L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 41 (46.879)
Città del Vaticano
venerdì 20 febbraio 2015
.
Papa Francesco celebra il mercoledì delle Ceneri a Santa Sabina
Ore critiche per il negoziato tra Atene e l’Europa
Il dono delle lacrime
Attesa greca
Per gli Stati Uniti non c’è alternativa all’intesa
E al clero di Roma parla dell’omelia nella messa
«Ci farà bene a tutti, ma specialmente a noi sacerdoti, chiedere il
dono delle lacrime, così da rendere
la nostra preghiera e il nostro cammino di conversione sempre più autentici e senza ipocrisia». Nel mercoledì delle Ceneri il Papa ha tracciato le coordinate dell’itinerario
quaresimale. Celebrando la messa
all’Aventino nel pomeriggio del 18
febbraio, Francesco ha offerto una
riflessione sull’importanza del pianto, che riecheggia quella proposta a
Manila durante l’incontro con una
bambina vittima di violenze.
Dopo aver guidato la processione
penitenziale dalla basilica romana di
Sant’Anselmo a quella di Santa Sabina, il Pontefice ha presieduto l’Eucaristia con il rito delle ceneri. «Ci
farà bene — ha detto — farci la domanda: “Io piango? Il Papa piange?
I cardinali piangono? I vescovi piangono? I consacrati piangono? I sacerdoti piangono? Il pianto è nelle
nostre preghiere?». Per Francesco,
infatti, il pianto rivela il volto autentico dell’uomo, al di là dei gesti ipocriti compiuti per assolvere «prescrizioni intaccate dalla ruggine del formalismo». Il riferimento è alle opere
di pietà previste dalla legge mosaica
— elemosina, preghiera e digiuno —
che nel corso del tempo avevano finito per mutarsi «in un segno di superiorità sociale». Una tentazione
sempre attuale, perché «gli ipocriti
non sanno piangere, hanno dimenticato come pregare, non chiedono il
dono delle lacrime». E invece, ha
avvertito il Papa, «tutti abbiamo bisogno» della misericordia e del perdono del Signore, che ci invita continuamente «a tornare a lui con un
cuore nuovo, purificato dal male,
purificato dalle lacrime». E il modo
migliore per accogliere questo invito,
ha assicurato Francesco, «è lasciarsi
riconciliare», nella consapevolezza
che ogni «sforzo di conversione non
è soltanto un’opera umana».
L’indomani mattina, giovedì 19, il
Papa ha ricevuto in udienza nell’Aula Paolo VI il clero di Roma per il
consueto incontro di inizio Quaresi-
ma. Dopo l’introduzione del cardinale vicario Agostino Vallini, il Pontefice ha dialogato con i sacerdoti
sull’ars celebrandi e in particolare
sull’omelia nella celebrazione dell’Eucaristia.
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ATENE, 19. «Intesa o dure conseguenze». L’alternativa formulata
dal segretario al Tesoro statunitense, Jack Lew, in una conversazione
con il ministro delle Finanze greco,
Yannis Varoufakis, rende molto bene il clima di tensione che si respira in queste ore in Europa, e non
solo. Si tratta infatti di ore critiche:
domani, venerdì, scade il termine
ultimo per il prolungamento del
programma internazionale di aiuti
alla Grecia, che, in mancanza di
sostegno, si ritroverebbe in condizione di fallimento.
E tuttavia, nonostante la criticità
della situazione, qualche spiraglio
sembra aprirsi. Questa mattina il
Governo greco ha inviato all’Eurogruppo la richiesta di una proroga
di sei mesi dei finanziamenti, che
scadono il 28 febbraio. E questo
«per negoziare con i partner senza
ricatti e tempi stretti» si legge nella
lettera. Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, vaglierà la
richiesta di Atene e verificherà se
esistono le basi per convocare domani una riunione straordinaria
dell’Eurogruppo.
Non è chiaro se la richiesta di
una proroga dei finanziamenti implichi da parte di Atene l’accettazione del prolungamento del piano
della Troika (la squadra di commissari di Ue, Bce ed Fmi), ovvero
l’opzione preferita dai vertici della
Commissione europea. Tsipras ha
sempre detto di essere contrario a
questa soluzione e di voler proporre un nuovo piano. Varoufakis si è
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu scarta l’ipotesi di un intervento armato contro l’Is in Libia
Scelta diplomatica
NEW YORK, 19. In Libia l’unica strada è quella di una soluzione politica
della
crisi.
Prevale
la
linea
diplomatica al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, durante la
riunione d’emergenza questa notte a
New
York.
Scartata,
dunque,
l’ipotesi di un intervento armato per
fermare l’avanzata dello Stato islamico (Is). L'Italia ha annunciato di
essere pronta ad assumere un ruolo
guida nell'iniziativa Onu per «contribuire — come ha detto il
rappresentante al Consiglio di sicurezza, Sebastiano Cardi — al monitoraggio di un cessate il fuoco e al
mantenimento della pace, pronti a
lavorare all’addestramento delle forze armate nella cornice di integrazione delle milizie in un esercito regolare e per la riabilitazione delle
infrastrutture».
Afghanistan per la prima volta al mondiale di cricket
Si riapre il dialogo
tra i talebani e Washington
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Un giocatore della squadra afghana di cricket (Reuters)
KABUL, 19. Rappresentanti dei talebani afghani incontreranno oggi
in Qatar un gruppo di delegati
statunitensi per avviare trattative di
pace.
La notizia, inizialmente diffusa
da fonti talebane, è stata poi confermata dalle maggiori agenzie internazionali. «Un primo incontro
si terrà oggi; domani ci dovrebbe
essere un’altra riunione. Vediamo
cosa succederà visto che i colloqui
precedenti non hanno portato ad
alcun risultato» ha dichiarato alla
Reuters un esponente del gruppo.
Conferma è giunta anche dai vertici dell’esercito pakistano. E intanto, ieri, si è aperta la coppa del
mondo di cricket, alla quale l’Afghanistan partecipa per la prima
volta nella sua storia. Un ulteriore
segno di distensione.
I nodi da sciogliere, tuttavia, sono
ancora tantissimi. L’inviato dell’O nu
per la crisi libica, Bernardino Léon,
collegato in videoconferenza con il
palazzo di Vetro, ha sottolineato la
necessità che si arrivi a un accordo
politico, ma le distanze tra le fazioni
libiche restano. Il Paese è letteralmente spaccato in due — due
Parlamenti, due Governi, di cui uno
soltanto, quello con sede a Tobruk,
è riconosciuto internazionalmente —
e a complicare le cose ci sono le
contrapposizioni tribali. «In Libia —
ha ricordato Léon — lo Stato
islamico ha trovato un terreno fertile
nella crescente instabilità politica
post-rivoluzione, sfruttando anche la
debolezza delle istituzioni statali e
del settore della sicurezza statale».
In Libia «si potrà sconfiggere il terrorismo tramite la determinazione
politica e istituzionale di un
Governo di unità nazionale, che
avrà bisogno di un sostegno internazionale».
Sempre sul piano diplomatico, il
presidente statunitense, Barack Obama, ha dichiarato ieri che in Libia
«non c’è uno scontro di civiltà» e
che i terroristi dell’Is «non parlano
a nome di un miliardo di musulmani». L’Occidente «non è in guerra
con l’islam: i musulmani non sono
terroristi. Ci sono leader religiosi
che parlano chiaramente di un islam
tollerante e pacifico. La religione
non è responsabile del terrorismo.
Noi siamo in guerra contro la violenza dell’Is» ha dichiarato il presidente Obama. A Washington è in
corso una conferenza internazionale
sull’estremismo islamico, con la partecipazione delle delegazioni di oltre
sessanta Paesi.
Nel frattempo, Mosca ha comunicato oggi la propria disponibilità a
un’eventuale forza internazionale
contro l’Is. Lo ha reso noto il rappresentante russo all’Onu, Vitali
Ciurkin, sottolineando l’impegno
del Cremlino per disporre un blocco
navale che impedisca l’arrivo di forniture di armi ai terroristi.
Sul fronte militare, continuano i
raid aerei egiziani. È stato diffuso,
intanto, il bilancio della prima incursione via terra, ieri, da parte delle
truppe del Cairo, che sono intervenute a Derna. Secondo alcune fonti,
nell’azione sarebbero stati uccisi 155
combattenti dell’Is. Durante la riunione del Consiglio di sicurezza, il
rappresentante del Governo egiziano
ha insistito affinché venga revocato
l’embargo sulle armi per il Governo
libico riconosciuto dalla comunità
internazionale. Il Cairo ha anche
chiesto di imporre un blocco navale
lungo le coste delle aree dove sono
attivi i miliziani dell’Is.
Tensione alta si registra anche al
confine tra Tunisia e Algeria. Unità
di tiratori scelti dell’esercito algerino
sono state dispiegate per contrastare
eventuali sconfinamenti di terroristi.
La misura è stata adottata dopo
l’uccisione di alcuni agenti tunisini
da parte di un gruppo di jihadisti.
detto ieri sera ottimista sulla possibilità di un accordo con i partner
europei. «Siamo sulla strada giusta
— ha detto parlando ad Atene —
sono ottimista e al massimo chiuderemo venerdì. La nostra proposta sarà scritta in modo tale da
soddisfare le esigenze della Grecia
e quelle dell’Eurogruppo».
Nessun segnale di apertura dalla
Germania. «La lettera di Atene
non rappresenta una proposta per
una soluzione» ha detto oggi il
portavoce del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, in
un breve comunicato. E sempre
Schäuble era intervenuto ieri dichiarando: «Se distruggiamo la nostra fiducia reciproca, distruggiamo
l’Europa». In passato, aveva aggiunto, «siamo stati molto generosi». E per quanto riguarda le trattative con il Governo ellenico, «faremo del nostro meglio per quel
che si dovrà fare». Dobbiamo pensare «che abbiamo una responsabilità: mantenere l’Europa stabile». E
sempre ieri la Bce (Banca centrale
europea) ha deciso di rinnovare il
programma di liquidità di emergenza a favore delle banche greche,
alzando l’ammontare del prestito a
68,3 miliardi di euro.
Intanto, sul piano politico, il
Parlamento greco ha eletto il conservatore Prokopis Pavlopoulos
nuovo presidente della Repubblica.
Ex premier ed esperto di diritto
pubblico, Pavloupolos è stato proposto anche dal partito di Tsipras,
Syriza.
Gli ebrei e l’accusa del sangue
Infamanti dicerie
CRISTIANA D OBNER
A PAGINA
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NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza, nello
Studio dell’Aula Paolo VI, Sua
Eccellenza
Reverendissima
Monsignor Vito Rallo, Arcivescovo titolare di Alba.
Provvista di Chiesa
Fedeli copti ad Amman durante una celebrazione in suffragio dei cristiani uccisi in Libia (Ap)
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Sincelejo (Colombia) il Reverendo José Crispiano Clavijo Méndez, del clero
della Diocesi di Valledupar, finora Rettore del Seminario
Maggiore diocesano «Juan Pablo II».
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venerdì 20 febbraio 2015
La bandiera dei separatisti
sventola a Debaltseve (Ap)
Intervento della Santa Sede
KIEV, 19. Dopo avere resistito per
più di una settimana senza viveri né
munizioni, i soldati di Kiev si sono
ritirati ieri dalla città orientale di
Debaltseve, strategico snodo ferroviario a metà strada tra Lugansk e
Donetsk, i capoluoghi delle autoproclamate repubbliche indipendentiste. I filorussi sono così entrati in
città e issato la bandiera della Novorossia (croce blu di sant’Andrea
su sfondo rosso), come vengono definiti i territori separatisti.
Per gli analisti, la resa di
Debaltseve è un nuovo, duro rovescio militare per l’esercito ucraino e
un ulteriore indebolimento per il
presidente, Petro Poroshenko.
La presa di Debaltseve è stata
condannata fermamente da tutta la
comunità internazionale come una
grave violazione degli accordi di
Minsk del 12 febbraio scorso, che
prevedevano la tregua da domenica,
mentre le milizie hanno continuano
la loro offensiva, anche se ieri sera
hanno lanciato segnali di distensione annunciando l’inizio del ritiro
degli arsenali pesanti. «Una chiara
violazione del cessate il fuoco»,
hanno accusato la Casa Bianca e
l’Alto rappresentante dell’Ue per gli
Affari esteri e la Politica di sicurezza comune, Federica Mogherini.
In una nota ufficiale, il capo della
diplomazia dei Ventotto ha ricordato che Bruxelles «resta pronta a
prendere misure appropriate nel caso in cui continuino i combattimenti
e altri sviluppi negativi in violazione
degli accordi di Minsk».
Da parte sua, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha
accusato i ribelli di avere messo a rischio gli accordi di pace, sostenendo che «truppe e mezzi russi sono
sempre attivi in Ucraina». L’offensiva ribelle è «nefasta per le speranze
di pace», ha commentato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, sottolineando che in caso di nuova escalation potrebbero essere necessarie
altre sanzioni contro Mosca.
