debolezza delle rispettive
economie, sotto i riflettori, insieme a qualcun'altra di Paesi diversi. Ma se verranno confermate le cifre che
circolano sulle possibili carenze complessive di capitale (si parla di un massimo di una quindicina di miliardi di
euro), sono importi gestibili senza interventi pubblici.
Sullo sfondo restano tuttavia due incognite: la prima è la credibilità dell'esercizio, e quindi il raggiungimento
dell'obiettivo di ristabilire la fiducia nel sistema. Su questo la combinazione dell'esame della qualità degli attivi
e degli stress test dovrebbe costituire una garanzia di rigore, anche perché gli scenari economici sono più
severi che nelle prove da stress del 2011. Sulla seconda, se l'esame delle banche contribuirà in modo
decisivo al rilancio del credito, la risposta non potrà essere immediata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
44
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Esclusi gli interventi pubblici*
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il vero test è la recessione
Morya Longo
La realtà raggiunge, quasi, gli stress test. Alcuni degli scenari «avversi» ipotizzati lo scorso aprile dalla Bce
sono infatti diventati reali per effetto della frenata economica italiana.
u pagina 5 Morya Longo
Li hanno chiamati «scenari avversi». Sono le ipotesi congiunturali - relative a Pil, inflazione, disoccupazione
e tassi - che stanno alla base degli stress test sui bilanci delle banche. Quando lo scorso aprile la Banca
centrale europea e l'Eba li hanno immaginati, non pensavano certo che sei mesi dopo una buona parte di
quelle ipotesi «avverse» sarebbe diventata realtà. Eppure, per quanto riguarda il 2014, è praticamente
accaduto. In Italia la recessione che stiamo vivendo è ormai molto simile a quella ipotizzata come «scenario
avverso» lo scorso aprile. Ancora peggio sul fronte dell'inflazione. Solo un indicatore è molto migliore rispetto
a quello previsto lo scorso aprile come presupposto del check-up dei bilanci bancari: quello sui rendimenti dei
titoli di Stato italiani.
Il problema è che anche i piani industriali delle banche, varati in molti casi a inizio 2014, basavano le
previsioni su ipotesi congiunturali ben migliori di quelle attuali. Molte banche ipotizzavano un Pil italiano 2014
in crescita tra lo 0,5% (Intesa Sanpaolo) e lo 0,8% (Banco Popolare, Bpm e Carige): un sogno, visto che
ormai le previsioni per l'intero anno sono tutte orientate sulla recessione.
Qualche domanda, a questo punto, nasce spontanea: che impatto avrà sui bilanci degli istituti creditizi il
peggioramento dell'economia italiana? Siamo già sotto stress? Potrà questo deterioramento congiunturale
essere compensato in positivo dal fatto che i titoli di Stato italiani hanno oggi rendimenti più bassi rispetto a
quelli ipotizzati dalla Bce?
La realtà finisce sotto stress
Partiamo dai dati. Il problema nasce dal fatto che i criteri degli stress test sono stati definiti lo scorso aprile,
quando il futuro appariva ben più roseo. Allora Eba e Bce prevedevano per esempio che l'Italia potesse
crescere dello 0,6% nel 2014, per cui ipotizzarono come scenario avverso un calo del Pil pari a 0,9%. Una
stima che, in effetti, ai tempi era veramente nera. Il problema è che la realtà, col passare dei mesi, è
diventata sempre più simile all'ipotesi «avversa»: -0,18% prevede per il 2014 la media degli analisti secondo
Blooberg, -0,3% il Governo nel Def, -0,4% l'Ocse e -0,17% il Fondo Monetario.
Per non parlare della dinamica dei prezzi: lo scorso aprile Eba e Bce non prevedevano in nessun caso,
neppure in quello «avverso», che l'Italia potesse arrivare alla disinflazione: nel peggiore dei casi il caro-vita
2014 era ipotizzato allo 0,9%. Scenario ormai quasi da «sogno»: l'inflazione 2014 è infatti prevista tra lo
0,09% e lo 0,2%. Resta migliore rispetto agli scenari Bce la dinamica della disoccupazione, e si colloca nel
mezzo - tra scenario base e avverso - l'andamento del mercato immobiliare. Quello residenziale italiano
calerà nel 2014 del 5%-5,5% secondo Nomisma e dell'1,6% secondo Scenari Immobiliari.
Solo su un indicatore la realtà dei fatti si è rivelata ex post migliore del previsto: il rendimento dei titoli di
Stato. Bce e Eba ipotizzavano i tassi dei BTp al 3,9% nello scenario «base» del 2014 e al 5,9% in un'ipotesi
«avversa», mentre attualmente i decennali italiani viaggiano già intorno al 2,5%. Anche i piani delle banche
risultano più conservativi da questo punto di vista: Bpm ipotizzava per esempio uno spread BTp-Bund a 221
punti nel 2014, mentre ora sta a 163.
L'economia pesa sui bilanci
Gli esperti interpellati dal Sole 24 Ore sono divisi sull'impatto che questo peggioramento congiunturale avrà
sulle banche. Non mostrano preoccupazione alcuna i consulenti sul settore bancario di Accenture: «Anche se
le previsioni divergessero ed effettivamente ci trovassimo in uno scenario di stress, gli studi più autorevoli fatti
fino ad ora indicano che tutte le banche italiane sono ben posizionate». Da Accenture fanno inoltre notare
che sono peggiorati, rispetto alle previsioni di inizio anno, solo alcuni indicatori. E solo quelli relativi al 2014,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
45
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
LA RIPRESA DIFFICILE
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
46
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
mentre gli stress test hanno un orizzonte temporale di tre anni. Insomma: ancora siamo lontani dal vero
stress. Secondo il risk manager di una importante banca italiana, però, l'imprevista crisi economica del 2014
peserà eccome sui bilanci: «C'è una correlazione diretta tra recessione e aumento dei crediti deteriorati».
Come detto, però, c'è anche un risvolto positivo della medaglia: i rendimenti dei titoli di Stato, croce per i
bilanci bancari anni fa, sono molto migliori delle attese. Questo da un lato aiuta le banche italiane perché
riduce il costo del loro funding. Dall'altro le aiuta perché i loro bilanci sono pieni di BTp (ne hanno per 427
miliardi) acquistati quando i tassi erano più elevati: il calo dei rendimenti si è quindi tradotto in grandi
plusvalenze. Però le penalizza perché il generale calo dei tassi va ad assottigliare il margine d'interesse. Il
punto è capire se il «sollievo» sul fronte dei BTp possa coprire il crescente «dolore» sul fronte congiunturale.
E questo, secondo Antonio Guglielmi di Mediobanca Securities e secondo il risk manager di un istituto
italiano, non è affatto scontato. Tra dicembre e febbraio le banche dovranno infatti restituire alla Bce i fondi
presi in prestito nel 2011-2012 con i finanziamenti Ltro. Quei soldi erano stati usati per comprare BTp, con il
giochetto del carry trade: le banche prendevano denaro dalla Bce con tassi bassi e compravano titoli di Stato
triennali che avevano rendimenti altissimi. Il guadagno era sicuro. Questo ha ingrassato i bilanci fino ad oggi.
Ma ora che i tassi sono bassi e che quei vecchi generosi BTp si avvicinano alla scadenza, i bassi rendimenti
dei titoli di Stato diventano un boomerang: perché ormai il carry trade offre guadagni miseri. Insomma: il
beneficio che arriva dal mercato dei titoli di Stato sarà sempre minore.
Morale: siamo già sotto stress? Probabilmente solo in parte. Per ora la crisi economica è gestibile, grazie
anche al rafforzamento patrimoniale favorito dalla Bce. Ma quattro anni di recessione sono tanti. Per
chiunque.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Gli scenari «avversi» e la realtà economica 2 1 0 -1 -2 2014 2015 2016
Scenario di base Scenario di stress Media analisti Bloomberg Revisione Def Previsioni Ocse (SET 2014)
Variazione Pil DATI IN % -0,18 -0,3 -0,4 0,66 0,5 0,1 1,04 0,6 0,8 1,2 1,3 -0,7 -1,6 -0,9 15 14 13 12 11
Scenario di base Scenario di stress 2014 2015 2016 Disoccupazione DATI IN % Media analisti Bloomberg
Revisione Def Previsioni Fmi (OTT 2014) 12,5 12,6 12,5 12,4 12,6 11,9 12,1 12,4 11,3 12,6 12,4 12,0 14,4
13,7 12,9 2,0 1,5 1,0 0,5 0 Previsioni Fmi (OTT 2014) Media analisti Bloomberg Revisione Def 2014 2015
2016 Inflazione DATI IN % Scenario di base Scenario di stress 0,24 0,2 0,09 0,58 0,6 0,46 1,11 1,1 0,9 0,9
1,3 1,0 1,8 0,6 4 -2 0 2 -4 2014 2015 2016 Prezzi immobili commerciali DATI IN % Scenario di base Scenario
di stress Previsioni scenari immobiliari -1,8 -1,4 0,2 -3,9 -1,0 0,5 -2,7 2,3 -1,6 4 0 -4 -8 2014 2015 2016 Prezzi
immobili residenziali DATI IN % Scenario di base Scenario di stress Previsioni scenari immobiliari -1,6 -1,1 0,7 1,0 2,0 -3,4 -7,9 -4,7 -3,3 6 2 4 0 2014 2015 2016 Rendimenti titoli di Stato DATI IN % Scenario di base
Scenario di stress Tasse attuali 2,5 3,9 4,1 4,3 5,8 5,6 5,9
Foto: - Fonte: Elaborazioni del Sole 24 Ore su dati Bce, Bloomberg, Def, Ocse, Fmi e Scenari Immobiliari
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Per il credito è l'anno zero
Alessandro Merli
La pubblicazione degli stress test si aggiunge alle ultime mosse della Bce per rilanciare il credito all'economia
reale. Ma restano alcuni ostacoli di fondo.
u pagina 3 Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Mezzogiorno di fuoco per le banche dell'Eurozona. Oggi alle 12 in punto la Banca centrale europea
pubblicherà i risultati dell'esame, durato esattamente un anno, che deve certificare se i 130 istituti di credito
più importanti dell'area euro siano abbastanza solidi da far fronte a una nuova crisi finanziaria. E chiederà alle
banche per le quali ha scoperto carenze di capitale che lo aumentino nel giro di sei-nove mesi. Facendo
chiarezza sullo stato di salute delle banche, che dovrebbero uscire dalla verifica con più capitale e meno
rischio, la Bce conta di ristabilire la fiducia nel sistema, da parte degli investitori e delle banche stesse, e di
fare in modo che siano in condizioni di far ripartire il credito all'economia reale. Indiscrezioni della vigilia
parlano di un gruppo di circa 25 banche che dovrebbe essere "bocciato", ma solo una dozzina che dovrà
aumentare il capitale, dato che le altre lo hanno già fatto dopo la chiusura dei bilanci 2013 esaminati dalla
Bce.
È un processo che parte da lontano, da quando, al vertice del giugno 2012, nel pieno della bufera che ha
messo in dubbio la sopravvivenza stessa dell'unione monetaria, i leader europei si sono trovati d'accordo sul
fatto che questa doveva essere completata dall'unione bancaria, affidandone la supervisione alla Bce. Prima
di assumersi la vigilanza delle banche (diretta sulle più grandi, indiretta sul resto del sistema), l'Eurotower ha
voluto però che fosse fatta chiarezza sulla loro solidità, tappando in anticipo eventuali falle. Mentre la Bce,
che non aveva né personale, né know-how, per assumere i nuovi compiti, si attrezzava, la pressione sulle
banche perché si muovessero in anticipo sull'esame dei loro bilanci è stata fortissima. Il presidente della Bce,
Mario Draghi, sostiene che la «valutazione approfondita» ha già avuto un enorme impatto, costringendo le
banche a misure pari a 203 miliardi di euro, fra aumenti di capitale, dismissioni di attivi e altri interventi di
rafforzamento, oltre a un marcato deleveraging, un ridimensionamento delle proprie dimensioni che
inevitabilmente ha avuto un impatto sul credito. Nel solo 2014, le banche hanno fatto aumenti di capitale per
40 miliardi di euro circa.
Lo sforzo è stato imponente. Le banche interessate alla valutazione rappresentano l'82% dell'attivo del
sistema. È stata condotta un'analisi granulare che ha comportato l'esame di 40 milioni di dati. Sono stati
esaminati 119mila debitori e valutate 170mila voci di garanzie. Un lavoro che ha focalizzato le risorse delle
banche e in qualche caso rischiato di paralizzare l'attività ordinaria.
La valutazione approfondita ha avuto due fasi, un esame della qualità degli attivi (Aqr) e uno stress test. A
differenza di quelli condotti dalla European Banking Authority nel 2010 e nel 2011, e rivelatisi poi troppo
morbidi, gli stress test della Bce si basano appunto sulle risultanze dell'Aqr, nel quale le valutazioni date dalle
banche ai propri attivi, le garanzie, gli accantonamenti, sono stati messi alla prova e in qualche caso
modificati. Con gli stress test sono stati simulati due scenari, uno di base e uno negativo, in cui le banche
vengono investite nel periodo 2014-16 da shock economici e finanziari, come una forte recessione e una crisi
dei mercati simile a quella seguita al collasso di Lehman Brothers. Alle banche viene chiesto che il loro
capitale di miglior qualità (Cet1) non cada al di sotto dell'8% dell'attivo ponderato per il rischio, nel risultato
dell'Aqr e dello stress test di base, e sotto il 5,5%, nel caso dello scenario più estremo. Se dovessero "fallire"
quest'obiettivo (una parola che alla Bce preferiscono non usare), dovranno presentare un piano correttivo nel
giro di due settimane, e avranno poi 6 mesi di tempo per chiudere le falle dell'Aqr o dello stress test di base e
9 per quelle dello stress test avverso.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
47
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
FOCUS EURO-VIGILANZA FINANZA E IMPRESE
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
48
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le prime risposte, considerato che le banche hanno avuto contatti diretti con la Bce negli ultimi giorni e
hanno ricevuto i risultati giovedì scorso, dovrebbero essere annunciate già nella giornata di oggi. Dato che
tutto l'esercizio è stato condotto sulla base dei dati al 31 dicembre 2013, è a questo punto che verranno
messe in campo le azioni già intraprese negli ultimi nove mesi e che possono evitare alle banche di dover
fare altri aumenti o ulteriori misure.
© RIPRODUZIONE RISERVATA I PRESTITI ALLE IMPRESE Variazione%annua Ilnodo del credito 8 6 4 2 0
-2 -4 -6 -8 -10 -12 2010 2011 2012 2013 2014 Grecia Portogallo Italia Francia Germania Spagna Francia
Germania Italia Grecia Portogallo SpagnaLE TAPPE DELL'UNIONE BANCARIA
1
ASSET QUALITY REVIEW E STRESS TEST Oggi alle 12 saranno resi noti i due esami sulla solidità
patrimoniale delle banche europee denominati "Comprehensive Assessment". Si tratta dell'analisi della
qualità degli attivi (Asset quality review), condotta dalla Bce, e degli stress test veri e propri, sotto la
supervisione dell'Eba: i bilanci delle banche vengono in questo caso testati su ipotetici scenari di shock, per
provarne la resistenza.
2
VIGILANZA SULLE BANCHE ALLA BCE A partire dal 4 novembre la vigilanza europea sugli oltre 120
maggiori istituti bancari passerà dalle singole banche centrali nazionali a quella unificata dell'Eurotower. Tra i
principali obiettivi della vigilanza bancaria - il primo dei tre pilastri dell'unione bancaria - c'è quello di impedire
che da crisi di singoli intermediari scaturiscano situazioni di instabilità del sistema.
3
SALVATAGGI BANCARI E FONDO UNICO Nel gennaio 2016 entrerà in
vigore il meccanismo che
sposta l'onere dei salvataggi e delle ristrutturazione bancarie
dagli Stati ai privati. Nel 2025
dovrebbe poi andare a regime la messa in comune
delle risorse del cosiddetto Fondo di risoluzione Ue: circa 55 miliardi versati gradualmente dalle banche
nazionali, da destinare in ultima battuta alla gestione delle crisi bancarie.
Foto: - Fonte: Bce, Barclays Research
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Draghi non dà consigli di Borsa
Donato Masciandaro
Pensate che il prezzo di una azione coincida con il valore di una banca? Se la risposta è no, farete un buono
uso delle pagelle rappresentate dai cosiddetti stress test bancari. Se la risposta è si, e magari avete liquidità
da investire, siete da quelli che potrebbe abusare delle informazioni che gli stress test offrono, rischiando di
procurare danni a voi - poco male - ma anche agli altri.
Questa domenica l'attenzione di tutti coloro che hanno ragione di interessarsi alla salute delle banche
europee sarà puntata sulla comunicazione che la banca centrale europea (Bce), l'autorità bancaria europea
(Eba) e le autorità nazionali a seguire - inclusa la Banca d'Italia - daranno sui risultati delle analisi sulla qualità
dei bilanci bancari e sugli stress test. Saranno informazioni rilevanti che le autorità di controllo daranno ai
mercati, di cui si può fare un buon uso oppure un pessimo abuso.
Il buon uso è legato all'obiettivo primario che le autorità europee di vigilanza si propongono di ottenere:
migliorare il set informativo sulle banche, il che può contribuire ad una migliore valutazione del loro stato di
salute da parte dei mercati. Le parole non sono scelte a caso: le autorità forniscono una fotogramma che,
insieme ad altri fotogrammi, deve aiutare ciascun operatore a formarsi la sua visione sulla affidabilità
prospettiva della singola banca. L'offerta di un fotogramma può essere utile in generale, è fondamentale in
questo preciso momento storico.
Dal quattro di novembre la vigilanza europea entra in una nuova era: da un sistema di controlli nazionali
decentralizzati con scambi di informazioni transnazionali si passa ad un sistema "a triade", in cui coesistono
in una struttura federale una autorità centrale di supervisione (Bce) ed una di regolazione, con un sistema di
autorità nazionali. E' un cambiamento epocale, di cui si può fissare l'obiettivo finale - un sistema federale
integrato - ma non certo i tempi ed i modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto.
Per ora, anche il fotogramma sul sistema bancario risulta essere un po' "mosso", visto che i grandangoli
sono più di uno. Fuori di metafora, da domenica avremo la valutazione prodotta dalla Bce su 130 banche
appartenenti all'Eurozona più la Lituania, di cui 120 saranno da essa direttamente sorvegliate, ma anche gli
stress test offerti dall'EBA su 123 banche appartenenti all'Unione Europea più la Norvegia. Quindi tre insiemi
diversi di banche, di cui 93 appartengono a tutti e tre i perimetri.
In ogni caso, per partire con il piede giusto, occorre che la nuova vigilanza sia credibile. La credibilità passa
anche attraverso l'offerta di buona informazione; il combinato disposto di valutazione della qualità degli attivi
e relativa simulazione di robustezza degli stessi in questa fase storica eccezionale può essere uno strumento
valido.
Ad una condizione: che non si faccia un uso distorto e strumentale dell''informazione offerta, confondendo un
fotogramma con l'intero film. Già sappiamo che il fotogramma potrà avere degli effetti sui prezzi borsistici
delle azioni bancarie. L'effetto annunzio è fisiologico: quando si comunica al mercato una informazione che il
mercato ritiene rilevante, ci si può aspettare una reazione, che sarà tanto maggiore tanto meno il mercato di
cui stiamo parlando è inefficiente; altrimenti tale informazione dovrebbe essere già - in tutto o in parte scontata nei prezzi.
Ma l'effetto annunzio deve essere temporaneo: il valore di medio periodo di una banca non dipende da un
fotogramma. Una banca non è una azienda come tutte le altre, almeno se pensiamo alle banche che
accompagnano la crescita economica gestendo il risparmio al dettaglio ed allocando il credito. Sono le
banche commerciali, che seguono il ciclo economico, accompagnando le fasi positive e smorzando quelle
negative (se non sono troppo lunghe). Sono banche che possono essere stabili e moderatamente redditizie,
purché i mercati di riferimento ed i servizi diversi dal credito da un lato e la governance dall'altro siano idonei.
Solo le banche che caratterizzano ancora il nostro Paese - ma non solo. Il loro valore è la somma di medio
periodo di una pluralità di relazioni stabili e granulari sia dal lato del risparmio che da quello del credito, non
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
49
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ISTRUZIONI PER L'USO
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
50
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
certo il risultato di una istantanea.
Le informazioni che le pagelle bancarie forniranno sono utili, ma non devono divenire un fonte di incentivi
distorti sia per il mercato che per i regolatori. Da un lato tutti gli operatori di mercato interessati alle sorti delle
banche - a partire dai depositanti - non devono pensare che bastino dei fotogrammi per valutare la bontà di
un film. Dall'altro lato, ai regolatori spetta il compito di evitare che la condivisione di informazione con il
mercato possa indurre qualcuno a pensare - magari nello stesso perimetro dei regolatori - che la
responsabilità ultima di ridurre i rischi di instabilità sistemica continui a rimanere sul loro capo. La Grande
Crisi è stata anche figlia di una cattiva supervisione, soprattutto in quei Paesi - e l'Italia non è tra questi - il cui
l'azione di vigilanza si è di fatto dimostrata passiva, appiattita sui cosiddetti meccanismi di mercato, e magari
pronta ad essere catturata dagli interessi dei regolati, o dei politici, o dal loro combinato disposto. Sarà un
caso, ma gli stress test sono nati negli Stati Uniti, emblema del processo di deresponsabilizzazione e di
cattura dei vigilanti. La nuova vigilanza europea non deve seguire quella strada.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Comprehensive assessment Il Comprehensive
Assessment è l'esercizio complessivo con cui la Banca centrale europea ha verificato lo stato di salute dei
principali 131 gruppi bancari europei, tra cui le 15 maggiori italiane. Realizzato nel corso del 2014 e giunto a
conclusione oggi, l'esame ha valutato le condizioni attuali e prospettiche degli istituti prima dell'avvio ufficiale
della Vigilanza unica europea, fissata per il 4 novembre. L'esercizio è stato condotto dalla Bce con la
collaborazione delle banche centrali nazionali sulla base dei criteri forniti dall'Authority bancaria europea
(Eba). Il Comprehensive Assessment è composto da due parti, l'Asset quality review e gli Stress Test.
L'obiettivo dell'esercizio è di aumentare la trasparenza sui bilanci bancari, richiedere un irrobustimento
patrimoniale dove necessario e accrescere la fiducia nella solidità del sistema finanziario.
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Fari Bce su nove banche italiane
Pressing su Mps e Carige - Altre sette «salve» grazie alle misure del 2014 LE «REMEDIAL ACTIONS» Oltre
agli aumenti già chiusi, la Banca d'Italia computerà le azioni di rafforzamento, compresa la rivalutazione delle
quote di Via Nazionale
Luca Davi Marco Ferrando
Due banche non supereranno né il test della Bce né quello di Via Nazionale: Mps e Carige. Altre sette
banche italiane, invece, si troveranno alle prese con un risultato - all'apparenza - a due facce: al di sotto dei
requisiti patrimoniali minimi al termine degli stress test (effettuati sulla base dei dati al 31 dicembre 2013)
ufficializzati a mezzogiorno da Francoforte, ma al di sopra grazie alle remedial actions già attuate nel corso
del 2014, computate nei risultati che saranno diffusi dalla Banca d'Italia pochi minuti dopo; promosse a pieni
voti in entrambe le prove saranno le sei banche che rimangono, a partire dalle più grandi.
Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, nel primo elenco risulterebbe certa la presenza di Mps e Carige: a
Siena il cda si è riunito ieri per iniziare a definire le contromisure, a Genova invece è stato convocato per
stamattina. Più ampio, invece, il gruppo delle banche che si troveranno con l'onere di spiegare al mercato, ai
soci e a clienti un una "carenza tecnica" di capitale (technical failure, secondo la Bce), cui però intanto si è
rimediato nei primi nove mesi dell'anno: si tratterebbe del Credito Valtellinese, poi di Bper e del Banco
Popolare, che avrebbero superato le soglie minime di capitale solo grazie agli aumenti del 2014. Ancora
diverso il caso della Banca Popolare di Milano: oltre all'aumento di capitale da mezzo miliardo, infatti, Piazza
Meda a giugno si è vista togliere gli add-on da Banca d'Italia: la misura, che vale 180 punti base, non verrà
computata da Francoforte ma da Via Nazionale, che dunque dovrebbe promuovere pienamente Bpm.
Sempre grazie alle misure computate non da Bce ma solo dalla Banca d'Italia Veneto Banca e Popolare di
Vicenza dovrebbero riuscire a superare le asticelle fissate per gli stress test; accanto a loro, dovrebbe
comparire anche la Popolare di Sondrio, penalizzata - si apprende - dall'utilizzo in chiave prospettica dei dati
relativi ai crediti del 2013, anno particolarmente pesante anche in virtù di alcuni dossier caldi come quelli di
Sorgenia e Alitalia. Tra le promosse figurerebbero invece Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mediobanca, Credem,
Iccrea e Ubi.
Il lavoro dei consigli
Ieri i risultati della Bce sono stati esaminati dai consigli della Popolare di Vicenza (si veda il servizio qui a
lato) e soprattutto del Monte dei Paschi: la banca guidata da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola starebbe
valutando l'emissione di un bond - oltre all'accelerazione di alcune operazioni di vendita - per colmare un gap
di capitale stimato intorno al mezzo miliardo; l'obiettivo sarebbe quello di evitare, comunque, il ricorso a un
nuovo aumento, Bce permettendo. Per oggi è convocato anche un cda di Carige: pure qui servono
contromisure, e allo studio, insieme allo storico partner Mediobanca, ci sarebbero bond e cessioni. Sempre
per oggi alle 12 è convocato un consiglio (informativo) di Bper, mentre a Montebelluna non si è ritenuto di
dover anticipare il cda di Veneto Banca già convocato per dopodomani.
La pubblicazione degli esiti
Per quanto riguarda invece la diffusione dei risultati, tutto inizierà stamattina, quando si riunirà il Consiglio di
vigilanza del meccanismo di vigilanza unico presieduto da Danièle Nouy. Toccherà a lei controfirmare e
validare le informative tecniche inviate dalle banche italiane nei giorni scorsi. Ieri intanto alle banche italiane
sono giunte le approvazioni di Bankitalia ai comunicati che oggi gli stessi istituti divulgheranno al mercato,
inclusi i correttivi che gli istituti "rimandati" hanno già messo in atto ma che non rientrano in questa fase nel
computo Bce (si pensi alla rimozione degli add-on, alla cessione di asset o di portafogli, alla validazione di
modelli interni di rating o alla rivalutazione delle quote di Bankitalia) o che intendono varare nei prossimi mesi
per tornare in equilibrio con le richieste dell'Eurotower.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
51
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La lunga crisi LE PAGELLE DELL'EUROTOWER
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
52
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
© RIPRODUZIONE RISERVATA 10,4% Unicredit 9,50%(4) 6,90% Veneto Banca 490 Mps 5.000 11,50%
10,83% 12,5% Mediobanca 12,4% Intesa Sanpaolo AUMENTO DI CAPITALE Mln € Il rafforzamento del
common equity tier 1 ratio "full phased" Note: 1) comprensivo di fusione Creberg e Italease; 2) comprensivo
di cessione Anima e rimozione add-on; 3) dato phased in; 4) comprensivo della conversione del prestito
obbligazionario Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati societari Bper 750 10,44% 8,75% Bpm 500
11,30%(2) 7,10% 9,50%(3) 6,50% Carige 800 10,9% Ubi Banca B. Pop. Sondrio 350 9,30% 7,88% B. Pop.
Vicenza 1.000 11,20% 9,04% Banco Popolare 1.500 11,20%(1) 7,30% 15 12 9 6 3 0 15 12 9 6 3 0
REQUISITI MINIMI BCE 8,0% CONDIZIONI DI STRESS 5,5% REQUISITI MINIMI BCE 8,0% CONDIZIONI
DI STRESS 5,5% CET 1 ratio Pre aumento di capitale Dopo aumento di capitale Nessun aumento di capitale
Lo stato di salute delle italiane sotto la Vigilanza Ue
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 3
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Ora un'autorità finanziaria europea»
STABILITÀ DA TUTELARE «Abbiamo regole Ue la cui applicazione rimane nazionale, ma molte società sono
europee»
Beda Romano
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Michel Barnier può dire di avere riformato il settore finanziario europeo, presentando in quasi cinque anni di
lavoro da commissario del mercato unico oltre 40 testi legislativi. Tra qualche giorno la Banca centrale
europea diverrà responsabile della vigilanza bancaria, una scelta tardiva ma pur sempre decisiva
nell'integrazione comunitaria.
Eppure, l'uomo politico francese intravede nuovi rischi all'orizzonte, tanto da proporre la nascita di «un
procuratore finanziario europeo» in un contesto di «liquidità abbondante».
«La situazione finanziaria si è stablizzata ma resta fragile. Per motivi interni ed esterni all'Europa», avverte in
una intervista Barnier, 63 anni, che proprio domani all'Università Bocconi di Milano terrà il suo ultimo discorso
da commissario. «Il primo rischio è certamente legato al fatto che molti dei testi legislativi da me presentati e
poi approvati non sono ancora operativi. Bisogna essere assolutamente molto vigili nel verificare la loro
applicazione nel dettaglio. Mancano centinaia di atti delegati perché i testi entrino in vigore».
Più volte ministro neogollista nei governi Balladur, Juppé, Raffarin e Fillon, Barnier è stato anche
parlamentare europeo, e due volte commissario, per il mercato unico in quest'ultima legislatura, e
precedentemente nella Commissione Prodi, da responsabile della politica regionale. In questi anni, c'è chi gli
ha rimproverato di essere troppo accomodante con i governi nazionali; e chi invece lo ha accusato - spesso
dalla City londinese - di essere troppo duro con le istituzioni bancarie. Per certi versi, i due rimproveri non
sono compatibili, e vanno quindi a suo credito.
In questi ultimi quattro anni, l'Unione non ha soltanto gettato le basi di una unione bancaria, con il
trasferimento della sorveglianza creditizia dalle autorità nazionali alla Bce di Francoforte. Ha anche legiferato
sui derivati, sugli obblighi di bilancio delle società, sugli stipendi dei banchieri, sul ruolo dei fondi
d'investimento. Di recente ha anche proposto di meglio regolamentare il settore bancario ombra (shadow
banking in inglese): «Il testo deve ancora essere votato - nota però Barnier -. Bisogna approvarlo e andare
ancora più lontani per garantire maggiore trasparenza».
A preoccupare in questo frangente «l'uomo più pericoloso d'Europa», come lo definì nel 2010 il giornale
conservatore The Daily Telegraph, è «la massa di liquidità» sui mercati che egli definisce «abbondante». Un
ingrediente, spiega, che induce gli investitori a prendere rischi. Barnier non parla di bolla, ma è chiaro che
mentre la nuova architettura finanziaria non è ancora operativa la situazione resta, ai suoi occhi,
preoccupante. Nei prossimi mesi, la Commissione dovrà rivedere la regolamentazione degli hedge funds,
magari introducendo nuovi controlli nell'uso dell'effetto-leva.
«Non si può abbassare la guardia. Rimane aperta la questione del governo dei mercati finanziari», avverte
ancora Barnier, secondo il quale le condizioni per la crescita economica sono la fiducia e la stabilità. «Un
aspetto, quest'ultimo, a cui bisogna prestare attenzione». Ciò detto, questi due elementi non sono sufficienti
per garantire il rilancio dell'economia europea. Bisogna agli occhi dell'uomo politico francese usare il volano
europeo, cavalcando nuove iniziative nei settori degli investimenti comunitari, il mercato digitale, l'unione
energetica, la ricerca e lo sviluppo.
Per difendere la stabilità finanziaria, Barnier propone la nascita di un «procuratore finanziario europeo»,
ossia di una autorità chiamata a far rispettare le nuove regole finanziarie nell'Unione. «Abbiamo oggi regole
europee la cui applicazione rimane però nazionale - nota ancora il commissario, che lascerà l'incarico a fine
mese insieme a tutta la Commissione Barroso -. Eppure, molte società sono europee. Negli Stati Uniti, le
autorità federali possono perseguire e sanzionare le aziende che violano le regole. Lo stesso dovrebbe poter
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
53
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTAMichel BarnierCommissario europeo al Mercato unico
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 3
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
54
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
essere fatto in Europa».
