Lo Stracquo - Associazione Cala Felci

AMBIENTARTE
V Edizione
Lo Stracquo
L’arte che viene dal mare
AMBIENTARTE V - Lo Stracquo
YMF 2014 - Fiera internazionale dell’economia del mare presenta:
Ambientarte V: “ Lo stracquo” - l’Arte che viene dal mare
A cura dell’ Associazione Cala Felci di Ponza e
dell’Associazione Culturale Novecento di Gaeta
Enti promotori
Azienda Speciale per l’Economia del Mare
Comune di Ponza
Comune di Gaeta
Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea di Gaeta
Patrocinio
Regione Lazio, Union Camere Lazio, Camera di Commercio di Latina,
Camera di Commercio di Roma, Camera di Commercio di Frosinone,
Camera di Commercio di Caserta, Regio Prima, Comune di Ponza,
Comune di Gaeta
Organizzazione:
Associazione Cala Felci di Ponza - www.ponzacalafelci.com
Associazione Culturale Novecento di Gaeta - www.pinacotecagaeta.it
Coordinamento
Massimiliano Casalino
Antonio Lieto
Franco Schiano
Monia Sciarra
Sedi:
Yatch Med Festival 2014 Gaeta (presentazione e work shop)
Museo Civico di Ponza (esposizione)
Catalogo:
a cura di Vincenzo Lieto
Presentazione di Marcello Carlino
Commenti di Rita Bosso
Fotografia:
Filippo Conte
Mauro Meschino (per Ignazio Fresu e Scuola “Principe Amedeo”)
Charlotte Menin (per la sua opera)
Foto di copertina "Equilibrio" di Marta Bilbao (Particolare)
Grafica:
Artistic & Publishing Company
Comunicazione
Lisa Lieto
Franco Schiano
Monia Sciarra
Rosanna Paggetta
Allestimento:
Associazione Culturale Novecento
Associazione Cala Felci
Collaborazioni:
Lucia Aiello, Tommaso Andreozzi, Silverio Botto, Francesco Bruno,
Francesco De Luca, Dionigi Feola,
Pizzeria “E magna”
Editore:
Artistic & Publishing Company
Associazione Culturale Novecento - Gaeta
@ Copyright 2014 Associazione Culturale Novecento
ISBN 00000000000
Stampa:
Graficart - Formia (LT)
AMBIENTARTE
V Edizione
Lo Stracquo
L’arte che viene dal mare
A cura di.
Associazione Cala Felci - Ponza
Associazione Culturale Novecento - Gaeta
Associazione
CALA FELCI
Comune di Ponza
Comune di Gaeta
Associazione Culturale
Novecento
Vincenzo Zottola
Presidente della Camera di Commercio di Latina
Una economia solida e che offra opportunità a tutti necessita di equilibrio sociale, condizione in cui pubblico e privato, ricerca, produzione e servizi creino sistema, cultura, ove solo meriti e pesi obiettivi giustifichino i guadagni, ove la moralità garantisca gli interessi legittimi.
Creare sistema, cioè efficace collaborazione tra le parti attive della società, è la maggiore difficoltà della nostra economia, ed a quello gli
amministratori pubblici devono mirare.
Con tale obiettivo l’ente camerale organizza da sette anni lo YMF, fiera sull’economia del mare ed importante evento intenazionale che
coinvolge enti pubblici, forze militari, imprese industriali e commerciali locali, italiane ed estere, operatori sociali, della cultura, dell’arte e
dello sport, oltre a migliaia di semplici visitatori; una prova organizzativa severa ma esaltante che ci riempie di soddisfazione per i risultati
raggiunti.
Lo YMF dedica molto spazio alla Cultura, nella convinzione che essa rimane asse portante della nostra storia e mezzo di riscatto dai momenti di difficoltà come quello che viviamo, e dedica per ciò largo spazio alle manisfestazioni d’arte, antica e contemporanea, dalle mostre
figurative tradizionali alle performaance e installazioni multimediali, dalla musica classica alle contaminazioni moderne, dalla narrativa alla
poesia, dalle foto storiche a quelle artistiche.
Anche quest’anno abbiamo il piacere di ospitare la rassegna “Ambientarte” promossa dalla Pinacoteca comunale d’Arte contemporanea
di Gaeta che ci propone due momenti interessanti tra i quali “Lo Straquo, l’arte che viene dal mare”, una rassegna organizzata con la collaborazione del Comune di Ponza e dell’Associazione isolana Cala Felci che si svolgerà sia attraverso un Work shop dimostrativo a Gaeta, che
con l’esposizione delle opere nel Museo Civico dell’isola ponziana. Una mostra interessante e dal duplice apetto, uno etico antropologico e
l’altro artistico. Da una parte essa, attraverso l’esposizione dei materiali recuperati dal mare e assemblati dagli artisti, denuncia l’incuria
della società moderna pur ricordando come fino a qualche anno orsono il recupero del materiale che il mare restituiva costituiva per alcuni
una vera attività economica; dall’altra essa dimostra come la sensibilità e l’abilità estetica degli artisti riesce a trasformare il materiale “stracquato”, scarti dell’opulenza consumistica, in opere d’arte contemporanea: ironiche se non sarcastiche denunce alcune, storie e racconti di
miti e tradizioni altre, situazioni metafisiche o surreali altre ancora. Tutte in stretta simbiosi col materiale utilizzato, leggero e evanescente
come le “velelle” o le reti, colorato o trasparente come le plastiche, materico e caldo come il legno, simbolico e metallico come le carcasse
abbadonate di elettrodomestici e motocicli, forte e duro come la pietra ma, tutte in ogni caso, pervase da armonia e sintesi artistica pregevole.
Ringrazio gli organizzatori, in particolare i soci delle Associazioni Cala Felci di Ponza e Novecento di Gaeta, per il lavoro svolto, e colgo
l’occasione per rivolgere un cordiale saluto al Sindaco di Ponza Pier Lombardo Vigorelli che ha accolto senza indugio l’invito degli organizzatori al patrocinio e alla collaborazione, concedendo gli spazi del Museo locale per l’allestimento della Rassegna.
Rivolgo infine un pensiero di gratitudine agli artisti che hanno aderito al progetto e invio loro un sincero “in bocca al lupo” per il prosieguo della loro attività.
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Piero Vigorelli
Sindaco di Ponza
Quando Monia Sciarra mi ha proposto di realizzare una mostra dello stracquo, ho subito pensato che
avesse appreso il dialetto lombardo e che voleva quindi organizzare un’esposizione di artisti “stanchi” o di
opere “stracche” che magari erano finite in depositi da anni e che si voleva recuperare alla pubblica fruizione.
Tutto sbagliato, il dialetto era ponzese, della mia immediata intuizione era valido solo il concetto di “recupero”. E questo era legato al mare, a quello che il mare sa lavorare, con il tempo che vuole, con la delicatezza o la furia che vuole, con scelte di materia e materiali che vuole, inghiottendo ciò che vuole e
restituendo quel che vuole.
E’ un’anarchia ben organizzata, che per una volta tanto non è una contraddizione ma una condizione.
Lo stracquo è quindi una forma più alternativa del collage o della pop art, ma che a differenza di quelle
ormai rappresentate nei grandi musei del mondo, mantiene la sua origine primitiva, selvaggia, incontaminata, naturale.
Un tempo, queste sculture scolpite dal mare venivano accolte nelle case per le loro forme curiose o
bizzarre ed erano un piccolo segno di decoro in ambienti vissuti solo di fatica quotidiana.
Adesso diventa arte. Creazione di cose create dal mare.
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Cosmo Mitrano
Sindaco di Gaeta
L’arte fa discutere, riflettere e soprattutto precorre e anticipa fenomini e linguaggi che solo il
tempo rende leggibile ai più; l’arte può contribuire all’unione delle collettività che in esse si rivedono e si
esprimono; l’arte educa e crea cultura, l’arte è gioco, sogno, concretezza, l’arte è contaminazione, ha efficaci
effetti terapeutici.
Ben vengano le collaborazioni tra enti ed associazioni private per la diffusione dell’Arte e della Cultura, ben vengano eventi artistici di questo genere che forse meglio di altri riescono a creare sintonia tra
arte e territorio, a portare all’attenzione generale, magari con accenti forti e di denuncia, probelemi ambientali e di ecosostenibilità con il gusto estetico che solo gli artisti sanno assicurare.
Saluto con cordialità e ringrazio il Sindaco di Ponza, ove la mostra è ospitata, i promotori della manifestazione e tutti gli artisti che con grande entusiasmo sono intervenuti.
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Associazione Cala Felci
Ponza
La tutela della natura e dell'ambiente, la valorizzazione della storia, della cultura e delle tradizioni locali
sono le principali ragioni d'essere dell'Associazione Cala Felci.
Proprio ispirandoci ai nostri valori fondanti, coniugando il rispetto per il nostro mare con l'antica tradizione ponzese dello stracquo che abbiamo pensato al progetto “Lo stracquo- L'Arte che viene dal mare”.
A chi non è mai capitato di passeggiare lungo una spiaggia, magari dopo una mareggiata e, tra i tanti rifiuti, imbattersi in un pezzo di legno contorto, schiarito, levigato, modellato dal mare? La tentazione è quella
di portarlo a casa perchè sembra una scultura....
Ecco, è proprio quello che sanno fare tanti bravi artisti: ricavare un'opera d'arte dal materiale stracquato.
Alcuni – tra i più bravi – li abbiamo invitati a Ponza, a fare lo stracquo insieme a noi.
