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BREVI CENNI SUI PRESUPPOSTI PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO (artt. 1 e 15 L.F.)
L’art. 1 della Legge Fallimentare (modificato infine dal D.Lgs. 169/2007), rubricato “Imprese soggette al
fallimento e al concordato preventivo” esclude la fallibilità di quelle imprese che siano in possesso
congiunto dei seguenti tre requisiti:
a) aver avuto un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a Euro 300.000,00 nei
tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall'inizio dell’attività se di durata
inferiore;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non
superiore ad Euro 200.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o
dall’inizio dell'attività se di durata inferiore;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad Euro 500.000,00.
In buona sostanza, la novella ha escluso la fallibilità delle c.d. “micro imprese”, riducendo così
drasticamente il numero delle istanze di fallimento depositate nelle cancellerie.
Nell’interpretazione giurisprudenziale, il requisito sub c), soprattutto, è stato oggetto di interessanti
pronunce, che hanno ritenuto di dover ricomprendere in detta soglia, oltre al mero dato ricavabile dalle
scritture contabili, pure altri elementi dai quali risulti l'esistenza di debiti ulteriori, anche contestati,
essendo comunque rilevanti quale dato dimensionale dell'impresa (la contestazione, infatti, non ne
impedirebbe l’inclusione nel computo dell'indebitamento complessivo e non si sottrarrebbe alla
valutazione del giudice chiamato a decidere sull’apertura della procedura concorsuale, anche se la relativa
pronuncia non pregiudica l’esito della controversia volta all'accertamento di quel debito), nonché i debiti
condizionati, come quelli derivanti dalla prestazione di garanzie, che presuppongono la preventiva
escussione del debitore. (vedi, tra tutte, Cass. 25870/11 e Cass. 9760/11).
La lettura dell’art. 1 citato, peraltro, va coordinata con quella dell’ultimo comma dell’art 15 L.F., il quale dispone che “Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati
risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila”
Il Tribunale di Roma, Sez. fall. Sent. 24/12/2008, ha precisato in proposito che la soglia d’indebitamento
prevista dall’art. 15 si “configura non già come un fatto «impeditivo ex art. 2697 c.c.», ma come una
condizione obiettiva di procedibilità, che deve essere oggetto di rilevazione del tribunale in ogni caso, in
base agli atti acquisiti per l'accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 L.F., senza che vi sia spazio
per l’applicazione dell’onere della prova quale regola di giudizio per il caso dubbio; pertanto, se mancano
gli elementi per ritenere superata detta soglia, non avendo il debitore adempiuto alla prescrizione del
deposito della sua situazione contabile aggiornata, non può farsi luogo alla dichiarazione di fallimento”;
mentre –sulla stessa linea– il Tribunale di Sulmona, Sent. 11/11/2010, ha chiarito che “a differenza della
prova del mancato superamento dei parametri per l’esenzione dal fallimento di cui all’art. 1, che incombe
sul debitore contro il quale è presentata l’istanza, la prova del mancato superamento della soglia minima di
euro trentamila affinché si faccia luogo a dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 15, può essere
assunta d’ufficio dal tribunale anche in mancanza di una specifica eccezione da parte del resistente,
trattandosi di eccezione in senso lato.