In questi anni, Barnier non ha mai mancato di mostrare ai suoi interlocutori - giornalisti, politici e anche a
Papa Benedetto XVI - un grafico multicolore in cui venivano elencate le varie proposte legislative. Il Consiglio
deve ancora prendere posizione su una delle sue ultime proposte, relativa alla struttura delle banche. Anche
su pressioni nazionali, Barnier non ha proposto la separazione netta tra banche d'investimento e banche di
dettaglio. Forse anche per questo avverte che l'impegno a adottare tutte le regole già decise è importante:
«Altrimenti è solo window dressing».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il commissario. Michel Barnier
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 3
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Per rilanciare il credito potrebbe non bastare
Alessandro Merli
Il credito all'economia reale dell'Eurozona è in calo costantemente, secondo le cifre mensili della Banca
centrale europea, da oltre due anni. Le condizioni del credito, si sono stabilizzate, ma sono lungi dall'essersi
normalizzate. Le imprese, soprattutto le piccole e medie del sud Europa, sono quelle che ne soffrono di più.
Basterebbero questi dati a giustificare la strategia a più punte della Bce per tentare di farlo ripartire.
Negli ultimi due mesi, la Bce ha lanciato la prima operazione di finanziamento quadriennale alle banche a
tassi bassissimi condizionata alla concessione di prestiti a imprese e famiglie (Tltro), ha iniziato ad acquistare
obbligazioni bancarie garantite (covered bond) e presto farà lo stesso con titoli cartolarizzati (Abs). A questo
oggi si aggiunge la pubblicazione dei risultati dell'esame dei bilanci delle banche che dovrebbe rimuovere un
pesante elemento di incertezza. La Bce spera tra l'altro che, una volta tolto di mezzo questo, la seconda
Tltro, a dicembre, riscuota maggior successo della prima, piuttosto deludente. È la combinazione di queste
misure, nelle aspettative dei tecnici dell'Eurotower, che dovrebbe ridurre la frammentazione finanziaria
nell'area euro e allentare i vincoli che frenano le banche dei Paesi della periferia.
Se tutto questo sarà sufficiente, resta ancora da dimostrare. Intanto, subito dopo la pubblicazione dei
risultati, ci sarà probabilmente un altro periodo nel quale alcune banche devono mettersi in riga con le
indicazioni di Francoforte e altre che hanno passato l'esame di misura dovranno rafforzarsi sotto la pressione
dei mercati.
È certo che l'Europa arriva a questo punto sei anni dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale, cinque
dopo i primi stress test condotti negli Stati Uniti e che vengono riconosciuti come una delle ragioni del
successo della ripresa americana, e dopo due tentativi falliti dall'Eba. Stavolta, la Bce aveva tutto l'interesse a
essere rigorosa, anche se le pressioni politiche non sono mancate e anche se possono esserci dubbi sulle
condizioni degli stress test (il più grave rischio all'orizzonte dell'area euro, la deflazione, per esempio, non è
stato considerato).
Ma anche dopo l'annuncio di oggi, alcuni ostacoli di fondo al rilancio del credito restano. Uno è il "vero" stato
di salute delle banche, dato non solo dal livello di capitale, ma dalla redditività e questa, per molte, resta
troppo scarsa per giustificare una prospettiva di lungo termine. Un altro è la debolezza della domanda da
parte di economie esangui, per rianimare le quali, come ha più volte ripetuto di recente Mario Draghi e come
comincia a farsi strada anche nella mente dei politici europei, la politica monetaria non basta, e nemmeno la
pulizia dei bilanci bancari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
55
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ANALISI
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Un'altra strada verso la crescita
Un piano finanziato con obbligazioni della Banca europea degli investimenti
Guntram B. Wolff
L'Fmi stima un rischio di deflazione per l'Eurozona del 30% e i dati di crescita nell'unione monetaria
continuano a deludere le aspettative. Ma è come se i politici fossero rimasti invischiati nel ginepraio di
ostacoli economici, politici e legali che stanno impedendo un'azione veramente efficace.
Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble si è impegnato politicamente a migliorare il quadro
normativo fiscale del suo Paese per garantire un bilancio «Schwarze null» come l'ha chiamato lui, un bilancio
federale in nero, cioè in pareggio se non in attivo. Il governo francese sta cercando di recuperare credibilità
sulle riforme promesse in cambio di un rinvio degli aggiustamenti fiscali, e l'Italia, con uno dei debiti più elevati
dell'Eurozona, ha poco margine di manovra sul fronte della politica fiscale. La Bce poi è ostacolata dai dubbi
sulla liceità del suo programma di Outright monetary transactions (Omt), ovvero l'acquisto di titoli sovrani che
potrebbe portare a una politica di ridistribuzione fiscale.
Come può l'Europa rilanciare la sua ripresa con tutte queste regolamentazioni?
Un programma di investimento pubblico di 400 miliardi su due anni, finanziato con obbligazioni della Banca
europea degli investimenti, sarebbe il modo migliore per superare l'impasse dell'Europa. Un prestito dalla Bei
non ha ripercussioni in termini di regolamentazione fiscale europea: non viene registrato come nuovo debito
né come deficit per gli Stati membri, il che significa che la nuova spesa pubblica potrebbe essere finanziata
senza andare a pregiudicare la performance fiscale nazionale.
Così, parte dell'investimento programmato attualmente a livello nazionale potrebbe essere finanziato
attraverso il prestito europeo per sgravare i bilanci degli Stati. Questo modo indiretto di affrontare le rigide
normative sarebbe inoltre più facile che intraprendere negoziati lunghi e faticosi per una riforma fiscale.
La Bei è preoccupata che un programma del genere possa essere concesso a spese del suo rating tripla-A.
Difatti, pur potendo ottenere prestiti a lunga scadenza all'1,6%, ha sfruttato il recente aumento del capitale di
esercizio per ridurre la leva finanziaria anziché aumentare sostanzialmente il suo portafoglio di prestiti, dato il
momento di ridimensionamento del prestito privato. In ogni caso, una variazione del rating non inciderebbe
molto sui costi del finanziamento in un contesto a basso rendimento come quello attuale, come hanno
dimostrato i titoli sovrani con un rating più basso.
Inoltre, la Bce potrebbe acquistare obbligazioni della Bei sui mercati secondari che potrebbero aiutare a
mantenere bassi i costi di finanziamento, se non addirittura a ridurli. E, cosa più importante, l'acquisto di titoli
Bei permetterebbe alla Bce di impegnarsi in un quantitative easing senza scatenare frizioni per un intervento
in diciotto mercati sovrani diversi, molto preoccupati che gli acquisti della Bce vadano a incidere sul prezzo
relativo dei titoli sovrani.
Sono già disponibili 200 miliardi di euro in titoli Bei. Aggiungere 400 miliardi di euro aumenterebbe
notevolmente la disponibilità per gli acquisti. Oltre ai titoli garantiti da asset, obbligazioni garantite e
societarie, ci sarebbe 1 trilione di asset - il piano di stimoli proposto dalla Bce per rendere credibile il
quantitative easing.
Una questione centrale riguarda ovviamente il tipo di spesa pubblica che rientrerebbe nelle spese
d'investimento e quali progetti d'investimento europeo andrebbero sostenuti. Sarà impossibile definire dei
progetti nuovi e importanti per un valore di 200 miliardi di euro l'anno. Servirà più tempo per definire bene
progetti comuni come un'unione europea per l'energia. Di conseguenza, il grosso degli investimenti
arriveranno dai politici nazionali.
In parte questo significa che i progetti infrastrutturali esistenti potrebbero essere finanziati dalla Bei anziché
dai bilanci nazionali. Sgravando parzialmente i bilanci nazionali, la diminuzione dell'investimento pubblico
potrebbe subire un'inversione di tendenza.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
56
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Oltre la crisi FRA DATI E PROGRAMMI DI SVILUPPO
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
57
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Alcune delle nuove risorse potrebbero essere sfruttate per permettere un consolidamento del bilancio in
Francia senza bisogno di tagli pro-ciclici. La Francia potrebbe ottenere questo aiuto sul fronte fiscale in
cambio di riforme strutturali serie e necessarie, e così l'Italia dove i titoli Bei fornirebbero uno stimolo alla
crescita più che necessario senza ulteriori impegni governativi. In Germania, le risorse congelate potrebbero
essere utilizzate per accelerare i progetti di investimento esistenti e al tempo stesso per ottenere un bilancio "
in nero".
Accordi analoghi si possono stabilire con altri Paesi dell'Eurozona. Per impedire una gestione sbagliata dei
finanziamenti, la Commissione europea dovrebbe passare al vaglio i progetti di investimento nazionali. Su più
largo spettro, il programma rappresenterebbe un passo verso la creazione di un'unione fiscale dell'Eurozona,
obiettivo tanto più vicino una volta che i vantaggi saranno evidenti a tutti.
(Traduzione di Francesca Novajra)
Guntram B. Wolff è direttore del centro studi Bruegel
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il Nobel 2014. Il francese Jean Tirole (foto) è stato insignito del Nobel per l'economia per gli studi sugli
oligopoli e sul potere dei mercati
Foto: Oltre l'impasse dell'Eurozona. Investimenti pubblici da 400 miliardi di euro su due anni, finanziati con
obbligazioni della Bei (foto, sede di Lussemburgo)
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il Monte si affida a Ubs e Citi
Luca Davi Marco Ferrando
Montepaschi apre subito il dossier alleanze: dopo lo stress test sfavorevole, il cda ha dato incarico a Citigroup
e Ubs di assistere Rocca Salimbeni nell'eventuale preparazione di «operazioni straordinarie» per superare
l'impasse.
Ferrando u pagina 3
Due banche bocciate, Mps e Carige. Altre sette "salve" grazie alle misure di rafforzamento patrimoniale
adottate nel corso del 2014 e le ultime sei promosse. La maggior parte del sistema bancario italiano - che si
presenta con un'eccedenza di capitale pari a 23 miliardi sulle richieste della Bce - supera il Comprehensive
assessment, l'esame della qualità dei bilanci bancari delle principali 130 banche europee. E alla luce dei
risultati ora si apre una nuova fase di fusioni e acquisizioni, destinate a cambiare profondamente la fisionomia
del settore.
Il conto più salato degli esami è per il Monte dei Paschi e Carige, rispettivamente deficitarie di 2,1 miliardi e
di 814 milioni di euro. Per loro sarà inevitabile una terapia d'urto a base di cessioni, nuove emissioni
obbligazionarie ed eventuali aumenti di capitale: tutte strade già battute in tempi recenti, pertanto sulle due
banche aleggia sullo sfondo lo spettro di fusioni-salvataggio. Difficilmente con un'altra italiana (Intesa e
UniCredit da tempo si sono chiamate fuori), forse con un big player estero: gli indizi portano ai francesi del
Crédit Agricole, di Bnp Paribas o del Credit Mutuel, ad esempio, ma anche al Santander, tra i gruppi usciti
meglio dall'esame europeo. Nel fine settimana i due istituti italiani hanno già riunito i cda per valutare
preliminarmente le contromisure, ma i veri e propri piani di recovery saranno quelli consegnati in Bce entro il
10 novembre: in particolare, Mps ha dato incarico a Ubs e Citigroup per valutare opzioni straordinarie, mentre
il vice direttore generale della Banca d'Italia, Fabio Panetta, ha già dichiarato che da Via Nazionale non ci
sarebbe «nessuna preclusione a soluzione con banche che la rendano più forte più robusta e in grado di
sostenere l'economia».
I rafforzamenti già in porto
Allargando la prospettiva, come anticipato ieri da Il Sole 24 Ore, le banche italiane a uscire più provate dal
doppio esame di Bce ed Eba sono state complessivamente nove su 25 europee. Di queste, oltre a Mps e
Carige, sette in verità si sono rimesse in carreggiata con le operazioni di rafforzamento messe in atto durante
il 2014, per complessivi 10 miliardi. Un ritardo che però è costato l'ammonizione da parte della Bce, visto che
l'analisi si basava sui livelli di solidità raggiunti a fine 2013. Il gruppo delle "rimandate" (una procedura
puramente tecnica, visto che nessuna azione correttiva ulteriore è richiesta dall'Eurotower) include il Banco
Popolare, Banca Popolare Emilia Romagna, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese, Veneto Banca,
Bpm e PopVicenza. Queste ultime due, in verità, hanno avuto da Banca d'Italia il riconoscimento di correzioni
supplementari rispetto agli aumenti di capitale, come la rimozione dei requisiti prudenziali, nel caso della
banca lombarda, o la conversione di un prestito obbligazionario da 253 milioni di Pop Vicenza: operazioni che
dovranno essere validate da Bce nelle prossime due settimane.
Le promosse
Da Francoforte è arrivato il semaforo verde diretto per i due big Intesa Sanpaolo e UniCredit, per Ubi (che si
aggiudica il primato quanto a Cet 1 ratio post Aqr), Mediobanca, Credem e Iccrea, la banca di sistema delle
Bcc. Per tutte, non soltanto l'analisi della qualità degli attivi al 31 dicembre scorso ha collocato il Common
equity tier 1 oltre la soglia minima dell'8%, a conferma di fondamentali solidi, ma anche le prove di stress
hanno rivelato che gli istituti possono offrire una buona tenuta anche in condizioni avverse.
Gli scenari futuri
Chi è uscito meglio dagli esami ora sarà candidato naturale a giocare da protagonista nel riassetto del
settore, non solo a livello nazionale. Per questo si guarda alle possibili acquisizioni - rigorosamente mirate - di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
58
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CASO SIENA
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
59
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intesa Sanpaolo e UniCredit, che insieme dispongono di un tesoretto da oltre 18 miliardi ma anche al ruolo di
Ubi nel contesto delle banche popolari: con un eccesso di capitale di 1,7 miliardi, il gruppo bergmascobresciano è candidato naturale a svolgere il ruolo di polo aggregante, e pure Bpm - che grazie alla rimozione
degli add-on si ritrova una dote superiore ai 700 milioni - potrà dire la sua. Anche perché tra Creval, Popolare
di Sondrio, Veneto Banca e Popolare di Vicenza una razionalizzazione del sistema pare imprescindibile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Valori % CET 1 ratio (rapporto tra patrimonio di qualità primaria e le attività
ponderate per il rischio) e situazione di capitale in milioni di euro Post Aqr Soglia minima 8% Post Stress test,
scenario di base Soglia minima 8% Post stress test, scenario avverso Soglia minima 5,5% 0 12 8% 0 12 8% 4 0 10 5,5% Sopra le soglie Sopra le soglie grazie alle misure adottate nel 2014 Sotto le soglie *Dopo tutte le
misure di rafforzamento già varate e approvate da Banca d'Italia; **Al netto dei Monti bond il fabbisogno
scende a 1.350 Mps** -2.111 6,99 6,01 -0,09 Carige -814 3,88 2,34 -2,36 Veneto Banca 24 5,7 5,78 2,73
Banca Popolare Sondrio 26 7,37 7,24 4,2 Banca Popolare Vicenza 30 7,59 7,46 3,17 Creval 50 7,52 6,95
3,51 Iccrea 256 10,64 10,83 7,36 Credem 463 10,86 10,91 8,89 Bper 631 8,37 8,33 5,22 Bpm 713 6,89 6,54
3,97 Mediobanca 765 8,4 9,0 6,24 Banco Popolare 1.183 7,94 6,7 4,73 Ubi 1.761 11,82 10,88 8,2 Unicredit
8.747 9,58 9,5 6,79 Intesa Sanpaolo 10.897 11,7 11,23 8,31 SURPLUS O CARENZA DI CAPITAL
Foto: I risultati degli esami Bce-Eba
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'Ad Viola: penalizzati in Ue valutiamo fusione
Alessandro Graziani
«Siamo stati penalizzati dallo stress test Bce, ora valutiamo una possibile fusione». È questo il commento a
caldo dell'amministratore delegato del Montepaschi, Fabrizio Viola, all'esito sfavorevole del test.
Grazianiu pagina 3 Mps ha superato l'asset quality review ma, come previsto, non lo stress test. Quello che
non era atteso, era la dimensione dello "shortfall": 2,111 miliardi che, senza i Monti-bond ancora in essere,
scende a 1,35 miliardi. Tanto, soprattutto se paragonato ad altre banche europee che da anni sono in cura
Ue.
Dottor Viola, al mercato che oggi riapre le contrattazioni di Borsa come spiegate i possibili rimedi allo
shortfall? Escludete un nuovo aumento di capitale dopo quello di giugno da 5 miliardi?
Sabato il cda di Mps ha avviato l'esame delle potenziali azioni da includere nel capital plan che sarà
sottoposto all'approvazione delle Autorità di Vigilanza entro i termini previsti dalla normativa. Il nostro obiettivo
è di formulare un piano solido e sostenibile. Ma la soluzione non dipende solo da noi.
Ieri il vicedirettore generale di Bankitalia Fabio Panetta ha detto di non vedere male un futuro takeover su
Mps, se serve a migliorare la capacità di dare credito all'economia. Siete aperti a un'aggregazione?
Il consiglio di sabato ha nominato Ubs e Citigroup come advisor per valutare tutte le opzioni strategiche, e
sottolineo tutte, a disposizione.
Quindi siete anche pronti a una fusione o aggregazione? Si è parlato di un'ipotesi di alleanza con Ubi
Banca...
Valutiamo tutte le opzioni, tutte vuol dire tutte. Ma ad oggi non abbiamo in corso trattative con nessuno. Nè
mi sembra corretto parlare di soggetti terzi.
Il ministero dell'Economia ieri ha fatto sapere che le banche suppliranno ai deficit attraverso il mercato. Si
sente di escludere il ricorso a nuovi aiuti di Stato?
Lo escludo in modo categorico.
Tra gli strumenti utili a rafforzare il capitale, esiste anche l'ipotesi diversa dal puro aumento di capitale?
Pensiamo all'emissione di bond additional Tier 1 o simili. Oppure a nuove cessioni di asset. Per il mercato c'è
grande differenza...
L'avvio dell'esame delle diverse opzioni potrebbe includere diversi strumenti per colmare il deficit rilevato
dalla Bce. Ricordo solo che eventuali cessioni di asset, visto il nuovo deficit di capitale accertato, dovrebbero
naturalmente essere diverse ed aggiuntive rispetto a quelle già previste nel piano concordato circa un anno fa
con la commissione europea e con le Autorità di Vigilanza.
Da oltre un anno il Monte è in "cura" presso l'Unione europea con il famoso piano imposto da Almunia. Le
regole di base dello stress test prevedevano possibili deroghe proprio per le banche già sotto il controllo della
Ue. Ve ne siete avvalsi?
È vero, la deroga esiste ed è stata applicata. Ma non come ci saremmo aspettati. L'articolo 26 del manuale
Eba stress test del 29 aprile diceva che le banche con piani di ristrutturazione sarebbero state sottoposte a
uno scenario avverso peggiorativo di quello sottostante al loro piano, ma senza che ciò smentisse il piano di
ristrutturazione stesso.
E invece come è andata?
È andata che la Bce ha interpretato l'«essere in linea» con quanto fatto dalle banche senza piano di
ristrutturazione. Come dire che il nostro scenario avverso dovesse comunque essere sostanzialmente
analogo a quello applicato a quello applicato alle altre banche, di fatto smentendo il principio che non
sarebbero stati messi in dubbio i risultati del piano.
Vi sentite penalizzati in Europa anche per colpa della crisi del sistema Italia?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
60
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
61
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La banca tedesca Commerzbank è in ristrutturazione, anch'essa d'intesa con la Ue, da sei anni. Noi da solo
dodici mesi. Eppure a noi e a loro sono state applicate le stesse regole. Applicare gli stessi criteri a banche
che sono in momenti temporali diversi della loro ristrutturazione non garantisce l'equità di trattamento.
Quindi vi ritenete penalizzati dall'esame europeo condotto da Eba e Bce?
Vorrei essere chiaro: il nostro piano concordato con la Ue prevedeva una serie di iniziative che richiedono
tempo per produrre i risultati desiderati. Applicare lo scenario di stress nella parte iniziale del piano, è
evidente che ci penalizza molto di più di quanto non sarebbe accaduto se lo stress test fosse capitato alla fine
del nostro piano, come è successo per tante altre banche in Europa che per esempio hanno iniziato la loro
ristrutturazione nel 2008 o 2009.
A clienti e azionisti cosa si sente di dire? Malgrado la bocciatura di Eba e Bce nello stress test, la banca è
solida?
La banca ha superato l'asset quality review, che ha misurato la qualità dell'attivo della banca e confermato la
sua adeguatezza patrimoniale. Chiaramente, in uno scenario ipotetico di stress severo soffriamo come tutti.
L'Italia esce da tre anni di recessione e pensare che ce ne siano altri tre mi sembra francamente poco
sostenibile. In ogni caso, se lo scenario di stress dovesse davvero avverarsi, il problema non sarebbe
solamente il Monte Paschi ma la tenuta sociale del Paese e dello stesso progetto europeo.
Quanto vale per il futuro il lavoro di avviato negli ultimi due anni e mezzo dal nuovo vertice di Mps?
Penso che senza il lavoro fatto negli ultimi trenta mesi, la banca avrebbe un deficit di capitale che sarebbe
un multiplo di quello calcolato oggi. Abbiamo superato l'asset quality review con un capitale Cet1 del 9,5%,
superiore oltrechè alla soglia Bce anche a quella previsto dal piano di ristrutturazione. La situazione di
partenza era veramente compromessa e tale da imporre un totale cambiamento del management e della
governance.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Mps. Fabrizio Viola, amministratore delegato del gruppo
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La sfida nostra e quella degli altri
Marco Onado
La Bce e l'Eba possono essere soddisfatte per la conclusione di questa importante verifica sulla salute delle
banche europee, ma dal punto di vista dei singoli Paesi, e dell'Italia in particolare, emergono non pochi punti
interrogativi.
Per le autorità europee, il risultato è indubbiamente ottimale: l'esercizio è stato severo e soprattutto è stato
preso sul serio dalle banche, che fra il 2013 e la prima metà del 2014 hanno rafforzato il capitale per oltre 200
miliardi di euro. Il deficit complessivo (25 miliardi) si riduce a meno di 10 se si tiene conto delle ultime misure.
E pazienza, dall'alto della supervisione unica, se un quinto di questo importo riguarda una sola banca italiana,
il Monte dei Paschi. Cinicamente, sempre in quest'ottica, un nome illustre ci voleva per rispettare il principio
del "colpiscine uno per educarne cento".
Dunque, il meccanismo di supervisione unica, pilastro fondamentale dell'Unione bancaria europea, può
cominciare nel migliore dei modi, vigilando su un complesso di banche che hanno superato il test di sana e
robusta costituzione.
In questa ottica, anche il regolatore italiano può dirsi soddisfatto: è vero che oltre a Monte dei Paschi vi è
anche Carige con un deficit non indifferente. Ma se si guarda alla progressione dei dati, si nota che al 31
dicembre 2013, su 15 banche italiane, ben 12 avevano carenze per quasi 10 miliardi (ed erano ancora 4 per
3,3 miliardi alla fine di giugno). Dunque il pressing degli ultimi mesi della Banca d'Italia è stato fondamentale
per evitare una bocciatura clamorosa.
Ma da qui ad affermare che il film dello stress test, preannunciato come thriller, si è concluso con un happy
end degno della commedia brillante, ce ne corre. Almeno tre domande sorgono spontanee.
La prima è: come mai il sistema bancario italiano, che al momento in cui è scoppiata la crisi appariva come il
più robusto d'Europa presenta vari elementi di criticità?
La risposta è semplice: perché in nessun Paese come l'Italia la crisi ha colpito così duramente: undici punti di
Pil già persi hanno determinato un aumento dei rischi di credito (la voce principale dell'attivo delle nostre
banche) che non ha precedenti nella storia. L'apparente debolezza delle banche italiane è solo lo specchio
della debolezza dell'economia o, se si preferisce, delle misure di rilancio che sono state via via promesse dal
2007 ad oggi. Se si considera che lo stress test prevedeva un'ulteriore caduta del prodotto lordo, il risultato
va considerato positivamente: davvero da questo punto di vista il bicchiere è mezzo pieno. Ma è evidente che
la gravità della crisi italiana ha disperso gran parte del vantaggio relativo di sette anni fa e che da oggi le
banche italiane (soprattutto le medie che sono comunque a livelli di guardia) saranno considerate con
attenzione dal mercato, il che si tradurrà in maggiori costi di raccolta, soprattutto per le fonti diverse dai
depositi.
La seconda domanda riguarda le sorprese di questa verifica, che come in ogni test, non vengono dai
presenti, ma dagli assenti. Come si spiega il risultato positivo per tutte le grandi banche, comprese quelle
francesi, tedesche e britanniche che hanno un bilancio fortemente esposto verso attività speculative, assai
opache e non meno rischiose? Persino Deutsche Bank, la banca più chiacchierata, supera a gonfie vele la
prova, anche senza tener conto dell'ultimo aumento di capitale di oltre 8 miliardi. Inoltre non ci sono banche
spagnole, che pure stanno attraversando una crisi immobiliare particolarmente grave.
La risposta va cercata nei mille misteri dei criteri di Basilea, che determinano il requisito di capitale sulla base
di sofisticatissimi modelli interni (convalidati dai supervisori) che alla fine privilegiano oggettivamente le
attività in titoli, per quanto speculative, rispetto alla tradizionale attività di prestito. Perché alla fine consentono
ad una grande banca come Deutsche, il cui patrimonio è solo 2,4 per cento rispetto al totale attivo di non
accantonare un centesimo di capitale su oltre un trilione di attività di bilancio che pure fruttano interessi.
Intesa SanPaolo, che ha un rapporto patrimonio/attivo di 6,24 deve accantonare patrimonio su oltre la metà
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
62
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ITALIA-EUROPA
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
63
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
del totale attivo perché sul portafoglio prestiti la magia dei modelli interni non ha effetto, soprattutto in un
Paese con tante piccole imprese che non possono fregiarsi delle triple A fornite dalle infallibili agenzie di
rating. Forse le voci sempre più critiche sulla logica intrinseca di Basilea, che vengono anche da una parte
qualificata della scienza economica devono essere considerate come qualcosa di più di una brillante
provocazione intellettuale.
La terza domanda riguarda il futuro del sistema bancario europeo: è un sistema davvero robusto che sarà
capace di riaprire il rubinetto del credito necessario per alimentare la ripresa? A parte i dubbi esistenziali sulla
validità dei criteri di Basilea, non c'è dubbio che quello di ieri è stato un test su un solo aspetto del problema.
Non bisogna dimenticare che poche settimane fa l'autorità europea di supervisione sul rischio sistemico (cioè
quello più generale di tutti) ha giudicato il sistema bancario europeo "obeso" cioè troppo grande rispetto
all'economia reale (ma l'Italia è proprio uno dei Paesi in cui questo difetto è meno accentuato) e ha legato
questo difetto proprio alle eccessive dimensioni di molte banche e alla loro propensione per attività di
carattere speculativo. E, guarda caso, il rapporto è firmato da un comitato scientifico presieduto da Martin
Hellwig, un eminente professore tedesco oggi all'avanguardia nel denunciare i limiti di Basilea.
Se la sfida per l'Italia è attivare i meccanismi della crescita, anche per salvaguardare la robustezza nel medio
termine del proprio sistema bancario (ed evitare che diventi facile preda di banche straniere con surplus di
capitale più o meno reali), la vera sfida per l'Europa è riportare le banche al servizio dell'economia produttiva.
La vera Unione bancaria europea comincia da oggi e per essere veramente efficace deve cambiare non poco
il modus operandi delle banche, a cominciare da quelle che sembrano uscire a pieni voti dalle verifiche sul
patrimonio.
27/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Bilanci rafforzati per 200 miliardi di euro»
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
«La sola aspettativa della nostra valutazione delle banche ha promosso nell'ultimo anno un rafforzamento
dei bilanci ben al di là delle attese, pari a circa 200 miliardi di euro. Al tempo stesso, le banche più fragili sono
state individuate: se non ce ne fossero state, il processo non sarebbe stato credibile. Le banche italiane sono
state penalizzate dalla posizione di partenza influenzata dalla crisi dell'economia. Ma si sono rafforzate molto.
Le prime risposte dopo la pubblicazione dei nostri risultati mostrano che quelle che non hanno già colmato le
carenze patrimoniali si preparano ad agire».
Ignazio Angeloni, milanese, 60 anni, è stato uno degli artefici dell'esame delle banche europee e lo sarà
della nuova vigilanza unica nell'eurozona. Prima come direttore generale per la stabilità finanziaria alla Banca
centrale europea, oggi come membro del consiglio di vigilanza, è considerato la voce più ascoltata dal
presidente Mario Draghi su questi temi.
Il suo giudizio complessivo sui risultati dell'esame delle banche, in un'intervista al Sole 24 Ore, è che «non
bisogna concentrarsi troppo sui dati delle carenze patrimoniali. L'impatto complessivo, derivante dall'esame
della qualità dell'attivo (Aqr) e dallo scenario avverso dello stress test, è stato di 263 miliardi di euro. È una
cifra molto significativa, che dimostra l'incisività dell'esercizio, ma è anche molto bilanciata: al primo posto c'è
la Francia, al secondo l'Italia, al terzo la Germania, per importi molto simili. Ma lo shortfall non è una
bocciatura senza appello: molte banche lo hanno già colmato, altre si stanno preparando ad agire. E anche le
banche che hanno passato l'esame devono valutare, spontaneamente, se sono necessarie ulteriori azioni».
Per Angeloni, parte del processo di ridimensionamento del sistema bancario è positivo. «Negli anni prima
della crisi si è visto che le dimensioni del sistema bancario erano eccessive rispetto a quelle dell'economia,
soprattutto in Europa. C'è quindi un deleveraging buono, ma anche uno cattivo, se il processo avviene in
modo disordinato a porta a negare il credito a prenditori credibili. Con questo esercizio, incoraggiamo il primo
e mettiamo le basi per evitare il secondo».
La Bce puntava a ridurre l'incertezza sullo stato di salute delle banche, un freno a credito e crescita. «Oggi il
mercato - dice Angeloni - ha molte più informazioni ed è ciò che ci prefiggevamo e che contribuirà a
rimuovere l'incertezza, se al tempo stesso si propongono soluzioni. Abbiamo dimostrato che la sola
aspettativa della nostra valutazione delle banche ha promosso un rafforzamento dei bilanci ben al di là delle
attese, pari a circa 200 miliardi di euro. I primi annunci delle banche subito dopo la pubblicazione dei nostri
risultati mostrano che le banche sono pronte e decise ad agire. Nei prossimi nove mesi, lavorando con noi,
possono rafforzarsi in maniera ordinata».
Nei risultati spiccano quelli delle banche italiane, 4 sulle 13 che non hanno superato il test. «Rimando alle
osservazioni fatte da Banca d'Italia. Nessuno deve avere la percezione che l'esercizio sia stato squilibrato
nella metodologia o nei risultati. Gli impatti sul capitale sono equilibrati. Credo che sulle banche italiane abbia
giocato in negativo la condizione di partenza, influenzata dalla situazione dell'economia e dalla lunga
recessione. Questo non poteva non avere un impatto sui bilanci a fine 2013. Nonostante questo, le banche
italiane, assistite da Banca d'Italia, hanno operato un rafforzamento cospicuo. Sulla possibilità che il credito
riparta, ricordiamo che l'anno scorso, quando abbiamo iniziato questo esercizio, ci si aspettava una ripresa
economica, mentre da allora le condizioni sono peggiorate. L'aumento del credito dipende da domanda e
offerta. Se la riparazione dei bilanci rimuove gli ostacoli all'offerta, il lato della domanda si presenta oggi molto
più problematico in vari Paesi, Italia compresa».