Le meraviglie che hanno realizzato le potrete ammirare nelle pagine di questo catalogo e soprattutto
nella mostra che abbiamo allestito nelle sale del Museo Civico di Ponza.
Le rassegne riservate ad artisti che utilizzano materiali di riciclo si contano ormai numerose ma crediamo
che sia la prima volta in assoluto che si realizza una collettiva riservata esclusivamente all’utilizzo di oggetti
restituiti dal mare: pensiamo che non vi sia località più indicata dell’Isola di Ponza per tenerla a battesimo.
Siamo particolarmente orgogliosi di quello che siamo riusciti a fare, ma nello stesso tempo siamo coscienti che avremmo fallito senza il patrocinio del Comune di Ponza, il supporto dello Yacth Med Festival e
del Comune di Gaeta, nonché l'indispensabile sostegno dell'Associazione Novecento di Gaeta e i favolosi
artisti - provenienti da tutto il mediterraneo - che hanno entusiasticamente sposato il progetto
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Associazione Culturale Novecento
Gaeta
Lo stracquo, ciò che il mare restituisce
Nella continua ricerca di collaborazioni cui la nostra Pinacoteca tende, convinta che energie, idee e passioni possono e devono unirsi per poter esprimere quel valore aggiunto indispensabile per perseguire progetti validi nell’arte, abbiamo accettato con entusiasmo un’idea di Monia Sciarra, infaticabile animatrice
dell’Associazione Cala Felci di Ponza e di Franco Schiano, socio fondatore della nostra Associazione nonché
ponzese doc: organizzare un evento artistico sull’isola ponziana dal suggestivo titolo “ lo stracquo”, termine
ponzese che significa ciò che il mare restituisce e che nel passato ha costituito per diversi personaggi locali
una piccola economia di sostentamento e attività ecologica ante litteram.
In verità la Pinacoteca comunale di Gaeta già da cinque anni è impegnata in una rassegna d’arte denominata Ambientarte, protesa alla sensibilizzazione ambientale attraverso modalità espressive che prevedono l’utilizzo di materiale riciclabile da parte degli artisti coinvolti e la proposta degli amici ponzesi è
venuta a ricadere proprio in questo preciso ambito, tanto da essere inserita nella nostra rassegna che costituisce, a sua volta, uno degli eventi artistici dello Yatch Med Festival, grande kermesse sull’economia del
mare che si tiene annualmente a Gaeta nel mese di aprile.
La rassegna ponzese ha però delle particolarità interessenti; essa mira alla creazione di un rapporto intenso tra gli artisti e l’isola, tra gli artisti stessi, tra gli artisti ed i materiali recuperati che attraverso la loro
fantasia e maestria diventano opere d’arte. Sedici artisti scelti tra le varie parti d’Italia, e non solo, sono
stati ospitati in gruppi a soggiornare a Ponza per tre giorni, alla ricerca di oggetti “stracquati” e, con questi
alla creazione in loco delle opere.
Ne è venuta fuori un’esperienza, a detta di tutti i partecipanti, unica e coinvolgente per la bellezza dell’ambiente in cui hanno operato, per la cortesia e l’accoglienza da parte dei soci dell’Associazione Cala Felci
che con grande disponibilità e impegno hanno reso possibile la raccolta del materiale e assicurato tutto
ciò di cui gli artisti avevano bisogno, per la condivisione delle emozioni tra gli artisti medesimi.
E non è da poco la partecipazione di artisti isolani e delle scuole Medie “Principe Amedeo” di Gaeta e
“Carlo Pisacane” di Ponza.
Il risultato ci sembra di tutto rispetto per questa prima edizione, la bravura degli artisti ha generato una
serie di opere di grande suggestione e finezza estetica che ci auguriamo troveranno il riscontro adeguato
non solo per gli addetti ai lavori affinché la rassegna possa ripetersi e affermarsi negli anni.
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Marcello Carlino
Scrittore e critico d’arte
Quali significati aggiunti possano sedimentarsi e così s’accompagnino al mare, sull’onda del suo incessante lavorio, lo hanno suggerito da
tanti e tanti anni, e con capacità persuasiva impareggiabile, poeti come Baudelaire, come Montale. Nel mare trapela l’essere nella totalità
delle sue immagini proiettive e delle sue epifanie; la varietà delle forme, il susseguirsi senza posa dei movimenti, i bollori e le bonacce, le ire
e la calma ridente, il pentagramma infinito dei suoni, la tavolozza straordinariamente iridata dei colori del mare hanno di che raccogliere, in
una equivalenza ideale, le possibilità e i volti innumerevoli delle esistenze, della vita universale.
Il mare è antico e pure giovane, eterno e nuovo, unico e molteplice; gli si confà la legge che vuole che nulla si crei e nulla si distrugga,
poiché il mare disgrega per riaggregare, conoscendo bene l’arte del levare e quella congruente dell’aggiungere; e dunque toglie e restituisce
e, restituendo con le onde che tornano stremate a riva, reca la sorpresa del dono.
Lo stracquo è il riporto del mare, un trofeo multiforme di reperti a proprietà pubblica; è un precipitato delle manifestazioni della varietà
della vita resosi bene comune, cosa collettiva; è un “manufatto” diffuso, quando più quando meno frammentato, dell’arte spontanea della
natura.
Usare a suo modo lo stracquo, come càpita che ne usi la gente di mare, e prima “imitarne” la genesi e il prodursi sono prassi che s’addicono
all’arte, che intrattiene anch’essa un dialogo fitto con l’essere della vita, che è proprietà partecipata, di pubblico dominio. L’arte seleziona e
riadopera, trattando i materiali (l’arte povera, in sintonia con l’essenzialità senza orpelli del vissuto, e la maniera delle installazioni ne costituiscono indizio probante) e trattando le forme della tradizione come la gente di mare fa con lo stracquo. L’arte non manca mai, direttamente o
di riflesso, di professare una vocazione e un impegno ecologici, chiamando sulla scena un’altra e più libera natura: così assume oggi un rilievo
testimoniale, il più delle volte inascoltato, che assomiglia all’atto antico eppure nuovo, antropologicamente senza tempo dacché connaturato
alla storia profonda dell’uomo, di chi prende e riconverte lo stracquo reimpiegando il portato del movimento eterno, del disfare e del fare del
mare, e opera come d’istinto perché nulla si distrugga distruggendo l’ambiente, perché tutto rientri in un ciclo virtuoso della vita.
La mostra ispirata a «Lo stracquo» ha per tutto ciò un significato di notevole spessore. Nella originalità che la distingue di netto, è una
somma di “gesti” ecologici prestati alle varie modulazioni dell’espressività artistica; è memoria antropologica rivisitata, e posta in rilievo con i
segni evidenziatori dell’arte, cioè con le metafore di nuove immagini e colori, di esistenze secolari e delle materie a loro corredo, che si perdono
finanche nelle lontananze del mito; è rivendicazione ideale di un bene condiviso, di uno spazio di compartecipazione; è autoanaliticamente
momento di riflessione sull’arte, sulla sua funzione sociale, sul suo rapporto profondo con la verità dell’esistere, sul suo confronto con l’arte
spontanea della natura.
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Franco Schiano
Lo “Stracquo” : una tradizione ponzese
Francisco… ‘u re du stracquo
Lo vedevo quasi tutte le mattine d´inverno , mentre prendevo il caffè in piedi dietro la finestra della cucina di casa mia che affaccia sulla
spiaggia di Giancos. Veniva dal lato di Santa Maria e percorreva lentamente tutta la battigia fino a sotto la falesia davanti alla Centrale Elettrica.
Raccoglieva praticamente tutto quello che il mare portava a riva durante la notte - specialmente quelle di mare mosso o agitato. Erano
tronchi , pezzi di legno informi o bizzarramente levigati e modellati dal mare, contenitori di vario materiale di diverse fogge e dimensioni: da
quelli in lamiera da 200 litri che normalmente contenevano olii combustibili a quelli di plastica di capacità inferiori fino ai piccoli contenitori
di detersivo liquido, pezzi reti da pesca, gomene perse o buttate in mare dalle navi di passaggio, cassette, parabordi, salvagenti circolari con
il nome della nave, giubotti di salvataggio, pezzi di boccaporto, relitti di naufragi lontani: insomma Francisco ‘i Cula Cula , di cui purtroppo
non ricordo il cognome vero, raccoglieva tutto. Con metodo, divideva i diversi materiali facendo vari mucchi in mezzo alla spiaggia lontano dal
battente dell´onda in modo che il mare che li aveva portati non potesse riprenderseli. Si perché il mare dà e il mare prende. U mare è… mare
e fa sempe u mare, nel buono e nel male.
Di tanto in tanto si chinava a raccogliere qualcosa di piccolo che metteva in una sacca consunta di tela grigia che portava a tracolla.
All´epoca Francisco ‘i Cula Cula aveva una sessantina d´anni, piuttosto basso, con una bella capigliatura che una volta doveva tendere al
biondo e un´espressione solare. Ricordo di non averlo mai visto arrabbiato o accigliato, anzi sempre disposto al sorriso e al buon umore. Molto
spesso lo accompagnava la moglie Evelina. Una donna rotondetta dai capelli scuri tirati indietro con un piccolo toupè, che al contrario del marito, sembrava ingrugnita, anche senza esserlo veramente.