Proprio oggi la Russia ha invitato
l’Occidente a cessare la guerra delle
sanzioni e ad avviare un dialogo costruttivo, pur riservandosi il diritto
di rispondere alle nuove sanzioni
del Canada. Ma ora gli osservatori
internazionali cominciano a chiedersi che cosa intendano fare i leader
europei per rispondere alla violazione della tregua a Debaltseve, soprattutto dopo che Merkel ha dichiarato: «Faremo di tutto perché la Russia torni a essere un nostro partner.
Non vogliamo agire contro Mosca,
ma con essa». Inoltre, secondo
Kiev, i separatisti — ignorando il
cessate il fuoco — starebbero attaccando anche Mariupol, la città costiera sul mare di Azov, da tempo
Per ripensare e rafforzare
lo sviluppo sociale
Pubblichiamo la traduzione italiana
dell’intervento pronunciato il 10 febbraio 2015 a New York dall’arcivescovo Bernardito Auza, Nunzio Apostolico, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio economico e
sociale delle Nazioni Unite, in occasione della 53ª Sessione della Commissione per lo sviluppo sociale.
Signora Presidente,
Per cominciare, mi permetta di congratularmi con lei, Eccellenza, e con
la direzione per la vostra elezione.
La mia Delegazione attende con
piacere di lavorare insieme con le altre delegazioni, durante questo ciclo
politico, al fine di raddoppiare i nostri sforzi per aiutare quanti vivono
in tutte le forme di povertà nel
mondo.
Signora Presidente,
Sebbene la crescita economica negli ultimi anni sia rallentata, milioni
di persone continuano a uscire dalla
condizione di povertà, specialmente
nel mondo in via di sviluppo. Tuttavia, la mia Delegazione condivide la
preoccupazione espressa dal Segre-
I soldati ucraini lasciano la città orientale ai filorussi
La resa
di Debaltseve
nel mirino dei filorussi. E per assicurare la tregua, Poroshenko, ha
chiesto oggi l’invio di peacekeeper
dell’Onu nel Donbass. L’idea è stata, però, subito respinta dal capo
negoziatore dei separatisti, Denis
Pushilin, secondo il quale si tratterebbe di una violazione degli accordi.
Sullo stesso piano le dichiarazioni
provenienti da Mosca. Gli accordi
di Minsk del 12 febbraio scorso
«prevedono solo il ruolo dell’O sce,
non c’è nulla sulle Nazioni Unite o
sulla Unione europea», ha dichiarato l’ambasciatore russo all’Onu, Vitali Ciurkin, alla emittente televisiva
Cremlino Russia Today.
Dati diffusi nel rapporto di un gruppo di esperti delle Nazioni Unite
Riscaldamento climatico
fonte di instabilità e conflitti
LONDRA, 19. Dopo anni di intenso
dibattito, scienziati ed esperti sulla
sicurezza hanno concordato che il
riscaldamento climatico, se non sarà frenato e arginato, sarà sempre
più fonte di instabilità e conflitti.
Alluvioni, siccità, fenomeni atmosferici rilevanti e opposti, che
già si susseguono in molte zone,
saranno sempre più frequenti se le
emissioni di gas nocivi continueranno a sconvolgere il clima, ali-
mentando le dispute per le risorse.
«Meno acqua e beni alimentari a
disposizione, con la migrazione in
crescita, aumenteranno i rischi di
conflitti violenti», ha denunciato in
un rapporto il Gruppo di esperti
intergovernativo sull’evoluzione del
clima (organismo dell’Onu). Ma in
alcuni Paesi, principalmente in
Africa — come già notava due anni
fa l’Institute for Security Studies —
la recrudescenza dei conflitti è fin
d’ora almeno in parte anche attribuibile agli effetti dei mutamenti
climatici. In Sahel, ad esempio —
afferma lo studio — la desertificazione è da tempo all’origine di
scontri per il possesso della terra.
E anche il Pentagono, nella sua
Road Map per l’adattamento ai
mutamenti climatici, constata che
l’aumento delle temperature e la
crescita del livello dei mari accelerano l’instabilità mondiale.
L’Ue chiede
riforme
al Kosovo
PRISTINA, 19. La necessità per il Kosovo di portare avanti con convinzione il dialogo con la Serbia e attuare le riforme economiche necessarie a proseguire verso l’integrazione europea è stata sottolineata ieri a
Pristina da Johannes Hahn, commissario
Ue
all’Allargamento.
Hahn, parlando al termine di un
colloquio con il premier, Isa
Mustafa, ha spiegato come le riforme economiche e gli investimenti
siano la priorità per contrastare la
fuga di massa verso il nord Europa
che si registra negli ultimi mesi dal
Kosovo. Riferendosi all’integrazione
nella Ue, il commissario — ribadendo l’appoggio di Bruxelles a Pristina — ha affermato che l’Unione accetta nuovi Paesi membri solo dopo
che essi abbiano risolto le eventuali
dispute bilaterali e regionali. Mustafa, da parte sua, ha auspicato la firma in tempi rapidi dell’Accordo di
stabilizzazione e associazione, prima
tappa verso l’integrazione nell’Unione europea.
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Un lago prosciugato dalla siccità in California (Ap)
Corridoio ecologico
tra Brasile, Colombia e Venezuela
BO GOTÁ, 19. Il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, intende proporre a Venezuela e Brasile la
creazione di un “corridoio ecologico” per proteggere un vasto territorio montuoso e selvatico della parte
settentrionale del Sudamerica, dando un importante contributo nella
lotta ai mutamenti climatici.
Con centotrentacinque milioni di
ettari, sarà il più grande passaggio
del mondo e verrà chiamato Corridoio tripla A (andino, amazzonico e
atlantico), perché andrà dalle Ande
fino alla costa atlantica brasiliana.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Già dalla prossima settimana —
ha detto Santos parlando in un noto programma televisivo locale —
cominceranno i colloqui guidati dal
ministro dell’Ambiente e dal ministro
degli
Esteri
colombiani,
Gabriel Vallejo e María Ángela
Holguín, con le autorità di Brasile
e Venezuela.
Il corridoio pensato dal presidente Santos sarebbe formato per il 62
per cento da territori appartenenti al
Brasile, per il 34 per cento alla Colombia, per il 4 per cento al Venezuela.
Servizio vaticano: [email protected]
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Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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A Buenos Aires
una marcia
per Nisman
BUENOS AIRES, 19. Una “marcia
del silenzio” per chiedere la verità
sul caso Nisman si è svolta ieri
nella capitale argentina. Vi hanno
preso parte centinaia di migliaia
di persone. Il giudice Alberto Nisman, uno dei responsabili
dell’inchiesta sull’attentato antiebraico a Buenos Aires nel 1994,
è stato trovato morto nel suo appartamento lo scorso 18 gennaio
in circostanze che non sono state
ancora chiarite dagli inquirenti.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
tario generale nel suo recente rapporto e riconosce che la crescita
economica, che ha portato nuove
sfide, non ha recato uguali benefici
a tutti nella società. Continuano a
esserci importanti ineguaglianze e
molti dei gruppi più vulnerabili della società sono stati lasciati indietro.
Se non affrontiamo tali ineguaglianze, specialmente nella transizione
verso l’agenda di sviluppo post
2015, rischiamo di minare l’impatto
della crescita economica sulla povertà e sul benessere della società nel
suo insieme.
Affinché sia sostenibile e vada a
beneficio di tutti, lo sviluppo sociale deve essere etico, morale e centrato sulla persona. Anche qui facciamo eco al rapporto del Segretario
generale, sottolineando che la crescita economica non è un indicatore
sufficiente di sviluppo sociale. Piuttosto, dobbiamo prestare attenzione
a quegli indicatori che danno un
quadro completo del benessere di
ogni individuo nella società, promuovendo al contempo politiche
che incoraggino un approccio davvero integrale allo sviluppo della
persona umana nel suo insieme.
A questo riguardo, per esempio,
non è sufficiente avere un impiego
redditizio. Il lavoro deve essere anche dignitoso e sicuro. Gli investimenti nell’educazione, l’accesso ai
servizi sanitari di base e la creazione
di reti di sicurezza sociale sono fattori primari, e non secondari, per
migliorare la qualità di vita della
persona e assicurare un’equa distribuzione della ricchezza e delle risorse nella società. Ponendo la persona
umana al centro dello sviluppo e incoraggiando investimenti e politiche
che rispondano ai bisogni reali, i
progressi compiuti in direzione dello sradicamento della povertà restano permanenti e la società è più resistente dinanzi a potenziali crisi.
Signora Presidente,
L’economia di mercato esiste non
per servire se stessa, ma piuttosto
per servire il bene comune dell’intera società. Tenendo presente ciò,
dobbiamo prestare particolare attenzione al benessere dei più vulnerabili tra noi, poiché spesso vengono
ignorati nel nome di una maggiore
produttività, efficienza e crescita
economica generale. Lo sviluppo sociale non può essere un approccio
“taglia unica”; pertanto, le politiche
e i programmi universali devono essere rafforzati attraverso un approccio più mirato che risponda alle esigenze dei più vulnerabili.
Come Papa Francesco ci ha ripetutamente ricordato, «dalla nostra
fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi,
deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati
della società [...], e ciò implica sia la
collaborazione per risolvere le cause
strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei
poveri, sia i gesti più semplici e
quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incon-
triamo» (Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, nn. 186, 188).
Signora Presidente,
Lo sviluppo integrale autentico
della persona e lo sradicamento della povertà possono essere ottenuti
solo concentrandosi sull’immensa
importanza della famiglia per la società, essendo lì che ogni essere
umano riceve la sua educazione primaria e il suo sviluppo più formativo. La famiglia è la rete di sicurezza
sociale più naturale della società,
condividendo risorse per il bene di
tutta l’unità familiare e offrendo un
sostegno intergenerazionale. Nella
famiglia impariamo ad amare e a
contribuire senza retribuzione e, diversamente da quanto accade
nell’economia globale, ogni singola
persona vi ha un posto.
Signora Presidente,
Per concludere, la mia Delegazione ritiene che dobbiamo intraprendere un approccio strategico per
uno sradicamento della povertà basato sulla vera giustizia sociale, al fine di aiutare a ridurre la sofferenza
di milioni di nostri fratelli e sorelle.
È nostra ferma convinzione che le
politiche di sviluppo sociale devono
affrontare non soltanto i bisogni
economici e politici, ma anche la dimensione spirituale ed etica di ogni
persona umana. In questo modo,
ogni individuo nella società può essere libero da tutte le forme di povertà, sia materiale sia spirituale.
Grazie, Signora Presidente.
Visita
di Nancy
Pelosi
a Cuba
L’AVANA, 19. Un altro tassello nel
processo di normalizzazione delle
relazioni tra Stati Uniti e Cuba.
Nancy Pelosi, leader del gruppo
democratico nel Congresso americano, si è recata ieri all’Avana
per quella che ha definito lei
stessa «una visita amichevole»,
durante la quale, secondo un comunicato, ha incontrato l’arcivescovo, cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, dirigenti del Governo locale e «dirigenti rappresentativi delle comunità locali».
Al termine degli incontri, Pelosi
ha partecipato a una conferenza
stampa nella quale ha fatto il
punto sulla situazione della normalizzione dei rapporti tra i due
Paesi. La visita di Pelosi ha fatto
seguito a quella di un gruppo di
tre senatori del Partito Democratico, che si sono detti favorevoli
all’abolizione dell’embargo imposto da Washington a Cuba dopo
oltre mezzo secolo.
Il Messico contro il blocco
della riforma dell’immigrazione di Obama
CITTÀ DEL MESSICO, 19. Il Governo
messicano ha deplorato la decisione
di un giudice federale del Texas di
sospendere temporaneamente le misure promosse dal presidente statunitense, Barack Obama, sull’immigrazione. I programmi previsti dalla
Casa Bianca «sono un rimedio migratorio giusto per milioni di famiglie e potrebbero potenziare i significativi contributi dei migranti messicani all’economia e alla società
statunitense» si legge in una nota
del Governo del Messico.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
A novembre scorso Obama aveva
annunciato un ampio piano per regolarizzare almeno cinque milioni
di persone ed evitare le espulsioni.
Le misure bloccate dal giudice dovevano, in particolare, ampliare il
programma che protegge dall’espulsione i giovani immigrati giunti illegalmente negli Stati Uniti. Gli altri
capitoli della normativa — fortemente criticata dai repubblicani —
prevedono, tra l’altro, la protezione
dall’espulsione anche per i genitori
di immigrati ormai divenuti cittadini statunitensi.
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venerdì 20 febbraio 2015
pagina 3
Oltre trecento miliziani uccisi dalle forze nigeriane
O perazione
Boko Haram
Migliaia in fuga
per le violenze
nel sud
delle Filippine
MANILA, 19. Sono almeno quindicimila le persone in fuga dai violenti combattimenti che nelle provincie meridionali filippine di
Maguindanao e North Cotabato,
nell’isola di Mindanao, stanno
coinvolgendo due fazioni musulmane.