A.Me.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
64
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA Ignazio Angeloni Consiglio vigilanza bancaria Bce
25/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La vera partita è con Berlino
FEDERICO FUBINI
NELL' AREA euro l'Italia pesa per appena il 17% del Pil, ma vorrà pur dire qualcosa se due italiani occupano
il centro della scena. Questa settimana hanno continuato a farlo e le loro vicende, diverse, sono collegate da
vasi comunicanti. Matteo Renzi ha reso pubblica la polemica con la Commissione Ue sulla Legge di stabilità.
< PAGINA FINO a raggiungere una fragile tregua. Mario Draghi invece non ha cercato pubblicità ma, suo
malgrado, una fuga di notizie ha finito per metterlo ancora una volta sotto i riflettori. Le indiscrezioni sul
presidente della Bce, riportate da Reuters, riferiscono che il rapporto con certi interlocutori chiave in
Germania è ormai a pezzi. Fra Draghi e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, l'ultimo consiglio dei
governatori si è trasformato in uno scambio di accuse di una durezza senza precedenti. L'italiano e il tedesco
si sarebbero rinfacciati a vicenda di sabotare l'attività della Bce attraverso fughe di notizie sui giornali e
iniziative prese senza consultare i rivali interni. Il rapporto fra l'uomo chiamatoa gestire la banca centrale
dell'euro, Draghi, e il suo azionista di maggioranza, Weidmann, è ai minimi termini e difficile da ricostruire.
Non poteva succedere in un momento peggiore: in otto Paesi su diciotto nell'area euro gli ultimi dati
segnalano una caduta dei prezzi. In quasi tutti i Paesi dell'area salvo la Germania - ma con l'Italia inclusa nel
club - il debito pubblico e privato continua a salire benché il deficit medio di Eurolandia sia in calo. Non è
sorprendente: l'ultimo anno ha dimostrato che con l'inflazione a zero o sottozero, l'effetto dei tassi d'interesse
è molto più pesante e rende quasi impossibile arrestare l'ascesa del debito. Dal 2007, quello medio dei
governi è salito dal 66% al 93% del Pil malgrado dosi da cavallo di tagli e tasse.
È qui che s'innesta il vaso comunicante che porta a Renzi. Succede perché la deflazione, un campo di
responsabilità della Bce, non può che vanificare ogni sforzo dei governi per stabilizzare il debito. È possibile
che l'Italia nei prossimi giorni trovi un compromesso sulla manovra, evitando che la Commissione Ue gliela
respinga. Ed è possibile anche che nelle prossime settimane o mesi la Commissione e l'Eurogruppo, il club
dei ministri finanziari, finiscano per inserire l'Italia in qualche procedura di sorveglianza basata sul Fiscal
Compact: il debito resta comunque troppo alto.
La Germania e i suoi molti alleati, dai Paesi Baltici alla Finlandia, dall'Austria all'Olanda, fino alla stessa
Spagna, non disdegnano l'idea di un'Italia in qualche modo vincolata. È un Paese troppo grande, con un
debito troppo alto e un processo politico troppo caotico e vischioso, perché chi può non sia tentato di metterlo
sotto controllo. In uno dei loro ultimi incontri, il commissario Ue Jyrki Katainen avrebbe detto a Pier Carlo
Padoan, ministro dell'Economia, qualcosa di strano solo in apparenza: se l'Italia vuole flessibilità di bilancio,
accetti una procedura di Bruxelles. Si lasci mettere su un binario in cui deve rispondere a una lettera al mese,
e solo allora potrà ottenere il via liberaa un passo più morbido nel gestire i conti pubblici.
Questo ormai è un conflitto politico, avvolto in un guscio giuridico, chiuso in un dramma economico. Renzi e
Draghi non fanno squadra, non sono tenutia farlo, ma l'interazione è chiara: in Germania Draghi è accusato
(a torto) di voler sussidiare il crescente debito italiano con fondi tedeschi, ciò complica l'azione della Bce e la
paralisi che ne risulta aggrava la deflazione e la deriva del debito. Se non viene spezzata, questa spirale può
finire per uccidere l'euro.
Ormai non si tratta più di distribuire i torti e le ragioni, ma di capire cosa è possibile fare per fermare
l'avvitamento. Renzi per esempio può giocare una carta che garantisce la sua aspirazione all'autonomia
politica nell'area euro, ma dà respiro al Paese e rassicura gli altri europei. Può pensare alla manovra di
bilancio in modo innovativo: i tagli di tasse devono arrivare subito, magari anche più forti di quanto previsto fin
qui, ma i tagli di spesa - anch'essi più forti - possono seguire scalati nel tempo. Vanno decisi fin d'ora, fissati
per legge entro Natale in modo da dare certezze a Bruxelles e ai mercati, per poi farli entrare in vigore via via
dal 2015 al 2018. A quel punto opporsi sarà difficile per chiunque. E Renzi e Draghi saranno ancora al centro
della scena, ma senza il sospettoe le accuse che oggi li circondano.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
65
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'ANALISI
25/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Bloomberg pubblica bozza preliminare Bce. Domani i risultati ufficiali Rischio bocciatura per Monte dei
Paschi, Carige e un paio di popolari LA GIORNATA
MILANO. L'ultima seduta borsistica prima dei test della Bce sulle banche europee si chiude con altri rialzi dei
titoli, mentre le indiscrezioni sui risultati - inviati giovedì a mezzogiorno ai 130 maggiori banchieri europei - si
fanno più circostanziate. Quella riportata ieri da Bloomberg rasenta l'ufficialità. L'agenzia statunitense ha
infatti visionato un documento preliminare, riassuntivo del doppio esame sugli attivi a fine 2013 e sulla tenuta
dei bilanci in uno scenario critico, da cui emerge la bocciatura di 25 istituti sui 130 scrutinati. E che, dei 25,
una decina rimangono carenti di capitale anche dopo le misure di rafforzamento prese nel corso di
quest'anno. «I risultati non saranno definitivi finché non verranno valutati dal consiglio direttivo della Bce
domenica 26 ottobre, dopodiché verranno pubblicati - ha ribadito la banca centrale di Francoforte - . Fino a
quel momento qualsiasi notizia stampa sui risultati del test è per sua natura altamente speculativa». Le
aspettative del mercato sembrano dunque assestarsi su questi numeri, e su un deficit patrimoniale
complessivo stimabile in circa 25 miliardi di euro sul 2013, e di circa 10 miliardi effettivi, e che restano da
trovare nel giro di nove mesi.
Più difficile dare numeri sugli istituti italiani; anche se l'ormai corale orientamento degli operatori e degli uffici
studi sembra puntare a qualche miliardo di euro di deficit patrimoniali, da individuare tra gli attivi di Monte dei
Paschi, Banca Carige, e di una o due popolari più piccole come Vicentina, Veneto Banca, Credito
Valtellinese. A Piazza Affari, in un movimento di ricopertura generalizzato dopo i forti cali della settimana
scorsa, è proseguito il recupero proprio degli istituti di credito, a partire da Mps (+10,7%), Banco popolare
(+2%), Mediobanca (+1,6%), Bper (+1,6%) e Bpm (+1,6%), e fuori dal listino principale Credito valtellinese
(+5,5%) e Banca Carige (+3,9%).
Meridiana GOVERNO CONTRO L'AZIENDA Meridiana riapre la procedura di mobilità per 1634 lavoratori.
Per il ministero del Lavoro è un "errore grave" visto che lunedì è prevista una riunione sulla riduzione degli
esuberi L 'azienda ha deciso dopo il no della maggioranza dei sindacati all'ipotesi di piano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
66
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Stress test, l'ora dei verdetti 25 banche non passeranno a circa dieci serve
capitale
25/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Del Vecchio traccia la rotta per Luxottica "Mia famiglia fuori e io lascerò la
guida ai nuovi manager"
Dopo la tempesta d'ottobre il fondatore scrive ai dipendenti per rassicurarli Ma il suo ritorno ha creato
scompiglio
GIOVANNI PONS
MILANO. Leonardo Del Vecchio cerca di mettere la parola fine alla tempesta che ha investito Luxottica
nell'ultimo mese. E per farlo sceglie la formula della "Lettera ai dipendenti" per spiegare le ultime vicissitudini.
«In questi giorni - scrive il fondatore - abbiamo tutti letto articoli su Luxottica che riportavano tanti, troppi,
pettegolezzi e falsità sulla mia famiglia e sui miei più stretti collaboratori. Sono stati dati giudizi superficiali
sull'azienda travisando la verità dei fatti». Il riferimento è evidentemente al consulente Francesco Milleri,
promosso assistente del presidente, e alla presunta amicizia di questi con la moglie di Del Vecchio Nicoletta
Zampilli. «Vi vorrei rassicurare sul fatto che in questo processo di cambiamento non ci sono state e non ci
saranno mai influenze da parte della mia famiglia, numerosa e articolata, ma che proprio per questo amo
tutta intensamente e allo stesso modo, e ringrazio per l'affetto e il sostegno che ogni giorno mi sta
dimostrando».
Le turbolenze erano iniziate con l'uscita dall'azienda di Andrea Guerra provocata dalla volontà di Del Vecchio
di tornare a un ruolo più operativo. Sui motivi che l'hanno spinto a questo passo resta un alone di mistero.
La versione più accreditata vede Del Vecchio assai preoccupato per i flirt di Guerra con la politica.
Il patron si sarebbe spaventato per i contraccolpi negativi sull'azienda che un'uscita improvvisa di Guerra
avrebbe provocato. E così ha deciso di sostituirlo con una triade, tra cui Cavatorta il quale però è durato solo
un mese. Ora che sono stati individuati i due futuri timonieri, Alid Mehboob-Khan e Massimo Vian, Del
vecchio si sente più tranquillo. «Sono temporaneamente tornato in azienda, esclusivamente per
accompagnare e agevolare i cambiamenti in atto. Appena terminato e consolidato il nuovo assetto
organizzativo, lascerò di nuovo ai manager il compito di guidare il futuro di Luxottica».
L'avesse detto prima forse il mercato avrebbe reagito diversamente.
Foto: Leonardo Del Vecchio
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
67
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL PUNTO
26/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Mezzogiorno di fuoco per le banche in crisi oggi i verdetti della Bce
Eurolandia col fiato sospeso
Stress test, in Italia Mps e Carige verso la bocciatura Popolare Vicenza corre ai ripari. Governo preoccupato
LA GIORNATA
CARLOTTA SCOZZARI
MILANO. L'attesa è finita: oggi a mezzogiorno si conoscerà l'esito dell'esame della Banca centrale europea
(Bce) condotto su 131 istituti di credito europei, di cui 15 italiani. Per emettere il verdetto sui promossi e i
bocciati, l'Eurotower ha seguito un doppio binario: una valutazione della qualità degli attivi come da fotografia
di fine 2013 (asset quality review o Aqr) e una misurazione della tenuta dei bilanci in condizioni di base e in
uno scenario avverso (i cosiddetti stress test). Al termine dell'esame, la Bce ha assegnato delle pagelle con
gli ammanchi di capitale (shortfall) calcolati per ciascuna banca, che costituiscono poi il fulcro della
comunicazione odierna di mezzogiorno e che saranno anche al centro della conferenza stampa della Bce
delle 12.30. Ma per avere un quadro definitivo dei deficit di capitale delle italiane bisognerà attendere
Bankitalia, che "correggerà" il dato della Bce tenendo conto di qualsiasi tipo di misura di rafforzamento
patrimoniale intervenuta nel 2014.
L'authority di via Nazionale pubblicherà questi dati subito dopo la Bce e riunirà una conferenza stampa verso
le 13.00.
Negli ultimi giorni si sono sprecate le congetture sulle italiane che usciranno perdenti dall'esame della Bce.
Tra queste, sembra pacifico che ci saranno Mps e Carige, i due istituti che nel 2014 hanno già ricapitalizzato
rispettivamente per 5 miliardi e 800 milioni e che, tra emissioni obbligazionarie e cessioni, faranno salti
mortali per scongiurare un nuovo aumento (l'istituto genovese è meno scontato che ci riesca). Chi potrebbe
essere stata bocciata dalla Bce ma salvata da Bankitalia è la Popolare di Vicenza che, con un tempismo
perfetto, ieri ha fissato in maggio la data per la conversione in capitale di un prestito da 253 milioni. La
conversione, ha spiegato il presidente Gianni Zonin, «rientra nelle iniziative di patrimonializzazione per 1,2
miliardi» realizzate tra il 2013 e il 2014. Sembra che anche il governo di Matteo Renzi stia seguendo con
attenzione e un po' di preoccupazione le sorti delle banche italiane meno solide. In ogni caso, non manca
l'ottimismo. «Dagli stress test mi aspetto che venga fuori, complessivamente, una promozione del settore
bancario europeo e italiano», ha detto il vicepresidente dell'Abi e direttore generale di Unicredit Roberto
Nicastro.
L'agenzia di rating Fitch, invece, in un recente studio, spiegava che, «sebbene ci sia il rischio che qualche
banca italiana possa avere bisogno di ulteriori rafforzamenti, qualsiasi deficit di capitale dovrebbe essere
gestibile».
Foto: LE PAGELLE Gli stress test della Bce (in foto la sede) saranno resi noti oggi alle 12. In basso, Mario
Draghi, presidente della Banca centrale europea
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
68
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I mercati
26/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"E' un passo radicale verso l'unione bancaria stop anche al credit crunch"
(a.gr.)
MILANO. Per Giacomo Vaciago, docente di Economia monetaria all'Università Cattolica, l'unione bancaria
europea è una lacuna colmata dopo un decennio, che crea un reale mercato monetario continentale,
assegna alla Bce funzioni e saperi effettivi nel trasmettere la politica monetaria, e può risolvere la restrizione
del credito partita tre anni.
È un passo verso la messa in comune dei debiti dei Paesi europei? «Come direbbero i tedeschi, una cosa
alla volta. Quello di oggi è un passo anche più radicale, e importante, perché la crisi del 2011 non fu solo
dovuta ai debiti sovrani. Fu in parte rilevante una crisi bancaria, come tutte le più gravi crisi nella storia del
mondo. Le banche italiane tre anni fa hanno perso 100 miliardi di raccolta, fatta sul mercato all'ingrosso con
fondi sovrani e istituzionali. Di conseguenza partì la contrazione del credito in Italia, che nel biennio 20122013 ha ridotto del 20% la produzione industriale».
Non si diceva che l'Italia era ricca nel privato e povera nel pubblico? «Forse c'è rimasto qualche privato con
pochi debiti, ma moltissime imprese erano e sono sottocapitalizzate, e quando le banche senza raccolta
hanno chiuso i rubinetti, sono fallitea migliaia. Un primo rimedio a questo sarà l'Unione bancaria, che sposta
sotto il controllo della Bce anche quel 93% di massa monetaria costituito dal credito bancario. Finora
l'Eurotower si occupa solo del 7% rappresentato dal circolante, e si orienta con le statistiche, utili solo a
capire il passato. Presto la Bce avrà ispettori nelle banche, e occhi preziosi per capire la congiuntura e
raccordare la politica monetaria continentale». Cosa succederà da domani per banche e cittadini? «L'Unione
bancaria, nata anche per il ruolo fattivo di Mario Monti nel giugno 2012,è una risposta strutturale per far
comunicare mondi finora separati. E può risolvere i problemi di credit crunch e di gestione politica del credito.
Da domani le banche che avranno filo da tessere potranno prosperare, chi non ha prospettive chiuderà o
sarà inglobato. Ma nessuno sarà più protetto dai politici locali o nazionali, come in Germania Sparkasseno
Landesbanken, o in Italia qualche Popolare o Bcc. Quanto ai clienti, beneficeranno della fine di questo
biennio di preparazione, in cui la priorità dei banchieri non era certo espandere il credito. Ma il processo
durerà anni, anche perché le altre due gambe dell'Unione bancaria - fondo di risoluzione e assicurazione sui
depositi - andranno a regime solo tra qualche anno».
Presto la Bce avrà gente nelle banche, e occhi preziosi per raccordare la politica monetaria continentale
Foto: L DOCENTE Giacomo Vaciago insegna Economia monetaria all'Università cattolica di Milano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
69
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA L'ECONOMISTA/ GIACOMO VACIAGO (UNIVERSITÀ CATTOLICA)
26/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Così l' 'anarconomy' salverà l'Europa"
ELENA POLIDORI ROMA.
«La crisi deve spingerei governi, anche quello italiano, a prendere decisioni di lungo termine, senza paura di
non essere rieletti: tocca a loro indicare la strada. Ma devono essere sinceri e onesti. E devono fidarsi dell'
anarconomy : in rete ci sono le idee e anche gratis. Basta prenderle con accuratezza e metterle al servizio di
una crescita del sapere attraverso metodologie e processi nuovi». La vede così l'economista e futurologo
danese Carsten Beck, in questi giorni in Italia per il Forum universale delle culturee per la Rassegna del
futuro, studioso di megatrends, specialista di tendenze al consumo e mercato del lavoro, consulente di
numerose multinazionali (Ibm, Ikea, Siemens), teorico di un nuovo modo di apprendere che trova nel web e
nelle sue fonti di informazione gratuite il punto di forza.
L' anarconomy , così la definisce, «è un'alternativa non commerciale alla realtà edè il futuro. Su Internet ci
sono libri, musica, film, Sarebbe un aiuto anche per l'Italia? «Il vostro premier, Matteo Renzi,è giovane,
guarda anche alla rete. Ed è lì, appunto, che ci sono le idee, gli spunti,i suggerimenti. Bisogna solo essere
onesti, sinceri e creativi». Ovvero? «Sapere che i problemi del Paese non si risolvono dalla sera alla mattina.
Bisogna ragionare nel lungo periodo, avere pazienza e parlare alla gente con grande sincerità». C'è un dato
tutto italiano: un giovane su due è disoccupato, anche se ha studiato ed è laureato.
«E' un problema gravissimo. Di certo non possiamo permetterci di perdere una generazione, né in Italia né in
Europa. I giovani devono essere assolutamente "inclusi", in tutti i sensi e naturalmente ancor più nel mercato
del lavoro perché per creare il futuro c'è bisogno di loro e dei loro saperi».
Più facile a dirsi che a farsi.
«Servono istruzione e formazione, sapendo che questo prodesign, progetti, business plans, insegnamenti,
esperienze. Tutto liberamente disponibile. Prendiamolo questo sapere e usiamolo». Chi dovrebbe usarlo?
«Ma tutti, ovvio, e specialmente chi comanda. La digitalizzazione rende ogni cosa più facile. Può cambiare i
modelli di lavoro, aiutare a recuperare competitività, indirizzare le riforme».
cesso non deve necessariamente essere costoso. Non ci vogliono nuovi insegnanti o nuove università, bensì
nuovi modi di trasmettere il sapere. L' anarconomyè alla portata di tutti, è una grande risorsa. E' da qui che
passa il cambiamento, l'unica leva per avere più fiducia nel domani».
In Italia non c'è una grande fiducia nel futuro. La gente non consuma...
«Conosco il problema. So che anche gli 80 euro in busta paga non sono serviti a granchè. Ma è logico:
senza certezze nel domani si pensa a tenersi i soldi in tasca.
Ed è chiaro che l'antidoto è nella stabilità politica e nella chiarezza e onestà di chi ci governa. Serve una
strategia, però. Altrove è successo. Pensiamo alla Cina, che è stata immobile per 80 anni e poi è partita a
razzo. O anche alla Corea del sud: da Paese arretrato che era, oraè al top. Dietro ci sono scelte strategiche
precise, coraggiose: si è investito in istruzione e tecnologie, si sono finanziati certi specifici settori dandogli
slancio».
alla rete le idee e le conoscenze per una crescita senza costi
Possono cambiare i modelli di lavoro ed essere indirizzate le riforme "COPENHAGEN INSTITUTE FOR
FUTURES STUDIES CARSTEN BECK
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
70
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'INTERVISTA/ L'ECONOMISTA DANESE CARSTEN BECK, ESPERTO DI FUTUROLOGIA E
MEGATRENDS
26/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Domani la lettera del governo che chiude l'accordo ma a gennaio potrebbe arrivare un'altra tegola
ALBERTO D'ARGENIO
BRUXELLES. Mentre il Tesoro lima la lettera alla Commissione europea, partirà domani, per chiudere la
controversia sul deficit, da Bruxelles emerge che l'economia italiana resta sotto osservazione. Da un lato
Renzi e Padoan hanno raggiunto l'accordo sulla riduzione del deficit strutturale del 2015 pari allo 0,3% - 1,6
miliardi già stanziati nella manovra più 3,2 attinti dalla riserva - evitando la bocciatura della Legge di Stabilità
con conseguenti ripercussioni sui mercati. Dall'altro peròi rischi incombono. Tra Romae Bruxellesè solo una
tregua.
I pericoli sono legati al debito e alle generali condizioni della nostra economia. L'accordo sul deficit
strutturale, la cui riduzione serve a tagliare appunto il debito, assume che questo non salga ulteriormente
rispetto al livello record del 133,8%. Se questo avvenisse, Bruxelles potrebbe aprire una procedura
imponendoci tagli fino a 15 miliardi, difficili da coprire per il governo. Ma c'è anche il rischio che a gennaio la
Commissione commissari l'Italia con una procedura per squilibri macroeconomici, meno destabilizzante per la
tenuta dei conti e degli equilibri sociali, ma molto intrusiva. Si tratta di un vero commissariamento con
l'obbligo di firmare a Bruxelles un piano vincolante che obbligherebbe il governoa rispettare tempi, modi e
contenuti sulle riforme. Pena sanzioni pari allo 0,1% del Pil.
Proprio in questi giorni gli sherpa dei governi, della Commissione e della Bce hanno trattato il caso Italia,
decidendo di continuare a monitorare la nostra politica economica, che sarà esaminata da una missione (la
seconda dopo quella di settembre) di funzionari Ue a Roma. Il responso decisivo arriverà a gennaio. Questo
in sintesi il giudizio contenuto nel rapporto per ora riservato approvato l'altro ieri dall'Unione: «Salutiamo il
rinnovato slancio sulle riforme e l'avvio di alcuni ambiziosi pacchetti di riforma, ma allo stesso tempo
riconosciamo l'importanza di superare la debolezza istituzionale che ne ostacola la rapida adozione e
l'effettiva implementazione. La loro attuazione effettiva sarà cruciale, per questo è necessario continuare a
monitorare la situazione. La Commissione preparerà un secondo rapporto sull'Italia all'inizio del 2015».
Questo non implica l'automatico avvio di una procedura, serviranno altre valutazionee peserà il clima politico
all'interno della nuova Commissione europea guidata da Juncker. Ma intanto il rapporto esamina nel dettaglio
il lavoro del governo Renzi dando uno spaccato di come viene percepito in Europa. Bruxelles nota che
l'ambiente macroeconomico italiano «continua a deteriorarsi», con una nuova recessione nel 2014 seguita da
una ripresa «debolee incerta» nel 2015. L'Unione riconosce però «progressi tangibili» nella riduzione delle
tasse per i redditi bassi (gli 80 euro) e un buon numero di riforme «promettenti per aumentare la produttività»
in rampa di lancio. Ma, notano gli sherpa Ue, «mentre alcune misure sono già state implementate, le più
ambiziose sono in via di approvazione in Parlamento, il che lascia un margine di incertezza riguardo alla loro
approvazione finale e al loro effettivo impatto». Tra queste il Jobs Act, che per l'Europa «potrebbe
significativamente migliorare il funzionamento del mercato del lavoro italiano». Si citano anche le riforme della
scuola, della pubblica amministrazione e della giustizia, come le altre da approvare rapidamente e
integralmente. Gli europei ricordano che il debito continua a salire (e già questo potrebbe giustificare
l'apertura della procedura) e chiedono progressi «in settori chiave» come fisco, spending review, apertura dei
mercati e servizi pubblici locali. Inoltre restano grandi gap sull'effettiva attuazione delle riforme messe in
campo negli ultimi anni. Per queste ragioni Bruxelles chiede che tutte le riforme vengano «adottate e
implementate rapidamente». Le somme saranno tirate già a gennaio. I PUNTI ANTI DEFICIT L'Italia si è
impegnata con la Commissione europea a rafforzare la manovra anti deficit dallo 0,1% allo 0,3% del Pil
aggiungendo 3,2 miliardi al miliardo e 600 milioni già previsto IL TESORETTO Il "tesoretto" di 3,4 miliardi
messo a riserva dal governo nella legge di Stabilità sarà quasi interamente utilizzato per ridurre il deficit come
richiesto dalla Ue LE CONDIZIONI La Commissione Ue non ha posto condizioni. Ma potrebbe intervenire se
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
71
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Ue, l'Italia rischia ancora possibile procedura sugli squilibri economici
26/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
72
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
il governo non riuscisse a portare avanti le riforme o se il Pil si allontanerà dallo 0,6% di crescita previstoLE
CIFRE 0,3% LA CORREZIONE Il ministro Padoan (in alto) si è accordato con la Ue per una correzione dello
0,3% 4,8 mld LE RISORSE Il governo aveva già stanziato 1,6 miliardi, altri 3,2 li attingerà dalla riserva
27/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il tempo degli sconti è ormai finito
FEDERICO FUBINI
ERA chiaro dall'inizio che gli esami europei sulle banche italiane non potevano essere una passeggiata. Non
potevano esserlo in un Paese che negli ultimi sei anni ne ha vissuti cinque in recessione, al punto che le
sofferenze bancarie - frutto delle difficoltà dei creditori - arrivano a quota 170 miliardi di euro e rischiano di
superare il capitale degli istituti stessi. A PAGINA 2 Era chiaro dall'inizio che gli esami europei sulle banche
italiane non potevano essere una passeggiata. Non potevano esserlo in un Paese che negli ultimi sei anni ne
ha vissuti cinque in recessione, al punto che le sofferenze bancarie - frutto delle difficoltà dei debitori arrivano a quota 170 miliardi di euro e rischiano di superare il capitale degli istituti stessi.
L'Italia fotografata dalla Banca centrale europea è un sistema in cui il capitale del mondo del credito basta a
stento solo per una funzione: sostenere le perdite che possono arrivare alle banche dalle imprese o dalle
famiglie che non riescono più a rimborsare i propri prestiti.
Certo non tutto è così semplice, non negli ingranaggi finanziari più delicati del Paese. Non tutte le sofferenze
bancarie si trasformeranno in perdite per gli istituti, e parte di esse è già coperta dalle case o dai capannoni
messi in garanzia. Ma se c'è un messaggio che arriva da Francoforte all'inizio di quest'inverno, è che per
l'Italia il tempo delle scuse è finito. In questi anni si è spesso sentito ripetere che il sistema bancario è
robusto, e almeno in parte il responso di Francoforte di ieri lo conferma. Nell'ultimo anno, in vista degli esami
europei, spinte della Banca d'Italia, molte delle principali banche italiane si sono rafforzate. Gli aumenti di
capitale sono arrivati, in tutto, a 14 miliardi di euro: le banche italiane hanno trovato investitori prontia
scommettere su di loro anche sui mercati internazionali. Questa tornata di rafforzamento dei patrimoni ha
aiutato ad attenuare il colpo arrivato con i responsi di ieri: senza di esso le banche troppo deboli sarebbero
risultate nove fra le 15 più grandi del Paese, mentre ora il problema è concentrato solo su Monte dei Paschi e
Carige. Anche l'ammontare del capitale mancante ai due istituti rimasti indietro è tutto sommato ridotto, non
più di 3 miliardi. Se però il passaggio della vigilanza alla Bce ha un senso, è perché esso obbliga tutti i Paesi
dell'euro a guardare anche sotto la superficie. Qui il paesaggio illuminato ieri dall'Eurotower è un po' diverso
per l'Italia, e apre una nuova stagione. La cosidetta "asset quality review" europea svela che nel nostro Paese
a fine 2013 la qualità del capitale delle banche era notevolmente peggiore di quanto si credesse. Il loro
patrimonio, ha detto ieri la Bce, era sopravvalutato di ben 12 miliardi: un quarto del totale europeo, ben al di
sopra del peso dell'Italia nell'economia dell'area. Grecia e Cipro esclusi, non c'è un esempio di una
correzione al ribasso così radicale della ricchezza che si credeva esistesse nel sistema finanziario. Carige,
Montepaschie Veneto Banca devono sforbiciare il loro capitale di base, quello disponibile in ogni momento,
addirittura di un terzo o di un quarto. Il Credito Valtellinese, la Popolare di Vicenza, la Popolare di Sondrio, la
Bper di circa il 10% e anche più. Sono revisioni che trovano pochi paragoni nel resto d'Europa e impongono
di interrogarsi su cosa sia successo in Italia e sulle conseguenze da ora in poi.
Semplicemente, la Bce ha iniziato a stimare la qualità del credito bancario sulla capacità attuale delle
imprese debitrici di generare reddito. Non contano più le stime medie sull'andamento dell'economia fra
frenata e ripresa, come si usava. E non è solo una disputa fra tecnici di settore: ciò che i nuovi padroni della
vigilanza bancaria stanno dicendo, è che il sistema finanziario in Italia terrà in futuro solo se l'economia torna
a crescere e a generare reddito. Se non succede, non saranno certo i due miliardi di aumenti di capitale
richiesti a due antiche case di Genova e Siena a rimettere l'Italia delle banche in condizioni di funzionare.
Di fatto solo Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi hanno revisioni del proprio capitale di base simili a quelle dei
grandi Paesi europei. Resta ora da capire in che stato siano realmente i bilanci delle circa 700 banche più
piccole, quelle fuori dal controllo diretto della Bce e sotto la vigilanza della Banca d'Italia. E anche le
fondazioni azioniste dovranno rifare i conti: quelle che in questi anni hanno venduto le quote nelle banche,
hanno preservato il patrimonio e ora aiutano le proprie cittàa resistere alla crisi. Le altre hanno sostenuto sì
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
73
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL RETROSCENA
27/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
74
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
gli istituti - e molti posti di potere - ma bruciato centinaia di miliardi di antico risparmio pubblico.
I responsi arrivati da Francoforte ieri dicono che questo mondo è finito, e cambierà. Lo farà senza sconti per
nessuno: se la crescita non torna, al prossimo giro sarà dura trovare nuovi investitori pronti a riversare altro
denaro per tenere in piedi le banche italiane. (f. fub.)Le banche bocciate dalla Bce
CIFRE IN MILIARDI DI EURO Capitalizzazione necessaria Eurobank National Bank of Greece Cooperative
Central Bank Banco Comercial Português Bank of Cyprus Österreichscher Volksbanken-Verbund Permanent
Tsb Monte dei Paschi di Siena Banca Carige Veneto Banca Banco Popolare Banca Popolare di Milano
Banca Popolare di Vicenza Piraeus Bank Dexia Hellenic Bank Münchener Hypothekenbank Axa Bank
Europe C.R.H. Caisse de ReÞnancement de l'Habitat 0,00 Credito Valtellinese Banca Popolare di Sondrio
Banca Popolare dell'Emilia Romagna 0,00 Nova Ljubljanska banka 0,03 Liberbank 0,00 Nova Kreditna Banka
Maribor 0,03 TOTALE 9,47
Foto: AL TIMONE Mario Draghi ieri era a Padova e non ha voluto commentare gli stress test
27/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Siena, doccia gelata sulla città sconfitta
ROBERTO MANIA
SIENA si sta abituando alle sconfitte. Ora questa città opulenta si prepara a perdere anche il Monte, la sua
banca, il Babbo Monte per tante generazioni di senesi. Lo fa con un sentimento di rabbia misto a disincanto.
In piazza Salimbeni non è prevista alcuna riunione d'urgenza del cda dopo la doccia gelata arrivata con gli
stress test.
A PAGINA 4 SIENA. Siena si sta abituando alle sconfitte. Ora questa città opulenta si prepara a perdere
anche il Monte, la sua banca, il Babbo Monte per tante generazioni di senesi. Lo fa con un sentimento di
rabbia misto a disincanto. In piazza Salimbeni, nel centro della città, c'è la sede storica della banca. Fuori ci
sono i cronisti, le telecamere anche se non è previsto alcuna riunione d'urgenza del consiglio di
amministrazione dopo la doccia gelata arrivata con gli stress test di Francoforte.