Una volta completata la raccolta e la catalogazione d’u stracquo (si pronuncia con la o finale appena accennata), Francisco, con l´aiuto
della moglie, provvedeva allo smistamento. Per prima cosa selezionava tutti pezzi di legno che a suo giudizio potevano avere un certa forma
diciamo artistica. Tronchi che il mare aveva levigato e modellato in forme particolari: un pezzo di legno che sembrava un cane seduto, un altro,
che con qualche piccolo ritocco poteva sembrare un crocefisso, un monaco in preghiera, un bastone istoriato , un attaccapanni dalla foggia
futurista, e cose di questo genere. Li raccoglieva e li portava nella piccola grotticella a fianco l´imboccatura del tunnel di Giancos, dove successivamente il pittore Fontana - proprietario della grotta e della bella villa proprio a strapiombo sulla falesia, ne avrebbe scelto qualcuno per le
sue “istallazioni” artistiche, pagando qualche migliaio di lire per ogni pezzo trattenuto a Francisco che, col tempo e forse aiutato da una sua
naturale predisposizione, aveva un grande occhio ad individuare tra centinaia di legni stracquati quello che nascondeva un lato artistico.
I pezzi scartati da Fontana - insieme agli altri “senza valore artistico”ammucchiati da Francisco - andavano ad alimentare i forni a legna dei
panettieri di allora, principalmente quello della “Russiella” a Giancos e quello di “Bunaria” a Santa Maria anche perché erano i più vicino ai
luoghi dello stracquo. Centinaia di cotture di forni di pane sono state alimentate dal legname stracquato raccolto da Francisco, che da queste
forniture ricavava un certo numero di pagnotte di pane.
La terza selezione del legno riguardava tavole o pali che non andavano arsi perche potevano avere una loro riutilizzazione per svariati usi:
un tavolo, una porta, una panca, o i pali utilizzati in campagna per le viti o per qualche “ammarraggio”, ossia uno steccato/recinzione con annessa funzione di frangivento. Di quest´ultime Francisco il più delle volte ne faceva una utilizzazione diretta nel suo appezzamento di terreno
a Santa Maria, dove abitava. Altre volte le dava ad amici e conoscenti per analoghi usi, in uno scambio baratto che andava dal chilo di pesce
a una cotta di fave o piselli.
Anche i contenitori avevano un grande “mercato” del riciclo. I più preziosi, anche perché rari, erano i bidoni di lamiera da 200 litri. Potevano
avere varie utilizzazioni: in campagna come deposito d´acqua per innaffiare, oppure tagliati e aperti, venivano usati per “ammarraggi”. Per
quest´ultimo uso si usavano in genere quelli che presentavano qualche piccolo foro e pertanto non più idonei ad essere usati come contenitori
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d´acqua. All´epoca si usavano ancora molto anche dei bidoncini di latta , cilindrici o rettangolari, da circa 20 litri, che venivano trasformati in
secchi - sempre per addacquà - con l´aggiunta di un manico di fil di ferro, legno o di una semplice cordicella, magari anch´essa stracquata.
C´erano poi i contenitori di plastica. Quelli più grandi (dai 10 ai 30 litri) erano i più richiesti dai pescatori come contenitori per la nafta di
scorta a bordo delle loro barche a motore. In cambio arrivava sempre del pesce. Ma anche la maggior parte dei contenitori di plastica più
piccoli (detersivi e candeggina) finivano per essere riutilizzati - singolarmente o a gruppi - dai pescatori come “petagni”, segnalatori galleggianti
per le reti o altri attrezzi da pesca come “coffe” e nasse. E sempre qualche pesciolino arrivava a Francisco. Una parte dei piccoli contenitori di
plastica veniva utilizzata anche dai contadini: infilati in cima ad una canna fungevano da spaventapasseri. Anche i pezzi di reti da pesca e gomene, salvo rare eccezioni di utilizzo per mare, finivano in campagna.
Le reti per proteggere le piante da frutta dagli uccelli e le gomene per rudimentali delimitazioni di proprietà.
Ma anche le altre cose, come cassette, salvagenti , parabordi, giubbotti, relitti di ogni specie, ecc . venivano raccolte da Francisco. “Primmo
o doppe ponne sempe servì” - diceva mentre le accatastava a casa sua - a qualcuno che lo apostrofava dicendogli: “Francì ma che te ne fai ‘e
tutta ‘sta munnezza?”
E intanto in attesa che qualcosa potesse servire, continuava ad ammucchiare in casa tutto quello che non trovava una immediata riutilizzazione. In effetti qualcosa nel tempo gli capitava di utilizzare, ma la quantità di roba stracquata che portava a casa era sempre maggiore di
quella che usciva. Quando Francisco morì, dopo la moglie, più della metà dei 70 metri quadri della sua casa erano zeppi di materiale di stracquo
accumulato negli anni. Ciccillo `a Gallina dovette fare più di 20 viaggi col suo furgone per smaltirlo.
Francisco ‘ì Cula Cula è stato un personaggio singolare del suo tempo. A modo suo, e forse senza neanche rendersene conto, Francisco è
stato un ambientalista ante litteram, certo per questa sua “mania” di ripulire le spiagge, riutilizzando praticamente tutto quello che il mare
portava a riva. Applicava una sorta di riciclaggio alla buona, in tempi in cui la parola era praticamente sconosciuta essendo imperante l´apice
del consumismo.
Ma anche, e forse soprattutto, per come quella volta si prodigò per salvare un delfino spiaggiato, o stracquato per dirla alla ponzese.
Un episodio lontano nel tempo ma che ricordo con vividezza perché mi colpì molto.
Era una mattina di marzo e durante la notte il levante aveva soffiato forte. Come al solito guardai fuori dalla finestra della mia cucina,
mentre sorseggiavo il caffè appena fatto, e vidi Francisco che, mentre si affannava intorno ad una sagoma argentea adagiata sul bagnasciuga,
levava alte grida per attirare l´attenzione dei rari passanti di quell´ora mattutina. Guardai meglio e capii che si trattava di un giovane delfino
spiaggiato e che Francisco si stava dando da fare per rimetterlo in acqua e non farlo morire. Corsi anch´io a dare una mano e per fortuna
insieme ad alcuni altri volenterosi passanti riuscimmo a salvarlo - bagnandoci da capo a piedi perché entrammo in acqua fin oltre la cintola facendogli riprendere il mare, con grandissima gioia di Francisco.
Oggi sulla spiaggia di Giancos non vi vede più nessuno che fa lo stracquo, come faceva ai suoi tempi Francisco ‘ì cula cula, anche perchè
il mare porta meno roba di prima per il semplice motivo che sono cambiati i venti dominanti: da qualche anno non è più il levante a farla da
padrone, ma piuttosto i venti da ovest, quindi ora è la costa di ponente a ricevere con maggiore abbondanza i doni del mare.
Per fortuna c´è ancora a Ponza chi prosegue l´antica tradizione dello stracquo, non più a Giancos, ma lungo le cale fuori dal porto guardando
di più a quelle di ponente. Ancora oggi si possono vedere giovani isolani fare il giro di avvistamento “ciglio, ciglio” all´indomani di una mareggiata.
L´emozione di scoprire dal “ciglio” o direttamente sulla battigia i doni del mare è troppo forte ed coinvolgente. Sul bagnasciuga o incastrato
tra gli scogli affioranti nelle sue immediate vicinanza c´è sempre una buona quantità di legno che non viene più utilizzato dai fornai ma serve
solo ad alimentare qualche caminetto in inverno e qualche forno privato per pizze d´estate…ma poi ci sono sembre tutte quelle cose che “Francisco di tanto in tanto si chinava a raccogliere qualcosa di piccolo che metteva in una sacca consunta di tela grigia che portava a tracolla”.
Non vi ho detto cos’erano! All’epoca non lo sapevo. Ora lo so. Erano l’anima di tutte queste opere d’arte che a distanza di tanti anni sono
uscite fuori.
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Veduta della spiaggia di Giancos
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Ci sono luoghi che costituiscono lo scenario neutro su cui si svolge una vicenda e che potrebbero essere
sostituiti senza alcuna modifica sostanziale della narrazione; ci sono luoghi
che impregnano la narrazione; ci sono
luoghi che hanno il ruolo di protagonisti, sono insostituibili e restano dentro
allo spettatore (o al lettore) più della vicenda o dei personaggi “umani”; mi
viene in mente “Fiesta mobile” di Hemingway, letto decenni orsono: ho un
vago ricordo delle figure e delle vicende
che animano le pagine, ma il profumo
di Parigi è incancellabile. Direi allora
che Parigi sta a Fiesta Mobile come
Ponza sta a Lo Stracquo (l’arte che viene
dal mare): cambiare set è impossibile.
Rita Bosso
Opere
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Maddalena Barletta
Bologna
Questa foto, scattata domenica 23 marzo al museo di Ponza,
ritrae l’artista bolognese Maddalena Barletta davanti alla
sua opera “S-legami”: tre legnetti di stracquo e un fil di ferro
sintetizzano la condanna dell’essere umano, oscillante tra
necessità di solitudine e di relazione con l’altro.
Entrambi sono bisogni forti e, allo stesso tempo, stati di malessere; la solitudine è avvertita come prigione da cui si vorrebbe evadere ma, appena ingabbiati in una relazione, si
sente la necessità di tornare a essere soli; tra questi due poli
si scandisce l’esistenza, le richieste legami/slegami si succedono come le oscillazioni di un pendolo.
Ammirando le opere di Maddalena Barletta lo sguardo viene
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catturato dai supporti fatti di tela compattata con collanti,
su cui sono stesi strati di intonaco e, per ultimo, un velo di
paraffina.
Su questi fondi l’artista appoggia, incide, talvolta dipinge;
traccia segni che rimandano a luoghi e a epoche lontane
come piccoli quadrupedi stilizzati, arche, caratteri della scrittura sumera, rune nordiche. Oppure srotola documenti di
qualche secolo fa, svelandoli solo in parte, quasi con pudore,
come a dire che scopo della sua arte è evocare, non illustrare o spiegare.