Per gli esperti di politica internazionale, gli scontri a fuoco sono
una conseguenza diretta del recente impegno da parte del Fronte
islamico di liberazione Moro
(Milf), che a marzo dello scorso
anno ha firmato una pace separata
con il Governo di Manila, a controllare altre fazioni autonomiste
armate nelle aree sotto il suo controllo. Tra queste, la principale come capacità militare e consistenza
è il Fronte islamico per i combattenti per la libertà del Bangsamoro, separatosi dal Milf nel 2008 e
che non ha mai accettato il cessate
il fuoco con Manila.
Il mese scorso, un’azione congiunta dei due gruppi — pare non
informati dell’azione di rastrellamento in corso per catturare due
ricercati malesi rifugiati nella regione — aveva provocato la morte
di quarantaquattro poliziotti e diciotto guerriglieri, attivando la
prima vera crisi dall’avvio dei colloqui di pace, che dovrebbero
portare a una concreta autonomia
nelle aree a maggioranza islamica
del sud dell’arcipelago asiatico.
L’accordo, infatti, prevede la creazione di un’entità politica chiamata Bangsamoro sul territorio di
una regione autonoma già esistente sull’isola di Mindanao, che
ospita la maggior parte dei dieci
milioni di musulmani filippini
Il rischio — secondo gli analisti
politici — è che la legge sull’autonomia, in discussione al Congresso, possa essere bloccata per un
tempo indefinito, nonostante l’impegno del presidente, Benigno
Aquino III, per una approvazione
prima della scadenza del suo mandato, il prossimo anno.
Come segnale distensivo, alcuni
rappresentanti del Fronte islamico
di liberazione Moro hanno consegnato ieri parte delle armi sottratte ai poliziotti uccisi a gennaio.
Le autorità auspicano che la restituzione delle armi sia un concreto segnale di attiva volontà di
cooperazione del Milf nel combattere i gruppi ribelli residui di un
quarantennale conflitto, costato
oltre centoventimila vittime.
ABUJA, 19. Ancora stragi in Nigeria.
La turbolenta zona al confine tra
Niger, Nigeria, Camerun e Ciad, al
centro nelle ultime settimane delle
violente incursioni dei Boko Haram
e dei raid della forza militare internazionale panafricana anti-jihadista,
è stata teatro ieri di un nuovo massacro di civili e di miliziani.
I militari nigeriani hanno effettuato un pesante blitz a Monguno contro i Boko Haram, uccidendone più
di trecento. Nell’operazione due soldati sono morti e una decina sono
rimasti feriti. Numerosi i jihadisti
catturati e le armi sequestrate, ha riferito inoltre il portavoce dei militari
di Abuja Chris Olukolade. Un bilancio — conferma la Bbc — che pe-
Colpiti gli sciiti
Il terrorismo non abbandona
il Pakistan
ste ferite. Al momento non è chiaro
chi abbia compiuto il raid, ma i contingenti di Nigeria, Niger e Ciad —
tutti impegnati in un’operazione di
contrasto ai miliziani — si sono subito affrettati a negare un loro possibile coinvolgimento.
Intanto, un nuovo monito lanciato in un video da Abu Bakr Shekau,
leader dei Boko Haram, è stato diffuso ieri in vista delle elezioni presidenziali e legislative che si svolgeranno in Nigeria il prossimo 28 marzo. Le consultazioni — ha avvertito
Abu Bakr Shekau — «non si svolgeranno in un clima pacifico, anche se
ciò dovesse costarci la vita». Il messaggio video — ha commentato Rita
Katz, direttrice del Site, il gruppo
statunitense che monitora i siti jihadisti — è stato diffuso via internet. E
secondo alcuni analisti ciò dimostrerebbe l’evoluzione della propaganda
portata avanti dagli estremisti nigeriani, che stanno affinando le loro
capacità comunicative, avvicinandosi
molto — dice ancora il Site — alle
strategie mediatiche del cosiddetto
Stato islamico.
Soldato camerunense in azione nelle aree colpite da Boko Haram (Afp)
Appello per la scarcerazione di attivisti in Mauritania
Contro la schiavitù
ISLAMABAD, 19. Inarrestabili le violenze in Pakistan. Il movimento
Jundullah, fazione sunnita dei talebani
del
gruppo
terroristico
Tehrek-e-Taliban Pakistan, ha rivendicato l’attentato ieri a una moschea sciita di Rawalpindi, che ha
causato tre morti e diversi feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.
Si è trattato, hanno confermato
fonti della polizia, dell’azione di
un attentatore suicida che ha tentato, senza riuscirvi, di entrare nella
moschea, attivando quindi l’esplosivo nascosto nel suo giubbotto
all’esterno dell’edificio.
Rivendicando l’attentato da una
località sconosciuta, un portavoce
di Jundullah ha detto che si è trat-
Progressi significativi
a Fukushima
TOKYO, 19. Il Giappone ha fatto significativi progressi sui passi per lo
smantellamento in sicurezza della
centrale nucleare di Fukushima, ma
la situazione «resta molto complessa, visto l’aumento di accumulo di
acqua contaminata che pone sfide
di breve termine da risolvere in modo sostenibile». Lo ha detto Juan
Carlos Lentijo, capo della Divisione
dell’Aiea sul ciclo del combustibile
nucleare e del trattamento delle
scorie, a conclusione della terza
missione del team dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
A poco meno di un mese dal
quarto anniversario del grave incidente nucleare provocato dal terremoto e dal successivo tsunami
dell’11 marzo 2011, Lentijo ha
espresso apprezzamento per il graduale miglioramento delle condizioni, ottenuto grazie alla rimozione
del materiale radioattivo che ha
rò al momento non può essere verificato da fonti giornalistiche indipendenti.
Nelle stesse ore, dall’altra parte
del confine, Abadam, un villaggio
nel sud del Niger, è stato colpito da
un raid effettuato da un aereo non
identificato che ha sganciato alcuni
ordigni. Fonti ufficiali hanno riferito
alla Bbc di una strage con almeno
37 persone uccise. Il vicesindaco di
Abadam, Ibrahim Ari, ha infatti raccontato che un aereo avrebbe sganciato tre bombe, una delle quali ha
colpito in pieno un gruppo di persone che stavano celebrando un funerale di fronte all’abitazione di un capo locale. Oltre alle 37 vittime, almeno altre venti persone sono rima-
portato ad abbassare i livelli di contaminazione in molte parti dell’impianto. In una conferenza stampa a
Tokyo, Lentijo — che ha guidato un
team di quindici esperti — ha osservato che «la necessità di rimuovere
il combustibile altamente radioattivo, sia quello danneggiato sia i detriti, dai reattori con il nocciolo
parzialmente fuso, pone una grande
sfida di lungo termine». Tuttavia,
nell’immediato, è certamente positiva la messa in sicurezza delle barre
di combustibile spente o non usate
tolte dalla piscina dell’edificio del
reattore numero 4. Positivo, oltre
alle misure di controllo della falda
sotterranea, anche l’avvio delle nuove linee di depurazione di acqua
contaminata, che a maggio potrebbero consentire di terminare il filtraggio da gran parte degli isotopi
di circa la metà degli enormi quantitativi di acqua accumulata.
tato di una risposta all’operazione
militare contro i talebani in corso
da mesi nel Waziristan settentrionale. È il quarto attacco a moschee
sciite in Pakistan dall’inizio dell’anno, con un bilancio complessivo di
oltre cento morti.
Nel Paese non si fermano nemmeno gli attacchi agli operatori
umanitari. Quattro volontari impegnati nella campagna di vaccinazione contro la poliomielite sono
stati trovati morti dopo essere stati
rapiti sabato scorso in Baluchistan,
nel sud-ovest del Paese. Lo riferiscono fonti dell’Amministrazione
locale, spiegando che le vittime sono un vaccinatore, due poliziotti e
il loro autista.
NOUAKCHOTT, 19. In un appello
congiunto, trentatré organizzazioni
per la difesa dei diritti umani hanno
chiesto alle autorità mauritane la liberazione dei tre attivisti anti-schiavitù condannati in giudizio il 15
gennaio scorso. «Le organizzazioni
— si legge nella dichiarazione,
riportata dalla stampa del Paese
africano — ritengono che Bilal
Brahim Ramdane, Djiby Sow e
Biram Dah Abeid siano detenuti solamente a causa delle loro attività
pacifiche di lotta contro ogni forma
di schiavitù».
Secondo il comunicato, inoltre, la
detenzione degli attivisti «è stata
decisa in violazione delle leggi mauritane e dei trattati internazionali ratificati dalla Mauritania». Dah
Abeid, leader del gruppo anti-schiavista Ira, già candidato alle scorse
presidenziali, e gli altri due attivisti
erano stati condannati dal tribunale
della città di Rosso a due anni di
carcere per appartenenza a un’organizzazione illegale. Subito dopo la
sentenza, l’organizzazione Amnesty
International aveva definito il processo «politicamente motivato». Anche se la schiavitù rievoca immagini
di un passato lontano, in molte parti del mondo non è stata del tutto
sradicata, assumendo forme diverse;
dal lavoro forzato, soprattutto minorile, al traffico di esseri umani.
In un rapporto che prende in esame il problema del drammatico fenomeno in centosessantadue Paesi,
l’organizzazione umanitaria austra-
Dopo il ritiro dei documenti d’identità ai rohingya
Forti tensioni etniche nel Myanmar
NAYPYIDAW, 19. Stanno decisamente
aumentando in Myanmar le tensioni tra musulmani di etnia rohingya
e Governo, a maggioranza buddista, dopo la decisione delle autorità
— sotto le proteste di vari gruppi
nazionalisti — di ritirare le carte di
identità temporanee entro il 31
maggio prossimo.
I documenti — detti anche, per il
loro colore, white card — sarebbero
serviti ai rohingya per recarsi a votare nel prossimo referendum sulle
modifiche costituzionali del Paese
del sud-est asiatico. Solo pochi
giorni fa, infatti, il Parlamento di
Naypyidaw ha approvato una legge
che affermava il diritto al voto per i
rohingya, tra le etnie, secondo le
Nazioni Unite, più perseguitate al
mondo.
Così come per potersi recare alle
urne, le white card danno anche la
possibilità di accedere ai servizi sa-
nitari e all’istruzione, seppure con
alcune restrizioni (limitazioni nei
movimenti ed esclusione da lavori
di servizio civile e da alcuni corsi
universitari).
Per questa minoranza, il documento rappresenta, dunque, l’unico
legame con la vita politica e sociale
del Myanmar.
Secondo gli esperti internazionali, la nuova decisione governativa di
avviare un processo di revisione dei
documenti di identità in possesso
non solo dei rohingya, ma anche di
altri gruppi di discendenza cinese e
indiana, potrebbe innescare nuovi,
pericolosi focolai di violenza.
Nel 2012, violenti scontri tra
rohingya e rakhine, il gruppo etnico
che costituisce la maggioranza della
popolazione dell’omonimo Stato
occidentale, hanno causato oltre
duecento morti, centinaia di feriti e
oltre centoquarantamila sfollati.
liana Walk Free Foundation sottolinea che attualmente circa trenta milioni di persone nel mondo sono
soggette a moderna schiavitù.
E la Mauritania — evidenzia il documento — è al primo posto con il
venti per cento della popolazione
schiavizzata. Una realtà concentrata
tanto nelle aree rurali quanto nelle
aree urbane, con le donne che ne
subiscono maggiormente le conseguenze. Nella poco invidiabile classifica seguono poi Haiti, Pakistan,
India, Nepal, Moldova, Benin, Costa d’Avorio, Gambia e Gabon.
Brutalità
verso gli albini
in Tanzania
D OD OMA, 19. Le mani e i piedi
tagliati con un machete. È stato
ritrovato così il corpo senza vita
di un bimbo albino che, domenica scorsa, era stato portato via
dalla sua casa nel nord della Tanzania. Aveva un anno e il suo
corpo, barbaramente mutilato, è
stato trovato a pochi chilometri
di distanza dalla sua abitazione.
La madre del bambino, 30 anni,
è attualmente ricoverata in ospedale con tagli da machete su viso
e braccia per aver cercato di proteggere il figlio. In relazione
all’assassinio sono state arrestate
due persone.
In Tanzania simili efferatezze
si sono già verificate in passato:
almeno 74 i bambini albini uccisi
negli ultimi anni. Parti del corpo
di persone con albinismo verrebbero mutilate per essere vendute
a stregoni che le utilizzano nelle
loro pratiche.
Stop
alle rimesse
somale
MO GADISCIO, 19. Alcune organizzazioni non governative hanno
lanciato un allarme economico per
la Somalia, dopo che negli ultimi
mesi varie banche occidentali hanno bloccato l’invio di rimesse in
patria da parte degli emigrati somali. «Oltre il quaranta per cento
della popolazione della Somalia
conta sulle rimesse per le proprie
necessità quotidiane di base — ha
reso noto l’Oxfam (confederazione di 17 organizzazioni non governative che lavorano con tremila
partner in più di cento Paesi per
trovare la soluzione definitiva alla
povertà e all’ingiustizia) — e circa
tre milioni di persone rischiano la
fame quest’anno». Secondo i dati
citati dal settimanale «The East
African», le rimesse rappresentano
tra il 25 e il 45 per cento della ricchezza del Paese.