La più antica banca del mondo è diventata la peggiore banca d'Europa. I senesi quasi non volgono lo
sguardo verso Palazzo Salimbeni, padre patrigno. In molti si stanno dirigendo allo stadio Artemio Franchi per
assistere allo scontro al vertice della serie D: Robur Siena-Ponsacco. Finirà 1 a 1. Ma solo due anni fa, prima
del crac societario, i bianconeri del Siena giocavano in serie A. Anche questa è una sconfitta cittadina. Nel
basket la Mens Sana sta andando alla grande, guida la classifica del girone A della serie B, praticamente
quasi dilettanti. Negli ultimi dieci anni, però, Siena aveva vinto otto scudetti. La retrocessione, per colpa del
fallimento finanziario, è stata clamorosa.
Un'altra sconfitta. Solo dieci giorni fa Matera è stata designata capitale europea della cultura per il 2019.
Siena è arrivata seconda e l'ha presa molto male.
Siena ha capito che non è più la città del Monte e di quella Fondazione che inondava di milioni a dismisura
tutte le attività economiche e sociali e che controllava la banca con quel fatidico 51 per cento, ma fatica a
ritrovare una nuova identità a parte quella del Palio che nessuno potrà mai toglierle. Però non è abbastanza.
Qui a Siena, allora, sembra di assistere a una lunga collettiva elaborazione del lutto, con faticosi passi avanti
e ritorni al punto di partenza nell'intricato groviglio cittadino.
Il sindaco Bruno Valentini, anomalo renziano, montepaschino formatosi alla scuola dei bancari della Cgil che
qui è da sempre, e non si sa perché, la fucina dei primi cittadini,è appena tornato dalla Leopolda fiorentina.
Dice: «Più che l'effetto morale sulla città dei stress test della Banca centrale, temo l'effetto pratico di questa
decisione. Perché il rischio, contro il quale combatteremo con tutte le nostre forze, è che la direzione
generale della banca possa andare via da Siena». Questo è il nuovo tradimento che vive la città. Dopo le
scandalose scorribande finanziarie, in sella ai derivati Alexandriae Santorini,e in alleanza con la "banda del5
per cento", di Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, ora i senesi cominciano a perdere la fiducia verso i nuovi
arrivati Fabrizio Viola e Alessandro Profumo. «Mi domando - dice il sindaco - perché l'aumento di capitale da
cinque miliardi e la restituzione dei Monti bond per circa tre miliardi, non siano bastati. Voglio capire». Anche
Luigi Dellai, quarantenne deputato pd, renziano pure lui, la pensa così di ritorno dalla Leopolda. E c'è il
sospetto che possa essere un ordine di scuderia. Che insomma il premier Matteo Renzi abbia messo nel
mirino la coppia Viola-Profumo. Vedremo. «I cittadini senesi- argomenta Dallai - cominciano ad avere sfiducia
nei confronti della governance della banca. I sacrifici imposti non hanno dato i frutti sperati.
Mps non è stata rimessa in pista.
È stato appena fatto l'aumento di capitale. Migliaia di senesi hanno lasciato il lavoro. Certo non sono stati
licenziati, hanno usato gli "scivoli" verso la pensione ma comunque non lavorano più. La sensazione della
città - insiste - è che debba espiare colpe non sue».
La città però è divisa: tra chi continuaa recriminaree chi- come dice Alessandro Orlandini, professore di
italiano in pensione, ex assessore nella giunta comunale guidata da Pierluigi Piccini e anche ex priore della
Contrada dell'Aquila - «cerca di svoltare avendo ormai capito che siamo nel "dopo Mps"». «Si tratta SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
75
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL REPORTAGE
27/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
76
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
aggiunge - di aprire un'altra èra. È necessario che Siena reagisca in un altro modo. Che ritrovi la sua
tradizione, il suo orgoglio civico, la sua capacità imprenditoriale».È che il Montee la Fondazione hanno
drogato tutto, creato un modello di sviluppo irripetibile (per fortuna) che Siena non è stata ancora in grado di
sostituire. È la cultura della rendita che va abbattuta. «La stessa - ci dice un imprenditore che però vuole
restare anonimo - che di fronte alla sconfitta nella gara per la capitale d'Europa della cultura ora scommette
tutto sui 40 milioni garantiti comunque dalla Regione Toscana per la realizzazione dei progetti.
Il pubblico che finanzia. L'antico vizio». Eppure la Fondazione è ormai a stecchetto (parteciperà all'aumento
di capitale se sarà questa la strada scelta dalla banca?)e il Monte sta cambiando residenza. Siena l'ha
compreso ma non sa da che parte andare.
Foto: PRIMO CITTADINO Bruno Valentini, sindaco di Siena PRESIDENTE Alessandro Profumo, presidente
Mps
27/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Esame sul rischio crac Bce boccia 25 banche e le italiane sono nove "Ma il
sistema è solido"
Dopo le correzioni 2014 in crisi solo Mps e Carige Bankitalia: lo Stato non è intervenuto e non lo farà
ELENA POLIDORI E ANDREA TARQUINI
ROMA. 25 banche europee su 130 non superano gli esami della Bce alla data del 31 dicembre 2013. Il
numero scende a 13 se si considerano gli aumenti di capitale effettuati nel corso del 2014. Proprio su
quest'ultimo aspetto della delicatissima partita bancaria entra in azione la Banca d'Italia che integra e di fatto
«corregge» i risultati di Francoforte. E dunque: sono 9 le banche italiane inizialmente bocciate dalla Bce,
insieme a 3 greche, 3 cipriote, 2 slovene, 2 belghe e 1 ciascuna per Germania, Francia, Spagna, Portogallo,
Irlanda e Austria. A un primo sguardo le italiane risultano tra le peggiori. Ma attenzione: gli istituti nazionali
con "carenze" diventano 4 se si escludono quelli che hanno già rafforzato il patrimonio tra gennaio e
settembre (le Popolari di Milano e Vicenza).
Si riducono a 2 con le operazione patrimoniali definite nelle ultime settimane. Si tratta di Mps e Carige che
dovranno rafforzarsi rispettivamente per 2,11 miliardi e 814 milioni: i loro vertici si sono subito riuniti. "Il
sistema è solido", conclude la Banca d'Italia. I risultati dell'esame sono "rassicuranti e non inattesi».
La bocciatura delle banche italiane si riferisce solo al cosiddetto «scenario avverso»che per la Banca d'Italia
è «altamente improbabile». In sostanza questi istituti non resisterebbero agli choc se il Pil scendesse nel
prossimo triennio di altri 6,1 punti e qualora si riacutizzasse la crisi del debito sovrano. Nessun problema
invece sull'altro parametro preso in esame, cioè l'Asset quality review condotta sui bilanci reali a fine 2013.
Proprio sulla definizione dello "scenario avverso" c'è stata una difficile battaglia negoziale durata mesi. Il
vicedirettore generale Fabio Panetta, che l'ha condotta in seno al suvervisory board della Bce, riconosce che
a penalizzare il paese sono state «le sfavorevoli condizioni di partenza». Il direttore generale Salvatore Rossi
spiega questo gap con una metafora ippica: «Se fosse una corsa di cavalli, sarebbe stato come partire con
un handicap». E alla domanda se esisteva uno scenario peggiore in termini di Pil rispetto a quello già «molto
doloroso» definito per l'Italia Panetta risponde: «Al peggio non c'è mai fine». In vista della riapertura dei
mercati, a Bankitalia preme chiarire che per soddisfare il fabbisogno degli istituti "non servono soldi pubblici";
che le carenze riscontrate sono l'1,6% del capitale di migliore qualità del sistema e lo 0,2% del Pil; che «i
risparmiatori possono stare tranquilli». Anche il Tesoro, con una nota, conferma che le esigenze italiane
saranno coperte dal mercato. E lo stesso fa Danièle Nouy, Bce: «Non serve un intervento pubblico, il sistema
è solido». Panetta «per un corretto confronto internazionale» ricorda i «cospicui interventi dei governi» Ue per
le banche. E li elenca: 250 miliardi Germania, 60 Spagna, 50 Irlanda e Olanda, 40 Grecia, 19 Belgio e
Austria, 18 Portogallo. In Italia 4 scarsi .
Soddisfatta la Banca di Francia; la Bundesbank nota che solo la Muenchener Hyp ha fallito. Il vicepresidente
della Bce Vitor Constancio assicura che, con i test, miglioreranno le condizioni di credito.
I NUMERI 25 LE BOCCIATE Le banche europee bocciate dalla Banca centrale europea sono 25, di cui nove
sono istituti italiani 9,5 mld AL SICURO Hanno già sanato la loro posizione 12 dei 25 istituti. Gli altri dovranno
trovare 9,5 miliardi di capitali 236 mld LA CRISI PEGGIORE La Bce calcola che le banche nello scenario
economico peggiore brucerebbero 263 miliardi di capitale 136 mld I CREDITI DETEREORATI L'esame
effettuato dalla Bce ha svelato 136 miliardi di nuovi crediti deteriorati
Foto: MERCATI CON IL FIATO SOSPESO Oggi alla riapertura delle Borse europee si potranno verificare gli
effetti degli stress test della Bce
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
77
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'Europa
27/10/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Aiuti miliardari a Spagna e Germania noi paghiamo la debolezza del
Paese"
Sarebbe stato meglio usare i dati di giugno 2014, una foto più attuale e meno da storici dell'economia
(a.gr.)
MILANO. Da uomo delle istituzioni Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria, vorrebbe
contenersi. E far parlare l'Abi con le stesse parole di Banca d'Italia e Tesoro, per cui il risultato dei test «è
soddifacente, al termine di una prova severa che misura l'indipendenza degli organismi che l'hanno fatta».
Però.
Cifre alla mano però fate ancora la figura dei mezzi somari. Possibile? «Premetto che l'esito è soddisfacente
per noi: c'è grande prevalenza di risultati positivi, e i rilievi emersi sono stati in gran parte già risolti. La prova
di revisione degli attivi è andata bene per tutti, ed è quella che si basa su dati reali, esistenti. Purtroppo è
andato meno bene lo stress test, esercizio teorico fatto con assunzioni catastrofiche, ma che richiede
rafforzamenti concreti».
Nonè colpa delle banche ma del paese in cui operano insomma? «Chiaramente il debito pubblico italiano
non ha favorito le banche. Aggiungo che l'Italia è storicamente Paese con imprese gracilie
sottocapitalizzate.E che gli aiuti pubblici alle banche durante la crisi, sono stati erogati generosamente
altrove, come i 40 miliardi della Germania o i 45 della Spagna, ma non da noi. Altra forma di non aiuto, la
tassazione di settore, da anni superiore a tutti i paesi europei. Non parliamo della bad bank, concetto che in
italiano non ha neanche traduzione: gli alleggerimenti di sofferenze qui avvengono tutti con operazioni di
mercato, non con fondi pubblici come in Spagna, dove hanno risanato le banche anche grazie ai contribuenti
italiani».
Bankitalia e il governo dovevano proteggervi di più? «Ma non hanno alcuna prevalenza nella dinamica dei
test Bce: i sistemi di vigilanza europei hanno un fortissimo pluralismo al loro interno. Certo, usare dati di
bilancio distanti due soli anni rispetto ai picchi dello spread del 2011 non è stato certo un favore all'Italia.
Sarebbe stato meglio usarei dati di giugno 2014, una foto più attuale e meno da storici dell'economia». Ora ci
sarà più credito in Italia? «Ne sono convinto. Intanto perché ogni volta che si rafforza il patrimonio si può fare
più credito: e nel 2014 le banche italiane hanno fatto 11 miliardi di aumenti, che hanno permesso loro di
passare l'Aqr. Inoltre è già in atto un miglioramento dell'offerta di credito».
Come potrà ancora rafforzarsi un settore che da anni chiede soldi ai soci e non li remunera? «Solo
proseguendo la rivoluzione avviata nel 2014, con una massiccia apertura del capitale a investitori di ogni
genere e origine. Dalle prossime assemblee societarie ne vedremo le conseguenze».
Cosa prevede? «Che chi ha tirato fuori i soldi lo evidenzi, con consistenti cambiamenti. Gli amministratori
stanno pilotando il sistema verso uno schema molto aperto e pluralista: un fatto storico, quanto lo furono negli
anni '90 le privatizzazioni». PER SAPERNE DI PIÙ www.ecb.europa.eu www.abi.it
Foto: BANCHIERE Antonio Patuelli è il presidente dell'Associazione Bancaria italiana
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
78
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'INTERVISTA/ ANTONIO PATUELLI, PRESIDENTE DELL'ABI
25/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Vendita Sea, Gamberale assolto E Robledo in aula attacca Bruti
Il pm: il ritardo nell'assegnare il fascicolo ha condizionato le indagini Il manager se la prende col sindaco parte
civile: «Sei un pover'uomo» Lui: «Era mio dovere»
FABIO POLETTI MILANO
Il processo per la vendita delle quote Sea del Comune di Milano finisce con un'assoluzione ma poi iniziano le
polemiche. Perchè l'assoluzione dell'ex ad di F2i Vito Gamberale, di un manager del fondo Mauro Maia e del
finanziere indiano Vinod Behari Sahai se chiude la vicenda giudiziaria apre più di un problema politico e non
solo. Il giudice per l'udienza preliminare di Milano, Anna Maria Zamagni ,chiude il caso contro i tre imputati di
turbativa d'asta, accusati di aver manovrato a loro favore la vendita avvenuta nel 2011 da parte di Palazzo
Marino del 29,75% delle quote della società che gestisce gli aeroporti milanesi. Gara vinta da F2i con un
rilancio di appena un euro sulla base d'asta fissata in 385 milioni. Il manager indianovenne escluso dalla gara
perchè presentò la sua offerta con dieci minuti di ritardo. La Procura di Milano sospettò la combine. Il giudice
chiude il caso sostenendo che non ci sono prove che la gara sia stata truccata e che ci fosse un accordo
irregolare. L'accusa sostenuta in aula dal pubblico ministero Alfredo Robledo incassa il verdetto, promette
che si rivarrà in Cassazione ma intanto sgancia l'ennesima bomba atomica sui più che delicati equilibri al
quarto piano del palazzo di Giustizia di Milano: «Le indagini sono state condizionate dal ritardo
nell'assegnazione del fascicolo». Un'accusa mica da poco. Mirata a centrare l'obiettivo del «nemico storico»
di Alfredo Robledo. Perchè proprio sull'assegnazione di questa pratica è aperta una querelle tra lui e il
procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, finita prima davanti al Csm e poi in un bailamme di denunce e
controdenunce. Proprio per l'assegnazione di questo fascicolo Bruti Liberati è sotto inchiesta a Brescia con
l'ipotesi di omissione di atti d'ufficio per il ritardo in cui venne affidato l'incarico. Ritardo che Bruti ha definito
una «deplorevole dimenticanza». Ritardo che ora il suo vice Alfredo Robledo porta a prova dell'incompletezza
delle indagini che, se diversamente approfondite, avrebbero avuto un altro esito. Ma quella gara d'appalto
milionaria per le quote della società che gestisce Linate e Malpensa aprono un nuovo caso politico. Vito
Gamberale canta vittoria dopo l'assoluzione: «Finalmente la giustizia si è avveratama abbiamo sofferto due
anni e mezzo. In Italia cose di questo genere non possono più accadere. Contro di me non c'era nulla, un
vuoto torricelliano». Ma l'obiettivo numero uno dell'ex top manager non è la Procura di Milano. Ma
direttamente il sindaco della città Giuliano Pisapia che al processo si era costituito parte civile. Vito
Gamberale lo attacca a muso duro: «E' un pover'uomo il sindaco di Milano. La città si merita altro. Non si
voltano le spalle a chi ha aiutato il Comune». Da Palazzo Marino la replica di Giuliano Pisapia arriva al volo:
«Comprendo la gioia dell'ingegner Gamberale per il suo proscioglimento ma questo non deve permettergli di
insultare prima l'avvocatura comunale poi il sindaco che non ha fatto altro che il suo dovere». Vito Gamberale
si arroga il diritto all'ultima parola e attacca nuovamente la procura dilaniata da scontri interni: «Siamo stati
strumento artificioso di una lite a cui siamo estranei». E così si torna al punto di partenza. Finalmente la
giustizia si è avverata ma abbiamo sofferto due anni e mezzo. Contro di me non c'era nulla, un vuoto
torricelliano Vito Gamberale Ex amministratore delegato F2i
Foto: SERGIO OLIVERIO/IMAGOECONOMICA
Foto: Vito Gamberale e, a destra, i pm Robledo e Bruti Liberati
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
79
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
MILANO, ERA ACCUSATO DI TURBATIVA D'ASTA
25/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Intesa vara il riassetto: al via tre nuovi poli per area di business
Gros•Pietro: usciremo dalle partecipazioni nelle infrastrutture
L. FOR.
TORINO A sei mesi dal lancio del piano d'impresa, Intesa Sanpaolo completa il riassetto dell'organizzazione
con la creazione di nuovi poli per tre rami di business. Si tratta delle divisioni private banking, asset
management e insurance che vanno ad aggiungersi alle altre già esistenti, ovvero Banca dei territori,
Corporate and investment banking e banche estere. «Con la nuova struttura ha detto il Ceo Carlo Messina si
conferma il modello di banca semplice e innovativa». Alla divisione private banking, la cui responsabilità
viene affidata a Matteo Colafrancesco, spetterà il compito di seguire il segmento di clientela di fascia alta. A
questo polo rispondono quindi le controllate Banca Fideuram, Fideuram Investimenti, Intesa Sanpaolo Private
Banking, Sirefid, Fideuram Fiduciaria e Intesa Sanpaolo private banking suisse. Dal primo luglio, nel segno
della continuità, la responsabilità della divisione verrà affidata a Paolo Molesini. La divisione Asset
management, invece, sarà affidata a Tommaso Corcos, con la missione di sviluppare soluzioni di asset
management. A lui rispondono le controllate Eurizon Capital e Fideuram Asset Management Ireland. Infine, la
divisione insurance fa capo dall'11 novembre ad Antonio Nucci, col compito di svilupparne l'offerta dei
prodotti. Dal primo luglio, sempre in un'ottica di continuità, la responsabilità verrà affidata a Nicola Maria
Fioravanti, che al tempo stesso assume l'incarico di amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Vita. Il
responsabile della divisione sovrintende alla gestione di Intesa Sanpaolo Vita, Fideuram Vita, Intesa
Sanpaolo Previdenza e Intesa Sanpaolo Assicura. Sul fronte strategico ieri il presidente del consiglio di
gestione di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, ha spiegato che le infrastrutture sono importanti per il
rilancio economico, ma non sono il tipo di investimento adatto a un tipo di banca come la nostra e, quindi, nel
lungo termine, ma auspicabilmente nell'arco del piano industriale, vorremmo uscire da questo tipo di
partecipazioni».
Foto: REPORTERS
Foto: Gian Maria Gros•Pietro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
80
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
NASCONO LE DIVISIONI PRIVATE BANKING, ASSET MANAGEMENT E INSURANCE
25/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 20
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Meridiana, salta il negoziato Via alla procedura di mobilità
NICOLA PINNA
La trattativa è finita. Nel momento in cui sembrava l'intesa più vicina. E ora per i 1634 dipendenti di Meridiana
il licenziamento si profila all'orizzonte sempre più chiaramente. L'incontro di oggi a Roma, quello che poteva
sancire l'accordo, si è concluso con una rottura che non tutti considerano inaspettata. I sindacati sembravano
disposti a firmare il documento redatto martedì scorso (di fronte a due ministri) ma lo strappo si è consumato
sulle proposte aggiuntive. Quelle avanzate dall'assemblea dei lavoratori che si è svolta giovedì sera a Olbia. I
punti principali erano questi: creare la lista unica dei dipendenti di Meridiana e della controllata AirItaly e fare
in modo che gli esuberi venissero calcolati sull'organico complessivo. Ma i vertici della compagnia hanno
detto no e così il banco è saltato. «Le organizzazioni sindacali hanno dichiarato irricevibile la proposta
avanzata dal Governo - fa sapere la compagnia - e il congelamento della procedura di mobilità noi si può
dichiarare completata». Lunedì ci sarà un nuovo incontro a Roma e per questa fuga in avanti la compagnia
sarda incassa le critiche del Ministero del Lavoro: «La scelta di comunicare fuori dal tavolo del confronto la
decisione di considerare conclusa la fase di tregua è un errore grave». I sindacati, nel frattempo, sono già
pronti a organizzare nuove proteste. «Meridiana ha fatto un passo in avanti inaccettabile - dice Alessandro
Brandanu della segreteria provinciale Usb - Il tavolo al Ministero non è ancora chiuso e noi continueremo a
presentarci».
Foto: Un dipendente Meridiana durante la manifestazione al ministero
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
81
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Panorama Il ministero: decisione grave
26/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Parte la lettera all'Ue Renzi certo di avere la flessibilità sui conti
Ma Boccia (Pd) riapre il caso: coperture inadeguate Bisognerà attendere la risposta di Bruxelles però il
compromesso sembra assicurato Squinzi (Confindustria): «Bene il taglio Irap sul lavoro, ora via anche le
tasse sui capannoni»
PAOLO BARONI ROMA
La «Lettera» è quasi pronta, partirà domani. Destinatario il commissario europeo alle Finanze Jyrk Katainen.
E in ossequio alla nuova politica di trasparenza inaugurata l'altro giorno da Renzi, quando ha deciso di
rendere subito pubblico il richiamo arrivato da Bruxelles, anche la risposta italiana dovrebbe subire lo stesso
trattamento non appena notificata a Bruxelles. La nostra linea di difesa è chiara da giorni: l'Italia invocherà
l'esigenza di rinviare il pareggio di bilancio al 2017 facendo leva su crisi, i tre anni di recessione dai quali non
siamo ancora usciti, e la deflazione che potrebbe pure aggravarsi a fronte di politiche di eccessivo rigore.
L'Italia insomma chiederà più tempo per azzerare il deficit e poter nel frattempo avviare le tante riforme
messe in cantiere. Intanto, come è noto, dopo una trattativa-lampo con Bruxelles, è già stato deciso di
concedere un aggiustamento più forte del deficit (pari allo 0,3% del Pil anziché dello 0,1 preventivato in un
primo momento col Def e lo 0,5 previsto dalle regole Ue) sacrificando i 3,3 miliardi del fondo per la riduzione
della pressione fiscale. Il famoso «tesoretto» che Padoan aveva tenuto di scorta. In questo modo la manovra
2015, che prevede interventi per 36,2 miliardi tra minori entrate (14,7 miliardi) e maggiori spese (21,5)
controbilanciati da 9,6 miliardi di maggiori entrate e 16,1 di taglio delle spese, non presenterà più un deficit di
10,4 ma di 7,1 miliardi. Una volta notificata la lettera di risposta è previsto che già entro la prossima settimana
la Commissione effettui le sue verifiche sui nostri conti. Anche se in realtà il giudizio vero arriverà non più da
Barroso ma dal nuovo presidente Juncker che si insedierà a novembre. «So da feedback stranieri, non
attraverso canali italiani, che quando il premier ha presentato il suo piano il commissario Katainen gli ha fatto
i complimenti dicendo che ha presentato un piano ambizioso», ha raccontato ieri il finanziere Davide Serra a
margine della Leopolda5. Secondo Serra il commissario finlandese avrebbe lodato l'Italia dicendo che «per la
prima volta fa la cosa giusta, taglia la spesa e taglia le imposte». Non la pensa allo stesso modo il presidente
della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia (Pd) che in un tweet ieri ha riaperto il casocoperture. «Senza slide si legge meglio: oneri da coprire 30 (miliardi ndr), coperture 20. Differenza -10. E poi
-3,3». Segno che la sessione di bilancio che sta per aprirsi alla Camera per la legge di stabilità non sarà
comunque una passeggiata. Di certo il presidente del Consiglio, intanto, continua a godere dell'appoggio di
Confindustria. Di fronte «all'inferno fiscale» che soffoca le imprese per Giorgio Squinzi, che ieri ha chiuso il
convegno di Napoli dei Giovani imprenditori, «non si può che applaudire la scelta del governo» di eliminare
l'Irap dal costo del lavoro e di incentivare le assunzioni. Ora, però, occorre rimediare pure alla «scelta
sbagliata» di tassare capannoni, impianti e beni strumentali, «un dossier aperto sul tavolo del premier», e poi
occorre incentivare ricerca, innovazione e «Made in». 0,3% del Pil Il compromesso sulla correzione dei conti
L'Italia sperava nello 0,1%, l'Ue puntava allo 0,5% 3,3 miliardi Questa l'entità in euro delle risorse extra
destinate alla correzione 7,1 miliardi La previsione di deficit 2015 si riduce a questa cifra mentre all'inizio era
di 10,4 miliardi
Foto: Soddisfazione
Foto: Il presidente di Confindustria Squinzi al convegno dei Giovani industriali
Foto: MARCO CANTILE/LAPRESSE
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
82
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
MANOVRA VERSO IL VIA LIBERA
26/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"L'Italia ci preoccupa molto ma il boom tedesco è un'illusione"
L'economista Fratzscher: guardo con speranza al governo Renzi
TONIA MASTROBUONI INVIATA A BERLINO
Dopo un dottorato a Firenze e una folgorante carriera da economista che lo ha portato dall'Asia agli Stati
Uniti, Marcel Fratzscher è tornato in patria dopo vent'anni e ha trovato un Paese più sicuro di sé ma più solo.
Il vicecancelliere Sigmar Gabriel lo ha chiamato a guidare una commissione per gli investimenti al ministero
dell'Economia e ora Fratzscher ha pubblicato un libro, «Die Deutschland- Illusion», che ha suscitato
polemiche infinite. La tesi è che il miracolo economico non esista, che il Paese si crogioli in miti ormai morti e
debba investire molto di più per non finire male. Soprattutto, che debba rinunciare al pareggio di bilancio 2015
«che fa anche male all'Europa». Legatissimo all'Italia, Fratzscher non nasconde le sue ansie: «Il vostro
Paese è la mia preoccupazione più grande». Fratzscher, il governo italiano ha promessomolte riforme, lei
chenepensa? «L'economia italiana sarebbe molto più forte se negli ultimi vent'anni la pessima politica non ne
avesse soffocato l'enorme potenziale. Molte aziende spendono troppo tempo ad aggirare la cattiva politica e
a risolvere problemi burocratici. Devo ammettere che guardo con speranza a questo governo che ha
annunciato molte riforme, spero riesca a realizzarle. Purtroppo è un processo lungo, durerà molti anni». Nel
libroleiparlaperòanchedi una Germania isolata, che fa fatica a spiegarsi nei consessi internazionali e a capire
le ragionideglialtri. «Noi tedeschi ci comportiamo sempre come se gli altri non capissero la sostanza delle
cose, invece dovremmo riflettere su cosa possiamo cambiare noi e dove stiamo sbagliando nella
comunicazione con i nostri vicini. La Germania è attualmente molto ripiegata su se stessa». Lei dice che c'è
un'«illusione Germania», ma pensa che sia ancora il malato d'Europa? «No, ma non è neanche la superstar.
Ha fatto enormi progressi sull'export, ha messo a posto i conti, c'è stato un boom dell'occupazione. Ma ci
sono molti punti deboli: in 15 anni non è cresciuta molto più del resto d'Europa. Inoltre nasconde un problema
di sotto -occupazione. Sono aumentati vertiginosamente i contratti a tempo e il precariato: quasi 4,5 milioni di
persone guadagnano meno di 850 euro al mese. Inoltre i salari reali sono diminuiti». Il reddito del 60% delle
famiglie tedesche è inferiore, in termini reali, al 2000. Il salario minimo cambierà qualcosa? «Solo se sarà
accompagnato da massicci investimenti. In Germania la quota di investimenti sul Pil è scesa dal 23%
dell'inizio degli Anni 90 al 17% ora. Noi del Diw abbiamo calcolato che c'è un gap di investimenti da 80
miliardi all'anno, e non solo nelle infrastrutture, anche nell'istruzione. Spendiamo meno della media Ocse.
Abbiamo calcolato che se si investissero quegli 80 miliardi, il Pil aumenterebbe dall'attuale 1% circa
all'1,6%». La Germania deve rinunciare al pareggio di bilancio 2015? «Sì. L'obiettivo della politica fiscale
tedesca di tenere i conti a posto è giusto. Ma l'economia sta peggiorando e il pareggio di bilancio è stato
pensato anche perché agisca in modo anticiclico, perché si spenda di più quando il ciclo peggiora. E siamo
esattamente in una situazione del genere. Inoltre è un cattivo segnale verso l'Europa. Anche la Germania
deve fare la sua parte per l'Europa». La Bce deve fare quantitative easing? «Sì, anche se ritengo che si
sarebbe dovuto fare prima, che ora sia tardi. Non sarebbe un game changer come fu lo scudo anti-spread
Omt. Potrebbe avere comunque un effetto stabilizzante. Se c'è rischio di deflazione, i mercati hanno la
sensazione che la Bce non sia in grado di rispettare il proprio mandato. Le aspettative di inflazione per i
prossimi tre anni sono decisamente al di sotto dell'obiettivo. Quindi ora la rinuncia al Qe sarebbe una
capitolazione».
La frase chiave
Bene la Germania su export e occupazione ma ha molti punti deboli, soprattutto crescita e salari UN MITO
DA SFATARE
Foto: Marcel Fratzscher L'economista tedesco (sopra) conosce bene l'Italia per averci studiato. Ha scritto il
libro «L'illusione tedesca»
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
83
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista
26/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:309253, tiratura:418328)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Foto: MICHELA TAEGGI/BUENAVISTA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
84
26/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Banche, ultime mosse prima del verdetto
Oggi l'esito degli stress test. Vertici a Genova e Siena. La Popolare Vicenza corre ai ripari convertendo un
bond
FRANCESCO SPINI MILANO
C'è chi, come la Popolare di Vicenza, è corsa ai ripari a tempo scaduto, dopo aver già avuto per le mani i
risultati: il cda - riunito ieri - ha deliberato la conversione in capitale di obbligazioni per 253 milioni. E c'è chi si
prepara oggi - soprattutto in casa Monte dei Paschi e Carige - a mettere una toppa a risultati insufficienti,
presentandosi al mercato con un piano per rafforzare il proprio patrimonio. Il tempo è scaduto. Oggi a
mezzogiorno la Bce comunicherà i risultati dell'esame condotto su 131 banche in Europa, 15 in Italia, tra
analisi della qualità degli attivi (aqr, nella sigla per addetti ai lavori) e simulazioni (stress test) per saggiare la
resistenza degli istituti tra il 2014 e il 2016 in condizioni normali ed estremamente negative. Esami senza
precedenti, che vedono un doppio livello di valutazione. Il primo è quello della Banca Centrale Europea pronta a subentrare nella vigilanza degli istituti con attivi superiori ai 30 miliardi - che, nel fatidico rigo B11 del
modellino, indicherà per ciascuna banca quanto capitale manca (il cosiddetto «shortfall») per centrare
indicatori piuttosto rigidi. La questione è un po' tecnica, ma se si pensa che generalmente l'autorità di
vigilanza richiede alle banche di avere un indicatore patrimoniale (il cosiddetto di Cet1 ratio) minimo del 4,5%,
in occasione di questi esami tale minimo è stato innalzato all'8% per gli aqr e stress test sullo scenario di
base (in base alle previsioni economiche della Commissione Europea) e del 5,5% per gli stress test più tosti,
quelli applicati a uno scenario estremo. La Bce scatterà anzitutto una foto della situazione al 31 dicembre del
2013, in base alla quale sarebbero a posto, in prima battuta, banche come Intesa Sanpaolo, Unicredit,
Mediobanca, Ubi Banca e, probabilmente, Credem. Ne resta fuori una decina, ma buona parte dovrebbe
colmare l'ammanco di patrimonio considerando gli aumenti di capitale fatti da gennaio a fine settembre (oltre
10 miliardi, in totale), elencati dalla stessa Bce. Ma oggi interverrà anche la Banca d'Italia con un comunicato
in cui per ciascuna banca terrà conto non solo degli aumenti di capitale realizzati, ma anche di altre
operazioni considerate adeguate per rafforzare il patrimonio: si tratta di vendite di asset, validazione di
modelli interni (che contribuiscono a diminuire i rischi e dunque il capitale a presidio), la rimozione di add-on
(penalizzazioni che costringono la banca a impegnare più capitale). Grazie a questa mossa una banca come
la Bpm potrà far valere la rimozione degli add-on concessale quest'anno o altre operazioni. La Popolare di
Vicenza, in zona Cesarini, ha deliberato per maggio 2015 la conversione in azioni di obbligazioni convertibili
(emesse nel 2013) per un totale di 253 milioni. Tale conversione, ha spiegato il presidente Gianni Zonin,
rientra tra le «importanti iniziative di patrimonializzazione per complessivi 1,2 miliardi» effettuate tra il 2013 e
il 2014. Ma evidentemente l'operazione di ieri serve per chiudere i conti con la Bce. Si dice che in bilico - con
possibili contenuti deficit di capitale - ci siano altre banche popolari medio-piccole. Di certo Monte dei Paschi
e Carige dovranno correre ai ripari presentando piani per rafforzare il capitale nel giro di 6-9 mesi. Quella di
oggi, insomma, sarà una giornata piena di comunicati, numeri non sempre omogenei, che rischiano di
trasformare un'operazione trasparenza in un bel guazzabuglio.