Antiche pergamene si srotolano, rivedono la luce dopo
chissà quanto tempo ed appaiono infatti inondate di luce
anche quando i colori sono spenti, come si addice ad una
parete ingrigita dalla polvere, attaccata dalle muffe; rotoli
che si allungano su altri rotoli, giacché la memoria, più che
‘a capa, è ‘na sfoglia ‘e cepolla… basta dare l’avvio e il processo di rievocazione non si ferma più…
Altre carte, avvolgendosi, assumono l’aspetto di ammoniti
fossili; le stoffe si attorcigliano a formare ricchi turbanti, in
tele che rimandano all’Africa attraverso pochi segni essenziali: la palma, il cammello stilizzato… L’identità, dicono i titoli di queste opere, può essere nascosta, oppure svelata,
oppure rivelata, insomma suggerita, sussurrata, mai urlata.
S-legami
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Marta Bilbao
Malaga
inevitabile: l’equilibrio magico raggiunto dinamicamente
grazie agli oggetti e ai materiali più fragili - l’uovo, il vetro, la
cera. Marta, però, si sente più vicina a Jannis Konuellis, l’artista greco che esplicitamente richiama e ribadisce le proprie
origini mediterranee.
Marta Bilbao è nata in Spagna, a Malaga; ha trascorso un
lungo periodo a Cuba. Era già stata a Ponza, anni fa; è particolarmente colpita dalla morfologia dell’isola, dalle rocce.
La incontro nella sala del museo, sta realizzando due piccole installazioni e, contemporaneamente, tiene a bada il figlio di Monia che vorrebbe darle una mano e magari sgombrare il pavimento da sandaletti di plastica spaiati, mezzo
rotti, che invece Marta sistema in un certo modo davanti a
tavole di legno.
Il rapporto tra materiali diversi, la ricerca dell’equilibrio
sono le costanti della produzione artistica di Marta Bilbao;
sull’altro lato della sala un asse di legno sostiene una piccola
barca, collocata nell’unico punto della struttura in cui si realizza l’equilibrio delle forze e dei momenti applicati. L’associazione con il Terremoto in Palazzo di Beyus è quasi
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Huellas
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Kika Bohr
Ginevra
zera, ha esposto più volte a Gaeta riscuotendo successo, in
particolare, per i suoi presepi; si è detta che era finalmente
giunto il momento di salire sul piroscafo e raggiungere Ponza,
ma si sbagliava: Zen, il suo splendido collie, si è ammalato e
se n’è andato proprio nel giorno in cui Kika sarebbe dovuta
partire; è toccato alla sua assistente Emeline raggiungere
l’isola e partecipare alla raccolta dei materiali.
Quando ha ricevuto l’invito a partecipare a: “Lo Stracquo l’arte che viene dal mare”, Kika Bohr ha pensato al suo mentore Spartaco Veglia, che tanto le aveva parlato dell’isola in
cui aveva trascorso alcuni anni al seguito del padre Michele,
sindacalista ed amico fraterno di Giuseppe Di Vittorio, spedito
al confino dal regime fascista. Kika, affermata artista italo-sviz-
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Adesso Kika è alle prese con il materiale raccolto da Emeline;
concluso il momento ideativo, è in corso la fase operativa.
Una delle installazioni, Optimist, è legata all’elaborazione del
lutto per la perdita di Zen che, se fosse stato un guerriero vichingo, sarebbe stato disposto su un’elegante e filante arca lignea e traghettato in un Altrove; ma Kika non intendeva
organizzare un rito funebre, aveva semplicemente bisogno di
rivivere un ultimo pomeriggio insieme al suo amato collie, di
trattenerlo ancora per qualche ora, starsene in mezzo al mare,
cullati dalle onde, avvolti in un eloquente silenzio; non aveva
bisogno di un’imbarcazione totemica ma di una semplice bagnarola: l’Optimist, appunto, barca essenziale, quasi un giocattolo, buona per lo svezzamento degli skipper. Nel caso
specifico, Optimist nascerà dalla carcassa di un frigorifero che
Emeline ha raccolto durante il giro di recupero dei materiali
realizzato ai primi d’aprile.
La schiuma di gomma, abbracciata ad un tronco d’albero, farà
parte di Yin e Yang: l’elemento naturale e quello artificiale.
Kika Bohr definisce sbrigativamente assemblaggi le sue opere;
l’ultima è in realtà una micro-installazione, composta dal
bulbo di una lampadina in cui sono penetrate gocce d’acqua.
Optimist
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Antonella Boscarini
Roma
Caminante son tus huellas
el camino y nada mas;
caminante, no hay camino
se hace camino al andar.
Ancora un tronco, questa volta sottile e sinuoso, sormontato
da foglie che sembrano ali, il piede inscritto nello spazio definito da una cornice, è pronto a spiccare il volo; e un altro uccello si concede un attimo di riposo prima di riprendere il volo.
Antonella Boscarini è artista eclettica, che passa dalla pittura
ad olio all’incisione, dalla fotografia alla scultura con la tecnica
della cera persa; dal 1995 conduce il progetto La poetica del
rottame, volto a sensibilizzare al rispetto dell’ambiente; elementi di recupero quali ferro, carta, plastica, pezzi d’epoca,
vengono assemblati in un gioco creativo per dare luce e vita
ad una nuova identità.
“Quando sono arrivata sull’isola ero vuota, pulita come un foglio bianco” così Antonella Boscarini descrive l’inizio della sua
partecipazione alla rassegna “Lo Stracquo - l’arte che viene
dal mare ”. E’ arrivata a Ponza, ha cominciato a percorrere le
rive alla ricerca di un’idea; sarebbe stato il mare ad illuminarla. Racconta di essere scesa sulla spiaggia in perfetta tenuta da passeggio, coi tacchi, e di avere immediatamente
avvertito l’esigenza di entrare in contatto con l’acqua, coi sassi
pungenti e stimolanti. Il tronco piegato raccolto a Frontone le
ha suggerito l’opera L’uomo venuto dal mare; provo a chiedere ad Antonella dove andrà questo lungo piede scheletrico,
risponde che l’importante è andare, passo dopo passo; Antonio Machado spunta dai recessi della memoria e suggerisce
che sono le impronte, null’altro che le impronte, a strutturare
il cammino:
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Ponza è libera
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Myriam Cappelletti
Prato
Myriam, umbra di origine ma residente in Toscana, ha una solida formazione accademica; il rifiuto della pittura a olio la induce a frequentare corsi di affresco e di restauro, a sperimentare tecniche svariate dalle quali, infine, scaturisce un
modo personalissimo ed originale di trattare la tela: dopo aver
steso uno strato di intonaco, incorpora frammenti del suo
quotidiano (il centrino ricamato dalla zia, il merletto della sottoveste della madre, pezzi di giornale), deposita pigmenti,
stende strati di colla, raschia, mischia, sottrae, integra.
I risultati sono questi colori caldi e luminosi, queste superfici
evanescenti e grumose su cui, sospesi come bolle di sapone,
si librano volti, pesci stilizzati, forme, in un fluire libero e naturale dal figurativo al geometrico all’informale, mai ripetitivo,
sempre equilibrato ed armonioso.
Le opere a forma d’abito sono il logico approdo di questo percorso: i tessuti che indossiamo sono, senza dubbio, quelli che
maggiormente si impregnano del nostro quotidiano; assumono odori, umori, forme.
A Ponza Myriam ha realizzato, tra l’altro, un’ aerea e candida
veste a cui ha dato il titolo di Battesimo del mare; le tasche,
però, contengono gli oggetti di stracquo, colorati, impuri, corrosi: la purezza cui è possibile aspirare nasce dalla consapevolezza e dall’equilibrio, non è l’innocenza primordiale né un
obiettivo irraggiungibile.
Libertà errante
Dice un canto molto amato degli ‘uomini blu’ del Sahara:
Dove sono le tende della nostra infanzia?
aperte verso l’orizzonte di stelle verso il deserto
della libertà errante?.
I fondi delle tele di Myriam Cappelletti sono corposi ed eterei
allo stesso tempo, fatti di materia sedimentata, pressata eppure leggeri come soffi.
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Imprigionata in inutili fili
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Cosmo Cinisomo
Gaeta
o un tramonto per uscire da me stessa; spero di incorporarli,
uscendo dalla dimensione di pura e semplice contemplazione.
Recupero una frase dell’amato Beyus: “ Diventai un’antenna
dell’energia, del fuoco che esiste nelle viscere della terra. Evidenziai una vitalità, e non solo gli elementi di catastrofe, e in
senso lato la creatività presente in natura.” L’artista, dunque,
è il catalizzatore della creatività presente in natura e negli individui; tra una settimana, quando l’opera sarà nata, toccherà
a noi visitatori divenire antenna e recepire ciò che da essa promana.
Cosmo Cinisomo si aggira tra grossi tronchi contorti e mazzarielli ‘i mare, in fondo alla sala del museo; alle sue spalle, sulla
parete, un bel gioco di ombre. Tra le installazioni che stanno
prendendo vita, questa è la più imponente ed è l’unica che
utilizza esclusivamente materiali naturali.
Cosmo viene da Gaeta; indica, quali suoi riferimenti, Marcel
Duchamp e il dadaismo.
Queste opere sono alle prime fasi di gestazione, ancora collegate - anche fisicamente - agli autori; un’opera, credo, nasce
nel momento in cui si distacca dal suo autore e, in autonomia,
comincia a rapportarsi ai fruitori: il lettore nel caso di un romanzo, l’osservatore nel caso delle arti figurative.