La prima banca occidentale a
congelare i trasferimenti di denaro
verso il Paese africano era stata
Barclays, in Gran Bretagna, lo
scorso anno, citando rischi di finanziamento del terrorismo e riciclaggio. Due settimane fa la stessa
decisione è stata presa dalla Merchants Bank statunitense, da cui
transitavano — a seconda delle stime — tra il sessanta e l’ottanta per
cento delle rimesse. Anche l’australiana Westpac sta considerando una mossa analoga.
A pesare sembra essere soprattutto la situazione politica. Le incursioni dei terroristi degli al
Shaabab sono frequenti e le forze
di sicurezza somale ancora non
riescono ad assicurare un completo controllo del territorio. Ciò nonostante, nel 2013 il presidente
Mohamud ha ripreso i colloqui di
riconciliazione tra il Governo centrale di Mogadiscio, da lui presieduto, e quello del Somaliland, regione settentrionale che rivendica
l’indipendenza, senza riconoscimento internazionale.
I figli di Meriam ottengono
la cittadinanza statunitense
WASHINGTON, 19. I due bambini di
Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la
donna cristiana sudanese condannata a morte nel 2014 da un tribunale di Khartoum per apostasia e
adulterio, hanno ottenuto la cittadinanza statunitense. Un passo in
avanti verso il ritorno alla normalità dopo i fatti della scorsa primavera. A breve, fanno sapere i media,
la donna dovrebbe ricevere anche
la Green Card (autorizzazione rila-
sciata dalle autorità statunitensi che
consente a uno straniero di risiedere nel Paese per un periodo di
tempo illimitato). Per la legge
islamica in Sudan, Meriam era colpevole di essersi convertita al cristianesimo, di aver sposato il cristiano Daniel, cittadino statunitense, e di aver avuto con lui due
bambini. La sentenza aveva provocato una forte mobilitazione internazionale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 20 febbraio 2015
Sandro Botticelli
«La calunnia» (1495, particolare)
Innumerevoli sono i testi
pubblicati tra il XII e il XVII secolo
Che hanno scatenato in occidente
pogrom e processi
sulla base di falsi allestiti dai persecutori
Prove di medicina narrativa
La difficile
arte
di guardarsi
negli occhi
Gli ebrei e l’accusa del sangue
Infamanti
dicerie
di CRISTIANA D OBNER
accusa del sangue»,
terribile marchio a
fuoco sul popolo
d’Israele. Il nuovo
studio di Cristiana
Facchini Infamanti dicerie. La prima autodifesa ebraica dall’accusa del sangue (Bologna,
Edb, 2014, pagine 132, euro 12) consente di
inquadrare correttamente tale accusa: «sorta
nel corso del medioevo, l’accusa del sangue
appare come una nuova arma nell’arsenale
anti-ebraico». Innumerevoli sono i testi
pubblicati in merito, dal XII al XVII secolo
in occidente, scatenando in Europa orientale, nel Settecento e nell’Ottocento, persecuzioni, pogrom e processi, studi però tutti a
firma dei persecutori che raccoglievano i
dati che avrebbero suffragato il loro pregiudizio e dimostrato la loro tesi.
Per comprendere la genesi della calunnia
e la sua consistenza è necessario prendere
le mosse da più lontano: «l’apertura sull’età
delle esplorazioni e sugli effetti culturali di
tale evento introduce il controverso tema
«L’
È morto
l’aedo dei pub
di Londra
Molti dei pub da lui decantati ora non esistono più. Ma
ne è rimasta l’eco di un fascino che sa d’altri tempi. È
morto, all’età di 82 anni,
Martin Green, celebre per
aver pubblicato, nel 1965,
Guide to London Pubs, un testo che lo ha trasformato in
una sorta di icona nell’immaginario britannico. La guida,
in forma romanzata, ha il
pregio di descrivere con dovizia di particolari curiosi e intriganti i tanti locali «da bere» che, a loro modo, hanno
fatto la storia del Regno
Unito. Green era stato uno
dei fondatori del periodico
letterario Nimbus (1951-1958).
In seguito aveva lavorato come consulente per la casa
editrice MacGibbon and
Kee, contribuendo a far conoscere numerosi autori britannici contemporanei. Nel
1969, con il poeta Paul Durcan, fondò la rivista di poesia
Two Rivers: il titolo faceva riferimento ai due fiumi amati
dagli animatori del periodico, il Tamigi da Green e il
Liffey da Durcan. Green ha
poi pubblicato otto libri di
poesie, quattro commedie e
diversi volumi di letteratura.
Di aspetto si conservava giovane ma sembra che avesse
l’animo — motteggiavano i
suoi amici — di un curmudgeonly dotard, ovvero di un
vecchio bisbetico e un po’
bacucco, che rimpiangeva i
bei tempi andati. E sempre i
suoi amici avevano predetto
che sarebbe invecchiato secondo un prevedibile canovaccio: stando seduto nello
stesso locale, sulla stessa sedia, imprecando contro le
nuove generazioni. Sorseggiando, ovviamente, pinta
dopo pinta. E Green replicava I can’t wait: non potendo
e sapendo aspettare, cominciò a farlo, si dice, fin da giovane. (gabriele nicolò)
di SILVIA GUIDI
del sacrificio umano, che tanto ha occupato
l’immaginario della cultura occidentale».
Cristiana Facchini si muove in modo inedito, con un taglio nuovo di ricerca, da una
prospettiva diversa su quel nodo, antropologico e teologico, che ha innervato i secoli,
suscitando la costruzione di un immaginario, in campo ebraico ritenuto infamante e
in campo cristiano ricco di devozioni ben
difficili da sradicare. Afferma la studiosa:
«Ci interessa indagare la genesi del discorso critico maturato attorno all’accusa per
comprendere come esso abbia contribuito
alla sua lenta delegittimazione. In particolare da un angolo prospettico quasi del tutto sconosciuto o comunque poco indagato,
analizzando alcune delle prime apologie
ebraiche contro l’accusa del
sangue che furono redatte
proprio in età moderna».
Mentre «l’accusa si
fonda su una costellazione di credenze che
variano nel corso dei secoli, e che si basano
sull’idea che alcuni riti ebraici, condotti in
precisi contesti cerimoniali e festivi, presuppongano l’uso e il consumo del sangue di
bambini cristiani, i quali devono essere ritualmente uccisi o, meglio, uccisi nella modalità di un sacrificio». Proprio come sosteneva il teologo olandese Jacob Geusius nel
suo De victima humana, in cui gli ebrei venivano macchiati dall’accusa del sangue.
Ad Amsterdam nel 1681 gli ebrei alzano
la testa e si difendono dal cumulo di dicerie «libelli, canti e racconti popolari, xilografie, e immagini che raffiguravano ebrei
sul punto di uccidere bambini cristiani»,
con Isaac Viva che pubblica un trattato intitolato Vindex sanguinis, la cui ristampa avverrà a Norimberga. Umberto Cassuto ritiene che l’autore sia un rabbino
askenazita, Ishaq Cohen Cantarini,
medico e pure cabbalista; l’ambiente portoghese di Amsterdam invece, per altri studiosi, è l'humus in
cui fiorì l’autodifesa. L’informazione di Isaac Viva è sicura e attendibile, sia sul piano biblico, sia su
quello degli studiosi olandesi e inglesi che discutevano allora sul tema. Seguendo l’autore — o chi per
lui, di fatto, ha steso la ricerca — si
viene a sapere che la calunnia del
sangue non appartiene ai sacrifici
umani, perché, egli afferma chiaramente e con vigore come per
l’ebreo il sangue mai vada consu-
mato. Celato dietro lo pseudonimo, procede con metodo sicuro su basi storiche e argomentazioni razionali. Ne consegue che
gli stessi primi cristiani, un tempo incolpati
di omicidio rituale, ora, per un ben noto
processo mentale e psicanalitico, da perseguitati si trasformano in persecutori.
Il rimando alla cristianità nascente, accusata dello stesso crimine, vuole essere un
argomento a favore dello smantellamento
dell’accusa. Anche Elia Delmedico aveva
usato la stessa argomentazione nel Quattrocento.
Il contesto storico della pubblicazione
non è ininfluente: nel 1670 a Metz l’ebreo
Raphael Lévy era stato giustiziato senza
che fossero state addotte delle prove irrefragabili, quindi sulla sola scia della maldicenza e della calunnia. Isaac Viva però non è
stato l’unico a entrare nel merito della
questione. Altri l’avevano affrontata: Menasseh ben Israel, rabbino ad Amsterdam,
che si batté per ottenere il ritorno degli
ebrei in Inghilterra e fece pressione su
Cromwell; Isaac Cardoso dal ghetto di Verona che stampò Las excelencias de los Hebreos e infine Simone Luzzatto.
Nell’immaginario cristiano le vittime, in
realtà presunte, acquistarono un immediato
alone di santità per il martirio subito e così
la devozione crebbe. Il caso di san Simonino del 1475 della diocesi di Trento «provoca una svolta e sancisce un riconoscimento
giuridico all’accusa, fornendo anche un
chiaro modello esplicativo di tipo teologico
e rituale». Culto abolito solo il 28 ottobre
1965, nello stesso giorno in cui fu pubblicata
la Dichiarazione Nostra
aetate.
L’accusa del sangue,
calunnia in cui si intersecano antigiudaismo,
antisemitismo e diceria
«a livello popolare
molto diffusa» si dimostra quindi un’angolatura da cui, da diverÈ morto a 94 anni domenica scorsa, nella
se parti, venne osservacasa di riposo del Clero di Fontanelle di
to il popolo d’Israele e
Boves, don Francesco Brondello. Nel
le sue relazioni con la
settembre del 2004 aveva ricevuto il
cristianità. Il rigore e la
riconoscimento di Giusto tra le Nazioni per
documentazione
del
aver salvato le sorelle ebree Horowitz e la
metodo adottato da
loro mamma durante la persecuzione nazista,
Cristiana Facchini hanaiutandole prima a nascondersi a Valdieri e
no ridotto in polvere
poi a lasciare l’Italia. Era nato a Borgo San
l’accusa del sangue.
Dalmazzo l’8 maggio del 1920. Nel 1943 era
Sempre per chi segua
viceparroco a Valdieri, e le tragiche vicende
la ragione e non si ladi quegli anni lo videro impegnato in prima
sci catturare da voci inlinea, come tanti altri sacerdoti delle valli, ad
giuriose.
aiutare chi soffriva di più. Il suo è stato un
impegno attivo, fatto di atti continui di
resistenza all’oppressore nazifascista, anche
grazie a fughe rocambolesche.
Quasi tutti si nascondono dietro la
tecnica, lascia capire la dottoressa
Luce Condamine raccontando i
suoi esperimenti di medicina narrativa a Sandrine Cabut, giornalista di «Le Monde», in un articolo
uscito il 18 febbraio scorso. La
dottoressa parla dei suoi allievi, ragazzi che frequentano il quarto anno di medicina alla Paris-Descartes: gli studenti inizialmente sono
un po’ spiazzati dalla richiesta di
mettere nero su bianco i loro pensieri durante il tirocinio in ospedale e tendono a nascondersi dietro
un’asettica correttezza tecnica priva di emozioni.
Non si tratta di fare psicologismi a buon mercato o di frequentare un seminario di deontologia
professionale sotto mentite spoglie,
ci tiene a precisare la dottoressa
Condamine: scrivere costringe ad
ascoltare e a osservare ed è quindi
un’occasione preziosa per imparare
a lavorare — e a vivere — meglio.
«Prendetevi cinque, dieci minuti
per raccontare un episodio che vi
Scrivere i dialoghi con i pazienti
costringe ad ascoltare
e a osservare di più
Per questo è un’occasione preziosa
per imparare a lavorare in corsia
Don Francesco
e le sorelle Horowitz
Bernini, «Transverberazione
di santa Teresa d’Ávila»
(1647 – 1652,
particolare)
A cinquecento anni dalla nascita
L’eterno presente
di santa Teresa d’Ávila
«Il Teresianum di Teresa. A 500 anni
dalla nascita della santa di Ávila», questo il tema della settimana di spiritualità
organizzata dalla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum. I lavori, che si svolgeranno dal 22 al 26 febbraio, saranno
aperti domenica dai carmelitani scalzi
Eduardo Sanz, con un intervento storico
su Teresa, e Silvano Giordano, che si
concentrerà sulle radici storiche della facoltà che organizza l’incontro. In chiusu-
ra, giovedì, saranno i
padri Carlo Laudazi e
Denis Chardonnens a
focalizzare l’attenzione
rispettivamente
sulla figura di Teresa
nella rivista «Teresianum» e sulla possibilità di leggere la realtà di
oggi attraverso il lascito
spirituale della santa.
ha colpito. Siete liberi di scegliere
forma e stile. E, tranquilli, non sarete giudicati per il vostro talento
letterario» è la formula che introduce ogni corso. In un’epoca in
cui le tecniche diagnostiche hanno
raggiunto straordinari traguardi di
sviluppo è sempre più forte la necessità di far dialogare «pazienti
ignorati nella loro sofferenza e terapeuti isolati nell’esecuzione meccanica dei protocolli di cura», due
mondi che si sfiorano ma non
sempre si toccano. Il tanto citato
medice cura te ipsum significa anche
“lasciati ferire da quello che vedi
tutti i giorni in corsia e non aver
paura di quell’empatia che è parte
integrante della tua preparazione
professionale”.