Le pagelle in arrivo da Bce e Bankitalia Gli esami: Aqr e Stress test L'Aqr esamina un campione di crediti
concessi da ciascuna banca, come un esame del sangue. Gli stress test servono a testare la resistenza delle
banche, un po' come un elettrocardiogramma sotto sforzo Chi li fa e a cosa servono Per aumentare la
trasparenza sullo stato di salute del sistema bancario e per accrescere la fiducia di mercati e investitori. Sono
131 le banche europee che saranno esaminate, 15 delle quali sono italiane I risultati in arrivo La Bce indica le
banche a corto di capitali. Ma sarà la Banca d'Italia a spiegare quali istituti hanno già adottato misure per
rafforzare il patrimonio e quali invece dovranno fare altri aumenti di capitale per mettersi in regola Rischi per
famiglie e imprese Una visione troppo rigida degli esami della Bce può portare le banche a impegnative
ricapitalizzazioni che frenerebbero la concessione di prestiti alle imprese e di mutui alle famiglie, rallentando
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
85
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
CREDITO BILANCI AI RAGGI X
26/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
86
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
l'economia
25
istituti a rischio Sono le banche europee che potrebbero avere problemi con gli stress test, ma solo 10
saranno bocciate
27/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Ma fare credito sarà più facile"
Ghizzoni, ad Unicredit «Adesso gli istituti possono concentrarsi sull'offerta ai clienti»
FRANCESCO MANACORDA
Francesco Manacorda A PAGINA 2 «Adesso le banche che hanno superato l'esame della Bce, specie quelle
che erano un po' al limite, possono concentrarsi sui loro piani industriali e accelerare sulla concessione del
credito». Federico Ghizzoni è amministratore delegato di quell'Unicredit che ha superato a pieni voti sia gli
Aqr sia gli Stress test e infatti commenta «molto soddisfatto il nostro risultato eccellente che ci consente di
confermare le previsioni di utile a fine anno». Sono andati bene i grandi gruppi, come voi, IntesaSanpaolo o
Ubi. Ma l'impressione è che le banche italiane nel complesso non siano andate bene. È così? «Alcune
banche hanno avuto problemi con gli Stress test, che erano disegnati molto sul rischio di credito e meno su
rischi di mercato operativi, e dunque erano influenzati anche da una situazione di congiuntura debile come
quella italiana. Bisogna anche tenere presente che banche come quelle spagnole, che hanno superato tutte
l'esame, appena due anni fa hanno avuto decine di miliardi di aiuti europei. Quelle italiane, invece, se la sono
cavate da sole, senza aiuti di Stato. Insomma, si può vedere il bicchiere almeno mezzo pieno». Un esame
penalizzante per l'Italia? «Direi un esercizio rigoroso in generale. Le banche che a fine 2013 non
rispondevano ai criteri della Bce sono venticinque e molti si aspettavano che fossero un numero inferiore.
Detto questo è importante capire come, al di là dei risultati dei singoli, si colloca ogni Paese, In Italia, ad
esempio, abbiamo due banche che dovranno ricorrere ad azioni ulteriori sul capitale, ma se si sommano i dati
di tutti gli istituti sottoposti all'esercizio abbiamo un surplus di ben 25 miliardi». Dunque alla fine dà un giudizio
positivo dell'esercizio Bce? «C'era bisogno di farlo per chi temeva che il mercato bancario europeo non fosse
all'altezza di sostenere eventuali crisi. Adesso i risultati dovrebbero dare fiducia al mercato». Quello che tutti
vorremmo ca• pire è una cosa sola: dopo questo esame le banche daranno più credito? «Penso che adesso
che hanno superato questo esame molte banche potranno accedere all'operazione di finanziamento prevista
dalla Bce per dicemb re i n m i s u ra m agg i o re d i quanto abbiano fatto nella prima tranche, quella di
settembre. E penso anche che con l'euro a questi livelli e e l'arrivo della nuova liquidità della Bce il costo del
credito dovrebbe scendere un po'». Resta la polemica: sono le banche che non prestano o i clienti che non
investono... «Con i tassi a questi livelli i margini non si fanno certo sui depositi, ma proprio sugli impieghi
verso la clientela. E visto che per le banche italiane questa attività origina il 60% dei ricavi c'è da immaginare
che ci sarà più competizione tra gli istituti. Questo potrà garantire benefici per i clienti e rafforzare un percorso
di crescita dell'economia reale». Dopo gli esami della Bce si apre anche la partita delle aggregazioni
bancarie. Quali scenari vede in Italia? «S ono mesi che dico che gli Stress test possono essere un eventuale
acceleratore per le aggregazioni, ma che i motivi di fondo perché ci sia una concentrazione esistevano già. In
Italia abbiamo più di 650 banche, contro un numero inferiore a cento in Spagna o in Francia. Uno scenario
molto frammentato, con un mercato che tiene gli utili sotto pressione. In queste condizioni le aggregazioni
sono prevedibili». Aggregazioni alle quali voi non vi candidate... «No. Stiamo crescendo e acquisendo quote
di mercato in maniera netta attraverso la nostra rete. Ci va bene così».
Le frasi chiave
Con l'euro debole
e la liquidità in arrivo della Bce penso che il costo del denaro potrebbe scendere un po'
Gli stress test possono essere un acceleratore per le aggregazioni Federico Ghizzoni, ad di Unicredit
Foto: Federico Ghizzoni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
87
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA
27/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Persino il pubblico impiego ormai ha paura del futuro La pensione?
Un'incognita"
De Rita: il Jobs Act va nella giusta direzione PROSPETTIVE «Senza un minimo di certezze impossibile
sposarsi o fare mutui»
GIACOMO GALEAZZI ROMA
«Quella di Renzi è una presa d'atto. Dopo l'ultimo quinquennio di precariato e disoccupazione, il posto fisso
non esiste più neanche negli enti pubblici. Ci sono solo spezzoni di lavoro». Il sociologo Giuseppe De Rita
consiglia al premier «una politica delle opportunità» attraverso «il sostegno al reddito» e «contratti di dieci
anni». Infatti «già oggi il 35% dei giovani lavoratori ha un percorso contributivo discontinuo a causa di lavori
precari o impieghi senza versamenti pensionistici», osserva il presidente del Censis. «Pur meno preoccupati
dei dipendenti privati (tra i quali il 41% teme di perdere il lavoro e il 25% di diventare precario), tuttavia questa
nuova inquietudine coinvolge anche i dipendenti pubblici, antichi alfieri del posto fisso». E' una svolta? «Lo
sarebbe stato cinque anni fa, ma ormai anche nel pubblico impiego si lavora a termine, non più fino alla
pensione. Il posto fisso tradizionale è un'icona in via d'estinzione, un mito sfumato. I giovani, però, hanno
ancora bisogno di un'aspettativa, altrimenti non possono sposarsi, fare un mutuo, comprarsi casa. S enza
sicurezze, almeno p e r 5 -1 0 a n n i , n o n c ' è p r o g ra m m a z i o n e. I l p r e c a r i a t o viene chiamato
elasticità. Ma in concreto si moltiplicano difficoltà, non opportunità». Il "jobs act" non basta? «Va nella giusta
direzione, però crea procedure non aspettative: è un riordino del merc at o d e l l avo ro co n q u a l c h e
punta polemica. Si punta a un normale funzionamento, nulla di più. S ono scomparsi i corpi intermedi della
società. L'incertezza richiede adattamento. Nessuno dei miei 8 figli ha un contratto a tempo indeterminato.
Per non lasciare i giovani in balia di un mercato del lavoro divenuto molecolare c'è bisogno di incentivi,
deduzioni fiscali, interventi mirati». La precarietà ha vinto? «A Renzi non si può chiedere di sfasciare i conti
pubblici per sistemare i precari nella burocrazia. Deve agire sulle aspettative senza gonfiare l'apparato
pubblico, la macchina amministrativa. Il ceto medio, che continua a far laureare i figli, conta meno. Neppure la
pensione è una sicurezza: è stata percepita come un'opportunità per fare altro, lo strumento per spezzare la
rigidità della vita lavorativa. Il 35% dei lavoratori pubblici, privati e autonomi teme di perdere il lavoro e di
rimanere senza contribuzione, il 25% di finire nella precarietà con una contribuzione discontinua, il 20% di
avere difficoltà a finanziarsi, oltre la pensione pubblica, forme integrative di reddito». Cosa accresce queste
paure? «Scarsa conoscenza della pensione futura e discontinuità dei percorsi lavorativi . Il 35% degli
occupati di 18-34 anni ha cammini contributivi intermittenti. L'allarme riguarda anche i dipendenti pubblici: 1
su 4 teme di perdere il lavoro, il 26% di finire nel precariato. Malgrado i timori, le scelte di risparmio per la
vecchiaia penalizzano la previdenza complementare. 11 milioni di lavoratori ignorano aspetti finanziari
basilari: interessi sul capitale, inflazione, rischiosità degli investimenti. In Germania i dipendenti pubblici a
tempo indeterminato sono più che in Italia. Ma qui restava un totem. La concezione antiquata di intendere
l'occupazione a vita».
Le frasi chiave VINCE LA PRECARIETÀ Nessuno dei miei 8 figli ha un lavoro senza vincoli di tempo
CONTRIBUTI INTERMITTENTI La discontinuità dei percorsi rende magri gli assegni futuri
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: Giuseppe De Rita
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
88
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista
27/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Spese senza controlli Bisogna cambiare testa"
L'ex commissario alla spending review: "In Italia si fanno troppe leggi" «Le cose cambiano ma non ce ne
accorgiamo Ottimi i nostri risultati»
ALESSANDRO BARBERA ROMA
Per i commessi di via XX settembre Carlo Cottarelli è già un lontano ricordo. «Sicuro stia ancora qui?» si
chiede quello che non riesce a contattare l'interno. L'ormai ex commissario alla spending review non ha più
una segretaria, né altri collaboratori. L'ala del suo ufficio è vuota come quelle di certe aziende andate
rapidamente fallite. Lui invece è ancora lì, seduto nella scrivania di una stanza d'angolo. Quando il telefono
della ex segretaria squilla, si alza e va a rispondere. Resterà fino al 31 ottobre, quando tornerà a Washington
come direttore esecutivo per l'Italia al Fondo monetario internazionale. Dottor Cottarelli, avrebbe dovuto
rimanere tre anni, alla fine sarà solo uno. Perché? «All'inizio con Letta l'accordo era per un anno, ma mi
chiese di restare per tre. Poi le cose sono cambiate». Renzi non l'ha mai amata, non voleva un burocrate a
occuparsi di tagli. «Se mi amasse o meno dovete chiederlo a lui. Però ha ragione quando dice che le
decisioni le deve prendere la politica, non un commissario. Quando mi chiamarono anche io mi chiesi perché
ci fosse bisogno di una figura del genere». Cosa le risposero? «Che ci voleva qualcuno in grado di fare
entrare la cultura della revisione della spesa nella testa della burocrazia». I risultati non sono entusiasmanti.
«Ora c'è la norma che porterà alla drastica riduzione delle centrali di acquisto pubbliche, quella che introduce
l'obbligo di fatturazione elettronica, c'è una prima lista di prezzi benchmark. È in vigore un decreto che
imporrà un tetto di cinque auto a ministero, è stata completata l'introduzione dei fabbisogni standard nei
Comuni, c'è una banca dati delle partecipate pubbliche. Sono soltanto alcuni esempi di quel che è stato
fatto». I grandi problemi sono irrisolti. Penso alla riorganizzazione delle prefetture o il caso delle partecipate:
lei aveva proposto di ridurle da ottomila a mille, nella legge di Stabilità non c'è nulla. « S u l l e p a r t e c i p at
e l e co s e stanno come dice lei, non so cosa risponderle. Sulle prefetture si sarebbe potuto procedere più
velocemente. Un primo strumento per attuare la riforma era compresa nella legge di svuotamento delle
Province, poi scoprì che era necessario inserirla di nuovo nella delega di riforma della pubblica
amministrazione». Perché? «A quanto pare c'erano problemi giuridici». In Italia i capi di gabinetto hanno
sempre l'ultima parola. Perché? «Le norme sono spesso lunghe e incomprensibili e solo loro sono in grado di
gestirle». Cosa si può fare per cambiare le cose? «Occorrerebbe cambiare la testa di chi scrive le leggi, mi
rend o co n t o c h e non è semplice. Sarebbe un passo avanti se i collaboratori più stretti dei m i n i s t r i co n
trollassero meglio i testi che vengono approvati. E poi in Italia si fanno troppe leggi. Ogni settimana si sente
l'urgenza di scriverne qualcuna. Più ce ne sono, più è difficile applicarle, maggiore è il livello di
discrezionalità». Abbassare l'età media dei dirigenti pubblici, come vuole Renzi, è una soluzione? « H o s e s
s a n t'anni, non può farmi dire che è una soluzion e. Pe r ò a i u ta». Era favorevole al tetto di 240mila euro?
«Sì, ma la cosa più importante è che è stato fermato il meccanismo che permetteva la rivalutazione Istat degli
stipendi. Di fatto negli ultimi trent'anni ai dirigenti pubblici più elevati è stata garantita una scala mobile negata
agli altri». Come funzionario del Fmi ha visto da vicino molte burocrazie. Dica la verità: un Paese nel quale la
fusione fra Aci e motorizzazione civile salta tre volte non lo ha mai visto. «No. Aggiungo una cosa: mi sono
reso conto che un problema importante della spesa italiana è la mancanza dei controlli. Le norme vengono
scritte, spesso non vengono rispettate». Una struttura c'è: è la Corte dei Conti. «La quale si preoccupa di far
rispettare le procedure, non l'efficienza dei processi. Le racconto un aneddoto: quando ho scoperto che i
Comuni si affidano a società esterne specializzate nei controlli dei costi, ho chiesto perché la stessa cosa non
venga fatta nei ministeri. Mi è stato risposto che farlo è rischioso, perché la Corte dei Conti si metterebbe a
fare le pulci agli anni precedenti. Non so se è vero, ma se lo fosse sare b b e l a d i m o s t ra z i o n e c h e
qualcosa non va». La legge di Stabilità ha accantonato la spending review, si torna ai tagli lineari. È così? «I
target di riduzione di spesa esistono in tutto il mondo, il problema è come li si applica». Se ne va pessimista
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
89
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA CONTI PUBBLICI L'ADDIO ANTICIPATO CARLO COTTARELLI
27/10/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
90
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
sul futuro dell'Italia? «Assolutamente no. In Italia le cose cambiano, è che i problemi sono tanti e non ce ne
accorgiamo. Con l'eccezione delle pensioni, fra il 2009 e il 2012 la spesa pubblica dello Stato è scesa del 10
per cento, quella dei Comuni dell'8, quella delle Regioni del 16, solo la spesa sanitaria è rimasta costante.
Altrove verrebbero giudicati come ottimi risultati». Tornerà? «Sono sicuro di sì». Twitter @alexbarbera
Foto: Cottarelli tornerà a Washington come direttore esecutivo per l'Italia al Fondo monetario internazionale
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Federico Fubini
All'inizio degli anni '90 nel gruppo Iri le imprese in utile si contavano sulle dita di una mano. Il resto, centinaia
di altre, erano in perdita e il governo contribuiva sistematicamente a ripianare. L'Italia faceva parte
dell'Occidente ma non era compiutamente un'economia di mercato. E oggi? Le 4300 imprese partecipate
almeno al 50% dal settore pubblico, e con più di 100 addetti, conservano un ruolo di primo piano
nell'economia: secondo l'Istat è loro il 27% degli investimenti totali delle imprese, il 25% dei margini lordi, il
22% del valore aggiunto, il 21% dei salari. Senza contare le altre seimila imprese a partecipazione statale che
non entrano in questo conteggio. In Italia il settore pubblico e quindi la politica continuano a fare pienamente
concorrenza al settore privato, avendo però dalla loro le capacità dei bilanci dei Comuni, delle Regioni e dello
Stato centrale. Gareggiano sapendo che l'arbitro è dalla loro parte e sapendo che possono usare il denaro
del contribuente, in caso di sconfitta. Se qualcuno dovrebbe sentirsi insoddisfatto da questo stato di cose, è
chi può contare solo sulle proprie forze: i piccoli, medi e grandi imprenditori e l'associazione che li
rappresenta, Confindustria. È dunque sorprendente che Confindustria non stia afferrando la bandiera della
riduzione della pletora di società partecipate dagli enti pubblici. L'associazione degli imprenditori chiede sì al
governo di andare avanti con la spending review , ma sulla chiusura, aggregazione o privatizzazione di
imprese pubbliche cronicamente in perdita appare timida. Forse dipende dal fatto che Confindustria stessa
non rappresenta solo imprese private, poiché gruppi controllati dal governo come Poste, Ferrovie dello Stato,
Eni o Enel sono componenti (e contribuenti) importanti dell'associazione. Forse, più nello specifico, dipende
invece dal fatto che - sembra - queste grandi aziende controllate dal governo hanno ricevuto il suggerimento
dall'azionista di ridurre di metà le proprie quote da versare in Confindustria. Ciò renderebbe l'associazione più
vulnerabile finanziariamente e dunque più debole nei confronti loro e del governo. Confindustria paga così la
sua condizione di club in chiaroscuro, composto di imprese pubbliche e private. Questa però non spiega tutta
la sua esitazione nel chiedere lo sfoltimento delle municipalizzate. Dopotutto questo governo sembrerebbe
più determinato di quello precedente nell'andare avanti su questa strada. Resta dunque il sospetto che in
realtà Confindustria e la miriade di imprese che essa esprime siano ferme su questo fronte semplicemente
per mancanza di idee. Troppe imprese private vivono di commesse di fornitura dalle imprese pubbliche e del
rapporto con la politica che ciò implica. In un sistema cambiato, molti privati non saprebbero come orientarsi
o farsi valere sui propri meriti. Se Confidustria è in crisi di idee e proposte su come rendere l'Italia più
competitiva, forse è perché riflette (anche) la parte meno audace della propria base.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
91
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
QUEL CONFLITTO DI INTERESSI TRA STATO E CONFINDUSTRIA
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
App Economy una rivoluzione da 16 miliardi per le aziende europee
Stefano Carli
App Economy una rivoluzione da 16 miliardi per le aziende europee a pagina 25 Negli ultimi dodici mesi le
imprese italiane hanno rilasciato una media di 3,9 App, piccole applicazioni da smartphone o da tablet per
tenersi in contatto con la propria base clienti. In Germania sono state più del doppio. In Gran Bretagna sono
state il quadruplo. E il quadruplo anche in Spagna, così ora abbiamo anche un'altra risposta alla domanda sul
perché il nostro pil è sotto zero e quello spagnolo invece no. E' così. la App Economy sta conquistando
l'Europa, come certifica una ricerca commissionata a livello mondiale da Ca Technologies alla società di
ricerche di mercato Vanson Bourne e resa nota alla fine del mese scorso. Lo studio ha analizzato le risposte
di quasi 1500 manager mondiali di società di dimensioni grandi e medie (un 30% ha tra i mille e i 3 mila
addetti) di tutti i settori industriali dal retail alle telco, dall'auto alle banche per capire il grado di
consapevolezza sulla svolta che la rivoluzione delle App ha impresso all'economia. E ha sentito anche 100
imprese italiane. Che quella delle App sia una rivoluzione non ci sono dubbi. Nate sei anni fa con il lancio
dell'App Store di Apple in cui c'erano un centinaio di app da scaricare, oggi, sei anni dopo, le applicazioni
sono stimabili in circa 1,2 miliardi e hanno dato luogo a 75 miliardi di download a livello mondiale. Nella sola
Europa, il valore delle App sviluppate sulle diverse piattaforme è stimabile attorno ai 16,5 miliardi di euro nel
2013, con una crescita del 12% sull'anno precedente. Sempre in Europa, a fine 2014 il numero di posti di
lavoro direttamente correlati alla App Economy raggiungerà le 670 mila unità e di questi gli sviluppatori di
software sono i due terzi, 406 mila. E l'Italia? Le analisi condotte qui da noi da Net Consulting: «Il valore delle
App sviluppate in Italia nel 2013 è stato di 300 milioni - spiega Annamaria Di Ruscio, direttore generale di Net
Consulting - cifra che vale ormai un terzo dell'intero mercato dello sviluppo software tradizionale. Mercato
quest'ultimo in calo del 4% a differenza del primo che sta crescendo del 10%. Il solo valore delle App
scaricate a pagamento sugli store è stato di 112 milioni di euro. Non sono cifre piccole, ma sono minori di
quanto potrebbe essere». Il ritardo nei numeri, come sempre, è lo specchio di un ritardo più complesso del
sistema economico italiano. Ritardo rispetto a una tendenza che ha investito come un ciclone i modelli di
business di tutte le grandi aziende globali e che è alla base di un secondo fenomeno rilevante: l'insourcing.
Vuol dire che di pari passo con la App Economy, anzi come parte integrante di questa, le grandi aziende
stanno riportando al loro interno competenze a funzioni che nella fase del primo grande boom di Internet
avevano progressivamente messo fuori. «E' in primo luogo lo sviluppo della nuova tipologia di software
costituita dalle App - spiega Di Ruscio - Se fino a ieri aveva senso realizzare anche in outsourcing lo sviluppo
di piattaforme e applicativi software, che richiedevano tempi e modalità importanti, erano costosi e trovavano
nelle economie di scala dei fornitori che le realizzavano l'unica possibilità di abbattere i costi per le aziende
clienti, con le App si cambia. Il fattore cruciale delle App è che i grandi sistemi applicativi vengono suddivisi in
componenti più piccole e snelle, che devono essere facili e immediati nell'utilizzo e non devono prevedere
complessi periodi di formazione e apprendimento da parte del personale. Per ora si stanno sviluppando più
nelle funzioni di front end, ossia nel rapporto con i clienti delle aziende, dal retail al mondo bancario, ma
presto arriveranno anche a cambiare il modo di lavorare nei back office. Conseguenza di questo: una App
non può nascere in un luogo separato, va sviluppata dentro l'azienda che la utilizzerà e in stretto rapporto con
i team aziendali. E poi c'è il fattore velocità di realizzazione e di sviluppo degli aggiornamenti. Amazon, per
esempio, rilascia una nuova versione del suo portale in pratica ogni venti secondi. E' un aggiornamento
continuo e si può fare solo dentro le aziende stesse o con una relazione molto più forte con i fornitori».
Questo processo di insourcing, di ritorno in azienda, si sta concretizzando con una frizzante attività di
acquisizioni di società solitamente piccole, spesso startup, da parte delle aziende clienti. Lo sottolinea lo
studio di Ca Technologies rilevando come ormai una grande banca come Jp MorganChase ha più
sviluppatori software della stessa Google e più tecnici dei Microsoft. Anche in Italia le cose si sono messe in
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
92
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
multi media
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
93
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
moto. A partire da Telecom Italia, che ha in corso una campagna di scouting e acquisizioni di startup, a tutti i
grandi marchi del largo consumo, come Barilla o Ferrero che si portano così in casa le competenze per
sviluppare e realizzare App. Lo studio di Ca rileva che se due anni fa solo un terzo delle aziende aveva
capacità di sviluppare software al proprio interno, tra due anni saremo più vicino al 50%. E anche in Italia: l
46% delle aziende ha in cantiere acquisizioni di softwarehouse nei prossimi dodici mesi e il 32% oltre il
prossimo anno. E le App sono anche la via per digitalizzare il proprio core business in modo innovativo. Lo ha
fatto Trenitalia mettendo in una App tutto il suo orario ferroviario e aggiungendo di continuo servizi, come la
prenotazone di auto. Lo ha fatto Che Banca lanciando una App per gestire pagamenti elettronici come se
fosse un pos. E lo ha fatto La Rinascente, che nel 2011 è stata acquisita dal gruppo thailandese Central
Retail Corporation, lanciando un programma di App di coinvolgimento, fidelizzazione e interazione con i
clienti, assieme a un nutrito calendario di eventi. E ha deciso di non vendere online. Si può avere una
strategia per il reatail fisico anche senze l'e-commerce. E i risultati 2014 stanno dando loro ragione.
Foto: Qui sopra, l'ad della Rinascente Alberto Baldan (1). L'ad di Fs Michele Mario Elia (2). l'ad di Telecom
Italia Marco Patuano (3)
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Luca Iezzi
Poste, Ferrovie, Eni. Le privatizzazioni "pesanti" sono ormai rinviate al 2015. Per quest'anno il governo si
accontenta di 4 miliardi, sperando che l'Europa non se la prenda troppo e i mercati siano clementi.
L'aggiornamento del Documento di economia e finanza ha seppellito ufficialmente l'obiettivo di abbattere di
10 miliardi (lo 0,7% del pil) il debito pubblico nel 2014 con la vendita di pezzi del portafoglio pubblico. segue
alle pagine 2 e 3 con un articolo di Eugenio Occorsio segue dalla prima Nel nuovo Def si parla di un più
ampio traguardo di 40 miliardi fra il 2015 e il 2018. La realtà dei numeri l'ha fotografata la Banca d'Italia: «Per
il programma privatizzazioni nel 2014 l'obiettivo è ridotto allo 0,28% del Pil», ha detto il vicedirettore Federico
Signorini alla Camera. «È importante procedere con decisione facendo tesoro delle esperienze degli altri
paesi affinché il piano sia rispettato e se ne valuti una possibile accelerazione». Le prescrizioni di Via
Nazionale mostrano apprensione per il ritardo perché nemmeno il livello minimo di 4 miliardi sarà facilmente
raggiunto. Sin dai primi annunci di Padoan e Renzi è apparso chiaro che gran parte del successo del
programma sarebbe dipesa dalla cessione del 5% di Eni e Enel. «Entrambi i dossier sono sul tavolo ma non
ci sono scadenze, le operazioni saranno effettuate al momento giusto», assicurano dal Tesoro. Sondando il
mercato, solo Enel sembra realmente in dirittura d'arrivo, e a cifre lontane dalle valutazioni degli anni scorsi.
Sono già arrivate diverse manifestazioni d'interesse per una vendita a fondi di private equity o investitori
istituzionali. Incasso certo di 1,7-1,8 miliardi: saranno i primi veri soldi che affluiscono sul conto 522 della
Banca d'Italia, quello che il Tesoro usa per il Fondo di ammortamento del debito pubblico. Tutte le operazioni
avviate in questi mesi hanno mancato il bersaglio: Fincantieri portata in Borsa dopo anni di dibattito, ha
ottenuto a malapena i fondi (350 milioni) per sostenere il suo piano di sviluppo. Cdp Reti, che tra poco
ingloberà le partecipazioni di controllo di Terna e Snam già in portafoglio di Cdp, ha sì fruttato 2,1 miliardi con
la cessione del 35% alla State grid of China, ma serviranno diversi altri passaggi come un dividendo
straordinario, per far tornare quelle risorse ai soci Tesoro e Fondazioni. Nessun effetto neanche se arriverà in
porto la quotazione di Raiway, i cui proventi resteranno a viale Mazzini per compensare il taglio da 200 milioni
sui trasferimenti dal canone previsto dal governo. Per raggiungere i 4 miliardi serve altro. In questo contesto il
4% di Eni in portafoglio a via XX settembre (valore 2,9 miliardi) potrebbe seguire la stessa sorte di Enel, con
un collocamento riservato ad investitori istituzionali. Una decisione sarà presa in base alle notizie che
arriveranno da Bruxelles. Nel pieno di un transizione delicata, lo Stato non può scendere sotto il 30% di Eni
alla leggera. Il programma di privatizzazioni di aprile nasceva dalla convinzione i 10 miliardi d'incasso del
2014 sarebbero stati l'ultimo tassello per evitare la procedura d'infrazione per mancato taglio del debito (il
fiscal compact tra le altre cose prevede una riduzione di 1/20 ogni anno del rapporto debito Pil per i prossimi
tre anni). La recessione, il cambio dei criteri Eurostat sul calcolo del Pil e soprattutto la decisione di palazzo
Chigi di rinviare di un anno il pareggio di bilancio hanno fatto saltare tutti i punti di riferimento. Il braccio di
ferro con l'Europa è diventato talmente imprevedibile da sconsigliare di sparare una cartuccia importante
come Eni senza certezza di risultato. Poche certezze (e negative) arrivano poi dall'immobiliare, dove ancora
la Cdp è l'unico acquirente-interlocutore e i governi degli ultimi vent'anni hanno dato prova di creatività: dalla
Patrimonio spa e le cartolarizzazioni Scip di Tremonti al federalismo demaniale, dalle aste su Internet fino
all'ultimo tentativo dei "fondi dei fondi" che nell'attuale programma dovrebbero garantire più di un miliardo. In
tutti i casi gli incassi si sono rivelati al di sotto delle aspettative e il patrimonio immobiliare si è rivelato molto
sopravvalutato, con i compratori (specie stranieri) spaventati da burocrazia, tasse alte e proprio dai continui
cambi di politica di settore. Più facile che soldi immediati, almeno 800 milioni, arrivino dal 50% della holding di
controllo di Stm. L'opzione più concreta è la solita scorciatoia di girare le quote alla Cdp, un pratica non
immune da critiche per cui il custode del risparmio postale è una sorta di compratore di ultima istanza sulle
necessità di finanza pubblica. Cdp ha ricevuto in questi anni le quote di controllo di Eni, Fintecna, Simest,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
94
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Privatizzazioni, il grande freddo
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
95
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Terna e Snam, le ultime due le ha poi impacchettate e rivendute in Cdp Reti. E di seconda vendita si
tratterebbe anche per Sace, la società che assicura le nostre aziende nel mondo: via XX settembre l'ha già
girata alla Cdp due anni fa, ma ora una quota di minoranza è di nuovo nella lista delle privatizzazioni e la
plusvalenza pronta a tornare nelle casse del Tesoro. Sace doveva essere una quotazione sicura. Il gruppo
assicurativo è in utile e interessa i big nazionali, ma gli attuali mercati finanziari sono un'incognita: in
primavera in piena euforia da ripresa annunciata e ansiosi di investire su aziende italiane, oggi con l'umore
esattamente opposto come dimostrano le Ipo naufragate e il ritorno di spauracchi sul rischio-paese. L'ad di
Cdp ha chiarito che «su Sace è in corso una riflessione». Così come a passo ridotto procede la quotazione di
Enav, bloccata finora dal cambio di cda e dalla rinegoziazione del contratto di servizio. Dal governo ritengono
che la finestra dei mercati finanziari non sia chiusa: «In recenti incontri con investitori internazionali a Londra
abbiamo potuto constatare che l'interesse per l'Italia rimane forte - spiega Fabrizio Pagani, capo della
segreteria tecnica di Padoan anche in presenza di mercati non effervescenti, un'opportunità di acquisto in
imprese italiane, sul mercato, ma anche di private equity, è comunque considerata. Questo ci fa essere
ottimisti sull'accoglienza delle aziende in corso di privatizzazione». Paradossalmente il peggioramento del
quadro generale, sia della finanza pubblica che dei mercati, ha dato più tempo ai tecnici del Tesoro sulle due
grandi: Poste e Ferrovie. «Abbiamo ben presente che il processo di privatizzazione non ha come unico
obiettivo quello di fare cassa per lo Stato e abbattere il debito - dice Pagani - come già successo per le altre
grandi aziende pubbliche quotate, pensiamo che l'ingresso dei privati avrà un effetto positivo che ne garantirà
il futuro. L'essere quotidianamente sotto il giudizio delle borse, raggiungere il livello di trasparenza richiesto
dalle società quotate le renderà più efficienti, trasparenti e solide. I due obiettivi vanno di pari passo».