Dal momento della nascita, l’opera entra in risonanza con il
fruitore, che la ri-crea; con tutto il rispetto per Marcel Proust,
spero che egli abbia torto quando afferma che “Ogni lettore,
quando legge, legge se stesso”; io leggo, osservo un quadro
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Il legno degli argonauti
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Francesco Colozzo
Cagliari
serva e li rigira tra le mani, per lui non sono semplicemente
un legno e un pezzo di lamiera.
Francesco, nato a Cagliari nel 1976, vissuto a Gaeta, ha un rapporto intenso col mare, sua principale fonte d’ispirazione;
dalle lunghe passeggiate a riva, dal recupero di materiali abbandonati nascono le sue opere: pesci fatti di lamiere e chiodi,
l’anello della lattina come branchia, un piccolo galleggiante
che diventa occhio, pezzi di copertoni.
Sono atti di accusa seri, pacati, documentati, i pesci di Francesco: ci sbattono in faccia la realtà dello stato del mare, la
nostra inciviltà; ci descrivono le acque in cui nuotano, i fondali
su cui si sono depositati il tappo del dentifricio, la forbicina
del manicure, il tempera-matite, tanti pezzetti di Lego.
Chiedo a Francesco di indicare un artista o una corrente di riferimento; risponde che è autodidatta, attratto dall’arte sin
da piccolo ma non ha frequentato scuole specifiche.
Mi viene in mente Joseph Beyus, l’idea che ogni uomo libero
sia artista, e che sia libero colui che è capace di esprimere la
propria creatività; insomma, la creatività come condizione necessaria e sufficiente per la libertà.
Nella sala del Museo, Francesco Colozzo è alle prese con una
tavola di legno e un pezzo di lamiera: di sicuro, per come li os28
Senza titolo
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Laura Cristin
Udine
Laura Cristin inizia l’attività artistica come pittrice; approda alle
performance dieci anni
fa, dopo alcuni mesi
trascorsi in Irlanda per
un progetto sul delfino.
Barche, mare, viaggio
sono i temi sempre presenti nelle sue opere; si
è costruita l’identità artistica di Shiren, con cui
ha navigato e solcato gli
oceani: evidentemente,
per affrontare le traversate, ha ritenuto irrinunciabile l’esser donna
(she), mammifero, acquatico. A Ponza, Shiren
è diventata She-rena, e
il fatto che lo stracquo si pratichi sulla riva, a contatto con la
rena, c’entra poco.
Shiren ha la parte inferiore del corpo ben sviluppata e una robusta pinna caudale, indispensabili per il nuoto; il corpo di
Sherena, invece, potrebbe anche ridursi al solo tronco. La contrapposizione è tra visibile e nascosto, tra esteriorità ed interiorità, tra fisicità e spiritualità; il tronco è null’altro che un
manichino, un busto tessile di mare e di cielo, residuo di una
serie che Laura Cristin ha realizzato una quindicina d’anni fa e
portato a Ponza come contenitore vuoto, che solo l’esperienza
artistica sull’isola avrebbe potuto riempire. Appena prima di
lei erano arrivate migliaia di velelle blu, stracquate: quale contenuto migliore, per quella cassa toracica ancora vuota? L’in30
serimento di un cuore blu di velelle, che andranno a connettersi ai tentacoli uscenti dal tronco pone problemi tecnici alla
cui soluzione l’artista sta ancora lavorando; come si sa, le operazioni di cardiochirurgia hanno la loro complessità…
“Shiren presso una conchiglia e Shiren seduta mi fecero desiderare di essere io stessa una sirena”, racconta Laura; logica
evoluzione, il passaggio alla performance.
Lavorare gomito a gomito, andare insieme alla ricerca dei materiali, ritrovarsi letteralmente sulla stessa barca non ha creato
problemi di competitività tra i partecipanti allo Stracquo.
“L’arte - dice Laura - appartiene a chi se ne occupa, come il
tempo, come l’isola”; così, a Frontone, nei pressi delle vasche,
è stata Charlotte Menin ad avvistare un pezzo di vetroresina
che galleggiava in acqua e si è data da fare per recuperarlo e
trasportarlo; parte di una piscina in tempi non lontani, rivivrà
come vela o come velario, riparo per la Sherena-Velella.
Laura non ha esitazioni, quando le chiedo di indicare il luogo
in cui collocherebbe la sua creatura: Sherena-Velella vuole
stare a Frontone, nell’area della peschiera romana dove, al
termine della Mostra, Laura realizzerà una performance.
Sherena velella
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Publia Cruciani
Roma
A una come Publia Cruciani, potrei mai chiedere se prima
d’ora aveva mai sentito la parola stracquo, o quali emozioni
le abbia suscitato la vista dei vastaccetti in piena fioritura? Publia a Ponza è arrivata a cinque anni, al seguito del padre che,
pur di trascorrere qualche giorno qui, si faceva nominare presidente di seggio elettorale; lei ha imparato ad andar per mare
sotto la guida di Cesare Panzatuosto.
Nonostante a Ponza sia di casa, ha accettato volentieri di partecipare a “Lo Stracquo - l’arte che viene dal mare”; ha vissuto
l’interazione positiva con gli altri artisti, la particolarità di
un’esperienza intensa e compressa in un solo fine settimana
(il terzo, a fine marzo), si è lasciata pienamente coinvolgere
dal flusso di energia e di creatività.
“Il bello di questa iniziativa - dice - è che abbiamo dovuto tirar
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fuori delle cose dall’isola” e, in effetti, la peculiarità di questo
evento è l’aver utilizzato Ponza come materia prima, dalla
quale liberare forme nascoste ed energia. L’isola è ben altro
che semplice fonte d’ispirazione o suggestivo spazio espositivo; è materia viva le cui proprietà espressive vanno ricercate
ed evidenziate; è materia usurata, su cui la storia - e le singole
storie individuali - hanno lasciato segni e rughe, che vanno
prima di tutto osservati ed accarezzati con amore, non spianati con operazioni di lifting; l’arte viene dopo, e non è mai
disgiunta dalla esigenza di conoscere quali siano state le vicende dei materiali, prima che venissero fissati nell’immobilità dell’opera. E’ questo, a mio avviso, il discrimine tra eventi
culturali che hanno luogo sull’isola e altri che nascono dall’isola. E’ la stessa differenza che passa tra una composizione
floreale - per quanto bella e raffinata - e una pianta: la prima
non ha radici.
A Ponza, Publia Cruciani ha realizzato un San Silverio, così
come a Certaldo ha rappresentato Boccaccio e, a Lucca, ha citato Elisa Bonaparte.
Pur avendo una solida formazione artistica, che le consente
di utilizzare diverse tecniche, predilige l’uso di materiali di recupero.
San Silverio
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Carlo De Meo
Formia
Carlo De Meo, al pari di tutti gli artisti intervenuti sinora a questa rassegna, è partito per Ponza con un bagaglio leggero: nessuna idea su cosa avrebbe realizzato, nessun progetto; il “qui
ed ora”, per tutti, è stato imperativo categorico; si sono avviati
con mente aperta e libera, sarebbero stati i pezzi recuperati a
dettar legge.
Questa settimana la raccolta del materiale di stracquo è cominciata a Frontone; se fosse avvenuta altrove, avremmo
avuto un’opera diversa. Sotto al Fortino giaceva la scocca nera
di uno scooter; l’immagine di un tuffatore si è formata immediatamente, si è dilatata, è esplosa nello spazio; l’oggetto,
dice Carlo, reca un segnale chiaro di cosa diverrà, e aggiunge:
“Il lavoro si è formato non attraverso l’adattamento degli oggetti trovati all’idea, all’immagine ma, al contrario, è stata
l’immagine stessa a scaturire e ad adattarsi agli elementi rac-
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colti… ecco che la scocca diventa l’elemento dettante, il seme
da cui scaturisce l’idea e si forma l’immagine”.
Poi, su quest’idea, bisogna lavorare: diverse foto mostrano
l’artista alle prese con i disegni preparatori, tanto più accurati
quanto maggiori sono le dimensioni: nel caso del Tuffatore,
lungo quasi tre metri, una volta individuati i punti fermi dettati
dalla curvatura della scocca, sono state definite le dimensioni
e i rapporti, in modo da non perdere l’anatomia. Contribuiscono alla composizione alcune assi erose dall’acqua ed elementi neri (tappi, catrame), tutti raccolti sull’isola che formano il ginocchio, l’ascella, parte della testa e le mani.
Al centro delle opere di De Meo - non solo di quelle realizzate
a Ponza - è un corpo, intorno al quale è organizzato lo spazio;
spazio che non è un contenitore vuoto nel quale l’opera è immersa, ma è integrato nell’opera stessa, in cui la striscia di travertino del pavimento della sala del Museo incornicia la
piattaforma dello stesso colore su cui il Tuffatore è adagiato.
A proposito: il titolo dell’opera non è “Il Tuffatore”, ma “Bevo
parole salate mentre guardo uno specchio di mare”.
Carlo De Meo si definisce “spazialista, concettualista ironico”;
lavora in genere con materiali di recupero, quindi il concetto
dello stracquo (non la parola) gli era noto già prima di partecipare a questo evento. In passato ha utilizzato oggetti di produzione industriale deformati, schiacciati per ribaltarne la
visione.
Bevo parole salate
mentre guardo uno spazio di mare
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Giampiero Fantigrossi
Latina
suggestioni. L’intensa spiritualità del Profeta (ispirato all’omonimo poema di Gibran) è resa con un brandello di rete e una
scheggia di legno; la postura raccolta, chiusa, contrasta con la
materia prescelta, fatta di vuoti più che di pieni.