«Un ragazzo — continua Condamine — ha espresso il suo stupore di fronte all’indifferenza ostentata dai colleghi quando muore un
paziente. “Nel reparto dove lavoro
io, se ti viene da piangere devi subito andare a nasconderti in bagno” gli ha fatto eco una ragazza». Vivere un’esperienza e raccontarla è più efficace di un corso di
aggiornamento. Un metodo valido
anche in ambito educativo; basti
pensare al TeenStar, il percorso
creato da Pilar Vigil molto diffuso
in America Latina che si basa sulla
teologia del corpo di Giovanni
Paolo II e parte dall’esperienza
«perché ai ragazzi non puoi insegnare niente che non abbia rapporto con quello che vivono» spiega la dottoressa Valentina Doria.
Un esempio per capire di che si
tratta. «Se dici a un adolescente
“guarda che non siete solo il vostro corpo, ma c’è anche un aspetto spirituale: per cui per favore,
non usatevi”, è improbabile che il
messaggio arrivi. Pilar Vigil, invece, fa fare un esercizio. Dice:
“Guardate negli occhi per quaranta secondi la persona accanto a
voi”. I ragazzi ridono, non ce la
fanno, lo trovano difficilissimo.
Quaranta secondi diventano un
tempo infinito. Sfuggono alla domanda “che cosa è successo?”;
“No prof, è un casino”. Perché?
“Perché dietro agli occhi c’è un’altra cosa”». Dopo un’esperienza così non serve aggiungere niente,
conclude Valentina Doria. «È uno
spettacolo vedere un cuore che sta
scoprendo qualcosa di se stesso».
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 20 febbraio 2015
pagina 5
Il patriarca Bartolomeo per l’inizio della quaresima
Come santi
ISTANBUL, 19. «Chiamiamo tutti a
cambiare la nostra vita, in ogni momento e in modo particolare durante questo periodo della santa e
grande Quaresima, in uno sforzo
d’amore verso il prossimo, di preparazione» alla “Pasqua nuova”. «Invitiamo tutti a una vita di santità e
di lotta spirituale perché venga donata al mondo e a noi, come “beneficio” e come “dono perfetto”, la
possibilità del superamento del peccato, poiché “chiunque è stato generato da Dio non commette peccato
(…) e non può peccare perché è
stato generato da Dio” (1 Giovanni,
3, 9)». È uno dei passaggi più significativi del messaggio del patriarca
ecumenico, Bartolomeo, arcivescovo
di Costantinopoli, in occasione
dell’inizio della Quaresima, cominciata ieri per le Chiese orientali.
Nell’omelia catechetica, il primate
ortodosso esorta clero e fedeli a entrare «con tutta la nostra anima,
senza essere tristi, ma gioiosi e allegri, in questo stadio spirituale delle
virtù e armiamoci “dello splendore
della carità, del
bagliore della
preghiera,
della purezza della
castità,
del vigore della fortezza” e camminiamo insieme col Signore, pregandolo di non “trascurarci rischiando
la separazione da Lui” (Doxastikon
della venerazione della Santa Croce),
ma di renderci degni “di giungere
risplendenti alla Santa resurrezione
al terzo giorno, che illumina il mondo di incorruttibilità” (Poema di
Teodoro, Funzione del lunedì della
prima settimana dei digiuni)». Per
Bartolomeo, Gesù Cristo «ci innesta
nel suo Corpo e ci chiama a diventare santi», desidera che «siamo in
comunione con Lui e diveniamo
partecipi della sua santità. La comunione con Lui è vita di conversione
e di santità, mentre l’allontanamento da Lui, il peccato, è identificato
dai padri della Chiesa con il “male
del cuore”». La santità, dunque, «è
una qualità di Dio, il quale è “colui
che offre e colui che è offerto, colui
che riceve i doni e in dono si dà”».
Nella lotta dell’uomo per raggiungere “la somiglianza” con Dio, per
la quale è stato creato, cioè la santità, «la Chiesa ortodossa, la quale
aspira esclusivamente alla salvezza
dell’uomo, ha decretato un periodo
dell’anno quale periodo di preghiera
particolare e supplica per calmare le
passioni dell’anima e del corpo». La
Quaresima è, quale periodo di pre-
parazione e di conversione, voce
della nostra coscienza che, interna e
indicibile, è giudizio personale.
Quando ci trova erranti, protesta assai vivacemente, in quanto “non vi è
nulla di più violento di essa nel
mondo”, secondo sant’Andrea di
Creta. Pertanto, ciascuno deve pacificarsi con la propria coscienza, attraverso la conversione, affinché
“nel fuoco della coscienza offriamo
un mistico olocausto”, sacrificando
le nostre passioni e offrendole in sacrificio d’amore verso il prossimo,
come il Signore offre se stesso “per
la vita e la salvezza del mondo”. Solo allora sorgerà anche per noi dalla
tomba il perdono e vivremo, in qualità di esseri umani, nel rispetto reciproco e in amore lontano dai tanti
orribili crimini che vediamo colpire
in questi giorni l’intero mondo». Il
patriarca ecumenico invita a «correre con impegno verso lo stadio delle
virtù “non pensando in modo inopportuno, non agendo in modo iniquo”, ma proseguendo a lavare la
coscienza attraverso la conversione».
In Sicilia una marcia promossa da cristiani e musulmani contro il terrorismo
Noi siamo
FAVARA, 19. Si svolgerà giovedì 26
febbraio a Favara, in provincia di
Agrigento, la marcia interreligiosa
promossa dalla comunità francescana locale con lo slogan: «Nous
sommes». Cristiani e musulmani
prenderanno parte a questa importante iniziativa in risposta agli attacchi terroristici di Parigi e Copenaghen. «Non bisogna agire da soli —
spiega fra Giuseppe Maggiore, responsabile della comunità La Tenda
di Padre Abramo e superiore del
convento di Favara — non siamo Je
suis, ma comunità: Nous sommes pace, fratellanza e amore».
Alla marcia prenderanno parte il
cardinale arcivescovo di Agrigento,
Francesco Montenegro, il provinciale dei francescani, padre Alberto
Marangolo, i delegati del dialogo
interreligioso
dell’arcidiocesi
di
Agrigento e dei frati minori di Sicilia, e anche gli alunni delle scuole
elementari, medie e superiori di Favara. E saranno proprio i bambini
ad aprire il corteo che si snoderà
lungo le stradine del paese per
giungere fino al convento. Qui avverrà uno scambio di doni: l’imam
di Agrigento, Driss Solulib, regalerà
una tunica della preghiera e un Corano, mentre fra Giuseppe Maggiore donerà un saio e un Vangelo per
ricordare il dialogo tra Francesco di
Assisi e il sultano di Egitto e di Siria, Al-Malik al-Kāmil, nel 1219.
«Il 20 febbraio — ricorda il religioso — noi frati ci recheremo in
moschea per invitare i musulmani,
mentre due giorni dopo alcuni fedeli musulmani verranno nella nostra
chiesa per invitare i cristiani. Alla
luce di quanto è successo in Francia, in Danimarca, in Libia e Nigeria e riflettendo proprio sul carisma
francescano — aggiunge fra Giuseppe — mi sono accorto che sarebbe
stato opportuno fare qualcosa.
Quindi, ho scritto una lettera
all’imam per dialogare con lui e con
altri musulmani, rifacendomi un po’
all’incontro di san Francesco con il
sultano. L’imam mi ha risposto.
L’invito era: marciare insieme nella
vita, dialogare, educare gli altri ragazzi cristiani e musulmani che arrivano dall’Africa — perché qui siamo
alle porte del Mediterraneo — alla
libertà di pensiero, di espressione,
di parola, a convivere».
Il 26 febbraio, quindi, a Favara si
incontreranno due mondi distinti
per cultura, religione, usi, costumi e
tradizioni. Già da diversi anni, Favara e la Tenda di Padre Abramo
sono luogo di incontro tra persone
di diverso credo: da un lato i francescani e la comunità locale, dall’altro i numerosi immigrati che approdano nell’isola. I primi ospiti sono
arrivati il 4 novembre del 2011. Ad
oggi più 120 persone hanno trovato
rifugio nella struttura, una casa di
accoglienza e condivisione che ospita extracomunitari di cittadinanze e
religioni diverse che «non hanno
dove posare il capo» e non rientrano nei progetti dei vari centri di accoglienza sostenuti e sovvenzionati
dallo Stato.
La Tenda del Padre Abramo nasce nella primavera del 2010 dal
confronto tra la provincia del Santissimo Nome di Gesù dei frati minori di Sicilia e l’arcivescovo di
Agrigento, oggi cardinale, Francesco
Montenegro. «Il nostro scopo —
precisa fra Giuseppe — è quello di
dare al fratello straniero l’affetto di
una famiglia, dopo che ha dovuto
lasciare la propria, di inserirlo nella
società attraverso un lavoro dignitoso e il rispetto delle giuste regole».
Nella Tenda del Padre Abramo
ogni ragazzo straniero entra a far
parte di una grande famiglia. E i
frati, così come fece Abramo con i
tre ospiti misteriosi, accolgono i fratelli stranieri con la consapevolezza
di accogliere Dio.
«Nella nostra struttura — spiega il
religioso — si vive insieme, si prega
nonostante la differenza delle religioni (cattolici, ortodossi, musulmani, indù), si cucina e si adempiono
tutti i lavori domestici: dalla cura
degli animali alla realizzazione di
laboratori artigianali e orti sociali».
Nella Tenda del Padre Abramo si
vive un meraviglioso clima di famiglia che qualcuno ha definito «miracolo evangelico». Questo stesso clima si vuole portare nel paese, cercando con questa marcia di dimostrare che la diversità di credo non
può rappresentare un ostacolo alla
fratellanza e alla condivisione. La
marcia interreligiosa di Favara,
quindi, sarà un’importante occasione di dialogo, un’opportunità per
tracciare e percorrere un cammino
di libertà.
Fra Giuseppe non ha dubbi: «sarà una festa tra fratelli, che marceranno insieme per scoprire un Dio
che ci ama senza perdere la propria
identità». (francesco ricupero)
Nel rapporto Caritas il peso della crisi
Un’Europa a due velocità
ROMA, 19. Aumenta il numero di
cittadini europei che rinunciano a
cure mediche essenziali, a causa
della necessità di partecipare economicamente alla spesa (22,8 per
cento di media in Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda, Romania e Cipro). E il fenomeno si riflette nella domanda sociale che
giunge alle Caritas: nel corso del
2013, in Italia, il 10,5 per cento degli utenti dei centri di ascolto ha
richiesto una prestazione assistenziale di tipo sanitario, altrimenti
erogabile dal servizio pubblico (+ 6
punti percentuali rispetto all’anno
precedente). È solo una delle conseguenze dell’impatto della crisi
economica e delle misure di austerità sulla popolazione europea al
quale Caritas Europa dedica il Terzo rapporto sul tema, presentato
questa mattina a Roma. Lo studio,
intitolato Crescono povertà e disuguaglianze. Servono modelli sociali
più equi, si è concentrato sulla situazione dei sette Paesi dell’Ue citati sopra, considerati “deboli” dagli osservatori. Contiene una serie
di dati, testimonianze e raccomandazioni rivolte ai governi nazionali
e alle autorità europee, in merito
alla povertà e all’esclusione sociale
determinate dalla crisi economica e
aggravate dalle politiche di austerity e di spending review messe in
atto in numerosi paesi dell’Unione.
Nel testo sono inoltre riportati dati
e testimonianze sulle forme di intervento delle Caritas a sostegno
delle persone e delle famiglie colpite dalla crisi.
I tagli subiti nei servizi pubblici
— si legge nella sintesi del rapporto
— hanno pesato maggiormente sulla popolazione a rischio di povertà,
priva delle risorse necessarie per
compensare tali riduzioni di spesa.
Alcune delle conseguenze sociali
delle misure di austerity saranno
misurabili solamente nel mediolungo periodo, in quanto molti tagli si sono abbattuti su servizi di
carattere preventivo. Nel settore
dell’assistenza socio-sanitaria, dal
2012 al 2013, vi è stato un forte declino della spesa sanitaria procapite, soprattutto in Grecia (11,1 per
cento) e in Irlanda (6,6). In Italia
la riduzione è stata pari allo 0,4
per cento.
Altre conseguenze sono misurabili nel settore delle politiche educative-formative: nonostante le evidenze scientifiche dimostrino il forte legame tra povertà e basso livello di educazione, in numerose nazioni dell’Unione europea sono
stati effettuati tagli alle spese scolastiche e parascolastiche (sussidi per
i libri scolastici, costo delle refezioni scolastiche, sostegno agli allievi
con bisogni educativi speciali). Ciò
ha portato in alcuni casi alla riduzione della frequenza e ad un aumento della dispersione scolastica.