Accantonata l'idea di incassi consistenti e veloci scorporando solo le parti appetibili dei due ex monopolisti (le
attività assicurative-finanziarie per Poste e l'alta velocita per Ferrovie) ora il governo è deciso a portare a
Piazza Affari entrambe le holding creando due grandi gruppi con un base di piccoli azionisti e un guida
ancora pubblica, sulla falsariga di quanto successo con Enel. I manager delle due aziende condividono
l'impostazione, ma ciò impone loro di sciogliere numerose contraddizioni di una gestione parapubblica.
Francesco Caio sta preparando un piano industriale rivoluzionario, che affronta il crollo della corrispondenza
ordinaria e la decisione del suo predecessore Massimo Sarmi di non investire nella logistica e nell'attività di
consegna, unico segmento core in crescita, ma dominato da colossi mondiali. Così come la gestione
precedente ha sfruttato la crescita delle attività finanziarie (Poste Vita e Bancoposta) per coprire le
inefficienze organizzative delle filiali. Il 2015 sarà all'insegna del confronto con i sindacati per gli inevitabili
esuberi e le inevitabili ricadute sociali che ogni intervento sull'infrastruttura degli uffici postali comporta
(negoziazione da fare anche con la politica attraverso il nuovo contratto di servizio). Solo dopo si potrà
affrontare l'esame anche dei mercati. Discorso parallelo per Ferrovie, che in più deve aspettare l'entrata a
regime del sistema regolatorio dell'Autorità dei trasporti, la creazione di regole certe su servizio universale e
trasporto regionale. Tempi lunghi, ma solo così gli ultimi due grandi gruppi al 100% pubblici potranno
garantire una parte consistente dei 40 miliardi promessi nel 2018.
IL MINISTRO Nella foto grande il ministro dell'Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan: è il suo dicastero
che ha la responsabilità di realizzare il piano di privatizzazioni da 40 miliardi di euro di qui al 2018. Nelle foto
all'interno della tabella a sinistra alcuni dei top manager delle società oggetto del piano di privatizzazioni:
dall'alto Francesco Starace (Enel), Carlo Bozotti (Stm), Claudio Descalzi (Eni), Massimo Garbini (Enav),
Francesco Caio (Poste) Michele Mario Elia (Fs)
Foto: [ I PERSONAGGI ] 1 2 I presidenti della Cdp Franco Bassanini (1) e di Sace Giovanni Castellaneta (2)
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Adriano Bonafede
Èil big bang del risparmio gestito. Il progetto di quotazione dei fondi mobiliari d'investimento, una massa di
oltre 655 miliardi, è la scintilla che farà deflagare il consolidato accordo di spartizione del ricco piatto delle
commissioni che ruotano attorno alla loro vendita. Non meno di 7-8 miliardi di euro che oggi premiano più la
struttura distributiva, a cui vanno due terzi di queste fees, rispetto alla fabbrica prodotto, alla quale resta l'altro
terzo. segue a pagina 8 segue dalla prima Così tutto il mondo che ruota attorno all'asset management è in
subbuglio: che cosa accadrà fra un paio di mesi o forse prima quando sarà terminato l'iter di modifica del
Regolamento della Banca d'Italia e del decreto ministeriale n. 228 del 1999? Per capirlo bisogna fare un
passo indietro e vedere le diverse posizioni dei soggetti in gioco. È molto soddisfatta la Consob, che ha
sempre sponsorizzato il progetto, convinta che sia un'importante spinta che favorirà il consumatore
abbassando le commissioni. Anche la Banca d'Italia, alla fine, e per la stessa ragione, non ha obiezioni. È
molto soddisfatta Borsa Italiana, che vede nello scambio delle quote dei fondi nella sua piattaforma nuova di
zecca, già pronta per la partenza, un'occasione per ampliare il proprio giro d'affari. Una Borsa Italiana che,
commenta qualche esperto, non avrebbe certo preso un'iniziativa così dirompente e gravida di conseguenze
in passato, quando era ancora un'istituzione italiana. Ma ora è sotto il controllo del London Stock Exchange,
controllato da un gruppo di investitori istituzionali che guarda più al business che non ai delicati equilibri della
finanza italiana. E così è accaduto che proprio Borsa Italiana abbia dato una spallata al sistema bancario
italiano. Le banche, infatti, sono le prime a potersi lamentare se un domani gran parte dei fondi potranno
essere acquistati sulla piattaforma della Borsa - da qualsiasi conto bancario - con il semplice pagamento di
una commissione di intermediazione come una qualsiasi azione od obbligazione. Gli istituti di credito si fanno
pagare dai loro clienti fior di commissioni, soprattutto di gestione visto che negli ultimi anni sono quasi del
tutto scomparse le fee di ingresso (ma di recente, segnala l'annuale rapporto di Mediobanca sul risparmio
gestito, sono riapparse nei cosiddetti fondi a scadenza predefinita). Per i fondi azionari, è sempre il Rapporto
di Mediobanca a segnalarlo, si arriva anche chiedere anche il 2,9 per cento annuo. Ancora più preoccupati
delle banche sono i 55 mila promotori finanziari che vendono prodotti del risparmio gestito, soprattutto fondi.
Si tratta perlopiù di piccoli imprenditori che vivono di fees che retrocede loro la banca-rete retrostante
(Mediolanum, Banca Generali, Azimut, Fineco, Anima ecc.)che peraltro mette a loro disposizione studi e
strumenti informatici per il miglior servizio al cliente, specie nel momento più delicato, ovvero nella scelta dell'
asset allocation , il mix di prodotti corrispondente al profilo di rischio. I promotori vedono come fumo negli
occhi la possibilità che avranno i loro clienti di poter acquistare i fondi in via telematica. Ma temono
soprattutto che questa misura sia il preludio a una disintermediazione ben più ampia, come già accaduto in
Gran Bretagna. E, sempre, in gioco c'è il rischio di perdere una parte delle laute commissioni. Facciamo però
un passo indietro. Di per sé non significa nulla che i fondi, ciascuno dei quali ha già un proprio Isin (numero
identificativo di Borsa) potranno presto essere scambiati in via telematica. Intanto perché andranno sulla
piattaforma solo i fondi che decideranno di farlo, e questo è già un primo sbarramento. Le banche che
producono fondi d'investimento - a cominciare da Intesa Sanpaolo e da Unicredit (che ha di recente ceduto
una parte di Pioneer) - non hanno davvero alcun interesse a bypassare né i propri sportelli né le reti dei
promotori, ovvero tutta l'attuale struttura distributiva, e quindi è presumibile che non quoteranno i propri fondi
o lo faranno soltanto con qualche prodotto-civetta. Ma c'è di più. Trovare i fondi nella piattaforma di Borsa e
comprarli con un semplice clic non avrebbe significato se il consumatore non potesse avere una qualche
forma di sconto sulle commissioni di gestione che oggi contengono una forte retrocessione alla rete
distributiva (più o meno due terzi del totale). In mancanza di uno sconto, il consumatore non risparmierebbe
nulla comprando in Borsa e anzi dovrebbe aggiungervi il costo della transazione. Ma, è questa la paura:
quando si apre una strada nuova si sa da dove si parte ma non dove si arriva. È certo che alcune fabbriche
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
96
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Fondi d'investimento la rivoluzione della Borsa
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
97
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
prodotto, magari escluse dalla vendita attraverso il canale bancario o dei promotori, cercheranno di farsi
strada con commissioni molto ridotte su Borsa Italiana. La previsione pressoché unanime degli operatori è
quindi che, almeno all'inizio, la quotazione riguardi pochi fondi. Si fa il nome, ad esempio, di AcomeA, l'sgr
indipendente di Alberto Foà (già fondatore di Anima). Ma c'è anche un altro problema: anche ammesso che
in prospettiva si abbassino i costi di gestione di alcuni fondi per chi acquista con Internet banking sulla
piattaforma di Borsa, chi oserà bypassare del tutto la rete bancaria o dei promotori per avventurarsi nel mare
magnum ma periglioso del fai-da-te? «La quotazione dei fondi - dice Maurizio Bufi, presidente dell'Anasf,
l'associazione dei promotori - riguarderà alla fine una nicchia di mercato. Ne usufruiranno soltanto i clienti
esperti, quelli che possono o pensano di costruirsi un' asset allocation da soli. La grande massa continuerà
ad affidarsi alle reti perché ha bisogno di essere consigliata. E poi, siamo sicuri che le società di gestione del
risparmio abbiano così tanta voglia di disintermediare il nostro settore? I fondi non si collocano da soli, hanno
bisogno di gente esperta che ne spieghi le caratteristiche e che riduca la carica emotiva dei clienti, sempre
pronti a uscire di fronte a una piccola turbolenza del mercato». Tutto bene, dunque, per banche e promotori?
La montagna della quotazione in Borsa partorirà alla fine soltanto un topolino? Ovvero pochi e residuali fondi
comprati e venduti da qualche appassionato (e supposto esperto) consumatore? Non è detto. Qualcuno
ricorda l'esperienza delle polizze Rc auto vendute online. All'inizio sembravano cose per alieni, ma oggi
hanno quasi raggiunto il 10% del totale. E continuano ad avere la maggior crescita fra i vari canali. Vendere
fondi non è certo come vendere polizze, però l'esempio resta lì come un monito a chi crede che le cose non
cambino e che la tecnologia non produca profondi mutamenti. Ma i promotori non tremano solo per questo.
Paventano infatti che la quotazione dei fondi sia solo un primo passo verso un maggior potere contrattuale
dei consumatori e quindi verso una discesa della remunerazione per i distributori. Oggi le commissioni di
gestione dei fondi, pur dichiarate nel prospetto di vendita, vanno per due terzi alle reti (di promotori o
bancarie). Quel che fa paura è la "soluzione inglese": lì le sgr non possono più retrocedere le loro fee ai
promotori,. Questi ultimi, se vogliono guadagnare, devono chiedere ai clienti una fee per la consulenza. Ma
solo i più attrezzati promotori sono riusciti a farlo: un quarto di loro, alla fine, è uscito dal mercato. GRUPPO
GENERALI INTESA SANPAOLO PIONEER INVESTMENT POSTE ITALIANE ANIMA HOLDING ALLIANZ
UBI BANCA MEDIOLANUM BANCO POPOLARE AMUNDI GROUP FRANKLIN TEMPLETON
INVESTMENT ARCA GRUPPO AZIMUT AXA
Foto: A destra, Palazzo Mezzanotte a Milano, sede di Borsa Italiana
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Troppa finanza poca economia
Marco Panara
La più sintetica fotografia del nostro tempo difficile è nel rapporto tra due numeri, nella cui gigantesca
differenza si annidano gran parte dei pericoli che ci minacciano. segue a pagina 8 segue dalla prima Il primo
è 75 bilioni di dollari, 75 mila miliardi, l'ammontare del prodotto lordo mondiale nel 2013. Il secondo è 993
bilioni di dollari, 993 mila miliardi, l'ammontare delle attività finanziarie globali alla fine dello scorso anno. Oggi
ambedue i numeri sono già più alti, e quando nei prossimi mesi avremo i dati del 2014 dovremo cominciare a
familiarizzarci con un nuovo termine: trilione, fino ad oggi utilizzato solo dagli informatici per contare i bit della
capacità di calcolo e dagli astronomi per misurare la distanza tra le stelle. Dal 2015 lo useremo anche in
economia per dare un nome a quella inquietante montagna di attività finanziarie che avrà superato il picco del
milione di miliardi, un trilione appunto. Il primo motivo per il quale quella montagna ci inquieta, oltre alla sua
dimensione, è la dinamica: in dieci anni il prodotto lordo mondiale è raddoppiato mentre il volume delle attività
finanziarie è triplicato. Il secondo motivo è la struttura di quella montagna: di quei 993 mila miliardi di dollari
solo 283 mila sono finanza primaria, ovvero azioni, obbligazioni e attivi bancari; tutto il resto, 710 mila miliardi
di dollari, sono invece prodotti derivati scambiati fuori dai mercati regolamentati, dei quali solo una piccola
quota è legata a transazioni che hanno a che fare con l'economia reale. Il grosso sono scommesse: sui tassi
di interesse, sulle valute, sui prezzi delle materie prime, sull'andamento degli indici azionari, sul fallimento di
stati o di grandi imprese. All'interno di quei 710 mila miliardi si annidano, secondo le stime della Banca dei
Regolamenti Internazionali, rischi massimi pari a circa 19 mila miliardi, una cifra superiore al prodotto interno
lordo degli Stati Uniti. I derivati inoltre, il grosso di quella montagna, sono la parte che negli ultimi dieci anni è
cresciuta più rapidamente surclassando la finanza primaria, il cui rapporto con il pil si è mantenuto
sostanzialmente stabile intorno a un multiplo di quattro, mentre i derivati sono passati da cinque a dieci volte
il pil. La finanza non è un nemico dell'economia, è anzi fondamentale per la sua crescita, e non lo è neanche
l'innovazione finanziaria in sé. Il problema è che la finanza è diventata un competitore dell'economia reale
nell'attrazione delle risorse, un potentissimo elemento di distorsione dei processi e delle politiche, un ancora
più potente fattore di instabilità i cui rischi sono amplificati dalla velocissima mobilità dei capitali e dalla
volatilità delle scelte, oltre che dalla dimensione delle risorse in gioco. L'esempio che fa in proposito il Global
Financial Stability Report pubblicato pochi giorni fa dal Fondo Monetario Internazionale, è quello di un rapido
aggiustamento nel settore delle obbligazioni che determini la variazione di 100 punti base (un punto
percentuale) nel rendimento medio: se questo accadesse il valore di mercato dei portafogli obbligazionari
subirebbe una perdita superiore all'8 per cento, pari a un controvalore di tremila 800 miliardi di dollari.
Passare dallo starnuto ad una polmonite quando in ballo ci sono cifre di questa dimensione, è questione di
attimi. Ma cominciamo dall'inizio. Il problema della competizione tra la finanza e l'economia reale non si
porrebbe se negli ultimi quindici anni non si fosse sviluppata impetuosamente quella che potremmo definire
"finanza sintetica" o "finanza di carta", che cioè vive di vita propria e assorbe risorse senza trasferirle
all'economia reale e quindi alla crescita. C'è molto rischio in questo tipo di finanza, ma ci sono anche
guadagni colossali e assai poche tasse (spesso nessuna), il che la rende assai attraente per i capitali in cerca
di opportunità. E' la ragione per cui il Fondo Monetario, nel Rapporto di cui sopra, segnala come primo fattore
di instabilità lo squilibrio tra gli investimenti finanziari e gli investimenti reali e indica nella costruzione di nuovo
equilibrio la ricetta necessaria per avere un futuro più tranquillo. Il Fondo non avrebbe nessun bisogno di
segnalare questo squilibrio se la finanza fosse al servizio dell'economia reale, perché l'investimento
finanziario (e il rischio connesso) sarebbero collegati all'investimento (e al rischio) economico. Se lo segnala
è perché quel collegamento non più così forte anzi è diventato assai debole, tanto da porre un problema
ulteriore, quello della efficacia delle politiche monetarie e del rischio della loro distorsione. E' il problema che
cerca di affrontare la Bce per esempio con la recente asta di crediti alle banche finalizzati all'economia reale,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
98
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
[ L'ANALISI ]
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
99
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
e che presto potrebbe fare un ulteriore passo con l'acquisto di "asset baked securities" (abs). Le politiche
monetarie espansive adottate dalle banche centrali per contrastare la crisi delle economie infatti hanno avuto
una efficacia limitata (o annullata) dal fatto che i miliardi immessi nel sistema non sono andati a finanziare
investimenti delle imprese e consumi delle famiglie ma soprattutto operazioni finanziarie. Che notoriamente
non aumentano l'occupazione, non si trasformano in pil e neanche in gettito fiscale aggiuntivo per le esauste
casse degli stati. Di qui il paradosso che la politica monetaria per raggiungere i suoi obiettivi deve oggi
ricorrere a strumenti non convenzionali: come la finanza ha sempre innovato per trovare il modo di aggirare i
vincoli posti dalle banche centrali, ora sono le banche centrali a dover innovare per trovare il modo di aggirare
le sabbie mobili della finanza. Ma, come ci ricorda Draghi a ogni piè sospinto, la politica monetaria - anche se
come tutti (salvo la Germania) speriamo, riuscirà ad essere innovativa ed efficace - non basta. L'economia
reale deve trovare in se stessa la capacità di competere con la finanza per attrarre risorse, cioè investimenti.
Come? Ci vuole l'altra politica, quella capace di fare da una parte le riforme necessarie per la competitività e,
dall'altra, di far pagare le tasse anche a chi fa i soldi con la finanza di carta. Se l'economia paga le tasse e la
finanza di carta no non ci sono riforme strutturali che tengano, vincerà sempre la seconda. E noi saremo
sempre più poveri.
Foto: Il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli (1), Raffaele Jerusalmi (2), presidente di Borsa Italiana e Maurizio
Bufi (3), presidente dell'Anasf
Foto: Nel grafico a sinistra, l'inarrestabile crescita delle attività finanziarie, che solo in parte contribuiscono
alla crescita dell'economia
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Finmeccanica Moretti anno zero
Roberto Mania
Mauro Moretti ha cambiato idea. Quando era amministratore delegato delle Fs, committente importante dei
treni di Ansaldo Breda (suo l'Etr 500 Frecciarossa così come il nuovo Etr 1000), tuonò: «Non possiamo
perdere settori perché uno non li considera core business e li deconsolida». Ma ora che è diventato il numero
uno di Finmeccanica vuole vendere le controllate dei trasporti. segue a pagina 4 con un articolo di Massimo
Minella segue dalla prima Ansaldo Breda e Ansaldo Sts rappresentano meno del 10 per cento del fatturato di
tutto il gruppo. Ha bisogno di soldi, Moretti. E ha troppi debiti. Spiega: non possiamo permetterci di restare nel
settore dei trasporti. Tanto più che Ansaldo Breda (100 per cento di Finmeccanica) - non il gioiellino del
segnalamento (40 per cento), quotato alla Borsa di Milano, che macina utili - accumula centinaia di milioni di
perdite ogni anno. E poi tutti i grandi dei trasporti sono in crisi di questi tempi: Alstom, Bombardier, Siemens.
Tempi grigi. Viste da vicino, dunque, le prospettive mutano. E un manager non può avere pregiudizi e vivere
di coerenze improduttive. È che allo stato sono le prospettive della holding di piazza Monte Grappa che
restano incerte. Quale sarà la Finmeccanica di Mauro Moretti? Questo non è ancora chiaro, appunto. Il piano
industriale arriverà solo a dicembre e il 5 novembre ci sarà la nuova trimestrale, in linea con la precedente,
cioè con più debiti e meno ordini. Non una bella trimestrale. Per ora Moretti ha detto quello che non farà più,
chiudendo definitivamente con la lunga stagione segnata dalle scelte industriali e non solo di Pier Francesco
Guarguaglini con la quale, per ragioni diverse, avevano dovuto fare i conti sia Giuseppe Orsi sia Alessandro
Pansa. Moretti è più forte di entrambi avendo un mandato chiaro da parte dell'azionista di riferimento, cioè del
governo (il 30,2 per cento è controllato dal Tesoro) e ancor più precisamente del premier Matteo Renzi da cui
è stato scelto: portare Finmeccanica oltre la seconda Repubblica. Perché Finmeccanica non è mai stata solo
la grande holding tricolore dell'aerospazio, della difesa, della sicurezza, dei trasporti (ancora per poco) e un
tempo pure dell'energia; il mega gruppo da poco meno di 60 mila dipendenti, che genera circa lo 0,6 per
cento del nostro Pil, e il cui investimento in ricerca rappresenta più del 6 per cento del totale degli investimenti
italiani (pubblici e privati) nel settore. Finmeccanica, con le sue aziende, è stata il teatro delle grandi
spartizioni, della lottizzazione partitica e sindacale nella prima Repubblica dei boiardi di Stato, e poi della
distribuzione delle poltrone tra le lobby della Seconda dei partiti personali, tra scorribande di affaristi e di
manager profumatamente pagati ma non sempre preparati adeguatamente. Infine di sovrapposizioni
produttive che hanno nuociuto non poco alla redditività complessiva. Ora la mammella-Finmeccanica ha
terminato il suo latte, e se non si trasforma "solo" in un'azienda non ha un gran futuro davanti. Moretti,
ruvidamente, l'ha anche sostenuto davanti ai parlamentari senza fare sconti ai suoi predecessori. «Dobbiamo
costruire un core business in cui concentrare tutte le risorse produttive e umane che abbiamo. Per non
scomparire dobbiamo avere manager competitivi e fornitori qualificati». E nel palazzo romano color fumé ha
diffuso la paura che in parte ha prodotto la paralisi. Nello stesso tempo non si può del tutto dire, guardando la
composizione del board di Finmeccanica dove la logica nuova della lottizzazione personale ha fatto capolino
(nel cda è arrivato pure il renziano Fabrizio Landi finanziatore delle campagne per le primarie del leader Pd),
che siamo davvero di fronte a un nuovo inizio, a una sorta di rifondazione. Ma la discontinuità (rottamazione?)
morettiana c'è stata, eccome, nella riorganizzazione interna, nel ricambio e nei tagli delle prime linee.
Addirittura si torna a parlare, come ai tempi di Alessandro Pansa, di un cambio del nome del gruppo per
ricostruire anche un'immagine macchiata dagli scandali nazionali e intercontinentali, come quello degli
elicotteri in India. La reputazione, infatti, è un bene primario per un gruppo che opera nel mondo. Moretti ha
portato con sé una parte del management delle Ferrovie alla Finmeccanica, nella logica della fedeltà più che
del merito. Non ha ricercato una selezione competitiva all'interno, come per esempio fece Sergio Marchionne
quando atterrò a Torino. Ha scelto, l'ingegnere riminese, un'altra strada per la presa del potere. Proviamo
allora a distinguere i due piani, quello per così dire politico, da quello delle strategie aziendali che dovranno
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
100
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
[ L'INCHIESTA ]
27/10/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
101
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
condurre alla Nuova Finmeccanica. E a trovare poi le inevitabili interconnessioni. La rupture all'interno c'è
stata, dunque. A Piazza Monte Grappa non c'è più il direttore generale, la carica l'ha assunta lo stesso
Moretti. Sergio De Luca, già amministratore delegato di Ansaldo Sts, è saltato mentre, alla vigilia dell'approdo
del "Ferroviere", sembrava destinato ad avere un rapporto privilegiato con il nuovo capo azienda per la
comune esperienza nel campo dei trasporti. Alle risorse umane e agli affari legali ci sono due uomini targati
Fs: rispettivamente Domenico Braccialarghe e Andrea Parrella. Viene dalle Fs anche il responsabile delle
relazioni esterne e istituzionali, Federico Fabretti. Completano la squadra di comando Gian Piero Cutillo, cfo
del gruppo, Francesco Lalli, responsabile dei Programmi di finanziamento nazionale e comunitario, Tommaso
Profeta, uomo di fiducia del presidente Gianni De Gennaro, a capo della sicurezza. C'è poi soprattutto
Giovanni Saccodato, direttore delle strategie che ha incrementato le sue funzioni con la responsabilità pure
dello sviluppo dei mercati e del business. Saccodato è uomo di cultura industriale, che ha gestito il passaggio
di Ansaldo Energia al Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti, ed è destinato ad assumere un
ruolo chiave nel riassetto gestionale di Finmeccanica. Ma la via morettiana alla conquista di Finmeccanica
passa da un ripensamento radicale del rapporto tra la holding e le società operative del core business di
aerospazio e difesa, controllate al 100 per cento, che sono pronte a diventare divisioni. Gli uffici dei rispettivi
capi azienda, tra malcelati malumori, sono stati portati al primo piano di Piazza Monte Grappa. Chiuse le
costose sedi romane. Spostati gli head quarter nei siti produttivi. Si dice che Moretti eserciti un controllo
ferreo finanche sulle trasferte dei top manager. Qualcuno sta pensando di andarsene. Lo stesso Giuseppe
Giordo, ad di Alenia, in buoni rapporti con quel Valentino Valentini factotum per le questioni estere
berlusconiane, e che puntava alla successione a Pansa, potrebbe staccare la spina o essere costretto a farlo.
Voci o forse anche veleni. Nel nuovo perimetro del core business di Finmeccanica che è poi quello disegnato
da Pansa non c'è posto così per i trasporti. Entro la prima decade di novembre i cinesi di Cnr e i giapponesi
di Hitachi dovrebbero presentare le offerte vincolanti per Ansaldo. Renzi sembra prediligere la via cinese, ma
la partita appare apertissima. Comunque vendere non vuol dire fare sviluppo, al massimo si chiude qualche
falla. E poi le ristrutturazioni delle varie divisioni proseguiranno (Moretti ha parlato di due anni di
riorganizzazione) fino a far stimare ai sindacati almeno duemila lavoratori in eccedenza. E una Finmeccanica
più piccola non è affatto detto che possa fare massa critica più facilmente. Anzi. Le dimensioni nei settori
dell'alta tecnologia (elicotteristica, difesa, aeronautica, sicurezza) non sono un fattore secondario anche solo
per accedere alle gare internazionali. Moretti dovrà cercare gli alleati, diversi in ciascun settore. Qui si
misureranno davvero le sue capacità. E dovrà dimostrare di non essere «il becchino» di Finmeccanica come
egli stesso ha detto nell'ultima audizione nella commissione parlamentare. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: L'ad e direttore generale di Finmeccanica Mauro Moretti
Foto: DOPO LA TRIMESTRALE Il piano industriale arriverà dopo la trimestrale del 5 novembre. I numeri non
sono buoni ma saranno la base sulla quale l'amministratore delegato di Finmeccanica ridisegnerà il futuro del
gruppo
Foto: Qui sopra, l'ad e direttore generale di Finmeccanica Mauro Moretti a bordo dell' M-346 esposto la
scorsa estate a Le Bourget in occasione dell'ultimo World Air Show
27/10/2014
Corriere Economia - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
Agenda digitale, due anni solo per completare il «log-in»
sergio rizzo
Altri ragazzi italiani che l'occasione della vita hanno dovuto cercarla all'estero. A Londra, dove in un amen
hanno trovato chi era disposto a finanziare lo loro idea: una piattaforma internet per imparare le lingue. Che
sta letteralmente spopolando. L'indirizzo: www.fluentify.com .
La cosa è riuscita così bene che Giacomo Moiso e i suoi compagni d'avventura hanno deciso di tornare in
Italia, a Torino, con il proposito di assumere 20 ragazzi. La ragione l'ha spiegata il medesimo Moiso, 26 anni il
prossimo dicembre, secondo il quale i nostri giovani sono maghi di internet. «Fra i più bravi al mondo»,
garantisce. A dispetto di una realtà che colloca il Paese al novantasettesimo posto fra 193 nazioni per
velocità di download , dietro la Grecia e appena davanti al Kenya, o in fondo alla graduatoria europea per i
rapporti telematici fra i cittadini e la pubblica amministrazione.
Ecco perché dopo aver sentito il premier Matteo Renzi invocare ripetutamente la rivoluzione digitale, ti aspetti
di veder comparire almeno uno di questi giovani geni italiani, costretti come Moiso ad andare all'estero, nella
famosa Agid: l'ente pubblico che dovrebbe far uscire finalmente il Paese dal medioevo informatico. Invece
niente. Lo scorso mese di luglio il ministro Marianna Madia ha proceduto alla nomina del nuovo direttore
generale. Il posto è andato ad Alessandra Poggiani, 43 anni, un curriculum denso di incarichi in società
informatiche pubbliche, dall'Enel al Comune di Roma alla Regione Lazio, al Comune di Venezia. Fra le sue
esperienze troviamo anche quella di «senior advisor» nella società di lobbying Reti fondata dall'ex braccio
destro di Massimo D'Alema, Claudio Velardi, e alla quale partecipava anche Irene Pivetti.
Valeria Covato del sito Formiche.net , che ha seguito passo passo le vicende dell'Agenzia per l'Italia digitale,
ha ricordato che nel 2007 Alessandra Poggiani era stata fra i più attivi sostenitori della candidatura di Enrico
Letta alla segreteria del Pd. Aggiungendo che nella corsa alla direzione dell'Agid aveva battuto nientemeno
che Stefano Quintarelli, già vent'anni fa fondatore di I.Net, ritenuto un guru dell'internet made in Italy. Il quale
è stato però risarcito con la repentina nomina a presidente del comitato d'indirizzo della stessa Agid. Non
direttore generale: direttore d'orchestra. Ma con incarico gratuito (a differenza dei 168 mila euro lordi spettanti
ad Alessandra Poggiani). Ragion per cui, ha spiegato Alessandro Longo sul Sole 24ore , Quintarelli «potrà
rimanere parlamentare». Perché si dà il caso che il presidente del comitato d'indirizzo dell'Agid sia un
deputato di Scelta civica. E, a dirla tutta, qualunque motivazione non fuga i dubbi circa l'opportunità che un
parlamentare, gratuitamente o meno, decida le strategie di un ente pubblico.
Ma torniamo ai nostri giovani geni digitali. Dove saranno finiti? Forse più in basso, sul ponte di comando?
Macché. Dei cinque dirigenti uno proveniente dai ruoli della presidenza del Consiglio e quattro dal Cnipa, il
centro per l'informatica della pubblica amministrazione, figlio della vecchia authority (l'Aipa, qualcuno
ricorderà) disciolta quindici anni fa e padre dell'inconcludente Digitpa. Età: quarantatré, cinquantacinque,
sessantuno, sessantadue e sessantacinque anni. Dove cercare allora i giovanissimi maghi di internet?
Magari nelle strutture operative... Allora entriamo nella pagina web del personale alla voce: dotazione
organica. Che avverte: «I documenti non sono ancora pubblicati perché in fase di definizione».
L'Agid è stata costituita con una legge dell'agosto 2012, quando Fluentify non era ancora neppure nato. In
due anni hanno nominato due direttori, messo un parlamentare cinquantenne della maggioranza, pur
espertissimo della materia, a guidare il pensatoio e affidato la struttura a un gruppo dirigente proveniente
dalla burocrazia pubblica, due terzi del quale assai vicino alla pensione. Sicuri che sia la strada giusta per
uscire dalla preistoria digitale?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Agid La direttrice generale Alessandra Poggiani
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
102
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La pubblica lentezza Il portale governativo e il sogno, realizzato, da Giacomo Moiso che, nello stesso tempo,
ha creato e lanciato Fluentify (da Londra)
27/10/2014
Corriere Economia - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
La strana coppia che dovrà dare fiducia all'Italia migliore
DANIELE MANCA
A vremo un'Europa sempre più segnata dall'Italia. Ma che sia l'Italia migliore, quella delle imprese e dei
cittadini che non si sono arresi alla crisi. In queste ore, in questi giorni, il nostro Paese ha fatto la differenza in
un'Unione assopita sui suoi problemi e ostacoli. Il premier Matteo Renzi è sembrato voler rincominciare, sul
più ampio terreno di gioco del Vecchio Continente, la rincorsa alla rottamazione di riti e persone provocando
più di una riflessione su cosa dovrà essere la Ue nel futuro. Mario Draghi, presidente della Bce, sta tenendo
saldo il timone dell'istituzione che più di ogni altra appare come il paracadute dell'Europa e degli europei.