Per il Profeta è giunta l’ora della partenza, mesta perché “Lunghi furono i giorni di dolore vissuti dentro le sue mura, e lunghe furono le notti in solitudine; e chi può lasciare il suo
dolore e la sua solitudine senza rimpianto?”. Gli abitanti di Orphalese lo implorano: “Parlaci dell’Amore” …e poi dell’amicizia, del dolore, della bellezza, del bene e del male; il Profeta
si attarda a parlare ma la nave è lì, la partenza è inevitabile;
tuttavia egli ritornerà “come la marea”. Nasce così il poema
che è stato definito “ breviario per i laici”.
Da sempre Fantigrossi lavora con materiali di scarto: li assembla, dipinge icone su vecchie tavole, realizza testate d’angolo
con le pietre inutilizzate dai muratori perché difettose; le sue
opere, dice, “sono detriti di civiltà, frutto di lunghe passeggiate sulle nostre spiagge; sono pezzi unici e autentici, sono
assemblaggi di materiali inutili, scartati dalla produzione e dall’utilizzo umano. Levigati dal mare e dal vento, questi cocci,
vetri, ferraglie, legni e plastiche diverse, nobilitati solo da piccoli interventi di graffi e colore, rappresentano una scommessa artistica: E’ possibile dare nuova vita ai detriti della
civiltà?”.
A Ponza ha realizzato, oltre al Profeta, altre due opere: un Fratino e un Canguro marino.
Con Giampiero Fantigrossi lo Stracquo vira verso il figurativo:
corpi lunghi ed ascetici, su cui le piccole cose rinvenute a riva
restano impigliate. Ovviamente non si tratta di rappresentazioni di tipo naturalistico, mimetico; qui non si vuole riprodurre l’oggetto, imitarlo; si procede invece per allusioni, per
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Canguro marino
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Stefania Fantone
Sulmona
del Museo, in cui ha realizzato una installazione.
Ma ri-vivere richiede la rinascita, e questa presuppone una
gestazione: dove, se non in acqua?
Il mare ha consumato, intagliato, cesellato, riplasmato; ha nascosto nel buio dei fondali; ha messo in comunicazione con
altre creature; ha intriso di luce e impresso di suoni; ha portato dentro di sé, come una madre col feto; ha nutrito, cullato
e dondolato; ha appioppato energici schiaffoni, che fanno
parte di ogni esistenza; ha fatto sperimentare tempeste e bonacce.
“Dal mare nasce la vita; dalla panthalassa, oceano primordiale, è nato tutto; noi uomini nasciamo come pesci, il primo
elemento con cui veniamo in contatto è il liquido del grembo
materno” spiega Stefania.
Abruzzese, inizia il proprio percorso formativo all’istituto
d’arte di Chieti; entra poi nel laboratorio sperimentale di Gabriella Capodiferro, in cui approfondisce le tecniche espressive
e il linguaggio visuale; fa parte del primo gruppo di artisti ospitati a Ponza.
La verticalità, necessità e ragion d’essere di questi tronchi
quando erano saldamente radicati al suolo, appartiene al passato; adesso è il momento di individuare le nuove linee energetiche che percorrono questi corpi, bisogna leggere le
simmetrie e le asimmetrie che rendono possibili nuovi equilibri. Stefania Fantone ha sostato a lungo sulle rive del’isola,
ricercando materiali di stracquo, sperimentando lo stone balancing di impronta zen, e ha riportato l’esperienza all’interno
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Balancing
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Ignazio Fresu
Cagliari
La grafica di Ignazio Fresu restituisce un’isola essenziale, assoluta, severa, chiusa in un bozzolo di silenzio e di mistero.
Nasce da foto desaturate, stampate su cartone e trattate con
aggrappanti, realizzate con le tecniche che l’artista ha sperimentato per documentare le sue opere di scultura istallativa.
L’assenza di colore non è assenza di luce; i grigi, gli ocra, i rari
gialli dei metalli ossidati sono anche i colori con cui le sostanze
naturali emergono dallo stracquo, quasi che il colore sia il
primo attributo a staccarsi dal corpo e a depositarsi in mare,
quasi che la rinascita - e l’acquisizione di nuovi colori - presupponga una stagione di bianco e nero. Troppo scontata l’associazione con i colori del lutto, ma quasi inevitabile.
Ignazio Fresu, sardo - cagliaritano, puntualizza, e Cagliari è
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città di mare, più simile a Napoli o a Genova che a Nuoro o a
Sassari - ha praticato lo stracquo non nella sua terra natìa ma
lungo le rive dell’Arno, negli anni in cui frequentava l’accademia a Firenze; con le tavole recuperate, adeguatamente trattate e ricoperte di fondo oro, realizzava madonne trecentesche che avevano una buona collocazione sul mercato.
Fresu utilizza materiali di recupero in quanto icone dell’area
geografica, sociale e temporale a cui appartiene, carichi di significati; non attribuisce al recupero valenza di riciclaggio, che
suonerebbe come giustificazione, atto auto-assolutorio da
parte di una civiltà consumista. Bisogna fare un salto temporale di millenni, per trovare le radici della poetica di Ignazio
Fresu; bisogna ricollegarsi ai filosofi pre-socratici, ad Eraclito
in particolare, per ritrovare un’idea di bellezza insita nella fragilità, nella deperibilità, nella precarietà, nel Divenire che è
manifestazione del Logos. Le cose che non vediamo più non
sono svanite nel nulla; sono solo scomparse dal nostro orizzonte degli eventi.
“Esiste una bellezza che si manifesta sia negli equilibri precari,
sia nell’apparenza delle cose - spiega Ignazio Fresu; - è una
bellezza interiore, non nichilistica, è l’anima delle cose che si
svela al di là del loro apparire. Di quell’apparire che, nel pensiero Occidentale, attraverso la fede nel divenire, è nascondimento del volto autentico di ciò che è, nell’indiscussa
convinzione che il divenire sia un uscire dal nulla e un ritornarvi. La bellezza che esiste nelle cose è ciò che permane
come sostrato del divenire, non solo come manifestazione di
ciò che è mutato, ma nell’atto stesso del mutare. E se pur incapace di riconoscere un principio e una fine per ogni cosa,
appartengo a questo moto dove ogni cosa si mostra soggetta
al tempo e alla trasformazione, così che il Divenire s’impone
come la sostanza stessa dell’Essere e nel mio agire artistico
diventa forma”.
Ponza
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Cristina Marotta
Ventotene
“A otto anni disegnavo come Raffaello; ci ho messo tutta la vita
per imparare a disegnare come un bambino”; la celebre frase
di Picasso mi è tornata in mente di fronte ai lavori di Cristina
Marotta.
Gli aggettivi primitivo ed infantile, in genere, non si usano come
complimenti; ma i pesci di Cristina sono primitivi in quanto rimandano ai graffiti rupestri, il mare è descritto da un bambino
che lo vede per la prima volta e vuole evidenziarne gli elementi
essenziali: il movimento delle onde; il fondale sabbioso; la fascia
in cui nuotano i pesci, lattescente come gli è apparsa due secondi fa, quando si è immerso ad occhi aperti; il cielo azzurro.
Questo è il frammento di mare che ha visto, questo riporta; non
vuole arricchire né abbellire, non vuole spiegare né raccontare;
vuole solo descrivere, con un atto di verità.
La sabbia non è dorata ma nera: siamo a Ventotene, mica ai Ca-
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raibi! Il mare è una distesa azzurra uniforme e, sulla battigia,
giacciono quattro scogli o quattro patelle impigliate in una rete;
è una visione planimetrica di una spiaggia vista dall’alto, col
mare inaccessibile per lo sbarramento del tronco. Anche in questo caso il bambino coglie gli elementi essenziali e ignora il
resto; il mare, la spiaggia sono presenti ma lontani, lui non può
accedere, dunque perché dovrebbe soffermarsi sui dettagli?
Ed è ancora del bambino l’esigenza di riquadrare, di incorniciare, non per abbellire ma per evidenziare, per escludere tutto
ciò che, in questo momento, non interessa; nel qui-ed-ora del
momento creativo contano solo questa specie di bivalve che
sembra una farfalla ad ali piegate e il fondo ricamato e luminoso, la cornice serve a circoscrivere, funge da mirino.
Lo stracquo fa parte della “terza vita” di Cristina Marotta; la
creatività e la manualità, invece, l’accompagnano da sempre e
la spingono verso tante esperienze diverse, tra le quali la musica
occupa un posto centrale. Nata a Napoli, si stabilisce a Ventotene, il paese della nonna, negli anni in cui è sindaco Beniamino
Verde.
Il siluro dei desideri
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Charlotte Menin
Marsiglia
Charlotte Menin è nata a Milano, ha studiato a Berlino ( laurea
in lettere tedesche e francesi, fotografia presso la rinomata
Ostkreuzschule für Fotografie ) dove è rimasta dieci anni, si è
quindi trasferita a Marsiglia; è dunque poliglotta ma, per definire
ciò che ha trovato a Frontone, usa l’eloquente “una bella montagna di munnezza”. Non è questa la sede per chiedersi quali
correnti marine e quali venti abbiano potuto trasportare a Frontone otto sedie uguali e la carcassa di un frigorifero (utilizzato
da Kika Bohr), ovvero dove e come questi oggetti abbiano vissuto, sino a qualche tempo fa; oramai convinti che lo Stracquo
sia una delle manifestazioni del flusso della vita, che abbia anche
una dimensione esistenziale, che sia la declinazione nostrana
del Panta Rei eracliteo, ci interessano il presente e il futuro di
questi oggetti, non il loro passato. E il futuro delle otto arrugginitissime sedie è l’installazione “Conversazioni di fondo” di Charlotte Menin.