Per esempio in Romania, a causa
dei forti tagli al budget scolastico e
ai sussidi per l’istruzione, si stima
che la popolazione scolastica sia
diminuita del 9,4 per cento dal
2010 al 2014.
Per quanto riguarda il mercato
del lavoro, dal 2012 al 2013 il tasso
di disoccupazione è passato dal
10,4 al 10,8 per cento della popolazione europea in età attiva, ma nei
sette Paesi interessati dallo studio
tutti i relativi indicatori sono molto
superiori alla media: 16,9 per cento
il tasso di disoccupazione, 55,9
quello di disoccupazione di lungo
periodo (49,4 nell’Ue), 40,2 il tasso
di disoccupazione giovanile (23,4
nell’Ue).
Assai
preoccupante
l’esplosione dei Neet (Not in Education, Employment or Training)
fra i 15 e i 24 anni: mentre a livello
dei ventotto Paesi Ue, il tasso è pari al 13 per cento, in quelli “deboli”
il valore è superiore (18,1), con
l’Italia che conquista il triste primato di avere il numero più elevato di giovani che non lavorano,
non studiano e non sono impegnati in attività di formazione.
In tema di povertà e di esclusione sociale, si evidenzia un’Europa
a due velocità: se alla fine del 2013
era a rischio il 24,5 per cento della
popolazione europea, nei sette Paesi considerati lo stesso fenomeno
coinvolge ben il 31 per cento dei
cittadini.
L’Italia si posiziona su valori intermedi (28,4). Per quanto concerne la povertà assoluta (diminuita di
poco fra il 2012 e il 2013) essa è allarmante in Romania e in Grecia.
E nelle sette nazioni citate è cresciuto, dal 12,3 al 13,5 per cento, il
numero di persone che vivono in
famiglie quasi totalmente prive di
lavoro.
Allarme degli episcopati del vecchio continente
Nazionalismo
dell’esclusione
BRUXELLES, 19. Preoccupazione
per l’aumento di partiti e movimenti politici in Europa che inneggiano
al
“nazionalismo
dell’esclusione”, che si scagliano
contro i migranti e propongono
l’uscita dall’Unione europea, e il
conseguente invito a contrastare
attivamente tali fenomeni sono
stati espressi in un documento
diffuso mercoledì da Justice and
Peace Europe (J&P), organismo
composto da trentuno Commissioni di Giustizia e Pace di altrettante conferenze episcopali
del vecchio continente. Nel documento, monsignor Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di
Lussemburgo e presidente della
rete europea J&P, esprime profondo allarme per l’aumento del
razzismo e della xenofobia: «Sono numerosi coloro che, preoccupati dal futuro incerto, si lasciano convincere da parole
semplicistiche e da una propaganda diretta contro gli immigrati e l’Unione europea». Tuttavia — precisa il presule — tali
parole «non sono una risposta
alle sfide complesse del nostro
tempo per le quali non esiste un
rimedio semplice. Al contrario,
lo scopo di questi partiti e movimenti è semplicissimo: conquistare potere politico ed economico. Essi non servono né la
causa dei poveri, né quella dei
deboli o dei più svantaggiati».
Il
documento,
intitolato
«Contro il nazionalismo dell’esclusione», sarà inviato nelle
prossime settimane ai politici e
ai legislatori dei paesi europei.
Da Bruxelles il segretariato generale di Giustizia e Pace Europa ha poi allertato le commissioni nazionali affinché attuino al
più presto un piano di azione
contro i programmi dei partiti
nazionalisti e xenofobi e contrastino tutte le espressioni di retorica nazionalista sia nella vita
privata che in quella pubblica.
Il testo, inoltre, sottolinea che
«la visione cristiana della giustizia universale e della pace non
consente alcun tipo di sciovinismo». Ciò che preoccupa — si
legge nel testo — «è la tendenza
crescente a ricercare potere e popolarità grazie a programmi politici semplicistici e slogan for-
sennati che diffondono l’idea
che la prosperità e la sicurezza
non possano essere realizzate se
non con misure nazionalistiche
unilaterali e, se necessario, a detrimento degli altri popoli». Ma
— si fa ancora notare nel documento — «non esiste risposta rapida e semplice a sfide strutturali profonde come sono quelle
che pongono le nostre società
plurali e un’economia mondializzata».
Due le questioni che stanno
particolarmente a cuore a Justice
and Peace. La prima è quella
dell’immigrazione,
fenomeno
specifico dell’esistenza umana.
«Ignorare questa realtà — si legge nel testo — e tentare di fermare ermeticamente le frontiere
all’afflusso dei migranti è irrealistico e disumano». I rappresentanti dell’episcopato europeo
chiedono che la questione sia
gestita a livello internazionale e
comunitario, condividendo «la
responsabilità dell’accoglienza».
Altra questione affrontata nel
documento è l’Unione europea
e il tentativo perseguito dai partiti nazionalisti di scaricare su di
essa la responsabilità della crisi
economica attuale, le ineguaglianze sociali e la disoccupazione. «Non c’è dubbio che
l’Unione europea non sia perfetta ma resta pur sempre uno
strumento di mantenimento della pace e di risoluzione dei conflitti sul nostro continente. Bisogna assicurare il rispetto dei diritti di ogni individuo e trovare
l’unità nella diversità per una
società ricca e veramente umana. Come cristiani — conclude il
testo — ci sforziamo di promuovere il bene comune di tutta la
famiglia umana anche nei nostri
Paesi».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 20 febbraio 2015
Beato Angelico, «Predica di san Pietro
alla presenza di san Marco» (1433)
di JORGE MARIO BERGO GLIO
Nella Chiesa odierna molti vescovi, sacerdoti
e laici sentono l’esigenza che sia data una
maggiore attenzione all’aspetto per così dire
contemplativo della celebrazione liturgica,
cioè a quella dimensione di interiorità che
aprirebbe la mente e il cuore al mistero celebrato, che è Cristo nostra Pasqua. Questa
sensibilità si esprime in diverse maniere secondo le circostanze, i luoghi, le generazioni
e i gusti. C’è chi sostiene che bisognerebbe
insistere sul ripristino di una celebrazione
realizzata secondo il modello ideale dei secoli addietro; e chi parla, invece, di inculturazione della liturgia nei differenti contesti sociali. Non pochi puntano sulla qualità artistica dell’interno delle nostre chiese, sull’armonia architettonica, sui materiali pregiati,
sull’ingegno di scultori e pittori. Si punta
soprattutto su una musica che porti i partecipanti «in alto», al di là dei sentimenti passeggeri dell’individuo, al di sopra delle solite
difficoltà e preoccupazioni della vita quotidiana. Qualcuno poi immagina che una musica «popolare» potrebbe essere in grado di
attirare l’attenzione dei giovani, così da favorire in loro il desiderio religioso. Poi la percezione di una meta non raggiunta spinge
da molti altri che si spazientiscono con l’inquadratura dei libri liturgici o con la stessa
tradizione della Chiesa. Di conseguenza,
cercano nelle innovazioni libere un miglioramento della celebrazione, un maggiore coinvolgimento del popolo.
Davanti a queste e a tante altre proposte,
si può certamente argomentare a partire da
un senso più vivo dell’ex opere operato, ossia
a partire dall’efficacia della celebrazione dei
sacramenti, che sgorga dal fatto che sono
stati istituiti da parte del Salvatore e che
emanano come dalla sua gloriosa e salvifica
passione. In qualche modo, questo è simboleggiato nel flusso di acqua e sangue dal costato di Gesù Cristo per noi crocifisso. È
davvero importante tener conto di questa visione dell’immancabile efficacia «universale»
dei sacramenti, quando si tratta di celebrazioni in mezzo alla povertà della gente, in
circostanze umili, lontano dal fasto, nella
persecuzione e nella clandestinità, dove si
celebra con il pusillus grex.
Pur tuttavia, nelle circostanze normali,
nelle nostre parrocchie di città e di campagna, durante la domenica e i giorni di festa,
ribadire certamente l’efficacia dell’ex opere
operato non basta per assicurare un vero
coinvolgimento delle persone. Allora, si torna alle proposte di prima: l’abbellimento
dello spazio celebrativo e degli addobbi, con
vasi, paramenti, musica in grado di attirare
l’attenzione del popolo e di suggerire una
certa «ricchezza» dell’esperienza religiosa.
Ci sarebbe senz’altro molto da guadagnare
da una più oculata meditazione e applicazione delle sane norme che, da oltre una generazione, si trovano negli stessi libri liturgici e
dei documenti della Santa Sede su questi e
altri argomenti del genere. Ma ciò rischia di
toccare solo superficialmente la realtà umana
e di sfiorare ancor meno la realtà della fede.
Ricuperare lo “stupore”
Donde il discorso dell’interiorità e l’impressione che nonostante tutti gli sforzi, anche generosi e ben intenzionati, di questi anni a favore di una celebrazione liturgica più
bella, comprensibile e coinvolgente, ci è
spesso mancata nella prassi qualcosa di molto importante.
Lo stesso Santo Padre ha colto questo
sentore, indirizzandosi di recente in varie occasioni al bisogno di ricuperare il senso di
«stupore» del cristiano nei confronti del mistero di salvezza in Cristo e, in particolare,
nei confronti dell’Eucaristia (cf. Ecclesia de
Eucharistia, n. 6). Ma lo dice anche la gente
semplice, le madri di famiglia e i giovani.
Anche l’interiorità, infatti, corre il pericolo
di rimanere al livello di una vuota soggettività, se non si solleva fermamente il discorso
del mistero cristiano.
Ricuperare lo «stupore» davanti al mistero. Come raggiungere questo scopo? Un
concetto di cui si parla in vari ambienti ormai da anni è l’ars celebrandi. La nozione
esatta rimane da definire. Ma in genere
l’idea è di un documento, delle linee-guida,
capaci di mettere in rilievo la necessità di
impostare certi elementi della celebrazione
liturgica, in modo da aumentarne la qualità.
Nell’ultimo decennio, si è data molta enfasi nei documenti pontifici alla responsabilità del Vescovo, anche in materia liturgica.
È giusto così. Però, nella prassi, dal punto
di vista del popolo, è il sacerdote ad essere il
punto di riferimento essenziale. Perciò,
nell’ars celebrandi, penso che si debba trattare quanto riguarda soprattutto il sacerdote.
Ciò non significa che il documento debba
essere un testo solo per sacerdoti. Infatti, se
si riesce a definire l’atteggiamento del sacerdote, tale riflessione aiuterà anche il popolo.
Lo aiuterà a vedere in lui quanto deve vedere, e ad approfondire il proprio ruolo complementare; ma soprattutto ne favorirà la
preghiera.
Nel contesto della campagna che la Chiesa ha messo in atto per un’attenzione rinno-
Come si tiene un’omelia
Poco e bene
vata al mistero eucaristico e, in ogni caso, in
vista di una semplicità e linearità di espressione, limiterei l’ars celebrandi alla celebrazione dell’Eucaristia, e quella pubblica, soprattutto parrocchiale.
Uno stile mirato
Auspicherei un documento limpido e
chiaro dal punto di vista espressivo, con
un’impronta anche biblica e dei testi liturgici; un testo di meditazione, piuttosto che un
trattato di teologia; esortativo o, meglio, capace di offrire motivazioni, piuttosto che
giuridico o rubricale. Dovrebbe, però, distinguersi da un’esposizione generica sulla spiritualità sacerdotale, così da essere nondimeno
un testo pratico, che consideri la celebrazione dell’Eucaristia e, in particolare, i diversi
aspetti di ciò che deve compiere il sacerdote.
Anzitutto, il sacerdote celebrante deve essere consapevole del mandato ricevuto
nell’ordinazione sacerdotale: agnosce quod
agis, imitare quod tractas. Che colga per primo il senso del mistero, per poi comunicarlo
alla comunità cristiana, così che essa si conformi alla grandezza del mistero. Ciò richie-
tezza, di estetismo; non è questione di devozionalismo individualistico e clericale. È in
gioco piuttosto un vero ministero pastorale,
meritevole davanti a Dio, ma — in maniera
tanto vera quanto difficilmente definibile —
percepibile da chi fa parte delle nostre comunità cristiane; da chi si reca alla celebrazione dell’Eucaristia per ricevere e per dare;
da chi, con la grazia di Dio, desidera fare
dell’Eucaristia realmente il fons et culmen
della propria esistenza.
È chiaro che tutto ciò deve lasciar apparire il sacerdote in stretto rapporto con il popolo del quale è pastore e al quale non fa,
celebrando l’Eucaristia, un atto di carità,
bensì fa un atto di giustizia.
faccia con cura la sua scelta tra i testi a disposizione e poi, per il resto, sappia fame
una preghiera viva della Chiesa, portando
con sé il popolo. Se sa fare ciò, allora risultano del tutto superflui i miseri testi della
«creatività» selvaggia. È una grande arte
quella di pronunciare come si deve quei testi
liturgici che si ripetono molto di frequente,
come la preghiera eucaristica.