Troppo spesso si tende a fare della Ue il bersaglio facile dei problemi di qualsiasi Paese. Dell'euro il capro
espiatorio della mancata crescita e il simbolo di un fallimento. Si dimentica con leggerezza che è stato grazie
alla moneta unica, e ai tassi accessibili, che almeno due milioni di italiani hanno potuto indebitarsi e comprare
una casa. E parlare di fallimento della valuta che mantiene quotazioni elevate (forse troppo) rispetto al dollaro
è un controsenso. Andare verso un cambiamento delle regole che legano i 28 Paesi può rappresentare una
giusta direzione se quelle norme non stanno funzionando a dovere. Ma non deve trasformarsi in un
messaggio di «liberi tutti», in una delegittimazione di Bruxelles che avrebbe solo l'esito di un disfacimento e
non di un rafforzamento dell'Europa. Un pericoloso avviarsi verso la destabilizzazione nemica da sempre dei
cittadini. E tra loro di quelli meno attrezzati a subire le difficoltà di una crisi continua. La richiesta di una
maggiore condivisione delle politiche di bilancio avanzata da Draghi la settimana scorsa non è un rituale
richiamo. È il sottolineare come la comprensione di eventuali punti deboli nei patti non significhi eluderne i
principi, quanto delinearne di più efficaci. Il lavoro del premier e del presidente Bce deve contribuire a
ricostruire quella fiducia che l'Europa ha perso. Solo allora avrà vinto l'Italia migliore: quella che dà speranza
e certezze ai cittadini.
Daniele_Manca
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
103
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL PUNTO
27/10/2014
Corriere Economia - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
Effetto stress-test Da oggi riparte il risiko *
STEFANO righi
A pagina 4 Promossi, bocciati, rimandati. Nell'atrio dell'istituto (centrale europeo) sono stati appesi ieri
mattina i tabelloni con gli esiti degli scrutini. La più grande operazione di politica bancaria dai tempi
dell'introduzione dell'euro è finalmente messa alle spalle, dopo mesi di lavoro intenso, talvolta confuso,
scenari apocalittici e visioni strategiche. Siamo al giorno zero, da qui si ricomincia. La prossima settimana,
martedì 4 novembre, la Banca centrale europea prenderà in mano la vigilanza diretta sulle attività, i conti e le
dinamiche di crescita delle prime 131 banche europee, 14 le italiane.
Passo avanti
L'obiettivo è a un passo, la creazione dell'Unione bancaria europea, ancora una volta un progresso tecnico
anziché politico, sulla via dell'unione continentale. Da quel traguardo, ci separano pochi mesi e alla fine tutto
quanto si è creato in quest'ultimo anno, con le attività di supervisione sui bilanci bancari, gli attivi e gli stress
test, appare come un gigantesco momento catartico, dopo il quale nulla sarà come prima. Al di là delle
singole prescrizioni, dei promossi e dei bocciati, appunto, la tendenza era chiara fin dall'inizio e lo strappo in
avanti avviene nel rispetto di linee che erano già state tracciate nel passato. Se Unione europea deve essere,
le banche non potranno continuare a ragionare solo su base localistica. E la trasparenza dovrà diventare
regola. Non solamente in Italia, dove operano un gran numero di banche popolari e di banche di credito
cooperativo, ma ovunque, Germania in primis se, come pare, le landesbank hanno ottenuto finanziamenti
dallo stato, a vario titolo, per qualche centinaia di miliardi di euro.
Una storia ben diversa da quella dell'italiana Monte dei Paschi di Siena, sulle cui sventure, peraltro causate
da una gestione disinvolta di quella che era diventata la terza banca italiana, lo stato italiano ha guadagnato,
salvando sì l'istituto nel momento del bisogno, ma ricavando cedole rilevanti dal proprio finanziamento e
l'intera restituzione del debito.
Aggregazioni
Che stesse per iniziare una nuova partita a risiko era ormai sentimento comune. Un manager equilibrato e
attento come Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, non avrebbe altrimenti dichiarato, nelle giornate di
vigilia, che «Intesa sarà polo aggregante», spiegando poi che Cà de Sass sarebbe stata pronta a operazioni
mirate subito dopo gli scrutini della Bce. E le indicazioni emerse ieri da Francoforte sono tutt'altro che
sorprendenti, la tendenza era già stata delineata. Non servivano infatti 12 mesi di indagini per capire che
Carige, Monte dei Paschi e diverse popolari, con la netta esclusione di Ubi, avessero dei problemi.
In un mercato che ha moltiplicato le proprie dimensioni, dai 60 milioni di italiani ai 500 milioni di europei, le
dimensioni non sono un fattore secondario. Così come la struttura proprietaria. Nel massimo rispetto dei
valori della cooperazione, che merita attenzione e distinguo, il mercato finanziario risponde ad altre logiche.
Chiarezza
Le regole sono chiare, è necessario adeguarsi. Le battaglie di retroguardia sono destinate a raccogliere poco
in un mondo dove la tedesca Deutsche Bank è stata chiamata, a primavera, a sottoscrivere un aumento da 8
miliardi di euro (a Mps ne son bastati 5) e dove nonostante la strenua difesa politica anche le landesbank
tedesche hanno dovuto abbassare il capo.
Che Carige avesse dei problemi di patrimonializzazione, lo si era capito anche senza stress test , sarebbe
bastato partecipare all'assemblea dell'aprile 2013 per vedere nitidamente come lo standing europeo fosse
lontano da quella banca, già oggi enormemente cambiata. E se a inizio 2014 Ignazio Visco, per il tramite
della Banca d'Italia, avvallava l'ipotesi di un accordo tra le due principali banche popolari non quotate, la
Vicenza e la Veneto, non era certamente per abbattere uno dei due campanili, ma forse per creare una torre
più alta e più solida di quei campanili. Una situazione con ampie sovrapposizioni territoriali, così come accade
in Valtellina, con il dualismo tra Popolare di Sondrio e Credito Valtellinese. Al punto che il componente
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
104
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Credito
27/10/2014
Corriere Economia - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 1
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
105
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
olandese di una delle tante commissioni di analisi di Francoforte, contestò alla prima seduta un errore nelle
composizione della lista delle banche italiane, incredulo di come un territorio circoscritto come la Valtellina
fosse in grado di generare due distinte realtà bancarie di livello nazionale.
Pronti via
Il consolidamento porterà a un profilo più snello dei grandi gruppi, che dovranno diminuire nel numero e
aumentare negli attivi. Meno banche, più solide e patrimonializzate. Hanno iniziato, lontano dalla Bce, venerdì
scorso, la Popolare di Marostica e la Popolare dell'Alto Adige-Volksbank, fondendosi nel rapporto di 1:2,656.
Ora si inizieranno le grandi manovre, gli arrocchi. Ci sono nove mesi di tempo per raggiungere gli obiettivi
fissati e dalla prossima settimana inizieranno a giungere i risultati del terzo trimestre dell'anno. Poi, con
l'approvazione dei bilanci, nella primavera prossima, si aprirà la corsa alle alleanze o alle acquisizioni. Non
solo Intesa appare possibile polo catalizzatore, anche Ubi, Unicredit e, in ambiti più circoscritti, il Banco
Popolare, Bpm e la Bper.
@Righist
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Unicredit Federico Ghizzoni Intesa Sanpaolo Carlo Messina Ubi Victor Massiah Monte dei Paschi
Fabrizio Viola Carige Piero Luigi Montani Popolare di Milano Giuseppe Castagna Cura dimagrante
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre 2014
Pag. 12
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Angelo De Mattia
Domenica 26 ottobre, non sarà il giorno del giudizio, nel significato biblico metaforico, per le 15 banche
italiane sottoposte alle prove dell'asset quality review e degli stress test. Sarà, sì, un momento importante,
straordinario, ma che avrà pure bisogno di essere depurato da una infondata drammatizzazione costruita da
organi di stampa, in specie esteri. Intanto, l'esito della prima di queste due prove, riguardante gli asset al 31
dicembre scorso, non va affatto sottovalutata, come, invece, starebbe accadendo in funzione della maggiore
attenzione alle prove di stress. Essa valuta la condizione degli asset e la loro adeguatezza rebus sic
stantibus, in un periodo, per di più, non certo facile. Se risulterà che tutte le banche italiane hanno superato
tale review si tratterà di un esito particolarmente significativo, che non potrà non essere valorizzato, in chiave
sistemica e delle singole realtà aziendali. Non farlo, costituirebbe una grave lacuna nell'analisi degli
osservatori. Se, poi, si passa dalle condizioni che possiamo definire, tutto sommato, dell'oggi agli scenari
particolarmente avversi degli stress test, insomma all'immaginazione di condizioni catastrofiche, peraltro già
sperimentate in ben sei anni di crisi e in tre anni, per l'Italia, di sostanziale recessione, allora potrà pure
essere possibile che qualche banca abbia bisogno di ulteriori rafforzamenti di capitale per essere
prontamente in grado di reagire a questi ipotizzati scenari di massima avversione. Ma ciò potrà avvenire nel
contesto di risultati pienamente rassicuranti a livello sistemico - e non è affatto poco - e con apporti
presumibilmente non stratosferici, senza peraltro escludere quelle componenti oggetto di minore, ma
difficilmente condivisibile, considerazione da parte della Bce e che pure sarebbero valide ai fini del
consolidamento in questione. Gli scenari che abbiamo qualificato come sopra sono di assai rara verificabilità.
Ciò non significa che non valga lo estote parati. Esiste, tuttavia, quel giusto mezzo, che è fondamentale in
tutte le attività e le previsioni e che dovrà essere di miglior guida per il futuro, nel quale andranno ripensate le
prove della specie implicanti tempi, verifiche, passaggi procedurali lunghi, defatiganti ed esposti a
strumentalizzazioni e distorsioni di informazioni, con il di più della opinabile,a dir poco, partecipazione di
società di consulenza esterne. Se, comunque, danni gravi non ne saranno scaturiti e, nel complesso,
entrambe le prove, con le opportune differenziazioni, risulteranno accettabili, ciò sarà dovuto, non solo per le
nostre 15 banche ma per tutte le 130 coinvolte, alla componente italiana, forte della sua alta qualificazione ed
esperienza di Vigilanza, partecipante, come Banca d'Italia, all'organizzazione delle prove e alla
sovrintendenza a esse. Non certo per lassismo, ma per una visione improntata al rigore e alla razionalità non
disgiunti da un doveroso realismo e da una profonda conoscenza dell'operare degli istituti e dei differenti
rischi. Fondamentale risulteranno il ruolo e la saggezza del vice direttore generale di Via Nazionale, Fabio
Panetta, di riconosciuta competenza a livello internazionale. Quando questa lunghissima vicenda sarà
chiusa, e si spera che accada sollecitamente, bisognerà concentrarsi sugli attivi degli istituti, sull'erogazione
dei prestiti, sulla valutazione del merito di credito, sulla conoscenza del cliente non esclusivamente attraverso
il computer, in generale sui rapporti con l'utenza, sulla valorizzazione del risparmio e sulla diversificazione
delle forme di raccolta. Non perdiamo di vista i fini, la ragion d'essere di una banca, ancor più se i risultati
anzidetti risulteranno nel complesso positivi. Insomma, ora si apra una fase nuova. (riproduzione riservata)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
106
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Perché una bocciatura non minerebbe la solidità del sistema
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre 2014
Pag. 13
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Si volta davvero pagina
Luca Gualtieri
Il cambiamento non sarà immediato, ma certamente da domenica 26 l'assetto del sistema bancario italiano
comincerà a mutare. Gli istituti più fragili saranno fisiologicamente assorbiti da quelli provvisti della maggiore
dotazione patrimoniale, anche se non ci sarà nulla di analogo alle grandi fusioni pre-crisi. Ma resta da
dimostrare che il gigantismo sia un valore indiscusso. Ne è convinto Andrea Resti, docente di Economia degli
intermediari finanziari all'Università Bocconi e vicepresidente del Banking stakeholder group dell'Eba.
Domanda. L'esito del comprehensive assessment e l'entrata in vigore della Vigilanza Unica potrebbero
modificare in profondità gli assetti del sistema bancario italiano? Risposta. Mi pare probabilee per certi aspetti
auspicabile. Non mi aspetto mutazioni sconvolgenti nella prima fase di operatività del Meccanismo di
Vigilanza Unica, che ancora deve rodare i propri assetti operativi e stabilire sul campo alcune regole del
gioco. Il cambiamento potrebbe interessare alcune grandi banche che negli ultimi anni si sono aperte a una
struttura dell'azionariato più frazionata e volatile, ma anche banche popolari e fondazioni, che a torto o a
ragione vengono spesso citate dagli osservatori internazionali come una peculiarità italiana non priva di
aspetti problematici. Chissà poi che non possa riguardare anche la governance, sperando che l'espressione
«salotti buoni» risulti intraducibile in tedesco. D. Ritiene probabile una nuova stagione di m&a? R. Penso
esistano istituti di medie e piccole dimensioni con aspetti problematici, che un nuovo picco recessivo
potrebbe acuire, per tacere dei possibili effetti di un rialzo dello spread sul debito sovrano. Non mi pare
sbagliato che le Autorità di vigilanza seguano con attenzione i destini di questi intermediari, cercando di
individuare i potenziali compratori sul mercato, nel rispetto delle logiche di mercato. D. Quali potrebbero
essere le differenze con la stagione delle grandi fusioni? R. La principale differenza è la mutata redditività del
business bancario. La precedente ondata è avvenuta in un quadro di Roe a due cifre e da aspettative di
crescita di margini e volumi che rendevano sostenibile una struttura di costi non sempre ottimale, inclusi certi
cda pletorici. Oggi nessuna banca è in grado di offrire agli azionisti un adeguato rendimento corretto per il
rischio. Più spesso il guadagno è simile a quello di un Btp, ma su un investimento che include il rischio di un
default del debito sovrano e un rischio d'impresa potenzialmente elevato. Bisognerà dunque verificare quanto
gli investitori siano ansiosi di finanziare nuove aggregazioni. D. Quale potrebbe essere il profilo dei poli
aggreganti e delle banche aggregate? R. I compratori dovranno avere, come ovvio, requisiti patrimoniali al di
sopra di ogni sospetto, ma anche una buona redditività della gestione caratteristica a garanzia degli equilibri
finanziari futuri. Completano il quadro un buon rapporto con gli investitori istituzionali, una credibile capacità
di operare un turnaround e un nucleo di controllo coeso in grado di affrontare i possibili rischi di diluizione. Le
banche aggregate saranno quelle più in debito d'ossigeno, sotto il profilo reddituale e del capitale di rischio.
D. Potrebbero essere le banche popolari le più interessate dal m&a? R. È una possibilità. Molto dipenderà
dalla capacità della nuova vigilanza di comprendere un fenomeno complesso e non privo di ombre, ma anche
di potenzialità positive. Che possono essere valorizzate anche nel rispetto del principio cooperativo, senza
cedere al pensiero unico della banca spa. D. È realistico pensare di applicare anche in Italia la
semplificazione avvenuta nelle banche spagnole? R. Per fortuna l'Italia non ha conosciuto uno shock
paragonabile a quello spagnolo, dove lo scoppio di una gigantesca bolla immobiliare ha reso urgente
l'intervento di capitali internazionali a supporto di un settore in una situazione molto critica. Ma in presenza di
ulteriori tensioni nell'Eurozona anche alle banche italiane potrebbe essere chiesto di affrontare in tempi brevi
una razionalizzazione dolorosa. D. Quali potrebbero essere gli elementi di resistenza a questa nuova
stagione di m&a? R. Le fondazioni azioniste o i piccoli soci delle popolari potrebbero certo manifestare riserve
su un processo di integrazione che allunghi la distanza tra territorio e strutture centrali delle banche, e da
questo punto di vista non è detto abbiano sempre torto. Più in generale, dopo che la ricerca economica ci ha
mostrato i rischi che le megabanche pongono alla stabilità sistemica, esercitare un vaglio critico nei confronti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
107
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
BANCHE/4 INTERVISTA
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre 2014
Pag. 13
(diffusione:100933, tiratura:169909)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
delle operazioni proposte dal management non mi pare una cattiva idea. (riproduzione riservata)
Foto: Andrea Resti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
108
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre 2014
Pag. 14
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Dove va la formica italiana
Angelo De Mattia
Con l'intervento, oltreché del presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, e del presidente dell'Abi, Antonio
Patuelli, del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, e del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan,
si celebrerà, il prossimo 31 ottobre, la settimana del risparmio. Come di consueto, l'evento sarà preceduto, il
giorno 30, dalla pubblicazione dei risultati di un'indagine sulla propensione al risparmio degli italiani e sulle
loro attese in merito, fatta realizzare dall'Acri, che andrà esaminata con grande attenzione per l'evoluzione
che è intervenuta in questa materia prima, fondamentale per il rilancio degli investimenti. In effetti, da tempo
ci siamo progressivamente allontanati dalle alte percentuali di propensione rispetto al reddito che toccavano il
20%. Oggi siamo intorno all'8-9%, con una differenza tra famiglie e imprese e con queste ultime che
presentano una più alta propensione a fronte di quella delle famiglie: il che conduce alla media indicata. La
formica italiana di un tempo non è diventata cicala, ma, soprattutto negli ultimi anni, il livello del reddito
disponibile non ha consentito l'alta accumulazione del risparmio di molti anni fa, quando l'allora Governatore
della Banca d'Italia, Antonio Fazio, esortava affinché, agendo con la leva della politica economica e di finanza
pubblica nonché delle riforme di struttura, si fissasse l'abbondante risparmio nello sviluppo dell'economia
reale. Nella crisi che dura da sei anni e nella recessione che sostanzialmente domina da tre difficilmente si
sarebbe potuto registrare un deciso incremento del risparmio. È vero che la condizione di deflazione e di
recessione può avere come effetto l'astensione da un certo tipo di consumi anche delle fasce intermedie di
reddito, con il conseguente incremento dei risparmi; ma non è tale la forma fisiologica di aumento di questa
preziosa ricchezza, un incremento che, poi, nel caso, non risulterebbe particolarmente rilevante. Né si può
arrivare a esaltare l'eventuale adesione al Tfr in busta paga, anziché preferire il suo accumulo in funzione
previdenziale, come è stato detto da un ministro, perché così si privilegerebbe il consumo, come è necessario
in questa fase: ciò, invece, andrebbe fatto non con apporto di risorse da tempo destinate a una fase più
avanzata della vita, al momento cioè della conclusione del rapporto di lavoro, ma con denaro fresco immesso
in circolazione per stimolare la domanda. C'è comunque da capire quanto vi è di strutturale
nell'abbassamento della propensione in questione e quanto potrà ancora essere oggetto di una inversione di
tendenza. Politica economica, interna ed europea, volta al ritorno della crescita, politica monetaria espansiva
e miglioramento della regolamentazione e del funzionamento dei mercati sono gli ingredienti necessari per
una ripresa della formazione del risparmio e per lo sviluppo degli investimenti. Il risparmio è
costituzionalmente garantito anche in funzione dello sviluppo del suo impiego attraverso l'attività creditizia.
Politiche di tassazione eccessiva sulle rendite finanziarie che vogliono apparire necessarie e socialmente
eque, dimenticando che il risparmio oggi, sia pure in quantità diversificate, è interclassista, non ne aiutano la
formazione. Così come una regolamentazione sia dell'attività bancaria sia di quella finanziaria risalente,
rispettivamente, a venti e a sedici anni fa, appare sempre più inadeguata, pur considerando le leggine che
sono seguite, a favorire il miglioramento dell'efficienza e della concorrenza tra gli intermediari. Vi è, poi, il
ruolo, cruciale, esercitato dall'Unione europea, ora che molta parte della legislazione ha origini comunitarie e
la centralizzazione della Vigilanza bancaria partirà concretamente quattro giorni dopo la Giornata del
risparmio. Da questo versante, non possiamo non rilevare l'inadeguatezza del processo per una nuova
regolamentazione delle attività economiche e finanziarie dopo la tempesta perfetta e, in specie, dello shadow
banking, del too big to fail, delle Sifi (le istituzioni finanziarie con potenziali rischi sistemici), dei derivati, degli
hedge fund, delle agenzie di rating. Si badi bene: non è un parlar d'altro. Le misure segnalate intervengono
sui rami alti delle infrastrutture finanziarie, ma gli effetti di una buona regolamentazione si riverberano, in
ultima analisi, sull'attività di raccolta del risparmio e di impiego da parte degli intermediari bancari e finanziari.
La stabilità sistemica e aziendale è fondamentale per la tutela del risparmio. Un punto cruciale è dato
dall'equilibrio dei conti pubblici e da un livello sostenibile del debito sovrano che non impatti negativamente
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
109
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I VOSTRI SOLDI
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre 2014
Pag. 14
(diffusione:100933, tiratura:169909)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
110
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
sull'esposizione delle banche, come è accaduto nel vivo della crisi europea. Occorre, altresì, porsi l'obiettivo
di creare più diretti canali di collegamento tra risparmio e investimenti, al di là del circuito bancario. Poi, vi è
l'ampio spazio che spetta alla politica monetaria, a maggior ragione ora che è affiancata dalla Vigilanza
centralizzata per le banche cosiddette europee. In questa fase, la tutela della stabilità dei prezzi esigerebbe
misure ancor più decise della Bce per allontanarsi dai rischi di deflazione nell'area (mentre si sono già
materializzati in alcuni Paesi). L'ultima prova sarà data dagli effetti dell'acquisto, da parte della Banca
centrale, dei covered bond e degli Abs (questi ultimi partiranno a dicembre) dopodiché, nel caso di un
risultato insoddisfacente o solo parzialmente soddisfacente, sarà giocoforza passare al Quantitative easing di
titoli pubblici e privati, nonostante l'opposizione dei tedeschi. In una più ampia prospettiva, il problema
dell'ampliamento del mandato della Banca sarà difficilmente eludibile, considerate le ormai continue
discussioni interpretative e applicative, come sarà necessario affrontare il tema della competenza nella
regolazione del cambio, ora spettante ai governi, ma mai esercitata. La Giornata del risparmio meriterebbe
che venisse celebrata anche nel Parlamento europeo e che, in quella sede, si impostassero le necessarie
azioni di valorizzazione e rafforzamento. Intanto, più da vicino il passaggio di domenica 26 ottobre, con gli
esiti delle prove da stress per le banche, si presenta molto importante per la fiducia nel sistema e la sua
credibilità, ma anche rischioso per la distorta interpretazione degli esiti che ne potrebbe derivare e per la loro
strumentalizzazione che a priori non si può escludere. Il 31 ottobre si parlerà, ovviamente, pure della
Fondazioni di origine e, poi, ascolteremo la posizione del ministro sulla politica economica come interpretata
dalla legge di stabilità, e quella del Governatore, quale riflessione a freddo sui risultati delle prove affrontate
dalle banche, pubblicati il precedente giorno 26.
Foto: Giuseppe Guzzetti e Ignazio Visco
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre 2014
Pag. 18
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Anna Messia
Arriva un colpo d'acceleratore per le operazioni propedeutiche alla privatizzazione delle Poste Italiane. Nella
versione definitiva delle legge di Stabilità, firmata dal Quirinale, è contenuta infatti una norma che spinge a
soluzione uno dei nodi più intricati, indicati dall'amministratore delegato, Francesco Caio, come ostacolo al
processo di apertura ai privati del capitale delle Poste, oggi al 100% del ministero dell'Economia. Si tratta del
servizio universale, che secondo Caio, così com'è, rappresenta una zavorra insostenibile per le Poste
italiane, perché fonte di pesante perdita, che continuano ad aggravarsi. Solo nel primo semestre di
quest'anno il risultato operativo del comparto postale della capogruppo Poste è stato negativo per 454 milioni,
con un risultato operativo di gruppo positivo per 506 milioni grazie alla crescita della banca e soprattutto
dell'assicurazione.I problemi arrivano insomma esclusivamente dalla consegna delle lettere. E la situazione
sembra destinata a peggiorare, visto che la spesa postale mensile degli italiani è scesa nel 2013 a 2,3 euro,
contro i 6 euro del 1998. Mentre, per fare un paragone, gli italiani, l'anno scorso, hanno speso in media 57,4
euro in servizi di telecomunicazione, praticamente raddoppiati rispetto ai 27,9 euro dell'anno prima. Per
invertire la rotta e «trovare la sostenibilità economica nel medio lungo termine serve ripensare il servizio
universale, oggi non più sostenibile anche per via della progressiva riduzione delle risorse pubbliche
destinate al finanziamento», aveva sottolineato Caio solo qualche giorno fa, in audizione alla commissione
Trasporti della Camera. L'idea sarebbe di ripensare completamente i servizi postali, per riorganizzarli in base
ai nuovi bisogni dei cittadini. Aumentando magari il prezzo della posta urgente, consegnata in un solo giorno,
ma reintroducendo la posta ordinaria, che andrebbe consegnata in più giorni, a prezzi più economici per tutti
(rispetto ai 75 centesimi delle prioritaria). Per fare questi cambiamenti ci sarebbe bisogno di rimettere mano in
maniera più organica al servizio universale. Ma intanto qualche passo avanti è contenuto nella legge di
Stabilità. Non certo sul fronte del supporto economico che lo Stato è pronto a riconoscere alle Poste Italiane
per il servizio universale. Anzi. Proprio nella Stabilità è stato fissato per il 2015 un onere per la finanza
pubblica di 262,4 milioni, con un taglio netto rispetto ai 350 milioni del 2014. Ma ci sono due interventi che
vanno nella direzione indicata da Caio, di riorganizzare in maniera più efficiente il servizio universale. Il primo
riguarda la possibilità di consegnare la posta a giorni alterni (quindi non tutti i giorni) per un quarto della
popolazione italiana, in presenza di particolari situazioni infrastrutturali, con una popolazione che deve essere
inferiore a 200 abitanti per chilometro quadrato. Il precedente limite era ben più alto, pari a un ottavo della
popolazione, e l'estensione ha proprio lo scopo di consentire «una maggiore sostenibilità economica degli
oneri connessi al servizio universale», come chiarito nelle relazione illustrativa delle legge di stabilità. Non
solo. Le Poste potranno chiedere altre deroghe all'Autorità garante delle comunicazioni, che dovrà
pronunciarsi entro 45 giorni. Ma l'accelerazione più importante riguarda la firma del nuovo contratto di
programma, 2015-2019, che dovrà essere pronto entro marzo 2015, anche per evitare infrazioni della
Commissione europea. La legge di Stabilità ha previsto che il ministero dello Sviluppo Economico lo dovrà
inviare al Tesoro e all'Agcm, che dovranno dare i loro pareri in 15 giorni e poi il testo, eventualmente rivisto,
sarà spedito entro cinque giorni a Camera e Senato, con le competenti commissioni che dovranno esprimersi
in modo non vincolante entro 20 giorni. Scaduto questo termine, anche senza il parere del Parlamento, il
contratto di programma si intenderà sottoscritto. Tempi contingentati quindi. E ora Caio dovrà tentare di
accelerare anche sul ripensamento del servizio universale. (riproduzione riservata)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/10/2014
111
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Poste accelera sull'ipo. Contratto di programma in corsia preferenziale
SCENARIO PMI
7 articoli
25/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 47
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Da Teksid a Ferrari l'accordo per mettere in comune i servizi tra le società del gruppo Il network aperto alle
controllate estere, possibile il trasferimento di personale
Fabrizio Massaro
Lo scorso 26 settembre, pochi giorni prima la nuova Fiat Chrysler Automobiles sbarcasse a Wall Street, a
Torino venti società italiane del gruppo hanno firmato un «contratto di rete» per legarsi reciprocamente su
varie attività e servizi, sulla messa a disposizione di know how, sullo scambio di personale specializzato.
All'accordo partecipano non solo le società satelliti come Teksid, Comau, Magneti Marelli, ma anche la casa
editrice La Stampa, e Ferrari spa, che storicamente ha avuto una gestione autonoma da Torino.
Il «contratto di rete» - nato nel 2009 soprattutto per favorire la «aggregazione dolce» tra piccole e medie
imprese, in particolare di uno stesso distretto o in uno stesso settore industriale - sulla carta è molto ampio:
prevede collaborazione tra le società del gruppo Fca «in più aree di intervento», tra le quali «a titolo
esemplificativo, l'organizzazione contabile, i sistemi e le procedure di controllo interno», la «consulenza ed
assistenza in campo amministrativo, giuridico e gestionale, il coordinamento e l'organizzazione delle attività di
impresa ai fini dello sviluppo della stessa». In questi ambiti le varie società «metteranno a disposizione l'uno
dell'altro il proprio know how, anche attraverso piattaforme tecnologiche condivise che verranno
appositamente predisposte». All'accordo potranno partecipare «società estere» del gruppo, è scritto nel
contratto.
Particolare importanza riveste il trasferimento del personale da una società a un'altra: «Potrà essere altresì
operato distacco di personale qualificato il cui apporto professionale [...] costituirà uno strumento di
attuazione del programma». L'obiettivo è «ottenere una efficiente ottimizzazione delle sinergie esistenti e una
migliore gestione delle proprie risorse, con conseguente semplificazione e potenziamento dei processi
aziendali e miglioramento delle professionalità delle società nonché dei servizi».
Il contratto di rete si innesta su un preesistente rapporto consortile tra le società attraverso Fiat Servizi per
l'Industria Scpa (al cui capitale Ferrari però non partecipa) e serve proprio a «rafforzare i rapporti» dentro il
gruppo «così accrescendo la competitività e l'innovazione» di tutte le società.
Da Torino spiegano che si tratta di un normale contratto di servizi e che la nuova formula del contratto di rete
sistematizza e aumenta le relazioni dentro il gruppo. Per ora la società consortile ha gestito soprattutto servizi
accessori come l'assistenza medica ai dipendenti o le vacanze-studio per i loro figli. Un riferimento al
«passaggio di know how» da Ferrari ad altre società del gruppo Fca l'ha fatto di recente l'amministratore
delegato Sergio Marchionne durante l'incontro stampa per l'uscita di Luca Cordero di Montezemolo da
Ferrari, lo scorso 10 settembre. «Spero che il trapianto di know how da Ferrari dentro Fca vada avanti»,
aveva detto, «ovviamente senza rischiare le capacità operativa della Ferrari. Ma come scuola è una buona
scuola». Fermo restando, come ha ribadito più volte, che Ferrari «avrà sempre la sua indipendenza e resterà
nel sistema Fca come è sempre stata».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Lingotto Lo stabilimento Fiat di Pomigliano
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
113
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La nuova Fiat vara il «contratto di rete»
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
se i «partiti deboli» minano il rilancio della produttività
Le due vie Il contrasto alla stagnazione passa da formazione, riforma del welfare e coinvolgimento dei
sindacati. Ma un quadro politico instabile spinge i leader a cercare consensi immediati
Carlo Trigilia
C aro direttore, l'indicatore forse più preoccupante della crisi che sta attraversando l'Italia è la lunga
stagnazione della produttività del lavoro. Perdiamo contatto con i Paesi più dinamici che investono nel
capitale umano e nel progresso tecnico. Tra le cause prossime vi è certo la carenza di investimenti, ma vi è
anche la ridotta capacità di valorizzare le conoscenze e l'impegno dei lavoratori, non considerandoli solo
come un fattore di costo. Come fare allora per costruire una fiducia vera sul futuro, per rilanciare la volontà di
intraprendere, di innovare e di cooperare?
Anzitutto, sembra mancare una consapevolezza adeguata delle radici profonde della crisi italiana, che
motiverebbe uno sforzo integrato, congiunto e prolungato, una strategia di medio-lungo periodo; qualcosa di
simile a quel che accade con i problemi di ricostruzione dopo una guerra. Le principali forze politiche, pur
condividendo l'obiettivo di una profonda ricostruzione del tessuto istituzionale, non sembrano però
consapevoli della necessità di mettere la sordina agli interessi partigiani e alla competizione elettorale a
breve; e non sembrano in grado di impegnarsi in uno sforzo congiunto e palese di ricostruzione in cui gli
interessi politici contingenti e di parte facciano un passo indietro.
A ben vedere, in altri Stati dell'Europa continentale, questo è invece accaduto. Nei Paesi scandinavi e in
Germania si è sperimentata, in forme diverse (a volte con «grandi coalizioni»), una «via condivisa» di
riorganizzazione basata su tre pilastri: essa ha coinvolto le organizzazioni sindacali, senza delegittimarle
come capro espiatorio della crisi, ma spingendole a innovare e a contribuire alla crescita della produttività; ha
puntato a una riforma del welfare per ridurne i costi, e del mercato del lavoro per renderlo più flessibile,
sperimentando al contempo nuove forme di protezione sociale per chi perde il lavoro; infine, investendo in
formazione, ha cercato di legare la mobilità del lavoro al rafforzamento dei nuovi settori ad alta tecnologia e
con produzioni di qualità, più protetti dalla concorrenza di costo dei Paesi emergenti. In questo processo il
coinvolgimento pieno dei lavoratori nella contrattazione decentrata a livello di azienda per accrescere la
produttività ha svolto un ruolo cruciale, come ben mostra l'esempio tedesco.