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Sedie, nient’altro che sedie: oggetti di uso quotidiano, quasi
umili, eppure spesso protagoniste di installazioni celebri; vengono in mente “180 sedie a Capri” di Giancarlo Neri del 1991, o
“Vincere si deve la sorte” dello stesso artista del 2010, a Gibellina, sui Cretti di Alberto Burri. Sedie incolonnate, come in una
processione che scivola verso il mare.
Di tutt’altro segno l’installazione di Charlotte, minimal - le sedie
sono otto, non centottanta - intima, raccolta. Le scarpe a terra
ci dicono che le sedie sono occupate; i corpi sono invisibili ma
le scarpe argentee e sformate parlano, raccontano in modo telegrafico ed inequivocabile chi le indossa: un ragazzone irrequieto che sosta solo per qualche minuto, una vecchia
ciabattante che si è messa comoda e chi la sposta, di là!
Sedie e scarpe risvegliano subito un immaginario, evocano le
persone che le occupano; sostituire le une con dei tavolini, le
altre con dei maglioni o delle borse, non produrrebbe lo stesso
effetto.
Descrivono relazioni, queste sedie: due donne stanno parlando
a voce bassissima, vicine, le ginocchia si toccano; la vecchia, invece, vuole solo godere la brezza della sera, starsene comoda,
le gambe divaricate …
Le posizioni, ovviamente, richiedono ore ed ore di prove; “ore
passate a posizionare sedie e scarpe - spiega Charlotte - perché
é solo quando sono ben posizionate che prendono vita, raccontano una storia o delle storie”.
Charlotte è fotografa: “Nel mio lavoro fotografico il corpo é sempre presente, riflette. Guardo i corpi da vicino, sono quasi palpabili, tutto il resto si spoglia; restano i corpi, la nudità, le
pulsioni. A Ponza ho lavorato improvvisamente in modo inverso:
il corpo é assente, evocato ma assente. Non ci avevo pensato
prima. Realizzando un’opera plastica, invece di trasporre quello
che faccio, procedo esattamente al contrario e, in questo modo
quasi paradossale, il corpo è evidenziato”.
Conversazioni di fondo
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Onol Murat
Istanbul
Non è un cuore, perdio, è un sandalo di pelle di bufalo
che cammina, incessantemente, cammina
senza lacerarsi
va avanti
su sentieri pietrosi
(Nazim Hikmet)
Scontato, citare i versi di Hikmet per presentare l’artista turco
Murat Onol; se poi egli realizza l’installazione nel Museo di
Ponza, l’associazione Ponza / confino / esilio / Hikmet / Turchia è quasi automatica.
No, non sono cuori gli oggetti racchiusi sottovuoto in sacchetti
simili alle sacche ematiche, deposti sulla rete di un letto
d’ospedale; sono mezzi filoncini di pane aperti, tagliati a metà,
riempiti con piccole cose di stracquo e imbustati.
Due settimane fa, ad Istanbul, è morto uno studente turco,
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dopo un lungo coma che lo aveva ridotto a pesare sedici chili;
stava andando a comprare del pane quando è stato preso alla
testa da un lacrimogeno sparato dalla polizia.
Stamattina, a Giancos, Murat si è fatto portare sedici chili di
pane con cui ha prima prodotto una performance, poi realizzato l’installazione Paradiso, Purgatorio, Inferno terrestri nella
sala del Museo.
Il pane, simbolo di vita, diviene causa di morte, secondo un
principio derivante dal pensiero Sufi che percorre molte delle
opere di Murat: non c’è vita se non c’è il suo duale, la morte.
Non c’è il vuoto senza il pieno: le sacche rese dense e compatte dall’estrazione d’aria giacciono sulla griglia a maglie larghe della rete del letto; ancora, l’immensa ricchezza che il
mare contiene si mescola alla distruzione rappresentata dai
piccoli oggetti di plastica stracquati a riva.
Murat Onol è nato ad Istanbul nel 1971; comincia l’attività
come pittore espressionista, prosegue con la produzione di
installazioni e video; attualmente realizza in prevalenza performance interattive.
Fa parte del secondo gruppo di artisti ospitati a Ponza dall’associazione Cala Felci, nell’ambito della rassegna “Lo Stracquo
- l’arte che viene dal mare”.
Gli chiedo cosa evochi la parola stracquo; risponde con l’aggettivo “pesante”.
Non era mai stato prima d’ora a Ponza, ma la conosceva come
luogo di confino; spiega che, in questi giorni, è stato colpito
dal contrasto cromatico sulle facciate degli edifici: superfici
curate con colori “alla moda” si alternano a pareti screpolate;
discutiamo un po’ sui colori delle isole del Mediterraneo, sul
recente intervento di ritinteggiatura del Porto, ma il significato
delle sue parole lo comprendo solo adesso, mentre consulto
il suo sito web e, tra le foto, ritrovo l’immagine del muro screpolato di fronte al Museo Pisacane.
Paradiso, purgatorio
e inferno terrestri nella sala del museo
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Proposte dall’isola
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Carmela Argiero
Ponza
tivi mariti; va - andava - ad abbracciare la signora Tricoli, la
maestra di ricamo ormai centenaria; dipinge quadri che parlano di mare e li dona al museo di Ponza; riannoda i fili con
un passato che i luoghi comuni vorrebbero triste ed incolore
e per lei è invece ricco, luminoso e prezioso, perché è il suo
passato.
Evidentemente, questo scoglio non è la dimora di Circe: è
Circe stessa. Evidentemente, Carmen non vede scura roccia
vulcanica, ma smeraldi e perle.
C’è tutta Carmen, nei quadri di Carmen Argiero: la ricchezza
delle concrezioni, il calore delle tinte pastello, la luminosità e,
nota dominante, la leggerezza. Servono ad equilibrare i colori
- o l’assenza di colore - della sua infanzia.
Carmen Argiero è arrivata a Ponza nel 1949, insieme alla sorella, ed è rimasta sino al 1963; salernitana, orfana di padre,
fu affidata alle suore che, appena dopo la guerra, avevano istituito un orfanatrofio nell’edificio che oggi è adibito ad alloggio
per la guardia di finanza.
Carmen ha avuto una vita piena ed appagante; appena le è
stato possibile, è tornata a Ponza per ritrovare le persone e i
luoghi della sua infanzia, della quale ha un ricordo felice. Oggi,
pensionata, gira il mondo ricercando, in ogni angolo, qualche
riferimento al paese in cui ha trascorso i primi anni di vita; è
andata in televisione per lanciare un appello alle ex orfanelle
e ritrovarle; torna a Ponza per la festa patronale portando gli
amici brianzoli; va in crociera con l’amica d’infanzia e i rispet50
Il fiore è una rete
che intrappola tutti
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Salvatore Balzano
Ponza
Salvatore Balzano, ponzese di Le Forna, è prevalentemente
un paesaggista ma si diletta anche nella scultura. E’ una scultura, infatti, o meglio un assemblaggio di materiale stracquato, la seconda opera presentata in mostra dal titolo “La
tentazione di Eva”. Un naturale intreccio di rami lavorati dal
mare crea due serpenti che avidi e voluttuosi protendono le
loro bocche verso il frutto agognato, un seno di donna. Uno
di essi già se ne è impossessato.
Opera differentemente interpretabile: erotica nei suoi significati psicanalitici e semantici, sarcastica in quelli sociali e morali.
“Cristo si è fermato a Ponza” è una delle due opere con cui
Salvatore Balzano partecipa a “Lo Stracquo - l’arte che viene
dal mare”.
Oppure Cristo se ne sta allontanando, come i raggi del sole
che hanno già abbandonato la spiaggia e la battigia e, ormai
radenti alla superficie dell’acqua, sfiorando le creste d’onda,
illuminano Palmarola. Nel tardo pomeriggio la spiaggia è deserta, fa quasi freddo; i due cagnolini in primo piano litigano,
uno ringhia, l’altro tace, forse ha paura o sta semplicemente
aspettando il momento per passare all’attacco. Le barche,
segno identitario dell’isola, dovrebbero essere in primo piano
ma sono minuscole, abbandonate a riva. Un omino appendiabiti - alias servomuto - è l’altare laico e consumistico di questa
rappresentazione, ma è anch’esso vuoto….
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La tentazione di Eva
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Antonietta Mazzella
Ponza
facciate delle case, col pennarello indelebile traccia velocemente i segni di persiane e ringhiere; le mattonelle policrome
diventano allegri pesci palla che inducono nell’osservatore similitudini col Parc Guell di Gaudì ma anche con il Giardino dei
Tarocchi di Niki de Saint Phalle.
Antonietta realizza una dozzina di pezzi all’anno, ma costantemente ricerca ed accantona le sue crastule.
Quando gli ultimi turisti lasciano Ponza e l’isola diventa più
triste o più vera, secondo i punti di vista, Antonietta fa il suo
cambio di stagione: ritira dalla spiaggia i tavoli del ristorante,
ripone le pentole e riprende tele, colle e pennelli.
Il suo primo lavoro fu un bancone realizzato per l’albergo-ristorante di famiglia, la storica Pensione Silvia a Santa Maria
in cui alloggiò anche Benito Mussolini, nell’estate del 1943; i
clienti dell’albergo, osservando il bancone, citavano Gaudì ma
Antonietta, all’epoca, nulla sapeva dell’architetto catalano.