Bisogna, a mio avviso, trovare un modo
per toccare leggermente — senza dubbio senza cedere alla polemica — gli atteggiamenti
da evitare, come quello del sacerdote dai ge-
gomento e offrirne una prima esemplificazione. In ossequio al compito di ponente
che mi è stato affidato, ritengo conveniente
non cercare di commentare questi testi, visto
che sono a portata di mano di tutti. Vorrei,
invece, proporre alla discussione dei Padri
alcuni criteri per progredire verso la redazione di un testo definitivo.
1. Sono del parere che effettivamente sia
giunto il momento per procedere alla stesura
di un documento sull’ars celebrandi.
2. Ritengo che un tale documento debba
essere breve, incentrato su argomenti essenziali, secondo un’ottica precisamente definita.
3. Dovrebbe, a mio avviso, anche assumere un tono pastorale e spirituale, anzi meditativo, tralasciando un approccio di tipo giuridico o disciplinare. Lo stile dovrebbe essere schietto, diretto e semplice, escludendo le
espressioni ricercate; ma anche evitando gli
incisi e le frasi esornative piuttosto abituali
nei documenti ufficiali.
4. Per evitare di disperdere l’attenzione,
proporrei di trattare unicamente della celebrazione della Santa Messa, nella consapevolezza che una tale riflessione eserciterà un
influsso in modo naturale e inevitabile su
tutte le celebrazioni liturgiche.
5. Per la stessa ragione, considero che ci
vuole un testo che espliciti l’atteggiamento
pastorale e spirituale che il sacerdote celebrante deve assumere nello stesso atto della
celebrazione, nella consapevolezza che ciò
sarà di aiuto anche al popolo e, in mezzo ad
esso, a coloro che hanno un ruolo particolare.
6. Reputo però necessario prestare una
grande attenzione a non andare neppure
nella linea di redigere un qualsiasi testo sulla
“Ars dicendi”
È qui che entra in gioco il discorso di ciò
che chiamerei un ars dicendi.
A questa espressione attribuirei due sensi.
Il primo è la maniera in cui il sacerdote parla, quando pronuncia i testi prescritti. In
questo caso, egli non parla semplicemente
con la sua voce privata. Ma la sua voce è
propriamente il veicolo della preghiera della
Chiesa e dei fedeli
congregati in quell’occasione. Ciò che egli
dice è comunicazione
e testimonianza. Il sacerdote deve esserne
consapevole; anzi, deIl 1° marzo 2005 il cardinale arcivescovo di Buenos Aires
ve farlo diventare un
intervenne all’assemblea plenaria della Congregazione
tema delle sue meditaper il culto divino e la disciplina dei sacramenti
zioni, in cui deve ancon una riflessione dedicata all’ars celebrandi. Quel testo —
che approfondire il
che pubblichiamo integralmente in questa pagina — è stato
senso dei vari testi liscelto come base di riflessione per l’incontro di Papa
turgici. Inoltre, il saFrancesco con il clero della diocesi di Roma, svoltosi
cerdote anche attravernella mattina di giovedì 19 febbraio nell’Aula Paolo VI.
so il tono della voce,
il suo ritmo e la relativa velocità con cui
parla, deve in qualche
de una fede viva, nutrita, e un saldo spirito modo portare la gente con sé nella preghiera. Occorre una maniera di parlare che non
di preghiera.
Per il resto, non occorre un cerimoniale, è semplicemente un leggere, un predicare,
ma comunque si deve trattare anche degli un annunciare, ma piuttosto un pregare sinaspetti esteriori della celebrazione, per quan- cero.
Il secondo senso che vorrei attribuire
to concerne il sacerdote. Sono convinto che
si potrebbe parlare non solo della prepara- all’espressione ars dicendi intercetta in qualzione, ma anche della cura dei gesti, dell’at- che aspetto il discorso dell’omelia che sarà
teggiamento del corpo, della dignità, di oggetto di attenzione particolare in questa
quella leadership umile ma incisiva che consi- Plenaria. Qui intendo più specificamente
evocare la necessità che il sacerdote badi beste nel lasciare intuire al popolo che ama un
ne all’uso di quelle parti dove è richiesta da
uomo che sa pregare la liturgia, che sa rivelui la formulazione libera. Deve saper distinstirsi non solo dei paramenti tradizionali, ma
guere tra la «lingua volgare» (nel senso del
soprattutto della persona del Signore Gesù vulgus) e la «lingua popolare», nel senso
Cristo. In tutto ciò, non si tratta di ricerca- della lingua della strada, ossia delle conversazioni private. Deve comunicare in una lingua viva e accessibile. Deve parlare al cuore.
Non deve, però, allontanarsi da ciò che richiede la circostanza e la celebrazione del
mistero.
Ars celebrandi
Dal sacerdote
Bernadette Lopez, «Ogni volta che mangiate
di questo pane» (2007)
Se con un documento sull’ars celebrandi si
potesse aiutare il sacerdote a celebrare con la
giusta consapevolezza (agnosce quod agis) si
innescherebbe, ipso facto, anche nel popolo
una maggiore consapevolezza circa la celebrazione liturgica. Condizionerebbe — nel
senso migliore del termine — anche il diacono, i lettori e i ministranti. Tale consapevolezza è un dono di Dio che va implorato
nella preghiera e che viene concesso da Dio
ai santi. Si dice, per esempio, che lo avesse
il beato Ildefonso Schuster, ma l’arte cristiana lo attribuisce a tanti santi come san Gregorio Magno, san Bernardo, sant’Ignazio.
Tornando al primo senso che ho dato
all’espressione ars dicendi, vale a dire la maniera in cui il sacerdote pronuncia i testi prescritti, insisterei anche sulla varietà di formulari a scelta che di fatto esiste già nei libri liturgici attuali. Per me sono più che sufficienti. Tale possibilità di scelta è aumentata
di molto dopo il Concilio e costituisce un
fatto notevole nei confronti, ad esempio, di
diversi riti orientali. Quindi, che il sacerdote
Jean Guitton, «Gli angeli contemplanti la cena» (1970)
sti rigidi, che pare quasi ignaro della presenza del popolo, oppure il portamento del
prete «maestro di spettacolo», uno «showman» che investe energie in una specie di
animazione superficiale. Si incontra anche il
prete indaffarato che non ha tempo per una
degna celebrazione in tempi ragionevoli (la
«sindrome di Marta»). Però sarebbe, a mio
parere, un errore trasformare l’ars celebrandi
in un trattato sugli abusi. Offrire motivi per
una buona prassi è già un’azione potente
contro gli abusi, senza che lo si espliciti.
Esprimevo qui sopra la mia convinzione
che l’ars celebrandi non dovrebbe avere un
impronta giuridica. Un approccio di tipo
giuridico o disciplinare, benché sia legittimo
al momento dovuto, sarebbe in questo caso
fuori luogo. Inoltre, conviene che il testo
non abbia un apparato pesante di note a piè
di pagina. Per lo stesso motivo, sono del parere che si debba evitare un collage di brani
conciliari o pontifici.
Anche se si limita a trattare la celebrazione dell’Eucaristia, l’ars celebrandi non può,
mi sembra, semplicemente riprendere l’Institutio Generalis Missalis Romani. Non conviene né che diventi una specie di vademecum o
prontuario del contenuto di tale Institutio, né
che si occupi di argomenti quali la musica
sacra o l’arte sacra. Per avere successo, deve
al contrario resistere serenamente alla tentazione non solo di dire tutto su tutto, ma anche molto su molto: che dica poco e in modo mirato; lo dica bene, in maniera convinta
e convincente.
spiritualità sacerdotale. AI contrario, si deve
tenere ben in vista che si tratta dell’azione
pratica del sacerdote, nel contesto specifico
della celebrazione dell’Eucaristia.
7. Pur apprezzando il lavoro di quanti
hanno contribuito alla stesura dell’uno o
dell’altro testo messoci a disposizione
dall’archivio della Congregazione, mi sembra che i criteri qui enunciati porterebbero a
mettere da parte ambedue e ad intraprendere da capo una nuova redazione più meditativa, fresca e vitale.
8. Penso che un tale documento non possa essere un’Istruzione e probabilmente neppure un Direttorio, che risulterebbe troppo
pesante. Al contrario, potrebbe essere pubblicato come un testo sui generis con un’appropriata formula conclusiva che indichi
l’approvazione del Santo Padre.
†
I Superiori e gli Officiali della Segreteria di Stato esprimono sentite condoglianze a S.E. Mons.
Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia,
per la morte dell’amato padre
Signor
ALBERT GÄNSWEIN
e, partecipando al suo dolore, assicurano preghiere di suffragio per il caro defunto e di conforto per i familiari tutti.
Conclusione
Mettendo l’argomento dell’ars celebrandi
all’ordine del giorno di questa Plenaria, la
Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti ha distribuito, per illustrare quanto era diversi anni fa in cantiere, due stesure di testo che si propongono di
trattare questa questione. Come è stato spiegato, i testi sono collegati tra di loro nelle
origini. Né l’uno né l’altro viene proposto
come una stesura definitiva. Tuttavia, entrambi possono essere utili per suscitare l’ar-
†
La Prefettura della Casa Pontificia si unisce al
dolore del Prefetto, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Georg Gänswein, per la morte
dell’amato padre
ALBERT
e assicura a lui e ai suoi familiari la vicinanza
nella preghiera al Signore Risorto.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 20 febbraio 2015
pagina 7
Papa Francesco celebra il mercoledì delle Ceneri a Santa Sabina
Il dono delle lacrime
«Ci farà bene, a tutti, ma specialmente
a noi sacerdoti, all’inizio di questa
Quaresima, chiedere il dono
delle lacrime, così da rendere la nostra
preghiera e il nostro cammino
di conversione sempre più autentici e
senza ipocrisia». Lo ha raccomandato
Papa Francesco durante la messa
celebrata a Santa Sabina nel
pomeriggio del 18 febbraio, mercoledì
delle Ceneri.
Come popolo di Dio incominciamo
il cammino della Quaresima, tempo
in cui cerchiamo di unirci più strettamente al Signore, per condividere
In processione
da Sant’Anselmo
«Per favore fermiamoci un po’ e
lasciamoci riconciliare con Dio»:
quasi una supplica, aggiunta a
braccio durante l’omelia del mercoledì delle Ceneri. Francesco ha
sintetizzato così il significato del
cammino quaresimale: spazio alla
preghiera e alla penitenza per recuperare un rapporto autentico
con il Signore al di là dei formalismi. E come a Manila ha rilanciato l’importanza di saper piangere.
Nel pomeriggio del 18 febbraio, il Papa ha presieduto
all’Aventino la tradizionale processione seguita dalla messa con
l’imposizione delle Ceneri. Giunto in automobile nel chiostro di
Sant’Anselmo, è stato accolto dai
cardinali Agostino Vallini, vicario
di Roma, e Lorenzo Baldisseri,
diacono della basilica, e dal primate dei benedettini Notker
Wolf. Indossati i paramenti liturgici di colore viola, dall’antica
chiesa dedicata al vescovo teologo
nato ad Aosta e morto a Canterbury, il Pontefice si è recato processionalmente a Santa Sabina,
dove ha celebrato l’Eucaristia con
la benedizione delle Ceneri. A
imporgliele è stato il cardinale
novantenne Jozef Tomko, titolare
della basilica. Al rito hanno partecipato una ventina di cardinali,
tra i quali il segretario di Stato
Pietro Parolin, e altrettanti presuli. Tra loro, gli arcivescovi Angelo
Becciu, sostituto della Segreteria
di Stato, e Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia. Tra i
prelati, i monsignori Peter Bryan
Wells, assessore, José Avelino
Bettencourt, capo del Protocollo
della Segreteria di Stato, e Leonardo Sapienza, reggente della
Prefettura. Erano presenti anche
il medico Polisca e l’aiutante di
camera Zanetti.
Ad aprire la processione i benedettini di Sant’Anselmo e i domenicani di Santa Sabina, guidati
dal maestro generale dell’ordine
Bruno Cadoré, che hanno poi imposto le ceneri ai molti fedeli che
hanno voluto prendere parte al rito: in tanti lo hanno seguito sul
maxischermo allestito davanti alla
basilica dedicata alla martire romana del secondo secolo. Significative le intenzioni elevate alla
preghiera universale: si è invocato
il Signore perché ravvivi la missione della Chiesa, sostenga
l’opera del Papa, faccia ardere di
carità il cuore dei sacerdoti; illumini le menti dei governanti, renda lungimiranti i legislatori, doni
coraggio a chi si oppone all’ingiustizia; consoli i sofferenti, riaccenda la speranza negli afflitti,
rialzi gli oppressi; sciolga il gelo
degli indifferenti, vinca le resistenze degli increduli, dissipi le
tenebre dei seminatori di odio.
La messa — diretta dal maestro
delle celebrazioni liturgiche pontificie Guido Marini — si è conclusa con l’antifona mariana Ave
Regina caelorum, intonata dalla
Cappella Sistina, diretta da monsignor Massimo Palombella.