In Italia è soprattutto l'instabilità del sistema partitico che ostacola una soluzione di questo tipo. Entrambe le
forze principali sono, in forme diverse, partiti deboli con leader forti che condizionano le scelte ai loro
interessi. Dopo la costituzione del governo Letta, che avrebbe potuto e voluto orientarsi nella direzione della
«via condivisa», è stato prima il leader di Forza Italia, condizionato in particolare dalle sue vicende giudiziarie,
a rendere difficile la collaborazione al governo con il Pd, con una sorta di guerriglia giornaliera.
Successivamente, con il rapido e forte successo della nuova leadership del Pd, le difficoltà sono venute
proprio da questo versante. Occorreva incassare il risultato. Ma il problema si ripropone ora con l'attuale
governo. Persiste infatti l'esigenza di consolidamento elettorale a breve del presidente del Consiglio, che
entra in conflitto con i tempi lunghi e con i rischi elevati di realizzazione efficace di una «via condivisa».
Ciò sembra riflettersi su due terreni di azione dell'attuale governo. Anzitutto, nella scelta di provvedimenti per
rilanciare l'economia che devono tenere sempre d'occhio anche la eventuale resa elettorale immediata,
qualora le difficoltà di governare la crisi aumentassero. Da qui la preferenza per interventi distributivi a
sostegno della domanda (bonus, sgravi, eccetera) che possono essere utili per agevolare la ripresa ma
rischiano di aggravare i conti pubblici e soprattutto non toccano il nodo cruciale della produttività. Da questo
punto di vista, sembra invece emergere una sorta di «via thatcheriana» all'aggiustamento, basata sull'idea
che bisogna ridurre il peso e il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza, soprattutto dei sindacati; e che
occorra inoltre riformare il mercato del lavoro specie con ulteriori facilitazioni alla licenziabilità (Jobs act).
Anche in questo caso è da tenere presente la spendibilità sul piano elettorale di questa linea: verso il mondo
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
114
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
la lenta ripresa
26/10/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
115
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
delle piccole imprese, del lavoro autonomo e di un'ampia parte dell'elettorato che vede con favore
l'attribuzione ai sindacati delle principali responsabilità per la crisi.
Ma può essere questa una strada efficace per il rilancio della produttività e la ripresa dello sviluppo? È lecito
dubitarne, e non solo perché essa non sembra congruente con il nostro contesto culturale e istituzionale e
con la distribuzione delle forze in campo (del resto nell'Europa continentale nessun Paese l'ha sposata e gli
stessi risultati della Gran Bretagna - ormai priva di manifattura - non sono certo incoraggianti). Il dubbio
sull'efficacia di quel percorso è lecito perché il rilancio della produttività non dipende solo dal maggiore spazio
per il mercato, ma da una fiducia vera, che implica collaborazione e condivisione in una complessa e lunga
ricostruzione istituzionale, e richiede la valorizzazione del lavoro non solo come fattore di costo, di cui valersi
e disfarsi a seconda del ciclo, ma come chiave stabile per il rilancio della produttivit à.Professore ordinario
all'Università di Firenze
© RIPRODUZIONE RISERVATA
25/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 21.24
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«RaiWay, Ipo possibile entro il 2014»
MARA MONTI
FIRENZE. Dal nostro inviato
Una doccia fredda quella del ritiro di Fedrigoni dallo sbarco in Borsa, un segnale che i mercati sono troppo
nervosi per garantire valutazioni in linea con le attese. Per rivedere qualche altro tentativo di giocare la strada
di Piazza Affari bisognerà aspettare settimane se non mesi perché «le finestre di mercato utili si sono ristrette
e l'attuale normativa non consente all'imprenditore di essere flessibile» dice Luca Peyrano di Borsa Italiana al
convegno dell'Andaf, l'associazione dei direttori finanziari in corso a Firenze.
Qualcuno con le carte pronte c'è già ed entro la fine dell'anno, mercati permettendo, potrebbe arrivare in
Borsa. E' Rai Way, la società che gestisce il segnale radiotelevisivo della Rai, che dopo il via libera del
governo di due giorni fa, ora attende il nulla osta della Consob per la quotazione. Lo ha detto il direttore
generale della Rai, Luigi Gubitosi secondo il quale l'approdo al listino «è ancora possibile entro il 2014, ma
bisognerà monitorare i mercati». Gubitosi che ha auspicato che lo sbarco in Borsa di Ray Way avvenga prima
della fina del suo mandato la prossima primavera, ha aggiunto che comunque «sarà il consiglio a definire i
tempi e le modalità della quotazione a cominciare dalla quota che non sarà inferiore ad un terzo» del capitale,
probabilmente tra il 30 e il 40%. No comment invece sulle cifre circolate in merito alla valutazione della
società le cui indiscrezioni si spingono fino a 1,2 miliardi di euro.
Un settore difensivo quello di Rai Way che potrebbe non risentire dei nervosismi delle Borse, in un mercato
quello delle torri che tra l'altro «tenderà a consolidarsi e Rai Way, post-quotazione, sarà un player
importante», sempre secondo Gubitosi: qualora le torri della Rai approderanno in Borsa, «ci sarà interesse a
valutare le torri di telefonia» che Wind e Telecom Italia hanno intenzione di dismettere. Wind, infatti, ha
inviato gli info memo a possibili acquirenti, mentre Telecom Italia ha avviato incontri preventivi con i sindacati
sul piano di valorizzazione delle torri in Italia, che secondo alcune stime valgono circa un miliardo di euro.
Se il progetto di Rai Way è quello più concreto, restano ancora sospesi quelli delle altre partecipate
pubbliche a cominciare da Poste Italiane che non vedranno la Borsa prima della fine del primo semestre del
2015 e quello di Ferrovie dello Stato su cui per ora c'è solo un intento generale, ma nessun indirizzo dal parte
del governo.
Chi invece quella strada l'ha già percorsa, ora ne trae i benefici. Come nel caso di Ferragamo e di Italia
Indipendent quotata quest'ultima quotata all'Aim dal 2013: «L'accesso al mercato dei capitali ci ha dato
credibilità all'estero - ha detto Andrea Tessitore Ceo e cofondatore insieme a Lapo Elkan di Italia Independent
-. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa in piena crisi, ma soprattutto atipica per il settore delle piccole e medie
imprese che devono abituarsi ad osare di più».
I risultati finora sono positivi: Italia Independent chiuderà i nove mesi del 2014 «in utile, con i risultati in linea
con le attese degli analisti» che indicavano ricavi sui 34 milioni di euro e un Ebitda sopra il 17 per cento.
Produttrice in particolare di occhiali, Italia Independent «è presente in 72 Paesi», grazie «alla collaborazione
con Adidas che sta avendo un successo importante in paesi dove non era presente».
Il Made in Italy resta la carta vincente per conquistare l'attenzione degli investitori esteri «le aziende del
fashion, ad esempio, aiutano al riconoscimento del valore aggiunto», dice Dante Valobra partner di EY,ma il
limite «è la mancanza di sistema - secondo Ferruccio Ferragamo presidente della Salvatore Ferragamo - che
ci penalizza rispetto ad altri paesi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
116
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Convegno Andaf. Il d.g. Luigi Gubitosi: verrà ceduto sul mercato il 30-40%
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Cerved diversifica: focus su gestione dei crediti dubbi e business dei
rating
Vittorio Carlini
Proseguire nello sviluppo dell'attività core del «credit information», soprattutto verso le aziende. Inoltre,
spingere da un lato il business della gestione dei crediti problematici; e, dall'altro, quello dell'emissione dei
rating. Sono tra i focus di Cerved Information Solution (Cerved) a sostegno della sua attività. Già, l'attività. A
ben vedere Cerved è di fatto focalizzata sul mercato domestico. Il che, a fronte della continua recessione
dell'Italia, può creare problemi. La società rigetta l'obiezione. In primis, il business è resistente alla crisi.
Proprio nei periodi di difficoltà, ad esempio, le imprese chiedono più servizi per gestire con maggiore
efficienza il credito. Inoltre, espandersi all'estero è spesso antieconomico. Infine, l'auspicio è che il Pil rialzi la
testa. Se, poi, ciò non accadesse il gruppo, è l'indicazione, continuerebbe comunque a crescere come negli
anni precedenti. Ciò detto, un altro tema che riguarda la società è quello della riduzione del debito. Cerved ha
già diminuito il rosso della posizione finanziaria netta. Per fine 2014 l'obiettivo è di arrivare ad un rapporto tra
indebitamento netto e ebitda di circa 3 volte. Il minore «stress» sul fronte del debito permette, peraltro, minore
assorbimento di cassa. Quel cash flow netto rispetto al quale l'indicazione programmatica è della sua
completa distribuzione agli azionisti. Il tutto, però, al netto dell'attività di M&A realizzata.
u pagina 20 Vittorio Carlini
Proseguire nello sviluppo dell'attività core del «credit information», soprattutto verso le aziende. Poi, spingere
da un lato il business della gestione dei crediti problematici; e, dall'altro, quello dell'emissione dei rating.
Ancora, incrementare l'innovazione di prodotto e della sua distribuzione.
Sono tra i focus di Cerved Information Solution (Cerved) a sostegno della sua attività. Già, l'attività? Quale
nel particolare l'oggetto sociale del gruppo? Cerved suddivide il business in tre segmenti. In primis c'è, per
l'appunto, la «credit information». Cioè la raccolta, elaborazione e distribuzione d'informazioni (grazie a
database, anche proprietari, e algoritmi dedicati) in sostegno all'erogazione di prestiti. Un'operatività che, a
sua volta, prevede: la business information alle imprese (solvibilità e affidabilità delle controparti commerciali)
e alle banche (supporto, ad esempio, negli impieghi). Poi (sempre per gli istituti di credit) le visure catastali su
immobili o la realizzazione di perizie (il real estate). Infine, l'operatività come agenzia di rating. Ciò detto, al di
fuori del «credit information» c'è il «marketing solution». Vale a dire, l'analisi degli elementi per lo sviluppo
aziendale: dalle dinamiche di settore a quelle dei concorrenti fino al definire possibili nuovi clienti. Infine, il
«credit management» che, in generale, è la gestione per conto terzi di prestiti problematici. Ebbene, alla fine
del primo semestre 2014 l'incidenza relativa (al netto delle elisioni) sul fatturato complessivo del «Credit
information» era intorno all'82,6%; quella del «Marketing solution» valeva circa il 3,6% mentre il peso relativo
del «Credit management» era del 14%. La suddivisione è destinata a cambiare nel giro di due-tre anni?
Cerved, ferma restando l'importanza in valori assoluti di tutti i settori, prevede un incremento del peso relativo
(complessivamente intorno al 25%) di «Marketing solution» e «Credit management». Il restante fatturato sarà
generato dal più tradizionale «Credit information». Insomma, il business «core» resta essenziale. E però, le
altre due attività acquistano rilevanza.
Ciò considerato, quale l'andamento dei diversi settori? La «credit information», nel primo semestre del 2014,
ha visto i propri ricavi salire del 2%. Una dinamica caratterizzata da andamenti differenti: l'attività legata alle
aziende è cresciuta (+5,8% sui 12 mesi); quella per le istituzioni finanziarie, al contrario, è diminuita (-2,2%).
Utile, quindi, è analizzare più in particolare il duplice trend. A ben vedere, una delle spinte al business nel
mondo delle imprese è la «sottopenetrazione» del mercato italiano. Allo stato attuale sono circa 60.000 le
aziende che ne fanno uso a fronte di un settore, potenzialmente, costituito da 200-250.000 società. Non solo.
Proprio il tipo di attività, finalizzata (tra le altre cose) a capire quale possa essere la dimensione del fido da
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
117
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
LETTERA AL RISPARMIATORE
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
118
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
offrire al cliente, la rende più resistente alla crisi. Certo: la continua recessione in Italia potrebbe in generale
limitare lo sviluppi del business. E tuttavia, la stessa difficoltà delle imprese a gestire il capitale circolante ( ad
esempio, tempi di pagamemento delle fatture) crea la domanda di più informazioni sul credito.
Fin qui le società: il calo, invece, rispetto alle banche è solo contingenza oppure è più strutturale? La risposta
è diversificata. Da una parte, c'è il contesto generale. Gli istituti, a fronte della recessione, riducono gli
impieghi e, quindi, la richiesta d'informazione sul credito (seppure, quella legata al monitoraggio dell'erogato
esistente rimane sostenuta). Inoltre, anche se i tagli sono ormai alle spalle, gli istituti hanno in generale ridotto
i loro budget. Il che ha impattato la stessa attività di Cerved. Oltre a ciò, elemento più legato invece alla
contingenza del gruppo, alcuni contratti sono stati rinnovati, allungandoli. Il che permette più visibilità sui
ricavi ma anche introiti minori. Il combinato disposto di questi elementi ha prodotto il saldo finale del 30
giugno scorso. Il ribasso proseguirà? L'azienda non dà alcuna guidance. Per il mercato, la discesa a fine
anno è prevista in una bassa singola cifra percentuale. E rispetto, invece, alla «credit information» per le
aziende? Qui Cerved indica che, sull'intero 2014, l'attività sarà in linea con la sua media storica. Cioè, un
rialzo compreso tra il 4-5% sul 2013.
Ma non è solamente l'attività tradizionale di raccolta e gestione delle informazioni sui crediti. Un'area su cui
Cerved vuole spingere è quella dell'agenzia di rating. Fino ad oggi la società, che ha «incassato» da Consob
e Esma l'ok ad agire quale Credit rating agency (Cra), ha ricevuto richieste per circa 100 rating pubblici, di cui
il 7% finalizzati all'emissione di minibond. A fronte di questo sforzo sorge, però, un dubbio: la concorrenza
delle «tre sorelle» (S&P, Fitch e Moody's), oltre alla crisi nel Belpaese, possono limitare gli spazi alla crescita.
Il gruppo rigetta l'obiezione. Le società target di quest'attività sono Pmi, da circa 250 milioni di fatturato in giù,
che rientrano solo in parte nel radar delle grandi agenzie. Insomma, si tratta di mercati differenti. Peraltro,
proprio nell'ottica di sviluppo dell'emissione di rating, Cerved ha siglato un'intesa con Borsa Italiana. Da una
parte il gruppo si impegna a promuovere la piattaforma Elite (dedicata alle Pmi); e, dall'altra, Borsa Italiana
offrirà, a clienti di Cerved, un accesso semplificato al servizio stesso di Elite.
Dal voto sul merito di credito alla gestione, per conto terzi, dei prestiti problematici. È l'altra gamba, oltre al
«Marketing solution» (vedere domanda a fianco), per la crescita del gruppo. Cerved, sfruttando le sue banche
dati, offre diversi servizi: dal recupero stragiudiziale del credito fino alla gestione del bene a garanzia dello
stesso. Allo stato attuale gli asset in gestione sono circa 9 miliardi. Lo stock, a fronte dei recuperi, tende
ovviamente a diminuire. In generale, comunque, la raccolta netta media annua di crediti è prevista tra 1-2
miliardi. Fin qua alcune delle strategie di sviluppo del gruppo. C'è, tuttavia, un altro aspetto cui gli esperti
guardano: il debito. Prima del collocamento a Piazza Affari (vedere la domanda fianco) la società, a fine
marzo 2014, aveva un indebitamento netto di 730,1 milioni, corrispondenti a 4,77 l'ebitda. Cioè, un rapporto
troppo alto. Quel debito, va detto, era conseguenza del leverage buy out con cui Cvc Capital partners ha
acquisito la società. Tra gli obiettivi dell'Ipo, per l'appunto, c'è stato quello di raccogliere denari al fine di
ridurlo. Così, sfruttando gli introiti dell'Ops, Cerved ha rimborsato anticipatamente a fine giugno una tranche
(250 milioni) del debito lordo. Il che ha contribuito a fare scendere l'indebitamento netto a 512 milioni, con il
net debt to ebitda calato a 3,3. E per fine anno, l'obiettivo del ratio è intorno a 3. Cioè, un valore che, a detta
dell'azienda, può gestirsi con tranquillità.
Detto del miglioramento della posizione finanziaria netta, resta sul tavolo il nodo dell'alto costo medio del
debito lordo rimanente (530 milioni) intorno al 7%. Su questo fronte la società ha al vaglio, nell'ipotesi in cui le
condizioni siano favorevoli, di rifinanziarsi ad un tasso minore. Il timing? Cerved non dà indicazioni. E però,
guardando alla dinamica delle penali per il rimborso anticipato, la prima finestra utile è a gennaio 2016.
L'esborso previsto sarebbe di 23,4 milioni (un anno prima, ad esempio, la somma è di 55,1 milioni). Affrontata
la spesa una tantum, il vantaggio è evidente. In teoria, al netto di stravolgimenti imprevisti sul mercato, può
ipotizzarsi ad esempio un nuovo tasso del 4%. Il che implica, rispetto agli attuali circa 39 milioni, oneri
finanziari annuali intorno a 21 milioni. Insomma, un bel risparmio. Al di là della tempistica, il minore
indebitamento potrà liberare ulteriori flussi di cassa. Quel cash flow che, è l'indicazione programmatica di
26/10/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
119
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Cerved, deve essere distribuito sotto forma di dividendo. Il tutto, ovviamente, al netto dell'attività di M&A.
Già, l'M&A. La società, di recente, ha acquisito l'80% di Recus (attiva nel credit management) per 18,8
milioni. Un'operazione sul mercato domestico che conferma, al di là di eccezioni, il focus sull'Italia. Il che, a
fronte della continua recessione del Belpaese, può indurre preoccupazione. Cerved rigetta il dubbio. In
primis, il business non può che essere nazionale. Espandersi all'estero è spesso antieconomico. Inoltre,
come mostra la recente dinamica dei conti, l'attività è resiliente alla crisi. Poi, comunque, l'auspicio è che il Pil
rialzi la testa. Altrimenti? Si proseguirà, indica Cerved, con i tassi di crescita degli ultimi anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I numeri del gruppo Cerved BILANCI SEMESTRALI A CONFRONTO dati in milioni I sem. 2013 I sem. 2014
LA DINAMICA DELL'EBITDA dati in milioni
I RICAVI PER ATTIVITÀ dati in milioni I sem. 2013 I sem. 2014 L'EBITDA PER ATTIVITÀ dati in milioni I
sem. 2013 I sem. 2014 Fonte: società
26/10/2014
Il Sole 24 Ore - Nova 24
Pag. 12
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Professione scienziato del dato
Ecco perché secondo l'economista Hal Varian sarà il mestiere più sexy
Giuditta Mosca
a Quella del data scientist è stata definita dall'economista Hal Ronald Varian «la professione più sexy del
futuro», laddove l'aggettivo assume l'accezione di «interessante».
Cosa fa un data scientist
Come suggerisce il nome, analizza dati per fornire al management le informazioni utili ad assumere decisioni
e disegnare strategie. Per lunghi anni si è parlato dell'importanza dei dati, ora nasce l'esigenza di saperne
fare buon uso. Benché si possa credere che la figura del data scientist sia appropriata solo alle grandi
aziende, un simile profilo si rivolge a qualsiasi realtà, dalle Pmi alle multinazionali. Di norma viene inquadrato
tra i manager, anche dal punto di vista della retribuzione, proprio perché è con gli altri manager che deve
dialogare. È una figura professionale nuova e, in qualche modo, ancora da definire. Lo scienziato dei dati non
è solo un'analista, non è solo uno stratega del business, non è solo un marketer così come non è solo un
information manager. Il frutto delle sue analisi copre trasversalmente tutti i reparti di un'azienda, trasformando
i dati in informazioni comprensibili affinché per i vertici le strategie da assumere siano chiare e in qualche
modo obbligate. Ciò si adatta anche alle Pa. Dino Pedreschi, professore ordinario di Informatica all'Università
di Pisa, descrive lo scienziato dei dati come: «Una figura che deve avere più competenze. La prima è sapere
gestire, acquisire, organizzare ed elaborare dati. La seconda competenza è di tipo statistico, ovvero il sapere
come e quali dati estrarre, la terza capacità è una forma di storytelling, il sapere comunicare a tutti, con
diverse forme di rappresentazione, cosa suggeriscono i dati». Non basta quindi una formazione in statistica,
in economia o in informatica, tutte doti utili alla figura del data scientist ma che necessitano di essere mixate
sapientemente.
Perché c'è bisogno di data scientist
La risposta in due sostantivi: produttività e cambiamenti. Da una parte cambiano i modelli di business delle
aziende, così come cambiano le loro politiche economiche e i mercati e, dall'altra parte, vige la necessità di
aumentare produttività e profitti. Un esempio reale arriva da Mario Alemi, data scientist italiano (laureato in
fisica): «Le email personalizzate in base ai gusti letterari dei clienti hanno generato, nei negozi, il 27% delle
vendite in più di quelle conseguite con le email generiche». Un'indagine McKinsey rileva che, negli Usa,
mancano tra i 140 e i 190mila data scientist, ciò testimonia quali prospettive possa avere la professione.
«Quella del data scientist sarà nei prossimi anni tra le figure più ricercate nel mondo del lavoro - continua
Pedreschi - e sono sempre di più le università che preparano percorsi post-universitari aperti a tutti i
curriculum».
Quale formazione è necessaria
Ci sono decine tra atenei e centri studio che offrono formazione specifica. Giuseppe Ragusa, direttore del
master in Big Data Analytics della Luiss, in collaborazione con Oracle, riassume così le qualifiche necessarie
per abbracciare la professione: «Il data scientist è un animale a tante teste, deve avere tre set di skill: una
preparazione informatica molto solida, una buona comprensione degli aspetti tecnologici e allo stesso tempo
è un conoscitore degli aspetti aziendali. Una figura professionale dotata di competenze trasversali e capace
di relazionarsi con il management dell'azienda». Anche Dino Pedreschi apporta la sua esperienza di docente
universitario e parlando del master in Big Data Analytics e Social Mining, dell'Università di Pisa, che partirà a
febbraio 2015 spiega: «Stiamo organizzando un master apposito che si rivolge a laureati di qualsiasi
provenienza, perché non ci sono requisiti stretti in ingresso, se non la voglia di mettersi alla prova con tutte le
competenze necessarie, in collaborazione con il mondo industriale».
La situazione in Italia
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
120
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Lavoro |Competenze |Saperi
26/10/2014
Il Sole 24 Ore - Nova 24
Pag. 12
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
121
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I poli mondiali sono Usa e Uk, laddove nei primi anni del Duemila si erano già create metodologie e
procedure. Alle nostre latitudini le aziende cominciano a concepire la necessità di una simile figura e cercano
di formarla al proprio interno. Nel frattempo, dice Ragusa, le imprese chiedono alle università i dati di chi
frequenta i corsi. Perché l'Italia stenta a carburare lo spiega Alemi: «La nostra cultura è prettamente
umanistica, siamo sempre un passo indietro quando si parla di discipline scientifiche, ma sono ottimista,
questo gap verrà colmato nei prossimi 5-10 anni». Il data scientist lavora con i big data ed è in questa
direzione che bisogna muoversi; le anagrafiche sono il primo patrimonio di un'azienda, concetto ancora non
del tutto consolidato in Italia e questo, da solo, spiega già gran parte dell'handicap che abbiamo in materia di
scienza dei dati.
Cosa aspettarsi dal futuro
Una rilevazione voluta da Emc Data Science segnala che l'assenza di risorse uomo sufficientemente
preparate e aziende non strutturate per il data science si equivalgono, entrambe con il 32%, nell'elenco dei
principali freni allo sviluppo sia della professione, sia della crescita dell'intero settore che, ancora lontano da
misurazioni di tipo economico, è comunque una costola del comparto dei big data il quale, secondo Gartner,
varrà 26miliardi di dollari entro la fine del 2015.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
27/10/2014
Corriere Economia - N.35 - 27 ottobre 2014
Pag. 33
Ho vestito il (futuro) re d'Inghilterra
Al matrimonio William portava una camicia del sarto Angelo Inglese 70% Il fatturato realizzato all'estero dalla
sartoria pugliese Angelo Inglese. I mercati più interessanti per l'azienda sono il Giappone, l'Europa e gli Stati
Uniti
MICHELE AVITABILE
C redere fermamente nelle potenzialità di sviluppo di una piccola impresa è un requisito fondamentale per chi
punta con fiducia all'incremento della clientela e degli affari. Ci sono momenti, però, in cui un imprenditore è
posto davanti a bivio amletico: continuare a consolidare l'attività o vendere e intascare milioni di euro in
cambio del marchio aziendale di famiglia. Come è accaduto ad Angelo Inglese, sarto impegnato nell'omonima
impresa pugliese specializzata nella produzione artigianale di camicie. Un'offerta, arrivata dall'Inghilterra, che
avrebbe fatto vacillare anche il più navigato degli imprenditori. Ma davanti a un assegno di oltre sei milioni di
euro, Inglese ci ha pensato su a lungo e poi ha detto no.
«In quel periodo ho vissuto molte notti insonni - racconta il titolare dell'omonima azienda -. Alla fine, però,
hanno prevalso la straordinaria passione per questo lavoro artigianale e il desiderio di costruire un polo
turistico sartoriale qui a Ginosa, in provincia di Taranto».
Una scelta difficile che non ha impedito alla sartoria pugliese di produrre i primi frutti economici significativi.
Tanto che nel 2013 il giro d'affari dell'azienda tarantina si è attestato su 800 mila euro, il 70% attraverso
l'export. Con mercati particolarmente interessanti in Giappone, Europa e Stati Uniti. Mentre le previsioni di
chiusura del 2014 parlano di un incremento di fatturato del 25% rispetto all'anno precedente. La strategia
adottata per ottenere questi risultati? Materie prime ecosostenibili e prodotti realizzati a mano.
«Per confezionare una camicia di qualità occorrono 30 ore - spiega Inglese -. Perché tutto avviene
artigianalmente, con cura e passioni speciali. Insomma, ogni fase della lavorazione del prodotto, dalla scelta
del cotone alle cuciture, va eseguita con una meticolosità maniacale. Elementi che per noi sono ancora più
importanti del prestigio che può offrire una griffe famosa». Una dedizione apprezzata dai consumatori
giapponesi.
«I primi segnali positivi dall'estero - continua Inglese - sono arrivati via Internet proprio da alcuni imprenditori
di quell'area geografica. Per convincerli, però, è stato necessario incontrarli e confezionare un prodotto che
corrispondesse alla loro conformazione anatomica. Il risultato è stato così positivo che oggi anche l'ex primo
ministro giapponese apprezza i nostri articoli». Tra i clienti più noti della piccola impresa artigianale tarantina
spicca anche un personaggio che troneggia sulle copertine dei rotocalchi di tutto il mondo. «In occasione del
suo matrimonio - conclude Inglese - il principe William d'Inghilterra ha scelto d'indossare una nostra camicia.
Con un cognome come il mio non poteva essere altrimenti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Risultati Angelo Inglese: ha detto no a una mega offerta per la sua sartoria
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
122
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La storia/Abbigliamento
25/10/2014
Milano Finanza - N.210 - 25 ottobre
2014
Pag. 4
(diffusione:100933, tiratura:169909)
L'ULTIMA SETTIMANA
LUNEDÌ 20 Btp Italia. Debutto flop l'asta sui titoli indicizzati all'inflazione con una scadenza al 2020: gli ordini
sono stati di 2,99 miliardi. Ue. Tregua tra Francia e Germania.I governi dei due Paesi hanno annunciato un
piano congiunto di investimenti per accelerare le riforme nell'Unione Europa che sarà presentato a dicembre.
MERCOLEDÌ 22 Luxottica. Dopo settimane di indiscrezioni il presidente Leonardo Del Vecchio ha annunciato
l'arrivo del nuovo co-ceo.È il presidente (uscente) di Wella, Adil Mehboob-Khan. Mps. In vista degli esiti
dell'Asset quality review, la banca senese studia l'emissione di un bond subordinato per colmare eventuali
deficit patrimoniali. 21 Mediobanca. Nuovo segnale di fiducia per l'Italia: People's Bank of China ha comprato
il 2% di Piazzetta Cuccia. Asse Italia-Cina rafforzato dopo gli ingressi in Enel, Eni, Telecom, Prysmian,
Generali e Fca. GIOVEDÌ 23 Fedrigoni. Ennesimo stop alla quotazione di una società sul listino di Piazza
Affari. La cartiera Fedrigoni rinuncia all'ipo per il deterioramento delle condizioni dei mercati. È la quinta
rinuncia da inizio anno. VENERDÌ 24 FtseMib. Seduta all'insegna del nervosismo per le Borse europee in
attesa degli stress test bancari Bce di domenica. Piazza Affari, spinta dalle banche, chiude comunque in
territorio positivo (+0,31%), mentre gli altri listini europei perdono circa mezzo punto percentuale. Wall Street
in rialzo nonostante i dati piuttosto deludenti sul mercato immobiliare. L'indice Dow Jones è salito dello
0,76%, l'S&P 500 dello 0,7% e il Nasdaq dello 0,69%. In controtendenza il titolo Ford che ha perso il 4,3%
dopo aver chiuso il terzo trimestre con ricavi e utili in calo. Bio-on. Debutto positivo per la nuova matricola
dell'Aim Italia. La prima intellectual property company quotata sul listino dedicato alle pmi ha chiuso la seduta
con un rialzo del 28%. A gestire l'ipo l'advisor Ambromobiliare, Banca Finnat, EnVent, studio Chiomenti, Pwc
e AtKearney. Bot. Il ministero dell'Economia ha comunicato che all'asta del 29 ottobre verranno offerti 6,5
miliardi di Bot a 6 mesi a fronte di 7,7 miliardi in scadenza. Istat. A ottobre l'indice di fiducia dei consumatori
scende a 101,4 da 101,9 di settembre. In diminuzione sia la fiducia sul clima corrente sia su quello futuro.I
salari non crescono da tre mesi. P&G. Il colosso Usa ha registrato un calo degli utili del 34% a 1,99 miliardi di
dollari nel primo trimestre fiscale e vendite per in flessione per 20,79 miliardi. Annunciato lo scorporo
dell'attività di Duracell, che potrebbe essere venduta. Ford. Il gruppo automobilistico ha riportato nel terzo
trimestre un utile di 835 milioni di dollari, in calo del 34% rispetto a un anno fa. I ricavi si sono attestati a 34,9
miliardi, in calo del 2,5%. Chiquita. Nuova svolta nella guerra delle banane. Dopo il cda straordinario, Chiquita
Brands International ha detto no alle nozze con l'irlandese Fyffes. Avvierà le trattative con la cordata
brasiliana Cutrale-Safra Group. Bbc. Bbc ha venduto una quota del 49,9% della divisione americana, Bbc
America, alla società newyorkese Amc Networks per 200 milioni di dollari. Juventus. «L'aumento di capitale è
uno strumento a cui si deve ricorrere solo in caso di un piano di acquisizionio nel bisogno, quando non vi è un
patrimonio sufficiente». Così ha risposto il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, agli azionisti in
assemblea. «Il rapporto con Exor è perfetto». Autovie Venete. La concessionaria ha chiuso il bilancio con
ricavi per 206,8 mln, un mol di 82,2 mln e un utile di 21,1 mln. Uccmb. Unicredit ha concesso l'esclusiva alla
cordata Fortress-Prelios per finalizzare in tempi ragionevolmente ristretti la vendita di Uccmb, la banca dei
crediti problematici che vale complessivamente oltre 1 milardo. Sea. Il gup di Milano, Anna Maria Zamagni, al
termine dell'udienza preliminare sull'acquisto del 29,75% di Sea ha prosciolto dall'imputazione di turbativa
d'asta l'ex ad di F2i, Vito Gamberale, il dirigente Mauro Maia e il consulente Vinod Sahai.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/10/2014
123
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Visto & Previsto