Laureata in lettere, impegnata nella conduzione dell’attività
di famiglia, ha impostato da autodidatta il suo percorso creativo, senza curarsi troppo delle basi teoriche; ai muratori ha
chiesto come incollare le mattonelle, il resto lo ha fatto da sé
osservando, provando, sbagliando e riprovando.
Il mare le porta crastule tra cui scava le tessere che utilizzerà:
sceglie le diverse tonalità di verde con cui compone l’onnipresente collina di Santa Maria, i rosa, i gialli e i celeste per le
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Bolle di mare
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Ornella Vitiello
Ponza
Il virus della
creatività deve
averlo inoculato papà Filippo, che dal
legno ricavava
mobiletti, utensili, giocattoli;
poi ogni figlia
ha proseguito
per suo conto,
individuando il
materiale e le
forme espressive più congeniali: Gioconda
si è dedicata al
vetro, Ornella
ha seguito corsi
di ceramica ed è infine approdata alla pittura sui sassi.
“C’era a Zannone, come peraltro presso ogni faro, un locale
adibito ad officina con un grande tavolo da lavoro dotato di
morse, pialle, seghe e trapani da far invidia ai laboratori dei
maestri-falegnami di Ponza come quelli di Salvatore Pacifico,
Silverio Tricoli e Ciro Iacono. Così negli anni vissuti a Zannone
mi era capitato di assistere alla realizzazione di barche in cui
erano particolarmente bravi i fratelli Francesco e Filippo Vitiello, o alla costruzione di sedie sdraio e scale in cui si era specializzato mio padre” scrive Enzo Di Fazio, e rende meravigliosamente l’atmosfera serena e operosa che si respirava
nelle varie case dei fari. Il Filippo Vitiello, fanalista, specializzato nella costruzione di barche, era appunto il papà di Ornella.
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Ornella si dedica alla decorazione di sassi, rigorosamente provenienti da Palmarola perché, dice, “i colori, la forma, la superficie vellutata dei sassi di Palmarola sono unici”.
Il rock-painting si colloca tra la pittura e la scultura; l’artista
usa le tecniche e i materiali della pittura ma, sfruttando ed
esaltando le curvature della superficie, esce dalla bidimensionalità della tela.
Ornella Vitiello realizza un suo personale bestiario popolato
prevalentemente di gufi e di gatti; usando colori naturali per
il piumaggio degli uccelli, per i peli dei gatti e dei cani; è invece
un’esplosione di colori squillanti per pesci ed insetti, rappresentati in modo meno naturalistico ma più fantasioso.
Gocce di rosso
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A scuola di... stracquo
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Scuola Media “Carlo Pisacane”
Ponza
Anche la scuola media Pisacane di Ponza partecipa a Lo Stracquo: l’arte che viene dal mare; l’attività è del tutto coerente
con il progetto formativo elaborato dalla scuola che, non a
caso, prevede anche la partecipazione ad altre iniziative curate da associazioni, isolane e non.
Il professor Federico Pinto, docente di storia e geografia, in
servizio a Ponza da quattordici anni, assume l’isola come straordinario, irripetibile libro di testo; radicare l’alunno al passato, renderlo partecipe della memoria collettiva, è il primo
passo verso la costruzione della cittadinanza attiva e consapevole; conoscere il passato mette lo studente nella condizione di valutare il presente e di progettare il futuro; di
orientarsi, in riferimento alla realtà in cui è immerso.
Non sempre Federico Pinto trova all’interno della scuola le risorse umane di cui ha bisogno, ma non si perde d’animo:
chiede la collaborazione di Domenico e di Silverio Scotti,
esperti di storia locale; attiva progetti in rete con altre scuole;
soprattutto lavora, entusiasta, instancabile: alle sei e mezzo
di sera è ancora alle prese con le prove per uno spettacolo
teatrale.
Già da alcuni anni i suoi alunni costruiscono una sorta di
mappa concettuale su pannelli di legno; su suggerimento di
un bidello, da qualche anno si utilizzano i legni stracquati a
riva. Non c’è dunque finalità artistica nella realizzazione dei
pannelli che saranno esposti alla mostra sullo Stracquo, ma
solo la necessità di fissare le tappe salienti del percorso d’apprendimento, di collocare gli eventi della storia locale in contesti sempre più ampi; si avverte, nei bei pannelli ordinati che
coprono intere pareti, il processo di comprensione e di rappresentazione che consente allo studente non di accumulare
conoscenze, ma di organizzarle dinamicamente in una struttura di crescente significatività e complessità.
Tra qualche tempo questi pannelli saranno smontati e messi
da parte, ma i processi mentali che la loro preparazione ha attivato lasciano tracce, indistruttibili, nelle belle testoline degli
alunni di Prima B, cittadini di domani.
Lavori eseguiti a cura del
prof. Federico Pinto
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Re sole
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La lotta per le investiture
La crociata
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Scuola Media “Principe Amedeo”
Gaeta
Gaeta, città marinara per eccellenza, non annovera tra le sue
tradizioni il recupero del materiale di fluitazione, eppure la
scuola media Principe Amedeo non si è lasciata sfuggire l’occasione offerta dalla mostra Lo Stracquo, l’arte che viene dal
mare, organizzata dalle associazioni Calafelci, ponzese, e Novecento, gaetana.
La professoressa Cinzia Paciullo, docente di Educazione Artistica, aveva già avviato i suoi alunni di terza media alla modellazione di figurine col das e ad esperienze di organizzazione
dello spazio, precursori di installazioni artistiche; la partecipazione allo Stracquo, però, ha richiesto fasi di lavoro completamente diverse, che hanno visto impegnati i venti alunni
in varie mansioni; Alessandro, per esempio, si è assunto il
compito di raccogliere il materiale, andando sul lungomare
nelle giornate giuste e facendo una prima selezione.
Nella fase del lavoro in aula gli alunni hanno operato sia singolarmente che in gruppi.
In queste realizzazioni, come in quelle degli artisti adulti che
hanno partecipato a Lo Stracquo, è la materia che detta legge
e piega l’opera alle sue caratteristiche e alla sua storia, che
confluiscono nella forma. Se compito dell’artista è la lettura
di questa forma, nonché l’individuazione, come in una radiografia, degli elementi interni e la loro esplicitazione, ha senso
chiedersi in che misura questi studenti abbiano realizzato tale
compito, ovvero in che misura siano stati artisti. I tre esili rami
che diventano groviglio di serpi costituiscono risposta esauriente ed affermativa all’ interrogativo; c’è un incantatore da
qualche parte, alla sua musica un serpente si erge, gli altri
due, ipnotizzati, si allungano al sole; le tre lingue guizzanti introducono un tono giocoso nella composizione.
La professoressa Paciullo sottolinea l’originalità dello svolgimento di un tema abbastanza tradizionale quale il presepe,
ad elevato rischio di caduta nello stereotipo. Uno dei due presepi si sviluppa in orizzontale, quasi aereo; pochi elementi essenziali rievocano il paesaggio mediterraneo, più specificamente quello della costa laziale; è più che altro una scena
campestre, depurata dagli elementi iconografici più ovvi quali
deserti e palme, con l’elemento religioso in posizione marginale. Eppure, osservando bene, la cometa c’è, ed è ad essa
che punta tutta la composizione; è una cometa che si è annidata nel legno e trascina gli sguardi verso l’alto: un bellissimo
concentrato di sintesi, di equilibrio e di astrazione!
Lavori eseguiti a cura della
prof.ssa Cinzia Paciullo
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Serpenti
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L’arca della natività
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Albero di mare
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Reportage
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1. Massimiliano Casalino con
la barca carica di stracquo
raccolto dagli artisti.
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2. Il momento dello sbarco
con Franco Schiano che
aiuta .
3. Francesco Colozzo al lavoro.
4. Cosmo Cinisomo al lavoro.
5. Stefania Fantone esamina
il materiale.
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6. Da sin.: Maddalena Barletta,
Myriam Cappelletti e Onol
Murat si scambiano impressioni.
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7. Da sin.: Antonella Boscarini,
Maddalena Barletta, Onol
Murat e Franco Schiano a colazione.
8. Marta Bilbao raccoglie i materiali.
9. Antonella Boscarini compone
un’opera.
10. Giampiero Fantigrossi con il
suo “Canguro marino”.
11. Carlo De Meo intento alla
realizzazione dell’opera.
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12. Cristina Marotta durante la
raccolta dello stracquo.
13. Giampiero Fantigrossi mostra una sua opera
14. Publia Cruciani sceglie i materiali per realizzare “San Silverio”.
15. Myriam Cappelletti intenta
all’integrazione dei materiali
dello stracquo con i suoi “Vestiti”.
16. Laura Cristin simula una performance
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17. Rita Bosso.
18. Da sin.: Laura Cristin, il conducente della barca Francesco
Bruno, Emiline e Charlotte al ritorno dalla raccolta.
19. Kika Bohr e l’assistente Emiline.
20. Charlotte Menin con un
frammento di natante ritrovato.
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Elaborazioni dimostrative di alcuni artisti presso lo stand dell’associazione “Cala Felci” e
dell’associazione culturale “Novecento” allo Yacht Med Festival
2014.
21. Antonella Boscarini.
22. Marta Bilbao e i suoi bambini.
23. Giampiero Fantigrossi e Publia Cruciani.
24. Stefania Fantone e Cosmo
Cinisomo.
25. 26. Alcuni momenti della
conferenza stampa sul veliero
“La Signora del vento”.
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Comune di Ponza
Comune di Gaeta
Associazione
CALA FELCI
Associazione Culturale
Novecento