Al termine, prima di rientrare
in Vaticano, il Papa ha salutato
alcuni ammalati in carrozzella e il
presidente panamense Juan Carlos Varela, venuto a Roma per la
creazione del primo cardinale del
suo Paese. (gianluca biccini)
il mistero della sua passione e della
sua risurrezione.
La liturgia di oggi ci propone anzitutto il passo del profeta Gioele,
inviato da Dio a chiamare il popolo
alla penitenza e alla conversione, a
causa di una calamità (un’invasione
di cavallette) che devasta la Giudea.
Solo il Signore può salvare dal flagello e bisogna quindi supplicarlo
con preghiere e digiuni, confessando
il proprio peccato.
Il profeta insiste sulla conversione
interiore: «Ritornate a me con tutto
il cuore» (2, 12).
Ritornare al Signore “con tutto il
cuore” significa intraprendere il cammino di una conversione non superficiale e transitoria, bensì un itinerario spirituale che riguarda il luogo
più intimo della nostra persona. Il
cuore, infatti, è la sede dei nostri
sentimenti, il centro in cui maturano
le nostre scelte, i nostri atteggiamenti. Quel “ritornate a me con tutto il
cuore” non coinvolge solamente i
singoli, ma si estende all’intera comunità, è una convocazione rivolta a
tutti: «Radunate il popolo, indite
un’assemblea solenne, chiamate i
vecchi, riunite i fanciulli, i bambini
lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo» (v.
16).
Il profeta si sofferma in particolare sulla preghiera dei sacerdoti, facendo osservare che va accompagnata dalle lacrime. Ci farà bene, a tutti, ma specialmente a noi sacerdoti,
all’inizio di questa Quaresima, chiedere il dono delle lacrime, così da
rendere la nostra preghiera e il no-
stro cammino di conversione sempre
più autentici e senza ipocrisia. Ci farà bene farci la domanda: “Io piango? Il Papa piange? I cardinali piangono? I vescovi piangono? I consacrati piangono? I sacerdoti piangono? Il pianto è nelle nostre preghiere?”. E proprio questo è il messaggio
del Vangelo odierno. Nel brano di
Matteo, Gesù rilegge le tre opere di
pietà previste nella legge mosaica:
l’elemosina, la preghiera e il digiuno. E distingue, il fatto esterno dal
fatto interno, da quel piangere dal
cuore. Nel corso del tempo, queste
prescrizioni erano state intaccate dalla ruggine del formalismo esteriore,
o addirittura si erano mutate in un
segno di superiorità sociale. Gesù
mette in evidenza una tentazione comune in queste tre opere, che si può
riassumere proprio nell’ipocrisia (la
nomina per ben tre volte): «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere
ammirati da loro... Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti...
Quando pregate, non siate simili
agli ipocriti, che... amano pregare
stando ritti, per essere visti dalla
gente... E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti» (Mt 6, 1.2.5.16). Sapete, fratelli,
che gli ipocriti non sanno piangere,
hanno dimenticato come si piange,
non chiedono il dono delle lacrime.
Quando si compie qualcosa di
buono, quasi istintivamente nasce in
noi il desiderio di essere stimati e
ammirati per questa buona azione,
per ricavarne una soddisfazione. Gesù ci invita a compiere queste opere
senza alcuna ostentazione, e a confidare unicamente nella ricompensa
del Padre «che vede nel segreto»
(Mt 6, 4.6.18).
Cari fratelli e sorelle, il Signore
non si stanca mai di avere misericordia di noi, e vuole offrirci ancora
una volta il suo perdono — tutti ne
abbiamo bisogno —, invitandoci a
tornare a Lui con un cuore nuovo,
purificato dal male, purificato dalle
Messa a Santa Marta
Fermarsi e scegliere
Nella fretta della vita bisogna avere il coraggio
di fermarsi e di scegliere. E il tempo quaresimale
serve proprio a questo. Nella messa celebrata a
stamattina, 19 febbraio, a Santa Marta, Papa
Francesco ha posto l’accento sulla necessità di
porsi quelle domande che sono importanti per la
vita dei cristiani e di saper fare le scelte giuste.
Commentando le letture del giovedì dopo le Ceneri (Deuteronomio 30, 15-20; Salmo 1, Luca 9, 2225), il Pontefice ha spiegato che «all’inizio del
cammino quaresimale, la Chiesa ci fa riflettere
sulle parole di Mosè e di Gesù: “Tu devi scegliere”». Si tratta quindi di riflettere sulla necessità
che tutti noi abbiamo di fare delle scelte nella vita. «E Mosè — ha sottolineato Francesco — è
chiaro: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita
e il bene, la morte e il male: scegli”». Infatti «il
Signore ci ha dato la libertà, una libertà per
amare, per camminare sulle sue strade». E così noi siamo liberi e possiamo scegliere. Purtroppo però, ha avvertito il Papa, «non è facile scegliere». È più comodo «vivere lasciandosi portare dall’inerzia della vita, delle
situazioni, delle abitudini». Per questo «oggi la Chiesa ci dice: “Tu sei
responsabile; tu devi scegliere”». Ecco allora gli interrogativi sollevati dal
Pontefice: «Tu hai scelto? Come vivi?
Il tuo modo di vita, il tuo stile di vita, com’è? È dalla parte della vita o
dalla parte della morte?».
Naturalmente la risposta dovrebbe
essere quella di «scegliere il cammino
del Signore. “Io ti comando di amare
il Signore”. E così Mosè ci fa vedere
la strada del Signore: “Ma se il tuo
cuore si volge indietro e se tu non
ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti
davanti ad altri dei e a servirli, perirete”. Scegliere fra Dio e gli altri dei,
quelli che non hanno il potere di
darci niente, soltanto piccole cosine
che passano». Ritornando sulla difficoltà di scegliere, Francesco si è detto
consapevole che «noi abbiamo sempre questa abitudine di andare un
po’ dove va la gente, un po’ come
tutti». Ma, ha proseguito, «oggi la
Chiesa ci dice: “Fermati e scegli”. È
un buon consiglio. E oggi — ha suggerito il Papa — ci farà bene fermarci
e durante la giornata pensare: com’è
il mio stile di vita? Per quali strade
cammino?».
Dal resto, nella quotidianità noi
tendiamo all’atteggiamento opposto.
«Tante volte — ha ricordato — viviamo di corsa, viviamo in fretta, senza
accorgerci di come sia la strada; e ci
lasciamo portare avanti dai bisogni, dalle necessità del giorno, ma senza pensare». Da qui l’invito
a fermarsi: «Incomincia la Quaresima così con
piccole domande che aiuteranno a pensare: “Come è la mia vita?”». Il primo interrogativo da
porsi — ha spiegato il Papa — è: «Chi è Dio per
me? Io scelgo il Signore? Com’è il rapporto con
Gesù?». E il secondo: «Com’è il rapporto con i
tuoi; con i tuoi genitori; con i tuoi fratelli; con la
tua sposa; con tuo marito; con i tuoi figli?». Infatti, bastano «queste due domande, e sicuramente troveremo cose che dobbiamo correggere».
Successivamente il Pontefice si è anche chiesto
«perché noi andiamo così di fretta nella vita senza sapere su quale strada camminiamo». E anche
su questo Francesco è stato esplicito: «Perché vogliamo vincere, vogliamo guadagnare, vogliamo
Marc Chagall, «Mosè vede le sofferenze del popolo» (1956)
avere successo». Ma Gesù ci fa pensare: «Quale
vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo
intero, ma perde o rovina se stesso?». Infatti
«una strada sbagliata — ha detto il Papa — è
quella di cercare sempre il proprio successo, i
propri beni, senza pensare al Signore, senza pensare alla famiglia». Tornano allora le due domande sul rapporto con Dio e con chi ci è caro, visto
che «uno può guadagnare tutto, ma alla fine diventare un fallito. Ha fallito. Quella vita è un
fallimento». Anche quelle che sembrano aver
avuto successo, quelle di donne e di uomini cui
«hanno fatto un monumento» o hanno dedicato
«un quadro», ma non hanno «saputo scegliere
bene fra la vita e la morte».
E per ribadire il concetto, Francesco ha spiegato che «ci farà bene fermarci un po’ — cinque,
dieci minuti — e farci la domanda: com’è la velocità della mia vita? Io rifletto sulle
cose che faccio? Com’è il mio rapporto con Dio e con la mia famiglia?». In questo «ci aiuterà anche
quel consiglio tanto bello del Salmo:
“Beato l’uomo che confida nel Signore”». E «quando il Signore ci dà
questo consiglio — “Fermati! Scegli
oggi, scegli” — non ci lascia soli; è
con noi e vuole aiutarci». E noi, da
parte nostra dobbiamo «soltanto confidare, avere fiducia in Lui».
Riproponendo le parole del Salmo
«Beato l’uomo che confida nel Signore» il Papa ha quindi esortato a
essere consapevoli che Dio non ci abbandona. «Oggi, nel momento in cui
noi ci fermiamo per pensare a queste
cose e prendere decisioni, scegliere
qualcosa, sappiamo che il Signore è
con noi, è accanto a noi, per aiutarci.
Mai ci lascia andare da soli. È sempre con noi. Anche nel momento della scelta». Da qui la duplice consegna conclusiva: «abbiamo fiducia in
questo Signore, che è con noi, e
quando ci dice “scegli fra il bene e il
male” ci aiuta a scegliere il bene». E
soprattutto «chiediamogli la grazia di
essere coraggiosi», perché «ci vuole
un po’ di coraggio» per «fermarsi e
chiedersi come sto davanti a Dio, come sono i rapporti con la mia famiglia, cosa devo cambiare, cosa devo
scegliere. E Lui — ha assicurato Francesco — è con noi».
lacrime, per prendere parte alla sua
gioia. Come accogliere questo invito? Ce lo suggerisce san Paolo: «Vi
supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor
5, 20). Questo sforzo di conversione
non è soltanto un’opera umana, è
lasciarsi riconciliare. La riconciliazione tra noi e Dio è possibile grazie
alla misericordia del Padre che, per
amore verso di noi, non ha esitato a
sacrificare il suo Figlio unigenito.
Infatti il Cristo, che era giusto e senza peccato, per noi fu fatto peccato
(v. 21) quando sulla croce fu caricato
dei nostri peccati, e così ci ha riscattati e giustificati davanti a Dio. «In
Lui» noi possiamo diventare giusti,
in Lui possiamo cambiare, se accogliamo la grazia di Dio e non lasciamo passare invano questo «momento favorevole» (6, 2). Per favore, fermiamoci, fermiamoci un po’ e lasciamoci riconciliare con Dio.
Con questa consapevolezza, iniziamo fiduciosi e gioiosi l’itinerario
quaresimale. Maria Madre Immacolata, senza peccato, sostenga il nostro combattimento spirituale contro
il peccato, ci accompagni in questo
momento favorevole, perché possiamo giungere a cantare insieme l’esultanza della vittoria nel giorno della
Pasqua. E come segno della volontà
di lasciarci riconciliare con Dio, oltre
alle lacrime che saranno “nel segreto”, in pubblico compiremo il gesto
dell’imposizione delle ceneri sul capo. Il celebrante pronuncia queste
parole: «Ricordati che sei polvere e
in polvere ritornerai» (cfr. Gen 3, 19),
oppure ripete l’esortazione di Gesù:
«Convertitevi e credete al Vangelo»
(cfr. Mc 1, 15). Entrambe le formule
costituiscono un richiamo alla verità
dell’esistenza umana: siamo creature
limitate, peccatori sempre bisognosi
di penitenza e di conversione.
Quanto è importante ascoltare ed
accogliere tale richiamo in questo
nostro tempo! L’invito alla conversione è allora una spinta a tornare,
come fece il figlio della parabola, tra
le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a piangere in quell’abbraccio, a fidarsi di Lui e ad affidarsi a Lui.
Nomina episcopale
in Colombia
La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Colombia.
José Crispiano
Clavijo Méndez
vescovo di Sincelejo
È nato a Tocancipá, in diocesi di
Zipaquirá, il 13 giugno 1951. Ha
compiuto gli studi di filosofia presso
l’università San Buenaventura a Bogotá e di teologia presso la Pontificia università Javeriana della stessa
capitale. Quindi ha frequentato il seminario maggiore regionale Juan
XXIII dell’arcidiocesi di Barranquilla.
Successivamente ha ottenuto la licenza in catechesi e pastorale giovanile presso la Pontificia università
Salesiana di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 20 novembre
1988, incardinandosi nella diocesi di
Valledupar. Ha svolto i seguenti incarichi: parroco di La Inmaculada
Concepción a Chimichagua, cancelliere della curia diocesana, rettore
della chiesa cattedrale Nuestra Señora del Rosario, vicario generale, direttore del centro di evangelizzazione e poi parroco di El Espíritu Santo a Valledupar, delegato episcopale
per il clero, delegato episcopale per
la catechesi, parroco di La Inmaculada Concepción a Valledupar e, dal
2012, rettore del seminario maggiore
Juan Pablo II di Valledupar.